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Fallisce e chiude l’aeroporto-fantasma di Rimini, con un mega-buco di
43 milioni. Il modello Emilia-Romagna non tramonta soltanto nelle urne
Mercoledì 26 novembre 2014 – Anno 6 – n° 326
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e 1,40 – Arretrati: e 2,00
Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma
tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46)
Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
I 750.000 “SECONDARI”
AZZOPPANO RENZI
Indebolito dall’astensionismo, il premier si salva alla Camera
per un voto sul Jobs Act (40 dissidenti Pd se ne vanno e 2 votano
No). E fa retromarcia sul canone tv nelle bollette. B. conferma
il Nazareno, ma non controlla più FI
Cannavò, Marra e Tecce » pag. 2 - 3 - 7
VOGLIA DI FUGA
Civati avverte:
“O rottama
il Patto col Cav.
o faccio il nuovo
centrosinistra”
Calapà » pag. 2
IN FONDO A DESTRA
FASCIO-SALVINISMO
Caimano nel caos:
“Salvini nostro
centravanti: vuole
entrare nel Milan”
Lega, l’evoluzione
della specie: addio
ampolle, ora ci sono
Putin e Casa Pound
Fierro » pag. 5
d’Esposito » pag. 4
EGEMONIE MONDIALI
» SPALLANZANI » Ieri notte è arrivato il primo italiano contagiato
Ebola, quei 55 milioni
al laboratorio che non c’è
Nell’avveniristico centro
clinico di Roma che ospita il
medico di Emergency reduce
dalla Sierra Leone, manca la
“cabina” bsl-4 destinata alla
coltura dei virus più letali.
Eppure si continuano a
spendere cifre spropositate
Il logo di Google LaPresse
Daina » pag. 9
Fermate Google
Sta uccidendo
i giornali e le tv
Alessandra Moretti: “Rosy Bindi ha mortificato
la bellezza”. Così lei si è vendicata sull’intelligenza
» www.spinoza.it
Non solo Ferguson,
la rabbia nera
per il salvataggio
dell’agente-killer
incendia gli States
Gramaglia e Vitaliano » pag. 16
FRANCESCO A STRASBURGO
La lezione del Papa
all’Europa:
“Non scambiate
diritti con profitto”
L’Europarlamento deciderà sul gigante Usa:
controlla gli utenti per ottenere il monopolio
pubblicitario. Ma l’Italia con chi sta? Lillo » pag. 15
LA CATTIVERIA
OBAMA NON BASTA
Valdambrini » pag. 17
Tutti gli affari
di Bogarelli,
il vero padrone
del calcio italiano
Feltri » pag. 11 - 14
» SBARCO IN ALBANIA
La tradotta di Tirana,
c’è Agon Channel
Delbecchi » pag. 18
Udi Marco Politi
UN PONTEFICE
E LA SORDITÀ
DEI BUROCRATI
» pag. 22
Lettera del Milite Ignoto
di Marco Travaglio
alve, sono l’Italiano Medio. Non mi sento parS
ticolarmente né di destra né di sinistra: le ho
viste all’opera tutt’e due e non mi sono parse un
granché. Il centro, poi, non ho mai capito che roba
sia, sebbene abbia letto per anni il Corriere della Sera,
o forse proprio per questo. Non ho mai chiesto la
luna, anzi sono uno che si accontenta di poco: vorrei essere governato da gente normale più o meno
come me, mediamente perbene e abbastanza competente, che parla solo quando ha qualcosa da dire,
e per il resto lavora. Siccome poi pago le tasse (anzi,
me le trattengono: sono un lavoratore dipendente
in attesa della pensione, se mai la vedrò), gradirei
saperle utilizzate per servizi pubblici decenti e non
sperperate in sprechi o rubate in furti vari. Tutto
qui. Nella Prima Repubblica votavo i partiti di governo per paura dei comunisti, anche se non riuscivo a scrollarmi di dosso la fastidiosa impressione che Berlinguer fosse meglio di Andreotti e di
Craxi (a volte quel pensiero molesto si estendeva
perfino ad Almirante, almeno quando appariva in
tv, ma riuscivo a scacciarlo subito). Poi è arrivata
Tangentopoli e istintivamente ho simpatizzato per
i magistrati di Mani Pulite, che trattavano i ladri di
Stato esattamente come i ladri di polli. Mi pareva di
aver letto da qualche parte, credo nella Costituzione, che è giusto così. Ma da un certo momento
in poi sentii dire in tv e lessi sul Corriere che a furia di
ripetere “non rubare” rischiavo di ammalarmi di
giustizialismo, così smisi. Quel Berlusconi che si
affacciava sulla scena, tutto denti e miliardi, non è
che mi convincesse molto, ma tutti dicevano che
era un grande imprenditore che si era fatto tutto da
sé e vai a sapere che si era fatto dare una mano da
gente poco raccomandabile: la prima volta lo votai,
vedi mai che di quel successo nella vita privata ne
portasse un po’ anche in quella pubblica. Me ne
pentii subito, anche perché durò meno di un anno
e badò solo agli affari suoi: a me però bastarono due
facce, quelle di Previti e Dell’Utri, furono più utili
di mille politologi.
Nel '96 votai Ulivo: mi stava simpatico Prodi perché non è un comunista, ma un tipo normale, che
non le spara grosse e parla, anzi borbotta poco, un
po’ come me. Ci portò in Europa con l’aiuto di
Ciampi, e mi parve una cosa buona: il biglietto
d’ingresso, l’Eurotassa, fu la prima imposta che pagai volentieri, anche perché ce ne restituirono un
pezzo. Ma durò poco anche lui: D’Alema diceva
che un Paese normale non può essere governato da
un professore che non ha dietro un grande partito
tutto suo e non dialoga con Berlusconi per rifare la
Costituzione. Sarà. A me la Costituzione, per quel
poco che ne so, non pare malaccio, però tutti dicevano che andava rifatta e intanto Prodi cadde.
Dei governi “normali” al posto del suo, D’Alema e
Amato, non ricordo granché. Se non che fecero
tornare Berlusconi, stavolta per cinque anni: un
disastro epocale, solo affaracci suoi (s’arrabbiò
perfino la mafia, sentendosi trascurata). Quando il
Cavaliere cancellò il falso in bilancio e cacciò pure
Enzo Biagi dalla tv, trattandolo come Renato Curcio, partecipai anche a un paio di girotondi. Poi
però il Corriere disse che eravamo dei pericolosi manettari nemici del dialogo, e allora smisi.
Nel 2008 volevo astenermi, ma poi mi trascinai a
rivotare Prodi, che restava il meno peggio. Lo rifecero fuori un paio d’anni dopo: il tempo di mandar fuori di galera 30 mila delinquenti (non ho
mai capito perché, quando le carceri scoppiano,
non ne apriamo di nuove, ma spalanchiamo le
porte di quelle vecchie). Quattro anni di film horror: “Il ritorno del morto vivente”. Poi arrivò
Monti con i suoi tecnici e respirai: vabbè, almeno
hanno studiato e sanno far di conto. Anch’io facevo i conti: mi mancava qualche mese alla pensione. Ma subito una ministra che piangeva con la
faccia cattiva mi spiegò che ero un nababbo parassita come tutti i pensionati, insomma dovevo
lavorare altri 7-8 anni. E mio figlio, che aveva appena trovato lavoro, era un privilegiato e doveva
vergognarsi per via dell’articolo 18, che infatti fu
dimezzato. Boh. Mi vennero dei cattivi pensieri
anche sui tecnici e mi buttai sui 5Stelle.
Segue a pagina 4
2
LA GRANDE FUGA
MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014
D’
Alema: “Stiamo
facendo allontanare
il nostro elettorato”
LA MASSICCIA astensione nel voto in
Emilia Romagna “ci dice che una parte
del nostro elettorato è disaffezionato:
cioè il Pd sta perdendo forza di attrazione nell’elettorato di sinistra”. Lo dice
Massimo D’Alema, che, intervistato dal
Tg2, aggiunge: “È un’illusione che si possa buttar via l’elettorato di sinistra per-
il Fatto Quotidiano
non identitario ma “di un problema politico” perché, ricorda l’ex premier e ministro degli Esteri, “non molto tempo fa
noi abbiamo avuto un risultato straordinario, che nasceva da molte speranze
di cambiamento. Il problema è che queste speranze, in parte, cominciano a essere deluse”.
ché tanto prenderemmo quello di centrodestra: come si è visto, alla crisi di
Berlusconi corrisponde la crescita della
Lega. Se quindi perdiamo le nostre radici
a sinistra, perché quell’elettorato non ha
più fiducia o si sente demotivato, noi rischiamo di indebolirci molto seriamente”. Ciò è conseguenza di un problema
LAVORO, SOLO 316 SÌ: IL GOVERNO
A UN VOTO DALLA SFIDUCIA
38 DEPUTATI DEL PD FUORI DALL’AULA. RENZI ADESSO È IN GRANDE DIFFICOLTÀ
ANCHE ALLA CAMERA. TRA I SUOI CRESCE LA VOGLIA DI URNE CON CONSULTELLUM
di Wanda
L
Marra
orenzo Guerini, vice segretario del Pd,
tessitore di natura,
e di indole solitamente calmissima, quando il
tabellone di Montecitorio fotografa il voto sulla riforma
del lavoro, è palesemente nervoso e irritato. La maggioranza al jobs act è di 316 voti. Solo
uno sopra la soglia della sfiducia. Nonostante il tentativo
portato avanti per tutto il
giorno dai vertici dem per arrivare a una mediazione, in 38
del Pd non hanno partecipato
al voto. Con loro anche Forza
Italia, l’altra gamba non formale, ma sostanziale che sta
tenendo in piedi la legislatura.
I RENZIANI parlano di “scor-
rettezza” e di “mancanza di
coraggio”: se fanno così, dovrebbero andarsene, il ragionamento di molti. “Ma non
sono capaci”. “Si meriterebbero che si votasse domani con il
Consultellum, con loro fuori
dalle liste”, il commento che
gira. Una tentazione che – almeno tra gli uomini del premier – è in ascesa: tant’è vero
che si fanno continui sondaggi
Giuseppe Civati
e simulazioni.
Renzi per natura sarebbe tentato di andare all’affondo ma
la linea, decisa in mattinata, è
“calma e gesso”. Non cambia
però la valutazione sui circa 30
che si sono sfilati: irresponsabili che, per calcoli politici,
"per frenarmi" hanno ignorato
PALUDE CONTINUA
Il premier “va avanti”,
ma in Senato
sul Jobs act pronta
la fiducia. E sull’Italicum
gli mancherà l’appoggio
di Forza Italia
la mediazione fatta nel Pd, una
mediazione che “ha convinto
anche ex sindacalisti come
Damiano, Bellanova, Epifani”.
Il quadro è fosco, tra il prossimo passaggio della riforma
del lavoro in aula al Senato,
dove i numeri sono molto più
ristretti, la legge di stabilità, e
l’Italicum e le riforme costituzionali al palo, con il disfacimento di Forza Italia. Anche
perché su queste la fiducia non
si può mettere.
Alle cinque del pomeriggio
nell’aula di Montecitorio si vedono arrivare ministri e sottosegretari. Di corsa. Per votare. Una scena che alla Camera, nell’era del governo
Renzi, non s’era ancora mai vista.
“NELLA CAMERA dove la
maggioranza è più forte abbiamo creato una faglia”, commenta Giorgio Airaudo di Sel.
La faglia è grossa, ed è stata
fondamentale la posizione
della minoranza Pd, seppur
divisa e litigiosa al suo interno.
L’opposizione si allarga. “Sono
sette con otto posizioni diverse”, ironizza la giovane turca,
Giuditta Pini. E in effetti, ogni
riunione sottolinea differenze
e liti. Ma nonostante questo alla fine 38 dem (su un gruppo
di 307 componenti) non dice
sì al Jobs act. Due dicono no,
altri due si astengono: sono
quattro civatiani, quelli da
tempo ad un passo dall’uscita
dal partito. I no sono di Giuseppe Civati e Luca Pastorino,
gli astenuti Paolo Gandolfi e
Giuseppe Guerini. In aula c’è
pure il ministro del Lavoro Padoan, che quando si avvicina a
C’è chi dice proprio No
Civati gli dice: “Ti ringrazio
per aver espresso la tua contrarietà ostinatamente. Gli altri l’hanno fatto più disordinatamente”. Gli altri, infatti,
non partecipano al voto. Tra
questi in 29 mettono la firma
in calce ad un documento in
cui spiegano le ragioni del loro
non voto. Tra loro ci sono
Gianni Cuperlo, Rosi Bindi,
Francesco Boccia, Davide
Zoggia, Alfredo D’Attorre e
un altro drappello di bersaniani. La cui corrente, invece, che
ha cercato l’accordo con il governo, Cesare Damiano in testa, ma anche Guglielmo Epifani, bacchetta con durezza
l’iniziativa. Lo stesso Bersani
la mette così: “Voterò le parti
che mi convincono con piacere e convinzione e le parti su
cui non sono d’accordo per disciplina".
Le minoranze non votanti fanno un documento unitario, e
adesso provano ad andare
avanti
sull’opposizione
dall’interno. Una grana per il
governo. Che in Senato metterà la fiducia. Una scelta inevitabile, che, ammettono molti dei ribelli, salverà anche loro
da scelte troppo difficili: la fiducia si deve votare. Almeno
sembra, perché l’impressione
Gianni Cuperlo
“Patto senza B.
o nuova sinistra”
di Giampiero Calapà
A
desso è “possibile”, dice il dissidente anti-renziano per antonomasia Pippo Civati:
“Non posso infilare ancora altri voti contrari al
governo e restare nel Pd, Renzi rottami subito il
Patto del Nazareno per un nuovo Patto del centrosinistra, un patto dei
cittadini: l’iniziativa
della mia associazione
Possibile, il 13 dicembre a Bologna, sarà
l’embrione di un nuovo
centrosinistra, vedremo se il Pd andrà nella
stessa direzione”.
Civati, ma alla fine a votare contro il Jobs act
siete rimasti in due, lei e Luca Pastorino, gli altri
dissidenti sono “solo” usciti dall’aula...
Non lo nego, mi aspettavo qualche voto contrario in più perché con un segnale di astensione
come quella arrivato da Emilia Romagna e Calabria sarebbe stata una risposta più forte e decisa, più comprensibile. È da un mese che annuncio il mio voto contrario, lo dovevo al mandato elettorale e ai delegati della Fiom che abbiamo incontrato proprio ieri... Neanche i grillini, che mi davano del pirla, hanno avuto la forza di votare “no”. Ma diciamo che registro positivamente anche la loro di uscita dall’aula.
Non si sente sempre più isolato?
No, questo no. Paradossalmente considero po-
I deputati di Sel, ieri, mentre lasciano l’aula della Camera Ansa
è che il quadro politico sia del
tutto fuori controllo.
Saranno presi provvedimenti
nei confronti delle minoranze? Matteo Orfini, presidente
del partito, assicura di no. Poi,
prova a minimizzare: “Il 9%
del gruppo ha votato no. Non
mi pare una tragedia”.
In realtà, l’impressione che
non si tenga più quasi niente è
collettiva. Ma il punto è che
Li si nota di più se escono
“Fuga di elettori,
non convince più”
sitivo un fatto: l’area del dissenso si è allargata. Il
dissenso annunciato era circoscritto a 29 deputati del Pd, alla fine sono stati 40. Non è un dato
da poco. Iniziano a essere numeri importanti,
che dovrebbero far riflettere il capo del governo
e segretario del partito.
norevole Cuperlo, perché siete usciti
O
dall’aula sul Jobs act?
Abbiamo tenuto una linea molto chiara in
Ho passato due mesi a farmi dare del pirla... il
solito Civati, dicevano. Invece, il voto delle regionali in Emilia Romagna e Calabria e quello in
aula sul Jobs act rappresentano con forza che un
problema nel Pd c’è.
Rispetto al Senato, nel
passaggio alla Camera, sono state apportate modifiche positive. Ma il testo finale
contiene delle norme
per noi sbagliate, sul
demansionamento,
sul controllo a distanza dei lavoratori,
sull’utilizzo dei voucher e sui licenziamenti.
Allora vede ancora un futuro per il Pd?
Come si traduce questo problema?
Ma come si deve tradurre. È incredibile in aula
ascoltare la dichiarazione di voto di Massimo
Corsaro, Fratelli d’Italia, uno che più a destra
non si può, mio storico rivale dai tempi del Consiglio regionale lombardo: ha detto di riconoscersi pienamente nel Jobs act del governo Renzi. Per me questo è un problema enorme.
Insomma Civati, rompe col Pd?
Ora nel Pd c’è un fatto politico gigantesco, l’area
del dissenso si è allargata. Fino a ieri ero solo,
oggi no. Voglio ricostruire il centrosinistra. È
chiaro che siamo al limite, non posso infilare altri voti contrari al governo del Pd. Ma Renzi deve
rottamare il Nazareno. Serve un nuovo Patto del
centrosinistra, un patto dei cittadini. Lo chiederemo ufficialmente a Bologna il 13 dicembre
in un’iniziativa dell’associazione di sinistra che
ho fondato la scorsa estate a Livorno, “Possibile”. Perché adesso è possibile davvero.
Twitter @viabrancaleone
arrivare alle elezioni è complicato: Napolitano non scioglie
le Camere e con le sue dimissioni, si chiude la finestra elettorale di primavera. Ma così è
la palude continua. Il premier
a mediazioni (e a espulsioni)
non ci pensa proprio: “Non do
pretesti, ognuno scelga in che
partito vuole stare, io vado
avanti in ogni caso". I numeri
dicono che non è così facile.
queste settimane. Non eravamo contro una
riforma del lavoro, ma doveva essere una buona riforma.
Quali sono i punti indigeribili?
Però avete messo in difficoltà il vostro governo.
No. Non credo. Il problema drammatico
dell’Italia oggi non è la poca libertà di licenziare. La nostra priorità è come assumere.
Se in Senato il governo metterà la fiducia la
minoranza voterà contro?
Mi auguro che il governo sappia raccogliere il
messaggio che è arrivato non solo oggi alla
Camera, ma l’altroieri dalle urne.
State pensando di uscire dal partito?
Nessuno di noi ha questa intenzione. Il Pd è il
partito che abbiamo voluto con passione e
con impegno.
Cosa pensa del dato dell’astensionismo?
Quando in Emilia Romagna da un’elezione
regionale alla successiva c’è un calo del 30%
non puoi dire che dipende dalla disaffezione
dovuta alle indagini. Il Pd dalle europee a oggi
ha perso 700mila voti, che vanno prevalentemente nell’astensione. Significa che il grande cambiamento di cui parla il governo non
ha ancora un consenso dal basso. Non ho
dubbi che Oliverio e Bonaccini saranno due
ottimi presidenti, ma dire che l’astensione è
un problema secondario è una frase consolatoria, che non tiene conto della qualità della
democrazia.
Però non riuscite a mettervi d’accordo neanche tra voi. Bersani ed Epifani hanno votato a
favore del Jobs act.
Abbiamo scelto una linea di condotta coerente non partecipando al voto.
I renziani dicono che la vostra posizione è
scorretta, che allora dovreste avere il coraggio
di andarvene. E che sarebbe il caso di votare
con il Consultellum domani mattina, senza
mettervi in lista.
Allargo le braccia. Io ho un’idea diversa di
partito. Oggi mi preoccupo non di chi dovrei
o potrei mettere in lista, ma di centinaia di
migliaia di voti che non sono riuscito a far
arrivare alle mie liste.
Crede che le elezioni si avvicinino?
Ho sempre dato credito a Renzi, quando diceva “siamo qui per fare le riforme”.
wa. ma.
LA GRANDE FUGA
il Fatto Quotidiano
T
orino, svastiche
e vetri rotti
nella sede dei Dem
VETRINE infrante e svastiche sui muri del Pd in
via Dina a Torino, dove c’è il circolo Santa Rita-Mirafiori Nord. Il blitz è avvenuto nella tarda
serata di lunedì.
La polizia, intervenuta sul posto, ha acquisito le
immagini delle telecamere di sorveglianza della
zona nel tentativo di identificare gli autori dell’atto vandalico. “È l’ennesimo vile atto teppistico
MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014
3
contro il principale partito della nostra Regione".
Il segretario regionale del Pd, Davide Gariglio,
commenta così su Facebook l’assalto alla sede
nel quartiere torinese di Santa Rita. “Ovviamente
non ci lasceremo intimidire – dice Gariglio, che è
anche capogruppo in Regione del Pd –. Ripareremo i danni e continueremo a essere presenti sul
territorio”.
Lo “sciopero del voto”
è partito dalla piazza Cgil
IL 16 OTTOBRE BOLOGNA SI È FERMATA PER LA PROTESTA GENERALE. QUEL GIORNO
S’È ROTTO IL RAPPORTO TRA ELETTORI E PD. TRA GLI ASTENUTI MOLTI SONO ANZIANI
cisione con l’espressione “sciopero generale del
voto”. La stessa analisi di Wu Ming 1 che individua nella “pratica degli scioperi generali” l’elemento che ha costituito “uno choc anafilattico”
per il gruppo dirigente del Pd. Giudizio rinforzato
dal sondaggista Roberto Weber, di Ixé: “L’Emilia
LA CGIL, IN EMILIA ROMAGNA, ha 821 mila è tale grazie ai corpi intermedi. Non puoi attaciscritti, seconda solo alla Lombardia, più grande e carli tutti i giorni e pensare di cavartela”.
più industrializzata. Lo Spi ne conta 640 mila. Lo- Balzani invita anche a non sottovalutare il ruolo
gico, quindi, puntare lo sguardo in quella dire- dei “ceti medi riflessivi” quella fascia di tecnici,
zione. I pensionati della Cgil smussano i toni, ri- professionisti, imprenditori, che cavalcano il rincordano di aver fatto un appello unitario, insieme novamento, “ma conservano l’attenzione ai ‘beni
a Cisl e Uil, per andare a votare. A differenza del comuni’” e che non sopportano più un gruppo
segretario Fiom, Bruno Papignani, che aveva in- dirigente locale inadeguato. Il “modello Errani”
vitato a stare a casa. Però, tra i 750 mila rimasti a che Renzi ha tutelato in tutti i modi facendo coinguardare, gli anziani sono molti come conferma- cidere i suoi commenti al voto con quelli dell’ex
no anche nel sindacato. Lo ribadisce, ad esempio, governatore. La vicenda locale ha giocato un ruoStefano Brugnara, presidente dell’Arci bologne- lo non secondario, spiega Weber: “Qui c’è una
se. “Certamente, sono andati a votare di più ri- cultura contadina robusta che non sopporta la
spetto ai giovani, ma di anziani nei circoli Arci che corruzione e vuole correttezza nei comportadicevano di non voler votare ne ho sentiti molti. menti. Logico che gli scandali abbiano creato inEd è un dato che deve preoccuparci, tutti. Nes- sofferenza”. Gli astenuti del Pd, quindi, hanno
suno può chiamarsi fuori”.
storie e fisionomie diverse. Ma sono figlie di una
Una buona sintesi di questo festoria che Renzi vuole sradicare
nomeno la fornisce un protagoanche se oggi sembrano solo senista insospettabile: il candidaduti sugli spalti a guardare la
EMILIA ROMAGNA
to “renziano” alle primarie repartita, dopo aver gridato con
gionali sconfitto da Bonaccini.
forza che l’allenatore a loro non
Weber: “Non puoi
Roberto Balzani è un autorevole
piace. “La tipologia di coloro
professore, amico del rimpianto
che hanno votato non è molto
attaccare tutti i giorni
diversa da chi si è astenuto”
Edmondo Berselli – “all’Emilia
i corpi intermedi
manca la sua capacità di racconspiega Weber: “Hanno solo una
sofferenza sociale e un’insoffetare e capire” – fuori dalle logie pensare di cavartela”.
che degli ex Dc o ex Pci del pasrenza in più”. “Ma non so se torsato. A differenza del premier,
Prodi: “Come ti fai il letto, neranno indietro, aggiunge,
però, non solo non sottovaluta
certi comportamenti sono irrecosì poi dormi”
versibli”. Altri immaginano un
l’astensione ma la fissa con preL’allergia al conflitto è visibile nel nervosismo
con cui il premier affronta le piazze che lo contestano. I Wu Ming hanno allestito una mappa
interattiva, Renzi scappa per documentare i casi di
fuga dalle piazze avverse.
Bonaccini, neogovernatore dell’Emilia Romagna Ansa
di Salvatore Cannavò
L
a storia del progressivo distacco tra il
Pd di Matteo Renzi e il suo elettorato
inizia il 16 ottobre. Quel giorno Bologna si ferma e più di 20 mila persone
scendono in piazza per partecipare allo sciopero
generale della Cgil. Vincenzo Colla, segretario regionale Cgil, dice dal palco che “una cosa così
non si vedeva da anni”. Accanto a lui, da Roma, è
arrivata Carla Cantone, emiliana, segretario generale dello Spi-Cgil, i pensionati. Quel giorno si
è rotto qualcosa e oggi, con l’indebolimento in
Parlamento, la fuga di 750 mila elettori, lo
“shock” del gruppo dirigente emiliano, se ne vedono gli effetti. Qualcosa aveva capito Stefano
Bonaccini. Raccontano che quando giovedì scorso, al Paladozza, Renzi ha chiamato l’applauso
dei circa tremila contro il sindacato, il neo-presidente abbia reagito con una brutta smorfia del
viso. Consapevole del disastro che si stava preparando. Un bolognese attento e curioso come
Wu Ming 1 non ha dubbi: “Il Pd, e lo stesso Renzi,
sono andati in tilt quando si è espresso il conflitto
sociale. E l’idea di contrapporre la Leopolda alla
piazza di San Giovanni gli si è rovesciata contro”.
CONTI PUBBLICI
Feltri
el giorno in cui la CommisN
sione europea inizia l’esame
definitivo della legge di Stabilità
dell’Italia, verdetto definitivo previsto per venerdì, arriva una cattiva notizia che conferma i dubbi
degli scettici. Secondo l’Ocse, il
think tank dei Paesi ricchi basato a
Parigi, nel 2015 il Pil italiano crescerà soltanto dello 0,2 per cento,
un po’ meglio nel 2016 quando
l’aumento stimato sarà dell’1 per
cento. Sempre meglio che l’attuale
recessione, peccato che a fine settembre il governo ha impostato
tutta la sua politica economica su
un quadro più ottimistico: Pil
2015 in crescita di 0,6 per cento
(identica valutazione sul 2016, +1
per cento).
MENO CRESCITA vuol dire che il
rapporto tra deficit e Pil risulta più
alto, idem quello del debito, meno
gettito fiscale, qualche buco nelle
coperture della manovra. Nel suo
Economic Outlook l’Ocse è favorevole al rinvio del pareggio di bilancio dal 2016 al 2017, ma bisogna approfittare bene del tempo
guadagnato: “Il ritmo di riassetto
strutturale dei conti più lento ri-
spetto agli impegni precedenti
proposto da Francia e Italia nelle
loro leggi di bilancio 2015 pare appropriato” perché “può dare alle
riforme strutturali già concordate
e alle politiche monetarie accomodanti una possibilità di rilanciare
l’attività economica”.
caratterizzare il suo mandano
quinquennale. Secondo il Financial
Times, i soldi veri saranno soltanto
21 miliardi di euro che andranno
ad alimentare un Fondo europeo
per gli investimenti strategici dove, grazie a un po’ di ingegneria
finanziaria, al ruolo della Banca
europea degli investimenti (Bei) e
LE COSE POSSONO migliorare? Il all’effetto leva diventeranno ben
segretario generale dell’Ocse An- 315 miliardi. I 21 miliardi dovrebgel Gurria avverte: “C’è il rischio di bero arrivare dall’attuale bilancio
un prolungato periodo di stagna- europeo (16 miliardi) e dalla Bei (5
zione nell’eurozona se la risposta miliardi) che è l’unica istituzione
politica è troppo debole e la fiducia finanziaria pronta ad agire ma non
rimane bassa”. E la risposta più deve esagerare con i prestiti o perforte dall’Europa
derà la tripla A
dovrebbe arrivare
nel rating del suo
debito. E questo i
oggi: il presidente
della Commissiotedeschi non sono disposti ad acne europea Jean
Claude Juncker
cettarlo. Queste
risorse – vere o
presenta al Parlamento europeo il
virtuali – dovrebbero andare a fisuo piano di invenanziare infrastimenti da 300
strutture “cross
miliardi. Juncker è
border”, cioè che
riuscito a mante- UN TERZO
non riguardano
nere un riserbo DEL GOVERNO
inusuale per gli
un solo Paese e
per questo sono
standard di Bru- L’Ocse è più
xelles
attorno pessimista del
più complesse da
realizzare. Per i
all’iniziativa poli- governo (+0,6%)
tica che dovrebbe
singoli leader sa-
+0,PIL2%
NEL 2015
Primarie in Veneto
IL SEGRETARIO Roger
De Menech,
renziano,
numero uno
del Pd nel Veneto, interviene sulle
primarie Ansa
Roger De Menech
“Moretti?
Siamo senza
dirigenti”
affluenza domenica alle primarie del
L’
Veneto non sarà altissima? Può essere.
Ma dobbiamo sempre considerare che le
primarie sono uno strumento scelto dal Pd.
E l’importante è che si vada a votare alle
elezioni, quelle vere”.
Roger De Menech è il segretario del Veneto.
Renziano, alla sua prima legislatura, classe
1973, nato a Belluno, ed ex sindaco di Ponte
nelle Alpi, ha la concretezza del montanaro.
“Noi le primarie le facciamo. E quindi a
scegliere il candidato del Veneto saranno
sempre di più di quanti hanno scelto Zaia,
che si è scelto da solo”.
L’Ocse smonta le stime di crescita
di Renzi, il piano Juncker non basterà
di Stefano
rinsavimento del gruppo dirigente Pd in grado di
ricucire con il sindacato e di dare una svolta al
partito. “Serve un’intelligenza collettiva” chiede
Brugnara. Ma serve anche, aggiunge Balzani,
“uscire una volta per tutte dalla storia del vecchio
Pci che qui non è mai morto”. Ma forse, vale l’immancabile puntura di spillo che proviene dal
sempreverde Romano Prodi: “Come ti fai il letto,
così dormi”.
Onorevole, non crede però che la proposta
dei candidati alle primarie sia responsabilità
del partito?
rà quindi complicato poter vantare
una cifra precisa relativa ai benefici ottenuti: il governo italiano ha
presentato richieste per 87,1 miliardi che difficilmente saranno accolte.
PER RENZI SARÀ TUTTO più dif-
ficile se il suo punto di forza, cioè
un consenso che rende credibili le
promesse di riforme, comincia a
vacillare: prima la vittoria in Emilia Romagna e Calabria indebolita
dall’alta astensione, poi il voto di
ieri alla Camera sul Jobs Act, la
riforma che gli investitori stranieri
vedono come il simbolo di una
nuova stagione di riforme. La legge
delega passa con soli 316 voti, segno che la maggioranza di Renzi è
più fragile del previsto e che il premier non ha il pieno controllo del
Parlamento. Per fortuna il giudizio
(positivo) della Commissione europea sulla legge di Stabilità dovrebbe essere già scritto.
Twitter @stefanofeltri
Noi intanto scegliamo due donne, Simonetta Rubinato e Alessandra Moretti. Per il resto hanno profili diversi, pur essendo entrambe amministratrici, uno più veneto,
l’altro più nazionale.
Una candidata come Alessandra Moretti,
che è appena stata eletta all’Europarlamento, le sembra una proposta giusta?
Per noi è fondamentale vincere. E Alessandra ha molta notorietà, molto consenso, che
sono necessari.
Non c’era nessun altro che poteva avere le
stesse qualità? Lei non è esattamente nel
segno del rinnovamento renziano, visto che
ha anche fatto la portavoce di Bersani.
Noi in Veneto abbiamo sicuramente un
problema nel non essere stati in grado finora
di costruire un gruppo dirigente.
Crede che sarebbe meglio votare a fine maggio, un’ipotesi che la stessa Moretti ha preso per buona?
Penso che in Veneto partiamo avvantaggiati, essendo stati sempre all’opposizione. Il
Pd di Renzi può portare a votare imprenditori e artigiani che finora hanno sempre
votato altri.
