Le acque di balneazione in Campania nel 2014 Approvata a fine anno la nuova delibera regionale sulla qualità del mare DAL MONDO I peggiori luoghi del mondo…per il meteo Paparo a pag.5 NATURA & BIODIVERSITÀ L’arma dei coralli contro il riscaldamento globale Il corallo, da sempre considerato uno degli organismi marini più delicati ha “tirato fuori le unghie”, ha imparato da solo come difendersi dai rischi ambientali, in particolar modo dal riscaldamento globale. Funaro a pag.8 SCIENZA & TECNOLOGIA Progetto PRISCA: il mestiere del riuso Nel Nord Europa sono già parte del tessuto produttivo, da noi finora stentavano a partire. I centri di riuso sono i capannoni in cui vengono raccolti gli oggetti superflui ma ancora in buono stato per essere proposti a un pubblico molto vasto di acquirenti. Come ogni anno, le acque di balneazione in Campania sono state classificate con una delibera di Giunta regionale approvata a fine dicembre. La qualità di ogni “acqua adibita alla balneazione” viene classificata come scarsa, sufficiente, buona o eccellente. A inizio stagione balneare 2014, risulterà vietato, per inquinamento, il 10% delle acque di balneazione: un dato in costante diminuzione negli ultimi anni. La rete di monitoraggio attuale è composta da oltre 300 acque di balneazione: i prelievi vengono effettuati da Arpac grazie a una flotta di 7 imbarcazioni. I campioni prelevati vengono analizzati nei laboratori dell'Agenzia secondo i criteri normativi, e i risultati resi pubblici in tempo reale. NATUR@MENTE Povertà, ladra del nostro futuro De Maio-Lionetti a pag.6 PRIMO PIANO Rapporto 2013 sulla Mobilità Sostenibile Napoli perde posizioni, ma il futuro è tutto da scrivere L’associazione Euromobility ha presentato il nuovo Rapporto Annuale sulla Mobilità Sostenibile nelle principali 50 città italiane. Il rapporto fa riferimento ai dati raccolti nell’anno 2012. Liguori a pag. 4 Fuochi pirotecnici: belli alla vista, dannosi ai polmoni La tradizione della pasta attraverso i secoli Colori, suoni, giochi di luce, emozioni forti: i fuochi d’artificio rappresentano senza dubbio uno spettacolo suggestivo, il momento clou di feste e celebrazioni importanti. C’è però un aspetto a cui nessuno pensa: i fuochi d’artificio possono avere ricadute dannose per la salute. Martelli a pag. 12 Già dall’antichità si hanno notizie di laganae (lasagne o fettuccine di pasta) arrivate forse dalla Calabria e già conosciute dai Greci che abitavano Sibari e Crotone: di esse era golosissimo lo stesso Mecenate secondo quanto ci riferisce il poeta Orazio. Allinoro a pag.10 BIO-ARCHITETTURA I grattacieli di legno De Crescenzo-Lanza a pag.14 AMBIENTE & SALUTE LAVORO & PREVIDENZA Coloranti alimentari: il ruolo fondamentale dell'EFSA Il dirigente pubblico Costruire in legno, da sempre, è sinonimo di elasticità, resistenza, leggerezza e bellezza estetica. Ultimamente, grazie all’apporto della ricerca e delle tecnologie più avanzate in tema di ecosostenibilità, con il legno si stanno realizzando persino grattacieli. I coloranti alimentari sono dei composti, o meglio, degli additivi alimentari che vengono aggiunti agli alimenti principalmente per inserire, compensare o migliorare le colorazioni degli alimenti; questi sono contenuti in numerosi alimenti, tra cui snack, margarina, formaggio, gelatine, dolci, bevande ecc. Palumbo a pag.15 Cavallo a pag.13 Ferrara a pag.18 Tenetevi forte perché voglio iniziare il nuovo anno con il botto. Le vostre delicatissime orecchie saranno contaminate da un fastidioso suono composto da sette lettere: povertà. Innanzitutto, non è vero che si nasce poveri. Si può nascere poeti, ma non poveri. Poveri si diventa. Come si diventa avvocati, tecnici, preti. Dopo una trafila di studi, cioè. Dopo lunghe fatiche ed estenuanti esercizi. Questa della povertà, insomma, è una carriera. E per giunta tra le più complesse. Suppone un noviziato severo. Richiede un tirocinio difficile. Tanto difficile, che il Signore Gesù si è voluto riservare direttamente l’insegnamento di questa disciplina. La realtà sociale della quale siamo prigionieri ha fatto di più e meglio, ha costruito delle fabbriche dove sfornare la perfetta e efficiente povertà. Questi moderni stabilimenti sono luoghi di spazio sociale ben definiti benché diversi a seconda dei paesi e dei tempi, sono in funzione giorno e notte, i suoi lavoratori non scioperano mai e i sindacati nemmeno esistono. E’ un sistema industriale talmente efficiente, che per poter coprire tutti i segmenti di mercato, si sono sviluppate varie tipologie di fabbriche, così da produrre sempre nuovi poveri. Vediamole nel dettaglio, vi è: la fabbrica dell’inevitabilità della povertà, alimentata da un immaginario collettivo molto diffuso nel mondo costruito sulla naturalità della povertà. Tafuro (continua a pag.19) Dalla rete innovazione e comunicazione ambientale UNA CARRELLATA DI CLIC(K)! Angelo Morlando Il gioco sulla parola "clicclick" è dovuto alla concomitanza di due eventi di particolare importanza che sembra utile citare entrambi: il primo evento è costituito dalla pubblicazione del documento finale del progetto "Life + Wataclic"; il secondo è la nascita del nuovo portale "ResearchItaly - La ricerca italiana a portata di click.". I riferimenti al primo progetto sono scaricabili dal sito: http://www.wataclic.eu. I risultati del progetto “WATACLIC” (Water against climate change) sono stati sintetizzati nel documento “Innovare la gestione dell’acqua in città, rispondere al cambiamento climatico” che costituiscono una serie di raccomandazioni per migliorare la gestione delle acque in Italia, dal trasferimento delle conoscenze all’innovazione delle reti urbane, dalla progettazione edilizia agli strumenti economici e ai processi di informazione dei cittadini. Gli obiettivi del progetto sono: introdurre nuove regole nella pianificazione urbana per aiutare la diffusione tra gli utenti finali di tecnologie / strategie come la raccolta dell'acqua piovana, del riciclo delle acque grigie e altre tecniche in grado di consentire un uso più sostenibile delle acque urbane; adottare regimi tariffari volti a scoraggiare l'uso smoderato delle acque, per aumentare l'efficienza globale; dei sistemi di approvvigionamento idrico; adottare delle campagne di sensibilizzazione più efficaci per migliorare la conoscenza e la consapevolezza dei cittadini. Le principali attività e i risultati del progetto sono stati “Oltre ai risultati del progetto “Wataclick” on-line anche il nuovo portale web del Miur per promuovere la ricerca italiana d’eccellenza” riassunti in campagne di comunicazione molto semplici e concentrate su eventi durante i quali gli esperti hanno presentato i risultati dei progetti con dimostrazioni di esperienze, tecniche e materiale informativo. Dal sito internet è possibile scaricare anche un kit per il risparmio idrico nel settore agroalimentare e leggere molti suggerimenti da applicare nella vita quotidiana. I riferimenti al secondo progetto sono scaricabili dal sito: https://www.researchitaly.it ResearchItaly è il nuovo portale web del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, nato con l’obiettivo di fotografare, supportare e promuovere la ricerca italiana d’eccellenza, ovunque questa sia realizzata: in Italia, in Europa e nel mondo. Un progetto sviluppato dal Consorzio CINECA, che pone la ricerca al centro di un nuovo piano di crescita culturale ed economica del Paese, Terremoto, cosa portare con sé quando ci si allontana dalla propria casa Dopo il terremoto che il 29 dicembre ha scosso la Campania, sono rinate ataviche paure per chi era stato toccato dal terribile terremoto dell’Irpinia del 1980 e sorte invece nuove ansie in chi si è trovato per la prima volta a fare i conti con un evento di quest’entità. Per quanto un terremoto colga sempre impreparati, è bene ricordare che ci sono accorgimenti che possiamo prendere. Oltre alle basilari norme di educazione civica e le esercitazioni per quanto riguarda i piani di evacuazione, infatti, ognuno può tenere nella propria casa un kit di emergenza. Kit che sia accessibile a ogni abitante della casa e sia ovviamente sempre a portata di mano. Averlo già pronto è utile nel caso in cui ci sia fretta di abbandonare l’abitazione e ci aiuta a non dimenticare cose che, nel trambusto generale, si potrebbero facilmente dimenticare. Per il trasporto, utilizzare uno zainetto è la cosa migliore, perché pratico da portare e perché lascia libere le mani. Le indicazioni per riempirlo sono fornite dalla Protezione Civile: - fotocopia dei documenti d’identità e delle tessere sanitarie di tutti i componenti familiari; - agendina cui segnare gruppo sanguigno, eventuali patologie o allergie di tutti i componenti della famiglia; - torcia; - kit da pronto soccorso ed eventuali medicinali indispensabili per i membri della famiglia (controllando periodicamente la scadenza); - alimenti non deperibili (barrette energetiche, frutta disidratata e simili) e alcune bottiglie di acqua - protesi o occhiali (anche una vecchia versione); - coltellino pieghevole; - copertine per proteggersi dal freddo e/o dai detriti; - un capo d’abbigliamento supplementare per eventuale bisogno di cambio. Dopo la scossa oltre a prendere il kit di emergenza è utile munirsi di oggetti di stretta utilità quali le chiavi della macchina, il portafogli, il cellulare. È buona norma possedere e tenere accanto al kit un elmetto per ogni membro della famiglia per proteggersi da eventuali crolli successivi alla scossa. Con quest’equipaggiamento si garantisce a se stessi e ai membri della propria famiglia un’autonomia di circa 72 ore. A.E. mettendo a sistema quanto di meglio l’Italia è oggi in grado di produrre nei diversi campi del sapere e allineando il nostro Paese alle migliori pratiche sviluppate a livello Europeo. Il portale è suddiviso in quattro aree tematiche generali: conoscere (per chi desidera capire meglio il mondo della ricerca) , innovare (per le realtà che vogliono agire come motore dell'innovazione) , esplorare (per soddisfare le curiosità dei più giovani) , fare (uno strumento per tutti coloro che fanno ricerca). Il sito è veramente bello, semplice e dai colori positivi, inoltre, è molto aggiornato anche con gli ultimi bandi per Horizon 2020. Aria: parte il monitoraggio del mercurio sulle Dolomiti Servirà a raccogliere dati utili sull’inquinamento industriale Paolo D’Auria Gli scienziati dell’Università Ca’ Foscari di Venezia hanno attivato una stazione di rilevamento ai 2.550 metri di quota del Col Margherita, nei pressi del Passo San Pellegrino, al confine tra Veneto e Trentino-Alto Adige. Sulle Dolomiti, gli studiosi misureranno la presenza naturale nell’atmosfera di mercurio gassoso, inquinante emesso da processi industriali. Questo dato sarà poi confrontato con le informazioni raccolte da decine di altre stazioni sparse per il mondo e contribuirà quindi a indirizzare le future politiche ambientali. L’Università Ca’ Foscari Venezia e l’Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali del Cnr entrano così nella prima rete mondiale di monitoraggio del mercurio, metallo tra i più tossici per l’uomo e l’ambiente. La stazione di Col Margherita, infatti, è un nodo della rete globale Gmos (Global Mercury Observation System), che coinvolge 23 istituti internazionali ed è finanziata con 10 milioni di euro dall’Unione Europea. Le stazioni attive si trovano a terra in aree sensibili, ma non solo: strumenti si trovano in volo a 6mila metri di quota, montati su aerei, e altri attraversano gli oceani a bordo di navi. “Vogliamo capire quale sia l’impatto dell’uomo sulle variazioni nel ciclo del mercurio nell’ambiente - spiega Carlo Barbante, professore di Chimica analitica all’Università Ca’ Foscari e direttore dell’Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali del Cnr -. Il compito della nostra stazione è vedere quale sia il fondo naturale dell’inquinante in un sito di alta quota. La strumentazione ci aggiorna telematicamente ogni cinque minuti con i dati sul mercurio, inoltre misura parametri meteorologici e campioni di precipitazioni”. La ricerca coinciderà con la divulgazione. Informazioni preziose saranno messe a disposizione degli sciatori, in tempo reale: alla base della funivia del Col Margherita i visitatori vedranno su uno schermo dati utili come temperatura, precipitazioni, effetto del vento sulla sensazione termica. Il progetto è stato realizzato in collaborazione con la società degli impianti sciistici del San Pellegrino, che ha permesso ai ricercatori di trasportare sulla cima il container e gli strumenti per il monitoraggio. Il sistema GMOS è formato da uno specifico team di lavoro il cui scopo è quello di sviluppare strumenti – come banche dati, cataloghi, servizi – per realizzare dataset sulla rilevazione del mercurio in atmosfera. Il sistema offre servizi come la ricerca, la visualizzazione e la consultazione di set di dati territoriali dal portale www.gmos.eu. Il sistema è sviluppato nell’ambito dell’infrastruttura per l’informazione territoriale della direttava INSPIRE, con lo scopo di rendere disponibili informazioni rilevanti, di alta qualità e geograficamente armonizzate per la valutazione delle politiche e delle attività che hanno un impatto diretto o indiretto sull’ambiente. Dal momento che l’interoperabilità è un