Magazine n. 1 del 15 gennaio 2014

Le acque di balneazione in Campania nel 2014
Approvata a fine anno la nuova delibera regionale sulla qualità del mare
DAL MONDO
I peggiori luoghi del
mondo…per il meteo
Paparo a pag.5
NATURA & BIODIVERSITÀ
L’arma dei coralli contro
il riscaldamento globale
Il corallo, da sempre considerato uno degli organismi
marini più delicati ha “tirato fuori le unghie”, ha imparato da solo come
difendersi dai rischi ambientali, in particolar modo
dal riscaldamento globale.
Funaro a pag.8
SCIENZA & TECNOLOGIA
Progetto PRISCA:
il mestiere del riuso
Nel Nord Europa sono già
parte del tessuto produttivo, da noi finora stentavano a partire. I centri di
riuso sono i capannoni in
cui vengono raccolti gli oggetti superflui ma ancora
in buono stato per essere
proposti a un pubblico
molto vasto di acquirenti.
Come ogni anno, le acque di balneazione
in Campania sono state classificate con
una delibera di Giunta regionale approvata a fine dicembre. La qualità di ogni
“acqua adibita alla balneazione” viene
classificata come scarsa, sufficiente, buona
o eccellente. A inizio stagione balneare
2014, risulterà vietato, per inquinamento,
il 10% delle acque di balneazione: un dato
in costante diminuzione negli ultimi anni.
La rete di monitoraggio attuale è composta
da oltre 300 acque di balneazione: i prelievi
vengono effettuati da Arpac grazie a una
flotta di 7 imbarcazioni. I campioni prelevati vengono analizzati nei laboratori dell'Agenzia secondo i criteri normativi, e i
risultati resi pubblici in tempo reale.
NATUR@MENTE
Povertà, ladra
del nostro futuro
De Maio-Lionetti a pag.6
PRIMO PIANO
Rapporto 2013 sulla Mobilità Sostenibile
Napoli perde posizioni, ma il futuro è tutto da scrivere
L’associazione Euromobility ha presentato il nuovo Rapporto
Annuale sulla Mobilità Sostenibile nelle principali 50 città italiane. Il rapporto fa riferimento ai dati raccolti nell’anno 2012.
Liguori a pag. 4
Fuochi pirotecnici: belli alla
vista, dannosi ai polmoni
La tradizione della pasta
attraverso i secoli
Colori, suoni, giochi di luce, emozioni forti: i
fuochi d’artificio rappresentano senza dubbio
uno spettacolo suggestivo, il momento clou di
feste e celebrazioni importanti. C’è però un
aspetto a cui nessuno pensa: i fuochi d’artificio
possono avere ricadute dannose per la salute.
Martelli a pag. 12
Già dall’antichità si hanno notizie di laganae (lasagne o fettuccine di pasta) arrivate
forse dalla Calabria e già conosciute dai
Greci che abitavano Sibari e Crotone: di
esse era golosissimo lo stesso Mecenate secondo quanto ci riferisce il poeta Orazio.
Allinoro a pag.10
BIO-ARCHITETTURA
I grattacieli di legno
De Crescenzo-Lanza a pag.14
AMBIENTE & SALUTE
LAVORO & PREVIDENZA
Coloranti alimentari:
il ruolo fondamentale dell'EFSA
Il dirigente
pubblico
Costruire in legno, da sempre,
è sinonimo di elasticità, resistenza, leggerezza e bellezza
estetica. Ultimamente, grazie
all’apporto della ricerca e
delle tecnologie più avanzate
in tema di ecosostenibilità,
con il legno si stanno realizzando persino grattacieli.
I coloranti alimentari sono dei composti, o meglio, degli additivi alimentari che vengono aggiunti agli alimenti principalmente per
inserire, compensare o migliorare le colorazioni degli alimenti;
questi sono contenuti in numerosi alimenti, tra cui snack, margarina, formaggio, gelatine, dolci, bevande ecc.
Palumbo a pag.15
Cavallo a pag.13
Ferrara a pag.18
Tenetevi forte perché voglio
iniziare il nuovo anno con il
botto. Le vostre delicatissime
orecchie saranno contaminate
da un fastidioso suono composto da sette lettere: povertà.
Innanzitutto, non è vero che si
nasce poveri. Si può nascere
poeti, ma non poveri. Poveri si
diventa. Come si diventa avvocati, tecnici, preti. Dopo una
trafila di studi, cioè. Dopo lunghe fatiche ed estenuanti esercizi. Questa della povertà,
insomma, è una carriera. E
per giunta tra le più complesse. Suppone un noviziato
severo. Richiede un tirocinio
difficile. Tanto difficile, che il
Signore Gesù si è voluto riservare direttamente l’insegnamento di questa disciplina.
La realtà sociale della quale
siamo prigionieri ha fatto di
più e meglio, ha costruito delle
fabbriche dove sfornare la
perfetta e efficiente povertà.
Questi moderni stabilimenti
sono luoghi di spazio sociale
ben definiti benché diversi a
seconda dei paesi e dei tempi,
sono in funzione giorno e
notte, i suoi lavoratori non
scioperano mai e i sindacati
nemmeno esistono. E’ un sistema industriale talmente efficiente, che per poter coprire
tutti i segmenti di mercato, si
sono sviluppate varie tipologie
di fabbriche, così da produrre
sempre nuovi poveri. Vediamole nel dettaglio, vi è: la fabbrica dell’inevitabilità della
povertà, alimentata da un immaginario collettivo molto diffuso nel mondo costruito sulla
naturalità della povertà.
Tafuro (continua a pag.19)
Dalla rete innovazione e comunicazione ambientale
UNA CARRELLATA DI CLIC(K)!
Angelo Morlando
Il gioco sulla parola "clicclick" è dovuto alla concomitanza di due eventi di
particolare importanza che
sembra utile citare entrambi:
il primo evento è costituito
dalla pubblicazione del documento finale del progetto
"Life + Wataclic"; il secondo è
la nascita del nuovo portale
"ResearchItaly - La ricerca
italiana a portata di click.".
I riferimenti al primo progetto sono scaricabili dal sito:
http://www.wataclic.eu.
I risultati del progetto “WATACLIC” (Water against climate change) sono stati
sintetizzati nel documento
“Innovare la gestione dell’acqua in città, rispondere al
cambiamento climatico” che
costituiscono una serie di raccomandazioni per migliorare
la gestione delle acque in Italia, dal trasferimento delle conoscenze all’innovazione delle
reti urbane, dalla progettazione edilizia agli strumenti
economici e ai processi di informazione dei cittadini.
Gli obiettivi del progetto
sono: introdurre nuove regole
nella pianificazione urbana
per aiutare la diffusione tra
gli utenti finali di tecnologie /
strategie come la raccolta dell'acqua piovana, del riciclo
delle acque grigie e altre tecniche in grado di consentire
un uso più sostenibile delle
acque urbane; adottare regimi tariffari volti a scoraggiare l'uso smoderato delle
acque, per aumentare l'efficienza globale; dei sistemi di
approvvigionamento idrico;
adottare delle campagne di
sensibilizzazione più efficaci
per migliorare la conoscenza
e la consapevolezza dei cittadini.
Le principali attività e i risultati del progetto sono stati
“Oltre ai risultati del progetto “Wataclick”
on-line anche il nuovo portale web del Miur
per promuovere la ricerca italiana d’eccellenza”
riassunti in campagne di comunicazione molto semplici e
concentrate su eventi durante i quali gli esperti hanno
presentato i risultati dei progetti con dimostrazioni di
esperienze, tecniche e materiale informativo.
Dal sito internet è possibile
scaricare anche un kit per il
risparmio idrico nel settore
agroalimentare e leggere
molti suggerimenti da applicare nella vita quotidiana.
I riferimenti al secondo progetto sono scaricabili dal sito:
https://www.researchitaly.it
ResearchItaly è il nuovo portale web del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e
della Ricerca, nato con l’obiettivo di fotografare, supportare e promuovere la ricerca
italiana d’eccellenza, ovunque questa sia realizzata: in
Italia, in Europa e nel mondo.
Un progetto sviluppato dal
Consorzio CINECA, che pone
la ricerca al centro di un
nuovo piano di crescita culturale ed economica del Paese,
Terremoto, cosa portare con sé
quando ci si allontana dalla propria casa
Dopo il terremoto che il 29 dicembre ha scosso
la Campania, sono rinate ataviche paure per
chi era stato toccato dal terribile terremoto
dell’Irpinia del 1980 e sorte invece nuove ansie
in chi si è trovato per la prima volta a fare i
conti con un evento di quest’entità. Per quanto un terremoto
colga
sempre
impreparati, è bene ricordare che ci sono accorgimenti
che
possiamo
prendere. Oltre alle basilari
norme di educazione civica e
le esercitazioni per quanto
riguarda i piani di evacuazione, infatti, ognuno può tenere nella propria
casa un kit di emergenza. Kit che sia accessibile
a ogni abitante della casa e sia ovviamente sempre a portata di mano. Averlo già pronto è utile
nel caso in cui ci sia fretta di abbandonare l’abitazione e ci aiuta a non dimenticare cose che,
nel trambusto generale, si potrebbero facilmente dimenticare. Per il trasporto, utilizzare
uno zainetto è la cosa migliore, perché pratico
da portare e perché lascia libere le mani.
Le indicazioni per riempirlo sono fornite dalla
Protezione Civile:
- fotocopia dei documenti d’identità e delle tessere sanitarie di tutti i componenti familiari;
- agendina cui segnare gruppo sanguigno, eventuali patologie o allergie di tutti i componenti
della famiglia;
- torcia;
- kit da pronto soccorso ed eventuali medicinali
indispensabili per i membri
della famiglia (controllando
periodicamente la scadenza);
- alimenti non deperibili
(barrette energetiche, frutta
disidratata e simili) e alcune
bottiglie di acqua
- protesi o occhiali (anche
una vecchia versione);
- coltellino pieghevole;
- copertine per proteggersi dal freddo e/o dai detriti;
- un capo d’abbigliamento supplementare per
eventuale bisogno di cambio.
Dopo la scossa oltre a prendere il kit di emergenza è utile munirsi di oggetti di stretta utilità
quali le chiavi della macchina, il portafogli, il
cellulare. È buona norma possedere e tenere accanto al kit un elmetto per ogni membro della
famiglia per proteggersi da eventuali crolli successivi alla scossa. Con quest’equipaggiamento
si garantisce a se stessi e ai membri della propria famiglia un’autonomia di circa 72 ore.
A.E.
mettendo a sistema quanto di
meglio l’Italia è oggi in grado
di produrre nei diversi campi
del sapere e allineando il nostro Paese alle migliori pratiche sviluppate a livello
Europeo.
Il portale è suddiviso in quattro aree tematiche generali:
conoscere (per chi desidera
capire meglio il mondo della
ricerca) , innovare (per le realtà che vogliono agire come
motore dell'innovazione) ,
esplorare (per soddisfare le
curiosità dei più giovani) ,
fare (uno strumento per tutti
coloro che fanno ricerca).
Il sito è veramente bello, semplice e dai colori positivi, inoltre, è molto aggiornato anche
con gli ultimi bandi per Horizon 2020.
Aria: parte il monitoraggio del mercurio sulle Dolomiti
Servirà a raccogliere dati utili sull’inquinamento industriale
Paolo D’Auria
Gli scienziati dell’Università
Ca’ Foscari di Venezia hanno
attivato una stazione di rilevamento ai 2.550 metri di
quota del Col Margherita, nei
pressi del Passo San Pellegrino, al confine tra Veneto e
Trentino-Alto Adige. Sulle Dolomiti, gli studiosi misureranno la presenza naturale
nell’atmosfera di mercurio
gassoso, inquinante emesso
da processi industriali. Questo dato sarà poi confrontato
con le informazioni raccolte da
decine di altre stazioni sparse
per il mondo e contribuirà
quindi a indirizzare le future
politiche ambientali. L’Università Ca’ Foscari Venezia e
l’Istituto per la Dinamica dei
Processi Ambientali del Cnr
entrano così nella prima rete
mondiale di monitoraggio del
mercurio, metallo tra i più
tossici per l’uomo e l’ambiente. La stazione di Col
Margherita, infatti, è un nodo
della rete globale Gmos (Global Mercury Observation System), che coinvolge 23 istituti
internazionali ed è finanziata
con 10 milioni di euro dall’Unione Europea. Le stazioni
attive si trovano a terra in
aree sensibili, ma non solo:
strumenti si trovano in volo a
6mila metri di quota, montati
su aerei, e altri attraversano
gli oceani a bordo di navi. “Vogliamo capire quale sia l’impatto
dell’uomo
sulle
variazioni nel ciclo del mercurio nell’ambiente - spiega
Carlo Barbante, professore di
Chimica analitica all’Università Ca’ Foscari e direttore
dell’Istituto per la Dinamica
dei Processi Ambientali del
Cnr -. Il compito della nostra
stazione è vedere quale sia il
fondo naturale dell’inquinante in un sito di alta quota.
La strumentazione ci aggiorna telematicamente ogni
cinque minuti con i dati sul
mercurio, inoltre misura parametri meteorologici e campioni di precipitazioni”.
La ricerca coinciderà con la divulgazione. Informazioni preziose saranno messe a
disposizione degli sciatori, in
tempo reale: alla base della
funivia del Col Margherita i
visitatori vedranno su uno
schermo dati utili come temperatura, precipitazioni, effetto
del
vento
sulla
sensazione termica. Il progetto è stato realizzato in collaborazione con la società
degli impianti sciistici del San
Pellegrino, che ha permesso ai
ricercatori di trasportare sulla
cima il container e gli strumenti per il monitoraggio.