Wa.Ma.
4
IN FONDO A DESTRA
MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014
G
iornale Toscana,
quei 2,6 milioni
presi da Verdini&C.
A POCHI GIORNI dal rinvio a giudizio
per la vicenda della Scuola dei marescialli a Firenze, la Guardia di Finanza ha
notificato un avviso di chiusura indagini
a Denis Verdini per bancarotta fraudolenta in relazione al fallimento della Società Toscana di Edizioni di cui il senatore di Forza Italia è socio di maggio-
ranza e amministratore di fatto. La Ste,
che pubblicava il Giornale di Toscana, è
stata dichiarata fallita a febbraio. Oltre a
Verdini sono indagati anche Massimo
Parisi, coordinatore regionale di Forza
Italia in Toscana e componente del cda
fino al 2008, Girolamo Strozzi Guicciardini, presidente del cda fino al 2012, Enri-
B. NON SA DIR DI NO AI MATTEO:
PATTO SALVO E SALVINI LEADER
il Fatto Quotidiano
co Luca Biagiotti, anche lui nel cda, e
Pierluigi Picerno, amministratore e poi
liquidatore della società. L’accusa è di
aver distratto 2,6 milioni di euro mentre
la società si trovava “in uno stato di grave
difficoltà economica”. Secondo gli inquirenti, l’operazione sarebbe “priva di valida ragione economica”.
PORTFOLIO
foto di Umberto
E fa il piazzista
del libro di Vespa
PINOCCHIO Il
IL CAPO DEL CARROCCIO ALLA GUIDA DEL CENTRODESTRA? “LUI IL CENTRAVANTI
E IO IL REGISTA, MA A DIRE IL VERO MI HA CHIESTO LA VICEPRESIDENZA DEL MILAN”
di Fabrizio d’Esposito
I
l Condannato Impotente. Ingabbiato nei due
forni dei due Mattei, intesi come Renzi, ovviamente, e finanche Salvini. Come
tradizione, Silvio Berlusconi va
in pellegrinaggio al tempio di
Adriano, a Roma, per il nuovo
libro di Bruno Vespa, di cui è
editore con Mondadori. Arriva
in ritardo, almeno quaranta minuti, e tenta di darsi una postura
grintosa, sorridente non cupa e
rassegnata. Sono le diciotto e
dieci e la platea non è piena, altro
segno crudele del crepuscolo
berlusconiano. In altri tempi,
per entrare c’era la ressa dei clientes e dei cortigiani. Stavolta no, il
passaggio è fluidissimo. Sul bavero del doppiopetto ha la spilletta di Forza Italia, al solito, e
una volta seduto pianta le braccia sul tavolo modello Duce.
IL CONDANNATO non solo è
impotente, ma anche inconsapevole. Pensa di essere sempre
centrale nel gioco politico, di poter cavalcare il renzismo indebolito dall’astensionismo e di tornare un giorno da leader alle elezioni. Di qui la fuffa e la tattica
del profluvio di dichiarazioni
nella liturgia vespiana. Tutto e il
contrario tutto. Era accaduto
anche due anni fa, quando, sempre dal cerimonioso scrittore-conduttore, in un’ora aveva
candidato per Palazzo Chigi,
nell’ordine, Mario Monti, Angelino Alfano, se stesso. L’unica
sintesi di sostanza che si può
estrarre è questa: Berlusconi ammette che, “in fondo in fondo”,
finirà per accettare l’Italicum
con l’odiato premio di lista e che
Alberto Zangrillo
fatto
a mano
questo potrebbe spingerlo ad accettare un centrodestra lepenista
guidato dal leghista Salvini, l’altro Matteo. Attenzione, per tirargli fuori questa notizia Vespa
ha impiegato settanta minuti.
Dapprima, B. ha investito l’altro
Matteo solamente del ruolo di
goleador ma non di capitano. “E
io farei il regista dietro di lui”.
Ma il tema è tornato verso la fine.
“Se c’è una lista unica con la Lega
a causa del premio dell’Italicum,
Salvini può essere il candidato-premier?”. Risposta: “Se ne
può discutere”.
È questo l’atto di nascita del nuovo tormentone con l’altro Matteo, già al centro dell’ufficio di
presidenza svoltosi a metà e rimasto aperto fino a oggi per consentire la partecipazione di Raf-
FAVORE A FITTO
Comitato di presidenza
di Forza Italia lasciato
aperto fino a oggi
per consentire
la partecipazione
del dissidente pugliese
faele Fitto, impegnato a fare l’eurodeputato a Strasburgo. Davanti ai suoi, il Condannato ha
spiegato il successo di Salvini, “è
andato nove volte al giorno in
tv” e ha saputo comunicare tre
messaggi: “Basta euro, basta tasse, basta immigrati”. Ma B., che
del telepiazzismo è comunque
maestro, ha già individuato il
punto debole dell’altro Matteo:
“Mi ha chiesto di fare il vicepresidente del Milan”. Questo è il
berlusconismo e questa è stata la
Seconda Repubblica. In balia di
un autocrate senza pudore e senza scrupoli che ieri ha persino
fatto l’apologia dei regimi che tenevano a bada i migranti, in
campi di accoglienza dove c’era
“il bidet”. “Regimi intelligenti,
non sanguinari” e nonostante
l’evidenza il suo pensiero è andato al compianto, per lui,
Gheddafi.
ALLO STESSO tempo, il Con-
dannato apre a Salvini, è disposto a perdonare Alfano (“quanto
dolore”), non vuole tradire il
Nazareno sottoscritto con Renzi, non chiude la porta in faccia al
ribelle Fitto, si dice pronto a votare pure con il Consultellum (il
Porcellum riformato dalla Corte
costituzionale) per inchiodare il
Paese all’eterne larghe intese. In
realtà il vero motivo per cui non
rompe il patto segreto con il premier, visto che il sì all’Italicum in
teoria c’è, è la successione al Quirinale, dove il Pregiudicato vorrebbe una figura “non ostile e
non con un passato di parte”.
Ora tentare di conciliare il patto
del Nazareno con l’amore ritrovato per la Lega è impresa ardua,
a parte la convenienza tecnica
dettata dal premio di lista. Ed è
Pizzi
Condannato
nella sua consueta posa da
burattino senza fili. Vespa
guarda altrove
MAGIC WOMEN
Deborah Bergamini e Mariarosaria
Rossi del cerchio magico
per questo che dal cerchio magico berlusconiano precisano:
“Oggi la notizia del giorno è questa, fermiamoci qui, l’importante è guadagnare tempo, soprattutto adesso che Renzi è debole”.
Se il gioco con Salvini è serio lo
dirà solo il tempo. In ogni caso
tocca registrare altri due dettagli.
Il primo è che Berlusconi ieri sera ha radunato a cena Umberto
Bossi, Roberto Calderoli e Giancarlo Giorgetti, la vecchia guardia leghista (e lo stesso Senatùr è
stato intervistato dal Giornale, la
Pravda berlusconiana). Il secondo è che le metafore calcistico-elettorali non portano bene
all’ex Cavaliere. Fatidica quella
del 2006, quando Romano Prodi
vinse per la seconda volta contro
Berlusconi. Quell’anno il centrodestra mise in campo il “BeFiCa”, schema a tre punte per tenere in piedi gli equilibri della
Il medico dell’ex Cavaliere
IN BIANCO
La Bernini
in bianco, tra la Prestigiacomo
e una rediviva Biancofiore
coalizione: Berlusconi, Fini, Casini.
POI C’È la profonda, vera riserva
mentale del Condannato. B. dixit: “Dovendo andare alla sfida
elettorale mi metterò in campo
come competitor. Non solo sarò
candidabile, ma sarò anche riconosciuto innocente. Tutti potranno vedere cosa mi è stato
fatto per non farmi candidare,
spiegherò agli italiani cosa fare”.
Ecco venir fuori la natura più
genuina di Berlusconi. Che ieri,
per la cronaca, si è anche autoproclamato “vittima, martire ed
eroe”, specificando quindi che
in quanto “eroe” non può essere
oggetto delle “basse critiche” di
Fitto. Non solo: “Ho la convinzione che sarei il miglior presidente della Repubblica di sempre”. Uno così cederà il passo a
un Salvini qualunque?
SEGUE DALLA PRIMA
“È stanco, ma Capezzone chi è?” M
di Tommaso Rodano
uando lo attaccano, Silvio
Q
sta male. Soffre come un
leone in gabbia”. Alberto Zan-
grillo, il medico di Berlusconi, è
combattuto tra la voglia di vuotare il sacco – pieno di risentimento per i nuovi “traditori”
dell’ex premier – e la prudenza che gli consiglia
di tenere a freno la lingua. “Ogni volta che parlo
succede un putiferio”, e infatti il suo ultimo
tweet, rivolto al dissidente Raffaele Fitto, è diventato un caso: “Se fossi Berlusconi agli avvoltoi delle Primarie, direi: quella è la porta”. Lui
ribatte: “Non sono il consigliere di Berlusconi e
su Twitter scrivo quello che mi pare”. Del suo paziente e amico, parla con tenerezza e affetto sincero: al netto del linguaggio agiografico, la conversazione offre spunti inediti sulla salute politica – ed emotiva – dell’ex Cavaliere.
Come sta il paziente Berlusconi?
Resiste. L’uomo è pugnace. È la sua indole.
Quando sta bene è sempre reattivo, veloce, sul
pezzo. Ma è evidente che la sua condizione gli
impedisce di esprimere le sue qualità personali.
Soffre. I vincoli che gli hanno imposto sono pesanti. Non riesce a essere quello di una volta.
goierà l’ennesimo rospo, è in grado di farlo. Ma
lui è un uomo che non ha mai attaccato nessuno
frontalmente. Questi fino a ieri si facevano allattare da lui...
Mi ha sempre detto che la sua scelta sul Nazareno è per puro senso di responsabilità. Attaccare Berlusconi adesso è ingeneroso. Non è possibile fare un’analisi politica per mandare tutto
all’aria. È vile sfruttare il calo elettorale per
un’offensiva personale nei suoi confronti, senza
considerare le difficoltà a cui è sottoposto. Ripeto, ne soffre. Il rapporto che mi lega a lui è di
consuetudine e amicizia, io osservo la sua arrabbiatura da una prospettiva diversa. E non mi frega niente di Fitto, di Verdini e degli altri: il suo
stato d’animo lo comprendo benissimo.
Non faccia battute stupide. Le confesso una cosa:
Berlusconi mi parla spesso della sua esperienza a
Cesano Boscone. Ha scoperto un mondo che
non conosceva. Stare accanto alla gente che soffre non gli pesa. Quando deve imboccare i disgraziati, si cala nella parte, lo fa con umiltà.
Questa esperienza umana molto profonda, gli fa
ridimensionare la meschinità di certe logiche
politiche. Ma che ci frega di Capezzone.
Colpa dei servizi sociali o del Nazareno?
Senza essere suoi ammiratori, si può dire che
Berlusconi abbia avuto un ruolo, magari nefasto,
nella storia italiana. Mentre Fitto, Capezzone...
Un conto è essere attaccati da Grillo o da Alfano
e quegli altri poveretti che l’hanno tradito prima.
Ma Fitto... Non si fa così. Fitto, Capezzone? Ma
chi sono questi? Magari con loro Berlusconi in-
Meglio i vecchietti malati, di Fitto e Capezzone?
Il suo ragionamento porta a una conclusione: da
medico e amico, gli consiglierebbe di ammainare
la bandiera?
Un giorno dissi che consideravo Berlusconi come un Ronaldo costretto a giocare in una categoria inferiore. Lui vuole ancora tirare questo
Paese fuori dalle secche. Non mi permetto di
dargli consigli; certo, sarebbe molto più semplice, da medico, gestire un uomo felice, spensierato, che pensa di godersi la vita, i nipoti, i figli.
ica per Grillo: per quei ragazzi puliti che
entravano in Parlamento senza un euro di
soldi pubblici. Grande vittoria. Speravo che cambiassero un po’ le cose, ma furono subito messi ai
margini. Per farmi capire che il mio voto contava
zero, tornarono le larghe intese e, per maggior
chiarezza, fu pure rieletto Napolitano. Letta durò
nove mesi, poi arrivò Renzi: diceva cose giuste,
più o meno le stesse di Grillo. Intanto i 5Stelle
litigavano e si espellevano: sospetto che qualcosa
di buono stiano facendo, in Parlamento, ma è
solo un’impressione. In tv non li vedo mai e il
computer non fa per me. Così, alle Europee, ho
votato Renzi. Grande vittoria. Ma me ne son subito pentito: il giovanotto ha cominciato a fare il
contrario di quel che diceva. Ha riesumato il
morto vivente, ha ricominciato a menarla con la
Costituzione da cambiare e con i parlamentari da
nominare. Ha perfino ripetuto che mio figlio è
un privilegiato, sempre per l’articolo 18. Domenica mi sono astenuto, come i due terzi dei miei
corregionali: stavolta capiranno il messaggio forte e chiaro. Macché: il tipetto dice che siamo secondari. Ma che devo fare per farmi ascoltare? Se
voto, non conto niente. Se non voto, idem. Dovrò
mica mettermi a menare, alla mia età?
Marco Travaglio
IN FONDO A DESTRA MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014
il Fatto Quotidiano
T
ra i nuovi “talenti”
di Forza Italia
il marito di Noemi
LA RICERCA di volti nuovi per Forza Italia entra
nel vivo e non mancano i colpi di scena. All’incontro di sabato a Villa Gernetto, infatti, tra rampolli di deputati e giovani ambiziosi è spuntato
anche Vittorio Romano, responsabile per il Sud
dei circoli Forza Silvio, ma noto alle cronache
soprattutto per essere il marito di Noemi Letizia.
La sua presenza è stata notata dai cronisti del
Corriere del Mezzogiorno. Romano, figlio di un noto
ingegnere napoletano e di Vicky de Dalmases, ex
consigliere diplomatico del governatore campano Antonio Bassolino, non è alla prima apparizione in un evento forzista: a settembre aveva
già partecipato alla cena di autofinanziamento di
Forza Italia con tanto di foto di gruppo con Berlusconi e Francesca Pascale.
L’EREDE DI BOSSI
somma, tutti quei settori della
società senza più punti di riferimento politici, “rifiutati”
dal Pd, dimenticati dalla sinistra, non “compresi” nelle confuse strategie grilline. Con chi
parla il pensionato che abita in
una casa popolare di una mega
periferia metropolitana, chi incontra, quali parole ascolta? Al
Nord quelle della Lega, a Roma
quelle dei “fascisti sociali” di
Casa Pound o di organizzazioni simili.
Matteo Salvini, segretario della
Lega, visto da Emanuele Fucecchi
di Enrico Fierro
P
rossima tappa il
Sud. Sì, proprio
quello brutto, sporco e cattivo di una
volta. È qui, oltre il Garigliano,
che Matteo Salvini vuole piantare le prossime bandiere della
vittoria. Iniziando da Napoli e
Bari, i Borboni e Murat assieme ad Alberto da Giussano per
conquistare voti. Quelli delle
prossime elezioni regionali di
primavera in Campania e Puglia. La strategia è già pronta,
una Lega che non sarà più
Nord, nazionalizzata, e una sola certezza: nel simbolo deve
esserci il nome “Salvini”. Il
team di sondaggisti ingaggiati
dal Capo ha già pronti diagrammi, slide e percentuali, lo
rivela il sito di analisi politica
affariitaliani.it: il brand di Matteo sulla scheda elettorale al
Sud vale intorno al 4-5%, che
proiettato su scala nazionale fa
il 2-3.
UN BEL BOTTINO, da somma-
re al 20% conquistato nella “fu
rossa” Emilia. E allora basta
con le canzoncine sguaiate sui
napoletani (“senti che puzza,
scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani... oh colerosi,
terremotati, voi col sapone non vi
siete mai lavati”), intonate nelle
notti di Pontida innaffiate da
troppa birra e poco senso politico. Le parole devono unire,
gli slogan devono essere semplici e sfondare da Brescia a
Trapani. “Prima gli italiani”, è
la parola d’ordine che Salvini
ripete ossessivamente a talk
unificati, preferibilmente con
una t-shirt o una felpa con la
scritta ben visibile “Stop invasione”. Già i talk e la televisiun,
un Matteo davanti alla telecamera vale 2-3 punti di share, lui
lo ha capito e non rifiuta una
ospitata che sia una. Finora ha
evitato solo le previsioni meteorologiche e i programmi di
cucina (anche se da giovane
aveva partecipato al Pranzo è
servito), ma tempo al tempo,
quando per la causa si tratterà
di preparare in diretta una cassoeula, si farà. Ma sarebbe ingiusto giudicare Teo Salvini un
prodotto meramente televisivo. Perché lui la tv la domina, è
attore protagonista che scrive
da sé il copione.
LA PAROLA d’ordine “prima
gli italiani” fa il giro delle banlieue di casa nostra, è rivolta a
chi è in attesa di una casa popolare, a chi se la vede occupata
da abusivi, a chi è da anni in
graduatoria, diventando “il
verbo” del disagio sociale diffuso giorno dopo giorno da
militanti leghisti. Si amplifica
fino a diventare “virale”, quando Salvini porta la questione
delle periferie in televisione.
Allora i talk si fiondano nei
grandi quartieri popolari di
Roma e di Milano. Finalmente
la gente che lì vive (malissimo)
ha a disposizione un microfono quasi h24. Le immagini di
pensionate costrette a barri-
5
UNA PRATERIA sconfinata per
Dal comunismo padano
al fascioleghismo russo
LA RISCOSSA ELETTORALE DEL CARROCCIO PASSA PER LA SOVRAESPOSIZIONE TV
DI MATTEO SALVINI: BASTA AMPOLLE E SECESSIONE, SÌ A CASA POUND E A MOSCA
IL MODELLO PUTIN
“Rubli alla Russia non ne abbiamo chiesti,
il nostro sostegno alle loro politiche
è totalmente disinteressato e appassionato”
carsi in casa perché “ci sono
troppi neri in giro”, o perché a
ridosso del quartiere la giunta
comunale (preferibilmente di
sinistra e perciò buonista) ha
piazzato un campo rom, girano e creano uno strano fenomeno di emulazione. Ognuno
fa la sua barricata e pretende
Realtà satirica
un microfono. Animale politico ibrido, che nella sua carriera
si è finanche definito “comunista padano”, Matteo Salvini
sa quali carte giocare per diventare il Le Pen italiano e
prendersi un centrodestra in
coma. Sovranità monetaria, no
euro, tutela della famiglia tra-
NO EURO E LE PEN
Il nuovo programma: l’Italia va bene unita,
liste anche al Sud, appoggio all’ultra-destra,
sovranità monetaria e “amore” per Marine
dizionale e aliquota unica per
le tasse al 15-20% (“funziona in
molti Paesi, così si combatte
l’evasione, le imprese investono e assumono”): questi i punti
cardine della strategia. Vincente per i sondaggisti. L’elettore medio della nuova Lega,
ha spiegato Nando Pagnoncel-
li, è concentrato soprattutto al
Nord, ha tra i 45 e i 64 anni, è
un cattolico praticante, e appartiene a quei settori particolarmente colpiti e spaventati
dalla crisi. Operai delle fabbriche chiuse, piccoli commercianti, pensionati, esodati e vittime della legge Fornero. In-
il nuovo soggetto fascio-leghista che Salvini sta costruendo.
Le prime prove a ottobre con la
manifestazione di Milano contro l’immigrazione insieme a
Casa Pound. “Abbiamo portato duemila persone”, disse
all’epoca Simone Di Stefano,
uno dei leader del movimento,
“perché Matteo ci ha convinti”.
Ha voglia il vecchio Umberto
Bossi a dire che “la Lega nasce
antifascista”, Salvini vuole fare
come a Parigi. “Perché in Europa un solo modello è vincente, quello che abbraccia Front
National in Francia, Ukip in
Gran Bretagna, Lega, Fratelli
d’Italia-An in Italia”. Parola di
Lorenzo Fontana, europarlamentare leghista e consigliere
più ascoltato dal leader.
“L’equivalente di quello che fu
il professor Miglio per il Bossi
della prima ora”, dicono negli
ambienti della Lega. Fontana,
salde radici veronesi e una laurea in Scienze politiche, per il
sito Dagospia è il Kissinger di
Salvini. È lui ad aver avvicinato
Matteo a Putin, per il leader
della Lega lepenista “vera diga
contro il terrorismo islamico”.
Il presidente russo è alla ricerca
di collegamenti con la destra
europea e in queste ore tiene
banco la vicenda dei 9 miliardi
versati al movimento di Marine Le Pen. L’oro di Mosca arriverà anche alla Lega? “Soldi
non ne abbiamo visti e non ci
interessa chiederli. Il nostro
appoggio alla Russia è totalmente disinteressato”, è la replica di Salvini. Il viale che porta alla conquista del centrodestra non è lastricato di rubli.
Per il momento.
L’astensione non basta
Il problema è che c’è chi si ostina a votare
di Francesca Fornario
desso basta Annunci!” annuncia
A
Matteo Renzi il giorno dopo le elezioni. L’accelerazione sul Jobs act serve
al premier per archiviare la vittoria mutilata che liquida sbrigativamente:
“Queste elezioni non avranno ripercussioni sul mio governo”. Continuerà a
far finta che Alfano e Berlusconi rappresentino milioni di italiani.
Il dato, però, preoccupa i vertici del Pd,
che in Emilia Romagna ha più che dimezzato i voti rispetto alle Europee. Il
neoeletto presidente renziano Bonaccini commenta: “Ce l’abbiamo messa tutta”. Ma non sapevano dove trovarli altri
80 euro. “Servivano slogan più convincenti per gli elettori”. “Soddisfatti o
rimborsati” lo avevano già usato per i
consiglieri regionali. L’astensione galoppa, ma Renzi raccomanda ai suoi di
non dar segno di preoccuparsene. Immagino le riunioni: “Diremo che
l’astensione è un problema secondario”. Boschi: “Giusto Matteo! Il problema principale semmai sono i milioni
che non sono andati a votare!”. “Non
capisco come sia possibile che due elettori su tre non abbiano votato.
PUR POTENDO scegliere tra tre o quat-
tro diversi centrodestra!”. Alle Regionali del 1995 aveva votato l’89 per cento
degli aventi diritto. Nel 2000, l’80 per
cento. Nel 2005 il 77 per cento, nel 2010
il 68 per cento. Nel 2014 solo il 37 per
cento: nel 2020 può vincere Alfano con
il 2 per cento. È un non-voto politico,
osservano gli osservatori: non è frutto di
disinteresse, serve a dare un segnale.
Non votare per dare un segnale a chi ci
governa tutti grazie ai voti dei pochi che
lo hanno votato è una cosa legittima,
Stefano Bonaccini Ansa
SLOGAN
Il neoeletto presidente
renziano Bonaccini
commenta: “Ce
l’abbiamo messa tutta”.
Ma non sapevano dove
trovare altri 80 euro
che non ha mai funzionato. Perché il
potere e le risorse affidati a chi sale al
governo non vengono ridimensionati
in funzione del ridursi dei suoi elettori.
NONOSTANTE “l’avvertimento” che ha
voluto lanciargli il popolo di centrosinistra che non è andato a votare, Renzi
resta libero di fare accordi con Verdini e
con Berlusconi acciaccato dal voto, dalle condanne, dall’età, dall’uveite che si
aggrava (scambia di nuovo le minorenni per maggiorenni). Il non-voto degli
elettori ha la stessa forza del non-voto
dei cuperliani e dei dissidenti Pd (rientrati i bersaniani, che ieri hanno votato a
favore del jobs act. “Lo smacchiamo!”
era riferito all’articolo 18). I dissidenti
sono usciti dall’aula invece di votare
contro – come hanno fatto i civatiani:
Civati e un altro – al provvedimento, riguardo al quale, dice Renzi: “Non ho ceduto al Nuovo centrodestra”. Sacconi
conferma: ha ceduto a quello vecchio.
6
CINQUE STELLE
MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014
M
eloni: “Altro che
taglio delle tasse,
premier cialtrone”
ECCO “IL PIÙ PODEROSO taglio delle tasse
promosso da Renzi con la legge di Stabilità:
dall’Ufficio di Bilancio arriva un nuovo avvertimento sulla possibilità che scattino le clausole di
salvaguardia su Iva e accise, se dovesse accadere
la pressione fiscale tornerebbe a salire toccando
nel 2017 il massimo livello dal 1995. Io dico che
Renzi si dimostra sempre di più un cialtrone”.
il Fatto Quotidiano
Così su ieri su Facebook la leader della formazione di destra Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni,
che poi sul Jobs act ha continuato ad attaccare:
“Allo stato attuale il Jobs act è carta utile per
incartare la pizza perché non c’è scritto assolutamente nulla. Noi come Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale abbiamo tentato di fare delle
modifiche migliorative per dare risposte concre-
te e abbiamo depositato un emendamento sul
Job Italia di Luca Ricolfi. Parliamo di una proposta
di totale decontribuzione per le nuove assunzioni: 1.000 euro netti in tasca al lavoratore e
1.250 euro il costo complessivo per il datore di
lavoro. Produrrebbe centinaia di migliaia di nuovi
posti di lavoro, ma purtroppo è stato bocciato in
aula dalla maggioranza”.
M5S, guerriglia dissidente
Violato il divieto di Tv
IL DEPUTATO RIZZETTO VA A “OMNIBUS” MA IL BLOG DI GRILLO LO CENSURA: “NOI
NON ANDIAMO AI TALK SHOW, NON CI RAPPRESENTAVA”. E SI RIPARLA DI ESPULSIONI
di Luca De Carolis
S
toria di rivolta e repressione, in tre atti.
Inizia il dissidente
Rizzetto, che forza il
blocco dei capi e va in tv per
invocare “autocritica”. Risponde il blog di Grillo, censurando: “Il M5S non partecipa ai talk show, Rizzetto non
rappresentava il Movimento”.
Chiude il ribelle, mettendoci il
carico: “Caro Beppe, non chiedo il permesso ai tuoi cortigiani per raccontare il mio lavoro”. Parole per cui potrebbero
presentargli il conto, a breve.
DOPO IL FLOP nelle Regionali,
negato dai capi ma rumoroso
nei numeri, lo scontro interno
nei 5Stelle fa un salto di qualità.
Dalla guerra dei comunicati si
passa a un atto di ribellione.
Frutto di questioni incrociate:
il tema della tv vietata che è ormai rovente nei 5Stelle, i capi
Grillo e Casaleggio sempre più
lontani e incerti, i dissidenti
che reclamano spazio, convinti
che sia questo il momento ideale per forzare. Mescolare il tutto, e si arriva allo strappo del
deputato Walter Rizzetto, 39
anni, uno dei “critici” più influenti. Di buon mattino se ne
va a Omnibus, su La7. E va dritto: “Se parte dell’elettorato ci ha
abbandonato bisogna fare autocritica per apportare dei miglioramenti. Dobbiamo parlare”. Ma più che le parole poté la
presenza. Alla Casaleggio Associati non gradiscono. E prima delle 13 è già post di condanna: non firmato. Nessuna
minaccia di espulsione, parole
dure ma soppesate. A dispetto
del titolo, il post apre uno spiraglio al ritorno nei programmi, preteso da gran parte dei
parlamentari: “I talk show
stanno morendo di asfissia di
ascolti. Il M5S ha partecipato in
Lo studioso
passato a trasmissioni su temi
specifici e lo farà in futuro, soprattutto a livello di emittenti
locali dove si trattano aspetti
vicini ai cittadini”. Insomma, si
tornerà sul piccolo schermo,
ma non nei talk, e con moderazione. E Rizzetto? “La partecipazione a Omnibus è stata a titolo del tutto personale, Rizzetto non rappresenta la posizione
rei capire chi scrive i post sul
blog e come mai non si firma,
quasi mai. Dai feedback ricevuti mi pare evidente che il problema ora sia più tuo che mio...
Non chiedo il permesso ai tuoi
cortigiani per parlare del lavoro che stiamo facendo. Il dato
elettorale dovrebbe far riflettere te, in primis. #iononmollo e
tu?”. Tradotto, Rizzetto butta lì
la
domanda-provocazione:
Grillo si è davvero stancato
dell’M5S, come si vocifera da
settimane? All’orizzonte anche
l’assemblea degli eletti locali
del 7 dicembre a Parma, convocata in autonomia da Federico Pizzarotti, nume tutelare
dei critici.
POTREBBE trasformarsi nella
LARGO AI VELENI
Controreplica: “Beppe,
non chiedo
il permesso ai cortigiani”.
Serenella Fucksia contro
i capi comunicazione:
“Vadano su un’isola”
del M5S, né qualcuno gli ha dato questa responsabilità. Libero
di partecipare, ma non a nome
del Movimento”. Il deputato
legge e promette pubblicamente pronta risposta. La collega e
sodale Gessica Rostellato lancia su Twitter l’hashtag #siamotutticonrizzetto: e piovono cinguettii di sostegno. Soprattutto, il blog di Grillo si riempie di
commenti contro il post. Più
d’uno chiede: “Sul ritorno in tv
consultate la rete”. Rizzetto incassa. E poi risponde col cannone: “Caro Beppe Grillo, vor-
vera prova di forza dei dissidenti, se facesse il pieno di amministratori. I parlamentari discutono se e in quanti andare.
“Dobbiamo valutare” ragiona
un dissidente. Intanto la risposta di Rizzetto ha fatto infuriare
i piani altissimi. E da Milano
arrivano indizi di risposta durissima, a breve. Il rischio di
nuove espulsioni torna concreto, mentre rialzano la voce anche in Senato. Serenella Fucksia va in frontale contro i vertici della comunicazione, Rocco Casalino e Ilaria Loquenzi:
“Su Casalino, ex del Grande Fratello, capo comunicazione del
M5S per una ‘botta de lato B’,
nessuno osa proferir parola. E
nemmeno sulla Loquenzi, con
una carriera lampo degna di
Speedy Gonzales. Su un’isola
avrebbero cornice adeguata”.
Incrociato alla Camera, Casalino sorride e non risponde. Ma
c’è pure Luigi Di Maio, il numero tre, che ammette: “Impegniamo pochissimo in strategie
di comunicazione, forse dobbiamo comunicare meglio ciò
che facciamo”. E si torna a uno
dei soliti nodi: come parla e co-
me si presenta il Movimento.
Roberto Fico prova a mediare
tra i falchi alla Di Battista e i
moderati: “Dobbiamo andare
sul territorio, stare accanto alle
persone, ma anche stare in Parlamento. Io dico ‘calma e sangue freddo’: dobbiamo ragionare”. Pare difficile, nel Movimento in cerca di rotta ed equilibrio. Dove affiorano voci difficile da pesare. Come quella di
costanti contatti Di Maio-Pizzarotti, per ragionare del dopo
Grillo. Da una parte il più noto
dei parlamentari, dall’altra il
punto di riferimento degli eletti
locali. “Fantapolitica” risponde
un parlamentare che conosce
bene entrambi. Polpette avvelenate, forse. Un altro segno
della febbre a 5Stelle.
Twitter @lucadecarolis
Beppe Grillo. A sinistra, Walter Rizzetto LaPresse
CAMPANIA Rimborsopoli,
sette rischiano il processo
rrivano col contagocce
A
le prime richieste di rinvio a giudizio per la Rimborsopoli della Campania. Il pm
di Napoli Giancarlo Novelli
ha chiesto di processare sette
tra consiglieri ed ex consiglieri regionali, accusati a vario
titolo di truffa e peculato per
l’utilizzo illegittimo di circa
445.000 euro complessivi di
fondi destinati al funzionamento dei
gruppi e alla comunicazione. Ma presto
ne seguiranno altri. Nel frattempo tocca
all’ex capogruppo Udeur Ugo De Flaviis (oggi Ncd), il ‘seme’ dell’inchiesta –
uno stralcio nato da una intercettazione
inserita in un altro fascicolo riguardante l’assunzione di una sua parente - e ad
altri sei politici: l’ex capogruppo della
lista Caldoro, Gennaro Salvatore (quello calvo degli scontrini della tintura per
capelli), i consiglieri regionali Raffaele Sentiero (Ncd), Sergio Nappi
(Forza Italia), Massimo
Ianniciello (gruppo misto, eletto nel Pdl), l’ex
consigliere
regionale
Angelo Polverino (eletto nel Pdl e agli arresti
da un anno per un’altra
inchiesta sulle infiltrazioni camorristiche negli appalti dell’Asl casertana), l’ex consigliere
Pdl Pietro Diodato. Nelle carte ci sono storie di
fatture per prestazioni mai eseguite o antecedenti all’elezione, aziende fantasma
intestate a prestanomi, albergatori compiacenti che avrebbero affittato sale per
convegni mai svolti, più di 2000 euro in
cialde di caffè nell’Udeur. Chieste anche
delle archiviazioni. La più importante,
“anticipata” dal Fatto del 7 giugno scorso,
quella del sottosegretario Pd Umberto Del
Basso De Caro.
