ALIMENTA ESD COMMENTARIO TECNICO-GIURIDICO DELLA PRODUZIONE AGRO-ALIMENTARE N. 10 Anno XXII Ottobre 2014 SOMMARIO Mensile LIEVITO E "LIEVITO NATURALE" Mistificazione di termini, degenerazione di un’arte V. Silano (199) Nuovi strumenti per la tutela dei consumatori dagli effetti avversi degli allergeni presenti negli alimenti L. Guidarelli (203) Steroli e stanoli vegetali: aspetti regolatori relativi al mantenimento o riduzione dei livelli di colesterolo M. Vitagliano, S. Germani, C. Mucciolo (206) Stabilità ossidativa nella carne suina addizionata con aroma naturale di oliva (Phenolea® Complex Plus) F. Aversano, P.M. Meregalli (209) Riflessioni sull'impiego di prodotti DOP e IGP come ingredienti: tra evocazione, rischio e utilità Giurisprudenza (217) TAR Lazio sent. n. 6699/2014 – Ric. Giuliani Spa contro AGCM - Linee prodotti "Gusto senza zuccheri" e "Gusto Diabel" - Indicazioni nutrizionali - Edulcorante utilizzato - Provvedimento parzialmente annullato "Lievito madre vivo", "Vero lievito madre", "Lievito naturale attivo", "Coadiuvante a base di lievito naturale", "Lievito naturale vivo", "Semilavorato a base di lievito naturale" sono le fantasiose denominazioni falsamente intese come sinonimi di "Pasta madre", "Pậte à levure, "Sour dough", "Hefeteig", "Masa madre". A conferma che le menzogne ripetute diventano verità, questa pletora di "preparati" ha invaso il campo della produzione panaria e dolciaria da forno (sia artigianale che industriale) con una disinvolta strategia di marketing. Giocano a favore di essi alcuni fattori il primo dei quali è certamente l’"opportunità" di qualificare i prodotti come ottenuti da ortodossa fermentazione panaria ancorché a tempi di lievitazione ridotti. E’ il paradosso che vede l’artigiano enfatizzare la qualità delle sue produzioni delegando la propria professionalità a terzi e l’industria nascondere la sua funzione dietro la maschera dell’artigianalità (ormai surrettiziamente associata al mito del "naturale"). Il secondo fattore a favore di questa mistificazione è la carenza legislativa costretti come siamo a trovare un brandello di norma nel vetusto DPR 502/98 che all’art. 8 cita il "lievito" e la "crema di lievito" condizionandone l’impiego ad un "adeguato potere fermentativo". Una norma spuria che conforma l’"adeguato" all’indeterminato (inammissibile in materia tecnica dove le cifre limite contano, eccome!). Criticità questa non mitigata neppure dall’art. 3 dello stesso DPR 502/98 che, trattando delle "aggiunte", cita la "paste acide essiccate purché prodotte esclusivamente con gli ingredienti previsti dagli artt. 14 (sfarinati di grano, acqua e lievito) e 21 ("farine alimentari"- non meglio precisate - anche se miscelate con sfarinati di grano) della L. 4.7.67 n. 580". (segue) a cura di Istituto Bromatologico Italiano Direttore responsabile: Antonio Neri ASSOCIATO Unione Stampa Periodica Italiana In modo fortunoso, secondo l’italico costume che usa i decreti per legiferare, il richiamo alla "fermentazione naturale" lo troviamo nel Decreto 22.7.05 dell’allora Ministero Attività Produttive ("Disciplina della produzione e vendita di taluni prodotti dolciari da forno") che riserva la denominazione di "Panettone", "Pandoro" e "Colomba" ai prodotti "ottenuti per fermentazione naturale da pasta acida". E’ questo uno dei rarissimi punti di connessione tecnico-giuridica fra "fermentazione naturale" e "pasta acida". Gli altri riguardano la I.G.P. "Coppia ferrarese" e la DOP "Pane di Altamura". Punto fermo ed insuperabile a conferma dell’illegittimità dei "preparati" in discorso dato si che gli stessi evitano di qualificarsi "pasta acida" (neppure "essiccata") per assoluta carenza di attività fermentativa come dimostrato da una serie di tests che l’hanno confermata pari a zero. Necessario dunque mettere ordine. La legislazione francese rappresenta un buon modello perché "rispettosa dell'eccellenza della tradizione della sua boulangerie. Con la denominazione comune di "agenti della fermentazione alcolica panaria" si fa distinzione fra "levure de panification (Saccharomyces cerevisiae)" e "levain" attribuendo a quest'ultimo la nozione di "pasta acida" costituta da un impasto di frumento e/o di segale e sottoposta a fermentazione spontanea acidificante. Deve essere caratterizzata da una microflora costituita essenzialmente da batteri lattici e lieviti. Può essere disidratata alla condizione di una flora batterica vitale di un miliardo e da uno a dieci milioni di lieviti per grammo. La denominazione di "pain au levain" è riservata ai pani ottenuti con questa "pasta acida". In Italia tutti gli esperti concordano sulla materia e tuttavia non si manifesta interesse alcuno (neppure da parte dei produttori di lievito da Saccharomyces cerevisiae) ad aggiornare una norma tanto sclerotica quanto sibillina. Chiusa con questa mesta conclusione la discussione sui "preparati" incertae sedis tecnico-legale, occorre aprirne un’altra che reputo conseguente. Mi riferisco all’ormai imminente applicazione del Reg. 1169/2011 ALIMENTA vol. XXII n. 10/14 sull’informazione dei consumatori che con il Capo III ("Requisiti generali relativi all’informazione sugli alimenti e responsabilità degli operatori del settore alimentare") opportunamente accomuna l’art. 7 ("Pratiche leali di informazione") all’art. 8 ("Responsabilità") il cui comma 1 contiene la nozione di "operatore responsabile delle informazioni" associata al soggetto sotto il cui nome o ragione sociale è "commercializzato" il prodotto con l’indicazione obbligatoria del nome e indirizzo (art. 9 lett. h). Quindi che si tratti di prodotto a marchio del produttore o a marchio del distributore (la cosidetta "private label") non fa differenza. E dunque, per riprendere e concludere sul caso che qui ci interessa, non rientra certo fra le pratiche leali d’informazione l’indicazione del "lievito madre" o del "lievito naturale" fra gli ingredienti del prodotto finito. Tanto più quando in etichetta si enfatizzi il ruolo di una "naturalità" conseguente al loro utilizzo. Sono molteplici le ipotesi di induzione in errore previste dall’art. 7 del regolamento fra le quali emerge una di particolare rilevanza alla lettera d) che consiste anche nel semplice suggerimento della presenza di un "ingrediente" di fatto naturalmente presente o normalmente utilizzato sostituito con un diverso ingrediente. Lo spot televisivo fa il resto, fa volume intorno ad una realtà truccata. Per finire. La materia è dotata di una tale specificità da ritenersi difficilmente compresa nel bagaglio professionale del nostro pluricefalo apparato controllore. Pur riconoscendo la solerzia con cui gli enti che ne fanno parte perseguono i loro scopi istituzionali (in diretta proporzione all’animo concorrenziale che li stimola) è da dubitare che alcuno di questi riesca a collegare il caso con la norma. E questo certamente è un altro vantaggio a favore del tranquillo utilizzo dei "preparati" in questione. O vogliamo che sia ancora e sempre la AGCM ad occuparsene? Antonio Neri 198 NUOVI STRUMENTI PER LA TUTELA DEI CONSUMATORI DAGLI EFFETTI AVVERSI DEGLI ALLERGENI PRESENTI NEGLI ALIMENTI Vittorio Silano, II Università di Roma, Tor Vergata I. Allergie ed intolleranze alimentari I sintomi delle allergie alimentari IgE-mediate derivano da reazioni del sistema immunitario nei confronti di un particolare alimento (ad esempio latte vaccino, uova, arachidi, crostacei, frutta secca e soia) e si manifestano, in genere, dopo breve tempo dall’ingestione, mentre quelli delle intolleranze alimentari sono il risultato di reazioni negative dell’organismo che dipendono da difficoltà dell’organismo a digerire o metabolizzare un alimento (ad esempio lattosio) o da reazioni immuni non IgE-mediate (ad esempio glutine) e possono comparire anche a distanza di tempo dal consumo dell’alimento responsabile. La sintomatologia associata alle intolleranze alimentari è piuttosto variabile; generalmente si riscontrano sintomi prettamente intestinali (ad es. dolori addominali, diarrea, vomito e perdita di sangue con le feci), ma possono essere colpiti anche altri organi. Le allergie, invece, essendo scatenate da meccanismi immunologici IgE-dipendenti, possono manifestarsi anche senza sintomi intestinali. La sintomatologia legata alle intolleranze può in alcuni casi divenire cronica. I più comuni sintomi delle reazioni allergiche, anche se non si manifestano in genere tutti in ogni singolo episodio, sono ; (i) gola e lingua secca ed irritata; (ii) cute affetta da prurito ed esantemi; (iii) nausea e senso di pienezza (gonfiore); (iv) diarrea e/o vomito; (v) respiro affannoso e corto ; (vi) rigonfiamento delle labbra della gola; (vii) tosse; (viii) naso che cola o bloccato; e (ix) occhi doloranti, rosso ed irritati. Le allergie possono avere anche complicanze gravi, fino allo shock anafilattico che, ove non adeguatamente trattato, può essere associato anche a quantità molto piccole di allergeni. Per fortuna, reazioni allergiche molto gravi sono piuttosto rare nell’UE. Per quanti sono suscettibili alle allergie o alle intolleranze alimentari, è assolutamente fondamentale ricevere adeguate informazioni sulla natura degli ingredienti allergenici presenti negli alimenti , tenendo anche conto di possibili allergeni che possano essere presenti nel cibo come contaminanti. Per quanto il problema principale è, ovviamente, relativo agli ingredienti allergenici usati intenzionalmente, è importante essere consapevoli che anche la contaminazione di un alimento con un allergene può essere molto rischioso per consumatori che sono soffrono di allergie. Entrambe le due citate tipologie di reazioni avverse al cibo (allergie ed intolleranze alimentari) derivano da una particolare predisposizione, in genere con una componente genetica, delle persone sensibili (che rappresentano circa il 3-4% degli adulti ed il 7-8% dei bambini della popolazione dell’Unione Europea) a particolari sostanze, in genere proteine, presenti in ALIMENTA vol. XXI n. 10/14 particolari alimenti/ingredienti. Ad esempio, si ritiene che ogni anno in uno Stato come il Regno Unito circa 10 persone muoiano per reazioni allergiche agli alimenti anche se i dati reali sono probabilmente più elevati e molte più persone sono trattate in ospedale. Inoltre, la sola incidenza dell’intolleranza alimentare, denominata "malattia celiaca", è stimata in Italia essere pari a 1 su 85 persone. E’, quindi, evidente che l'incidenza delle allergie/intolleranze alimentari è tale che esse condizionano la vita di numerose persone, provocando malattie di cui alcune sono benigne, ma altre possono anche rivelarsi molto gravi. Per difendersi dai sintomi associati ad allergie ed intolleranze alimentari è, quindi, in primo luogo indispensabile per chiunque ritenga di essere a rischio consultare il proprio medico al fine di rendere possibile l’ individuazione (diagnosi) puntuale del particolare alimento/ingrediente coinvolto in specifici alimenti mediante adeguati approcci diagnostici. Successivamente alla diagnosi di allergia od intolleranza ad un particolare alimento/ingrediente alimentare (allergene), la difesa dai sintomi citati è possibile escludendo del tutto e, nella maggior parte dei casi, per tutta la vita dalla propria alimentazione l’alimento/ingrediente ritenuto responsabile. Un aspetto che complica notevolmente l’eliminazione di particolari allergeni dalla dieta di persone suscettibili deriva dalla ampia diffusione degli allergeni alimentari nella formulazione di una grande varietà di alimenti trasformati. II. Nuovi obblighi di informazione dei consumatori in materia della presenza di allergeni negli alimenti Quanto premesso nella Sezione I indica l’ importanza per la tutela della salute dei consumatori la conoscenza degli allergeni presenti negli alimenti. Alcuni obblighi di informazione nel merito sono già previsti nella normativa attuale, ma notevoli miglioramenti sono previsti in questo settore a partire del prossimo 13 dicembre 2014 data a partire dalla quale troveranno applicazione nuovi importanti obblighi a carico degli operatori della catena alimentare in materia di informazione dei consumatori in relazione agli allergeni presenti nei prodotti alimentari . Il Regolamento (UE) 1169/2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, esplicherà i suoi effetti a decorrere dal 13 dicembre 2014 apportando modifiche sostanziali all’attuale disciplina relativa a questo settore, che comporteranno notevoli benefici per la tutela della salute dei consumatori ed imporranno ulteriori obblighi agli operatori della catena alimentare destinatari di questa disciplina . Uno dei più importanti nuovi adempimenti previsti è quello recato dall’articolo 9 199 relativo all’elenco delle indicazioni obbligatorie che sancisce l’obbligatorietà, fra l’altro, dell’indicazione concernente "qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico elencato nell’allegato II o derivato da una sostanza o un prodotto elencato in detto allegato che provochi allergie o intolleranze usato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma alterata". ALLEGATO II AL REG. (UE) 1169/2011 - SOSTANZE O PRODOTTI CHE PROVOCANO ALLERGIE O INTOLLERANZE ALIMENTARI 1. Cereali contenenti glutine, cioè: grano, segale, orzo, avena, farro, kamut o i loro ceppi ibridati e prodotti derivati, tranne: a) sciroppi di glucosio a base di grano, incluso destrosio ( 1 ); b) maltodestrine a base di grano ( 1 ); c) sciroppi di glucosio a base di orzo; d) cereali utilizzati per la fabbricazione di distillati alcolici, incluso l’alcol etilico di origine agricola. 2. Crostacei e prodotti a base di crostacei. 3. Uova e prodotti a base di uova. 4. Pesce e prodotti a base di pesce, tranne: a) gelatina di pesce utilizzata come supporto per preparati di vitamine o carotenoidi; b) gelatina o colla di pesce utilizzata come chiarificante nella birra e nel vino. 5. Arachidi e prodotti a base di arachidi. 6. Soia e prodotti a base di soia, tranne: a) olio e grasso di soia raffinato (1); b) tocoferoli misti naturali (E306), tocoferolo D-alfa naturale, tocoferolo acetato D-alfa naturale, tocoferolo succinato D-alfa naturale a base di soia; c) oli vegetali derivati da fitosteroli e fitosteroli esteri a base di soia; d) estere di stanolo vegetale prodotto da steroli di olio vegetale a base di soia. 7. Latte e prodotti a base di latte (incluso lattosio), tranne: a) siero di latte utilizzato per la fabbricazione di distillati alcolici, incluso l’alcol etilico di origine agricola; b) lattitolo. 8. Frutta a guscio, vale a dire: mandorle (Amygdalus communis L.), nocciole (Corylus avellana), noci (Juglans regia), noci di acagiù (Anacardium occidentale), noci di pecan [Carya illinoinensis (Wangenh.) K. Koch], noci del Brasile (Bertholletia excelsa), pistacchi (Pistacia vera), noci macadamia o noci del Queensland (Macadamia ternifolia), e i loro prodotti, tranne per la frutta a guscio utilizzata per la fabbricazione di distillati alcolici, incluso l’alcol etilico di origine agricola. 