Fallisce e chiude l’aeroporto-fantasma di Rimini, con un mega-buco di 43 milioni. Il modello Emilia-Romagna non tramonta soltanto nelle urne Mercoledì 26 novembre 2014 – Anno 6 – n° 326 y(7HC0D7*KSTKKQ( +[!=!#!$!. e 1,40 – Arretrati: e 2,00 Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009 I 750.000 “SECONDARI” AZZOPPANO RENZI Indebolito dall’astensionismo, il premier si salva alla Camera per un voto sul Jobs Act (40 dissidenti Pd se ne vanno e 2 votano No). E fa retromarcia sul canone tv nelle bollette. B. conferma il Nazareno, ma non controlla più FI Cannavò, Marra e Tecce » pag. 2 - 3 - 7 VOGLIA DI FUGA Civati avverte: “O rottama il Patto col Cav. o faccio il nuovo centrosinistra” Calapà » pag. 2 IN FONDO A DESTRA FASCIO-SALVINISMO Caimano nel caos: “Salvini nostro centravanti: vuole entrare nel Milan” Lega, l’evoluzione della specie: addio ampolle, ora ci sono Putin e Casa Pound Fierro » pag. 5 d’Esposito » pag. 4 EGEMONIE MONDIALI » SPALLANZANI » Ieri notte è arrivato il primo italiano contagiato Ebola, quei 55 milioni al laboratorio che non c’è Nell’avveniristico centro clinico di Roma che ospita il medico di Emergency reduce dalla Sierra Leone, manca la “cabina” bsl-4 destinata alla coltura dei virus più letali. Eppure si continuano a spendere cifre spropositate Il logo di Google LaPresse Daina » pag. 9 Fermate Google Sta uccidendo i giornali e le tv Alessandra Moretti: “Rosy Bindi ha mortificato la bellezza”. Così lei si è vendicata sull’intelligenza » www.spinoza.it Non solo Ferguson, la rabbia nera per il salvataggio dell’agente-killer incendia gli States Gramaglia e Vitaliano » pag. 16 FRANCESCO A STRASBURGO La lezione del Papa all’Europa: “Non scambiate diritti con profitto” L’Europarlamento deciderà sul gigante Usa: controlla gli utenti per ottenere il monopolio pubblicitario. Ma l’Italia con chi sta? Lillo » pag. 15 LA CATTIVERIA OBAMA NON BASTA Valdambrini » pag. 17 Tutti gli affari di Bogarelli, il vero padrone del calcio italiano Feltri » pag. 11 - 14 » SBARCO IN ALBANIA La tradotta di Tirana, c’è Agon Channel Delbecchi » pag. 18 Udi Marco Politi UN PONTEFICE E LA SORDITÀ DEI BUROCRATI » pag. 22 Lettera del Milite Ignoto di Marco Travaglio alve, sono l’Italiano Medio. Non mi sento parS ticolarmente né di destra né di sinistra: le ho viste all’opera tutt’e due e non mi sono parse un granché. Il centro, poi, non ho mai capito che roba sia, sebbene abbia letto per anni il Corriere della Sera, o forse proprio per questo. Non ho mai chiesto la luna, anzi sono uno che si accontenta di poco: vorrei essere governato da gente normale più o meno come me, mediamente perbene e abbastanza competente, che parla solo quando ha qualcosa da dire, e per il resto lavora. Siccome poi pago le tasse (anzi, me le trattengono: sono un lavoratore dipendente in attesa della pensione, se mai la vedrò), gradirei saperle utilizzate per servizi pubblici decenti e non sperperate in sprechi o rubate in furti vari. Tutto qui. Nella Prima Repubblica votavo i partiti di governo per paura dei comunisti, anche se non riuscivo a scrollarmi di dosso la fastidiosa impressione che Berlinguer fosse meglio di Andreotti e di Craxi (a volte quel pensiero molesto si estendeva perfino ad Almirante, almeno quando appariva in tv, ma riuscivo a scacciarlo subito). Poi è arrivata Tangentopoli e istintivamente ho simpatizzato per i magistrati di Mani Pulite, che trattavano i ladri di Stato esattamente come i ladri di polli. Mi pareva di aver letto da qualche parte, credo nella Costituzione, che è giusto così. Ma da un certo momento in poi sentii dire in tv e lessi sul Corriere che a furia di ripetere “non rubare” rischiavo di ammalarmi di giustizialismo, così smisi. Quel Berlusconi che si affacciava sulla scena, tutto denti e miliardi, non è che mi convincesse molto, ma tutti dicevano che era un grande imprenditore che si era fatto tutto da sé e vai a sapere che si era fatto dare una mano da gente poco raccomandabile: la prima volta lo votai, vedi mai che di quel successo nella vita privata ne portasse un po’ anche in quella pubblica. Me ne pentii subito, anche perché durò meno di un anno e badò solo agli affari suoi: a me però bastarono due facce, quelle di Previti e Dell’Utri, furono più utili di mille politologi. Nel '96 votai Ulivo: mi stava simpatico Prodi perché non è un comunista, ma un tipo normale, che non le spara grosse e parla, anzi borbotta poco, un po’ come me. Ci portò in Europa con l’aiuto di Ciampi, e mi parve una cosa buona: il biglietto d’ingresso, l’Eurotassa, fu la prima imposta che pagai volentieri, anche perché ce ne restituirono un pezzo. Ma durò poco anche lui: D’Alema diceva che un Paese normale non può essere governato da un professore che non ha dietro un grande partito tutto suo e non dialoga con Berlusconi per rifare la Costituzione. Sarà. A me la Costituzione, per quel poco che ne so, non pare malaccio, però tutti dicevano che andava rifatta e intanto Prodi cadde. Dei governi “normali” al posto del suo, D’Alema e Amato, non ricordo granché. Se non che fecero tornare Berlusconi, stavolta per cinque anni: un disastro epocale, solo affaracci suoi (s’arrabbiò perfino la mafia, sentendosi trascurata). Quando il Cavaliere cancellò il falso in bilancio e cacciò pure Enzo Biagi dalla tv, trattandolo come Renato Curcio, partecipai anche a un paio di girotondi. Poi però il Corriere disse che eravamo dei pericolosi manettari nemici del dialogo, e allora smisi. Nel 2008 volevo astenermi, ma poi mi trascinai a rivotare Prodi, che restava il meno peggio. Lo rifecero fuori un paio d’anni dopo: il tempo di mandar fuori di galera 30 mila delinquenti (non ho mai capito perché, quando le carceri scoppiano, non ne apriamo di nuove, ma spalanchiamo le porte di quelle vecchie). Quattro anni di film horror: “Il ritorno del morto vivente”. Poi arrivò Monti con i suoi tecnici e respirai: vabbè, almeno hanno studiato e sanno far di conto. Anch’io facevo i conti: mi mancava qualche mese alla pensione. Ma subito una ministra che piangeva con la faccia cattiva mi spiegò che ero un nababbo parassita come tutti i pensionati, insomma dovevo lavorare altri 7-8 anni. E mio figlio, che aveva appena trovato lavoro, era un privilegiato e doveva vergognarsi per via dell’articolo 18, che infatti fu dimezzato. Boh. Mi vennero dei cattivi pensieri anche sui tecnici e mi buttai sui 5Stelle. Segue a pagina 4 2 LA GRANDE FUGA MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014 D’ Alema: “Stiamo facendo allontanare il nostro elettorato” LA MASSICCIA astensione nel voto in Emilia Romagna “ci dice che una parte del nostro elettorato è disaffezionato: cioè il Pd sta perdendo forza di attrazione nell’elettorato di sinistra”. Lo dice Massimo D’Alema, che, intervistato dal Tg2, aggiunge: “È un’illusione che si possa buttar via l’elettorato di sinistra per- il Fatto Quotidiano non identitario ma “di un problema politico” perché, ricorda l’ex premier e ministro degli Esteri, “non molto tempo fa noi abbiamo avuto un risultato straordinario, che nasceva da molte speranze di cambiamento. Il problema è che queste speranze, in parte, cominciano a essere deluse”. ché tanto prenderemmo quello di centrodestra: come si è visto, alla crisi di Berlusconi corrisponde la crescita della Lega. Se quindi perdiamo le nostre radici a sinistra, perché quell’elettorato non ha più fiducia o si sente demotivato, noi rischiamo di indebolirci molto seriamente”. Ciò è conseguenza di un problema LAVORO, SOLO 316 SÌ: IL GOVERNO A UN VOTO DALLA SFIDUCIA 38 DEPUTATI DEL PD FUORI DALL’AULA. RENZI ADESSO È IN GRANDE DIFFICOLTÀ ANCHE ALLA CAMERA. TRA I SUOI CRESCE LA VOGLIA DI URNE CON CONSULTELLUM di Wanda L Marra orenzo Guerini, vice segretario del Pd, tessitore di natura, e di indole solitamente calmissima, quando il tabellone di Montecitorio fotografa il voto sulla riforma del lavoro, è palesemente nervoso e irritato. La maggioranza al jobs act è di 316 voti. Solo uno sopra la soglia della sfiducia. Nonostante il tentativo portato avanti per tutto il giorno dai vertici dem per arrivare a una mediazione, in 38 del Pd non hanno partecipato al voto. Con loro anche Forza Italia, l’altra gamba non formale, ma sostanziale che sta tenendo in piedi la legislatura. I RENZIANI parlano di “scor- rettezza” e di “mancanza di coraggio”: se fanno così, dovrebbero andarsene, il ragionamento di molti. “Ma non sono capaci”. “Si meriterebbero che si votasse domani con il Consultellum, con loro fuori dalle liste”, il commento che gira. Una tentazione che – almeno tra gli uomini del premier – è in ascesa: tant’è vero che si fanno continui sondaggi Giuseppe Civati e simulazioni. Renzi per natura sarebbe tentato di andare all’affondo ma la linea, decisa in mattinata, è “calma e gesso”. Non cambia però la valutazione sui circa 30 che si sono sfilati: irresponsabili che, per calcoli politici, "per frenarmi" hanno ignorato PALUDE CONTINUA Il premier “va avanti”, ma in Senato sul Jobs act pronta la fiducia. E sull’Italicum gli mancherà l’appoggio di Forza Italia la mediazione fatta nel Pd, una mediazione che “ha convinto anche ex sindacalisti come Damiano, Bellanova, Epifani”. Il quadro è fosco, tra il prossimo passaggio della riforma del lavoro in aula al Senato, dove i numeri sono molto più ristretti, la legge di stabilità, e l’Italicum e le riforme costituzionali al palo, con il disfacimento di Forza Italia. Anche perché su queste la fiducia non si può mettere. Alle cinque del pomeriggio nell’aula di Montecitorio si vedono arrivare ministri e sottosegretari. Di corsa. Per votare. Una scena che alla Camera, nell’era del governo Renzi, non s’era ancora mai vista. “NELLA CAMERA dove la maggioranza è più forte abbiamo creato una faglia”, commenta Giorgio Airaudo di Sel. La faglia è grossa, ed è stata fondamentale la posizione della minoranza Pd, seppur divisa e litigiosa al suo interno. L’opposizione si allarga. “Sono sette con otto posizioni diverse”, ironizza la giovane turca, Giuditta Pini. E in effetti, ogni riunione sottolinea differenze e liti. Ma nonostante questo alla fine 38 dem (su un gruppo di 307 componenti) non dice sì al Jobs act. Due dicono no, altri due si astengono: sono quattro civatiani, quelli da tempo ad un passo dall’uscita dal partito. I no sono di Giuseppe Civati e Luca Pastorino, gli astenuti Paolo Gandolfi e Giuseppe Guerini. In aula c’è pure il ministro del Lavoro Padoan, che quando si avvicina a C’è chi dice proprio No Civati gli dice: “Ti ringrazio per aver espresso la tua contrarietà ostinatamente. Gli altri l’hanno fatto più disordinatamente”. Gli altri, infatti, non partecipano al voto. Tra questi in 29 mettono la firma in calce ad un documento in cui spiegano le ragioni del loro non voto. Tra loro ci sono Gianni Cuperlo, Rosi Bindi, Francesco Boccia, Davide Zoggia, Alfredo D’Attorre e un altro drappello di bersaniani. La cui corrente, invece, che ha cercato l’accordo con il governo, Cesare Damiano in testa, ma anche Guglielmo Epifani, bacchetta con durezza l’iniziativa. Lo stesso Bersani la mette così: “Voterò le parti che mi convincono con piacere e convinzione e le parti su cui non sono d’accordo per disciplina". Le minoranze non votanti fanno un documento unitario, e adesso provano ad andare avanti sull’opposizione dall’interno. Una grana per il governo. Che in Senato metterà la fiducia. Una scelta inevitabile, che, ammettono molti dei ribelli, salverà anche loro da scelte troppo difficili: la fiducia si deve votare. Almeno sembra, perché l’impressione Gianni Cuperlo “Patto senza B. o nuova sinistra” di Giampiero Calapà A desso è “possibile”, dice il dissidente anti-renziano per antonomasia Pippo Civati: “Non posso infilare ancora altri voti contrari al governo e restare nel Pd, Renzi rottami subito il Patto del Nazareno per un nuovo Patto del centrosinistra, un patto dei cittadini: l’iniziativa della mia associazione Possibile, il 13 dicembre a Bologna, sarà l’embrione di un nuovo centrosinistra, vedremo se il Pd andrà nella stessa direzione”. Civati, ma alla fine a votare contro il Jobs act siete rimasti in due, lei e Luca Pastorino, gli altri dissidenti sono “solo” usciti dall’aula... Non lo nego, mi aspettavo qualche voto contrario in più perché con un segnale di astensione come quella arrivato da Emilia Romagna e Calabria sarebbe stata una risposta più forte e decisa, più comprensibile. È da un mese che annuncio il mio voto contrario, lo dovevo al mandato elettorale e ai delegati della Fiom che abbiamo incontrato proprio ieri... Neanche i grillini, che mi davano del pirla, hanno avuto la forza di votare “no”. Ma diciamo che registro positivamente anche la loro di uscita dall’aula. Non si sente sempre più isolato? No, questo no. Paradossalmente considero po- I deputati di Sel, ieri, mentre lasciano l’aula della Camera Ansa è che il quadro politico sia del tutto fuori controllo. Saranno presi provvedimenti nei confronti delle minoranze? Matteo Orfini, presidente del partito, assicura di no. Poi, prova a minimizzare: “Il 9% del gruppo ha votato no. Non mi pare una tragedia”. In realtà, l’impressione che non si tenga più quasi niente è collettiva. Ma il punto è che Li si nota di più se escono “Fuga di elettori, non convince più” sitivo un fatto: l’area del dissenso si è allargata. Il dissenso annunciato era circoscritto a 29 deputati del Pd, alla fine sono stati 40. Non è un dato da poco. Iniziano a essere numeri importanti, che dovrebbero far riflettere il capo del governo e segretario del partito. norevole Cuperlo, perché siete usciti O dall’aula sul Jobs act? Abbiamo tenuto una linea molto chiara in Ho passato due mesi a farmi dare del pirla... il solito Civati, dicevano. Invece, il voto delle regionali in Emilia Romagna e Calabria e quello in aula sul Jobs act rappresentano con forza che un problema nel Pd c’è. Rispetto al Senato, nel passaggio alla Camera, sono state apportate modifiche positive. Ma il testo finale contiene delle norme per noi sbagliate, sul demansionamento, sul controllo a distanza dei lavoratori, sull’utilizzo dei voucher e sui licenziamenti. Allora vede ancora un futuro per il Pd? Come si traduce questo problema? Ma come si deve tradurre. È incredibile in aula ascoltare la dichiarazione di voto di Massimo Corsaro, Fratelli d’Italia, uno che più a destra non si può, mio storico rivale dai tempi del Consiglio regionale lombardo: ha detto di riconoscersi pienamente nel Jobs act del governo Renzi. Per me questo è un problema enorme. Insomma Civati, rompe col Pd? Ora nel Pd c’è un fatto politico gigantesco, l’area del dissenso si è allargata. Fino a ieri ero solo, oggi no. Voglio ricostruire il centrosinistra. È chiaro che siamo al limite, non posso infilare altri voti contrari al governo del Pd. Ma Renzi deve rottamare il Nazareno. Serve un nuovo Patto del centrosinistra, un patto dei cittadini. Lo chiederemo ufficialmente a Bologna il 13 dicembre in un’iniziativa dell’associazione di sinistra che ho fondato la scorsa estate a Livorno, “Possibile”. Perché adesso è possibile davvero. Twitter @viabrancaleone arrivare alle elezioni è complicato: Napolitano non scioglie le Camere e con le sue dimissioni, si chiude la finestra elettorale di primavera. Ma così è la palude continua. Il premier a mediazioni (e a espulsioni) non ci pensa proprio: “Non do pretesti, ognuno scelga in che partito vuole stare, io vado avanti in ogni caso". I numeri dicono che non è così facile. queste settimane. Non eravamo contro una riforma del lavoro, ma doveva essere una buona riforma. Quali sono i punti indigeribili? Però avete messo in difficoltà il vostro governo. No. Non credo. Il problema drammatico dell’Italia oggi non è la poca libertà di licenziare. La nostra priorità è come assumere. Se in Senato il governo metterà la fiducia la minoranza voterà contro? Mi auguro che il governo sappia raccogliere il messaggio che è arrivato non solo oggi alla Camera, ma l’altroieri dalle urne. State pensando di uscire dal partito? Nessuno di noi ha questa intenzione. Il Pd è il partito che abbiamo voluto con passione e con impegno. Cosa pensa del dato dell’astensionismo? Quando in Emilia Romagna da un’elezione regionale alla successiva c’è un calo del 30% non puoi dire che dipende dalla disaffezione dovuta alle indagini. Il Pd dalle europee a oggi ha perso 700mila voti, che vanno prevalentemente nell’astensione. Significa che il grande cambiamento di cui parla il governo non ha ancora un consenso dal basso. Non ho dubbi che Oliverio e Bonaccini saranno due ottimi presidenti, ma dire che l’astensione è un problema secondario è una frase consolatoria, che non tiene conto della qualità della democrazia. Però non riuscite a mettervi d’accordo neanche tra voi. Bersani ed Epifani hanno votato a favore del Jobs act. Abbiamo scelto una linea di condotta coerente non partecipando al voto. I renziani dicono che la vostra posizione è scorretta, che allora dovreste avere il coraggio di andarvene. E che sarebbe il caso di votare con il Consultellum domani mattina, senza mettervi in lista. Allargo le braccia. Io ho un’idea diversa di partito. Oggi mi preoccupo non di chi dovrei o potrei mettere in lista, ma di centinaia di migliaia di voti che non sono riuscito a far arrivare alle mie liste. Crede che le elezioni si avvicinino? Ho sempre dato credito a Renzi, quando diceva “siamo qui per fare le riforme”. wa. ma. LA GRANDE FUGA il Fatto Quotidiano T orino, svastiche e vetri rotti nella sede dei Dem VETRINE infrante e svastiche sui muri del Pd in via Dina a Torino, dove c’è il circolo Santa Rita-Mirafiori Nord. Il blitz è avvenuto nella tarda serata di lunedì. La polizia, intervenuta sul posto, ha acquisito le immagini delle telecamere di sorveglianza della zona nel tentativo di identificare gli autori dell’atto vandalico. “È l’ennesimo vile atto teppistico MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014 3 contro il principale partito della nostra Regione". Il segretario regionale del Pd, Davide Gariglio, commenta così su Facebook l’assalto alla sede nel quartiere torinese di Santa Rita. “Ovviamente non ci lasceremo intimidire – dice Gariglio, che è anche capogruppo in Regione del Pd –. Ripareremo i danni e continueremo a essere presenti sul territorio”. Lo “sciopero del voto” è partito dalla piazza Cgil IL 16 OTTOBRE BOLOGNA SI È FERMATA PER LA PROTESTA GENERALE. QUEL GIORNO S’È ROTTO IL RAPPORTO TRA ELETTORI E PD. TRA GLI ASTENUTI MOLTI SONO ANZIANI cisione con l’espressione “sciopero generale del voto”. La stessa analisi di Wu Ming 1 che individua nella “pratica degli scioperi generali” l’elemento che ha costituito “uno choc anafilattico” per il gruppo dirigente del Pd. Giudizio rinforzato dal sondaggista Roberto Weber, di Ixé: “L’Emilia LA CGIL, IN EMILIA ROMAGNA, ha 821 mila è tale grazie ai corpi intermedi. Non puoi attaciscritti, seconda solo alla Lombardia, più grande e carli tutti i giorni e pensare di cavartela”. più industrializzata. Lo Spi ne conta 640 mila. Lo- Balzani invita anche a non sottovalutare il ruolo gico, quindi, puntare lo sguardo in quella dire- dei “ceti medi riflessivi” quella fascia di tecnici, zione. I pensionati della Cgil smussano i toni, ri- professionisti, imprenditori, che cavalcano il rincordano di aver fatto un appello unitario, insieme novamento, “ma conservano l’attenzione ai ‘beni a Cisl e Uil, per andare a votare. A differenza del comuni’” e che non sopportano più un gruppo segretario Fiom, Bruno Papignani, che aveva in- dirigente locale inadeguato. Il “modello Errani” vitato a stare a casa. Però, tra i 750 mila rimasti a che Renzi ha tutelato in tutti i modi facendo coinguardare, gli anziani sono molti come conferma- cidere i suoi commenti al voto con quelli dell’ex no anche nel sindacato. Lo ribadisce, ad esempio, governatore. La vicenda locale ha giocato un ruoStefano Brugnara, presidente dell’Arci bologne- lo non secondario, spiega Weber: “Qui c’è una se. “Certamente, sono andati a votare di più ri- cultura contadina robusta che non sopporta la spetto ai giovani, ma di anziani nei circoli Arci che corruzione e vuole correttezza nei comportadicevano di non voler votare ne ho sentiti molti. menti. Logico che gli scandali abbiano creato inEd è un dato che deve preoccuparci, tutti. Nes- sofferenza”. Gli astenuti del Pd, quindi, hanno suno può chiamarsi fuori”. storie e fisionomie diverse. Ma sono figlie di una Una buona sintesi di questo festoria che Renzi vuole sradicare nomeno la fornisce un protagoanche se oggi sembrano solo senista insospettabile: il candidaduti sugli spalti a guardare la EMILIA ROMAGNA to “renziano” alle primarie repartita, dopo aver gridato con gionali sconfitto da Bonaccini. forza che l’allenatore a loro non Weber: “Non puoi Roberto Balzani è un autorevole piace. “La tipologia di coloro professore, amico del rimpianto che hanno votato non è molto attaccare tutti i giorni diversa da chi si è astenuto” Edmondo Berselli – “all’Emilia i corpi intermedi manca la sua capacità di racconspiega Weber: “Hanno solo una sofferenza sociale e un’insoffetare e capire” – fuori dalle logie pensare di cavartela”. che degli ex Dc o ex Pci del pasrenza in più”. “Ma non so se torsato. A differenza del premier, Prodi: “Come ti fai il letto, neranno indietro, aggiunge, però, non