Stravaganze strumentali Concerti dell’Auditorio, Lugano 10 gennaio – 18 aprile 2014 Orchestra della Svizzera italiana Coro della Radiotelevisione svizzera Stravaganze strumentali Orchestra della Svizzera italiana Coro della Radiotelevisione svizzera Concerti dell’Auditorio, Lugano 10 gennaio – 18 aprile 2014 INDICE 5 INTRODUZIONE AI CONCERTI 7 CALENDARIO LUGANO 1 1 ABBONAMENTI E BIGLIETTI LUGANO 3 1 VENERDÌ 1 0 GENNAIO 1 9 OSI 35 VENERDÌ 1 7 GENNAIO 2 1 Strumenti, strumentini 45 martedÌ 2 1 GENNAIO e strumentucci 47 venerdì 24 GENNAIO AUDITORIO RSI 49 domenica 26 GENNAIO 1 1 5 DIREZIONE E STAFF 5 1 venerdÌ 3 1 GENNAIO 1 1 7 CONTATTI 57 VENERDÌ 7 FEBBRAIO 65 VENERDÌ 1 4 FEBBRAIO 69 VENERDÌ 2 1 FEBBRAIO 7 3 sabato 2 2 FEBBRAIO 77 venerdì 28 FEBBRAIO 8 1 VENERDÌ 1 4 MARZO 85 VENERDÌ 2 1 MARZO 9 1 VENERDÌ 28 MARZO 95 VENERDÌ 4 aprile 99 domenica 6 aprile 1 03 venerdì 1 1 aprile studio 2 RSI LUGANO Altre musiche 39 lunedÌ 20 GENNAIO 6 1 lunedÌ 1 0 Febbraio COLLEGIATA BELLINZONA 1 07 VENERDÌ 1 8 aprile ChRISTIAN GILARDI RESpONSABILE SETTORE MUSICALE “Nel corso di una lunga evoluzione, l’uomo primitivo passò ad esaltare gli effetti dell’antica percussione corporale sostituendo la parte del corpo percossa con un oggetto ricavato dall’ambiente naturale o fabbricato da mani umane. Il battito delle mani lasciò il posto al battito dei legni; al pestare dei piedi sul terreno si aggiunsero i sonagli fatti di noci o di zoccoli allacciati alle caviglie. Questi ‘prolungamenti’, come li chiamano gli antropologi, segnarono il lento passaggio dal corpo nudo agli strumenti veri e propri, dei tempi successivi o di oggi”. Queste erudite considerazioni di Curt Sachs – uno dei massimi pionieri dell’etnomusicologia – ci possono servire a ribadire un dato di fatto anche piuttosto ovvio: gli strumenti musicali non sono sempre esistiti. E quando qualcuno li ha “inventati”, questo è avvenuto come un tentativo di estensione delle capacità fisiche – ancor prima che espressive – dell’essere umano. Così anche oggi, nel nostro presente colto in cui ogni oggetto ha etichette e funzioni precisissime, la missione fondamentale dello strumento musicale rimane la stessa: essere un’estensione dell’uomo, del suo corpo e del suo spirito. Da questo punto di vista poco importa se lo strumento è “classico”, conosciuto e coltivato, oppure se è nuovo, popolare e in qualche modo straniero: sempre e comunque si tratta del tramite tra l’uomo e la musica. E i Concerti dell’Auditorio 2014 sono qui a dimostrarcelo, con una programmazione tematica che vedrà affiancarsi ai ben noti strumenti dell’Orchestra della Svizzera italiana altri “oggetti” piuttosto inconsueti per le sale da concerto sinfonico. Che siano vecchi e in relativo disuso, di recentissima invenzione o provenienti da tradizioni lontane, tutti sono qui a ricordarci l’originaria immagine di un’estensione del corpo umano. perché ben oltre la possibile curiosità o l’intrigante esotismo la missione degli strumenti è quella di essere messaggeri dell’uomo. Accanto, ma non troppo, rispetto a questo filone tematico i Concerti dell’Auditorio 2014 propongono due significative novità: la presenza in residence di Fazil Say (l’estroso pianista e compositore turco, protagonista di tre appuntamenti) e due concerti di “Altre musiche” che si soffermano su repertori, poetiche e tecniche estranei all’ambito classico. Un apprezzato segno di continuità è infine la presenza – questa sì assolutamente classica – di primo piano Ashkenazy, che impegnerà i due pianoforti di Vladimir e Vovka Ashkenazy e Giulio Mercati all’harmonium. 5 DIpARTIMENTO CULTURA RSI GENNAIO 2014 Venerdì 17 ore 20.30 p. 35 Orchestra della Svizzera italiana Direttore Pablo González Solista Gianluca Littera armonica a bocca Musiche di Stravinskij, Villa-Lobos, mozart Altre musiche Lunedì 20 ore 20.30 p. 39 Studio 2 RSI Gruppo Ocarinistico Budriese Solisti Fulvio Carpanelli, Fabio Galliani, Simona Vincenzi, Emiliano Bernagozzi, marco Venturuzzo, Gianni Grossi, Claudio Cedroni ocarine martedì 21 ore 20.30 p. 45 Fazil Say in residence Récital Fazil Say pianoforte Musiche di Beethoven, Zimmermann, Stravinskij, mozart, Say Venerdì 24 ore 20.30 p. 47 Orchestra della Svizzera italiana Fazil Say in residence Solista Fazil Say pianoforte Musiche di Rossini, Say, mozart Domenica 26 ore 17.00 p. 49 Studenti della Scuola Universitaria di musica del Conservatorio della Svizzera italiana Fazil Say in residence Fazil Say pianoforte Musiche di Say, Erkin, Schubert Venerdì 31 ore 20.30 p. 51 I Barocchisti Direttore Diego Fasolis Solisti michel Tirabosco, matthijs Koene flauto di pan Musiche di Rota, hoch, monteverdi, Telemann, Vivaldi 7 Venerdì 10 ore 20.30 p. 3 1 Orchestra della Svizzera italiana Direttore Andrea Battistoni Solista Roberto Prosseda piano-pédalier Musiche di Gounod, Grieg FEBBRAIO 2014 mARZO 2014 Venerdì 7 ore 20.30 p. 57 Orchestra della Svizzera italiana Direttore Philippe Bach Solista matthias Ziegler flauti Musiche di haydn, Yusupov, Glinka, Dvoák Venerdì 14 ore 20.30 p. 81 Orchestra della Svizzera italiana Direttore Alain Lombard Solista Sandra Pastrana soprano Musiche di ajkovskij, Villa-Lobos, mendelssohn Altre musiche Lunedì 10 ore 20.30 p. 61 Studio 2 RSI Ensemble Khaled Arman Solisti Khaled Arman rubab, Siar hashimi tabla, mashal Arman canto e danza, Aroussiak Guévorguiam kanun Venerdì 21 ore 20.30 p. 85 Orchestra della Svizzera italiana Direttore Damian Iorio Solisti Duilio Galfetti mandolino, markus Würsch tromba, Enrico Fagone contrabbasso, Pierre Goy fortepiano Musiche di mozart, Kozeluch Venerdì 14 ore 20.30 p. 65 Orchestra della Svizzera italiana Direttore Nicholas milton Solista Veronika Eberle violino Musiche di Schubert, mendelssohn, Brahms, Kodály Venerdì 21 ore 20.30 p. 69 Orchestra della Svizzera italiana Direttore Francesco Angelico Solista mario marzi saxofono Musiche di Schreker, milhaud, Villa-Lobos, Schubert Primo Piano Ashkenazy Sabato 22 ore 20.30 p. 73 Solisti Vladimir Ashkenazy, Vovka Ashkenazy pianoforte Musiche di Brahms, Schubert, Stravinksij, Borodin Venerdì 28 ore 20.30 p. 77 Orchestra della Svizzera italiana Direttore Tito Ceccherini Solista maurice Steger flauto Musiche di Fauré, heberle, Roussel, Bartók Venerdì 28 ore 20.30 p. 91 Orchestra della Svizzera italiana Direttore howard Griffiths Solisti Burhan Öcal, Istanbul Oriental Ensemble percussioni Musiche di haydn, Lully, Fux, Sultan Selim III, Öcal APRILE Venerdì 4 ore 20.30 p. 95 Orchestra della Svizzera italiana Direttore Antonello manacorda Solista miloš Karadaglic´ chitarra Musiche di De Falla, Rodrigo, Bizet Primo Piano Ashkenazy Domenica 6 ore 17.00 p. 99 Solisti Vovka Ashkenazy pianoforte, Giulio mercati harmonium Musiche di Wagner, Schumann, Liszt Venerdì 1 1 ore 20.30 p. 103 Orchestra della Svizzera italiana Direttore da definire Solista Tilo Wachter hang Musiche di R. Strauss, Steinauer, mozart 9 Venerdì 18 ore 20.40 p. 107 Collegiata, Bellinzona OSI, Coro e solisti della Radiotelevisione svizzera Concerto del Venerdì Santo Direttore Diego Fasolis Musiche di mendelssohn Sito web rsi.ch/concertiauditorio Con riserva di modifiche Stampato in novembre 2013 ABBONAMENTI E BIGLIETTI Abbonamenti Centrali Laterali a 14 concerti CHF 480.– 410.– Club Rete Due Amici OSI CHF 390.–320.– AVS e abbonati CdT CHF 455.–385.– Abbonamenti Centrali Laterali a 2 concerti Primo Piano Ashkenazy CHF 70.–60.– Club Rete Due Amici OSI CHF 50.–40.– AVS e abbonati CdT CHF 60.–50.– Biglietti per singoli concerti CHF 40.–35.– Club Rete Due Amici OSI CHF 30.–25.– AVS e abbonati CdT CHF 35.–30.– Studenti (da 19 anni) CHF 5.– biglietto gratuito Fino a 18 anni Biglietti per singoli concerti Altre musiche CHF 25.– Club Rete Due Amici OSI CHF 15.– AVS e abbonati CdT CHF 20.– Studenti (da 19 anni) CHF 5.– biglietto gratuito Fino a 18 anni Agli abbonati dell’edizione 201 3 è data la possibilità di confermare gli stessi posti in abbonamento anche per il 2014 mediante il modulo d’ordinazione allegato. per il rinnovo del vecchio abbonamento il termine di spedizione è il 20 novembre. Gli organizzatori considereranno liberi i posti nel caso in cui il modulo d’ordinazione destinato ai vecchi abbonati non venisse inviato entro il termine indicato. La prevendita per i nuovi abbonati avrà luogo da lunedì 9 a venerdì 13 dicembre alla RSI, Via Canevascini, Lugano, negli orari 9.00–1 1.30 / 13.30–16.30 oppure telefonando allo 091 803 95 49. per la rassegna primo piano Ashkenazy c’è la possibilità di acquistare un mini abbonamento per le due serate (sabato 22 febbraio e domenica 6 aprile). Prevendita biglietti da mercoledì 18 dicembre in tutti i punti vendita Ticketcorner (uffici postali, Manor, stazioni FFS) e online www.ticketcorner.ch. I biglietti saranno pure in vendita alla cassa dell’Auditorio RSI la sera dei concerti dalle 19.00. I biglietti gratuiti destinati ai giovani fino a 18 anni, sono disponibili solo alla cassa dell’Auditorio la sera dei concerti dalle 19.00 (previa disponibilità dei posti in sala). 11 I concerti Altre musiche (lunedì 20 gennaio e lunedì 10 febbraio) sono fuori abbonamento. I biglietti sono acquistabili chiamando lo 091 803 95 49 o alla cassa dello Studio 2 la sera dei concerti dalle 19.00. Il concerto di venerdì 31 gennaio è fuori abbonamento. I biglietti sono acquistabili in prevendita Ticketcorner o alla cassa dell’Auditorio la sera del concerto dalle 19.00. Il concerto di venerdì 18 aprile è fuori abbonamento. Seguiranno maggiori dettagli sulla prevendita. Con riserva di modifiche AUDITORIO STELIO MOLO 1 1 37 37 3 3 39 39 5 41 77 5 41 77 7 43 79 7 9 13 15 49 51 87 15 91 21 23 25 1727 1929 2131 2333 2535 27 3629 3431 57 59 61 63 5565 5767 5969 6171 6373 6575 67 7669 7471 93 1 13 3 3 95 97 99 101 103951059710799109 101 111 103 113 105 115 107 117 109 118 111 116 113 1 5 5 17 7 137 139 141 143 145 137 147 149 141 151 143 153 145 147 149 151 161 153 162 160 1 139 155 157 159 155 157 17 1 9 22 7 9 26 17 7 22 9 9 22 26 3 26 181 183 185 187 189 181 191 183 193 185 195 187 197 189 199 191 193 195 197 207 199 208 206 2 201 203 205 201 203 3 22 26 1 22 5 7 26 9 5 17 5 22 26 9 21 13 13 17 7 3 3 5 26 17 3 21 26 7 21 13 17 93 5 1 1 3 26 17 1 21 26 5 21 1 19 53 89 55 13 17 9 12 9 53 3 91 21 13 9 1 25 17 9 21 25 3 9 7 12 16 7 12 51 7 89 1 7 21 12 9 25 7 21 25 1 16 21 7 16 87 5 12 5 49 85 13 3 16 85 9 5 16 9 20 5 12 16 3 12 47 83 11 45 81 1 11 12 3 47 3 12 16 83 1 12 45 81 9 9 11 43 79 9 11 16 20 17 5 1 27 5 1 27 3 1 34 1 34 3 27 9 27 33 9 33 227 229 231 233 235 227 237 229 239 231 241 233 243 235 245 237 247 239 249 241 251 243 253 245 255 247 256 249 254 251 2 275 277 279 281 283 275 285 277 287 279 289 281 291 283 293 285 295 287 297 289 299 291 301 293 303 295 304 297 302 299 3 3 7 34 36 1 5 35 37 3 36 1 3 36 5 36 3 41 3 41 5 9 38 1 36 41 9 38 1 41 3 7 38 9 40 36 7 38 9 40 1 5 7 38 40 36 5 7 38 40 9 35 38 5 40 9 35 3 DISPARI DISPARI 7 35 1 38 3 38 5 40 7 35 40 5 9 35 37 1 40 3 35 9 7 37 39 3 1 38 40 5 9 35 37 1 40 3 35 9 7 37 39 1 5 35 7 39 9 34 5 3 37 39 7 1 34 37 3 39 5 34 9 36 1 37 7 39 9 34 5 3 37 39 7 1 34 37 3 39 5 34 9 36 1 39 3 7 34 36 39 317 319 321 323 325 317 327 319 329 321 331 323 325 327 329 331 305 307 309 311 313 305 315 307 309 311 313 315 333 335 337 338 336 333 3 415 417 419 421 BALCONATA BALCONATA 423 415 425 417 427 419 429 421 431 423 433 425 434 427 432 429 4 38 2 0 12 82 2 16 4 12 4 21 0 13 26 6 26 40 27 0 26 40 8 0 40 40 2 4 340 40 6 8 92 39 4 6 39 39 8 6 37 37 8 0 38 38 2 40 41 0 2 41 36 8 0 37 4 0 35 35 2 4 38 4 6 38 41 4 37 37 2 34 39 4 34 8 6 39 35 8 35 36 0 2 39 0 38 8 36 6 92 0 35 6 4 340 40 6 8 40 36 4 36 6 41 0 2 41 41 4 34 4 36 8 34 2 2 2 34 37 37 2 37 4 0 40 2 40 37 8 0 38 38 2 38 4 6 38 38 8 0 39 39 8 6 37 35 2 4 35 35 6 8 35 36 0 2 36 36 4 6 36 BALCONATA BALCONATA posti centrali posti laterali 26 2 4 26 2 22 27 34 4 6 34 34 8 0 35 3 334 335 332 337 330 338 328 336 326 334 324 332 322 330 320 328 318 326 316 324 314 322 312 320 310 318 308 316 306 314 312 310 308 306 9 430 431 428 433 426 434 424 432 422 430 420 428 418 426 416 424 422 420 418 416 25 8 6 21 21 8 22 0 17 8 4 22 22 6 9 300 301 298 303 296 304 294 302 292 300 290 298 288 296 286 294 284 292 282 290 280 288 278 286 276 284 282 280 278 276 PARI 2 21 4 21 2 17 25 8 4 0 17 6 26 17 18 26 8 27 0 27 2 1 252 253 250 255 248 256 246 254 244 252 242 250 240 248 238 246 236 244 234 242 232 240 230 238 228 236 234 232 230 228 PARI 0 16 8 16 17 0 12 0 13 13 4 26 2 4 0 26 6 12 0 12 8 21 2 21 4 2 21 13 6 6 26 4 22 22 6 6 86 88 90 6 21 94 21 8 0 13 22 2 22 0 18 204 202 207 200 208 198 206 196 204 194 202 192 200 190 198 188 196 186 194 184 192 182 190 188 186 184 182 3 205 84 16 4 6 16 50 8 16 0 17 92 2 17 4 17 6 17 8 17 158 156 161 154 162 152 160 150 158 148 156 146 154 144 152 142 150 140 148 138 146 144 142 140 138 7 159 78 44 0 12 4 12 14 6 12 8 12 54 0 52 16 13 13 48 12 2 46 10 82 12 84 86 13 4 13 96 6 3 114 115 112 117 110 118 108 116 106 114 104 112 102 110 100 1089810696104 102 100 98 80 8 80 44 48 92 56 94 58 2 60 42 78 42 62 88 7273 7075 68 7666 7464 7262 7060 6858 6656 64 18 90 20 6 40 4 38 2 40 4 6 8 46 10 12 50 14 22 52 16 24 54 3233 3035 28 3626 3424 3222 3020 2818 26 violini Tamás Major Spalla Walter Zagato Sostituto spalla Andreas Laake 1a parte Hans Liviabella 1a parte Barbara CiannameaMonté Rizzi Sostituto 1a parte viole Violoncelli Robert Kowalski Spalla Matthias Müller Sostituto 1a parte Andriy Burko Taisuke Yamashita 1a parte oboi Aurélie Adolphe Bruno Grossi 1a parte Alfred Rutz 1a parte Johann Sebastian Paetsch 1a parte clarinetti Ivan Vukevi´ c 1a parte flauti Monica Benda 1a parte Marco Schiavon 1a parte Federico Cicoria 1a parte Paolo Beltramini 1a parte Corrado Giuffredi 1a parte Fabio Arnaboldi Chun he Gao Denis monighetti Piotr Nikiforoff Katie Vitalie Duilio Galfetti Irina RoukavitsinaBellisario Cristina TavazziSavoldo CORNI Vincent Godel 1a parte Alberto Biano 1a parte Zora Slokar 1a parte Georges Alvarez 1a parte Anton Uhle Enrico Fagone 1a parte TIMpANI Ermanno Ferrari 1a parte TROMBE Beat helfenberger FAGOTTI Felix Vogelsang Sostituto 1a parte 17 CONTRABBASSI maria Cristina AndraeFerrarini Louis Sauvêtre 1a parte Sébastien Galley 1a parte milko Raspanti 1a parte ORCHESTRA DELLA SVIZZERA ITALIANA L’OSI collabora con i grandi nomi del panorama direttoriale e con i più celebri solisti; si esibisce nella Svizzera italiana e nei maggiori centri nazionali ed internazionali. Finanziata principalmente dal Cantone Ticino, dalla Radiotelevisione svizzera e dalla Città di Lugano, l'Orchestra della Svizzera italiana è una delle 13 formazioni a livello professionale attive in Svizzera. Composta da 41 musicisti stabili, dà vita annualmente alle due stagioni musicali della RSI-Rete Due (Concerti d'autunno al Palazzo dei Congressi di Lugano e Concerti dell’Auditorio RSI) e partecipa regolarmente alle Settimane Musicali di Ascona, a Lugano Festival e al Progetto Martha Argerich. Consolida il suo forte legame con la regione con un'ampia serie di concerti rivolti alla popolazione: concerti estivi, concerti per famiglie, concerti per le scuole e collaborazioni con il Conservatorio della Svizzera italiana. Dal 2010 si è esibita al Parco della Musica di Roma sotto la direzione di Lorin Maazel, al Teatro alla Scala di Milano con Salvatore Accardo, in tournée per tutta la Svizzera con Vadim Repin e nei maggiori Teatri del Brasile diretta da John Neschling. L’Orchestra ha festeggiato il bicentenario verdiano dando “carta bianca” ad uno dei maggiori esponenti della grande tradizione operistica, Nello Santi, che l’ha diretta in tre concerti. Nel 2012-2013 è stata inoltre invitata in Svizzera al Théâtre Équilibre di Friborgo, alla Tonhalle di Zurigo, alla Musiksaal dello Stadt-Casino di Basilea e al Festival di Zermatt; in Italia a Milano Musica nella Sala Verdi del Conservatorio, al Teatro Fraschini di Pavia e al Teatro Ponchielli di Cremona; in Germania nella Franziskaner Konzerthaus di Villingen-Schwenningen. Numerose le registrazioni in studio finalizzate all’emissione radiofonica e le produzioni discografiche con importanti etichette quali Chandos, Hyperion, EMI e Deutsche Grammophon. Per quest’ultima è da segnalare il pregiato cofanetto pubblicato nel 2012 con quattro cd dedicati ai primi dieci anni di concerti dell’OSI nell’ambito del Progetto Martha Argerich. Già attiva come Radiorchestra agli inizi degli anni ’30 a Lugano sotto la direzione di Leopoldo Casella, dal 1935 diventa l’Orchestra di Radio Monte Ceneri, contribuendo in maniera determinante allo sviluppo musicale del territorio. Ha dato avvio ad importanti Festival a Lugano, Locarno e Ascona fin dagli anni ‘40, ed è stata diretta da grandi personalità musicali quali Ansermet, Stravinskij, Stokowski, Celibidache, Scherchen. Ha collaborato con innumerevoli compositori quali Mascagni, R. Strauss, Honegger, Milhaud, Martin, Hindemith e, in tempi più vicini, Berio, Henze e penderecki. Direttore stabile tra il 1938 ed il 1968 è stato Otmar Nussio, di origini grigionesi, che ha dato grande sviluppo all’attività concertistica, aprendola a collaborazioni internazionali. Con Marc Andreae, direttore stabile dal 1969 al 1991, la Radiorchestra ha consolidato il proprio ruolo, ampliando la programmazione musicale e promuovendo prime esecuzioni dei maggiori compositori viventi. Nel 1991 l’Orchestra prende il nome attuale e inizia a mettersi in luce a livello internazionale, esibendosi nelle più prestigiose sale di città come Vienna, Amsterdam, San pietroburgo, parigi, Milano e Salisburgo. Nel 1999 avvia un’intensa collaborazione con Alain Lombard, che dapprima ricopre il ruolo di direttore principale e nel 2005 è nominato direttore onorario. Dal 2008 al 2010 si avvale anche della prestigiosa collaborazione di Mikhail pletnev in qualità di primo direttore ospite. A partire da settembre 2013, l’Orchestra della Svizzera italiana ha iniziato una stretta collaborazione con Vladimir Ashkenazy, artista di grande ispirazione, direttore e pianista, che seguirà l’orchestra per le prossime quattro stagioni nel ruolo di direttore ospite principale. DIRETTORI TITOLARI Vladimir Ashkenazy da settembre 2013 direttore ospite principale Alain Lombard dal 2005 direttore onorario, 1999–2005 direttore principale mikhail Pletnev 2008–2010 primo direttore ospite Serge Baudo 1997–2000 primo direttore ospite Nicholas Carthy 1993–1996 direttore stabile marc Andreae 1969–1991 direttore stabile Otmar Nussio 1938–1968 direttore stabile Leopoldo Casella 1935–1938 direttore stabile 19 LA STORIA STRUmENTI, STRUmENTINI E STRUmENTUCCI MARCELLO SORCE KELLER A fiddler on the roof, A most unlikely sight. It might not mean a thing, But then again it might. (Sheldon Harnick, Fiddler on the Roof, 1964) Strumenti, gerarchie, classificazioni In una memorabile pagina de Il giorno della civetta, Leonardo Sciascia mette in bocca ad un capomafia queste parole: “quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto/ parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora più in giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre…1 Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo…”.2 Questa è una classificazione pittoresca e basata, evidentemente, su giudizi di valore specifici alla cultura di Don Mariano. Non ha dunque validità universale (Flaubert, p. es., in Madame Bovary descrive un ambiente in cui i riveriti notabili della città di Yonville sono appunto, al massimo mezzi-uomini, più spesso ominicchi, se non assai peggio). Qualcosa di simile si può dire – mutatis mutandis – delle classificazioni su cui le diverse culture del pianeta costruiscono uso e prestigio dei propri strumenti musicali. 