00 cop gimle 4-14 - Aracne editrice

FSM
Centro Studi
Fondazione Maugeri
GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA DEL LAVORO
ED ERGONOMIA
GIMLE
VOLUME XXXVI - N. 4
OTTOBRE-DICEMBRE 2014
http://gimle.fsm.it
77° Congresso Nazionale SIMLII
Società Italiana di Medicina del Lavoro
ed Igiene Industriale
Salute sul lavoro, lavoro e salute:
una proposta per l’Italia che riparte
Bologna, 15-17 ottobre 2014
Editors:
Pietro Apostoli, Francesco Saverio Violante
RELAZIONI
Periodico trimestrale
Poste Italiane s.p.a.
Spedizione in Abbonamento Postale
D.L. 353/2003
(conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
articolo 1, comma 1, LO/PV
TIPOGRAFIA pime EDITRICE Srl
PAVIA - 2014
Volume XXXVI, N. 4
Ottobre-Dicembre 2014
http://gimle.fsm.it
Issn 1592-7830
GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA DEL LAVORO ED ERGONOMIA
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Rivista di Medicina del Lavoro (Medicina Occupazionale e Ambientale, Igiene del Lavoro,
Tossicologia Occupazionale) ed Ergonomia (Rapporto Uomo/Lavoro, Riabilitazione
Occupazionale, Terapia Occupazionale, Psicologia del Lavoro, Ergonomia)
Rivista indicizzata da: Index Medicus, Excerpta Medica, Scopus
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Segreteria scientifica: Enrico Oddone - E-mail enrico.oddone@unipv.it - Fax 0382-593796
Redazione: Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia - Fondazione Salvatore Maugeri, IRCCS
Istituto Scientifico di Pavia - Sezione di Medicina del Lavoro “Salvatore Maugeri” - Via Severino Boezio, 24 - 27100 PAVIA
Editore: PI-ME Editrice - Via Vigentina 136A - Tel. 0382-572169 - Fax 0382-572102 - 27100 PAVIA
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Pubblicazione trimestrale - Direttore Responsabile: Prof. Marcello Imbriani - Autorizzazione del Tribunale di Pavia n. 229 del 16 Maggio 1978 - ROC 5756
Associato all’USPI, Unione Stampa Periodica Italiana
GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA DEL LAVORO ED ERGONOMIA
Volume XXXVI - N. 4
Ottobre-Dicembre 2014
INDICE
77° Congresso Nazionale SIMLII
Società Italiana di Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale
Salute sul lavoro, lavoro e salute:
una proposta per l’Italia che riparte
Bologna, 15-17 ottobre 2014
Editors: Pietro Apostoli, Francesco Saverio Violante
RELAZIONI
La Grande Distribuzione Organizzata e la Ristorazione Collettiva
A. Segrè
203
La prevenzione dello spreco alimentare per ridare
valore al cibo: riflessioni di un agroeconomista
E. Gambetti
207
Organizzazione e tecnologia nel settore
della grande distribuzione
A. Tinarelli
211
Organizzazione e tecnologia nel settore
della ristorazione collettiva
F. Graziosi, R. Bonfiglioli, F.S. Violante
219
Rischi da lavoro nella grande distribuzione
M. Bonzini, N. Battevi, G. Stucchi, N. Vitelli
226
Epidemiologia delle malattie e dei disturbi
muscoloscheletrici nella grande distribuzione
e nella ristorazione collettiva
D. Cottica, E. Grignani
230
Rischi da lavoro nel settore della ristorazione
C. Romano
234
Focus: L’asma da farina - Epidemiologia,
diagnosi e trattamento dell’asma da farina
P. Sartorelli, V. Paolucci
244
Dermatosi nella grande distribuzione
A. Baracco
251
Metodi di valutazione del rischio e loro
validazione
E. Sala, R. Bonfiglioli, J. Fostinelli, C. Tomasi,
F. Graziosi, F.S. Violante, P. Apostoli
260
Metodi di valutazione del rischio da sovraccarico
biomeccanico all’apparato muscolo scheletrico
a confronto: esperienza applicativa di dieci anni
Disturbi muscoloscheletrici
(segue)
GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA DEL LAVORO ED ERGONOMIA
R. Bonfiglioli, M. Di Lello, F.S. Violante
267
Sorveglianza sanitaria e idoneità: ruolo del medico
competente a sostegno della capacità lavorativa
R. Rotini, R. Bonfiglioli
272
Gestione del lavoratore affetto da patologie
della spalla
G. Minisola
276
Malattie reumatiche e capacità lavorativa
G. Bazzini, M. Panigazzi, E. Prestifilippo,