solo non sottovaluta certi comportamenti sono irrecosì poi dormi” versibli”. Altri immaginano un l’astensione ma la fissa con preL’allergia al conflitto è visibile nel nervosismo con cui il premier affronta le piazze che lo contestano. I Wu Ming hanno allestito una mappa interattiva, Renzi scappa per documentare i casi di fuga dalle piazze avverse. Bonaccini, neogovernatore dell’Emilia Romagna Ansa di Salvatore Cannavò L a storia del progressivo distacco tra il Pd di Matteo Renzi e il suo elettorato inizia il 16 ottobre. Quel giorno Bologna si ferma e più di 20 mila persone scendono in piazza per partecipare allo sciopero generale della Cgil. Vincenzo Colla, segretario regionale Cgil, dice dal palco che “una cosa così non si vedeva da anni”. Accanto a lui, da Roma, è arrivata Carla Cantone, emiliana, segretario generale dello Spi-Cgil, i pensionati. Quel giorno si è rotto qualcosa e oggi, con l’indebolimento in Parlamento, la fuga di 750 mila elettori, lo “shock” del gruppo dirigente emiliano, se ne vedono gli effetti. Qualcosa aveva capito Stefano Bonaccini. Raccontano che quando giovedì scorso, al Paladozza, Renzi ha chiamato l’applauso dei circa tremila contro il sindacato, il neo-presidente abbia reagito con una brutta smorfia del viso. Consapevole del disastro che si stava preparando. Un bolognese attento e curioso come Wu Ming 1 non ha dubbi: “Il Pd, e lo stesso Renzi, sono andati in tilt quando si è espresso il conflitto sociale. E l’idea di contrapporre la Leopolda alla piazza di San Giovanni gli si è rovesciata contro”. CONTI PUBBLICI Feltri el giorno in cui la CommisN sione europea inizia l’esame definitivo della legge di Stabilità dell’Italia, verdetto definitivo previsto per venerdì, arriva una cattiva notizia che conferma i dubbi degli scettici. Secondo l’Ocse, il think tank dei Paesi ricchi basato a Parigi, nel 2015 il Pil italiano crescerà soltanto dello 0,2 per cento, un po’ meglio nel 2016 quando l’aumento stimato sarà dell’1 per cento. Sempre meglio che l’attuale recessione, peccato che a fine settembre il governo ha impostato tutta la sua politica economica su un quadro più ottimistico: Pil 2015 in crescita di 0,6 per cento (identica valutazione sul 2016, +1 per cento). MENO CRESCITA vuol dire che il rapporto tra deficit e Pil risulta più alto, idem quello del debito, meno gettito fiscale, qualche buco nelle coperture della manovra. Nel suo Economic Outlook l’Ocse è favorevole al rinvio del pareggio di bilancio dal 2016 al 2017, ma bisogna approfittare bene del tempo guadagnato: “Il ritmo di riassetto strutturale dei conti più lento ri- spetto agli impegni precedenti proposto da Francia e Italia nelle loro leggi di bilancio 2015 pare appropriato” perché “può dare alle riforme strutturali già concordate e alle politiche monetarie accomodanti una possibilità di rilanciare l’attività economica”. caratterizzare il suo mandano quinquennale. Secondo il Financial Times, i soldi veri saranno soltanto 21 miliardi di euro che andranno ad alimentare un Fondo europeo per gli investimenti strategici dove, grazie a un po’ di ingegneria finanziaria, al ruolo della Banca europea degli investimenti (Bei) e LE COSE POSSONO migliorare? Il all’effetto leva diventeranno ben segretario generale dell’Ocse An- 315 miliardi. I 21 miliardi dovrebgel Gurria avverte: “C’è il rischio di bero arrivare dall’attuale bilancio un prolungato periodo di stagna- europeo (16 miliardi) e dalla Bei (5 zione nell’eurozona se la risposta miliardi) che è l’unica istituzione politica è troppo debole e la fiducia finanziaria pronta ad agire ma non rimane bassa”. E la risposta più deve esagerare con i prestiti o perforte dall’Europa derà la tripla A dovrebbe arrivare nel rating del suo debito. E questo i oggi: il presidente della Commissiotedeschi non sono disposti ad acne europea Jean Claude Juncker cettarlo. Queste risorse – vere o presenta al Parlamento europeo il virtuali – dovrebbero andare a fisuo piano di invenanziare infrastimenti da 300 strutture “cross miliardi. Juncker è border”, cioè che riuscito a mante- UN TERZO non riguardano nere un riserbo DEL GOVERNO inusuale per gli un solo Paese e per questo sono standard di Bru- L’Ocse è più xelles attorno pessimista del più complesse da realizzare. Per i all’iniziativa poli- governo (+0,6%) tica che dovrebbe singoli leader sa- +0,PIL2% NEL 2015 Primarie in Veneto IL SEGRETARIO Roger De Menech, renziano, numero uno del Pd nel Veneto, interviene sulle primarie Ansa Roger De Menech “Moretti? Siamo senza dirigenti” affluenza domenica alle primarie del L’ Veneto non sarà altissima? Può essere. Ma dobbiamo sempre considerare che le primarie sono uno strumento scelto dal Pd. E l’importante è che si vada a votare alle elezioni, quelle vere”. Roger De Menech è il segretario del Veneto. Renziano, alla sua prima legislatura, classe 1973, nato a Belluno, ed ex sindaco di Ponte nelle Alpi, ha la concretezza del montanaro. “Noi le primarie le facciamo. E quindi a scegliere il candidato del Veneto saranno sempre di più di quanti hanno scelto Zaia, che si è scelto da solo”. L’Ocse smonta le stime di crescita di Renzi, il piano Juncker non basterà di Stefano rinsavimento del gruppo dirigente Pd in grado di ricucire con il sindacato e di dare una svolta al partito. “Serve un’intelligenza collettiva” chiede Brugnara. Ma serve anche, aggiunge Balzani, “uscire una volta per tutte dalla storia del vecchio Pci che qui non è mai morto”. Ma forse, vale l’immancabile puntura di spillo che proviene dal sempreverde Romano Prodi: “Come ti fai il letto, così dormi”. Onorevole, non crede però che la proposta dei candidati alle primarie sia responsabilità del partito? rà quindi complicato poter vantare una cifra precisa relativa ai benefici ottenuti: il governo italiano ha presentato richieste per 87,1 miliardi che difficilmente saranno accolte. PER RENZI SARÀ TUTTO più dif- ficile se il suo punto di forza, cioè un consenso che rende credibili le promesse di riforme, comincia a vacillare: prima la vittoria in Emilia Romagna e Calabria indebolita dall’alta astensione, poi il voto di ieri alla Camera sul Jobs Act, la riforma che gli investitori stranieri vedono come il simbolo di una nuova stagione di riforme. La legge delega passa con soli 316 voti, segno che la maggioranza di Renzi è più fragile del previsto e che il premier non ha il pieno controllo del Parlamento. Per fortuna il giudizio (positivo) della Commissione europea sulla legge di Stabilità dovrebbe essere già scritto. Twitter @stefanofeltri Noi intanto scegliamo due donne, Simonetta Rubinato e Alessandra Moretti. Per il resto hanno profili diversi, pur essendo entrambe amministratrici, uno più veneto, l’altro più nazionale. Una candidata come Alessandra Moretti, che è appena stata eletta all’Europarlamento, le sembra una proposta giusta? Per noi è fondamentale vincere. E Alessandra ha molta notorietà, molto consenso, che sono necessari. Non c’era nessun altro che poteva avere le stesse qualità? Lei non è esattamente nel segno del rinnovamento renziano, visto che ha anche fatto la portavoce di Bersani. Noi in Veneto abbiamo sicuramente un problema nel non essere stati in grado finora di costruire un gruppo dirigente. Crede che sarebbe meglio votare a fine maggio, un’ipotesi che la stessa Moretti ha preso per buona? Penso che in Veneto partiamo avvantaggiati, essendo stati sempre all’opposizione. Il Pd di Renzi può portare a votare imprenditori e artigiani che finora hanno sempre votato altri. Wa.Ma. 4 IN FONDO A DESTRA MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014 G iornale Toscana, quei 2,6 milioni presi da Verdini&C. A POCHI GIORNI dal rinvio a giudizio per la vicenda della Scuola dei marescialli a Firenze, la Guardia di Finanza ha notificato un avviso di chiusura indagini a Denis Verdini per bancarotta fraudolenta in relazione al fallimento della Società Toscana di Edizioni di cui il senatore di Forza Italia è socio di maggio- ranza e amministratore di fatto. La Ste, che pubblicava il Giornale di Toscana, è stata dichiarata fallita a febbraio. Oltre a Verdini sono indagati anche Massimo Parisi, coordinatore regionale di Forza Italia in Toscana e componente del cda fino al 2008, Girolamo Strozzi Guicciardini, presidente del cda fino al 2012, Enri- B. NON SA DIR DI NO AI MATTEO: PATTO SALVO E SALVINI LEADER il Fatto Quotidiano co Luca Biagiotti, anche lui nel cda, e Pierluigi Picerno, amministratore e poi liquidatore della società. L’accusa è di aver distratto 2,6 milioni di euro mentre la società si trovava “in uno stato di grave difficoltà economica”. Secondo gli inquirenti, l’operazione sarebbe “priva di valida ragione economica”. PORTFOLIO foto di Umberto E fa il piazzista del libro di Vespa PINOCCHIO Il IL CAPO DEL CARROCCIO ALLA GUIDA DEL CENTRODESTRA? “LUI IL CENTRAVANTI E IO IL REGISTA, MA A DIRE IL VERO MI HA CHIESTO LA VICEPRESIDENZA DEL MILAN” di Fabrizio d’Esposito I l Condannato Impotente. Ingabbiato nei due forni dei due Mattei, intesi come Renzi, ovviamente, e finanche Salvini. Come tradizione, Silvio Berlusconi va in pellegrinaggio al tempio di Adriano, a Roma, per il nuovo libro di Bruno Vespa, di cui è editore con Mondadori. Arriva in ritardo, almeno quaranta minuti, e tenta di darsi una postura grintosa, sorridente non cupa e rassegnata. Sono le diciotto e dieci e la platea non è piena, altro segno crudele del crepuscolo berlusconiano. In altri tempi, per entrare c’era la ressa dei clientes e dei cortigiani. Stavolta no, il passaggio è fluidissimo. Sul bavero del doppiopetto ha la spilletta di Forza Italia, al solito, e una volta seduto pianta le braccia sul tavolo modello Duce. IL CONDANNATO non solo è impotente, ma anche inconsapevole. Pensa di essere sempre centrale nel gioco politico, di poter cavalcare il renzismo indebolito dall’astensionismo e di tornare un giorno da leader alle elezioni. Di qui la fuffa e la tattica del profluvio di dichiarazioni nella liturgia vespiana. Tutto e il contrario tutto. Era accaduto anche due anni fa, quando, sempre dal cerimonioso scrittore-conduttore, in un’ora aveva candidato per Palazzo Chigi, nell’ordine, Mario Monti, Angelino Alfano, se stesso. L’unica sintesi di sostanza che si può estrarre è questa: Berlusconi ammette che, “in fondo in fondo”, finirà per accettare l’Italicum con l’odiato premio di lista e che Alberto Zangrillo fatto a mano questo potrebbe spingerlo ad accettare un centrodestra lepenista guidato dal leghista Salvini, l’altro Matteo. Attenzione, per tirargli fuori questa notizia Vespa ha impiegato settanta minuti. Dapprima, B. ha investito l’altro Matteo solamente del ruolo di goleador ma non di capitano. “E io farei il regista dietro di lui”. Ma il tema è tornato verso la fine. “Se c’è una lista unica con la Lega a causa del premio dell’Italicum, Salvini può essere il candidato-premier?”. Risposta: “Se ne può discutere”. È questo l’atto di nascita del nuovo tormentone con l’altro Matteo, già al centro dell’ufficio di presidenza svoltosi a metà e rimasto aperto fino a oggi per consentire la partecipazione di Raf- FAVORE A FITTO Comitato di presidenza di Forza Italia lasciato aperto fino a oggi per consentire la partecipazione del dissidente pugliese faele Fitto, impegnato a fare l’eurodeputato a Strasburgo. Davanti ai suoi, il Condannato ha spiegato il successo di Salvini, “è andato nove volte al giorno in tv” e ha saputo comunicare tre messaggi: “Basta euro, basta tasse, basta immigrati”. Ma B., che del telepiazzismo è comunque maestro, ha già individuato il punto debole dell’altro Matteo: “Mi ha chiesto di fare il vicepresidente del Milan”. Questo è il berlusconismo e questa è stata la Seconda Repubblica. In balia di un autocrate senza pudore e senza scrupoli che ieri ha persino fatto l’apologia dei regimi che tenevano a bada i migranti, in campi di accoglienza dove c’era “il bidet”. “Regimi intelligenti, non sanguinari” e nonostante l’evidenza il suo pensiero è andato al compianto, per lui, Gheddafi. ALLO STESSO tempo, il Con- dannato apre a Salvini, è disposto a perdonare Alfano (“quanto dolore”), non vuole tradire il Nazareno sottoscritto con Renzi, non chiude la porta in faccia al ribelle Fitto, si dice pronto a votare pure con il Consultellum (il Porcellum riformato dalla Corte costituzionale) per inchiodare il Paese all’eterne larghe intese. In realtà il vero motivo per cui non rompe il patto segreto con il premier, visto che il sì all’Italicum in teoria c’è, è la successione al Quirinale, dove il Pregiudicato vorrebbe una figura “non ostile e non con un passato di parte”. Ora tentare di conciliare il patto del Nazareno con l’amore ritrovato per la Lega è impresa ardua, a parte la convenienza tecnica dettata dal premio di lista. Ed è Pizzi Condannato nella sua consueta posa da burattino senza fili. Vespa guarda altrove MAGIC WOMEN Deborah Bergamini e Mariarosaria Rossi del cerchio magico per questo che dal cerchio magico berlusconiano precisano: “Oggi la notizia del giorno è questa, fermiamoci qui, l’importante è guadagnare tempo, soprattutto adesso che Renzi è debole”. Se il gioco con Salvini è serio lo dirà solo il tempo. In ogni caso tocca registrare altri due dettagli. Il primo è che Berlusconi ieri sera ha radunato a cena Umberto Bossi, Roberto Calderoli e Giancarlo Giorgetti, la vecchia guardia leghista (e lo stesso Senatùr è stato intervistato dal Giornale, la Pravda berlusconiana). Il secondo è che le metafore calcistico-elettorali non portano bene all’ex Cavaliere. Fatidica quella del 2006, quando Romano Prodi vinse per la seconda volta contro Berlusconi. Quell’anno il centrodestra mise in campo il “BeFiCa”, schema a tre punte per tenere in piedi gli equilibri della Il medico dell’ex Cavaliere IN BIANCO La Bernini in bianco, tra la Prestigiacomo e una rediviva Biancofiore coalizione: Berlusconi, Fini, Casini. POI C’È la profonda, vera riserva mentale del Condannato. B. dixit: “Dovendo andare alla sfida elettorale mi metterò in campo come competitor. Non solo sarò candidabile, ma sarò anche riconosciuto innocente. Tutti potranno vedere cosa mi è stato fatto per non farmi candidare, spiegherò agli italiani cosa fare”. Ecco venir fuori la natura più genuina di Berlusconi. Che ieri, per la cronaca, si è anche autoproclamato “vittima, martire ed eroe”, specificando quindi che in quanto “eroe” non può essere oggetto delle “basse critiche” di Fitto. Non solo: “Ho la convinzione che sarei il miglior presidente della Repubblica di sempre”. Uno così cederà il passo a un Salvini qualunque? SEGUE DALLA PRIMA “È stanco, ma Capezzone chi è?” M di Tommaso Rodano uando lo attaccano, Silvio Q sta male. Soffre come un leone in gabbia”. Alberto Zan- grillo, il medico di Berlusconi, è combattuto tra la voglia di vuotare il sacco – pieno di risentimento per i nuovi “traditori” dell’ex premier – e la prudenza che gli consiglia di tenere a freno la lingua. “Ogni volta che parlo succede un putiferio”, e infatti il suo ultimo tweet, rivolto al dissidente Raffaele Fitto, è diventato un caso: “Se fossi Berlusconi agli avvoltoi delle Primarie, direi: quella è la porta”. Lui ribatte: “Non sono il consigliere di Berlusconi e su Twitter scrivo quello che mi pare”. Del suo paziente e amico, parla con tenerezza e affetto sincero: al netto del linguaggio agiografico, la conversazione offre spunti inediti sulla salute politica – ed emotiva – dell’ex Cavaliere. Come sta il paziente Berlusconi? Resiste. L’uomo è pugnace. È la sua indole. Quando sta bene è sempre reattivo, veloce, sul pezzo. Ma è evidente che la sua condizione gli impedisce di esprimere le sue qualità personali. Soffre. I vincoli che gli hanno imposto sono pesanti. Non riesce a essere quello di una volta. goierà l’ennesimo rospo, è in grado di farlo. Ma lui è un uomo che non ha mai attaccato nessuno frontalmente. Questi fino a ieri si facevano allattare da lui... Mi ha sempre detto che la sua scelta sul Nazareno è per puro senso di responsabilità. Attaccare Berlusconi adesso è ingeneroso. Non è possibile fare un’analisi politica per mandare tutto all’aria. È vile sfruttare il calo elettorale per un’offensiva personale nei suoi confronti, senza considerare le difficoltà a cui è sottoposto. Ripeto, ne soffre. Il rapporto che mi lega a lui è di consuetudine e amicizia, io osservo la sua arrabbiatura da una prospettiva diversa. E non mi frega niente di Fitto, di Verdini e degli altri: il suo stato d’animo lo comprendo benissimo. Non faccia battute stupide. Le confesso una cosa: Berlusconi mi parla spesso della sua esperienza a Cesano Boscone. Ha scoperto un mondo che non conosceva. Stare accanto alla gente che soffre non gli pesa. Quando deve imboccare i disgraziati, si cala nella parte, lo fa con umiltà. Questa esperienza umana molto profonda, gli fa ridimensionare la meschinità di certe logiche politiche. Ma che ci frega di Capezzone. Colpa dei servizi sociali o del Nazareno? Senza essere suoi ammiratori, si può dire che Berlusconi abbia avuto un ruolo, magari nefasto, nella storia italiana. Mentre Fitto, Capezzone... Un conto è essere attaccati da Grillo o da Alfano e quegli altri poveretti che l’hanno tradito prima. Ma Fitto... Non si fa così. Fitto, Capezzone? Ma chi sono questi? Magari con loro Berlusconi in- Meglio i vecchietti malati, di Fitto e Capezzone? Il suo ragionamento porta a una conclusione: da medico e amico, gli consiglierebbe di ammainare la bandiera? Un giorno dissi che consideravo Berlusconi come un Ronaldo costretto a giocare in una categoria inferiore. Lui vuole ancora tirare questo Paese fuori dalle secche. Non mi permetto di dargli consigli; certo, sarebbe molto più semplice, da medico, gestire un uomo felice, spensierato, che pensa di godersi la vita, i nipoti, i figli. ica per Grillo: per quei ragazzi puliti che entravano in Parlamento senza un euro di soldi pubblici. Grande vittoria. Speravo che cambiassero un po’ le cose, ma furono subito messi ai margini. Per farmi capire che il mio voto contava zero, tornarono le larghe intese e, per maggior chiarezza, fu pure rieletto Napolitano. Letta durò nove mesi, poi arrivò Renzi: diceva cose giuste, più o meno le stesse di Grillo. Intanto i 5Stelle litigavano e si espellevano: sospetto che qualcosa di buono stiano facendo, in Parlamento, ma è solo un’impressione. In tv non li vedo mai e il computer non fa per me. Così, alle Europee, ho votato Renzi. Grande vittoria. Ma me ne son subito pentito: il giovanotto ha cominciato a fare il contrario di quel che diceva. Ha riesumato il morto vivente, ha ricominciato a menarla con la Costituzione da cambiare e con i parlamentari da nominare. Ha perfino ripetuto che mio figlio è un privilegiato, sempre per l’articolo 18. Domenica mi sono astenuto, come i due terzi dei miei corregionali: stavolta capiranno il messaggio forte e chiaro. Macché: il tipetto dice che siamo secondari. Ma che devo fare per farmi ascoltare? Se voto, non conto niente. Se non voto, idem. Dovrò mica mettermi a menare, alla mia età? Marco Travaglio IN FONDO A DESTRA MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014 il Fatto Quotidiano T ra i nuovi “talenti” di Forza Italia il marito di Noemi LA RICERCA di volti nuovi per Forza Italia entra nel vivo e non mancano i colpi di scena. All’incontro di sabato a Villa Gernetto, infatti, tra rampolli di deputati e giovani ambiziosi è spuntato anche Vittorio Romano, responsabile per il Sud dei circoli Forza Silvio, ma noto alle cronache soprattutto per essere il marito di Noemi Letizia. La sua presenza è stata notata dai cronisti del Corriere del Mezzogiorno. Romano, figlio di un noto ingegnere napoletano e di Vicky de Dalmases, ex consigliere diplomatico del governatore campano Antonio Bassolino, non è alla prima apparizione in un evento forzista: a settembre aveva già partecipato alla cena di autofinanziamento di Forza Italia con tanto di foto di gruppo con Berlusconi e Francesca Pascale. L’EREDE DI BOSSI somma, tutti quei settori della società senza più punti di riferimento politici, “rifiutati” dal Pd, dimenticati dalla sinistra, non “compresi” nelle confuse strategie grilline. Con chi parla il pensionato che abita in una casa popolare di una mega periferia metropolitana, chi incontra, quali parole ascolta? Al Nord quelle della Lega, a Roma quelle dei “fascisti sociali” di Casa Pound o di organizzazioni simili. Matteo Salvini, segretario della Lega, visto da Emanuele Fucecchi di Enrico Fierro P rossima tappa il Sud. Sì, proprio quello brutto, sporco e cattivo di una volta. È qui, oltre il Garigliano, che Matteo Salvini vuole piantare le prossime bandiere della vittoria. Iniziando da Napoli e Bari, i Borboni e Murat assieme ad Alberto da Giussano per conquistare voti. Quelli delle prossime elezioni regionali di primavera in Campania e Puglia. La strategia è già pronta, una Lega che non sarà più Nord, nazionalizzata, e una sola certezza: nel simbolo deve esserci il nome “Salvini”. Il team di sondaggisti ingaggiati dal Capo ha già pronti diagrammi, slide e percentuali, lo rivela il sito di analisi politica affariitaliani.it: il brand di Matteo sulla scheda elettorale al Sud vale intorno al 4-5%, che proiettato su scala nazionale fa il 2-3. UN BEL BOTTINO, da somma- re al 20% conquistato nella “fu