1 Leonardo Sciascia, appare ignaro di quanto gli etologi hanno rivelato sul’intelligenza delle anatre. E certo nemmeno ebbe la fortuna di poter leggere il breve intervento del sottoscritto, Un’anatra ad Ascona, pubblicato nel sito della RSI: http://retedue.rsi.ch/note/welcome.cfm? idg=0&ids=3533&idc=28573 2 Il giorno della civetta. Torino: Einaudi, 1966, p. 101. 21 La complessità non è intrinseca alla musica stessa, ma nasce dalla relazione tra il raffinato intento nel musicista, la realizzazione dello stesso e la capacità dell’ascoltatore di cogliere il tutto… La calcolata e deliberata alterazione di intonazione, durata, ritmo, qualità timbrica, attacco o rilascio del suono secondo costrizioni culturali specifiche, può rendere una singola linea melodica altrettanto impegnativa di un intero passaggio Beethoveniano. Un giapponese col suo flauto shakuachi o un mongolo che produca il canto degli armonici costituiscono esempi impressionanti di tale complessità. (Judith Becker, Musical Quarterly, 1986) Ognuna di esse li gerarchizza, in base a criteri di valore niente affatto universali, ma certo significativi al suo interno. Una nota studiosa, Margaret Kartomi, ben spiegò in un libro ormai classico, come la classificazione degli strumenti di ogni cultura addirittura riflette aspetti importanti della sua generale visione del mondo.3 Ecco dunque come la Cina imperiale suddividesse i propri strumenti in otto gruppi, secondo i materiali di costruzione, riflettendo in essi l’importanza e il valore attribuito alle diverse forme di materia. La cultura araba, invece, prescinde dal materiale e li classifica secondo un criterio di accettabilità che rispecchia il modo in cui repertori differenti, caratterizzati dall’uso di questo o quello strumento, siano consoni ai diversi ambiti del sociale. E non è questo un caso isolato, che strumenti e gerarchia di repertori e generi siano collegati.4 Il mondo occidentale, da questo punto di vista, non è differente. In Occidente, dove a partire dalla rivoluzione industriale il progresso tecnologico divenne un valore di riferimento5, la classificazione più usata (non la più interessante o poetica) evidenzia come materiali e tecniche consentano di produrre questo o quel tipo di suono. Si tratta della classificazione proposta da Curt Sachs con Erich M. von Hornbostel.6 Partendo da una quadripartizione in Aerofoni, Idiofoni, Membranofoni e Cordofoni e (a cui successivamente aggiunsero gli Elettrofoni), i due studiosi fanno emergere nelle ramificazioni del loro sistema una gerarchia evolutiva in cui gli strumenti semplici occupano un rango inferiore a quelli di maggiore contenuto tecnologico. Fattori storici e sociali assai rilevanti intervengono poi a rendere più sfumata, la percezione di questo continuum. Così gli strumenti si collegano ai generi (centrali o periferici nel nostro sistema di valori), in un gioco di negoziazioni in cui si intrecciano esigenze pratiche, simboliche, affermazioni di identità e forme di esclusione reciproca tra chi reclama uno status culturale superiore ad altri, e chi invece vanta la propria marginalità.7 In altre parole: gli strumenti non esistono solo in funzione di esigenze puramente musicali, ma anche per i ruoli simbolici che la società desidera assegnargli, leggibili attraverso la loro presenza o assenza nella geografia dei generi.8 In Occidente, l’ambito in cui questo complesso gioco appare più visibile è – l’orchestra. On Concepts and Classifications of Musical Instruments. Chicago: University of Chicago Press, 1990. Per generi, o macro-generi, possiamo intendere i grandi settori dell’esperienza musicale, come li indica la rastrelliera del negozio di dischi: classico, jazz, folk, rock, world music. Al loro interno esistono poi altri “generi”, o sotto-categorie quali, in epoca romantica, Lied, opera, Sinfonia; o nel rock contemporaneo Heavy Metal, Progressive, Punk, West Coast, Grunge, Ambient, ecc. 5 Cfr. Valerio Castronovo, La rivoluzione industriale. Firenze: Sansoni, 1973, pp. 23-28. 6 Handbuch der Musikinstrumentenkunde. Leipzig: Druck und Verlag von Breitkopf & Härtel, (1919)1930. Questa non è evidentemente l‘unica classificazione possibile. André Schaeffner (Origine des instruments de musique, 1936) e Pierre Schaeffer (Traité des objects musicaux, 1966) ne proposero di differenti, e altri sistemi ancora sono possibili. 7 La tradizione occidentale conta strumenti che di uso generale (p. es. pianoforte, violino), e altri che vivono solo in ambiti limitati (p. es. sax, mandolino, ecc.); altri ancora accedono a generi diversi dopo aver subito una ristrutturazione, come nel caso della chitarra (flamenco, classico, jazz, rock). 8 M. Sorce Keller, Economia, società e modi del far musica nelle culture tradizionali, in Jean-Jacques Nattiez (a cura di) Enciclopedia della Musica, Vol. III, Torino, Einaudi, 2003, pp. 505-538. 3 4 L’orchestra “secondo mumford” L’orchestra sinfonica occidentale è un fenomeno pressoché unico. poche culture al mondo sentirono mai la necessità di produrre grosse quantità di suono, mettendo insieme decine di strumenti. Il complesso Gagaku in Giappone9 e il Gamelan in Indonesia (Giava e Bali in particolare)10 un po’ si avvicinano alla nostra idea di orchestra, ma si basano su principi estetici e compositivi fondamentalmente differenti.1 1 L’orchestra comprende dunque strumenti nobili (gli archi, p. es., largamente praticati nell’Ottocento da nobiltà e borghesia) e strumenti di rango inferiore. I fiati non sono stati mai i più prestigiosi. Tradizionalmente erano coltivati in ambienti rurali e tra le fasce sociali urbane meno abbienti. Si pensi agli Stadtmusikanten, di cui la fiaba dei Grimm tematizza l’origine plebea (Die Bremer Stadtmusikanten); si pensi alle bande di paese da cui proveniva, e ancora proviene in parte un buon numero di strumentisti che appro9 Col nome Gagaku si indica la musica tradizionale giapponese di corte. In questo genere ciascun musicista esegue la propria parte mentre ascolta con attenzione gli interventi degli altri membri del gruppo; perché spesso un intervento melodico o ritmico funziona da segnale per attivarne altri, ed è raro che esecutori diversi producano esattamente la stessa nota. Anche se esiste una notazione, col Gagaku ci si appoggia preferibilmente ad una tradizione orale. 10 Gamelan è un termine generico, in Indonesia, per indicare un insieme di metallofoni, in particolare i grandi ensembles (originariamente di corte) di Giava e a Bali. 11 A differenza dell’orchestra occidentale, il Gamelan è organico e omogeneo, costituito fondamentalmente da metallofoni di diversa grandezza, ai quali si applicano le stesse tecniche esecutive. Quelli di registro acuto eseguono parti più impegnative e perciò il musicista si cimenta inizialmente con quelli di registro grave, e poi progredisce verso quelli che richiedono maggiore abilità. 12 13 Il tema è più ampiamente sviuppato in: M. Sorce Keller, L’orchestra come metafora: riflessioni (anche un po’ divaganti) a partire da Gino Bartali. Musica/Realtà, luglio 2010, no. 92, pp. 67-88. Lewis Mumford, Art and Technics. New York: Columbia University press, 1952. 23 Il carattere metaforico e iconico dell’orchestra, come venne a configurarsi tra fine del XVIII e inizio del XIX secolo, è stato sovente oggetto di commento (Max Weber, Elias Canetti, John Mueller, paul Bekker, ecc.) – in particolare da parte del filosofo e urbanista Lewis Mumford (1895-1990).12 Le sue riflessioni ci aiutano a vedere, ciò che forse preferiremmo ignorare; che, come nella fiaba Gli abiti nuovi dell’imperatore di Hans Christian Andersen, “il re è nudo”, ma si preferisce non dirlo. In altri termini e fuor di similitudine: il modo di far musica a cui la nostra società attribuisce maggiore prestigio è quello che di essa meglio riflette l’organizzazione del lavoro e del potere. Lo sappiamo tutti in realtà, ma non ci piace ammetterlo. Lewis Mumford descrisse infatti l’orchestra come una sorta di “officina per produrre di musica”, articolata secondo una rigida gerarchia: direttore, primo violino, secondo violino, secondo primo violino, gli altri primi e secondi violini, ecc., fino ad arrivare alle percussioni. Ecco dunque, una meravigliosa metafora dell’organizzazione socio-economica dell’Occidente, come si venne a configurare dopo la rivoluzione industriale – epoca in cui l’orchestra si stabilizzò nella forma che oggi conosciamo.13 dano alle orchestre sinfoniche. Ci sono poi strumenti considerati più o meno utili o versatili, in base alle loro possibilità tecniche. Altri, come il pianoforte o la chitarra, sono a volte indicati come “completi”, in virtù delle loro capacità di produrre melodia e (quello che in Occidente si dice) accompagnamento.14 Però anche la questione delle possibilità tecniche nasconde scelte estetiche fondamentalmente arbitrarie: se il nostro concetto di musica non prevedesse l’utilità di produrre cascate di suono ma, invece, note isolate, finemente cesellate e cariche di colore timbrico che ne determina il senso, allora il didjeridu australiano apparirebbe tecnicamente più capace del pianoforte o del violino.15 Sia come sia, l’orchestra non comprende, salvo rare eccezioni – come in alcuni brani presenti in questa Stagione 2014 dei Concerti dell’Auditorio – strumenti poveri, legati ad ambiti marginali o remoti. Insomma: niente ocarine, armoniche a bocca, ukulele, scacciapiensieri, cymbalom, nyckelharpa, zampogne, autoharps o launeddas. C’è da aggiungere che gli strumenti incorporati nell’orchestra sono quelli capaci di un attacco morbido, in cui la componente rumoristica del suono è ridotta al minimo.16 Anche questa è una preferenza culturale non sempre e ovunque condivisa. Io stesso da giovane ai concerti mi mettevo spesso in prima fila, quasi sotto il palco, per captare lo sfrigolio degli archetti, una frazione di secondo prima che arrivi il suono vero e proprio: un attimo fuggente che, su di me, esercita grande fascino. Oggi come oggi le differenze di rango tra strumenti sono percepite meno crudamente. Così come nessuno si dichiara più razzista, nessuno se la sentirebbe di affermare apertamente che sia più dignitoso suonare il violino del trombone. È però tuttora probabile che un padre, di fronte alla figlia innamorata di un pianista (anche mediocre), sia più lieto di quello la cui figlia desidera sposare un mirabolante virtuoso di, p. es., basso elettrico. Quest’ultimo può ben guadagnare più del primo, ma ragioni di riconoscimento sociale e gerarchia tra i generi musicali accessibili ai diversi strumenti, inducono i genitori a preferire il primo. Chiunque guardi con attenzione il film Prova d’orchestra di Federico Fellini, si renderà conto che esiste una gerarchia tra strumenti, una che genera conseguenze pratiche non banali, direttamente influenti sulle scelte compositive, la natura del repertorio, perfino il compenso ricevuto dagli strumentisti. “Gli arnesi della musica” dunque – li chiamava così Leonardo Pinzauti in un libro di tanti anni fa, non sono mai equivalenti.17 Se preferiamo l’uno all’altro (nel gusto di ascolto e nei repertori ad essi collegati) non è mai a causa di “ghiribizzi” e “palinfraschi”, come Rober14 Le culture orientali e africane non svilupparono mai l’idea che una melodia dovesse essere “accompagnata” da un sostrato di accordi che ne determinino il senso, o almeno lo esplicitino. Nel loro caso non ha quindi senso parlare di strumenti “completi”. 15 In un aneddoto attribuito a Franz Boas, gli Inuit che per primi poterono ascoltare musica sinfonica, su di un grammofono, osservarono che non è la quantità delle note prodotte a determinare la qualità della musica… 16 A partire dal XVII secolo il rumore (a componente non razionalizzabile del suono) progressivamente venne escluso dal concetto di “musica”. 17 Leonardo Pinzauti, Gli arnesi della musica. Vallecchi: Firenze, 1965. to Ridolfi toscanamente avrebbe detto. Le preferenze hanno radici nel tessuto sociale. Non è quindi fortuito che la grande famiglia Abbado abbia prodotto un violinista, un direttore d’orchestra e un pianista, invece che un suonatore di percussioni, di fagotto o fisarmonica. Non è casuale che una donna raramente scelga il trombone, il contrabbasso o l’Alphorn; e nonostante alcune famose eccezioni che eccezioni rimangono (Harpo Marx, Nicanor Zabaleta e Andreas Vollenweider), l’arpa continua ad essere uno strumento principalmente femminile. Pedaggi Detto tutto ciò, sfiorando temerariamente a volo d’uccello questioni a cui fa capo un’ampia letteratura, presento adesso una riflessione a cui raramente si lascia spazio: il pedaggio da pagare che ogni scelta strumentale comporta. A volte è crudamente economico, a volte si misura in guadagno o perdita di prestigio, notorietà, possibilità di far circolare la propria musica in ambienti differenti, e via dicendo. Non c’è dubbio che un compositore ha maggiore possibilità di essere eseguito se scrive per un organico standard, che non preveda il costo aggiuntivo di strumentisti esterni, magari anche difficili da reperire. Ecco perché quando Vivaldi, Händel, paisiello, Mozart, Beethoven, Hummel, Mahler, Schoenberg, Respighi, Stravinskij, e Webern occasionalmente impiegarono il mandolino, il fatto rimane un’eccezione e una curiosità. La scelta degli strumenti determina anche in buona misura il grado di prestigio a cui il compositore può aspirare. Scrivere un brano bandistico o per orchestra di mandolini, comporta in partenza la rinuncia ad essere apprezzati nel mondo della “cultura alta”, quella in cui compositori da tempo decomposti sono preservati dal freddo delle nevi eterne. In altre parole, nessun autore è mai riuscito ad essere considerato “grande” scrivendo per la banda o per contrabbasso. Nessuno capolavoro “immortale” pare sia mai stato scritto per fagotto, cimbasso o chitarra e mandolino. I grandi autori del passato, avevano buon senso e praticavano soprattutto forme, generi e organici prestigiosi. Un altro pedaggio si paga nell’usare strumenti che offrono possibilità limitate, costrizioni su ciò che consentono di fare, rispetto a quello che la tradizione ritiene sia importante 18 Erich Stockmann (a cura di), Studia Instrumentorum Musicae popularis. Stockholm: Musikhistori- 19 Linda Germi, Sugli strumenti musicali popolari in Italia, Nuova Rivista Musicale Italiana, Vol. XI 20 Cesare Caravaglios, Il folklore musicale in Italia. Napoli: Rispoli, 1936. ska Museet, 1969 (1977), n. 1, pp. 58-74. 25 Da non dimenticare infine, gli strumenti detti “popolari”, contrassegnati da questo termine carico di connotazioni romantico-marxiane che gli studiosi oramai sempre più evitano. Che la “popolarità” nasca da una pregiudiziale sociale e non artigianale lo dimostra il fatto che in ambito “popolare” si utilizzino anche strumenti fabbricati industrialmente. C’è poi la distinzione tra i “popolari” primari e secondari (utilizzabili in altri generi),18 e c’è la differenza tra “autoctoni” e “acquisiti”,19 e quella tra “lavorati da chi li suona” oppure “non lavorati da chi li suona”.20 fare. È un bel cimento per la creatività del compositore, scontrarsi con i limiti naturali dello strumento; è un aguzzar d’ingegno, a volte più stimolante che non lavorare su strumenti dalle possibilità molto vaste. Anche quelli che fanno uso di tecnologie complesse (pianoforte, fisarmonica, il computer) delimitano sempre in qualche modo il campo del possibile. Canalizzano dunque in una direzione e non in altre la fantasia del musicista. La scelta dello strumento è quindi sempre cruciale in rapporto a ciò che si desidera produrre, ben al di là dell’ovvia scelta del colore timbrico. Può sfuggire ai non addetti ai lavori che il compositore si trova frequentemente a scrivere per strumenti che lui stesso non si sa suonare. Ecco un’altra scelta che comporta un pedaggio. Quando in epoca rinascimentale si usava la notazione a “intavolatura” (per organo e liuto) era necessario saper suonare quegli strumenti. Le intavolature erano specifiche allo strumento stesso, e richiedevano di indicare esattamente quale tasto o quale corda, nota dopo nota, occorreva azionare. Successivamente, l’affermarsi totale della notazione su pentagramma consentì di pensare la musica astraendo (in linea di principio) dalla sua destinazione strumentale.21 Questo comporta, come sempre, vantaggi e svantaggi. Quando il compositore utilizza strumenti frequentemente in uso, anche se non li sa suonare, ha se non altro accumulato con l’esperienza un vasto bagaglio di conoscenza su cosa questi sappiano fare, con maggiore o minore facilità. In caso di dubbio, aiutano i manuali di strumentazione. Ma se si vuole spingere lo strumento al limite, allora occorre ricorrere a un consulente – lo fece Brahms, che si rivolse al violinista Joseph Joachim, per realizzare il suo concerto per violino.22 Il problema è ancor maggiore quando si sceglie uno strumento che società e storia hanno relegato ai margini. Quasi sempre il compositore non lo sa suonare, ne ha un’esperienza indiretta limitata, i trattati di strumentazione non ne parlano; diventa indispensabile il consulente – se si riesce a trovarlo. È difficile così scrivere qualcosa che vada al di là degli stereotipi più banali (si pensi agli interventi dello scacciapensieri nei films di ambientazione siculo-mafiosa). Mi pare questo il caso anche dei concerti per mandola e scacciapensieri di Johann Georg Albrechtsberger (1736-1809): una simpatica curiosità, che non rende però l’idea di ciò che lo scacciapensieri possa realmente fare in mani provette. Diverso ancora è il caso del virtuoso che si dedica ad uno strumento marginale, che scriva per questo, inserendolo in generi prestigiosi come il concerto, la sinfonia, allo scopo di promuoverlo. Ci hanno provato in molti: Domenico Dragonetti e Giovanni Bottesini 21 Beethoven prendeva appunti musicali nei suoi quadernetti, raccogliendo idee che successivamente avrebbero trovato lo strumento su cui essere espresse. 22 Scrivere con competenza per orchestra, dato che è impossibile sapere suonare tutti gli strumenti che la compongono, è assai difficile, tanto che anche i più grandi maestri spesso commisero errori marchiani. Una curiosa congiura del silenzio ha fatto sì che di ciò poco o nulla si scriva. Ma i direttori d’orchestra ne sanno parecchio al riguardo, e gli strumentisti sempre si accorgono quando il compositore affida loro passaggi inutilmente faticosi – gli arpisti conoscono bene i problematici passaggi scritti da Richard Wagner per il loro strumento . (contrabbasso), Géza Allaga (cymbalom), Anton Karas (Zither), Gheorghe Zamfir (flauto di pan), Walter Beltrami (fisarmonica). In nessuno di questi casi la promozione produsse grandi risultati. Evidentemente, non è facile per un singolo artista intervenire sul prestigio e ruolo di cui uno strumento gode, perché questo si sedimenta su tempi lunghi e la società offre resistenza a cambiarlo dall’oggi al domani. Sarebbe come chiedere a Don Mariano di promuovere ad un rango superiore gli “ominicchi”solo perché qualcuno di loro veste con eleganza. Simile difficoltà incontrano anche gli strumenti inventati in epoca storicamente recente: fisarmonica, armonica a bocca, celesta, autoharp, sassofono, bandoneón. Diversi per quanto siano tra loro, hanno questo in comune: i generi che li accolgono sono ristretti, mentre quelli che li escludono sono numerosi. Distanza Un piccolo discorso a parte meritano i due complessi extraeuropei inclusi nella Stagione: il Burhan Öcal-Istanbul Oriental Ensemble e l’Ensemble Khaled Arman. Ci presentano strumenti inusuali, per noi, che però svolgono un ruolo centrale nella tradizione della Anatolia e dell’Afghanistan. Sono quindi, nel loro contesto abituale assolutamente consueti. A parte l’aspetto, il loro suono non è tale da creare grosse soprese all’orecchio europeo. Lo stesso non si può dire della musica che producono e della grammatica, cioè della logica, su cui si basa. Il primo dei due gruppi è quello che offre meno difficoltà di approccio. Si tratta di un ensemble guidato da un musicista turco cosmopolita, un artista ad ampio spettro, capace di praticare generi differenti. Anche quando propone musica basata sulla grammatica del makam (troppo complessa per spiegarla qui in poche righe) è abituato a proporla in forma e dosi che il pubblico occidentale riesce ad accettare. In altre parole, Burhan Öcal mitiga quella distanza culturale tra musicista e ascoltatore che inevitabilmente causa una traslazione di senso e può condurre al fraintendimento completo. È evidente che quando musicista e ascoltatore hanno un vissuto comune, un apparato percettivo formatosi su esperienze simili, la probabilità è buona che ci sia un’intesa. Quando invece la distanza culturale è grande, il fatto stesso che l’ascoltatore collochi la musica aliena in un vissuto a lei estraneo, garantisce l’incomprensione. Gli etnomusicologi, anche se nessuno li ascolta, lo dicono da più di 150 anni: la musica non è un linguaggio universale! Questa è probabilmente la difficoltà che il pubblico incontrerà nell’ascoltare l’Ensemble Khaled Arman che propone un repertorio integralmente Afgano. La musica dell’Afghanistan è lontanamente imparentata a quelle del Medio Oriente, ma fortemente influenzata dalla tradizione persiana, basata sul sistema teorico-grammaticale delle dastgâh, e da quello indiano dei raga (ancora più difficili da spiegare brevemente – se possibile – del makam o maqam di Turchia e paesi Arabi). 