concetto centrale per il sistema di osservazione globale della Terra (GEOSS ), il Monitoraggio globale per l'ambiente e la sicurezza (GMES) e la direttiva INSPIRE, l’utilizzo di standard è una preoccupazione fondamentale in tutto il processo di codifica. Con specifico riferimento al GMES, il database globale sul monitoraggio del mercurio e le uscite del modello GMOS sono resi disponibili attraverso una serie di servizi di monitoraggio, previsione e ri-analisi. Cambiamenti climatici:nessun aiuto dalle nuvole Da una ricerca australiana previsti aumenti fino a 4°C entro la fine del secolo Le temperature globali stanno seguendo un trend che non lascia scampo: previsto un aumento di almeno 4 gradi entro la fine di questo secolo. Questo quanto risulta da una recente ricerca australiana, che afferma che i modelli finora sviluppati per prevedere l’evoluzione della situazione climatica globale sono probabilmente errati, perché non tengono conto correttamente del ruolo delle nuvole. Gli studiosi dell’Università del Nuovo Galles del Sud, guidati dal professor Steven Sherwood del Centro di ricerca sul cambiamento climatico, sostengono di aver individuato la chiave per prevedere il comportamento della nuvolosità. Ma lo sviluppo più incredibile della ricerca riguarda, appunto, il ruolo che questa giocherà nel contenimento degli aumenti di temperatura: non sarà affatto d’aiuto. Negli ultimi 25 anni le maggiori incertezze nel modellare i cambiamenti climatici sono state legate ai mutamenti nella nuvolosità, scrive Sherwood sulla rivista Nature. E in molti modelli le previsioni di minori aumenti di temperature si basavano sulla sua funzione di contenimento. “Questa ricerca risolve uno dei maggiori dilemmi nella scienza climatica”, afferma. “La chiave alla reattività del clima all'aumento dei livelli di CO2 sta nel comportamento delle nuvole e nella loro capacità di limitare gli aumenti, rinfrescando la superficie terrestre oltre a riflettere nello spazio i raggi del sole”. Talvolta però l’aria si solleva solo di pochi chilometri fino a uno strato di confine, prima di ridiscendere verso la superficie terrestre. Altre volte può salire fino a 10-15 km. Il più ottimistico dei 43 modelli esaminati prevede che l’aria raggiunga in maggior parte il livello più alto, formando nuvole che avrebbero un effetto rinfrescante. “Questi modelli presuppongono una minore sensitività climatica, ma crediamo che non siano corretti”, sostiene Sherwood. La pubblicazione della ricerca coincide con gli ultimi dati del Bureau di Meteorologia secondo cui nel 2013 l’Australia ha subito l’anno più caldo mai misurato, con temperature di 1,2 gradi superiori alla media di lungo termine. Il rapporto sottolinea l'influenza delle emissioni di anidride carbonica, dichiarando che “il riscaldamento nella regione australiana è molto simile a quello osservato su scala globale e l’anno passato sottolinea che la tendenza al riscaldamento continua”. P.D’A. Rapporto 2013 sulla Mobilità Sostenibile Napoli perde posizioni, ma il futuro è tutto da scrivere Fabiana Liguori L’associazione Euromobility ha presentato il nuovo Rapporto Annuale sulla Mobilità Sostenibile nelle principali 50 città italiane. Il rapporto fa riferimento ai dati raccolti nell’anno 2012. Il primo risultato negativo che, purtroppo, viene alla luce dal nuovo documento è lo scivolamento di Napoli nella classifica definitiva: dal 21°posto della scorsa edizione all’attuale 32°. La città partenopea perde il primato di centro urbano più ecomobile del Meridione, lasciando il “podio” a Palermo e Bari. I punti critici del capoluogo campano, che precede comunque di una posizione Salerno, sono: l'elevata presenza di autovetture per kmq (la più alta in Italia) e il preoccupante numero di automobili inquinanti in circolazione (nello specifico aggiungeremmo: vecchie! Considerando che, anche a causa della disastrosa situazione socio- economica che affligge il popolo napoletano, è più difficile acquistare auto all’avanguardia!). Trionfa Venezia, seguita da Bologna e Torino. Fanalini di coda Potenza, Reggio Calabria e Siracusa, ovviamente, tutte “rappresentanti” di quel Sud Italia così tanto screditato e dimenticato. Ma andiamo nel dettaglio. In 45 città su 50 cala il numero di auto in rapporto agli abitanti (il cosiddetto indice di motorizzazione). In effetti, c’è una forte riduzione del numero di auto vendute rispetto al 2011 (-20%). Considerando i costi assurdi del carburante, conti- nuano ad essere preferiti i veicoli alimentati a gas (GPL o metano), pari al 7,5% del totale (rispetto al 7,1% dell’anno precedente). Piccolo ma significativo passo avanti verso l’utilizzo di carburanti più puliti. Migliora la qualità dell’aria, anche se c’è ancora molto da fare. Ben 35 città su 50 superano il limite dei 35 giorni consentiti ogni anno per il superamento dei livelli di PM10. In alcune città, tra cui Milano e Torino, i livelli consentiti sono stati superati per oltre 100 giorni nell’arco del 2012 al cospetto degli 80 di Napoli. Ma diamo un’occhiata al trasporto pubblico, per esempio: i dati presentati evidenziano quanto l’offerta sia poco presente nella città partenopea rispetto ad altri capoluoghi come Milano, Torino o Roma, nonostante Napoli sia la città italiana con la più alta densità abitativa 8.057,1 (ab/kmq). Solo questo basterebbe già a far riflettere… Scarse, per ora, “esperienze” di car sharing e bike sharing. Tanti sono i “buchi neri” a Napoli: aree pedonali, zone a traffico limitato, corsie ciclabili, parcheggi di interscambio, e così via. Ma qualcosa, in realtà, già dallo scorso anno si sta cominciando a fare. Forse, il prossimo Rapporto, ci riserverà belle sorprese… Rimbocchiamoci le maniche, e anche se la strada è lunga e faticosa, non dimentichiamo che è, pur sempre, la nostra strada! Approvata la progettazione per la discarica So.Ge.Ri. Istituzioni e associazioni unite per il territorio È stata approvata la progettazione definitiva della messa in sicurezza della discarica So.Ge.Ri. ubicata nel comune di Castel Volturno e al confine con il comune di Mondragone, presso la Regione Campania UOD - Autorizzazioni Ambientali e Rifiuti di Caserta. La Conferenza dei Servizi si è svolta alla presenza della dott.ssa Norma Naim, dirigente del settore regionale, con la partecipazione dell'ing. Brugiotti e dell'ing. Cicerone in rappresentanza della Sogesid S.p.a. (società tecnica del Ministero dell'Ambiente) con l'ing. Spasiano e il dott. Del Muto in rappresentanza della provincia di Caserta e con l'Associazione Culturale Officina Volturno, da oltre dieci Napoli: gli alberi di Natale si smaltiscono gratis nelle isole ecologiche Foto tratta da www.noi.caserta.it anni operante sul territorio e appartenente alla Consulta delle Associazioni Ambientali istituita presso il Comune di Castel Volturno. In tempi brevissimi sarà pubblicata la determina regionale, in seguito alla quale la Sogesid potrà esperire il bando di gara, forse già a metà gennaio, in modo da iniziare i lavori entro l'estate 2014 e concluderli entro dicembre 2015. A.M. Le isole ecologiche cittadine sono a disposizione per la raccolta degli alberi di natale in disuso. Abbandonarli per strada è un reato, oltre ad essere dannoso per l’ambiente. Il servizio è gratuito. Attualmente le isole ecologiche attive sono 6: via Saverio Gatto (Colli Aminei), via Emilio Salgari (Ponticelli), viale Ponte della Maddalena (Centro città), viale della Resistenza (Scampia), via Arturo Labriola (Fuorigrotta) e Cupa Capodichino (Miano). I giorni e gli orari di apertura sono: lunedì dalle 14 alle 19, dal martedì al sabato dalle 9 alle 19 e la domenica dalle 9 alle 14. I PEGGIORI LUOGHI DEL MONDO…PER IL METEO La classifica dei 10 posti più inospitali da un punto di vista climatico Come non ci sono più le mezze stagioni, così è stata stilata una classifica dei posti più inospitali a livello meteorologico del mondo. Una top ten che non risparmia nessuno. Così, dopo il nuovo picco di freddo, un vero e proprio record registrato in Antartide con ben -93,2gradi, la rivista “Weatherwise”, dedicata al campo della meteorologia, ha affidato ad Ed Darack di creare una classifica dei dieci peggiori posti al mondo sotto il profilo meteo. Ad aprire le danze, in ultima posizione, troviamo Ojmjakon, nella Siberia orientale, considerato il posto stabilmente abitato con una temperatura fredda che raggiunge i -67,8gradi. Nono posto, invece, per l’isola più remota e inaccessibile: si tratta dell’isola Bouvet. Di proprietà norvegese, è situata nel tempestoso Atlantico meridionale a mille seicento chilometri dalle coste antartiche della Terra della Regina Maud. In sostanza, ci troviamo di fronte a un vulcano emerso, la cui superficie non arriva a 50 km quadrati e per il 90% è coperta dai ghiacci. Solo all’ottavo posto troviamo il Sahara, con il Grande Erg Occidentale, forse perché il grande deserto, pur essendo inospitale a causa del clima, è abitato da millenni e rappresenta la culla di grandi civiltà. Per le Ande della Patagonia meridionali è pronto ad attenderle il settimo posto. Anche se i luoghi sono splendidi, sono freddissimi e cadono enormi quantità di neve accompagnati da forti raffiche di vento, che li rendono inospitali. In sesta posizione troviamo la valle Gandom-e Beryan nel deserto iraniano di Dasht-e Lut, dove la temperatura del suolo ha raggiunto i 70,7 gradi. Saliamo ancora e arriviamo al quinto posto, occupato dal Summit Camp, in Groenlandia, nel centro geografico dell’isola ghiacciata a 3.230m di altezza a 72° 36’ Nord e 38° 25’ Ovest. Avanzando incontriamo in quarta posizione la regione del K2 e dell’alto Karakorum in Pakistan, dove nel raggio di una ventina di chilometri ci sono quattro delle 14 montagne più alte del mondo, che rendono la zona la più alta della Terra. Qui l’inverno è freddissimo con temperature fino a -58°C e non è un caso che il K2 non sia stato ancora scalato nella stagione invernale. Siamo arrivati finalmente al podio. Medaglia di bronzo per la costa dell’Antartide, che unisce in sé i posti più freddi e aridi del pianeta con un mare sempre in tempesta, con i venti fortissimi catabatici che spirano dall’altopiano antar- tico. L’argento spetta alla catena High Icefield tra Yukon (Cnada) e Alaska, dove troviamo i monti più alti del Canada (Elias e Logan). Vincitore della medaglia d’oro di questa bizzarra classifica è la stazione russa Vostock, situata al Polo Sud, che deteneva il record di freddo, con il raggiungimento di una temperatura pari a -89°C, prima di vedersi strappare via il primato dalla Dorsale Argus. A.P. IL MONDO SU DUE RUOTE Le sette città al mondo in cui il bike sharing ha preso più piede diventando un fenomeno stabile e integrato nella mobilità sono: Barcellona, Lione, Città del Messico, Montreal, New York, Parigi e Rio de Janeiro cittadina. La classifica è stata stilata dall’Institute for Transportation and Development Policy di New York, che ha preso come campione 400 città nelle quali il servizio è stato avviato, sparse nei 5 diversi continenti, fra queste, non figura nessuna città italiana. La classifica dell’ITDP premia dunque quelle città che hanno saputo integrare in maniera efficiente il sistema di bike sharing con la rete di mobilità urbana già esistente, offrendo un servizio economico ed efficiente. Al primo posto abbiamo Barcellona, con 10,8 utilizzi per ogni bici, 67,9 viaggi per 1.000 abitanti, al secondo Lione con 8,3 utilizzi per bici, 55,1 viaggi per 1.000 abitanti, mentre al terzo troviamo Città del Messico con 5,5 utilizzi per bici e 158,2 viaggi per 1.000 abitanti. A seguire al quarto posto troviamo Montreal, con 6,8 utilizzi per bici e 113,8 viaggi per 1.000 abitanti, al quinto invece New York con 8,3 utilizzi per bici e 42,7 viaggi per 1.000 abitanti. Chiudono la classifica Parigi con 6,7 utilizzi per bici e 38,4 viaggi per 1.000 abitanti, e Rio de Janeiro, con 6,9 utilizzi per bici e 44,2 viaggi per 1.000 abitanti. In definitiva, secondo l’ITDP, nel mondo ci sono oltre 600 città con un servizio attivo di bike sharing, solcate da oltre 700 mila veicoli in affitto. I risultati della ricerca sono stati resi noti in occasione della pubblicazione della “Bike Sharing Planning Guide”, una guida che offre gli strumenti necessari per pianificare e avviare un sistema di bike sharing efficiente e conveniente per i cittadini. Dopo un’attenta osservazione di questi sistemi, infatti, gli esperti dell’ITDP ha stilato una serie di criteri che devono guidare il percorso di costruzione del servizio: un sostanzioso parco bici, stazioni situate al massimo ogni 300 metri di distanza, un’area operativa più ampia di 7 chilometri quadrati, metodi semplici e veloci per prenotare e prelevare il veicolo, sistemi di sicurezza montati sulle bici che le rendano sicure e difficili da rubare. L’auspicio è che a queste sette metropoli possa aggiungersi un giorno anche una città italiana. F.S. Le acque di balneazione in Campania nel 2014 Emma Lionetti Lucio De Maio La Regione Campania con DGR n.663 del 30/12/2013, (BURC n.1 del 07/01/2014), ha definito ai sensi della normativa vigente (D.lgs. n.116 del 03.05.2008 e DM 30.3.2010) la Classificazione della qualità delle acque di balneazione. La valutazione è stata effettuata con il contributo tecnico-operativo della Direzione Tecnica Arpac - Unità Operativa Mare - tramite elaborazione statistica dei dati delle ultime quattro stagioni balneari ottenuti dai controlli eseguiti dai Dipartimenti Provinciali Arpac. Ad ogni “acqua adibita alla balneazione” viene attribuita una classe di qualità “scarsa”, “sufficiente”, “buona” o “eccellente” in base alla quale per ciascuna area vengono adottate specifiche modalità di gestione ed eventuali provvedimenti mirati alla tutela della salute dei bagnanti. A norma di legge, tutte le acque di balneazione entro la fine della stagione 2015 devono risultare almeno di qualità “sufficienti”: quelle classificate “scarse” per cinque anni consecutivi saranno soggette ad un divieto permanente di balneazione. La rete di monitoraggio attuale è composta da 329 acque di balneazione (42 in provincia di Caserta, 149 in provincia di Napoli e 138 in quella di Salerno). Per effettuare i prelievi, Arpac dispone di una flotta di 7 imbar- « Migliora la qualità del mare: quest'anno vietato per inquinamento il 10% della costa adibita ai bagni cazioni, tra cui il battello oceanografico Helios. I campioni prelevati vengono analizzati nei laboratori ARPAC secondo i criteri normativi, e i risultati resi pubblici in tempo reale sul web di Arpa Campania e sul Portale Acque del Ministero della Salute. La balneabilità per la prossima stagione 2014 risulterà » vietata ad inizio stagione 2014 per circa 41 km di costa a causa di inquinamento (10%) e per 59 km per cause indipendenti da esso (foci e torrenti di fiumi non risanabili, aree portuali e aree marine protette). I dati confermano l’inquinamento in prossimità dei centri abitati e dei fiumi, torrenti e canali. Persiste pertanto la necessità di rimuovere le cause di contaminazione dei corpi idrici che si immettono in mare e di rendere più efficienti i sistemi di collettamento e depurazione per restituire alla balneabilità zone costiere di alto pregio ambientale e di elevato interesse turistico. Il trend temporale della costa vietata alla balneazione rispetto al totale di litorale controllato da Arpac è abbastanza confortante. Infatti circa il 92% della costa campana è adibita alla balneazione (429 km) e di questa solo il 10% risulta vietata ad inizio stagione balneare 2014 rispetto al 19% registrato nel 2011 e al 12% del 2012. Inoltre se si analizza il dettaglio della classificazione si evidenzia anche una discreta riduzione della costa di qualità “scarsa” che dal 9% diminuisce al 5%.Questo dato positivo è dovuto per lo più al recupero delle aree vietate alla balneazione in seguito alla comunicazione di risanamento che i Comuni hanno trasmesso alla Regione e agli esiti favorevoli dei campionamenti effettuati. Nel dettaglio, le condizioni di legge per la riammissione si sono verificate, nel corso della stagione balneare 2011, per 22 aree (16 del Comune di Castelvolturno, tre di Mondragone, una di Portici, una di Minori e una del Comune di San Giovanni a Piro). Per il 2012 si sono aggiunti tredici tratti di costa “riabilitati” e, nel 2013, sono state recuperate altre tre acque di balneazione della provincia di Salerno (a Pontecagnano Faiano, Salerno e Santa Marina), per un totale di trentotto “riaperture” in tre anni pari a circa 34 km di costa definita a norma di legge “di nuova classificazione”. Tutte le informazioni sono sul sito www.arpacampania.it, sezione “Balneazione”. L'educazione ambientale è uno dei compiti fondamentali della struttura Ispra-Arpa Un sistema a rete per le agenzie ambientali Anna Gaudioso Con il Decreto 21 maggio 2010 n. 123 del Ministero dell'Ambiente e per la Tutela del Territorio e del Mare,sulla gazzetta ufficiale n.179 del 3 agosto 2010 è stato pubblicato il regolamento che sancisce la fusione dell’APAT(istituita nel 1999, fondendo l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente ed il Dipartimento per i servizi tecnici nazionali della Presidenza del Consiglio, dipendeva dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio) dell’INFS e dell’ICRAM in un unico istituto:l’ISPRA. Con questa sigla viene denominato l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale(ISPRA). Il decreto formalizza il sistema nazionale delle Agenzie ambientali che oggi conta una vasta presenza su tutto il territorio nazionale,infatti ben 21sono le Agenzie Regionali (ARPA) e Provinciali (APPA) che sono state istituite con apposita Legge Regionale. In questo modo, sono state poste di fatto le premesse per la costituzione di un vero e proprio sistema a rete, di stampo federalista ,costituito da una struttura centrale, con compito di coordinamento tecnico scientifico,e ventuno realtà territoriali con compiti di natura più operativa sul territorio. In questa direzione si delinea e si coniuga una conoscenza diretta del territorio e dei problemi ambientali locali con le politiche nazionali di prevenzione e protezione dell'ambiente, così da diventare punto di riferimento, tanto istituzionale quanto tecnico-scientifico, per l'intero Paese. L’istituzione dell'ISPRA rappresenta la coesione del Sistema, pur nel rispetto delle realtà territoriali, e ne favorisce lo sviluppo omogeneo su temi di cooperazione e collaborazione. Infatti, fin dall'istituzione delle prime Agenzie regionali, è emersa l'esigenza di creare degli spazi di confronto e discussione tra le Arpa-Appa, al fine di promuoverne uno sviluppo coordinato. E' per questo motivo che la legge istitutiva dell'APAT prima e ora dell'ISPRA ha istituito un Consiglio Federale, presieduto dal Presidente dell'ISPRA e composto dal Direttore Generale e dai legali rappresentanti delle ARPA-APPA, che hanno una funzione consultiva sulla convenzione tra l'Istituto e il Ministero dell'Ambiente, con particolare riguardo all'assegnazione dei finanziamenti e all'utilizzo delle risorse, nonché alle metodologie tecnico operative per tutto ciò che riguarda l’esercizio delle attività delle Arpa-Appa, ed anche per il compito di coordinamento dell'Istituto nei confronti delle Arpa-Appa. In questo panorama normativo e di riassetto generale non pos- siamo non riportare l’interesse che l’ISPRA rivolge all’educazione ambientale,infatti promuove e realizza programmi di educazione, divulgazione e formazione in materia ambientale a livello nazionale ed internazionale, attraverso :progetti di educazione ambientale rivolti a giovani in età scolastica ed agli adulti ;divulgazione di metodologie e conoscenze a supporto dei decisori dei piccoli Comuni; corsi di formazione ambientale sia in aula che a distanza; tirocini di formazione ed orientamento; coordinamento del gruppo di lavoro interagenziale per l'Educazione Orientata alla Sostenibilità e del gruppo di lavoro interagenziale per la Formazione Permanente. Raccontiamo il meteo L’Italia esposta a una varietà di correnti I venti tipici del Mediterraneo disposti sulla tradizionale Rosa Gennaro Loffredo Chi di noi non conosce la rosa dei venti? Il suo nome è dovuto alla disposizione dei rombi che la compongono e che in origine indicavano le direzioni da cui soffiano i venti.Le quattro punte principali indicano i punti cardinali (Nord, Est, Sud, Ovest); le successive quattro punte i punti intercardinali (Nord-est, Sud-Est, Sud-Ovest, Nord-Ovest). La tramontana ad esempio è un vento freddo e secco proveniente da Nord, che interessa le regioni del medio e alto versante tirrenico ed è più frequente nei mesi invernali con condizioni di alta pressione sull’Europa occidentale e di bassa sui Balcani. Questo vento porta generalmente ampie schiarite e visibilità eccellente. Il nome deriva dall’aggettivo tramontano, cioè ”oltre il monte”: si riferisce infatti a un vento che proviene da oltre le Alpi, quindi da Settentrione. La Pianura Padana e le valli alpine, che si trovano sottovento rispetto a questo tipo di circolazione, sono spesso interessate da venti di caduta ARPA CAMPANIA AMBIENTE del 15 gennaio 2014 - Anno X, N.1 Edizione chiusa dalla redazione il 14 gennaio 2014 DIRETTORE EDITORIALE Pietro Vasaturo DIRETTORE RESPONSABILE Pietro Funaro CAPOREDATTORI Salvatore Lanza, Fabiana Liguori, Giulia Martelli IN REDAZIONE Cristina Abbrunzo, Anna Gaudioso, Luigi Mosca, Andrea Tafuro GRAFICA E IMPAGINAZIONE Savino Cuomo HANNO COLLABORATO S. Allinoro, F. Clemente, S. Cavallo, P. D’Auria, G. De Crescenzo, A. Esposito, E. Ferrara, R.Funaro, G. Loffredo, A. Morlando, A. Palumbo, A. Paparo, F. Schiattarella SEGRETARIA AMMINISTRATIVA Carla Gavini DIRETTORE AMMINISTRATIVO Pietro Vasaturo EDITORE Arpa Campania Via Vicinale Santa Maria del Pianto Centro Polifunzionale Torre 1 80143 Napoli REDAZIONE Via Vicinale Santa Maria del Pianto Centro Polifunzionale Torre 7- 80143 Napoli Phone: 081.23.26.405/426/427 Fax: 081. 23.26.481 e-mail: rivista@arpacampania.it Iscrizione al Registro Stampa del Tribunale di Napoli n.07 del 2 febbraio 2005 distribuzione gratuita. L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti e la possibilità di richiederne la rettifica o la cancellazione scrivendo a: ArpaCampania Ambiente,Via Vicinale Santa Maria del Pianto, Centro Polifunzionale, Torre 7-80143 Napoli. Informativa Legge 675/96 tutela dei dati personali. noti come Foehn o Favonio, molto asciutti e caldi. La bora è un vento molto freddo proveniente da Nord-Est, tipico delle regioni del medio-alto versante adriatico e in particolare di Trieste. D’inverno la bora, che nelle regioni meridionali prende il nome di grecale, è la principale responsabile delle ondate di freddo che interessano la penisola italiana, con nevicate a quote anche basse sulle regioni adriatiche e al Sud. Il levante prende il nome dal punto cardinale da dove spira, Est. Si genera quando è presente una depressione tra le coste Africane e le Isole Maggiori o sullo Ionio Meridionale. La bassa pressione richiama correnti orientali dai Balcani verso l’Italia, analogamente a quanto succede con la bora, anche se in questo caso le correnti associate sono generalmente meno fredde. Il vento proveniente da Sud viene chiamato ostro. La configurazione barica e la fenomenologia associata sono molto simili allo scirocco. Quest’ultimo è uno dei venti che più frequentemente spirano sui nostri bacini. E’ un vento tiepido d’inverno e in tardo autunno, caldo negli altri periodi dell’anno. È in origine un vento caldo e secco, ma nell’attraversare il Mediterraneo giunge umido sulle nostre regioni apportando nuvolosità e fenomeni soprattutto al Settentrione. Lo scirocco raccoglie grandi quantità di sabbia dal Sahara e può dar luogo ad una colorazione giallastra o rossastra delle nubi e a precipitazioni contenente pulviscolo. Angelo Morlando Focus “Acque” Così le regioni si scambiano l’acqua Angelo Morlando In Estate, lo Scirocco si associa spesso all’arrivo dell’anticiclone nord-africano sulla nostra penisola con forti ondate di caldo. Il libeccio spira da sud-ovest ed è attivato dal passaggio delle perturbazioni atlantiche. Provoca intense precipitazioni sulle regioni tirreniche, ed è tipico dell’autunno e dell’inverno, stagioni nelle quali può provocare intense mareggiate, specie su Lazio e Campania. Pur essendo un vento tiepido, esso non provoca particolari innalzamenti delle temperature, specie se la direzione del vento assume una componente più occidentale, similmente a quanto accade con il ponente. In estate il vento di libeccio tende ad avere effetti simili al Foehn sulle regioni del versante adriatico, generando un vistoso aumento delle temperature su queste zone. Il maestrale è temutissimo da agricoltori e navigatori, in quanto è capace di raggiungere punte di velocità ragguardevoli ed è spesso responsabile di burrasche ed intense mareggiate intorno alla Sardegna e alla Corsica. È un vento che spira da Nord-Ovest e può soffiare sia in presenza di una rimonta di alta pressione sul Mediterraneo Occidentale, sia per un’irruzione di aria artica che entra nel Mediterraneo dalla porta del Rodano. Insomma l’Italia, estesa in latitudine e in longitudine e grazie alla presenza delle catene montuose, presenta caratteristiche diverse di clima anche grazie all’esposizione a particolari tipi di venti. Unito nel nome dell’acqua: il nostro Paese è una realtà molto coesa, per quanto riguarda la disponibilità di acqua potabile. Infatti, come evidenzia il Focus “Acque” pubblicato di recente dall’Ispra, sono rare le regioni che riescono, senza apporti esterni da altre regioni, a soddisfare il proprio fabbisogno idrico per uso civile. Con alcune eccezioni, le regioni italiane scambiano molta acqua tra di loro: risultano totalmente autosufficienti solo la Valle d’Aosta, la Sardegna, la Sicilia, l'Abruzzo e la provincia autonoma di Trento. Le prime tre regioni sono del tutto “chiuse”, cioè, non ricevono né forniscono acqua ad altre regioni. La Provincia di Trento e l'Abruzzo forniscono, ma non ricevono volumi idrici, mentre, al contrario, Puglia e Calabria importano acqua, ma non esportano nulla. La Puglia, in particolare, risulta essere la regione più dipendente dall’esterno per l’approvvigionamento di acqua potabile da distribuire attraverso la rete idrica. Circa il 60% della sua La Campania importa 230 milioni di m3 da Lazio e Molise acqua di rete, infatti, proviene da altre regioni, in gran misura dalla Basilicata e in secondo luogo dalla Campania. La nostra regione, che pure alimenta in maniera cospicua l’acquedotto pugliese, è a sua volta una grande importatrice di acqua: ne