Il sistema GMOS è formato da
uno specifico team di lavoro il
cui scopo è quello di sviluppare strumenti – come banche
dati, cataloghi, servizi – per
realizzare dataset sulla rilevazione del mercurio in atmosfera. Il sistema offre servizi
come la ricerca, la visualizzazione e la consultazione di set
di dati territoriali dal portale
www.gmos.eu. Il sistema è
sviluppato nell’ambito dell’infrastruttura per l’informazione
territoriale
della
direttava INSPIRE, con lo
scopo di rendere disponibili
informazioni rilevanti, di alta
qualità e geograficamente armonizzate per la valutazione
delle politiche e delle attività
che hanno un impatto diretto
o indiretto sull’ambiente. Dal
momento che l’interoperabilità è un concetto centrale per
il sistema di osservazione globale della Terra (GEOSS ), il
Monitoraggio globale per
l'ambiente e la sicurezza
(GMES) e la direttiva INSPIRE, l’utilizzo di standard è
una preoccupazione fondamentale in tutto il processo di
codifica. Con specifico riferimento al GMES, il database
globale sul monitoraggio del
mercurio e le uscite del modello GMOS sono resi disponibili attraverso una serie di
servizi di monitoraggio, previsione e ri-analisi.
Cambiamenti climatici:nessun aiuto dalle nuvole
Da una ricerca australiana previsti aumenti fino a 4°C entro la fine del secolo
Le temperature globali stanno seguendo un trend
che non lascia scampo: previsto un aumento di almeno 4 gradi entro la fine di questo secolo.
Questo quanto risulta da una recente ricerca australiana, che afferma che i modelli finora sviluppati per prevedere l’evoluzione della situazione
climatica globale sono probabilmente errati, perché
non tengono conto correttamente del ruolo delle
nuvole.
Gli studiosi dell’Università del Nuovo Galles del
Sud, guidati dal professor Steven Sherwood del
Centro di ricerca sul cambiamento climatico, sostengono di aver individuato la chiave per prevedere il comportamento della nuvolosità. Ma lo
sviluppo più incredibile della ricerca riguarda, appunto, il ruolo che questa giocherà nel contenimento degli aumenti di temperatura: non sarà
affatto d’aiuto. Negli ultimi 25 anni le maggiori incertezze nel modellare i cambiamenti climatici
sono state legate ai mutamenti nella nuvolosità,
scrive Sherwood sulla rivista Nature. E in molti
modelli le previsioni di minori aumenti di temperature si basavano sulla sua funzione di contenimento. “Questa ricerca risolve uno dei maggiori
dilemmi nella scienza climatica”, afferma. “La
chiave alla reattività del clima all'aumento dei livelli di CO2 sta nel comportamento delle nuvole e
nella loro capacità di limitare gli aumenti, rinfrescando la superficie terrestre oltre a riflettere nello
spazio i raggi del sole”.
Talvolta però l’aria si solleva solo di pochi chilometri fino a uno strato di confine, prima di ridiscendere verso la superficie terrestre. Altre volte può
salire fino a 10-15 km. Il più ottimistico dei 43 modelli esaminati prevede che l’aria raggiunga in
maggior parte il livello più alto, formando nuvole
che avrebbero un effetto rinfrescante. “Questi modelli presuppongono una minore sensitività climatica, ma crediamo che non siano corretti”, sostiene
Sherwood. La pubblicazione della ricerca coincide
con gli ultimi dati del Bureau di Meteorologia secondo cui nel 2013 l’Australia ha subito l’anno più
caldo mai misurato, con temperature di 1,2 gradi
superiori alla media di lungo termine. Il rapporto
sottolinea l'influenza delle emissioni di anidride
carbonica, dichiarando che “il riscaldamento nella
regione australiana è molto simile a quello osservato su scala globale e l’anno passato sottolinea che
la tendenza al riscaldamento continua”.
P.D’A.
Rapporto 2013 sulla Mobilità Sostenibile
Napoli perde posizioni, ma il futuro è tutto da scrivere
Fabiana Liguori
L’associazione Euromobility
ha presentato il nuovo Rapporto Annuale sulla Mobilità
Sostenibile nelle principali 50
città italiane. Il rapporto fa riferimento ai dati raccolti nell’anno 2012.
Il primo risultato negativo che,
purtroppo, viene alla luce dal
nuovo documento è lo scivolamento di Napoli nella classifica
definitiva: dal 21°posto della
scorsa edizione all’attuale 32°.
La città partenopea perde il primato di centro urbano più ecomobile del Meridione, lasciando
il “podio” a Palermo e Bari. I
punti critici del capoluogo campano, che precede comunque di
una posizione Salerno, sono:
l'elevata presenza di autovetture per kmq (la più alta in Italia) e il preoccupante numero di
automobili inquinanti in circolazione (nello specifico aggiungeremmo: vecchie! Considerando che, anche a causa della
disastrosa situazione socio- economica che affligge il popolo napoletano, è più difficile
acquistare auto all’avanguardia!).
Trionfa Venezia, seguita da
Bologna e Torino. Fanalini di
coda Potenza, Reggio Calabria
e Siracusa, ovviamente, tutte
“rappresentanti” di quel Sud
Italia così tanto screditato e dimenticato.
Ma andiamo nel dettaglio. In
45 città su 50 cala il numero di
auto in rapporto agli abitanti
(il cosiddetto indice di motorizzazione). In effetti, c’è una forte
riduzione del numero di auto
vendute rispetto al 2011 (-20%).
Considerando i costi assurdi
del carburante, conti- nuano ad
essere preferiti i veicoli alimentati a gas (GPL o metano), pari
al 7,5% del totale (rispetto al
7,1% dell’anno precedente).
Piccolo ma significativo passo
avanti verso l’utilizzo di carburanti più puliti. Migliora la
qualità dell’aria, anche se c’è
ancora molto da fare. Ben 35
città su 50 superano il limite
dei 35 giorni consentiti ogni
anno per il superamento dei livelli di PM10. In alcune città,
tra cui Milano e Torino, i livelli
consentiti sono stati superati
per oltre 100 giorni nell’arco
del 2012 al cospetto degli 80 di
Napoli. Ma diamo un’occhiata
al trasporto pubblico, per
esempio: i dati presentati evidenziano quanto l’offerta sia
poco presente nella città partenopea rispetto ad altri capoluoghi come Milano, Torino o
Roma, nonostante Napoli sia la
città italiana con la più alta
densità abitativa 8.057,1
(ab/kmq). Solo questo basterebbe già a far riflettere…
Scarse, per ora, “esperienze” di
car sharing e bike sharing.
Tanti sono i “buchi neri” a Napoli: aree pedonali, zone a traffico limitato, corsie ciclabili,
parcheggi di interscambio, e
così via. Ma qualcosa, in realtà,
già dallo scorso anno si sta cominciando a fare. Forse, il
prossimo Rapporto, ci riserverà
belle sorprese… Rimbocchiamoci le maniche, e anche se la
strada è lunga e faticosa, non
dimentichiamo che è, pur sempre, la nostra strada!
Approvata la progettazione
per la discarica So.Ge.Ri.
Istituzioni e associazioni unite per il territorio
È stata approvata la progettazione definitiva della messa in
sicurezza della discarica
So.Ge.Ri. ubicata nel comune
di Castel Volturno e al confine
con il comune di Mondragone,
presso la Regione Campania UOD - Autorizzazioni Ambientali e Rifiuti di Caserta.
La Conferenza dei Servizi si è
svolta alla presenza della
dott.ssa Norma Naim, dirigente del settore regionale,
con la partecipazione dell'ing.
Brugiotti e dell'ing. Cicerone
in rappresentanza della Sogesid S.p.a. (società tecnica del
Ministero dell'Ambiente) con
l'ing. Spasiano e il dott. Del
Muto in rappresentanza della
provincia di Caserta e con
l'Associazione Culturale Officina Volturno, da oltre dieci
Napoli: gli alberi di Natale si
smaltiscono gratis nelle isole ecologiche
Foto tratta da www.noi.caserta.it
anni operante sul territorio e
appartenente alla Consulta
delle Associazioni Ambientali
istituita presso il Comune di
Castel Volturno. In tempi brevissimi sarà pubblicata la determina regionale, in seguito
alla quale la Sogesid potrà
esperire il bando di gara, forse
già a metà gennaio, in modo
da iniziare i lavori entro
l'estate 2014 e concluderli
entro dicembre 2015.
A.M.
Le isole ecologiche cittadine
sono a disposizione per la
raccolta degli alberi di natale in disuso. Abbandonarli per strada è un reato,
oltre ad essere dannoso per
l’ambiente. Il servizio è gratuito. Attualmente le isole
ecologiche attive sono 6: via
Saverio Gatto (Colli Aminei), via Emilio Salgari
(Ponticelli), viale Ponte
della Maddalena (Centro
città), viale della Resistenza
(Scampia), via Arturo Labriola (Fuorigrotta) e Cupa
Capodichino (Miano).
I giorni e gli orari di apertura sono: lunedì dalle 14
alle 19, dal martedì al sabato dalle 9 alle 19 e la domenica dalle 9 alle 14.
I PEGGIORI LUOGHI DEL MONDO…PER IL METEO
La classifica dei 10 posti più inospitali da un punto di vista climatico
Come non ci sono più le mezze
stagioni, così è stata stilata
una classifica dei posti più
inospitali a livello meteorologico del mondo. Una top ten
che non risparmia nessuno.
Così, dopo il nuovo picco di
freddo, un vero e proprio record registrato in Antartide
con ben -93,2gradi, la rivista
“Weatherwise”, dedicata al
campo della meteorologia, ha
affidato ad Ed Darack di
creare una classifica dei dieci
peggiori posti al mondo sotto
il profilo meteo. Ad aprire le
danze, in ultima posizione,
troviamo Ojmjakon, nella Siberia orientale, considerato il
posto stabilmente abitato con
una temperatura fredda che
raggiunge i -67,8gradi. Nono
posto, invece, per l’isola più
remota e inaccessibile: si
tratta dell’isola Bouvet. Di
proprietà norvegese, è situata
nel tempestoso Atlantico meridionale a mille seicento chilometri dalle coste antartiche
della Terra della Regina
Maud. In sostanza, ci troviamo di fronte a un vulcano
emerso, la cui superficie non
arriva a 50 km quadrati e per
il 90% è coperta dai ghiacci.
Solo all’ottavo posto troviamo
il Sahara, con il Grande Erg
Occidentale, forse perché il
grande deserto, pur essendo
inospitale a causa del clima, è
abitato da millenni e rappresenta la culla di grandi civiltà.
Per le Ande della Patagonia
meridionali è pronto ad attenderle il settimo posto. Anche
se i luoghi sono splendidi,
sono freddissimi e cadono
enormi quantità di neve accompagnati da forti raffiche di
vento, che li rendono inospitali.
In sesta posizione troviamo la
valle Gandom-e Beryan nel
deserto iraniano di Dasht-e
Lut, dove la temperatura del
suolo ha raggiunto i 70,7
gradi. Saliamo ancora e arriviamo al quinto posto, occupato dal Summit Camp, in
Groenlandia, nel centro geografico dell’isola ghiacciata a
3.230m di altezza a 72° 36’
Nord e 38° 25’ Ovest. Avanzando incontriamo in quarta
posizione la regione del K2 e
dell’alto Karakorum in Pakistan, dove nel raggio di una
ventina di chilometri ci sono
quattro delle 14 montagne più
alte del mondo, che rendono la
zona la più alta della Terra.
Qui l’inverno è freddissimo
con temperature fino a -58°C
e non è un caso che il K2 non
sia stato ancora scalato nella
stagione invernale. Siamo arrivati finalmente al podio.
Medaglia di bronzo per la
costa dell’Antartide, che unisce in sé i posti più freddi e
aridi del pianeta con un mare
sempre in tempesta, con i
venti fortissimi catabatici che
spirano dall’altopiano antar-
tico. L’argento spetta alla catena High Icefield tra Yukon
(Cnada) e Alaska, dove troviamo i monti più alti del Canada (Elias e Logan).
Vincitore della medaglia d’oro
di questa bizzarra classifica è
la stazione russa Vostock, situata al Polo Sud, che deteneva il record di freddo, con il
raggiungimento di una temperatura pari a -89°C, prima
di vedersi strappare via il primato dalla Dorsale Argus.
A.P.
IL MONDO SU DUE RUOTE
Le sette città al mondo in cui il
bike sharing ha preso più
piede diventando un fenomeno
stabile e integrato nella mobilità sono: Barcellona, Lione,
Città del Messico, Montreal,
New York, Parigi e Rio de Janeiro cittadina. La classifica è
stata stilata dall’Institute for
Transportation and Development Policy di New York, che
ha preso come campione 400
città nelle quali il servizio è
stato avviato, sparse nei 5 diversi continenti, fra queste,
non figura nessuna città italiana. La classifica dell’ITDP
premia dunque quelle città
che hanno saputo integrare in
maniera efficiente il sistema
di bike sharing con la rete di
mobilità urbana già esistente,
offrendo un servizio economico
ed efficiente. Al primo posto
abbiamo Barcellona, con 10,8
utilizzi per ogni bici, 67,9
viaggi per 1.000 abitanti, al
secondo Lione con 8,3 utilizzi
per bici, 55,1 viaggi per 1.000
abitanti, mentre al terzo troviamo Città del Messico con
5,5 utilizzi per bici e 158,2
viaggi per 1.000 abitanti. A
seguire al quarto posto troviamo Montreal, con 6,8 utilizzi per bici e 113,8 viaggi per
1.000 abitanti, al quinto invece
New York con 8,3 utilizzi per
bici e 42,7 viaggi per 1.000 abitanti. Chiudono la classifica
Parigi con 6,7 utilizzi per bici
e 38,4 viaggi per 1.000 abitanti, e Rio de Janeiro, con 6,9
utilizzi per bici e 44,2 viaggi
per 1.000 abitanti. In definitiva, secondo l’ITDP, nel
mondo ci sono oltre 600 città
con un servizio attivo di bike
sharing, solcate da oltre 700
mila veicoli in affitto.
I risultati della ricerca sono
stati resi noti in occasione
della pubblicazione della “Bike
Sharing Planning Guide”, una
guida che offre gli strumenti
necessari per pianificare e avviare un sistema di bike sharing efficiente e conveniente
per i cittadini. Dopo un’attenta
osservazione di questi sistemi,
infatti, gli esperti dell’ITDP ha
stilato una serie di criteri che
devono guidare il percorso di
costruzione del servizio: un sostanzioso parco bici, stazioni
situate al massimo ogni 300
metri di distanza, un’area operativa più ampia di 7 chilometri quadrati, metodi semplici e
veloci per prenotare e prelevare il veicolo, sistemi di sicurezza montati sulle bici che le
rendano sicure e difficili da rubare. L’auspicio è che a queste
sette metropoli possa aggiungersi un giorno anche una
città italiana.