27 Di tutto ciò vorrei fosse consapevole il pubblico che ascolterà in questa stagione il pianopédalier, l’armonica a bocca, ocarine, sassofoni, flauto dolce, mandolino e flauti di pan. Le questioni che il loro uso solleva sono fondamentali e meritano più del semplice sorriso divertito di chi li osserva come oggetti di un cabinet de curiosités. Non ci si aspetti di comprendere la logica della musica afgana. Cade a proposito la famosa dichiarazione di Richard P. Feynman, quando disse: “se qualcuno afferma di comprendere la meccanica quantistica – vuol dire che non la comprende affatto”. Aggiungo io: qualunque occidentale pensi di poter comprendere i sistemi maqam, dastgâh o raga, senza studiarli, davvero si fa delle illusioni. Ma ciò non vuol dire che non valga la pena di mettere al cimento – e allo sbaraglio – la nostra intelligenza musicale. Sarà interessante per noi pubblico, verificare come anche in una musica tanto lontana dal nostro mondo, i tratti fondamentali della gestualità melodica, dell’intensificarsi del discorso, del raggiungimento di un punto saliente – della retorica, dunque – sono riconoscibili. È un po’ come dire che, pur se non conosciamo il mandarino o il cantonese, quando un cinese ci parla in modo eccitato e arrabbiato, comprendiamo se non altro che è arrabbiato. Al di là di questo, un assaggio di musica afgana, con l’avvertenza preliminare che in essa c’è molto di più di quanto la nostra intelligenza musicale sia in grado di intendere, può essere assai stimolante. Teniamo anche presente che la nostra abitudine di ascoltare Schumann, Bill Evans o Eminem, non solo in questo caso non aiuta, ma addirittura costituisce un handicap per comprendere le musiche dell’Asia. Partendo da questa consapevolezza, i più coraggiosi potranno trarre profitto dalla performance e forse saranno tentati di iniziare un viaggio musicale extraeuropeo che può condurre a scoperte straordinarie. Morale della favola Queste pagine, scritte espressamente per i Concerti dell’Auditorio, Stagione 2014, vorrebbero suggerire al pubblico che è divertente, certamente, ascoltare strumentini e strumentucci, e poi assaggiare musiche che vengono da molto lontano. Se vogliamo poi però considerare cosa queste pratiche testimoniano, come gli uomini a diverse latitudini usino il suono per simboleggiare, riflettere, rafforzare aspetti significativi del loro modo di considerare la vita e vedere il mondo, allora ci accorgiamo che dietro la superficie del suono si nascondono processi tanto complessi e affascinanti che solo una parola mi viene in mente per indicarli: quella coniata da John Milton in Paradise Lost – Pandemonium! 29 Suonavano coi piedi Londra, The Musical Times, 1. dicembre 187 1, Cronaca dei Concerti: “L’esecuzione privata su un Grand Pianoforte Pedallier Broadwood data dal signor Élie-Miriam Delaborde alle Hanover Square Rooms lo scorso 16 novembre ne ha verificate appieno le capacità ed ha ampiamente dimostrato ai molti artisti presenti come questo strumento dia prova del suo più alto valore qualora adoperato per l’interpretazione di composizioni originali scritte per il Cembalo con Pedale”. Élie-Miriam Delaborde sarebbe divenuto professore di pianoforte al Conservatorio di Parigi nel 1873 e dal 1870 si trovava a Londra dove, negli stessi anni si era trasferito anche Charles Gounod. Il programma di quella serata non è conosciuto ma è difficile immaginare che un tale evento fosse sfuggito all’attenzione di Gounod, appena divenuto direttore della Royal Choral Society. Trascorsero ancora quasi due decenni prima che il compositore francese completasse la Danse Roumaine (1888) ed il Concerto per piano-pédalier e orchestra in mi bemolle maggiore, la cui prima esecuzione avvenne a Parigi nel 1889. Solista e dedicataria del concerto era la virtuosa “pianista-pedalatrice” Lucie Palicot. Per quanto insolito possa apparire al giorno d’oggi, tra Settecento e Ottocento il piano-pédalier, erede del clavicordo a pedali, era conosciuto tra gli organisti quale strumento sostitutivo per lo studio quotidiano, nell’impossibilità di avere accesso ad un organo vero e proprio. Bach scrisse per il clavicordo a pedali, Mozart ne possedeva uno, Schumann vi riconobbe un interessante potenziale espressivo ma sarebbe stato smentito dalla storia. Non una bizzarria e neppure una stravaganza, quanto piuttosto uno strumento pedagogico mai assurto alla sua piena maturazione artistica. Gounod dedica a questo doppio pianoforte dotato di pedaliera ed alla sua virtuosa Lucie Palicot, un grande concerto romantico in quattro movimenti di impressionante difficoltà per il continuo gioco di mani e piedi, ai quali fa da pendant la Danza Rumena. Edvard Grieg, eccellente pianista e autore di un concerto per pianoforte e orchestra in la minore (1868), non compose per pianopédalier; si sarebbe invece interessato ai pianoforti meccanici Welte-Mignon, i primi capaci di riprodurre automaticamente brani appositamente incisi su speciali rulli di carta perforata. Dalle musiche di scena per il poema drammatico Peer Gynt (1867) di Henrik Ibsen, Grieg ricavò due suite, delle quali la prima, op. 46 ( Il mattino. La morte di Aase. Danza di Anitra. Nel palazzo del re della montagna), è certamente la più nota. La seconda, meno eseguita (Lamento di Ingrid. Danza araba. Peer Gynt hjemfart. Canzone di Solveig), ne condivide quel colore locale di matrice nordica che ha fatto del compositore il campione della cosiddetta scuola nazionale norvegese. Massimo Zicari Venerdì 10 gennaio ore 20.30 Auditorio RSI Lugano ORChESTRA DELLA SVIZZERA ITALIANA ANDREA BATTISTONI ChARLES GOUNOD 1 8 1 8–1 893 SOLISTA ROBERTO PROSSEDA pIANO-pÉDALIER Concerto per piano-pédalier e orchestra in mi bemolle maggiore (1889) 20’ Allegro moderato Scherzo Adagio ma non troppo Allegretto marziale Danse Roumaine per piano-pédalier e orchestra (1888) 5’ Moderato maestoso EDVARD GRIEG 1 843–1 907 Peer Gynt, suite n. 1 op. 46 (1888) 17’ Il mattino La morte di Aase Danza di Anitra Nel palazzo del re della montagna Peer Gynt, suite n. 2 op. 55 (1891) 18’ Lamento di Ingrid Danza araba peer Gynt hjemfart Canzone di Solveig 3 1 Concerti dell’Auditorio DIRETTORE ANDREA BATTISTONI 33 Nato a Verona nel 1987, è uno dei giovani direttori emergenti del panorama musicale internazionale. Consegue nel 2006 il diploma in violoncello. Nella direzione d’orchestra si perfeziona con Gabriele Ferro; frequenta le masterclasses di Alberto Zedda e Gianandrea Noseda. Dal marzo 2013 è primo direttore ospite del Teatro Carlo Felice di Genova. Dal 2010 al 2013 ricopre lo stesso incarico per il Teatro Regio di parma. In pochissime stagioni è stato ospite dei più prestigiosi teatri e festivals internazionali, dirigendo un repertorio molto eterogeneo: La Bohème, Il viaggio a Reims, Il matrimonio segreto, Attila, La Traviata, Nabucco, Macbeth e Falstaff. Notevole impressione hanno suscitato i suoi debutti con la Filarmonica della Scala, l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, la Tokyo philharmonic Orchestra, la Deutsche Oper Berlin, il Maggio Musicale Fiorentino e il Teatro alla Scala di Milano. ROBERTO PROSSEDA Nato a Latina nel 1975, ha guadagnato una notorietà internazionale in seguito alle sue incisioni Decca dedicate a musiche inedite di Felix Mendelssohn, tra cui quella del Concerto in mi minore con Riccardo Chailly e la Gewandhausorchester Leipzig. Nel 2013 ha completato l’integrale pianistica di Mendelssohn in 8 CD (Decca). Dal 201 1 suona in pubblico anche il piano-pédalier, avendo riscoperto e presentato in prima esecuzione moderna il Concerto di Charles Gounod per piano-pédalier e orchestra. Ha suonato come solista con la London philharmonic Orchestra, la Filarmonica della Scala, l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, la New Japan philharmonic, la Royal Liverpool philharmonic, la Filarmonica di Stato di Mosca, la Bruxelles philharmonic e ha tenuto concerti alla Wigmore Hall di Londra, alla philharmonie di Berlino, al Gewandhaus di Lipsia e al Teatro alla Scala di Milano. Dodici sue incisioni sono state incluse nei cofanetti piano Gold e Classic Gold della Deutsche Grammophon (2010). Attivo nella promozione della musica italiana del Novecento e contemporanea, ha inciso l’integrale pianistica di petrassi, Dallapiccola e Aldo Clementi. Musiche d’intrattenimento per orecchi fini o l’arte della piacevolezza Sigmund Haffner, signorotto viennese, ha un grande traguardo da festeggiare: è stato insignito del titolo nobiliare di “von Imbachhausen”. La festa di nobilitazione dovrà essere bella e sfarzosa, con tanto di concerto – perché non chiedere all’amico di famiglia Wolfgang Amadeus Mozart? Magari può scrivere una serenata per intrattenere in modo garbato i nobili invitati. Magari con trombe e timpani, per rendere il tutto ancora più brillante. Mozart scrive in pochissimo tempo un’opera perfettamente adatta all’occasione: euforica, scintillante, piena di energia e buonumore. Qualche mese dopo, avendo bisogno urgente di una sinfonia, ricupererà la Serenata e con poche modifiche ne farà la Sinfonia Haffner, che ne mantiene lo spirito originale di nobile intrattenimento festoso. Circa 150 anni dopo, Robert e Mildred Woods Bliss, ricca coppia americana di diplomatici, collezionisti d’arte e fondatori di un museo nella loro residenza di Dumbarton Oaks, per festeggiare in modo speciale i trent’anni del loro matrimonio, pensano di offrire ai loro amici una prima esecuzione di Stravinskij. Il Concerto Dumbarton Oaks, ispirato ai Concerti Brandeburghesi di Bach, conquista tutti con la sua raffinatezza e la cura dei piccoli dettagli, e nello stesso tempo per la piacevolezza della sua musica, sofisticata ma leggera, a tratti romantica, a tratti umoristica. Un cocktail musicale perfetto per allietare un anniversario di matrimonio. Qualche anno più tardi Stravinskij dovrà inventarsi un altro cocktail, stavolta qualcosa di davvero forte, per un pubblico molto esigente, quello basilese. Paul Sacher, esperto di musica contemporanea e mecenate d’importanza mondiale, gli ha commissionato un concerto in occasione del ventesimo compleanno della “sua” Basler Kammerorchester. Così nasce il Concerto in re per archi, un’opera di altissimo livello e di difficile esecuzione, sapientemente costruita con mille sottili giochi melodici e ritmici, che non rimane però sterile nella sua tecnica impeccabile: è prima di tutto musica da palcoscenico, con una ritmica trascinante, una cantabilità semplice, un’allegria contagiosa che fa scaturire grandi applausi. Un regalo di compleanno ideale, quello di Stravinskij (beh, non è proprio regalato): esalta la bravura dell’orchestra permettendole pure di suonare qualcosa “che piace”. La stessa cosa fa Villa-Lobos nel 1955 quando il grande virtuoso di armonica a bocca classica John Sebastian gli commissiona un concerto solistico. Lo fa esattamente su misura per lui, naturalmente virtuosissimo, per la soddisfazione del solista, ma anche piacevole e ricco di belle melodie dal grande impatto emotivo, per la gioia del pubblico. Roberta Gandolfi Vellucci Venerdì 17 gennaio ore 20.30 Auditorio RSI Lugano IGOR STRAVINSKIJ 1 882–1 97 1 SVIZZERA ITALIANA DIRETTORE Concerto in re per orchestra d’archi (1946) 12’ Vivace Arioso. Andantino Rondo. Allegro PABLO GONZÁLEZ hEITOR VILLA-LOBOS SOLISTA 1 887–1 958 GIANLUCA LITTERA ARMONICA A BOCCA Concerto per armonica a bocca e orchestra (1956) 20’ Allegro moderato Andante Allegro IGOR STRAVINSKIJ 1 882–1 97 1 Dumbarton Oaks, concerto in mi bemolle per orchestra da camera (1938) 15’ Tempo giusto Allegretto Con moto WOLFGANG AmADEUS mOZART 1 756–1 79 1 Sinfonia n. 35 in re maggiore KV 385 haffner (1782) 22’ Allegro con spirito Andante Menuetto Finale. presto 35 Concerti dell’Auditorio ORChESTRA DELLA PABLO GONZÁLEZ 37 Il direttore spagnolo è stato nominato nel 2010 direttore musicale dell’Orchestra Sinfonica di Barcellona e Nazionale della Catalogna. Oltre ai suoi impegni a Barcellona, con registrazioni e tours internazionali, si esibisce come ospite in tutto il mondo. Attualmente è impegnato con la NHK Symphony Orchestra Tokyo, la Kyoto Symphony Orchestra, l’Orchestra Filarmonica dei paesi Bassi, la Royal Liverpool philharmonic, la Bournemouth Symphony Orchestra, la BBC National Orchestra of Wales, la SWR Sinfonieorchester Baden-Baden und Freiburg, l’Orchestra Filarmonica Nazionale di Varsavia, la Dallas Symphony Orchestra, l’Orchestra Filarmonica della Malesia e la Queensland Symphony Orchestra. Si esibisce inoltre con la Scottish Chamber Orchestra, il Musikkollegium Winterthur, la Tonkünstler-Orchester Niederösterreich, la Stuttgarter Kammerorchester e con le più importanti orchestre spagnole quali l’Orquesta Sinfónica de Castilla y León, l’Orquesta Ciudad de Granada e la Real Filharmonía de Galicia. Ha un rapporto costante con la Deutsche Radio philharmonie Saarbrücken Kaiserslautern, con cui ha inciso due cd. Attivo anche in campo operistico, nel 2013 ha fatto il suo debutto operistico in Gran Bretagna in tour con l’Elisir d’amore per il Glyndebourne Festival. GIANLUCA LITTERA Il musicista italiano consegue il diploma di viola col massimo dei voti e menzione. Nel 1985 scopre l’armonica cromatica e vi si dedica totalmente, sino a diventare oggi uno tra i pochissimi solisti al mondo a proporsi con questo strumento sia in ambito classico sia in ambito jazz. È regolarmente ospite d’importanti manifestazioni internazionali e d’istituzioni musicali quali: Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Orchestra dell’Arena di Verona, Orchestra Sinfonica Nazionale Lituana, Orchestra Sinfonica dello Stato di San paolo OSESp, l’Orchestra Sinfonica di Bilbao, l’Orquesta Filarmónica de Gran Canaria OFGX, l’Orquesta Sinfónica de Castilla y León, l’Orquesta Filarmónica de Acapulco in Messico, Orchestra della Svizzera italiana, Tonkünstler-Orchester Niederösterreich, Orchestra d’Archi del Cremlino, Orchestra Sinfonica Nazionale Estone. Collabora con la Kremerata Baltica di Gidon Kremer, con il quale si è esibito in Europa e al Festival di Lockenhaus in Austria (201 1) e in ambito jazzistico con Ute Lemper, Héctor Infanzón (tour europeo nel 2013), Eugenio Toussaint Trio, Ivan Lins e Furio di Castri. Ennio Morricone gli ha dedicato Immobile n. 2 per armonica e orchestra. Dirige e compone per la propria formazione cameristica Ensemble project con cui ha pubblicato nel 2007 il cd Sconcertango. Il concerto che il Gruppo Ocarinistico Budriese proporrà a Lugano per la RSI sarà un’anteprima dei concerti che il Gruppo effettuerà in Giappone nel febbraio 2014. Il concerto sarà diviso in tre parti. Nella prima verranno eseguiti arrangiamenti di brani classici ed operistici, nel solco di una tradizione musicale che affonda le sue radici nella storia tardo ottocentesca dei settimini di ocarine. La seconda parte del concerto vedrà come protagonista l’ocarina intesa come strumento solistico, accompagnata dal pianoforte, nell’esecuzione di brani celebri di musica classica e di colonne sonore. La terza parte vedrà di nuovo il settimino al completo sulla scena per proporre nuovi arrangiamenti realizzati per l’occasione di celebri canzoni napoletane e di musica contemporanea. Gran finale con la polca Il canto degli uccelli, cavallo di battaglia del Gruppo Ocarinistico Budriese fin dal 1873. Altre musiche: una nuova proposta arricchisce la stagione 2014 dei Concerti dell’Auditorio: allo Studio 2 RSI due incursioni in ambiti musicali ai confini tra musica colta e tradizioni popolari di varie culture del mondo. Altre musiche Lunedì 20 gennaio ore 20.30 Studio 2 RSI Lugano GRUPPO OCARINISTICO BUDRIESE SImONA VINCENZI OCARINA III EmILIANO BERNAGOZZI OCARINA IV mARCO VENTURUZZO OCARINA V GIANNI GROSSI OCARINA VI CLAUDIO CEDRONI OCARINA VII 39 Concerti dell’Auditorio FULVIO CARPANELLI OCARINA I FABIO GALLIANI OCARINA II GRUPPO OCARINISTICO BUDRIESE 41 Il Gruppo Ocarinistico Budriese continua una tradizione musicale più che centenaria, che ha legato indissolubilmente il nome di Budrio a quello dell’ocarina. L’ocarina (dal dialetto bolognese ucarina, ‘piccola oca’) nacque a Budrio, paese in provincia di Bologna, nel 1853 grazie all’estro di Giuseppe Donati. Costruite sette ocarine di dimensioni differenti, nel 1864 si formò il primo Gruppo Ocarinistico Budriese che, con il nome di I Celebri Montanari degli Appennini, si esibì per anni con successo nei maggiori teatri europei, proponendo nei suoi concerti brani originali e arrangiamenti di celebri arie tratte da opere liriche. Alla sonorità naïve e inconfondibile tipica di un insieme di ocarine si è aggiunta negli ultimi anni quella più classica di chitarre, flauti e mandolini. Ecco allora nuove ed inedite soluzioni timbriche, pur sempre legate all’atmosfera musicale del periodo d’oro dello strumento, la Belle Époque. Il GOB, che nella sua attuale formazione è il risultato di un’evoluzione più che decennale, ha raccolto l’eredità musicale dei complessi ocarinistici sorti nel tempo a Budrio, con particolare riferimento a quelli degli anni ’20 e ’30 diretti da Alfredo Barattoni. Al nucleo originale del gruppo, formatosi nella scuola d’ocarina di Budrio, si sono in seguito aggiunti musicisti di formazione classica. Attivo da molti anni, il GOB ha effettuato numerose incisioni discografiche e oltre 800 concerti in Italia e in tutto il mondo: dall’Australia al Giappone, dalle Americhe alla Corea del Sud. Fazil Say in residence 43 Dopo la prima edizione nel 2012, con il residence di Fazil Say si rinnova quest’anno un’iniziativa di successo: al pianista e compositore di origine turca, presente per più giorni consecutivi a Lugano, sarà offerta la possibilità di farsi conoscere dal nostro pubblico producendosi in alcuni dei più significativi ambiti musicali che caratterizzano il suo percorso di artista. Fazil Say è un musicista di grande personalità, che ha attirato a livello internazionale l’interesse di pubblico e critica. Sempre presente nel ruolo di compositore in ognuno dei programmi qui offerti, si esibirà in almeno quattro vesti diverse: martedì 21 gennaio come solista di récital, in