Articolo pubblicato dal prof. Silano sulla rivista Alimenta (N° 10 anno

ALIMENTA
ESD
COMMENTARIO TECNICO-GIURIDICO DELLA PRODUZIONE AGRO-ALIMENTARE
N. 10
Anno XXII
Ottobre 2014
SOMMARIO
Mensile
LIEVITO E "LIEVITO NATURALE"
Mistificazione di termini, degenerazione di un’arte
V. Silano (199)
Nuovi strumenti per la tutela dei consumatori dagli
effetti avversi degli allergeni presenti negli alimenti
L. Guidarelli (203)
Steroli e stanoli vegetali: aspetti regolatori relativi al
mantenimento o riduzione dei livelli di colesterolo
M. Vitagliano, S. Germani, C. Mucciolo (206)
Stabilità ossidativa nella carne suina addizionata con
aroma naturale di oliva (Phenolea® Complex Plus)
F. Aversano, P.M. Meregalli (209)
Riflessioni sull'impiego di prodotti DOP e IGP come
ingredienti: tra evocazione, rischio e utilità
Giurisprudenza (217)
TAR Lazio sent. n. 6699/2014 – Ric. Giuliani Spa
contro AGCM - Linee prodotti "Gusto senza zuccheri"
e "Gusto Diabel" - Indicazioni nutrizionali - Edulcorante
utilizzato - Provvedimento parzialmente annullato
"Lievito madre vivo", "Vero lievito madre", "Lievito
naturale attivo", "Coadiuvante a base di lievito
naturale", "Lievito naturale vivo", "Semilavorato a
base di lievito naturale" sono le fantasiose
denominazioni falsamente intese come sinonimi di
"Pasta madre", "Pậte à levure, "Sour dough",
"Hefeteig", "Masa madre". A conferma che le
menzogne ripetute diventano verità, questa pletora di
"preparati" ha invaso il campo della produzione panaria
e dolciaria da forno (sia artigianale che industriale) con
una disinvolta strategia di marketing.
Giocano a favore di essi alcuni fattori il primo dei quali
è certamente l’"opportunità" di qualificare i prodotti
come ottenuti da ortodossa fermentazione panaria
ancorché a tempi di lievitazione ridotti. E’ il paradosso
che vede l’artigiano enfatizzare la qualità delle sue
produzioni delegando la propria professionalità a terzi e
l’industria nascondere la sua funzione dietro la
maschera dell’artigianalità (ormai surrettiziamente
associata al mito del "naturale").
Il secondo fattore a favore di questa mistificazione è la
carenza legislativa costretti come siamo a trovare un
brandello di norma nel vetusto DPR 502/98 che all’art.
8 cita il "lievito" e la "crema di lievito"
condizionandone l’impiego ad un "adeguato potere
fermentativo". Una norma spuria che conforma
l’"adeguato" all’indeterminato (inammissibile in materia
tecnica dove le cifre limite contano, eccome!). Criticità
questa non mitigata neppure dall’art. 3 dello stesso DPR
502/98 che, trattando delle "aggiunte", cita la "paste
acide essiccate purché prodotte esclusivamente con gli
ingredienti previsti dagli artt. 14 (sfarinati di grano,
acqua e lievito) e 21 ("farine alimentari"- non meglio
precisate - anche se miscelate con sfarinati di grano)
della L. 4.7.67 n. 580".
(segue)
a cura di Istituto Bromatologico Italiano Direttore responsabile: Antonio Neri
ASSOCIATO
Unione Stampa Periodica Italiana
In modo fortunoso, secondo l’italico costume che usa i
decreti per legiferare, il richiamo alla "fermentazione
naturale" lo troviamo nel Decreto 22.7.05 dell’allora
Ministero Attività Produttive ("Disciplina della
produzione e vendita di taluni prodotti dolciari da
forno") che riserva la denominazione di "Panettone",
"Pandoro" e "Colomba" ai prodotti "ottenuti per
fermentazione naturale da pasta acida". E’ questo uno
dei rarissimi punti di connessione tecnico-giuridica fra
"fermentazione naturale" e "pasta acida". Gli altri
riguardano la I.G.P. "Coppia ferrarese" e la DOP "Pane
di Altamura".
Punto
fermo
ed
insuperabile
a
conferma
dell’illegittimità dei "preparati" in discorso dato si che
gli stessi evitano di qualificarsi "pasta acida" (neppure
"essiccata") per assoluta carenza di attività fermentativa
come dimostrato da una serie di tests che l’hanno
confermata pari a zero.
Necessario dunque mettere ordine. La legislazione
francese rappresenta un buon modello perché "rispettosa
dell'eccellenza della tradizione della sua boulangerie.
Con la denominazione comune di "agenti della
fermentazione alcolica panaria" si fa distinzione fra
"levure de panification (Saccharomyces cerevisiae)" e
"levain" attribuendo a quest'ultimo la nozione di "pasta
acida" costituta da un impasto di frumento e/o di segale
e sottoposta a fermentazione spontanea acidificante.
Deve essere caratterizzata da una microflora costituita
essenzialmente da batteri lattici e lieviti. Può essere
disidratata alla condizione di una flora batterica vitale di
un miliardo e da uno a dieci milioni di lieviti per
grammo. La denominazione di "pain au levain" è
riservata ai pani ottenuti con questa "pasta acida". In
Italia tutti gli esperti concordano sulla materia e tuttavia
non si manifesta interesse alcuno (neppure da parte dei
produttori di lievito da Saccharomyces cerevisiae) ad
aggiornare una norma tanto sclerotica quanto sibillina.
Chiusa con questa mesta conclusione la discussione sui
"preparati" incertae sedis tecnico-legale, occorre aprirne
un’altra che reputo conseguente. Mi riferisco all’ormai
imminente applicazione del Reg. 1169/2011
ALIMENTA vol. XXII n. 10/14
sull’informazione dei consumatori che con il Capo III
("Requisiti generali relativi all’informazione sugli
alimenti e responsabilità degli operatori del settore
alimentare") opportunamente accomuna l’art. 7
("Pratiche leali di informazione") all’art. 8
("Responsabilità") il cui comma 1 contiene la nozione
di "operatore responsabile delle informazioni" associata
al soggetto sotto il cui nome o ragione sociale è
"commercializzato" il prodotto con l’indicazione
obbligatoria del nome e indirizzo (art. 9 lett. h). Quindi
che si tratti di prodotto a marchio del produttore o a
marchio del distributore (la cosidetta "private label")
non fa differenza.
E dunque, per riprendere e concludere sul caso che qui
ci interessa, non rientra certo fra le pratiche leali
d’informazione l’indicazione del "lievito madre" o del
"lievito naturale" fra gli ingredienti del prodotto finito.
Tanto più quando in etichetta si enfatizzi il ruolo di una
"naturalità" conseguente al loro utilizzo. Sono
molteplici le ipotesi di induzione in errore previste
dall’art. 7 del regolamento fra le quali emerge una di
particolare rilevanza alla lettera d) che consiste anche
nel semplice suggerimento della presenza di un
"ingrediente" di fatto naturalmente presente o
normalmente utilizzato sostituito con un diverso
ingrediente. Lo spot televisivo fa il resto, fa volume
intorno ad una realtà truccata.
Per finire. La materia è dotata di una tale specificità da
ritenersi difficilmente compresa nel bagaglio
professionale del nostro pluricefalo apparato
controllore. Pur riconoscendo la solerzia con cui gli enti
che ne fanno parte perseguono i loro scopi istituzionali
(in diretta proporzione all’animo concorrenziale che li
stimola) è da dubitare che alcuno di questi riesca a
collegare il caso con la norma.
E questo certamente è un altro vantaggio a favore del
tranquillo utilizzo dei "preparati" in questione.
O vogliamo che sia ancora e sempre la AGCM ad
occuparsene?
Antonio Neri
198
NUOVI STRUMENTI PER LA TUTELA DEI CONSUMATORI DAGLI EFFETTI
AVVERSI DEGLI ALLERGENI PRESENTI NEGLI ALIMENTI
Vittorio Silano, II Università di Roma, Tor Vergata
I. Allergie ed intolleranze alimentari
I sintomi delle allergie alimentari IgE-mediate derivano
da reazioni del sistema immunitario nei confronti di un
particolare alimento (ad esempio latte vaccino, uova,
arachidi, crostacei, frutta secca e soia) e si manifestano,
in genere, dopo breve tempo dall’ingestione, mentre
quelli delle intolleranze alimentari sono il risultato di
reazioni negative dell’organismo che dipendono da
difficoltà dell’organismo a digerire o metabolizzare un
alimento (ad esempio lattosio) o da reazioni immuni non
IgE-mediate (ad esempio glutine) e possono comparire
anche a distanza di tempo dal consumo dell’alimento
responsabile.
La sintomatologia associata alle intolleranze alimentari
è piuttosto variabile; generalmente si riscontrano
sintomi prettamente intestinali (ad es. dolori addominali,
diarrea, vomito e perdita di sangue con le feci), ma
possono essere colpiti anche altri organi. Le allergie,
invece, essendo scatenate da meccanismi immunologici
IgE-dipendenti, possono manifestarsi anche senza
sintomi intestinali. La sintomatologia legata alle
intolleranze può in alcuni casi divenire cronica. I più
comuni sintomi delle reazioni allergiche, anche se non
si manifestano in genere tutti in ogni singolo episodio,
sono ; (i) gola e lingua secca ed irritata; (ii) cute affetta
da prurito ed esantemi; (iii) nausea e senso di pienezza
(gonfiore); (iv) diarrea e/o vomito; (v) respiro affannoso
e corto ; (vi) rigonfiamento delle labbra della gola; (vii)
tosse; (viii) naso che cola o bloccato; e (ix) occhi
doloranti, rosso ed irritati. Le allergie possono avere
anche complicanze gravi, fino allo shock anafilattico
che, ove non adeguatamente trattato, può essere
associato anche a quantità molto piccole di allergeni.
Per fortuna, reazioni allergiche molto gravi sono
piuttosto rare nell’UE.
Per quanti sono suscettibili alle allergie o alle
intolleranze alimentari, è assolutamente fondamentale
ricevere adeguate informazioni sulla natura degli
ingredienti allergenici presenti negli alimenti , tenendo
anche conto di possibili allergeni che possano essere
presenti nel cibo come contaminanti. Per quanto il
problema principale è, ovviamente, relativo agli
ingredienti allergenici usati intenzionalmente, è
importante essere consapevoli che anche la
contaminazione di un alimento con un allergene può
essere molto rischioso per consumatori che sono
soffrono di allergie.
Entrambe le due citate tipologie di reazioni avverse al
cibo (allergie ed intolleranze alimentari) derivano da
una particolare predisposizione, in genere con una
componente genetica, delle persone sensibili (che
rappresentano circa il 3-4% degli adulti ed il 7-8% dei
bambini della popolazione dell’Unione Europea) a
particolari sostanze, in genere proteine, presenti in
ALIMENTA vol. XXI n. 10/14
particolari alimenti/ingredienti. Ad esempio, si ritiene
che ogni anno in uno Stato come il Regno Unito circa
10 persone muoiano per reazioni allergiche agli alimenti
anche se i dati reali sono probabilmente più elevati e
molte più persone sono trattate in ospedale. Inoltre, la
sola incidenza dell’intolleranza alimentare, denominata
"malattia celiaca", è stimata in Italia essere pari a 1 su
85 persone. E’, quindi, evidente che l'incidenza delle
allergie/intolleranze alimentari è tale che esse
condizionano la vita di numerose persone, provocando
malattie di cui alcune sono benigne, ma altre possono
anche rivelarsi molto gravi.
Per difendersi dai sintomi associati ad allergie ed
intolleranze alimentari è, quindi, in primo luogo
indispensabile per chiunque ritenga di essere a rischio
consultare il proprio medico al fine di rendere possibile
l’ individuazione (diagnosi) puntuale del particolare
alimento/ingrediente coinvolto in specifici alimenti
mediante adeguati approcci diagnostici.
Successivamente alla diagnosi di allergia od intolleranza
ad un particolare alimento/ingrediente alimentare
(allergene), la difesa dai sintomi citati è possibile
escludendo del tutto e, nella maggior parte dei casi, per
tutta la vita dalla propria alimentazione l’alimento/ingrediente ritenuto responsabile. Un aspetto che
complica notevolmente l’eliminazione di particolari
allergeni dalla dieta di persone suscettibili deriva dalla
ampia diffusione degli allergeni alimentari nella
formulazione di una grande varietà di alimenti
trasformati.
II. Nuovi obblighi di informazione dei consumatori
in materia della presenza di allergeni negli alimenti
Quanto premesso nella Sezione I indica l’ importanza
per la tutela della salute dei consumatori la conoscenza
degli allergeni presenti negli alimenti. Alcuni obblighi
di informazione nel merito sono già previsti nella
normativa attuale, ma notevoli miglioramenti sono
previsti in questo settore a partire del prossimo 13
dicembre 2014 data a partire dalla quale troveranno
applicazione nuovi importanti obblighi a carico degli
operatori della catena alimentare in materia di
informazione dei consumatori in relazione agli allergeni
presenti nei prodotti alimentari . Il Regolamento (UE)
1169/2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio del
25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni
sugli alimenti ai consumatori, esplicherà i suoi effetti a
decorrere dal 13 dicembre 2014 apportando modifiche
sostanziali all’attuale disciplina relativa a questo settore,
che comporteranno notevoli benefici per la tutela della
salute dei consumatori ed imporranno ulteriori obblighi
agli operatori della catena alimentare destinatari di
questa disciplina . Uno dei più importanti nuovi
adempimenti previsti è quello recato dall’articolo 9
199
relativo all’elenco delle indicazioni obbligatorie che
sancisce l’obbligatorietà, fra l’altro, dell’indicazione
concernente "qualsiasi ingrediente o coadiuvante
tecnologico elencato nell’allegato II o derivato da una
sostanza o un prodotto elencato in detto allegato che
provochi allergie o intolleranze usato nella
fabbricazione o nella preparazione di un alimento e
ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma
alterata".
ALLEGATO II AL REG. (UE) 1169/2011 - SOSTANZE O PRODOTTI CHE PROVOCANO ALLERGIE O
INTOLLERANZE ALIMENTARI
1. Cereali contenenti glutine, cioè: grano, segale, orzo, avena, farro, kamut o i loro ceppi ibridati e prodotti derivati,
tranne:
a) sciroppi di glucosio a base di grano, incluso destrosio ( 1 );
b) maltodestrine a base di grano ( 1 );
c) sciroppi di glucosio a base di orzo;
d) cereali utilizzati per la fabbricazione di distillati alcolici, incluso l’alcol etilico di origine agricola.
2. Crostacei e prodotti a base di crostacei.
3. Uova e prodotti a base di uova.
4. Pesce e prodotti a base di pesce, tranne:
a) gelatina di pesce utilizzata come supporto per preparati di vitamine o carotenoidi;
b) gelatina o colla di pesce utilizzata come chiarificante nella birra e nel vino.
5. Arachidi e prodotti a base di arachidi.
6. Soia e prodotti a base di soia, tranne:
a) olio e grasso di soia raffinato (1);
b) tocoferoli misti naturali (E306), tocoferolo D-alfa naturale, tocoferolo acetato D-alfa naturale, tocoferolo
succinato D-alfa naturale a base di soia;
c) oli vegetali derivati da fitosteroli e fitosteroli esteri a base di soia;
d) estere di stanolo vegetale prodotto da steroli di olio vegetale a base di soia.