rossa” Emilia. E allora basta con le canzoncine sguaiate sui napoletani (“senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani... oh colerosi, terremotati, voi col sapone non vi siete mai lavati”), intonate nelle notti di Pontida innaffiate da troppa birra e poco senso politico. Le parole devono unire, gli slogan devono essere semplici e sfondare da Brescia a Trapani. “Prima gli italiani”, è la parola d’ordine che Salvini ripete ossessivamente a talk unificati, preferibilmente con una t-shirt o una felpa con la scritta ben visibile “Stop invasione”. Già i talk e la televisiun, un Matteo davanti alla telecamera vale 2-3 punti di share, lui lo ha capito e non rifiuta una ospitata che sia una. Finora ha evitato solo le previsioni meteorologiche e i programmi di cucina (anche se da giovane aveva partecipato al Pranzo è servito), ma tempo al tempo, quando per la causa si tratterà di preparare in diretta una cassoeula, si farà. Ma sarebbe ingiusto giudicare Teo Salvini un prodotto meramente televisivo. Perché lui la tv la domina, è attore protagonista che scrive da sé il copione. LA PAROLA d’ordine “prima gli italiani” fa il giro delle banlieue di casa nostra, è rivolta a chi è in attesa di una casa popolare, a chi se la vede occupata da abusivi, a chi è da anni in graduatoria, diventando “il verbo” del disagio sociale diffuso giorno dopo giorno da militanti leghisti. Si amplifica fino a diventare “virale”, quando Salvini porta la questione delle periferie in televisione. Allora i talk si fiondano nei grandi quartieri popolari di Roma e di Milano. Finalmente la gente che lì vive (malissimo) ha a disposizione un microfono quasi h24. Le immagini di pensionate costrette a barri- 5 UNA PRATERIA sconfinata per Dal comunismo padano al fascioleghismo russo LA RISCOSSA ELETTORALE DEL CARROCCIO PASSA PER LA SOVRAESPOSIZIONE TV DI MATTEO SALVINI: BASTA AMPOLLE E SECESSIONE, SÌ A CASA POUND E A MOSCA IL MODELLO PUTIN “Rubli alla Russia non ne abbiamo chiesti, il nostro sostegno alle loro politiche è totalmente disinteressato e appassionato” carsi in casa perché “ci sono troppi neri in giro”, o perché a ridosso del quartiere la giunta comunale (preferibilmente di sinistra e perciò buonista) ha piazzato un campo rom, girano e creano uno strano fenomeno di emulazione. Ognuno fa la sua barricata e pretende Realtà satirica un microfono. Animale politico ibrido, che nella sua carriera si è finanche definito “comunista padano”, Matteo Salvini sa quali carte giocare per diventare il Le Pen italiano e prendersi un centrodestra in coma. Sovranità monetaria, no euro, tutela della famiglia tra- NO EURO E LE PEN Il nuovo programma: l’Italia va bene unita, liste anche al Sud, appoggio all’ultra-destra, sovranità monetaria e “amore” per Marine dizionale e aliquota unica per le tasse al 15-20% (“funziona in molti Paesi, così si combatte l’evasione, le imprese investono e assumono”): questi i punti cardine della strategia. Vincente per i sondaggisti. L’elettore medio della nuova Lega, ha spiegato Nando Pagnoncel- li, è concentrato soprattutto al Nord, ha tra i 45 e i 64 anni, è un cattolico praticante, e appartiene a quei settori particolarmente colpiti e spaventati dalla crisi. Operai delle fabbriche chiuse, piccoli commercianti, pensionati, esodati e vittime della legge Fornero. In- il nuovo soggetto fascio-leghista che Salvini sta costruendo. Le prime prove a ottobre con la manifestazione di Milano contro l’immigrazione insieme a Casa Pound. “Abbiamo portato duemila persone”, disse all’epoca Simone Di Stefano, uno dei leader del movimento, “perché Matteo ci ha convinti”. Ha voglia il vecchio Umberto Bossi a dire che “la Lega nasce antifascista”, Salvini vuole fare come a Parigi. “Perché in Europa un solo modello è vincente, quello che abbraccia Front National in Francia, Ukip in Gran Bretagna, Lega, Fratelli d’Italia-An in Italia”. Parola di Lorenzo Fontana, europarlamentare leghista e consigliere più ascoltato dal leader. “L’equivalente di quello che fu il professor Miglio per il Bossi della prima ora”, dicono negli ambienti della Lega. Fontana, salde radici veronesi e una laurea in Scienze politiche, per il sito Dagospia è il Kissinger di Salvini. È lui ad aver avvicinato Matteo a Putin, per il leader della Lega lepenista “vera diga contro il terrorismo islamico”. Il presidente russo è alla ricerca di collegamenti con la destra europea e in queste ore tiene banco la vicenda dei 9 miliardi versati al movimento di Marine Le Pen. L’oro di Mosca arriverà anche alla Lega? “Soldi non ne abbiamo visti e non ci interessa chiederli. Il nostro appoggio alla Russia è totalmente disinteressato”, è la replica di Salvini. Il viale che porta alla conquista del centrodestra non è lastricato di rubli. Per il momento. L’astensione non basta Il problema è che c’è chi si ostina a votare di Francesca Fornario desso basta Annunci!” annuncia A Matteo Renzi il giorno dopo le elezioni. L’accelerazione sul Jobs act serve al premier per archiviare la vittoria mutilata che liquida sbrigativamente: “Queste elezioni non avranno ripercussioni sul mio governo”. Continuerà a far finta che Alfano e Berlusconi rappresentino milioni di italiani. Il dato, però, preoccupa i vertici del Pd, che in Emilia Romagna ha più che dimezzato i voti rispetto alle Europee. Il neoeletto presidente renziano Bonaccini commenta: “Ce l’abbiamo messa tutta”. Ma non sapevano dove trovarli altri 80 euro. “Servivano slogan più convincenti per gli elettori”. “Soddisfatti o rimborsati” lo avevano già usato per i consiglieri regionali. L’astensione galoppa, ma Renzi raccomanda ai suoi di non dar segno di preoccuparsene. Immagino le riunioni: “Diremo che l’astensione è un problema secondario”. Boschi: “Giusto Matteo! Il problema principale semmai sono i milioni che non sono andati a votare!”. “Non capisco come sia possibile che due elettori su tre non abbiano votato. PUR POTENDO scegliere tra tre o quat- tro diversi centrodestra!”. Alle Regionali del 1995 aveva votato l’89 per cento degli aventi diritto. Nel 2000, l’80 per cento. Nel 2005 il 77 per cento, nel 2010 il 68 per cento. Nel 2014 solo il 37 per cento: nel 2020 può vincere Alfano con il 2 per cento. È un non-voto politico, osservano gli osservatori: non è frutto di disinteresse, serve a dare un segnale. Non votare per dare un segnale a chi ci governa tutti grazie ai voti dei pochi che lo hanno votato è una cosa legittima, Stefano Bonaccini Ansa SLOGAN Il neoeletto presidente renziano Bonaccini commenta: “Ce l’abbiamo messa tutta”. Ma non sapevano dove trovare altri 80 euro che non ha mai funzionato. Perché il potere e le risorse affidati a chi sale al governo non vengono ridimensionati in funzione del ridursi dei suoi elettori. NONOSTANTE “l’avvertimento” che ha voluto lanciargli il popolo di centrosinistra che non è andato a votare, Renzi resta libero di fare accordi con Verdini e con Berlusconi acciaccato dal voto, dalle condanne, dall’età, dall’uveite che si aggrava (scambia di nuovo le minorenni per maggiorenni). Il non-voto degli elettori ha la stessa forza del non-voto dei cuperliani e dei dissidenti Pd (rientrati i bersaniani, che ieri hanno votato a favore del jobs act. “Lo smacchiamo!” era riferito all’articolo 18). I dissidenti sono usciti dall’aula invece di votare contro – come hanno fatto i civatiani: Civati e un altro – al provvedimento, riguardo al quale, dice Renzi: “Non ho ceduto al Nuovo centrodestra”. Sacconi conferma: ha ceduto a quello vecchio. 6 CINQUE STELLE MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014 M eloni: “Altro che taglio delle tasse, premier cialtrone” ECCO “IL PIÙ PODEROSO taglio delle tasse promosso da Renzi con la legge di Stabilità: dall’Ufficio di Bilancio arriva un nuovo avvertimento sulla possibilità che scattino le clausole di salvaguardia su Iva e accise, se dovesse accadere la pressione fiscale tornerebbe a salire toccando nel 2017 il massimo livello dal 1995. Io dico che Renzi si dimostra sempre di più un cialtrone”. il Fatto Quotidiano Così su ieri su Facebook la leader della formazione di destra Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, che poi sul Jobs act ha continuato ad attaccare: “Allo stato attuale il Jobs act è carta utile per incartare la pizza perché non c’è scritto assolutamente nulla. Noi come Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale abbiamo tentato di fare delle modifiche migliorative per dare risposte concre- te e abbiamo depositato un emendamento sul Job Italia di Luca Ricolfi. Parliamo di una proposta di totale decontribuzione per le nuove assunzioni: 1.000 euro netti in tasca al lavoratore e 1.250 euro il costo complessivo per il datore di lavoro. Produrrebbe centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro, ma purtroppo è stato bocciato in aula dalla maggioranza”. M5S, guerriglia dissidente Violato il divieto di Tv IL DEPUTATO RIZZETTO VA A “OMNIBUS” MA IL BLOG DI GRILLO LO CENSURA: “NOI NON ANDIAMO AI TALK SHOW, NON CI RAPPRESENTAVA”. E SI RIPARLA DI ESPULSIONI di Luca De Carolis S toria di rivolta e repressione, in tre atti. Inizia il dissidente Rizzetto, che forza il blocco dei capi e va in tv per invocare “autocritica”. Risponde il blog di Grillo, censurando: “Il M5S non partecipa ai talk show, Rizzetto non rappresentava il Movimento”. Chiude il ribelle, mettendoci il carico: “Caro Beppe, non chiedo il permesso ai tuoi cortigiani per raccontare il mio lavoro”. Parole per cui potrebbero presentargli il conto, a breve. DOPO IL FLOP nelle Regionali, negato dai capi ma rumoroso nei numeri, lo scontro interno nei 5Stelle fa un salto di qualità. Dalla guerra dei comunicati si passa a un atto di ribellione. Frutto di questioni incrociate: il tema della tv vietata che è ormai rovente nei 5Stelle, i capi Grillo e Casaleggio sempre più lontani e incerti, i dissidenti che reclamano spazio, convinti che sia questo il momento ideale per forzare. Mescolare il tutto, e si arriva allo strappo del deputato Walter Rizzetto, 39 anni, uno dei “critici” più influenti. Di buon mattino se ne va a Omnibus, su La7. E va dritto: “Se parte dell’elettorato ci ha abbandonato bisogna fare autocritica per apportare dei miglioramenti. Dobbiamo parlare”. Ma più che le parole poté la presenza. Alla Casaleggio Associati non gradiscono. E prima delle 13 è già post di condanna: non firmato. Nessuna minaccia di espulsione, parole dure ma soppesate. A dispetto del titolo, il post apre uno spiraglio al ritorno nei programmi, preteso da gran parte dei parlamentari: “I talk show stanno morendo di asfissia di ascolti. Il M5S ha partecipato in Lo studioso passato a trasmissioni su temi specifici e lo farà in futuro, soprattutto a livello di emittenti locali dove si trattano aspetti vicini ai cittadini”. Insomma, si tornerà sul piccolo schermo, ma non nei talk, e con moderazione. E Rizzetto? “La partecipazione a Omnibus è stata a titolo del tutto personale, Rizzetto non rappresenta la posizione rei capire chi scrive i post sul blog e come mai non si firma, quasi mai. Dai feedback ricevuti mi pare evidente che il problema ora sia più tuo che mio... Non chiedo il permesso ai tuoi cortigiani per parlare del lavoro che stiamo facendo. Il dato elettorale dovrebbe far riflettere te, in primis. #iononmollo e tu?”. Tradotto, Rizzetto butta lì la domanda-provocazione: Grillo si è davvero stancato dell’M5S, come si vocifera da settimane? All’orizzonte anche l’assemblea degli eletti locali del 7 dicembre a Parma, convocata in autonomia da Federico Pizzarotti, nume tutelare dei critici. POTREBBE trasformarsi nella LARGO AI VELENI Controreplica: “Beppe, non chiedo il permesso ai cortigiani”. Serenella Fucksia contro i capi comunicazione: “Vadano su un’isola” del M5S, né qualcuno gli ha dato questa responsabilità. Libero di partecipare, ma non a nome del Movimento”. Il deputato legge e promette pubblicamente pronta risposta. La collega e sodale Gessica Rostellato lancia su Twitter l’hashtag #siamotutticonrizzetto: e piovono cinguettii di sostegno. Soprattutto, il blog di Grillo si riempie di commenti contro il post. Più d’uno chiede: “Sul ritorno in tv consultate la rete”. Rizzetto incassa. E poi risponde col cannone: “Caro Beppe Grillo, vor- vera prova di forza dei dissidenti, se facesse il pieno di amministratori. I parlamentari discutono se e in quanti andare. “Dobbiamo valutare” ragiona un dissidente. Intanto la risposta di Rizzetto ha fatto infuriare i piani altissimi. E da Milano arrivano indizi di risposta durissima, a breve. Il rischio di nuove espulsioni torna concreto, mentre rialzano la voce anche in Senato. Serenella Fucksia va in frontale contro i vertici della comunicazione, Rocco Casalino e Ilaria Loquenzi: “Su Casalino, ex del Grande Fratello, capo comunicazione del M5S per una ‘botta de lato B’, nessuno osa proferir parola. E nemmeno sulla Loquenzi, con una carriera lampo degna di Speedy Gonzales. Su un’isola avrebbero cornice adeguata”. Incrociato alla Camera, Casalino sorride e non risponde. Ma c’è pure Luigi Di Maio, il numero tre, che ammette: “Impegniamo pochissimo in strategie di comunicazione, forse dobbiamo comunicare meglio ciò che facciamo”. E si torna a uno dei soliti nodi: come parla e co- me si presenta il Movimento. Roberto Fico prova a mediare tra i falchi alla Di Battista e i moderati: “Dobbiamo andare sul territorio, stare accanto alle persone, ma anche stare in Parlamento. Io dico ‘calma e sangue freddo’: dobbiamo ragionare”. Pare difficile, nel Movimento in cerca di rotta ed equilibrio. Dove affiorano voci difficile da pesare. Come quella di costanti contatti Di Maio-Pizzarotti, per ragionare del dopo Grillo. Da una parte il più noto dei parlamentari, dall’altra il punto di riferimento degli eletti locali. “Fantapolitica” risponde un parlamentare che conosce bene entrambi. Polpette avvelenate, forse. Un altro segno della febbre a 5Stelle. Twitter @lucadecarolis Beppe Grillo. A sinistra, Walter Rizzetto LaPresse CAMPANIA Rimborsopoli, sette rischiano il processo rrivano col contagocce A le prime richieste di rinvio a giudizio per la Rimborsopoli della Campania. Il pm di Napoli Giancarlo Novelli ha chiesto di processare sette tra consiglieri ed ex consiglieri regionali, accusati a vario titolo di truffa e peculato per l’utilizzo illegittimo di circa 445.000 euro complessivi di fondi destinati al funzionamento dei gruppi e alla comunicazione. Ma presto ne seguiranno altri. Nel frattempo tocca all’ex capogruppo Udeur Ugo De Flaviis (oggi Ncd), il ‘seme’ dell’inchiesta – uno stralcio nato da una intercettazione inserita in un altro fascicolo riguardante l’assunzione di una sua parente - e ad altri sei politici: l’ex capogruppo della lista Caldoro, Gennaro Salvatore (quello calvo degli scontrini della tintura per capelli), i consiglieri regionali Raffaele Sentiero (Ncd), Sergio Nappi (Forza Italia), Massimo Ianniciello (gruppo misto, eletto nel Pdl), l’ex consigliere regionale Angelo Polverino (eletto nel Pdl e agli arresti da un anno per un’altra inchiesta sulle infiltrazioni camorristiche negli appalti dell’Asl casertana), l’ex consigliere Pdl Pietro Diodato. Nelle carte ci sono storie di fatture per prestazioni mai eseguite o antecedenti all’elezione, aziende fantasma intestate a prestanomi, albergatori compiacenti che avrebbero affittato sale per convegni mai svolti, più di 2000 euro in cialde di caffè nell’Udeur. Chieste anche delle archiviazioni. La più importante, “anticipata” dal Fatto del 7 giugno scorso, quella del sottosegretario Pd Umberto Del Basso De Caro. Vincenzo Iurillo Piergiorgio Corbetta “Il Movimento ha perso, se non cambia morirà” l risultato dei Cinque Stelle è più che I negativo, è negativissimo. Sono i più colpiti dall’astensionismo, nonostante quello che ha scritto Grillo”. Piergiorgio Corbetta, direttore di ricerca presso l’istituto Cattaneo di Bologna, è co-autore del libro Il partito di Grillo (Il Mulino) assieme a Elisabetta Gualmini. Secondo il blog del fondatore in Emilia Romagna il Movimento ha guadagnato voti. E l’astensionismo ha colpito solo gli altri partiti. Non è così, i numeri dei flussi elettorali sono chiari. In Emilia i Cinque Stelle hanno perso 3/4 dei voti rispetto alle Europee della primavera scorsa. E molti di quei consensi sono finiti nell’astensione (il 43 per cento circa, ndr), un’altra parte è andata alla Lega Nord. Rispetto alla Regionali del 2010 sono cresciuti. Il paragone non regge, nel 2010 Grillo non era sceso in campo sul piano nazionale. Il Movimento così come è adesso ancora non esisteva. Perché questo calo? Perché i Cinque Stelle si alimentano del voto di protesta. Grillo, per dirla in termini tecnici, è stato il “prenditore” di quei votanti arrabbiati, se ne è impossessato con tecniche innovative. Ma quel tipo di elettore è impaziente, pretende subito risultati. E ora presenta il conto. O guarda alla Lega. Salvini è il vero rivale di Grillo? Di certo il Carroccio ha intercettato parte del voto di protesta, pescando nello stesso LA VERITÀ DEI NUMERI bacino dei 5Stelle. D’altronde nel “In Emilia ha smarrito 3/4 dei consensi 2013 Grillo fece il ed è stato il più penalizzato dall’astensione. boom alle PolitiIl voto di protesta gli ha voltato le spalle” che proprio pren- dendo molti voti alla Lega, e a Di Pietro. Tra i 5Stelle infuria la polemica sull’andare o meno in tv. L’assenza dagli schermi ha influito sul voto? È una questione di lana caprina. Prima delle Politiche non esistevano in televisione, anzi Grillo aveva fatto dell’ostracismo verso le tv uno dei suoi punti forti. Eppure nelle urne superarono il 25 per cento. E allora cos’è che non funziona? Il vero problema è che il M5S non ha una proposta politica chiara, solida. La stessa campagna anti-euro è confusissima. E poi i 5Stelle sono senza ideologia e senza radicamento territoriale. Hanno una base molto fragile. I dissidenti accusano Grillo e Casaleggio. La figura di Grillo rimane fondamentale, non ne possono fare a meno. Ma anche i vertici devono prendere atto che i movimenti prima o poi devono mutare pelle, diventare istituzioni: altrimenti muoiono. La storia lo ha sempre dimostrato. Quindi? Devono prendere atto che il modello dell’uno vale uno, della democrazia diretta, è fallito, è immaturo. E strutturarsi come un partito tradizionale. Meglio una democrazia approssimata che l’autocrazia di Grillo e Casaleggio, con le loro espulsioni immotivate. Ldc TELE-SCHERNO il Fatto Quotidiano Bhaonaccorsi (Pd) la soluzione: “Tassa tv va abolita” "ALTRO CHE RIDURLO, visti certi sprechi il canone Rai andrebbe abolito del tutto”. A dichiararlo è Lorenza Bonaccorsi, responsabile cultura del Pd e componente della Vigilanza Rai. “Quando leggiamo di appalti milionari ingiustificati - spiega Bonaccorsi - e assunzioni di altri dirigenti esterni, dopo che ce ne sono già trecento in azienda, viene da chiedersi se GIACOMELLI ILLUSTRA L’ABBONAMENTO RIDOTTO MA PALAZZO CHIGI CORREGGE: MEGLIO RINVIARE. INTANTO LA TARANTOLA: “RICORSO CONTRO MEF A FINE MESE” Tecce N iente canone Rai pagato a rate con la bolletta dell’elettricità. Non è la prima volta che un governo va di gran carriera verso una revisione contabile in Viale Mazzini e poi ci ripensa per non dar fastidio a un’azienda-partito (che sembrava d’accordo) e ai contribuenti-telespettatori che già subodoravano la fregatura. Com’è andata, oggi, non è mai accaduto. Il sottosegretario Antonello Giacomelli, consumati mesi di annunci, di sbandierate riduzioni dell’odiata tassa tv, di prima mattina, in radio ha spiegato il nuovo meccanismo di riscossione. Giacomelli parlava a ragion veduta, la norma da introdurre con un emendamento nella legge di Stabilità è pronta da settimane. Il sottosegretario, però, non aveva calcolato la reazione del Tesoro, contrario a questa misura e di Palazzo Chigi, che non vuole gettarsi a petto nudo sul delicato fronte di Viale Mazzini. A smentire Giacomelli è l’intero governo. Il tempo che s’è perso non era più recuperabile, questa è la spiegazione ufficiale. Perché Giacomelli, prima di un viaggio negli Stati Uniti, aveva lasciato a Matteo Renzi due testi da utilizzare con un decreto, soltanto il ricorso all’emergenza avrebbe perfezionato la riforma natalizia con tanto di propaganda inclusa: Renzi abbassa il canone, non più 113,5 euro via bollettino, ma fasce da 30 a 80 euro e in comode rate. A VIALE MAZZINI veniva ga- rantito un introito triennale di 5,1 miliardi di euro, la stessa cifra che incassa oggi nonostante un’evasione del 27% che vale 500 milioni l’anno. Il metodo non ha convinto il Tesoro: chi avrebbe perseguito l’evasore fiscale? L’Agenzia 7 non sia opportuno avviare subito una discussione seria per eliminare l’obbligo del canone, la tassa più odiata dagli italiani, e mettere in campo altri strumenti per permettere al servizio pubblico di finanziarsi, a partire dalla pubblicità. Quando si discute di riforma del canone, bisognerebbe parlare innanzitutto di questo”. IL GOVERNO SI SMENTISCE: NIENTE CANONE IN BOLLETTA di Carlo MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014 AUTOVELOX Il Viminale annulla multe milanesi occiatura per il Comune di Milano sulla queB stione Autovelox. Per il Viminale, a seguito delle lamentele e delle proteste di cittadini e as- sociazioni dei consumatori, a