un programma in bilico fra grandi classici del repertorio per pianoforte e brani noti di sua creazione; venerdì 24 gennaio come Maestro concertatore sul palco dell’Auditorio RSI, nel doppio ruolo di solista e direttore accanto all’Orchestra della Svizzera italiana. prima del concerto, alle 19.30, l’artista parteciperà ad un incontro con il pubblico nello Studio 2 della Radio, proposto anche in diretta radiofonica su Rete Due. Infine domenica 26 gennaio sarà il musicista da camera a mettersi generosamente in gioco con alcuni studenti della Scuola Universitaria di Musica del Conservatorio della Svizzera italiana, a testimonianza dell’attenzione che Say porta alle nuove generazioni. Il programma è innovativo e classico al contempo: una prima parte dedicata al panorama moderno della musica turca, con il Trio Space Jump di Say stesso e il Quintetto per pianoforte del giovane compositore Ulvi Cemal Erkin; una seconda parte di grande caratura, con lo splendido Quintetto per pianoforte La Trota di Schubert, a siglare il residence 2014 dei Concerti dell’Auditorio. FAZIL SAY Nato ad Ankara in Turchia nel 1970, da oltre venticinque anni è al centro dell’interesse di pubblico e critica per la sua maniera di esibirsi sempre diversa e del tutto personale, rara nell’odierno mondo della musica classica. Allievo di Mithat Fenmen, dal 1987 perfeziona la sua formazione di pianista con David Levine. Vincitore nel 1994 del Concorso Internazionale Young Concert Artists a New York, inizia una rapida carriera suonando con le più importanti orchestre americane ed europee, sotto la direzione di numerosi e prestigiosi direttori, facendo suo un repertorio che va da Bach alla musica contemporanea ed esibendosi in tutti i continenti. Conduce in parallelo un’intensa carriera nel campo della musica da camera. È invitato ai festivals di tutto il mondo e si esibisce nelle più famose sale concertistiche, tra cui il Konzerthaus di Dortmund e il Konzerthaus di Berlino. possiede un immenso talento d’improvvisatore e una visione estetica che lo distinguono come pianista e compositore. Ha composto tra l’altro per il Festival di Salisburgo, il WDR-Westdeutscher Rundfunk di Colonia, il Konzerthaus di Dortmund, per i Festivals di Schleswig-Holstein e di Mecklenburg-Vorpommern. La sua produzione comprende composizioni per pianoforte e musica da camera, così come concerti e opere più ampie per orchestra. Numerose le sue registrazioni, dal 2003 in esclusiva per Naïve. Uomini coraggiosi “Ho iniziato a suonare all’età di cinque anni e il mio primo professore, un allievo di Cortot, continuamente mi incoraggiava ad improvvisare. All’inizio della lezione mi chiedeva: ‘cos’hai visto oggi?’ e io rispondevo ‘delle automobili, sono stato a scuola, ho giocato’. ‘Va bene’ mi rispondeva ‘suonami allora tutto quello che hai vissuto oggi’. Così da subito ho imparato l’improvvisazione. E l’improvvisazione è il ponte diretto verso la composizione, verso il coraggio di comporre”. Con queste parole Fazil Say riassume molto sinteticamente il suo apprendistato, quel particolare percorso formativo che – a differenza della stragrande maggioranza dei suoi colleghi pianisti, e non solo dei suoi coetanei – lo ha condotto ad essere un musicista a tutto tondo: interprete raffinato ed audace, improvvisatore sanguigno e compositore dallo spirito contemporaneo, ideologicamente autocratico. C’è però un particolare curioso, nella sua annotazione. Quel riferimento al “coraggio di comporre”. In che senso chi inventa musica deve dirsi coraggioso o intrepido, più di chi interpreta e più di chi improvvisa? È difficile immaginare che Wolfgang Amadeus Mozart abbia mai dovuto dare prova di coraggio nell’affrontare lo scoglio della creatività. Del resto la sua vita fu un flusso musicale talmente spontaneo che – si dice – imparò prima a suonare che a parlare, e già all’età di cinque anni compose la prima opera: un Andante e Allegro per pianoforte. In una dinamica produttiva quasi da bottega la sua carriera vide poi sfornare innumerevoli capolavori in sequenza, tra i quali la Sonata in la maggiore KV 331 rimane – con il celebre Rondò alla turca – una delle vette più famose. Fu forse Beethoven, storicamente, il compositore che per primo subì – senza troppo celarlo – il mal di vivere di chi crea. Forse perché fu anche il primo musicista a conquistarsi la posizione di “artista indipendente”, e quindi soggetto più agli sbalzi dell’ispirazione soggettiva che non alle regolari richieste di un padrone. È perciò curioso notare come cent’anni dopo, ampiamente decaduta la posizione servile e subalterna del musicista, le migliori opere del giovane Stravinskij comunque dipesero dalle precise richieste – se non proprio degli ordini – dell’impresario Diaghilev: il creatore dei Ballets Russes parigini, senza il quale non avremmo avuto né Petruška, né L’uccello di fuoco, né La sagra della primavera. In Bernd Alois Zimmermann si condensò invece tutto l’immane problema novecentesco legato alla funzione sociale e culturale dell’artista-creatore. Legato alle correnti avanguardiste tedesche, Zimmermann ebbe una produttività a fasi alterne e un’esistenza fortemente condizionata da crisi depressive. È magari per quest’ultimo tipo di rischi che Fazil Say parla di coraggio? O il suo è forse stato semplicemente il coraggio di chi – cresciuto nella mitologia degli autori classici – ad un certo momento ha deciso di non essere più solo un esecutore ma anche un creatore? Zeno Gabaglio Fazil Say in residence Récital martedì 21 gennaio ore 20.30 Auditorio RSI Lugano LUDWIG VAN BEEThOVEN 1 770–1 827 FAZIL SAY pIANOFORTE Sonata quasi una fantasia n. 14 per pianoforte op. 27 Chiaro di luna (1801) 15’ Adagio sostenuto Allegretto presto agitato BERND ALOIS ZImmERmANN 1 9 1 8–1 970 8 pezzi da Enchiridion (1949) 15’ IGOR STRAVINSKIJ 1 882–1 97 1 Petruška trascrizione per pianoforte (1921) 15’ WOLFGANG AmADEUS mOZART 1 756–1 79 1 Sonata per pianoforte n. 1 1 in la maggiore KV 331 (1783) 23’ Andante grazioso Menuetto Alla turca. Allegretto FAZIL SAY 1 970 * 3 Ballades (2002) 10’ 3 Jazz-Fantasien 21’ 45 SOLISTA Turcherie e rovesci Il gusto per l’eccentrico, l’estetica dell’esotico, il sogno di un Oriente mitico. Sono questi gli aspetti di un inedito interesse che si diffuse nell’Europa occidentale – alla fine del XVII secolo e per tutto il XVIII – nei confronti di una popolazione e di un’intera cultura: quella dei turchi. Ad onor del vero non si trattò proprio solo di Turchia, perché la delimitazione geografico-culturale di questo dilagante interesse fu assai poco precisa: bastava avere un vestito di foggia araba o provenire da qualche zona del Medioriente per essere recepiti come turchi. Si fa addirittura risalire a Shakespeare e al suo Otello il primo importante segno di distensione – se non proprio di curiosità – verso quelle persone e quelle culture ritenute fino a poco prima i terribili “aguzzini di Gesù Cristo”. Si ebbe così, attorno al Seicento, una progressiva emancipazione dalla connotazione esclusivamente barbarica della Turchia, che però mantenne ben ferme le differenze degli usi e dei costumi. Ed anzi proprio le forme visibili di queste differenze cominciarono ad abbondare sui palcoscenici di inizio Barocco: grandi turbanti multicolori, abbondanti drappeggi e broccati sgargianti che poco avevano a che fare con la realtà concreta della vita in Anatolia. Un fascino, quello per le turcherie, che influenzò le ispirazioni dei maggiori musicisti dell’epoca barocca e di quella classica fino a lambire i confini del Romanticismo. Una delle manifestazioni più tarde di questo fenomeno fu infatti costituita da Il turco in Italia, l’opera buffa in due atti di Gioachino Rossini costruita attorno ad un’ambientazione napoletana e ad una vicenda di malizia e di scambio di amanti. Fu Mozart – in particolar modo con Die Entführung aus dem Serail e con il Così fan tutte – a fornire una diretta ispirazione a Rossini per Il turco in Italia. Forse perché proprio Mozart di turcherie se ne intendeva parecchio, e questo anche al di là delle ispirazioni tematiche delle opere, in generi meno assai “sospetti” come quello della musica strumentale. Il Concerto per pianoforte ed orchestra n. 12, in realtà, si inscrive però nella più classica e sobria produzione viennese dell’autore, all’interno della quale l’opera seppe raggiungere – secondo lo stesso Mozart – “il giusto mezzo tra il troppo difficile e il troppo facile; molto brillante e piacevole all’orecchio senza tuttavia cadere nella banalità. Per ottenere il successo bisogna scrivere delle cose così comprensibili che un cocchiere potrebbe cantarle appena dopo averle sentite”. Duecento anni dopo Mozart questo difficile compromesso tra qualità ed intelligibilità nell’atteggiamento musicale trova oggi una nuova geniale espressione nella persona e nell’opera di Fazil Say, per una curiosa dinamica di turcheria al rovescio: “io sono turco ma suono musica occidentale, e mi trovo così a rinnovare quel ponte – geografico ed anche culturale – tra Occidente ed Oriente che la Turchia ha sempre incarnato”. Zeno Gabaglio Fazil Say in residence Venerdì 24 gennaio ore 20.30 Auditorio RSI Lugano ORChESTRA DELLA SVIZZERA ITALIANA SOLISTA 47 Concerti dell’Auditorio FAZIL SAY pIANOFORTE Introduzione al concerto con la partecipazione di Fazil Say Studio 2, Radio Besso ore 19.30 GIOAChINO ROSSINI 1 792–1 868 Il turco in Italia, ouverture (1814) 9’ FAZIL SAY 1 970 * Concerto per pianoforte e orchestra d’archi Silk road (1994) 17’ WOLFGANG AmADEUS mOZART 1 756–1 79 1 Concerto per pianoforte e orchestra n. 12 in la maggiore KV 414 (1782) 27’ Allegro Andante Allegretto Opere “attuali” Tra le tre opere in programma intercorre un ampio spazio temporale: Schubert inizia a comporre il suo famoso Quintetto nell’estate del 1819 (Il Forellenquintett viene prima pubblicato nel 1920, poi nel 1928), mentre i compositori turchi Ulvi Cemal Erkin e Fazil Say vedono eseguire per la prima volta le proprie opere rispettivamente il 23 gennaio 1 946 (Erkin, Quintetto per pianoforte, Ankara Radio) e l’1 1 settembre 201 3 (Say, Space Jump, Monaco, Prinzregententheater). Entrambe s’inseriscono nel solco della tradizione musicale colta occidentale, con la presenza di alcuni elementi musicali che svelano le origini geografiche dei compositori. Un aspetto però le accomuna: quello di essere, ciascuna a suo modo, un’opera “attuale” per il suo tempo. L’opera più recente è Space Jump di Fazil Say. Il pubblico odierno, poco abituato all’esecuzione di opere di compositori viventi, ha l’occasione di ascoltare una composizione scritta per l’ARD–Musikwettbewerb 201 3. Fazil Say s’ispira al record di lancio dallo spazio effettuato il 14 ottobre 2012 da Felix Baumgartner: 4 minuti e 19 secondi di caduta libera da quasi 39 Km d’altitudine, superando la velocità del suono (Baumgartner raggiunse i 1’173 Km all’ora). Say ha rielaborato in musica le emozioni scaturite da questo evento, che poté seguire per televisione. I filmati riguardanti l’esecuzione di Space Jump (ben due, provenienti dal Concorso della ARD), sono stati resi disponibili su YouTube già dal 1 3 e dal 17 settembre 201 3, a pochi giorni dalla prima esecuzione. A Ulvi Cemal Erkin invece l’opportunità di YouTube non fu mai data (per ovvi motivi cronologici), ma ne ebbe altre. Nato nel 1906, visse gli anni di profondo rinnovamento politico e culturale della Repubblica turca e ne fu partecipe in campo musicale. L’avvicinamento all’Occidente e alla cultura europea, spinse il compositore appena 19enne a un soggiorno di formazione musicale a Parigi, dove si diplomò nel 1930. Al suo rientro in Turchia, Erkin portò con sé le esperienze compositive parigine, facendo così da tramite per le successive generazioni di compositori turchi. Se per Erkin fu attuale il riferimento musicale all’Occidente, per i contemporanei di Schubert lo furono il gusto e le abitudini musicali locali. Per il Quintetto la cornice geografica è quella di Steyr, cittadina austriaca tra Vienna e Salisburgo: Sylvester Paumgartner, ricco mecenate del posto, la commissionò per le esecuzioni dilettantesche del proprio gruppo di musicisti, un pianista e un quartetto d’archi “anomalo” per la presenza di un contrabbasso. Il Quintetto Della trota prende il nome dalle variazioni sull’omonimo Lied di Schubert nel 4. movimento (procedimento compositivo che Schubert adotterà anche nel Quartetto La morte e la fanciulla) e che testimonia la popolarità e “attualità” che il Lied di Schubert ebbe in quegli anni. Anna Ciocca-Rossi Fazil Say in residence Domenica 26 gennaio ore 17.00 Auditorio RSI Lugano STUDENTI DELLA SCUOLA UNIVERSITARIA DI mUSICA DEL CONSERVATORIO DELLA mARIEChRISTINE LOPEZ VIOLINO VLADImIR mARI VIOLINO ANASTASIA ShUGAEVA VIOLA NIKOLAY ShUGAEV VIOLONCELLO FAZIL SAY KAVEh DANShmAND CONTRABBASSO 1 970 * FAZIL SAY pIANOFORTE Space Jump per violino, violoncello e pianoforte op. 46 (2013) 1 1’ ULVI CEmAL ERKIN 1 906–1 972 Quintetto per pianoforte e archi (1946) 21’ Moderato Adagio mesto Ritmico ed energico FRANZ SChUBERT 1 797–1 828 Quintetto per pianoforte e archi in la maggiore op. 1 14 D 667 La Trota (1819) 40’ Allegro vivace Andante Scherzo. presto Andantino. Allegretto Allegro giusto 49 Concerti dell’Auditorio SVIZZERA ITALIANA Origini paniche “Sia i profani che gli storici sono affascinati dal problema delle origini. Vedere il Mississippi, il Nilo o il Danubio in tutta la loro serena maestà è un’esperienza indimenticabile; ma ancora più esaltante è scoprirne le sorgenti, dove la corrente si vede sgorgare in rivoletti da sotto le rocce. Purtroppo le correnti della storia sfuggono alla nostra indagine: l’età dell’uomo si misura in milioni di anni, ma le prove storiche in nostro possesso sono riferite ad appena cinquemila anni, meno dell’uno per cento. Quel che precede tali prove è aperto a tutte le congetture e le supposizioni”. È Curt Sachs, uno dei maggiori studiosi vissuti nello scorso secolo, a delineare in modo così semplice ma così preciso il “problema delle origini” della musica. Un problema che lui affrontò con metodo limpidamente scientifico – in quanto pioniere dell’etnomusicologia e dell’organologia – ben consapevole, tuttavia, che avvicinandosi alla notte dei tempi il rigore di ogni ricerca si sarebbe sempre scontrato con le “congetture”, con le “supposizioni”, e in buona sostanza con il mito. E proprio uno dei miti più famosi e persistenti, relativamente all’ambito musicale, è quello che riguarda il dio Pan e il caratteristico strumento musicale che da lui prende il nome. Siringa era una incantevole ninfa dell’acqua di Arcadia, figlia del dio dei fiumi Ladone. Un giorno, di ritorno dalla caccia, incontrò Pan, il dio mezzo uomo e mezzo caprone. Per sottrarsi alle sue immediate molestie sessuali la ninfa dovette fuggire fino al monte Liceo, dove raggiunse le proprie sorelle che per proteggerla la trasformarono immediatamente in una canna. Sopraggiunto Pan, il vento soffiò attraverso le canne generando una melodia lamentosa. Il dio, ancora infatuato, non riuscendo a identificare in quale canna si fosse trasformata Siringa, ne prese alcune e ne tagliò sette pezzi di lunghezza decrescente e li unì uno di fianco all’altro. Si creò così lo strumento musicale che ancora oggi porta sia il nome del dio, sia quello della ninfa. E ancora oggi, questo strumento arcaico e mitico, continua ad ispirare nuove creazioni musicali. Come il brano Ex-Antiquo, eloquente sin dal titolo, che Francesco Hoch ha scritto venendo in contatto con due grandi virtuosi del flauto di Pan quali Michel Tirabosco e Matthijs Koene: “doveva nascere così una musica proveniente da sonorità antiche immerse nella sensibilità più aperta dei nostri giorni. Ex-Antiquo, dall’antichità, da lontano quindi nel tempo, propone un viaggio in paesaggi sonori contemporanei, pure visti a distanza, brevemente, come da nomadi o ansiosi o giocosi che rifuggono da esperienze sia prolungate che ravvicinate”. Zeno Gabaglio Venerdì 31 gennaio ore 20.30 Auditorio RSI Lugano I BAROCChISTI DIRETTORE DIEGO FASOLIS SOLISTI mIChEL TIRABOSCO FLAUTO DI pAN RENZO ROTA mATThIJS KOENE FLAUTO DI pAN 1 950 * FRANCESCO hOCh 1 943 * Ex-Antiquo per flauti di Pan e orchestra (prima mondiale) (2013) CLAUDIO mONTEVERDI 1 567–1 643 Da definire GEORG PhILIPP TELEmANN 1 68 1–1 767 Concerto per due flauti e orchestra ANTONIO VIVALDI 1 678–1 74 1 Da definire 51 Le morte stagioni DIEGO FASOLIS 53 Formatosi a Zurigo in organo, pianoforte, canto e direzione, è titolare di diversi premi e lauree internazionali (Stresa, Migros-Göhner, Hegar preis, Concorso di Ginevra). Come organista ha studiato con i maggiori didatti (Eric Vollenwyder, Gaston Litaize e Michael Radulescu) conducendo una ricca attività che lo ha portato ad eseguire più volte le integrali di Bach, Buxtehude, Mozart, Mendelssohn, Franck e Liszt. Dal 1993 è maestro stabile del Coro della RSI e nel 1998 ha fondato I Barocchisti, di cui è direttore stabile. Con questi due gruppi ha prodotto una notevole discografia insignita dei più ambiti riconoscimenti della stampa specializzata. In ambito concertistico sono numerosi i riscontri ottenuti su scala internazionale anche come direttore ospite, presso istituzioni quali RIAS Kammerchor Berlin, Sonatori de la Gioiosa Marca, Concerto palatino, Orchestra Sinfonica e Orchestra Barocca di Siviglia, Orchestre e Cori dei Teatri La Scala Milano, Opera di Roma, Carlo Felice di Genova, Arena di Verona, Comunale di Bologna e le maggiori orchestre svizzere. “In ragione della sua eccellenza di artista” gli è stato attribuito dal pontificio Istituto di Musica Sacra il dottorato honoris causa. I BAROCChISTI I Barocchisti sono oggi internazionalmente apprezzati quale complesso di riferimento per l’esecuzione del repertorio antico su strumenti storici. Hanno raccolto, sotto la guida di Diego Fasolis, l’eredità della Società Cameristica di Lugano fondata da Edwin Loehrer. Si presentano in formazioni variabili, da quattro a quaranta elementi. I suoi componenti, tutti rinomati virtuosi, hanno riscosso il plauso del pubblico e della critica, che sin dalle prime apparizioni ha scritto del gruppo in termini entusiastici. Unitamente al Coro della RSI, sotto la bacchetta di Fasolis hanno realizzato numerose produzioni concertistiche e discografiche dedicate a Bach, Cavalli, Galuppi, Gossec, Händel, Mozart, Scarlatti, paisiello, pergolesi, piccinni, purcell, Vivaldi. Le incisioni strumentali dedicate a Bach pubblicate dalla Arts sono ritenute pietre miliari del catalogo bachiano. Di grande successo anche i dischi vivaldiani pubblicati per Claves con i solisti Maurice Steger e Duilio Galfetti. L’ensemble si esibisce nei maggiori festivals musicali in tutta Europa e negli Stati Uniti. mIChEL TIRABOSCO 55 Nasce a Roma, dove inizia a sette anni lo studio del flauto di pan. Con questo strumento è il primo a diplomarsi in flauto traverso. Al Conservatorio di Ginevra si perfeziona poi in armonia, contrappunto e composizione. A soli sedici anni si esibisce accompagnato da un’orchestra sinfonica e due anni dopo registra il suo primo disco con il chitarrista Lucien Battaglia. Inizia una carriera internazionale costellata da numerose registrazioni discografiche e collaborazioni con rinomati solisti. Intraprende tournées in Europa, in Sud America e negli Stati Uniti. Dal 2000 si esibisce regolarmente a Monaco e Norimberga. proiettato sulla scena internazionale, partecipa a importanti concerti e festivals nel mondo. Appassionato di teatro, è in scena per ben diciassette volte con il Michel Tirabosco Trio al Théâtre pitoëff di Ginevra. In Russia si esibisce al Teatro Mariinsky di Mosca e al Cremlino. Negli ultimi anni è stato chiamato a prestigiosi concerti in