riceve circa 230 milioni di metri cubi all’anno, in particolare da Lazio e Molise. Nella classifica delle regioni “esportatrici” di acqua, in testa c’è la Basilicata, che cede all’esterno circa il 70% del volume di acqua prelevato sul proprio territorio. A seguire, il Molise (che cede il 60% delle risorse idriche prelevate in regione) e il Lazio (12%). Il capitolo del Focus dedicato all’approvvigionamento idropotabile in Italia, curato da Stefano Tersigni e Simona Ramberti (Istat), sottolinea come viene calcolata la disponibilità di acqua per uso civile a livello regionale: si somma l’acqua per uso potabile prelevata in regione all’acqua proveniente da altre regioni e si sottrae l’acqua ceduta ad altre regioni e l’acqua che viene convogliata specificamente all’industria e all’agricoltura. (2 – segue) Argentina: a Natale attacco dei predatori del mare Oltre 60 bagnanti hanno riportato ferite. Una bambina ha perso un dito Alessia Esposito È Natale quando a Rosario, in Argentina, alcune “palometas” (pesci molto simili ai piranha) iniziano l’attacco ai bagnanti. Una serie atipica di agguati, che dura circa quarantotto ore. Si contano oltre sessanta feriti, riferisce il sottosegretario alla Salute Gabriela Quintanilla. Riportano morsi su talloni, piedi, mani, strappi di pezzi di carne: una bambina di sette anni ha addirittura perso un dito. Si tratta infatti di pesci grandi, molto voraci, con denti aguzzi e molto taglienti. Fanno parte della famiglia dei Pygocentrus (a cui fanno capo anche i più famosi fratelli piranha) e sono diffuse in Sudamerica, nei bacini del Rio delle Amazzoni, dei fiumi Paraguay e Rio Paraná, Orinoco ed Essequibo. Gli appartenenti a questa famiglia hanno la ben conosciuta e caratteristica figura romboidale con corpo compresso lateralmente e molto alto. La loro alimentazione è composta da un apporto vegetale e da insetti, vermi, crostacei, pesci, mammiferi e uccelli (acquatici e non). Se “stressati” da particolari condizioni non è strano che at- tacchino l’uomo. E sono state proprio queste condizioni di stress a verificarsi a Rosario qualche settimana fa; si è venuta a creare una situazione favorevole ad attirare le palometas in superficie e, conseguentemente, all’attacco. Tra gli imputati il caldo. Record, in questo caso. Lo stesso che aveva spinto novemila bagnanti in quel momento a fare un tuffo ristoratore nel fiume Paranà. Nei giorni di Natale l’afa non ha dato tregua: si è passati da una temperatura minima di 30 gradi a una massima di 38, un caldo che ha alzato anche la temperatura dell’acqua. Complice da non sottovalutare per analizzare l’agguato delle palometas sono le scarse precipitazioni del periodo invernale. La siccità ha fatto sì che il livello delle acque si abbassasse rispetto al solito. Ciò ha provocato, tra le altre cose, una diminuzione del cibo per le palometas che si sono così riversate sugli esseri umani, di solito non le loro prede preferite, nonostante la fama da “mangia uomini”. Il veterinario Juan Enrique Romero commenta tuttavia: “Sono parenti del piranha. La comparsa ha a che vedere con un determinato tipo di condizioni: acqua calda e movimento della gente che si immerge per il caldo extra producono le condizioni naturali perché l’animale sferri un attacco. Come tutti i predatori, questo pesce è attratto dal sangue”. Gustavo Centurion, medico del Sistema Integrado de Emergencia Sanitaria, riferisce: “E’ la prima volta in questa periodo che accade questo fenomeno. Ogni tanto le palometas compaiono, così ho potuto verificare che c’è bisogno di alcune condizioni climatiche perché questi pesci vengano a riva: una di queste è l’aumento della temperatura dell’acqua.” Ad oggi le autorità competenti stanno invitando a non fare il bagno. Senza voler puntare il dito su una sola causa determinante e fare congetture sensazionaliste, è una serie di congiunture a creare quest’attacco anomalo. Altrettanto corretto è però non parlare del tutto di “evento naturale”: le alterazioni climatiche che provocano siccità in inverno e afa record in estate hanno, come ormai è tristemente noto, origini che sono ben altre. E l’uomo non può esimersi dal fare un “mea culpa” per i danni causati al riscaldamento globale e, dunque, agli ecosistemi. L’arma dei coralli contro il riscaldamento globale Un gas solforoso che li mantiene freschi quando le temperature aumentano Rosa Funaro Il corallo, da sempre considerato uno degli organismi marini più delicati ha “tirato fuori le unghie”, ha imparato da solo come difendersi dai rischi ambientali, in particolar modo dal riscaldamento globale. Catastrofiche le previsioni di un pool di ricercatori del Coraal Reef Task Force americano, secondo cui oltre la metà delle barriere coralline del mondo potrebbero scomparire in meno di 25 anni, secondo gli esperti, infatti, circa il 30% delle barriere coralline mondiali è andato distrutto negli ultimi 50 anni, e un altro 30% è fortemente danneggiato. Le temperature del mare sono in aumento, provocando il fenomeno dello sbiancamento e indebolendo le resistenze dei coralli all'inquinamento, soprattutto quello di origine chimica. Ma oggi, ulteriori studi in merito, hanno delineato scenari meno apocalittici, immaginando un finale certamente più ottimistico. La bella notizia arriva dall’Australia dove, un gruppo di ricercatori, ha scoperto che i coralli sono più resilienti di quanto finora creduto e che la loro arma segreta di difesa contribuisce al cattivo odore che può emanare dagli oceani. Secondo gli scienziati dell'Istituto australiano di scienze marine, l'odore proviene da un anti-ossidante prodotto dai coralli, nella forma di gas solforoso, che li mantiene freschi quando le temperature dell'acqua aumentano, aiutandoli a regolare l'ambiente circostante. “Quando l'acqua si riscalda - scrive sulla rivista Nature la specialista di analisi biomolecolare Cherie Motti - i coralli rilasciano più molecole. Il gas solforoso di tali molecole aiuta a formare una 'nebbia' che respinge il calore del sole, rinfrescando la superficie marina. Abbiamo osservato che le molecole solforose vengono prodotte in più alte concentrazioni quando il corallo è sbiancato dal calore, il che gli permette di sopravvivere molto più a lungo. Questo significa che questa specie, sia quando è giovane e comincia a crescere, sia quando è adulto sotto grave stress, ha la capacità di difendersi'”. Un sistema difensivo, questo, che si rivela davvero utile, anche se non è sempre infallibile, dato che, come ha spiegato la studiosa, un livello di stress eccessivo dovuto ad alte concentrazioni di inquinanti può compromettere tale ciclo impedendo al corallo di produrre gas a sufficienza per tutelarsi. Il registro delle imprese agricole sostenibili Agricoltura ad emissioni zero: nasce CO2 Resa Anna Paparo Nasce il primo registro europeo per la valorizzazione dei crediti di carbonio sul mercato volontario del settore agroalimentare e per calcolare l’impronta carbonica, con l’obiettivo di ridurre impatto e consumo energetico. Ecco a voi CO2 Resa. Ad esso si possono iscrivere tutte quelle gici, biomasse. Per esempio, la Franciacorta ha avviato nel 2010 il programma volontario di autocontrollo Ita.ca, che fornisce assistenza e consulenza viticola e enologica, diventando di fatto il primo calcolatore di emissioni specifico per la filiera vitivinicola. Il suo scopo è quello di calcolare l’impronta carbonica, il tutto finalizzato alla ridu- sioni in conformità a standard codificati, si provvederà all’elaborazione di un piano di riduzione delle emissioni, come l’istallazione di sistemi di produzione energetica da fonti rinnovabili, come biomasse ed energia solare. Tutti interventi che possono rendere più efficienti a livello energetico le aziende e possono ridurre i costi e, di conse- L’avanzata del cemento Uno dei freni dell’agricoltura italiana Fabio Schiattarella aziende che hanno messo, nel corso dei due anni appena trascorsi, o quanto meno metteranno in pratica azioni volte a ridurre la quantità di gas climalteranti emessi, per poter attuare una politica indirizzata allo sviluppo sostenibile e alla tutela dell’ambiente. Unico nel suo genere, questo registro rappresenta il primo esemplare in Europa dedicato alla valorizzazione dei crediti di carbonio del settore, che produce ben il18,8% del totale delle emissioni nazionali. Il primo settore ad essere stato coinvolto è quello del settore vitivinicolo, che nel corso degli ultimi anni ha mostrato un crescente interesse per la sostenibilità come fattore di sviluppo. Basti pensare al fatto che moltissime aziende hanno già attuato progetti di tutela ambientale con l’impiego del fotovoltaico, di corridoi ecolo- zione dell’impatto e del consumo energetico. Tutti elementi che fanno di essa un esempio da seguire e da emulare. Ma non finisce qui. Dopo il settore vitivinicolo (che CO2 Resa contabilizzerà in sinergia con Valoritalia e CsqaCertificazioni) sarà la volta di quelli oleario, caseario, fino a coinvolgere uno alla volta tutti i comparti dell’agro-alimentare. Vediamo più da vicino di cosa si tratta. Come si calcola la carbon footprint di un’azienda vitivinicola e, soprattutto, come si possono ridurre le emissioni? Prima avviene il calcolo delle emissioni generate dai processi e dai prodotti, che si fa prestando attenzione al ciclo produttivo e al ciclo di vita dei prodotti. Una volta analizzato e messo in luce il quantitativo di emis- guenza, l’impatto ambientale. I corridoi ecologici, ovvero la creazione di siepi e boschetti sulle superfici agricole, e l’utilizzo di biochar, carbone vegetale che assorbe CO2 ed è ottenuto dalla combustione di biomassa di scarto (stocchi di mais, scarti di potatura e dell’attività di vinificazione, ecc.) in assenza di ossigeno, rappresentano altri metodi per ammortizzare l’impatto ambientale e queste maledette emissioni. Può essere utilizzato sia come combustibile sia come fertilizzante del suolo. Questo registro rappresenta uno strumento innovativo, grazie al quale le imprese potranno immettere sul mercato volontario crediti di carbonio generati da attività di miglioramento dell’efficienza d’innovazione tecnologico-gestionale introdotte nel ciclo produttivo. L’abbandono dei campi, la cementificazione dei suoli fertili rimasti, la mancanza di cambio generazionale, le difficoltà di accesso da parte dei giovani e di avvio di nuove imprese sono solo alcuni dei freni che l’agricoltura italiana sopporta. Su quest’ultimo punto la Coldiretti pubblica dati parziali: se si guarda il 6° Censimento dell’Agricoltura Istat, si può notare come i giovani agricoltori con meno di 40 anni siano solo il 9,9% del totale.Di essi, solo la metà ha meno di 35 anni. Dal confronto tra i dati del 6° Censimento con quelli del Censimento precedente, è evidente come il numero dei giovani agricoltori abbia subito una variazione negativa pari al 40%.Paola Migliorini, agronoma e docente afferma che dal 1990 al 2000 si sono perse oltre 400mila aziende e nel decennio successivo 775mila. Le aziende agricole gestiscono il 40% delle terre in Europa benché gli agricoltori rappresentino solo il 3% del comparto lavorativo. Attraverso questo dato si capisce come dagli agricoltori dipendano molte cose tra cui il mantenimento del paesaggio e del territorio oltre che la sostenibilità alimentare. Sostenibilità che fa rima con sovranità alimentare,cioè il controllo delle proprie risorse. Lo sviluppo agricolo italiano è frenato in primis dal sistema burocratico, troppo pressante nei confronti degli imprenditori, e dall’accesso al credito.Fare il contadino non è in generale un lavoro molto retributivo riprende la docente e in più ci sono tutta una serie di barriere economiche, dal costo altissimo della terra ai costi iniziali di avviamento che possono essere sì coperti fino al 50%.Un sistema che soffoca la creazione di risposte innovative sul mercato. Mentre in Francia è possibile richiedere un’autorizzazione o un documento per via telefonica o via internet, in Italia facciamo ancora le code agli sportelli e produciamo tonnellate di carta. Ma tutto ciò sciupa il territorio, non crea valore all’interno dell’azienda e schiaccia i prezzi verso il basso. Partendo dal presupposto che l’80% delle superfici agricole cementificate sono perse per sempre e contando che per scavare 50 cm di terreno occorre il tempo di una bennata di ruspa mentre per rigenerarne 10 cm occorrono 2000 anni, gli studi si sono soffermati sulla capacità di provvista alimentare persa consumando terreno fertile nelle regioni italiane del Nord. Se un ettaro è in grado di fornire cibo per 6 abitanti in un anno, la Lombardia ha rinunciato a provvedere alla fornitura di cibo tramite risorse locali. Piramidi del sole: cercasi finanziatori Un tetto fotovoltaico per coprire i rifiuti a Giugliano Salvatore Allinoro Una copertura impermeabile e redditizia per ricavare soldi dai rifiuti solidi urbani, questa volta senza infrangere le leggi. Celle fotovoltaiche produrranno energia pulita e daranno ricovero ai cumuli che a Giugliano occupano interi Kilometri quadrati e svettano come montagne. Il progetto è presentato da una consulta di ingegneri riuniti nel logo di “la civiltà del sole”. Possiamo connetterci, garantire adesione o partecipare attraverso il sito internet: http://www.laciviltadelsole.org/. Le idee in cerca di