E.M. Capodaglio, S.M. Candura, F. Scafa,
C. Nuccio, G. Cortese, M.R. Matarrese, A. Miccio
282
Ruolo della terapia riabilitativa occupazionale nel
reinserimento al lavoro: esperienze sperimentali
P. Apostoli
295
Qualità e Medicina del Lavoro, 20 anni dopo
A. Baldasseroni
303
Efficacia - Appropriatezza
G. Mosconi, M. Santini, M.M. Riva
308
La valorizzazione delle competenze del Medico
del Lavoro per migliorare l’efficacia della
prevenzione in azienda
S. Mattioli, A. Argentino, M. Pantaleo, G. Mancini,
F. Zanardi, F.S. Violante
316
Efficacia della sorveglianza sanitaria in Medicina
del Lavoro
A. Berra, E. Pira, C. Romano
321
Overdiagnosis e medicina difensiva in Medicina
del Lavoro
D. Bonetti
335
La validità delle prove nella dimostrazione
del rischio e nella ricerca del nesso causale
delle malattie professionali
R. Bergamini, R. Astengo
339
Patologie muscolo scheletriche tra rischi
professionali e comune patologia degenerativa:
riflessioni tra intensità e durata del rischio
U. Caselli, C. Breschi, R. Compagnoni,
L. De Filippo, M.A. Gogliettino, E. Guerrera,
M. Mameli, E. Mastrominico, S. Mochi, D. Sarto
344
160 attività analizzate per il rischio da sovraccarico
biomeccanico degli arti superiori nella piccola
industria, nell’artigianato, nei servizi
e in agricoltura
A. Ranavolo, S. Mari, C. Conte, M. Serrao,
A. Silvetti, S. Iavicoli, F. Draicchio
347
Ruolo della coattivazione della muscolatura
deltronco nella valutazione del rischio
biomeccanico
M. Zavalloni, R. Astengo, A. Battaglia, A.M. Lenzi
351
Il regresso INAIL nelle malattie professionali
Prove di efficacia in Medicina del Lavoro
Sessione INAIL
(segue)
GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA DEL LAVORO ED ERGONOMIA
Sistemi di sorveglianza delle malattie professionali
G. Di Leone, G. Campo, B. Martini
357
MALPROF e il Piano per la Prevenzione
A. Binazzi, A. Scarselli, S. Massari, M. Bonafede,
360
M. Corfiati, D. Di Marzio, S. Iavicoli, A. Marinaccio
Ricerca attiva, registrazione e prevenzione
dei tumori di origine professionale
A. Baldasseroni
365
Requisiti dei sistemi di registrazione delle malattie
professionali: esperienze a confronto
D. Talini, A. Baldasseroni, A. Cristaudo, A.Magnani 368
Il database della Sorveglianza Sanitaria di una
grande azienda ospedaliera: analisi di un ventennio
E. Saldutti, L. Bindi, A. Di Giacobbe,
M. Innocenzi, L. Innocenzi
372
Il sistema dei flussi informativi quale strumento
di prevenzione delle tecnopatie
E. Pira
379
La tutela della salute nelle Forze dell’Ordine
A. Magrini, M. Grana, L. Vicentini
382
Rischi chimici, fisici e biologici nelle Forze
dell’Ordine
S. Garbarino
392
Il lavoro H24: l’interazione stress e alterazione
del ritmo sonno-veglia nelle forze di polizia
F. Ciprani, M. Moroni, G. Conte
397
Fattori di rischio nell’attività di Polizia: criticità
operative nei protocolli di sorveglianza
N. Magnavita, S. Garbarino, J. Siegrist
400
Metodi di valutazione dello stress lavoro-correlato
nelle Forze dell’Ordine
Rischi professionali nelle Forze dell’Ordine
N.V. Mennoia, P. Napoli, A. Battaglia, S.M. Candura 405
Fattori di Rischio Lavorativo e Prevenzione
Medica nella Polizia Penitenziaria
Progetto INSuLA
B.M. Rondinone, F. Boccuni, G. Buresti,
B. Persechino, M. Petyx, V. Boccuni,
G. Cesana, S. Iavicoli
413
Progetto INSuLa: l’indagine conoscitiva
suilavoratori
D. Gagliardi, C. Di Tecco, M. Ronchetti,
S. Autieri, M. Bonafede, M. Corfiati, S. Manca,
S. Russo, S. Iavicoli
419
Progetto INSuLA: l’indagine conoscitiva
sui Datori di Lavoro
B. Persechino, L. Fontana, P. Laurano, G. Buresti,
426
B.M. Rondinone, M. Barbaro, G. Muzi, C. Romano,
L. Soleo, G. Taino, M. Imbriani, S. Iavicoli
Progetto INSuLa: l’indagine conoscitiva
sui medici competenti
A. Martini, S. Iavicoli, M. Bonafede, L. Corso,
M. Iosue, L. Isolani, G. Di Leone, D. Di Marzio,
P.A Bertazzi
Progetto INSuLa: l’indagine sul fabbisogno
formativo degli SPSAL
432
G Ital Med Lav Erg 2014; 36:4, 199-438
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© PI-ME, Pavia 2014