Palazzo San Marino hanno torto a notificare le multe dopo i 90 giorni dall'infrazione. Di conseguenza tutti gli accertamenti e le multe fatti oltre i tre mesi, e quindi anche dopo cinque, otto o dieci mesi dalla famigerata “foto” dell’autovelox sono da annullare. Insomma la multa è valida se l'istituzione rispetta i tempi di verifica e di notifica. A sostegno di questa tesi arriva infatti il chiarimento del Ministero dell’Interno secondo cui non può essere responsabilità del cittadino la carenza del personale e il ritardo delle verifiche e dei controlli. Nelle scorse settimane per la vicenda si erano scatenate le proteste di cittadini “multati” sostenuti da diverse associazioni di consumatori e comitati. Non si esclude che possano esserci ripercussioni anche in altre città. Antonello Giacomelli, sottosegretario alle Tlc Ansa delle Entrate non vuole essere coinvolta. Per evitare pastrocchi, il governo ha deciso di rinviare al prossimo anno e in Viale Mazzini devono preparare le lettera da spedire agli italiani e la pubblicità per convincerli a sborsare i soliti 113,5 euro (a rischio aumento). Giacomelli è molto renziano, altrimenti avrebbe meditato le dimissioni: resisterà a lungo? Il Cda Rai, in attesa, ha trascorso la serata in Commissione di Vigilanza, i parlamentari hanno convocato i vertici aziendale dopo il voto per il ricorso contro il prelievo da 150 milioni di euro voluto da Palazzo Chigi. Il presidente Anna Maria Tarantola, che in Cda s’è astenuta, ha comunicato che l’esposto in Tribunale sarà formalizzato entro fine mese. L’ex vicedirettore generale di Bankitalia ha spiegato così la scelta pilatesca: “Gli argomenti a favore o sfavore erano forti”. La Tarantola non vuole rinsaldare il rapporto con il dg Luigi Gubitosi, s’intende. Renzi contro l’amianto: “La vita non si prescrive” IL PREMIER INCONTRA LE FAMIGLIE DELLE VITTIME DI CASALE MONFERRATO E BAGNOLI E PROMETTE DI RIFORMARE LA LEGGE di Andrea Giambartolomei Torino a battaglia contro L l’amianto “deve diventare una battaglia di civil- tà”. Ieri pomeriggio a Palazzo Chigi il primo ministro Matteo Renzi ha incontrato i familiari delle vittime dell’Eternit di Casale Monferrato e di Bagnoli, città dove la multinazionale del cemento aveva due stabilimenti e dove più di duemila persone so- no morte per i tumori provocati dall’asbesto. Durante l’appuntamento il premier ha ribadito due impegni importanti: la costituzione di parte civile nell’eventuale prossimo processo e la riforma della prescrizione, tanto invocata in questi giorni, perché “la vita non si prescrive”. Al termine degli incontri con le istituzioni (tra di loro pure il presidente del Senato Pietro Grasso e quello della Camera Laura Boldri- ni) il presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime dell’amianto di Casale Monferrato Romana Blasotti Pavesi ha rimarcato la loro richiesta di giustizia ricordando che “lo Stato c'è se le promesse che ci hanno fatto oggi saranno mantenute”. Con un po’ di realismo il coordinatore dell’Afeva Bruno Pesce ha ricordato che il premier “non è un giudice”. D’altronde le promesse fatte da Renzi sono tante, ECCO PENATI in udienza al processo: “Su Serravalle non rispondo” l tribunale ha accolto che entrasse in di- sono tracce di soldi miei all’estero, i denari si I battimento anche la mia testimonianza fermano lì dove la finanza li ha fermati. Forse sui fatti andati in prescrizione. Mi consen- bisognerebbe cercare responsabilità altrove, tiranno di spiegare e ne sono contento”. È così è stato. Filippo Penati in aula è un fiume in piena. All’inizio oppone il silenzio sulla Milano-Serravalle, prima che “si chiudano le indagini”, poi esplode sul cosiddetto “Sistema Sesto”: “Sono passati 1.223 giorni da quando la guardia di finanza mi svegliò alle 7 di mattina. Finalmente è il momento di farmi sentire”, ha esordito. L’ex sindaco di Sesto San Giovanni ed ex presidente della Provincia di Milano si difende a tutto campo: “Non so perché sono stato accusato, non ho mai preso tangenti né ricevuto prestiti. Non ci ma questo non è il mio mestiere”. Penati ne ha anche per il suo grande accusatore l’imprenditore Giuseppe Pasini: “Non ho mai chiesto tangenti a Pasini per le aree Falck. Come ho provato poi, non c’era ragione che io chiedessi in prestito soldi a Di Caterina. Il prestito non esiste, si dice siano per i debiti di Penati, ma si fermano altrove. La prima ammissione che Pasini ha fatto è che di soldi chiestigli da Di Caterina, un miliardo, erano da dare a Penati. Poi si lamenta di aver pagato, e non aver ricevuto la concessione. Io non so. A me non è arrivato un centesimo”. impegnative e toccano tutti i temi, da quelli giuridici a quelli sanitari, passando per quelli ambientali. Come hanno riassunto i senatori del Pd Daniele Borioli, Stefano Esposito e Federico Fornaro, il premier “si è impegnato a individuare uno o più provvedimenti finalizzati a proseguire e accelerare l'opera di bonifica e a verificare la possibilità di allargare l'accesso al Fondo vittime amianto anche ai cittadini non direttamente impiegati nella produzione”. ATTENZIONE anche al soste- gno della ricerca medico-scientifica “sulle patologie asbesto-correlate, in particolare presso le strutture di Casale Monferrato ed Alessandria”. Sul piano della giustizia penale il deputato democratico Massimiliano Manfredi, che accompagnava la delegazione di “Mai più amianto” di Bagnoli, ha ribadito la necessità di cambiare alcune leggi: “Abbiamo chiesto a Renzi e alla Boldrini di attivarsi affinché il Parlamento venga approvato nel più breve tempo possibile il disegno di legge sui reati ambientali che all'interno prevede una riforma sul tema della prescrizione”. Lo stabilimento Eternit di Casale Monferrato abbandonato Ansa IMPEGNI E FUTURO Palazzo Chigi si costituirà parte civile nel prossimo processo. Il sindaco piemontese vuol portare il proprietario dell’Eternit al Tribunale dell’Aja Lo stesso invito è arrivato pure dal vicepresidente del Csm Giovanni Legnini che ha incontrato il sindaco di Casale Titti Palazzetti: “Occorre una seria riforma sui reati ambientali. L’attuale quadro normativo risulta inadeguato”, ha detto. Secondo lui la “dolorosissi- ma vicenda Eternit” mette in causa “l’adeguatezza del nostro ordinamento sui gravi effetti dei fenomeni di inquinamento industriale sulla salute dei cittadini e sull'ambiente”. SOLO A QUESTO punto “la magistratura italiana, dentro un quadro normativo chiaro e certo, assolverà alla sua irrinunciabile funzione di accertamento dei reati, punizione dei colpevoli e risarcimento delle vittime”. In questi giorni, il sindaco di Casale Monferrato, Titti Palazzetti, ha puntato pure in alto: “L’amianto è un crimine contro l’umanità, vogliamo portare Schmidheiny alla Corte dell’Aja”. @AGiambartolomei 8 Violenza su donne: il governo promette e i centri protestano di Carlo I ITALIE MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014 Tecce l 31 ottobre 2014, il volo di linea AH2721 di Air Algerie decollava dal “Miramare” di Rimini con destinazione la capitale nordafricana. Quel giorno, l’aeroporto internazionale che porta il nome di Federico Fellini spense i riflettori, appose i sigilli e mandò in cassa integrazione 78 dipendenti. (Il regista riminese è scomparso il 31 ottobre 1993). Oggi il filo spinato circonda una pista di 3000 metri con l’asfalto in perfette condizioni, l’ingresso tirato a lucido, i tabelloni luminosi e gli scivoli per le valigie ancora intonsi. Perché mai pagati. Il “Miramare” è un ponte sbarrato verso i turisti russi, per il momento dirottati ad Ancona, ma la società a maggioranza pubbli- L’INCHIESTA Bancarotta fraudolenta, abuso d’ufficio, concussione. Coinvolti amministratori locali e vertici Enac NON SOLO lustrini e retorica nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne. A fare da contraltare a rituali e dichiarazioni politiche è stata una polemica innescata dall'associazione D.i.R.e, che riunisce vari centri antiviolenza. Secondo la presidente, Titti Carrano, “il 74 percento dei centri riceve fi- il Fatto Quotidiano nanziamenti pubblici il cui importo non riesce a soddisfare e coprire tutte le attività che vi si svolgono”. Sotto accusa anche una possibile intesa in Conferenza unificata che porterebbe all’approvazione di un documento per ridefinire le loro funzioni: “In questo documento non si riconoscono il ruolo e le compe- tenze delle operatrici. La violenza contro le donne è un fenomeno che va contrastato con un approccio integrato. Siamo costrette a denunciare una vera e propria deriva culturale che vuole burocratizzare un’esperienza che non può essere ingabbiata in un neutro servizio”, ha concluso Carrano. Rimini disastro “rosso” e nessuno paga il conto stimoni e le relative prove. Il buco di Aeradria potrebbe superare i 50 milioni di euro, una parte consistente (15) riguarda le banche. LA CARIGE ha inoltrato una CHIUSO L’AEROPORTO “FELLINI”, A CASA I DIPENDENTI, UN BUCO DI 43 MILIONI LE BANCHE BUSSANO ALLA PROVINCIA E AI COMUNI MA LA GIOSTRA PUÒ RIPARTIRE mini ha aperto un’inchiesta per i reati di abuso d’ufficio, che coinvolge il presidente della Provincia Stefano Vitali (Pd) e il sindaco Andrea Gnassi (Pd); per bancarotta fraudolenta contro gli amministratori di Aeradria e di un paio di società collegate; per ricorso abusivo al credito per un funzionario responsabile fidi di LO SCALO ca che lo gestiva, la Aeradria, è fallita per sempre. Il colore che fa da sfondo a questa vicenda, nutrita di sciatteria e di arroganza, è il rosso: il rosso emiliano-romagnolo di una politica che voleva trasformare il “Miramare” in un piccolo “Heathrow” all’inglese, il rosso dei bilanci scaricati in tribunale con (almeno) 43 milioni di debiti. La Provincia di Rimini possedeva una quota del 38% in Aeradria, capeggiava una serie di azionisti istituzionali, come i Comuni di Rimini (18%), Riccione (4,56), la Regione (5,26), la Camera di Commercio (8,9), e poi un mucchio trasversale e minoritario tra la Confindustria e San Marino. LA STORIA Doveva essere un piccolo Heathrow per i russi in Riviera, la società di gestione pagava 38 euro a sedile (occupato o vuoto) L’aeroporto Miramare di Rimini ribattezzato Fellini; sotto Vito Riggio dell’Enac Ansa CHE BELLA, la Riviera. Che co- modo, il Fellini. I turisti atterravano entusiasti e le navette li trasportavano in spiaggia. In zona, l’estate era traffico, agenzie, pubblicità e avventori. In inverno, la penuria. E allora la politica, senza valutare le conseguenze economiche, lo sforzo oltre i limiti, pensò bene di puntare a una concessione definitiva, non più a un mandato provvisorio che ogni anno l’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac) rinnovava. L’ambizione ha un prezzo: 25 milioni di euro. E anche un sovrapprezzo, i 38 euro a sedile (occupato o libero non importa) che Aeradria pagava a Ryanair per aprire le rotte verso l’Olanda, la Francia e la Germania. L’andata e ritorno per Amsterdam costava ad Aeradria decine di migliaia di euro. Per la Sicilia, c’era la Windjet di Antonino Pulvirenti che, due anni fa, ha parcheggiato i propri velivoli. Il traguardo di Aeradria era il milione di passeggeri, sfiorato nel 2010 con un transito di 920.000 utenti, poi il crollo verticale, le casse vuote, i creditori al campanello. I 25 milioni di investimento spesi, le banche coinvolte, la Provincia riminese e i Comuni rassicuranti: un attimo di gloria, prima di un concordato in bianco, di un secondo concordato saltato e l’arrivo del curatore fallimentare. Un anno fa, la Procura di Ri- Cassa di Risparmio di Rimini. Per concorso in bancarotta fraudolenta, il fascicolo contiene i nomi dei vertici di Enac, il capo Vito Riggio e tre consiglieri. A Roberto Sorrentino di Enac, nonché ex sindaco effettivo del collegio sindacale di Aeradria, viene contestata anche la concussione per una consulenza da 70.000 euro, giustificata come un parere tecnico sul posizionamento del sito internet di Aeradria. Ma gli inquirenti hanno scoperto che Sorrentino copiò la perizia da una tesi di laurea di uno studente che neppure conosceva, e dunque l’ingaggio risulta sospetto. L’ultima udienza si è tenuta a inizio luglio con l’ammissione dei te- richiesta di restituzione immediata al Comune di Riccione che, nel frattempo, ha cambiato sindaco e orientamento politico: sempre a sinistra seguendo l’evoluzione dai comunisti ai democratici, adesso comanda il centrodestra berlusconiano. L’istituto ligure finanziò la ristrutturazione di “Miramare” con 1,2 milioni di euro, ma neanche una rata è stata liquidata. Il sindaco Renata Tosi (Forza Italia) ha fatto sapere che le garanzie offerte dal predecessore non furono mai discusse e approvate in Consiglio. Per ottenere prestiti facili, i politici utilizzavano i Comuni e la Provincia come assicurazioni sui mutui, convinti che le casse pubbliche fossero stracolme di denaro e che il “sistema rosso” e la protezione emiliano-romagnola fossero efficaci. Il Partito democratico ha cercato di ridimensionare lo scandalo, ma gli elettori non hanno rimosso. Il dem Gnassi, però, ha raddoppiato la carica: sindaco a Rimini e presidente della Provinciale non eletto, bensì nominato dai colleghi. Il caso è rimasto circoscritto all’Emilia-Romagna, se non fosse per le continue denunce di pochi oppositori, il Movimento Cinque Stelle e quel che resta di Sinistra Ecologia e Libertà. Nonostante questa tremenda esperienza, i lavoratori a casa, i soldi sprecati, Rimini non vuole rinunciare all’aeroporto. Enac accontenta, perché ha disposto un bando per la riapertura, assegnato a una cordata di sette gruppi, Airiminum: assegnazione a tempo, soliti e vecchi problemi. Ma l’ultimo Cda di Aeradria ha già presentato ricorso in Cassazione. Tutto bloccato, tutti a terra. Almeno per un anno. Poi si vedrà. Prima di partire, qualcuno dovrà saldare il conto da 43 milioni. Il 5 per mille tra enti inutili e procedure opache LA CORTE DEI CONTI CONTRO LA GESTIONE DELLE QUOTE IRPEF, CHE VANNO ANCHE ALLA FONDAZIONE DI D’ALEMA E ALLA ONLUS DEL MILAN di Valeria Pacelli roppi enti inutili, soldi distribuiti T in modo non sempre equo e una burocrazia macchinosa e quindi lentis- sima. Sono le criticità del sistema del cinque per mille, la quota dell’Irpef, che lo Stato ripartisce tra enti che svolgono attività (almeno in teoria) socialmente rilevanti, sulla base delle scelte dei contribuenti. A delinearle è la Corte dei Conti che avvisa l’attuale Parlamento di “valutare se proseguire con il 5 per mille. In caso di scelta positiva, si avverte l’esigenza della stabilizzazione dell’istituto”. UNA NUOVA grana per il pre- mier Matteo Renzi che ha inserito alcune modifiche dell’istituto del cinque per mille all’interno della Riforma del Terzo Settore, siglata dal sottosegretario al Welfare Luigi Bobba. A luglio scorso il governo annunciava di “rivedere e stabilizzare l’istituto della destinazione del 5 per mille in base alle scelte dei contribuenti. È prevista l’introduzione di obblighi di pubblicità delle risorse”. A distanza di cinque mesi, la riforma non è stata approvata. Se ne discute per adesso in Commissione Affari Sociali. Bisognerà quindi tenere conto della relazione dei magistrati contabili che hanno analizzato la gestione del cinque per mille degli ultimi anni. I soldi che i contribuenti decidono di versare non sono quelli che arrivano realmente ai vari enti. Nel 2010 ad esempio sono stati destinati 463 milioni, ma l’importo effettivamente liquidato ammonta a 383 milioni di euro. Mancano all’appello 80 milioni che lo Stato utilizza senza particolari vincoli. Nel 2011 gli importi dei contribuenti sono 487 milioni di euro circa, quello liquidato è di 395 milioni. Per evitare che ci questo gap tra gli importi attribuiti dai contribuenti e quelli liquidati, i magistrati contabili suggeriscono di “eliminare il tetto di spesa, in maniera tale che l’attribuzione del 5 per mille non si traduca in una percentuale di fatto minore”. E AGGIUNGONO: “Risulta grave che il patto tra Stato e cittadini venga sistematicamente violato, analogamente accade anMILIONI SPARITI che per la quota dell’8 per mille Ogni anno parte del “tesoretto” non raggiunge che viene spesso i destinatari, ma la riforma promessa è al palo. dirottato su altre I giudici contabili: “Violato il patto con i cittadini” finalità rispetto a quelle stabilite dai contribuenti”. Nel caso del cinque per mille, ci sono circa 50 mila enti che hanno ricevuto denaro nel 2012, di cui circa 9 mila hanno ottenuto “un contributo inferiore ai 500 euro” e molti di questi “non producono alcun tipo di valore sociale”. Ad esempio, tra gli enti della ricerca scientifica e dell’università ammessi “compaiono alcuni che suscitano perplessità, addirittura, in taluni casi, privi di un sito web”. Nell’elenco degli enti ammessi al cinque per mille ci sono anche associazioni di categorie professionali come quelle dei notai o avvocati o associazioni calcistiche, come la fondazione Milan, “iscritta nell’anagrafe delle Onlus”. E non mancano le fondazioni legate alla politica. Tra queste - alcune per gli anni scorsi - sono state ammesse nell’elenco dei beneficiari la fondazione Italiani Europei di cui è presidente Massimo D’Alema; la fondazione Nuova Italia, presieduta da Gianni Alemanno, o quella Magna Carta di Gaetano Quagliariello. Nella distribuzione degli importi, sono 40 i beneficiari in top list. Dal 2006 al 2011 il primato va all’Associazione italiana per la ricerca sul cancro, che nel 2011 ha ricevuto 55 milioni di euro circa. Tra gli altri enti ci sono la Fondazione San Raffaele del monte Tabor con 6,8 milioni nel 2011; Emercency con 11 milioni e Medici senza frontiere con altri 8 milioni sempre nel 2011. Analizzando la situazione i magistrati contabili ritengono “necessario intraprendere un'attività di audit dell'Agenzia delle entrate sul comportamento degli intermediari in potenziale conflitto di interesse” e suggeriscono di pubblicare “un unico elenco annuale di tutti i beneficiari, con il relativo numero di contribuenti e di importo”. Chissà se di tutto questo terrà conto il governo, che proprio oggi discute in Commissione la riforma del Terzo Settore. Twitter: @PacellliValeria ITALIE il Fatto Quotidiano Sì o no ai vaccini, la sentenza accende la polemica IL TRIBUNALE di Milano ha condannato il Ministero della Salute a corrispondere un vitalizio bimestrale a un bambino affetto da autismo, si legge nel dispositivo, “concausato, sulla base di un polimorfismo che lo ha reso suscettibile alla tossicità di uno o più ingredienti (o inquinanti), dal vaccino Infanrix Hexa Sk”. In una nota ufficiale il dicastero ha però dichiarato di aver presentato appello. La decisione ha comunque scatenato le polemiche. Massimo Scaccabarozzi, presidente di Famindustria parla di “continue denigrazioni che creano il panico nei confronti di qualcosa che è molto importante e che salva tante vite”. Gli fa eco Emilia Grazia De Biasi, presidente della Commissione Sanità del Senato: “Sono relazioni non dimostrate. È una sentenza stravagante. I vaccini ALLO SPALLANZANI 55 MILIONI MA IL MEGALABORATORIO NON C’È ROMA, NEL FUTURISTICO CENTRO CHE CURA IL PRIMO ITALIANO MALATO DI EBOLA MANCA LA “CABINA” BSL-4 DESTINATA ALLA COLTURA DEI VIRUS PIÙ LETALI di Chiara Daina esperimenti con piccoli animali, come i roditori, e vedere se un farmaco contro un virus letale funziona o meno”. Ecco, una cosa del genere allo Spallanzani manca. Il ministero della Salute, interpellato, dice che per diagnosticare l’Ebola basta il livello 3. Serve però il livello 4 “per effettuare i test, che necessitano la coltura del virus e conservare i campioni biologici positivi”. Così si legge nel Protocollo Ebola del 6 ottobre scorso. Secondo il ministero lì non si deve fare ricerca, eppure lo Spallanzani è I conti non tornano. Dal 2003 l’ospedale Spallanzani di Roma, centro di riferimento europeo per l’Ebola, ha ricevuto dalla Protezione civile 40 milioni di euro per la costruzione di un reparto di Alto isolamento con dieci posti letto per pazienti gravemente infetti e un laboratorio di livello 4 (Biosafety-Level-4, Bsl-4, per la diagnosi e la coltivazione di virus di rischio 4, il più elevato), ma l’edificio è ancora chiuso. Nel 2006 il piano anti-Sars della Presidenza del Consiglio stanzia altri 12,1 milioni. Nel 2010 la Protezione civile ne investe altri 2,5. Risultato: cancelli ancora chiusi a undici anni dall’inizio dei lavori. “Non è colpa nostra” dice Maria Capobianchi, direttore dei laboratori di virologia. Aprono a dicembre, dicono. Vedremo. E INVECE A MILANO L’ospedale Sacco dispone della struttura, ma per le analisi legate all’emergenza africana deve spedire le provette nella Capitale UNA STRUTTURA avveniristi- ca, chiusure ermetiche, rilevatori di impronte digitali, telecamere, ingressi unici per ogni stanza, che nessuno Stato europeo vanta, da fare invidia perfino agli Stati Uniti. Un’idea di Guido Bertolaso, che affidò l’opera al fedele Angelo Balducci, allora presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici e alla ditta di Diego Anemone (poi accusati di concorso in corruzione proprio per la gestione degli appalti della Protezione civile). Lo Spallanzani però dovrebbe essere il fiore all’occhiello per la cura delle malattie infettive. Quindi dovrebbe