finanziatori sono semplici ed inequivocabili. Nel centro convegni “Nugnes” di via Verdi gli studiosi insistono sul pessimo stato in cui versano i giganteschi cumuli. I topi sono ghiotti di PET, i gabbiani aprono squarci, i buchi fanno penetrare tanta acqua che infiltrandosi ha vita facile nel rompere le basi e mettere i liquami a diretto contatto con il bacino imbrifero. Solo un tetto può aiutarci ad arginare il fenomeno. L’inquinamento del sottosuolo si aggrava a ogni scroscio di pioggia, ogni volta che “schizzichea”, diventa sempre più ingestibile dopo le grandini frequentissime tipiche del clima che cambia, sintomo delle precipitazioni che tendono a diventare più estreme. Il tetto fotovoltaico sarebbe un argine ai tumori. Entro il 2065, quando è atteso il picco epidemiologico dei fenomeni degenerativi, potremmo aver posto una barriera a guardia del benessere dei cittadini tamponando gli effetti nefasti. Il disegno evidenzia un sistema di raccolta delle acque piovane da riusare nell’impianto, è già stato inviato a Renzo Piano da cui si spera di ricevere un contributo a implementare i sistemi. Quando le piogge avranno trovato i pannelli du- rante il loro inarrestabile ciclo geochimico potranno essere raccolte e messe a disposizione dei chimici. Serviranno neutre per raffreddare i pannelli e ottimizzarne le fasi di produzione (le celle fotovoltaiche funzionano meglio a 28° Progetto PRISCA: il mestiere del riuso Se non è buono per te per me può essere oro Nel Nord Europa sono già parte del tessuto produttivo, da noi finora stentavano a partire. I centri di riuso sono i capannoni in cui vengono raccolti gli oggetti superflui ma ancora in buono stato per essere proposti a un pubblico molto vasto di acquirenti. È disponibile una vasta gamma di scelta. Mobili, attrezzi, mezzi di locomozione, libri, giochi. C’è di tutto. Gli acquirenti si fanno convincere dai prezzi convenienti associati a un buono stato di conservazione del bene in vendita. Spesso le mercanzie passano per le mani attente degli artigiani che ne riparano i difetti prima di riporle in vetrina. È usato di prima categoria, come nuovo. Nei Paesi Bassi è addirittura disponibile un fondo per risarcire gli espositori che non riescono a vendere le loro proposte. A Napoli esistono solo esperimenti temporanei come una ormai famosa fiera del baratto e dell’usato e le piccole stanze di chiese e associazioni trasformate in bazar,soprattutto nel periodo delle feste comandate. Il progetto PRISCA è un acronimo, in inglese significa Pilotproject for scale re-use starting from bulkywastestream (Progetto pilota per un riuso spinto ed efficiente a partire dai sacchetti ingombranti di spazzatura). Il sito internethttp://www.progettoprisca.eu è molto interessante, il primo dei convegni in vista dell’effettivo inizio delle attività si è tenuto a Napoli nel centro Congressi “Oltremare”. I sei partner del progetto sono stati finanziati con i contributi europei, usano nuovi modi per esprimere vecchi concetti, partono da un presupposto inattaccabile: l’inquinamento uccide. Poi usano come dato il numero di vite di cui si è prevenuto il decesso invece dei soliti grammi di CO2 risparmiata. Le aziende più grandi hanno già prevenuto decine di morti, solo limitando i processi di produzione superflui ed inquinanti, semplicemente facendo girare tra molte famiglie sempre gli stessi beni di consumo. Cercheranno di fare rete, forse ricucendone i lembi, nel difficile mondo dell’antropocentrismo economico ed ecologico. Prendono in considerazione statistiche agghiaccianti: in ogni sacchetto di rifiuti in media si trovano due euro disponibili per i rovistatori di cassonetti. Operano in condizioni difficili e pericolose per uno scarso livello delle norme igieniche che tendono a non rispettare, aiutiamoli. S.A. C) senza rischiare un deposito di sedimento basico, saranno necessarie sotto il tetto per aiutare le macchine a separare i rifiuti e indirizzarli verso le filiere produttive del riuso e del riciclo. Una gru prenderà le voluminose giacenze del mondo civilizzato, squadre di addetti ne determineranno le sorti. Un’opera che darebbe un grosso aiuto allo sviluppo del settore campano delle energie verdi, impiegando costruttori e forze giovani nel recupero energetico molto meglio di quanto farebbe un inceneritore, anche da un punto di vista remunerativo. Hanno intenzione di recuperare persino i polimeri di cui sono fatte le buste e su internet hanno raccolto 20.000 firme. Ora tocca a te, visita il sito. NUOVA ALLEANZA EUROPEA: NASCE “ELECTRA” Il progetto per la ricerca sulle reti elettriche intelligenti del futuro Fiocco rosa per l’Ue: è nata “Electra”, la nuova alleanza europea per la ricerca sulle reti elettriche intelligenti del futuro. Finanziato dall’Unione Europea con dieci milioni di euro, questo nuovo progetto vede uniti sullo stesso fronte ventuno enti di ricerca pubblici di ben sedici paesi europei. E in occasione di un meeting internazionale, organizzato da RSE (acronimo per “Ricerca sul Sistema Energetico” che ricopre l’importante ruolo di coordinatore europeo) e svoltosi nel dicembre scorso, c’è stato l’avvio vero e proprio di questo nuovo piano di lavoro. Obiettivo primario di Electra, o meglio "European Liaison on Electricity grid Committed Towards longterm Research Activities”, è quello di sviluppare soluzioni possibili e utili per le “smart grid” del non lontano 2030. Come ha ben sottolineato il coordinatore Luciano Martini, le fonti rinnovabili e le reti elettriche dovranno integrarsi, sviluppando un processo di osmosi in cui una non potrà fare a meno dell’altra, richiedendo un nuovo approccio in tempo reale di tensione e corrente, per poter raggiungere il funzionamento coordinato di milioni di dispositivi e di varie tecnologie di produzione. In particolare per “smart grid” si intende l’insieme di una rete di informazione e di una rete di distribuzione elettrica che consente di gestire la rete elettrica in maniera “intelligente” sotto vari aspetti funzionalità; quindi, in maniera efficiente per la distribuzione di energia elettrica e per un uso più razionale dell’energia, riducendo al minimo eventuali sprechi e sovraccarichi, nonché varia- zioni della tensione elettrica intorno al suo valore nominale. Una grande sfida, questa, per Electra, che la dovrà affrontare con grinta, coinvolgendo in modo coordinato e continuativo i maggiori criteri di ricerca europei che si interessano di questa tematica. Questo rivoluzionario progetto avrà la durata di quattro anni e offrirà un’importante opportunità per la ricerca europea, che potrà affilare le sue armi e arricchire il proprio patrimonio. Altro fine di Electra è anche quello di favorire la specializzazione e il coordinamento dei laboratori e delle infrastrutture di ricerca, con lo scopo di renderli più facilmente accessibili. Verranno, poi, stanziati oltre 450mila euro per favorire la mobilità dei ricercatori, dando la possibilità a 50giovani di trasferirsi e poter lavorare per 5settimane nei vari punti di ricerca senza subire spese esose e poter, così, portare avanti il progetto. E ancora, il cervellone europeo sulle smart grid allargherà i suoi confini anche fuori dal Vecchio Continente: infatti, si cercherà di mettersi in rete con la ricerca di altri Paesi, come ad esempio gli Stati Uniti, il Giappone e la Cina, con l'obiettivo di lanciare anche dei nuovi progetti di collaborazione internazionale. A.P. OLIO DI PALMA: MEGLIO SE SOSTENIBILE Quando parliamo di olio di palma, ci riferiamo all’olio vegetale più diffuso al mondo, ed al contempo, di una grave minaccia per le ultime foreste tropicali del pianeta. Questo settore produttivo, da qualche anno, sta cercando di ridurre gli impatti ambientali, ma per il WWF non è abbastanza. Attraverso il “ Palm Oil Buyers Scorecard Report 2013 ”, il WWF ha dato le “ pagelle ” alle maggiori aziende mondiali del settore in modo tale da stimolare le imprese a impegnarsi seriamente nella produzione e nell’ utilizzo di olio di palma sostenibile. In occasione dell’apertura dell’undicesima conferenza annuale della Roundtable on Sustainable Palm Oil (RSPO) a Medan, in Indonesia, sono stati analizzati 130, tra produttori e retailer, di articoli contenenti olio di palma. L’azienda dolciaria Ferrero, la belga Ecover, il colosso di beni per la casa IKEA, il rivenditore tedesco REWE, il leader mondiale dell’utilizzo di olio di palma Unilever e la United Biscuits del Regno Unito sono le aziende in cima alla classifica sia per l’utilizzo di olio di palma prodotto in modalità più sostenibili, sia rispetto agli sforzi per ridurre le emissioni di gas a effetto serra derivanti dalla sua produzione. Quarantacinque delle 130 aziende valutate già utilizzano il 100% di olio di palma certificato sostenibile. Attualmente i due terzi di produttori e rivenditori si sono impegnati per utilizzare il 100% del prodotto certificato e sostenibile entro il 2015. Le piantagioni più estese sono presenti nelle aree tropicali del Sud est asiatico oltre che in Africa ed America Latina. In questi luoghi la crescita incontrollata e la cattiva gestione della risorsa rischiano di compromettere per sempre l’habitat di molti animali. L’olio di palma è un ingrediente chiave in molti prodotti di uso quotidiano ed anche per i biocarburanti. L’aumento della sua domanda influisce sulla biodiversità, sull’ emissione di gas serra e favorisce la conflittualità tra le comunità a cui vengono espropriate le terre. F.S. Fuochi pirotecnici: belli alla vista, dannosi ai polmoni Giulia Martelli Colori, suoni, giochi di luce, emozioni forti: i fuochi d’artificio rappresentano senza dubbio uno spettacolo suggestivo, il momento clou di feste e celebrazioni importanti. C’è però un aspetto a cui nessuno pensa: i fuochi d’artificio possono avere ricadute dannose per la salute. «Ricadute», nel vero senso del termine: tutte le particelle metalliche contenute nel fumo emesso dai fuochi d’artificio, o risultato delle esplosioni che si verificano durante il lancio e l’esplosione dell’oggetto pirotecnico, raggiungono pian piano il terreno e vengono inalate dalle persone che, con il naso all’insù, assistono estasiate alla magica pioggia luccicante. Più lo spettacolo pirotecnico è multicolore e abbondante di effetti speciali, maggiore sarà la presenza di additivi alla polvere da sparo che si disperderanno nell’atmosfera sotto forma di microscopiche particelle metalliche in grado di raggiungere gli alveoli polmonari. È sufficiente un breve elenco delle sostanze che si riversano nell’aria dopo una ventina di minuti di fuochi d’artificio per capire il reale rischio per l’apparato respiratorio, in particolare di quelle persone che soffrono di malattie come « Più lo spettacolo pirotecnico è multicolore maggiore sarà la presenza di additivi alla polvere da sparo che si disperderanno nell’atmosfera l’asma: stronzio (86 volte più della media accettabile), potassio (26), bario (11), ossido di carbonio (9), piombo (7), rame (5), zinco (4), solo per citare i più importanti. Per evitare che la millenaria tradizione dei fuochi d’artificio, risalente all’invenzione della polvere da sparo, possa interrompersi a seguito delle scorie che aleggiano nell’aria dopo che feste » ed emozioni sono passate gli studiosi americani Jesse Sabatini e Jared Moretti stanno sperimentando la creazione di fuochi ecologici. Gli scienziati hanno infatti creato polveri in cui non c’è bisogno di un ossidante: invece di un combustibile hanno utilizzato una sostanza che ha in se stessa la capacità di esploderew. Si chiama 5-AT (5-ammino-tetrazolo) e rilascia energia di colpo insieme con tanto gas: è infatti un tipo dì esplosivo usato per rigonfiare gli air-bag delle auto. E il gas che si forma non è tossico o inquinante: oltre l’82% del 5-AT è costituito da atomi d’azoto e nella reazione essi formano azoto biatomico, appunto il gas più diffuso nell’aria. Nell’attesa che la ricerca produca i suoi frutti per godere degli spettacoli pirotecnici in tutta sicurezza il consiglio è di non stazionare proprio sotto alla cascata di luci e fumi, poiché anche da una posizione più defilata si può godere della manifestazione pirotecnica. Importante è anche decifrare la direzione del vento, in modo da evitare la caduta delle polveri sottili sulla nostra testa. Dalla parte degli organizzatori di eventi con fuochi d’artificio, è poi fondamentale che scelgano prodotti autorizzati e conformi alle disposizioni che regolano la materia, privilegiando quelli che contengono sostanze poco dannose e non materiali tossici per l’organismo, come per esempio il piombo. L’inquinamento in Campania e le ricadute sulla fertilità Se ne parla già da tempo (anche noi avevamo già trattato l’argomento nel magazine del 15 aprile scorso): esiste un nesso tra infertilità e inquinamento? Oggi più che mai e in particolare nella nostra regione, dopo la “scoperta” delle tonnellate di rifiuti tossici interrati in alcune zone, questo interrogativo si fa sempre più pressante. Già nel 2008 il prof. Fabrizio Menchini Fabris primario responsabile dell’ Unità Operativa di Andrologia dell’Università di Pisa, raccolse dati da diecimila uomini di età media 29 anni e con la sua equipe di ricercatori ricavò i primi dati tracciando nette differenze tra le varie regioni italiane: “Pugliesi, siciliani e toscani sembrano