9. Sedano e prodotti a base di sedano. 10. Senape e prodotti a base di senape. 11. Semi di sesamo e prodotti a base di semi di sesamo. 12. Anidride solforosa e solfiti in concentrazioni superiori a 10 mg/kg o 10 mg/litro in termini di anidride solforosa totale da calcolarsi per i prodotti così come proposti pronti al consumo o ricostituiti conformemente alle istruzioni dei fabbricanti. 13. Lupini e prodotti a base di lupini. 14. Molluschi e prodotti a base di molluschi. (1) e i prodotti derivati, nella misura in cui la trasformazione che hanno subito non è suscettibile di elevare il livello di allergenicità valutato dall’Autorità per il prodotto di base da cui sono derivati. III. La disciplina relativa all'indicazione degli allergeni in materia di prodotti pre-confezionati (o pre-imballati): le informazioni in materia di allergeni sugli alimenti sono apposte in un punto evidente in modo da essere facilmente visibili, chiaramente leggibili ed eventualmente indelebili in una lingua ALIMENTA vol. XXI n. 10/14 facilmente comprensibile da parte dei consumatori degli Stati membri nei quali l’alimento è commercializzato. Esse non sono in alcun modo nascoste, oscurate, limitate o separate da altre indicazioni scritte o grafiche o altri elementi suscettibili di interferire (art.13* e art.15*); le informazioni in materia di allergeni che appaiono sull’imballaggio o sul-l’etichetta ad esso 200 apposta sono stampate in modo da assicurare chiara leggibilità, in caratteri la cui parte mediana (altezza della "x") è pari o superiore a 1,2 mm. Nel caso di imballaggi o contenitori la cui superficie maggiore misura meno di 80 cm2, l’altezza della "x" della dimensione dei caratteri è pari o superiore a 0,9 mm. Queste indicazioni sono obbligatorie sull’imballaggio o sull’etichetta anche nel caso di imballaggi o contenitori la cui superficie maggiore misura meno di 10 cm2 (art. 13* e art. 16*); l’identificazione degli allergeni avviene per inclusione nell’elenco degli ingredienti che reca un’intestazione o è preceduto da un’adeguata indicazione che consiste nella parola «ingredienti» o la comprende. L’elenco comprende tutti gli ingredienti dell’alimento, in ordine decrescente di peso, così come registrati al momento del loro uso nella fabbricazione dell’alimento (Art. 18*). La menzione in detto elenco è da farsi, conformemente alle disposizioni stabilite all’articolo 18*, paragrafo 1, con un riferimento chiaro alla denominazione della sostanza o del prodotto figurante nell’elenco dell’allegato II (art. 21*). Inoltre, la denominazione della sostanza o del prodotto figurante nell’allegato II è evidenziata attraverso un tipo di carattere chiaramente distinto dagli altri ingredienti elencati, per esempio per dimensioni, stile o colore di sfondo (art.21*). Quando più ingredienti o coadiuvanti tecnologici di un alimento provengono da un’unica sostanza o da un unico prodotto figurante nell’elenco dell’allegato II, ciò è precisato nell’etichettatura per ciascun ingrediente o coadiuvante tecnologico in questione; in mancanza di un elenco degli ingredienti (vedere ance l’art.19), le indicazioni relative agli allergeni includono il termine «contiene» seguito dalla denominazione della sostanza o del prodotto figurante nell’elenco dell’allegato II; e per gli alimenti pre-confezionati (o pre-imballati) messi in vendita mediante tecniche di comunicazione a distanza (art. 14*) le informazioni obbligatorie sugli alimenti sono disponibili prima della conclusione dell’acquisto e appaiono sul sup-porto della vendita a distanza o sono fornite mediante qualunque altro mezzo adeguato chiaramente individuato dall’operatore del settore alimenta re. Tutte le indicazioni obbligatorie devono essere disponibili al momento della consegna. IV. La disciplina relativa all'indicazione degli allergeni in materia di prodotti non pre-confezionati (o non pre-imballati): Ove gli alimenti siano offerti in vendita al consumatore finale o alle collettività senza preimballaggio oppure siano confezionati o imballati sui luoghi di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per la vendita diretta (art. 44*), la fornitura delle indicazioni in materia di allergeni è obbligatoria. ALIMENTA vol. XXI n. 10/14 Nel caso di alimenti non preimballati messi in vendita mediante tecniche di comunicazione a distanza, le indicazioni richieste a norma dell’articolo 44 sono rese disponibili ai sensi del paragrafo 1 dell’art.14 del Regolamento (UE) 1169/2011. Gli Stati membri possono adottare disposizioni nazionali concernenti i mezzi con i quali le indicazioni o loro elementi devono essere resi disponibili e, eventualmente, la loro forma di espressione e presentazione e sono tenuti a comunicare immediatamente alla Commissione il testo delle disposizioni eventualmente adottate. V. Responsabilità degli operatori in caso di prodotti pre-confezionati (o pre-imballati): Sulla base dell'art. 8 del Regolamento UE. 1169/2011, l'operatore il cui nome o la cui ragione sociale appare sull'etichetta di prodotti preconfezionati è responsabile in caso di omessa indicazione dell'allergene nell'elenco degli ingredienti, come pure in caso di mancata evidenziazione dell'allergene qualora lo stesso sia riportato nell'elenco. In questo secondo caso, anche il distributore del prodotto la cui etichetta non evidenzia l'allergene diventa responsabile ai sensi del par. 3 dell'art. 8 del Regolamento UE. 1169/2011. VI. Responsabilità degli operatori in caso di prodotti non pre-confezionati (o non pre-imballati): Nel caso di commercializzazione dei prodotti non preconfezionati (o non pre-imballati), essendo obbligatoria l'indicazione come pure l'evidenziazione degli allergeni, gli operatori che immettono i prodotti in consumo sono responsabili per le eventuali omissioni. VII. Sanzioni Tutte le violazioni riguardanti la mancata indicazione degli allergeni o la omessa evidenziazione dei medesimi, sono assoggettate alla sanzione prevista dall'art. 18 del Decreto legislativo n. 109/1992. Tuttavia, si deve rilevare che questa normativa è attualmente in fase di revisione attraverso un apposito decreto legislativo proprio al fine dell’adeguamento alle prescrizioni del Reg. (UE) 1169/2011. VIII. Conclusioni Le innovazioni recate dal Regolamento (EU) No 1169/2011 rivestono grande importanze per la tutela della salute dei consumatori. Esse sono fortemente innovative specialmente per quanto riguarda le informazioni sulla presenza di allergeni che devono essere fornite in materia di alimenti nonpreconfezionati, ivi inclusi quelli venduti negli esercizi commerciali o serviti nei ristoranti od altri esercizi similari . Le informazioni sugli allergeni devono essere fornite in forma scritta, a meno che gli Stati membri non decidano diversamente. Infatti, il Regolamento citato prevede che gli Stati membri possano adottare nel merito una normativa nazionale da notificare alla Commissione Europea secondo la procedura usuale per definire gli strumenti attraverso i quali l’informazione in materia di allergeni deve essere resa disponibile In questo rispetto, le misure nazionali possono prevedere che la dettagliata informazione da fornire in materia di 201 allergeni in alimenti non pre-confezionati possa anche essere data, su richiesta del consumatore, purchè l’operatore della catena alimentare indichi in un posto adeguato e facilmente visibile ed in maniera chiaramente leggibile, e, se del caso, indelebile, il fatto che tale informazione potrà essere ottenuta su richiesta. Risulta che un gran numero di Stati membri stiano lavorando all’elaborazione delle normative nazionali. Vale rilevare in questo contesto il fatto che la Commissione Europea ha pubblicato un apposito Documento contenente "Domande e Risposte" nel merito dell’applicazione delle prescrizioni del Regolamento (UE)1160/2011 che risulta accessibile sul seguente sito web http://ec.europa.eu/food/ food/labellingnutrition/food labelling/docs/qanda_ application_reg1169-2011 _en.pdf Considerando la grande varietà degli esercizi alimentari destinatari di questa norma , è evidente che pervenire alla soddisfacente applicazione della normativa in questione non sarà facile e che essa rappresenta un onere non trascurabile specialmente per gli esercizi più piccoli, segnatamente per garantire un'adeguata formazione sulla corretta applicazione della norma. In ogni caso, contrastare al meglio le gravi conseguenze per la salute dei consumatori derivanti dalle allergie/intolleranze alimentari è evidentemente un importante obiettivo sociale e di civica solidarietà. In questo ambito, ovviamente, sia le associazioni dei consumatori che quelle del commercio e della somministrazione degli alimenti possono svolgere un ruolo molto positivo. (*) Tranne il riferimento normativo di cui nella Sezione VII, tutti gli altri riferimenti ad articoli nella presente nota si riferiscono al Reg.(UE) 1169/2011 * * * MASTER UNIVERSITARIO DI II LIVELLO IN DIRITTO ALIMENTARE Università degli Studi della Tuscia Dipartimento DISTU Anno Accademico 2014-2015 Il Master di II Livello in "DIRITTO ALIMENTARE" è istituito dall’Università della Tuscia con l’Università CAMPUS BIOMEDICO di Roma, ed in cooperazione con il Mipaaf – Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, e con il NAF - Nucleo Agroalimentare Forestale del Corpo Forestale dello Stato. Il Master sviluppa l’analisi e lo studio del DIRITTO ALIMENTARE nella sua dimensione multilivello, comprensiva della normativa di fonte nazionale, regionale, UE, ed internazionale, nonché delle normative tecniche e di fonte volontaria, tenendo conto delle peculiarità che caratterizzano i contesti organizzativi pubblici e privati. Per la sua articolazione il Master è particolarmente indirizzato a favorire l’alta formazione di chi già lavora, o intende lavorare, nella filiera agro-alimentare, sia nel settore pubblico che in quello privato, con compiti di gestione e/o consulenza ovvero con compiti di controllo, verifica o certificazione. Il Corso comprende, per il 25% dell’impegno didattico, anche moduli dedicati all’acquisizione dello strumentario di conoscenze scientifiche di base indispensabili per la corretta applicazione delle disposizioni in materia da parte degli operatori giuridici pubblici e privati, nonché all’acquisizione di conoscenze relative alla commercializzazione e marketing dei prodotti. Il percorso formativo tiene altresì conto delle nuove linee disciplinari emergenti, con l’analisi e l’approfondimento delle proposte di riforma attualmente in discussione in sede nazionale, europea ed internazionale. Coordinatore del Master: Prof. Ferdinando Albisinni albisinni@unitus.it Segreteria: Dott. Barbara Angelino bangelino@unitus.it Il bando è pubblicato in http://www.aida-ifla.it/images/Bando_Master_DA.pdf La domanda di ammissione è pubblicata in http://www.aida-ifla.it/images/Domanda_Ammissione_Master_DA.pdf ALIMENTA vol. XXI n. 10/14 202 STEROLI E STANOLI VEGETALI: ASPETTI REGOLATORI RELATIVI AL MANTENIMENTO O RIDUZIONE DEI LIVELLI DI COLESTEROLO Lucia Guidarelli – collaboratore DGISAN Ministero Salute Steroli/stanoli nell’alimentazione. Gli steroli e stanoli vegetali sono composti presenti in natura, con una struttura simile a quella del colesterolo; gli steroli si trovano in piccole quantità in alimenti quali frutta, verdure, noci, legumi, semi, oli vegetali e sono componenti essenziali delle membrane cellulari dei vegetali. Negli stessi alimenti si trovano tracce di stanoli, che possono essere prodotti per idrogenazione degli steroli per uso commerciale. Con una dieta mediamente varia, i consumi di steroli e stanoli sono piuttosto bassi ed una loro azione come blocco dell’assorbimento nell’intestino del colesterolo si può considerare insignificante. Molti studi clinici hanno dimostrato che steroli e stanoli vegetali abbassano il colesterolo totale e il colesterolo LDL, realizzando un effetto che potrebbe aggiungersi a quello ottenuto con vere strategie di tipo terapeutico. Alla luce di tale evidenza, si sono ampiamente diffusi sul mercato i prodotti alimentari addizionati con tali composti. Prime disposizioni di etichettatura obbligatoria Con il Reg. 608/2004 la Commissione europea ha dato indicazioni di etichettatura di prodotti e ingredienti alimentari addizionati di fitosteroli, esteri di fitosterolo, fitostanoli e/o esteri di fitostanolo. E’ stato consultato, all’epoca, il Comitato scientifico per l’alimentazione umana sugli effetti del consumo di tali composti, che riducono i livelli sierici del colesterolo, ma possono anche ridurre i livelli di beta-carotene. Non sono emerse prove di maggiori benefici con un’assunzione superiore ai 3 grammi, anzi un’assunzione elevata potrebbe causare effetti indesiderati ed è prudente pertanto evitare di superare i 3 g/die. Il Reg. 608/2004 fa riferimento alla Decisione della Commissione 2000/500/CE, che autorizza l’immissione sul mercato di "margarine spalmabili addizionate di esteri di fitosterolo" in qualità di nuovi prodotti o nuovi ingredienti alimentari ai sensi del Reg. 258/1997. E’ necessario specificare in etichetta che il prodotto è destinato esclusivamente alle persone che intendono ridurre i livelli di colesterolo nel sangue, che chi è già in trattamento ipocolesterolizzante deve consultare il medico; il prodotto potrebbe risultare inadeguato dal punto di vista nutrizionale per donne in gravidanza, donne che allattano e bambini sotto i 5 anni; l’assunzione deve essere nel quadro di una dieta varia e bilanciata, con consumo regolare di frutta e verdura, così da contribuire a mantenere i livelli di carotenoidi. Nello stesso campo visivo in cui è precisato il consumatore target del prodotto (chi intende ridurre i livelli di colesterolo nel sangue), va indicato di evitare il consumo di oltre 3 g/die di steroli /stanoli aggiunti. ALIMENTA vol. XXI n. 10/14 Il Regolamento (UE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti nell’Allegato III (alimenti la cui etichettatura deve comprendere una o più indicazioni complementari) riserva il punto 5 a "Alimenti con aggiunta di fitosteroli, esteri di fitosterolo, fitostanoli o esteri di fitostanolo". Nella impostazione generale del Regolamento 1169/2011, volta alla semplificazione delle complesse norme di etichettatura, vengono riprese nel citato Allegato le indicazioni complementari da riportare in etichetta, mutuate dal Reg.608/2004. Quest’ultimo, al pari di altre disposizioni comunitarie di settore, sarà abrogato con l’entrata in vigore del Reg. 1169/2011, il 13 dicembre 2014, come modificato dal Reg. delegato 