ATTI 77° CONGRESSO NAZIONALE SIMLII
77° Congresso Nazionale SIMLII
Società Italiana di Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale
Salute sul lavoro, lavoro e salute:
una proposta per l’Italia che riparte
Bologna, 15-17 ottobre 2014
Editors:
Pietro Apostoli, Francesco Saverio Violante
RELAZIONI
G Ital Med Lav Erg 2014; 36:4, 201-248
http://gimle.fsm.it - ISSN 1592-7830
© PI-ME, Pavia 2014
ATTI 77° CONGRESSO NAZIONALE SIMLII
LA GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA
E LA RISTORAZIONE COLLETTIVA
G Ital Med Lav Erg 2014; 36:4, 203-206
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ATTI 77° CONGRESSO NAZIONALE SIMLII
Andrea Segrè
La prevenzione dello spreco alimentare per ridare valore al cibo:
riflessioni di un agroeconomista
Professore ordinario di politica agraria internazionale e comparata, Università di Bologna
ABSTRACT. Each year, about one trillion USD worth of food
sales is lost or wasted. In addition to its economic impacts, food
wastage has significant societal costs that are born indirectly by
taxpayers. Should damage costs associated with food wastage be
accounted for, this global wastage appears much higher. In fact,
the monetization of environmental costs such as the impact of
greenhouse gases, land erosion, water use and pollinators loss
amounts to another trillion USD. Furthermore, a valuation
of social costs, such as health effects of pesticides, loss
of livelihoods and conflicts over natural resources adds another
trillion USD. Noteworthy is the fact that not all food wastage
reduction strategies are equal in terms of environmental
efficiency and reducing food wastage must be a priority over
energy recovery from food wastage. As a case study, the Italian
National Plan for Food Waste Prevention (PINPAS) aims at
reducing food wastage upstream the food chain, will be
considered. PINPAS also seeks to improve recovery measures
of unsold food. As indicated in the Guidelines on the
preparation of food waste prevention programmes by the
European Commission, PINPAS engages all stakeholders
of the agri-food chain, from policy makers to civil groups
and producers. The first action will be the reintroduction
of food education at school.
Key words: prevention, food wastage, environment,
enviromental efficiency, junk food, fasting diet, nutritional
education.
Il valore dello spreco
Come diceva Albert Einstein: “Non tutto ciò che può
essere contato conta e non tutto ciò che conta può essere
contato”. Da questo punto di vista il verbo contare esprime due concetti assai diversi. Contare qualcosa e contare su qualcuno. Nel primo caso il suo significato richiama al calcolare. Nel secondo caso vuol dire invece avere
valore, valere. Così lo spreco ha un valore che va oltre ai
numeri.
Per capire questo “valore” dobbiamo partire da una domanda che pone un interrogativo fondamentale relativamente alla soddisfazione del nostro bisogno primario che
è mangiare. Cosa significa mangiare rispetto a sprecare?
Sprecare significa buttare il cibo nella spazzatura ma anche mangiare cibo spazzatura ovvero mangiare male.
È da questa fondamentale differenza che dobbiamo ripartire per dare il giusto valore allo spreco (alimentare).
Mangiare significa ingerire alimenti, ma anche l’atto
del mangiare. Un atto quotidiano e routinario inevitabile,
necessario, oggetto di piacere e di convivialità, di cura di
sé e di rapporto interiore. Sì, perché nel mangiare esprimiamo anche i nostri vissuti - come mangiamo? …di
fretta, gustando il cibo, senza pensare a quello che abbiamo davanti - le emozioni, i valori e gli atteggiamenti
che ci guidano all’acquisto e alla preparazione degli alimenti che poi, appunto, mangeremo. Se mangiamo, naturalmente. Perché, come sappiamo bene, una parte rilevante della popolazione mondiale, quasi 900 milioni di
anime secondo le ultime stime della FAO per il 2013,
non mangia abbastanza: è affamata, non ingerisce alimenti sufficienti.