disporre di un laboratorio di livello 4 per la sperimentazione e la ECCELLENZA MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014 9 salvano molte vite”. Secondo Nadia Gatti, presidente del Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino, è invece “necessario un tavolo di lavoro per fare chiarezza sui possibili effetti avversi dei vaccini. Non diciamo che tutti i vaccini fanno male sempre. Ma non si può nemmeno sostenere il contrario, perché i danneggiati riconosciuti in quanto tali esistono”. Farmaci sperimentali per il medico: è stabile SONO STABILI LE CONDIZIONI del medico siciliano che ha contratto l’Ebola. Il paziente, 50 anni, è arrivato in Italia ieri mattina dopo un trasferimento durato circa sei ore ed effettuato dall’Aeronautica Militare italiana. Secondo il primo bollettino medico diramato dallo Spallanzani, dove è stato ricoverato, “alla partenza dalla Sierra Leone, il paziente presentava condizioni di stabilità clinica”. Condizioni che si sono mantenute tali anche all'arrivo all'ospedale. Sempre nel bollettino è stato precisato che al ricovero il paziente era “vigile, collaborante, deambulante e autonomo”, pur presentando febbre. Altissime le misure di sicurezza: il medico è ricoverato in isolamento in una stanza predisposta a questo tipo di emergenze. Il paziente è sotto la supervisione di 15 membri del personale sanitario. Subito dopo il ricovero, per l’uomo è iniziato il trattamento con il primo dei farmaci sperimentali, un antivirale specifico, autorizzato in tempi record assieme ad altri farmaci dall’Agenzia Italiana del Farmaco e dal Ministero della Salute. LO SPECIALISTA LAVORAVA IN SIERRA LEONE nel Centro Emergency contro l’ebola di Lakka, aperto dall'organizzazione umanitaria lo scorso settembre per fronteggiare l'epidemia. Assieme a lui operavano altri 110 operatori, tra medici, infermieri e personale specializzato, tutti provenienti da Italia, Serbia, Spagna e Uganda. Tutti in Sierra Leone per combattere una delle peggiori epidemie degli ultimi anni, dove i numeri, terribili, parlano da soli: secondo i dati dell'organizzazione fondata da Gino Strada, oltre cento persone al giorno contraggono il virus. Nei giorni scorsi anche il medico italiano, primo caso per un nostro connazionale. Il laboratorio dello Spallanzani di Roma coltura di virus letali come Ebola, vaiolo, lassa, febbre di Marburg e del Sudamerica e altri. Il Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm) del ministero della Salute scrive che l’istituto è fornito di apposito laboratorio. Il direttore scientifico Giuseppe Ippolito è addirittura tra i membri del Network europeo “of Biosafety-Level-4 laboratories”, nato nel 2005, con i colleghi di Lione, Porton Down, Londra, Amburgo, Marburgo e Solna. Ma esiste il Bsl-4 allo Spallanzani? Siamo andati a vedere. QUARTIERE PORTUENSE, pe- riferia ovest di Roma, padiglione Del Vecchio. Qui incontriamo Antonino Di Caro, responsabile dei laboratori di biosicurezza. “Sono di livello 3 avanzato” spiega il medico, indicando tre stanze, una accanto all’altra, che si affacciano lungo lo stesso corridoio. Cioè? “All’interno c’è un glove box cabinet, cioè una cabina che serve per analizzare i virus di livello 4 con l’uso di guanti”. Qual è la differenza con un Bsl-4? “Lì hai una stanza a cui accedi con una tuta per isolarti dall’ambiente esterno. Puoi fare istituto “a carattere scientifico”. Nel piano triennale 2012-2014, conferma il direttore del Patrimonio Paolo D’Aprile, si parla di 4,6 milioni di euro per la ristrutturazione dei laboratori di biosicurezza. Dalla Regione non sono arrivati. “Si è riscontrata – si legge nel documento –, un’eccessiva concentrazione di operatori e macchinari all’interno dei singoli ambienti che, in molti casi, non presentano neppure i requisiti tecnologici previsti dalla normativa sugli impianti elettrici, di climatizzazione e ventilazione meccanica”. Si chiede anche l’adeguamento degli edifici, risalenti agli anni Trenta, alla sicurezza antisismica e antincendio. E PENSARE CHE l’ospedale Sac- co di Milano con i fondi Sars nel 2003 ha messo a punto un laboratorio Bsl-4. Nel 2004 ha chiesto l’accreditamento al ministero, che è arrivato dieci anni dopo. Perché tanta resistenza? Mancando una normativa di riferimento, fanno sapere dal Sacco, ogni volta il direttore deve chiedere ai funzionari di quali documenti abbiano bisogno. Per il riscontro di un collaudo passano otto mesi o un anno. Dopo solleciti via fax e mail 21 maggio scorso è arrivato il nullaosta. “Il ministero ha escluso il Sacco dai destinatari del bollettino emergenze biologiche, che riguarda tutte le epidemie, da Ebola alle influenze stagionali – raccontano da Milano –. Soltanto a luglio ci hanno inserito nella lista”. Sullo stesso piano dello Spallanzani, in teoria. Ma pur disponendo del laboratorio Bsl-4, le provette con i campioni sospetti di Ebola devono mandarli sulla via Portuense. Di Stefano e il nido all’Eur con la coindagata IL DEPUTATO PD INQUISITO PER CORRUZIONE COMPRÒ UNA CASA DA 850 MILA EURO CON LA COMPAGNA (DIRIGENTE LAZIOSERVICE) di Marco Lillo unire i destini di Claudia Ariano, responA sabile del settore immobiliare della controllata della Regione, Lazio Service Spa, e Marco Di Stefano, ex assessore al patrimonio della Regione, non c’è solo una storia d’amore e un’indagine sull’affitto milionario degli uffici di Lazio Service, sponsorizzato da entrambi nella rispettiva veste di politico e dirigente. Ma anche una casa. La novità non emerge dagli atti della Procura, ma dalle visure immobiliari consultate dal Fatto. Negli atti dell’inchiesta invece si legge che il deputato del Pd (ora sospeso) è indagato per corruzione perché “si faceva dare e promettere dai costruttori Antonio e Daniele Pulcini una somma di denaro pari a un milione e 800 mila euro nonché una somma pari a 300 mila euro versata ad Alfredo Guagnelli, suo collaboratore”. Il capo di imputazione cita anche la compagna Claudia Ariano quando definisce il comportamento in ipotesi scorretto di Di Stefano che: “nella qualità di assessore al demanio e patrimonio della Regione Lazio anche per il tramite di (...) Ariano Claudia direttore logistica e servizi generali di Lazio service Spa società partecipata al 100% dalla Regione Lazio per compiere un atto contrario ai propri doveri di ufficio consistito nel promuovere e autorizzare – al solo fine di soddisfare gli interessi economici degli imprenditori Pulcini nella sua qualità di rappresentante della proprietà, nell'assemblea ordinaria di Lazio Service Spa tenutasi il 5 agosto 2008 la ricerca di una nuova sede del predetto ente e nel fare in modo che la gara a evidenza pubblica bandita da Lazio Service per l’individuazione di un immobile da locare e adibire a nuova sede sociale fosse aggiudicata alla società Belgravia Invest srl riconducibile agli imprenditori Pulcini nonostante la Belgravia non avesse né la proprietà né la piena disponibilità dell'immobile e altresì che il prezzo pattuito per la locazione ammontasse a 3 milioni e 725 mila euro del tutto esorbitante e fuori mercato”. In una richiesta di proroga delle intercettazioni al Gip, datata gennaio 2013, i pm Maria Cristina Palaia e Corrado Fasanelli dedicano un paragrafo al legame tra Ariano e Di Stefano. “A ispessire il legame che, come sopra indicato, sembrerebbe permanere tra Di Stefano e i vertici di Lazio Service spa, si pone la circostanza che vede questo politico laziale ancora in rapporti con l’altra indagata nel procedimento: Claudia Ariano, dirigente della citata società. Da alcune comunicazioni oggetto di intercettazione emerge l'esistenza, fra i due indagati, di un legame sentimentale e di convivenza”. Ora Il Fatto ha scoperto con una visura che, un paio di anni dopo l’affare incriminato tra i Pulcini Marco Di Stefano Ansa e Lazio Service, il 5 dicembre del 2011 la coppia Di Stefano-Ariano acquista un villino all’Eur per il prezzo di 850 mila euro. La casa si sviluppa su due livelli e vanta un bel giardino circostante più un posto auto coperto per complessivi 12 vani catastali, che diventano 9,5 dopo la variazione di classamento al Catasto, nel 2012. Claudia Ariano nell’atto si intesta il 100 per cento della nuda proprietà mentre il politico del Pd si riserva l’usufrutto. Il pagamento del villino è avvenuto per 370 mila euro con assegni circolari della Cassa di Risparmio di Civitavecchia e per 480 mila LEGAMI IMMOBILI euro con il ricavo di un mutuo. Dagli atti di indagine non emerTre anni dopo ge nessun collegamento tra l’acquisto e la presunta tangente la presunta tangente (tutta da accertare) anche perla coppia sotto inchiesta ché Il Fatto ha verificato che Di Stefano, oltre al mutuo, poteva acquistò il villino, disporre anche del ricavato della vendita di una casa in via Aupagato anche con un relia, ceduta per 287 mila e 500 mutuo di 480 mila euro euro nel luglio del 2010. 10 COSE LORO MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014 SIl presunto trage via Palestro basista contro Spatuzza “SONO INNOCENTE, Spatuzza mi ha accusato per una vendetta trasversale, per colpire mio fratello Vittorio”. Così ieri in aula Filippo Marcello Tutino, il presunto basista della strage mafiosa di via Palestro del 27 luglio 1993, imputato a Milano. Rispondendo alle domande del suo difensore e del pm, Tutino ha respinto l'accusa emersa in seguito alle rivelazioni del collaboratore Gaspare Spatuzza, di aver partecipato alla strage in cui morirono cinque persone per l'esplosione di un’autobomba davanti al Padiglione di arte contemporanea. Tutino, secondo l’accusa, sarebbe stato scelto come basista “perché conosceva il Fatto Quotidiano Milano”. “Nel luglio '93 ero a Palermo ha spiegato - ho conosciuto Spatuzza nel 1984”. Secondo Tutino, Spatuzza avrebbe parlato di un suo coinvolgimento per “fare una cattiveria” nei confronti del fratello, Vittorio, perché quest’ultimo “si era rifiutato di collaborare con la giustizia”. Morte del medico di Binnu Ingroia indagato per calunnia L’EX PM INQUISITO PER AVER DETTO: “DEPISTATA L’INCHIESTA SUL DOTTORE DI PROVENZANO” di Giuseppe Lo Bianco D Palermo opo dieci anni trascorsi a cercare di archiviare come suicidio la morte misteriosa di un giovane medico trovato sul suo letto con il volto tumefatto e due buchi sul braccio “sbagliato” e dopo avere estromesso la parte civile dal processo contro l’unica imputata accusata di avere ceduto al medico una dose di eroina risultata fatale, la Procura di Vi- terbo individua un presunto colpevole di calunnia e invia un avviso di garanzia all’avvocato Antonio Ingroia, legale di parte civile dei familiari di Attilio Manca insieme con l’avvocato Fabio Repici. La sua colpa? Avere sostenuto nella sua arringa che quelle indagini sono state “manipolate e depistate”, valutazioni ritenute calunniose a dispetto dell’art.598 del codice penale che prevede la “non punibilità” delle offese (ammesso che ve ne siano state) contenute negli interventi delle parti processuali. “È una mostruosità giuridica, quel pm è un analfabeta del diritto oppure è in malafede: lo denuncerò al Csm e forse anche penalmente’’, attacca Ingroia che rilancia il caso Manca a tutto campo: “Chiederò alla Bindi di essere sentito in antimafia e al procuratore aggiunto Agueci di essere ascoltato anche dalla Procura di Palermo”. Intanto il prossimo 1 dicembre andrà a sedersi di fronte al pm di Viterbo Renzo Petroselli, che da dieci anni conduce le indagini su quell’omicidio, considerandolo una L’EX morte accidentale, TOGA L’ex con risultati assai magistrato bizzarri: sul banco dell’inchiesta degli imputati c’è sulla Trattativa una presunta spacStato-mafia, ciatrice che avrebbe Antonio Inceduto la dose morgroia LaPresse tale ad un medico che non faceva uso di droga e che, da mancino incallito, se la sarebbe iniettata sul braccio sinistro. UNA SORTA di “acrobata del suicidio dolce” che dolce non è stato per nulla: le foto del cadavere segnate dai lividi e mostrate alla trasmissione Chi l’ha visto raccontano una morte violenta che avrebbe dovuto essere approfondita in ben altre indagini. “Vedremo chi interrogherà chi – prosegue Ingroia – il processo di Viterbo è una farsa, Attilio Manca non è morto per overdose, ma è stato brutalmente ucciso. La Procura di Viterbo, e non solo quella, non vuole la verità sul caso Manca. L’avviso di garanzia che mi è stato notificato dal chiaro contenuto intimidatorio vuole colpire Antonio Ingroia non come avvocato, ma come ex pm del processo sulla trattativa Stato-mafia”. Le due vicende, infatti, sono collegate: Attilio Manca era tra i pochi in Italia a eseguire l’inter- IL CASO Il magistrato difendeva la famiglia di Attilio Manca, deceduto. “Mi attaccano per la Trattativa. Voglio parlare in Antimafia” vento di laparoscopia del tumore alla prostata di cui era affetto il boss allora latitante Bernardo Provenzano, operato a Marsiglia nel 2003. “Sono certo che l’omicidio Manca – aggiunge Ingroia – sia collegato alla trattativa Stato-mafia. Provenzano IL FORZISTA TARQUINIO A FOGGIA “Qui niente pizzo!” Ma il figlio lo paga P er il senatore di Forza Italia Lucio Tarquinio il pizzo proprio non esiste, soprattutto a Foggia. Tanto che domenica scorsa, in polemica con l’ex sindaco di Bari, Michele Emiliano, che aveva denunciato il fenomeno delle estorsioni a Foggia, Tarquinio aveva detto: “Se sa qualcosa, vada in Procura”. In realtà, Antonio, il figlio del senatore, secondo gli atti dell’inchiesta Corona della Dda di Bari, pagava tremila euro al mese di pizzo alla mafia di Foggia. In cambio otteneva protezione per la sua ditta di costruzione Ites. Scrivono gli agenti del Ros: “mediante minaccia” costringevano “l'imprenditore Antonio Tarquinio a versare in loro favore una somma pari a circa 3mila euro mensili”. E questo si chiama pizzo, ma il senatore Tarquinio forse non lo sa. doveva essere curato e rimanere in vita perché era il garante di quel patto scellerato. L’urologo è entrato in contatto a sua insaputa con questa vicenda e quando si è reso conto di chi aveva curato è stato ucciso. La mafia non opera in questo modo, sono entrati in azione gli apparati, depistando le indagini”. UN’INFORMATIVA firmata da Salvatore Gava, funzionario di polizia condannato a 3 anni (“guarda caso”, dice Ingroia) per falso, attestò che Manca non aveva lasciato l’ospedale Belcolle di Viterbo nei giorni dell’operazione di Provenzano a Marsiglia, nel luglio del 2003. “Ma dal foglio delle presenze del per- sonale in servizio in ospedale risulta che dal 20 al 23 luglio e dal 25 al 31 luglio di quell'anno Attilio Manca era assente in ospedale a Viterbo, mentre Bernardo Provenzano si sarebbe trovato a Marsiglia per tutto il mese di luglio”, e il boss è stato poi ricontrollato alla fine di ottobre, periodo in cui dal foglio dell’ospedale risultano altre assenze di Attilio Manca. E alla fine della conferenza stampa l’ex aggiunto tira la volata al vertice della procura di Palermo al suo ex collega Guido Lo Forte: “Non so quanto sto per dire possa giovargli – conclude Ingroia –, ma la costruzione giuridica del reato oggi contestato agli imputati della trattativa è anche merito suo”. Scopelliti e le elezioni: “Voglio gente ben vestita” MILANO, ECCO I RAPPORTI TRA UN BOSS E IL FRATELLO DELL’EX GOVERNATORE. COSÌ PREPARAVANO I BUS PER LA CAMPAGNA ELETTORALE di Davide Milosa Milano drangheta e politica a ’N Como: il “santista”, l’assessore comunale Francesco Scopelliti, fratello dell’ex governatore calabrese, e Gian Pasquale Bertossi, già membro della direzione nazionale dell’Udc. In mezzo la richiesta dell’assessore (oggi consigliere comunale con casacca Ncd) al boss per organizzare pullman di calabresi da mandare a Milano per l’arrivo del fratello Giuseppe Scopelliti, all’epoca (è il 2010) candidato alle Regionali che vincerà. Ma se il “santista” dei clan a metà novembre finisce in carcere per mafia, i due politici non risultano indagati. La storia inizia così. PER CAPIRLA bisogna incrociare due indagini della Direzione distrettuale antimafia di Milano. La prima è l’operazione “Insubria” che il 18 novembre ha dato scacco a 40 presunti affiliati delle cosche di Como e Lecco. Tra questi Alfredo Rullo, santista (una delle cariche più alte della ‘ndrangheta) con cerimonia celebrata in Carimate il 18 aprile 2014 e affiliato, sostiene la Procura, alla locale di Fino Mornasco. Indaga il Ros, coordina il procuratore aggiunto Ilda Boccassini che chiarisce: “In questa inchiesta non c’è politica”. E’ vero. Nelle 800 pagine di ordinanza firmata dal giudice Simone Luerti si parla solo di affiliazioni, doti , estorsioni. Eppure Alfredo Rullo, arrestato per 416 bis, è anche tra i protagonisti di un’altra indagine. Si tratta dell’inchiesta “Arcobaleno”, istruita nel 2009 dal pm Mario Venditti (all’epoca organico alla Dda) e sulla quale pende richiesta di archiviazione. Per due anni Venditti indaga sulla ‘ndrangheta di Fino Mornasco, come fa anche il Ros. Di più: i due fascicoli condividono molti indagati. Oltre a Rullo c’è Michelangelo Chindamo, eminenza grigia della malavita calabrese nell’Alta Brianza. Le indagini si completano a vicenda. Perché se da un lato Venditti non dimostra la mafiosità di Rullo (come invece fa il Ros), dall’altro accerta i contatti dello stesso con la politica. Tanto che nell’informativa “Arcobaleno” firmata dai carabinieri di Como il presunto “santista” viene descritto così: “Costituisce elemento di raccordo tra alti esponenti della ‘ndrangheta lombarda e politici di rilievo come l’assessore al Comune di Como Francesco Scopelliti e il responsabile provinciale dell’Udc Gian Pasquale Bertossi ai quali procura voti e presenze della comunità calabrese nelle pubbliche riunioni”. Succede per Scopelliti quando “chiede aiuto a Rullo affinché si riesca a organizzare un gruppo di persone, soprattutto calabresi, che in pullman raggiunga Milano dove arriverà il fratello, sindaco di Reggio Calabria, nel contesto della prossima campagna elettorale per le elezioni regionali”. Le intercettazioni colorano il quadro. Il 17 febbraio 2010 nella rete finisce il dialogo tra Rullo e Scopelliti. Ecco le parole dell’allora assessore di Como: “Lunedì sera, c’è mio fratello a Milano! Allora io volevo che tu mi mettessi su una ventina di persone, vestite bene e perbene per andare a trovarlo e poi così ve lo posso presentare”. Il boss si metterà subito al lavoro. EX GOVERNATORE Nel 2010 vince le Regionali in Calabria. Per quella tornata elettorale, il fratello Francesco attiva uomini dei clan AL TELEFONO Il fratello all’uomo della ‘ndrangheta: “Metti su una ventina di persone, così lunedì vi presento mio fratello” LA FIGURA DI RULLO, si legge nella carte di “Arcobaleno”, emerge già nel marzo 2009, quando viene sentito a sommarie informazioni un ex poliziotto che racconta di aver conosciuto il presunto “santista” della ‘ndrangheta durante un ricovero alla casa di cura Villa Aprica. Dopo le dimissioni il boss lo invita a cena. L’appuntamento è a Cadorago. Rullo è lì ad aspettarlo. Poco dopo arriva una Maserati dalla quale scende Gian Pasquale Bertossi. Da qui il gruppo parte verso una grande villa a Lurago Marinone. “Giunti alla villa – scrivono i carabinieri –, la fonte rimaneva fortemente impressionata da quell’ambiente, frequentato da molte persone, tutte di origine calabrese tra cui qualcuno venuto dalla Calabria per partecipare alla cena” durante la quale si discuteva “della compilazione delle liste dei candidati a sindaco per le elezioni di giugno 2009 (…). La fonte specificava che l’invitato d’onore era il Bertossi e che tutti rivolgendosi a lui lo chiamavano con il titolo di onorevole”. Del resto i carabinieri registrano diversi contatti tra Bertossi e Rullo. Come quello al New Moon Light di Bulgorello. Qui oltre all’onorevole e al “santista” c’è anche il presunto boss Michelangelo La Rosa soprannominato “bocconcino”. 