78/2014. Etichettatura a carattere volontario Nel contesto del Reg. 1924/2006 (claims), il primo provvedimento che include gli steroli è il Reg. 983/2009 relativo all’autorizzazione e al rifiuto di autorizzazione di talune indicazioni sulla salute fornite sui prodotti alimentari e facenti riferimento alla riduzione del rischio di malattia e allo sviluppo e alla salute dei bambini. Si tratta di un’autorizzazione ai sensi dell’art.14 paragrafo 1 lettera a) del Reg. claims e le sostanze a cui ci si riferisce sono: steroli vegetali: steroli estratti da piante, liberi o esterificati con acidi grassi alimentari; esteri di fitostanoli. Viene riconosciuta ad entrambe le categorie la capacità di ridurre il colesterolo nel sangue; l’importanza di tale azione è riconducibile al fatto che l’ipercolesterolemia costituisce un fattore di rischio per le cardiopatie coronariche. Tra le condizioni d’uso del claim, è inserita l’informazione per il consumatore "che l’effetto benefico si ottiene con l’assunzione quotidiana di almeno 2 g di steroli vegetali o di esteri di fitostanolo". La proposta del richiedente (McNeil Nutritional) nel caso dell’effetto degli esteri di fitostanoli sulla colesterolemia, e quindi sul rischio di cardiopatie coronariche, indicava anche una riduzione percentuale del 14% entro due settimane, attraverso un blocco dell’assorbimento del colesterolo. Sulla base del parere dell’Efsa, il citato Reg. 983/2009 con cui si autorizza il claim, fa riferimento soltanto ai 2 g/die necessari per ottenere l’effetto benefico, ma nulla dice ancora sulla quantificazione dell’effetto, né sulle tipologie di alimenti nelle quali può essere utilizzato, sulla durata dell’assunzione e possibile gradazione dell’effetto. (Opinions di riferimento Q-2008-085; Q2008-118). Verso la quantificazione dell’effetto A seguito di un approfondimento richiesto dalla Commissione all’Efsa (Q-2009-00530 e Q-2009-00718) con il Reg. 376/2010 si affronta il tema dell’aspetto quantitativo dell’effetto. A fronte di un’assunzione quotidiana di 1,5-2,4 g di 203 steroli/stanoli vegetali aggiunti ad alimenti come le margarine spalmabili, i prodotti lattiero-caseari, la maionese ed i condimenti per insalate, ora viene accettata, come scientificamente dimostrata, in media, una riduzione tra il 7 e 10% della colesterolemia e si riconosce nel contempo che tale riduzione ha rilevanza biologica. La riduzione del colesterolo LDL nel sangue è di solito raggiunta entro le prime due settimane e può essere mantenuta con un continuo consumo di steroli/stanoli vegetali. Alla luce di tale ulteriore valutazione scientifica, si modificano in coerenza le condizioni d’uso dei due claim (che rimangono immutati nel wording). Una richiesta di Danone France, presentata ancora ai sensi dell’art. 14 paragrafo 1, lettera a) relativa agli effetti di Danacol sul colesterolo nel sangue e la riduzione del colesterolo LDL del 10% in 3 settimane, ha impegnato ancora sul tema la Commissione e l’Efsa (Opinion Q-2008-779). E’ evidente che le indicazioni sulla salute relative alla portata dell’effetto indicato devono essere autorizzate in modo da non fuorviare il consumatore, e le loro condizioni d’uso debbono essere stabilite in modo coerente. Con il Reg. 384/2010 gli steroli vegetali/esteri di stanoli vegetali vedono ribadita la capacità di ridurre il colesterolo nel sangue; l’informazione al consumatore deve precisare che l’effetto benefico si ottiene con l’assunzione quotidiana di almeno 1,5-2,4 g di steroli/stanoli vegetali; si può far riferimento alla portata dell’effetto solo per le seguenti categorie: margarine spalmabili, prodotti lattiero-caseari, maionese e salse da insalata; quando si fa riferimento alla portata dell’effetto, si deve indicare l’intera fascia "da 7 a 10%" nonché il tempo necessario in 2-3 settimane. Disposizioni di etichettatura attualmente in vigore a) Reg. 686/2014 In seguito ad una richiesta di Raiso Nutrition Ltd si esamina una riduzione del 12% del colesterolo nel sangue, a fronte di un’assunzione giornaliera di 3 g di esteri di stanoli vegetali. Il tempo richiesto per ottenere l’effetto è di 1-2 settimane e l’application riguarda un’ampia gamma di prodotti: margarine spalmabili, prodotti lattiero-caseari, formaggi, pane di segale, fiocchi d’avena, prodotti a base di latte di soia fermentato (yogurt da bere e da cucchiaio) e bevande tipo latte a base di avena. Dalla valutazione dell’Efsa (Q-2011-00851), risulta che, mentre è dimostrato che gli esteri di stanoli vegetali aggiunti ad alimenti quali margarina spalmabile, maionese, condimenti per insalate e prodotti lattierocaseari quali latte, yogurt (anche magri) e formaggi sono in grado di ridurre il colesterolo, l’effetto di riduzione del colesterolo nel caso di aggiunta ad altri alimenti non è sempre dimostrato. Due richieste sono pervenute da Unilever per una modifica delle condizioni d’uso, ai sensi dell’art. 19 del Reg. 1924/2006: sono state fornite nuove prove a sostegno di un effetto aggiuntivo con assunzioni maggiori di steroli vegetali e/o stanoli vegetali, fino al limite di 3 g giornalieri (Q2011-01241): riduzione del colesterolo LDL da 7 a 12%; dose giornaliera di steroli e stanoli vegetali compresa tra 1,5 e 3 g.; tempo necessario per ottenere l’effetto 1-2 settimane. Si è discusso a lungo a livello di gruppo di lavoro presso la Commissione UE, alla luce ALIMENTA vol. XXI n. 10/14 dei precedenti Regolamenti 983/2009 e 384/2010, della necessità di non confondere o indurre in errore il consumatore. Poichè gli steroli e gli stanoli vegetali assunti nella dose giornaliera di 1,5-3 g, hanno una efficacia simile, ancorchè non del tutto sovrapponibile, si è scelto di indicare la stessa entità di effetto per steroli vegetali, esteri di fitostanolo e steroli vegetali/esteri di stanoli vegetali. Si è così pervenuti a quella che è, ad oggi, l’ultima modifica sul tema: il Reg. 686/2014, con il quale si variano le condizioni d’uso previste nei precedenti regolamenti. L’effetto benefico si ottiene con l’assunzione quotidiana di 1,5 – 3 g di steroli/stanoli vegetali. Sono riconfermate le tipologie di alimenti: margarine spalmabili, prodotti lattiero caseari, maionese e salse da insalata. Se si ritiene di far riferimento all’entità della riduzione del livello di colesterolo, va precisato: - da 7-10% con alimenti che assicurano un’assunzione giornaliera di 1,5-2,4 di steroli/stanoli; - da 10-12,5% con alimenti che assicurano un’assunzione giornaliera di 2,5-3 g di steroli/stanoli Tempo necessario per ottenere l’effetto: 2-3 settimane. b) Reg. 432/2012 Il colesterolo è ad oggi il fattore di rischio per le malattie cardiovascolari ben individuato nel contesto del Reg. claims, e la sua riduzione configura pertanto un claim del tipo 14.1 lettera a) del citato Regolamento. Ma anche mantenere normale il livello di colesterolo è stato considerato un effetto benefico per l’organismo, ed in questo senso si configura un claim di tipo fisiologico, ex art.13.1. Il Reg.432/2012, che ha pubblicato la lista dei 222 claims di tipo fisiologico autorizzati, rappresenta il risultato finale del lungo processo di validazione scientifica della cosiddetta "lista consolidata", risultante dalla ricognizione di quanto esistente negli Stati membri al momento dell’entrata in vigore della norma quadro. Il claim autorizzato ("gli steroli/stanoli vegetali contribuiscono al mantenimento di livelli normali di colesterolo nel sangue") va accompagnato dall’informazione al consumatore che l’effetto benefico si ottiene con l’assunzione giornaliera di almeno 0,8 di steroli/stanoli vegetali. Conclusione Il progressivo aumento delle patologie croniche non trasmissibili, a livelli e con costi che stanno diventando insostenibili per il Sistema sanitario nazionale, rende necessario intervenire sull’alimentazione, in quanto fattore di rischio modificabile, a livello pubblico con campagne informative, e a livello individuale, con una opportuna attenzione al momento delle proprie scelte sugli scaffali. Possiamo ipotizzare una ulteriore progressiva diffusione di alimenti che, addizionati con un qualche nutriente/composto ed opportunamente etichettati, diventino sempre più attrattivi per il consumatore. Steroli e stanoli vegetali aiutano chi vuol tenere sotto controllo i livelli di colesterolo, mantenendoli nella 204 opportunamente varia e bilanciata; in questo contesto la rivalutazione della dieta mediterranea che dà ampio spazio agli alimenti di origine vegetale, può essere il messaggio che i referenti di sanità pubblica si fanno carico di diffondere. norma, se lo sono già, ma sono anche in grado di ridurli, se in eccesso. C’è però anche la possibilità che, progredendo gli studi e le prove cliniche, si arrivi a individuare sottigliezze, variazioni anche minime dell’effetto benefico che forse rischiano di costituire un eccesso di informazione e di mettere in difficoltà il consumatore, anziché aiutarlo nelle scelte alimentari. Se l’apporto di steroli/stanoli con la dieta non appare significativo nell’ottica del mantenimento/riduzione dei livelli di colesterolo, gli alimenti addizionati di tali composti possono essere utile integrazione. E’ opportuno che, in relazione alle necessità nutrizionali dei singoli individui, sia promossa un’alimentazione * * * CSQA E CONFIDA LA PRIMA CERTIFICAZIONE DI QUALITÁ FUNZIONALE DELLE MISCELE DI CAFFE’ IN GRANI DESTINATO AL VENDING Lo standard, DTS 114-Qualità caffè per Vending, unico nel suo genere, è promosso da CONFIDA e prevede la certificazione rilasciata in esclusiva da CSQA. Tre le aziende che hanno già ottenuto la certificazione: Kimbo, COVIM e Julius Meinl. Sarà capitato a tutti, almeno una volta, di inserire una monetina in un distributore automatico, in ufficio, in un negozio, all’università, e aver preso un caffè. Ebbene, grazie a CSQA e Confida-Associazione Italiana Distribuzione Automatica, la distribuzione automatica (vending) da oggi si avvale di una certificazione di qualità specifica, la prima mai realizzata in Italia, per le miscele di caffè in grani utilizzate nel settore. Questo prodotto, oltre a rappresentare un’eccellenza italiana, è la bevanda che traina il settore della distribuzione automatica. Basti pensare che sono più di 2.400.000 distributori automatici installati in Italia e oltre 6.000.000.000 le consumazioni erogate in un anno, pari a 200 al secondo, di cui 2.500.000.000 caffè da caffè in grani. È quindi importante che si possa riconoscere la qualità funzionale del prodotto offerto dal distributore automatico. La certificazione, infatti, è applicabile a tutte le aziende che producono caffè tostato in grani destinato al vending e definisce, per le singole miscele, parametri qualitativi funzionali superiori a quelli già definiti per legge. La norma stabilisce i limiti massimi ammessi per quel che riguarda: il contenuto di ossigeno e di umidità (dopo il trattamento di tostatura, raffreddamento e confezionamento); la presenza di rotture; la dimensione del chicco; l’assenza di corpi estranei. "È per noi un grande onore - ha detto Pietro Bonato, Direttore Generale CSQA - lavorare in sinergia con Confida su questo standard fondamentale per il settore del vending e unico in Italia. L’importanza della norma è riconosciuta dalle stesse aziende che hanno richiesto sin da subito di ottenere la certificazione. Siamo certi che questo possa rappresentare un’ulteriore garanzia ai clienti della qualità del prodotto che consumano". "La certificazione delle miscele di caffè torrefatto per il vending rappresenta un importante passo avanti verso una generale qualificazione del settore. - ha dichiarato Lucio Pinetti, Presidente di CONFIDA - CSQA, a cui CONFIDA ha già affidato la gestione del marchio di qualità di servizio TQS Vending, è il partner naturale con il quale sviluppare temi come qualità e responsabilità. Siamo sicuri che anche la certificazione DTS 114 sarà presto un requisito condiviso per il settore". Roma, 27 ottobre 2014 CSQA è società italiana che rilascia in esclusiva la certificazione di qualità. Da più di vent’anni offre servizi di certificazione con una grande e riconosciuta esperienza in campo agroalimentare. CONFIDA è l’organizzazione che rappresenta le imprese di settore. Ha promosso lo standard, dopo oltre tre anni di lavoro da parte della Commissione Caffè dell’Associazione composta da rappresentanti dell’intera filiera del vending (produttori di distributori automatici, torrefattori, imprese di gestione). ALIMENTA vol. XXI n. 10/14 205 STABILITÁ OSSIDATIVA NELLA CARNE SUINA ADDIZIONATA CON AROMA NATURALE DI OLIVA (PHENOLEA® COMPLEX PLUS) Massimo Vitagliano1, Stefano Germani1, Claudio Mucciolo2. 1 PhenoFarm Srl, Scandriglia (RI) – www.phenofarm.it 2 ASL Salerno, Dipartimento di Prevenzione Area Sud - Igiene Alimenti di O. A. Introduzione L’ossidazione lipidica è un parametro fondamentale per stabilire la qualità della carne, poiché causa il deterioramento della struttura, del colore, delle caratteristiche organolettiche e del valore nutrizionale. Questa reazione chimica può essere accelerata da diversi fattori, come l’elevata presenza di acidi grassi polinsaturi, luce, ossigeno, calore, presenza di metalli, pigmenti ed enzimi. In studi precedenti è stata formulata l’ipotesi che l’ossidazione lipidica, abbia un effetto catalitico nei confronti dell’ossidazione della mioglobina (Faustman et al., 2010; Georgantelis et al., 2007; Chan et al., 1997), responsabile del colore brunastro della carne. Il colore è uno dei parametri fondamentali per definire la qualità della carne, poiché influenza il consumatore al momento dell’acquisto. shelf life della carne (Bauernfiend et al., 1970). L’utilizzo di 200-1000 ppm di acido ascorbico, ritarda l’imbrunimento della carne di maiale macinata (Watts et al., 1952) e delle carni bovine (Shivas et al., 1984). Tuttavia, l’acido ascorbico è altamente suscettibile all’ossidazione, specialmente se catalizzata da metalli come Fe(III) e Rame(II). I tagli muscolari contengono un certo contenuto di metalli, il che determina una possibile rapida ossidazione dell’acido ascorbico quando questo è aggiunto alla carne. L’efficacia dei metalli nel catalizzare la degradazione dell’acido ascorbico dipende dai metalli coinvolti, dallo stato di ossidazione e dalla presenza di chelanti (B. Lee, 1999). L’aggiunta del Phenolea® Complex Plus in sinergia con l’acido ascorbico, gioca un ruolo chiave nella performance antiossidante agendo principalmente sull’ossidazione secondaria responsabile della formazione di off-flavor e deterioramento del colore. L’addizione di acido ascorbico, migliora il colore e la Sono stati preparati un totale di 80 hamburger da 100 g ciascuno con carne suina macinata a -2 °C, miscelata per un tempo di 5 minuti con sale, acqua e l’appropriato antiossidante. Gli hamburger sono stati confezionati in vaschette (PP), chiuse mediante termosaldatura con pellicola trasparente e conservati a +4 °C. La prima tipologia di prodotto è stata addizionata con 1000 ppm di acido ascorbico (AA), mentre la seconda tipologia, con 1000 ppm di acido ascorbico e Phenolea® Complex Plus (AA + PH) calibrato in base alla quantità di metalli presenti nella carne. Quest’ultima prova è stata ideata per verificare la presenza di una sinergia tra Acido Ascorbico e Phenolea®. ALIMENTA vol. XXII n. 10/14 I campioni sono stati analizzati in quattro tempi differenti: Tempo 0 (t0) subito dopo la produzione Tempo 1 (t1) dopo tre giorni dalla produzione Tempo 2 (t2) dopo sette giorni dalla produzione Tempo 3 (t3) dopo dieci giorni dalla produzione. A tutte le scadenze sono stati determinati il numero di perossidi, TBA e colore (parametri L*, a*, b*, hue e croma). I risultati sono stati elaborati statisticamente mediante l’utilizzo del software SPSS Statistics ver. 20. 