7. Latte e prodotti a base di latte (incluso lattosio), tranne:
a) siero di latte utilizzato per la fabbricazione di distillati alcolici, incluso l’alcol etilico di origine agricola;
b) lattitolo.
8. Frutta a guscio, vale a dire: mandorle (Amygdalus communis L.), nocciole (Corylus avellana), noci (Juglans regia),
noci di acagiù (Anacardium occidentale), noci di pecan [Carya illinoinensis (Wangenh.) K. Koch], noci del Brasile
(Bertholletia excelsa), pistacchi (Pistacia vera), noci macadamia o noci del Queensland (Macadamia ternifolia), e i
loro prodotti, tranne per la frutta a guscio utilizzata per la fabbricazione di distillati alcolici, incluso l’alcol etilico di
origine agricola.
9. Sedano e prodotti a base di sedano.
10. Senape e prodotti a base di senape.
11. Semi di sesamo e prodotti a base di semi di sesamo.
12. Anidride solforosa e solfiti in concentrazioni superiori a 10 mg/kg o 10 mg/litro in termini di anidride solforosa
totale da calcolarsi per i prodotti così come proposti pronti al consumo o ricostituiti conformemente alle istruzioni dei
fabbricanti.
13. Lupini e prodotti a base di lupini.
14. Molluschi e prodotti a base di molluschi.
(1) e i prodotti derivati, nella misura in cui la trasformazione che hanno subito non è suscettibile di elevare il
livello di allergenicità valutato dall’Autorità per il prodotto di base da cui sono derivati.
III. La disciplina relativa all'indicazione degli
allergeni in materia di prodotti pre-confezionati (o
pre-imballati):
 le informazioni in materia di allergeni sugli
alimenti sono apposte in un punto evidente in
modo da essere facilmente visibili, chiaramente
leggibili ed eventualmente indelebili in una lingua
ALIMENTA vol. XXI n. 10/14
facilmente
comprensibile
da
parte
dei
consumatori degli Stati membri nei quali
l’alimento è commercializzato. Esse non sono in
alcun modo nascoste, oscurate, limitate o separate
da altre indicazioni scritte o grafiche o altri
elementi suscettibili di interferire (art.13* e
art.15*);
 le informazioni in materia di allergeni che
appaiono sull’imballaggio o sul-l’etichetta ad esso
200
apposta sono stampate in modo da assicurare
chiara leggibilità, in caratteri la cui parte mediana
(altezza della "x") è pari o superiore a 1,2 mm.
Nel caso di imballaggi o contenitori la cui
superficie maggiore misura meno di 80 cm2,
l’altezza della "x" della dimensione dei caratteri è
pari o superiore a 0,9 mm. Queste indicazioni
sono obbligatorie sull’imballaggio o sull’etichetta
anche nel caso di imballaggi o contenitori la cui
superficie maggiore misura meno di 10 cm2 (art.
13* e art. 16*);
 l’identificazione degli allergeni avviene
per
inclusione nell’elenco degli ingredienti che reca
un’intestazione o è preceduto da un’adeguata
indicazione
che
consiste
nella
parola
«ingredienti» o la comprende. L’elenco
comprende tutti gli ingredienti dell’alimento, in
ordine decrescente di peso, così come registrati al
momento del loro uso nella fabbricazione
dell’alimento (Art. 18*). La menzione in detto
elenco è da farsi, conformemente alle disposizioni
stabilite all’articolo 18*, paragrafo 1, con un
riferimento chiaro alla denominazione della
sostanza o del prodotto figurante nell’elenco
dell’allegato II (art. 21*). Inoltre, la denominazione della sostanza o del prodotto figurante
nell’allegato II è evidenziata attraverso un tipo di
carattere chiaramente distinto dagli altri
ingredienti elencati, per esempio per dimensioni,
stile o colore di sfondo (art.21*). Quando più
ingredienti o coadiuvanti tecnologici di un
alimento provengono da un’unica sostanza o da
un unico prodotto figurante nell’elenco
dell’allegato II, ciò è precisato nell’etichettatura
per ciascun ingrediente o coadiuvante tecnologico
in questione;
 in mancanza di un elenco degli ingredienti
(vedere ance l’art.19), le indicazioni relative agli
allergeni includono il termine «contiene» seguito
dalla denominazione della sostanza o del prodotto
figurante nell’elenco dell’allegato II; e
 per gli alimenti pre-confezionati (o pre-imballati)
messi in vendita mediante tecniche di
comunicazione a distanza (art. 14*)
le
informazioni obbligatorie sugli alimenti sono
disponibili prima della conclusione dell’acquisto e
appaiono sul sup-porto della vendita a distanza o
sono fornite mediante qualunque altro mezzo
adeguato chiaramente individuato dall’operatore
del settore alimenta re. Tutte le indicazioni
obbligatorie devono essere
disponibili al
momento della consegna.
IV. La disciplina relativa all'indicazione degli
allergeni in materia di prodotti non pre-confezionati
(o non pre-imballati):
Ove gli alimenti siano offerti in vendita al consumatore
finale o alle collettività senza preimballaggio oppure
siano confezionati o imballati sui luoghi di vendita su
richiesta del consumatore o preimballati per la vendita
diretta (art. 44*), la fornitura delle indicazioni in
materia di allergeni è obbligatoria.
ALIMENTA vol. XXI n. 10/14
Nel caso di alimenti non preimballati messi in vendita
mediante tecniche di comunicazione a distanza, le
indicazioni richieste a norma dell’articolo 44 sono rese
disponibili ai sensi del paragrafo 1 dell’art.14 del
Regolamento (UE) 1169/2011.
Gli Stati membri possono adottare disposizioni
nazionali concernenti i mezzi con i quali le indicazioni o
loro elementi devono essere resi disponibili e,
eventualmente, la loro forma di espressione e
presentazione e sono tenuti a comunicare immediatamente alla Commissione il testo delle disposizioni
eventualmente adottate.
V. Responsabilità degli operatori in caso di prodotti
pre-confezionati (o pre-imballati):
Sulla base dell'art. 8 del Regolamento UE. 1169/2011,
l'operatore il cui nome o la cui ragione sociale appare
sull'etichetta di prodotti preconfezionati è responsabile
in caso di omessa indicazione dell'allergene nell'elenco
degli ingredienti, come pure in caso di mancata
evidenziazione dell'allergene qualora lo stesso sia
riportato nell'elenco. In questo secondo caso, anche il
distributore del prodotto la cui etichetta non evidenzia
l'allergene diventa responsabile ai sensi del par. 3
dell'art. 8 del Regolamento UE. 1169/2011.
VI. Responsabilità degli operatori in caso di prodotti
non pre-confezionati (o non pre-imballati):
Nel caso di commercializzazione dei prodotti non preconfezionati (o non pre-imballati), essendo obbligatoria
l'indicazione come pure l'evidenziazione degli allergeni,
gli operatori che immettono i prodotti in consumo sono
responsabili per le eventuali omissioni.
VII. Sanzioni
Tutte le violazioni riguardanti la mancata indicazione
degli allergeni o la omessa evidenziazione dei
medesimi, sono assoggettate alla sanzione prevista
dall'art. 18 del Decreto legislativo n. 109/1992. Tuttavia,
si deve rilevare che questa normativa è attualmente in
fase di revisione attraverso un apposito decreto
legislativo proprio al fine dell’adeguamento alle
prescrizioni del Reg. (UE) 1169/2011.
VIII. Conclusioni
Le innovazioni recate dal Regolamento (EU) No
1169/2011 rivestono grande importanze per la tutela
della salute dei consumatori. Esse sono fortemente
innovative specialmente per quanto riguarda le
informazioni sulla presenza di allergeni che devono
essere fornite in materia di alimenti nonpreconfezionati, ivi inclusi quelli venduti negli esercizi
commerciali o serviti nei ristoranti od altri esercizi
similari . Le informazioni sugli allergeni devono essere
fornite in forma scritta, a meno che gli Stati membri non
decidano diversamente. Infatti, il Regolamento citato
prevede che gli Stati membri possano adottare nel
merito una normativa nazionale da notificare alla
Commissione Europea secondo la procedura usuale per
definire gli strumenti attraverso i quali l’informazione in
materia di allergeni deve essere resa disponibile In
questo rispetto, le misure nazionali possono prevedere
che la dettagliata informazione da fornire in materia di
201
allergeni in alimenti non pre-confezionati possa anche
essere data, su richiesta del consumatore, purchè
l’operatore della catena alimentare indichi in un posto
adeguato e facilmente visibile
ed in maniera
chiaramente leggibile, e, se del caso, indelebile, il fatto
che tale informazione potrà essere ottenuta su richiesta.
Risulta che un gran numero di Stati membri stiano
lavorando all’elaborazione delle normative nazionali.
Vale rilevare in questo contesto il fatto che la
Commissione Europea ha pubblicato un apposito
Documento contenente "Domande e Risposte" nel
merito dell’applicazione delle prescrizioni del
Regolamento (UE)1160/2011 che risulta accessibile sul
seguente
sito
web
http://ec.europa.eu/food/
food/labellingnutrition/food
labelling/docs/qanda_
application_reg1169-2011 _en.pdf
Considerando la grande varietà degli esercizi alimentari
destinatari di questa norma , è evidente che pervenire
alla soddisfacente applicazione della normativa in
questione non sarà facile e che essa rappresenta un
onere non trascurabile specialmente per gli esercizi più
piccoli, segnatamente per garantire un'adeguata
formazione sulla corretta applicazione della norma. In
ogni caso, contrastare al meglio le gravi conseguenze
per la salute dei consumatori derivanti dalle
allergie/intolleranze alimentari è evidentemente un
importante obiettivo sociale e di civica solidarietà. In
questo ambito, ovviamente, sia le associazioni dei
consumatori
che quelle del commercio e della
somministrazione degli alimenti possono svolgere un
ruolo molto positivo.
(*) Tranne il riferimento normativo di cui nella Sezione VII, tutti gli altri riferimenti ad articoli nella presente nota
si riferiscono al Reg.(UE) 1169/2011
*
*
*
MASTER UNIVERSITARIO DI II LIVELLO IN DIRITTO ALIMENTARE
Università degli Studi della Tuscia
Dipartimento DISTU
Anno Accademico 2014-2015
Il Master di II Livello in "DIRITTO ALIMENTARE" è istituito dall’Università della Tuscia con l’Università CAMPUS BIOMEDICO di Roma, ed in cooperazione con il Mipaaf – Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, e con il NAF
- Nucleo Agroalimentare Forestale del Corpo Forestale dello Stato.
Il Master sviluppa l’analisi e lo studio del DIRITTO ALIMENTARE nella sua dimensione multilivello, comprensiva della
normativa di fonte nazionale, regionale, UE, ed internazionale, nonché delle normative tecniche e di fonte volontaria, tenendo
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lavorare, nella filiera agro-alimentare, sia nel settore pubblico che in quello privato, con compiti di gestione e/o consulenza
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Il Corso comprende, per il 25% dell’impegno didattico, anche moduli dedicati all’acquisizione dello strumentario di
conoscenze scientifiche di base indispensabili per la corretta applicazione delle disposizioni in materia da parte degli
operatori giuridici pubblici e privati, nonché all’acquisizione di conoscenze relative alla commercializzazione e marketing dei
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Segreteria: Dott. Barbara Angelino bangelino@unitus.it
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La domanda di ammissione è pubblicata in http://www.aida-ifla.it/images/Domanda_Ammissione_Master_DA.pdf
ALIMENTA vol. XXI n. 10/14
202
STEROLI E STANOLI VEGETALI: ASPETTI REGOLATORI RELATIVI AL
MANTENIMENTO O RIDUZIONE DEI LIVELLI DI COLESTEROLO
Lucia Guidarelli – collaboratore DGISAN Ministero Salute
Steroli/stanoli nell’alimentazione. Gli steroli e stanoli
vegetali sono composti presenti in natura, con una
struttura simile a quella del colesterolo; gli steroli si
trovano in piccole quantità in alimenti quali frutta,
verdure, noci, legumi, semi, oli vegetali e sono
componenti essenziali delle membrane cellulari dei
vegetali. Negli stessi alimenti si trovano tracce di
stanoli, che possono essere prodotti per idrogenazione
degli steroli per uso commerciale. Con una dieta
mediamente varia, i consumi di steroli e stanoli sono
piuttosto bassi ed una loro azione come blocco
dell’assorbimento nell’intestino del colesterolo si può
considerare insignificante.
Molti studi clinici hanno dimostrato che steroli e stanoli
vegetali abbassano il colesterolo totale e il colesterolo
LDL, realizzando un effetto che potrebbe aggiungersi a
quello ottenuto con vere strategie di tipo terapeutico.
Alla luce di tale evidenza, si sono ampiamente diffusi
sul mercato i prodotti alimentari addizionati con tali
composti.
Prime disposizioni di etichettatura obbligatoria Con il
Reg. 608/2004 la Commissione europea ha dato
indicazioni di etichettatura di prodotti e ingredienti
alimentari addizionati di fitosteroli, esteri di fitosterolo,
fitostanoli e/o esteri di fitostanolo. E’ stato consultato,
all’epoca, il Comitato scientifico per l’alimentazione
umana sugli effetti del consumo di tali composti, che
riducono i livelli sierici del colesterolo, ma possono
anche ridurre i livelli di beta-carotene. Non sono emerse
prove di maggiori benefici con un’assunzione superiore
ai 3 grammi, anzi un’assunzione elevata potrebbe
causare effetti indesiderati ed è prudente pertanto
evitare di superare i 3 g/die. Il Reg. 608/2004 fa
riferimento alla Decisione della Commissione
2000/500/CE, che autorizza l’immissione sul mercato di
"margarine spalmabili addizionate di esteri di
fitosterolo" in qualità di nuovi prodotti o nuovi
ingredienti alimentari ai sensi del Reg. 258/1997. E’
necessario specificare in etichetta che il prodotto è
destinato esclusivamente alle persone che intendono
ridurre i livelli di colesterolo nel sangue, che chi è già in
trattamento ipocolesterolizzante deve consultare il
medico; il prodotto potrebbe risultare inadeguato dal
punto di vista nutrizionale per donne in gravidanza,
donne che allattano e bambini sotto i 5 anni;
l’assunzione deve essere nel quadro di una dieta varia e
bilanciata, con consumo regolare di frutta e verdura,
così da contribuire a mantenere i livelli di carotenoidi.
Nello stesso campo visivo in cui è precisato il
consumatore target del prodotto (chi intende ridurre i
livelli di colesterolo nel sangue), va indicato di evitare
il consumo di oltre 3 g/die di steroli /stanoli aggiunti.
ALIMENTA vol. XXI n. 10/14
Il Regolamento (UE) n. 1169/2011 relativo alla
fornitura di informazioni sugli alimenti nell’Allegato III
(alimenti la cui etichettatura deve comprendere una o
più indicazioni complementari) riserva il punto 5 a
"Alimenti con aggiunta di fitosteroli, esteri di
fitosterolo, fitostanoli o esteri di fitostanolo". Nella
impostazione generale del Regolamento 1169/2011,
volta alla semplificazione delle complesse norme di
etichettatura, vengono riprese nel citato Allegato le
indicazioni complementari da riportare in etichetta,
mutuate dal Reg.608/2004. Quest’ultimo, al pari di altre
disposizioni comunitarie di settore, sarà abrogato con
l’entrata in vigore del Reg. 1169/2011, il 13 dicembre
2014, come modificato dal Reg. delegato 78/2014.