avere spermatozoi più sani; Lazio, Lombardia e Veneto registrano invece primati in negativo mentre la situazione più preoccupante riguarda la Campania e Napoli in particolare, che presentano valori di gran lunga al di sotto della media nazionale”…E non si sapeva ancora dei rifiuti interrati… Fabris, con le sue dichiarazioni sembrava fugare ogni dubbio: “Esiste una correlazione diretta fra riduzione della fertilità e gli inquinanti ambientali specie in Campania. Negli uomini che vivono nei grandi centri urbani, in aree inquinate da rifiuti industriali o zone agricole dove si fa ampio uso di pesticidi gli spermatozoi sono meno mobili del 20% rispetto ai coetanei non esposti a queste fonti inquinanti”. In Campania, a provare a dare una risposta definitiva al quesito iniziale Luigi Montano, responsabile dell’ambulatorio di andrologia dell’Asl di Salerno che ha messo a punto il progetto di ricerca ‘EcoFood Fertility’ ancora in fase di avvio, che coinvolge i Dipartimenti del Cnr di Napoli, Avellino e Roma e l’Università di Torino. Si tratterà di testare e comparare i dati di 1800 uomini sani tra i 20-40 anni, non fumatori, non bevitori, non consumatori di droghe, scelti nell’area NolaAcerra-Giugliano, nel basso beneventano e nel basso salernitano-Cilento (le ultime due aree a medio e basso inquinamento ambientale) per verificare l’indice di frammentazione del Dna dello spermatozoo e correlare i livelli di frammentazione con i livelli di inquinanti nel sangue e nel seme: diossine, Pcb, Ipa, metalli pesanti”. EcoFood Fertility, però, oltre a dimostrare una volta per tutte il nesso inquinamento-salute in Campania ha anche lo scopo di offrire risposte preventive, indicazioni per i soggetti a rischio, terapie disintossicanti, utilizzando applicazioni delle scienze della nutrizione. G.M. OSTEOPOROSI : PREVENIRLA CON UNA DIETA AD HOC Ridurre proteine, sodio e fosforo e aumentare calcio e potassio Fabiana Clemente Circa 5 milioni di italiani sono colpiti ogni anno dall’osteoporosi – patologia responsabile di una perdita di massa ossea e resistenza. Le cause principali dell’insorgenza dell’osteoporosi sono riconducibili a fattori nutrizionali, metabolici o patologici. La sua incidenza aumenta in presenza di specifici fattori di rischio. In primis, una corporatura esile con una ridotta massa ossea è particolarmente sensibile all’insorgenza di questa malattia. Il sesso femminile, soprattutto in seguito alla menopausa, manifesta una predisposizione a questa malattia causata da una riduzione di estrogeni – ormoni steroidei che svolgono un ruolo protettivo del tessuto osseo. Casi di osteoporosi sono stati diagnosticati anche in presenza di disturbi alimentari. L’eccessiva magrezza e la conseguente riduzione di massa grassa provocherebbero una significativa fragilità ossea. Tuttavia giocano un ruolo decisivo anche fattori ereditari. Cosa si può fare preventivamente nel quotidiano per ridurre i fattori di rischio? L’abolizione di fumo, alcool e caffè gioverebbe alla salute sotto ogni punto di vista. Una regolare attività motoria e un indice di massa corporea nei ranghi costituiscono un ottimo punto di partenza. Per non tralasciare poi un regime alimentare sano e bilanciato. Provvedere quotidianamente ad un ingente apporto di calcio è la regola base da tener sempre presente. Per fare ciò occorre osservare una dieta specifica - ovvero ricca di calcio e magnesio. Quali sono le fonti principali di approvvigionamento? Un elevato contenuto di calcio è possibile trovarlo in formaggi a lunga stagionatura. Fino a 1100 mg di calcio in 100 grammi di alimento. Ma anche i formaggi meno stagionati e quelli freschi ne garantiscono un buon apporto. Non sono da meno pesce azzurro, frutta secca e latte. Tra le verdure spiccano i broccoli, i cavoli, gli spinaci e le verze. Tra i legumi è opportuno privilegiare i fagioli grazie alla presenza di circa 50 mg in 100 grammi di prodotto. Ma anche i ceci hanno un buon contenuto calcico. Iniziare la giornata con la consueta tazza di latte a colazione, o in alternativa un vasetto di yogurt, è una sana abitudine alimentare che ben sposa la causa. Inoltre è importante sapere che anche l’acqua è una fonte di calcio. Il va- lore nutritivo ovviamente varia a seconda della marca scelta. Si consiglia, pertanto, di consultare l’etichetta prima dell’acquisto, facendo attenzione anche alla percentuale di sodio – responsabile di demineralizzare la massa ossea. È opportuno quindi sostituire una dieta ricca di proteine animali, sodio e fosforo con una dieta pregna di calcio e potassio. Un apporto di vitamina D3 risulta essere fondamentale sia per la prevenzione che per la cura. Provvede, infatti, all’assorbimento del calcio a livello intestinale, al riassorbimento del calcio e del fosforo nel tubulo contorto prossimale e al deposito del calcio nel tessuto osseo. In commercio troviamo facilmente integratori ad hoc, per fornire all’organismo un giusto apporto di calciferolo. La prevenzione è una valida arma a disposizione: utilizziamola! Esegue una rigorosa valutazione in termini di sicurezza COLORANTI ALIMENTARI: IL RUOLO FONDAMENTALE DELL'EFSA Stefania Cavallo I coloranti alimentari sono dei composti, o meglio, degli additivi alimentari che vengono aggiunti agli alimenti principalmente per inserire, compensare o migliorare le colorazioni degli alimenti; questi sono contenuti in numerosi alimenti, tra cui snack, margarina, formaggio, gelatine, dolci, bevande ecc. Ogni colorante alimentare il cui impiego è autorizzato nell’Unione Europea è soggetto a una rigorosa valutazione in termini di sicurezza. Alcuni coloranti sono sostanze naturali, altri sono sostanze naturali concentrate o modificate chimicamente, altri sono imitazioni di sintesi di sostanze naturali, altri ancora sono totalmente artificiali e tutti sono generalmente indicati con le sigle da E100 a E199. Tra le attività dell’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) nel campo dei coloranti alimentari rientrano la valutazione della sicurezza dei nuovi coloranti alimentari, prima della loro autorizzazione all’uso nell’UE, e la revisione di tutti i coloranti alimentari autorizzati nell’UE prima del 20 gennaio 2009. Inoltre, laddove possibile (cioè se dispone di informazioni sufficienti), l'EFSA stabilisce una dose giornaliera accettabile (DGA) per ogni sostanza. La DGA è la quantità di una sostanza che l’essere umano può consumare su base giornaliera nel corso dell’intera vita senza rischi apprezzabili per la salute, questa di può applicare a un additivo specifico o a un gruppo di additivi con proprietà simili. Quando l’EFSA ef- fettua una nuova valutazione di coloranti già autorizzati, può confermare o correggere una DGA esistente, dopo aver esaminato tutte le prove a disposizione. Le valutazioni sulla sicurezza dei coloranti alimentari sono condotte dal gruppo di esperti scientifici dell’EFSA sui prodotti dietetici, l’alimentazione e le allergie (ANS). Tali valutazioni implicano un’analisi di tutti gli studi scientifici pertinenti a disposizione e dei dati sulla tossicità e sull’esposizione umana, dai quali sono tratte le conclusioni in merito alla sicurezza della sostanza. Il gruppo ANS è anche chiamato a stabilire se determinati coloranti alimentari possano o meno scatenare reazioni avverse per quanto riguarda le allergie alimentari. I coloranti impiegati come additivi alimen- tari possono essere autorizzati all’uso anche come additivi per mangimi, tale valutazione viene effettuata da gruppi di esperti scientifici distinti che però coordinano il proprio lavoro scientifico in modo da garantire omogeneità nei loro approcci di valutazione del rischio e nella disamina delle informazioni scientifiche disponibili in questi ambiti. In questo numero inauguriamo un “nuovo” viaggio nel tempo attraverso le eccellenze e le attività produttive legate alla tradizione e all’ambiente di quella che una volta era chiamata: “Campania felix” La tradizione della pasta attraverso i secoli I “maccheroni” venivano esportati dalla Campania in tutto il mondo Gennaro De Crescenzo Salvatore Lanza Già dall’antichità si hanno notizie di laganae (lasagne o fettuccine di pasta) arrivate forse dalla Calabria e già conosciute dai Greci che abitavano Sibari e Crotone: di esse era golosissimo lo stesso Mecenate secondo quanto ci riferisce il poeta Orazio. Ma, secondo una diffusa tradizione, dopo l'occupazione normanna di Amalfi nel XII secolo, alcuni maestri locali, già in contatto con i mercati e i mercanti orientali, sarebbero sfuggiti agli invasori rifugiandosi presso Gragnano, tra i monti Lattari, continuando lì la tradizione delle paste. Da Gragnano si sarebbero spostati nella zona della futura Torre Annunziata perché più adatta al commercio per mare e verso la città di Napoli, che iniziava la sua crescita progressiva. È certo, invece, che tra i secoli XVII e XVIII i pastifici napoletani raggiunsero una fama indi- scussa e la corporazione dei "Maccaronari" era tra le più potenti in città, tanto da impedire l'importazione dai centri vicini. Dalla fine del XVIII secolo, però, il livello di consumi fu così alto che fu necessario acquistare pasta anche da Portici, Resina, Gragnano e, soprattutto, Torre Annunziata. Quest'ultima città vesuviana diventò uno dei centri commerciali più importanti di tutto il Regno assorbendo nella produzione della pasta tutta la manodopera locale e parte di quella dei dintorni. Nel Settecento ormai i maccheroni erano diventati un vero e proprio piatto nazionale. Nella stessa cucina reale borbonica quasi quotidianamente si consumavano ravioli, vermicelli, tagliolini al burro, lasagne, maccheroni con le salsicce o con i classici pomodori tanto da rendere necessaria l’installazione di una “maccaroneria” di proprietà reale con macchine per la produzione meccanica fin dal 1776. L’ultimo Re di Napoli, del resto, Francesco II di Borbone, veniva chiamato affettuosamente “lasa” dal padre Ferdinando II. Nella prima metà dell'Ottocento si avvertì l'esigenza di un nuovo cambiamento per migliorare la quantità e la qualità della produzione e a questa esigenza venne incontro la politica economica che i Borbone seguivano in quegli anni proteggendo e stimolando le industrie locali. Circa un centinaio, complessivamente, gli stabilimenti e in molti si erano diffusi ormai gli impianti azionati a vapore. I famosi maccheroni venivano esportati praticamente in tutto il mondo, a New York come a Rio de Janeiro, a Odessa, Algeri, Atene, Algeri, Malta, Pietroburgo o Amburgo e ancora oggi sono il prodotto italiano più conosciuto in ogni angolo del pianeta: gli ormai rari stabilimenti di Torre Annunziata, di Gragnano, di Pomigliano e, in genere, della provincia di Napoli hanno perduto molti dei loro primati ma forse, per fortuna, non quelli legati alla qualità. I grattacieli di legno Una delle tendenze più interessanti ed audaci dell’architettura “green” Antonio Palumbo Costruire in legno, da sempre, è sinonimo di elasticità, resistenza, leggerezza e bellezza estetica. Ultimamente, grazie all’apporto della ricerca e delle tecnologie più avanzate in tema di ecosostenibilità, con il legno si stanno realizzando persino grattacieli: da Londra a Chicago, da Vancouver a Melbourne, da Stoccolma a Milano, quella dei grattacieli in legno è una delle tendenze più interessanti ed audaci dell’architettura “green”. È soprattutto una nuova generazione di architetti a sostenere fortemente l’idea che preferire il legno al calcestruzzo e all’acciaio costituisca una scelta sostenibile, capace di ridurre notevolmente l’impatto ambientale della costruzione. La lavorazione del legno, infatti, richiede un minor impiego di energia e le corrispondenti emissioni di CO2 sono già bilanciate dall’anidride carbonica assorbita dall’albero durante il proprio ciclo di vita. Inoltre, il legno per la realizzazione di questi grattacieli di nuova concezione proviene per lo più da foreste gestite in modo rigorosamente sostenibile. Costruire in legno significa adoperare un materiale traspirante, resistente, con proprietà antisismiche e di isolamento termoacustico; la sua intelaiatura rende le strutture portanti robuste e sicure, mentre un efficace sistema isolante protegge il materiale dal rischio di in- cendi. Evidenziamo solo qualcuno dei progetti più interessanti, la cui realizzazione è prevista entro i prossimi anni. Il Big Wood è un grattacielo in legno che sorgerà a Chicago (la città dei primi grattacieli della storia), nell’area di South Loop. Sviluppato dall’architetto statunitense Michael Charters, il progetto è stato presentato al concorso “Skyscraper Competition”, indetto dal magazine eVolo di New York. Si tratta di un edificio ibrido, concepito per ospitare residenze universitarie integrate con numerose altre funzioni, tra cui uffici, un centro commerciale ed un’area sportiva molto attrezzata. Dal punto di vista compositivo, l’organismo edilizio di Charters si inserisce nel tessuto urbano come un aggregato di piccoli pixel modulari, che lo fa sembrare una sorta di geometrico alveare: tale reticolo crea una piattaforma disomogenea, su cui è stata prevista la sistema- zione di un tetto giardino continuo, a partire dalla quale si erge una torre alta ben 40 piani, con nucleo strutturale centrale in legno massiccio. Altro progetto emblematico è quello del