206 Risultati ® I campioni con aggiunta di acido ascorbico e Phenolea Complex Plus, mostrano un livello inferiore di ossidazione a 7 ed a 10 giorni (Figura 1.). I perossidi aumentano significativamente al tempo T1 e poi continuano a crescere lentamente. Il controllo della fase di ossidazione secondaria è eccellente, il livello di TBA rimane statisticamente invariato da tempo T0 a T3 (preparazione + 10 giorni). Tali risultati così favorevoli sono da ricercarsi nella sinergia tra Acido Ascorbico e Phenolea®. L’acido ascorbico concorre a mantenere l’ambiente riducente che favorisce il mantenimento del colore rosso della carne ma risente notevolmente dell’ossidazione causata anche dai metalli quali Fe e Cu. L’acido ascorbico si può ossidare per ridurre i metalli di transizione e generare la produzione di H2O2 spingendo verso la formazione di radicali idrossile con la reazione di Fenton (Yen et al., 2002). L’aggiunta di Phenolea® Complex Plus, ha rallentato la fase iniziale di ossidazione con conseguente riduzione dei prodotti secondari, contribuendo a preservare l’attività riducente dell’acido ascorbico. Fig. 1. Gli istogrammi rappresentano il confronto tra perossidi (valori medi, n=4) e TBA (valori medi, n=4), nel tempo riferiti alle due tipologie di campioni AA, AA + PH. I campioni sono stati fotografati, e a ciascun tempo sono stati determinati i parametri L* a* b* tonalità e croma. L'indice rosso diminuisce nel complesso dal tempo T0 al tempo T3 del 24% nei campioni di AA, e del 13% nei campioni AA + PH (Figura 2.). Al tempo T3 a* è significativamente maggiore nei AA + PH (P <0,05). In tutti i set di campioni si riscontra un incremento del tono da 0-7 giorni ed un decremento più significativo da 7 a 10 giorni in campione AA + PH. Fig. 2. Gli istogrammi rappresentano l’andamento del parametro a* (valori medi n=4 nel tempo, riferiti alle due tipologie di campioni AA, AA + PH. ALIMENTA vol. XXII n. 10/14 207 Inoltre, sia al tempo T2 che al tempo T3 il tono è significativamente più basso in campioni AA + PH (P <0,05) per indicare una tonalità di rosso più abbondante. Una diminuzione del valore di tonalità indica un aumento nella purezza di tono rosso, mentre un aumento è legato alla graduale ossidazione della mioglobina e l'accumulo di metamioglobina nel tempo (D. Georgantelis, 2007). Conclusioni Sulla base dei risultati ottenuti da questo studio si può affermare che il Phenolea® Complex Plus svolge un’attività di protezione nel tempo, sia come chainbreaker rallentando la fase iniziale di ossidazione, che come chelante agendo sull’ossidazione secondaria, responsabile di off-flavors e deterioramento del colore. La minore ossidazione nei campioni trattati con Phenolea® ha presumibilmente contribuito a ritardare l'ossidazione della mioglobina. I campioni trattati con Phenolea® Complex Plus mostrano nel complesso minori valori medi di ossidazione sia primaria (perossidi) che secondaria (TBA) con evidente risultato sul mantenimento del colore originale ed una migliore fragranza. Bibliografia Bauernfiend J. C., P.D. (1970). Food processing with added ascorbic acid. Advances in Food Researrch, 219-315. Chan W., F. C. (1997). Lipid oxidation induced by oxymyoglobin with involvement of H2O2. Meat Science, 181-190. Faustman C., Q. S. (2010). Myoglobin and lipid oxidation interactions: Mechanistic bases and control. Meat Science, 86-94. Georgantelis D., G. B. (2007). Effect of rosemary extract, chitosan and alfa-tocopherol on lipid oxidation and colur stability during frozen storage of beef burgers. Meat Science, 256-264. Lee B., D. H. (1999). A compari-son of carnosine and ascorbic acid on color and lipid stability in a ground beef pattie model system. Meat Science, 245-253. Watts, B.M. and Lehmann, B.T. (1952), Ascorbic acid and meat color. Food Technol. 6, 194. Shivas SD, Kropf DH, Hunt MC, Kastner CL, Kendall JLA, Dayton AD. (1984). Effects of ascorbic acid on display life ground beef. J. Food Protection 47, 11. Yen G., P. D. (2002). Antioxidant and pro-oxidant properties of ascorbic acid and gallic acid. Food Chemistry, 307-313. ALIMENTA vol. XXII n. 10/14 208 RIFLESSIONI SULL'IMPIEGO DI PRODOTTI DOP INGREDIENTI: TRA EVOCAZIONE, RISCHIO E UTILITÀ E IGP COME Francesco Aversano, www.avvocatoaversano.it Piero Maria Meregalli, già Dirigente ICQRF MIPAAF 1. Non è un mistero che i prodotti a indicazione geografica rivestano un ruolo peculiare nell’economia dei Paesi membri dell’Unione Europea; e ciò soprattutto in Italia ove, ad oggi, si contano ben 264 prodotti tra DOP, IGP ed STG, con un rilevante impatto sul fatturato del settore agroalimentare (si vedano gli oltre 12,6 miliardi di euro, come da rapporto ISMEA su anno 2012). Il numero così alto di riconoscimenti, tuttavia, induce ad una riflessione di fondo che non può ignorare il rassegnato dato economico e tiene conto altresì della crescente attenzione dei consumatori su tali alimenti e, al contempo, del frequente impiego di tali alimenti a IG come ingredienti delle derrate comuni (si pensi ad esempio alla "pizza al…", alla "pasta fresca con…",). Ed infatti, l’utilizzo di ingredienti DOP o IGP ha natura certamente "qualificante" i prodotti comuni e, per tale ragione, è soggetta ad una specifica disciplina normativa e sanzionatoria, che si accompagna ad atti meramente interpretativi. 2. Com’è noto, la forza trascinante dell’evocazione geografica è decisiva per la diffusione commerciale degli alimenti e costituisce uno dei motivi principali della persistente rincorsa ai "regimi di qualità" da parte degli operatori del settore. Il traguardo dell’affrancazione comunitaria, del resto, è fattore centrale nel sistema produttivo e mercantile dei prodotti agroalimentari aventi un’origine geografica definita; pur tuttavia, come evidenziato da acuta dottrina (Carbone), l’ottenimento di una denominazione o indicazione di origine deve sempre rappresentare "un punto di arrivo di una strategia di valorizzazione piuttosto che un punto di partenza". Appare esecrabile, infatti, l’erronea convinzione di alcuni policy makers e operatori tout court che "la denominazione rappresenti sic et simpliciter un valore aggiunto per il prodotto, un attributo qualitativo in sé, che apre nuovi spazi di mercato, aumenta la disponibilità a pagare dei consumatori, riduce la concorrenza degli altri prodotti e scongiura eventuali comportamenti sleali e fraudolenti di produttori di altre aree". Del resto, come osserva il Costato, i marchi, ed ogni altro segno distintivo, generalmente (e con una parziale esenzione delle DOP e IGP, che godono di una "reputazione diffusa"), "non sono sufficienti per imporre un prodotto sul mercato poiché occorre assisterli con promozione continua". Al fine di evitare tali difficoltà, il considerando n. 57 del Reg. UE n. 1151/12 affida ai "gruppi" (Consorzi) un dovere (o almeno un onere) di tutela "effettiva", che non ci sembra sia limitata al raggiungimento della protezione, in ispecie quando assegna a tali enti il "ruolo" di seguire ("da vicino") la posizione dei prodotti ALIMENTA vol. XXII n. 10/14 sul mercato e, aggiungiamo, difenderli ("dal" e "nel" mercato) anche quando siano meri ingredienti di prodotti comuni. In sintesi, ai gruppi-Consorzi toccherà operare e vigilare concretamente: - nel processo di presentazione delle domande di registrazione dei nomi di denominazioni di origine e indicazioni geografiche nonché di specialità tradizionali garantite; - nella modifica dei disciplinari e delle domande di annullamento; - nello sviluppo di attività connesse alla sorveglianza in merito all’effettiva protezione dei nomi registrati, alla conformità della produzione al relativo disciplinare, all’informazione e alla promozione del nome registrato; - in generale, in qualsiasi attività volta ad accrescere il valore dei nomi registrati e l’efficacia dei regimi di qualità (in sostanza una pubblicizzazione e valorizzazione del nomen). 3. Il Reg. UE n. 1151/12, sulla disciplina della protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche, persegue alcuni obiettivi specifici che sembrano andare nella direzione della "reale" valorizzazione sia dei prodotti che degli ingredienti DOP e IGP in tutto il ciclo vitale e commerciale del prodotto, anche al fine del migliore sviluppo mercantile. A riprova di ciò, nelle premesse del suddetto provvedimento (considerando n. 18) emerge una duplice necessità (rectius, veri e propri obiettivi): a) garantire agli agricoltori e ai produttori un giusto guadagno per le qualità e caratteristiche di un determinato prodotto o del suo metodo di produzione (garanzia del produttore) tramite i particolareggiati disciplinari di produzione (con i controlli effettuati "sul campo" anche dagli agenti vigilatori dei Consorzi); b) fornire informazioni chiare sui prodotti che possiedono caratteristiche specifiche connesse all’origine geografica, permettendo in tal modo ai consumatori di compiere scelte di acquisto più consapevoli (tutela diretta del consumatore). Tali "obiettivi" potrebbero essere considerati il fil rouge delle produzioni di tal guisa; produzioni che si continuano a definire (riduttivamente) "tipiche" (lemma a cui comunque preferiamo quello di "topiche"), ma che invece esaltano fattori peculiari, tra cui quelli richiamati in una nota e utile sentenza del Tribunale del Commercio di Bourges (1999): la "commestibilità" e il "piacere derivante dal loro consumo". Il piacere su cui si appunta la massima francese ha natura "distintiva" perché è quello che "cambia 209 completamente in funzione delle condizioni e del luogo di produzione, degli ingredienti utilizzati e dell’esperienza del produttore". circostanze che contrastano o s’interpongono al perseguimento dell’obiettivo istituzionale anche dello Stato membro (attraverso il controllo ufficiale). 4. Proviamo allora, e per un momento, a immaginare che questa sia la ragione primaria per cui il legislatore comunitario abbia offerto graduale tutela agli attuali "regimi di qualità". Ossia la protezione normativa di alimenti e toponimi dietro cui si cela (o s’invera) il "piacere" di consumare alimenti "diversi" da quelli comuni. E immaginiamo altresì che questo sia uno dei presupposti legittimanti una disciplina specifica per le derrate a DO o IG, anche nella versione "attenuata" di ingredienti. 5. Il rischio informativo è dunque tema centrale nel presente elaborato, nella considerazione che la più ampia "comunicazione alimentare" è parte integrante del "sistema" della food safety (in dottrina, Germanò Rook Basile). In proposito è proprio il Reg. UE n. 1169/11 a confermare tale impostazione, ove non si limita alle regole tecnico-formali sull’etichettatura, ma estende la disciplina informativa ai profili nutrizionali, alle allergie, alle intolleranze e, addirittura, considera "a rischio" un alimento successivamente alla data di scadenza. In tale ideale prospettiva (sublimando cioè quel rapporto tra diritto, memoria e patrimonio gastronomico che si coglie nelle premesse al Reg. UE n. 1151/12), sarebbe comunque doveroso ancorare il sogno alla realtà, dunque collocare la disciplina verticale quale species di due atti comunitari, i Regg. n. 178/02 e n. 1169/11, pilastri della food safety e della "corretta comunicazione" alimentare (in dottrina, Di Lauro). Il primo provvedimento costituisce, com’è noto, la base per garantire un livello elevato di tutela della salute umana e degli interessi dei consumatori in relazione agli alimenti, tenendo conto in particolare della diversità dell'offerta di alimenti, compresi i prodotti tradizionali (per espresso dettato dell’art. 1), dunque dei prodotti tradizionali per eccellenza (e per regola) quali DOP, IGP ed STG. L’art. 8 del Reg. CE n. 178/02, invero, con riguardo alla "tutela degli interessi dei consumatori", impone la prevenzione, tra altre, delle pratiche fraudolenti o ingannevoli, quali la vendita dell’aliud pro alio, ad esempio di un alimento con un ingrediente "spacciato" per DOP o IGP. A ciò si aggiunga che l’art. 14, senza fornire una "definizione" di sicurezza alimentare (che apparirebbe comunque "limitante"), porge un’articolata previsione dei requisiti di sicurezza ancorati al concetto di "rischio" e molto utile a perimetrare la "conformità" o no anche dei prodotti composti da ingredienti a DO e IG. Com’è noto, infatti, per determinare se un alimento è "a rischio" occorrerà considerare pure le informazioni messe a disposizione del consumatore finale, comprese le informazioni riportate sull'etichetta o altre informazioni generalmente accessibili al consumatore sul modo di evitare specifici effetti nocivi per la salute provocati da un alimento o categoria di alimenti. Si tratta dunque di un rischio che prescinde dal solo e diretto pericolo interno al prodotto, ma abbraccia il profilo informativo e quindi riguarda il corretto perseguimento di due superiori interessi: la tutela della salute e della lealtà commerciale. In tal senso, la prevenzione del rischio si riverbera sull’obiettivo istituzionale del controllo ufficiale nei Paesi membri, poiché è legato alla possibilità che si verifichino eventi illeciti di natura sia sanitaria che informativa. Trattasi nella specie di eventi che si sostanziano nel verificarsi o modificarsi di un insieme di ALIMENTA vol. XXII n. 10/14 Le informazioni alimentari previste dal Reg. n. 1169/11 riguardano allora anche l’impatto sulla salute, compresi i rischi e le conseguenze collegati a un consumo nocivo e pericoloso dell’alimento scorrettamente etichettato, presentato o pubblicizzato. E in tal senso, la probabilità che si verifichi un rischio è (questione) vicina alla "percezione" o "sensazione" del medesimo da parte del consumatore. Il tema ovviamente è delicato e di grande "appetito" sia dottrinale che mediatico; in proposito, com’è stato giustamente affermato, "i valori e la cultura individuale o della comunità influenzano tuttavia la percezione del rischio da parte dei non esperti, rispetto alla rappresentazione formulata dagli esperti" (così, OreficeAureli). Nella valutazione collettiva, secondo gli Autori, avranno un ruolo "anche i valori e le credenze condivise, che variano secondo il contesto storico e sociale". Nella valutazione del singolo, inoltre, potranno incidere "sia le convinzioni culturali, politiche, estetiche e morali, sia le proprie insicurezze o tensioni, il che porta a una percezione personale del rischio". Il diffuso "interesse" dell’opinione pubblica per le questioni alimentari (cfr. considerando n. 10 del Reg. UE n. 1169/11) diventa elemento importante nella percezione del rischio. Al contempo, è motivo di "stimolo" per il controllo (interno ed esterno) sulle produzioni alimentari, a patto che l’attenzione non si tramuti in "allarmismo mediatico" (il Gamberini la riporta come "ansia congenita da allarme alimentare" e "virus" per il quale "non esiste una valida terapia"); o, nel caso dei prodotti DOP o IGP, si traduca in una sterile esasperazione del made in Italy. L’esagerata tendenza a difendere a tutti i costi la "italianità", anche in assenza dei presupposti storici e giuridici che la inverano, potrebbe infatti ridursi a mera "retorica di un modello demolito", a dirla con Augusto Grandi, foriera di attenuata credibilità del nostro sistema alimentare. 