Ma stiamo dalla parte di chi mastica, per il momento.
E proviamo a fare una prima distinzione fra mangiare, alimentarsi e nutrirsi. Anche perché spesso gli ultimi due termini vengono usati come sinonimi. Il mangiare abbiamo
detto è l’azione del mangiare, mentre l’alimentazione consiste nell’assunzione da parte di un organismo degli alimenti indispensabili al suo metabolismo e alle sue funzioni vitali quotidiane. Con l’alimentazione forniamo energia
necessaria al funzionamento del nostro corpo, anche se
conta molto la quantità e la qualità del cibo che assumiamo. L’alimentazione è distinta dalla nutrizione, un termine di significato più ampio, che sottintende i processi me-
204
tabolici di un organismo al fine di utilizzare quei principi
nutritivi indispensabili alla vita, allo sviluppo e al mantenimento delle diverse funzioni. Nutrimento quindi, dal latino nutrimentum, ci rimanda alla somministrazione a sé e
agli altri di alimenti.
Una distinzione più letteraria e poetica la troviamo in
un testo assai poco diffuso di Gaia Violi: “alimentazione
racchiude in sé l’azione per togliere la fame: è implicito
quindi un nostro movimento finalizzato a prendere il cibo”. Tipicamente oggi quell’atto riguarda il fare la spesa,
ovunque sia. Il che ci riporta alla spesa alimentare e a come e dove quest’azione si svolge. Con l’alimentazione ci
dobbiamo attivare, dobbiamo scegliere se possibile consapevolmente e responsabilmente, e, potrebbe essere, un
passo avanti. Nutrimento invece è “un passaggio ulteriore
di consapevolezza”, ovvero quando ci assicuriamo da dove proviene e quanto è sano il cibo che acquistiamo, chi lo
ha prodotto e come. Entra in gioco quindi anche la relazione con il produttore (anche virtuale), perché scegliendo
cibi sani e ben prodotti riconosciamo il lavoro che altre
persone hanno svolto e ne attribuiamo quindi un valore.
Non a caso si parla di nutrimento anche rispetto all’arte,
quando leggiamo un buon libro o ascoltiamo una buona
musica nutrendo la nostra mente e il nostro spirito e traendone piacere: lo stesso con il cibo, purché sia salutare e
semplice, in una parola appunto buono.
Invece Michael Pollan nella sua In difesa del cibo, seguito del bestseller Il dilemma dell’onnivoro, critica pesantemente il passaggio “dagli alimenti ai nutrienti”, che
non sono la stessa cosa. Descrivendo gli sterminati scaffali dei supermercati americani, Pollan racconta che “prima
sulle confezioni multicolori che affollavano le corsie si
leggevano nomi di prodotti familiari - come le uova, i cereali per la colazione o le patatine - ora comparivano a caratteri cubitali nuovi termini dal suono scientifico come
‘colesterolo’, ‘fibre’ e ‘grassi insaturi’”. E sono proprio i
nuovi prodotti della scienza alimentare presentandosi in
confezioni esaltanti fantasiosamente le proprietà salutari
ad essere proprio i più dannosi. Il connubio fra esperti della nutrizione e del marketing con prescrizioni dietetiche,
indicazioni nelle etichette, improbabili piramidi alimentari e altro ancora hanno fatto perdere il senso di cosa mangiare. E tu “che cosa mangi”? Schifezze, cibo spazzatura
(junk food): le malattie croniche legate all’alimentazione e
soprattutto all’obesità che colpisce gli Usa ha, secondo
Pollan, origini e responsabilità ben precise. Quale altro
animale, si domanda Pollan, ha bisogno dell’assistenza
degli esperti per decidere cosa mangiare? Per noi onnivori, che possiamo mangiare praticamente tutto ciò che offre
la natura, e in effetti abbiamo bisogno di un’ampia varietà
di alimenti per restare in buona salute, la risposta è un po’
più complicata che per una mucca.
Difatti il “mangiare” cambia.