Piramidenkogel, che sarà costruito dal gruppo altoatesino Rubner a Keutschach am See, nella Carinzia austriaca, e che, con i suoi oltre 100 metri di altezza, rappresenta la torre panoramica più alta del mondo. L’anima di questo edificio è costituita da una spirale in acciaio, che si avvita verso l’alto; per il resto, tutto sarà realizzato grazie all’impiego di 500 metri cubi di legno lamellare e di 1000 metri quadrati di legno a strati incrociati. Andiamo, infine, a Stoccolma, dove è prevista la realizzazione di uno degli edifici in legno più alti del mondo, il quale sorgerà proprio nel centro della capitale scandinava, elevandosi per ben 34 piani, ed il cui completamento è previsto entro il 2023. L’idea del grattacielo di Stoccolma - che si prepara a diventare un nuovo simbolo ed un sicuro punto di riferimento della città - è scaturita da un progetto dello studio CF Møller Architects, vincitore di un concorso indetto dalla nota società di costruzioni svedese HSB in occasione del 100° anniversario della sua fondazione. La torre si avvarrà di un nucleo in calcestruzzo, che assicurerà la stabilità dell’intero organismo edilizio, mentre per tutte le altre parti strutturali e per i rivestimenti sarà impiegato il legno. Accanto ai numerosi ed innovativi aspetti di sostenibilità ecologica ed energetica, il grattacielo sarà in grado di sviluppare una notevole sostenibilità sociale, prevedendo al suo interno servizi per la collettività, come gli orti urbani condivisi, asili nido, depositi per biciclette e persino giardini d’inverno. Ecologico, ignifugo e naturale, il legno permetterà al nuovo edificio di Stoccolma di mantenere elevati livelli di comfort interno contenendo al massimo le dispersioni termiche; in copertura sono previste la collocazione di una serie di pannelli fotovoltaici, che produrranno energia dal sole, e la disposizione dei giardini pensili, i quali agiranno da filtro termico tra interno ed esterno della costruzione. È inoltre prevista la realizzazione di una pompa di calore geotermica, in grado di assicurare parte del fabbisogno energetico della torre svedese. Canapa: una risorsa ecosostenibile Risale alla preistoria il primo utilizzo della canapa, impiegata nella fabbricazione di corde resistenti per il traino degli animali. In seguito fu valorizzata in ulteriori settori – dalla sua lavorazione per realizzare fogli di carta al suo impiego nella creazione di vele per le imbarcazioni. E se dal passato traessimo degli insegnamenti per tutelare l’ambiente? Sarebbe di sicuro una valente risorsa per limitare in modo significativo l’impiego di petrolio. Quali materie prime si ricavano dalla canapa? La canapa si compone di una parte fibrosa del fusto – conosciuta come tiglio - e di una parte legnosa – il canapolo. Si possono ricavare fibre tessili, stoppa, legno e semi. Tessuti, carta, alimentazione. Sono soltanto alcuni dei numerosi ambiti applicativi della canapa. La fibra tessile risulta essere molto più robusta del cotone e la sua coltivazione richiede pochi pesticidi e fertilizzanti. Dalla stoppa è possibile fabbricare la carta – resistente e di ottima qualità – valida alternativa alla carta ricavata dal legname degli alberi. Anche in falegnameria e in edilizia la canapa manifesta alte potenzialità. Basti sapere che dai fusti interi, lavorati ad hoc, si possono fabbricare robuste tavole – da impiegare poi nella realizzazione di mobili e strutture varie. Ergo, la canapa rappresenta una strategica soluzione alla piaga ambientale del depauperamento boschivo. Rivolgendo l’attenzione al settore alimentare è chiaro a tutti che ci troviamo di fronte ad una pianta dalle molteplici facoltà. E’ biologicamente provato che i semi di canapa contengono un’alta percentuale di proteine, percentuale notevolmente lievitata nell’olio di canapa. Il suo consumo è, inoltre, consigliato nella prevenzione di malattie cardiocircolato- rie, grazie all’elevata presenza di grassi insaturi – importanti alleati nella riduzione del colesterolo cattivo. Una pianta poliedrica a tutto tondo. In grado di trasformarsi all’occorrenza anche in materiale plastico resistente, da utilizzare in più contesti. E se quest’ultima caratteristica non basta a convincerci che si tratta di una risorsa ecosostenibile, il suo sancta sanctorum ci convincerà di certo. Il campo applicativo per eccellenza è la produzione di combustibili da biomassa, il cui impiego ai fini energetici non fa aumentare l’effetto serra. Quindi investire nella produzione e nella lavorazione della canapa comporterebbe una significativa riduzione dell’utilizzo del petrolio e dei suoi effetti deleteri sull’atmosfera. Canapa: una scelta responsabile ed ecologica! F.C. Investire nella produzione della canapa comporterebbe una riduzione dell’utilizzo del petrolio Al Palazzo delle Arti di Napoli Il corso per la tutela del patrimonio culturale in caso di calamità Proteggere i tesori storico-culturali della propria città dalle imprevedibili calamità che, purtroppo, si abbattono sul territorio. Questa è la prerogativa del Corso di Formazione proposto da Legambiente, con il patrocinio del Comune di Napoli, per la salvaguardia del Patrimonio Culturale dai rischi naturali, in programma il 23, 24 e 25 gennaio a Napoli, presso il Palazzo delle Arti. L’obiettivo è creare una task force del territorio partenopeo, formata da volontari e specialisti del settore, pronta ad intervenire tempestivamente in caso di disastri sul luogo, per la messa in sicurezza dell'immenso patrimonio culturale. Chi può aderire all’iniziativa? Tutti: tecnici, studenti, laureati e semplici cittadini. Basta inviare la richiesta all'indirizzo email legambiente.neapolis@gmail.com inserendo, oltre ai propri dati anagrafici, anche i contatti, un breve curriculum e le motivazioni per cui si richiede la partecipazione al corso. Se le richieste dovessero superare la reale capienza della sede prescelta, a parità di valuta- zione, si farà riferimento all'ordine cronologico di arrivo delle domande. La partecipa- zione è gratuita. Ma, per poter svolgere l'esercitazione, far parte della task-force e rice- vere l’attestato, è obbligatoria l'iscrizione a Legambiente/ Neapolis 2000 per l'anno 2014. Spesso, la mancanza di mezzi e possibilità, soprattutto in una metropoli unica ma difficile come Napoli, diventa quasi un’alibi per non fare, per non scendere in campo. Sarebbe una cosa davvero giusta, quella di cominciare ad “avvalersi”, il più possibile, di opportunità belle come questa, per imparare pian piano a difendere la propria città, anche e soprattutto nei momenti peggiori. F.L. La palestra del futuro produce energia È l’era del green fitness Cristina Abbrunzo La corsa all'efficienza energetica sta invadendo, piano piano, tutti i settori. Questa volta si parla di benessere psico-fisico e la novità arriva, come spesso capita, dagli Stati Uniti. L’ultima idea per produrre energia attraverso fonti non fossili e ridurre i nostri consumi elettrici è una palestra capace di sfruttare il movimento degli sportivi che vi si allenano in modo da produrre corrente elettrica alternata. Già applicato presso il California Fitness club di Hong Kong – per la verità senza risultati eccelsi – questo procedimento incontra ora una nuova fase. A Portland, in Oregon, Adam Boesel, personal trainer e attivo ecologista, ha applicato il sistema alla sua palestra Green Microgym in modo da azzerare la bolletta elettrica. Adottandola su larga scala, questa politica di contenimento dei consumi può incidere sensibilmente sui problemi ambientali. Si prevedono quindi interessanti novità per il futuro. La Green Microgym sta infatti allargando i suoi orizzonti, grazie a collaborazioni con partner finanziari e alla possibilità di supportare il marchio attraverso la modalità del franchising. Si stima che al mondo ci siano 110.000 palestre, dotate di circa 1 milione e 500 mila attrezzature cardiofitness potenzialmente utilizzabili per la produzione di energia. Dati che possono diventare significativi anche dal punto di vista della lotta all’in- quinamento atmosferico. Del resto, non è un caso che anche l’italiana TechnoGym, leader nella fornitura di attrezzature e servizi per il fitness, abbia puntato fortemente su questa prospettiva di ecosostenibilità. Grazie al concept sperimentale di Technogym l’energia prodotta dalle pedalate viene convogliata in rete e contribuisce al fabbisogno elettrico della palestra, permettendo alla struttura di utilizzare meno energia esterna prodotta in maniera convenzionale ed inquinante. La nuova linea di macchinari, denominata Artis, infatti, è stata studiata e creata per trasformare la fatica e lo sforzo degli atleti in energia elettrica pulita, anziché lasciare che una potenziale fonte rinnovabile vada dispersa. La palestra del futuro diventa una piccola centrale elettrica e va nella direzione della autosufficienza energetica, grazie all’utilizzo dell’energia prodotta dal movimento dei propri utenti. Si calcola che ogni attrezzo, quando in movimento, sia in grado di produrre sufficiente energia per alimentare una lampada a basso consumo (20W); ciò significa che una palestra media, che dispone di 40 attrezzi, nell’ora di punta in cui sono tutti funzionanti risulta autosufficiente per quanto riguarda l’illuminazione. L’energia pulita prodotta da ogni attrezzo e messa in rete, comporta un risparmio di energia prodotta coi metodi convenzionali (combustibili fossili) e di conseguenza corrisponde ad una mancata emissione di C02: se il Technogym Green concept venisse applicato a tutte le attrezzature presenti al mondo si eviterebbe l’emissione di un quantitativo di C02 pari a quello prodotto da un’auto di media cilindrata che percorre 10.000 volte il giro del mondo. La linea Artis è già in vendita ed è stata inserita con successo in diversi centri fitness europei nelle città di Amsterdam, Berlino, Bristol, Londra e Madrid. Noi, insieme a Technogym, ci auguriamo che questo nuovo approccio al mondo del fitness possa rappresentare un trampolino di lancio per sfruttare al massimo ogni tipo di fonte rinnovabile a nostra disposizione. Sport e ambiente: sciare ecologico Tappeti energetici e skilift fotovoltaici Nelle ultime settimane il grande freddo è tornato a interessare la nostra penisola portando con sé abbondanti nevicate per la gioia dei moltissimi appassionati di sci e sport invernali. Impianti di risalita alimentati a energia solare, sci usati che diventano combustile, mezzi da neve di ultima generazione. Sono alcune strategie verdi messe in atto nelle stazioni sciistiche italiane e straniere per preservare gli ambienti naturali dall’inquinamento prodotto durante le stagioni invernali. Un risparmio, in termini di emissioni, che non solo aiuta a tutelare i paesaggi montani, ma è in grado anche di creare circoli virtuosi per la produzione di corrente elettrica. Quest’anno, l’ultima novità sulle piste, sono i tappeti energetici che trasformano i passi degli sciatori in energia pulita. Il tutto grazie a un progetto finanziato dalla Ue e chiamato «zone sciistiche climatiche alpine» che coinvolge la Svizzera e l’Italia. La finalità è chiara: favorire il rispetto am- bientale e ridurre le emissioni nocive generate dagli impianti. I primi tappeti energetici hanno fatto la loro comparsa nella Val d’Ega (Bz), in Alto Adige pochi chilometri nord di Bolzano. Quanti saliranno, infatti, sulla cabinovia Hubertus che collega la seggiovia Paolina con le piste fassane del Passo di Costalunga, in particolare la Prà di Tori, calpesteranno uno speciale manto che ricopre le piste capace di trasformare peso e passi in energia pulita. La risposta del pubblico è stata molto positiva con una sorta di gara messa in atto tra i due stabilimenti pilota del progetto ovvero la già citata Val d’Ega per l’Italia ed i monti di Arosa per la Svizzera. Ma il futuro green dello sci non si ferma qua. Infatti alcune località, come Tenna sulle Alpi Svizzere, stanno puntando decisamente sull’utilizzo dell’energia solare per i propri impianti di risalita. E proprio a Tenna, infatti è stato creato di recente il primo skilift green dotato di 82 pannelli fotovoltaici che ne assicurano il funzionamento. Infine in Francia, invece, hanno trovato il modo per riciclare gli sci dismessi. L’azienda francese TriValles fa la raccolta, separa le parti metalliche da quelle in plastica, e si occupa della rifusione oppure combustione per produrre calore. La speranza è che queste pratiche e progetti di maggiore rispetto ambientale si diffondano nel prossimo futuro per le principali località sciistiche. C.A. L AVORO E PREVIDENZA IL DIRIGENTE PUBBLICO Eleonora Ferrara L’articolo 2095 del codice civile – Categorie dei prestatori di lavoro –sancisce la distinzione dei lavoratori in quattro categorie: dirigenti, quadri, impiegati e operai. Inoltre, in ambito privatistico, la definizione di dirigente non è contenuta nella legge, bensì nella contrattazione collettiva delle diverse aree dirigenziali, in base alla quale il dirigente è visto come il soggetto investito di competenze e responsabilità decisionali relative all’intera azienda o ad una parte di essa. In effetti, nel settore privato, il dirigente è il più stretto collaboratore dell’imprenditore ed il rapporto che ne deriva è caratterizzato da un elevato grado di affidamento. Se l’articolo 2095 