F.S.
Le acque di balneazione in Campania nel 2014
Emma Lionetti
Lucio De Maio
La Regione Campania con DGR
n.663 del 30/12/2013, (BURC
n.1 del 07/01/2014), ha definito
ai sensi della normativa vigente
(D.lgs. n.116 del 03.05.2008 e
DM 30.3.2010) la Classificazione della qualità delle acque di
balneazione. La valutazione è
stata effettuata con il contributo
tecnico-operativo della Direzione Tecnica Arpac - Unità
Operativa Mare - tramite elaborazione statistica dei dati delle
ultime quattro stagioni balneari
ottenuti dai controlli eseguiti
dai Dipartimenti Provinciali
Arpac.
Ad ogni “acqua adibita alla balneazione” viene attribuita una
classe di qualità “scarsa”, “sufficiente”, “buona” o “eccellente” in
base alla quale per ciascuna
area vengono adottate specifiche modalità di gestione ed
eventuali provvedimenti mirati
alla tutela della salute dei bagnanti. A norma di legge, tutte
le acque di balneazione entro la
fine della stagione 2015 devono
risultare almeno di qualità “sufficienti”: quelle classificate
“scarse” per cinque anni consecutivi saranno soggette ad un
divieto permanente di balneazione.
La rete di monitoraggio attuale
è composta da 329 acque di balneazione (42 in provincia di Caserta, 149 in provincia di Napoli
e 138 in quella di Salerno). Per
effettuare i prelievi, Arpac dispone di una flotta di 7 imbar-
«
Migliora la qualità del mare: quest'anno
vietato per inquinamento il 10%
della costa adibita ai bagni
cazioni, tra cui il battello oceanografico Helios. I campioni prelevati vengono analizzati nei
laboratori ARPAC secondo i criteri normativi, e i risultati resi
pubblici in tempo reale sul web
di Arpa Campania e sul Portale
Acque del Ministero della Salute. La balneabilità per la prossima stagione 2014 risulterà
»
vietata ad inizio stagione 2014
per circa 41 km di costa a causa
di inquinamento (10%) e per 59
km per cause indipendenti da
esso (foci e torrenti di fiumi non
risanabili, aree portuali e aree
marine protette). I dati confermano l’inquinamento in prossimità dei centri abitati e dei
fiumi, torrenti e canali. Persiste
pertanto la necessità di rimuovere le cause di contaminazione
dei corpi idrici che si immettono
in mare e di rendere più efficienti i sistemi di collettamento
e depurazione per restituire alla
balneabilità zone costiere di alto
pregio ambientale e di elevato
interesse turistico.
Il trend temporale della costa
vietata alla balneazione rispetto
al totale di litorale controllato
da Arpac è abbastanza confortante. Infatti circa il 92% della
costa campana è adibita alla
balneazione (429 km) e di questa solo il 10% risulta vietata ad
inizio stagione balneare 2014 rispetto al 19% registrato nel
2011 e al 12% del 2012.
Inoltre se si analizza il dettaglio
della classificazione si evidenzia
anche una discreta riduzione
della costa di qualità “scarsa”
che dal 9% diminuisce al
5%.Questo dato positivo è dovuto per lo più al recupero delle
aree vietate alla balneazione in
seguito alla comunicazione di risanamento che i Comuni hanno
trasmesso alla Regione e agli
esiti favorevoli dei campionamenti effettuati.
Nel dettaglio, le condizioni di
legge per la riammissione si
sono verificate, nel corso della
stagione balneare 2011, per 22
aree (16 del Comune di Castelvolturno, tre di Mondragone,
una di Portici, una di Minori e
una del Comune di San Giovanni a Piro). Per il 2012 si sono
aggiunti tredici tratti di costa
“riabilitati” e, nel 2013, sono
state recuperate altre tre acque
di balneazione della provincia
di Salerno (a Pontecagnano Faiano, Salerno e Santa Marina),
per un totale di trentotto “riaperture” in tre anni pari a circa
34 km di costa definita a norma
di legge “di nuova classificazione”. Tutte le informazioni
sono sul sito www.arpacampania.it, sezione “Balneazione”.
L'educazione ambientale è uno dei compiti fondamentali della struttura Ispra-Arpa
Un sistema a rete per le agenzie ambientali
Anna Gaudioso
Con il Decreto 21 maggio 2010
n. 123 del Ministero dell'Ambiente e per la Tutela del Territorio e del Mare,sulla gazzetta
ufficiale n.179 del 3 agosto
2010 è stato pubblicato il regolamento che sancisce la fusione
dell’APAT(istituita nel 1999,
fondendo l'Agenzia nazionale
per la protezione dell'ambiente
ed il Dipartimento per i servizi
tecnici nazionali della Presidenza del Consiglio, dipendeva
dal Ministero dell'Ambiente e
della Tutela del Territorio)
dell’INFS e dell’ICRAM in un
unico istituto:l’ISPRA. Con
questa sigla viene denominato
l’Istituto superiore per la protezione
e
la
ricerca
ambientale(ISPRA). Il decreto
formalizza il sistema nazionale
delle Agenzie ambientali che
oggi conta una vasta presenza
su
tutto
il
territorio
nazionale,infatti ben 21sono le
Agenzie Regionali (ARPA) e
Provinciali (APPA) che sono
state istituite con apposita
Legge Regionale.
In questo modo, sono state
poste di fatto le premesse per la
costituzione di un vero e proprio sistema a rete, di stampo
federalista ,costituito da una
struttura centrale, con compito
di coordinamento tecnico scientifico,e ventuno realtà territoriali con compiti di natura più
operativa sul territorio. In questa direzione si delinea e si coniuga una conoscenza diretta
del territorio e dei problemi
ambientali locali con le politiche nazionali di prevenzione e
protezione dell'ambiente, così
da diventare punto di riferimento, tanto istituzionale
quanto tecnico-scientifico, per
l'intero Paese.
L’istituzione dell'ISPRA rappresenta la coesione del Sistema, pur nel rispetto delle
realtà territoriali, e ne favorisce
lo sviluppo omogeneo su temi di
cooperazione e collaborazione.
Infatti, fin dall'istituzione delle
prime Agenzie regionali, è
emersa l'esigenza di creare
degli spazi di confronto e discussione tra le Arpa-Appa, al
fine di promuoverne uno sviluppo coordinato. E' per questo
motivo che la legge istitutiva
dell'APAT prima e ora dell'ISPRA ha istituito un Consiglio Federale, presieduto dal
Presidente dell'ISPRA e composto dal Direttore Generale e dai
legali rappresentanti delle
ARPA-APPA, che hanno una
funzione consultiva sulla convenzione tra l'Istituto e il Ministero
dell'Ambiente,
con
particolare riguardo all'assegnazione dei finanziamenti e
all'utilizzo delle risorse, nonché
alle metodologie tecnico operative per tutto ciò che riguarda
l’esercizio delle attività delle
Arpa-Appa, ed anche per il
compito di coordinamento dell'Istituto nei confronti delle
Arpa-Appa.
In questo panorama normativo
e di riassetto generale non pos-
siamo non riportare l’interesse
che l’ISPRA rivolge all’educazione ambientale,infatti promuove e realizza programmi di
educazione, divulgazione e formazione in materia ambientale
a livello nazionale ed internazionale, attraverso :progetti di
educazione ambientale rivolti a
giovani in età scolastica ed agli
adulti ;divulgazione di metodologie e conoscenze a supporto
dei decisori dei piccoli Comuni;
corsi di formazione ambientale
sia in aula che a distanza; tirocini di formazione ed orientamento; coordinamento del
gruppo di lavoro interagenziale
per l'Educazione Orientata alla
Sostenibilità e del gruppo di lavoro interagenziale per la Formazione Permanente.
Raccontiamo il meteo L’Italia esposta a una varietà di correnti
I venti tipici del Mediterraneo
disposti sulla tradizionale Rosa
Gennaro Loffredo
Chi di noi non conosce la rosa dei
venti? Il suo nome è dovuto alla disposizione dei rombi che la compongono e
che in origine indicavano le direzioni
da cui soffiano i venti.Le quattro
punte principali indicano i punti cardinali (Nord, Est, Sud, Ovest); le successive quattro punte
i punti
intercardinali (Nord-est, Sud-Est,
Sud-Ovest, Nord-Ovest).
La tramontana ad esempio è un vento
freddo e secco proveniente da Nord,
che interessa le regioni del medio e
alto versante tirrenico ed è più frequente nei mesi invernali con condizioni di alta pressione sull’Europa
occidentale e di bassa sui Balcani.
Questo vento porta generalmente
ampie schiarite e visibilità eccellente.
Il nome deriva dall’aggettivo tramontano, cioè ”oltre il monte”: si riferisce
infatti a un vento che proviene da
oltre le Alpi, quindi da Settentrione.
La Pianura Padana e le valli alpine,
che si trovano sottovento rispetto a
questo tipo di circolazione, sono
spesso interessate da venti di caduta
ARPA CAMPANIA AMBIENTE
del 15 gennaio 2014 - Anno X, N.1
Edizione chiusa dalla redazione il 14 gennaio 2014
DIRETTORE EDITORIALE
Pietro Vasaturo
DIRETTORE RESPONSABILE
Pietro Funaro
CAPOREDATTORI
Salvatore Lanza, Fabiana Liguori, Giulia
Martelli
IN REDAZIONE
Cristina Abbrunzo, Anna Gaudioso, Luigi
Mosca, Andrea Tafuro
GRAFICA E IMPAGINAZIONE
Savino Cuomo
HANNO COLLABORATO
S. Allinoro, F. Clemente, S. Cavallo, P. D’Auria,
G. De Crescenzo, A. Esposito, E. Ferrara, R.Funaro, G. Loffredo, A. Morlando, A. Palumbo, A.
Paparo, F. Schiattarella
SEGRETARIA AMMINISTRATIVA
Carla Gavini
DIRETTORE AMMINISTRATIVO
Pietro Vasaturo
EDITORE
Arpa Campania Via Vicinale Santa Maria del
Pianto Centro Polifunzionale Torre 1 80143
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noti come Foehn o
Favonio,
molto
asciutti e caldi.
La bora è un vento
molto freddo proveniente da Nord-Est,
tipico delle regioni
del medio-alto versante adriatico e in
particolare di Trieste. D’inverno la
bora, che nelle regioni meridionali
prende il nome di
grecale, è la principale responsabile
delle ondate di
freddo che interessano la penisola
italiana, con nevicate a quote anche
basse sulle regioni
adriatiche e al Sud.
Il levante prende il nome dal punto
cardinale da dove spira, Est. Si genera
quando è presente una depressione
tra le coste Africane e le Isole Maggiori o sullo Ionio Meridionale. La
bassa pressione richiama correnti
orientali dai Balcani verso l’Italia,
analogamente a quanto succede con la
bora, anche se in questo caso le correnti associate sono generalmente
meno fredde. Il vento proveniente da
Sud viene chiamato ostro. La configurazione barica e la fenomenologia associata sono molto simili allo scirocco.
Quest’ultimo è uno dei venti che più
frequentemente spirano sui nostri bacini. E’ un vento tiepido d’inverno e in
tardo autunno, caldo negli altri periodi dell’anno. È in origine un vento
caldo e secco, ma nell’attraversare il
Mediterraneo giunge umido sulle nostre regioni apportando nuvolosità e
fenomeni soprattutto al Settentrione.
Lo scirocco raccoglie grandi quantità
di sabbia dal Sahara e può dar luogo
ad una colorazione giallastra o rossastra delle nubi e a precipitazioni contenente pulviscolo.
Angelo Morlando
Focus
“Acque”
Così le regioni
si scambiano
l’acqua
Angelo Morlando
In Estate, lo Scirocco si associa spesso
all’arrivo dell’anticiclone nord-africano sulla nostra penisola con forti
ondate di caldo. Il libeccio spira da
sud-ovest ed è attivato dal passaggio
delle perturbazioni atlantiche. Provoca intense precipitazioni sulle regioni tirreniche, ed è tipico
dell’autunno e dell’inverno, stagioni
nelle quali può provocare intense mareggiate, specie su Lazio e Campania.
Pur essendo un vento tiepido, esso
non provoca particolari innalzamenti
delle temperature, specie se la direzione del vento assume una componente più occidentale, similmente a
quanto accade con il ponente. In
estate il vento di libeccio tende ad
avere effetti simili al Foehn sulle regioni del versante adriatico, generando un vistoso aumento delle
temperature su queste zone. Il maestrale è temutissimo da agricoltori e
navigatori, in quanto è capace di raggiungere punte di velocità ragguardevoli ed è spesso responsabile di
burrasche ed intense mareggiate intorno alla Sardegna e alla Corsica. È
un vento che spira da Nord-Ovest e
può soffiare sia in presenza di una rimonta
di alta pressione sul
Mediterraneo Occidentale, sia per un’irruzione di aria artica
che entra nel Mediterraneo dalla porta del
Rodano.
Insomma
l’Italia, estesa in latitudine e in longitudine e grazie alla
presenza delle catene
montuose, presenta
caratteristiche diverse
di clima anche grazie
all’esposizione a particolari tipi di venti.
Unito nel nome dell’acqua: il nostro Paese è una realtà molto
coesa, per quanto riguarda la disponibilità di acqua potabile. Infatti, come evidenzia il Focus
“Acque” pubblicato di recente dall’Ispra, sono rare le regioni che riescono, senza apporti esterni da
altre regioni, a soddisfare il proprio
fabbisogno idrico per uso civile.