Vincenzo Iurillo
Piergiorgio Corbetta
“Il Movimento ha perso, se non cambia morirà”
l risultato dei Cinque Stelle è più che
I
negativo, è negativissimo. Sono i
più colpiti dall’astensionismo, nonostante quello che ha scritto Grillo”.
Piergiorgio Corbetta, direttore di ricerca presso l’istituto Cattaneo di Bologna, è co-autore del libro Il partito di
Grillo (Il Mulino) assieme a Elisabetta
Gualmini.
Secondo il blog del fondatore in Emilia
Romagna il Movimento ha guadagnato voti. E l’astensionismo
ha colpito solo gli altri partiti.
Non è così, i numeri dei flussi
elettorali sono chiari. In Emilia i
Cinque Stelle hanno perso 3/4
dei voti rispetto alle Europee
della primavera scorsa. E molti
di quei consensi sono finiti nell’astensione (il 43 per cento circa, ndr), un’altra parte è andata alla Lega Nord.
Rispetto alla Regionali del 2010 sono
cresciuti.
Il paragone non regge, nel 2010 Grillo
non era sceso in campo sul piano nazionale. Il Movimento così come è
adesso ancora non esisteva.
Perché questo calo?
Perché i Cinque Stelle si alimentano
del voto di protesta. Grillo, per dirla in
termini tecnici, è stato il “prenditore”
di quei votanti arrabbiati, se ne è impossessato con tecniche innovative.
Ma quel tipo di elettore è impaziente,
pretende subito risultati. E ora presenta il conto. O guarda alla Lega.
Salvini è il vero rivale di Grillo?
Di certo il Carroccio ha intercettato
parte del voto di
protesta, pescando nello stesso
LA VERITÀ DEI NUMERI
bacino dei 5Stelle.
D’altronde nel
“In Emilia ha smarrito 3/4 dei consensi
2013 Grillo fece il
ed è stato il più penalizzato dall’astensione.
boom alle PolitiIl voto di protesta gli ha voltato le spalle”
che proprio pren-
dendo molti voti alla Lega, e a Di Pietro.
Tra i 5Stelle infuria la polemica sull’andare o meno in tv. L’assenza dagli
schermi ha influito sul voto?
È una questione di lana caprina. Prima
delle Politiche non esistevano in televisione, anzi Grillo aveva fatto
dell’ostracismo verso le tv uno dei suoi
punti forti. Eppure nelle urne superarono il 25 per cento.
E allora cos’è che non funziona?
Il vero problema è che il M5S non ha
una proposta politica chiara, solida. La
stessa campagna anti-euro è confusissima. E poi i 5Stelle sono senza ideologia e senza radicamento territoriale.
Hanno una base molto fragile.
I dissidenti accusano Grillo e Casaleggio.
La figura di Grillo rimane fondamentale, non ne possono fare a meno. Ma
anche i vertici devono prendere atto
che i movimenti prima o poi devono
mutare pelle, diventare istituzioni: altrimenti muoiono. La storia lo ha sempre dimostrato.
Quindi?
Devono prendere atto che il modello
dell’uno vale uno, della democrazia diretta, è fallito, è immaturo. E strutturarsi come un partito tradizionale. Meglio una democrazia approssimata che
l’autocrazia di Grillo e Casaleggio, con
le loro espulsioni immotivate.
Ldc
TELE-SCHERNO
il Fatto Quotidiano
Bhaonaccorsi
(Pd)
la soluzione:
“Tassa tv va abolita”
"ALTRO CHE RIDURLO, visti certi sprechi il
canone Rai andrebbe abolito del tutto”. A dichiararlo è Lorenza Bonaccorsi, responsabile
cultura del Pd e componente della Vigilanza
Rai. “Quando leggiamo di appalti milionari ingiustificati - spiega Bonaccorsi - e assunzioni
di altri dirigenti esterni, dopo che ce ne sono
già trecento in azienda, viene da chiedersi se
GIACOMELLI ILLUSTRA L’ABBONAMENTO RIDOTTO MA PALAZZO CHIGI CORREGGE:
MEGLIO RINVIARE. INTANTO LA TARANTOLA: “RICORSO CONTRO MEF A FINE MESE”
Tecce
N
iente canone Rai
pagato a rate con
la
bolletta
dell’elettricità.
Non è la prima volta che un
governo va di gran carriera
verso una revisione contabile
in Viale Mazzini e poi ci ripensa per non dar fastidio a
un’azienda-partito (che sembrava d’accordo) e ai contribuenti-telespettatori che già
subodoravano la fregatura.
Com’è andata, oggi, non è
mai accaduto.
Il sottosegretario Antonello
Giacomelli, consumati mesi
di annunci, di sbandierate riduzioni dell’odiata tassa tv, di
prima mattina, in radio ha
spiegato il nuovo meccanismo di riscossione. Giacomelli parlava a ragion veduta,
la norma da introdurre con
un emendamento nella legge
di Stabilità è pronta da settimane. Il sottosegretario, però, non aveva calcolato la reazione del Tesoro, contrario a
questa misura e di Palazzo
Chigi, che non vuole gettarsi
a petto nudo sul delicato
fronte di Viale Mazzini. A
smentire Giacomelli è l’intero governo. Il tempo che s’è
perso non era più recuperabile, questa è la spiegazione
ufficiale. Perché Giacomelli,
prima di un viaggio negli Stati Uniti, aveva lasciato a Matteo Renzi due testi da utilizzare con un decreto, soltanto
il ricorso all’emergenza
avrebbe perfezionato la riforma natalizia con tanto di propaganda inclusa: Renzi abbassa il canone, non più 113,5
euro via bollettino, ma fasce
da 30 a 80 euro e in comode
rate.
A VIALE MAZZINI veniva ga-
rantito un introito triennale
di 5,1 miliardi di euro, la stessa cifra che incassa oggi nonostante un’evasione del 27%
che vale 500 milioni l’anno. Il
metodo non ha convinto il
Tesoro: chi avrebbe perseguito l’evasore fiscale? L’Agenzia
7
non sia opportuno avviare subito una discussione seria per eliminare l’obbligo del canone,
la tassa più odiata dagli italiani, e mettere in
campo altri strumenti per permettere al servizio pubblico di finanziarsi, a partire dalla
pubblicità. Quando si discute di riforma del
canone, bisognerebbe parlare innanzitutto di
questo”.
IL GOVERNO SI SMENTISCE:
NIENTE CANONE IN BOLLETTA
di Carlo
MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014
AUTOVELOX Il Viminale
annulla multe milanesi
occiatura per il Comune di Milano sulla queB
stione Autovelox. Per il Viminale, a seguito
delle lamentele e delle proteste di cittadini e as-
sociazioni dei consumatori, a Palazzo San Marino
hanno torto a notificare le multe dopo i 90 giorni
dall'infrazione. Di conseguenza tutti gli accertamenti e le multe fatti oltre i tre mesi, e quindi anche
dopo cinque, otto o dieci mesi dalla famigerata
“foto” dell’autovelox
sono da annullare.
Insomma la multa è valida se l'istituzione rispetta i tempi di verifica
e di notifica. A sostegno
di questa tesi arriva infatti il chiarimento del
Ministero dell’Interno
secondo cui non può essere responsabilità del
cittadino la carenza del
personale e il ritardo
delle verifiche e dei controlli. Nelle scorse settimane per la vicenda si erano scatenate le proteste
di cittadini “multati” sostenuti da diverse associazioni di consumatori e comitati. Non si esclude
che possano esserci ripercussioni anche in altre
città.
Antonello Giacomelli, sottosegretario alle Tlc Ansa
delle Entrate non vuole essere
coinvolta. Per evitare pastrocchi, il governo ha deciso di
rinviare al prossimo anno e in
Viale Mazzini devono preparare le lettera da spedire agli
italiani e la pubblicità per
convincerli a sborsare i soliti
113,5 euro (a rischio aumento). Giacomelli è molto renziano, altrimenti avrebbe meditato le dimissioni: resisterà
a lungo? Il Cda Rai, in attesa,
ha trascorso la serata in Commissione di Vigilanza, i parlamentari hanno convocato i
vertici aziendale dopo il voto
per il ricorso contro il prelievo da 150 milioni di euro voluto da Palazzo Chigi. Il presidente Anna Maria Tarantola, che in Cda s’è astenuta, ha
comunicato che l’esposto in
Tribunale sarà formalizzato
entro fine mese. L’ex vicedirettore generale di Bankitalia
ha spiegato così la scelta pilatesca: “Gli argomenti a favore o sfavore erano forti”. La
Tarantola non vuole rinsaldare il rapporto con il dg Luigi
Gubitosi, s’intende.
Renzi contro l’amianto: “La vita non si prescrive”
IL PREMIER INCONTRA LE FAMIGLIE DELLE VITTIME DI CASALE MONFERRATO E BAGNOLI E PROMETTE DI RIFORMARE LA LEGGE
di Andrea
Giambartolomei
Torino
a battaglia contro
L
l’amianto “deve diventare una battaglia di civil-
tà”. Ieri pomeriggio a Palazzo Chigi il primo ministro Matteo Renzi ha incontrato i familiari delle
vittime dell’Eternit di Casale Monferrato e di Bagnoli, città dove la multinazionale del cemento aveva due stabilimenti e dove
più di duemila persone so-
no morte per i tumori provocati dall’asbesto. Durante l’appuntamento il premier ha ribadito due impegni importanti: la costituzione di parte civile
nell’eventuale
prossimo
processo e la riforma della
prescrizione, tanto invocata in questi giorni, perché
“la vita non si prescrive”.
Al termine degli incontri
con le istituzioni (tra di loro pure il presidente del Senato Pietro Grasso e quello
della Camera Laura Boldri-
ni) il presidente dell’Associazione dei familiari delle
vittime dell’amianto di Casale Monferrato Romana
Blasotti Pavesi ha rimarcato la loro richiesta di giustizia ricordando che “lo
Stato c'è se le promesse che
ci hanno fatto oggi saranno
mantenute”.
Con un po’ di realismo il
coordinatore
dell’Afeva
Bruno Pesce ha ricordato
che il premier “non è un giudice”. D’altronde le promesse fatte da Renzi sono tante,
ECCO PENATI in udienza al processo:
“Su Serravalle non rispondo”
l tribunale ha accolto che entrasse in di- sono tracce di soldi miei all’estero, i denari si
I
battimento anche la mia testimonianza fermano lì dove la finanza li ha fermati. Forse
sui fatti andati in prescrizione. Mi consen- bisognerebbe cercare responsabilità altrove,
tiranno di spiegare e ne sono contento”. È
così è stato. Filippo Penati in aula è un fiume
in piena. All’inizio oppone il silenzio sulla
Milano-Serravalle, prima che “si chiudano le
indagini”, poi esplode sul cosiddetto “Sistema Sesto”: “Sono passati 1.223 giorni da
quando la guardia di finanza mi svegliò alle 7
di mattina. Finalmente è il momento di farmi sentire”, ha esordito. L’ex sindaco di Sesto
San Giovanni ed ex presidente della Provincia di Milano si difende a tutto campo: “Non
so perché sono stato accusato, non ho mai
preso tangenti né ricevuto prestiti. Non ci
ma questo non è il mio mestiere”. Penati ne
ha anche per il suo grande accusatore l’imprenditore Giuseppe Pasini: “Non ho mai
chiesto tangenti a Pasini per le aree Falck.
Come ho provato poi, non c’era ragione che
io chiedessi in prestito soldi a Di Caterina. Il
prestito non esiste, si dice siano per i debiti di
Penati, ma si fermano altrove. La prima ammissione che Pasini ha fatto è che di soldi
chiestigli da Di Caterina, un miliardo, erano
da dare a Penati. Poi si lamenta di aver pagato, e non aver ricevuto la concessione. Io
non so. A me non è arrivato un centesimo”.
impegnative e toccano tutti i
temi, da quelli giuridici a
quelli sanitari, passando per
quelli ambientali.
Come hanno riassunto i senatori del Pd Daniele Borioli, Stefano Esposito e Federico Fornaro, il premier “si è
impegnato a individuare
uno o più provvedimenti finalizzati a proseguire e accelerare l'opera di bonifica e
a verificare la possibilità di
allargare l'accesso al Fondo
vittime amianto anche ai cittadini non direttamente impiegati nella produzione”.
ATTENZIONE anche al soste-
gno della ricerca medico-scientifica “sulle patologie asbesto-correlate, in particolare presso le strutture di
Casale Monferrato ed Alessandria”.
Sul piano della giustizia penale il deputato democratico Massimiliano Manfredi, che accompagnava la delegazione di “Mai più
amianto” di Bagnoli, ha ribadito la necessità di cambiare alcune leggi: “Abbiamo chiesto a Renzi e alla
Boldrini di attivarsi affinché il Parlamento venga approvato nel più breve tempo possibile il disegno di
legge sui reati ambientali
che all'interno prevede una
riforma sul tema della prescrizione”.
Lo stabilimento Eternit di Casale Monferrato abbandonato Ansa
IMPEGNI E FUTURO
Palazzo Chigi si costituirà
parte civile nel prossimo
processo. Il sindaco
piemontese vuol portare
il proprietario dell’Eternit
al Tribunale dell’Aja
Lo stesso invito è arrivato
pure dal vicepresidente del
Csm Giovanni Legnini che
ha incontrato il sindaco di
Casale Titti Palazzetti: “Occorre una seria riforma sui
reati ambientali.
L’attuale quadro normativo
risulta inadeguato”, ha detto.
Secondo lui la “dolorosissi-
ma vicenda Eternit” mette in
causa “l’adeguatezza del nostro ordinamento sui gravi
effetti dei fenomeni di inquinamento industriale sulla salute dei cittadini e sull'ambiente”.
SOLO A QUESTO punto “la
magistratura italiana, dentro
un quadro normativo chiaro
e certo, assolverà alla sua irrinunciabile funzione di accertamento dei reati, punizione dei colpevoli e risarcimento delle vittime”. In questi giorni, il sindaco di Casale
Monferrato, Titti Palazzetti,
ha puntato pure in alto:
“L’amianto è un crimine
contro l’umanità, vogliamo
portare Schmidheiny alla
Corte dell’Aja”.
@AGiambartolomei
8
Violenza su donne:
il governo promette
e i centri protestano
di Carlo
I
ITALIE
MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014
Tecce
l 31 ottobre 2014, il volo di linea AH2721 di
Air Algerie decollava
dal “Miramare” di Rimini con destinazione la capitale nordafricana. Quel
giorno, l’aeroporto internazionale che porta il nome di
Federico Fellini spense i riflettori, appose i sigilli e mandò in
cassa integrazione 78 dipendenti. (Il regista riminese è
scomparso il 31 ottobre 1993).
Oggi il filo spinato circonda
una pista di 3000 metri con
l’asfalto in perfette condizioni,
l’ingresso tirato a lucido, i tabelloni luminosi e gli scivoli
per le valigie ancora intonsi.
Perché mai pagati. Il “Miramare” è un ponte sbarrato verso i turisti russi, per il momento dirottati ad Ancona, ma la
società a maggioranza pubbli-
L’INCHIESTA
Bancarotta
fraudolenta, abuso
d’ufficio, concussione.
Coinvolti
amministratori locali
e vertici Enac
NON SOLO lustrini e retorica nella giornata mondiale contro la violenza sulle
donne. A fare da contraltare a rituali e
dichiarazioni politiche è stata una polemica innescata dall'associazione
D.i.R.e, che riunisce vari centri antiviolenza. Secondo la presidente, Titti Carrano, “il 74 percento dei centri riceve fi-
il Fatto Quotidiano
nanziamenti pubblici il cui importo non
riesce a soddisfare e coprire tutte le attività che vi si svolgono”. Sotto accusa
anche una possibile intesa in Conferenza unificata che porterebbe all’approvazione di un documento per ridefinire
le loro funzioni: “In questo documento
non si riconoscono il ruolo e le compe-
tenze delle operatrici. La violenza contro le donne è un fenomeno che va contrastato con un approccio integrato.
Siamo costrette a denunciare una vera
e propria deriva culturale che vuole burocratizzare un’esperienza che non può
essere ingabbiata in un neutro servizio”, ha concluso Carrano.
Rimini disastro “rosso”
e nessuno paga il conto
stimoni e le relative prove. Il
buco di Aeradria potrebbe superare i 50 milioni di euro, una
parte consistente (15) riguarda
le banche.
LA CARIGE ha inoltrato una
CHIUSO L’AEROPORTO “FELLINI”, A CASA I DIPENDENTI, UN BUCO DI 43 MILIONI
LE BANCHE BUSSANO ALLA PROVINCIA E AI COMUNI MA LA GIOSTRA PUÒ RIPARTIRE
mini ha aperto un’inchiesta
per i reati di abuso d’ufficio,
che coinvolge il presidente
della Provincia Stefano Vitali
(Pd) e il sindaco Andrea Gnassi (Pd); per bancarotta fraudolenta contro gli amministratori di Aeradria e di un paio di
società collegate; per ricorso
abusivo al credito per un funzionario responsabile fidi di
LO SCALO
ca che lo gestiva, la Aeradria, è
fallita per sempre.
Il colore che fa da sfondo a
questa vicenda, nutrita di
sciatteria e di arroganza, è il
rosso: il rosso emiliano-romagnolo di una politica che voleva trasformare il “Miramare” in un piccolo “Heathrow”
all’inglese, il rosso dei bilanci
scaricati in tribunale con (almeno) 43 milioni di debiti. La
Provincia di Rimini possedeva
una quota del 38% in Aeradria, capeggiava una serie di
azionisti istituzionali, come i
Comuni di Rimini (18%), Riccione (4,56), la Regione (5,26),
la Camera di Commercio
(8,9), e poi un mucchio trasversale e minoritario tra la
Confindustria e San Marino.
LA STORIA
Doveva essere un piccolo
Heathrow per i russi
in Riviera, la società
di gestione pagava
38 euro a sedile
(occupato o vuoto)
L’aeroporto Miramare di Rimini ribattezzato Fellini; sotto Vito Riggio dell’Enac Ansa
CHE BELLA, la Riviera. Che co-
modo, il Fellini. I turisti atterravano entusiasti e le navette li
trasportavano in spiaggia. In
zona, l’estate era traffico,
agenzie, pubblicità e avventori. In inverno, la penuria. E allora la politica, senza valutare
le conseguenze economiche,
lo sforzo oltre i limiti, pensò
bene di puntare a una concessione definitiva, non più a un
mandato provvisorio che ogni
anno l’Ente nazionale per
l’aviazione civile (Enac) rinnovava. L’ambizione ha un prezzo: 25 milioni di euro. E anche
un sovrapprezzo, i 38 euro a
sedile (occupato o libero non
importa) che Aeradria pagava
a Ryanair per aprire le rotte
verso l’Olanda, la Francia e la
Germania.
L’andata e ritorno per Amsterdam costava ad Aeradria decine di migliaia di euro. Per la
Sicilia, c’era la Windjet di Antonino Pulvirenti che, due anni fa, ha parcheggiato i propri
velivoli. Il traguardo di Aeradria era il milione di passeggeri, sfiorato nel 2010 con un
transito di 920.000 utenti, poi
il crollo verticale, le casse vuote, i creditori al campanello. I
25 milioni di investimento
spesi, le banche coinvolte, la
Provincia riminese e i Comuni
rassicuranti: un attimo di gloria, prima di un concordato in
bianco, di un secondo concordato saltato e l’arrivo del curatore fallimentare.
Un anno fa, la Procura di Ri-
Cassa di Risparmio di Rimini.
Per concorso in bancarotta
fraudolenta, il fascicolo contiene i nomi dei vertici di Enac,
il capo Vito Riggio e tre consiglieri. A Roberto Sorrentino
di Enac, nonché ex sindaco effettivo del collegio sindacale di
Aeradria, viene contestata anche la concussione per una
consulenza da 70.000 euro,
giustificata come un parere
tecnico sul posizionamento
del sito internet di Aeradria.
Ma gli inquirenti hanno scoperto che Sorrentino copiò la
perizia da una tesi di laurea di
uno studente che neppure conosceva, e dunque l’ingaggio
risulta sospetto. L’ultima
udienza si è tenuta a inizio luglio con l’ammissione dei te-
richiesta di restituzione immediata al Comune di Riccione
che, nel frattempo, ha cambiato sindaco e orientamento politico: sempre a sinistra seguendo l’evoluzione dai comunisti ai democratici, adesso
comanda il centrodestra berlusconiano. L’istituto ligure finanziò la ristrutturazione di
“Miramare” con 1,2 milioni di
euro, ma neanche una rata è
stata liquidata. Il sindaco Renata Tosi (Forza Italia) ha fatto
sapere che le garanzie offerte
dal predecessore non furono
mai discusse e approvate in
Consiglio. Per ottenere prestiti
facili, i politici utilizzavano i
Comuni e la Provincia come
assicurazioni sui mutui, convinti che le casse pubbliche
fossero stracolme di denaro e
che il “sistema rosso” e la protezione emiliano-romagnola
fossero efficaci. Il Partito democratico ha cercato di ridimensionare lo scandalo, ma gli
elettori non hanno rimosso. Il
dem Gnassi, però, ha raddoppiato la carica: sindaco a Rimini e presidente della Provinciale non eletto, bensì nominato dai colleghi. Il caso è
rimasto circoscritto all’Emilia-Romagna, se non fosse per
le continue denunce di pochi
oppositori, il Movimento Cinque Stelle e quel che resta di
Sinistra Ecologia e Libertà.
Nonostante questa tremenda
esperienza, i lavoratori a casa, i
soldi sprecati, Rimini non
vuole rinunciare all’aeroporto.
Enac accontenta, perché ha disposto un bando per la riapertura, assegnato a una cordata
di sette gruppi, Airiminum:
assegnazione a tempo, soliti e
vecchi problemi. Ma l’ultimo
Cda di Aeradria ha già presentato ricorso in Cassazione.
Tutto bloccato, tutti a terra.
Almeno per un anno. Poi si
vedrà. Prima di partire, qualcuno dovrà saldare il conto da
43 milioni.
Il 5 per mille tra enti inutili e procedure opache
LA CORTE DEI CONTI CONTRO LA GESTIONE DELLE QUOTE IRPEF, CHE VANNO ANCHE ALLA FONDAZIONE DI D’ALEMA E ALLA ONLUS DEL MILAN
di Valeria Pacelli
roppi enti inutili, soldi distribuiti
T
in modo non sempre equo e una
burocrazia macchinosa e quindi lentis-
sima. Sono le criticità del sistema del
cinque per mille, la quota dell’Irpef,
che lo Stato ripartisce tra enti che svolgono attività (almeno in teoria) socialmente rilevanti, sulla base delle scelte
dei contribuenti. A delinearle è la Corte
dei Conti che avvisa l’attuale Parlamento di “valutare se proseguire con il
5 per mille. In caso di scelta positiva, si
avverte l’esigenza della stabilizzazione
dell’istituto”.
UNA NUOVA grana per il pre-
mier Matteo Renzi che ha inserito alcune modifiche dell’istituto del cinque per mille all’interno della Riforma del Terzo Settore, siglata dal sottosegretario
al Welfare Luigi Bobba. A luglio
scorso il governo annunciava di “rivedere e stabilizzare l’istituto della destinazione del 5 per mille in base alle scelte
dei contribuenti. È prevista l’introduzione di obblighi di pubblicità delle risorse”. A distanza di cinque mesi, la riforma non è stata approvata. Se ne discute per adesso in Commissione Affari
Sociali. Bisognerà quindi tenere conto
della relazione dei magistrati contabili
che hanno analizzato la gestione del
cinque per mille degli ultimi anni. I soldi che i contribuenti decidono di versare non sono quelli che arrivano realmente ai vari enti. Nel 2010 ad esempio
sono stati destinati 463 milioni, ma
l’importo effettivamente liquidato ammonta a 383 milioni di euro. Mancano
all’appello 80 milioni che lo Stato utilizza senza particolari vincoli. Nel 2011
gli importi dei contribuenti sono 487
milioni di euro circa, quello liquidato è
di 395 milioni. Per evitare che ci questo
gap tra gli importi attribuiti dai contribuenti e quelli liquidati, i magistrati
contabili suggeriscono di “eliminare il
tetto di spesa, in maniera tale che l’attribuzione del 5 per mille non si traduca
in una percentuale di fatto minore”.
E AGGIUNGONO: “Risulta grave che il
patto tra Stato e cittadini venga sistematicamente violato,
analogamente accade anMILIONI SPARITI
che per la quota
dell’8 per mille
Ogni anno parte del “tesoretto” non raggiunge
che viene spesso
i destinatari, ma la riforma promessa è al palo.
dirottato su altre
I giudici contabili: “Violato il patto con i cittadini” finalità rispetto a
quelle stabilite dai contribuenti”. Nel
caso del cinque per mille, ci sono circa
50 mila enti che hanno ricevuto denaro
nel 2012, di cui circa 9 mila hanno ottenuto “un contributo inferiore ai 500
euro” e molti di questi “non producono
alcun tipo di valore sociale”. Ad esempio, tra gli enti della ricerca scientifica e
dell’università ammessi “compaiono
alcuni che suscitano perplessità, addirittura, in taluni casi, privi di un sito
web”. Nell’elenco degli enti ammessi al
cinque per mille ci sono anche associazioni di categorie professionali come
quelle dei notai o avvocati o associazioni calcistiche, come la fondazione Milan, “iscritta nell’anagrafe delle Onlus”.
E non mancano le fondazioni legate alla
politica. Tra queste - alcune per gli anni
scorsi - sono state ammesse nell’elenco
dei beneficiari la fondazione Italiani
Europei di cui è presidente Massimo
D’Alema; la fondazione Nuova Italia,
presieduta da Gianni Alemanno, o
quella Magna Carta di Gaetano Quagliariello. Nella distribuzione degli importi, sono 40 i beneficiari in top list. Dal
2006 al 2011 il primato va all’Associazione italiana per la ricerca sul cancro,
che nel 2011 ha ricevuto 55 milioni di
euro circa. Tra gli altri enti ci sono la
Fondazione San Raffaele del monte Tabor con 6,8 milioni nel 2011; Emercency con 11 milioni e Medici senza frontiere con altri 8 milioni sempre nel
2011. Analizzando la situazione i magistrati contabili ritengono “necessario
intraprendere un'attività di audit dell'Agenzia delle entrate sul comportamento degli intermediari in potenziale
conflitto di interesse” e suggeriscono di
pubblicare “un unico elenco annuale di
tutti i beneficiari, con il relativo numero di contribuenti e di importo”. Chissà
se di tutto questo terrà conto il governo,
che proprio oggi discute in Commissione la riforma del Terzo Settore.
Twitter: @PacellliValeria
ITALIE
il Fatto Quotidiano
Sì o no ai vaccini,
la sentenza
accende la polemica
IL TRIBUNALE di Milano ha condannato il Ministero della Salute a corrispondere un vitalizio
bimestrale a un bambino affetto da autismo, si
legge nel dispositivo, “concausato, sulla base di
un polimorfismo che lo ha reso suscettibile alla
tossicità di uno o più ingredienti (o inquinanti),
dal vaccino Infanrix Hexa Sk”. In una nota ufficiale
il dicastero ha però dichiarato di aver presentato
appello. La decisione ha comunque scatenato le
polemiche. Massimo Scaccabarozzi, presidente
di Famindustria parla di “continue denigrazioni
che creano il panico nei confronti di qualcosa che
è molto importante e che salva tante vite”. Gli fa
eco Emilia Grazia De Biasi, presidente della Commissione Sanità del Senato: “Sono relazioni non
dimostrate. È una sentenza stravagante. I vaccini
ALLO SPALLANZANI 55 MILIONI
MA IL MEGALABORATORIO NON C’È
ROMA, NEL FUTURISTICO CENTRO CHE CURA IL PRIMO ITALIANO MALATO DI EBOLA
MANCA LA “CABINA” BSL-4 DESTINATA ALLA COLTURA DEI VIRUS PIÙ LETALI
di Chiara Daina
esperimenti con piccoli animali,
come i roditori, e vedere se un
farmaco contro un virus letale
funziona o meno”. Ecco, una
cosa del genere allo Spallanzani
manca. Il ministero della Salute,
interpellato, dice che per diagnosticare l’Ebola basta il livello
3. Serve però il livello 4 “per effettuare i test, che necessitano la
coltura del virus e conservare i
campioni biologici positivi”.
Così si legge nel Protocollo Ebola del 6 ottobre scorso. Secondo
il ministero lì non si deve fare
ricerca, eppure lo Spallanzani è
I
conti non tornano. Dal
2003 l’ospedale Spallanzani di Roma, centro di
riferimento europeo per
l’Ebola, ha ricevuto dalla Protezione civile 40 milioni di euro
per la costruzione di un reparto
di Alto isolamento con dieci posti letto per pazienti gravemente
infetti e un laboratorio di livello
4 (Biosafety-Level-4, Bsl-4, per la
diagnosi e la coltivazione di virus di rischio 4, il più elevato),
ma l’edificio è ancora chiuso.
Nel 2006 il piano anti-Sars della
Presidenza del Consiglio stanzia altri 12,1 milioni. Nel 2010 la
Protezione civile ne investe altri
2,5. Risultato: cancelli ancora
chiusi a undici anni dall’inizio
dei lavori. “Non è colpa nostra”
dice Maria Capobianchi, direttore dei laboratori di virologia.
Aprono a dicembre, dicono.
Vedremo.
E INVECE A MILANO
L’ospedale Sacco
dispone della struttura,
ma per le analisi legate
all’emergenza africana
deve spedire le provette
nella Capitale
UNA STRUTTURA avveniristi-
ca, chiusure ermetiche, rilevatori di impronte digitali, telecamere, ingressi unici per ogni
stanza, che nessuno Stato europeo vanta, da fare invidia perfino agli Stati Uniti. Un’idea di
Guido Bertolaso, che affidò
l’opera al fedele Angelo Balducci, allora presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici
e alla ditta di Diego Anemone
(poi accusati di concorso in corruzione proprio per la gestione
degli appalti della Protezione civile). Lo Spallanzani però dovrebbe essere il fiore all’occhiello per la cura delle malattie infettive. Quindi dovrebbe disporre di un laboratorio di livello 4 per la sperimentazione e la
ECCELLENZA
MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014
9
salvano molte vite”. Secondo Nadia Gatti, presidente del Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino, è invece “necessario un tavolo di
lavoro per fare chiarezza sui possibili effetti avversi dei vaccini. Non diciamo che tutti i vaccini
fanno male sempre. Ma non si può nemmeno
sostenere il contrario, perché i danneggiati riconosciuti in quanto tali esistono”.
Farmaci sperimentali
per il medico: è stabile
SONO STABILI LE CONDIZIONI del medico siciliano che
ha contratto l’Ebola. Il paziente, 50 anni, è arrivato in Italia
ieri mattina dopo un trasferimento durato circa sei ore ed
effettuato dall’Aeronautica Militare italiana. Secondo il primo bollettino medico diramato dallo Spallanzani, dove è
stato ricoverato, “alla partenza dalla Sierra Leone, il paziente presentava condizioni di stabilità clinica”. Condizioni
che si sono mantenute tali
anche all'arrivo all'ospedale.