5. Venendo alla normativa, v’è da premettere che il tema degli ingredienti a DO e IG si lega alla disciplina dei "regimi di qualità", materia su cui si è appuntata l’analisi della dottrina alla quale si rimanda (ex multis, Albisinni, Capelli e Rubino). In buona sostanza, si tratta delle disposizioni previste dal Reg. UE n. 1151/12, un atto che "riprende senza sostanziali cambiamenti i capisaldi della disciplina pregressa (la nozione di DOP e 210 di IGP, i requisiti di tutela, il ruolo del disciplinare, la procedura di riconoscimento, ecc.), tentando di riunire in un unico testo norme precedentemente sparpagliate in provvedimenti differenti" (così, Borghi). Ciò premesso, da un punto di vista sistematico, è doveroso un richiamo alla normativa orizzontale in materia di "informazioni" sugli alimenti (Reg. UE n. 1169/11), che intende stabilire nell’Unione le condizioni per la libera circolazione degli alimenti legalmente prodotti e commercializzati, tenuto conto, ove opportuno, della necessità di proteggere gli interessi legittimi dei produttori e di promuovere la fabbricazione di prodotti di qualità. Ed invero, insieme ai prodotti interamente "di qualità" il mercato propone costantemente altri alimenti con ingredienti DOP o IGP, che vengono utilizzati dagli operatori per impreziosire le commodities. Anche in questo caso, si tratta di un vero e proprio "valore aggiunto" qualitativo all’alimento comune, che funge al contempo da quid pluris commerciale e, quindi, da possibile elemento attrattore del consumatore al momento dell’acquisto. L’impiego di ingredienti "qualificati" (e la loro specificazione quantitativa) coinvolge generalmente tre soggetti: il produttore dell’ingrediente "di qualità", l’operatore intermedio (che ha facoltà di selezionare la tipologia di ingrediente da impiegare) e il consumatore finale, il quale come detto potrà effettuare una scelta d’acquisto "consapevole", anche per valutare il rapporto prezzo/qualità del prodotto. L’operatore intermedio troverà nel portato normativo le modalità autorizzative ed operative per l’utilizzo degli ingredienti a DO o IG negli alimenti composti, elaborati, trasformati (sul tema, e in questa Rivista, si veda Zagaria). Si tratta, come si vedrà, di regole giuridiche di matrice eterogenea, uniformate ai principi della corretta informazione ed esatta percezione per il consumatore finale (art. 1 Reg. UE n. 1169/11). Quant’anzi nel primario rispetto dell’art. 7 del Reg. UE n. 1169/11, il quale dettando le norme sulle pratiche leali d’informazione, stabilisce che le indicazioni sugli alimenti non dovranno indurre in errore: - su caratteristiche dell’alimento e, in particolare, natura, identità, proprietà, composizione, quantità, durata di conservazione, paese d’origine o luogo di provenienza, metodo di fabbricazione o produzione; - suggerendo, tramite l’aspetto, la descrizione o le illustrazioni, la presenza di un particolare alimento o di un ingrediente, mentre di fatto un componente naturalmente presente o un ingrediente normalmente utilizzato in tale alimento è stato sostituito con un diverso componente o un diverso ingrediente. 6. A metà di questo elaborato s’impone necessariamente una sintesi. In primis, l’utilizzo dei prodotti a DO e IG come ingredienti si adagia in un quadro normativo "specifico", composto dal Reg. UE n. 1151/2012 e dal. ALIMENTA vol. XXII n. 10/14 D.Lgs. n. 297/04, nonché da atti interpretativi nazionali e comunitari dai quali non può prescindersi. Inoltre, le problematiche che sottendono la disciplina riguardano: - il ruolo dei Consorzi quali titolari di marchio collettivo; - la qualificazione degli ingredienti DO e IG; - l’uso autorizzato degli ingredienti DO e IG nei prodotti composti, elaborati o trasformati e l’impiego commerciale; - il quid pluris sostanziale apportato dall’ingrediente e il pericolo del free riding; - la determinazione delle sanzioni (amministrative e/o penali?) - il ruolo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM). 7. L’analisi sull’impiego di DO o IG come ingredienti concerne anche le conseguenze eventualmente "contenziose" di prevalente natura civilistica legato ad un indebito utilizzo. Ci riferiamo primariamente alla "difesa giudiziaria" concessa ai titolare di un "marchio collettivo" (ex artt. 2570 c.c. e 11 CPI), ossia di quel marchio che (come affermato dal Tribunale Civile di Roma in una storica sentenza del 1994) si differenzia dal "marchio d’impresa" in quanto "non svolge funzione distintiva dell’origine del prodotto da una determinata impresa, ma funzione di garanzia delle caratteristiche e qualità del prodotto. La massima giurisprudenziale, inoltre, considera che il titolare del marchio collettivo controlli le merci "sia dei produttori e commercianti ai quali è stato concesso l’uso del marchio stesso" (sul punto amplius Albisinni). Per poter utilizzare il marchio collettivo, come osserva il Capelli, il produttore associato deve "assoggettarsi alle prescrizioni contenute nel regolamento d’uso predisposto dal Consorzio", osservando altresì "i criteri e i requisiti di qualità che risultano obbligatoriamente imposti". Il titolare del marchio collettivo (dando per assodato che sia il gruppo o Consorzio) potrebbe inoltre agire giudizialmente nel caso dell’utilizzo del marchio altrui nelle ipotesi di concorrenza sleale ai suoi danni, nel caso abbia a dubitare che il consumatore possa associare il proprio segno con quello di altro soggetto (sul punto è importante l’approfondimento compiuto in dottrina da Rubino). Tale ipotesi si affianca a quella di un impiego o un’evocazione dell’ingrediente caratterizzante non conforme quale mero "attrattore" o brand commerciale nel caso possa generare un rischio di confusione per il pubblico, anche per collegamento tra segni (Masini). Il rischio di confusione, secondo la giurisprudenza comunitaria, dovrà essere tuttavia valutato "globalmente", "secondo la percezione che il pubblico interessato ha dei segni e dei prodotti o servizi in questione, prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di specie, in particolare l'interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o servizi designati (ex multis, Sentt. 211 Tribunale CE, 9 luglio 2003, causa T-162/01 e 5 aprile 2006, causa T-344/03). L’argomento merita ben altra analisi e, in questa sede, ci limitiamo a invocare la fattispecie prevista dall’art. 21 del Codice della Proprietà Industriale, relativo alle "limitazioni" del diritto di marchio, e che in materia sancisce quanto segue: a) i diritti di marchio d'impresa registrato non permettono al titolare di vietare ai terzi l'uso nell'attività economica: - del loro nome e indirizzo; - di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all'epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio; - del marchio d'impresa se esso è necessario per indicare la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio, purché l'uso sia conforme ai principi della correttezza professionale. b) Non è consentito usare il marchio in modo contrario alla legge, né, in specie, in modo da ingenerare un rischio di confusione sul mercato con altri segni conosciuti come distintivi di imprese, prodotti o servizi altrui, o da indurre comunque in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza dei prodotti o servizi, a causa del modo e del contesto in cui viene utilizzato, o da ledere un altrui diritto di autore, di proprietà industriale, o altro diritto esclusivo di terzi. 8. Gli ingredienti "qualificati" DOP o IGP (e "qualificanti" i prodotti comuni) rientrano ovviamente nella categoria generale dell’ingrediente alimentare, che - ai sensi dell’art. 2, par., 2 lett. f) del Reg. UE n. 1169/11 - è qualunque sostanza o prodotto, compresi gli aromi, gli additivi e gli enzimi alimentari, e qualunque costituente di un ingrediente composto utilizzato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se sotto forma modificata. Ciò posto, è importante concentrare l’attenzione non solo sull’impiego tout court, ma anche sul profilo quantitativo (espresso in percentuale), ossia sull’impiego caratterizzante o no dell’ingrediente qualificato, al fine di un reale "arricchimento" del prodotto comune e di una piena e legittima evocazione dell’indicazione geografica inclusa nella derrata. Sul punto ricorriamo all’articolo 22 del Reg. UE n. 1169/11 che richiede la "indicazione quantitativa" degli ingredienti nella fabbricazione o nelle preparazione di un alimento, quando tale ingrediente o categoria di ingredienti: a) figura nella denominazione dell’alimento o è generalmente associato a tale denominazione dal consumatore; b) è evidenziato nell’etichettatura mediante parole, immagini o una rappresentazione grafica; o ALIMENTA vol. XXII n. 10/14 c) è essenziale per caratterizzare un alimento e distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbe essere confuso a causa della sua denominazione o del suo aspetto. Si conferma, dunque, che gli ingredienti (DOP o IGP) sarebbero propriamente "caratterizzanti" ove impiegati in quantità significativa; più in generale, la norma ribadisce che le informazioni sugli alimenti non devono indurre in errore il consumatore ove suggeriscano, anche tramite figure o rappresentazioni grafiche, che l’alimento possieda caratteristiche particolari, quando in realtà tutti gli alimenti analoghi possiedono le stesse caratteristiche, in particolare evidenziando in modo esplicito la presenza o l’assenza di determinati ingredienti e/o sostanze nutritive. 9. La Comunicazione della Commissione (2010/C 341/03) è uno degli atti fondamentali nella disamina del nostro tema; essa, infatti, offre orientamenti ("volontari" fino a un certo punto) sull'etichettatura dei prodotti alimentari che utilizzano come ingredienti prodotti a denominazione di origine protetta (DOP) o a indicazione geografica protetta (IGP). L’atto, espressamente richiamato nel Reg. UE n. 1151/12, è senza dubbio ispirato dalla considerazione di ordine commerciale che l'incorporazione di un ingrediente alimentare "di qualità" in un prodotto comune può costituire uno sbocco mercantile più accattivante per il consumatore. In tal senso, occorrerà che nell'etichettatura di tale prodotto alimentare (composto, elaborato o trasformato con DO o IG) ogni riferimento a tale incorporazione sia effettuato in buona fede, sia corrispondente al reale quantitativo e quindi non induca in errore il consumatore (si tratta di tre criteri o vincoli di utilizzo). Per tali ragioni sarà necessario considerare due aspetti di natura "costitutiva": - da una parte, le condizioni per l’impiego di denominazioni registrate come DOP o IGP nell'etichettatura, nella presentazione e nella pubblicità dei prodotti alimentari; - dall’altra, che le buone pratiche atte a garantire che le denominazioni registrate di prodotti DOP o IGP utilizzati come ingredienti di prodotti alimentari, non siano usate in modo improprio, tale da compromettere la reputazione del prodotto che beneficia di queste denominazioni, o da indurre il consumatore in errore circa la composizione del prodotto. Nell’atto in esame sono previste altresì "raccomandazioni", in sostanza dei veri e propri principi-guida, per cui una denominazione registrata come DOP o IGP possa essere: a) legittimamente indicata nell'elenco degli ingredienti di un prodotto alimentare. b) menzionata all'interno, o in prossimità, della denominazione di vendita di un prodotto alimentare che incorpora prodotti che beneficiano della denominazione 212 registrata, come pure nell'etichettatura, nella presentazione e nella pubblicità del prodotto alimentare di cui trattasi. Quant’anzi, tuttavia, solo ove siano soddisfatte le condizioni di seguito indicate: - in primo luogo, il suddetto prodotto alimentare non dovrebbe contenere nessun altro «ingrediente comparabile», e cioè nessun altro ingrediente che possa sostituire completamente o parzialmente l'ingrediente che beneficia di una DOP o IGP. A titolo indicativo e non restrittivo, la Commissione - sul concetto di «ingrediente comparabile» - ritiene ad esempio che un formaggio a pasta erborinata (o più comunemente: «formaggio blu») sia comparabile al «Roquefort». - In secondo luogo, l'ingrediente dovrebbe essere utilizzato in quantità sufficiente per conferire una caratteristica essenziale al prodotto alimentare di cui trattasi (sul punto, la Commissione, tenuto conto dell'eterogeneità dei casi possibili, non può suggerire una percentuale minima uniformemente applicabile). Tuttavia, ad esempio, l'incorporazione di una quantità minima di una spezia che beneficia di una DOP o di una IGP in un prodotto alimentare potrebbe eventualmente bastare per conferire una caratteristica essenziale al suddetto prodotto alimentare. Per contro, l'incorporazione di una quantità minima di carne che beneficia di una DOP o di una IGP in un prodotto alimentare non può, a priori, conferire una caratteristica essenziale al prodotto alimentare (sul tema, come detto, si è autorevolmente soffermato il Rubino). - In terzo luogo, la percentuale d'incorporazione di un ingrediente che beneficia di una DOP o di una IGP dovrebbe essere idealmente indicata all'interno o in prossimità immediata della denominazione di vendita del prodotto alimentare di cui trattasi, o quantomeno nell'elenco degli ingredienti, in riferimento diretto all'ingrediente considerato. Le menzioni, abbreviazioni o simboli dell'UE che accompagnano la denominazione registrata debbono essere utilizzate nell'etichettatura, all'interno o in prossimità della denominazione di vendita o nell'elenco degli ingredienti di un prodotto alimentare soltanto se risulta chiaramente che questo prodotto alimentare non beneficia esso stesso di una DOP o IGP. In caso contrario, secondo la Commissione, si configurerebbe la fattispecie di sfruttamento indebito della reputazione di questa DOP o IGP (free riding) e di inganno del consumatore (possibile frode commerciale). Pur tuttavia, le denominazioni di vendita «pizza al Roquefort» o «pizza con Roquefort DOP» secondo la Commissione non sarebbero in conflitto tra loro. Per contro, la denominazione di vendita «Pizza al Roquefort DOP» sarebbe chiaramente sconsigliata, perché potrebbe dare al consumatore l'impressione che sia la pizza stessa a beneficiare della DOP. - In quarto luogo, se in un prodotto alimentare è stato utilizzato un ingrediente comparabile ad un ingrediente che beneficia di una DOP o di una IGP, la denominazione registrata come DOP o come IGP dovrebbe apparire solo nell'elenco degli ingredienti, ALIMENTA vol. XXII n. 10/14 secondo modalità analoghe a quelle seguite per gli altri ingredienti ivi menzionati. In particolare, bisognerebbe utilizzare caratteri dello stesso tipo, delle stesse dimensioni, dello stesso colore ecc.; e sul punto, aggiungiamo, sarebbe necessario agganciare tali orientamenti al portato tecnico-grafico previsto dal Reg. UE n. 1169/11 e dai suoi allegati. 