Etichettatura a carattere volontario Nel contesto del
Reg. 1924/2006 (claims), il primo provvedimento che
include gli steroli è il Reg. 983/2009 relativo
all’autorizzazione e al rifiuto di autorizzazione di talune
indicazioni sulla salute fornite sui prodotti alimentari e
facenti riferimento alla riduzione del rischio di malattia
e allo sviluppo e alla salute dei bambini.
Si tratta di un’autorizzazione ai sensi dell’art.14
paragrafo 1 lettera a) del Reg. claims e le sostanze a cui
ci si riferisce sono: steroli vegetali: steroli estratti da
piante, liberi o esterificati con acidi grassi alimentari;
esteri di fitostanoli. Viene riconosciuta ad entrambe le
categorie la capacità di ridurre il colesterolo nel sangue;
l’importanza di tale azione è riconducibile al fatto che
l’ipercolesterolemia costituisce un fattore di rischio per
le cardiopatie coronariche. Tra le condizioni d’uso del
claim, è inserita l’informazione per il consumatore "che
l’effetto benefico si ottiene con l’assunzione quotidiana
di almeno 2 g di steroli vegetali o di esteri di
fitostanolo". La proposta del richiedente (McNeil
Nutritional) nel caso dell’effetto degli esteri di
fitostanoli sulla colesterolemia, e quindi sul rischio di
cardiopatie coronariche, indicava anche una riduzione
percentuale del 14% entro due settimane, attraverso un
blocco dell’assorbimento del colesterolo. Sulla base del
parere dell’Efsa, il citato Reg. 983/2009 con cui si
autorizza il claim, fa riferimento soltanto ai 2 g/die
necessari per ottenere l’effetto benefico, ma nulla dice
ancora sulla quantificazione dell’effetto, né sulle
tipologie di alimenti nelle quali può essere utilizzato,
sulla durata dell’assunzione e possibile gradazione
dell’effetto. (Opinions di riferimento Q-2008-085; Q2008-118).
Verso la quantificazione dell’effetto A seguito di un
approfondimento richiesto dalla Commissione all’Efsa
(Q-2009-00530 e Q-2009-00718) con il Reg. 376/2010
si affronta il tema dell’aspetto quantitativo dell’effetto.
A fronte di un’assunzione quotidiana di 1,5-2,4 g di
203
steroli/stanoli vegetali aggiunti ad alimenti come le
margarine spalmabili, i prodotti lattiero-caseari, la
maionese ed i condimenti per insalate, ora viene
accettata, come scientificamente dimostrata, in media,
una riduzione tra il 7 e 10% della colesterolemia e si
riconosce nel contempo che tale riduzione ha rilevanza
biologica. La riduzione del colesterolo LDL nel sangue
è di solito raggiunta entro le prime due settimane e può
essere mantenuta con un continuo consumo di
steroli/stanoli vegetali. Alla luce di tale ulteriore
valutazione scientifica, si modificano in coerenza le
condizioni d’uso dei due claim (che rimangono
immutati nel wording). Una richiesta di Danone France,
presentata ancora ai sensi dell’art. 14 paragrafo 1, lettera
a) relativa agli effetti di Danacol sul colesterolo nel
sangue e la riduzione del colesterolo LDL del 10% in 3
settimane, ha impegnato ancora sul tema la
Commissione e l’Efsa (Opinion Q-2008-779). E’
evidente che le indicazioni sulla salute relative alla
portata dell’effetto indicato devono essere autorizzate in
modo da non fuorviare il consumatore, e le loro
condizioni d’uso debbono essere stabilite in modo
coerente. Con il Reg. 384/2010 gli steroli vegetali/esteri
di stanoli vegetali vedono ribadita la capacità di ridurre
il colesterolo nel sangue; l’informazione al consumatore
deve precisare che l’effetto benefico si ottiene con
l’assunzione quotidiana di almeno 1,5-2,4 g di
steroli/stanoli vegetali; si può far riferimento alla portata
dell’effetto solo per le seguenti categorie: margarine
spalmabili, prodotti lattiero-caseari, maionese e salse da
insalata; quando si fa riferimento alla portata
dell’effetto, si deve indicare l’intera fascia "da 7 a 10%"
nonché il tempo necessario in 2-3 settimane.
Disposizioni di etichettatura attualmente in vigore
a) Reg. 686/2014 In seguito ad una richiesta di Raiso
Nutrition Ltd si esamina una riduzione del 12% del
colesterolo nel sangue, a fronte di un’assunzione
giornaliera di 3 g di esteri di stanoli vegetali. Il tempo
richiesto per ottenere l’effetto è di 1-2 settimane e
l’application riguarda un’ampia gamma di prodotti:
margarine
spalmabili,
prodotti
lattiero-caseari,
formaggi, pane di segale, fiocchi d’avena, prodotti a
base di latte di soia fermentato (yogurt da bere e da
cucchiaio) e bevande tipo latte a base di avena. Dalla
valutazione dell’Efsa (Q-2011-00851), risulta che,
mentre è dimostrato che gli esteri di stanoli vegetali
aggiunti ad alimenti quali margarina spalmabile,
maionese, condimenti per insalate e prodotti lattierocaseari quali latte, yogurt (anche magri) e formaggi
sono in grado di ridurre il colesterolo, l’effetto di
riduzione del colesterolo nel caso di aggiunta ad altri
alimenti non è sempre dimostrato. Due richieste sono
pervenute da Unilever per una modifica delle condizioni
d’uso, ai sensi dell’art. 19 del Reg. 1924/2006: sono
state fornite nuove prove a sostegno di un effetto
aggiuntivo con assunzioni maggiori di steroli vegetali
e/o stanoli vegetali, fino al limite di 3 g giornalieri (Q2011-01241): riduzione del colesterolo LDL da 7 a
12%; dose giornaliera di steroli e stanoli vegetali
compresa tra 1,5 e 3 g.; tempo necessario per ottenere
l’effetto 1-2 settimane. Si è discusso a lungo a livello di
gruppo di lavoro presso la Commissione UE, alla luce
ALIMENTA vol. XXI n. 10/14
dei precedenti Regolamenti 983/2009 e 384/2010, della
necessità di non confondere o indurre in errore il
consumatore. Poichè gli steroli e gli stanoli vegetali
assunti nella dose giornaliera di 1,5-3 g, hanno una
efficacia simile, ancorchè non del tutto sovrapponibile,
si è scelto di indicare la stessa entità di effetto per steroli
vegetali, esteri di fitostanolo e steroli vegetali/esteri di
stanoli vegetali.
Si è così pervenuti a quella che è, ad oggi, l’ultima
modifica sul tema: il Reg. 686/2014, con il quale si
variano le condizioni d’uso previste nei precedenti
regolamenti. L’effetto benefico si ottiene con
l’assunzione quotidiana di 1,5 – 3 g di steroli/stanoli
vegetali. Sono riconfermate le tipologie di alimenti:
margarine spalmabili, prodotti lattiero caseari, maionese
e salse da insalata. Se si ritiene di far riferimento
all’entità della riduzione del livello di colesterolo, va
precisato:
- da 7-10% con alimenti che assicurano un’assunzione
giornaliera di 1,5-2,4 di steroli/stanoli;
- da 10-12,5% con alimenti che assicurano
un’assunzione giornaliera di 2,5-3 g di steroli/stanoli
Tempo necessario per ottenere l’effetto: 2-3 settimane.
b) Reg. 432/2012 Il colesterolo è ad oggi il fattore di
rischio per le malattie cardiovascolari ben individuato
nel contesto del Reg. claims, e la sua riduzione
configura pertanto un claim del tipo 14.1 lettera a) del
citato Regolamento. Ma anche mantenere normale il
livello di colesterolo è stato considerato un effetto
benefico per l’organismo, ed in questo senso si
configura un claim di tipo fisiologico, ex art.13.1. Il
Reg.432/2012, che ha pubblicato la lista dei 222 claims
di tipo fisiologico autorizzati, rappresenta il risultato
finale del lungo processo di validazione scientifica della
cosiddetta "lista consolidata", risultante dalla
ricognizione di quanto esistente negli Stati membri al
momento dell’entrata in vigore della norma quadro. Il
claim autorizzato ("gli steroli/stanoli vegetali
contribuiscono al mantenimento di livelli normali di
colesterolo
nel
sangue")
va
accompagnato
dall’informazione al consumatore che l’effetto benefico
si ottiene con l’assunzione giornaliera di almeno 0,8 di
steroli/stanoli vegetali.
Conclusione
Il progressivo aumento delle patologie croniche non
trasmissibili, a livelli e con costi che stanno diventando
insostenibili per il Sistema sanitario nazionale, rende
necessario intervenire sull’alimentazione, in quanto
fattore di rischio modificabile, a livello pubblico con
campagne informative, e a livello individuale, con una
opportuna attenzione al momento delle proprie scelte
sugli scaffali.
Possiamo ipotizzare una ulteriore progressiva diffusione
di alimenti che, addizionati con un qualche
nutriente/composto ed opportunamente etichettati,
diventino sempre più attrattivi per il consumatore.
Steroli e stanoli vegetali aiutano chi vuol tenere sotto
controllo i livelli di colesterolo, mantenendoli nella
204
opportunamente varia e bilanciata; in questo contesto la
rivalutazione della dieta mediterranea che dà ampio
spazio agli alimenti di origine vegetale, può essere il
messaggio che i referenti di sanità pubblica si fanno
carico di diffondere.
norma, se lo sono già, ma sono anche in grado di ridurli,
se in eccesso. C’è però anche la possibilità che,
progredendo gli studi e le prove cliniche, si arrivi a
individuare sottigliezze, variazioni anche minime
dell’effetto benefico che forse rischiano di costituire un
eccesso di informazione e di mettere in difficoltà il
consumatore, anziché aiutarlo nelle scelte alimentari.
Se l’apporto di steroli/stanoli con la dieta non appare
significativo nell’ottica del mantenimento/riduzione dei
livelli di colesterolo, gli alimenti addizionati di tali
composti possono essere utile integrazione.
E’ opportuno che, in relazione alle necessità nutrizionali
dei singoli individui, sia promossa un’alimentazione
*
*
*
CSQA E CONFIDA
LA PRIMA CERTIFICAZIONE DI QUALITÁ FUNZIONALE DELLE
MISCELE DI CAFFE’ IN GRANI DESTINATO AL VENDING
Lo standard, DTS 114-Qualità caffè per Vending, unico nel suo genere,
è promosso da CONFIDA e prevede la certificazione rilasciata in esclusiva da CSQA.
Tre le aziende che hanno già ottenuto la certificazione: Kimbo, COVIM e Julius Meinl.
Sarà capitato a tutti, almeno una volta, di inserire una monetina in un distributore automatico, in ufficio, in un negozio,
all’università, e aver preso un caffè. Ebbene, grazie a CSQA e Confida-Associazione Italiana Distribuzione Automatica,
la distribuzione automatica (vending) da oggi si avvale di una certificazione di qualità specifica, la prima mai realizzata
in Italia, per le miscele di caffè in grani utilizzate nel settore.
Questo prodotto, oltre a rappresentare un’eccellenza italiana, è la bevanda che traina il settore della distribuzione
automatica. Basti pensare che sono più di 2.400.000 distributori automatici installati in Italia e oltre 6.000.000.000 le
consumazioni erogate in un anno, pari a 200 al secondo, di cui 2.500.000.000 caffè da caffè in grani.
È quindi importante che si possa riconoscere la qualità funzionale del prodotto offerto dal distributore automatico. La
certificazione, infatti, è applicabile a tutte le aziende che producono caffè tostato in grani destinato al vending e
definisce, per le singole miscele, parametri qualitativi funzionali superiori a quelli già definiti per legge.
La norma stabilisce i limiti massimi ammessi per quel che riguarda:




il contenuto di ossigeno e di umidità (dopo il trattamento di tostatura, raffreddamento e confezionamento);
la presenza di rotture;
la dimensione del chicco;
l’assenza di corpi estranei.
"È per noi un grande onore - ha detto Pietro Bonato, Direttore Generale CSQA - lavorare in sinergia con Confida su
questo standard fondamentale per il settore del vending e unico in Italia. L’importanza della norma è riconosciuta
dalle stesse aziende che hanno richiesto sin da subito di ottenere la certificazione. Siamo certi che questo possa
rappresentare un’ulteriore garanzia ai clienti della qualità del prodotto che consumano".
"La certificazione delle miscele di caffè torrefatto per il vending rappresenta un importante passo avanti verso una
generale qualificazione del settore. - ha dichiarato Lucio Pinetti, Presidente di CONFIDA - CSQA, a cui CONFIDA
ha già affidato la gestione del marchio di qualità di servizio TQS Vending, è il partner naturale con il quale sviluppare
temi come qualità e responsabilità. Siamo sicuri che anche la certificazione DTS 114 sarà presto un requisito condiviso
per il settore".
Roma, 27 ottobre 2014
CSQA è società italiana che rilascia in esclusiva la certificazione di qualità. Da più di vent’anni offre servizi di
certificazione con una grande e riconosciuta esperienza in campo agroalimentare.
CONFIDA è l’organizzazione che rappresenta le imprese di settore. Ha promosso lo standard, dopo oltre tre anni di
lavoro da parte della Commissione Caffè dell’Associazione composta da rappresentanti dell’intera filiera del vending
(produttori di distributori automatici, torrefattori, imprese di gestione).
ALIMENTA vol. XXI n. 10/14
205
STABILITÁ OSSIDATIVA NELLA CARNE SUINA ADDIZIONATA CON
AROMA NATURALE DI OLIVA (PHENOLEA® COMPLEX PLUS)
Massimo Vitagliano1, Stefano Germani1, Claudio Mucciolo2.
1
PhenoFarm Srl, Scandriglia (RI) – www.phenofarm.it
2
ASL Salerno, Dipartimento di Prevenzione Area Sud - Igiene Alimenti di O. A.
Introduzione
L’ossidazione lipidica è un parametro fondamentale per
stabilire la qualità della carne, poiché causa il
deterioramento della struttura, del colore, delle
caratteristiche organolettiche e del valore nutrizionale.
Questa reazione chimica può essere accelerata da
diversi fattori, come l’elevata presenza di acidi grassi
polinsaturi, luce, ossigeno, calore, presenza di metalli,
pigmenti ed enzimi.
In studi precedenti è stata formulata l’ipotesi che
l’ossidazione lipidica, abbia un effetto catalitico nei
confronti dell’ossidazione della mioglobina (Faustman
et al., 2010; Georgantelis et al., 2007; Chan et al.,
1997), responsabile del colore brunastro della carne. Il
colore è uno dei parametri fondamentali per definire la
qualità della carne, poiché influenza il consumatore al
momento dell’acquisto.
shelf life della carne (Bauernfiend et al., 1970).
L’utilizzo di 200-1000 ppm di acido ascorbico, ritarda
l’imbrunimento della carne di maiale macinata (Watts et
al., 1952) e delle carni bovine (Shivas et al., 1984).
Tuttavia, l’acido ascorbico è altamente suscettibile
all’ossidazione, specialmente se catalizzata da metalli
come Fe(III) e Rame(II). I tagli muscolari contengono
un certo contenuto di metalli, il che determina una
possibile rapida ossidazione dell’acido ascorbico
quando questo è aggiunto alla carne. L’efficacia dei
metalli nel catalizzare la degradazione dell’acido
ascorbico dipende dai metalli coinvolti, dallo stato di
ossidazione e dalla presenza di chelanti (B. Lee, 1999).
L’aggiunta del Phenolea® Complex Plus in sinergia con
l’acido ascorbico, gioca un ruolo chiave nella
performance antiossidante agendo principalmente
sull’ossidazione
secondaria
responsabile
della
formazione di off-flavor e deterioramento del colore.