Nel film di Gabriel Axel “Il pranzo di Babette”, tratto dal romanzo di Karen Blixen, i commensali venivano
letteralmente sedotti dai prelibati piatti cucinati da Babette. Si iniziava con un brodo di tartaruga, un piatto che
non primeggia nella nostra dieta quotidiana, ma che potrebbe anche rientrarvi, prima o poi: perché no? Altro
esempio sono gli insetti, ancora impensabili nella dieta
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occidentale. Eppure nel maggio del 2013 la FAO, come
ci ricorda G. Caprara, ha pubblicato un rapporto dal titolo “Insetti commestibili. Prospettive future per la sicurezza alimentare e il nutrimento animale.” dove si afferma che una dieta a base di insetti contiene gli stessi valori proteici della carne: alimenti alquanto nutrienti.
Un’alternativa al costante aumento della popolazione
mondiale, che nel 2050 sarà di 9 miliardi, e che potrebbe
rivelarsi salutare per la nostra dieta. Anche se occorre
prima di tutto abbattere i pregiudizi, superare le nostre
resistenze culturali e convincere i nostri neuroni che gli
insetti sono “buoni” da mangiare. Una scelta del genere
potrebbe essere anche sostenibile per il Pianeta: l’agenzia delle Nazioni Unite dice infatti che per produrre 1 kg
di insetti bastano 2 kg di vegetali, mentre per 1 kg di carne bovina ne occorrono 10. Ma per i palati occidentali
questa scelta rimane ancora piuttosto difficile.
Cibo sano, prezzo accessibile e a chilometro zero,
un’utopia? Sembra di no.
Il diritto al cibo sicuro, sano, adeguato non a caso è il titolo dell’intervento di Stefano Rodotà alla nuova edizione
di Convivio, un’iniziativa che mette al centro di un palcoscenico, quello del Piccolo Teatro Grassi, la tavola tra cibo
e sapere, analizzando le diverse implicazioni culturali ed
economiche legate al consumo di cibo come pratica che definisce l’individuo e il suo vivere sociale. Questi importanti temi citati da Rodotà, e che partono dalla Dichiarazioni
dei diritti umani del 1948, sono alcuni degli indicatori oggetto della campagna di Oxfam Good enough to eat che all’inizio del 2014 ha pubblicato alcuni dati interessanti
(www.oxfam.org.uk/what-we-do/good-enough-to-eat).
Prendendo in esame quattro indicatori - accessibilità al cibo, presenza di una dieta salutare, qualità e quantità alimentare sufficiente - la ricerca ha fatto una mappatura del
panorama internazionale (125 nazioni), tracciando un indice globale di alimentazione con le migliori e le peggiori nazioni. Ciò che emerge infatti non è solo la qualità dei prodotti alimentari, quanto invece se le persone hanno abbastanza cibo, se possono permetterselo, di che livello e quali
sono gli effetti sulla dieta (Sabina Galandrini “Cibo sano?
L’Italia è indietro, 15 gennaio 2014 www.lastampa.it). Secondo il Good Enough to Eat Index ciò che emerge in maniera problematica sul fronte alimentare globale, non è tanto (o solo) la carenza nella produzione, ma la scarsa possibilità di acquisto di cibo. Costretti ormai a poter scegliere
prodotti di scarso prezzo, i consumatori scelgono prodotti di
bassa qualità e, quindi, dal basso apporto nutritivo. Nutrirsi
bene e sano può costare parecchio, anche in Italia. Nel nostro Paese sempre più persone fanno fatica a mangiar sano
e far quadrare il bilancio: il costo della vita in generale è alto rispetto al reddito medio degli italiani, che in proporzione spendono di più rispetto ad altri Paesi e hanno meno possibilità di acquistare cibo buono a buon mercato.
Gli ultimi dati di Waste Watcher, l’Osservatorio sullo
spreco alimentare delle famiglie italiane, presentati a Roma il 16 gennaio 2014, sottolineano ulteriormente questa
tendenza: negli ultimi 6 mesi gli italiani hanno ridotto ancora di più gli sprechi alimentari ma soprattutto sono sempre meno attenti alle date di scadenza scritte sui prodotti:
il 63% (più 8% in sei mesi) di oltre tremila famiglie inter-
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vistate controlla con il naso che il cibo non si andato a male e poi lo mangia, non tenendo conto delle etichette che
indicano la scadenza.