c.c. trova applicazione anche nell’ambito del lavoro pubblico, è importante sottolineare, al contempo, la specialità della disciplina contenuta, essenzialmente, nel decreto legislativo n. 165/2001, per quel che attiene, in modo particolare, alla dirigenza statale, affiancata da una serie di normative specifiche relative alla regolamentazione della dirigenza di altri settori della pubblica amministrazione, come, per esempio, la Sanità. Il ruolo dei dirigenti, quindi, istituito in ogni amministrazione, è articolato, ai sensi del decreto legislativo 165/2001, nella prima e nella seconda fascia. L’accesso alla seconda fascia dirigenziale si può conseguire o mediante concorso per esami, o grazie all’ammissione al corso-concorso selettivo di formazione, bandito dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione. Si può accedere, invece, alla qualifica di dirigente di prima fascia, mediante concorso per titoli ed esami, che deve essere bandito per il cinquanta per cento dei posti resisi disponibili, ogni anno, in seguito alla cessazione dal servizio dei dirigenti di ruolo. Viene stipulato, con il vincitore del concorso, un contratto di lavoro a tempo indeterminato, anche se la particolare connotazione del rapporto del dirigente pubblico, consiste nel fatto che, in tale contesto, le attribuzioni di incarichi ai dirigenti sono effettuate a tempo determinato. Il conferimento di incarico di funzione dirigenziale consegue ad una congerie di valutazioni, quali la natura e le caratteristiche degli obiettivi prefissati, la complessità della struttura interessata, le capacità professionali del singolo dirigente, i risultati raggiunti precedentemente nell’amministrazione di appartenenza con l’afferente valutazione, le specifiche competenze organizzative possedute e, infine, eventuali esperienze di direzione maturate anche all’estero, presso privati o altre pubbliche amministrazioni, sempre che siano attinenti all’incarico da rivestire. Infine, l’incarico viene conferito con un provvedimento unilaterale dell’amministrazione, con l’individuazione dell’oggetto dell’incarico, degli obiettivi da conseguire, della durata dello stesso che non può essere inferiore a tre anni né superare i cinque. Nell’ambito del contratto individuale, viene stabilito il corrispondente compenso. Gli incarichi possono essere rinnovati, previa verifica dei risultati conseguiti, per decisione dell’amministrazione. Viceversa, nel caso in cui non vengano raggiunti gli obiettivi, sussiste l’impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale. Viaggio nelle leggi ambientali DIRITTO ACCESSO INFORMAZIONE La sentenza del 19 dicembre 2013 in causa C 279/12 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea – Grande Sezione, delinea il perimetro di applicazione della disciplina in materia di accesso del pubblico all’informazione ambientale nei confronti di soggetti privatistici incaricati della gestione di servizi idrici. In particolare, la sentenza evidenzia come l’articolo 2, punto 2, lettera b), della direttiva 2003/4 dev’essere interpretata nel senso che una persona che rientra in tale disposizione costituisce un’autorità pubblica per quanto concerne tutte le informazioni ambientali da essa detenute. Società commerciali che possono costituire un’autorità pubblica ai sensi di detta direttiva soltanto nei limiti in cui, quando forniscono servizi pubblici nel settore ambientale, esse si trovino sotto il controllo di un organismo o di una persona evidenziate nella medesima direttiva, non sono tenute a fornire informazioni ambientali se è pacifico che queste ultime non riguardano la fornitura di tali servizi. ACQUA PUBBLICA Alla base della qualificazione di pubblicità di un'acqua, intesa come risorsa suscettibile di uso previsto o consentito c’è l'interesse generale, tale interesse è presupposto in linea di principio esistente in relazione alla limitatezza delle disponibilità e alle esigenze prioritarie, specie in una proiezione verso il futuro, di uso dell'acqua, suscettibile, anche potenzialmente, di utilizzazione collimante con gli interessi generali. La Legge 36/1994 ha accentuato lo spostamento del baricentro del sistema delle acque pubbliche verso il regime di utilizzo, piuttosto che sul regime di proprietà. TAR Puglia (Le), Sez. I, n. 2289, del 11 novembre 2013. SVILUPPO SOSTENIBILE E’ legittimo il rigetto dell'istanza volta ad ottenere l'autorizzazione unica ai sensi del d.lgs 387/2003 per la realizzazione e l'esercizio di impianto eolico di potenza pari a 43,7 MW, per mancanza delle relazioni geologica e geotecnica redatte secondo quanto previsto dall’art. 26 del D.P.R. 207/2010. Deve rimarcarsi che la verifica dei documenti presentati a corredo dell’istanza di autorizzazione unica è demandata agli uffici regionali proprio dalle disposizioni contenute nelle linee guida nazionali e regionali. L’art. 13 del D.M. 10.9.2010, recante l’elenco dei documenti da allegare all’istanza di A.U., va infatti letto in combinato disposto con il precedente art.6 (punto 1). Espressamente al punto 6.1 delle linee guida nazionali è contemplata la facoltà delle Regioni di prescrivere: “..documentazione da allegare all’istanza medesima, aggiuntiva a quella indicata al paragrafo 13. TAR Puglia (BA), Sez. I, n. 1508, del 7 novembre 2013. A.T. POVERTÀ, LADRA DEL NOSTRO FUTURO .... la prima cosa da insegnare è che la ricchezza è cosa buona DODICI MOTIVI PER CUI LA POVERTÀ È ILLEGALE Andrea Tafuro Tenetevi forte perché voglio iniziare il nuovo anno con il botto. Le vostre delicatissime orecchie saranno contaminate da un fastidioso suono composto da sette lettere: povertà. Innanzitutto, non è vero che si nasce poveri. Si può nascere poeti, ma non poveri. Poveri si diventa. Come si diventa avvocati, tecnici, preti. Dopo una trafila di studi, cioè. Dopo lunghe fatiche ed estenuanti esercizi. Questa della povertà, insomma, è una carriera. E per giunta tra le più complesse. Suppone un noviziato severo. Richiede un tirocinio difficile. Tanto difficile, che il Signore Gesù si è voluto riservare direttamente l’insegnamento di questa disciplina. La realtà sociale della quale siamo prigionieri ha fatto di più e meglio, ha costruito delle fabbriche dove sfornare la perfetta e efficiente povertà. Questi moderni stabilimenti sono luoghi di spazio sociale ben definiti benché diversi a seconda dei paesi e dei tempi, sono in funzione giorno e notte, i suoi lavoratori non scioperano mai e i sindacati nemmeno esistono. E’ un sistema industriale talmente efficiente, che per poter coprire tutti i segmenti di mercato, si sono sviluppate varie tipologie di fabbriche, così da produrre sempre nuovi poveri. Vediamole nel dettaglio, vi è: la fabbrica dell’inevitabilità della povertà, alimentata da un immaginario collettivo molto diffuso nel mondo costruito sulla naturalità della povertà, la troviamo spesso nei nostri vicini. C’è poi la fabbrica dell’ineguaglianza, che approvvigiona pratiche sociali e collettive quali il buonismo, il paternalismo, il caritatismo assistenziale, la politica dell’aiuto, ne ho vista a bizzeffe nelle sacre mura delle chiese questo Natale. Come non parlare della fabbrica dell’esclusione e dell’ingiustizia, il cui consiglio di amministrazione è composta dalla triade: capitale, impresa, mercato, che legittimizza l’impoverimento sacralizzando il valore assoluto della ricchezza privata, c’è chi accumula capitale e se la gode con il reddito che esso genera e… dà gli spiccioli ai mendicanti. In ultimo la migliore: la fabbrica della predazione della vita il cui motore principale è la finanziarizzazione dell'economia: la ricerca senza limiti dei capital gains ha fatto sì che valori quali l'integrità morale, la relazionalità, la fiducia venissero accantonati. La crescita è stata fatta sul debito. Abbiamo assistito alla fine dell'unitarietà della persona, noi esseri umani siamo stati frazionati in lavoratori/consumatori. Con la finanziarizzazione dell'economia il lavoratore ha lasciato il posto allo speculatore per poter essere un migliore consumatore. Allora con forza, domandiamo che l’Assemblea Generale dell’ONU, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, approvi nel 2018, 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, una risoluzione nella quale si proclami l’illegalità di quelle leggi, istituzioni e pratiche sociali collettive che sono all’origine e alimentano la povertà nel mondo. Partecipa al dibattito inviando un commento all’indirizzo: comunicazione@arpacampania.it 1. Nessuno nasce povero né sceglie di esserlo. Tutti noi nascendo riceviamo la vita, è lo stato della società nella quale nasciamo che ci fa poveri o ricchi. 2. Poveri si diventa. La povertà è una costruzione sociale. La povertà non è un fatto di natura come la pioggia, è un fenomeno sociale, costruito e prodotto dalle società umane. Le società scandinave degli anni ’60-’80 sono riuscite a far sparire i processi strutturali d’impoverimento e a ridurre i processi d’esclusione ad ambiti molto limitati di povertà materiale. 3. Non è la società povera che produce povertà. La povertà, non solo materiale, si è nuovamente sviluppata dalla seconda metà degli anni ’90, perché le classi dirigenti hanno cambiato la loro visione del mondo ed operato scelte diverse da quelle del passato. 4. L’esclusione produce l’impoverimento. L’esclusione riguarda sia l’accesso economico e sociale ai beni e ai servizi necessari ed indispensabili ad una vita degna e dignitosa, sia l’accesso alle condizioni e alle forme di cittadinanza civile, politica e sociale odierna. L’esclusione tocca l’insieme della condizione umana. 5. In quanto processo strutturale, l’impoverimento è collettivo. Esso non riguarda solo una persona ma i nuclei familiari, intere popolazioni come gli immigrati, i nomadi… e categorie sociali particolari come lavoratori precari, contadini, anziani... 6. L’impoverimento è figlio di una società che non crede nei diritti di vita e di cittadinanza per tutti né nella responsabilità politica collettiva per garantire tali diritti a tutti gli abitanti della Terra. I nostri governanti non credono nell’esistenza dei diritti umani di vita e di cittadinanza universali, indivisibili e imprescrittibili. Se sono obbligati dalle leggi a rispettarli, per esempio le Costituzioni, essi credono che non siano fruibili per tutti. Inoltre, negli ultimi decenni, sono riusciti ad imporre che l’accesso ai diritti umani e sociali deve essere pagante, è il caso del diritto all’acqua o della salute di base. 7. I processi d’impoverimento avvengono in società ingiuste. Le società ingiuste sono negatrici dell’universalità, dell’indivisibilità e dell’imprescrittibilità dei diritti di vita e di cittadinanza e, quindi, negatrici dell’uguaglianza di tutti gli abitanti del Pianeta di fronte ai diritti. Queste società credono che l’accesso economico e sociale ai beni e servizi necessari e indispensabili alla vita sia una questione di iniziativa personale o di gruppo e di merito individuale. 8. La lotta contro la povertà (l’impoverimento) è anzitutto la lotta contro la ricchezza inuguale, ingiusta e predatrice (l’arricchimento).C’è impoverimento perché c’è arricchimento. I processi d’impoverimento avvengono perché nelle società ingiuste prevalgono i processi di arricchimento inuguale, ingiusto e predatorio. 9. “Il pianeta degli impoveriti“ è diventato sempre più popoloso a seguito dell’erosione e della mercificazione dei beni comuni perpetrate a partire dagli anni ’70. I gruppi dominanti hanno dato sempre di più valore unicamente alla ricchezza individuale. Essi hanno cancellato nell’immaginario dei popoli la cultura della ricchezza collettiva, in particolare dei beni comuni pubblici. 10. Le politiche di riduzione e di eliminazione della povertà perseguite negli ultimi quaranta anni sono fallite perché si sono attaccate ai sintomi (misure curative) e non alle cause (misure risolutive). A causa del perseguimento di politiche economiche e sociali aventi obiettivi antitetici rispetto a quelli anti-povertà, si sono tradotte in politiche contro i poveri. Da qui i fenomeni di criminalizzazione dei poveri. 11. La povertà è oggi una delle forme più avanzate di schiavitù perché basata su un “furto di umanità e di futuro”. La schiavitù moderna, è un furto di umanità perpetrato nei confronti di miliardi di esseri umani esclusi dalla cittadinanza, ai quali per conseguenza si è anche rubato il futuro. 12. Per liberare la società dall’impoverimento bisogna mettere “fuori legge” le leggi, le istituzioni e le pratiche sociali collettive che generano ed alimentano i processi d’impoverimento. È possibile uscire dalla povertà e liberare la società dall’impoverimento, mettendo fuori legge quelle disposizioni legislative e misure amministrative, quelle istituzioni e quelle pratiche sociali collettive che, ai livelli decisivi locali, nazionali e mondiali, costituiscono gli agenti di alimentazione e di crescita dei processi di ricchezza inuguale, ingiusta e predatrice. Foto di Fabiana Liguori 11.01.2014 – Visita guidata con l’associazione “VIVIquartiere” al Cimitero delle Fontanelle nel rione Sanità di Napoli Dal camposantiello delle capuzzelle, voci narranti evocano storie, personaggi, riti e leggende legate al “refrisco” delle “anime do priatorio”
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