Con alcune eccezioni, le regioni
italiane scambiano molta acqua tra
di loro: risultano totalmente autosufficienti solo la Valle d’Aosta, la
Sardegna, la Sicilia, l'Abruzzo e la
provincia autonoma di Trento. Le
prime tre regioni sono del tutto
“chiuse”, cioè, non ricevono né forniscono acqua ad altre regioni. La
Provincia di Trento e l'Abruzzo forniscono, ma non ricevono volumi
idrici, mentre, al contrario, Puglia e
Calabria importano acqua, ma non
esportano nulla. La Puglia, in particolare, risulta essere la regione
più dipendente dall’esterno per
l’approvvigionamento di acqua potabile da distribuire attraverso la
rete idrica. Circa il 60% della sua
La Campania importa
230 milioni di m3
da Lazio e Molise
acqua di rete, infatti, proviene da
altre regioni, in gran misura dalla
Basilicata e in secondo luogo dalla
Campania. La nostra regione, che
pure alimenta in maniera cospicua
l’acquedotto pugliese, è a sua
volta una grande importatrice di
acqua: ne riceve circa 230 milioni
di metri cubi all’anno, in particolare
da Lazio e Molise. Nella classifica
delle regioni “esportatrici” di
acqua, in testa c’è la Basilicata,
che cede all’esterno circa il 70%
del volume di acqua prelevato sul
proprio territorio. A seguire, il Molise (che cede il 60% delle risorse
idriche prelevate in regione) e il
Lazio (12%). Il capitolo del Focus
dedicato all’approvvigionamento
idropotabile in Italia, curato da Stefano Tersigni e Simona Ramberti
(Istat), sottolinea come viene calcolata la disponibilità di acqua per
uso civile a livello regionale: si
somma l’acqua per uso potabile
prelevata in regione all’acqua proveniente da altre regioni e si sottrae l’acqua ceduta ad altre regioni
e l’acqua che viene convogliata
specificamente all’industria e all’agricoltura.
(2 – segue)
Argentina: a Natale attacco dei predatori del mare
Oltre 60 bagnanti hanno riportato ferite. Una bambina ha perso un dito
Alessia Esposito
È Natale quando a Rosario, in
Argentina, alcune “palometas”
(pesci molto simili ai piranha)
iniziano l’attacco ai bagnanti.
Una serie atipica di agguati,
che dura circa quarantotto ore.
Si contano oltre sessanta feriti,
riferisce il sottosegretario alla
Salute Gabriela Quintanilla.
Riportano morsi su talloni,
piedi, mani, strappi di pezzi di
carne: una bambina di sette
anni ha addirittura perso un
dito. Si tratta infatti di pesci
grandi, molto voraci, con denti
aguzzi e molto taglienti. Fanno
parte della famiglia dei Pygocentrus (a cui fanno capo anche
i più famosi fratelli piranha) e
sono diffuse in Sudamerica, nei
bacini del Rio delle Amazzoni,
dei fiumi Paraguay e Rio Paraná, Orinoco ed Essequibo. Gli
appartenenti a questa famiglia
hanno la ben conosciuta e caratteristica figura romboidale
con corpo compresso lateralmente e molto alto. La loro alimentazione è composta da un
apporto vegetale e da insetti,
vermi, crostacei, pesci, mammiferi e uccelli (acquatici e non).
Se “stressati” da particolari
condizioni non è strano che at-
tacchino l’uomo. E sono state
proprio queste condizioni di
stress a verificarsi a Rosario
qualche settimana fa; si è venuta a creare una situazione
favorevole ad attirare le palometas in superficie e, conseguentemente, all’attacco. Tra
gli imputati il caldo. Record, in
questo caso. Lo stesso che
aveva spinto novemila bagnanti in quel momento a fare
un tuffo ristoratore nel fiume
Paranà. Nei giorni di Natale
l’afa non ha dato tregua: si è
passati da una temperatura
minima di 30 gradi a una massima di 38, un caldo che ha alzato anche la temperatura
dell’acqua. Complice da non
sottovalutare per analizzare
l’agguato delle palometas sono
le scarse precipitazioni del periodo invernale. La siccità ha
fatto sì che il livello delle acque
si abbassasse rispetto al solito.
Ciò ha provocato, tra le altre
cose, una diminuzione del cibo
per le palometas che si sono
così riversate sugli esseri
umani, di solito non le loro
prede preferite, nonostante la
fama da “mangia uomini”. Il veterinario Juan Enrique Romero
commenta tuttavia: “Sono parenti del piranha. La comparsa
ha a che vedere con un determinato tipo di condizioni: acqua
calda e movimento della gente
che si immerge per il caldo
extra producono le condizioni
naturali perché l’animale sferri
un attacco. Come tutti i predatori, questo pesce è attratto dal
sangue”. Gustavo Centurion,
medico del Sistema Integrado
de Emergencia Sanitaria, riferisce: “E’ la prima volta in questa periodo che accade questo
fenomeno. Ogni tanto le palometas compaiono, così ho potuto verificare che c’è bisogno di
alcune condizioni climatiche
perché questi pesci vengano a
riva: una di queste è l’aumento
della temperatura dell’acqua.”
Ad oggi le autorità competenti
stanno invitando a non fare il
bagno. Senza voler puntare il
dito su una sola causa determinante e fare congetture sensazionaliste, è una serie di
congiunture a creare quest’attacco anomalo. Altrettanto corretto è però non parlare del
tutto di “evento naturale”: le alterazioni climatiche che provocano siccità in inverno e afa
record in estate hanno, come
ormai è tristemente noto, origini che sono ben altre. E
l’uomo non può esimersi dal
fare un “mea culpa” per i danni
causati al riscaldamento globale e, dunque, agli ecosistemi.
L’arma dei coralli contro il riscaldamento globale
Un gas solforoso che li mantiene freschi quando le temperature aumentano
Rosa Funaro
Il corallo, da sempre considerato uno degli organismi marini più delicati ha “tirato fuori le unghie”,
ha imparato da solo come difendersi dai rischi ambientali, in particolar modo dal riscaldamento globale. Catastrofiche le previsioni di un pool di
ricercatori del Coraal Reef Task Force americano,
secondo cui oltre la metà delle barriere coralline
del mondo potrebbero scomparire in meno di 25
anni, secondo gli esperti, infatti, circa il 30% delle
barriere coralline mondiali è andato distrutto negli
ultimi 50 anni, e un altro 30% è fortemente danneggiato.
Le temperature del mare sono in aumento, provocando il fenomeno dello sbiancamento e indebolendo le resistenze dei coralli all'inquinamento,
soprattutto quello di origine chimica. Ma oggi, ulteriori studi in merito, hanno delineato scenari
meno apocalittici, immaginando un finale certamente più ottimistico.
La bella notizia arriva dall’Australia dove, un
gruppo di ricercatori, ha scoperto che i coralli sono
più resilienti di quanto finora creduto e che la loro
arma segreta di difesa contribuisce al cattivo odore
che può emanare dagli oceani. Secondo gli scienziati dell'Istituto australiano di scienze marine,
l'odore proviene da un anti-ossidante prodotto dai
coralli, nella forma di gas solforoso, che li mantiene
freschi quando le temperature dell'acqua aumentano, aiutandoli a regolare l'ambiente circostante.
“Quando l'acqua si riscalda - scrive sulla rivista
Nature la specialista di analisi biomolecolare Cherie Motti - i coralli rilasciano più molecole.
Il gas solforoso di tali molecole aiuta a formare una
'nebbia' che respinge il calore del sole, rinfrescando
la superficie marina. Abbiamo osservato che le molecole solforose vengono prodotte in più alte concentrazioni quando il corallo è sbiancato dal calore,
il che gli permette di sopravvivere molto più a
lungo. Questo significa che questa specie, sia
quando è giovane e comincia a crescere, sia quando
è adulto sotto grave stress, ha la capacità di difendersi'”. Un sistema difensivo, questo, che si rivela
davvero utile, anche se non è sempre infallibile,
dato che, come ha spiegato la studiosa, un livello
di stress eccessivo dovuto ad alte concentrazioni di
inquinanti può compromettere tale ciclo impedendo al corallo di produrre gas a sufficienza per
tutelarsi.
Il registro delle imprese agricole sostenibili
Agricoltura ad emissioni
zero: nasce CO2 Resa
Anna Paparo
Nasce il primo registro europeo per la valorizzazione dei
crediti di carbonio sul mercato
volontario del settore agroalimentare e per calcolare l’impronta
carbonica,
con
l’obiettivo di ridurre impatto e
consumo energetico. Ecco a
voi CO2 Resa. Ad esso si possono iscrivere tutte quelle
gici, biomasse. Per esempio, la
Franciacorta ha avviato nel
2010 il programma volontario
di autocontrollo Ita.ca, che
fornisce assistenza e consulenza viticola e enologica, diventando di fatto il primo
calcolatore di emissioni specifico per la filiera vitivinicola.
Il suo scopo è quello di calcolare l’impronta carbonica, il
tutto finalizzato alla ridu-
sioni in conformità a standard
codificati, si provvederà all’elaborazione di un piano di
riduzione delle emissioni,
come l’istallazione di sistemi
di produzione energetica da
fonti rinnovabili, come biomasse ed energia solare.
Tutti interventi che possono
rendere più efficienti a livello
energetico le aziende e possono ridurre i costi e, di conse-
L’avanzata
del cemento
Uno dei freni dell’agricoltura italiana
Fabio Schiattarella
aziende che hanno messo, nel
corso dei due anni appena trascorsi, o quanto meno metteranno in pratica azioni volte a
ridurre la quantità di gas climalteranti emessi, per poter
attuare una politica indirizzata allo sviluppo sostenibile
e alla tutela dell’ambiente.
Unico nel suo genere, questo
registro rappresenta il primo
esemplare in Europa dedicato
alla valorizzazione dei crediti
di carbonio del settore, che
produce ben il18,8% del totale
delle emissioni nazionali. Il
primo settore ad essere stato
coinvolto è quello del settore
vitivinicolo, che nel corso degli
ultimi anni ha mostrato un
crescente interesse per la sostenibilità come fattore di sviluppo. Basti pensare al fatto
che moltissime aziende hanno
già attuato progetti di tutela
ambientale con l’impiego del
fotovoltaico, di corridoi ecolo-
zione dell’impatto e del consumo energetico.
Tutti elementi che fanno di
essa un esempio da seguire e
da emulare. Ma non finisce
qui. Dopo il settore vitivinicolo (che CO2 Resa contabilizzerà
in
sinergia
con
Valoritalia e CsqaCertificazioni) sarà la volta di quelli
oleario, caseario, fino a coinvolgere uno alla volta tutti i
comparti dell’agro-alimentare. Vediamo più da vicino di
cosa si tratta.
Come si calcola la carbon footprint di un’azienda vitivinicola e, soprattutto, come si
possono ridurre le emissioni?
Prima avviene il calcolo delle
emissioni generate dai processi e dai prodotti, che si fa
prestando attenzione al ciclo
produttivo e al ciclo di vita dei
prodotti.
Una volta analizzato e messo
in luce il quantitativo di emis-
guenza, l’impatto ambientale.
I corridoi ecologici, ovvero la
creazione di siepi e boschetti
sulle superfici agricole, e l’utilizzo di biochar, carbone vegetale che assorbe CO2 ed è
ottenuto dalla combustione di
biomassa di scarto (stocchi di
mais, scarti di potatura e
dell’attività di vinificazione,
ecc.) in assenza di ossigeno,
rappresentano altri metodi
per ammortizzare l’impatto
ambientale e queste maledette emissioni. Può essere
utilizzato sia come combustibile sia come fertilizzante del
suolo.
Questo registro rappresenta
uno strumento innovativo,
grazie al quale le imprese potranno immettere sul mercato
volontario crediti di carbonio
generati da attività di miglioramento dell’efficienza d’innovazione tecnologico-gestionale
introdotte nel ciclo produttivo.
L’abbandono dei campi, la cementificazione dei suoli
fertili rimasti, la mancanza di cambio generazionale, le
difficoltà di accesso da parte dei giovani e di avvio di
nuove imprese sono solo alcuni dei freni che l’agricoltura italiana sopporta. Su quest’ultimo punto la Coldiretti pubblica dati parziali: se si guarda il 6°
Censimento dell’Agricoltura Istat, si può notare come i
giovani agricoltori con meno di 40 anni siano solo il
9,9% del totale.Di essi, solo la metà ha meno di 35 anni.
Dal confronto tra i dati del 6° Censimento con quelli del
Censimento precedente, è evidente come il numero dei
giovani agricoltori abbia subito una variazione negativa
pari al 40%.Paola Migliorini, agronoma e docente
afferma che dal 1990 al
2000 si sono perse oltre
400mila aziende e nel decennio successivo 775mila.
Le aziende agricole gestiscono il 40% delle terre in
Europa benché gli agricoltori rappresentino solo il
3% del comparto lavorativo. Attraverso questo
dato si capisce come dagli
agricoltori dipendano molte
cose tra cui il mantenimento del paesaggio e del territorio oltre che la sostenibilità alimentare. Sostenibilità
che fa rima con sovranità alimentare,cioè il controllo
delle proprie risorse. Lo sviluppo agricolo italiano è frenato in primis dal sistema burocratico, troppo pressante nei confronti degli imprenditori, e dall’accesso al
credito.Fare il contadino non è in generale un lavoro
molto retributivo riprende la docente e in più ci sono
tutta una serie di barriere economiche, dal costo altissimo della terra ai costi iniziali di avviamento che possono essere sì coperti fino al 50%.Un sistema che soffoca
la creazione di risposte innovative sul mercato. Mentre
in Francia è possibile richiedere un’autorizzazione o un
documento per via telefonica o via internet, in Italia facciamo ancora le code agli sportelli e produciamo tonnellate di carta. Ma tutto ciò sciupa il territorio, non crea
valore all’interno dell’azienda e schiaccia i prezzi verso
il basso. Partendo dal presupposto che l’80% delle superfici agricole cementificate sono perse per sempre e
contando che per scavare 50 cm di terreno occorre il
tempo di una bennata di ruspa mentre per rigenerarne
10 cm occorrono 2000 anni, gli studi si sono soffermati
sulla capacità di provvista alimentare persa consumando terreno fertile nelle regioni italiane del Nord. Se
un ettaro è in grado di fornire cibo per 6 abitanti in un
anno, la Lombardia ha rinunciato a provvedere alla fornitura di cibo tramite risorse locali.