10. Gli orientamenti della Commissione possono dirsi assorbiti nella regola introdotta dall’art. 13 del Reg. UE n. 1151/2012, il quale include la problematica degli ingredienti DOP o IGP nella generale "protezione" dei nomi dei prodotti alimentari registrati. Ed infatti, la norma riferisce che i nomi registrati sono protetti contro: a) qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di un nome registrato per prodotti che non sono oggetto di registrazione, qualora questi ultimi siano comparabili ai prodotti registrati con tale nome o l’uso di tale nome consenta di sfruttare la notorietà del nome protetto, anche nel caso in cui tali prodotti siano utilizzati come ingrediente; b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera dei prodotti o servizi è indicata o se il nome protetto è una traduzione o è accompagnato da espressioni quali «stile», «tipo», «metodo», «alla maniera», «imitazione» o simili, anche nel caso in cui tali prodotti siano utilizzati come ingrediente. La regola è stata preceduta a livello nazionale da alcune norme del D. Lgs. n. 297/04, recante apparentemente disposizioni sanzionatorie alla violazione dei regolamenti comunitari in tema di denominazioni protette, ma che di fatto ha esteso, con tutti i rischi di un eccesso di delega, il perimetro precettivo all’impiego di ingredienti DOP o IGP. Quant’anzi, a dimostrazione di una forte sensibilità del legislatore italiano alle questioni inerenti le corrette informazioni da fornire all’utilizzatore di un prodotto alimentare, sia esso il consumatore finale o un operatore intermedio (es. un’impresa di trasformazione). 11. Il D. Lgs. n. 297/04, Capo I, all’art. 1 tratta dell’uso commerciale dei nomi protetti a DO e IG, stabilendo che, salva l'applicazione delle norme penali vigenti, chiunque impiega commercialmente in maniera diretta o indiretta una denominazione protetta, intendendo per tale una denominazione di origine o una indicazione geografica (così come definite nel Reg. UE 1151/12), o il segno distintivo o il marchio, registrati ai sensi del citato regolamento, è sottoposto alle sanzioni amministrative di seguito individuate: - per i prodotti composti, elaborati o trasformati che recano nell’etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità, il riferimento ad una o più denominazioni protette, è sottoposto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.500 ad euro 16.000. La norma precisa che non costituisce violazione di cui alla presente lettera il riferimento alla denominazione protetta: 213 a) quando gli utilizzatori del prodotto composto, elaborato o trasformato sono autorizzati dal consorzio di tutela della denominazione protetta riconosciuto e risultano inseriti in apposito registro attivato, tenuto e aggiornato dal consorzio stesso. In mancanza del provvedimento di riconoscimento del Consorzio la predetta autorizzazione può essere concessa dal MIPAAF - Direzione Generale per la Qualità dei Prodotti Agroalimentari e la Tutela del Consumatore, che provvede anche alla gestione del citato registro; b) quando il riferimento alla denominazione protetta è riportato soltanto tra gli ingredienti del prodotto confezionato che lo contiene o in cui è elaborato o trasformato. In caso di non conformità, resta tuttavia salva l’applicazione delle norme penali che sono poste a tutela dell’interesse economico dei produttori, degli operatori commerciali e consumatori-acquirenti di prodotti alimentari, e della primaria economia nazionale intesa nel suo insieme. In proposito, è noto che le norme penali di rilievo alimentare sono gli artt. 515 (frode nell’esercizio del commercio), 516 (vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine), 517 (vendita di prodotti industriali con segni mendaci) e 517 quater (contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari). In particolare, il reato di cui all'art. 517 c.p. punisce la commercializzazione di prodotti industriali, oltre che di opere dell'ingegno, recanti marchi o segni distintivi fallaci, ossia atti a trarre in inganno sulla origine, provenienza o qualità del prodotto, e secondo la Cassazione penale ha carattere "sussidiario" rispetto al reato introdotto dalla L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 49, che ha invece "una estensione più ampia, sia sotto il profilo dell'oggetto materiale del reato, che in relazione alla condotta, in quanto punisce la commercializzazione di prodotti industriali, agricoli o alimentari, che abbiano una indicazione di origine o di provenienza falsa, ossia non corrispondente alla realtà, ovvero fallace, ossia atta a trarre in inganno, e questo anche se le indicazioni consistano in segni distintivi, emblemi o denominazioni non registrati, né riconosciuti giuridicamente" (in tal senso, Cass. Pen. sez. III n. 28740/2011). 12. A seguito del decreto n. 297/04 si è reso comunque necessario un approfondimento interpretativo sul profilo formale (etichettatura, presentazione, pubblicità) e sull’elencazione di alcuni criteri operativi, affidati ad una Circolare - DG Sviluppo Agroalimentare e Qualità – MIPAAF (2007) sui criteri per l'utilizzo del riferimento ad una denominazione d'origine protetta o ad un’indicazione geografica protetta nell’etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità di un prodotto composto, elaborato o trasformato. Ecco i "criteri" utilizzati dal MIPAAF per concedere, in mancanza di un Consorzio di tutela riconosciuto, l'autorizzazione ex art. 1, co. 1, lett. e), del D.Lgs. n. 297/04, per utilizzare nell'etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità il riferimento ad una DO o IG: ALIMENTA vol. XXII n. 10/14 a) le diciture DOP o IGP e i loro acronimi per essere utilizzati in etichetta dovranno essere posti di seguito alla denominazione tutelata, in modo che sia chiaro e non suscettibile di indurre in errore il consumatore che tali diciture o acronimi si riferiscono al prodotto registrato utilizzato come ingrediente e non al prodotto composto, elaborato o trasformato. Per tale ragione dovranno essere posti tra virgolette sia la denominazione tutelata che le diciture o gli acronimi. b) La dimensione dei caratteri utilizzati per il riferimento alla denominazione tutelata nell'etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità del prodotto composto, elaborato o trasformato deve essere inferiore alla dimensione dei caratteri utilizzati per la denominazione della ditta, dei marchi dalla stessa utilizzati nonché della denominazione di vendita del prodotto composto, elaborato o trasformato. c) Il carattere utilizzato nell'etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità del prodotto composto, elaborato o trasformato per indicare l'ingrediente DOP o IGP deve essere lo stesso carattere utilizzato per le diciture o i rispettivi acronimi. Inoltre, l'utilizzatore "intermedio" avrà l'obbligo di - garantire che il prodotto DOP o IGP sia acquistato da fornitore/confezionatore sottoposto al controllo dell'organismo di cui alle norme del Reg. UE n. 1151/12; - sottoscrivere l'impegno a dimostrare, tramite registrazioni, che la quantità di prodotto DOP o IGP utilizzata nel prodotto composto, elaborato o trasformato corrisponde alla quantità di prodotto DOP/IGP ricevuta nonché l'impegno a produrre, dietro richiesta del Ministero, la relativa documentazione. - sottoscrivere l'impegno a registrare mensilmente il numero di confezioni del prodotto composto, elaborato o trasformato contenenti il riferimento ad una DOP/IGP prodotte, a trasmettere una scheda tecnica che descriva il prodotto composto, elaborato o trasformato nonché a comunicare la sede dello stabilimento nel quale avverrà la produzione. Eventuali cambiamenti di stabilimento dovranno essere preventivamente comunicati al Ministero. - dichiarare che il prodotto DOP o IGP verrà stoccato, prima della elaborazione, separatamente dagli altri prodotti appartenenti alla stessa categoria merceologica. - dichiarare che l'autorizzazione concessa non sarà ceduta, neanche in subconcessione, a terzi, né a titolo gratuito né a titolo oneroso e che, in caso di cessazione dell'attività e/o della produzione specifica, cesserà l'uso del riferimento alla denominazione tutelata nell'etichettatura, nella presentazione e nella pubblicità dei prodotti composti, elaborati o trasformati. La Circolare ministeriale ribadisce altresì che è vietato l'utilizzo del simbolo comunitario nonché del logo della denominazione tutelata nell'etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità del prodotto composto, elaborato o trasformato contenente il riferimento ad una DOP o IGP. Per prodotti destinati al mercato estero è possibile riportare in etichetta, esclusivamente in aggiunta alla 214 denominazione di vendita contenente il riferimento all'ingrediente DOP/IGP in lingua italiana, anche la traduzione in altra lingua. Di seguito alla traduzione dell'ingrediente in lingua diversa dall'italiano non è possibile riportare l'acronimo, neanche se tradotto. E’ possibile altresì utilizzare, di seguito all'ingrediente DOP/IGP in lingua italiana, l'acronimo in lingua diversa dall'italiano utilizzando una delle traduzioni degli acronimi riportate nell'all. V del Reg. CE n. 1898/06. I caratteri utilizzati per il prodotto DOP/IGP nella lingua diversa dall'italiano non potranno tuttavia essere superiori a quelli utilizzati per la versione in italiano. E' vietato qualsiasi ulteriore riferimento alla denominazione tutelata diverso da quanto esposto nel presente documento. L'utilizzo della denominazione tutelata esclusivamente nella lista degli ingredienti non è sottoposto ad autorizzazione ministeriale. Alla Circolare è allegato un "modello di domanda" sulla richiesta di utilizzo, ai sensi dell'art. 1 comma 1 lett. c), del D.Lgs. n. 297/04, del riferimento nell'etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità di un prodotto composto, elaborato o trasformato alla DOP/IGP. 13. La predetta Circolare, quale atto interpretativo, si lega sostanzialmente al già cennato disposto di cui all’art. 1 del D.Lgs. n. 297/04 (e, ovviamente, all’art. 13 del Reg. UE n. 1151/12). Al Capo I del decreto nazionale, in sintesi, è previsto che il riferimento ad una denominazione protetta nell’etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità di prodotti composti, elaborati o trasformati, non è sanzionabile in caso di autorizzazione da parte del Consorzio di Tutela della denominazione protetta utilizzata. E, come cennato, in assenza di un Consorzio di Tutela riconosciuto, l’autorizzazione può essere concessa dal competente ufficio del MIPAAF che provvede anche alla gestione di un registro delle autorizzazioni concesse. Si tratta di un regime autorizzativo "anticipato" (con finalità preventiva) per l’impiego come ingredienti caratterizzanti e aventi toponimi registrati nella UE, ossia di un sistema procedurale che affida ai relativi Consorzi di Tutela il potere o no di concederla e, altresì, di esigere un contributo ad hoc dagli utilizzatori professionali; infine di amministrare le procedure in un apposito registro delle DOP-IGP impiegate come "ingredienti caratterizzanti". A fronte di quanto evidenziato è necessario altresì verificare se nei disciplinari di produzione vi siano regole specifiche sull’utilizzo degli alimenti DOP e IGP ove impiegati come ingredienti. Sul punto, fattore non trascurabile, è che negli orientamenti della Commissione Ue del 2010 emerge che nel disciplinare di produzione di un prodotto a DOP o IGP registrata non dovrebbero figurare disposizioni relative all'impiego di una DOP o IGP registrata nell'etichettatura di altri prodotti alimentari, in quanto il rispetto della normativa vigente dell'Unione da parte degli operatori economici costituisce una garanzia adeguata. Dette disposizioni potrebbero esservi ALIMENTA vol. XXII n. 10/14 eccezionalmente inserite soltanto se servono a risolvere una difficoltà specifica chiaramente individuata e solo se sono oggettive, proporzionate e non discriminatorie. In ogni caso, le disposizioni eventualmente figuranti nel disciplinare di produzione non possono avere per oggetto o per effetto la modifica della normativa in vigore. Pur tuttavia è possibile riscontrare previsioni specifiche per l’uso della DO o IG come "ingrediente" in pochissimi disciplinari di produzione; ad esempio in quello della IGP "Cipolla rossa di Tropea Calabria", in ispecie all’art. 10 (commercializzazione prodotto trasformato). Ed infatti i prodotti per la cui preparazione è utilizzata la "Cipolla Rossa di Tropea Calabria" I.G.P., anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla detta IG senza l’apposizione del logo comunitario, a condizione che: a) il prodotto a IGP, certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica. b) l’utilizzazione non esclusiva dell’IGP consenta soltanto il suo riferimento, secondo la normativa vigente, tra gli ingredienti del prodotto che lo contiene, o in cui è trasformato o elaborato. Anche nella disciplina della «Tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei vini», di cui al D. Lgs. 8 aprile 2010, n. 61, in ispecie all’art. 20, è prevista la fattispecie dell’impiego delle denominazioni geografiche nel prodotto finale. Il comma 6, infatti, evidenzia che è consentito l'utilizzo nell'etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità del riferimento di una DOP o IGP in prodotti composti, elaborati o trasformati a partire dal relativo vino DOP o IGP, purché gli utilizzatori del prodotto composto, elaborato o trasformato siano stati autorizzati dal consorzio di tutela della denominazione protetta riconosciuto ai sensi dell'art. 17 del presente decreto. In mancanza del riconoscimento del consorzio di tutela la predetta autorizzazione deve essere richiesta al MIPAAF. Il comma 7, invece, stabilisce che non è necessaria l'autorizzazione di cui al comma 6 qualora il riferimento ad una denominazione geografica protetta o ad una indicazione geografica protetta in prodotti composti elaborati o trasformati sia riportato esclusivamente fra gli ingredienti del prodotto confezionato che lo contiene o in cui è elaborato o trasformato. Le sanzioni collegate a tali regole sono previste nell’art. 23 co. 9 del D. Lgs. n. 61/10, il quale stabilisce che salva l'applicazione delle norme penali vigenti, chiunque viola le disposizioni contenute nei commi 6 e 7 dell'art. 20 del presente decreto, è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da tremila a ventimila euro. 14. L’utilizzo scorretto (o propriamente illecito) di DO o IG quali ingredienti dei prodotti comuni potrebbe appalesare il fenomeno del free riding che, nel nostro caso, si riverbera sul profilo qualitativo delle derrate. 