Sempre nel bollettino è stato precisato che al ricovero il
paziente era “vigile, collaborante, deambulante e autonomo”, pur presentando
febbre. Altissime le misure
di sicurezza: il medico è ricoverato in isolamento in
una stanza predisposta a
questo tipo di emergenze. Il
paziente è sotto la supervisione di 15 membri del personale
sanitario. Subito dopo il ricovero, per l’uomo è iniziato il
trattamento con il primo dei farmaci sperimentali, un antivirale specifico, autorizzato in tempi record assieme ad
altri farmaci dall’Agenzia Italiana del Farmaco e dal Ministero della Salute.
LO SPECIALISTA LAVORAVA IN SIERRA LEONE nel Centro Emergency contro l’ebola di Lakka, aperto dall'organizzazione umanitaria lo scorso settembre per fronteggiare
l'epidemia. Assieme a lui operavano altri 110 operatori, tra
medici, infermieri e personale specializzato, tutti provenienti da Italia, Serbia, Spagna e Uganda. Tutti in Sierra
Leone per combattere una delle peggiori epidemie degli
ultimi anni, dove i numeri, terribili, parlano da soli: secondo
i dati dell'organizzazione fondata da Gino Strada, oltre cento persone al giorno contraggono il virus. Nei giorni scorsi
anche il medico italiano, primo caso per un nostro connazionale.
Il laboratorio dello Spallanzani di Roma
coltura di virus letali come Ebola, vaiolo, lassa, febbre di Marburg e del Sudamerica e altri. Il
Centro per la prevenzione e il
controllo delle malattie (Ccm)
del ministero della Salute scrive
che l’istituto è fornito di apposito laboratorio. Il direttore
scientifico Giuseppe Ippolito è
addirittura tra i membri del
Network europeo “of Biosafety-Level-4 laboratories”, nato nel
2005, con i colleghi di Lione,
Porton Down, Londra, Amburgo, Marburgo e Solna. Ma esiste
il Bsl-4 allo Spallanzani? Siamo
andati a vedere.
QUARTIERE PORTUENSE, pe-
riferia ovest di Roma, padiglione Del Vecchio. Qui incontriamo Antonino Di Caro, responsabile dei laboratori di biosicurezza. “Sono di livello 3 avanzato” spiega il medico, indicando
tre stanze, una accanto all’altra,
che si affacciano lungo lo stesso
corridoio. Cioè? “All’interno c’è
un glove box cabinet, cioè una cabina che serve per analizzare i
virus di livello 4 con l’uso di
guanti”. Qual è la differenza con
un Bsl-4? “Lì hai una stanza a cui
accedi con una tuta per isolarti
dall’ambiente esterno. Puoi fare
istituto “a carattere scientifico”.
Nel piano triennale 2012-2014,
conferma il direttore del Patrimonio Paolo D’Aprile, si parla
di 4,6 milioni di euro per la ristrutturazione dei laboratori di
biosicurezza. Dalla Regione non
sono arrivati. “Si è riscontrata –
si legge nel documento –, un’eccessiva concentrazione di operatori e macchinari all’interno
dei singoli ambienti che, in molti casi, non presentano neppure
i requisiti tecnologici previsti
dalla normativa sugli impianti
elettrici, di climatizzazione e
ventilazione meccanica”. Si
chiede anche l’adeguamento
degli edifici, risalenti agli anni
Trenta, alla sicurezza antisismica e antincendio.
E PENSARE CHE l’ospedale Sac-
co di Milano con i fondi Sars nel
2003 ha messo a punto un laboratorio Bsl-4. Nel 2004 ha chiesto l’accreditamento al ministero, che è arrivato dieci anni dopo. Perché tanta resistenza?
Mancando una normativa di riferimento, fanno sapere dal Sacco, ogni volta il direttore deve
chiedere ai funzionari di quali
documenti abbiano bisogno.
Per il riscontro di un collaudo
passano otto mesi o un anno.
Dopo solleciti via fax e mail 21
maggio scorso è arrivato il nullaosta. “Il ministero ha escluso il
Sacco dai destinatari del bollettino emergenze biologiche, che
riguarda tutte le epidemie, da
Ebola alle influenze stagionali –
raccontano da Milano –. Soltanto a luglio ci hanno inserito nella
lista”. Sullo stesso piano dello
Spallanzani, in teoria. Ma pur
disponendo del laboratorio
Bsl-4, le provette con i campioni
sospetti di Ebola devono mandarli sulla via Portuense.
Di Stefano e il nido all’Eur con la coindagata
IL DEPUTATO PD INQUISITO PER CORRUZIONE COMPRÒ UNA CASA DA 850 MILA EURO CON LA COMPAGNA (DIRIGENTE LAZIOSERVICE)
di Marco Lillo
unire i destini di Claudia Ariano, responA
sabile del settore immobiliare della controllata della Regione, Lazio Service Spa, e Marco Di
Stefano, ex assessore al patrimonio della Regione, non c’è solo una storia d’amore e un’indagine
sull’affitto milionario degli uffici di Lazio Service,
sponsorizzato da entrambi nella rispettiva veste
di politico e dirigente. Ma anche una casa. La novità non emerge dagli atti della Procura, ma dalle
visure immobiliari consultate dal Fatto.
Negli atti dell’inchiesta invece si legge che il deputato del Pd (ora sospeso) è indagato per corruzione perché “si faceva dare e promettere dai
costruttori Antonio e Daniele Pulcini una somma di denaro pari a un milione e 800 mila euro
nonché una somma pari a 300 mila euro versata
ad Alfredo Guagnelli, suo collaboratore”. Il capo
di imputazione cita anche la compagna Claudia
Ariano quando definisce il comportamento in
ipotesi scorretto di Di Stefano che: “nella qualità
di assessore al demanio e patrimonio della Regione Lazio anche per il tramite di (...) Ariano
Claudia direttore logistica e servizi generali di Lazio service Spa società partecipata al 100% dalla
Regione Lazio per compiere un atto contrario ai
propri doveri di ufficio consistito nel promuovere e autorizzare – al solo fine di soddisfare gli
interessi economici degli imprenditori Pulcini
nella sua qualità di rappresentante della proprietà, nell'assemblea ordinaria di Lazio Service Spa
tenutasi il 5 agosto 2008 la ricerca di una nuova
sede del predetto ente e nel fare in modo che la
gara a evidenza pubblica bandita da Lazio Service
per l’individuazione di un immobile da locare e
adibire a nuova sede sociale fosse aggiudicata alla
società Belgravia Invest srl riconducibile agli imprenditori Pulcini nonostante la Belgravia non
avesse né la proprietà né la piena disponibilità
dell'immobile e altresì che il prezzo pattuito per la
locazione ammontasse a 3 milioni e 725 mila euro del tutto esorbitante e fuori mercato”.
In una richiesta di proroga delle intercettazioni al
Gip, datata gennaio 2013, i pm Maria Cristina
Palaia e Corrado Fasanelli dedicano un paragrafo
al legame tra Ariano e Di Stefano. “A ispessire il
legame che, come sopra indicato, sembrerebbe
permanere tra Di Stefano e i vertici di Lazio Service spa, si pone la circostanza che vede questo
politico laziale ancora in rapporti con l’altra indagata nel procedimento: Claudia Ariano, dirigente della citata società. Da alcune comunicazioni oggetto di intercettazione emerge l'esistenza, fra i due indagati, di un legame sentimentale e
di convivenza”.
Ora Il Fatto ha scoperto con una visura che, un
paio di anni dopo l’affare incriminato tra i Pulcini
Marco Di Stefano Ansa
e Lazio Service, il 5 dicembre del 2011 la coppia
Di Stefano-Ariano acquista un villino all’Eur per
il prezzo di 850 mila euro. La casa si sviluppa su
due livelli e vanta un bel giardino circostante più
un posto auto coperto per complessivi 12 vani
catastali, che diventano 9,5 dopo la variazione di
classamento al Catasto, nel 2012. Claudia Ariano
nell’atto si intesta il 100 per cento della nuda proprietà mentre il politico del Pd si riserva l’usufrutto. Il pagamento del villino è avvenuto per
370 mila euro con assegni circolari della Cassa di Risparmio
di Civitavecchia e per 480 mila
LEGAMI IMMOBILI
euro con il ricavo di un mutuo.
Dagli atti di indagine non emerTre anni dopo
ge nessun collegamento tra l’acquisto e la presunta tangente
la presunta tangente
(tutta da accertare) anche perla coppia sotto inchiesta ché Il Fatto ha verificato che Di
Stefano, oltre al mutuo, poteva
acquistò il villino,
disporre anche del ricavato della vendita di una casa in via Aupagato anche con un
relia, ceduta per 287 mila e 500
mutuo di 480 mila euro euro nel luglio del 2010.
10
COSE LORO
MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014
SIl presunto
trage via Palestro
basista
contro Spatuzza
“SONO INNOCENTE, Spatuzza mi ha
accusato per una vendetta trasversale,
per colpire mio fratello Vittorio”. Così
ieri in aula Filippo Marcello Tutino, il
presunto basista della strage mafiosa di
via Palestro del 27 luglio 1993, imputato
a Milano. Rispondendo alle domande
del suo difensore e del pm, Tutino ha
respinto l'accusa emersa in seguito alle
rivelazioni del collaboratore Gaspare
Spatuzza, di aver partecipato alla strage in cui morirono cinque persone per
l'esplosione di un’autobomba davanti
al Padiglione di arte contemporanea.
Tutino, secondo l’accusa, sarebbe stato
scelto come basista “perché conosceva
il Fatto Quotidiano
Milano”. “Nel luglio '93 ero a Palermo ha spiegato - ho conosciuto Spatuzza
nel 1984”. Secondo Tutino, Spatuzza
avrebbe parlato di un suo coinvolgimento per “fare una cattiveria” nei confronti del fratello, Vittorio, perché quest’ultimo “si era rifiutato di collaborare
con la giustizia”.
Morte del medico di Binnu
Ingroia indagato per calunnia
L’EX PM INQUISITO PER AVER DETTO: “DEPISTATA L’INCHIESTA SUL DOTTORE DI PROVENZANO”
di Giuseppe Lo Bianco
D
Palermo
opo dieci anni trascorsi a cercare di
archiviare come
suicidio la morte
misteriosa di un giovane medico trovato sul suo letto con il
volto tumefatto e due buchi sul
braccio “sbagliato” e dopo avere estromesso la parte civile dal
processo contro l’unica imputata accusata di avere ceduto al
medico una dose di eroina risultata fatale, la Procura di Vi-
terbo individua un presunto
colpevole di calunnia e invia un
avviso di garanzia all’avvocato
Antonio Ingroia, legale di parte
civile dei familiari di Attilio
Manca insieme con l’avvocato
Fabio Repici. La sua colpa?
Avere sostenuto nella sua arringa che quelle indagini sono
state “manipolate e depistate”,
valutazioni ritenute calunniose
a dispetto dell’art.598 del codice penale che prevede la “non
punibilità” delle offese (ammesso che ve ne siano state)
contenute negli interventi delle
parti processuali. “È una mostruosità giuridica, quel pm è
un analfabeta del diritto oppure è in malafede: lo denuncerò
al Csm e forse anche penalmente’’, attacca Ingroia che rilancia
il caso Manca a tutto campo:
“Chiederò alla Bindi di essere
sentito in antimafia e al procuratore aggiunto Agueci di essere ascoltato anche dalla Procura di Palermo”. Intanto il prossimo 1 dicembre andrà a sedersi di fronte al pm di Viterbo
Renzo Petroselli, che da dieci
anni conduce le indagini su
quell’omicidio, considerandolo
una
L’EX
morte accidentale,
TOGA L’ex
con risultati assai
magistrato
bizzarri: sul banco
dell’inchiesta
degli imputati c’è
sulla Trattativa
una presunta spacStato-mafia,
ciatrice che avrebbe
Antonio Inceduto la dose morgroia LaPresse
tale ad un medico
che non faceva uso
di droga e che, da
mancino incallito, se la sarebbe
iniettata sul braccio sinistro.
UNA SORTA di “acrobata del
suicidio dolce” che dolce non è
stato per nulla: le foto del cadavere segnate dai lividi e mostrate alla trasmissione Chi l’ha visto
raccontano una morte violenta
che avrebbe dovuto essere approfondita in ben altre indagini.
“Vedremo chi interrogherà chi
– prosegue Ingroia – il processo
di Viterbo è una farsa, Attilio
Manca non è morto per overdose, ma è stato brutalmente
ucciso. La Procura di Viterbo, e
non solo quella, non vuole la verità sul caso Manca. L’avviso di
garanzia che mi è stato notificato dal chiaro contenuto intimidatorio vuole colpire Antonio Ingroia non come avvocato,
ma come ex pm del processo
sulla trattativa Stato-mafia”.
Le due vicende, infatti, sono
collegate: Attilio Manca era tra i
pochi in Italia a eseguire l’inter-
IL CASO
Il magistrato difendeva
la famiglia di Attilio
Manca, deceduto.
“Mi attaccano per
la Trattativa. Voglio
parlare in Antimafia”
vento di laparoscopia del tumore alla prostata di cui era affetto
il boss allora latitante Bernardo
Provenzano, operato a Marsiglia nel 2003. “Sono certo che
l’omicidio Manca – aggiunge
Ingroia – sia collegato alla trattativa Stato-mafia. Provenzano
IL FORZISTA TARQUINIO A FOGGIA
“Qui niente pizzo!”
Ma il figlio lo paga
P
er il senatore di Forza Italia Lucio Tarquinio il pizzo proprio non esiste, soprattutto a
Foggia. Tanto che domenica scorsa, in polemica
con l’ex sindaco di Bari, Michele Emiliano, che
aveva denunciato il fenomeno delle estorsioni a
Foggia, Tarquinio aveva detto: “Se sa qualcosa,
vada in Procura”. In realtà, Antonio, il figlio del
senatore, secondo gli atti dell’inchiesta Corona
della Dda di Bari, pagava tremila euro al mese di
pizzo alla mafia di Foggia. In cambio otteneva
protezione per la sua ditta di costruzione Ites.
Scrivono gli agenti del Ros: “mediante minaccia”
costringevano “l'imprenditore Antonio Tarquinio a versare in loro favore una somma pari a
circa 3mila euro mensili”. E questo si chiama
pizzo, ma il senatore Tarquinio forse non lo sa.
doveva essere curato e rimanere
in vita perché era il garante di
quel patto scellerato.
L’urologo è entrato in contatto
a sua insaputa con questa vicenda e quando si è reso conto di
chi aveva curato è stato ucciso.
La mafia non opera in questo
modo, sono entrati in azione gli
apparati, depistando le indagini”.
UN’INFORMATIVA firmata da
Salvatore Gava, funzionario di
polizia condannato a 3 anni
(“guarda caso”, dice Ingroia)
per falso, attestò che Manca non
aveva lasciato l’ospedale Belcolle di Viterbo nei giorni dell’operazione di Provenzano a Marsiglia, nel luglio del 2003. “Ma
dal foglio delle presenze del per-
sonale in servizio in ospedale risulta che dal 20 al 23 luglio e dal
25 al 31 luglio di quell'anno Attilio Manca era assente in ospedale a Viterbo, mentre Bernardo Provenzano si sarebbe trovato a Marsiglia per tutto il mese di luglio”, e il boss è stato poi
ricontrollato alla fine di ottobre,
periodo in cui dal foglio
dell’ospedale risultano altre assenze di Attilio Manca.
E alla fine della conferenza
stampa l’ex aggiunto tira la volata al vertice della procura di
Palermo al suo ex collega Guido
Lo Forte: “Non so quanto sto
per dire possa giovargli – conclude Ingroia –, ma la costruzione giuridica del reato oggi
contestato agli imputati della
trattativa è anche merito suo”.
Scopelliti e le elezioni: “Voglio gente ben vestita”
MILANO, ECCO I RAPPORTI TRA UN BOSS E IL FRATELLO DELL’EX GOVERNATORE. COSÌ PREPARAVANO I BUS PER LA CAMPAGNA ELETTORALE
di Davide Milosa
Milano
drangheta e politica a
’N
Como: il “santista”, l’assessore comunale Francesco
Scopelliti, fratello dell’ex governatore calabrese, e Gian Pasquale Bertossi, già membro
della direzione nazionale
dell’Udc. In mezzo la richiesta
dell’assessore (oggi consigliere
comunale con casacca Ncd) al
boss per organizzare pullman
di calabresi da mandare a Milano per l’arrivo del fratello
Giuseppe Scopelliti, all’epoca
(è il 2010) candidato alle Regionali che vincerà. Ma se il “santista” dei clan a metà novembre
finisce in carcere per mafia, i
due politici non risultano indagati. La storia inizia così.
PER CAPIRLA bisogna incrociare due indagini della Direzione distrettuale antimafia di
Milano. La prima è l’operazione “Insubria” che il 18 novembre ha dato scacco a 40 presunti
affiliati delle cosche di Como e
Lecco. Tra questi Alfredo Rullo, santista (una delle cariche
più alte della ‘ndrangheta) con
cerimonia celebrata in Carimate il 18 aprile 2014 e affiliato,
sostiene la Procura, alla locale
di Fino Mornasco. Indaga il
Ros, coordina il procuratore
aggiunto Ilda Boccassini che
chiarisce: “In questa inchiesta
non c’è politica”. E’ vero. Nelle
800 pagine di ordinanza firmata dal giudice Simone Luerti si
parla solo di affiliazioni, doti ,
estorsioni. Eppure Alfredo Rullo, arrestato per 416 bis, è anche
tra i protagonisti di un’altra indagine. Si tratta dell’inchiesta
“Arcobaleno”, istruita nel 2009
dal pm Mario Venditti (all’epoca organico alla Dda) e sulla
quale pende richiesta di archiviazione. Per due anni Venditti
indaga sulla ‘ndrangheta di Fino Mornasco, come fa anche il
Ros. Di più: i due fascicoli condividono molti indagati. Oltre a
Rullo c’è Michelangelo Chindamo, eminenza grigia della
malavita calabrese nell’Alta
Brianza.
Le indagini si completano a vicenda. Perché se da un lato
Venditti non dimostra la mafiosità di Rullo (come invece fa
il Ros), dall’altro accerta i contatti dello stesso con la politica.
Tanto che nell’informativa
“Arcobaleno” firmata dai carabinieri di Como il presunto
“santista” viene descritto così:
“Costituisce elemento di raccordo tra alti esponenti della
‘ndrangheta lombarda e politici
di rilievo come l’assessore al
Comune di Como Francesco
Scopelliti e il responsabile provinciale dell’Udc Gian Pasquale
Bertossi ai quali procura voti e
presenze della comunità calabrese nelle pubbliche riunioni”.
Succede per Scopelliti quando
“chiede aiuto a Rullo affinché si
riesca a organizzare un gruppo
di persone, soprattutto calabresi, che in pullman raggiunga
Milano dove arriverà il fratello,
sindaco di Reggio Calabria, nel
contesto della prossima campagna elettorale per le elezioni
regionali”.
Le intercettazioni colorano il
quadro. Il 17 febbraio 2010 nella rete finisce il dialogo tra Rullo
e Scopelliti. Ecco le parole
dell’allora assessore di Como:
“Lunedì sera, c’è mio fratello a
Milano! Allora io volevo che tu
mi mettessi su una ventina di
persone, vestite bene e perbene
per andare a trovarlo e poi così
ve lo posso presentare”. Il boss
si metterà subito al lavoro.
EX GOVERNATORE
Nel 2010 vince le Regionali
in Calabria. Per quella tornata elettorale, il fratello Francesco attiva uomini dei clan
AL TELEFONO
Il fratello all’uomo della ‘ndrangheta: “Metti su una ventina
di persone, così lunedì
vi presento mio fratello”
LA FIGURA DI RULLO, si legge
nella carte di “Arcobaleno”,
emerge già nel marzo 2009,
quando viene sentito a sommarie informazioni un ex poliziotto che racconta di aver conosciuto il presunto “santista”
della ‘ndrangheta durante un
ricovero alla casa di cura Villa
Aprica. Dopo le dimissioni il
boss lo invita a cena. L’appuntamento è a Cadorago. Rullo è lì
ad aspettarlo. Poco dopo arriva
una Maserati dalla quale scende
Gian Pasquale Bertossi. Da qui
il gruppo parte verso una grande villa a Lurago Marinone.
“Giunti alla villa – scrivono i carabinieri –, la fonte rimaneva
fortemente impressionata da
quell’ambiente, frequentato da
molte persone, tutte di origine
calabrese tra cui qualcuno venuto dalla Calabria per partecipare alla cena” durante la
quale si discuteva “della compilazione delle liste dei candidati a sindaco per le elezioni di
giugno 2009 (…). La fonte specificava che l’invitato d’onore
era il Bertossi e che tutti rivolgendosi a lui lo chiamavano
con il titolo di onorevole”. Del
resto i carabinieri registrano diversi contatti tra Bertossi e Rullo. Come quello al New Moon
Light di Bulgorello. Qui oltre
all’onorevole e al “santista” c’è
anche il presunto boss Michelangelo La Rosa soprannominato “bocconcino”.
26 NOVEMBRE 2014
SPEZZATINO
FERROVIE
il FATTO
ECONOMICO
» Al centro dello scontro
tra l’ad delle Fs Elia
e il presidente Messori
ci sono le scelte su cosa
e come privatizzare
11
SALVARCI
SENZA EURO
LA GUERRA
DEL LOTTO
» La concessione scade
nel 2016, ma è
cominciata la guerra
di lobbying per il gioco
più popolare
» Non siamo
condannati, ma ci serve
la flessibilità del cambio,
scrive Alberto Bagnai
nel suo nuovo libro
all’interno
LA RETE Marco Bogarelli guida la società che domina
il business del pallone, gestisce i diritti tv e adesso
il marchio della Nazionale. Ma ha anche altri interessi
NON SOLO INFRONT,
TUTTI GLI AFFARI
DEL PADRONE
DEL CALCIO ITALICO
di Stefano Feltri
A
Marco Bogarelli si possono fare molte critiche ma non contestargli la mancanza di ambizione: immagina stadi con
1.000 schermi connessi in
wi-fi, per vedere statistiche e
moviole, progetta di cancellare la Europa League
per far giocare sei squadre italiane in Champions,
ha detto alla Gazzetta dello Sport. Bogarelli è il padrone del calcio italiano: presiede Infront Italy,
225 milioni di fatturato e 11,6 di utile, la società
che si occupa di assistere la Lega Calcio nella vendita dei diritti tv ma anche di gestire l’immagine
dei principali grandi club (l’ultimo accordo con
l'Inter dell'indonesiano Erik Thohir che da Infront
avrà 20 milioni all'anno garantiti) e delle grandi
manifestazioni di sci, pallavolo, equitazione.
BRACCIO ITALIANO della multinazionale Infront
Sports & Media, presieduta da Philippe Blatter
difficile fare affari.
Molto è stato scritto sui legami di Bogarelli con il
mondo Fininvest, poco sulle sue altre relazioni
d’affari. Dalle visure camerali emerge, per esempio, un filo che arriva alla Sopaf, società finanziaria milanese il cui crac ha determinato l’arresto
dei fratelli Magnoni che la guidavano. Dalla Sopaf
arriva uno dei partner di Bogarelli in Infront, Giuseppe Ciocchetti, manager che della finanziaria
dei Magnoni è stato al vertice per dieci anni. Bogarelli però ha un legame più diretto con i Magnoni. È azionista con il 15,1 per cento di una società che si chiama Sfera Investimenti, un altro
degli uomini Infront, l’ex direttore di Milan
Channel Andrea Locatelli ha il 2,3 per cento, e c’è
anche Ciocchetti, con lo 0,6. Ma chi comanda con
il 73,5 per cento è l’ex conduttore di Mtv Andrea
Pezzi, diventato imprenditore dalle alterne fortune. A Sfera, zero ricavi nel 2013 e una perdita di
5mila euro, fa capo l'83 per cento della Ovo Italia,
un altro 9,6 è proprio della Sopaf.
(nipote del Sepp della Federazione internazionale OVO È UNA SOCIETÀ STRANA: una video-endel calcio, la Fifa), la Infront Italy di Bogarelli ha ciclopedia lanciata nel 2006 nell’orbita del mondo
un potere simile a quello dei grandi agenti tele- Fininvest, guardata con simpatia da Macello Delvisivi, il lato imprenditoriale dello spettacolo è di l'Utri e ispirata all'Ontopsicologia dell'ex frate Ansua competenza. A giugno ha chiuso un accordo tonio Meneghetti, come raccontò nel 2008 Peter
molto discusso che garantisce alla Lega di Serie A Gomez sull’Espresso. I fratelli Ruggero, Aldo e
945 milioni di euro per il 2015 e il 2016 spartendo Giorgio Magnoni sono stati arrestati anche per i
i diritti di trasmissione tra Sky e Mediaset. Il grup- finanziamenti alla Ovo che hanno contribuito al
po della famiglia Berlusconi esce sempre bene dai dissesto della Sopaf: somme per oltre 5 milioni di
negoziati in cui è coinvolta Infront, i critici so- euro “prive di qualsivoglia giustificazione econostengono che questo dipenda dal passato di Bo- mica e funzionali solo a generare illeciti arricchigarelli nel gruppo Fininvest e dal suo legame con menti a favore di terzi”, si legge nella richiesta di
Adriano Galliani, amministratore delegato del custodia cautelare. Il 12 giugno 2013 il responMilan ora ridimensionato da Barbara Berlusco- sabile della finanza in Sopaf, Daniele Muneroni,
mette a verbale: “Per quel che concerne Ovo posso
ni.
Milanese, laureato alla Bocconi, 58 anni,
GLI INVESTIMENTI PERSONALI
Bogarelli è diventato la porta
È socio dell’ex dj Andrea Pezzi nella società Sfera, da cui
da cui bisogna
passare per acdipende il progetto della videoenciclopedia “Ovo”
cedere ai tesori
che piaceva a Dell’Utri e al quale sono finiti 5 milioni
del calcio italiano. Lo sa bene il
di euro nel crac della Sopaf dei fratelli Magoni (arrestati)
gruppo editoriale del Sole 24
Ore, controllato
dalla Confindustria, che questa estate ha sviluppato un progetto ambizioso: cavalcare la popolarità della Nazionale di calcio per la promozione del made in Italy. Abbinare le missioni imprenditoriali nei mercati emergenti, dove l’Italia ha fascino, a partite
degli Azzurri. La Nazionale ha 13
sponsor, dalla Tim alle Generali a
Nutella. Molti sono già clienti della
concessionaria di pubblicità del
Sole 24 Ore che, però, ha pensato
bene di affiancarsi a Infront nella gara per la gestione del marchio
degli Azzurri: ovviamente ha vinto,
sfilandolo alla Rcs Sport, società che attraversa un momento difficile. Infront e il Sole
24 Ore si spartiranno i ricavi al 50 per cento,
dovrebbero raccogliere circa 70 milioni l’anno
di cui 57 garantiti alla Figc di Carlo Tavecchio.
Infront ha fatto da apripista, ora il lavoro vero
tocca al Gruppo Sole 24 Ore. Ma senza Bogarelli è
affermare che l’investimento è stato curato da Luca Magnoni che, se non sbaglio, era amico di Andrea Pezzi, amministratore della società. Anche in
questo caso la Sopaf ha continuato a finanziarla
fino al 2011. Personalmente pensavo che la Ovo
non fosse una società operante in un settore di
business particolarmente profittevole né che fosse
sinergica con altre società del gruppo e che l’imprenditore Andrea Pezzi non avesse esperienza
nel settore dell’imprenditoria in quanto ex DJ”.
NON È L'UNICO INVESTIMENTO interessante di
Bogarelli. Tra le sue altre partecipazioni dirette c’è
la PF Real Estate (fatturato di 243mila euro e perdita di 11mila nel 2013) di cui ha il 27 per cento. A
dispetto del nome, non è una società immobiliare
ma si occupa di commercio di energia. Anche qui
ci sono Ciocchetti e Locatelli nel capitale, col 9 e il
27 per cento. Ma il socio che conta è la International Global Trading. L’energia è l'ultima passione imprenditoriale di Francesco “Franco” Dal
Cin, che della Pf Real Estate è l'amministratore.
Classe 1943, Dal Cin è un nome storico del calcio:
è stato il patron prima della Reggiana e poi del
Venezia Calcio, ha subito una squalifica sportiva
di cinque anni per la contestata combine (nella
quale ha sempre negato di aver avuto alcun ruolo,
aveva anche già ceduto la squadra) con il Genoa di
Enrico Preziosi nel 2005. Nello stabilimento di
Preziosi venne sequestrata una valigetta con 250
mila euro. Nel 2011 Dal Cin è stato assolto, le intercettazioni sono state giudicate inutilizzabili.
Negli schemi del calcio italico, Dal Cin era parte
del fronte anti-Juventus di Luciano Moggi al quale,
a grandi linee, anche Bogarelli (di area Milan) si
può iscrivere. La International Global Trading è
controllata dai due figli di Dal Cin, Michele (ex
dirigente del Venezia, squalificato pure lui all'epoca) e Mara, col 50 per cento a testa.
Molto più vicina ai business abituali di Bogarelli è
un'altra delle sue partecipate, la Deruta20 (in liquidazione, via De Ruta è l’indirizzo della Infront
a Milano): nel 2013 ha dovuto duellare con gli
abitanti della periferia milanese per costruire con
la Deruta il tendone di X-Factor, la trasmissione di
Sky seguita da Infront. “Ma cos'hanno da protestare? Semmai voglio l'Ambrogino d'oro a dicembre”, diceva al Corriere della Sera
Bogarelli nel 2013. Nel 2014
nella lista dei candidati alla
massima onorificenza
del Comune di Milano
sono entrati Tavecchio,
poi scartato, e Adriano
Galliani, approvato. Per
Bogarelli, quindi, forse è
solo questione di tempo.
È UNA BOLLA?
Debito, le cose
vanno un po’
troppo bene
DUE GIORNI FA a Piazza Pulita, su La7,
l’imprenditore-politico romano Alfio Marchini ha detto che l’Italia deve ristrutturare
il suo debito perché così non è più sostenibile e impedisce la ripresa. Un’impresa
cerca di convincere i creditori a un rinvio
dei rimborsi o a uno sconto quando non è
più in grado di pagarli. Per uno Stato sovrano, che ha continuo bisogno di finanziarsi
sul mercato, equivale al default. Si potrebbe discutere per giorni se la traumatica ricetta ha senso. Ma è più interessante la
premessa: davvero il debito italiano è insostenibile? Sembra di no: il rendimento dei
buoni del Tesoro a 10 anni è passato in un
anno dal 4,09 per cento al 2,17, costa oggi
la metà che a fine novembre 2013. Nell’ultimo Rapporto sulla Stabilità finanziaria
della Banca d’Italia si legge che il ministero
del Tesoro ha riportato la durata media del
debito residuo a 6,4 anni: una buona notizia, nei tempi difficili si accorcia perché
finanziarsi a breve costa meno ed è più facile se gli investitori non si fidano di avere
indietro i loro soldi dopo 10 anni. A fine
giugno, ultimi dati disponibili, la quota di
debito italiano in mano a non residenti,
quelli più inclini a vendere in caso di panico, era il 29,4 per cento, in aumento del
2,4 rispetto alla fine del 2013. E, visto che i
buoni del Tesoro rendono meno, di tutti
quelli in circolazione ora le banche italiane
ne hanno il 20,1 per cento. Tantissimo, ma
meno del 21,7 di un anno fa. Un’inversione
di tendenza importante. In estate si è vista
una certa fuga dagli asset italiani, misurata
nel sistema Target2 (compensazione tra Banche
NEL
centrali dell’area euro), ma
PALLONE
Bankitalia dice che “probaMarco Bogarelbilmente” si è trattato solo
li, 58 anni, ha
dell’effetto di alcune operafondato Media
zioni del Tesoro nella gePartners, che poi stione del debito.