26 NOVEMBRE 2014 SPEZZATINO FERROVIE il FATTO ECONOMICO » Al centro dello scontro tra l’ad delle Fs Elia e il presidente Messori ci sono le scelte su cosa e come privatizzare 11 SALVARCI SENZA EURO LA GUERRA DEL LOTTO » La concessione scade nel 2016, ma è cominciata la guerra di lobbying per il gioco più popolare » Non siamo condannati, ma ci serve la flessibilità del cambio, scrive Alberto Bagnai nel suo nuovo libro all’interno LA RETE Marco Bogarelli guida la società che domina il business del pallone, gestisce i diritti tv e adesso il marchio della Nazionale. Ma ha anche altri interessi NON SOLO INFRONT, TUTTI GLI AFFARI DEL PADRONE DEL CALCIO ITALICO di Stefano Feltri A Marco Bogarelli si possono fare molte critiche ma non contestargli la mancanza di ambizione: immagina stadi con 1.000 schermi connessi in wi-fi, per vedere statistiche e moviole, progetta di cancellare la Europa League per far giocare sei squadre italiane in Champions, ha detto alla Gazzetta dello Sport. Bogarelli è il padrone del calcio italiano: presiede Infront Italy, 225 milioni di fatturato e 11,6 di utile, la società che si occupa di assistere la Lega Calcio nella vendita dei diritti tv ma anche di gestire l’immagine dei principali grandi club (l’ultimo accordo con l'Inter dell'indonesiano Erik Thohir che da Infront avrà 20 milioni all'anno garantiti) e delle grandi manifestazioni di sci, pallavolo, equitazione. BRACCIO ITALIANO della multinazionale Infront Sports & Media, presieduta da Philippe Blatter difficile fare affari. Molto è stato scritto sui legami di Bogarelli con il mondo Fininvest, poco sulle sue altre relazioni d’affari. Dalle visure camerali emerge, per esempio, un filo che arriva alla Sopaf, società finanziaria milanese il cui crac ha determinato l’arresto dei fratelli Magnoni che la guidavano. Dalla Sopaf arriva uno dei partner di Bogarelli in Infront, Giuseppe Ciocchetti, manager che della finanziaria dei Magnoni è stato al vertice per dieci anni. Bogarelli però ha un legame più diretto con i Magnoni. È azionista con il 15,1 per cento di una società che si chiama Sfera Investimenti, un altro degli uomini Infront, l’ex direttore di Milan Channel Andrea Locatelli ha il 2,3 per cento, e c’è anche Ciocchetti, con lo 0,6. Ma chi comanda con il 73,5 per cento è l’ex conduttore di Mtv Andrea Pezzi, diventato imprenditore dalle alterne fortune. A Sfera, zero ricavi nel 2013 e una perdita di 5mila euro, fa capo l'83 per cento della Ovo Italia, un altro 9,6 è proprio della Sopaf. (nipote del Sepp della Federazione internazionale OVO È UNA SOCIETÀ STRANA: una video-endel calcio, la Fifa), la Infront Italy di Bogarelli ha ciclopedia lanciata nel 2006 nell’orbita del mondo un potere simile a quello dei grandi agenti tele- Fininvest, guardata con simpatia da Macello Delvisivi, il lato imprenditoriale dello spettacolo è di l'Utri e ispirata all'Ontopsicologia dell'ex frate Ansua competenza. A giugno ha chiuso un accordo tonio Meneghetti, come raccontò nel 2008 Peter molto discusso che garantisce alla Lega di Serie A Gomez sull’Espresso. I fratelli Ruggero, Aldo e 945 milioni di euro per il 2015 e il 2016 spartendo Giorgio Magnoni sono stati arrestati anche per i i diritti di trasmissione tra Sky e Mediaset. Il grup- finanziamenti alla Ovo che hanno contribuito al po della famiglia Berlusconi esce sempre bene dai dissesto della Sopaf: somme per oltre 5 milioni di negoziati in cui è coinvolta Infront, i critici so- euro “prive di qualsivoglia giustificazione econostengono che questo dipenda dal passato di Bo- mica e funzionali solo a generare illeciti arricchigarelli nel gruppo Fininvest e dal suo legame con menti a favore di terzi”, si legge nella richiesta di Adriano Galliani, amministratore delegato del custodia cautelare. Il 12 giugno 2013 il responMilan ora ridimensionato da Barbara Berlusco- sabile della finanza in Sopaf, Daniele Muneroni, mette a verbale: “Per quel che concerne Ovo posso ni. Milanese, laureato alla Bocconi, 58 anni, GLI INVESTIMENTI PERSONALI Bogarelli è diventato la porta È socio dell’ex dj Andrea Pezzi nella società Sfera, da cui da cui bisogna passare per acdipende il progetto della videoenciclopedia “Ovo” cedere ai tesori che piaceva a Dell’Utri e al quale sono finiti 5 milioni del calcio italiano. Lo sa bene il di euro nel crac della Sopaf dei fratelli Magoni (arrestati) gruppo editoriale del Sole 24 Ore, controllato dalla Confindustria, che questa estate ha sviluppato un progetto ambizioso: cavalcare la popolarità della Nazionale di calcio per la promozione del made in Italy. Abbinare le missioni imprenditoriali nei mercati emergenti, dove l’Italia ha fascino, a partite degli Azzurri. La Nazionale ha 13 sponsor, dalla Tim alle Generali a Nutella. Molti sono già clienti della concessionaria di pubblicità del Sole 24 Ore che, però, ha pensato bene di affiancarsi a Infront nella gara per la gestione del marchio degli Azzurri: ovviamente ha vinto, sfilandolo alla Rcs Sport, società che attraversa un momento difficile. Infront e il Sole 24 Ore si spartiranno i ricavi al 50 per cento, dovrebbero raccogliere circa 70 milioni l’anno di cui 57 garantiti alla Figc di Carlo Tavecchio. Infront ha fatto da apripista, ora il lavoro vero tocca al Gruppo Sole 24 Ore. Ma senza Bogarelli è affermare che l’investimento è stato curato da Luca Magnoni che, se non sbaglio, era amico di Andrea Pezzi, amministratore della società. Anche in questo caso la Sopaf ha continuato a finanziarla fino al 2011. Personalmente pensavo che la Ovo non fosse una società operante in un settore di business particolarmente profittevole né che fosse sinergica con altre società del gruppo e che l’imprenditore Andrea Pezzi non avesse esperienza nel settore dell’imprenditoria in quanto ex DJ”. NON È L'UNICO INVESTIMENTO interessante di Bogarelli. Tra le sue altre partecipazioni dirette c’è la PF Real Estate (fatturato di 243mila euro e perdita di 11mila nel 2013) di cui ha il 27 per cento. A dispetto del nome, non è una società immobiliare ma si occupa di commercio di energia. Anche qui ci sono Ciocchetti e Locatelli nel capitale, col 9 e il 27 per cento. Ma il socio che conta è la International Global Trading. L’energia è l'ultima passione imprenditoriale di Francesco “Franco” Dal Cin, che della Pf Real Estate è l'amministratore. Classe 1943, Dal Cin è un nome storico del calcio: è stato il patron prima della Reggiana e poi del Venezia Calcio, ha subito una squalifica sportiva di cinque anni per la contestata combine (nella quale ha sempre negato di aver avuto alcun ruolo, aveva anche già ceduto la squadra) con il Genoa di Enrico Preziosi nel 2005. Nello stabilimento di Preziosi venne sequestrata una valigetta con 250 mila euro. Nel 2011 Dal Cin è stato assolto, le intercettazioni sono state giudicate inutilizzabili. Negli schemi del calcio italico, Dal Cin era parte del fronte anti-Juventus di Luciano Moggi al quale, a grandi linee, anche Bogarelli (di area Milan) si può iscrivere. La International Global Trading è controllata dai due figli di Dal Cin, Michele (ex dirigente del Venezia, squalificato pure lui all'epoca) e Mara, col 50 per cento a testa. Molto più vicina ai business abituali di Bogarelli è un'altra delle sue partecipate, la Deruta20 (in liquidazione, via De Ruta è l’indirizzo della Infront a Milano): nel 2013 ha dovuto duellare con gli abitanti della periferia milanese per costruire con la Deruta il tendone di X-Factor, la trasmissione di Sky seguita da Infront. “Ma cos'hanno da protestare? Semmai voglio l'Ambrogino d'oro a dicembre”, diceva al Corriere della Sera Bogarelli nel 2013. Nel 2014 nella lista dei candidati alla massima onorificenza del Comune di Milano sono entrati Tavecchio, poi scartato, e Adriano Galliani, approvato. Per Bogarelli, quindi, forse è solo questione di tempo. È UNA BOLLA? Debito, le cose vanno un po’ troppo bene DUE GIORNI FA a Piazza Pulita, su La7, l’imprenditore-politico romano Alfio Marchini ha detto che l’Italia deve ristrutturare il suo debito perché così non è più sostenibile e impedisce la ripresa. Un’impresa cerca di convincere i creditori a un rinvio dei rimborsi o a uno sconto quando non è più in grado di pagarli. Per uno Stato sovrano, che ha continuo bisogno di finanziarsi sul mercato, equivale al default. Si potrebbe discutere per giorni se la traumatica ricetta ha senso. Ma è più interessante la premessa: davvero il debito italiano è insostenibile? Sembra di no: il rendimento dei buoni del Tesoro a 10 anni è passato in un anno dal 4,09 per cento al 2,17, costa oggi la metà che a fine novembre 2013. Nell’ultimo Rapporto sulla Stabilità finanziaria della Banca d’Italia si legge che il ministero del Tesoro ha riportato la durata media del debito residuo a 6,4 anni: una buona notizia, nei tempi difficili si accorcia perché finanziarsi a breve costa meno ed è più facile se gli investitori non si fidano di avere indietro i loro soldi dopo 10 anni. A fine giugno, ultimi dati disponibili, la quota di debito italiano in mano a non residenti, quelli più inclini a vendere in caso di panico, era il 29,4 per cento, in aumento del 2,4 rispetto alla fine del 2013. E, visto che i buoni del Tesoro rendono meno, di tutti quelli in circolazione ora le banche italiane ne hanno il 20,1 per cento. Tantissimo, ma meno del 21,7 di un anno fa. Un’inversione di tendenza importante. In estate si è vista una certa fuga dagli asset italiani, misurata nel sistema Target2 (compensazione tra Banche NEL centrali dell’area euro), ma PALLONE Bankitalia dice che “probaMarco Bogarelbilmente” si è trattato solo li, 58 anni, ha dell’effetto di alcune operafondato Media zioni del Tesoro nella gePartners, che poi stione del debito. è stata assorbita Dal lato del debito va tutto dalla multinabene, insomma. Anche zionale Infront troppo. La crescita non si vede, il Pil nel 2015 crescerà al massimo dello 0,5-0,6 per cento, il debito aumenterà ancora al 133,8 per cento, il deficit sarà almeno il 2,7 (ma molti si aspettano che, a consuntivo, quel del 2014 risulterà superiore al 3 per cento, trascinando al rialzo il dato 2015 e innescando sanzioni europee). La manovra è piena di buchi, tra clausole di salvaguardia, tagli lineari dall’impatto incerto e misure anti-evasione che, seppur descritte come serie dai tecnici, possono essere valutate davvero soltanto ex post. Se i mercati fossero razionali, dovrebbero guardare con maggiore sospetto all’Italia, soprattutto ora che la Banca centrale europea sembra bloccata tra le promesse di Mario Draghi e i veti del tedesco Jens Weidmann. Invece gli investitori continuano a trattarci con benevolenza. Quando nella finanza ci sono cose inspiegabili, spesso si tratta di bolle, cioè di comportamenti assurdi basati su ipotesi sbagliate. Tutte le bolle scoppiano. E di solito fanno molti danni. Twitter @stefanofeltri 12 il FATTO ECONOMICO 26 NOVEMBRE 2014 FERROVIE Meglio vendere quote del gruppo o parti non strategiche? La privatizzazione al centro dello scontro tra l’ad Elia e il presidente Messori SPEZZATINO O PIATTO UNICO? DILEMMA PER FS di Daniele Martini B ei tempi quando c’era lui, Mauro Moretti, un uomo solo al comando delle Ferrovie. Sbagliava tanto, non ammetteva critiche e aveva irregimentato l’azienda come una caserma. Ma almeno si sapeva chi teneva il bastone in mano. Ora è una babilonia, una guerriglia continua tra l’amministratore delegato, Michele Elia, e il presidente, Marcello Messori. ELIA RAPPRESENTA la continuità ferroviaria, ha l'appoggio della vecchia guardia ed è stato imposto proprio da Moretti al governo. Messori, invece, è un marziano sui binari, un non ferroviere vissuto come un intruso dal corpaccione dirigenziale di piazza della Croce Rossa, inviato in quel posto difficile da Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia nonché amico di carriera accademica, con una missione ardua: dare una sterzata, razionalizzare e vendere il vendibile di ciò che non è strettamente necessario per far circolare i treni. I due, Elia e Messori, per carattere si somigliano, gentili e disponibili, propensi alla mediazione, distanti dal credo morettiano dello scontro come ragione di vita. La forza delle cose li spinge però verso il conflitto e infatti non vanno d'accordo su niente: dalla ripartizione dei poteri all’esercizio dell’audit interno, dal Tav tra Torino e Lione alla strategia delle privatizzazioni, dal destino dell’immenso patrimonio immobiliare all’utilizzo della rete telefonica e di quella elettrica di pertinenza ferroviaria. MESSORI QUALCHE set- timana fa ha clamorosamente abbandonato le deleghe per le privatizzazioni trasferendole al consiglio di amministrazione che a sua volta le ha girate a Elia. A quel punto è intervenuto Padoan che se le è riprese trasferendo il compito a un comitato ad hoc. In pratica le Ferrovie sono state commissariate. Elia e il suo squadrone ferroviario giocano come agli ordini di una specie di supercoach fantasma, Moretti appunto. Che da quando è passato alla Finmeccanica non ha smesso di pensare ai treni, continuando a influire per interposta persona, cioè Elia. I due hanno costruito insieme e in perfetta sintonia le rispettive belle carriere ferroviarie, si sentono al telefono tutti i giorni, più volte al giorno. Raccontano che la voce di Moretti cali su Elia perfino nel corso dei consigli di amministrazione Fs e che l’amministratore in carica non faccia niente per dissimulare le incursioni del predecessore. Sulla testa di entrambi pende però la spada della strage di Viareggio, 32 GLI SFIDANTI BANCARI Abi e sindacati, rottura sul contratto D ialogo finito. I sindacati bancari hanno rotto le trattative con Abi, l’associazione dei banchieri, sul rinnovo del contratto di categoria già prorogato al 31 dicembre, e si preparano a proclamare uno sciopero che dovrebbe svolgersi da metà gennaio. Lo ha annunciato ieri Lando Sileoni, segretario della Fabi, uscendo dalla sede milanese dell'Abi, dove c'è stato un incontro fra i sindacati e gli istituti di credito rappresentati da Alessandro Profumo. L'intenzione di ricorrere a gennaio a uno sciopero nazionale è stato confermato anche dalle altre sigle sindacali presenti all'incontro, spiegando che una serie di problematiche tecniche legate alle procedure sindacali impedisce di scendere in piazza prima. Il punto al centro della rottura delle trattative è la proposta di cancellazione dal contratto nazionale di incrementi automatici del salario, previsti con gli scatti di anzianità e con le voci di calcolo del Tfr, con l'obiettivo, da parte dei banchieri, di avere una riduzione strutturale del costo del lavoro. Allarme tra i sindacati anche sulla questione legata al maggiore peso che Abi vuole dare alla contrattazione aziendale. L’Abi, in un comunicato, parla di “anacronistica indisponibilità” dei sindacati a valutare positivamente le aperture dell'associazione", che ha portato all'attuale situazione di stallo. “Hanno perfettamente ragione, siamo anacronistici perché difendiamo i diritti dei lavoratori, perché vogliamo garantire alla categoria un contratto di lavoro”, ha ribattuto Sileoni. “Siamo anacronistici perché chiediamo una riduzione del 30% del compenso dei manager che guadagnano una media di 1,9 milioni di euro all’anno. Loro sono moderni, lo dimostrano i 177 miliardi di sofferenze bancarie, generate soprattutto a causa dei prestiti regalati agli amici degli amici, e i 68 mila posti di lavoro tagliati”. Cam. Con. L’ad di Fs, Michele Mario Elia, e il presidente, Marcello Messori Ansa/LaPresse ALL’ULTIMO BINARIO Il capo azienda difende la linea di continuità, ispirato dal suo predecessore Mauro Moretti (ora a Finmeccanica), il Tesoro interviene e impone un comitato di esperti morti per il deragliamento e l'incendio di un treno merci. Entrambi sono accusati di strage, Moretti come capo Fs, Elia come amministratore della rete (Rfi), il processo è in corso e la sentenza attesa tra la fine di gennaio e febbraio. Il nervo è così scoperto che Elia ha voluto insolitamente coinvolgere nella faccenda perfino il consiglio di amministrazione, mettendo i fatti di Viareggio all’ordine del giorno e trattandoli con una specie di controinchiesta rispetto a quella ufficiale dei magistrati in cui si è autoassolto addossando la colpa ai tedeschi proprietari del carro difettoso. LO SCAZZO Elia-Messo- ri è cominciato subito dopo la nomina di entrambi. Il primo terreno di scontro è stato la ripartizione dei poteri. Poi si sono beccati sull’audit che Messori è riuscito a conservare. Più di recente la profondità del fossato che li separa è stata pubblicamente misurata in Parlamento quando i due, convocati per un’audizione sulla controversa Alta velocità Torino-Lione, hanno mostrato ai parlamenta- GIOCO La concessione a Lottomatica scade nel 2016. Ma le lobby sono già all’opera LA GRANDE GUERRA PER IL LOTTO 8 giugno 2016 L’ sembra lontanissimo. Non per i signo- ri del gioco, però. In vista di quella scadenza le lobby dell'azzardo sono entrate in fibrillazione, consapevoli che per loro in quel giorno fatidico cambierà il mondo. SUCCEDERÀ una cosa mai vista nella breve e ricchissima (di soldi) storia del business dei giochi: per la prima volta dopo 22 anni dovrà essere riassegnato l'appalto del Lotto e le lobby sono scatenate perché nella legge di Stabilità, cioè subito, devono essere indicati i criteri con cui il popolare e antico gioco sarà messo in gara. Finora il Lotto è sempre stato saldamente nelle mani di una sola azienda, quella che oggi si chiama Lottomatica-Gtech, è guidata da Marco Sala e fa parte del gruppo DeAgostini. Lottomatica ha finora gestito il concorso con avvedutezza, prendendolo che era un cane morto e facendolo diventare un levriero, con un giro d'affari di oltre 6 miliardi di euro l'anno, nonché una delle fonti di entrate più cospicue per l'erario che dal Lotto incassa 1 miliardo e 200 milioni ogni anno. Al momento è impossibile azzardare previsioni su chi acciufferà il grande business. Dipenderà da come sarà definita la gara che per legge dovrà essere aperta alla concorrenza europea. Fondamentale per i signori del gioco è partire con il piede giusto. Per questo stanno concentrando l'attenzione su chi quelle norme le prepara. Uno su tutti: Italo Volpe, ex capo del legislativo del ministero dell'Economia e ora direttore degli affari legali dei Monopoli di Stato. Un magistrato prestato alla regolamentazione dell'azzardo e rimasto al suo posto nonostante la legge Madia sui doppi incarichi. E questo perché salvato da un emendamentino chiamato, appunto, dai giornali “comma Volpe”. LOTTOMATICA spera di tenersi in casa il concorso, ma non è detto ci riesca e aizza perfino i sindacati agitando lo spauracchio di 400 esuberi (su un organico di 1.500 dipendenti) nel caso la campagna dovesse fallire. Per evitare brutte sorprese l'azienda, diventata una multinazionale con sede a Londra, ricorre agli amici. A partire dal giro dei parlamentari, con in cima alla lista Alberto Giorgetti, deputato di An, poi Pdl, Ncd e ora Forza Italia, esperto del settore, SUL TAVOLO VERDE Tutto dipenderà da come verrà scritto il bando di gare. Il contendente è la Sisal che sta muovendo le sue pedine, ma nella partita potrebbero entrare anche i temuti inglesi sottosegretario in tre governi di fila, Berlusconi, Monti e Letta, con la delega specifica per la regolamentazione dei giochi. Buon amico proprio di Italo Volpe, Giorgetti all'inizio dell'estate stava per entrare ufficialmente nella squadra Lottomatica e MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014 13 FRANCESCO DI STEFANO Europa7 soffocata (anche) dallo Stato che non paga di Andrea OLTRE AL DANNO, LA BEFFA Francesco Giambartolomei Di Stefano attende 360 mila euro di risarcimento dallo Stato Olycom ri allibiti due approcci opposti. Ben allineato e coperto dietro le cifre dell'era Moretti il continuista Elia. Non pregiudizialmente contrario all’opera, ma preoccupato di verificare bene i dati sui reali costi e benefici della costosissima impresa l'intruso Messori. LA POSTA IN GIOCO ve- ra sono le privatizzazioni. Anche in questo Elia si pone comodo sulla scia del predecessore e ne ripete il mantra: conservare l’unicità dell’azienda (e il relativo blocco di potere con tutte le poltrone connesse), no allo spezzatino di singole parti, mettere sul mercato il 40 L’ULTIMA ESTRAZIONE L’8 giugno 2016 scade la concessione per il Lotto dopo 22 anni Ansa con un’intervista al Corriere di Verona aveva annunciato le dimissioni da deputato (“mi autorottamo”). Poi però si sono messi di traverso i Cinque Stelle del Veneto e all'improvviso Giorgetti ci ha ripensato. Lottomatica si è rivolta allora a un altro lobbista per cento della holding facendo incassare 3 miliardi di euro al Tesoro. Messori ha un’idea completamente diversa. Ci sono beni di eccezionale valore che non servono alle Ferrovie quindi andrebbero venduti al miglior offerente incassando probabilmente anche di più. L’elenco dei gioielli ferroviari è lungo, dalle perle come la parte commerciale delle 14 Grandi Stazioni all'immenso patrimonio immobiliare, quasi tutto incistato nei centri storici delle città. Fino alle due reti, l’elettrica e la telefonica. La prima è composta da 867 chilometri di elettrodotti e 9 di prima grandezza: Giuliano Frosini, manager ben introdotto con Matteo Renzi e con l'ambiente dei Monopoli, Volpe compreso, avendo già lavorato in passato per Lottomatica. Ex assistente di Antonio Bassolino a Napoli, ex “D’Alema boy”, dopo una parentesi a Terna, Frosini questa primavera è stato nominato consigliere di amministrazione delle Fs e ora, senza lasciare l'incarico nell'azienda dei treni, è tornato a dare man forte alla casa madre. ANCHE LA RIVALE di sempre di Lottomatica, la Sisal di Emilio Petrone, si prepara per la guerra del Lotto. Pure Petrone è ben ammanicato con Volpe, come risulta dagli atti di indagine su Massimo Ponzellini, presidente della Banca popolare di Milano rinviato a giudizio con l'accusa LA LISTA DELLA SPESA Ci sarebbero molte parti dell’azienda da mettere sul mercato: il settore commerciale delle 14 Grandi Stazioni, gli immobili, le reti elettrica e telefonica mila di linee e da sola vale 1 miliardo di euro. La rete telefonica si chiama Gsm-Railway, è lunga 11.500 chilometri e nessuno ha stimato il suo valore. A Elia non interessa, dice che per far andare i treni le Ferrovie non possono farne a meno. di aver elargito finanziamenti in maniera disinvolta. Sisal sta però attraversando una fase difficile, con la quotazione in Borsa rinviata, debiti per circa un miliardo di euro e il suo gioco di punta, il Superenalotto, in forte calo, con incassi scesi in un anno da 1,8 a 1,3 miliardi di euro. Tra i due contendenti