L’addizione di acido ascorbico, migliora il colore e la
Sono stati preparati un totale di 80 hamburger da 100 g
ciascuno con carne suina macinata a -2 °C, miscelata
per un tempo di 5 minuti con sale, acqua e l’appropriato
antiossidante. Gli hamburger sono stati confezionati in
vaschette (PP), chiuse mediante termosaldatura con
pellicola trasparente e conservati a +4 °C.
La prima tipologia di prodotto è stata addizionata con
1000 ppm di acido ascorbico (AA), mentre la seconda
tipologia, con 1000 ppm di acido ascorbico e Phenolea®
Complex Plus (AA + PH) calibrato in base alla quantità
di metalli presenti nella carne. Quest’ultima prova è
stata ideata per verificare la presenza di una sinergia tra
Acido Ascorbico e Phenolea®.
ALIMENTA vol. XXII n. 10/14
I campioni sono stati analizzati in quattro tempi
differenti:
Tempo 0 (t0) subito dopo la produzione
Tempo 1 (t1) dopo tre giorni dalla produzione
Tempo 2 (t2) dopo sette giorni dalla produzione
Tempo 3 (t3) dopo dieci giorni dalla produzione.
A tutte le scadenze sono stati determinati il numero di
perossidi, TBA e colore (parametri L*, a*, b*, hue e
croma). I risultati sono stati elaborati statisticamente
mediante l’utilizzo del software SPSS Statistics ver. 20.
206
Risultati
®
I campioni con aggiunta di acido ascorbico e Phenolea
Complex Plus, mostrano un livello inferiore di
ossidazione a 7 ed a 10 giorni (Figura 1.). I perossidi
aumentano significativamente al tempo T1 e poi
continuano a crescere lentamente. Il controllo della fase
di ossidazione secondaria è eccellente, il livello di TBA
rimane statisticamente invariato da tempo T0 a T3
(preparazione + 10 giorni). Tali risultati così favorevoli
sono da ricercarsi nella sinergia tra Acido Ascorbico e
Phenolea®. L’acido ascorbico concorre a mantenere
l’ambiente riducente che favorisce il mantenimento del
colore rosso della carne ma risente notevolmente
dell’ossidazione causata anche dai metalli quali Fe e Cu.
L’acido ascorbico si può ossidare per ridurre i metalli
di transizione e generare la produzione di H2O2
spingendo verso la formazione di radicali idrossile con
la reazione di Fenton (Yen et al., 2002). L’aggiunta di
Phenolea® Complex Plus, ha rallentato la fase iniziale di
ossidazione con conseguente riduzione dei prodotti
secondari, contribuendo a preservare l’attività riducente
dell’acido ascorbico.
Fig. 1. Gli istogrammi rappresentano il confronto tra perossidi (valori medi, n=4) e TBA (valori medi, n=4), nel tempo
riferiti alle due tipologie di campioni AA, AA + PH.
I campioni sono stati fotografati, e a ciascun tempo sono
stati determinati i parametri L* a* b* tonalità e croma.
L'indice rosso diminuisce nel complesso dal tempo T0
al tempo T3 del 24% nei campioni di AA, e del 13% nei
campioni AA + PH (Figura 2.). Al tempo T3 a* è
significativamente maggiore nei AA + PH (P <0,05). In
tutti i set di campioni si riscontra un incremento del tono
da 0-7 giorni ed un decremento più significativo da 7 a
10 giorni in campione AA + PH.
Fig. 2. Gli istogrammi rappresentano l’andamento del parametro a* (valori medi n=4 nel tempo, riferiti alle due
tipologie di campioni AA, AA + PH.
ALIMENTA vol. XXII n. 10/14
207
Inoltre, sia al tempo T2 che al tempo T3 il tono è
significativamente più basso in campioni AA + PH (P
<0,05) per indicare una tonalità di rosso più abbondante.
Una diminuzione del valore di tonalità indica un
aumento nella purezza di tono rosso, mentre un aumento
è legato alla graduale ossidazione della mioglobina e
l'accumulo di metamioglobina nel tempo (D.
Georgantelis, 2007).
Conclusioni
Sulla base dei risultati ottenuti da questo studio si può
affermare che il Phenolea® Complex Plus svolge
un’attività di protezione nel tempo, sia come chainbreaker rallentando la fase iniziale di ossidazione, che
come chelante agendo sull’ossidazione secondaria,
responsabile di off-flavors e deterioramento del colore.
La minore ossidazione nei campioni trattati con
Phenolea® ha presumibilmente contribuito a ritardare
l'ossidazione della mioglobina.
I campioni trattati con Phenolea® Complex Plus
mostrano nel complesso minori valori medi di
ossidazione sia primaria (perossidi) che secondaria
(TBA) con evidente risultato sul mantenimento del
colore originale ed una migliore fragranza.
Bibliografia
Bauernfiend J. C., P.D. (1970). Food processing with added ascorbic acid. Advances in Food Researrch, 219-315.
Chan W., F. C. (1997). Lipid oxidation induced by oxymyoglobin with involvement of H2O2. Meat Science, 181-190.
Faustman C., Q. S. (2010). Myoglobin and lipid oxidation interactions: Mechanistic bases and control. Meat Science, 86-94.
Georgantelis D., G. B. (2007). Effect of rosemary extract, chitosan and alfa-tocopherol on lipid oxidation and colur stability during
frozen storage of beef burgers. Meat Science, 256-264.
Lee B., D. H. (1999). A compari-son of carnosine and ascorbic acid on color and lipid stability in a ground beef pattie model system.
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Watts, B.M. and Lehmann, B.T. (1952), Ascorbic acid and meat color. Food Technol. 6, 194.
Shivas SD, Kropf DH, Hunt MC, Kastner CL, Kendall JLA, Dayton AD. (1984). Effects of ascorbic acid on display life ground
beef. J. Food Protection 47, 11.
Yen G., P. D. (2002). Antioxidant and pro-oxidant properties of ascorbic acid and gallic acid. Food Chemistry, 307-313.
ALIMENTA vol. XXII n. 10/14
208
RIFLESSIONI SULL'IMPIEGO DI PRODOTTI DOP
INGREDIENTI: TRA EVOCAZIONE, RISCHIO E UTILITÀ
E
IGP
COME
Francesco Aversano, www.avvocatoaversano.it
Piero Maria Meregalli, già Dirigente ICQRF MIPAAF
1. Non è un mistero che i prodotti a indicazione
geografica rivestano un ruolo peculiare nell’economia
dei Paesi membri dell’Unione Europea; e ciò soprattutto
in Italia ove, ad oggi, si contano ben 264 prodotti tra
DOP, IGP ed STG, con un rilevante impatto sul
fatturato del settore agroalimentare (si vedano gli oltre
12,6 miliardi di euro, come da rapporto ISMEA su anno
2012).
Il numero così alto di riconoscimenti, tuttavia, induce ad
una riflessione di fondo che non può ignorare il
rassegnato dato economico e tiene conto altresì della
crescente attenzione dei consumatori su tali alimenti e,
al contempo, del frequente impiego di tali alimenti a IG
come ingredienti delle derrate comuni (si pensi ad
esempio alla "pizza al…", alla "pasta fresca con…",).
Ed infatti, l’utilizzo di ingredienti DOP o IGP ha natura
certamente "qualificante" i prodotti comuni e, per tale
ragione, è soggetta ad una specifica disciplina normativa
e sanzionatoria, che si accompagna ad atti meramente
interpretativi.
2. Com’è noto, la forza trascinante dell’evocazione
geografica è decisiva per la diffusione commerciale
degli alimenti e costituisce uno dei motivi principali
della persistente rincorsa ai "regimi di qualità" da parte
degli
operatori
del
settore.
Il
traguardo
dell’affrancazione comunitaria, del resto, è fattore
centrale nel sistema produttivo e mercantile dei prodotti
agroalimentari aventi un’origine geografica definita; pur
tuttavia, come evidenziato da acuta dottrina (Carbone),
l’ottenimento di una denominazione o indicazione di
origine deve sempre rappresentare "un punto di arrivo di
una strategia di valorizzazione piuttosto che un punto di
partenza". Appare esecrabile, infatti, l’erronea
convinzione di alcuni policy makers e operatori tout
court che "la denominazione rappresenti sic et
simpliciter un valore aggiunto per il prodotto, un
attributo qualitativo in sé, che apre nuovi spazi di
mercato, aumenta la disponibilità a pagare dei
consumatori, riduce la concorrenza degli altri prodotti e
scongiura eventuali comportamenti sleali e fraudolenti
di produttori di altre aree".
Del resto, come osserva il Costato, i marchi, ed ogni
altro segno distintivo, generalmente (e con una parziale
esenzione delle DOP e IGP, che godono di una
"reputazione diffusa"), "non sono sufficienti per imporre
un prodotto sul mercato poiché occorre assisterli con
promozione continua".
Al fine di evitare tali difficoltà, il considerando n. 57 del
Reg. UE n. 1151/12 affida ai "gruppi" (Consorzi) un
dovere (o almeno un onere) di tutela "effettiva", che non
ci sembra sia limitata al raggiungimento della
protezione, in ispecie quando assegna a tali enti il
"ruolo" di seguire ("da vicino") la posizione dei prodotti
ALIMENTA vol. XXII n. 10/14
sul mercato e, aggiungiamo, difenderli ("dal" e "nel"
mercato) anche quando siano meri ingredienti di
prodotti comuni.
In sintesi, ai gruppi-Consorzi toccherà operare e vigilare
concretamente:
-
nel processo di presentazione delle domande di
registrazione dei nomi di denominazioni di origine
e indicazioni geografiche nonché di specialità
tradizionali garantite;
-
nella modifica dei disciplinari e delle domande di
annullamento;
-
nello sviluppo di attività connesse alla sorveglianza
in merito all’effettiva protezione dei nomi registrati,
alla conformità della produzione al relativo
disciplinare, all’informazione e alla promozione del
nome registrato;
-
in generale, in qualsiasi attività volta ad accrescere il
valore dei nomi registrati e l’efficacia dei regimi di
qualità (in sostanza una pubblicizzazione e
valorizzazione del nomen).
3. Il Reg. UE n. 1151/12, sulla disciplina della
protezione delle denominazioni di origine e delle
indicazioni geografiche, persegue alcuni obiettivi
specifici che sembrano andare nella direzione della
"reale" valorizzazione sia dei prodotti che degli
ingredienti DOP e IGP in tutto il ciclo vitale e
commerciale del prodotto, anche al fine del migliore
sviluppo mercantile. A riprova di ciò, nelle premesse del
suddetto provvedimento (considerando n. 18) emerge
una duplice necessità (rectius, veri e propri obiettivi):
a) garantire agli agricoltori e ai produttori un giusto
guadagno per le qualità e caratteristiche di un
determinato prodotto o del suo metodo di produzione
(garanzia del produttore) tramite i particolareggiati
disciplinari di produzione (con i controlli effettuati "sul
campo" anche dagli agenti vigilatori dei Consorzi);
b) fornire informazioni chiare sui prodotti che
possiedono
caratteristiche
specifiche
connesse
all’origine geografica, permettendo in tal modo ai
consumatori di compiere scelte di acquisto più
consapevoli (tutela diretta del consumatore).
Tali "obiettivi" potrebbero essere considerati il fil rouge
delle produzioni di tal guisa; produzioni che si
continuano a definire (riduttivamente) "tipiche" (lemma
a cui comunque preferiamo quello di "topiche"), ma che
invece esaltano fattori peculiari, tra cui quelli richiamati
in una nota e utile sentenza del Tribunale del
Commercio di Bourges (1999): la "commestibilità" e il
"piacere derivante dal loro consumo".
Il piacere su cui si appunta la massima francese ha
natura "distintiva" perché è quello che "cambia
209
completamente in funzione delle condizioni e del luogo
di produzione, degli ingredienti utilizzati e
dell’esperienza del produttore".
circostanze che contrastano o s’interpongono al
perseguimento dell’obiettivo istituzionale anche dello
Stato membro (attraverso il controllo ufficiale).
4. Proviamo allora, e per un momento, a immaginare
che questa sia la ragione primaria per cui il legislatore
comunitario abbia offerto graduale tutela agli attuali
"regimi di qualità". Ossia la protezione normativa di
alimenti e toponimi dietro cui si cela (o s’invera) il
"piacere" di consumare alimenti "diversi" da quelli
comuni. E immaginiamo altresì che questo sia uno dei
presupposti legittimanti una disciplina specifica per le
derrate a DO o IG, anche nella versione "attenuata" di
ingredienti.
5. Il rischio informativo è dunque tema centrale nel
presente elaborato, nella considerazione che la più
ampia "comunicazione alimentare" è parte integrante
del "sistema" della food safety (in dottrina, Germanò Rook Basile). In proposito è proprio il Reg. UE n.
1169/11 a confermare tale impostazione, ove non si
limita alle regole tecnico-formali sull’etichettatura, ma
estende la disciplina informativa ai profili nutrizionali,
alle allergie, alle intolleranze e, addirittura, considera "a
rischio" un alimento successivamente alla data di
scadenza.
In tale ideale prospettiva (sublimando cioè quel rapporto
tra diritto, memoria e patrimonio gastronomico che si
coglie nelle premesse al Reg. UE n. 1151/12), sarebbe
comunque doveroso ancorare il sogno alla realtà,
dunque collocare la disciplina verticale quale species di
due atti comunitari, i Regg. n. 178/02 e n. 1169/11,
pilastri della food safety e della "corretta
comunicazione" alimentare (in dottrina, Di Lauro).
Il primo provvedimento costituisce, com’è noto, la base
per garantire un livello elevato di tutela della salute
umana e degli interessi dei consumatori in relazione agli
alimenti, tenendo conto in particolare della diversità
dell'offerta di alimenti, compresi i prodotti tradizionali
(per espresso dettato dell’art. 1), dunque dei prodotti
tradizionali per eccellenza (e per regola) quali DOP,
IGP ed STG.
L’art. 8 del Reg. CE n. 178/02, invero, con riguardo alla
"tutela degli interessi dei consumatori", impone la
prevenzione, tra altre, delle pratiche fraudolenti o
ingannevoli, quali la vendita dell’aliud pro alio, ad
esempio di un alimento con un ingrediente "spacciato"
per DOP o IGP. A ciò si aggiunga che l’art. 14, senza
fornire una "definizione" di sicurezza alimentare (che
apparirebbe comunque "limitante"), porge un’articolata
previsione dei requisiti di sicurezza ancorati al concetto
di "rischio" e molto utile a perimetrare la "conformità" o
no anche dei prodotti composti da ingredienti a DO e
IG.
Com’è noto, infatti, per determinare se un alimento è "a
rischio" occorrerà considerare pure le informazioni
messe a disposizione del consumatore finale, comprese
le informazioni riportate sull'etichetta o altre
informazioni generalmente accessibili al consumatore
sul modo di evitare specifici effetti nocivi per la salute
provocati da un alimento o categoria di alimenti.
Si tratta dunque di un rischio che prescinde dal solo e
diretto pericolo interno al prodotto, ma abbraccia il
profilo informativo e quindi riguarda il corretto
perseguimento di due superiori interessi: la tutela della
salute e della lealtà commerciale.