Europa e Libano. A lui sono state dedicate opere per flauto di pan di Schulé, Chappuis, Gesseney e Dominguez. mATThIJS KOENE Si diploma in flauto con lode nel 2001 al Conservatorio di Amsterdam. Durante gli studi sviluppa una nuova tecnica che gli permette di amalgamare le più diverse sonorità, articolazioni e dinamiche, utilizzate soprattutto nella musica classica e contemporanea, che gli permettono di spingersi ai confini espressivi e musicali del suo strumento. Ad oggi, più di 70 opere sono state scritte per lui. Con il chitarrista Stefan Gerritsen forma il duo Verso, che si esibisce a livello mondiale, ottenendo riconoscimenti e premi. Dal 2010 suona con l’Ensemble Black pencil, formato da flauto dolce, flauto di pan, viola, fisarmonica e percussioni. Si esibisce anche con l’Ensemble Zerafin, composto da musicisti di nazionalità e culture diverse, che si contraddistingue per la varietà unica di strumenti che lo compongono. per creare un repertorio specifico per organo e flauto di pan lavora a stretto contatto con l’organista Jos van der Kooy; il duo esegue anche le sonate per flauto di J. S. Bach. Come solista interpreta i concerti per flauto di Mozart, Vivaldi e Quantz. Nel 2009 si è esibito in tournée in Svizzera con la Huttwiller Kammerorchester, eseguendo il Concerto per flauto di pan di Hählen. Nel 2005 è stato nominato professore di flauto di pan al Conservatorio di Amsterdam. L’irresistibile richiamo del “Patrio suol” Il sentimento di appartenenza a una terra, insito in ogni uomo, è particolarmente vivo e profondo negli autori e nei brani in programma. Lo è in Benjamin Yusupov, che nella sua musica costantemente evoca le proprie radici. Nola è un concerto per vari flauti (flauto, flauto basso, flauto contrabbasso), elettronica e archi, composto nel 1 994 per il flautista svizzero Matthias Ziegler. Stravagante per l’organico insolito, Nola è soprattutto nazionale, poiché Yusupov esplora le risorse orchestrali per ricreare timbri e ritmi della musica folcloristica dell’Asia centrale e del natio Tagikistan. Quell’attaccamento era vivo anche in Haydn, che spesso e volentieri tornava con la mente alle sue campagne dell’Austria meridionale lasciandosi ispirare dalla musica popolare. Nella “metropolitana” Sinfonia n. 88, composta nel 1787 a Vienna, per Parigi e alla vigilia del glorioso soggiorno a Londra, Haydn non temé di mescolare cervello fino e grosso zoccolo campagnolo e trasformò il Trio del Minuetto in una gustosa danza contadina, con quinte vuote ai fagotti e alle viole ad imitazione di cornamuse e ghironde e un rustico impiego nella melodia d’intervalli di quarta eccedente. Anche Glinka, di ritorno in Russia dopo gli anni d’apprendistato musicale trascorsi in Italia e in Germania (1830-34), dichiarò di voler scrivere in uno stile nazionale, derivato dal patrimonio musicale del popolo russo. Ne scaturì la composizione di Una vita per lo zar (1836), nella cui scia però nacquero altre pagine ispirate allo stesso ideale. Una di esse fu la raffinata Valse-Fantaisie, anticipatrice della musica per balletto di ajkovskij, che Glinka scrisse prima nella versione per pianoforte del 1839 e in seguito in due versioni orchestrali: quella del 1845, oggi perduta, e quella definitiva del 1856. Quel sentimento, infine, infiammò anche il giovane Dvoák quando nel 1879 le sue opere vennero accolte male a Vienna, dove, in un contesto di crescenti tensioni politiche tra Austria e Boemia a seguito della costituzione dell’Impero Austro-Ungarico, uno strisciante sentimento anti-ceco s’insinuò fin nelle sale da concerto. Dvoák reagì e in uno slancio “nazionalista” creò celebri lavori ispirati al proprio folclore nazionale, come le Danze e le Rapsodie slave e la Suite ceca, i cui movimenti sono appunto basati su danze della tradizione popolare. Opere eterogenee e molto distanti tra loro: eppure, in esse, con modalità e intenti diversi, ogni autore celebra a modo suo il “Patrio suol”. Giuliano Castellani Venerdì 7 febbraio ore 20.30 Auditorio RSI Lugano ORChESTRA DELLA SVIZZERA ITALIANA FRANZ JOSEPh hAYDN 1 732–1 809 PhILIPPE BACh SOLISTA mATThIAS ZIEGLER FLAUTI Sinfonia n. 88 in sol maggiore hob. I: 88 (1787) 23’ Adagio. Allegro Largo Menuetto. Allegretto Finale. Allegro con spirito BENJAmIN YUSUPOV 1 962 * Concerto per vari flauti e archi Nola (1994) 23’ I II mIChAIL GLINKA 1 804–1 857 Valse-Fantaisie (1856) 8’ ANTONÍN DVOÁK 1 84 1–1 904 Suite ceca op. 39 (1879) 23’ praeludium, pastorale. Allegro moderato polka. Allegretto grazioso Menuetto, Sousedská. Allegro giusto Romanze. Andante con moto Finale, Furiant. presto 57 Concerti dell’Auditorio DIRETTORE PhILIPPE BACh 59 Il direttore svizzero è dal 2010 Generalmusikdirektor del Teatro di Meiningen e dal 2012/2013 direttore principale della Berner Kammerorchester. primo premio nel 2006 al López-Cobos International Opera Conductors Competition di Madrid, per due anni è stato assistente al Teatro Real. Dal 2007 al 2010 è stato Kapellmeister e vice-Generalmusikdirektor al Teatro di Lubecca. Direttore ospite di molte orchestre sinfoniche e da camera, ha lavorato con la Royal Liverpool philharmonic, la Royal Scottish National Orchestra, la BBC philharmonic, la RTÉ National Symphony Orchestra di Dublino, la Brandenburgische Staatsorchester Frankfurt, l’Orquesta Sinfónica de Madrid, l’Orchestra Sinfonica di Kuopio (Finlandia), la Filarmonica di Helsinki, la Tonhalle Orchester Zürich, la basel sinfonietta, la Berner Symphonieorchester, l’Orchestre de Chambre de Lausanne e la Zuger Sinfonietta. Nella stagione 2010/201 1 ha diretto Hänsel und Gretel, Zäuberflöte e La Traviata con l’Hamburgische Staatsoper. Dal 2004 al 2006 è stato Junior Fellow in Conducting al Royal Northern College of Music di Manchester. Nel 2005 ha beneficiato di una borsa di studio dell’American Academy of Conducting all’Aspen Music Festival. mATThIAS ZIEGLER Il musicista svizzero, uno dei flautisti più poliedrici e innovativi della sua generazione, si è diplomato con Conrad Klemm e William Bennett. La sua attività artistica spazia dai repertori tradizionali e contemporanei a quelli jazz. Si esibisce in contesti prestigiosi molto diversi tra loro: primo flauto della Zürcher Kammerorchester; solista con numerose importanti orchestre quali la Israel Camerata Jerusalem, i Dresdner Sinfoniker, le Orchestre Sinfoniche di Aachen, Belgrado e Berna e con direttori come Lothar Zagrosek, Heinz Holliger, Aleksandar Markovic´ e philippe Entremont; collaboratore del percussionista pierre Favre, del pianista George Gruntz e del contrabbassista americano Mark Dresser. Numerose incisioni di musica classica e jazz documentano il suo intenso lavoro musicale. È docente di flauto e improvvisazione alla Zürcher Hochschule der Künste. La ricerca di nuove sonorità lo ha portato a sperimentare diversi strumenti come il flauto contrabbasso, uno strumento elettroacustico che ha destato un vivo interesse presso il pubblico. Compositori quali Mark Dresser, Michael Jarrell e Benjamin Yusupov del Tadjikistan hanno scritto musica per questi strumenti particolari. L’Ensemble Khaled Arman si propone di far conoscere la diversità musicale dell’Afghanistan, un paese crogiolo di molte etnie differenti che in passato convivevano armoniosamente. L’ampio orizzonte sonoro del gruppo rivendica pienamente le eredità persiane e indiane, che da sempre alimentano questa musica. Il repertorio comprende canti d’amore, di festa, poemi tradizionali, brani strumentali, composizioni e improvvisazioni. Khaled Arman, così come gli altri componenti dell’Ensemble, ha seguito una doppia formazione musicale, europea e indo-persiana. Tutti hanno sviluppato una pratica di alto livello in entrambe le culture: la ricchezza di questi percorsi artistici è caratteristica saliente di questa formazione davvero unica nel panorama internazionale. Altre musiche: una nuova proposta arricchisce la stagione 2014 dei Concerti dell’Auditorio: allo Studio 2 RSI due incursioni in ambiti musicali ai confini tra musica colta e tradizioni popolari di varie culture del mondo. Altre musiche Lunedì 10 febbraio ore 20.30 Studio 2 RSI Lugano ENSEmBLE KhALED ARmAN KhALED ARmAN RUBAB SIAR hAShImI TABLA mAShAL ARmAN CANTO E DANZA AROUSSIAK GUÉVORGUIAm KANUN 61 Concerti dell’Auditorio SOLISTI ENSEmBLE KhALED ARmAN 63 Khaled Arman dirige l’Ensemble e ne cura tutti gli arrangiamenti. Nato nel 1965 a Kabul, è uno dei massimi virtuosi del rubab, il liuto afghano. Ha saputo riscattare questo strumento dalla sua dimensione strettamente legata al folklore per aprirlo al repertorio colto persiano, indiano ed europeo (musica antica, classica e contemporanea). Il liutaio Luc Breton (di Morges) ha sviluppato per lui uno strumento dalle ampie possibilità sonore ed espressive. Khaled Arman ha inciso numerosi album, sia come solista, sia con il suo gruppo precedente, l’Ensemble Kabul. Ospite di numerose rassegne internazionali, ha collaborato con Jordi Savall e Vittorio Ghielmi, specialisti di viola da gamba, con l’Orchestre du Grand Eustache di Losanna, e il Quatuor Barbaroque in Francia. Ha interpretato opere contemporanee scritte per il suo strumento da Éric Gaudibert e Fabien Tehericsen. Diplomato all’Accademia di praga in chitarra classica, primo premio al Concorso Internazionale di Radio France, Khaled Arman mette la sua doppia cultura musicale al servizio degli studenti di vari conservatori europei. Autore di un metodo per il rubab, è impegnato per la sopravvivenza di questo strumento nel suo paese. Bellezza della diversità Le composizioni in programma nacquero in circostanze molto diverse e al musicologo risulta difficile trovare un “quid” che le accomuni. Il poeta forse se la caverebbe meglio, sensibile al grado supremo di bellezza che tutte queste opere contraddistingue. Gli aggettivi relativi al concetto potrebbero concorrere in tutti e quattro gli esempi: bellezza “solare” per il Concerto per violino in mi minore op. 64 di Felix Mendelssohn, un’opera tardiva, iniziata nel 1838, terminata nel 1844 durante un soggiorno del musicista a Soden, vicino a Francoforte. Mendelssohn, malato, non poté assistere alla prima esecuzione, che ebbe luogo a Lipsia nel 1845 con Ferdinand David solista al violino e il direttore d’orchestra danese Niels Gade. L’autore poté ascoltare il Concerto, magistralmente interpretato dal giovane Josef Joachim, nell’ottobre 1847, un mese prima di morire… Un canto del cigno? Sì. Una bellezza “classica” potrebbe essere invece evocata per le Variazioni su un tema di Haydn op. 56a di Johannes Brahms, dirette da lui stesso la prima volta a Vienna nel 1873. In questo caso è la bellezza della forma classica ad affascinare il compositore. Si sa che Brahms, amburghese, temeva il giudizio di Vienna e attese non pochi anni prima di affrontare le grandi opere per orchestra. Brahms scelse la forma della variazione per amore della classicità delle proporzioni, ma traducendola in un’opera in cui le risorse dell’orchestra sono trattate sperimentalmente e sistematicamente per sé stesse. È invece la fascinosa bellezza del “folclorico” quella che attirò l’autore delle Danze di Galánta, Zoltán Kodály. Il compositore ungherese, con Béla Bartók, fu il maggior rappresentante della scuola nazionale magiara e dedicò una parte importante della sua vita a raccogliere canti popolari, destinati a costituire il materiale di base di molte sue opere. Infine: quale altro tipo di bellezza sedusse l’autore della brillante Ouverture nello stile italiano (1817), l’appena ventenne Franz Schubert? Si sa della querelle molto dibattuta in quegli anni a Vienna fra i sostenitori dell’opera italiana e i fautori di un’opera tedesca di stampo weberiano. Schubert volle rendere omaggio al genio di Rossini, e alla “chiarezza” inarrivabile delle sue composizioni. Quattro opere, quattro stili, quattro atmosfere. Un filo conduttore? Sì: la bellezza alla quale inchinarsi come Beethoven alla gioia: “bella scintilla divina”. Timoteo Morresi Venerdì 14 febbraio ore 20.30 Auditorio RSI Lugano FRANZ SChUBERT 1 797–1 828 ORChESTRA DIRETTORE Ouverture nello stile italiano in re maggiore D 590 (1817) 8’ Adagio NIChOLAS mILTON FELIX mENDELSSOhN SOLISTA 1 809–1 847 VERONIKA EBERLE VIOLINO Concerto per violino e orchestra in mi minore op. 64 (1844) 25’ Allegro molto appassionato Andante Allegretto non troppo. Allegro molto vivace JOhANNES BRAhmS 1 833–1 897 Variazioni su un tema di haydn op. 56a (1873) 17’ Chorale St. Antonio. Andante Var. I poco più animato Var. II più mosso Var. III Con moto Var. IV Andante con moto Var. V Vivace Var. VI Vivace Var. VII Grazioso Var. VIII presto non troppo Finale. Andante ZOLTÁN KODÁLY 1 882–1 967 Danze di Galánta (1933) 15’ Lento Allegretto moderato con moto. Grazioso Allegro vivace Allegro Allegro 65 Concerti dell’Auditorio DELLA SVIZZERA ITALIANA NIChOLAS mILTON 67 Acclamato per il suo stile dinamico, l’energia, la passione e l’integrità musicale, il musicista australiano si è guadagnato un’alta reputazione tra i direttori d’orchestra della giovane generazione in Europa. Studia al Conservatorio di Sydney, alla Michigan State University, al Mannes College of Music e alla Juilliard School di New York; si diploma in violino e in direzione d’orchestra. Ricopre il ruolo di Konzertmeister dell’Adelaide Symphony Orchestra. Dirige le maggiori orchestre quali la London philharmonic Orchestra, la Konzerthausorchester Berlin, la Radio-Sinfonieorchester Stuttgart des SWR, la NDR Radiophilharmonie Hannover, i Stuttgarter philharmoniker e la Bruckner Orchester Linz. Tra i prossimi impegni vi sono i debutti con i Bremer philharmoniker e la philharmonische Orchester Freiburg e il ritorno sul podio con la Konzerthausorchester Berlin, i Stuttgarter philharmoniker, la Deutsche Radio philharmonie Saarbrücken, l’Orchestra della Svizzera italiana, la Komische Oper Berlin e la Volksoper Wien. Ha inciso opere di Strauss, prokof’ev, Scriabin, Stravinskij, S. Reich, J. Adams, Rubinstein e Rachmaninov per la Onyx Classics. VERONIKA EBERLE Considerata uno dei talenti tedeschi più promettenti degli ultimi anni, ha ottenuto numerosi riconoscimenti tra i quali la Nippon Foundation, il Borletti-Buitoni Trust, il Musikleben Deutsche Stiftung (Amburgo). Nata nel 1988 a Donauwörth, inizia lo studio del violino a sei anni e debutta a 10 anni con i Münchner Symphoniker. Studia con Voitova, si perfeziona con poppen e segue i corsi di Chumachenco all’Hochschule di Monaco di Baviera. Suona con le migliori orchestre del mondo. Nel 2006 al Festival di Salisburgo esegue il Concerto di Beethoven con i Berliner philharmoniker e Sir Rattle. partecipa ad alcuni dei festivals più rinomati in Europa: Menuhin Festival di Gstaad, Schleswig-Holstein, Ludwigsburger Schlossfestspiele, Lockenhaus, Mecklenburg-Vorpommern, Osterfestspiele di Salisburgo, Beethovenfest di Bonn, Musikfestspiele di Dresda. Tra i prossimi impegni vi sono i concerti con la New York philharmonic e Gilbert, con la Royal Concertgebouw Orchestra Amsterdam e Holliger, con la Swedish Radio Symphony Orchestra diretta da Harding, con la NHK Symphony Orchestra Tokyo, diretta da Norrington e l’Aspen Festival con Robertson. Suona lo Stradivari Dragonetti (1700) della Nippon Music Foundation. Un programma speculare Un programma a struttura speculare, si potrebbe dire. Con agli estremi Schreker che si collega a Schubert, mentre al centro Milhaud e Villa-Lobos si richiamano a vicenda, uniti non soltanto, come vedremo, dall’impiego dello stesso strumento solista. Della Suite Romantica di Franz Schreker è eseguito il celebre Intermezzo. Si tratta di un lavoro giovanile (del 1900), in cui il peculiare stile composito e peregrino di Schreker è agli albori e risente ancora della tradizione sinfonica mitteleuropea che risale alla prima scuola di Vienna, a Schubert nel nostro caso. Schreker fu compositore assai noto, amato ed eseguito ai suoi tempi da grandi interpreti. Bandito dal nazismo in quanto artista ‘degenerato’, finì nel dimenticatoio dopo la guerra. Solo di recente è stato rivalutato. Anche la Sinfonia n. 2 di Schubert è un lavoro giovanile. Il compositore aveva infatti diciassette anni ed era ancora molto legato ai sublimi modelli di Haydn e di Mozart. Ma nella quarta variazione del secondo movimento, in tonalità minore, la musica sembra già sorprendentemente proiettata in quelle atmosfere romantiche che si ritrovano nell’Intermezzo schrekeriano. Opere della maturità sono invece Scaramouche di Milhaud e la Fantasia di Villa-Lobos, considerate pietre miliari del repertorio solistico per sassofono. Composto nel 1939 nella versione per orchestra, Scaramouche inizia in maniera scanzonata e brillante (quasi a evocare l’arguzia, l’agilità e la loquacità della maschera immortalata da Molière), con quella scioltezza espressiva e spontanea esuberanza che il fruitore ritroverà nell’Allegro vivace e nel Finale schubertiano. Il Moderato centrale sembra invece ammiccare nostalgicamente al blues americano. La Brazileira finale, un samba assai sincopato (Milhaud fu sedotto dai ritmi esotici della musica brasiliana durante il suo soggiorno in America latina), prepara, per così dire, alla successiva Fantasia del compositore brasiliano Heitor Villa-Lobos (del 1948), pure caratterizzata da un inizio spumeggiante e sincopato. Anche per Villa-Lobos irresistibile (pur se qui limitato) è il riferimento a melodie che si ispirano a danze sudamericane, in questo caso al tango nella parte cantabile del primo movimento. Se in Milhaud, in contatto fin da giovane con l’ambiente culturale parigino, importante fu il soggiorno in Brasile, per Villa-Lobos furono altrettanto densi di implicazioni sul piano compositivo i due soggiorni parigini negli anni Venti. Forse anche per questo motivo nella Fantasia l’influsso dei ritmi e delle melodie sudamericani è confinato nel primo movimento. I due concerti si concludono in gaiezza all’insegna di un acceso virtuosismo. Laureto Rodoni ORChESTRA FRANZ SChREKER DELLA SVIZZERA ITALIANA 1 878–1 934 DIRETTORE FRANCESCO ANGELICO Intermezzo per archi dalla Suite romantica op. 8 (1900) 6’ SOLISTA DARIUS mILhAUD mARIO mARZI SAXOFONO 1 892–1 974 Scaramouche per saxofono e orchestra op. 165c (1939) 9’ Vif Modéré Brazileira. Mouvement de Samba hEITOR VILLA-LOBOS 1 887–1 958 Fantasia per saxofono e orchestra W490 (1948) 1 1’ Animé Lent Très animé FRANZ SChUBERT 1 797–1 828 Sinfonia n. 2 in si bemolle maggiore D 125 (1815) 29’ Largo. Allegro vivace Andante Minuetto presto vivace 69 Concerti dell’Auditorio Venerdì 21 febbraio ore 20.30 Auditorio RSI Lugano FRANCESCO ANGELICO 71 Direttore principale della Tiroler Symphonieorchester Innsbruck, è tra i direttori della nuova corrente italiana in rapida ascesa sui podi concertistici e operistici internazionali. Dopo i debutti dell’ultima stagione (tra cui la Tonhalle Orchester Zürich), nel 2013/2014 lavorerà per la prima volta con la Gewandhausorchester Leipzig e ritornerà a dirigere l’Orchestra Sinfonica di Trondheim (Norvegia). Dopo il successo del debutto alla Bayerische Staatsoper di Monaco con Elegy for Young Lovers di Henze nel maggio 2013, è in programma per il 2013-14 la sua prima esibizione all’Opernhaus di Zurigo. Frequenti sono invece le collaborazioni con l’Accademia del Teatro alla Scala a Milano, dove di recente ha diretto Il barbiere di Siviglia di Rossini. Nato a Caltagirone, in Sicilia, nel 1977, ha completato i suoi studi in violoncello al Conservatorio di Modena nel 2001 e ha iniziato a dirigere con Giorgio Bernasconi a Lugano nel 2003: nel periodo del suo diploma (2006) è stato suo assistente per la stagione di musica contemporanea Novecento passato e presente, coprodotte dal Conservatorio della Svizzera italiana e da Rete Due della Radiotelevisione svizzera