storici questa volta potrebbero inserirsi gli stranieri. A partire dagli anglosassoni, signori del gambling (gioco), aggressivi, all'occorrenza spregiudicati e con le spalle sufficientemente larghe per competere. Come dimostra il caso Stanleybet, calata in Italia da Belfast e Liverpool per occupare il campo delle scommesse sportive a dispetto dei Monopoli e dei concorrenti, a partire da Snai. Ora non resta che seguire la partita. Dan. Mar. L a sua storia di imprenditore imbrigliato nelle maglie della giustizia non è finita. Il serial di Francesco Di Stefano ed Europa 7 non è terminato e la stagione del 2014 è piena di colpi di scena. Centro Europa 7, l’emittente televisiva che avrebbe dovuto rompere il duopolio Rai-Mediaset, è stata dichiarata fallita lo scorso 10 aprile dal Tribunale di Roma, ma attende ancora i risarcimenti stabiliti dal Tar il 2 agosto 2012. Questi risarcimenti le spettavano e le spettano perché lo Stato, o meglio il centrodestra di Berlusconi con il sostegno di una parte del centrosinistra, aveva ostacolato Di Stefano per non danneggiare Rete 4. Così nell’estate di due anni fa i giudici hanno condannato il ministero dello Sviluppo economico a pagare una somma da quantificare con una nuova causa. Parte un altro ricorso al Tar: l’esito, con il conto finale, era atteso per la fine del 2012 ma è arrivato solo all’inizio di quest’anno con nuovi stop fatali per l’emittente. A gennaio i giudici amministrativi stabiliscono che il ministero deve a Europa 7 360 mila euro, pari ai 1.500 euro al giorno per ognuno dei 238 giorni di ritardo dall’esecuzione della prima sentenza (dal 12 agosto 2012 al 7 aprile 2013), più gli interessi. A questo punto si pensa che il ministero paghi e invece no. Dopo tre mesi arriva la nuova puntata: siamo ad aprile e Di Stefano non ha ancora visto un soldo, motivo per il quale torna al Tar e chiede che venga nominato un commissario ad acta che curi il pagamento. I giudici nominano il prefetto Maria Troise Zotta che ha 30 giorni di tempo per far eseguire la sentenza. Per l’imprenditore sembra la volta buona, finalmente qualcuno gli farà avere il dovuto. Invece niente. Terza puntata due giorni prima della scadenza del pagamento, il 25 luglio scorso, quando il prefetto invia una nota in cui sottolinea che l’appello della condanna del ministero, quella datata 2012, sarà discussa solo il 10 novembre prossimo al Consiglio di Stato e per questa ragione “ha opportunamente chiesto una proroga del termine”, scrivono i magistrati nell’ordinanza del 19 agosto con cui rinviano il pagamento al 20 dicembre. Nell’attesa il 25 settembre scorso il Tar ha anche respinto il ricorso di Europa Way contro l’annullamento del beauty contest, la gara che avrebbe dovuto assegnare gratuitamente delle frequenze. Così, dopo anni, Di Stefano è ancora intrappolato nei tentacoli dello Stato. VETRI ROTTI L’azienda vuole chiudere la fabbrica nel foggiano Il patron patteggiò una condanna: portò all’estero 2,3 milioni SANGALLI: PRIMA 70 MILIONI PUBBLICI, POI SBARACCA di Camilla Conti E ntro Natale il forno potrebbe essere spento. E con esso le speranze di 400 famiglie, calcolando i circa 250 dipendenti a rischio più l’indotto della Sangalli Vetro a Manfredonia (Foggia). L’azienda veneta, che è il primo produttore di vetro piano in Italia, ha infatti intenzione di fermare l’impianto pugliese a ciclo continuo (e il timore è che lo stop diventi definitivo) per spostarlo nel polo produttivo di San Giorgio di Nogaro, in provincia di Udine. Motivazione: “rendere la posizione industriale del gruppo più competitiva e adeguata alle attuali condizioni di mercato”, si legge sul sito della società che ha già presentato richiesta di cassa integrazione per 12 mesi. In realtà, a essere spostata sarà solo la seconda lavorazione del vetro a risparmio energetico, considerata assai più remunerativa. IL 29 NOVEMBRE inizie- rà il processo di spegnimento del forno che si protrarrà fino a Natale. Il piano è stato rigettato dai sindacati ed è finito anche al centro di una serie di interrogazioni parlamentari presentate dai grillini. “Perché aprire uno stabilimento a San Giorgio di Nogaro per produrre vetro quando quello “gemello” di Manfredonia è in crisi di mercato?”, ha chiesto al ministero dello Sviluppo e a quello del Tesoro il deputato M5S Giuseppe L’Abbate, ricordando l’approvazione di un finanziamento pubblico di quasi 7 milioni concesso dalla Regione Puglia al gruppo Sangalli della cosiddetta Prodi bis”. Il deputato affronta alcuni punti citati come “varie concause dello stato di insolvenza lamentato dal gruppo”. Per esempio, il coinvolgimento del patron Giorgio Sangalli nell’indagine per frode fiscale internazionale nata dalla famigerata “Lista Pessina”. In un articolo del (ora bloccati perché manca la Valutazione di impatto ambientale). Aggiungendo che anche altre aziende del gruppo hanno ricevuto in passato copiosi contributi pubblici (ben 72,8 milioni), cui si aggiungono quelli del Fondo di rotazione per iniziative economiche del Friuli Venezia Giulia. Eppure, a oggi, le condizioni finanziarie del gruppo sono di forte sofferenza e, scrive L’Abbate, “non è da escludere la presentazione della richiesta di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria, ai sensi Corriere del novembre 2009, il nome di Sangalli e della Manfredonia Vetro spuntano fra gli imprenditori visitati dalla Finanza che facevano parte dell'elenco dei clienti di Fabrizio Pessina, l'avvocato svizzero arrestato a Malpensa nel febbraio di cinque anni fa per riciclaggio. Alla Tribuna di Treviso, nel dicembre 2011, il legale di Sangalli precisa che i soldi portati all’estero tramite il sistema Pessina sono 2,3 milioni di euro. La vicenda è stata poi chiusa nel 2012 con un patteggiamento per circa un milione e sei mesi di condanna convertita in multa. Intanto la Sangalli Manfredonia Vetro spa ha chiuso il 2013 in rosso con 8,3 milioni di perdite e un indebitamento di 37,6 milioni. Nel bilancio si legge che dal dicembre 2013 la società è controllata dalla Vetro Partecipazioni spa, costituita a marzo del 2013 e partecipata al 50% dalla lussemburghese Sanipart Sa e al 50% dalla Glasswall Europe Sarl controllata dalla società russa Glasswall di Dmitry Sulin (produttore russo di vetro per edilizia e serramenti) che i veneti hanno fatto entrare nel capitale a novembre dell’anno scorso. Quanto ai bilanci della holding Vetro Partecipazioni, non vi è traccia sulla banca dati della Camera di Commercio. Anzi, dalla visura la società risulta inattiva. NEI GIORNI scorsi a Ve- rona, riferiscono fonti sindacali, si è tenuto un incontro fra la proprietà, le banche e l’advisor Kpmg per la ristrutturazione del debito che sarebbe accompagnata da un concordato liquidatorio delle tre aziende di Manfredonia per garantire la prosecuzione dell’attività a Porto Nogaro, mentre mancherebbe all’appello il piano industriale. Per il 2 dicembre sarebbe invece fissato un confronto al ministero dello Sviluppo economico. 14 26 NOVEMBRE 2014 il FATTO ECONOMICO ENEL L’ex monopolista e lo spot alla caldaia di Koala LA PUBBLICITÀ è l’ani- ma del commercio, ma qualche volta può anche farla perdere, l'anima. È il caso di una campagna pubblicitaria promossa da Enel Energia la cui mamma, Enel spa, è una società controllata dal ministero del Tesoro. Che ormai controlla sempre meno ogni cosa essendo stato caricato, nel tempo, di funzioni a volte anche esternalizzate (Agenzia delle Entra- te, del Demanio, del Territorio) e su cui comunque dovrebbe vigilare. Una campagna pubblicitaria curiosa. Enel Energia da alcuni mesi propone, dal suo sito web, ai propri clienti di acquistare una caldaia a condensazione del marchio Ariston, di proprietà della famiglia dell’indimenticabile ministro dei Lavori pubblici Francesco Merloni, della dinastia democristiana marchigiana. Il cliente può pagare con Pubblichiamo un’anticipazione del nuovo libro di Alberto Bagnai, l’economista che in questi anni più ha animato il dibattito sull’opportunità dell’Italia di rimanere nell’euro, sia con il saggio “Il tramonto dell’euro” che con il suo blog Goofynomics e l’associazione a/Simmetrie. Esce domani per il Saggiatore il suo lavoro, , “L’Italia può farcela”. di Alberto comode rate bimestrali dentro la bolletta elettrica. La cosa è curiosa perché è rivolta innanzitutto a chi è già cliente di Enel energia (per una più forte fidelizzazione? Boh) e in secondo luogo perché pare più una campagna pubblicitaria di Ariston che di Enel Energia. Il gruppo Enel, infatti, nell’immaginario collettivo è ancora associato al modello di un monopolista affidabile costretto più a difendere le sue rilevanti quote di mercato, eredità del vecchio monopolio, dall’arrembaggio di altri competitor che non a fare campagne pubblicitarie aggressive. La Ariston, invece, deve crescere per non essere “mangiata” da qualche gruppo straniero più grande e più solido, come è successo proprio ai cugini marchigiani della Indesit (della famiglia di Vittorio Merloni) venduta agli americani della Whirlpool. Tutto si con- RACCONTANO BALLE fonde e tutto si complica perché davvero si capisce poco l’origine della campagna pubblicitaria ma i suoi effetti sui concorrenti di Ariston sono certi, come ha sottolineato una interrogazione parlamentare del Movimento 5 stelle. A Gianluca Pitruzzella e alla sua Autorità Antitrust l’ultima parola sulla questione. Con la speranza che le sue conclusioni arrivino prima che l’inverno, e le caldaie, siano finite. IL NUOVO LIBRO La Germania non ci aiuterà mai a uscire dalla crisi. Scaricare tutto l’aggiustamento sull’Europa del Sud condanna i suoi cittadini a una vita da pezzenti TUTTI I LIMITI DEL PIANO JUNCKER MILIARDI LE RISORSE STANZIATE DALL’UE IL PIANO d'investimenti del neo presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker sarà svelato oggi. Al di là dei dettagli, però, i titoli sui “300 miliardi” e sugli “investimenti fuori dal calcolo del deficit” sono fuorvianti. Primo: si tratta per la gran parte di “soldi privati”, attirati da un capitale iniziale di 20-30 miliardi che dovrebbe fungere da leva finanziaria in un ottimistico rapporto 1 a 10-15. Secondo: 3/4 del capitale lo versano gli Stati, il resto la Banca europea degli investimenti (che è pubblica). Terzo: solo la quota dei membri Ue verrà scorporata dal Deficit. Quarto: 300 miliardi divisi per i 28 Paesi fa ben poca cosa. Il piano del 2012 da 120 miliardi, per dire, è fallito. L’Italia può farcela, ma soltanto senza euro L’ITALIA PUÒ FARCELA di Alberto Bagnai Il Saggiatore, pag 494, 20,00 ¤ stiti in modo da garantire un sostanziale equilibrio nel lungo periodo, evitando l’accumulazione di sbilanci persistenti. Allo stato attuale l’istituzione più semplice da implementare per contribuire a questo processo in seno all’Unione europea è il ripristino di una naturale flessibilità del cambio fra Paesi membri, almeno finché questi avranno diversi mercati del lavoro (mentre, di converso ogni tentativo di introdurre il cambio fisso in Europa è sfociato in una crisi, prima nel 1992, e poi nel 2008). Bagnai L’ Italia può farcela, e può farcela da sola. Ma intendiamoci bene: “da sola” significa sciolta da un vincolo monetario che, per i suoi errori di progetto (ammessi dallo stesso vicepresidente della Bce, come abbiamo visto), che si traducono nell’atteggiamento schizoide rispetto al ruolo di Stato e mercato su cui ci siamo lungamente soffermati, sta portando un intero continente al suicidio. Sarebbe “retorica europeista di maniera”, come diceva il presidente Napolitano nel 1978, assimilare la scelta strategica di recuperare sovranità e flessibilità a un’opposizione al progetto europeo. SE SI RITIENE, come chi scrive, che NON SI TRATTA DI OPPORSI all’“Europa”. Non si tratta di mollare gli ormeggi e vagare per il Mediterraneo (dove, fra l’altro, tutto saremmo tranne che soli, anche per effetto delle lungimiranti politiche di questa Europa che porta la pace, e che ha contribuito a trasformare la fascia costiera meridionale del Mare nostrum in un focolaio di disperazione e morte, lasciando politica richiea noi, e solo a noi, l’inSUPERARE IL TABÙ de che si mancombenza di gestirne le la flessiinevitabili conseguenze Lasciare che un Paese abbia tenga bilità dei camumanitarie: basti pensabi nazionali. re alla vicenda libica, una valuta che rifletta i suoi I trasferimenti nella quale gli interessi risultati economici è sempre necessari per del nostro paese e, visti i riportare un risultati, delle stesse postato uno strumento per minimo di polazioni coinvolte, sono stati fortemente risolvere gli squilibri, ma noi equilibrio strutturale in compromessi da iniziavi abbiamo rinunciato Europa sarebtive di altri paesi, non bero di un orparticolarmente coordine di grandinate a livello eurodezza politicamente insostenibile per peo). Si tratta di riconoscere che l’“Europa” la Germania. Nessuno, fra l’altro, non funziona perché non può fun- constata mai il rovescio della medazionare, perché le élite che l’hanno glia: se da un lato una politica di tracostruita hanno dichiarato guerra sferimenti è improponibile per il non solo alle classi subalterne, ma an- Nord, che non vuole pagare, c’è da che e soprattutto alla logica (econo- chiedersi quanto sia politicamente mica e politica). proponibile chiedere al Sud di vivere Si tratta di prendere atto di questo perennemente con il cappello in maerrore e di trarne le conclusioni, che no, mendicando sua vita frusto a frupoi sono quelle a cui il Nobel James sto, e questo quando esiste da sempre Meade era già arrivato nel 1957: fin- la certezza tecnica, e ormai da un po’ ché persisteranno disparità struttura- anche la consapevolezza diffusa, che li rilevanti fra i Paesi europei, di tale italiani, spagnoli, greci, portoghesi, entità per cui sia utopistico ovviare potrebbero vivere benissimo a modo con dei trasferimenti, un percorso or- loro a casa loro, come hanno fatto per dinato di integrazione economica e millenni, con risultati spesso superio- 300 ri a quelli raggiunti dai cugini del Nord. Siamo proprio sicuri che gli italiani, nonostante gli sforzi titanici della propaganda autorazzista condotta dagli Scalfari, dai De Bortoli, dai Napoletano, accetterebbero questa vita da pezzenti? E siamo sicuri che chiedere l’altrui misericordia sia l’atteggiamento politico corretto per farsi rispettare in Europa? Notate anche l’amaro dettaglio che, come sempre, fa la delizia, o in questo caso il disgusto, dell’intenditore. Meade parlava di maggior ricorso alla flessibilità del cambio come strumento difensivo nei riguardi di comportamenti ostruzionistici da parte della Germania (ecce hoc novum est!), e ne parlava nel 1957, quando il regime di cambi fissi (ma aggiustabili) di Bretton Woods era in pieno vigore e Triffin non ne aveva ancora evidenziato le incoerenze, le aporie logiche. In una temperie culturale in cui era egemone l’idea della rigidità, Meade indicava chiaramente, senza troppe formule, ma con il giusto quantitativo di logica, il da farsi: ricorrere alla flessibilità. Oggi, nel momento in cui l’egemonia culturale della rigidità si sgretola a livello mondiale, nel mo- mento in cui perfino il Fondo monetario internazionale interviene a chiarire che il progetto di cambio fisso europeo è in controtendenza e creerà problemi, nel momento in cui ciò che Meade vedeva si sta realizzando, noi, qui, continuiamo a considerare tabù quello che da sempre (anche sotto il gold standard) è stato un normale strumento di regolazione degli squilibri: lasciare che un Paese abbia, nel bene e nel male, una valuta che rifletta i risultati economici della sua comunità nazionale. A QUESTO SCOPO È ESSENZIALE che si capisca che il ripristino di un minimo di razionalità economica, il ripristino della flessibilità buona, il seguire (anziché l’opporsi) alle grandi correnti della storia, che quella direzione indicano, è l’unica possibilità che abbiamo per tentare un percorso di mediazione degli interessi in gioco, sia a livello nazionale che a livello internazionale, ed evitare un conflitto catastrofico. Questo perché una razionale gestione dei rapporti internazionali richiede, come abbiamo osservato parlando del tracollo di Bretton Woods, che gli scambi siano ge- l’integrazione economica europea sia un valore da perseguire, il percorso giusto è ancora oggi quello che ci additavano gli economisti degli anni Cinquanta e Sessanta: abolita l’aberrante integrazione monetaria, ricominciare dall’integrazione delle economie reali, cioè dei mercati del lavoro, dei sistemi previdenziali, dei sistemi educativi, mantenendo fra le economie nazionali quei normali presidi dati dall’autonomia delle politiche fiscali, monetarie e valutarie. Cooperazione e coordinamento possono realizzarsi anche senza integrazione, ma non senza volontà politica. Un eventuale successo di simili meccanismi di coordinamento, fra i quali quelli che abbiamo elencato, consolidato in un periodo di tempo sufficientemente lungo, garantirebbe di poter procedere verso forme di integrazione economica più penetrante, fra le quali forse anche quella monetaria, che però, fra economie allineate nei fondamentali (e quindi non sottoposte a reciproche oscillazioni dei cambio di ampiezza preoccupante), diventerebbe, come ci siamo già detti, sostanzialmente inutile. Un eventuale insuccesso di questa sperimentazione, viceversa, segnalerebbe che la volontà politica che anima l’Europa dopo l’euro sarebbe la stessa che ha operato finora nell’Eurozona: quella della sopraffazione, della guerra di tutti contro tutti, dichiarata dal più forte e gestita secondo le sue regole. E allora, posti di fronte a questo dato di fatto, bisognerebbe riconoscere, molto a malincuore, l’opportunità di andarsene ognuno per la propria strada. Un percorso forse non ottimale, ma comunque possibile per un paese come il nostro, che ha più risorse ed energie per affermarsi sul panorama dell’economia globale di quanto un’informazione distorta a beneficio di interessi esterni voglia farci credere. POTERI FORTI il Fatto Quotidiano M ediaset: Tiscali non ci interessa Ma cerca partner Tlc MEDIASET non ha alcun interesse specifico per Tiscali mentre sta valutando le offerte tecnologiche di tutte le compagnie telefoniche attive in Italia per eventuali collaborazioni negli abbonamenti integrati pay tv-broadband annunciati da Mediaset Premium. Lo precisa il gruppo negando relazioni con il rally in borsa di Tiscali. Quest’ultima ieri ha guadagnato un altro 5% dopo aver fatto un balzo alla vigilia del 31% sulle voci di un cambio di proprietà. “In merito a indiscrezioni di stampa che associano Mediaset alle recenti performance borsistiche del titolo Tiscali, la società smentisce MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014 15 qualsiasi interesse specifico nei confronti dell’operatore”. Il gruppo tv “informa, al contrario, di aver avviato una valutazione delle offerte tecnologiche di tutte le compagnie telefoniche operative in Italia al fine di individuare eventuali collaborazioni per gli innovativi abbonamenti integrati pay”. MONOPOLIO GLOBALE di Marco Lillo L’ ultimo dato diffuso ieri allo Iab forum di Milano (il più autorevole appuntamento sul mondo digitale) sul mercato della pubblicità dovrebbe suonare la sveglia per i politici italiani: sul fatturato totale del mercato pubblicitario pari a 7 miliardi di euro, ben due miliardi di euro saranno realizzati on line. La pubblicità sul web cresce dell'11,1 per cento rispetto al miliardo e 800 milioni del 2013 ma quello che impressiona è la quota di mercato stimata di Google pari al 55 per cento. Il gigante di Mountain View fatturerà in Italia nel 2014 un miliardo e 100 milioni di euro umiliando con i suoi tassi di crescita le concessionarie di pubblicità tradizionali. La pubblicità raccolta da tutti i giornali tradizionali era pari a un miliardo e 933 milioni di euro nel 2007. Nel 2013 si è fermata a 822 milioni di euro, ben sotto il fatturato italiano (fiscalmente realizzato in Irlanda) di Google. Renzi, ultima chiamata prima del Google-diluvio DOMANI L’EUROPARLAMENTO DOVREBBE APPROVARE UNA MOZIONE PER CONTENERE LO STRAPOTERE PUBBLICITARIO DEL WEB. MA IL PREMIER È SCHIERATO CON IL GIGANTE USA mani quando l’Europarlamento dovrebbe approvare una mozione per chiedere che l'attività del motore di ricerca (Google come gli altri) e la vendita di pubblicità siano divise da una muraglia cinese. La divisione rallenterebbe il metabolismo che ha permesso a Googe di incamerare informazioni sui navigatori per crescere come un mostro inarrestabile nella vendita di pubblicità sul web. Grazie alle informazioni sui gusti di chi sceglie il suo motore di ricerca, la società californiana è in grado di fatturare miliardi di euro vendendo agli investitori messaggi LA TELEVISIONE tiene ma sente il fiato spalmati su tanti siti diversi e ‘mirati’ a un certo gruppo di sul collo del web: nel destinatari, selezio2014 ben 300 milioni di nato in funzione dei euro saranno spesi per PARADOSSO dati personali racspot video non sulla tv colti. tradizionale ma on liIl leader del Paese Il vantaggio comne. Di fronte a queste petitivo sulla pubstime Matteo Renzi dopresidente di turno blicità tradizionale, vrebbe togliersi gli ocdella Ue (e pure Grillo) garantito dalla chiali