In tal senso, la prevenzione del rischio si riverbera
sull’obiettivo istituzionale del controllo ufficiale nei
Paesi membri, poiché è legato alla possibilità che si
verifichino eventi illeciti di natura sia sanitaria che
informativa. Trattasi nella specie di eventi che si
sostanziano nel verificarsi o modificarsi di un insieme di
ALIMENTA vol. XXII n. 10/14
Le informazioni alimentari previste dal Reg. n. 1169/11
riguardano allora anche l’impatto sulla salute, compresi
i rischi e le conseguenze collegati a un consumo nocivo
e pericoloso dell’alimento scorrettamente etichettato,
presentato o pubblicizzato. E in tal senso, la probabilità
che si verifichi un rischio è (questione) vicina alla
"percezione" o "sensazione" del medesimo da parte del
consumatore.
Il tema ovviamente è delicato e di grande "appetito" sia
dottrinale che mediatico; in proposito, com’è stato
giustamente affermato, "i valori e la cultura individuale
o della comunità influenzano tuttavia la percezione del
rischio da parte dei non esperti, rispetto alla
rappresentazione formulata dagli esperti" (così, OreficeAureli). Nella valutazione collettiva, secondo gli Autori,
avranno un ruolo "anche i valori e le credenze
condivise, che variano secondo il contesto storico e
sociale". Nella valutazione del singolo, inoltre, potranno
incidere "sia le convinzioni culturali, politiche, estetiche
e morali, sia le proprie insicurezze o tensioni, il che
porta a una percezione personale del rischio".
Il diffuso "interesse" dell’opinione pubblica per le
questioni alimentari (cfr. considerando n. 10 del Reg.
UE n. 1169/11) diventa elemento importante nella
percezione del rischio. Al contempo, è motivo di
"stimolo" per il controllo (interno ed esterno) sulle
produzioni alimentari, a patto che l’attenzione non si
tramuti in "allarmismo mediatico" (il Gamberini la
riporta come "ansia congenita da allarme alimentare" e
"virus" per il quale "non esiste una valida terapia"); o,
nel caso dei prodotti DOP o IGP, si traduca in una
sterile esasperazione del made in Italy.
L’esagerata tendenza a difendere a tutti i costi la
"italianità", anche in assenza dei presupposti storici e
giuridici che la inverano, potrebbe infatti ridursi a mera
"retorica di un modello demolito", a dirla con Augusto
Grandi, foriera di attenuata credibilità del nostro sistema
alimentare.
5. Venendo alla normativa, v’è da premettere che il
tema degli ingredienti a DO e IG si lega alla disciplina
dei "regimi di qualità", materia su cui si è appuntata
l’analisi della dottrina alla quale si rimanda (ex multis,
Albisinni, Capelli e Rubino). In buona sostanza, si tratta
delle disposizioni previste dal Reg. UE n. 1151/12, un
atto che "riprende senza sostanziali cambiamenti i
capisaldi della disciplina pregressa (la nozione di DOP e
210
di IGP, i requisiti di tutela, il ruolo del disciplinare, la
procedura di riconoscimento, ecc.), tentando di riunire
in un unico testo norme precedentemente sparpagliate in
provvedimenti differenti" (così, Borghi).
Ciò premesso, da un punto di vista sistematico, è
doveroso un richiamo alla normativa orizzontale in
materia di "informazioni" sugli alimenti (Reg. UE n.
1169/11), che intende stabilire nell’Unione le condizioni
per la libera circolazione degli alimenti legalmente
prodotti e commercializzati, tenuto conto, ove
opportuno, della necessità di proteggere gli interessi
legittimi dei produttori e di promuovere la fabbricazione
di prodotti di qualità.
Ed invero, insieme ai prodotti interamente "di qualità" il
mercato propone costantemente altri alimenti con
ingredienti DOP o IGP, che vengono utilizzati dagli
operatori per impreziosire le commodities. Anche in
questo caso, si tratta di un vero e proprio "valore
aggiunto" qualitativo all’alimento comune, che funge al
contempo da quid pluris commerciale e, quindi, da
possibile elemento attrattore del consumatore al
momento dell’acquisto.
L’impiego di ingredienti "qualificati" (e la loro
specificazione quantitativa) coinvolge generalmente tre
soggetti: il produttore dell’ingrediente "di qualità",
l’operatore intermedio (che ha facoltà di selezionare la
tipologia di ingrediente da impiegare) e il consumatore
finale, il quale come detto potrà effettuare una scelta
d’acquisto "consapevole", anche per valutare il rapporto
prezzo/qualità del prodotto.
L’operatore intermedio troverà nel portato normativo le
modalità autorizzative ed operative per l’utilizzo degli
ingredienti a DO o IG negli alimenti composti,
elaborati, trasformati (sul tema, e in questa Rivista, si
veda Zagaria).
Si tratta, come si vedrà, di regole giuridiche di matrice
eterogenea, uniformate ai principi della corretta
informazione ed esatta percezione per il consumatore
finale (art. 1 Reg. UE n. 1169/11). Quant’anzi nel
primario rispetto dell’art. 7 del Reg. UE n. 1169/11, il
quale dettando le norme sulle pratiche leali
d’informazione, stabilisce che le indicazioni sugli
alimenti non dovranno indurre in errore:
- su caratteristiche dell’alimento e, in particolare, natura,
identità, proprietà, composizione, quantità, durata di
conservazione, paese d’origine o luogo di provenienza,
metodo di fabbricazione o produzione;
- suggerendo, tramite l’aspetto, la descrizione o le
illustrazioni, la presenza di un particolare alimento o di
un ingrediente, mentre di fatto un componente
naturalmente presente o un ingrediente normalmente
utilizzato in tale alimento è stato sostituito con un
diverso componente o un diverso ingrediente.
6. A metà di questo elaborato s’impone necessariamente
una sintesi.
In primis, l’utilizzo dei prodotti a DO e IG come
ingredienti si adagia in un quadro normativo
"specifico", composto dal Reg. UE n. 1151/2012 e dal.
ALIMENTA vol. XXII n. 10/14
D.Lgs. n. 297/04, nonché da atti interpretativi nazionali
e comunitari dai quali non può prescindersi.
Inoltre, le problematiche che sottendono la disciplina
riguardano:
- il ruolo dei Consorzi quali titolari di marchio
collettivo;
- la qualificazione degli ingredienti DO e IG;
- l’uso autorizzato degli ingredienti DO e IG nei
prodotti composti, elaborati o trasformati e l’impiego
commerciale;
- il quid pluris sostanziale apportato dall’ingrediente e il
pericolo del free riding;
- la determinazione delle sanzioni (amministrative e/o
penali?)
- il ruolo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato (AGCM).
7. L’analisi sull’impiego di DO o IG come ingredienti
concerne anche le conseguenze eventualmente
"contenziose" di prevalente natura civilistica legato ad
un indebito utilizzo. Ci riferiamo primariamente alla
"difesa giudiziaria" concessa ai titolare di un "marchio
collettivo" (ex artt. 2570 c.c. e 11 CPI), ossia di quel
marchio che (come affermato dal Tribunale Civile di
Roma in una storica sentenza del 1994) si differenzia
dal "marchio d’impresa" in quanto "non svolge funzione
distintiva dell’origine del prodotto da una determinata
impresa, ma funzione di garanzia delle caratteristiche e
qualità del prodotto. La massima giurisprudenziale,
inoltre, considera che il titolare del marchio collettivo
controlli le merci "sia dei produttori e commercianti ai
quali è stato concesso l’uso del marchio stesso" (sul
punto amplius Albisinni).
Per poter utilizzare il marchio collettivo, come osserva
il Capelli, il produttore associato deve "assoggettarsi
alle prescrizioni contenute nel regolamento d’uso
predisposto dal Consorzio", osservando altresì "i criteri
e i requisiti di qualità che risultano obbligatoriamente
imposti".
Il titolare del marchio collettivo (dando per assodato che
sia il gruppo o Consorzio) potrebbe inoltre agire
giudizialmente nel caso dell’utilizzo del marchio altrui
nelle ipotesi di concorrenza sleale ai suoi danni, nel caso
abbia a dubitare che il consumatore possa associare il
proprio segno con quello di altro soggetto (sul punto è
importante l’approfondimento compiuto in dottrina da
Rubino). Tale ipotesi si affianca a quella di un impiego
o un’evocazione dell’ingrediente caratterizzante non
conforme quale mero "attrattore" o brand commerciale
nel caso possa generare un rischio di confusione per il
pubblico, anche per collegamento tra segni (Masini). Il
rischio di confusione, secondo la giurisprudenza
comunitaria,
dovrà
essere
tuttavia
valutato
"globalmente", "secondo la percezione che il pubblico
interessato ha dei segni e dei prodotti o servizi in
questione, prendendo in considerazione tutti i fattori
pertinenti del caso di specie, in particolare
l'interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella
dei prodotti o servizi designati (ex multis, Sentt.
211
Tribunale CE, 9 luglio 2003, causa T-162/01 e 5 aprile
2006, causa T-344/03).
L’argomento merita ben altra analisi e, in questa sede, ci
limitiamo a invocare la fattispecie prevista dall’art. 21
del Codice della Proprietà Industriale, relativo alle
"limitazioni" del diritto di marchio, e che in materia
sancisce quanto segue:
a) i diritti di marchio d'impresa registrato non
permettono al titolare di vietare ai terzi l'uso nell'attività
economica:
- del loro nome e indirizzo;
- di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla
quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza
geografica, all'epoca di fabbricazione del prodotto o di
prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del
prodotto o del servizio;
- del marchio d'impresa se esso è necessario per indicare
la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare
come accessori o pezzi di ricambio, purché l'uso sia
conforme ai principi della correttezza professionale.
b) Non è consentito usare il marchio in modo contrario
alla legge, né, in specie, in modo da ingenerare un
rischio di confusione sul mercato con altri segni
conosciuti come distintivi di imprese, prodotti o servizi
altrui, o da indurre comunque in inganno il pubblico, in
particolare circa la natura, qualità o provenienza dei
prodotti o servizi, a causa del modo e del contesto in cui
viene utilizzato, o da ledere un altrui diritto di autore, di
proprietà industriale, o altro diritto esclusivo di terzi.
8. Gli ingredienti "qualificati" DOP o IGP (e
"qualificanti" i prodotti comuni) rientrano ovviamente
nella categoria generale dell’ingrediente alimentare, che
- ai sensi dell’art. 2, par., 2 lett. f) del Reg. UE n.
1169/11 - è qualunque sostanza o prodotto, compresi gli
aromi, gli additivi e gli enzimi alimentari, e qualunque
costituente di un ingrediente composto utilizzato nella
fabbricazione o nella preparazione di un alimento e
ancora presente nel prodotto finito, anche se sotto
forma modificata.
Ciò posto, è importante concentrare l’attenzione non
solo sull’impiego tout court, ma anche sul profilo
quantitativo
(espresso
in
percentuale),
ossia
sull’impiego caratterizzante o no dell’ingrediente
qualificato, al fine di un reale "arricchimento" del
prodotto comune e di una piena e legittima evocazione
dell’indicazione geografica inclusa nella derrata.
Sul punto ricorriamo all’articolo 22 del Reg. UE n.
1169/11 che richiede la "indicazione quantitativa" degli
ingredienti nella fabbricazione o nelle preparazione di
un alimento, quando tale ingrediente o categoria di
ingredienti:
a) figura nella denominazione dell’alimento o è
generalmente associato a tale denominazione dal
consumatore;
b) è evidenziato nell’etichettatura mediante parole,
immagini o una rappresentazione grafica; o
ALIMENTA vol. XXII n. 10/14
c) è essenziale per caratterizzare un alimento e
distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbe essere
confuso a causa della sua denominazione o del suo
aspetto.
Si conferma, dunque, che gli ingredienti (DOP o IGP)
sarebbero propriamente "caratterizzanti" ove impiegati
in quantità significativa; più in generale, la norma
ribadisce che le informazioni sugli alimenti non
devono indurre in
errore
il
consumatore
ove suggeriscano,
anche
tramite
figure
o
rappresentazioni grafiche, che l’alimento possieda
caratteristiche particolari, quando in realtà tutti gli
alimenti analoghi possiedono le stesse caratteristiche, in
particolare evidenziando in modo esplicito la presenza o
l’assenza di determinati ingredienti e/o sostanze
nutritive.
9. La Comunicazione della Commissione (2010/C
341/03) è uno degli atti fondamentali nella disamina del
nostro tema; essa, infatti, offre orientamenti ("volontari"
fino a un certo punto) sull'etichettatura dei prodotti
alimentari che utilizzano come ingredienti prodotti a
denominazione di origine protetta (DOP) o a
indicazione geografica protetta (IGP).
L’atto, espressamente richiamato nel Reg. UE n.
1151/12, è senza dubbio ispirato dalla considerazione di
ordine commerciale che l'incorporazione di un
ingrediente alimentare "di qualità" in un prodotto
comune può costituire uno sbocco mercantile più
accattivante per il consumatore. In tal senso, occorrerà
che nell'etichettatura di tale prodotto alimentare
(composto, elaborato o trasformato con DO o IG) ogni
riferimento a tale incorporazione sia effettuato in buona
fede, sia corrispondente al reale quantitativo e quindi
non induca in errore il consumatore (si tratta di tre
criteri o vincoli di utilizzo).
Per tali ragioni sarà necessario considerare due aspetti di
natura "costitutiva":
-
da una parte, le condizioni per l’impiego di
denominazioni registrate come DOP o IGP
nell'etichettatura, nella presentazione e nella
pubblicità dei prodotti alimentari;
-
dall’altra, che le buone pratiche atte a garantire che
le denominazioni registrate di prodotti DOP o IGP
utilizzati come ingredienti di prodotti alimentari,
non siano usate in modo improprio, tale da
compromettere la reputazione del prodotto che
beneficia di queste denominazioni, o da indurre il
consumatore in errore circa la composizione del
prodotto.
Nell’atto
in
esame
sono
previste
altresì
"raccomandazioni", in sostanza dei veri e propri
principi-guida, per cui una denominazione registrata
come DOP o IGP possa essere:
a) legittimamente indicata nell'elenco degli ingredienti
di un prodotto alimentare.
b) menzionata all'interno, o in prossimità, della
denominazione di vendita di un prodotto alimentare che
incorpora prodotti che beneficiano della denominazione
212
registrata, come pure nell'etichettatura, nella
presentazione e nella pubblicità del prodotto alimentare
di cui trattasi. Quant’anzi, tuttavia, solo ove siano
soddisfatte le condizioni di seguito indicate:
- in primo luogo, il suddetto prodotto alimentare non
dovrebbe contenere nessun altro «ingrediente comparabile», e cioè nessun altro ingrediente che possa
sostituire completamente o parzialmente l'ingrediente
che beneficia di una DOP o IGP. A titolo indicativo e
non restrittivo, la Commissione - sul concetto di
«ingrediente comparabile» - ritiene ad esempio che un
formaggio a pasta erborinata (o più comunemente:
«formaggio blu») sia comparabile al «Roquefort».
- In secondo luogo, l'ingrediente dovrebbe essere
utilizzato in quantità sufficiente per conferire una
caratteristica essenziale al prodotto alimentare di cui
trattasi (sul punto, la Commissione, tenuto conto
dell'eterogeneità dei casi possibili, non può suggerire
una
percentuale
minima
uniformemente
applicabile). Tuttavia, ad esempio, l'incorporazione di
una quantità minima di una spezia che beneficia di una
DOP o di una IGP in un prodotto alimentare potrebbe
eventualmente bastare per conferire una caratteristica
essenziale al suddetto prodotto alimentare. Per contro,
l'incorporazione di una quantità minima di carne che
beneficia di una DOP o di una IGP in un prodotto
alimentare non può, a priori, conferire una caratteristica
essenziale al prodotto alimentare (sul tema, come detto,
si è autorevolmente soffermato il Rubino).