a Lugano. mARIO mARZI Il saxofonista italiano è vincitore di ben 9 concorsi nazionali e 4 internazionali e ha tenuto concerti in veste di solista con le più importanti orchestre: Orchestra Sinfonica della Rai di Torino, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’Orchestra dell’Arena di Verona, Teatro La Fenice, Caracas Symphony Youth Orchestra. Di particolare prestigio la sua ventennale collaborazione con il Teatro alla Scala di Milano e la Filarmonica della Scala. Molteplici anche le sue esibizioni nelle sale e nei teatri più prestigiosi: Carnegie Hall di New York, Suntory Hall di Tokyo, Gewandhaus di Lipsia, Musikverein di Vienna, Konzerthaus di Berlino, LACMA di Los Angeles, Teatro Nazionale di pechino, parlamento Europeo di Bruxelles, Sala ajkovskij di Mosca, Gran Teatre del Liceu di Barcellona. Ha inciso per le case discografiche BMG, Sony Classic, EMI, EDI-pAN, Stradivarius, Agorà. In prima assoluta per l’Italia ha registrato un CD monografico con i più importanti concerti per sax. Docente di sassofono al Conservatorio Verdi di Milano, tiene corsi di perfezionamento e masterclasses a Oporto, Amsterdam, Lisbona, Francoforte, pechino, Washington, Londra, Vienna e Caracas. Il suo libro Il Saxofono (Zecchini ed.) è stato pubblicato nel 2009. Sprofondare in un mondo di grandi emozioni Il primo dei due concerti cameristici di Primo Piano Ashkenazy (il secondo è pre-visto il 6 aprile) invita all’ascolto della musica per due pianoforti, un grande repertorio che continua ad entusiasmare i più raffinati salotti e le più esigenti sale da concerto. Opere originali o trascrizioni? La risposta sembra scontata per i due più celebri capolavori musicali, Le sacre di Stravinskij e le Danze polovesiane estratte dall’opera di Borodin, anche se la riduzione per pianoforte del balletto di Stravinskji è “originale”, cioè di mano dello stesso compositore. Il Divertissement per due pianoforti di Schubert nasce invece per i salotti dell’epoca, non per i teatri, così come le Variazioni su un tema di Haydn, che sono precedenti alla versione per orchestra. La questione non si esaurisce però con queste constatazioni: gli enormi potenziali timbrici, ritmici e percussivi dei due strumenti fanno di queste composizioni dei capolavori unici e irripetibili, anche quando non si tratta di opere scritte originariamente per essi. A ciò si aggiungono le emozioni filtrate in musica dai compositori che ripercorrono vicende e situazioni personali. In ordine cronologico si parte da Schubert, di ritorno nel 1824 da un soggiorno in Ungheria: composizione di sapore squisitamente salottiero, il Divertissement à la hongroise del compositore viennese affascina per la libertà con cui le melodie, di provenienza magiara e ungherese, vengono vivacemente e fantasiosamente lasciate scorrere nel brano, in ricordo dell’estate trascorsa in Ungheria. Si risale poi fino al 1873 con le Variazioni di Brahms che per il compositore rappresentarono l’inizio della sua grande produzione sinfonica. Poco importa se l’attribuzione ad Haydn del divertimento Feld-Parthie, con il Chorale S. Antonii da cui è tratto il tema, sia oggi molto dubbia: la musica è condotta con maestria compositiva anche nel dosaggio, accorto ma geniale, tra componente musicale, forte e coinvolgente e ricerca di equilibrio di gusto tradizionalmente classico. È invece del 1890 la prima rappresentazione a San Pietroburgo di una delle più popolari opere russe, Il Principe Igor, di Borodin, da cui sono tratte le Danze Polovesiane: Borodin, medico di professione e compositore nel tempo libero, morì prima di aver completato Il Principe Igor, che fu poi portato a termine da Rimskij-Korsakov e Glazunov. Si entra infine nel Novecento con il balletto di Stravinskij (191 3), tratto dal terribile rito sacrificale pagano. Rappresentato al Théâtre des ChampsElysées dai Balletts Russes di Diaghilev, Le sacre di Stravinskij provocò a Parigi gran scandalo: il pubblico fischiò fino a coprire la musica. Al pubblico d’oggi, forse ignaro del passato di queste opere, non resta che sprofondare nell’affascinante atmosfera salottiera della prima parte del programma, per prepararsi – nella seconda – alle grandi emozioni del repertorio “teatrale”. Anna Ciocca-Rossi Primo Piano Ashkenazy Sabato 22 febbraio ore 20.30 Auditorio RSI Lugano JOhANNES BRAhmS VLADImIR AShKENAZY pIANOFORTE 1 833–1 897 Variazioni su un tema di haydn per due pianoforti op. 56b (1873) 21’ Andante Allegro con brio FRANZ SChUBERT 1 797–1 828 Divertissement à la hongroise per pianoforte a 4 mani in sol minore op. 54 D 818 (1824) 32’ Andante Marcia. Andante con moto Allegretto IGOR STRAVINSKIJ 1 882–1 97 1 Le sacre du printemps per pianoforte a 4 mani (1913) 33’ ALEKSANDR BORODIN 1 833–1 887 Danze polovesiane per due pianoforti da Il Principe Igor (1890) 14’ trascrizione di Vovka Ashkenazy Andantino Allegretto vivo Allegro presto 73 Concerti dell’Auditorio VOVKA AShKENAZY pIANOFORTE VLADImIR AShKENAZY 75 Si è imposto sulla scena musicale mondiale con il Concorso Chopin di Varsavia del 1955: è oggi uno dei pianisti e direttori d’orchestra più rinomati e riveriti, un artista d’ispirazione continua, la cui vita creativa comprende una vasta gamma di attività. Dal settembre 2013 è direttore ospite principale dell’Orchestra della Svizzera italiana. Direttore principale dell’Orchestra Filarmonica Ceca dal 1998 al 2003, è direttore musicale della NHK Symphony Orchestra Tokyo dal 2004. È stato nominato Conductor Laureate dalla philharmonia Orchestra (dal 2000) e dell’Orchestra Sinfonica Islandese (ISO). Dal gennaio 2009 è direttore principale e consigliere artistico della Sydney Symphony Orchestra. Mantiene contatti regolari con la Cleveland Orchestra (di cui è stato direttore ospite principale), la San Francisco Symphony e la Deutsche Symphonie-Orchester Berlin (direttore principale e musicale 1988-1996). È direttore musicale della European Union Youth Orchestra. Continua a dedicarsi al pianoforte, arricchendo costantemente il suo catalogo straordinariamente completo di incisioni. Si occupa di importanti progetti per la TV: recentemente ha elaborato programmi educativi con la NHK TV. Con il figlio Vovka è regolarmente impegnato in registrazioni e récitals per due pianoforti. VOVKA AShKENAZY Nato a Mosca, primogenito di due grandi musicisti, inizia precocemente lo studio del pianoforte con Sigurjónsson a Reykjavík (Islanda). In Inghilterra entra al Royal Northern College of Music, dove segue i corsi di M.me Aronovsky, oltre a quelli di Leon Fleisher e peter Frankl. Debutta a Londra con il Concerto n. 1 di ajkovskij e con la London Symphony Orchestra diretta da Richard Hickox. Da allora suona in prestigiosi teatri in Europa, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Cina e nelle due Americhe. partecipa a numerosi festivals internazionali ed è ospite delle maggiori orchestre. Suona spesso con il Quintetto di fiati di Reykjavík, con il fratello, clarinettista, ed il padre, con il quale è spesso impegnato in tournées e registrazioni; una lunga tournée prevista nel 2014 li vedrà in Europa, così come in Giappone, Cina e Corea. Risiede in Ticino dove tiene un corso “post graduate” presso il Conservatorio della Svizzera italiana; dal 201 1 è professore presso la prestigiosa Accademia pianistica di Imola; è inoltre direttore artistico del Concorso pianistico Rina Sala Gallo di Monza. Classicismo e Neoclassicismo tra divertimenti mascherati e ironia Anton Heberle, nato attorno al 1780 e attivo artisticamente fino al 1816, è noto soprattutto per aver inventato lo csakan, uno strumento molto simile al flauto dolce, con la stessa diteggiatura. Il Concerto per flauto dolce (in origine forse proprio per csakan), due corni e archi, di chiara derivazione mozartiana, è forse la sua composizione più nota ed eseguita ai nostri giorni. Esponente minore del classicismo musicale, Heberle può essere considerato, in senso lato e virtuale, come punto di riferimento delle altre tre composizioni del Novecento che completano il programma e che si possono definire dunque neoclassiche, in opposizione sia alle sperimentazioni atonali e dodecafoniche, sia alla musica post-wagneriana o in generale post-romantica. Mozartiana con l’aggiunta di una batteria è l’orchestra della Petite Suite (1929) di Albert Roussel. La classica divisione in tre movimenti fa pensare più a un concerto che a una suite: inizia con una Aubade (caratterizzata da ritmi ostinati dalla sottile asimmetria), prosegue con una Pastorale (limpida, calma, di fluida polifonia, con un grande crescendo lirico al centro) e si conclude con una Mascarade (pure caratterizzata da ritmi ostinati, ma con un andamento più elementare per non dire primitivo rispetto a Aubade), in cui s’instaura un’atmosfera di feste galanti con balli mascherati sotto gli occhi ironici del compositore. E alle Fêtes galantes con riferimento al pittore Watteau che dipinse quadri ispirati alle maschere italiane (Arlecchino, Colombina e Pierrot), ma soprattutto a Verlaine che intitolò una sua raccolta poetica proprio Fêtes galantes, s’ispira Masques et bergamasques di Fauré: “Maschere e bergamasche incantano / suonando il liuto e danzando, tristi / o quasi nei travestimenti strambi”. Le maschere di Fauré danzano, dopo l’ouverture, un minuetto, una gavotta e, come nella Petite Suite di Roussel, una pastorale. Pure di ispirazione neoclassica ma per certi versi anche barocca (quando vi è alternanza di soli e tutti con riferimento al concerto grosso), il Divertimento per archi (1939) di Bartók, commissionato da Paul Sacher. Anche in questa composizione la divisione in tre tempi (rapido-lento-rapido) fa pensare più al concerto (grosso) che al divertimento classico. Nonostante l’epoca tragica in cui è stato composto, a ridosso della seconda guerra mondiale, l’atmosfera è distesa, allegra, aliena da contrasti drammatici. Un programma tutto all’insegna dell’ottimismo, del divertimento e dell’ironia, dunque: dall’Aubade di Roussel all’Allegro assai di Bartók che si conclude in un turbine di allegria (l’irresistibile Vivacissimo della Coda) e che ci riconduce ai briosi tempi estremi del Concerto di Anton Heberle. Laureto Rodoni Venerdì 28 febbraio ore 20.30 Auditorio RSI Lugano GABRIEL FAURÉ ORChESTRA DELLA SVIZZERA ITALIANA DIRETTORE TITO CECChERINI masques et bergamasques, suite op. 1 12 (1919) 16’ Ouverture Menuet Gavotte pastorale SOLISTA mAURICE STEGER FLAUTO ANTON hEBERLE CA. 1 780–CA. 1 8 1 6 Concerto per flauto dolce soprano, due corni e archi in sol maggiore (1807) 14’ Allegro moderato Romance Tempo di menuetto ALBERT ROUSSEL 1 869–1 937 Petite Suite op. 39 (1929) 13’ Aubade pastorale Mascarade BÉLA BARTÓK 1 88 1–1 945 Divertimento per orchestra d’archi op. BB1 18 (1939) 24’ Allegro non troppo Molto adagio Allegro assai 77 Concerti dell’Auditorio 1 845–1 924 TITO CECChERINI 79 Nato a Milano, è fra i direttori più duttili della sua generazione. La sua versatilità gli ha consentito di approfondire un repertorio che spazia da autori preclassici, al grande melodramma, alle più importanti espressioni del Novecento e della musica d’oggi. Ha fondato l’Ensemble Risognanze, con cui ha affrontato il repertorio cameristico moderno da Debussy in poi, dedicando particolare attenzione a compositori come Castiglioni, Grisey, Sciarrino. Ha diretto nuove produzioni in teatri come l’Opéra di parigi, il Teatro Bolshoi, il Grand Théâtre di Ginevra. Ha diretto formazioni come BBC Symphony Orchestra, hr-Sinfonieorchester di Francoforte, Radio-Sinfonieorchester Stuttgart des SWR, Tokyo philharmonic Orchestra, Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, Orchestra della Svizzera italiana, Klangforum Wien, nelle più prestigiose sale del mondo, in contesti quali il Festival d’automne, gli Schwetzinger SWR Festspiele, Maerz-Musik Berliner Festspiel, ecc. Nel 2012 ha debuttato al Lucerne Festival in pollini perspectives, progetto presentato poi a Tokyo (Suntory Hall), parigi (Salle pleyel), Berlino (philharmonie) e al Teatro alla Scala. Ha effettuato incisioni per Amadeus, Col legno, Kairos, Stradivarius, vincendo premi quali Choc (Le Monde de la Musique) e Diapason d’Or. mAURICE STEGER Il musicista svizzero vive a Zurigo, dove si è formato. Internazionalmente riconosciuto come uno dei più influenti virtuosi del flauto dolce e più popolari solisti della sua generazione, è molto richiesto dalle maggiori orchestre di strumenti antichi, quali Akademie für Alte Musik Berlin, Musica Antiqua Köln e Europa Galante. È regolarmente accompagnato da Naoki Kitaya e Sergio Ciomei. Lavora con celebri direttori d’orchestra e complessi orchestrali. È ospite regolare di festivals e stagioni concertistiche europee. Ha inaugurato nel 201 1 in Brasile il Festival di Belem. Ha diretto prestigiose orchestre quali: Zürcher Kammerorchester, NDR Radiophilharmonie di Hannover, Sinfonieorchester Basel, Orchestra Sinfonica di Taipei, English Concert. Ha riscosso un particolare successo con la favola musicale Tino Flautino. Numerosi i cd registrati e premiati: in Mr. Corelli in London (2010) ripropone uno stile d’esecuzione storicamente autentico, quasi completamente dimenticato. Con l’OSI, D. Cabassi e H. Griffiths ha appena inciso Tea for Two (per Berlin Classics) in co-produzione con RSI Rete Due. Ha vinto numerosi premi tra cui il Friedrich Hegar preis (2002) e il prestigioso Karajan dell’ Eliette von Karajan Kulturfonds. “È il viaggio che vi fa, o vi sfa” “Un viaggio non ha bisogno di motivi. Non ci mette molto a dimostrare che si giustifica da solo. Pensate di andare a fare un viaggio, ma subito è il viaggio che vi fa, o vi sfa”. Con queste parole lo scrittore svizzero Nicolas Bouvier, grande viaggiatore, ne riassume l’essenza. Pensieri che ben si legano all’esperienza di Piotr Il’i ajkovskji, impegnato in un percorso di ricerca personale ed esistenziale segnato da molta sofferenza. Tra il 1877 e il 1885 ajkovskji è attraversato da una profonda crisi, scaturita da un controverso matrimonio con Antonina Miljukova. Asili del suo smarrimento furono la Svizzera, l’Italia e la Francia. La Serenata per archi op. 48, scritta nel 1880 e suddivisa in quattro movimenti, illustra quel suo peregrinare. È un’immersione nelle uniche certezze che la vita in quel momento gli prospetta: lo stile e le formule tecnico-espressive del Classicismo mozartiano. In una lettera indirizzata alla sua mecenate Nadezhda von Meck, egli scrive che “a imitazione del suo stile, con il primo movimento della Serenata intende omaggiare Mozart”. La chiave della composizione è la voglia di oggettività espressiva, povera da coinvolgimenti emotivi se non fosse per quei brevi incisi melodici che trasmettono l’amaro sapore del melanconico mondo di ajkovskji. Per Heitor Villa-Lobos viaggiare è invece sinonimo di arricchimento musicale. Egli percorre a lungo il Brasile e questo peregrinare gli permette di raccogliere esperienze umane e musicali che sono riassunte nella sua personalità artistica. La Bachianas Brasileiras n. 5 per soprano ed ensemble di violoncelli realizzata tra il 1938 e il 1945, è un esempio dell’incontro delle diverse anime dell’artista stimolato da questo suo intenso viaggio. Abbraccia musica popolare brasiliana e musica nello stile di Bach. È suddivisa in due movimenti: il primo porta un titolo bachiano, Aria ed è scritto su un poema di Ruth Valadares Corrêa; il secondo ha un titolo brasiliano, la Dança, su versi del poeta Manuel Bandeira. L’ultima parte di questo viaggio è dedicata a Felix Mendelssohn che ci accompagna in una dimensione onirica con le musiche di scena per l’opera Sogno di una notte di mezz’estate. L’Ouverture, nata come brano autonomo, fu composta nel 1826 quando il compositore aveva soltanto 17 anni, poi completata nel 1843 su commissione del re di Prussia Federico Guglielmo IV. L’idea dell’Ouverture è di farci entrare in materia come se si aprisse un sipario musicale, un “c’era una volta” che introduce quella dimensione fiabesca che poi ritroviamo negli altri movimenti. Sonorità che aspirano all’irreale attraverso idee musicali che, ripetute, entrano nel nostro orecchio e – come in un sogno – evocano figure che ci proiettano in un viaggio immaginario. Federica Thoeni Venerdì 14 marzo ore 20.30 Auditorio RSI Lugano ORChESTRA DELLA SVIZZERA ITALIANA ALAIN LOmBARD hEITOR VILLA-LOBOS SOLISTA 1 887–1 958 SANDRA PASTRANA SOpRANO Bachianas brasileiras n. 5 per soprano e orchestra di violoncelli (1945) 8’ Aria. Cantilena Dança. Martelo PIOTR IL’I AJKOVSKIJ 1 840–1 893 Serenata per orchestra d’archi op. 48 (1880) 28’ pezzo in forma di sonatina Walzer Élegie Finale. Tema russo FELIX mENDELSSOhN 1 809–1 847 Sogno di una notte di mezz’estate op. 61 (1843) 30’ Ouverture Scherzo Notturno Marcia nuziale 81 Concerti dell’Auditorio DIRETTORE ALAIN LOmBARD 83 Nel 1966 ha ottenuto la medaglia d’oro al Concorso Dimitri Mitropoulos, divenendo subito dopo l’assistente di Karajan a Salisburgo e di Bernstein a New York. Ha avviato un’intensa attività quale direttore ospite di importanti orchestre come la New York philharmonic, la philadelphia Orchestra, la Chicago Symphony Orchestra, la London Symphony Orchestra e i Berliner philharmoniker. È stato direttore stabile del Metropolitan di New York, dell’Orchestra Filarmonica di Strasburgo e dell’Opera di Rhin. Dal 1981 al 1983 ha assunto la direzione dell’Opera di parigi e successivamente è stato direttore dell’Opera di Bordeaux, dirigendo circa 200 spettacoli all’anno fra opere e concerti. Nel 1999 ha iniziato una stretta collaborazione con l’Orchestra della Svizzera italiana nel ruolo di direttore principale e nell’autunno 2005 gli è stata conferita la carica di direttore onorario. Nello stesso anno è stato insignito a parigi del premio Karajan alla carriera. Ha inciso numerosi dischi che hanno ottenuto prestigiosi riconoscimenti internazionali, alcuni dei quali con l’OSI. SANDRA PASTRANA Giovane soprano spagnolo, ha debuttato come Serpina nella Serva padrona di pergolesi al Gran Teatre del Liceu di Barcelona. Collabora regolarmente con importanti direttori d’orchestra: Muti, che l’ha diretta nel Don pasquale a Ravenna, piacenza e al Musikverein di Vienna; Gelmetti per La Traviata a Siena; Oren con La Sonnambula al Teatro Carlo Felice di Genova; Rizzi con La Rondine alla Fenice di Venezia; Zedda con Adelaide di Borgogna alla Coruña; B. Campanella per il Don pasquale al Teatro delle Muse di Ancona; Kim Duk-Gi con il Rigoletto in Corea; panni con la Sinfonia n. 9 di Beethoven al Teatro politeama di Lecce; Kuhn con La petite messe solennelle di Rossini e la Messa in si minore di Bach ai Tiroler Festspiele Erl; Benini con La Sonnambula a Cagliari; Sonoda con La Gazza ladra a Wildbad e La Traviata al Shinjuku Bunka di Tokyo. Recentemente è stata Violetta all’Opera di Lubiana. Ha collaborato alla realizzazione della colonna sonora del film The Grandmaster di Wong Kar-wai, pellicola che ha aperto il Festival Internazionale del Cinema di Berlino (2013), ha inoltre inciso La petite messe solennelle per Brilliant. Nei prossimi mesi interpreterà Il cappello di paglia di Firenze di Rota a Firenze. Perle boeme in veste italiana Sebbene nel corso del Settecento Vienna fosse considerata una delle capitali della musica, un’altra città sul territorio dell’Impero asburgico svolgeva un importante ruolo culturale, entrando nella biografia di molti musicisti dell’epoca: Praga. Lì si incrociavano le vie di maestri famosi, alcuni dei quali oggi quasi dimenticati. È il caso di Leopold Antonín Kozeluch. Nato a Velvary in Boemia, dopo gli studi a Praga nel 1778 si trasferisce a Vienna cogliendo successi come pianista, insegnante e compositore. Nel 1791 riceve dagli Stati Boemi la commissione per una cantata: l’occasione