Piramidi del sole: cercasi finanziatori
Un tetto fotovoltaico per coprire i rifiuti a Giugliano
Salvatore Allinoro
Una copertura impermeabile
e redditizia per ricavare soldi
dai rifiuti solidi urbani, questa volta senza infrangere le
leggi. Celle fotovoltaiche produrranno energia pulita e daranno ricovero ai cumuli che a
Giugliano occupano interi Kilometri quadrati e svettano
come montagne. Il progetto è
presentato da una consulta di
ingegneri riuniti nel logo di “la
civiltà del sole”. Possiamo connetterci, garantire adesione o
partecipare attraverso il sito
internet: http://www.laciviltadelsole.org/. Le idee in cerca di
finanziatori sono semplici ed
inequivocabili. Nel centro convegni “Nugnes” di via Verdi
gli studiosi insistono sul pessimo stato in cui versano i giganteschi cumuli. I topi sono
ghiotti di PET, i gabbiani
aprono squarci, i buchi fanno
penetrare tanta acqua che infiltrandosi ha vita facile nel
rompere le basi e mettere i liquami a diretto contatto con il
bacino imbrifero. Solo un tetto
può aiutarci ad arginare il fenomeno. L’inquinamento del
sottosuolo si aggrava a ogni
scroscio di pioggia, ogni volta
che “schizzichea”, diventa
sempre più ingestibile dopo le
grandini frequentissime tipiche del clima che cambia, sintomo delle precipitazioni che
tendono a diventare più
estreme. Il tetto fotovoltaico
sarebbe un argine ai tumori.
Entro il 2065, quando è atteso
il picco epidemiologico dei fenomeni degenerativi, potremmo aver posto una
barriera a guardia del benessere dei cittadini tamponando
gli effetti nefasti. Il disegno
evidenzia un sistema di raccolta delle acque piovane da
riusare nell’impianto, è già
stato inviato a Renzo Piano da
cui si spera di ricevere un contributo a implementare i sistemi. Quando le piogge
avranno trovato i pannelli du-
rante il loro inarrestabile ciclo
geochimico potranno essere
raccolte e messe a disposizione dei chimici. Serviranno
neutre per raffreddare i pannelli e ottimizzarne le fasi di
produzione (le celle fotovoltaiche funzionano meglio a 28°
Progetto PRISCA: il mestiere del riuso
Se non è buono per te per me può essere oro
Nel Nord Europa sono già parte del
tessuto produttivo, da noi finora stentavano a partire.
I centri di riuso sono i capannoni in
cui vengono raccolti gli oggetti superflui ma ancora in buono stato per essere proposti a un pubblico molto
vasto di acquirenti.
È disponibile una vasta gamma di
scelta. Mobili, attrezzi, mezzi di locomozione, libri, giochi. C’è di tutto.
Gli acquirenti si fanno convincere dai
prezzi convenienti associati a un
buono stato di conservazione del bene
in vendita. Spesso le mercanzie passano per le mani attente degli artigiani che ne riparano i difetti prima
di riporle in vetrina. È usato di prima
categoria, come nuovo.
Nei Paesi Bassi è addirittura disponibile un fondo per risarcire gli espositori che non riescono a vendere le loro
proposte.
A Napoli esistono solo esperimenti
temporanei come una ormai famosa
fiera del baratto e dell’usato e le piccole stanze di chiese e associazioni
trasformate in bazar,soprattutto nel
periodo delle feste comandate.
Il progetto PRISCA è un acronimo, in
inglese significa Pilotproject for scale
re-use starting from bulkywastestream (Progetto pilota per un riuso
spinto ed efficiente a partire dai sacchetti ingombranti di spazzatura). Il
sito internethttp://www.progettoprisca.eu è molto interessante, il primo
dei convegni in vista dell’effettivo inizio delle attività si è tenuto a Napoli
nel centro Congressi “Oltremare”. I
sei partner del progetto sono stati finanziati con i contributi europei,
usano nuovi modi per esprimere vecchi concetti, partono da un presupposto inattaccabile: l’inquinamento
uccide. Poi usano come dato il numero
di vite di cui si è prevenuto il decesso
invece dei soliti grammi di CO2 risparmiata. Le aziende più grandi
hanno già prevenuto decine di morti,
solo limitando i processi di produzione
superflui ed inquinanti, semplicemente facendo girare tra molte famiglie sempre gli stessi beni di consumo.
Cercheranno di fare rete, forse ricucendone i lembi, nel difficile mondo
dell’antropocentrismo economico ed
ecologico. Prendono in considerazione
statistiche agghiaccianti: in ogni sacchetto di rifiuti in media si trovano
due euro disponibili per i rovistatori
di cassonetti. Operano in condizioni
difficili e pericolose per uno scarso livello delle norme igieniche che tendono a non rispettare, aiutiamoli.
S.A.
C) senza rischiare un deposito
di sedimento basico, saranno
necessarie sotto il tetto per
aiutare le macchine a separare i rifiuti e indirizzarli
verso le filiere produttive del
riuso e del riciclo.
Una gru prenderà le voluminose giacenze del mondo civilizzato, squadre di addetti ne
determineranno le sorti.
Un’opera che darebbe un
grosso aiuto allo sviluppo del
settore campano delle energie
verdi, impiegando costruttori
e forze giovani nel recupero
energetico molto meglio di
quanto farebbe un inceneritore, anche da un punto di
vista remunerativo. Hanno intenzione di recuperare persino
i polimeri di cui sono fatte le
buste e su internet hanno raccolto 20.000 firme. Ora tocca a
te, visita il sito.
NUOVA ALLEANZA EUROPEA: NASCE “ELECTRA”
Il progetto per la ricerca sulle reti elettriche intelligenti del futuro
Fiocco rosa per l’Ue: è nata
“Electra”, la nuova alleanza
europea per la ricerca sulle
reti elettriche intelligenti del
futuro. Finanziato dall’Unione
Europea con dieci milioni di
euro, questo nuovo progetto
vede uniti sullo stesso fronte
ventuno enti di ricerca pubblici di ben sedici paesi europei. E in occasione di un
meeting internazionale, organizzato da RSE (acronimo per
“Ricerca sul Sistema Energetico” che ricopre l’importante
ruolo di coordinatore europeo)
e svoltosi nel dicembre scorso,
c’è stato l’avvio vero e proprio
di questo nuovo piano di lavoro. Obiettivo primario di
Electra, o meglio "European
Liaison on Electricity grid
Committed Towards longterm Research Activities”, è
quello di sviluppare soluzioni
possibili e utili per le “smart
grid” del non lontano 2030.
Come ha ben sottolineato il coordinatore Luciano Martini, le
fonti rinnovabili e le reti elettriche dovranno integrarsi,
sviluppando un processo di
osmosi in cui una non potrà
fare a meno dell’altra, richiedendo un nuovo approccio in
tempo reale di tensione e corrente, per poter raggiungere il
funzionamento coordinato di
milioni di dispositivi e di varie
tecnologie di produzione. In
particolare per “smart grid” si
intende l’insieme di una rete
di informazione e di una rete
di distribuzione elettrica che
consente di gestire la rete elettrica in maniera “intelligente”
sotto vari aspetti funzionalità;
quindi, in maniera efficiente
per la distribuzione di energia
elettrica e per un uso più razionale dell’energia, riducendo
al minimo eventuali sprechi e
sovraccarichi, nonché varia-
zioni della tensione elettrica
intorno al suo valore nominale. Una grande sfida, questa, per Electra, che la dovrà
affrontare con grinta, coinvolgendo in modo coordinato e
continuativo i maggiori criteri
di ricerca europei che si interessano di questa tematica.
Questo rivoluzionario progetto
avrà la durata di quattro anni
e offrirà un’importante opportunità per la ricerca europea,
che potrà affilare le sue armi e
arricchire il proprio patrimonio. Altro fine di Electra è
anche quello di favorire la specializzazione e il coordinamento dei laboratori e delle
infrastrutture di ricerca, con lo
scopo di renderli più facilmente accessibili. Verranno,
poi, stanziati oltre 450mila
euro per favorire la mobilità
dei ricercatori, dando la possibilità a 50giovani di trasferirsi
e poter lavorare per 5settimane nei vari punti di ricerca
senza subire spese esose e
poter, così, portare avanti il
progetto. E ancora, il cervellone europeo sulle smart grid
allargherà i suoi confini anche
fuori dal Vecchio Continente:
infatti, si cercherà di mettersi
in rete con la ricerca di altri
Paesi, come ad esempio gli
Stati Uniti, il Giappone e la
Cina, con l'obiettivo di lanciare
anche dei nuovi progetti di collaborazione internazionale.
A.P.
OLIO DI PALMA: MEGLIO SE SOSTENIBILE
Quando parliamo di olio di
palma, ci riferiamo all’olio vegetale più diffuso al mondo, ed
al contempo, di una grave minaccia per le ultime foreste
tropicali del pianeta.
Questo settore produttivo, da
qualche anno, sta cercando di
ridurre gli impatti ambientali,
ma per il WWF non è abbastanza. Attraverso il “ Palm
Oil Buyers Scorecard Report
2013 ”, il WWF ha dato le “ pagelle ” alle maggiori aziende
mondiali del settore in modo
tale da stimolare le imprese a
impegnarsi seriamente nella
produzione e nell’ utilizzo di
olio di palma sostenibile.
In occasione dell’apertura
dell’undicesima conferenza
annuale della Roundtable on
Sustainable Palm Oil (RSPO)
a Medan, in Indonesia, sono
stati analizzati 130, tra produttori e retailer, di articoli
contenenti olio di palma.
L’azienda dolciaria Ferrero, la
belga Ecover, il colosso di beni
per la casa IKEA, il rivenditore tedesco REWE, il leader
mondiale dell’utilizzo di olio di
palma Unilever e la United
Biscuits del Regno Unito sono
le aziende in cima alla classifica sia per l’utilizzo di olio di
palma prodotto in modalità
più sostenibili, sia rispetto
agli sforzi per ridurre le emissioni di gas a effetto serra derivanti dalla sua produzione.
Quarantacinque delle 130
aziende valutate già utilizzano il 100% di olio di palma
certificato sostenibile. Attualmente i due terzi di produttori e rivenditori si sono
impegnati per utilizzare il
100% del prodotto certificato e
sostenibile entro il 2015. Le
piantagioni più estese sono
presenti nelle aree tropicali
del Sud est asiatico oltre che
in Africa ed America Latina.
In questi luoghi la crescita incontrollata e la cattiva gestione della risorsa rischiano
di compromettere per sempre
l’habitat di molti animali.
L’olio di palma è un ingrediente chiave in molti prodotti
di uso quotidiano ed anche per
i biocarburanti. L’aumento
della sua domanda influisce
sulla biodiversità, sull’ emissione di gas serra e favorisce
la conflittualità tra le comunità a cui vengono espropriate
le terre.
F.S.
Fuochi pirotecnici: belli alla vista, dannosi ai polmoni
Giulia Martelli
Colori, suoni, giochi di luce,
emozioni forti: i fuochi d’artificio rappresentano senza dubbio uno spettacolo suggestivo,
il momento clou di feste e celebrazioni importanti. C’è però
un aspetto a cui nessuno
pensa: i fuochi d’artificio possono avere ricadute dannose
per la salute. «Ricadute», nel
vero senso del termine: tutte le
particelle metalliche contenute nel fumo emesso dai fuochi d’artificio, o risultato delle
esplosioni che si verificano durante il lancio e l’esplosione
dell’oggetto pirotecnico, raggiungono pian piano il terreno
e vengono inalate dalle persone che, con il naso all’insù,
assistono estasiate alla magica pioggia luccicante. Più lo
spettacolo pirotecnico è multicolore e abbondante di effetti
speciali, maggiore sarà la presenza di additivi alla polvere
da sparo che si disperderanno
nell’atmosfera sotto forma di
microscopiche particelle metalliche in grado di raggiungere gli alveoli polmonari. È
sufficiente un breve elenco
delle sostanze che si riversano
nell’aria dopo una ventina di
minuti di fuochi d’artificio per
capire il reale rischio per l’apparato respiratorio, in particolare di quelle persone che
soffrono di malattie come
«
Più lo spettacolo pirotecnico è multicolore maggiore
sarà la presenza di additivi alla polvere
da sparo che si disperderanno nell’atmosfera
l’asma: stronzio (86 volte più
della media accettabile), potassio (26), bario (11), ossido di
carbonio (9), piombo (7), rame
(5), zinco (4), solo per citare i
più importanti. Per evitare
che la millenaria tradizione
dei fuochi d’artificio, risalente
all’invenzione della polvere da
sparo, possa interrompersi a
seguito delle scorie che aleggiano nell’aria dopo che feste
»
ed emozioni sono passate gli
studiosi americani Jesse Sabatini e Jared Moretti stanno
sperimentando la creazione di
fuochi ecologici. Gli scienziati
hanno infatti creato polveri in
cui non c’è bisogno di un ossidante: invece di un combustibile hanno utilizzato una
sostanza che ha in se stessa la
capacità di esploderew. Si
chiama 5-AT (5-ammino-tetrazolo) e rilascia energia di
colpo insieme con tanto gas: è
infatti un tipo dì esplosivo
usato per rigonfiare gli air-bag
delle auto. E il gas che si
forma non è tossico o inquinante: oltre l’82% del 5-AT è
costituito da atomi d’azoto e
nella reazione essi formano
azoto biatomico, appunto il
gas più diffuso nell’aria. Nell’attesa che la ricerca produca
i suoi frutti per godere degli
spettacoli pirotecnici in tutta
sicurezza il consiglio è di non
stazionare proprio sotto alla
cascata di luci e fumi, poiché
anche da una posizione più defilata si può godere della manifestazione
pirotecnica.
Importante è anche decifrare
la direzione del vento, in modo
da evitare la caduta delle polveri sottili sulla nostra testa.
Dalla parte degli organizzatori
di eventi con fuochi d’artificio,
è poi fondamentale che scelgano prodotti autorizzati e
conformi alle disposizioni che
regolano la materia, privilegiando quelli che contengono
sostanze poco dannose e non
materiali tossici per l’organismo, come per esempio il
piombo.