è stata assorbita
Dal lato del debito va tutto
dalla multinabene, insomma. Anche
zionale Infront
troppo. La crescita non si
vede, il Pil nel 2015 crescerà al massimo dello 0,5-0,6
per cento, il debito aumenterà ancora al
133,8 per cento, il deficit sarà almeno il 2,7
(ma molti si aspettano che, a consuntivo,
quel del 2014 risulterà superiore al 3 per
cento, trascinando al rialzo il dato 2015 e
innescando sanzioni europee). La manovra è piena di buchi, tra clausole di salvaguardia, tagli lineari dall’impatto incerto e
misure anti-evasione che, seppur descritte
come serie dai tecnici, possono essere valutate davvero soltanto ex post. Se i mercati fossero razionali, dovrebbero guardare
con maggiore sospetto all’Italia, soprattutto ora che la Banca centrale europea sembra bloccata tra le promesse di Mario Draghi e i veti del tedesco Jens Weidmann. Invece gli investitori continuano a trattarci
con benevolenza. Quando nella finanza ci
sono cose inspiegabili, spesso si tratta di
bolle, cioè di comportamenti assurdi basati su ipotesi sbagliate. Tutte le bolle scoppiano. E di solito fanno molti danni.
Twitter @stefanofeltri
12
il FATTO ECONOMICO
26 NOVEMBRE 2014
FERROVIE Meglio vendere quote del gruppo o parti
non strategiche? La privatizzazione al centro
dello scontro tra l’ad Elia e il presidente Messori
SPEZZATINO O PIATTO
UNICO? DILEMMA PER FS
di Daniele Martini
B
ei
tempi
quando
c’era
lui,
Mauro Moretti, un uomo solo al comando delle Ferrovie.
Sbagliava tanto, non ammetteva critiche e aveva
irregimentato l’azienda
come una caserma. Ma
almeno si sapeva chi teneva il bastone in mano.
Ora è una babilonia, una
guerriglia continua tra
l’amministratore delegato, Michele Elia, e il
presidente,
Marcello
Messori.
ELIA RAPPRESENTA la
continuità ferroviaria,
ha l'appoggio della vecchia guardia ed è stato
imposto proprio da Moretti al governo. Messori,
invece, è un marziano sui
binari, un non ferroviere
vissuto come un intruso
dal corpaccione dirigenziale di piazza della Croce Rossa, inviato in quel
posto difficile da Pier
Carlo Padoan, ministro
dell’Economia nonché
amico di carriera accademica, con una missione
ardua: dare una sterzata,
razionalizzare e vendere
il vendibile di ciò che non
è strettamente necessario per far circolare i treni.
I due, Elia e Messori, per
carattere si somigliano,
gentili e disponibili, propensi alla mediazione,
distanti dal credo morettiano dello scontro come
ragione di vita. La forza
delle cose li spinge però
verso il conflitto e infatti
non vanno d'accordo su
niente: dalla ripartizione
dei poteri all’esercizio
dell’audit interno, dal
Tav tra Torino e Lione
alla strategia delle privatizzazioni, dal destino
dell’immenso patrimonio immobiliare all’utilizzo della rete telefonica
e di quella elettrica di
pertinenza ferroviaria.
MESSORI QUALCHE set-
timana fa ha clamorosamente abbandonato le
deleghe per le privatizzazioni trasferendole al
consiglio di amministrazione che a sua volta le ha
girate a Elia. A quel punto è intervenuto Padoan
che se le è riprese trasferendo il compito a un comitato ad hoc. In pratica
le Ferrovie sono state
commissariate.
Elia e il suo squadrone
ferroviario giocano come agli ordini di una specie di supercoach fantasma, Moretti appunto.
Che da quando è passato
alla Finmeccanica non
ha smesso di pensare ai
treni, continuando a influire per interposta persona, cioè Elia. I due hanno costruito insieme e in
perfetta sintonia le rispettive belle carriere
ferroviarie, si sentono al
telefono tutti i giorni, più
volte al giorno. Raccontano che la voce di Moretti cali su Elia perfino
nel corso dei consigli di
amministrazione Fs e
che l’amministratore in
carica non faccia niente
per dissimulare le incursioni del predecessore.
Sulla testa di entrambi
pende però la spada della
strage di Viareggio, 32
GLI SFIDANTI
BANCARI Abi
e sindacati, rottura
sul contratto
D
ialogo finito. I sindacati bancari hanno rotto le trattative con Abi, l’associazione dei
banchieri, sul rinnovo del contratto di categoria
già prorogato al 31 dicembre, e si preparano a
proclamare uno sciopero che dovrebbe svolgersi da metà gennaio.
Lo ha annunciato ieri Lando Sileoni, segretario
della Fabi, uscendo dalla sede milanese dell'Abi, dove c'è stato un incontro fra i sindacati e
gli istituti di credito rappresentati da Alessandro Profumo. L'intenzione di ricorrere a gennaio a uno sciopero nazionale è stato confermato anche dalle altre sigle sindacali presenti
all'incontro, spiegando che una serie di problematiche tecniche legate alle procedure sindacali impedisce di
scendere in piazza
prima.
Il punto al centro della
rottura delle trattative
è la proposta di cancellazione dal contratto nazionale di incrementi automatici del
salario, previsti con gli
scatti di anzianità e
con le voci di calcolo
del Tfr, con l'obiettivo,
da parte dei banchieri,
di avere una riduzione
strutturale del costo
del lavoro. Allarme tra
i sindacati anche sulla
questione legata al
maggiore peso che
Abi vuole dare alla
contrattazione aziendale.
L’Abi, in un comunicato, parla di “anacronistica
indisponibilità” dei sindacati a valutare positivamente le aperture dell'associazione", che
ha portato all'attuale situazione di stallo. “Hanno perfettamente ragione, siamo anacronistici
perché difendiamo i diritti dei lavoratori, perché vogliamo garantire alla categoria un contratto di lavoro”, ha ribattuto Sileoni. “Siamo
anacronistici perché chiediamo una riduzione
del 30% del compenso dei manager che guadagnano una media di 1,9 milioni di euro all’anno. Loro sono moderni, lo dimostrano i 177 miliardi di sofferenze bancarie, generate soprattutto a causa dei prestiti regalati agli amici degli amici, e i 68 mila posti di lavoro tagliati”.
Cam. Con.
L’ad di Fs,
Michele
Mario Elia,
e il presidente, Marcello Messori Ansa/LaPresse
ALL’ULTIMO BINARIO
Il capo azienda difende
la linea di continuità, ispirato
dal suo predecessore Mauro
Moretti (ora a Finmeccanica),
il Tesoro interviene e impone
un comitato di esperti
morti per il deragliamento e l'incendio di un
treno merci. Entrambi
sono accusati di strage,
Moretti come capo Fs,
Elia come amministratore della rete (Rfi), il
processo è in corso e la
sentenza attesa tra la fine
di gennaio e febbraio. Il
nervo è così scoperto che
Elia ha voluto insolitamente coinvolgere nella
faccenda perfino il consiglio di amministrazione, mettendo i fatti di
Viareggio all’ordine del
giorno e trattandoli con
una specie di controinchiesta rispetto a quella
ufficiale dei magistrati in
cui si è autoassolto addossando la colpa ai tedeschi proprietari del
carro difettoso.
LO SCAZZO Elia-Messo-
ri è cominciato subito
dopo la nomina di entrambi. Il primo terreno
di scontro è stato la ripartizione dei poteri. Poi
si sono beccati sull’audit
che Messori è riuscito a
conservare. Più di recente la profondità del fossato che li separa è stata
pubblicamente misurata
in Parlamento quando i
due, convocati per
un’audizione sulla controversa Alta velocità
Torino-Lione, hanno
mostrato ai parlamenta-
GIOCO La concessione a Lottomatica scade nel 2016. Ma le lobby sono già all’opera
LA GRANDE GUERRA PER IL LOTTO
8 giugno 2016
L’
sembra lontanissimo. Non per i signo-
ri del gioco, però. In
vista di quella scadenza le lobby dell'azzardo sono entrate in fibrillazione, consapevoli che per loro in
quel giorno fatidico
cambierà il mondo.
SUCCEDERÀ una cosa
mai vista nella breve e
ricchissima (di soldi)
storia del business dei
giochi: per la prima
volta dopo 22 anni dovrà essere riassegnato
l'appalto del Lotto e le
lobby sono scatenate
perché nella legge di
Stabilità, cioè subito,
devono essere indicati
i criteri con cui il popolare e antico gioco
sarà messo in gara.
Finora il Lotto è sempre stato saldamente
nelle mani di una sola
azienda, quella che oggi si chiama Lottomatica-Gtech, è guidata
da Marco Sala e fa parte del gruppo DeAgostini. Lottomatica ha
finora gestito il concorso con avvedutezza, prendendolo che
era un cane morto e
facendolo diventare
un levriero, con un giro d'affari di oltre 6
miliardi di euro l'anno, nonché una delle
fonti di entrate più cospicue per l'erario che
dal Lotto incassa 1 miliardo e 200 milioni
ogni anno.
Al momento è impossibile azzardare previsioni su chi acciufferà
il grande business. Dipenderà da come sarà
definita la gara che per
legge dovrà essere
aperta alla concorrenza europea. Fondamentale per i signori
del gioco è partire con
il piede giusto. Per
questo stanno concentrando l'attenzione su
chi quelle norme le
prepara. Uno su tutti:
Italo Volpe, ex capo del
legislativo del ministero dell'Economia e ora
direttore degli affari
legali dei Monopoli di
Stato. Un magistrato
prestato alla regolamentazione dell'azzardo e rimasto al suo
posto nonostante la
legge Madia sui doppi
incarichi. E questo
perché salvato da un
emendamentino chiamato, appunto, dai
giornali “comma Volpe”.
LOTTOMATICA spera
di tenersi in casa il
concorso, ma non è
detto ci riesca e aizza
perfino i sindacati agitando lo spauracchio
di 400 esuberi (su un
organico di 1.500 dipendenti) nel caso la
campagna dovesse fallire. Per evitare brutte
sorprese l'azienda, diventata una multinazionale con sede a
Londra, ricorre agli
amici. A partire dal giro dei parlamentari,
con in cima alla lista
Alberto Giorgetti, deputato di An, poi Pdl,
Ncd e ora Forza Italia,
esperto del settore,
SUL TAVOLO VERDE
Tutto dipenderà da come verrà
scritto il bando di gare.
Il contendente è la Sisal che sta
muovendo le sue pedine, ma
nella partita potrebbero entrare
anche i temuti inglesi
sottosegretario in tre
governi di fila, Berlusconi, Monti e Letta,
con la delega specifica
per la regolamentazione dei giochi.
Buon amico proprio
di Italo Volpe, Giorgetti all'inizio dell'estate stava per entrare
ufficialmente
nella
squadra Lottomatica e
MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014
13
FRANCESCO DI STEFANO Europa7
soffocata (anche) dallo Stato che non paga
di Andrea
OLTRE AL DANNO,
LA BEFFA Francesco
Giambartolomei
Di Stefano attende 360 mila euro di risarcimento
dallo Stato Olycom
ri allibiti due approcci
opposti. Ben allineato e
coperto dietro le cifre
dell'era Moretti il continuista Elia. Non pregiudizialmente contrario
all’opera, ma preoccupato di verificare bene i dati
sui reali costi e benefici
della costosissima impresa l'intruso Messori.
LA POSTA IN GIOCO ve-
ra sono le privatizzazioni. Anche in questo Elia
si pone comodo sulla scia
del predecessore e ne ripete il mantra: conservare l’unicità dell’azienda
(e il relativo blocco di potere con tutte le poltrone
connesse), no allo spezzatino di singole parti,
mettere sul mercato il 40
L’ULTIMA
ESTRAZIONE L’8
giugno 2016 scade la concessione per il Lotto dopo
22 anni Ansa
con un’intervista al
Corriere di Verona aveva
annunciato le dimissioni da deputato (“mi
autorottamo”).
Poi
però si sono messi di
traverso i Cinque Stelle del Veneto e all'improvviso Giorgetti ci
ha ripensato. Lottomatica si è rivolta allora a un altro lobbista
per cento della holding
facendo incassare 3 miliardi di euro al Tesoro.
Messori ha un’idea completamente diversa. Ci
sono beni di eccezionale
valore che non servono
alle Ferrovie quindi andrebbero venduti al miglior offerente incassando probabilmente anche
di più. L’elenco dei
gioielli ferroviari è lungo, dalle perle come la
parte commerciale delle
14 Grandi Stazioni all'immenso patrimonio
immobiliare, quasi tutto
incistato nei centri storici delle città. Fino alle
due reti, l’elettrica e la telefonica. La prima è
composta da 867 chilometri di elettrodotti e 9
di prima grandezza:
Giuliano Frosini, manager ben introdotto
con Matteo Renzi e
con l'ambiente dei
Monopoli,
Volpe
compreso, avendo già
lavorato in passato per
Lottomatica. Ex assistente di Antonio Bassolino a Napoli, ex
“D’Alema boy”, dopo
una parentesi a Terna,
Frosini questa primavera è stato nominato
consigliere di amministrazione delle Fs e
ora, senza lasciare l'incarico nell'azienda dei
treni, è tornato a dare
man forte alla casa
madre.
ANCHE LA RIVALE di
sempre di Lottomatica, la Sisal di Emilio Petrone, si prepara per la
guerra del Lotto. Pure
Petrone è ben ammanicato con Volpe, come risulta dagli atti di
indagine su Massimo
Ponzellini, presidente
della Banca popolare
di Milano rinviato a
giudizio con l'accusa
LA LISTA DELLA SPESA
Ci sarebbero molte parti
dell’azienda da mettere
sul mercato: il settore
commerciale delle 14 Grandi
Stazioni, gli immobili,
le reti elettrica e telefonica
mila di linee e da sola vale
1 miliardo di euro. La rete telefonica si chiama
Gsm-Railway, è lunga
11.500 chilometri e nessuno ha stimato il suo valore. A Elia non interessa, dice che per far andare i treni le Ferrovie non
possono farne a meno.
di aver elargito finanziamenti in maniera
disinvolta. Sisal sta però attraversando una
fase difficile, con la
quotazione in Borsa
rinviata, debiti per circa un miliardo di euro
e il suo gioco di punta,
il Superenalotto, in
forte calo, con incassi
scesi in un anno da 1,8
a 1,3 miliardi di euro.
Tra i due contendenti
storici questa volta potrebbero inserirsi gli
stranieri. A partire dagli anglosassoni, signori del gambling
(gioco), aggressivi, all'occorrenza spregiudicati e con le spalle
sufficientemente larghe per competere.
Come dimostra il caso
Stanleybet, calata in
Italia da Belfast e Liverpool per occupare
il campo delle scommesse sportive a dispetto dei Monopoli e
dei concorrenti, a partire da Snai. Ora non
resta che seguire la
partita.
Dan. Mar.
L
a sua storia di imprenditore imbrigliato nelle maglie della giustizia
non è finita. Il serial di Francesco Di
Stefano ed Europa 7 non è terminato e
la stagione del 2014 è piena di colpi di
scena. Centro Europa 7, l’emittente televisiva che avrebbe dovuto rompere
il duopolio Rai-Mediaset, è stata dichiarata fallita lo scorso 10 aprile dal
Tribunale di Roma, ma attende ancora
i risarcimenti stabiliti dal Tar il 2 agosto 2012. Questi risarcimenti le spettavano e le spettano perché lo Stato, o
meglio il centrodestra di Berlusconi
con il sostegno di una parte del centrosinistra, aveva ostacolato Di Stefano per non danneggiare Rete 4. Così
nell’estate di due anni fa i giudici hanno condannato il ministero dello Sviluppo economico a pagare una somma da quantificare con una nuova
causa.
Parte un altro ricorso al Tar: l’esito,
con il conto finale, era atteso per la
fine del 2012 ma è arrivato solo
all’inizio di quest’anno con nuovi
stop fatali per l’emittente. A gennaio i giudici amministrativi stabiliscono che il ministero deve a
Europa 7 360 mila euro, pari ai
1.500 euro al giorno per ognuno
dei 238 giorni di ritardo dall’esecuzione della prima sentenza (dal
12 agosto 2012 al 7 aprile 2013), più gli
interessi. A questo punto si pensa che
il ministero paghi e invece no. Dopo
tre mesi arriva la nuova puntata: siamo ad aprile e Di Stefano non ha ancora visto un soldo, motivo per il quale
torna al Tar e chiede che venga nominato un commissario ad acta che
curi il pagamento. I giudici nominano
il prefetto Maria Troise Zotta che ha
30 giorni di tempo per far eseguire la
sentenza. Per l’imprenditore sembra
la volta buona, finalmente qualcuno
gli farà avere il dovuto. Invece niente.
Terza puntata due giorni prima della
scadenza del pagamento, il 25 luglio
scorso, quando il prefetto invia una
nota in cui sottolinea che l’appello della condanna del ministero, quella datata 2012, sarà discussa solo il 10 novembre prossimo al Consiglio di Stato
e per questa ragione “ha opportunamente chiesto una proroga del termine”, scrivono i magistrati nell’ordinanza del 19 agosto con cui rinviano il pagamento al 20 dicembre. Nell’attesa il
25 settembre scorso il Tar ha anche
respinto il ricorso di Europa Way contro l’annullamento del beauty contest,
la gara che avrebbe dovuto assegnare
gratuitamente delle frequenze. Così,
dopo anni, Di Stefano è ancora intrappolato nei tentacoli dello Stato.
VETRI ROTTI L’azienda vuole chiudere la fabbrica nel foggiano
Il patron patteggiò una condanna: portò all’estero 2,3 milioni
SANGALLI: PRIMA 70 MILIONI
PUBBLICI, POI SBARACCA
di Camilla Conti
E
ntro Natale
il forno potrebbe essere spento. E
con esso le speranze di
400 famiglie, calcolando
i circa 250 dipendenti a
rischio più l’indotto della Sangalli Vetro a Manfredonia
(Foggia).
L’azienda veneta, che è il
primo produttore di vetro piano in Italia, ha infatti intenzione di fermare l’impianto pugliese a ciclo continuo (e il
timore è che lo stop diventi definitivo) per spostarlo nel polo produttivo di San Giorgio di Nogaro, in provincia di
Udine.
Motivazione:
“rendere la posizione industriale del gruppo più
competitiva e adeguata
alle attuali condizioni di
mercato”, si legge sul sito
della società che ha già
presentato richiesta di
cassa integrazione per 12
mesi. In realtà, a essere
spostata sarà solo la seconda lavorazione del
vetro a risparmio energetico, considerata assai
più remunerativa.
IL 29 NOVEMBRE inizie-
rà il processo di spegnimento del forno che si
protrarrà fino a Natale. Il
piano è stato rigettato dai
sindacati ed è finito anche al centro di una serie
di interrogazioni parlamentari presentate dai
grillini. “Perché aprire
uno stabilimento a San
Giorgio di Nogaro per
produrre vetro quando
quello “gemello” di
Manfredonia è in crisi di
mercato?”, ha chiesto al
ministero dello Sviluppo
e a quello del Tesoro il
deputato M5S Giuseppe
L’Abbate, ricordando
l’approvazione di un finanziamento pubblico
di quasi 7 milioni concesso dalla Regione Puglia al gruppo Sangalli
della cosiddetta Prodi
bis”. Il deputato affronta
alcuni punti citati come
“varie concause dello
stato di insolvenza lamentato dal gruppo”.
Per esempio, il coinvolgimento del patron
Giorgio Sangalli nell’indagine per frode fiscale
internazionale nata dalla
famigerata “Lista Pessina”. In un articolo del
(ora bloccati perché
manca la Valutazione di
impatto
ambientale).
Aggiungendo che anche
altre aziende del gruppo
hanno ricevuto in passato copiosi contributi
pubblici (ben 72,8 milioni), cui si aggiungono
quelli del Fondo di rotazione per iniziative economiche del Friuli Venezia Giulia. Eppure, a
oggi, le condizioni finanziarie del gruppo sono di
forte sofferenza e, scrive
L’Abbate, “non è da
escludere la presentazione della richiesta di ammissione alla procedura
di
amministrazione
straordinaria, ai sensi
Corriere del novembre
2009, il nome di Sangalli
e della Manfredonia Vetro spuntano fra gli imprenditori visitati dalla
Finanza che facevano
parte dell'elenco dei
clienti di Fabrizio Pessina, l'avvocato svizzero
arrestato a Malpensa nel
febbraio di cinque anni
fa per riciclaggio. Alla
Tribuna di Treviso, nel dicembre 2011, il legale di
Sangalli precisa che i soldi portati all’estero tramite il sistema Pessina
sono 2,3 milioni di euro.
La vicenda è stata poi
chiusa nel 2012 con un
patteggiamento per circa
un milione e sei mesi di
condanna convertita in
multa. Intanto la Sangalli
Manfredonia Vetro spa
ha chiuso il 2013 in rosso
con 8,3 milioni di perdite
e un indebitamento di
37,6 milioni. Nel bilancio si legge che dal dicembre 2013 la società è
controllata dalla Vetro
Partecipazioni spa, costituita a marzo del 2013
e partecipata al 50% dalla
lussemburghese Sanipart Sa e al 50% dalla
Glasswall Europe Sarl
controllata dalla società
russa Glasswall di Dmitry Sulin (produttore
russo di vetro per edilizia
e serramenti) che i veneti
hanno fatto entrare nel
capitale a novembre
dell’anno scorso. Quanto ai bilanci della holding
Vetro Partecipazioni,
non vi è traccia sulla banca dati della Camera di
Commercio. Anzi, dalla
visura la società risulta
inattiva.
NEI GIORNI scorsi a Ve-
rona, riferiscono fonti
sindacali, si è tenuto un
incontro fra la proprietà,
le banche e l’advisor Kpmg per la ristrutturazione del debito che sarebbe
accompagnata da un
concordato liquidatorio
delle tre aziende di Manfredonia per garantire la
prosecuzione dell’attività a Porto Nogaro, mentre mancherebbe all’appello il piano industriale.
Per il 2 dicembre sarebbe
invece fissato un confronto al ministero dello
Sviluppo economico.
14
26 NOVEMBRE 2014
il FATTO ECONOMICO
ENEL L’ex monopolista e lo spot alla caldaia
di Koala
LA PUBBLICITÀ è l’ani-
ma del commercio, ma
qualche volta può anche
farla perdere, l'anima.
È il caso di una campagna pubblicitaria promossa da Enel Energia
la cui mamma, Enel spa,
è una società controllata
dal ministero del Tesoro. Che ormai controlla
sempre meno ogni cosa
essendo stato caricato,
nel tempo, di funzioni a
volte anche esternalizzate (Agenzia delle Entra-
te, del Demanio, del
Territorio) e su cui comunque dovrebbe vigilare. Una campagna
pubblicitaria curiosa.
Enel Energia da alcuni
mesi propone, dal suo
sito web, ai propri clienti di acquistare una caldaia a condensazione
del marchio Ariston, di
proprietà della famiglia
dell’indimenticabile ministro dei Lavori pubblici Francesco Merloni,
della dinastia democristiana marchigiana. Il
cliente può pagare con
Pubblichiamo un’anticipazione del
nuovo libro di Alberto Bagnai,
l’economista che in questi anni più ha
animato il dibattito sull’opportunità
dell’Italia di rimanere nell’euro, sia con
il saggio “Il tramonto dell’euro” che
con il suo blog Goofynomics e
l’associazione a/Simmetrie. Esce
domani per il Saggiatore il suo lavoro,
, “L’Italia può farcela”.
di Alberto
comode rate bimestrali
dentro la bolletta elettrica. La cosa è curiosa
perché è rivolta innanzitutto a chi è già cliente
di Enel energia (per una
più forte fidelizzazione?
Boh) e in secondo luogo
perché pare più una
campagna pubblicitaria
di Ariston che di Enel
Energia.
Il gruppo Enel, infatti,
nell’immaginario collettivo è ancora associato
al modello di un monopolista affidabile costretto più a difendere le sue
rilevanti quote di mercato, eredità del vecchio
monopolio, dall’arrembaggio di altri competitor che non a fare campagne pubblicitarie aggressive.
La Ariston, invece, deve
crescere per non essere
“mangiata” da qualche
gruppo straniero più
grande e più solido, come è successo proprio ai
cugini marchigiani della
Indesit (della famiglia di
Vittorio Merloni) venduta agli americani della
Whirlpool. Tutto si con-
RACCONTANO
BALLE
fonde e tutto si complica
perché davvero si capisce poco l’origine della
campagna pubblicitaria
ma i suoi effetti sui concorrenti di Ariston sono
certi, come ha sottolineato una interrogazione parlamentare del
Movimento 5 stelle.
A Gianluca Pitruzzella e
alla sua Autorità Antitrust l’ultima parola sulla questione. Con la speranza che le sue conclusioni arrivino prima che
l’inverno, e le caldaie,
siano finite.
IL NUOVO LIBRO La Germania non ci aiuterà mai a uscire
dalla crisi. Scaricare tutto l’aggiustamento sull’Europa
del Sud condanna i suoi cittadini a una vita da pezzenti
TUTTI
I LIMITI
DEL PIANO
JUNCKER
MILIARDI
LE RISORSE
STANZIATE
DALL’UE
IL PIANO d'investimenti del neo presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker sarà svelato oggi. Al di là dei dettagli,
però, i titoli sui “300 miliardi” e sugli “investimenti fuori dal calcolo del deficit” sono
fuorvianti. Primo: si tratta per la gran parte
di “soldi privati”, attirati da un capitale iniziale di 20-30 miliardi che dovrebbe fungere da leva finanziaria in un ottimistico rapporto 1 a 10-15. Secondo: 3/4 del capitale lo
versano gli Stati, il resto la Banca europea
degli investimenti (che è pubblica). Terzo:
solo la quota dei membri Ue verrà scorporata dal Deficit. Quarto: 300 miliardi divisi
per i 28 Paesi fa ben poca cosa. Il piano del
2012 da 120 miliardi, per dire, è fallito.
L’Italia può farcela,
ma soltanto senza euro
L’ITALIA PUÒ FARCELA
di Alberto Bagnai
Il Saggiatore,
pag 494, 20,00 ¤
stiti in modo da garantire un sostanziale equilibrio nel lungo periodo,
evitando l’accumulazione di sbilanci
persistenti. Allo stato attuale l’istituzione più semplice da implementare
per contribuire a questo processo in
seno all’Unione europea è il ripristino
di una naturale flessibilità del cambio
fra Paesi membri, almeno finché questi avranno diversi mercati del lavoro
(mentre, di converso ogni tentativo
di introdurre il cambio fisso in Europa è sfociato in una crisi, prima nel
1992, e poi nel 2008).
Bagnai
L’
Italia può farcela, e può farcela
da sola. Ma intendiamoci bene:
“da sola” significa sciolta da un
vincolo monetario che, per i suoi errori di progetto (ammessi dallo stesso vicepresidente della Bce, come abbiamo visto), che si traducono
nell’atteggiamento schizoide rispetto
al ruolo di Stato e mercato su cui ci
siamo lungamente soffermati, sta
portando un intero continente al suicidio. Sarebbe “retorica europeista di
maniera”, come diceva il presidente
Napolitano nel 1978, assimilare la
scelta strategica di recuperare sovranità e flessibilità a un’opposizione al
progetto europeo.
SE SI RITIENE, come chi scrive, che
NON SI TRATTA DI OPPORSI
all’“Europa”. Non si tratta di mollare
gli ormeggi e vagare per il Mediterraneo (dove, fra l’altro, tutto saremmo tranne che soli, anche per effetto
delle lungimiranti politiche di questa
Europa che porta la pace, e che ha
contribuito a trasformare la fascia costiera meridionale del Mare nostrum in
un focolaio di disperazione e morte, lasciando
politica richiea noi, e solo a noi, l’inSUPERARE IL TABÙ
de che si mancombenza di gestirne le
la flessiinevitabili conseguenze
Lasciare che un Paese abbia tenga
bilità dei camumanitarie: basti pensabi nazionali.
re alla vicenda libica,
una valuta che rifletta i suoi
I trasferimenti
nella quale gli interessi
risultati economici è sempre necessari per
del nostro paese e, visti i
riportare un
risultati, delle stesse postato uno strumento per
minimo
di
polazioni coinvolte, sono stati fortemente
risolvere gli squilibri, ma noi equilibrio
strutturale in
compromessi da iniziavi abbiamo rinunciato
Europa sarebtive di altri paesi, non
bero di un orparticolarmente coordine di grandinate a livello eurodezza politicamente insostenibile per
peo).
Si tratta di riconoscere che l’“Europa” la Germania. Nessuno, fra l’altro,
non funziona perché non può fun- constata mai il rovescio della medazionare, perché le élite che l’hanno glia: se da un lato una politica di tracostruita hanno dichiarato guerra sferimenti è improponibile per il
non solo alle classi subalterne, ma an- Nord, che non vuole pagare, c’è da
che e soprattutto alla logica (econo- chiedersi quanto sia politicamente
mica e politica).
proponibile chiedere al Sud di vivere
Si tratta di prendere atto di questo perennemente con il cappello in maerrore e di trarne le conclusioni, che no, mendicando sua vita frusto a frupoi sono quelle a cui il Nobel James sto, e questo quando esiste da sempre
Meade era già arrivato nel 1957: fin- la certezza tecnica, e ormai da un po’
ché persisteranno disparità struttura- anche la consapevolezza diffusa, che
li rilevanti fra i Paesi europei, di tale italiani, spagnoli, greci, portoghesi,
entità per cui sia utopistico ovviare potrebbero vivere benissimo a modo
con dei trasferimenti, un percorso or- loro a casa loro, come hanno fatto per
dinato di integrazione economica e millenni, con risultati spesso superio-
300
ri a quelli raggiunti dai cugini del
Nord. Siamo proprio sicuri che gli
italiani, nonostante gli sforzi titanici
della propaganda autorazzista condotta dagli Scalfari, dai De Bortoli,
dai Napoletano, accetterebbero questa vita da pezzenti? E siamo sicuri
che chiedere l’altrui misericordia sia
l’atteggiamento politico corretto per
farsi rispettare in Europa?
Notate anche l’amaro dettaglio che,
come sempre, fa la delizia, o in questo
caso il disgusto, dell’intenditore.
Meade parlava di maggior ricorso alla
flessibilità del cambio come strumento difensivo nei riguardi di comportamenti ostruzionistici da parte della
Germania (ecce hoc novum est!), e ne
parlava nel 1957, quando il regime di
cambi fissi (ma aggiustabili) di Bretton Woods era in pieno vigore e Triffin non ne aveva ancora evidenziato
le incoerenze, le aporie logiche. In
una temperie culturale in cui era egemone l’idea della rigidità, Meade indicava chiaramente, senza troppe
formule, ma con il giusto quantitativo di logica, il da farsi: ricorrere alla
flessibilità. Oggi, nel momento in cui
l’egemonia culturale della rigidità si
sgretola a livello mondiale, nel mo-
mento in cui perfino il Fondo monetario internazionale interviene a
chiarire che il progetto di cambio fisso europeo è in controtendenza e
creerà problemi, nel momento in cui
ciò che Meade vedeva si sta realizzando, noi, qui, continuiamo a considerare tabù quello che da sempre
(anche sotto il gold standard) è stato
un normale strumento di regolazione
degli squilibri: lasciare che un Paese
abbia, nel bene e nel male, una valuta
che rifletta i risultati economici della
sua comunità nazionale.
A QUESTO SCOPO È ESSENZIALE
che si capisca che il ripristino di un
minimo di razionalità economica, il
ripristino della flessibilità buona, il
seguire (anziché l’opporsi) alle grandi
correnti della storia, che quella direzione indicano, è l’unica possibilità
che abbiamo per tentare un percorso
di mediazione degli interessi in gioco,
sia a livello nazionale che a livello internazionale, ed evitare un conflitto
catastrofico. Questo perché una razionale gestione dei rapporti internazionali richiede, come abbiamo osservato parlando del tracollo di Bretton Woods, che gli scambi siano ge-
l’integrazione economica europea sia
un valore da perseguire, il percorso
giusto è ancora oggi quello che ci additavano gli economisti degli anni
Cinquanta e Sessanta: abolita l’aberrante integrazione monetaria, ricominciare dall’integrazione delle economie reali, cioè dei mercati del lavoro, dei sistemi previdenziali, dei sistemi educativi, mantenendo fra le
economie nazionali quei normali
presidi dati dall’autonomia delle politiche fiscali, monetarie e valutarie.
Cooperazione e coordinamento possono realizzarsi anche senza integrazione, ma non senza volontà politica.