è l’incoronazione a Praga di Leopoldo II d’Asburgo a re di Boemia. Per la medesima incoronazione anche Mozart viene incaricato di comporre La clemenza di Tito, sul conto della quale l’allora consorte di Leopoldo II d’Asburgo, l’arciduchessa Maria Luisa di Borbone, ebbe a dire parole, poi divenute celebri, a dir poco provocanti: “una porcheria tedesca in lingua italiana”. Il destino fece sì che alla morte di Mozart, pochi mesi dopo la prima assoluta dell’opera, fosse lo stesso Kozeluch a succedergli nel 1792, per grazia di Leopoldo II, assumendo gli incarichi di Kammer-Kapellmeister e Hofmusik-Kompositor a Vienna. Accanto a numerosi pezzi per pianoforte con e senza orchestra, Kozeluch lasciò alcune interessanti sinfonie concertanti, un genere che nel periodo classico permise a molti strumenti di impronta vivaldiana di sopravvivere, grazie al loro utilizzo all’interno di questa forma di concerto. Una vera “stravaganza strumentale” è la Sinfonia concertante di Kozeluch che sfoggia un insolito accostamento di strumenti solistici, rappresentativi dell’ideale italiano di chiarezza e cantabilità tipiche della generazione di Viotti, il compositore italiano coetaneo di Mozart. Kozeluch si era accostato a questo stile studiando con František Xaver Dušek, presso il quale Mozart fu sovente ospite a Villa Bertramka, durante le sue reiterate visite alla capitale boema. A Praga alcuni dei capolavori di Mozart suscitarono un notevole successo; di questo forte “idillio” riporta lo stesso Mozart in una sua lettera, in cui scrive “i miei praghesi mi intendono”. La Sinfonia n. 38, che reca il nome della capitale boema, ebbe la sua prima al Teatro degli Stati a Praga nel 1787, l’anno in cui Mozart vi diresse anche Le nozze di Figaro e la prima di Don Giovanni. In questa sinfonia Mozart si rifà al tradizionale modello napoletano, quindi senza il minuetto divenuto quasi d’obbligo con la scuola di Mannheim, ispirandosi a quell’italianità che tanto era mancata all’arciduchessa Maria Luisa quando, lontana dalla sua patria, quattro anni dopo, in occasione de La clemenza di Tito, vi si era riferita in maniera tanto provocatoria. Nicola Schneider Venerdì 21 marzo ore 20.30 Auditorio RSI Lugano DIRETTORE DAmIAN IORIO DUILIO GALFETTI MANDOLINO mARKUS WÜRSCh TROMBA ENRICO FAGONE CONTRABBASSO PIERRE GOY FORTEpIANO WOLFGANG AmADEUS mOZART 1 756–1 79 1 La Clemenza di Tito, ouverture KV 621 (1791) 5’ LEOPOLD ANTONÍN KOZELUCh 1 747–1 8 1 8 Sinfonia concertante per mandolino, tromba, contrabbasso, fortepiano e orchestra (1798) 28’ Allegro Andantino con variazioni Finale. Allegretto WOLFGANG AmADEUS mOZART 1 756–1 79 1 Sinfonia n. 38 in re maggiore KV 504 Praga (1786) 28’ Adagio. Allegro Andante Finale. presto 85 Concerti dell’Auditorio SOLISTI DAmIAN IORIO Nasce a Londra da una famiglia di musicisti italo-inglesi. Si diploma in violino ed entra nell’Orchestra Sinfonica Nazionale Danese. Studia direzione d’orchestra a San pietroburgo. Diviene direttore artistico e direttore principale dell’Orchestra Filarmonica di Murmansk in Russia, contribuendo al suo sviluppo e successo. Ha un ampio repertorio sia sinfonico sia operistico, che spazia dal primo classicismo alla musica contemporanea. Lavora con molte orchestre giovanili europee ed è direttore musicale della National Youth String Orchestra in Gran Bretagna. È ospite regolare di orchestre quali: London philharmonic Orchestra, BBC Symphony Orchestra, BBC philharmonic, Detroit Symphony Orchestra, Orchestra Sinfonica della Radio dei paesi Bassi, Filarmonica di San pietroburgo, Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI e Orchestra Sinfonica La Verdi. L’attività in ambito operistico comprende esecuzioni al Glyndebourne Festival Opera, all’Opéra de paris, in Germania, in Italia, negli Stati Uniti e in Russia, dove ha tra l’altro dato la prima esecuzione dell’opera di Michael Nyman The Man who mistook his Wife for a Hat, che fu inserita tra i migliori allestimenti in campo lirico al Golden Mask Festival 2004 di Mosca. Si diploma con lode al Conservatorio di Lucerna in tromba e in direzione per orchestra di fiati; al Conservatorio di Zurigo con H. Adelbrecht ottiene il diploma di solista. Dopo un anno trascorso al Conservatorio di parigi con p. Thibaut, studia in USA alla Northwestern University di Chicago con V. Chicowicz e alla Eastman School of Music, Rochester NY con C. Geyer. Dal 198 1 fino al 1995 è prima tromba della Tonhalle Orchester Zürich. Nel 1995-96 riprende i suoi studi a Londra. Si perfeziona nella pratica esecutiva storica (tromba barocca e cornetto) e nella direzione di ensembles alla Royal Academy of Music, al Royal College, al Trinity College of Music e alla Guildhall School. Come solista è invitato da formazioni orchestrali diverse, in Svizzera e all’estero. È prima tromba di La Cetra e I Barocchisti. In un progetto di ricerca dell’Hochschule der Künste di Berna, sostenuto dal Fondo Nazionale Svizzero, si è occupato della tromba a chiavi, realizzando con Konrad Burri Zimmerwald un particolare strumento, utilizzato nel giugno 2013 per la registrazione dei concerti di Haydn e Hummel. Insegna anche alla Hochschule di Lucerna. PIERRE GOY Studia e si diploma in pianoforte a Losanna e pully con Fausto Zadra e Edith Murano; si perfeziona con Esther Yellin e Vlado perlemuter a parigi; frequenta i corsi di Jörg Demus e Nikita Magaloff. Appassionatosi alle possibilità espressive degli strumenti antichi, segue i seminari di paul Badura-Skoda e Jesper Christensen. Ha registrato diversi cd: Liszt, Les Années de pèlerinage: Suisse (Cantando); Chopin à Vienne (Lyrinx); Claviers mozartiens (Lyrinx). Di recente pubblicazione il cd Chopin œuvres concertantes, con un quartetto composto da membri de Il Giardino Armonico. In duo con Nicole Hostettler si esibisce in formazioni diverse e miste con pianoforte, clavicembalo o clavicordo. Hanno inciso: Louis Couperin & les claviers expressifs de pascal Taskin (Lyrinx) e opere di J. G. Müthel (Cantando). In formazione cameristica collabora con membri de Il Giardino Armonico, Quatuor Mosaïques, Ensemble Baroque de Limoges e con la violinista Liana Mosca. Insegna alle Hautes écoles de Musique di Ginevra e Losanna. È il promotore dei Rencontres Internationales harmoniques di Losanna. 87 mARKUS WÜRSCh DUILIO m. GALFETTI 89 Nato a Locarno, si diploma in violino al Conservatorio di Lucerna sotto la guida di Gunars Larsens e Rudolf Baumgartner. Inizia una lunga collaborazione con Il Giardino Armonico di Milano, approfondendo le prassi esecutive antiche ed esibendosi nei più prestigiosi festivals e sale da concerto internazionali. Incide per Teldec l’integrale dei concerti per mandolino e liuto di Vivaldi e i Concerti Brandeburghesi di Bach. Membro dell’Orchestra della Svizzera italiana, fonda con Diego Fasolis l’ensemble I Barocchisti, ricoprendo per un decennio il ruolo di spalla e solista. Copiosa la produzione discografica, anche con il Coro della RSI. Di particolare interesse le incisioni di Vivaldi – Le quattro Stagioni (Claves) e i concerti inediti per violino (Naïve) – e di Beethoven, l’integrale delle opere per mandolino e fortepiano. prestigiose le collaborazioni con Leonhardt, Koopmann, Biondi e Clemencic. Con Luca pianca è in uscita un cd di opere del Settecento italiano per mandolino e basso continuo. Con il mandolino è stato invitato a più riprese all’Opernhaus di Zurigo; con la Lucerne Festival Orchestra diretta da Claudio Abbado ha eseguito in tournée la Sinfonia n. 7 di Mahler (Decca). ENRICO FAGONE Vincitore giovanissimo d’importanti Concorsi nazionali e internazionali, si diploma con L. Colonna presso il Conservatorio di piacenza, con il massimo dei voti. È regolarmente invitato a importanti festivals di musica da camera, dove collabora con artisti di generi musicali diversi quali M. Argerich, M. Maisky, I. Gitlis, G. Feidman, N. Marconi, L. Bacalov, Elio (e le Storie Tese). Come solista – caso raro per un contrabbassista – viene invitato in tutto il mondo da orchestre quali l’Orchestra di padova e del Veneto, la National Youth String Orchestra (Gran Bretagna), i Cameristi del Maggio Musicale Fiorentino, la Municipale di Rosario (Argentina), la Sinfonica Nazionale del paraguay, la Sinfonica di Haifa (Israele), I Musici di parma. Oltre ad essere prima parte dell’OSI, collabora con la Filarmonica della Scala, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, i Solisti Veneti e il Teatro dell’Opera di Roma. Ha inciso per EMI (Argerich&friends) e RaiTrade. pluripremiato dalle più importanti riviste specializzate il cd Bottesini duets con l’OSI (Stradivarius). Tiene masterclasses in vari paesi ed è docente presso il Conservatorio della Svizzera italiana. È Ambasciatore del Martha Argerich presents project nel mondo. Favolose “turcarie” tra oriente e occidente Siamo nell’estate del 1683. Al suono fragoroso della banda dei Giannizzeri i Turchi assediano Vienna. La loro musica ha una sonorità straordinaria, ricca di percussioni “rumorose” come grancassa, tamburi, triangoli, timpani, cimbali, piatti e sonagli vari. Le melodie sono incalzanti, molto ritmiche e naturalmente di carattere guerresco. Quanto basta per colpire indelebilmente gli orecchi dei soldati cristiani assediati. I turchi se ne andranno sconfitti, ma la loro musica conquisterà tutti, anche i palati raffinati dei nobili viennesi. Sorseggiando tazzine di caffè, nuova bevanda portata, si dice, dagli Ottomani, la bella società comincia a parlare della favola turca e di un oriente immaginario che, dopo lo scampato pericolo dell’assedio, non suscita più paura ma solo curiosità e interesse. Le “cose turche” fanno ormai tendenza, il modo di parlare buffo dei Giannizzeri, il loro abbigliamento eccentrico e stravagantissimo, tutto infiocchettato, e naturalmente la leggendaria potenza della loro musica. Già tempo prima il sovrano francese Luigi XIV aveva intuito il grande impatto che le bande turche avrebbero avuto in tutta Europa; per non essere da meno chiese al suo compositore di corte Jean-Baptiste Lully di aumentare l’intensità sonora della sua musique militaire. Lully vi aggiunse percussioni turche, e allargò il gusto per le “turcherie” anche alla musica da scena: nella comédie-ballet Le Bourgeois gentilhomme dedicò un intero atto alla “cerimonia dei turchi”, con balli e cori di grande effetto. Qualche anno dopo, nel 1701, Johann Joseph Fux scriverà la Partita Turcaria, una suite di danze “turcheggianti” che descrivono proprio l’assedio del 1683. E ancora un secolo dopo, scrivendo la sua Sinfonia Militare n. 100, Joseph Haydn non farà altro che riprendere gli stereotipi ormai diffusissimi di un’orchestrazione “alla turca” e quei tipici ritmi serrati che alla prima londinese faranno letteralmente furore, tanto che “anche le signore non si contenevano più” (Morning Chronicle, Londra 1794). Il primo incontro musicale tra il popolo cristiano e quello ottomano avvenne, si può dire, sul campo di battaglia. Oggi le luccicanti armature hanno lasciato il posto all’inamidato frac e Haydn può conversare amabilmente con il sultano e compositore turco suo coevo Selim III. E il percussionista e compositore turco Burhan Öçal può far visita a Jean-Baptiste Lully nella corte di Versailles e suonare un po’ con lui, a distanza di 350 anni. Öçal facendo ballare le sue dita virtuosissime, Lully battendo per terra il suo lungo bastone di metallo da direttore d’orchestra. Roberta Gandolfi Vellucci Venerdì 28 marzo ore 20.30 Auditorio RSI Lugano DIRETTORE hOWARD GRIFFIThS FRANZ JOSEPh hAYDN 1 732–1 809 BURhAN ÖCAL ISTANBUL ORIENTAL ENSEmBLE pERCUSSIONI Sinfonia n. 100 in sol maggiore hob. I:100 militare (1794) 24’ Adagio. Allegro Allegretto Menuet. Moderato Finale. presto JEAN-BAPTISTE LULLY 1 632–1 687 marche pour la cérémonie des Turques da Le Bourgeois gentilhomme (1670) 3’ JOhANN JOSEPh FUX 1 660–1 74 1 Turcaria K. 331 (1683) 13’ SULTAN SELIm III 1 76 1–1 808 Sûz-i Dilârâ Pes ¸rev 2’ BURhAN ÖCAL 1 953 * Cariye Dance of Rhythms 91 Concerti dell’Auditorio SOLISTI hOWARD GRIFFIThS 93 Nato in Inghilterra, studia al Royal College of Music di Londra. Dal 1981 vive in Svizzera. Dal 2007 (e perlomeno fino al 2015) è direttore musicale e direttore principale della Brandenburgische Staatsorchester Frankfurt. Dal 1996 al 2006 è stato direttore artistico e direttore principale della Zürcher Kammerorchester. Ha diretto le più importanti orchestre e molti solisti internazionali, tra queste la Royal philharmonic Orchestra, l’Orchestre National de France, l’Orchestra Sinfonica ajkovskij della Radio di Mosca, la Israel philharmonic Orchestra, l’Orchestra of the Age of Enlightenment, i London Mozart players, l’Orquesta National de España e la WDR Sinfonieorchester Köln. Oltre a queste prestigiose collaborazioni è profondamente impegnato nel sostenere e promuovere i giovani musicisti e lo sviluppo musicale di bambini e adolescenti. Il suo più recente successo in quest’ambito è il suo nuovo libro per bambini intitolato Die Hexe und der Maestro (2012). Ha prodotto oltre 100 cd che coprono un vasto e ricco repertorio. per il suo contributo alla vita musicale svizzera, è stato nominato Member of the British Empire nel 2006 ed inserito nell’annuale lista d’onore inglese. BURhAN ÖçAL E ISTANBUL ORIENTAL ENSEmBLE Fondato in Turchia nel 1991 dal polistrumentista Burhan Öçal, l’Ensemble si prefigge di ricreare l’atmosfera e lo stile della musica gitana, in particolare quella proveniente da Turchia e Tracia. L’Ensemble, oltre a due percussionisti, annovera una formazione tradizionale con clarinetto, kanun (cetra), oud e violino per le sue melodie. Cresciuto a 100 Km da Istanbul, fin dalla prima infanzia Öçal ha vissuto a contatto con la musica gitana. Da adulto si è affermato come musicista suonando più strumenti con artisti diversi quali il Kronos Quartet e Joe Zawinul e affrontando generi diversi, dal classico, al jazz, al drum and bass. Ha fondato l’Istanbul Oriental Ensemble unendo i migliori musicisti rom gitani della Turchia: Ferdi Nadaz (clarinetto), Muzzafer Coskuner (oud), Sahin Sert (kanun), Fethi Tekyaygil (violino) e Ekrem Bagi (percussioni). Invitati in Europa a festivals e concerti, hanno acquisito notorietà ancor prima del loro primo album, Gypsy (1996), che ha vinto il prestigioso premio della Deutsche Schallplattenkritik. Si sono esibiti in tutto il mondo per più di due decenni, ottenendo consensi da pubblico e critici per la loro autenticità e per la qualità della loro improvvisazione nota come Taqsim. Fragranza di magnolie La Spagna! Mettiamo un punto esclamativo, ben sapendo che potremmo anche inserire due punti e iniziare così un lungo elenco di aspetti che di quel Paese ci affascinano. Non potrebbe mancare la musica che, nel corso dei secoli, ha prodotto opere meravigliose, in loco ma anche transpirenaiche (è il caso, emblematico, di Carmen). Ispirato ad un celebre racconto di Pedro de Alarcón, Il cappello a tre punte di De Falla riscosse un grande successo sin dalla prima esecuzione, con i Ballets Russes di Diaghilev e le scene e i costumi di Picasso. Due suite per orchestra furono autorizzate da De Falla all’inizio degli anni Venti. La prima, è una sorta di tavolozza di colori che dà la possibilità all’ascoltatore di dipingere nella mente l’immagine della campagna di Granada, dove si lavora a passo di danza e dove il Corregidor – ovvero il governatore – tenta di sedurre la giovane donna del mugnaio. Ma la bella fanciulla non è sprovveduta: si lancia in uno scatenato e sensuale fandango, con l’intento di far scivolare il Corregidor – del cui grado è simbolo un cappello a tre punte – e di tornare nelle braccia del marito. Altrettante immagini vengono alla mente ascoltando il Concerto de Aranjuez che, come ci suggerisce lo stesso Rodrigo, ci fa immaginare “la fragranza delle magnolie, il canto degli uccelli ed il fragore delle fontane” dei giardini del Palazzo Reale di Aranjuez, nei pressi di Madrid. Questi incorniciavano la residenza primaverile di re Filippo II nella seconda metà del XVI secolo ed erano noti soprattutto per la loro estensione. Rodrigo, che era cieco, fu pianista e non suonò mai la chitarra; ciononostante riuscì a catturare lo spirito della chitarra spagnola. Lo strumento è il protagonista assoluto della sua composizione e il suo suono non viene mai coperto dall’orchestra. Un omaggio alla chitarra classica, alla quale pochi compositori hanno affidato il ruolo di solista e che ha reso quello di Aranjuez uno dei concerti più eseguiti e amati al mondo. L’affascinante percorso musicale termina con la Sinfonia in do maggiore di Bizet: è l’unico titolo sinfonico del celebre compositore della Carmen. A differenza del capolavoro teatrale, la Sinfonia rimase a languire nella biblioteca del Conservatorio di Parigi fino agli anni ’30 del Novecento, quando ebbe finalmente la sua prima esecuzione a Basilea. Nella pagina, scritta da un Bizet diciassettenne, ritroviamo già tutta la sua maestria, il suo amore per i colori vivaci e limpidi e la felicità melodica. Giada Marsadri Venerdì 4 aprile ore 20.30 Auditorio RSI Lugano ORChESTRA DELLA SVIZZERA ITALIANA ANTONELLO mANACORDA mANUEL DE FALLA SOLISTA 1 876–1 946 ´ CHITARRA mILOŠ KARADAGLIC El sombrero de tres picos, suite n. 1 (1917) 13’ Introduzione. Allegro ma non troppo Meriggio. Allegretto, calmo e pesante Danza della mugnaia. Allegro ma non troppo L’uva. Vivo JOAQUÍN RODRIGO 1 902 * Concerto de Aranjuez per chitarra e orchestra (1940) 23’ Allegro con spirito Adagio Allegro gentile GEORGES BIZET 1 838–1 875 Sinfonia in do maggiore (1855) 36’ Allegro Andante Scherzo Finale 95 Concerti dell’Auditorio DIRETTORE ANTONELLO mANACORDA 97 Nato a Torino, dopo una lunga esperienza come Konzertmeister nella Gustav Mahler Jugendorchester, nel 1997, con alcuni colleghi e sotto la spinta di Claudio Abbado, fonda la Mahler Chamber Orchestra, della quale è stato Konzertmeister e vice presidente per otto anni. Ha studiato direzione d’orchestra con Jorma panula a Helsinki. È stato direttore musicale dei pomeriggi Musicali di Milano dal 2006 fino al 2010, quando è stato nominato direttore principale e direttore artistico della Kammerakademie di potsdam, con la quale sta realizzando per SONY l’integrale delle Sinfonie di Schubert. Dal 201 1 è anche direttore musicale e principale dell’Het Gelders Orkest in Olanda. Attivo in ambito lirico e sinfonico, ha diretto orchestre quali l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, l’Orchestra della Fenice di Venezia, la Zürcher Kammerorchester, la Scottish Chamber Orchestra, l’Ensemble Orchestral de paris, hr-Sinfonieorchester di Francoforte, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI di Torino. Oltre alla ripresa del Trittico mozartiano alla Fenice di Venezia, di recente si segnala il ritorno a Francoforte e a Sydney e nel 2014 con l’Orchestre National du Capitole de Toulouse, l’Orchestra Sinfonica di Göteborg e la NDR Radiophilharmonie di Hannover. ´ mILOŠ KARADAGLIC Nato in Montenegro nel 1983, ha iniziato a suonare la chitarra all’età di 8 anni e a 1 6 anni è entrato alla Royal Academy of Music di Londra grazie ad una borsa di studio. È considerato uno dei chitarristi più talentuosi del panorama musicale internazionale. Ha già vinto numerosi premi a livello internazionale, tra questi lo Young Artist of the Year della rivista Gramophone e il Newcomer of the Year di ECHO Klassik. Nel settembre del 2012 si è esibito in récital alla Royal Albert Hall di Londra di fronte a un pubblico di tremila persone. La stagione 2012/2013 ha registrato anche i suoi debutti ai BBC proms di Londra, al Concertgebouw di Amsterdam, alla Tonhalle-Orchester Zürich e con la NHK Symphony Orchestra Tokyo, la Filarmonica di Hong Kong e la Royal Scottish