L’inquinamento in Campania
e le ricadute sulla fertilità
Se ne parla già da tempo
(anche noi avevamo già trattato l’argomento nel magazine del 15 aprile scorso):
esiste un nesso tra infertilità
e inquinamento? Oggi più che
mai e in particolare nella nostra regione, dopo la “scoperta” delle tonnellate di
rifiuti tossici interrati in alcune zone, questo interrogativo si fa sempre più
pressante. Già nel 2008 il
prof. Fabrizio Menchini Fabris primario responsabile
dell’ Unità Operativa di Andrologia dell’Università di
Pisa, raccolse dati da diecimila uomini di età media 29
anni e con la sua equipe di ricercatori ricavò i primi dati
tracciando nette differenze
tra le varie regioni italiane:
“Pugliesi, siciliani e toscani
sembrano avere spermatozoi
più sani; Lazio, Lombardia e
Veneto registrano invece primati in negativo mentre la situazione più preoccupante
riguarda la Campania e Napoli in particolare, che presentano valori di gran lunga al di
sotto della media nazionale”…E non si sapeva ancora dei rifiuti interrati…
Fabris, con le sue dichiarazioni sembrava fugare ogni
dubbio: “Esiste una correlazione diretta fra riduzione
della fertilità e gli inquinanti
ambientali specie in Campania. Negli uomini che vivono
nei grandi centri urbani, in
aree inquinate da rifiuti industriali o zone agricole dove si
fa ampio uso di pesticidi gli
spermatozoi sono meno mobili
del 20% rispetto ai coetanei
non esposti a queste fonti inquinanti”. In Campania, a
provare a dare una risposta
definitiva al quesito iniziale
Luigi Montano, responsabile
dell’ambulatorio di andrologia
dell’Asl di Salerno che ha
messo a punto il progetto di
ricerca ‘EcoFood Fertility’ ancora in fase di avvio, che coinvolge i Dipartimenti del Cnr
di Napoli, Avellino e Roma e
l’Università di Torino. Si tratterà di testare e comparare i
dati di 1800 uomini sani tra i
20-40 anni, non fumatori, non
bevitori, non consumatori di
droghe, scelti nell’area NolaAcerra-Giugliano, nel basso
beneventano e nel basso salernitano-Cilento (le ultime
due aree a medio e basso inquinamento ambientale) per
verificare l’indice di frammentazione del Dna dello spermatozoo e correlare i livelli di
frammentazione con i livelli
di inquinanti nel sangue e nel
seme: diossine, Pcb, Ipa, metalli pesanti”. EcoFood Fertility, però, oltre a dimostrare
una volta per tutte il nesso inquinamento-salute in Campania ha anche lo scopo di offrire
risposte preventive, indicazioni per i soggetti a rischio,
terapie disintossicanti, utilizzando applicazioni delle
scienze della nutrizione.
G.M.
OSTEOPOROSI : PREVENIRLA CON UNA DIETA AD HOC
Ridurre proteine, sodio e fosforo e aumentare calcio e potassio
Fabiana Clemente
Circa 5 milioni di italiani sono colpiti
ogni anno dall’osteoporosi – patologia
responsabile di una perdita di massa
ossea e resistenza. Le cause principali
dell’insorgenza dell’osteoporosi sono riconducibili a fattori nutrizionali, metabolici o patologici. La sua incidenza
aumenta in presenza di specifici fattori
di rischio. In primis, una corporatura
esile con una ridotta massa ossea è particolarmente sensibile all’insorgenza di
questa malattia. Il sesso femminile, soprattutto in seguito alla menopausa,
manifesta una predisposizione a questa malattia causata da una riduzione
di estrogeni – ormoni steroidei che svolgono un ruolo protettivo del tessuto
osseo. Casi di osteoporosi sono stati
diagnosticati anche in presenza di disturbi
alimentari.
L’eccessiva magrezza
e la conseguente riduzione di massa grassa
provocherebbero una
significativa fragilità
ossea. Tuttavia giocano un ruolo decisivo
anche fattori ereditari.
Cosa si può fare preventivamente nel quotidiano per ridurre i
fattori di rischio?
L’abolizione di fumo,
alcool e caffè gioverebbe alla salute sotto
ogni punto di vista.
Una regolare attività motoria e un indice di massa corporea nei ranghi costituiscono un ottimo punto di partenza.
Per non tralasciare poi un regime alimentare sano e bilanciato. Provvedere
quotidianamente ad un ingente apporto di calcio è la regola base da tener
sempre presente. Per fare ciò occorre
osservare una dieta specifica - ovvero
ricca di calcio e magnesio. Quali sono le
fonti principali di approvvigionamento?
Un elevato contenuto di calcio è possibile trovarlo in formaggi a lunga stagionatura. Fino a 1100 mg di calcio in 100
grammi di alimento. Ma anche i formaggi meno stagionati e quelli freschi
ne garantiscono un buon apporto. Non
sono da meno pesce azzurro, frutta
secca e latte. Tra le verdure spiccano i
broccoli, i cavoli, gli spinaci e le verze.
Tra i legumi è opportuno privilegiare i
fagioli grazie alla presenza di circa 50 mg in
100 grammi di prodotto. Ma anche i ceci
hanno un buon contenuto calcico. Iniziare
la giornata con la consueta tazza di latte a
colazione, o in alternativa un vasetto di yogurt, è una sana
abitudine alimentare
che ben sposa la
causa. Inoltre è importante sapere che
anche l’acqua è una
fonte di calcio. Il va-
lore nutritivo ovviamente varia a seconda della marca scelta. Si consiglia,
pertanto, di consultare l’etichetta
prima dell’acquisto, facendo attenzione
anche alla percentuale di sodio – responsabile di demineralizzare la massa
ossea. È opportuno quindi sostituire
una dieta ricca di proteine animali,
sodio e fosforo con una dieta pregna di
calcio e potassio. Un apporto di vitamina D3 risulta essere fondamentale
sia per la prevenzione che per la cura.
Provvede, infatti, all’assorbimento del
calcio a livello intestinale, al riassorbimento del calcio e del fosforo nel tubulo
contorto prossimale e al deposito del
calcio nel tessuto osseo. In commercio
troviamo facilmente integratori ad hoc,
per fornire all’organismo un giusto apporto di calciferolo. La prevenzione è
una valida arma a disposizione: utilizziamola!
Esegue una rigorosa valutazione in termini di sicurezza
COLORANTI ALIMENTARI:
IL RUOLO FONDAMENTALE DELL'EFSA
Stefania Cavallo
I coloranti alimentari sono dei
composti, o meglio, degli additivi alimentari che vengono
aggiunti agli alimenti principalmente per inserire, compensare o migliorare le
colorazioni degli alimenti; questi sono contenuti in numerosi
alimenti, tra cui snack, margarina, formaggio, gelatine, dolci,
bevande ecc. Ogni colorante alimentare il cui impiego è autorizzato nell’Unione Europea è
soggetto a una rigorosa valutazione in termini di sicurezza.
Alcuni coloranti sono sostanze
naturali, altri sono sostanze naturali concentrate o modificate
chimicamente, altri sono imitazioni di sintesi di sostanze naturali, altri ancora sono
totalmente artificiali e tutti
sono generalmente indicati con
le sigle da E100 a E199. Tra le
attività dell’EFSA (Autorità
Europea per la Sicurezza Alimentare) nel campo dei coloranti alimentari rientrano la
valutazione della sicurezza dei
nuovi coloranti alimentari,
prima della loro autorizzazione
all’uso nell’UE, e la revisione di
tutti i coloranti alimentari autorizzati nell’UE prima del 20
gennaio 2009. Inoltre, laddove
possibile (cioè se dispone di informazioni sufficienti), l'EFSA
stabilisce una dose giornaliera
accettabile (DGA) per ogni sostanza. La DGA è la quantità di
una sostanza che l’essere
umano può consumare su base
giornaliera nel corso dell’intera
vita senza rischi apprezzabili
per la salute, questa di può applicare a un additivo specifico o
a un gruppo di additivi con proprietà simili. Quando l’EFSA ef-
fettua una nuova valutazione di
coloranti già autorizzati, può
confermare o correggere una
DGA esistente, dopo aver esaminato tutte le prove a disposizione. Le valutazioni sulla
sicurezza dei coloranti alimentari sono condotte dal gruppo di
esperti scientifici dell’EFSA sui
prodotti dietetici, l’alimentazione e le allergie (ANS).
Tali valutazioni implicano
un’analisi di tutti gli studi scientifici pertinenti a disposizione e
dei dati sulla tossicità e sull’esposizione umana, dai quali
sono tratte le conclusioni in merito alla sicurezza della sostanza. Il gruppo ANS è anche
chiamato a stabilire se determinati coloranti alimentari possano o meno scatenare reazioni
avverse per quanto riguarda le
allergie alimentari. I coloranti
impiegati come additivi alimen-
tari possono
essere autorizzati all’uso
anche come
additivi per
mangimi, tale valutazione viene
effettuata da gruppi di esperti
scientifici distinti che però coordinano il proprio lavoro scientifico in modo da garantire
omogeneità nei loro approcci di
valutazione del rischio e nella
disamina delle informazioni
scientifiche disponibili in questi
ambiti.
In questo numero inauguriamo un “nuovo” viaggio nel tempo attraverso le eccellenze e le attività produttive
legate alla tradizione e all’ambiente di quella che una volta era chiamata: “Campania felix”
La tradizione della pasta attraverso i secoli
I “maccheroni” venivano esportati dalla Campania in tutto il mondo
Gennaro De Crescenzo
Salvatore Lanza
Già dall’antichità si hanno
notizie di laganae (lasagne o
fettuccine di pasta) arrivate
forse dalla Calabria e già conosciute dai Greci che abitavano Sibari e Crotone: di esse
era golosissimo lo stesso Mecenate secondo quanto ci riferisce il poeta Orazio. Ma,
secondo una diffusa tradizione, dopo l'occupazione normanna di Amalfi nel XII
secolo, alcuni maestri locali,
già in contatto con i mercati
e i mercanti orientali, sarebbero sfuggiti agli invasori rifugiandosi presso Gragnano,
tra i monti Lattari, continuando lì la tradizione delle
paste. Da Gragnano si sarebbero spostati nella zona della
futura Torre Annunziata perché più adatta al commercio
per mare e verso la città di
Napoli, che iniziava la sua
crescita progressiva. È certo,
invece, che tra i secoli XVII
e XVIII i pastifici napoletani
raggiunsero una fama indi-
scussa e la corporazione dei
"Maccaronari" era tra le più
potenti in città, tanto da impedire l'importazione dai centri vicini. Dalla fine del XVIII
secolo, però, il livello di consumi fu così alto che fu necessario acquistare pasta
anche da Portici, Resina,
Gragnano e, soprattutto,
Torre Annunziata.
Quest'ultima
città vesuviana diventò uno dei centri
commerciali
più
importanti di tutto il Regno
assorbendo nella produzione
della pasta tutta la manodopera locale e parte di quella
dei dintorni. Nel Settecento
ormai i maccheroni erano diventati un vero e proprio
piatto nazionale.
Nella stessa cucina reale borbonica quasi quotidianamente
si
consumavano
ravioli, vermicelli, tagliolini al
burro, lasagne, maccheroni
con le salsicce o con i classici
pomodori tanto da rendere
necessaria l’installazione di
una “maccaroneria” di proprietà reale con macchine per
la produzione meccanica fin
dal 1776. L’ultimo Re di Napoli, del resto, Francesco II di
Borbone, veniva chiamato affettuosamente “lasa” dal
padre Ferdinando II. Nella
prima metà dell'Ottocento si
avvertì l'esigenza di
un
nuovo cambiamento per migliorare la quantità e la qualità della produzione e a
questa esigenza venne incontro la politica economica
che i Borbone seguivano in
quegli anni proteggendo e stimolando le industrie locali.
Circa un centinaio, complessivamente, gli stabilimenti e
in molti si erano diffusi ormai
gli impianti azionati a vapore. I famosi maccheroni
venivano esportati praticamente in tutto il mondo, a
New York come a Rio de Janeiro, a Odessa,
Algeri,
Atene, Algeri, Malta, Pietroburgo o Amburgo e ancora
oggi sono il prodotto italiano
più conosciuto in ogni angolo
del pianeta: gli ormai rari stabilimenti di Torre Annunziata, di Gragnano, di
Pomigliano e, in genere, della
provincia di Napoli hanno
perduto molti dei loro primati
ma forse, per fortuna, non
quelli legati alla qualità.
I grattacieli di legno
Una delle tendenze più interessanti ed audaci dell’architettura “green”
Antonio Palumbo
Costruire in legno, da sempre,
è sinonimo di elasticità, resistenza, leggerezza e bellezza
estetica. Ultimamente, grazie
all’apporto della ricerca e delle
tecnologie più avanzate in tema
di ecosostenibilità, con il legno
si stanno realizzando persino
grattacieli: da Londra a Chicago, da Vancouver a Melbourne, da Stoccolma a Milano,
quella dei grattacieli in legno è
una delle tendenze più interessanti ed audaci dell’architettura “green”. È soprattutto una
nuova generazione di architetti
a sostenere fortemente l’idea
che preferire il legno al calcestruzzo e all’acciaio costituisca
una scelta sostenibile, capace di
ridurre notevolmente l’impatto
ambientale della costruzione.
La lavorazione del legno, infatti, richiede un minor impiego
di energia e le corrispondenti
emissioni di CO2 sono già bilanciate dall’anidride carbonica
assorbita dall’albero durante il
proprio ciclo di vita. Inoltre, il
legno per la realizzazione di
questi grattacieli di nuova concezione proviene per lo più da
foreste gestite in modo rigorosamente sostenibile. Costruire
in legno significa adoperare un
materiale traspirante, resistente, con proprietà antisismiche
e
di
isolamento
termoacustico; la sua intelaiatura rende le strutture portanti
robuste e sicure, mentre un efficace sistema isolante protegge
il materiale dal rischio di in-
cendi. Evidenziamo solo qualcuno dei progetti più interessanti, la cui realizzazione è
prevista entro i prossimi anni.
Il Big Wood è un grattacielo in
legno che sorgerà a Chicago (la
città dei primi grattacieli della
storia), nell’area di South Loop.