Un eventuale successo di simili meccanismi di coordinamento, fra i quali
quelli che abbiamo elencato, consolidato in un periodo di tempo sufficientemente lungo, garantirebbe di
poter procedere verso forme di integrazione economica più penetrante, fra le quali forse anche quella monetaria, che però, fra economie allineate nei fondamentali (e quindi non
sottoposte a reciproche oscillazioni
dei cambio di ampiezza preoccupante), diventerebbe, come ci siamo già
detti, sostanzialmente inutile.
Un eventuale insuccesso di questa
sperimentazione, viceversa, segnalerebbe che la volontà politica che anima l’Europa dopo l’euro sarebbe la
stessa che ha operato finora nell’Eurozona: quella della sopraffazione,
della guerra di tutti contro tutti, dichiarata dal più forte e gestita secondo le sue regole. E allora, posti di
fronte a questo dato di fatto, bisognerebbe riconoscere, molto a malincuore, l’opportunità di andarsene
ognuno per la propria strada. Un percorso forse non ottimale, ma comunque possibile per un paese come il
nostro, che ha più risorse ed energie
per affermarsi sul panorama dell’economia globale di quanto un’informazione distorta a beneficio di interessi
esterni voglia farci credere.
POTERI FORTI
il Fatto Quotidiano
M
ediaset: Tiscali
non ci interessa
Ma cerca partner Tlc
MEDIASET non ha alcun interesse
specifico per Tiscali mentre sta valutando le offerte tecnologiche di tutte
le compagnie telefoniche attive in Italia per eventuali collaborazioni negli
abbonamenti integrati pay tv-broadband annunciati da Mediaset Premium. Lo precisa il gruppo negando
relazioni con il rally in borsa di Tiscali.
Quest’ultima ieri ha guadagnato un
altro 5% dopo aver fatto un balzo alla
vigilia del 31% sulle voci di un cambio
di proprietà. “In merito a indiscrezioni
di stampa che associano Mediaset alle recenti performance borsistiche
del titolo Tiscali, la società smentisce
MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014
15
qualsiasi interesse specifico nei confronti dell’operatore”. Il gruppo tv “informa, al contrario, di aver avviato una
valutazione delle offerte tecnologiche di tutte le compagnie telefoniche
operative in Italia al fine di individuare
eventuali collaborazioni per gli innovativi abbonamenti integrati pay”.
MONOPOLIO GLOBALE
di Marco Lillo
L’
ultimo dato diffuso ieri allo Iab forum di Milano (il
più autorevole appuntamento sul mondo digitale)
sul mercato della pubblicità dovrebbe
suonare la sveglia per i politici italiani:
sul fatturato totale del mercato pubblicitario pari a 7 miliardi di euro, ben due
miliardi di euro saranno realizzati on
line. La pubblicità sul web cresce dell'11,1 per cento rispetto al miliardo e
800 milioni del 2013 ma quello che impressiona è la quota di mercato stimata
di Google pari al 55 per cento. Il gigante di Mountain View fatturerà in
Italia nel 2014 un miliardo e 100 milioni di euro umiliando con i suoi tassi
di crescita le concessionarie di pubblicità tradizionali. La pubblicità raccolta
da tutti i giornali tradizionali era pari a
un miliardo e 933 milioni di euro nel
2007. Nel 2013 si è fermata a 822 milioni di euro, ben sotto il fatturato italiano (fiscalmente realizzato in Irlanda) di Google.
Renzi, ultima chiamata
prima del Google-diluvio
DOMANI L’EUROPARLAMENTO DOVREBBE APPROVARE UNA MOZIONE PER CONTENERE
LO STRAPOTERE PUBBLICITARIO DEL WEB. MA IL PREMIER È SCHIERATO CON IL GIGANTE USA
mani quando l’Europarlamento dovrebbe approvare una mozione per
chiedere che l'attività del motore di ricerca (Google come gli altri) e la vendita di pubblicità siano divise da una
muraglia cinese. La divisione rallenterebbe il metabolismo che ha permesso
a Googe di incamerare informazioni
sui navigatori per crescere come un
mostro inarrestabile nella vendita di
pubblicità sul web. Grazie alle informazioni sui gusti di chi sceglie il suo motore di ricerca, la società californiana è
in grado di fatturare miliardi di euro
vendendo agli investitori messaggi
LA TELEVISIONE tiene ma sente il fiato spalmati su tanti siti diversi e ‘mirati’ a
un certo gruppo di
sul collo del web: nel
destinatari, selezio2014 ben 300 milioni di
nato in funzione dei
euro saranno spesi per
PARADOSSO
dati personali racspot video non sulla tv
colti.
tradizionale ma on liIl leader del Paese
Il vantaggio comne. Di fronte a queste
petitivo sulla pubstime Matteo Renzi dopresidente di turno
blicità tradizionale,
vrebbe togliersi gli ocdella Ue (e pure Grillo)
garantito
dalla
chiali di Google, indos‘profilazione’ dei
sati in California, per
non hanno mai criticato navigatori, è eviguardare la realtà con
dente. Le altre conocchi europei. Mentre
la politica fiscale del
cessionarie lottano
il nostro premier bloccolosso che macina utili con Google con gli
cava la Google tax e
occhi bendati e ofsorrideva alla Silicon
frono spazi su un
Valley, il leader Spd
Martin Schulz definiva lo strapotere di solo sito che può essere letto da chiunGoogle “non consono alla democra- que. Google invece può offrire la profilazione del destinatario grazie ai coozia”.
L'Italia è il presidente di turno kies, al motore di ricerca e alle altre fundell’Unione europea e Francesco Boc- zioni offerte gratis a chi apre un accia invoca da luglio su twitter: “Web count google sullo smartphone, iPad o
Tax priorità del semestre di presidenza pc portatile.
Ue”. In realtà Renzi non ha fatto nulla La forza di Google, oltre all’ottimizzaper mettere all'ordine del giorno le tre zione fiscale, è proprio quella di conquestioni centrali poste da Google e da- segnare all’inserzionista il suo target
gli altri giganti del web: il rispetto della grazie alla potenza del suo algoritmo
privacy, la regolamentazione antitrust segreto. Il ministro della giustizia tedee le tasse. Il paradosso italiano è che i sco aveva chiesto maggiore trasparenza
due leader più popolari, Matteo Renzi e sull’algoritmo mentre in Italia è in corBeppe Grillo, sono schierati con Goo- so una battaglia legale con la nostra Augle. Chissà come si schiereranno do- torità Garante delle Comunicazioni. La
Agcom, spalleggiata dalla Federazione
Italiana Editori di Giornali, è in lite davanti al Tar per obbligare la società
americana a rivelare almeno il fatturato
realizzato in Italia.
Il gigante di Mountain View si rifiuta di
divulgare il dato probabilmente perché
teme le manovre fiscali e antitrust invocate dagli editori tradizionali. L’accerchiamento è transnazionale e va da
Rupert Murdoch al gruppo tedesco
Axel Springer fino a Carlo de Benedetti
in Italia. Proprio la News Corp di Murdoch a settembre ha chiesto alla Commissione Europea di intervenire con
più forza contro Google, definita una
‘piattaforma per la pirateria’.
Le ragioni degli editori sono quelle del
portafoglio: in dieci anni, le copie vendute in Italia in edicola si sono dimezzate. Gli editori speravano di compensare le perdite con gli incassi pubblicitari delle versioni on line ma il travaso
tra carta e web si è fermato. Nel
2013-2014 la raccolta pubblicitaria delle concessionarie tradizionali sul web
non cresce più. Il sistema dei vasi comunicanti tra perdite della carta e crescita del web non funziona più perché
in mezzo si è inserita l’idrovora di Google.
INVECE DI COMPRARE spazi sul sito di
un quotidiano come un tempo compravano una pagina, le aziende preferiscono comprare contatti profilati.
Perché pagare un quotidiano se posso
raggiungere il mio potenziale cliente
grazie a Google o a un’altra società che
garantisce di raggiungere il mio cliente
potenziale mediante più siti?
Così in pochi anni Google ha sfondato
il miliardo di fatturato schiacciando le
aziende editoriali tradizionali. Il problema è che Google non paga le tasse e
non assume in Italia come accade nella
filiera dell’informazione. Il motore di
ricerca fa soldi proponendo contenuti
prodotti dagli editori che intanto perdono ricavi. Questo circolo vizioso sta
strangolando le aziende editoriali e potrebbe danneggiare nel lungo periodo
la qualità dell’informazione e del dibattito pubblico. Le risorse destinate a produrre contenuti creativi, come le inchieste giornalistiche, le notizie e le
analisi originali, diminuiscono.
Quello che sta accadendo sotto i nostri
occhi è una trasformazione enorme
della società dell’informazione. Un fenomeno che non ha nulla da invidiare
al conflitto di interesse di Berlusconi, al
finanziamento pubblico dei giornali, al
potere della Fiat sui grandi quotidiani
“Negoziati
atlantici più
trasparenti”
D’ORA IN AVANTI i negoziati
tra Ue e Usa per l’accordo di libero scambio Ttip saranno più
trasparenti. È il senso della comunicazione della commissaria
al commercio Cecilia Malmstroem, con l’obiettivo di fornire al grande pubblico informazioni complete ed accurate sulle intenzioni europee nell’ambito dei
negoziati. Tra le azioni previste,
rendere pubblico un maggior numero di testi negoziali Ue che la
Commissione già condivide con
stati membri e Parlamento, poi
dare accesso ai testi a tutti gli eurodeputati, ma anche classificare meno documenti negoziali oltre a pubblicare e aggiornare su
base regolare un elenco pubblico
di documenti relativi al Ttip.
del nord o allo strapotere dei grandi inserzionisti. Eppure mentre questi vizi
dell’informazione sono stati discussi
ovunque il dibattito pubblico su Google latita. Il problema è che gli oppositori sono spesso poco presentabili per
i loro trascorsi. Quando si leggono gli
strali di Fedele Confalonieri contro la
Google tax o la difesa accorata della privacy e della democrazia da parte di
Murdoch viene naturale nutrire qualche riserva. La simpatia per i giganti del
web come Google rispetto agli editori
tradizionali nasce da fattori oggettivi: la
gratuità, l’infinita possibilità di scelta e
l’interattività. Il lettore ha la sensazione
di essere messo al centro della scena
mentre in passato era trattato come lo
spettatore pagante di uno spettacolo
del quale non era protagonista. Così
chiunque segnali i rischi dello strapotere di Google diventa un nemico della
libera rete e un difensore del vecchio
regime dei media.
QUANDO GRILLO E RENZI si schierano
con Google sono convinti di cavalcare
l’onda della modernità mentre il loro
ruolo gli imporrebbe di governarla. La
produzione di informazioni richiede
professionalità, tempo e soldi. Nel
mondo della carta i costi erano ripagati
dalla vendita delle copie e dalla pubblicità. Nel mondo di Internet nessuno è
disposto a pagare le informazioni e uno
scoop può essere copiato e riproposto
in pochi minuti da qualcuno più abile a
spiare i lettori per vendere pubblicità
mirata. Gli editori tradizionali hanno
cominciato anche loro a ‘profilare’ i lettori ma il loro mestiere resta pur sempre quello di vendere informazioni al
lettore non quello di prendere informazioni sul lettore per poi rivenderle.
Il fenomeno è rapidissimo: oggi Google
controlla più del 50 per cento della pubblicità on line in Italia. In pochi anni il
libero mercato farà il suo corso e chi
cerca notizie per informare (facendosi
pagare direttamente o indirettamente
con la pubblicità) sarà sconfitto. Nel
mondo di Google vincerà chi finge di
informare il lettore mentre invece spia
la sua vita per poi venderla chiavi in
mano a chi vuole vendergli i suoi prodotti. Tra pochi anni il lettore-cittadino
pagante sarà solo un navigatore-consumatore da spiare gratis. I giornali saranno finalmente ‘morti’, come grida
Grillo, ma non è detto che sarà un mondo migliore.
16
BLACK OUT AMERICA
MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014
Pianeta terra
USA BIMBO DI TRE ANNI UCCIDE LA MAMMA
A Tulsa, in Oklahoma, un bimbo ha sparato e ucciso accidentalmente la madre - un militare - dopo
aver trovato una pistola sotto il divano del salotto.
La donna, 26 anni, si chiamava Christa Engels, ed
era da sola in casa con il bambino e un’altra figlia
di un anno al momento dell’incidente. LaPresse
IRAN KHAMENEI: “GLI USA CI VOLEVANO IN GINOCCHIO”
Sul nucleare “il nemico” ha mostrato “debolezza”. Così l’ayatollah
Ali Khamenei ha commentato i negoziati tra Teheran e il gruppo 5+1
(Usa, Russia, Cina, Francia, Gb e Germania). “Gli Usa volevano mettere in ginocchio la Repubblica islamica, ma hanno fallito”. LaPresse
SABBA NERO
il Fatto Quotidiano
Gli incidenti a Ferguson e le proteste a Oakland, California. Sotto, Michael Brown e l’agente Darren Wilson LaPresse
“INGIUSTIZIA È FATTA”: GLI USA
E IL GIORNO DELLA RABBIA NERA
NON INCRIMINATO L’AGENTE CHE HA UCCISO IL RAGAZZO DI COLORE A FERGUSON
Il reverendo Jackson
“Obama non basta”
IL REVERENDO Jesse Jackson incarna la lotta per i diritti
civili americani e il due volte candidato alle primarie presidenziali democratiche (nel 1984 e nell’88) dopo la sentenza di Ferguson mette il dito sulle pecche dell’Amministrazione del primo presidente nero, incapace di tradurre i
sogni della comunità afro-americana in realtà.
Che conseguenze avrà questo verdetto per la comunità
afroamericana?
Quando le persone sono vittime di abusi per anni, rispondono. Adesso è importante che si risponda in maniera pacifica, per due motivi: per ragione pratiche, ovvero non hai modo di rispondere alle pallottole, e poi
perché la violenza sposta l’attenzione dai bisogni delle
comunità urbane. Lì i neri sono ancora da tre a quattro
volte più disoccupati, dieci volte più arrestati dei bianchi.
Sappiamo che mancanza di giustizia porta all'anarchia, le leggi
per diritti civili ci sono, vanno applicate.
Ha dunque qualche critica da muovere all’amministrazione Obama,
anche dal punto di vista delle riforme per migliorare le condizioni
delle vostre comunità?
Dovrebbe esserci una White House conference, un “tavolo” speciale
che unisca i vari responsabili governativi e quelli delle associazioni
afro-americane affinché in pochi
giorni si riesca a risolvere questioni specifiche sulle politici urbane e
occupazionali dei vari Stati.
Jesse Jackson LaPresse
Avere un presidente di colore ha in
qualche modo reso più difficile
parlare di razzismo in America?
No, non credo. Del resto anche lui
è stato bersaglio di moltissimi attacchi. La questione è che gli spari
sono venuti prima delle rivolte, bisogna che la polizia smetta di uccidere i neri. C'è una lunga serie di
episodi, una scia di sangue che
scorre da Rodney King a Los Angeles, fino a recentemente Trayvon Martin in Florida… questa
storia deve finire.
Durante le rivolte di agosto a Ferguson, il presidente Obama è stato
criticato per non aver parlato direttamente della questione razziale. Si aspettava che il presidente
affrontasse la questione in maniera più diretta?
di Angela
L
Vitaliano
New York
e tenebre non scacceranno le tenebre.
Solo la luce può farlo. L'odio non cancellerà l'odio. Solo l'amore
può farlo”. Sono le parole che,
probabilmente, Martin Luther King avrebbe usato in
queste ore, spettatore della rivolta che ha messo a ferro e
fuoco Ferguson, in Missouri,
subito dopo l'annuncio del
pubblico ministero di contea,
Bob McCulloch, che ha informato circa la decisione del
Grand Jury di non incriminare Darren Wilson, il poliziotto
che uccise, lo scorso agosto, il
diciottenne Michael Brown.
Sono passate le 21 ora locale e
il ritardo della conferenza
stampa, annunciata sin dal
mattino, quando cioé la decisione è stata raggiunta, non
lascia presagire nulla di buono. La città è già pattugliata
dalla Guardia Nazionale e i
genitori della vittima, informati in anticipo del verdetto,
hanno ripetutamente fatto ap-
pello alla calma: “non facciamo rumore, facciamo la differenza”, ripetono togliendo,
però, sempre più speranza a
chi, a casa, è in attesa. O in
strada. Perché molti, sfidando
il gelo della notte, quell’annuncio lo hanno atteso così,
già pronti a far sentire la propria rabbia e la propria amarezza.
Il lungo annuncio di McCulloh, che inizia con un insolito
e criticatissimo attacco ai social e a Internet, responsabili
di aver parlato di questa storia
senza riposo, è la doccia gelata
che diventa rabbia per quel tono sempre accondiscendente
nei confronti del poliziotto e
per quelle continue rassicurazioni circa “l’estrema cura”
con cui i giurati avrebbero
analizzato tutte le prove. I fatti, precisa, e non le “storie”
raccontate sui social.
Social che, intanto, fanno rimbalzare in tutto il mondo, ad
una velocità incontrollabile,
lo sconforto di un paese che,
dopo l’indignazione per Trayvon Martin, il giovane afro
-americano ucciso in Florida
senza ragione, aveva davvero
sperato che la giustizia potesse
prevalere.
Una giustizia “credibile” e
non sospetta di essere sempre
dalla parte dei poliziotti e contro gli afro americani. Quella
stessa giustizia alla quale fa
appello Barack Obama, nel
suo messaggio alla nazione,
subito dopo la fine delle dichiarazioni di McCulloh, ri-
cordando che l’America è un
paese di leggi e che, dunque, la
decisione del Grand Jury va
rispettata. E chiede calma nella pur legittima protesta, ricordando che c’è un meccanismo che continua a incepparsi troppo spesso a danno
della comunità afro-americana.
Ma la notte successiva al verdetto si accende di fuochi e
Il razzismo brucia ancora
DA ROSA PARKS A TRAYVON, 60 ANNI DI LOTTE PER I DIRITTI E CICLICHE ESPLOSIONI DI VIOLENZA
di Giampiero Gramaglia
Martin L. King LaPresse
Barack Obama Ansa
La questione non è la razza ma la discriminazione razziale, e i neri hanno i livelli più alti di disoccupazione,
probabilità di finire in prigione e di subire abusi dalla
polizia. Era così in passato e continua ad essere così. Nulla
è cambiato.
inquant’anni dopo, negli
C
Stati Uniti è ancora e sempre Mississippi Burning: Le radici
dell’odio, film del 1988 di Alan
Parker, con Gene HackmaneWillem Dafoe, che ricostruisce
l’assassinio di tre attivisti per i
diritti civili avvenuto nel 1964
nel Mississippi, la notte del solstizio d’estate. C’era un vice-sceriffo tra i colpevoli. Quella era l’America di Lyndon B.
Johnson: il presidente Kennedy
era stato ammazzato pochi mesi prima. Nel 1962, a quasi un
secolo dalla fine della Guerra
Civile, che aveva sancito l’abolizione della schiavitù, c’era voluta la Guardia Nazionale,
mandata proprio da Kennedy,
per consentire a James Meredith, primo studente nero iscritto
all’Università del Mississippi,
di entrare nell’Ateneo. Le leggi
federali smantellavano la segregazione, che resisteva non solo
negli Stati del Sud. Kennedy
aveva ancora fatto in tempo a
vedere la marcia su Washington per i diritti civili, il 28 agosto 1963, che Martin Luther
King concluse con il discorso
simbolo di quella lotta, “I have a
dream”. Morto Kennedy, Johnson, un uomo del Sud, un democratico del Texas, firmò il
Civil Rights Act, che bandiva
ufficialmente la discriminazione razziale. È una fase di forte
avanzata dei diritti civili, ma
anche di battute d’arresto e di
venature violente: 1965, Malcom X viene assassinato ad
Harlem, a New York; 1966, nasce il movimento delle Pantere
Nere; 1968, il 4 aprile l’apostolo
dei neri, Mlk, viene ucciso a
Memphis, nel Tennessee; pochi
mesi più tardi, Tommie Smith e
John Carlos, sul podio olimpico dei 200 metri a Città del
Messico, salutano la bandiera a
stelle e strisce levando il pugno
chiuso in un guanto nero.
L’estate è la stagione delle ‘rivolte razziali’: fra le più drammatiche, le sommosse di Detroit e Newark del 1967.
LE FIAMMATE estive delle ten-
sioni bianchi/neri sono una tragica costante delle cronache
americane, un po’ come i roghi
nelle banlieues parigine: Ferguson è il caso del giorno, ma non
sarà l’ultimo. Il video del pestaggio di Rodney King, un
mezzo balordo, ad opera di
quattro poliziotti, il 2 marzo
1991, scatena in California pro-
teste come oggi nel Missouri.
Quando gli agenti vengono tutti
assolti, interi quartieri di Los
Angeles vivono giorni tesissimi,
vittime, violenze, incendi, saccheggi. Nel 2001, l’estate fu calda a Cincinnati, nell’Ohio, dove
le tensioni razziali erano andate
covando con episodi di pestaggio di neri da parte di poliziotti.
Poi, toccò di nuovo a Los Angeles e, più di recente, alla Florida: nel febbraio 2012, a Orlando, la città di DisneyWorld, un
vigilante ispanico uccide Trayvon Martin, 17 anni, il ragazzo
col cappuccio di cui Obama disse “poteva essere mio figlio”. Il
copione è (quasi) sempre lo
stesso: un nero ‘sospetto’, un
agente prevenuto – e impaurito
-, oppure una gang di poliziotti
violenti e determinati a ‘impartire una lezione’. Certo, capita
il Fatto Quotidiano
BLACK OUT AMERICA MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014
NIGERIA DUE DONNE KAMIKAZE: 45 MORTI
Due donne kamikaze, meno di 20 anni, hanno colpito l'affollato Monday Market, a Maiduguri, nel
nord-est del Paese. Oltre 45 i morti L’esplosivo era
nascosto sotto l’hijab, l’abito tradizionale. L’attentato non è stato rivendicato, ma sembra riconducibile ai terroristi islamici di Boko Haram. LaPresse
FRANCIA FALLISCE IL COLPO DA CARTIER
Tensione a Parigi: dopo aver tentato l’assalto in
una gioielleria Cartier vicina agli Champs
Elysees, due rapinatori sono fuggiti prendendo in
ostaggio una parrucchiera nel XV arrondissement.
C’è stata una sparatoria con gli agenti, poi i banditi si sono arresi e liberato l’ostaggio. LaPresse
di Andrea
C
Valdambrini
he ne sa dell’Inghilterra chi conosce solo
l’Inghilterra?”,
scriveva un romanziere di età vittoriana alludendo all’importanza dello sguardo esterno per la valutazione
del proprio Paese. Forse ci voleva proprio il primo Papa
non europeo della storia per
mettere a fuoco i mali della
politica europea in una prospettiva globale. Nella seconda visita in 26 anni di un pontefice
all’Europarlamento,
(dopo quella di Giovanni Paolo II nel 1988) Francesco sferza l’Unione europea, iniziando dal lavoro che non c’è:
“Quale dignità potrà mai trovare una persona che non ha il
cibo o il minimo essenziale
per vivere e, peggio ancora, il
lavoro che lo unge di dignità?”.
17
Il decalogo di Francesco
per “nonna” Europa
IL PAPA NEL ‘TEMPIO’ POLITICO UE AMMONISCE I DEPUTATI DEL VECCHIO CONTINENTE
(“NON PIÙ FERTILE E SENZA IDEALI”) CHE SCAMBIANO IL PROFITTO PER I DIRITTI DI POVERI E MIGRANTI
Paragoni impietosi
AD ASCOLTARE l’appello di
tensioni, non solo nel quartiere di Saint Luis, ma anche
da una parte all’altra degli Stati Uniti, da New York alla California.
Le parole del presidente vengono considerate “deboli” da
chi, almeno in questo momento, vorrebbe vederlo mettere da parte la sua “imparzialità “ e il suo aver sempre,
forse troppo, provato in questi
sei anni, a non essere il presidente nero a difesa dei neri.
“Il paese ha fatto grandi passi
avanti nelle questioni razziali”, dice con tono severo. Sarebbe bello crederci. Sarebbe
bello aver dimenticato che lui
è stato l’unico presidente in
carica a dover esibire un certificato di nascita per essere
“accettato” come americano.
Intanto, la rabbia a Ferguson
non si placa. Sessantuno gli
arresti finora. Per una brutta
storia che sembra solo al suo
inizio e non alla fine.
Bergoglio nell’emiciclo di
Strasburgo, tutti i potenti del
Continente, da Matteo Renzi
(in qualità di presidente di turno del Consiglio Ue) al presidente della Commissione
europea Jean-Claude Juncker
- da poco in carica ma già sotto
accusa per lo scandalo LuxLeaks. E naturalmente, i 751
parlamentari rappresentanti
dei Paesi dell’Unione. Come
emerge dal database recentemente lanciato da Transparency
International, in aggiunta allo
stipendio da eurodeputato, alcuni politici europei un reddito molto alto da attività professionali e imprenditoriali.
Questo li pone in potenziale
conflitto di interesse nel loro
ruolo di legislatori. Tra i molti
“paperoni” troviamo ad esempio il liberale Guy Verhofstadt, che dichiara un reddito
di oltre 15.000 euro al mese
come consigliere della finan-
Bergoglio con Schulz all’Europarlamento Ansa
15
mila
EURO PER
L’EX PREMIER
ziaria belga Sofina e l’ex ministro dell’era Sarkozy Rachida Dati, che supera i 10.000
con la sua attività di avvocato.
Spicca tra gli italiani il democratico Renato Soru, fondatore di Tiscali e già inserito nel
2000 da Forbes nella lista degli
imprenditori più ricchi d’ Italia. Soru è attualmente sotto
IL TERRORISMO RELIGIOSO
Bergoglio: “Un fenomeno che nutre profondo disprezzo per la
vita umana, foraggiato da un traffico di armi molto spesso
indisturbato. Per la Chiesa la corsa agli armamenti è una piaga”
STIPENDI
RECORD
Tra i più ricchi
dei 751
parlamentari il
belga Verhofstadt
processo con l’accusa di evasione fiscale per circa 10 milioni di euro e nonostante ciò
membro della Commissione
Affari economici dell’europarlamento. Parlando a loro e agli
altri potenti dell’Unione, il Papa ha sottolineato “la sfiducia
dei cittadini nei confronti delle
istituzioni, ritenute distanti” e
“l’impressione generale di
stanchezza e d’invecchiamento di un’Europa nonna e non
più fertile e vivace”. Poi l’affondo, per nulla timido contro
la tecnocrazia: “I grandi ideali
che hanno ispirato l’Europa
sembrano aver perso forza e
VALERIE: “HOLLANDE NON È CARY GRANT”
L’ex compagna di François Hollande, Valérie Trierweiler,
49 anni, tradita – e “sostituita” – dal presidente con
l’attrice Julie Gayet, dopo il libro di confessioni ha
rincarato la dose sostenendo che il suo ex amato non è
certo affascinante come l’attore Usa LaPresse/Olycom
attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici delle sue istituzioni”. Chissà se Juncker ha
preso nota. Non ultimo, arriva
l’appello del Papa sul terreno
dell’immigrazione.
UNA QUESTIONE che va af-
frontata da tutti gli europei insieme, “tenendo conto della
dignità umana degli immigrati”. Anche perché, aggiunge
Bergoglio “non si può tollerare
che il Mediterraneo diventi un
grande cimitero”. “La pace - ha
aggiunto il Papa nel corso del
suo intervento al Consiglio
d’Europa - è provata anche da
altre forme di conflitto, quali il
terrorismo religioso e internazionale, che nutre profondo
disprezzo per la vita umana e
miete in modo indiscriminato
vittime innocenti. Tale fenomeno è purtroppo foraggiato
da un traffico di armi molto
spesso indisturbato. La Chiesa
considera che la corsa agli armamenti è una delle piaghe
più gravi dell’umanità e danneggia in modo intollerabile i
poveri”.
Il Papa argentino gliele ha cantate al Vecchio Continente. In
fondo, che ne sa dell’Europa
chi conosce solo l’Europa?
COSE TURCHE
Erdogan e l’equivalenza
femminile all’islamica
di Roberta Zunini
DIRITTI E VIOLENZE
Rosa Parks il 1° dicembre venne arrestata
per non aver ceduto il posto sul bus a un bianco. Rodney King dopo il pestaggio della polizia nel ‘91 e Trayvon Martin LaPresse
pure che l’essere afro-americano tiri fuori dai guai: succede
nel 1994 a O. J. Simpson, campione di football. Giocando sul
sospetto di pregiudizio razziale
nei suoi confronti, l’avvocato
riesce a farlo assolvere dall’accusa di duplice omicidio, la ex
moglie e il suo nuovo fidanzato.
Non s’era mai visto assolvere un
nero così palesemente colpevole. Gli afro-americani guadagnano spazi: 1983, Guion Bluford Jr. è il primo astronauta ne-
ro; 1989, Colin Powell è il primo
capo di Stato maggiore nero (e
nel 2001 è il primo segretario di
Stato). Fino al 2008, quando Barack Obama è il primo nero
eletto presidente. Alla Casa
Bianca, fa avanzare un’altra
frontiera dei diritti civili, quella
dell’uguaglianza per gay e lesbiche. Ma, come ‘avvocato’ degli
afro-americani, sembra quasi
frenato dal timore di apparire di
parte.
@ggramaglia
on c'è dubbio: il 2014 sarà ricordato come l'annus horribilis
delle donne turche. L'ennesimo attacco è arrivato dal preN
sidente Erdogan al quale ieri hanno risposto 8 associazioni per la
tutela dei diritti delle donne. Con un comunicato congiunto hanno condannano la sua affermazione sulla differenza tra uomini e
donne. Secondo il “sultano” di Ankara “non si può dire che le
donne siano uguali agli uomini perché la loro natura è differente,
semmai sono equivalenti”. Le ong firmatarie scrivono che “le parole del capo dello Stato violano Costituzione e accordi internazionali, oltre a denigrare decenni di sforzi per la parità di genere”.
Nelle manifestazioni organizzate in occasione della Giornata contro la violenze sulle donne, l’avvocatessa Hulya Gulbahar, ha denunciato che il discorso di Erdogan “alimenta gli abusi”.
Dalla rivolta di Gezi park nell'estate 2013, a cui le donne laiche
parteciparono in massa, a turno i deputati del partito di Erdogan,
l' islamico Akp (Giustizia e Sviluppo) sono passati dal consiglio di
evitare di farsi vedere in pubblico quando si aspetta un bambino
all'avvertimento di non ridere in pubblico perché contro la morale
islamica. A quel punto era partita via twitter la campagna della
risata: centinaia di migliaia di
selfie con sorrisi singoli o di
gruppo. Dulcis in fundo le parole
del presidente. Che ha spiega- FAMIGLIA IMPERIALE
Figlia, moglie e presidente:
to a un pubblico di sostenitrici
gli Erdogan LaPresse
dell’Akp rigorosamente velate,, come alle donne Allah abbia riservato “una condizione di privilegio perché possono generare figli. Perciò le donne non saranno mai uguali agli uomini.
Nell'Islam la donna ha un ruolo prioritario dato che le spetta la
procreazione”. Erdogan ha poi spiegato che è ciò che tutte dovrebbero fare. Del resto aveva già sottolineando che le donne sposate dovrebbero fare “almeno 3 figli e stare a casa ad allevarli”.
Il rapporto Global Gender Gap, pubblicato dal World economic forum
nel 2013, ha messo la Turchia al 120° posto su 142 in materia di
parità di genere e all’ultimo posto tra i paese europei. Dal 2009 al
2012 in Turchia sono state uccise da familiari ben 670 donne e i
reati sessuali sono aumentati del 400% nell'ultimo decennio.
Chissà se Erdogan riuscirà a convincere la figlia Sumeyye che anziché provare a ricalcare le sue orme in politica dovrebbe stare a
casa a produrre bambini.