National Orchestra. Di recente si è esibito in récital alla Wigmore Hall di Londra, al Théâtre des Champs-Elysées a parigi, alla Carnegie Hall di New York, al Lucerne Festival e in concerto con la London philharmonic Orchestra e la English Chamber Orchestra. È impegnato a supporto dei giovani talenti sostenendo il Mayor of London’s Fund for Young Musicians e organizzando gli Awards for Young Musicians. Registra in esclusiva per Deutsche Grammophon. Affascinanti trascrizioni ottocentesche per pianoforte e harmonium Il repertorio per pianoforte e harmonium (o pianoforte e organo), costituisce un patrimonio musicale affascinante e degno di riscoperta. Tale letteratura consta di trascrizioni, soprattutto di pagine orchestrali, e brani originali, quasi sempre di grande bellezza. La trascrizione costituì per molto tempo lo strumento privilegiato di analisi e di divulgazione, riservato alle pagine concepite originariamente per grandi organici e diventate ormai imprescindibili. La trascrizione per organici ridotti e soprattutto per tastiere (pianoforte, harmonium e organo) aveva inoltre lo scopo di mettere in evidenza l’abilità virtuosistica dell’esecutore. La parte del programma dedicata alle trascrizioni è in gran parte rivolta all’opera di Richard Wagner, nel duecentesimo anniversario della nascita. È poi completata da brani di Schumann e Liszt, autori comunque legati, pur in maniera e in tempi diversi, all’estetica wagneriana. L’influenza di Wagner sulla vita culturale europea tra gli anni Sessanta dell’Ottocento e gli anni Trenta del Novecento fu immensa e polivalente. Ogni intellettuale vissuto in quegli anni, a prescindere dal proprio ambito di studio e di attività, dovette fare i conti con l’estetica wagneriana, che penetrò nella letteratura come nelle arti figurative – si pensi allo stile neogotico – dalla filosofia alla psicanalisi, fino alla religione: proprio in quegli anni e proprio dallo spiritualismo del Parsifal nasceranno, infatti, molte nuove sette esoteriche. L’impatto di Wagner sul mondo musicale fu così forte da essere quasi paralizzante. Basti ora citare l’esclamazione di Emmanuel Chabrier dopo il primo ascolto del Tristan: “C’è musica sufficiente per un secolo in quest’opera; non ci resta più nulla da fare”. Anche i compositori che all’inizio del Novecento promossero, in forme diverse, il superamento del wagnerismo, attraversarono periodi di adesione all’estetica wagneriana, con tanto di pellegrinaggio a Bayreuth, diventato quasi obbligatorio per i musicisti e in generale per gli artisti attivi in quell’epoca: si pensi, in tal senso, a Debussy. Amata e profondamente studiata, la musica di Wagner fu dunque ampiamente sottoposta allo strumento della trascrizione per tastiere e in questo vasto corpus spiccano le riletture per pianoforte e harmonium (o organo), firmate da August Reinhard (1831-1912). Professore privato del figlio del Principe di Wittgenstein, nel corso dei suoi viaggi in compagnia del Principe, ebbe l’occasione di visitare l’Akustische Kabinett di Kaufmann & Sohn a Dresda. Qui suonò per la prima volta il nuovo modello di harmonium a pressione brevettato dalla ditta, strumento di cui in breve divenne un esperto esecutore. Le sue pubblicazioni relative allo strumento comprendono trascrizioni, brani originali e una Harmoniumschule di cui furono vendute più di 40.000 copie prima della morte dell’autore. Giulio Mercati Primo Piano Ashkenazy Domenica 6 aprile ore 17.00 Auditorio RSI Lugano RIChARD WAGNER 1 8 1 3–1 883 GIULIO mERCATI HARMONIUM Siegfried-Idyll (1870) 19’ trascrizione per pianoforte di August Reinhard ROBERT SChUmANN 1 8 10–1 856 Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore op. 97 Renana (1850) 6’ trascrizione per pianoforte di August Reinhard Nicht schnell RIChARD WAGNER 1 8 1 3–1 883 Die meistersinger von Nürnberg (1876) 10’ trascrizione per pianoforte di August Reinhard Vorspiel, Atto I RIChARD WAGNER 1 8 1 3–1 883 Karfreitagszauber da Parsifal (Atto III) (1882) 1 1’ FRANZ LISZT 1 8 1 1–1 886 Les Préludes, trascrizione di August Reinhard (1848) 15’ 99 Concerti dell’Auditorio VOVKA AShKENAZY pIANOFORTE VOVKA AShKENAZY 101 Nato a Mosca, primogenito di due grandi musicisti, inizia precocemente lo studio del pianoforte con Sigurjónsson a Reykjavík (Islanda). In Inghilterra entra al Royal Northern College of Music, dove segue i corsi di M.me Aronovsky, oltre a quelli di Leon Fleisher e peter Frankl. Debutta a Londra con il Concerto n. 1 di ajkovskij e con la London Symphony Orchestra diretta da Richard Hickox. Da allora suona in prestigiosi teatri in Europa, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Cina e nelle due Americhe. partecipa a numerosi festivals internazionali ed è ospite delle maggiori orchestre. Suona spesso con il Quintetto di fiati di Reykjavík, con il fratello, clarinettista, ed il padre, con il quale è spesso impegnato in tournées e registrazioni; una lunga tournée prevista nel 2014 li vedrà in Europa, così come in Giappone, Cina e Corea. Risiede in Ticino dove tiene un corso “post graduate” presso il Conservatorio della Svizzera italiana; dal 201 1 è professore presso la prestigiosa Accademia pianistica di Imola; è inoltre direttore artistico del Concorso pianistico Rina Sala Gallo di Monza. GIULIO mERCATI Nato a Saronno, è stato avviato alla musica all’età di sei anni dal Mo Lamberto Torrebruno, esponente di un’importante famiglia di musicisti; si è quindi perfezionato in organo, composizione e clavicembalo con L. Toja, J. Boyer, O. Latry, B. Bettinelli, E. Fadini e D. Costantini. Musicista versatile, è concertista assai richiesto e stimato a livello internazionale, soprattutto come solista all’organo e al clavicembalo; è anche attivo come continuista e tastierista di diverse importanti formazioni, collaborando con direttori quali Lombard, Ashkenazy, Vedernikov, Holliger, Soudant, Manacorda, Montanari e Dantone. È organista titolare presso la Basilica di San Vincenzo in prato a Milano e la Chiesa di Santa Maria degli Angioli a Lugano; è fondatore e direttore del Gruppo Vocale San Bernardo. Ha inciso per RTSI, Bottega Discantica e Tactus. Nel 1996 si è laureato con lode in filosofia presso l’Università Cattolica di Milano. Nel 1998 ha pubblicato l’esteso saggio musicologico Bruno Bettinelli: il cammino di un musicista (Rugginenti). È compositore attivo soprattutto nel campo organistico e corale. Aristocrazia e proletariato strumentale Se solo potessero parlare, con ogni probabilità smentirebbero tutto quello che sul loro conto è stato detto e deciso nel corso dei secoli. Ma siccome per gli strumenti musicali l’unica facoltà espressiva è quella d’emettere suono, loro malgrado dovranno continuare a subirsi le etichette e le consuetudini stabilite da chi da sempre li crea e li maneggia, vale a dire l’uomo. Così ancora per molto tempo si dirà che gli strumenti a fiato, in particolare gli ottoni, sono degli strumenti nobili. Sia per il materiale pregiato con cui sono costruiti, sia per alcuni degli usi cui sono stati nel tempo destinati (come l’accompagnamento delle aristocratiche battute di caccia o delle solenni cerimonie dei sovrani), sia per la tipologia del suono emesso, spesso recepito come “puro” quasi al limite dell’algido. Dall’altro lato stanno invece gli archi: strumenti del popolo costruiti in mille fogge e con i materiali più disparati, che hanno visto sviluppare la propria natura più nelle locande che non nelle accademie, che milioni di volte hanno accompagnato i più scanzonati così come i più tristi momenti esistenziali dell’uomo qualunque. Strumenti profondamente proletari, quindi. Fino a qui le etichette e i pregiudizi, che valgono come tali e poco di più. Perché l’esperienza che oggi si può avere in un concerto con archi e fiati – un concerto classico-sinfonico, quindi – non è certo più quella di una netta suddivisione tra nobiltà e popolino, tra sonorità “alte” e sonorità “basse”. E il modo migliore per provarlo è quello di ascoltarli almeno una volta separati gli uni dagli altri. Così con la Serenata di Richard Strauss si è sì di fronte ad un brano ricco di charme e di vivacità, segnato da una ragguardevole perizia tecnica che contraddice la giovanissima età (diciotto anni) dell’autore. Ma l’opulenza dei quattro corni e dei doppi legni più controfagotto non pone l’ascoltatore in una subordinata posizione di noblesse oblige: l’impressione contemporanea derivata dal quel sound è ormai quella di un raffinato impasto di colori creato per un ben preciso contesto concertistico. Nessuno si aspetta che dalla porta entrino improvvisamente il marchese e il conte in abiti da caccia. Così il brano Quasi idilliaco di Mathias Steinauer ci riporta invece gli strumenti ad arco nella loro più elevata condizione, che con il popolare non ha più nulla a che vedere. Si tratta anzi della quintessenza delle sonorità colte, il punto d’arrivo di un progresso musicale durato secoli. Dove casomai l’elemento estraniante è offerto dal solista, impegnato con uno strumento di recentissima invenzione svizzera e di acclamata diffusione planetaria. Se dunque tra fiati ed archi non c’è più quella dialettica di contesto sociale, viene forse meno la possibilità di una loro ulteriore sintesi? Wolfgang Amadeus Mozart ci risponde di no, nel senso che con la sua Serenata Posthorn ribadisce come le caratteristiche di ogni strumento siano primariamente di tipo musicale, e che il loro equilibrio – la loro fertile unione – vadano ricercati attraverso la sapiente opera di composizione. Con tuttavia la licenza di ammiccare anche al mondo “esterno” e alla vita di tutti i giorni, adottando in musica il tipico richiamo del corno postale. Zeno Gabaglio Venerdì 1 1 aprile ore 20.30 Auditorio RSI Lugano RIChARD STRAUSS 1 864–1 949 ORChESTRA Serenata per 1 3 strumenti a fiato in mi bemolle maggiore op. 7 (1881) 10’ Andante DELLA SVIZZERA ITALIANA DIRETTORE da definire 1 959 * SOLISTA Quasi idilliaco per hang e orchestra op. 27 (2012) 15’ parade-Sérénade (... da war ich noch nicht ...) White Cube I Arkadien ... in Schieflage geratend White Cube II Drei Mal Savinio. a) Sérénade b) Objets dans la forêt c) senza titolo, 1929 White Cube III Ausgrenzungen White Cube IV Graffiti White Cube V Mattscheibe TILO WAChTER HANG WOLFGANG AmADEUS mOZART 1 756–1 79 1 Serenta n. 9 in re maggiore KV 320 Posthorn (1779) 41’ Adagio maestoso. Allegro con spirito Menuetto. Allegretto Concertante. Andante grazioso Rondeau. Allegro ma non troppo Andantino Menuetto Finale. presto 103 Concerti dell’Auditorio mAThIAS STEINAUER TILO WAChTER 105 Nato nel 1967 nella Germania del sud, studia percussioni latine al Conservatorio di Rotterdam (paesi Bassi). Dal 1989 è trainer e direttore musicale in diversi progetti di teatro, danza e musica per la New York Dance Company, il Theater Casa Max di Cologna, la ELAN Wales (European Live Arts Network) Company e in Italia. Nel 1996 fonda a Muellheim (Germania) la sua scuola di percussioni e performance Etage Zwei, che combina performance, teatro e musica in una nuova concezione pedagogica e offre seminari per insegnanti di musica e terapeuti. Nel 2001 dà avvio allo Jugend-Musik-performance Ensemble Andromeda, per il quale compone regolarmente e crea le coreografie. Dal 2002 si esibisce internazionalmente come solista, unendo voce a un nuovissimo strumento: l’Hang. Nel 2004 è regista e coreografo in Germania del Musical Muellheim. Compone e suona con Die Gloeckner, un trio fondato nel 2005 per spettacoli musicali che prevedono 40 campanelli cromatici, gongs e voce. Dal 2006 è in tournée con Nachts im Gras sia nella versione per Hang e voce, sia in duo con il chitarrista Gernot Roedder. Le sue composizioni sono disponibili su cd. Una Sinfonia-cantata per i quattrocento anni dell’invenzione della stampa Delle cinque sinfonie scritte da Felix Mendelssohn in età matura, la n. 2 in si bemolle maggiore op. 52 è la meno conosciuta, ma non per questo la meno significativa. Composta nel 1840 porta il titolo di Lobgesang (‘Canto di lode’). Durante l’Ottocento diviene una delle opere più popolari del compositore tedesco, anche se è probabile che non fu sempre ben compresa. Nel secolo successivo perde il favore del pubblico: la sua riscoperta è posteriore a quella di altre più fortunate sinfonie quali l’Italiana e la Scozzese e avviene a Novecento inoltrato. La composizione è strettamente legata all’occasione per la quale è stata creata: i festeggiamenti per i quattrocento anni dell’invenzione della stampa che si tennero a Lipsia, uno tra i più importanti centri dell’editoria tedesca. I festeggiamenti si concentrarono in particolare su Johannes Gutenberg, l’inventore nel 1440 dei caratteri mobili, e sulla sua Bibbia, il primo libro stampato in Europa con questa innovativa tecnica, che poté così essere capillarmente divulgata. Il Lobgesang venne eseguito per la prima volta nella Thomaskirche di Lipsia il 25 giugno 1840 sotto la direzione di Mendelssohn: il concerto, con più di cinquecento esecutori, chiuse trionfalmente i tre giorni consecutivi di festeggiamenti e ne rappresentò l’apoteosi. Si tratta di una composizione ibrida, una Sinfoniacantata, che presenta tre movimenti iniziali sinfonici, seguiti da nove movimenti per soli, doppio coro e orchestra (la Cantata sinfonica) e che si apre con un breve motivo intonato dai tromboni, cui risponde tutta l’orchestra. Il medesimo motto è ripreso più volte, in particolare all’inizio della seconda parte della composizione, la Cantata, quando il coro intona i versi “Alles, was Odem hat, lobe den Herrn!” (‘Tutto ciò che ha respiro lodi il Signore!’ Ps. 150,6). Nel Lobgesang, oltre alle parti orchestrali e corali molto intense, vi sono anche tre solisti. I testi sono estratti della Sacre Scritture (per celebrare la Bibbia di Lutero) e viene inoltre inserito il Corale “Nun danket alle Gott” (‘Rendete grazie a Dio’). Mendelssohn vi prepone le parole di Lutero: “Vorrei che tutte le arti, la musica soprattutto, fossero al servizio di colui che le ha create”. Anna Ciocca-Rossi Per il secondo anno consecutivo, dopo il successo riscosso dalla Messa da Requiem di Verdi, viene proposta un’importante e inedita coproduzione all’interno della splendida Collegiata di Bellinzona, che vede impegnati la RSI Rete Due, Lugano Festival, i Vesperali – Amici della Musica in Cattedrale ed il Municipio di Bellinzona. Concerto del Venerdì Santo Venerdì 18 aprile ore 20.40 Collegiata Bellinzona ORChESTRA DELLA SVIZZERA ITALIANA CORO E SOLISTI 107 Concerti dell’Auditorio DELLA RADIOTELEVISIONE SVIZZERA DIRETTORE DIEGO FASOLIS FELIX mENDELSSOhN Lobgesang, sinfonia cantata su testi biblici in si bemolle maggiore per soli, coro e orchestra op. 52 (1840) 65’ Sinfonia Allegro moderato maestoso Recitativo Coro. A tempo moderato Andante Allegro un poco agitato Allegro maestoso e molto vivace Corale. Andante con moto Andante sostenuto assai Coro finale. Allegro non troppo vivace Concerto ripreso da DIEGO FASOLIS 109 Formatosi a Zurigo in organo, pianoforte, canto e direzione, è titolare di diversi premi e lauree internazionali (Stresa, Migros-Göhner, Hegar preis, Concorso di Ginevra). Come organista ha studiato con i maggiori didatti (Eric Vollenwyder, Gaston Litaize e Michael Radulescu) conducendo una ricca attività che lo ha portato ad eseguire più volte le integrali di Bach, Buxtehude, Mozart, Mendelssohn, Franck e Liszt. Dal 1993 è maestro stabile del Coro della RSI e nel 1998 ha fondato I Barocchisti, di cui è direttore stabile. Con questi due gruppi ha prodotto una notevole discografia insignita dei più ambiti riconoscimenti della stampa specializzata. In ambito concertistico sono numerosi i riscontri ottenuti su scala internazionale anche come direttore ospite, presso istituzioni quali RIAS Kammerchor Berlin, Sonatori de la Gioiosa Marca, Concerto palatino, Orchestra Sinfonica e Orchestra Barocca di Siviglia, Orchestre e Cori dei Teatri La Scala Milano, Opera di Roma, Carlo Felice di Genova, Arena di Verona, Comunale di Bologna e le maggiori orchestre svizzere. “In ragione della sua eccellenza di artista” gli è stato attribuito dal pontificio Istituto di Musica Sacra il dottorato honoris causa. CORO DELLA RADIOTELEVISIONE SVIZZERA Fondato nel 1936 da Edwin Loehrer ha raggiunto rinomanza mondiale con registrazioni radiofoniche e discografiche relative al repertorio italiano tra Cinque e Settecento ed è oggi unanimemente riconosciuto come uno dei migliori complessi vocali a livello internazionale. Dopo Loehrer, Travis e Ducret, dal 1993 il Coro è stato affidato alla cura di Diego Fasolis con cui si è sviluppata un’ulteriormente ricca attività concertistica e discografica. Disco d’oro, Grand prix du Disque, Diapason d’or, Stella di Fonoforum, Disco del Mese Alte Musik Aktuell, 5Diapason, Nomination Grammy Award e A di Amadeus sono alcuni dei riconoscimenti assegnati al Coro RSI dalla stampa specializzata per i dischi pubblicati con le etichette Accord, Arts, Chandos, Decca, EMI, Naxos, Virgin e RSI-Multimedia. Claudio Abbado, René Clemencic, Michel Corboz, Ton Koopman, Robert King, Gustav Leonhardt, Alain Lombard, Andrew parrott e Michael Radulescu sono infine alcuni dei prestigiosi direttori ospiti che hanno lodato le qualità musicali e tecniche del Coro, che grazie alla propria struttura flessibile risulta appropriato ed efficace in repertori che vanno dal madrigale fino alle partiture contemporanee. ! ncerto ntamenti o c l a n o pu to ma n so tutti gli ap rio 2014 t u t a s ia o Rinunc ire passo a pa rti dell’Audit in iBazaar e u c Per seg gione dei Con mma generale a a della st APP del progr l’ a c scari e.rsi.ch retedu paganini e la televisione si fa musica nini a Paga t n e s e 1 i pr arsadr e 10.30 su LA M a d a ll i a G LA 2 menica ogni do ì alle 24.00 su d e il lune i aganin rsi.ch/p RETE DUE È ANCHE UN CLUB: ISCRIVITI SUBITO! Informazioni sui programmi, gite culturali, sconti su concerti, musei e libri… vivi la cultura con il Club Rete Due: rsi.ch/clubretedue L’OSI su Rete Due in erviste t n i , i t en i, comm dì alle 16.00 n o i z a p e Antici SI ogni giov ncerto OSI O o Spazio ì al venerdì C 14.00 tta d e e ll n a I in dire S Dal lu uecinque d R i n o agi d in Rete ncerti delle St 0 o 0 Tutti i c Fila dalle 20. a m i in Pr e.rsi.ch retedu DIREZIONE E STAFF RSI RETE DUE DIANA SEGANTINI RESpONSABILE DIpARTIMENTO CULTURA ChRISTIAN GILARDI RESpONSABILE SETTORE MUSICALE ALISSA PEDOTTI-NEmBRINI pRODUTTORE MUSICA SINFONICA mAURO RAVARELLI pRODUTTORE RETE DUE GIOVANNI CONTI pRODUTTORE TELEVISIVO VALENTINA BENSI pRODUTTORE ESECUTIVO MUSICA VOCALE-STRUMENTALE KATIA BIANChI ASSISTENTE DI pRODUZIONE mARCELLA mANTOVANI ASSISTENTE DI pRODUZIONE ADAY hOBIL ASSISTENTE 1 15 LOREDANA BOTTA ARCHIVISTA FOSI DENISE FEDELI DIRETTORE ARTISTICO-AMMINISTRATIVO ROBERTO GIANDOmENICO RESpONSABILE AMMINISTRATIVO STEFANIA PIANCA ASSISTENTE AMMINISTRATIVA BARBARA WIDmER ASSISTENTE ARTISTICA ANNA CIOCCA-ROSSI UFFICIO STAMpA E COMUNICAZIONE mAURIZIO GILARDI WEBMASTER E SEGRETARIATO REmO mESSI ISpETTORE D’ORCHESTRA 1 17 CONTATTI RSI Rete Due Casella postale CH–6903 Lugano T +41 91 803 95 49 F +41 91 803 90 85 retedue@rsi.ch retedue.rsi.ch Orchestra della Svizzera italiana Via Canevascini 5 CH–6903 Lugano T +41 91 803 93 19 F +41 91 968 27 73 osi@rsi.ch orchestradellasvizzeraitaliana.ch REDAZIONE BARBARA WIDmER COORDINAZIONE TESTI ANNA CIOCCA-ROSSI ART DIRECTOR GIANNI BARDELLI pROGETTO GRAFICO ACKERmANN DAL BEN IMpAGINAZIONE E FOTOLITO PRESTAmPA TAIANA SA FOTOGRAFIA OSI mARCO D’ANNA FOTOGRAFIE DÁNIEL VASS E PRESS AGENCY STAMpA TIPO–OFFSET AURORA SA LEGATURA SChUmAChER AG COpYRIGHT 201 3 RSI RETE DUE rsi.ch/concertiauditorio orchestradellasvizzeraitaliana.ch
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