La volatilità del prezzi dei beni alimentari ha colpito in
modo ancora più determinante il Regno Unito che, a causa di ciò, rimane addirittura fuori dalle prime 12 posizioni
del Good Enough to Eat Index, classificandosi al ventesimo posto per accessibilità al cibo, nonostante non soffra
malnutrizione, acqua potabile e denutrizione.
La classifica comunque vede al primo posto l’Olanda,
che si aggiudica il podio grazie a prezzi alimentari accessibili, basse percentuali di cittadini con diabete ed una ricca varietà nutrizionale, mentre seguono Francia e Svizzera e, all’ottavo posto, l’Italia. Chiudono la graduatoria le
nazioni africane, nelle ultime 30 posizioni insieme a Laos,
Bangladesh, Pakistan e India fino ad arrivare al Ciad che
si classifica all’ultimo posto per l’elevata denutrizione, lo
scarso accesso ai servizi sanitari adeguati e soprattutto l’elevato costo del cibo (due volte e mezzo più degli altri beni di consumo).
Ma ovviamente vi è sempre il paradosso. Sul fronte
opposto ci sono i Paesi più ricchi che hanno problematiche
legate all’alimentazione eccessiva: Stati Uniti, Messico,
isole Fiji, Kuwait e Arabia Saudita sono infatti ai vertici
per diabete e obesità, sempre secondo i dati della campagna promossa da Oxfam.
Un eccesso da una parte e dall’altra: dal latino excedere, ovvero l’oltrepassare, l’andare oltre al limite. È ormai noto a tutti che l’eccesso di cibo, ma soprattutto di
calorie sia dannoso per la salute: meno cibo fa vivere di
più e meglio. A sostenerlo da tempo è Luigi Fontana, professore di nutrizione all’Università di Brescia e alla Washington University Medical School di St. Louis. Le sue
ricerche, focalizzate sulla decodifica dell’invecchiamento
e le strategie per rallentarne la progressione grazie al cibo che mangiamo, mostrano come la longevità sia influenzata notevolmente dalla restrizione calorica. Non si
tratta però solamente di mangiare poco, ma di mangiare
più sano limitando i danni che l’eccesso di calorie può
portare, come ad esempio il diabete di tipo 2, il cancro, le
malattie croniche del fegato che accelerano i processi di
invecchiamento e soprattutto l’obesità, vero dramma del
nostro tempo. E allora un rimedio per mangiare tutti non
è per forza nutrirsi di insetti o farsi fare la dieta basata
sull’analisi dei geni, ma potrebbe essere ciò che da sempre si pratica - e non solo gli eremiti: la restrizione calorica attraverso il digiuno una o due volte alla settimana,
come prevede la fasting diet, un metodo molto più potente dell’esercizio fisico per prevenire per esempio l’ipertensione. Riduzione calorica, esercizio fisico e ambiente:
perché conta anche - come abbiamo sottolineato più volte - un utilizzo intelligente delle risorse naturali riducendo lo spreco di terra, acqua, energia.
Sprecare o mangiare?
Lo spreco è dunque il cibo nella spazzatura.
Junk food o food in the junk? Cibo spazzatura o cibo
nella spazzatura: cos’è peggio? Difficile rispondere a
205
questa domanda, anche se le parole sono le stesse. Si
può dire che il primo fa male alla salute dell’uomo, il secondo fa male alla salute della natura. Ma le due “saluti”, quella dell’uomo e quella della natura, sono legate
fra loro. A conferma, se ce ne fosse bisogno, dell’importanza del rapporto uomo-natura, consumi-risorse,
economia-ecologia filo conduttore di questo contributo.
Se si produce male e si consuma male l’impatto sull’ambiente è molto forte, il che si riflette inevitabilmente sulla salute dell’uomo.
Il fatto è che, almeno all’apparenza, la sensibilità rispetto al cibo spazzatura- il cosiddetto junk food- sembra
essere aumentata negli ultimi anni. È l’onda della filosofia slowfood, del mercato contadino, della vendita diretta nelle aziende agricole, della filieracorta e del chilometrozero. Un’onda corta, un’ondina che increspa soltanto
il mare. In effetti si tratta di una sensibilità più apparente che reale: dato che, sui grandi numeri, la crisi economica ha portato non solo a una povertà, economica appunto, ma anche a una povertà alimentare. Basta osservare i dati riportati nel rapporto ISTAT sui consumi e sulla povertà 2012: la spesa alimentare è stabile, fra il 2011
e il 2012 passa da 477 a 468 euro settimana, anche grazie alle strategie di contenimento messe in atto dalle famiglie per fronteggiare l’aumento dei prezzi: crescono
infatti le percentuali di chi ha ridotto la qualità e/o la
quantità dei generi alimentari acquistati (dal 53,56% del
2011 al 62,3% del 2012) e di coloro che si rivolgono all’hard discount (dal 10,5 al 12,3%). Sale poi rispetto al
2011 la quota di spesa alimentare rispetto al reddito: dal
19,2% al 19,4%.