Sviluppato dall’architetto statunitense Michael Charters, il
progetto è stato presentato al
concorso “Skyscraper Competition”, indetto dal magazine
eVolo di New York. Si tratta di
un edificio ibrido, concepito per
ospitare residenze universitarie integrate con numerose
altre funzioni, tra cui uffici, un
centro commerciale ed un’area
sportiva molto attrezzata. Dal
punto di vista compositivo, l’organismo edilizio di Charters si
inserisce nel tessuto urbano
come un aggregato di piccoli
pixel modulari, che lo fa sembrare una sorta di geometrico
alveare: tale reticolo crea una
piattaforma disomogenea, su
cui è stata prevista la sistema-
zione di un tetto giardino continuo, a partire dalla quale si
erge una torre alta ben 40
piani, con nucleo strutturale
centrale in legno massiccio.
Altro progetto emblematico è
quello del Piramidenkogel, che
sarà costruito dal gruppo altoatesino Rubner a Keutschach
am See, nella Carinzia austriaca, e che, con i suoi oltre
100 metri di altezza, rappresenta la torre panoramica più
alta del mondo. L’anima di questo edificio è costituita da una
spirale in acciaio, che si avvita
verso l’alto; per il resto, tutto
sarà realizzato grazie all’impiego di 500 metri cubi di legno
lamellare e di 1000 metri quadrati di legno a strati incrociati.
Andiamo, infine, a Stoccolma,
dove è prevista la realizzazione
di uno degli edifici in legno più
alti del mondo, il quale sorgerà
proprio nel centro della capitale
scandinava, elevandosi per ben
34 piani, ed il cui completamento è previsto entro il 2023.
L’idea del grattacielo di Stoccolma - che si prepara a diventare un nuovo simbolo ed un
sicuro punto di riferimento
della città - è scaturita da un
progetto dello studio CF Møller
Architects, vincitore di un concorso indetto dalla nota società
di costruzioni svedese HSB in
occasione del 100° anniversario
della sua fondazione. La torre
si avvarrà di un nucleo in calcestruzzo, che assicurerà la stabilità dell’intero organismo
edilizio, mentre per tutte le
altre parti strutturali e per i rivestimenti sarà impiegato il
legno. Accanto ai numerosi ed
innovativi aspetti di sostenibilità ecologica ed energetica, il
grattacielo sarà in grado di sviluppare una notevole sostenibilità sociale, prevedendo al suo
interno servizi per la collettività, come gli orti urbani condivisi, asili nido, depositi per
biciclette e persino giardini
d’inverno. Ecologico, ignifugo e
naturale, il legno permetterà al
nuovo edificio di Stoccolma di
mantenere elevati livelli di
comfort interno contenendo al
massimo le dispersioni termiche; in copertura sono previste
la collocazione di una serie di
pannelli fotovoltaici, che produrranno energia dal sole, e la
disposizione dei giardini pensili, i quali agiranno da filtro
termico tra interno ed esterno
della costruzione. È inoltre prevista la realizzazione di una
pompa di calore geotermica, in
grado di assicurare parte del
fabbisogno energetico della
torre svedese.
Canapa: una risorsa ecosostenibile
Risale alla preistoria il primo utilizzo
della canapa, impiegata nella fabbricazione di corde resistenti per il traino
degli animali. In seguito fu valorizzata
in ulteriori settori – dalla sua lavorazione per realizzare fogli di carta al suo
impiego nella creazione di vele per le imbarcazioni. E se dal passato traessimo
degli insegnamenti per tutelare l’ambiente? Sarebbe di sicuro una valente risorsa per limitare in modo significativo
l’impiego di petrolio.
Quali materie prime si ricavano dalla canapa? La canapa si compone di una
parte fibrosa del fusto – conosciuta come
tiglio - e di una parte legnosa – il canapolo. Si possono ricavare fibre tessili,
stoppa, legno e semi. Tessuti, carta, alimentazione. Sono soltanto alcuni dei numerosi ambiti applicativi della canapa.
La fibra tessile risulta essere molto più
robusta del cotone e la sua coltivazione
richiede pochi pesticidi e fertilizzanti.
Dalla stoppa è possibile fabbricare la
carta – resistente e di ottima qualità –
valida alternativa alla carta ricavata dal
legname degli alberi. Anche in falegnameria e in edilizia la canapa manifesta
alte potenzialità. Basti sapere che dai
fusti interi, lavorati ad hoc, si possono
fabbricare robuste tavole – da impiegare
poi nella realizzazione di mobili e strutture varie. Ergo, la canapa rappresenta
una strategica soluzione alla piaga ambientale del depauperamento boschivo.
Rivolgendo l’attenzione al settore alimentare è chiaro a tutti che ci troviamo
di fronte ad una pianta dalle molteplici
facoltà. E’ biologicamente provato che i
semi di canapa contengono un’alta percentuale di proteine, percentuale notevolmente lievitata nell’olio di canapa. Il
suo consumo è, inoltre, consigliato nella
prevenzione di malattie cardiocircolato-
rie, grazie all’elevata presenza di grassi
insaturi – importanti alleati nella riduzione del colesterolo cattivo.
Una pianta poliedrica a tutto tondo. In
grado di trasformarsi all’occorrenza
anche in materiale plastico resistente,
da utilizzare in più contesti. E se quest’ultima caratteristica non basta a convincerci che si tratta di una risorsa
ecosostenibile, il suo sancta sanctorum
ci convincerà di certo. Il campo applicativo per eccellenza è la produzione di
combustibili da biomassa, il cui impiego
ai fini energetici non fa aumentare l’effetto serra.
Quindi investire nella produzione e nella
lavorazione della canapa comporterebbe
una significativa riduzione dell’utilizzo
del petrolio e dei suoi effetti deleteri
sull’atmosfera. Canapa: una scelta responsabile ed ecologica!
F.C.
Investire
nella produzione
della canapa
comporterebbe
una riduzione
dell’utilizzo
del petrolio
Al Palazzo delle Arti di Napoli
Il corso per la tutela del patrimonio culturale
in caso di calamità
Proteggere i tesori storico-culturali della propria città dalle
imprevedibili calamità che,
purtroppo, si abbattono sul
territorio.
Questa è la prerogativa del
Corso di Formazione proposto
da Legambiente, con il patrocinio del Comune di Napoli,
per la salvaguardia del Patrimonio Culturale dai rischi naturali, in programma il 23, 24
e 25 gennaio a Napoli, presso
il Palazzo delle Arti. L’obiettivo è creare una task force del
territorio partenopeo, formata
da volontari e specialisti del
settore, pronta ad intervenire
tempestivamente in caso di
disastri sul luogo, per la
messa in sicurezza dell'immenso patrimonio culturale.
Chi può aderire all’iniziativa?
Tutti: tecnici, studenti, laureati e semplici cittadini.
Basta inviare la richiesta all'indirizzo
email
legambiente.neapolis@gmail.com
inserendo, oltre ai propri dati
anagrafici, anche i contatti,
un breve curriculum e le motivazioni per cui si richiede la
partecipazione al corso. Se le
richieste dovessero superare
la reale capienza della sede
prescelta, a parità di valuta-
zione, si farà riferimento all'ordine cronologico di arrivo
delle domande. La partecipa-
zione è gratuita. Ma, per poter
svolgere l'esercitazione, far
parte della task-force e rice-
vere l’attestato, è obbligatoria
l'iscrizione a Legambiente/
Neapolis 2000 per l'anno
2014. Spesso, la mancanza di
mezzi e possibilità, soprattutto in una metropoli unica
ma difficile come Napoli, diventa quasi un’alibi per non
fare, per non scendere in
campo. Sarebbe una cosa davvero giusta, quella di cominciare ad “avvalersi”, il più
possibile, di opportunità belle
come questa, per imparare
pian piano a difendere la propria città, anche e soprattutto
nei momenti peggiori.
F.L.
La palestra del futuro produce energia
È l’era del green fitness
Cristina Abbrunzo
La corsa all'efficienza energetica sta invadendo, piano piano,
tutti i settori. Questa volta si
parla di benessere psico-fisico e
la novità arriva, come spesso
capita, dagli Stati Uniti. L’ultima idea per produrre energia
attraverso fonti non fossili e ridurre i nostri consumi elettrici
è una palestra capace di sfruttare il movimento degli sportivi
che vi si allenano in modo da
produrre corrente elettrica alternata. Già applicato presso il
California Fitness club di Hong
Kong – per la verità senza risultati eccelsi – questo procedimento incontra ora una nuova
fase. A Portland, in Oregon,
Adam Boesel, personal trainer
e attivo ecologista, ha applicato
il sistema alla sua palestra
Green Microgym in modo da
azzerare la bolletta elettrica.
Adottandola su larga scala,
questa politica di contenimento
dei consumi può incidere sensibilmente sui problemi ambientali. Si prevedono quindi
interessanti novità per il futuro. La Green Microgym sta
infatti allargando i suoi orizzonti, grazie a collaborazioni
con partner finanziari e alla
possibilità di supportare il marchio attraverso la modalità del
franchising. Si stima che al
mondo ci siano 110.000 palestre, dotate di circa 1 milione e
500 mila attrezzature cardiofitness potenzialmente utilizzabili per la produzione di
energia. Dati che possono diventare significativi anche dal
punto di vista della lotta all’in-
quinamento atmosferico. Del
resto, non è un caso che anche
l’italiana TechnoGym, leader
nella fornitura di attrezzature
e servizi per il fitness, abbia
puntato fortemente su questa
prospettiva di ecosostenibilità.
Grazie al concept sperimentale
di Technogym l’energia prodotta dalle pedalate viene convogliata in rete e contribuisce al
fabbisogno elettrico della palestra, permettendo alla struttura di utilizzare meno energia
esterna prodotta in maniera
convenzionale ed inquinante.
La nuova linea di macchinari,
denominata Artis, infatti, è
stata studiata e creata per trasformare la fatica e lo sforzo
degli atleti in energia elettrica
pulita, anziché lasciare che una
potenziale fonte rinnovabile
vada dispersa. La palestra del
futuro diventa una piccola centrale elettrica e va nella direzione della autosufficienza
energetica, grazie all’utilizzo
dell’energia prodotta dal movimento dei propri utenti. Si calcola che ogni attrezzo, quando
in movimento, sia in grado di
produrre sufficiente energia
per alimentare una lampada a
basso consumo (20W); ciò significa che una palestra media,
che dispone di 40 attrezzi, nell’ora di punta in cui sono tutti
funzionanti risulta autosufficiente per quanto riguarda l’illuminazione. L’energia pulita
prodotta da ogni attrezzo e
messa in rete, comporta un risparmio di energia prodotta coi
metodi convenzionali (combustibili fossili) e di conseguenza
corrisponde ad una mancata
emissione di C02: se il Technogym Green concept venisse applicato a tutte le attrezzature
presenti al mondo si eviterebbe
l’emissione di un quantitativo
di C02 pari a quello prodotto da
un’auto di media cilindrata che
percorre 10.000 volte il giro del
mondo. La linea Artis è già in
vendita ed è stata inserita con
successo in diversi centri fitness europei nelle città di Amsterdam, Berlino, Bristol,
Londra e Madrid. Noi, insieme
a Technogym, ci auguriamo che
questo nuovo approccio al
mondo del fitness possa rappresentare un trampolino di lancio
per sfruttare al massimo ogni
tipo di fonte rinnovabile a nostra disposizione.
Sport e ambiente: sciare ecologico
Tappeti energetici e skilift fotovoltaici
Nelle ultime settimane il grande freddo è
tornato a interessare la nostra penisola
portando con sé abbondanti nevicate per la
gioia dei moltissimi appassionati di sci e
sport invernali. Impianti di risalita alimentati a energia solare, sci usati che diventano combustile, mezzi da neve di
ultima generazione. Sono alcune strategie
verdi messe in atto nelle stazioni sciistiche
italiane e straniere per preservare gli ambienti naturali dall’inquinamento prodotto
durante le stagioni invernali. Un risparmio, in termini di emissioni, che non solo
aiuta a tutelare i paesaggi montani, ma è
in grado anche di creare circoli virtuosi per
la produzione di corrente elettrica.
Quest’anno, l’ultima novità sulle piste,
sono i tappeti energetici che trasformano i
passi degli sciatori in energia pulita. Il
tutto grazie a un progetto finanziato dalla
Ue e chiamato «zone sciistiche climatiche
alpine» che coinvolge la Svizzera e l’Italia.
La finalità è chiara: favorire il rispetto am-
bientale e ridurre le emissioni nocive generate dagli impianti. I primi tappeti energetici hanno fatto la loro comparsa nella Val
d’Ega (Bz), in Alto Adige pochi chilometri
nord di Bolzano. Quanti saliranno, infatti,
sulla cabinovia Hubertus che collega la
seggiovia Paolina con le piste fassane del
Passo di Costalunga, in particolare la Prà
di Tori, calpesteranno uno speciale manto
che ricopre le piste capace di trasformare
peso e passi in energia pulita. La risposta
del pubblico è stata molto positiva con una
sorta di gara messa in atto tra i due stabilimenti pilota del progetto ovvero la già citata Val d’Ega per l’Italia ed i monti di
Arosa per la Svizzera. Ma il futuro green
dello sci non si ferma qua. Infatti alcune località, come Tenna sulle Alpi Svizzere,
stanno puntando decisamente sull’utilizzo
dell’energia solare per i propri impianti di
risalita. E proprio a Tenna, infatti è stato
creato di recente il primo skilift green dotato di 82 pannelli fotovoltaici che ne assicurano il funzionamento. Infine in Francia,
invece, hanno trovato il modo per riciclare
gli sci dismessi. L’azienda francese TriValles fa la raccolta, separa le parti metalliche da quelle in plastica, e si occupa della
rifusione oppure combustione per produrre
calore. La speranza è che queste pratiche
e progetti di maggiore rispetto ambientale
si diffondano nel prossimo futuro per le
principali località sciistiche.
C.A.