- In terzo luogo, la percentuale d'incorporazione di un
ingrediente che beneficia di una DOP o di una IGP
dovrebbe essere idealmente indicata all'interno o in
prossimità immediata della denominazione di vendita
del prodotto alimentare di cui trattasi, o quantomeno
nell'elenco degli ingredienti, in riferimento diretto
all'ingrediente considerato.
Le menzioni, abbreviazioni o simboli dell'UE che
accompagnano la denominazione registrata debbono
essere utilizzate nell'etichettatura, all'interno o in
prossimità della denominazione di vendita o nell'elenco
degli ingredienti di un prodotto alimentare soltanto se
risulta chiaramente che questo prodotto alimentare non
beneficia esso stesso di una DOP o IGP.
In caso contrario, secondo la Commissione, si
configurerebbe la fattispecie di sfruttamento indebito
della reputazione di questa DOP o IGP (free riding) e di
inganno
del
consumatore
(possibile
frode
commerciale). Pur tuttavia, le denominazioni di vendita
«pizza al Roquefort» o «pizza con Roquefort DOP»
secondo la Commissione non sarebbero in conflitto tra
loro. Per contro, la denominazione di vendita «Pizza al
Roquefort DOP» sarebbe chiaramente sconsigliata,
perché potrebbe dare al consumatore l'impressione che
sia la pizza stessa a beneficiare della DOP.
- In quarto luogo, se in un prodotto alimentare è stato
utilizzato un ingrediente comparabile ad un ingrediente
che beneficia di una DOP o di una IGP, la
denominazione registrata come DOP o come IGP
dovrebbe apparire solo nell'elenco degli ingredienti,
ALIMENTA vol. XXII n. 10/14
secondo modalità analoghe a quelle seguite per gli altri
ingredienti ivi menzionati.
In particolare, bisognerebbe utilizzare caratteri dello
stesso tipo, delle stesse dimensioni, dello stesso colore
ecc.; e sul punto, aggiungiamo, sarebbe necessario
agganciare tali orientamenti al portato tecnico-grafico
previsto dal Reg. UE n. 1169/11 e dai suoi allegati.
10. Gli orientamenti della Commissione possono dirsi
assorbiti nella regola introdotta dall’art. 13 del Reg. UE
n. 1151/2012, il quale include la problematica degli
ingredienti DOP o IGP nella generale "protezione" dei
nomi dei prodotti alimentari registrati.
Ed infatti, la norma riferisce che i nomi registrati sono
protetti contro:
a) qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di
un nome registrato per prodotti che non sono oggetto di
registrazione, qualora questi ultimi siano comparabili ai
prodotti registrati con tale nome o l’uso di tale nome
consenta di sfruttare la notorietà del nome protetto,
anche nel caso in cui tali prodotti siano utilizzati come
ingrediente;
b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione,
anche se l’origine vera dei prodotti o servizi è indicata o
se il nome protetto è una traduzione o è accompagnato
da espressioni quali «stile», «tipo», «metodo», «alla
maniera», «imitazione» o simili, anche nel caso in cui
tali prodotti siano utilizzati come ingrediente.
La regola è stata preceduta a livello nazionale da alcune
norme del D. Lgs. n. 297/04, recante apparentemente
disposizioni sanzionatorie alla violazione dei
regolamenti comunitari in tema di denominazioni
protette, ma che di fatto ha esteso, con tutti i rischi di un
eccesso di delega, il perimetro precettivo all’impiego di
ingredienti DOP o IGP. Quant’anzi, a dimostrazione di
una forte sensibilità del legislatore italiano alle questioni
inerenti le corrette informazioni da fornire
all’utilizzatore di un prodotto alimentare, sia esso il
consumatore finale o un operatore intermedio (es.
un’impresa di trasformazione).
11. Il D. Lgs. n. 297/04, Capo I, all’art. 1 tratta dell’uso
commerciale dei nomi protetti a DO e IG, stabilendo
che, salva l'applicazione delle norme penali vigenti,
chiunque impiega commercialmente in maniera diretta
o indiretta una denominazione protetta, intendendo per
tale una denominazione di origine o una indicazione
geografica (così come definite nel Reg. UE 1151/12), o
il segno distintivo o il marchio, registrati ai sensi del
citato regolamento, è sottoposto alle sanzioni
amministrative di seguito individuate:
- per i prodotti composti, elaborati o trasformati che
recano nell’etichettatura, nella presentazione o nella
pubblicità, il riferimento ad una o più denominazioni
protette, è sottoposto alla sanzione amministrativa
pecuniaria da euro 2.500 ad euro 16.000.
La norma precisa che non costituisce violazione di cui
alla presente lettera il riferimento alla denominazione
protetta:
213
a) quando gli utilizzatori del prodotto composto,
elaborato o trasformato sono autorizzati dal consorzio di
tutela della denominazione protetta riconosciuto e
risultano inseriti in apposito registro attivato, tenuto e
aggiornato dal consorzio stesso. In mancanza del
provvedimento di riconoscimento del Consorzio la
predetta autorizzazione può essere concessa dal
MIPAAF - Direzione Generale per la Qualità dei
Prodotti Agroalimentari e la Tutela del Consumatore,
che provvede anche alla gestione del citato registro;
b) quando il riferimento alla denominazione protetta è
riportato soltanto tra gli ingredienti del prodotto
confezionato che lo contiene o in cui è elaborato o
trasformato.
In caso di non conformità, resta tuttavia salva
l’applicazione delle norme penali che sono poste a tutela
dell’interesse economico dei produttori, degli operatori
commerciali e consumatori-acquirenti di prodotti
alimentari, e della primaria economia nazionale intesa
nel suo insieme. In proposito, è noto che le norme penali
di rilievo alimentare sono gli artt. 515 (frode
nell’esercizio del commercio), 516 (vendita di sostanze
alimentari non genuine come genuine), 517 (vendita di
prodotti industriali con segni mendaci) e 517 quater
(contraffazione
di
indicazioni
geografiche
o
denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari).
In particolare, il reato di cui all'art. 517 c.p. punisce la
commercializzazione di prodotti industriali, oltre che di
opere dell'ingegno, recanti marchi o segni distintivi
fallaci, ossia atti a trarre in inganno sulla origine,
provenienza o qualità del prodotto, e secondo la
Cassazione penale ha carattere "sussidiario" rispetto al
reato introdotto dalla L. n. 350 del 2003, art. 4, comma
49, che ha invece "una estensione più ampia, sia sotto il
profilo dell'oggetto materiale del reato, che in relazione
alla condotta, in quanto punisce la commercializzazione
di prodotti industriali, agricoli o alimentari, che abbiano
una indicazione di origine o di provenienza falsa, ossia
non corrispondente alla realtà, ovvero fallace, ossia atta
a trarre in inganno, e questo anche se le indicazioni
consistano in segni distintivi, emblemi o denominazioni
non registrati, né riconosciuti giuridicamente" (in tal
senso, Cass. Pen. sez. III n. 28740/2011).
12. A seguito del decreto n. 297/04 si è reso comunque
necessario un approfondimento interpretativo sul profilo
formale (etichettatura, presentazione, pubblicità) e
sull’elencazione di alcuni criteri operativi, affidati ad
una Circolare - DG Sviluppo Agroalimentare e Qualità
– MIPAAF (2007) sui criteri per l'utilizzo del
riferimento ad una denominazione d'origine protetta o
ad
un’indicazione
geografica
protetta
nell’etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità
di un prodotto composto, elaborato o trasformato.
Ecco i "criteri" utilizzati dal MIPAAF per concedere, in
mancanza di un Consorzio di tutela riconosciuto,
l'autorizzazione ex art. 1, co. 1, lett. e), del D.Lgs. n.
297/04, per utilizzare nell'etichettatura, nella
presentazione o nella pubblicità il riferimento ad una
DO o IG:
ALIMENTA vol. XXII n. 10/14
a) le diciture DOP o IGP e i loro acronimi per essere
utilizzati in etichetta dovranno essere posti di seguito
alla denominazione tutelata, in modo che sia chiaro e
non suscettibile di indurre in errore il consumatore che
tali diciture o acronimi si riferiscono al prodotto
registrato utilizzato come ingrediente e non al prodotto
composto, elaborato o trasformato. Per tale ragione
dovranno essere posti tra virgolette sia la
denominazione tutelata che le diciture o gli acronimi.
b) La dimensione dei caratteri utilizzati per il
riferimento
alla
denominazione
tutelata
nell'etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità
del prodotto composto, elaborato o trasformato deve
essere inferiore alla dimensione dei caratteri utilizzati
per la denominazione della ditta, dei marchi dalla stessa
utilizzati nonché della denominazione di vendita del
prodotto composto, elaborato o trasformato.
c) Il carattere utilizzato nell'etichettatura, nella
presentazione o nella pubblicità del prodotto composto,
elaborato o trasformato per indicare l'ingrediente DOP o
IGP deve essere lo stesso carattere utilizzato per le
diciture o i rispettivi acronimi.
Inoltre, l'utilizzatore "intermedio" avrà l'obbligo di
- garantire che il prodotto DOP o IGP sia acquistato
da fornitore/confezionatore sottoposto al controllo
dell'organismo di cui alle norme del Reg. UE n.
1151/12;
- sottoscrivere l'impegno a dimostrare, tramite
registrazioni, che la quantità di prodotto DOP o IGP
utilizzata nel prodotto composto, elaborato o
trasformato corrisponde alla quantità di prodotto
DOP/IGP ricevuta nonché l'impegno a produrre, dietro
richiesta del Ministero, la relativa documentazione.
- sottoscrivere l'impegno a registrare mensilmente il
numero di confezioni del prodotto composto, elaborato
o trasformato contenenti il riferimento ad una DOP/IGP
prodotte, a trasmettere una scheda tecnica che descriva
il prodotto composto, elaborato o trasformato nonché a
comunicare la sede dello stabilimento nel quale avverrà
la produzione. Eventuali cambiamenti di stabilimento
dovranno essere preventivamente comunicati al
Ministero.
- dichiarare che il prodotto DOP o IGP verrà stoccato,
prima della elaborazione, separatamente dagli altri
prodotti appartenenti alla stessa categoria merceologica.
- dichiarare che l'autorizzazione concessa non sarà
ceduta, neanche in subconcessione, a terzi, né a titolo
gratuito né a titolo oneroso e che, in caso di cessazione
dell'attività e/o della produzione specifica, cesserà l'uso
del
riferimento
alla
denominazione
tutelata
nell'etichettatura, nella presentazione e nella pubblicità
dei prodotti composti, elaborati o trasformati.
La Circolare ministeriale ribadisce altresì che è vietato
l'utilizzo del simbolo comunitario nonché del logo della
denominazione
tutelata
nell'etichettatura,
nella
presentazione o nella pubblicità del prodotto composto,
elaborato o trasformato contenente il riferimento ad una
DOP o IGP.
Per prodotti destinati al mercato estero è possibile
riportare in etichetta, esclusivamente in aggiunta alla
214
denominazione di vendita contenente il riferimento
all'ingrediente DOP/IGP in lingua italiana, anche la
traduzione in altra lingua. Di seguito alla traduzione
dell'ingrediente in lingua diversa dall'italiano non è
possibile riportare l'acronimo, neanche se tradotto.
E’ possibile altresì utilizzare, di seguito all'ingrediente
DOP/IGP in lingua italiana, l'acronimo in lingua diversa
dall'italiano utilizzando una delle traduzioni degli
acronimi riportate nell'all. V del Reg. CE n. 1898/06. I
caratteri utilizzati per il prodotto DOP/IGP nella lingua
diversa dall'italiano non potranno tuttavia essere
superiori a quelli utilizzati per la versione in italiano.
E' vietato qualsiasi ulteriore riferimento alla
denominazione tutelata diverso da quanto esposto nel
presente documento.
L'utilizzo della denominazione tutelata esclusivamente
nella lista degli ingredienti non è sottoposto ad
autorizzazione ministeriale.
Alla Circolare è allegato un "modello di domanda" sulla
richiesta di utilizzo, ai sensi dell'art. 1 comma 1 lett. c),
del D.Lgs. n. 297/04, del riferimento nell'etichettatura,
nella presentazione o nella pubblicità di un prodotto
composto, elaborato o trasformato alla DOP/IGP.
13. La predetta Circolare, quale atto interpretativo, si
lega sostanzialmente al già cennato disposto di cui
all’art. 1 del D.Lgs. n. 297/04 (e, ovviamente, all’art. 13
del Reg. UE n. 1151/12). Al Capo I del decreto
nazionale, in sintesi, è previsto che il riferimento ad una
denominazione
protetta
nell’etichettatura,
nella
presentazione o nella pubblicità di prodotti composti,
elaborati o trasformati, non è sanzionabile in caso di
autorizzazione da parte del Consorzio di Tutela della
denominazione protetta utilizzata. E, come cennato, in
assenza di un Consorzio di Tutela riconosciuto,
l’autorizzazione può essere concessa dal competente
ufficio del MIPAAF che provvede anche alla gestione di
un registro delle autorizzazioni concesse.
Si tratta di un regime autorizzativo "anticipato" (con
finalità preventiva) per l’impiego come ingredienti
caratterizzanti e aventi toponimi registrati nella UE,
ossia di un sistema procedurale che affida ai relativi
Consorzi di Tutela il potere o no di concederla e, altresì,
di esigere un contributo ad hoc dagli utilizzatori
professionali; infine di amministrare le procedure in un
apposito registro delle DOP-IGP impiegate come
"ingredienti caratterizzanti".
A fronte di quanto evidenziato è necessario altresì
verificare se nei disciplinari di produzione vi siano
regole specifiche sull’utilizzo degli alimenti DOP e IGP
ove impiegati come ingredienti. Sul punto, fattore non
trascurabile, è che negli orientamenti della
Commissione Ue del 2010 emerge che nel disciplinare
di produzione di un prodotto a DOP o IGP registrata
non dovrebbero figurare disposizioni relative
all'impiego di una DOP o IGP registrata
nell'etichettatura di altri prodotti alimentari, in quanto il
rispetto della normativa vigente dell'Unione da parte
degli operatori economici costituisce una garanzia
adeguata. Dette disposizioni potrebbero esservi
ALIMENTA vol. XXII n. 10/14
eccezionalmente inserite soltanto se servono a risolvere
una difficoltà specifica chiaramente individuata e solo
se sono oggettive, proporzionate e non discriminatorie.
In ogni caso, le disposizioni eventualmente figuranti nel
disciplinare di produzione non possono avere per
oggetto o per effetto la modifica della normativa in
vigore.
Pur tuttavia è possibile riscontrare previsioni specifiche
per l’uso della DO o IG come "ingrediente" in
pochissimi disciplinari di produzione; ad esempio in
quello della IGP "Cipolla rossa di Tropea Calabria", in
ispecie all’art. 10 (commercializzazione prodotto
trasformato). Ed infatti i prodotti per la cui preparazione
è utilizzata la "Cipolla Rossa di Tropea Calabria" I.G.P.,
anche a seguito di processi di elaborazione e di
trasformazione, possono essere immessi al consumo in
confezioni recanti il riferimento alla detta IG senza
l’apposizione del logo comunitario, a condizione che:
a) il prodotto a IGP, certificato come tale, costituisca il
componente esclusivo della categoria merceologica.
b) l’utilizzazione non esclusiva dell’IGP consenta
soltanto il suo riferimento, secondo la normativa
vigente, tra gli ingredienti del prodotto che lo contiene,
o in cui è trasformato o elaborato.