Siamo più poveri, e si vede dall’incidenza della spesa
sul reddito che infatti aumenta, e cerchiamo di spendere
sempre meno favorendo gli acquisti laddove il costo è più
basso. Questa appunto potrebbe essere definita povertà
alimentare, perché alla fine ne risente la dieta: scarsa e/o
squilibrata. Nel 2012, il 12,7% delle famiglie è relativamente povero (per un totale di 3 milioni 232 mila) e il
6,8% lo è in termini assoluti (1 milione 725 mila). Le persone in povertà relativa sono il 15,8% della popolazione (9
milioni 563 mila), quelle in povertà assoluta l’8% (4 milioni 814 mila).
Assurdo che in queste condizioni si sprechi ancora tanto cibo. Nonostante la crisi sul cibo che finisce nella spazzatura la sensibilità è bassa. Forse perché la questione è
per tanto tempo rimasta chiusa nel bidone della spazzatura. Il rifiuto non si fiuta due volte, chiuso il sacco di plastica ci disinteressiamo di cosa succede dopo. Nonostante
la crisi economica e la povertà economica e alimentare acquistiamo più alimenti di quanto realmente ci occorre,
usiamo più risorse naturali di quante sarebbe necessario,
produciamo più rifiuti di quanti riusciamo a smaltire, e
quando li smaltiamo sosteniamo altri costi economici ed
ambientali, costi che paghiamo direttamente noi e indirettamente chi verrà dopo di noi.
Il cibo che finisce nella spazzatura mangia dunque tante risorse. Non ripeto i dati riportati sopra.
Ma i due modi di dire - il cibo spazzatura e il cibo nella spazzatura - hanno in realtà qualcosa in comune oltre alle parole: lo spreco appunto. In un caso e nell’altro si spre-
206
ca qualcosa: la salute, l’ambiente, l’economia, le risorse
naturali, il lavoro, il nostro tempo.
È insomma un circolo vizioso, assurdo, che va interrotto prima possibile. L’unico modo per farlo è (ri)dare valore al cibo, che non deve essere spazzatura né deve finire
nella spazzatura. Ecco il valore dello spreco. Non sprecare significa dare valore a ciò che non si spreca: il cibo in
questo caso. Ma è ovvio che il ragionamento si può estendere a tutti gli altri beni.
Ritorniamo al punto iniziale. Abbiamo visto quanto
vale lo spreco. Molto, anzi troppo in termini economici e
ambientali. Ma il suo valore è molto, davvero molto più
elevato. Perché quando sprechiamo gli alimenti vuol dire
che abbiamo perso il senso complessivo del valore del cibo e dell’atto che ne permette il consumo: mangiare. Un
valore che non è soltanto economico e ambientale, ammesso che tutti noi consumatori si abbia questa percezione. Ovvero si capisce che gettando via del cibo ancora
buono sprechiamo degli euro e delle risorse naturali. Ma il
cibo ha anche altri valori, non è una “cosa”, una merce
qualsiasi. Non si rottama.
Eppure senza mangiare e bere, non viviamo. Soprattutto mangiare perché più che bere l’acqua, la mangiamo:
l’80% dell’acqua serve per la produzione agricola. Ma oltre a questa o meglio queste “verità” sugli alimenti e la nutrizione, dobbiamo aggiungere che non c’è nulla di più
simbolico e valoriale del cibo.
Nel cibo c’è il legame con la terra e con la natura: il
suolo, l’acqua, l’energia, i minerali, l’aria. Nel cibo c’è un
rapporto con il mondo vegetale: un legame primordiale
costruito nel tempo e sul ritmo delle stagioni. Nel cibo c’è
un rapporto con il mondo animale: un legame talvolta conflittuale. Nel cibo c’è il rapporto con il lavoro, con la fatica di coltivare le piante e di allevare gli animali, per trasformare e conservare gli alimenti per i periodi di scarsità.