215 Sul punto, invero, importante dottrina (Sotte) ha evidenziato che una comunicazione ai consumatori che rafforzi la "reputazione comune" vincola le imprese al controllo reciproco di qualità e "serve ad impedire attivamente il free riding di chi sfrutta la rendita reputazionale sostenendo costi inferiori, ma così contribuendo ad abbassare la qualità". Tutelare la qualità del prodotto sotto il profilo giuridico, come osserva Capelli, significa "tutelare l’indicazione utilizzata dal produttore per designarne le caratteristiche qualitative". Garantire la qualità dei prodotti, sotto il profilo economico, significa invece controllarne il mercato, cioè "impedire attivamente il free riding di chi sfrutta la rendita reputazionale sostenendo costi inferiori, ma così contribuendo ad abbassare la qualità" (Boccaletti). Nel nostro caso, l’uso scorretto di DO o IG come ingredienti, e lo stesso free riding, possono al contempo determinare una grave lesione all’immagine; in proposito, è l’art. 45 comma 1 lett f) del Reg UE n. 1151/12 ad appalesarsi quale regola di riferimento (e in tal senso anche Rubino), ove stabilisce che i Consorzi possono adottare non solo misure per la valorizzazione dei prodotti, ma, se necessario, adottare provvedimenti "volti a impedire o contrastare misure che sono o rischiano di essere svalorizzanti per l’immagine dei prodotti". Per poter valutare il grado di offensività all’immagine (fenomeno che normalmente si colloca quale conseguenza del danno da prodotti difettosi) sarà necessaria anche una valutazione della (e sulla) idoneità ad indurre in errore i consumatori con riguardo alla natura ed alla composizione del prodotto (danno "indiretto" all’immagine), ove si lasci intendere, contrariamente al vero, che il prodotto sia costituito più che altro da un ingrediente IG (circostanza che sembrerebbe configurare un’indebita prevalenza). 15. I possibili parametri per valutare il legittimo o scorretto impiego delle IG dovranno riguardare necessariamente il prodotto (composizione ed etichettatura) e le procedure per l’utilizzo della IG come ingrediente. Schematicamente si tratterà di verifiche: - visive (esame della corretta inclusione nell’elenco ingredienti, nella denominazione dell’alimento o in prossimità); - quantitative (valutazione della percentuale di ingrediente IG utilizzato, al fine della qualificazione reale nell’alimento e dell’incidenza sostanziale sulla qualità del prodotto comune); - di generale leggibilità (impatto percettivo e descrittivo dell’etichetta, dunque conformità al Reg. UE n. 1169/11). La «leggibilità», in base a tale ultimo regolamento, è l’apparenza fisica delle informazioni, tramite le quali l’informazione è visivamente accessibile al pubblico in generale e che è determinata da diversi fattori, tra cui le dimensioni del carattere, la spaziatura tra lettere e righe, lo spessore, il tipo di colore, la proporzione tra larghezza e altezza delle lettere, la ALIMENTA vol. XXII n. 10/14 superficie del materiale nonché il contrasto significativo tra scritta e sfondo; - tecniche (esame del disciplinare del prodotto DO o IG che diviene ingrediente, ossia se vi sono norme ad hoc sull’utilizzo indiretto quale ingrediente); amministrative (accertamento ex ante sull’autorizzazione del Consorzio o del MIPAAF ed effettiva corrispondenza alla richiesta, ex post); - sanzionatorie (eventuale irrogazione sanzioni di cui al D. Lgs. n. 297/04 e/o codice penale). Nel caso di illegittimo impiego di ingredienti IG in prodotti comuni non può escludersi altresì l’eventuale coinvolgimento dell’AGCM per violazione degli artt. 20 e 21 Codice consumo (pratiche commerciali scorrette – pubblicità ingannevole). Com’è noto, infatti, in linea generale, la tutela apprestata dalle norme sulla pubblicità ingannevole (D.Lgs. n. 206/2005 - Codice del consumo) "non si commisura alla posizione degli acquirenti dotati di specifica competenza, avvedutezza e di particolari cognizioni merceologiche, ma a quella degli acquirenti di media accortezza (o meglio alla generalità dei consumatori), i quali hanno minore attitudine a rendersi conto delle eventuali manovre ingannevoli del venditore o del produttore" (così, T.A.R. Lazio Roma Sez. I, n. 6026/2012). 16. In conclusione, al di là degli aspetti tecnicoinformativi e dei profili sanzionatori, la problematica dell’impiego di prodotti DO o IG quali ingredienti pare innestarsi nel più ampio rapporto tra esigenze di certezza nei cibi e corretta comunicazione commerciale. E’ questa infatti la relazione che sottende la "domanda" di food safety, che si profila anche con la percezione di un rischio reale, non gravato da ingiustificato clamore. Sul punto appaiono fondamentali le riflessioni del Tumminello, ove evidenzia che la domanda di sicurezza si traduce in un incremento della ricerca di adeguati meccanismi preventivi e precauzionali, spesso di natura anche penale. Pur tuttavia tale "domanda", secondo l’Autore, non è solo conseguenza di un aumento obiettivo dei rischi, ma anche di un aumento della percezione del rischio, fenomeno, quest’ultimo, in stretta relazione con l’effetto cumulativo dei mezzi di comunicazione ed in particolare con lo sfondo, a volte ingiustificatamente allarmista, per finalità sensazionalistiche, della gestione delle notizie da parte dei media. Condividiamo tale rilievo, aggiungendo che per tutte le vicende alimentari (le famose "questioni" care al Direttore di questa Rivista) è sempre opportuno un rapporto bilanciato tra attori del sistema alimentare e "osservatori", senza dimenticare che al consumatore finale spetta sempre un legittimo e tutelato affidamento nella certezza dell’acquisto. Un approccio equilibrato, anche mediatico, sul food sarebbe invero un segnale forte per contribuire al dimensionamento della crescente diffidenza dell’uomo verso il cibo (in tal senso, dal punto di vista filosofico, Ferretti e Carrara). Diffidenza, che è anche il frutto di una comunicazione a volte sviante, al punto da non consentire al consumatore di "separare la prospettiva di ottenere un beneficio da quella del rischio" (Hume). 216 GIURISPRUDENZA T.A.R. del Lazio Sez. I Sent. n. 6699, ud. 16.7.2014, Pres. Sestini, est. Bottiglieri, ric. Giuliani SpA contro A.G.C.M. per annullamento provvedimento n. 24311 dell’11.4.2013. Massima Linee prodotti "GUSTO senza zuccheri" e "GUSTO diabel" presentate congiuntamente. Indicazioni nutrizionali con locuzioni come "senza zuccheri", "senza zuccheri aggiunti" oppure "senza zuccheri con… (seguito dal nome dell’edulcorante utilizzato)". Provvedimento annullato nella parte in cui censura e inibisce la denominazione "GUSTO senza zuccheri" e riconduce l’inulina, il malto, l’estratto di malto d’orzo, gli amidi nella nozione di dolcificanti. FATTO ..omissis.. Di seguito le censure dedotte da parte ricorrente. eliminato le indicazioni contestante e separato la presentazione di alcune linee di prodotto (nella specie "GIUSTO senza zucchero" e "GIUSTO diabel"). 1) Violazione dell’art. 28, comma 2, reg. CE 1924/2006. 4) Illegittimità per carenza dei presupposti e difetto d’istruttoria. La citata disposizione europea permetterebbe in via transitoria l’utilizzo dei marchi commerciali storici, anche se contrastanti con le ulteriori disposizioni del regolamento medesimo. In considerazione della circostanza che la locuzione "GIUSTO senza zucchero" costituirebbe marchio commerciale registrato dalla società ricorrente già nel 1993 e rinnovato nel 2003, la sanzione pecuniaria e l’inibitoria sarebbero illegittime. La sanzione si paleserebbe illegittima sia perché l’indicazione "aggiunti" di seguito alla locuzione "senza zuccheri" sarebbe perfettamente leggibile e comprensibile, sia perché le sostanze contenute nei prodotti censurati dall’Autorità non sarebbero edulcoranti e quindi sussumibili nella definizione di zuccheri fornita dall’allegato al reg. CE 1924/2006. 2) Violazione dell’art. 28, comma 2 e falsa applicazione dell’art. 1, comma 3, reg. CE 1924/2006. Nell’adozione del provvedimento l’Autorità avrebbe applicato l’art. 1, comma 3, reg. cit., senza considerare che l’utilizzo per un periodo transitorio - dei marchi storici sarebbe consentito dal ridetto art. 28. 3) Violazione dell’art. 27, comma 7, d.lgs. 206/2005. La sanzione pecuniaria sarebbe illegittima per non aver l’Autorità tenuto in debita considerazione il ravvedimento operoso della società ricorrente, che avrebbe prontamente Violazione dell’art. 11, l. 24 novembre 1981, n. 689. L’Autorità, nell’irrogare la sanzione, non avrebbe tenuto conto del fatturato realizzato dalla linea di prodotti oggetto di contestazione (costituente un’attività secondaria, e dunque una minima frazione del fatturato sociale), della limitata diffusione della pratica commerciale (svolta attraverso canali telematici), della limitata commercializzazione (avvenuta attraverso il circuito farmaceutico), del ravvedimento operoso della società ricorrente. 7) Sproporzionalità della sanzione per errore nei presupposti. L’importo della sanzione è stato aumentato da € 70.000,00 a € 90.000,00, in considerazione della precedente commissione di un illecito (pratica commerciale scorretta, provvedimento 3 novembre 2011, n. 22935): tale aggravio sarebbe illegittimo, in considerazione della pendenza del procedimento giurisdizionale di accertamento della legittimità della sanzione irrogata dall’Autorità (Tar Lazio, I, r.g. 343/2012). ..omissis.. DIRITTO 1. Il provvedimento gravato censura una pratica commerciale posta in essere dalla società ricorrente, consistente nella ALIMENTA vol. XXII n. 10/14 5) Illegittimità per errore nei presupposti. La presentazione congiunta di due linee di prodotto "GIUSTO senza zucchero" e "GIUSTO diabel" - non ingenererebbe alcun erroneo convincimento nei consumatori, posto che la scienza medica non vieta alle persone diabetiche di assumere zuccheri tout court, bensì ne sconsiglia il consumo eccessivo specie se non accompagnato da ulteriori alimenti, quali le fibre alimentari, che favoriscono l’assorbimento degli zuccheri. 6) Eccesso di potere per sproporzionalità della sanzione commercializzazione di una linea di prodotti alimentari denominata "GIUSTO senza zucchero", presentata sul sito web congiuntamente ad altra linea alimentare, "GIUSTO diabel". La prima linea è destinata a soggetti desiderosi di ridurre l’assunzione di zuccheri, mentre la seconda ha come target specifico le persone affette da diabete. I prodotti della linea "GIUSTO senza zucchero" contengono indicazioni nutrizionali, riassunte dalle locuzioni "senza zucchero", "senza zuccheri aggiunti" (in questo caso, vi è l’utilizzo di caratteri di differenti grandezze, nello specifico, il lemma "aggiunti" è di minore dimensione), e "senza zucchero con…"(seguito dal nome dell’edulcorante utilizzato). L’Autorità ha ritenuto che le indicazioni fornite sui prodotti oggetto dell’indagine non fossero conformi alle disposizioni nazionali ed europee, con conseguente irrogazione delle sanzioni pecuniarie e inibitorie. 2. La normativa di riferimento è costituita dal codice del consumo di cui al d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 e dal regolamento CE 20 dicembre 2006, n. 1924. 2.1. L’Autorità ha rilevato la violazione da parte della società degli artt. 20, comma 2, e 21, comma 1, lett. a ) e b), del codice del consumo. 217 L’art. 20, comma 2, del d.lgs. 206/2005 vieta le pratiche commerciali scorrette, ossia quelle contrarie "alla diligenza professionale, [e] fals[e] o idone[e] a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che ess[e] raggiung[ono] o al quale [sono] dirett[e] o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori". L’art. 21, comma 1, d.lgs. 206/2005 similmente vieta le pratiche ingannevoli, considerando tale " una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso: a) l’esistenza o la natura del prodotto; b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l’esecuzione, la composizione, gli accessori, l’assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto". L’art. 27, comma 9, dello stesso d.lgs. 206/2005 dispone poi che "con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta, l’Autorità dispone inoltre l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000,00 euro a 5.000.000,00 euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione". 