Anche nella disciplina della «Tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei
vini», di cui al D. Lgs. 8 aprile 2010, n. 61, in ispecie
all’art. 20, è prevista la fattispecie dell’impiego delle
denominazioni geografiche nel prodotto finale. Il
comma 6, infatti, evidenzia che è consentito l'utilizzo
nell'etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità
del riferimento di una DOP o IGP in prodotti composti,
elaborati o trasformati a partire dal relativo vino DOP
o IGP, purché gli utilizzatori del prodotto composto,
elaborato o trasformato siano stati autorizzati dal
consorzio di tutela della denominazione protetta
riconosciuto ai sensi dell'art. 17 del presente decreto. In
mancanza del riconoscimento del consorzio di tutela la
predetta autorizzazione deve essere richiesta al
MIPAAF.
Il comma 7, invece, stabilisce che non è necessaria
l'autorizzazione di cui al comma 6 qualora il
riferimento ad una denominazione geografica protetta o
ad una indicazione geografica protetta in prodotti
composti elaborati o trasformati sia riportato
esclusivamente fra gli ingredienti del prodotto
confezionato che lo contiene o in cui è elaborato o
trasformato.
Le sanzioni collegate a tali regole sono previste nell’art.
23 co. 9 del D. Lgs. n. 61/10, il quale stabilisce che
salva l'applicazione delle norme penali vigenti,
chiunque viola le disposizioni contenute nei commi 6 e 7
dell'art. 20 del presente decreto, è soggetto alla
sanzione amministrativa pecuniaria da tremila a
ventimila euro.
14. L’utilizzo scorretto (o propriamente illecito) di DO
o IG quali ingredienti dei prodotti comuni potrebbe
appalesare il fenomeno del free riding che, nel nostro
caso, si riverbera sul profilo qualitativo delle derrate.
215
Sul punto, invero, importante dottrina (Sotte) ha
evidenziato che una comunicazione ai consumatori che
rafforzi la "reputazione comune" vincola le imprese al
controllo reciproco di qualità e "serve ad impedire
attivamente il free riding di chi sfrutta la rendita
reputazionale sostenendo costi inferiori, ma così
contribuendo ad abbassare la qualità".
Tutelare la qualità del prodotto sotto il profilo giuridico,
come osserva Capelli, significa "tutelare l’indicazione
utilizzata dal produttore per designarne le caratteristiche
qualitative".
Garantire la qualità dei prodotti, sotto il profilo
economico, significa invece controllarne il mercato,
cioè "impedire attivamente il free riding di chi sfrutta la
rendita reputazionale sostenendo costi inferiori, ma così
contribuendo ad abbassare la qualità" (Boccaletti).
Nel nostro caso, l’uso scorretto di DO o IG come
ingredienti, e lo stesso free riding, possono al contempo
determinare una grave lesione all’immagine; in
proposito, è l’art. 45 comma 1 lett f) del Reg UE n.
1151/12 ad appalesarsi quale regola di riferimento (e in
tal senso anche Rubino), ove stabilisce che i Consorzi
possono adottare non solo misure per la valorizzazione
dei prodotti, ma, se necessario, adottare provvedimenti
"volti a impedire o contrastare misure che sono o
rischiano di essere svalorizzanti per l’immagine dei
prodotti".
Per poter valutare il grado di offensività all’immagine
(fenomeno che normalmente si colloca quale
conseguenza del danno da prodotti difettosi) sarà
necessaria anche una valutazione della (e sulla) idoneità
ad indurre in errore i consumatori con riguardo alla
natura ed alla composizione del prodotto (danno
"indiretto" all’immagine), ove si lasci intendere,
contrariamente al vero, che il prodotto sia costituito più
che altro da un ingrediente IG (circostanza che
sembrerebbe configurare un’indebita prevalenza).
15. I possibili parametri per valutare il legittimo o
scorretto impiego delle IG dovranno riguardare
necessariamente il prodotto (composizione ed
etichettatura) e le procedure per l’utilizzo della IG come
ingrediente.
Schematicamente si tratterà di verifiche:
- visive (esame della corretta inclusione nell’elenco
ingredienti, nella denominazione dell’alimento o in
prossimità);
- quantitative (valutazione della percentuale di
ingrediente IG utilizzato, al fine della qualificazione
reale nell’alimento e dell’incidenza sostanziale sulla
qualità del prodotto comune);
- di generale leggibilità (impatto percettivo e descrittivo
dell’etichetta, dunque conformità al Reg. UE n.
1169/11). La «leggibilità», in base a tale ultimo
regolamento, è l’apparenza fisica delle informazioni,
tramite le quali l’informazione è visivamente accessibile
al pubblico in generale e che è determinata da diversi
fattori, tra cui le dimensioni del carattere, la spaziatura
tra lettere e righe, lo spessore, il tipo di colore, la
proporzione tra larghezza e altezza delle lettere, la
ALIMENTA vol. XXII n. 10/14
superficie del materiale nonché il contrasto significativo
tra scritta e sfondo;
- tecniche (esame del disciplinare del prodotto DO o IG
che diviene ingrediente, ossia se vi sono norme ad hoc
sull’utilizzo indiretto quale ingrediente);
amministrative
(accertamento
ex
ante
sull’autorizzazione del Consorzio o del MIPAAF ed
effettiva corrispondenza alla richiesta, ex post);
- sanzionatorie (eventuale irrogazione sanzioni di cui al
D. Lgs. n. 297/04 e/o codice penale).
Nel caso di illegittimo impiego di ingredienti IG in
prodotti comuni non può escludersi altresì l’eventuale
coinvolgimento dell’AGCM per violazione degli artt. 20
e 21 Codice consumo (pratiche commerciali scorrette –
pubblicità ingannevole). Com’è noto, infatti, in linea
generale, la tutela apprestata dalle norme sulla
pubblicità ingannevole (D.Lgs. n. 206/2005 - Codice del
consumo) "non si commisura alla posizione degli
acquirenti dotati di specifica competenza, avvedutezza e
di particolari cognizioni merceologiche, ma a quella
degli acquirenti di media accortezza (o meglio alla
generalità dei consumatori), i quali hanno minore
attitudine a rendersi conto delle eventuali manovre
ingannevoli del venditore o del produttore" (così,
T.A.R. Lazio Roma Sez. I, n. 6026/2012).
16. In conclusione, al di là degli aspetti tecnicoinformativi e dei profili sanzionatori, la problematica
dell’impiego di prodotti DO o IG quali ingredienti pare
innestarsi nel più ampio rapporto tra esigenze di
certezza nei cibi e corretta comunicazione commerciale.
E’ questa infatti la relazione che sottende la "domanda"
di food safety, che si profila anche con la percezione di
un rischio reale, non gravato da ingiustificato clamore.
Sul punto appaiono fondamentali le riflessioni del
Tumminello, ove evidenzia che la domanda di sicurezza
si traduce in un incremento della ricerca di adeguati
meccanismi preventivi e precauzionali, spesso di natura
anche penale. Pur tuttavia tale "domanda", secondo
l’Autore, non è solo conseguenza di un aumento
obiettivo dei rischi, ma anche di un aumento della
percezione del rischio, fenomeno, quest’ultimo, in
stretta relazione con l’effetto cumulativo dei mezzi di
comunicazione ed in particolare con lo sfondo, a volte
ingiustificatamente
allarmista,
per
finalità
sensazionalistiche, della gestione delle notizie da parte
dei media.
Condividiamo tale rilievo, aggiungendo che per tutte le
vicende alimentari (le famose "questioni" care al
Direttore di questa Rivista) è sempre opportuno un
rapporto bilanciato tra attori del sistema alimentare e
"osservatori", senza dimenticare che al consumatore
finale spetta sempre un legittimo e tutelato affidamento
nella certezza dell’acquisto.
Un approccio equilibrato, anche mediatico, sul food
sarebbe invero un segnale forte per contribuire al
dimensionamento della crescente diffidenza dell’uomo
verso il cibo (in tal senso, dal punto di vista filosofico,
Ferretti e Carrara). Diffidenza, che è anche il frutto di
una comunicazione a volte sviante, al punto da non
consentire al consumatore di "separare la prospettiva di
ottenere un beneficio da quella del rischio" (Hume).
216
GIURISPRUDENZA
T.A.R. del Lazio
Sez. I
Sent. n. 6699, ud. 16.7.2014, Pres. Sestini, est. Bottiglieri, ric. Giuliani SpA contro A.G.C.M. per annullamento
provvedimento n. 24311 dell’11.4.2013.
Massima
Linee prodotti "GUSTO senza zuccheri" e "GUSTO diabel" presentate congiuntamente. Indicazioni nutrizionali
con locuzioni come "senza zuccheri", "senza zuccheri aggiunti" oppure "senza zuccheri con… (seguito dal nome
dell’edulcorante utilizzato)". Provvedimento annullato nella parte in cui censura e inibisce la denominazione
"GUSTO senza zuccheri" e riconduce l’inulina, il malto, l’estratto di malto d’orzo, gli amidi nella nozione di
dolcificanti.
FATTO
..omissis..
Di seguito le censure dedotte da parte ricorrente.
eliminato le indicazioni contestante e separato la presentazione
di alcune linee di prodotto (nella specie "GIUSTO senza
zucchero" e "GIUSTO diabel").
1) Violazione dell’art. 28, comma 2, reg. CE 1924/2006.
4) Illegittimità per carenza dei presupposti e difetto
d’istruttoria.
La citata disposizione europea permetterebbe in via transitoria
l’utilizzo dei marchi commerciali storici, anche se contrastanti
con le ulteriori disposizioni del regolamento medesimo. In
considerazione della circostanza che la locuzione "GIUSTO
senza zucchero" costituirebbe marchio commerciale registrato
dalla società ricorrente già nel 1993 e rinnovato nel 2003, la
sanzione pecuniaria e l’inibitoria sarebbero illegittime.
La sanzione si paleserebbe illegittima sia perché l’indicazione
"aggiunti" di seguito alla locuzione "senza zuccheri" sarebbe
perfettamente leggibile e comprensibile, sia perché le sostanze
contenute nei prodotti censurati dall’Autorità non sarebbero
edulcoranti e quindi sussumibili nella definizione di zuccheri
fornita dall’allegato al reg. CE 1924/2006.
2) Violazione dell’art. 28, comma 2 e falsa applicazione
dell’art. 1, comma 3, reg. CE 1924/2006.
Nell’adozione del provvedimento l’Autorità avrebbe applicato
l’art. 1, comma 3, reg. cit., senza considerare che l’utilizzo per un periodo transitorio - dei marchi storici sarebbe
consentito dal ridetto art. 28.
3) Violazione dell’art. 27, comma 7, d.lgs. 206/2005.
La sanzione pecuniaria sarebbe illegittima per non aver
l’Autorità tenuto in debita considerazione il ravvedimento
operoso della società ricorrente, che avrebbe prontamente
Violazione dell’art. 11, l. 24 novembre 1981, n. 689.
L’Autorità, nell’irrogare la sanzione, non avrebbe tenuto conto
del fatturato realizzato dalla linea di prodotti oggetto di
contestazione (costituente un’attività secondaria, e dunque una
minima frazione del fatturato sociale), della limitata diffusione
della pratica commerciale (svolta attraverso canali telematici),
della limitata commercializzazione (avvenuta attraverso il
circuito farmaceutico), del ravvedimento operoso della società
ricorrente.
7) Sproporzionalità della sanzione per errore nei presupposti.
L’importo della sanzione è stato aumentato da € 70.000,00 a €
90.000,00, in considerazione della precedente commissione di
un illecito (pratica commerciale scorretta, provvedimento 3
novembre 2011, n. 22935): tale aggravio sarebbe illegittimo,
in considerazione della pendenza del procedimento
giurisdizionale di accertamento della legittimità della sanzione
irrogata dall’Autorità (Tar Lazio, I, r.g. 343/2012).
..omissis..
DIRITTO
1. Il provvedimento gravato censura una pratica commerciale
posta in essere dalla società ricorrente, consistente nella
ALIMENTA vol. XXII n. 10/14
5) Illegittimità per errore nei presupposti.
La presentazione congiunta di due linee di prodotto "GIUSTO senza zucchero" e "GIUSTO diabel" - non
ingenererebbe alcun erroneo convincimento nei consumatori,
posto che la scienza medica non vieta alle persone diabetiche
di assumere zuccheri tout court, bensì ne sconsiglia il
consumo eccessivo specie se non accompagnato da ulteriori
alimenti, quali le fibre alimentari, che favoriscono
l’assorbimento degli zuccheri.
6) Eccesso di potere per sproporzionalità della sanzione commercializzazione di una linea di prodotti alimentari
denominata "GIUSTO senza zucchero", presentata sul sito
web congiuntamente ad altra linea alimentare, "GIUSTO
diabel".
La prima linea è destinata a soggetti desiderosi di ridurre
l’assunzione di zuccheri, mentre la seconda ha come target
specifico le persone affette da diabete.
I prodotti della linea "GIUSTO senza zucchero" contengono
indicazioni nutrizionali, riassunte dalle locuzioni "senza
zucchero", "senza zuccheri aggiunti" (in questo caso, vi è
l’utilizzo di caratteri di differenti grandezze, nello specifico, il
lemma "aggiunti" è di minore dimensione), e "senza zucchero
con…"(seguito dal nome dell’edulcorante utilizzato).
L’Autorità ha ritenuto che le indicazioni fornite sui prodotti
oggetto dell’indagine non fossero conformi alle disposizioni
nazionali ed europee, con conseguente irrogazione delle
sanzioni pecuniarie e inibitorie.
2. La normativa di riferimento è costituita dal codice del
consumo di cui al d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 e dal
regolamento CE 20 dicembre 2006, n. 1924.
2.1. L’Autorità ha rilevato la violazione da parte della società
degli artt. 20, comma 2, e 21, comma 1, lett. a ) e b), del
codice del consumo.
217
L’art. 20, comma 2, del d.lgs. 206/2005 vieta le pratiche
commerciali scorrette, ossia quelle contrarie "alla diligenza
professionale, [e] fals[e] o idone[e] a falsare in misura
apprezzabile il comportamento economico, in relazione al
prodotto, del consumatore medio che ess[e] raggiung[ono] o al
quale [sono] dirett[e] o del membro medio di un gruppo
qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato
gruppo di consumatori".
L’art. 21, comma 1, d.lgs. 206/2005 similmente vieta le
pratiche ingannevoli, considerando tale " una pratica
commerciale che contiene informazioni non rispondenti al
vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella
sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in
errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei
seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a
indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che
non avrebbe altrimenti preso:
a) l’esistenza o la natura del prodotto;
b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua
disponibilità, i vantaggi, i rischi, l’esecuzione, la
composizione, gli accessori, l’assistenza post-vendita al
consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di
fabbricazione o della prestazione, la consegna, l’idoneità allo
scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o
commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso,
o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e
controlli effettuati sul prodotto".
L’art. 27, comma 9, dello stesso d.lgs. 206/2005 dispone poi
che "con il provvedimento che vieta la pratica commerciale
scorretta, l’Autorità dispone inoltre l’applicazione di una
sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000,00 euro a
5.000.000,00 euro, tenuto conto della gravità e della durata
della violazione".
2.2. Il regolamento CE 20 dicembre 2006, n. 1924, armonizza
le previsioni legislative nazionali in tema di etichette dei
prodotti alimentari, prevedendo una procedura autorizzatoria
per le indicazioni nutrizionali o sulla salute.