18
il Fatto Quotidiano
MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014
ADDIO AD AURELIO MILANI,
ATTACCANTE DELLA GRANDE INTER
È morto a 80 anni Aurelio Milani, attaccante
della Grande Inter di Helenio Herrera con cui
ha vinto due volte la Coppa dei Campioni,
una Coppa Intercontinentale e uno scudetto
NESSUN FLIRT: BARBARA B. E INZAGHI
SMENTISCONO VOCI DI UNA RELAZIONE
LA PRIMA VOLTA DI VETTEL:
IL TEDESCO NEL BOX FERRARI
“La notizia è falsa e totalmente inventata”:
Barbara Berlusconi e Filippo Inzaghi
smentiscono di avere una relazione. I due sono
pronti a querelare chi riporterà la notizia
Sebastian Vettel in visita ai box della Ferrari.
Il pilota tedesco, che dal 2015 correrà con il
Cavallino, si è presentato sul circuito di Abu
Dhabi, durante la prima giornata di test
SECONDO
TEMPO
SPETTACOLI.SPORT.IDEE
Agon Channel, come riciclarsi a Tirana
DEBUTTA IL CANALE ALBANESE (33 DEL DIGITALE TERRESTRE) DI FRANCESCO BECCHETTI, NIPOTE DEL “RE DELLE DISCARICHE” ROMANE CERRONI
UNA TV “SEMIGENERALISTA” CON PROGRAMMI AUTOPRODOTTI CHE FA INCETTA DI STAR NOSTRANE: FERILLI, COSTAMAGNA, VENTURA E PUPO
S
di Nanni Delbecchi
Milano
e non è l’isola dei famosi, le somiglia
molto questa Agon Channel, televisione made in Albania ma di lingua (e
soprattutto anima) italiane, al debutto sulla frequenza 33 del nostro digitale terrestre. L’ultimo acquisto della Tv dove tanti più o meno famosi di
casa nostra hanno trovato rifugio è,
nemmeno a farlo apposta, Simona
Ventura, che insieme a Massimo Ghini condurrà questa sera da uno dei
tanti grattacieli targati Expo il galà
d’apertura con red carpet regolamentare: Nicole Kidman la superstar una
tantum, e poi tutti i personaggi acquisiti in questi ultimi mesi dell’emittente: Sabrina Ferilli, Pupo, Maddalena
Corvaglia, Antonio Caprarica, Fulvio
Collovati, Luisella Costamagna,
Giancarlo Padovan.
CLIMA DA veglione anni Ottanta alla
Terrazza Martini, per la presentazione
alla stampa. Gran cerimoniere Antonio Caprarica in completo color zabaione, direttamente da Buckingham
Palace agli studi di Tirana, dove 500
giovani lavorano alacremente alla
produzione dei due canali (ce n’è anche uno in lingua albanese). Superstar
L’ex giornalista
tra le star, l’imprenditore romano
Francesco Becchetti, l’uomo solo al
Rai Antonio
comando che dal nulla ha voluto tutto
Caprarica (al
questo. Specializzato nella costruziocentro) e la sua
ne di opere idrauliche, nello smaltisquadra
mento dei rifiuti e nella produzione di
cureranno
energia rinnovabile, Becchetti è nipo- l’informazione. In
te di Manlio Cerroni, il plurinquisito
basso, da sinistra,
re delle discariche romane. Due anni
Simona Ventura,
fa ha sentito il richiamo dell’etere, e
Pupo e Sabrina
deciso di buttare in questa scommessa
Ferilli LaPresse
“40 milioni di euro senza debiti dalle banche”.
Quando ha sentito la
OBIETTIVO SHARE
mancanza del calcio, nei
ritagli di tempo si è comStasera il gran galà
prato il Leyton Orient,
una squadra della Terza
con Nicole Kidman.
divisione inglese; ma
Il palinsesto comincia
ogni riferimento ad altri
magnati di casa nostra
lunedì con quiz, talk
viene respinto al mittente. “Io non mi paragono
e informazione. Costo
a nessuno... Oggi un iminiziale: 40 milioni di euro
prenditore o sta alla finestra, o rischia. Io ho
voluto rischiare... Ho
voluto Sabrina Ferilli a tutti i costi e lei
è venuta perché le piacciono le sfide.
Se fosse nata in America, Sabrina
avrebbe vinto almeno dieci Oscar...
Mi piacerebbe farvi vedere l’elenco di
tutti quelli che mi hanno cercato in
questi mesi: diciamo che c’è almeno
l’80 per cento dei nomi grossi della televisione italiana... Io vado a istinto.
L’obiettivo è quello di raggiungere struito “una squadra meravigliosa
l’uno per cento di share, però non mi (“squadra” è la parola che ripete più
pongo limiti (infatti qualche mese fa spesso) e di volere “una televisione seaveva dichiarava il tre per cento, migeneralista”, anche se che intenda
con quel “semi” non è del tutto chiaro.
ndr).”
Passando ai contenuti, Becchetti è al- “La gente non ne può più di puntare il
trettanto sicuro di sé; dice di avere co- telecomando su realtà che sente esau-
rite. Ha voglia di qualcosa di nuovo e
di fresco”. Questo lo capiamo; ma un
po’ meno comprensibile è l’idea di
proporre la nuova torta riutilizzando
esattamente gli stessi ingredienti. Pupo è il responsabile dei quiz, lui stesso
ne condurrà subito uno a sfondo mu-
POCHI INCASSI
di Chiara Daina
I
l museo dedicato a Renato Guttusdo di Bagheria ha chiuso i battenti. “Non per sempre – giura il sindaco
del M5S Patrizio Cinque – per un po’,
ma non sappiamo ancora fino a quando, stiamo studiando un piano migliore”. Decine e decine di tele appese
che Guttuso prima della sua morte,
nel 1987, aveva donato al Comune di
Bagheria, la sua terra natale, da allora
conservate nei tre piani di Villa Cattolica. Pochi visitatori e costi troppo
alti: questo il motivo che ha spinto la
giunta a spegnere le luci: “Da gennaio
sono stati venduti solo 20 mila biglietti – spiega il primo cittadino – con una
spesa stratosferica di 480 mila euro
per la gestione, personale e utenze.
Insostenibile per un’amministrazione come la nostra che è in dissesto finanziario. Abbiamo un buco di 42
milioni di euro”. Nel 2013 il conto finale è stato quasi di 800 mila euro.
“Fino all’anno scorso però godevamo
dei contributi regionali: in tutto 60
mila euro, che sommati ad altri 20 mi-
Bagheria, il sindaco chiude il museo
di Guttuso. L’erede: “Ritiro le opere”
la euro di ricavi, ci sono serviti a sal- privati disposti a gestire la struttura.
dare le spese”. L’erede del maestro, Ci ha sorpreso questo annuncio – reaFabio Carapezza Guttuso, presidente gisce il sindaco – Ci sono gli atti che
degli Archivi Guttuso, non ha affatto documentano la donazione dei quagradito e ha minacciato di riprendersi dri da parte di Guttuso alla comunità
le opere: “Sono in attesa di riflessioni di Bagheria”. Carapezza si difende:
ulteriori da parte del Comune – ha di- “La comunicazione è stata data
chiarato - sperando che tutto questo dall’assessore alla Cultura con soli
sia solo un ballon
due giorni di preavd’essai per attirare
viso e ha impedito
l’attenzione e che le
persino la ricerca di
LA DIFESA
cose tornino indieuna soluzione altertro”. Venerdì sera
e condivisa,
Il sindaco Cinque (M5S): nativa
era presente anche
mettendo tra l’altro
lui alla riunione del
a rischio gli impor”Pochi visitatori e 480
Comitato direttivo
tanti progetti, Itinemila euro di gestione.
per valutare il futurari Guttusiani, che
ro percorso del
garantirebbero al
Insostenibile il dissesto
museo. “A noi in
Museo Guttuso, e
realtà ha detto che
finanziario, ma troveremo quindi alla città,
si sarebbe impeun’importante flusuna soluzione”
gnato a trovare dei
so turistico cultura-
le”. Intanto, fra qualche giorno, partiranno i lavori per la riqualificazione
degli ambienti (giardino e caffetteria).
Non è la prima volta che scoppia la
guerra tra i due. “Negli anni 90 – racconta il sindaco – Caparezza rivendicò ingiustamente le opere, quindi firmò un accordo sulla rinuncia perché
l’episodio non si potesse ripetere. Ma
a quanto pare è valso a poco. Tra l’altro controllando i registri delle opere
ci siamo accorti che da 12 anni sono
scritti a matita. Abbiamo avvisato subito i carabinieri. Dobbiamo verificare se sono spariti dei quadri”. Intanto,
l’amministrazione pensa a come rilanciare il museo. Per esempio affidardo la gestione a giovani neolaureati in discipline umanistiche, “che
magari potrebbe costituire una cooperativa”, suggerisce il sindaco.
sicale. Alla Corvaglia è stato affidato
un talent show per aspiranti guardie
del corpo che rischia di oscurare quello di Briatore, e dove tra le giurate
spicca Lory Del Santo (“Lei di uomini
se ne intende, e riesce a vedere tante
sottigliezze”). Infine, due talk basati su
altrettanti faccia a faccia tra la conduttrice e il suo ospite; più privato Contratto della Ferilli, più politico Lei non sa
chi sono io di Luisella Costamagna. Per
quanto riguarda le news nessun tg tradizionale e invece dieci edizioni flash,
che Caprarica assicura “di taglio chiaro, sintetico e internazionale”.
QUIZ, TALK, talent (ce ne sarà anche
uno sul calcio, affidato a Padovan, con
Collovati ospite fisso); le premesse sono quelle di una “Tv dei famosi” di
target anziano e familiare. Un modello in crisi in tutto il mondo ma che
Becchetti conta di rivitalizzare. Se ci
riesce, è davvero un mago del riciclo.
Da stasera la parola passa ai fatti, con
due piccoli gialli ancora da chiarire. Il
primo è la fisionomia del palinsesto
che si inaugura lunedì 1 dicembre e
che, dovendo coprire 24 ore su 24 con
format esclusivamente autoprodotti –
non sono previsti né fiction né film –
avrà blocchi di repliche ricorrenti nelle diverse fasce orarie, con l’eccezione
del prime time serale, dove ci sarà sempre qualcosa di inedito. Il secondo
giallo riguarda Alessio Vinci, il giornalista che aveva avviato con Becchetti
il canale albanese, e lanciato Agon come la prima Tv delocalizzata. Adesso è
fuori dal progetto, ufficialmente perché non era disposto a trasferirsi a Tirana a tempo pieno, cosa che però vale
anche per la squadra dei nuovi acquisti, nessuno escluso. Comunque vadano gli ascolti, i voli Roma-Tirana faranno sicuramente il tutto esaurito.
Forse Vinci era l’unico che voleva
viaggiare in prima classe.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014
19
La questione della lingua:
lezione di sesso per gli uomini
ARRIVA IN ITALIA L’ULTIMO BEST-SELLER AMERICANO: “LEI VIENE PRIMA”, UN TRATTATO
CHE SPIEGA – IRONICAMENTE – AL GENERE MASCHILE COME SODDISFARE (DAVVERO) LE DONNE
di Elisabetta
L
Ambrosi
IL PIACERE
a
penetrazione?
Giusto un preliminare. Il clitoride? Il
tempio del piacere
femminile. La via maestra per
l’orgasmo femminile? Il sesso
orale, e niente di più. No, non
sono le ultime dichiarazioni
di un’attrice porno, né le rivelazioni del romanzo erotico del momento, ma le conclusioni scientifiche di una
manuale che negli Stati Uniti,
dove ha già venduto 250.000
copie, spopola ovunque: Lei
L’attrice Charlotte
Gainsbourg, protagonista di “Nymphomaniac” di Lars von Trier
Lip Service. On Being a Cunning
Linguist della scrittrice Anka
Radakovich e The Clitoral Truth di Rebecca Chalker), che il
sesso orale è la via maestra al
piacere femminile . “Ogni
uomo”, scrive Kerner, “dovrebbe fare una mantra della
celebre battuta che Reth Butler rivolge a Rossella O’Hara
in Via col Vento: “Dovreste essere baciata, e spesso, da un
esperto”.
CON BUONA pace di Freud,
che definiva gli orgasmi clitoridei “infantili”, il manuale
arriva a rovesciare, con dovizia di citazioni scientifiche e
letterarie, il paradigma penetrativo. “L’idea che la penetrazione vaginale possa essere
seriamente sopravvalutata è
una pillola amara da buttar
giù, specie per gli uomini”,
scrive Kerner. Ma l’amarezza
dura giusto il tempo di riscoprire il piacere di portare lei
all’orgasmo. Già, ma come? Il
punto di partenza, infatti,
può apparire disperato visto
che “per la maggior parte degli uomini è più facile riconoscere quel che c’è sotto il
cofano di un’auto che quel
che c’è sotto il prepuzio di un
clitoride”. Nulla di cui scoraggiarsi, però: sia che abbiate
appena intrapreso il sentiero
della vita “clitteraria”, sia che
siate già in buona fede membri della “élite dei clitterati”,
Kerner è lì per spiegarvi – veramente in dettaglio – come
cavarvela egregiamente. Primo, scoprire per la prima volta ciò con cui si ha a che fare –
la vulva – in tutte i suoi numerosi, e sconosciuti, com-
Torino, il No Tav
è diventato film
Pontiggia
Torino
on si può ridurre queste
N
lotte a scontri tra tifosi,
non si può gestire questi fe-
(tradotto in Italia dall’originale casa editrice Odoya).
L’autore è il sessuologo clinico Ian Kerner (già autore,
per par condicio, di Passioni-
il quale, con
una buona
dose di autoironia,
precisa che il
libro è stato
scritto
dal
punto di vista di un ex
eiaculatore precoce che, ormai convinto che sulla sua lapide sarebbe stato scritto
“Veni, vidi, et denuo veni”, si
è accostato al cunnilingus come se “fosse una scappatoia
dalle gioie e degli splendori
del vero sesso”. Per scoprire
(e non è il solo, visto che negli
Stati Uniti sono usciti anche
IL FESTIVAL
di Federico
viene prima. La guida dell’uomo
pensante al piacere femminile
sta: The Empowered Woman’s
Guide to Pleasuring a Man);
Il corteo No Tav a Torino del 14 novembre Ansa
LEI VIENE PRIMA
Ian Kerner
Odoya
pagg. 256, 16,00 ¤
ponenti. Poi, conoscere la
tecnica, che spazia dai consigli per la posizione giusta
(quella che non vi aspettereste), alla minuziosa spiegazione su come imparare, ad
esempio, un “pizzicotto perineale” o un “vieniquì a fermaglio”, fino alle istruzioni
sul tempo necessario (dai 15
ai 45 minuti, esclusi i preliminari). Il tutto, lavorando
con la “pignoleria di un felino”, senza essere né “schizzinosi o esitanti ma neanche
eccessivamente zelanti o impazienti”: piuttosto controllando – con calma zen – il
processo fino all’ultimo, cioè
all’orgasmo.
Completano il manuale indicazioni su come proteggersi
anche nel sesso orale – dai
condom “dental dam” a quelli
fai da te con la pellicola da
cucina – fino ai suggerimenti
su come mettere da parte i
classici timori maschili di cattivi odori. “È raro”, scrive
Kerner, “trovare un uomo
che sappia assaporare la cassolette di una donna con lo
stesso incrollabile ardore di
un Napoleone”. Ma, assicura
il sessuologo, dopo aver scoperto che, “altro che palude,
la vagina è un ecosistema con
ricambio costante”, anche il
maschio medio potrà presto
arrivare a dire come Napo-
GENEROSITÀ
“A ciascuna secondo
le tue capacità,
ciascuno secondo
i bisogni di lei”.
Negli Usa ha venduto
250 mila copie
leone a Giuseppina, “Non lavarti, sto arrivando!”. Il saggio contiene, infine, un vero e
proprio “Manifesto del Cunnilinguista”, coniato sulla falsariga di quello del Partito comunista (“A ciascuna secondo le tue capacità, ciascuno
secondo i bisogni di lei”).
INSOMMA, altro che volgare
libro antisociale. Donne, per
Natale regalate She comes first.
Non è escluso che il vostro
compagno, schiacciato dal
nuovo imperativo categorico
del piacere orale, venga afflitto da ansia da castrazione clitoridea. Ma se ciò non avverrà, allora, di sicuro, sarà la rivoluzione. Per lei, ma anche
per lui: “Non dimenticherò
mai”, scrive Kerner, “quando
ho condotto una donna
all’orgasmo con la lingua. Mi
sentii come quando E.B.
White ricevette il suo primo
assegno per un racconto: finalmente ero un professionista”.
nomeni culturali e politici in
termini di ordine pubblico, si
può fare della democrazia una
scatola vuota”. Soffia il vento
NoTav sul Festival di Torino:
Qui di Daniele Gaglianone,
documentario in soggettiva
su dieci NoTav che non sono
black bloc giunti dall’estero
per attaccare la polizia, “come
vorrebbero i mass media che
hanno evocato, anzi, invocato
l’lrlanda del Nord Anni 70”,
ma valligiani che lottano da
anni, da decenni contro la Torino-Lione. Cattoliche che
pregano davanti al cantiere,
infermiere che catechizzano
le forze dell’ordine, sindaci
resistenti, raccoglitori di castagne, famiglie che scoprono
dal plastico della Stazione Internazionale che la propria
casa verrà abbattuta, proprietarie di agriturismo che s’incatenano al cantiere con le
manette di un sexy-shop, tutte persone comuni, espressione attiva e partecipe della democrazia dal basso, la stessa
che secondo Gaglianone spiega l’astensione record alle Regionali in Emilia-Romagna:
“Non capisco che cazzo Renzi
abbia da festeggiare, perché la
gente non s’è mossa di casa,
ha deciso che il poco che gli
viene concesso non le sta be-
ne. Non ha bisogno di votare,
perché fa politica ogni giorno,
in Emilia come in Val di Susa”.
Eppure, Gaglianone si dice
“molto preoccupato, oggi ci
troviamo nuovamente tra Rosa Luxemburg e la birreria di
Monaco: il nostro ceto dirigente è inadeguato, questo è
un film di rivolta, meglio, che
si rivolta, perché il senso di
cittadinanza è compromesso”. Da domani in sala a Roma, poi anche a Milano, Qui
non è fazioso, ma partigiano:
“Queste persone possono anche avere torto, ma l’importante qui e ora è prendere posizione”. A contemplare
LA TEORIA del tutto, vicever-
sa, è l’ottimo film di James
Marsh sulla relazione tra il celebre fisico teorico inglese Stephen Hawking e la moglie Jane Wilde: “Non è una storia di
malattia, ma d’amore, limiti e
fallimenti compresi”, dice Eddie Redmayne, straordinario e
metamorfico nei panni di Hawking, un uomo che la Sla
non ha piegato. “Per prepararmi sono andato in una clinica, ho incontrato 30-40 pazienti e loro famiglie, era importante conoscessi il costo
emotivo e relazionale della
patologia, ma io sono fortunato: ogni sera mi alzavo dalla
sedia a rotelle, mentre i malati
di Sla vivono in una prigione
che si restringe sempre di
più”.
CHAMPIONS LEAGUE
La Roma scivola all’ultimo secondo
di Roberto
Beccantini
embrava tutto in ghiaccio, e non
S
solo perché si giocava a Mosca.
Una sassata di capitan Totti aveva rot-
to le fragili vetrine del Cska e “consegnato” gli ottavi di Champions League alla Roma. Il gollonzo di Vasilij
Berezutski, all’ultimo dei tre minuti di
recupero, un cross ambiguo e ondivago sul quale Doumbia ha bluffato e
De Sanctis ci è cascato, rinvia la sentenza agli incroci del sesto turno: Roma-Manchester City, Bayern-Cska.
Potrebbe bastare un punto, ma si lascia la Russia con la rabbia di aver
sprecato un’opportunità semplicemente colossale.
È stata una partita lenta, di mosse laboriose, senza pubblico, in quel freddo moscovita che fa tanto Napoleone.
Bravo, Garcia, a schierare il 4-3-3
d’ordinanza, con Florenzi terzino
d’emergenza, Gervinho, Totti falso
nueve e Ljajic in attacco: un segnale.
Meno bravo, l’allenatore, a non reagire al progressivo arretramento dei
reparti. La Roma aveva la partita in
pugno. Se le è scappata, colpa sua, oltre che merito degli avversari.
In gergo, si scrive beffa. A patto che
non diventi un alibi. Crivellato di gol
GELO A MOSCA
Giallorossi avanti
con una punizione
di Totti, il Cska pareggia
al 93’. Qualificazione
ancora possibile,
ma che occasione sciupata
all’Olimpico (5-1), il Cska di Slutski si
era rimesso in piedi aggrappandosi al
Manchester City, rimontato in casa e
sconfitto in trasferta. È un collettivo
modesto, che si ciba di episodi. Prima
che, al 43’, Totti spaccasse l’equilibrio
su punizione procurata da Florenzi, il
migliore, l’occasione buona era capitata all’ivoriano Doumbia, murato in
uscita da De Sanctis.
IL POSSESSO palla della Roma aveva
provveduto ad addormentare la sfida.
Eremenko e Dzagoev giravano in folle.
I ritmi, lenti, hanno garantito a Keita,
De Rossi e Nainggolan una gestione
fin troppo serena e paciosa delle rare
scaramucce. I russi, altro non facevano
che attendere l’attimo che Doumbia
non aveva colto e il tritolo di Totti gli
aveva rubato.
Alla ripresa, è successo quello che a noi
italiani o italianisti capita spesso. Sedotta dalle sirene del braccino corto, la
Roma si è tirata indietro: non che i
rivali l’avessero spinta alle corde, ma
ho avuto l’impressione che De Rossi e
c. credessero di aver vinto. Anche se
Gervinho non ha acceso il contropiede, Nainggolan e Ljajic, preferito a Pja-
nic, hanno sciupato il raddoppio: diagonale a fil di palo, il belga; gran parata
di Akinfeev sul serbo.
Per carità, se pensiamo alle nuvole del
sorteggio estivo il senso dell’impresa
che accompagna la Roma rimane inalterato, e la sera del 10 dicembre potrà
essere ribadito, urlato. Resta la stizza
per non averlo fatto già alla Khimki
Arena, in capo a un’ordalia che le aveva offerto più rose che spine.
Nulla da dire sulla staffetta tra Gervinho e Iturbe. Con il senno di poi,
viceversa, l’ingresso di Strootman al
posto di Nainggolan sarà letto come
una leggera forzatura. Di sicuro, la Roma aveva sfiorato il 2-0 più di quanto il
Cska non avesse accarezzato l’1-1: ricordo un’acrobazia di Dzagoev e poco
altro.
Il pareggio di Berezutski, introdotto
da un errore di Strootman, quando si
dice il destino, è piovuto dalla parabola più banale che un guerriero in
affanno potesse pennellare. Mia, tua,
tua, mia: strada facendo, eccola trasformarsi in una freccia avvelenata. Il
rimpianto è di aver tenuto in vita fino
al 93’ una partita morta, o comunque
prigioniera.
20
SECONDO TEMPO
MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014
il Fatto Quotidiano
SIRONI
1885 - 1961
Roma, Vittoriano,
fino all’8 febbraio
2015
ARTE
Mario Sironi,
sublime e maledetto
A ROMA, RETROSPETTIVA DEDICATA A UN ARTISTA
CHE PAGA ANCORA IL LEGAME CON IL FASCISMO
di Claudia Colasanti
L
e occasioni per rivedere il pregiudizio e
la rimozione subìti
da Mario Sironi
(1885-1961) – prima pittore,
poi colossale (in tutti i sensi) artista interdisciplinare, illustratore, mosaicista, grafico, scultore – non sono mancati. Eppure
non sono stati sufficienti né i
FUMETTO
decenni che ci separano dal fascismo, né quelli trascorsi
dall’anno della sua scomparsa
(1961) per considerare virtuosa
la sua opera, etichettata come
faziosa, univocamente politica,
con la totale adesione al fascismo (i suoi numerosi e giganteschi murali, che qui possiamo
osservare nei loro toni più perentori ma privi di retorica,
progettati a misura per l’impe-
di Stefano
Feltri
Senza nuvolette
si va all’“Infierno”
INFIERNO 2
di Tito Faraci e Silvia Ziche, Rizzoli Lizard, 104 pagg., 14 euro
CI SARANNO PIÙ PAROLE IN QUESTA breve
recensione che in tutto il volume di cui si parla,
cioè “Infierno 2” di Tito Faraci e Silvia Ziche. Perché è un fumetto muto, non ci sono neppure le
onomatopee. La sfida è un bis: il più noto sceneggiatore Disney (e ora non solo) e la più divertente disegnatrice di Topolino (e non solo)
tornano insieme otto anni dopo quel primo Infierno che era una sfida per entrambi, un fumetto
umoristico in cui parlavano soltanto i disegni. C’è
una lunga tradizione di comics senza parole: qualche anno fa la
Marvel tolse la voce a tutte le sue serie per un mese, in queste
settimane è uscita un’unica tavola muta (lunga sette metri) di Joe
Sacco dedicata alla battaglia della Somme, molte strip comiche
cercano di limitare al massimo i dialoghi che rallentano la lettura.
Ma costruire un intero racconto senza parole è difficile: perché
bisogna mantenere una sottile ambiguità, è muto il racconto, non
i personaggi che, semplicemente, vengono disegnati nelle situazioni in cui interagiscono tra loro ma senza bisogno di ricorrere ai
baloon. Nel primo episodio del volume Rizzoli Lizard, due diavoli
poliziotti devono recuperare un criminale condannato ai tormenti
ro) e la sua intesa, mai rinnegata, con Mussolini. Utile, anche
per dissipare molte storture critiche, questa grande mostra antologica, allestita al Vittoriano
di Roma (fino all’8 febbraio
2015), offre una visione ampia
di tutto il suo impervio, plumbeo, a tratti stravagante (per
troppa etica) percorso, partendo dalle primissime e ancora indecise prove pittoriche.
Ancor più chiaro, durante l’itinerario, emerge il carattere
dell’uomo, sin da giovane pessimista e catastrofico; e il suo
aspetto psicologico, che lo rese
vulnerabile e diffidente, soggetto a frequenti crisi depressive.
Ne era conscio, sin da subito,
Mario Sironi, di proiettare anche nelle sue opere l’assioma di
una necessità del dolore, della
visione drammatica dell’esistenza dell’uomo moderno e dei
suoi raggelanti nuovi insedia-
menti urbani, sostituendo un
futile e passeggero successo a favore dell’ideale: “L’arte non ha
bisogno di essere simpatica,
comprensibile, ma esige grandezza, altezza di principi”.
In mostra tutte le stagioni della
sua pittura (con novanta dipinti), dagli esordi simbolisti al
momento divisionista, dal periodo futurista a quello metafisico, dal ‘900 italiano alla pittura
TEATRO
di Camilla
murale fino alle opere del Dopoguerra, con bozzetti, riviste, e
carteggi (comprese le impettite
sollecitazioni: Sironi era spesso
in ritardo con le consegne) con
alcuni protagonisti del Novecento italiano, da Margherita
Sarfatti, con cui condivise solidarietà critica e umana, fino a
Marcello Piacentini, che con lui
costruì gli imponenti scenari fascisti. Il suo autoritratto, del
Tagliabue
Le voci di dentro
non finiscono più
© Le voci di dentro
Di Eduardo De Filippo, con Toni e Peppe
Servillo. Milano, Piccolo Teatro Strehler
fino al 7 dicembre; poi Barcellona e Napoli.
NON HA NEMMENO due anni di vita, ma
è già un classico, una di quelle opere – come
diceva Calvino – che non si leggono o si
vedono, ma si rileggono e si rivedono: “Le
voci di dentro” di Eduardo De Filippo,
nell’impeccabile allestimento del 2013 di
Toni Servillo, continua a macinare applausi,
premi e incensamenti in Italia e nel mondo,
grazie alla felice tournée ancora in corso.
Scritta di getto nel 1948, sulle “macerie morali” di un Paese da ricostruire, la pièce mette in scena – a detta del regista – la “tragedia
della normalità, la mostruosità che cova
nella ovvietà”: protagonista è Alberto Saporito, un uomo qualunque, che non esita a
denunciare i vicini di casa per aver ucciso
un amico e occultato il cadavere, salvo poi
IL LUNGOMETRAGGIO
accorgersi di aver solo sognato
l’orribile delitto. Ma a quel punto è
difficile arrestare la macchina del
fango che egli stesso ha innescato… La realtà si confonde con l’incubo, il demone cartesiano si insinua nel vissuto quotidiano e il sospetto fa il paio con la delazione,
per cui tutti accusano tutti, madri,
padri, figli, zie, senza nemmeno lo
straccio di una prova, o di un morto.
Il capocomico Servillo esaspera
intelligentemente la dimensione onirica e
allucinata della commedia, e si affida alla
grande perizia degli attori, tra cui spicca il
fratello Peppe, dalla straordinaria e luciferina sensibilità; l’ensemble partenopeo
regge bene, per dna, il gioco dei sofismi
eduardiani, così come “la grande magia”
del teatro nel teatro: i fratelli Saporito, interpretati dai Servillos, sono, infatti, raf-
di Valerio
fazzonati impresari di spettacoli e feste
popolari. Anche la visionaria scenografia
di Lino Fiorito complotta a confondere i
piani tra recita e realtà, sonno e veglia,
finzione e verità, morte e vita: in fondo alla
scena c’è una scala di sedie accatastate
che porta da nessuna parte. Non esiste
alcun aldilà; il morto c’è, ma è quello sbagliato. E l’inferno è tutto “di dentro”.
Venturi
Bowie, ritorno sullo schermo
eterni che è riuscito a sfuggire all’inferno per nascondersi in paradiso, dove prova a sfidare Dio alle elezioni. Nella seconda sono a
caccia di una femme fatale che non vuole passare millenni a guardare bucolici cartoni animati. La prima storia è perfetta: il tratto
comico della Ziche (che funziona meglio quando disegna storie di
altri, i suoi personaggi femminili ironici e un po’ depressi alla lunga
sono ripetitivi) ha ritmo, ogni vignetta si fa guardare a lungo, proprio grazie al silenzio delle parole, la sceneggiatura di Faraci è vivace, con guizzi continui. La seconda storia risulta troppo densa, a
tratti difficile da seguire e la mancanza di dialoghi ne limita la
comprensione. Ma fare fumetti senza parole è difficile, Faraci e la
Ziche dimostrano che è possibile farlo ma che è impresa cui possono ambire soltanto gli autori (e i lettori) più consapevoli della
grammatica del fumetto. Un esperimento interessante, un divertissement che non deluderà chi aspettava il sequel del volume del
2006. Funziona anche l’introduzione, una chiacchierata Faraci-Ziche via WhatsApp sul progetto.
1909, eseguito a 24 anni, è l’immagine di un giovane severo,
con l’espressione dura e le sopracciglia inarcate; così come
cupo è il ritratto della madre del
1914. Seguono, oltre ai tentativi
futuristi e metafisici, una serie
di dipinti (1920) di grande bellezza, che raccontano, con toni
freddi e pochi drammatici elementi (un muro, un palazzo
dalle finestre squadrate, un ciclista affaticato), tutto lo stupore del precoce fallimento delle
nuove città, dei suoi trasporti e
soprattutto delle nuove periferie; e della malinconia urbana
che investirà i suoi futuri abitanti. E ancor di più dalla mostra emerge il suo sentimento di
intima e definitiva solitudine:
dall’inizio alla fine della sua vita,
prevedendo, come avvenne,
che in pochissimi avrebbero seguito il suo feretro. Al termine
della mostra la sua profezia è infatti davanti ai nostri occhi. Ne Il
mio funerale, una piccola tela del
1960, sfila un minuscolo corteo
trainato da un cavallo; alle spalle, come graffiti su un muro affollato, appaiono le icone incrollabili della sua esistenza: le
enormi sagome dei murali e la
severa geometria priva di calore
umano.
© David Bowie Is
Hamish Hamilton
DAVID BOWIE è un’icona. Se il
rock “vivo” se la passa male, è invece sempre tempo per celebrare/capitalizzare gli evergreen che
hanno fatto la storia della pop culture. Tutto questo per dire che lunedì sera è stato presentato a Milano (in situazione molto fashion)
“David Bowie Is”, lungometraggio
che racconta cinquant'anni di carriera del camaleonte del rock da
ora nelle sale. Il documentario in
proiezione per pochi giorni, è un
viaggio nella storia del Duca, svolto tra gli oltre 300 memorabilia
(filmati, foto, costumi bozzetti,
scenografie, storyboard) che sono
stati esposti durante la mostra
“David Bowie Is” al Victoria and
Albert Museum di Londra, realizzata da Victoria Broackes e Geoffrey Marsh del Dipartimento di
Teatro & Performance V & A.