2.2. Il regolamento CE 20 dicembre 2006, n. 1924, armonizza le previsioni legislative nazionali in tema di etichette dei prodotti alimentari, prevedendo una procedura autorizzatoria per le indicazioni nutrizionali o sulla salute. Nello specifico "le indicazioni nutrizionali e sulla salute possono essere impiegate nell’etichettatura, nella presentazione e nella pubblicità dei prodotti alimentari immessi sul mercato comunitario solo se conformi alle disposizioni del presente regolamento" (art. 3); precisandosi poi che "l’impiego di indicazioni nutrizionali e sulla salute è consentito solo se ci si può aspettare che il consumatore medio comprenda gli effetti benefici secondo la formulazione dell’indicazione" (art. 5, comma 2); tali indicazioni restano ferme anche nelle ipotesi in cui l’indicazione sia rinvenibile in un marchio commerciale: "Un marchio, denominazione commerciale o denominazione di fantasia riportato sull’etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità di un prodotto alimentare che può essere interpretato come indicazione nutrizionale o sulla salute può essere utilizzato senza essere soggetto alle procedure di autorizzazione previste dal presente regolamento a condizione che l’etichettatura, presentazione o pubblicità rechino anche una corrispondente indicazione nutrizionale o sulla salute conforme alle disposizioni del presente regolamento" (art. 1, comma 3). L’allegato al regolamento chiarisce infine quali siano le indicazioni nutrizionali e le relative condizioni di applicazione. Nel caso all’odierno esame, rilevano in particolare le diciture "senza zuccheri" (riservate agli alimenti che contengano "non più di 0,5 g di zuccheri per 100 g o 100 ml"), e "senza zuccheri aggiunti" ("se il prodotto non contiene mono o disaccaridi aggiunti o ogni altro prodotto alimentare utilizzato per le sue proprietà dolcificanti. Se l’alimento contiene naturalmente zuccheri, l’indicazione seguente deve ALIMENTA vol. XXII n. 10/14 figurare sull’etichetta: «CONTIENE NATURALMENTE ZUCCHERI»"). 3. Tanto premesso, si deve rilevare come l’Autorità abbia invero accertato una pratica commerciale vietata consistente in due autonome condotte: da un lato viene censurato il marchio "GIUSTO senza zucchero", contenente un’indicazione nutrizionale non veritiera, stante l’avvenuto accertamento del contenuto zuccherino della quasi totalità dei prodotti della linea; dall’altro vengono censurate le ulteriori indicazioni nutrizionali specifiche espresse con le locuzioni "senza zucchero", "senza zucchero con…" e "senza zuccheri aggiunti", poste sui prodotti commercializzati, e la presentazione congiunta alla linea "GIUSTO diabel". In particolare, di tre prodotti "senza zucchero" esaminati dall’Autorità, uno non è risultato conforme ai parametri di cui al citato regolamento 1924/2006, contenendo un quantitativo di zuccheri superiore al dovuto. Similmente tutti i prodotti "senza zucchero con…", sono risultati contenenti zuccheri in quantità ben superiore al limite di cui all’allegato al regolamento. Quanto, infine, ai prodotti "senza zuccheri aggiunti", si è rilevato che essi presentano una veste grafica tale da rendere la réclame ingannevole per il consumatore, in ragione della minore dimensione del carattere del termine "aggiunti"; inoltre, gli stessi sono stati ritenuti non conformi al disposto del regolamento europeo che limita, nei modi sopra indicati, l’utilizzo dell’indicazione "senza zuccheri aggiunti", poiché contenenti sostanze dolcificanti non costituenti edulcoranti (inulina, malto, estratto di malto d’orzo, amidi). Sicché la pratica commerciale è stata reputata contraria alla diligenza professionale in quanto suscettibile di indurre erronei convincimenti nei consumatori: di conseguenza l’Autorità ha provveduto ad elevare le sanzioni di cui sopra. Scomputata in tal guisa la contestazione mossa al professionista risulta più agevole l’analisi delle doglianze esposte da parte ricorrente. 4. Con i primi due motivi di gravame parte ricorrente osserva come l’art. 28, comma 2, del regolamento CE 1924/2006, disponga che i "prodotti recanti denominazioni commerciali o marchi di fabbrica esistenti anteriormente al 1° gennaio 2005 e non conformi al presente regolamento possono continuare ad essere commercializzati fino al 19 gennaio 2022. Trascorso tale periodo, si applicano le disposizioni del presente regolamento". Parte ricorrente aggiunge come "GIUSTO senza zucchero" sia un marchio commerciale storico, registrato per la prima volta nel 1993 e rinnovato da ultimo nel 2003 (registrazione n. 659530 del 1993, presso l’Uibm e rinnovato con registrazione n. 1051941 del 2003), sicché l’inibitoria e la sanzione sarebbero illegittime. 4.1. Il rilievo coglie nel segno. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito come le disposizioni del c.d. regolamento claim non trovino applicazione – per il periodo transitorio – nei confronti dei marchi c.d. storici, ossia esistenti al 1° gennaio 2005. Il medesimo giudice ha aggiunto che l’esenzione è limitata alle ipotesi di marchi commerciali tutelati, alla data del 1° gennaio 2005, dalla legislazione applicabile (Corte Giustizia UE, IX, 18 luglio 2013, n. 299). Alla luce del chiaro tenore della disposizione di cui all’art. 28, comma 2, del regolamento CE 1924/2006, nonché delle direttive giurisprudenziali della Corte europea, e considerata la regolarità della registrazione del marchio commerciale presso il competente ufficio, appare palese l’errore cui è incorsa l’Autorità nell’inibire l’utilizzo di un marchio che, in quanto protetto da legislazione transitoria, non può essere considerato, 218 al contempo, indicazione nutrizionale costituente pratica commerciale ingannevole. 5. Con gli ulteriori motivi di ricorso parte ricorrente censura le considerazioni svolte dall’Autorità in ordine ad alcune indicazioni nutrizionali specifiche. Al riguardo, va ribadito che, come in precedenza indicato, l’utilizzo delle locuzioni "senza zucchero", "senza zucchero con…" e "senza zuccheri aggiunti", è puntualmente disciplinato dal regolamento CE 1924/2006. Inoltre, l’Autorità ha censurato la presentazione congiunta delle due linee di prodotto, perché possibile fautrice di erronei convincimenti in capo ai consumatori, e ha accertato nei limiti sopra esposti la difformità del contenuto zuccherino dei prodotti per cui è causa. Ciò posto, osserva il Collegio che nulla contesta parte ricorrente in ordine al contenuto di zuccheri nei prodotti presentati con le locuzioni "senza zucchero" e "senza zucchero con…" e al ritenuto ingannevole accostamento in sede di presentazione delle due linee di prodotti "GIUSTO senza zucchero" e "GIUSTO diabel". Si limita invero parte ricorrente a esporre l’erronea riconduzione di inulina, malto, estratto di malto d’orzo, amidi, alla nozione di edulcoranti. Detto rilievo è fondato. L’Autorità ha, infatti, escluso che tali ingredienti fossero edulcoranti ai sensi dell’allegato II del regolamento CEE 1333/2008 (pag. 18 del provvedimento gravato, in alto), ma ha affermato che gli stessi costituiscono prodotto alimentare utilizzato per le sue proprietà dolcificanti. Ma se da un lato è pacifico che i suddetti prodotti non sono edulcoranti, ai sensi dell’allegato II del regolamento CEE 1333/2008, dall’altro non emerge alcun elemento che dia conto dell’assunto dell’Autorità che gli stessi sono utilizzati per rendere più dolce un alimento. Al riguardo, sono inconferenti i richiami giurisprudenziali di parte resistente a statuizioni relative a controversie (C. Stato, VI, 4 luglio 2012, n. 3901; Tar Lazio, I, 4 luglio 2013, n. 6596) nelle quali si trattava di fattispecie difformi, in cui veniva in rilievo la presenza di zuccheri nascosti quali i succhi d’uva o di mele concentrati. 6. Altro profilo di doglianza elevato da parte ricorrente inerisce la quantificazione della sanzione e la mancata considerazione dell’avvenuta cessazione della pratica commerciale illecita già in pendenza del procedimento sanzionatorio. Parte ricorrente ha infatti, tra altro, esposto come in reazione alla comunicazione dell’Autorità abbia eliminato le dizioni "senza zucchero" e "senza zucchero con…", separando altresì la presentazione delle due linee di prodotti "GIUSTO senza zucchero" e "GIUSTO diabel", riconoscendo in tal guisa l’illeceità della pratica commerciale. 6.1. Al riguardo, va rilevato che in ordine alla quantificazione della sanzione l’Autorità ha tenuto conto del già citato art. 27, comma 9, del codice del consumo, e, per quanto applicabili, dei criteri individuati dall’articolo 11, l. 24 novembre 1981, n. 689, in virtù del richiamo previsto all’articolo 27, comma 13, dello stesso codice, e, indi, della gravità della violazione, dell’opera svolta dall’impresa per eliminare o attenuare l’infrazione, della personalità dell’agente, nonché delle condizioni economiche dell’impresa stessa. Con riguardo alla gravità della violazione, l’Autorità ha in particolare tenuto conto dell’importanza e della dimensione ALIMENTA vol. XXII n. 10/14 economica del professionista – società di grandi dimensioni con un fatturato, nel 2011, di quasi 100 milioni di Euro – della peculiare modalità di distribuzione del prodotto (principalmente attraverso il canale farmaceutico), capace di raggiungere un platea particolarmente vulnerabile di consumatori. La capacità penetrativa della pratica e il pregiudizio economico per i consumatori sono stati valutati tenendo conto dei volumi e dei ricavi dalle vendite dei prodotti in questione dall’anni 2011 fino al mese di novembre 2012, attestandosi in circa € 1.700.000,00. La durata della violazione, dagli elementi disponibili in atti, è stata stimata assai risalente, posto che il marchio "GIUSTO senza zucchero" risulta da ultimo rinnovato nel 2003. Nel contempo l’Autorità ha rilevato come la società Giuliani, abbia eliminato le indicazioni nutrizionali "senza zucchero" e "senza zucchero con…", nonché separato la presentazione sul sito web della linea "GIUSTO senza zucchero" e "GIUSTO diabel". Sulla base di tali elementi, l’Autorità ha determinato l’importo della sanzione amministrativa nella misura di € 70.000,00, elevati a € 90.000,00, in considerazione del fatto che la medesima società risultava già sanzionata per un’analoga violazione. 6.2. Poiché è già stata esclusa la scorrettezza della pratica relativa alla denominazione della linea "GIUSTO senza zucchero", l’esame delle censure in parola è limitato all’afferenza della sanzione alle indicazioni nutrizionali specifiche contenute nella stessa linea. 6.3. Tanto premesso, non merita accoglimento la doglianza secondo cui l’Autorità non avrebbe dovuto considerare l’intero bilancio sociale, bensì solo quello relativo alla linea di prodotti in parola, atteso che il valore di cui parte ricorrente lamenta l’errato utilizzo attiene alla dimensione economica dell’impresa e, indi, a uno dei parametri specificamente contemplati per la determinazione della sanzione dal codice del consumo. Si richiama, sul punto, la sentenza della Sezione 15 febbraio 2012, n. 1568, secondo cui "va escluso che l’Autorità ... dovesse riferirsi esclusivamente al fatturato afferente le linee di produzione oggetto di esame, anziché alla complessiva dimensione e potenzialità economica dell’impresa, atteso che tale limitazione dell’apprezzamento in ordine alle condizioni economiche dell’agente non trova riscontro nelle previsioni normative di riferimento". La società non può essere seguita neppure quando opina che la diffusione della pratica sarebbe stata valutata con criteri erronei, atteso che, sul punto, il percorso logico esternato dall’Autorità si profila immune da vizi logici, avendo considerato tutti i mezzi con i quali la pratica è stata diffusa e la loro capacità diffusiva, nonché rimarcando anche la speciale vulnerabilità di alcuni destinatari della pratica. Per quanto concerne il profilo della reiterata commissione di illeciti rilevata dall’Autorità, non può concordarsi con la ricorrente quando afferma che la mera pendenza di un giudizio di opposizione a sanzione comporti l’automatico venir meno del requisito della recidiva. 6.4. Deve invece trovare favorevole considerazione la censura con la quale si lamenta che l’Autorità non abbia valutato il ravvedimento operoso posto in essere dalla società mediante la cessazione della presentazione congiunta delle due linee di prodotti in parola e la rimozione dai relativi incarti delle indicazioni censurate in corso di procedimento. 219 Tale condotta, infatti, assume i caratteri del ravvedimento operoso, essendo stata posta in essere alla data del 3 dicembre 2012, come riconosce la stessa Autorità (pag. 20 del provvedimento gravato, in alto), ovvero a brevissima distanza dalla contestazione, avvenuta il 12 novembre 2012, ed essendo idonea ad attenuare grandemente i profili di scorrettezza della pratica commerciale posta in essere. La stessa risulta pertanto idonea a incidere su due dei criteri di cui all’articolo 11 della l. n. 689 del 1981 (opera svolta dall’impresa per eliminare o attenuare l’infrazione; gravità della violazione). In altre parole, alla qualificazione della gravità del comportamento illecito accertato, come visto, correttamente effettuata in astratto in ragione dell’importanza e della dimensione economica del professionista nonché della capacità penetrativa della pratica e del correlato pregiudizio economico per i consumatori, non ha fatto seguito una parimenti corretta perché proporzionata individuazione della misura da adottare, in concreto, nei confronti dell’impresa, quale mezzo ripristinatorio dell’ambito di legalità violata. 7. Da tutto quanto sopra, e, segnatamente per effetto delle censure rivelatesi fondate e pertanto accolte, deriva che il provvedimento in esame va annullato nella parte in cui censura e inibisce l’utilizzo della denominazione della linea "GIUSTO senza zucchero", nonché riconduce l’inulina, il malto, l’estratto di malto d’orzo, gli amidi nella nozione di sostanze dolcificanti. Va, conseguentemente, annullata l’erogazione della conseguente sanzione pecuniaria, che va, inoltre, annullata anche nella parte in cui non ha considerato il comportamento oneroso posto in essere dalla società. Per il conseguente ricalcolo della sanzione, è indi necessario in primo luogo scomputare nel modo anzidetto la sanzione in ragione delle due differenti azioni, di cui una – l’utilizzo del marchio storico – pienamente legittima e l’altra parzialmente illecita e in secondo luogo ridurre proporzionalmente la seconda: sicché dall’originaria sanzione di € 90.000,00 si giunge ad € 40.000,00. Tale somma va ulteriormente dimezzata in ragione del parziale accoglimento della domanda del ricorrente di riduzione della sanzione, poiché all’apprezzamento favorevole dei considerati fattori appare congruo assegnare una incidenza stimabile nel 25% per ciascuno. Di talché l’importo della sanzione deve infine essere ridotto in € 20.000,00 (euro ventimila/00). 8. Alla reciproca soccombenza consegue la compensazione delle spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo accoglie in parte, nei sensi di cui in motivazione, annullando per l'effetto, per la stessa parte, l'impugnato provvedimento, e rideterminando la sanzione nell'importo pari a € 20.000,00 (euro ventimila/00). Compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Redazione e Amministrazione: EDIZIONI SCIENZA E DIRITTO S.a.s. 20132 MILANO - Via Pordenone, 38 - Tel. 02/29.51.11.32 - Fax 29.40.80.03 -info@scienzaediritto.com www.scienzaediritto.com Abbonamento annuale 10 numeri euro 80 - Estero il doppio - Un numero separato euro 8 Registrazione del Trib. di Milano n. 128 del 13.3.1993 - Stampato in proprio – ISSN 2284-3574 Garanzia di riservatezza per gli abbonati. 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