L AVORO E PREVIDENZA
IL DIRIGENTE PUBBLICO
Eleonora Ferrara
L’articolo 2095 del codice civile
– Categorie dei prestatori di lavoro –sancisce la distinzione dei
lavoratori in quattro categorie:
dirigenti, quadri, impiegati e
operai. Inoltre, in ambito privatistico, la definizione di dirigente non è contenuta nella
legge, bensì nella contrattazione
collettiva delle diverse aree dirigenziali, in base alla quale il dirigente è visto come il soggetto
investito di competenze e responsabilità decisionali relative
all’intera azienda o ad una parte
di essa. In effetti, nel settore privato, il dirigente è il più stretto
collaboratore dell’imprenditore
ed il rapporto che ne deriva è caratterizzato da un elevato grado
di affidamento. Se l’articolo
2095 c.c. trova applicazione
anche nell’ambito del lavoro
pubblico, è importante sottolineare, al contempo, la specialità
della disciplina contenuta, essenzialmente, nel decreto legislativo n. 165/2001, per quel che
attiene, in modo particolare, alla
dirigenza statale, affiancata da
una serie di normative specifiche relative alla regolamentazione della dirigenza di altri
settori della pubblica amministrazione, come, per esempio, la
Sanità. Il ruolo dei dirigenti,
quindi, istituito in ogni amministrazione, è articolato, ai sensi
del decreto legislativo 165/2001,
nella prima e nella seconda fascia. L’accesso alla seconda fascia dirigenziale si può
conseguire o mediante concorso
per esami, o grazie all’ammissione al corso-concorso selettivo
di formazione, bandito dalla
Scuola Superiore della Pubblica
Amministrazione.
Si può accedere, invece, alla
qualifica di dirigente di prima
fascia, mediante concorso per titoli ed esami, che deve essere
bandito per il cinquanta per
cento dei posti resisi disponibili,
ogni anno, in seguito alla cessazione dal servizio dei dirigenti di
ruolo.
Viene stipulato, con il vincitore
del concorso, un contratto di lavoro a tempo indeterminato,
anche se la particolare connotazione del rapporto del dirigente
pubblico, consiste nel fatto che,
in tale contesto, le attribuzioni
di incarichi ai dirigenti sono effettuate a tempo determinato.
Il conferimento di incarico di
funzione dirigenziale consegue
ad una congerie di valutazioni,
quali la natura e le caratteristiche degli obiettivi prefissati, la
complessità della struttura interessata, le capacità professionali
del singolo dirigente, i risultati
raggiunti
precedentemente
nell’amministrazione di appartenenza con l’afferente valutazione, le specifiche competenze
organizzative possedute e, infine, eventuali esperienze di direzione
maturate
anche
all’estero, presso privati o altre
pubbliche
amministrazioni,
sempre che siano attinenti all’incarico da rivestire.
Infine, l’incarico viene conferito
con un provvedimento unilaterale dell’amministrazione, con
l’individuazione
dell’oggetto
dell’incarico, degli obiettivi da
conseguire, della durata dello
stesso che non può essere inferiore a tre anni né superare i
cinque.
Nell’ambito del contratto individuale, viene stabilito il corrispondente compenso.
Gli incarichi possono essere rinnovati, previa verifica dei risultati conseguiti, per decisione
dell’amministrazione.
Viceversa, nel caso in cui non
vengano raggiunti gli obiettivi,
sussiste l’impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale.
Viaggio nelle leggi ambientali
DIRITTO ACCESSO
INFORMAZIONE
La sentenza del 19 dicembre
2013 in causa C 279/12 della
Corte di Giustizia dell’Unione
Europea – Grande Sezione, delinea il perimetro di applicazione della disciplina in
materia di accesso del pubblico
all’informazione ambientale
nei confronti di soggetti privatistici incaricati della gestione
di servizi idrici. In particolare,
la sentenza evidenzia come
l’articolo 2, punto 2, lettera b),
della direttiva 2003/4 dev’essere interpretata nel senso che
una persona che rientra in tale
disposizione costituisce un’autorità pubblica per quanto concerne tutte le informazioni
ambientali da essa detenute.
Società commerciali che possono costituire un’autorità pubblica ai sensi di detta direttiva
soltanto nei limiti in cui,
quando forniscono servizi pubblici nel settore ambientale,
esse si trovino sotto il controllo
di un organismo o di una persona evidenziate nella medesima direttiva, non sono tenute
a fornire informazioni ambientali se è pacifico che queste ultime non riguardano la
fornitura di tali servizi.
ACQUA PUBBLICA
Alla base della qualificazione di
pubblicità di un'acqua, intesa
come risorsa suscettibile di uso
previsto o consentito c’è l'interesse generale, tale interesse è
presupposto in linea di principio esistente in relazione alla limitatezza delle disponibilità e
alle esigenze prioritarie, specie
in una proiezione verso il futuro, di uso dell'acqua, suscettibile, anche potenzialmente, di
utilizzazione collimante con gli
interessi generali. La Legge
36/1994 ha accentuato lo spostamento del baricentro del sistema delle acque pubbliche
verso il regime di utilizzo, piuttosto che sul regime di proprietà. TAR Puglia (Le), Sez. I,
n. 2289, del 11 novembre 2013.
SVILUPPO SOSTENIBILE
E’ legittimo il rigetto dell'istanza volta ad ottenere l'autorizzazione unica ai sensi del
d.lgs 387/2003 per la realizzazione e l'esercizio di impianto
eolico di potenza pari a 43,7
MW, per mancanza delle relazioni geologica e geotecnica redatte secondo quanto previsto
dall’art. 26 del D.P.R. 207/2010.
Deve rimarcarsi che la verifica
dei documenti presentati a corredo dell’istanza di autorizzazione unica è demandata agli
uffici regionali proprio dalle disposizioni contenute nelle linee
guida nazionali e regionali.
L’art. 13 del D.M. 10.9.2010,
recante l’elenco dei documenti
da allegare all’istanza di A.U.,
va infatti letto in combinato disposto con il precedente art.6
(punto 1). Espressamente al
punto 6.1 delle linee guida nazionali è contemplata la facoltà
delle Regioni di prescrivere:
“..documentazione da allegare
all’istanza medesima, aggiuntiva a quella indicata al paragrafo 13. TAR Puglia (BA), Sez.
I, n. 1508, del 7 novembre
2013.
A.T.
POVERTÀ, LADRA DEL NOSTRO FUTURO
.... la prima cosa da insegnare è che la ricchezza è cosa buona
DODICI MOTIVI PER CUI LA POVERTÀ È ILLEGALE
Andrea Tafuro
Tenetevi forte perché voglio
iniziare il nuovo anno con il
botto. Le vostre delicatissime
orecchie saranno contaminate
da un fastidioso suono composto da sette lettere: povertà.
Innanzitutto, non è vero che si
nasce poveri. Si può nascere
poeti, ma non poveri. Poveri si
diventa. Come si diventa avvocati, tecnici, preti. Dopo una
trafila di studi, cioè. Dopo lunghe fatiche ed estenuanti esercizi. Questa della povertà,
insomma, è una carriera. E
per giunta tra le più complesse. Suppone un noviziato
severo. Richiede un tirocinio
difficile. Tanto difficile, che il
Signore Gesù si è voluto riservare direttamente l’insegnamento di questa disciplina.
La realtà sociale della quale
siamo prigionieri ha fatto di
più e meglio, ha costruito delle
fabbriche dove sfornare la
perfetta e efficiente povertà.
Questi moderni stabilimenti
sono luoghi di spazio sociale
ben definiti benché diversi a
seconda dei paesi e dei tempi,
sono in funzione giorno e
notte, i suoi lavoratori non
scioperano mai e i sindacati
nemmeno esistono. E’ un sistema industriale talmente efficiente, che per poter coprire
tutti i segmenti di mercato, si
sono sviluppate varie tipologie
di fabbriche, così da produrre
sempre nuovi poveri. Vediamole nel dettaglio, vi è: la fabbrica dell’inevitabilità della
povertà, alimentata da un immaginario collettivo molto diffuso nel mondo costruito sulla
naturalità della povertà, la
troviamo spesso nei nostri vicini.
C’è poi la fabbrica dell’ineguaglianza, che approvvigiona
pratiche sociali e collettive
quali il buonismo, il paternalismo, il caritatismo assistenziale, la politica dell’aiuto, ne
ho vista a bizzeffe nelle sacre
mura delle chiese questo Natale.
Come non parlare della fabbrica dell’esclusione e dell’ingiustizia, il cui consiglio di
amministrazione è composta
dalla triade: capitale, impresa, mercato, che legittimizza l’impoverimento sacralizzando il valore assoluto
della ricchezza privata, c’è chi
accumula capitale e se la gode
con il reddito che esso genera
e… dà gli spiccioli ai mendicanti. In ultimo la migliore: la
fabbrica della predazione
della vita il cui motore principale è la finanziarizzazione
dell'economia: la ricerca senza
limiti dei capital gains ha
fatto sì che valori quali l'integrità morale, la relazionalità,
la fiducia venissero accantonati. La crescita è stata fatta
sul debito. Abbiamo assistito
alla fine dell'unitarietà della
persona, noi esseri umani
siamo stati frazionati in lavoratori/consumatori.
Con la finanziarizzazione dell'economia il lavoratore ha lasciato il posto allo speculatore
per poter essere un migliore
consumatore. Allora con forza,
domandiamo che l’Assemblea
Generale dell’ONU, l’Organizzazione delle Nazioni Unite,
approvi nel 2018, 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, una
risoluzione nella quale si proclami l’illegalità di quelle
leggi, istituzioni e pratiche sociali collettive che sono all’origine e alimentano la povertà
nel mondo.
Partecipa al dibattito inviando
un commento all’indirizzo:
comunicazione@arpacampania.it
1. Nessuno nasce povero né sceglie di esserlo. Tutti noi nascendo riceviamo la vita,
è lo stato della società nella quale nasciamo che ci fa poveri o ricchi.
2. Poveri si diventa. La povertà è una costruzione sociale. La povertà non è un
fatto di natura come la pioggia, è un fenomeno sociale, costruito e prodotto dalle
società umane. Le società scandinave degli anni ’60-’80 sono riuscite a far sparire
i processi strutturali d’impoverimento e a ridurre i processi d’esclusione ad ambiti
molto limitati di povertà materiale.
3. Non è la società povera che produce povertà. La povertà, non solo materiale, si
è nuovamente sviluppata dalla seconda metà degli anni ’90, perché le classi dirigenti hanno cambiato la loro visione del mondo ed operato scelte diverse da quelle
del passato.
4. L’esclusione produce l’impoverimento. L’esclusione riguarda sia l’accesso economico e sociale ai beni e ai servizi necessari ed indispensabili ad una vita degna
e dignitosa, sia l’accesso alle condizioni e alle forme di cittadinanza civile, politica
e sociale odierna. L’esclusione tocca l’insieme della condizione umana.
5. In quanto processo strutturale, l’impoverimento è collettivo. Esso non riguarda
solo una persona ma i nuclei familiari, intere popolazioni come gli immigrati, i
nomadi… e categorie sociali particolari come lavoratori precari, contadini, anziani...
6. L’impoverimento è figlio di una società che non crede nei diritti di vita e di cittadinanza per tutti né nella responsabilità politica collettiva per garantire tali diritti a tutti gli abitanti della Terra. I nostri governanti non credono nell’esistenza
dei diritti umani di vita e di cittadinanza universali, indivisibili e imprescrittibili.
Se sono obbligati dalle leggi a rispettarli, per esempio le Costituzioni, essi credono
che non siano fruibili per tutti. Inoltre, negli ultimi decenni, sono riusciti ad imporre che l’accesso ai diritti umani e sociali deve essere pagante, è il caso del diritto
all’acqua o della salute di base.
7. I processi d’impoverimento avvengono in società ingiuste. Le società ingiuste
sono negatrici dell’universalità, dell’indivisibilità e dell’imprescrittibilità dei diritti
di vita e di cittadinanza e, quindi, negatrici dell’uguaglianza di tutti gli abitanti
del Pianeta di fronte ai diritti. Queste società credono che l’accesso economico e
sociale ai beni e servizi necessari e indispensabili alla vita sia una questione di
iniziativa personale o di gruppo e di merito individuale.
8. La lotta contro la povertà (l’impoverimento) è anzitutto la lotta contro la ricchezza inuguale, ingiusta e predatrice (l’arricchimento).C’è impoverimento perché
c’è arricchimento. I processi d’impoverimento avvengono perché nelle società ingiuste prevalgono i processi di arricchimento inuguale, ingiusto e predatorio.
9. “Il pianeta degli impoveriti“ è diventato sempre più popoloso a seguito dell’erosione e della mercificazione dei beni comuni perpetrate a partire dagli anni ’70. I
gruppi dominanti hanno dato sempre di più valore unicamente alla ricchezza individuale. Essi hanno cancellato nell’immaginario dei popoli la cultura della ricchezza collettiva, in particolare dei beni comuni pubblici.
10. Le politiche di riduzione e di eliminazione della povertà perseguite negli ultimi
quaranta anni sono fallite perché si sono attaccate ai sintomi (misure curative) e
non alle cause (misure risolutive). A causa del perseguimento di politiche economiche e sociali aventi obiettivi antitetici rispetto a quelli anti-povertà, si sono tradotte in politiche contro i poveri. Da qui i fenomeni di criminalizzazione dei poveri.
11. La povertà è oggi una delle forme più avanzate di schiavitù perché basata su
un “furto di umanità e di futuro”. La schiavitù moderna, è un furto di umanità
perpetrato nei confronti di miliardi di esseri umani esclusi dalla cittadinanza, ai
quali per conseguenza si è anche rubato il futuro.
12. Per liberare la società dall’impoverimento bisogna mettere “fuori legge” le
leggi, le istituzioni e le pratiche sociali collettive che generano ed alimentano i
processi d’impoverimento. È possibile uscire dalla povertà e liberare la società
dall’impoverimento, mettendo fuori legge quelle disposizioni legislative e misure
amministrative, quelle istituzioni e quelle pratiche sociali collettive che, ai livelli
decisivi locali, nazionali e mondiali, costituiscono gli agenti di alimentazione e di
crescita dei processi di ricchezza inuguale, ingiusta e predatrice.
Foto di Fabiana Liguori
11.01.2014 – Visita guidata con l’associazione “VIVIquartiere” al Cimitero delle Fontanelle nel rione Sanità di Napoli
Dal camposantiello delle capuzzelle, voci narranti evocano storie, personaggi, riti e leggende legate al “refrisco” delle “anime do priatorio”