Nel cibo c’è il rapporto con gli alimenti, la nutrizione, la
salute, la longevità. Nel cibo c’è il rapporto con l’economia, il reddito degli agricoltori, la spesa dei consumatori,
la bilancia commerciale. Nel cibo c’è il rapporto di accoglienza e condivisione, di ospitalità e di asilo, di identità e
di scambio e trasmissione di colture e culture. Nel cibo c’è
il rapporto con la tradizione, la storia.
In questo senso lo spreco di cibo diventa un valore, nel
senso che combatterlo, non sprecare, significa dare valore
a ciò che si getta via, a ciò che si produce male, a ciò che
fa male.
Nutriamoci di valori, anche di spreco se questo ci insegna a dare valore al cibo, e non di spazzatura.
Dunque se è vero che siamo ciò che mangiamo, ma anche ciò che non mangiamo, proviamo ad essere - oggi è
più che mai necessario - ciò che non sprechiamo. Così lo
spreco da fattore negativo diventa catalizzatore positivo,
paradigma di una nuova società liberata dal falso di più e
dal vero di meno: una società più giusta, più equa, più solidale, più sostenibile.
Meno SPR più ECO, per usare una prima formula semplice e indicativa di una somma e di una sottrazione.
G Ital Med Lav Erg 2014; 36:4
http://gimle.fsm.it
L’educazione alimentare
E allora? Cosa dobbiamo fare, cosa dobbiamo cambiare?
Dobbiamo cambiare le parole, e i verbi, a monte dello
spreco. Sul mangiare ho già detto qualcosa. Posso continuare con il consumo: “consumare” non funziona più. Del
resto vuol dire distruggere, esaurire, logorare, dilapidare.
Anzi per essere precisi consumare, verbo che indica un’attività comune dell’uomo, eredita dal latino due accezioni
diverse: portare a compimento (da consummare) e ridurre
al nulla, distruggere (da consùmere). È evidente che in
rapporto al suolo, ma potremmo riferirci anche all’aria, all’acqua e a qualsiasi altra risorsa naturale e non riproducibile, è la seconda accezione che caratterizza meglio l’azione del consumatore odierno. Questi, dunque, tende a
comportarsi come un distruttore di risorse, contrastando in
parte il pensiero economico dominante secondo cui l’Homo oeconomicus utilizza al meglio (quindi razionalmente)
ciò che possiede (le risorse) per la sua soddisfazione. Tuttavia, distruggere ciò che è indispensabile e non riproducibile non è un atteggiamento razionale.
Ma le risorse che domandiamo non sono tutte impiegate per le necessità, ma spesso per bisogni inventati dal
marketing o da tendenze sociali votate all’accumulo di beni
superflui ed ecologicamente dannosi. In effetti, non ci sarebbe bisogno di costruire senza aver prima recuperato gli
edifici già esistenti ma inutilizzati. È il “rammendo” proposto da Renzo Piano. Non ce ne sarebbe bisogno, eppure si
moltiplicano le attività di produzione e consumo, senza tener presente che tutte, anche quelle più semplici, mangiano
suolo. Limitandoci alla produzione agricola, l’impronta
ecologica - ossia la misura della superficie di suolo o di mare necessaria per rigenerare le risorse consumate - calcola
che per produrre 1 kg di pane al giorno per un anno occorrono 10 m2 di terreno, mentre per ottenere 1 kg di carne bovina al giorno per un anno occorrono 140 m2 di terreno.
Si può trovare una formula che faccia valere lo spreco
o meglio il cibo che non deve essere sprecato? Sì, utilizzando i due verbi che si sono rincorsi - sprecare e mangiare - viene questa: non sprecare uguale mangiare tutto e tutti, mangiare meglio e giusto.
A chi dobbiamo trasmetterla? E come? A scuola, con
l’educazione alimentare. È questa la prima azione proposta in Italia dal PINPAS, il piano nazionale di prevenzione
degli sprechi alimentari avviato dal Ministero dell’Ambiente alla fine del 2013. Al primo punto c’è, non a caso,
la “definizione e l’introduzione di percorsi formativi, e
predisposizione dei relativi materiali didattici, rivolti alle
scuole di ogni ordine e grado sul tema degli sprechi alimentari in particolare e sull’educazione alimentare e ambientale in generale”.
Proprio da qui dobbiamo ripartire per (ri)dare valore al
cibo.
Nota: testo ripreso e adattato da Andrea Segrè, Spreco, Rosenberg &
Sellier, Torino 2014.
Corrispondenza: Andrea Segrè, Professore ordinario e Direttore, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari, andrea.segre@unibo.it