Nello specifico "le indicazioni nutrizionali e sulla salute
possono
essere
impiegate
nell’etichettatura,
nella
presentazione e nella pubblicità dei prodotti alimentari
immessi sul mercato comunitario solo se conformi alle
disposizioni del presente regolamento" (art. 3); precisandosi
poi che "l’impiego di indicazioni nutrizionali e sulla salute è
consentito solo se ci si può aspettare che il consumatore medio
comprenda gli effetti benefici secondo la formulazione
dell’indicazione" (art. 5, comma 2); tali indicazioni restano
ferme anche nelle ipotesi in cui l’indicazione sia rinvenibile in
un marchio commerciale: "Un marchio, denominazione
commerciale o denominazione di fantasia riportato
sull’etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità di un
prodotto alimentare che può essere interpretato come
indicazione nutrizionale o sulla salute può essere utilizzato
senza essere soggetto alle procedure di autorizzazione previste
dal presente regolamento a condizione che l’etichettatura,
presentazione o pubblicità rechino anche una corrispondente
indicazione nutrizionale o sulla salute conforme alle
disposizioni del presente regolamento" (art. 1, comma 3).
L’allegato al regolamento chiarisce infine quali siano le
indicazioni nutrizionali e le relative condizioni di
applicazione. Nel caso all’odierno esame, rilevano in
particolare le diciture "senza zuccheri" (riservate agli alimenti
che contengano "non più di 0,5 g di zuccheri per 100 g o 100
ml"), e "senza zuccheri aggiunti" ("se il prodotto non contiene
mono o disaccaridi aggiunti o ogni altro prodotto alimentare
utilizzato per le sue proprietà dolcificanti. Se l’alimento
contiene naturalmente zuccheri, l’indicazione seguente deve
ALIMENTA vol. XXII n. 10/14
figurare sull’etichetta: «CONTIENE NATURALMENTE
ZUCCHERI»").
3. Tanto premesso, si deve rilevare come l’Autorità abbia
invero accertato una pratica commerciale vietata consistente in
due autonome condotte: da un lato viene censurato il marchio
"GIUSTO senza zucchero", contenente un’indicazione
nutrizionale non veritiera, stante l’avvenuto accertamento del
contenuto zuccherino della quasi totalità dei prodotti della
linea; dall’altro vengono censurate le ulteriori indicazioni
nutrizionali specifiche espresse con le locuzioni "senza
zucchero", "senza zucchero con…" e "senza zuccheri
aggiunti", poste sui prodotti commercializzati, e la
presentazione congiunta alla linea "GIUSTO diabel".
In particolare, di tre prodotti "senza zucchero" esaminati
dall’Autorità, uno non è risultato conforme ai parametri di cui
al citato regolamento 1924/2006, contenendo un quantitativo
di zuccheri superiore al dovuto. Similmente tutti i prodotti
"senza zucchero con…", sono risultati contenenti zuccheri in
quantità ben superiore al limite di cui all’allegato al
regolamento. Quanto, infine, ai prodotti "senza zuccheri
aggiunti", si è rilevato che essi presentano una veste grafica
tale da rendere la réclame ingannevole per il consumatore, in
ragione della minore dimensione del carattere del termine
"aggiunti"; inoltre, gli stessi sono stati ritenuti non conformi al
disposto del regolamento europeo che limita, nei modi sopra
indicati, l’utilizzo dell’indicazione "senza zuccheri aggiunti",
poiché contenenti sostanze dolcificanti non costituenti
edulcoranti (inulina, malto, estratto di malto d’orzo, amidi).
Sicché la pratica commerciale è stata reputata contraria alla
diligenza professionale in quanto suscettibile di indurre
erronei convincimenti nei consumatori: di conseguenza
l’Autorità ha provveduto ad elevare le sanzioni di cui sopra.
Scomputata in tal guisa la contestazione mossa al
professionista risulta più agevole l’analisi delle doglianze
esposte da parte ricorrente.
4. Con i primi due motivi di gravame parte ricorrente osserva
come l’art. 28, comma 2, del regolamento CE 1924/2006,
disponga che i "prodotti recanti denominazioni commerciali o
marchi di fabbrica esistenti anteriormente al 1° gennaio 2005 e
non conformi al presente regolamento possono continuare ad
essere commercializzati fino al 19 gennaio 2022. Trascorso
tale periodo, si applicano le disposizioni del presente
regolamento".
Parte ricorrente aggiunge come "GIUSTO senza zucchero" sia
un marchio commerciale storico, registrato per la prima volta
nel 1993 e rinnovato da ultimo nel 2003 (registrazione n.
659530 del 1993, presso l’Uibm e rinnovato con registrazione
n. 1051941 del 2003), sicché l’inibitoria e la sanzione
sarebbero illegittime.
4.1. Il rilievo coglie nel segno.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito come le
disposizioni del c.d. regolamento claim non trovino
applicazione – per il periodo transitorio – nei confronti dei
marchi c.d. storici, ossia esistenti al 1° gennaio 2005. Il
medesimo giudice ha aggiunto che l’esenzione è limitata alle
ipotesi di marchi commerciali tutelati, alla data del 1° gennaio
2005, dalla legislazione applicabile (Corte Giustizia UE, IX,
18 luglio 2013, n. 299).
Alla luce del chiaro tenore della disposizione di cui all’art. 28,
comma 2, del regolamento CE 1924/2006, nonché delle
direttive giurisprudenziali della Corte europea, e considerata la
regolarità della registrazione del marchio commerciale presso
il competente ufficio, appare palese l’errore cui è incorsa
l’Autorità nell’inibire l’utilizzo di un marchio che, in quanto
protetto da legislazione transitoria, non può essere considerato,
218
al contempo, indicazione nutrizionale costituente pratica
commerciale ingannevole.
5. Con gli ulteriori motivi di ricorso parte ricorrente censura le
considerazioni svolte dall’Autorità in ordine ad alcune
indicazioni nutrizionali specifiche.
Al riguardo, va ribadito che, come in precedenza indicato,
l’utilizzo delle locuzioni "senza zucchero", "senza zucchero
con…" e "senza zuccheri aggiunti", è puntualmente
disciplinato dal regolamento CE 1924/2006.
Inoltre, l’Autorità ha censurato la presentazione congiunta
delle due linee di prodotto, perché possibile fautrice di erronei
convincimenti in capo ai consumatori, e ha accertato nei limiti
sopra esposti la difformità del contenuto zuccherino dei
prodotti per cui è causa.
Ciò posto, osserva il Collegio che nulla contesta parte
ricorrente in ordine al contenuto di zuccheri nei prodotti
presentati con le locuzioni "senza zucchero" e "senza zucchero
con…" e al ritenuto ingannevole accostamento in sede di
presentazione delle due linee di prodotti "GIUSTO senza
zucchero" e "GIUSTO diabel".
Si limita invero parte ricorrente a esporre l’erronea
riconduzione di inulina, malto, estratto di malto d’orzo, amidi,
alla nozione di edulcoranti.
Detto rilievo è fondato.
L’Autorità ha, infatti, escluso che tali ingredienti fossero
edulcoranti ai sensi dell’allegato II del regolamento CEE
1333/2008 (pag. 18 del provvedimento gravato, in alto), ma ha
affermato che gli stessi costituiscono prodotto alimentare
utilizzato per le sue proprietà dolcificanti.
Ma se da un lato è pacifico che i suddetti prodotti non sono
edulcoranti, ai sensi dell’allegato II del regolamento CEE
1333/2008, dall’altro non emerge alcun elemento che dia
conto dell’assunto dell’Autorità che gli stessi sono utilizzati
per rendere più dolce un alimento.
Al riguardo, sono inconferenti i richiami giurisprudenziali di
parte resistente a statuizioni relative a controversie (C. Stato,
VI, 4 luglio 2012, n. 3901; Tar Lazio, I, 4 luglio 2013, n.
6596) nelle quali si trattava di fattispecie difformi, in cui
veniva in rilievo la presenza di zuccheri nascosti quali i succhi
d’uva o di mele concentrati.
6. Altro profilo di doglianza elevato da parte ricorrente
inerisce la quantificazione della sanzione e la mancata
considerazione dell’avvenuta cessazione della pratica
commerciale illecita già in pendenza del procedimento
sanzionatorio.
Parte ricorrente ha infatti, tra altro, esposto come in reazione
alla comunicazione dell’Autorità abbia eliminato le dizioni
"senza zucchero" e "senza zucchero con…", separando altresì
la presentazione delle due linee di prodotti "GIUSTO senza
zucchero" e "GIUSTO diabel", riconoscendo in tal guisa
l’illeceità della pratica commerciale.
6.1. Al riguardo, va rilevato che in ordine alla quantificazione
della sanzione l’Autorità ha tenuto conto del già citato art. 27,
comma 9, del codice del consumo, e, per quanto applicabili,
dei criteri individuati dall’articolo 11, l. 24 novembre 1981, n.
689, in virtù del richiamo previsto all’articolo 27, comma 13,
dello stesso codice, e, indi, della gravità della violazione,
dell’opera svolta dall’impresa per eliminare o attenuare
l’infrazione, della personalità dell’agente, nonché delle
condizioni economiche dell’impresa stessa.
Con riguardo alla gravità della violazione, l’Autorità ha in
particolare tenuto conto dell’importanza e della dimensione
ALIMENTA vol. XXII n. 10/14
economica del professionista – società di grandi dimensioni
con un fatturato, nel 2011, di quasi 100 milioni di Euro – della
peculiare modalità di distribuzione del prodotto
(principalmente attraverso il canale farmaceutico), capace di
raggiungere un platea particolarmente vulnerabile di
consumatori.
La capacità penetrativa della pratica e il pregiudizio
economico per i consumatori sono stati valutati tenendo conto
dei volumi e dei ricavi dalle vendite dei prodotti in questione
dall’anni 2011 fino al mese di novembre 2012, attestandosi in
circa € 1.700.000,00.
La durata della violazione, dagli elementi disponibili in atti, è
stata stimata assai risalente, posto che il marchio "GIUSTO
senza zucchero" risulta da ultimo rinnovato nel 2003.
Nel contempo l’Autorità ha rilevato come la società Giuliani,
abbia eliminato le indicazioni nutrizionali "senza zucchero" e
"senza zucchero con…", nonché separato la presentazione sul
sito web della linea "GIUSTO senza zucchero" e "GIUSTO
diabel".
Sulla base di tali elementi, l’Autorità ha determinato l’importo
della sanzione amministrativa nella misura di € 70.000,00,
elevati a € 90.000,00, in considerazione del fatto che la
medesima società risultava già sanzionata per un’analoga
violazione.
6.2. Poiché è già stata esclusa la scorrettezza della pratica
relativa alla denominazione della linea "GIUSTO senza
zucchero", l’esame delle censure in parola è limitato
all’afferenza della sanzione alle indicazioni nutrizionali
specifiche contenute nella stessa linea.
6.3. Tanto premesso, non merita accoglimento la doglianza
secondo cui l’Autorità non avrebbe dovuto considerare l’intero
bilancio sociale, bensì solo quello relativo alla linea di prodotti
in parola, atteso che il valore di cui parte ricorrente lamenta
l’errato utilizzo attiene alla dimensione economica
dell’impresa e, indi, a uno dei parametri specificamente
contemplati per la determinazione della sanzione dal codice
del consumo.
Si richiama, sul punto, la sentenza della Sezione 15 febbraio
2012, n. 1568, secondo cui "va escluso che l’Autorità ...
dovesse riferirsi esclusivamente al fatturato afferente le linee
di produzione oggetto di esame, anziché alla complessiva
dimensione e potenzialità economica dell’impresa, atteso che
tale limitazione dell’apprezzamento in ordine alle condizioni
economiche dell’agente non trova riscontro nelle previsioni
normative di riferimento".
La società non può essere seguita neppure quando opina che la
diffusione della pratica sarebbe stata valutata con criteri
erronei, atteso che, sul punto, il percorso logico esternato
dall’Autorità si profila immune da vizi logici, avendo
considerato tutti i mezzi con i quali la pratica è stata diffusa e
la loro capacità diffusiva, nonché rimarcando anche la speciale
vulnerabilità di alcuni destinatari della pratica.
Per quanto concerne il profilo della reiterata commissione di
illeciti rilevata dall’Autorità, non può concordarsi con la
ricorrente quando afferma che la mera pendenza di un giudizio
di opposizione a sanzione comporti l’automatico venir meno
del requisito della recidiva.
6.4. Deve invece trovare favorevole considerazione la censura
con la quale si lamenta che l’Autorità non abbia valutato il
ravvedimento operoso posto in essere dalla società mediante la
cessazione della presentazione congiunta delle due linee di
prodotti in parola e la rimozione dai relativi incarti delle
indicazioni censurate in corso di procedimento.
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Tale condotta, infatti, assume i caratteri del ravvedimento
operoso, essendo stata posta in essere alla data del 3 dicembre
2012, come riconosce la stessa Autorità (pag. 20 del
provvedimento gravato, in alto), ovvero a brevissima distanza
dalla contestazione, avvenuta il 12 novembre 2012, ed essendo
idonea ad attenuare grandemente i profili di scorrettezza della
pratica commerciale posta in essere.
La stessa risulta pertanto idonea a incidere su due dei criteri di
cui all’articolo 11 della l. n. 689 del 1981 (opera svolta
dall’impresa per eliminare o attenuare l’infrazione; gravità
della violazione).
In altre parole, alla qualificazione della gravità del
comportamento illecito accertato, come visto, correttamente
effettuata in astratto in ragione dell’importanza e della
dimensione economica del professionista nonché della
capacità penetrativa della pratica e del correlato pregiudizio
economico per i consumatori, non ha fatto seguito una
parimenti corretta perché proporzionata individuazione della
misura da adottare, in concreto, nei confronti dell’impresa,
quale mezzo ripristinatorio dell’ambito di legalità violata.
7. Da tutto quanto sopra, e, segnatamente per effetto delle
censure rivelatesi fondate e pertanto accolte, deriva che il
provvedimento in esame va annullato nella parte in cui
censura e inibisce l’utilizzo della denominazione della linea
"GIUSTO senza zucchero", nonché riconduce l’inulina, il
malto, l’estratto di malto d’orzo, gli amidi nella nozione di
sostanze dolcificanti.
Va, conseguentemente, annullata l’erogazione della
conseguente sanzione pecuniaria, che va, inoltre, annullata
anche nella parte in cui non ha considerato il comportamento
oneroso posto in essere dalla società.
Per il conseguente ricalcolo della sanzione, è indi necessario
in primo luogo scomputare nel modo anzidetto la sanzione in
ragione delle due differenti azioni, di cui una – l’utilizzo del
marchio storico – pienamente legittima e l’altra parzialmente
illecita e in secondo luogo ridurre proporzionalmente la
seconda: sicché dall’originaria sanzione di € 90.000,00 si
giunge ad € 40.000,00.
Tale somma va ulteriormente dimezzata in ragione del
parziale accoglimento della domanda del ricorrente di
riduzione della sanzione, poiché all’apprezzamento favorevole
dei considerati fattori appare congruo assegnare una incidenza
stimabile nel 25% per ciascuno.
Di talché l’importo della sanzione deve infine essere ridotto in
€ 20.000,00 (euro ventimila/00).
8. Alla reciproca soccombenza consegue la compensazione
delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione
Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in
epigrafe, lo accoglie in parte, nei sensi di cui in motivazione,
annullando per l'effetto, per la stessa parte, l'impugnato
provvedimento, e rideterminando la sanzione nell'importo pari
a € 20.000,00 (euro ventimila/00).
Compensa integralmente tra le parti le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
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ALIMENTA vol. XXII n. 10/14
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