L’esposizione, che ha raccolto
300 mila visitatori in Uk e che attualmente sta girando per il mondo, è divenuta un film documentario gustoso. Ovviamente c’è
super David che si racconta, ma
chiaccherano di lui anche lo stilista giapponese Kansay Yamamoto e il front-man dei Pulp Jarvis Cocker, fonti inesauribili di
aneddoti. Spazio anche a i video
musicali storici, poi tanta altra
buona musica per soundtrack:
cinquant’anni di carriera passati
in rassegna con molti documenti
e molto amarcord. D’altronde è in
pista dagli Anni 60, ha più di 60
anni, il contenuto non manca:
cantautore, artista, attore, personaggio artificiale extraterrestre e
androgino, conservatore oppure
no, dandy e rivoluzionario, parapunk, brand da tshirt, Bowie è celebrato da tutti e nonostante la
carriera ogni tanto esce fuori con
un nuovo prodotto (l’ultimo cd,
The Next Day e raltivo singolo
primo singolo Where Are We
Now? è dell’anno passato).
Un’altra occasione per vederlo su
grande schermo. Come attore,
ebbe successo nel 1976 da protagonista con “L'uomo che cadde
sulla Terra” di Nicolas Roeg. Poi le
interpretazioni: Furyo (Merry
Christmas Mr. Lawrence) di Nagisa Oshima del 1983, Absolute
Beginners, Labyrinth del 1986 e
Basquiat di Julian Schnabel del
1996. Ora il documento celbrativo, realizzato dal regista Hamish
Hamilton, Autore dello spettacolo di apertura dei Giochi Olimpici
di Londra del 2012. Fit for fans.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
MANUELA REPETTI
MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014
21
è stata ospite
del salotto di Agorà LaPresse
ONDA SU ONDA
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
La riforma della Rai
e l’esempio di TivùSat
di Loris Mazzetti
a decisione del cda della
L
Rai di ricorrere contro il decreto del governo, che ha tolto 150 mi-
lioni di euro dal bilancio del servizio
pubblico, un risultato lo ha prodotto, al di là dell’indignazione dei vari
Alfano: l’aver accelerato la riforma
della Rai, se approvata (Berlusconi e
Forza Italia ovviamente contrari),
consentirebbe la nomina di un amministratore delegato e di un cda
composto, non più da 9 ma da 5 consiglieri, con funzioni ridotte, indicati da un soggetto esterno per garantirne l’indipendenza dalla politica.
Fino a quando Renzi non deciderà
di intervenire sul conflitto d’interessi il sistema non sarà mai libero e indipendente.
TIVÙSAT gestisce la seconda piatta-
forma satellitare (vi hanno già aderito 2.300.000 famiglie), indispensabile per far accedere gratuitamente al
segnale gli abitanti dei tanti paesi
sperduti nelle nostre montagne, non
raggiungibili dal digitale terrestre.
TivùSat è una piccola società che fattura circa 9 milioni di euro con un
grande futuro, composta dal 48%
Rai, 48% Mediaset, 3% Telecom Italia Media, 0,5% Airanti-Corallo (associazione radio e tv locali), 0,5%
Confindustria Radio Tv. Recentemente la piattaforma satellitare ha
aggiunto nuovi canali per un totale di 68, tra questi Arte, il canale
franco-tedesco dedicato al mondo
dell’arte e della cultura. Il business tv
passa attraverso la Rete (film, serie
tv, servizi on demand) non a caso
Mediaset sta puntando Telecom per
cedere Premium e per portare a casa
quote della telefonica. Attraverso il
decoder Hd di TivùSat, dove sono
presenti dispositivi certificati tivùon, si può accedere alla varie librerie on demand di Internet, come Timvision e Infinity, attraverso le quali si
possono vedere migliaia di film, serie
tv, ecc. Se in Italia vi fosse una vera
legge sul conflitto d’interessi, non
nascerebbero dubbi e sospetti tutte le
volte che i soci devono prendere una
decisione strategica, perché tra essi
vi sono tv concorrenti con precedenti gravi di antidemocrazia: l’editto
bulgaro, una legge di sistema ad personam come la Gasparri che ha favorito sul mercato Mediaset rispetto
alla concorrenza, ma soprattutto il
suo proprietario da presidente del
Consiglio ha reso subalterna la Rai
grazie alla nomina di vertici a lui fedeli al punto di intervenire sulla raccolta pubblicitaria, sull’ascolto e manipolando l’informazione. Il presidente (Rai) e l’ad (Mediaset) di TivùSat, scaduti da tempo, stanno per
essere rinnovati, se non vi sarà la naturale rotazione, ancora una volta il
sospetto è legittimo.
B. e le ultime amazzoni
in attesa dei titoli di coda
di Fulvio
Abbate
n assenza del Principale, Forza ItaI
lia o come cavolo azzurro vorrai
mai chiamarla, non è più, non rispon-
de, le manca perfino la targhetta punzonata sull’etichettatrice “Dymo” lì sul
citofono. L’amico Berlusconi, d’altronde, come dargli torto, si è proprio
rotto di tirare fuori i talleri, i voucher,
i buoni pasto per i suoi uomini, le sue
miracolate. Arrangiatevi!, così sembra
dire da dietro le quinte dello scoramento, e non sarà certo il barboncino
della giovane compagna a offrirgli un
conforto che sembra assente. E ci fermiamo qui per non precipitare nella
prevedibilità prosaica, nella sit-com.
Ah, sì, ci sarebbe il cosiddetto Patto del
Nazareno a mantenere ogni cosa in
“surplace”, sorta di scatola nera contenente gli accordi sulla “roba” che sta
a cuore all’inventore dell’impero Fininvest-Mediaset, ma qui, senza volerla fare troppo lunga, ogni giorno è
un nuovo giorno e dunque non è detto
che tutto stia per svanire come il “Ti
amo” scritto sulla sabbia nell’eponima
canzone.
Nel frattempo, i palafrenieri e le amazzoni del Cavaliere hanno modo di mostrarsi in pubblico: dopo l’ottima, doverosamente livida prova offerta ai telegiornali da Deborah Bergamini, già
quinta colonna Mediaset in Viale Mazzini, in risposta a batosta e astensionismo, ecco che nel salotto di “Agorà”
(Raitre) Manuela Repetti, premurosa
compagna di Sandro Bondi, il poeta,
già noto per essere stato anche lo Starace del Nano Ghiacciato. Nello stesso
momento, all’altro capo del filo della
concorrenza su “Omnibus” (La7) c’è
pronto invece a manifestare insofferenza il vivace deputato Maurizio
Bianconi che, con maggiore decisione
rispetto alla collega Manuela, invoca
un’immediata discussione che possa
servire a rimettere ogni cosa in gioco,
già, c’è pure il convitato di pietra Fitto
a essere citato, ma, a dispetto delle forze in campo, meglio, in studio, tra via
Novaro e Saxa Rubra, dove hanno rispettivamente luogo le singole emittenti, la sensazione complessiva è quella dell’ammazzacaffè, una sorta di
bunker della cancelleria di Arcore la
cui vita interna e perfino esterna sem-
Gli ascolti
di lunedì
QUESTO NOSTRO AMORE '70
Spettatori 5,6 mln Share 22,6%
ARGO
Spettatori 2,5 mln Share 10,9%
bra essere regolata dalle regole di un
reality iniziato con queste esatte parole: “L’Italia è il paese che amo…”.
“BERLUSCONI, se vuoi andare vai, io
non ti fermerò,” pronuncia ancora
Bianconi parafrasando un ideale cantagiro politico, e tuttavia non si raggiunge mai la temperatura mediatica
dello psicodramma, segno che il partito
cosiddetto liquido, perdonate la pietosa battuta, venuti meno i liquidi del suo
titolare, bastano scarne parole affinché
giunga al rompete le righe, d’altronde,
pensandoci bene, il giorno della caduta
di Craxi all’hotel Ergife di Roma a piangere sincero dolore c’era soltanto Sandra Milo. Le lacrime di Deborah Bergamini non le avremo mai, e anche
questo molto dice.
Su tutto, nelle pupille di Manuela lì in
studio e forse anche degli altri alla buvette, come minaccia incombente,
Matteo Salvini, il medesimo politico
che quando inforca la cravatta sembra
un cognato al banchetto nuziale dopo
l’amaro e in attesa di andare in bagno a
fare aria. Auguri.
@fulvioabbate
AMORE CRIMINALE
Spettatori 2,1 mln Share 8,4%
PIAZZAPULITA
Spettatori 876 mila Share 4,2%
22
SECONDO TEMPO
MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014
il Fatto Quotidiano
IL BADANTE
A STRASBURGO
Il Papa dei poveri
e i burocrati sordi
di Marco
Politi
C’
è un passaggio
nell’appassionato discorso di
Francesco
al
Parlamento europeo di Strasburgo, che riassume la filosofia politica e religiosa del
pontefice argentino: “Siete
chiamati a prendervi cura della fragilità delle persone e dei
popoli”. Un appello spirituale
e al tempo stesso profondamente realistico a farsi carico
della condizione “più marginale e angosciante” di individui e nazioni e “ungerla di dignità”.
IL DISCORSO del Papa – il più
lungo mai pronunciato in una
sede politica – è , al fondo, fortemente laico nell’illuminare
le piaghe della crisi attuale. Il
modello funzionalista, tecnocratico e privatista dell’economia. La cultura dello scarto,
con gli esseri umani trattati
come oggetti da utilizzare e
buttare. Lo svuotamento della
democrazia, sottoposta alla
pressione di un potere finanziario sovranazionale “al servizio di imperi sconosciuti”.
La mancanza di lavoro e di dignità del lavoro e l’incombere
di un meccanismo mirato allo
sfruttamento delle persone. La
sordità dinanzi alla questione
delle migrazioni.
Un giro d’orizzonte amplissimo, contrassegnato dai dati
reali di un disagio di massa che
la classe politica rimuove sistematicamente. Una ricognizione popolata di volti umani,
SPECCHIO D’ITALIA
Se si accantona
un progetto sociale
di giustizia e solidarietà
non può che esplodere
il rigurgito razzista
dei Salvini di turno
cancellati costantemente dalla
scena mediatica, se non
nell’agitazione temporanea
della “tragedia” consumata sugli schermi televisivi in 24 ore.
Un discorso che ha insistito su
un’altra grande malattia della
società europea contemporanea (e non solo europea).
Quella solitudine “che si vede
negli anziani abbandonati al
loro destino, nei giovani privi
di punti di riferimento e di opportunità per il futuro, nei numerosi poveri che popolano le
nostre città, negli occhi smarriti dei migranti venuti in cerca di un futuro migliore”.
Matteo Renzi – titolare della
presidenza dell’Unione per
pochi mesi – assisteva in prima fila compunto e alieno.
Che contatto poteva esserci tra
chi, su un palcoscenico decorato di biciclette e finti banconi da falegname, declama
esaltato che il “posto fisso non
c’è più”, quasi fosse un trofeo –
Papa Francesco, ieri, al Parlamento europeo di Strasburgo LaPresse
tra le urla gioiose di fan isterici
ignari delle angosce di milioni
di individui in carne e ossa – e
un uomo sobrio e pacato che
indica il punto di rottura della
nostra società? Che lunghezza
d’onda condivisa può esistere
tra chi fugge dai luoghi del dolore e della disperazione (si
chiamino Genova, Giambellino o Tor Sapienza) e un vecchio prete aduso alle baraccopoli?
Ma Renzi, in realtà, è solo la
maschera di una casta politica,
che chiude gli occhi davanti
alla scena drammatica di una
società, che si va spezzando.
Perché tra il discorso di Strasburgo di Francesco e la realtà
italiana emersa esplosivamente in queste settimane, c’è una
robusta connessione logica.
Laddove si accantona un progetto politico di giustizia e solidarietà, di legalità e di inclusione sociale, laddove si rompe il legame tra diritti e rispetto dei doveri e impegno per il
“bene comune”, non può che
esplodere la guerra dei poveri,
il rigurgito razzista, la mobilitazione xenofoba, la mobilitazione autoritaria contro
l’“Altro”, lo scatenamento dei
clan delinquenziali di varia
provenienza e di vario colore.
IL FENOMENO Salvini in Emi-
lia Romagna, il coagularsi sulla scena italiana con percentuali consistenti di una destra
antieuropea, antisolidale e
culturalmente violenta non
può che prosperare a fronte
dello sfascio dello Stato e del
disinteresse civile praticato dai
boiardi politici. I disperati delle case popolari di Milano, vessati dalle occupazioni abusive,
la popolazione di Tor Sapienza esasperata dal degrado e
dalla sopraffazione quotidiana
di marca nostrana o straniera,
non sono “di destra”, ma piuttosto le vittime e lo spazio su
cui si scaricano i disastri di
una politica, che non vuole più
occuparsi della “questione sociale”, che sfrutta egualmente
italiani e stranieri in lavori sottopagati e con falsi contratti,
che ha rinunciato equanime-
mente a pretendere legalità da
delinquenti italiani e stranieri
(e specialmente dai potenti
nostrani in colletto bianco),
che non ha uno straccio di
concetto di politica dell’immigrazione né di repressione dei
mercanti di schiavi, che non sa
più cosa sia un progetto sociale per la casa e un’urbanizzazione armonica.
CHIUSA la Tv, si riprenda do-
mani in mano il discorso di
Francesco e ci si domandi: è
un’Italia spezzata, rancorosa,
sfiduciata, aggressiva, asociale,
non-europea, nemica dell’Altro quella che vogliamo?
La democrazia come
“fenomeno secondario”
di Oliviero Beha
n RARAMENTE capita alla
politica, specie a “questa” politica, di dire una parola definitiva sulla situazione, tenendo sempre conto che soprattutto in politica le parole sono
degli autentici massi. Anche
se fanno a gara a farli sembrare palloncini gonfiati. È successo nel commento all’andamento delle ultime elezioni in
Emilia-Romagna e in Calabria
da parte del premier: l’astensione, ha detto, è un “fenomeno secondario”. Naturalmente
si esprime così perché il suo
partito pur vincendo ha perso
molti voti. Il punto non è però
questo, e neppure la vittoria
relativa a destra della Lega di
Salvini. Nel mirino c’è proprio
la maggioranza degli aventi diritto al voto che non l’hanno
esercitato, in una percentuale
straniante. Non è davvero sorprendente.
Probabilmente
buon ultimo nella fila, proprio
qui una settimana fa parlavo di
“estrema unzione della politica”, della voragine ormai dilatata tra il Palazzo delle istituzioni e il Residence dei partiti
da una parte, e la Piazza o la
strada dall’altra. La questione
riguardava anche il M5S, nella
contraddizione della doppia
anima di lotta e di governo che
la gente percepisce confusamente e di conseguenza fatica
a distinguere. Di qui le contestazioni al M5S (che vengono
da loro attribuite solo ai “nemici” del Pd, e magari fosse così, saremmo ancora in un recinto identificabile…) nella
sua versione “politica” anche
se non politicante, e una bella
raffica di insulti che il web mi
ha poi recapitato. Ben mi sta.
Guai a chi non tifa nel Paese in
cui si è calcistizzato tutto. Pec-
cato che poi le urne diano responsi non troppo lontani da
quella “estrema unzione”, che
viene epigrafata da Matteo
Renzi con il suo “secondario”
riferito all’astensionismo.
SE DOBBIAMO prenderne
atto, siamo costretti anche a
trarne una serie di deduzioni
che attengono alla logica e non
al politicismo d’occasione. Se
la Repubblica italiana ha una
forma di governo democratica, essa non può prescindere
dal voto come sua attuazione
pratica. Se non votare è secondario, ne discende che sia secondaria la democrazia. Il che
può essere tranquillamente
oggetto di discussione. Abbiamo avuto il ventennio fascista,
ci siamo immersi nel berluscon
ALLA FRUTTA
Il valore dell’astensione
viene spogliato di ogni
suo significato politico.
Invece ci sarà pure chi
ha scelto di mandare
un segnale, no?
LaPresse
nismo più impuro, nulla vieta
che si voglia trangugiare anche la medicina del renzismo e
del suo “partito della nazione”
che però appunto considera
marginale l’andare a votare. La
democrazia sarebbe dunque
esemplarmente un lusso che
oggi, visti i tempi, non ci possiamo più permettere, anche
alla luce del disastro combinato in passato dalla “nostra” democrazia leggermente stracciona. Non solo: in questo senso il valore del non voto, che ha
riguardato in questa tornata
molti italiani in più di quelli che
invece hanno votato, viene
spogliato di ogni suo significato politico. Ci sarà pure chi non
ha votato per mandare un segnale comunque, giusto o sbagliato che sia, no? Niente, si
sono astenuti per niente. E le
Regioni, l’istituto che dovrebbe far discutere per l’importanza che ha assunto negli anni (pensiamo solo alla spesa
sanitaria nazionale che ne assorbe quasi tutto il bilancio)?
Nulla, non contano, non è “primario” che non abbiano votato per l’amministrazione di esse. E potrei continuare… Se è
prioritario che abbia vinto in
ogni caso Renzi e perso Berlusconi, con Salvini all’arrembaggio sulle navi degli immigrati, e non che si stia dissolvendo un’idea democratica
della politica e con essa il Paese, forse l’estrema unzione è
già stata data. E non mi si venga a dire che “quelli fanno il loro mestiere di parte”, etimologicamente inteso: l’aver ballato sul Titanic mentre affondava non viene considerata oggi
la migliore delle opzioni, con
l’aggravante che questa classe
dirigente rimedia sempre un
posto in elicottero per alzarsi
in volo prima del naufragio.
PIOVONO PIETRE
Finalmente elezioni a risultato
immediato: hanno votato in 36
di Alessandro Robecchi
orse è questo che intende Matteo Renzi
F
quando dice che sogna un Paese dove
la sera stessa delle elezioni si possa sapere
chi ha vinto e chi ha perso. Giusto. Bello.
Basterebbe che votassero in trentasei: poche schede da contare, percentuali presto
fatte, seggi assegnati e seccatura archiviata. Rito antico e democratico, novecentesco, polveroso, retorico, che noia, che vecchiume. Perché poi, di tutte le spiegazioni,
le sottili analisi, le elaborate elucubrazioni
di questi giorni sul clamoroso astensionismo (soprattutto in Emilia) se ne dimentica una che non è un dettaglio: il valore del voto degli italiani è piuttosto in
ribasso. La riforma delle province, di cui si
parla da quando Matteo faceva il boy
scout, si è tradotta in una semplice abrogazione del voto. Cioè, le province sono
ancora lì, con i loro presidenti e i loro consiglieri, ma nominati (anche in seguito a
vergognosi accordi tra partiti) e non più
eletti. Al Senato peggio mi sento: anche lì
resteranno gli scranni, il mirabile palazzo,
i senatori che potranno legiferare persino
sui temi etici (in soldoni: la vita e la morte), ma non ce li manderà l’elettore italiano. Saranno nominati anche loro, su
base regionale. Ecco. Assistiamo dunque
allo spettacolo d’arte varia di gente – commentatori politici, corsivisti, esponenti di
questa o quella corrente
dere la realizzazione delURNE VUOTE
– che si rammarica per
le sorti luminose e prol’astensionismo dopo
che si prometteIl voto, questo rito antico gressive
aver applaudito sonoravano ad ogni passo. Ora,
mente due riforme che
quell’entusiasmo sembra
e democratico,
toglievano il diritto di
in fase calante. Faremo
novecentesco, polveroso, questo in febbraio, quevoto agli italiani per istituzioni fondamentali. Si
sto in marzo, questo in
retorico, che noia,
aggiunga che senatori e
aprile. Poi passano febbraio, marzo, aprile e tutconsiglieri provinciali
che vecchiume. Molto
verranno nominati proti gli altri mesi del calenmeglio nominare
prio dalle regioni (e dai
dario, e non si vede gransindaci), dunque avreché, e soprattutto quel
mo, per dire, un Senato
che si vede non piace. Sanominato da consigli regionali eletti da rebbe questo, tutto il nuovo che si diceva?
un’esigua minoranza di cittadini.
Mah. Fosse ancora vivo, quell’entusiasmo
Siccome la cultura politica da queste parti della prima ora, alle urne ci si sarebbero
somiglia a quella calcistica, il giovane Pre- precipitati, emiliani e calabresi. E invece
mier ha fatto notare che l’importate è la no. In più, dopo aver discettato per mesi
vittoria. Al novantesimo, con gol di mano, su renziani della prima e della seconda
in fuorigioco, con due avversari a terra, ora, ecco spuntare un nuovo soggetto, che
ma che importa, conta vincere. E dunque sarebbe l’anti-renziano della seconda ora.
l’astensione è diventata un problema “se- Quello diventato più critico, quello che
condario”. Sarà. Resta il fatto che l’aria è così come ha dato credito ora se lo riprenun po’ cambiata. Qualcuno ricorderà (ok, de, o lo congela, che frena gli entusiasmi.
va bene il paese senza memoria, ma sono Comunque sia, è vero: settecentomila voti
passati solo sei mesi!) il garrulo entusia- che se ne vanno su un milione e duecensmo con cui Renzi e il renzismo vennero tomila potrebbero essere un problema seaccolti dal paese. Primarie affollate, urne condario, ma solo se avranno voglia di
piene alle Europee, il mitico 41 per cento tornare. Se invece se ne staranno fuori, a
ripetuto come un mantra a ogni uscita guardare, sconsolati e orfani, il problemipubblica dei giannizzeri del re. Un paese no potrebbe diventare primario.
ipnotizzato e innamorato, ansioso di ve@AlRobecchi
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
23
MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014
A DOMANDA RISPONDO
Furio Colombo
Poco importa a Renzi
la distanza degli elettori
Abbiamo vinto 2 a 0.
Questo è l’entusiasmante
commento di Renzi dopo
le elezioni regionali. Il
tracollo verticale dell’affluenza alle urne non
sembra preoccupare il
premier che con provocante indifferenza ha giudicato la piaga dell’astensionismo un problema
secondario, lasciando capire che di primaria importanza considera solamente la propria ambizione personale. C’è un
segno tangibile di distacco e disaffezione della
gente nei confronti delle
istituzioni. Ma per il Presidente del Consiglio
nonché segretario del Pd
il concetto di democrazia
è uno solo: il suo. Un atteggiamento irresponsabile e indisponente che
provocherà ulteriore malessere e irritazione
nell’elettorato perché la
democrazia non è una
partita di calcio, qualcuno vicino a Renzi dovrebbe farglielo notare. Per
l’ennesima volta, il non
voto ha lanciato un preciso segnale di allarme: sta
alle persone consapevoli
e responsabili saperlo intercettare e farlo capire a
chi ostinatamente continua a fare finta di non vedere e non sentire. Ma
probabilmente è già tardi.
Silvano Lorenzon
L’astensionismo come
problema secondario
Renzi con queste parole
dimostra quanto si era già
intuito da tempo e cioè in
quale
considerazione
tenga gli elettori. È riuscito a portare il partito a livelli di astensionismo
mai visti prima, cosa che
già si era intravisto alle
europee. A lui non interessano le elezioni, in fin
dei conti si può governare
senza mai essere eletti,
come succede a lui. Anzi,
probabilmente, il suo
ideale elettorale è che a
votare vada sempre meno
gente, possibilmente nessuno a parte lui e i suoi fedelissimi, in modo da poter avere il potere assolu-
to e non essere disturbato
da noiose critiche che
fanno solo perdere tempo. Del resto, la sua riforma elettorale non fa che
confermare la volontà di
togliere alle persone la
possibilità di votare e soprattutto di scegliere: la
democrazia non fa parte
del suo Dna. Non è sua
abitudine chiedersi perché non piace alle persone, ovviamente sono le
persone che non capiscono niente; insultare, di
L’equivoco linguistico
dello sciopero del voto
La corruzione del linguaggio, praticata soprattutto in democrazia, lo
trasforma in una potentissima arma di distruzione, di quel che rimane
della sovranità popolare.
L’astensione dal voto
emersa in una dimensione dirompente e mai vista
prima alle elezioni regionali di domenica viene
anche definita “sciopero
del voto”, ma così in un
La Lega
trionfa
sulle paure
CARO FURIO COLOMBO, qualcosa
non va in quello che lei ci dice ogni giorno sulla Lega Nord. In queste ultime
elezioni Salvini ha raddoppiato il suo
voto. Se fosse quel pessimo personaggio che lei dice…
Vitaliano
MATTEO SALVINI è quel personaggio
che dico. Basti pensare che marcia accanto a Borghezio, uno dei personaggi meno
stimabili del mondo politico europeo, che
pure è di scarso livello. Potrei dire che ha
saputo stanare gente come lui, ma sarebbe un giudizio arbitrario. Conosco Salvini e so che non è politicamente rispettabile. Non conosco chi lo ha votato e perché, ma posso fare le congetture che seguono. Primo. Chi ha votato Salvini lo ha
fatto per vendetta, come accade nelle storie d’amore. Lo ha votato di certo una
parte della sinistra abbandonata sull’autostrada dal nuovo Partito democratico
di Renzi. Una brutta vendetta, ma una
vera vendetta, votare per il peggior gruppo disponibile come per dire: persino chi è
pessimo merita più attenzione di te. Secondo. Paura e pregiudizio sono due
brutte bestie sempre in agguato. Nei secoli, e in Paesi, culture e religioni diverse,
la vignetta
fatto, chi si è astenuto dal
voto anzichè cercare di
capirne le motivazioni fa
parte del modo suo e delle
sempre più simpatiche
sue ministre di fare politica.
L’ex classe dirigente del
partito, quello da rottamare per intendersi, ha
fatto sicuramente disastri
ma per lo meno quando
l’astensionismo aumentava se ne chiedeva le motivazioni e bisogna ammettere che qualcuno,
spinto dal comune senso
del pudore che evidentemente non tutti hanno,
arrivava al punto di dimettersi, anche se eletto e
scelto dagli elettori regolarmente. Ecco, c’è una
cosa che Renzi potrebbe e
dovrebbe fare: prendere
atto che ormai l’incantesimo è finito e dimettersi.
Albarosa Raimondi
colpo solo si piccona ulteriormente la dignità dello
strumento “sciopero”, e a
vantaggio della classe dominante, si confonde
“quella gente” che per
dirla con l’Eugenio Scalfari del 2006, si è dimessa
da popolo, è diventata
plebe, moltitudine anonima e unidimensionale,
è spinta sempre più a ridursi poltiglia. Sono più
che mai convinto che quel
diritto di sciopero che
all’ultima Leopolda “renziana” è stato pure irriso,
resta un costoso strumento del “fare” nelle
mani dei lavoratori subordinati che credono
ancora di poter in qualche modo incidere sul
proprio
destino.
All’astensione massiccia
dal voto, ed a cui pure mi
sono rassegnato per la
prima volta in vita mia di
aderire, si arriva invece,
come giustamente ha sottolineato
Piergiorgio
Odifreddi, “percependo
lucidamente che il rito del
voto è ormai una farsa”,
che votare non serve, come paradossalmente tanto meno serve non votare.
Intanto che la classe dominante apparentemente
lo esalta, si conferma che
il voto è un fatto secondario, Renzi docet.
Vittorio Melandri
Il Papa troppo filosofico
non ha colpito in Europa
Devo dire che sono rimasto deluso dal discorso di
Papa Bergoglio al Parlamento europeo: da un lato troppo “filosofico” per
quei caproni e lobbisti dei
parlamentari europei e
dall’altro troppo generalista e scontato sui problemi specifici: si è visto che,
pur essendo il suo un ruolo ecumenico e globale,
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Marco Tarò, Marco Travaglio
nella concezione e stesura
del suo discorso. Forse ha
pagato lo scotto di un Papa non europeo che parla
all’Europa.
Francesco Mantuano
hanno sempre portato male. Ma fanno
presa. Salvini è un attivissimo portatore
di paura e di pregiudizio. Alcuni fra coloro che sono contagiati dalla paura o si
sentono liberati dalla proibizione di sfogare il pregiudizio, scelgono Salvini e la
Lega, che su queste materie sono imbattibili. Terzo. In un suo modo ingannevole, che, come si è già visto con la buona
fortuna privata della famiglia Bossi, serve
solo a chi conduce il gioco, la Lega sa come
far girare successo e voto. Perciò non bada
a spese (morali) per allargare il proprio
spazio, dovesse anche provocare qualche
linciaggio, non bada a notizie false e a disinformazione, Ebola inclusa. Tutta la
storia europea insegna, in tutti i momenti
bui del secolo scorso, che i peggiori si affermano, aumentando, attraverso l'illusione di soccorso, il pericolo. Il “trionfo”
della Lega nelle elezioni emiliane è la più
brutta notizia del momento ma anche la
più allarmante chiave di interpretazione
del Pd guidato da Renzi: l’Emilia Romagna precipita nella Lega. Non è poco come
finale tragico.
Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano
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lettere@ilfattoquotidiano.it
parlava troppo all’Europa
senza richiamarla alla sua
inserzione nel mondo.
Eppure era lì non come
“Capo di Stato” ma come
“Pastore di anime”. E cosa sarebbe l’Europa senza
la sua particolare relazione globale se non una penisola dell’Asia? Un
esempio è la rapida vaghezza con cui Bergoglio
ha accennato alla pressante necessità di affrontare il problema migratorio andando alle cause e
non limitandosi ai facili
ma obsoleti concetti di
elemosina e assistenzialismo. Piaccia o no, ma da
dopo Marx (e certo non
solo) l’elemosina è un
concetto arcaico da pregressa
cosmogonia
pre-destinativa (cosa forse ancora non bene interiorizzata culturalmente
dalla società civile europea). Il fenomeno migra-
torio,
potenzialmente
globale e devastante sia
economicamente che socio-culturalmente,
richiede all’Europa coscienza di sé e politiche
internazionali del tutto
diverse che devono darle
un’auto-definizione del
tutto nuova che riguarda
la sua stessa intima struttura socio-culturale e politica; tra l’altro unendo il
problema a quell’altro,
anch’esso solo accennato,
della difesa dell’ambiente
naturale come condizione indispensabile di elementare sopravvivenza.
Senza una visione europea come affrontare questo gigantesco problema?
Forse per Bergoglio sarebbe stato meglio parlare la metà ma “all’impronta”. Avrebbe toccato
meno argomenti ma con
più sensibilità. Forse è
stato consigliato male
Grazie a Papa Bergoglio
per aver usato l’italiano
Credo che gli italiani debbano ringraziare il Papa
per la lingua che ha usato
indirizzandosi al Parlamento europeo. Ha riportato in valore l’italiano, una delle quattro lingue dei paesi fondatori.
Per i politici nostrani, che
si compiacciono tanto di
parlare inglese abbandonando anche il francese in
nome di una adesione al
globalismo finanziario
imperante, spero sia una
non piccola lezione. Grazie Papa da un non cattolico anche per quello che
ha detto.
Marcello Nieri
Dove sono le sentinelle
per la casa e il lavoro?
Non è strano che questo
Paese tanto cristiano, che
ospita il Papa e il Vaticano, sia l’unico in tutta Europa (esclusa la Grecia) a
non avere introdotto una
misura nazionale di contrasto alla povertà? Non è
strano che, in un Paese
dove ti saltano addosso se
parli di eutanasia o di matrimoni omosessuali, ci
siano quasi dieci milioni
di poveri? Non è strano
che in un Paese tanto cristiano ci siano famiglie
non in grado di garantire
ai figli un pasto sostanzioso tutti i giorni? Non è
strano che non esista una
politica per l’infanzia, per
l’adolescenza, per i giovani? Non è strano che in un
Paese dove il Papa definisce “diritti sacri” la casa e
il lavoro, tante persone
siano senza casa e senza
lavoro? Non è strano che
in questo Paese tanto cristiano non ci siano sentinelle, magari sedute (si
ragiona meglio), che vigilino affinché tutti abbiano una casa e un lavoro?
Francesca Ribeiro
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