di Google, indos‘profilazione’ dei sati in California, per non hanno mai criticato navigatori, è eviguardare la realtà con dente. Le altre conocchi europei. Mentre la politica fiscale del cessionarie lottano il nostro premier bloccolosso che macina utili con Google con gli cava la Google tax e occhi bendati e ofsorrideva alla Silicon frono spazi su un Valley, il leader Spd Martin Schulz definiva lo strapotere di solo sito che può essere letto da chiunGoogle “non consono alla democra- que. Google invece può offrire la profilazione del destinatario grazie ai coozia”. L'Italia è il presidente di turno kies, al motore di ricerca e alle altre fundell’Unione europea e Francesco Boc- zioni offerte gratis a chi apre un accia invoca da luglio su twitter: “Web count google sullo smartphone, iPad o Tax priorità del semestre di presidenza pc portatile. Ue”. In realtà Renzi non ha fatto nulla La forza di Google, oltre all’ottimizzaper mettere all'ordine del giorno le tre zione fiscale, è proprio quella di conquestioni centrali poste da Google e da- segnare all’inserzionista il suo target gli altri giganti del web: il rispetto della grazie alla potenza del suo algoritmo privacy, la regolamentazione antitrust segreto. Il ministro della giustizia tedee le tasse. Il paradosso italiano è che i sco aveva chiesto maggiore trasparenza due leader più popolari, Matteo Renzi e sull’algoritmo mentre in Italia è in corBeppe Grillo, sono schierati con Goo- so una battaglia legale con la nostra Augle. Chissà come si schiereranno do- torità Garante delle Comunicazioni. La Agcom, spalleggiata dalla Federazione Italiana Editori di Giornali, è in lite davanti al Tar per obbligare la società americana a rivelare almeno il fatturato realizzato in Italia. Il gigante di Mountain View si rifiuta di divulgare il dato probabilmente perché teme le manovre fiscali e antitrust invocate dagli editori tradizionali. L’accerchiamento è transnazionale e va da Rupert Murdoch al gruppo tedesco Axel Springer fino a Carlo de Benedetti in Italia. Proprio la News Corp di Murdoch a settembre ha chiesto alla Commissione Europea di intervenire con più forza contro Google, definita una ‘piattaforma per la pirateria’. Le ragioni degli editori sono quelle del portafoglio: in dieci anni, le copie vendute in Italia in edicola si sono dimezzate. Gli editori speravano di compensare le perdite con gli incassi pubblicitari delle versioni on line ma il travaso tra carta e web si è fermato. Nel 2013-2014 la raccolta pubblicitaria delle concessionarie tradizionali sul web non cresce più. Il sistema dei vasi comunicanti tra perdite della carta e crescita del web non funziona più perché in mezzo si è inserita l’idrovora di Google. INVECE DI COMPRARE spazi sul sito di un quotidiano come un tempo compravano una pagina, le aziende preferiscono comprare contatti profilati. Perché pagare un quotidiano se posso raggiungere il mio potenziale cliente grazie a Google o a un’altra società che garantisce di raggiungere il mio cliente potenziale mediante più siti? Così in pochi anni Google ha sfondato il miliardo di fatturato schiacciando le aziende editoriali tradizionali. Il problema è che Google non paga le tasse e non assume in Italia come accade nella filiera dell’informazione. Il motore di ricerca fa soldi proponendo contenuti prodotti dagli editori che intanto perdono ricavi. Questo circolo vizioso sta strangolando le aziende editoriali e potrebbe danneggiare nel lungo periodo la qualità dell’informazione e del dibattito pubblico. Le risorse destinate a produrre contenuti creativi, come le inchieste giornalistiche, le notizie e le analisi originali, diminuiscono. Quello che sta accadendo sotto i nostri occhi è una trasformazione enorme della società dell’informazione. Un fenomeno che non ha nulla da invidiare al conflitto di interesse di Berlusconi, al finanziamento pubblico dei giornali, al potere della Fiat sui grandi quotidiani “Negoziati atlantici più trasparenti” D’ORA IN AVANTI i negoziati tra Ue e Usa per l’accordo di libero scambio Ttip saranno più trasparenti. È il senso della comunicazione della commissaria al commercio Cecilia Malmstroem, con l’obiettivo di fornire al grande pubblico informazioni complete ed accurate sulle intenzioni europee nell’ambito dei negoziati. Tra le azioni previste, rendere pubblico un maggior numero di testi negoziali Ue che la Commissione già condivide con stati membri e Parlamento, poi dare accesso ai testi a tutti gli eurodeputati, ma anche classificare meno documenti negoziali oltre a pubblicare e aggiornare su base regolare un elenco pubblico di documenti relativi al Ttip. del nord o allo strapotere dei grandi inserzionisti. Eppure mentre questi vizi dell’informazione sono stati discussi ovunque il dibattito pubblico su Google latita. Il problema è che gli oppositori sono spesso poco presentabili per i loro trascorsi. Quando si leggono gli strali di Fedele Confalonieri contro la Google tax o la difesa accorata della privacy e della democrazia da parte di Murdoch viene naturale nutrire qualche riserva. La simpatia per i giganti del web come Google rispetto agli editori tradizionali nasce da fattori oggettivi: la gratuità, l’infinita possibilità di scelta e l’interattività. Il lettore ha la sensazione di essere messo al centro della scena mentre in passato era trattato come lo spettatore pagante di uno spettacolo del quale non era protagonista. Così chiunque segnali i rischi dello strapotere di Google diventa un nemico della libera rete e un difensore del vecchio regime dei media. QUANDO GRILLO E RENZI si schierano con Google sono convinti di cavalcare l’onda della modernità mentre il loro ruolo gli imporrebbe di governarla. La produzione di informazioni richiede professionalità, tempo e soldi. Nel mondo della carta i costi erano ripagati dalla vendita delle copie e dalla pubblicità. Nel mondo di Internet nessuno è disposto a pagare le informazioni e uno scoop può essere copiato e riproposto in pochi minuti da qualcuno più abile a spiare i lettori per vendere pubblicità mirata. Gli editori tradizionali hanno cominciato anche loro a ‘profilare’ i lettori ma il loro mestiere resta pur sempre quello di vendere informazioni al lettore non quello di prendere informazioni sul lettore per poi rivenderle. Il fenomeno è rapidissimo: oggi Google controlla più del 50 per cento della pubblicità on line in Italia. In pochi anni il libero mercato farà il suo corso e chi cerca notizie per informare (facendosi pagare direttamente o indirettamente con la pubblicità) sarà sconfitto. Nel mondo di Google vincerà chi finge di informare il lettore mentre invece spia la sua vita per poi venderla chiavi in mano a chi vuole vendergli i suoi prodotti. Tra pochi anni il lettore-cittadino pagante sarà solo un navigatore-consumatore da spiare gratis. I giornali saranno finalmente ‘morti’, come grida Grillo, ma non è detto che sarà un mondo migliore. 16 BLACK OUT AMERICA MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014 Pianeta terra USA BIMBO DI TRE ANNI UCCIDE LA MAMMA A Tulsa, in Oklahoma, un bimbo ha sparato e ucciso accidentalmente la madre - un militare - dopo aver trovato una pistola sotto il divano del salotto. La donna, 26 anni, si chiamava Christa Engels, ed era da sola in casa con il bambino e un’altra figlia di un anno al momento dell’incidente. LaPresse IRAN KHAMENEI: “GLI USA CI VOLEVANO IN GINOCCHIO” Sul nucleare “il nemico” ha mostrato “debolezza”. Così l’ayatollah Ali Khamenei ha commentato i negoziati tra Teheran e il gruppo 5+1 (Usa, Russia, Cina, Francia, Gb e Germania). “Gli Usa volevano mettere in ginocchio la Repubblica islamica, ma hanno fallito”. LaPresse SABBA NERO il Fatto Quotidiano Gli incidenti a Ferguson e le proteste a Oakland, California. Sotto, Michael Brown e l’agente Darren Wilson LaPresse “INGIUSTIZIA È FATTA”: GLI USA E IL GIORNO DELLA RABBIA NERA NON INCRIMINATO L’AGENTE CHE HA UCCISO IL RAGAZZO DI COLORE A FERGUSON Il reverendo Jackson “Obama non basta” IL REVERENDO Jesse Jackson incarna la lotta per i diritti civili americani e il due volte candidato alle primarie presidenziali democratiche (nel 1984 e nell’88) dopo la sentenza di Ferguson mette il dito sulle pecche dell’Amministrazione del primo presidente nero, incapace di tradurre i sogni della comunità afro-americana in realtà. Che conseguenze avrà questo verdetto per la comunità afroamericana? Quando le persone sono vittime di abusi per anni, rispondono. Adesso è importante che si risponda in maniera pacifica, per due motivi: per ragione pratiche, ovvero non hai modo di rispondere alle pallottole, e poi perché la violenza sposta l’attenzione dai bisogni delle comunità urbane. Lì i neri sono ancora da tre a quattro volte più disoccupati, dieci volte più arrestati dei bianchi. Sappiamo che mancanza di giustizia porta all'anarchia, le leggi per diritti civili ci sono, vanno applicate. Ha dunque qualche critica da muovere all’amministrazione Obama, anche dal punto di vista delle riforme per migliorare le condizioni delle vostre comunità? Dovrebbe esserci una White House conference, un “tavolo” speciale che unisca i vari responsabili governativi e quelli delle associazioni afro-americane affinché in pochi giorni si riesca a risolvere questioni specifiche sulle politici urbane e occupazionali dei vari Stati. Jesse Jackson LaPresse Avere un presidente di colore ha in qualche modo reso più difficile parlare di razzismo in America? No, non credo. Del resto anche lui è stato bersaglio di moltissimi attacchi. La questione è che gli spari sono venuti prima delle rivolte, bisogna che la polizia smetta di uccidere i neri. C'è una lunga serie di episodi, una scia di sangue che scorre da Rodney King a Los Angeles, fino a recentemente Trayvon Martin in Florida… questa storia deve finire. Durante le rivolte di agosto a Ferguson, il presidente Obama è stato criticato per non aver parlato direttamente della questione razziale. Si aspettava che il presidente affrontasse la questione in maniera più diretta? di Angela L Vitaliano New York e tenebre non scacceranno le tenebre. Solo la luce può farlo. L'odio non cancellerà l'odio. Solo l'amore può farlo”. Sono le parole che, probabilmente, Martin Luther King avrebbe usato in queste ore, spettatore della rivolta che ha messo a ferro e fuoco Ferguson, in Missouri, subito dopo l'annuncio del pubblico ministero di contea, Bob McCulloch, che ha informato circa la decisione del Grand Jury di non incriminare Darren Wilson, il poliziotto che uccise, lo scorso agosto, il diciottenne Michael Brown. Sono passate le 21 ora locale e il ritardo della conferenza stampa, annunciata sin dal mattino, quando cioé la decisione è stata raggiunta, non lascia presagire nulla di buono. La città è già pattugliata dalla Guardia Nazionale e i genitori della vittima, informati in anticipo del verdetto, hanno ripetutamente fatto ap- pello alla calma: “non facciamo rumore, facciamo la differenza”, ripetono togliendo, però, sempre più speranza a chi, a casa, è in attesa. O in strada. Perché molti, sfidando il gelo della notte, quell’annuncio lo hanno atteso così, già pronti a far sentire la propria rabbia e la propria amarezza. Il lungo annuncio di McCulloh, che inizia con un insolito e criticatissimo attacco ai social e a Internet, responsabili di aver parlato di questa storia senza riposo, è la doccia gelata che diventa rabbia per quel tono sempre accondiscendente nei confronti del poliziotto e per quelle continue rassicurazioni circa “l’estrema cura” con cui i giurati avrebbero analizzato tutte le prove. I fatti, precisa, e non le “storie” raccontate sui social. Social che, intanto, fanno rimbalzare in tutto il mondo, ad una velocità incontrollabile, lo sconforto di un paese che, dopo l’indignazione per Trayvon Martin, il giovane afro -americano ucciso in Florida senza ragione, aveva davvero sperato che la giustizia potesse prevalere. Una giustizia “credibile” e non sospetta di essere sempre dalla parte dei poliziotti e contro gli afro americani. Quella stessa giustizia alla quale fa appello Barack Obama, nel suo messaggio alla nazione, subito dopo la fine delle dichiarazioni di McCulloh, ri- cordando che l’America è un paese di leggi e che, dunque, la decisione del Grand Jury va rispettata. E chiede calma nella pur legittima protesta, ricordando che c’è un meccanismo che continua a incepparsi troppo spesso a danno della comunità afro-americana. Ma la notte successiva al verdetto si accende di fuochi e Il razzismo brucia ancora DA ROSA PARKS A TRAYVON, 60 ANNI DI LOTTE PER I DIRITTI E CICLICHE ESPLOSIONI DI VIOLENZA di Giampiero Gramaglia Martin L. King LaPresse Barack Obama Ansa La questione non è la razza ma la discriminazione razziale, e i neri hanno i livelli più alti di disoccupazione, probabilità di finire in prigione e di subire abusi dalla polizia. Era così in passato e continua ad essere così. Nulla è cambiato. inquant’anni dopo, negli C Stati Uniti è ancora e sempre Mississippi Burning: Le radici dell’odio, film del 1988 di Alan Parker, con Gene HackmaneWillem Dafoe, che ricostruisce l’assassinio di tre attivisti per i diritti civili avvenuto nel 1964 nel Mississippi, la notte del solstizio d’estate. C’era un vice-sceriffo tra i colpevoli. Quella era l’America di Lyndon B. Johnson: il presidente Kennedy era stato ammazzato pochi mesi prima. Nel 1962, a quasi un secolo dalla fine della Guerra Civile, che aveva sancito l’abolizione della schiavitù, c’era voluta la Guardia Nazionale, mandata proprio da Kennedy, per consentire a James Meredith, primo studente nero iscritto all’Università del Mississippi, di entrare nell’Ateneo. Le leggi federali smantellavano la segregazione, che resisteva non solo negli Stati del Sud. Kennedy aveva ancora fatto in tempo a vedere la marcia su Washington per i diritti civili, il 28 agosto 1963, che Martin Luther King concluse con il discorso simbolo di quella lotta, “I have a dream”. Morto Kennedy, Johnson, un uomo del Sud, un democratico del Texas, firmò il Civil Rights Act, che bandiva ufficialmente la discriminazione razziale. È una fase di forte avanzata dei diritti civili, ma anche di battute d’arresto e di venature violente: 1965, Malcom X viene assassinato ad Harlem, a New York; 1966, nasce il movimento delle Pantere Nere; 1968, il 4 aprile l’apostolo dei neri, Mlk, viene ucciso a Memphis, nel Tennessee; pochi mesi più tardi, Tommie Smith e John Carlos, sul podio olimpico dei 200 metri a Città del Messico, salutano la bandiera a stelle e strisce levando il pugno chiuso in un guanto nero. L’estate è la stagione delle ‘rivolte razziali’: fra le più drammatiche, le sommosse di Detroit e Newark del 1967. LE FIAMMATE estive delle ten- sioni bianchi/neri sono una tragica costante delle cronache americane, un po’ come i roghi nelle banlieues parigine: Ferguson è il caso del giorno, ma non sarà l’ultimo. Il video del pestaggio di Rodney King, un mezzo balordo, ad opera di quattro poliziotti, il 2 marzo 1991, scatena in California pro- teste come oggi nel Missouri. Quando gli agenti vengono tutti assolti, interi quartieri di Los Angeles vivono giorni tesissimi, vittime, violenze, incendi, saccheggi. Nel 2001, l’estate fu calda a Cincinnati, nell’Ohio, dove le tensioni razziali erano andate covando con episodi di pestaggio di neri da parte di poliziotti. Poi, toccò di nuovo a Los Angeles e, più di recente, alla Florida: nel febbraio 2012, a Orlando, la città di DisneyWorld, un vigilante ispanico uccide Trayvon Martin, 17 anni, il ragazzo col cappuccio di cui Obama disse “poteva essere mio figlio”. Il copione è (quasi) sempre lo stesso: un nero ‘sospetto’, un agente prevenuto – e impaurito -, oppure una gang di poliziotti violenti e determinati a ‘impartire una lezione’. Certo, capita il Fatto Quotidiano BLACK OUT AMERICA MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014 NIGERIA DUE DONNE KAMIKAZE: 45 MORTI Due donne kamikaze, meno di 20 anni, hanno colpito l'affollato Monday Market, a Maiduguri, nel nord-est del Paese. Oltre 45 i morti L’esplosivo era nascosto sotto l’hijab, l’abito tradizionale. L’attentato non è stato rivendicato, ma sembra riconducibile ai terroristi islamici di Boko Haram. LaPresse FRANCIA FALLISCE IL COLPO DA CARTIER Tensione a Parigi: dopo aver tentato l’assalto in una gioielleria Cartier vicina agli Champs Elysees, due rapinatori sono fuggiti prendendo in ostaggio una parrucchiera nel XV arrondissement. C’è stata una sparatoria con gli agenti, poi i banditi si sono arresi e liberato l’ostaggio. LaPresse di Andrea C Valdambrini he ne sa dell’Inghilterra chi conosce solo l’Inghilterra?”, scriveva un romanziere di età vittoriana alludendo all’importanza dello sguardo esterno per la valutazione del proprio Paese. Forse ci voleva proprio il primo Papa non europeo della storia per mettere a fuoco i mali della politica europea in una prospettiva globale. Nella seconda visita in 26 anni di un pontefice all’Europarlamento, (dopo quella di Giovanni Paolo II nel 1988) Francesco sferza l’Unione europea, iniziando dal lavoro che non c’è: “Quale dignità potrà mai trovare una persona che non ha il cibo o il minimo essenziale per vivere e, peggio ancora, il lavoro che lo unge di dignità?”. 17 Il decalogo di Francesco per “nonna” Europa IL PAPA NEL ‘TEMPIO’ POLITICO UE AMMONISCE I DEPUTATI DEL VECCHIO CONTINENTE (“NON PIÙ FERTILE E SENZA IDEALI”) CHE SCAMBIANO IL PROFITTO PER I DIRITTI DI POVERI E MIGRANTI Paragoni impietosi AD ASCOLTARE l’appello di tensioni, non solo nel quartiere di Saint Luis, ma anche da una parte all’altra degli Stati Uniti, da New York alla California. Le parole del presidente vengono considerate “deboli” da chi, almeno in questo momento, vorrebbe vederlo mettere da parte la sua “imparzialità “ e il suo aver sempre, forse troppo, provato in questi sei anni, a non essere il presidente nero a difesa dei neri. “Il paese ha fatto grandi passi avanti nelle questioni razziali”, dice con tono severo. Sarebbe bello crederci. Sarebbe bello aver dimenticato che lui è stato l’unico presidente in carica a dover esibire un certificato di nascita per essere “accettato” come americano. Intanto, la rabbia a Ferguson non si placa. Sessantuno gli arresti finora. Per una brutta storia che sembra solo al suo inizio e non alla fine. Bergoglio nell’emiciclo di Strasburgo, tutti i potenti del Continente, da Matteo Renzi (in qualità di presidente di turno del Consiglio Ue) al presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker - da poco in carica ma già sotto accusa per lo scandalo LuxLeaks. E naturalmente, i 751 parlamentari rappresentanti dei Paesi dell’Unione. Come emerge dal database recentemente lanciato da Transparency International, in aggiunta allo stipendio da eurodeputato, alcuni politici europei un reddito molto alto da attività professionali e imprenditoriali. Questo li pone in potenziale conflitto di interesse nel loro ruolo di legislatori. Tra i molti “paperoni” troviamo ad esempio il liberale Guy Verhofstadt, che dichiara un reddito di oltre 15.000 euro al mese come consigliere della finan- Bergoglio con Schulz all’Europarlamento Ansa 15 mila EURO PER L’EX PREMIER ziaria belga Sofina e l’ex ministro dell’era Sarkozy Rachida Dati, che supera i 10.000 con la sua attività di avvocato. Spicca tra gli italiani il democratico Renato Soru, fondatore di Tiscali e già inserito nel 2000 da Forbes nella lista degli imprenditori più ricchi d’ Italia. Soru è attualmente sotto IL TERRORISMO RELIGIOSO Bergoglio: “Un fenomeno che nutre profondo disprezzo per la vita umana, foraggiato da un traffico di armi molto spesso indisturbato. Per la Chiesa la corsa agli armamenti è una piaga” STIPENDI RECORD Tra i più ricchi dei 751 parlamentari il belga Verhofstadt processo con l’accusa di evasione fiscale per circa 10 milioni di euro e nonostante ciò membro della Commissione Affari economici dell’europarlamento. Parlando a loro e agli altri potenti dell’Unione, il Papa ha sottolineato “la sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, ritenute distanti” e “l’impressione generale di stanchezza e d’invecchiamento di un’Europa nonna e non più fertile e vivace”. Poi l’affondo, per nulla timido contro la tecnocrazia: “I grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza e VALERIE: “HOLLANDE NON È CARY GRANT” L’ex compagna di François Hollande, Valérie Trierweiler, 49 anni, tradita – e “sostituita” – dal presidente con l’attrice Julie Gayet, dopo il libro di confessioni ha rincarato la dose sostenendo che il suo ex amato non è certo affascinante come l’attore Usa LaPresse/Olycom attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici delle sue istituzioni”. Chissà se Juncker ha preso nota. Non ultimo, arriva l’appello del Papa sul terreno dell’immigrazione. UNA QUESTIONE che va af- frontata da tutti gli europei insieme, “tenendo conto della dignità umana degli immigrati”. Anche perché, aggiunge Bergoglio “non si può tollerare che il Mediterraneo diventi un grande cimitero”. “La pace - ha aggiunto il Papa nel corso del suo intervento al Consiglio d’Europa - è provata anche da altre forme di conflitto, quali il terrorismo religioso e internazionale, che nutre profondo disprezzo per la vita umana e miete in modo indiscriminato vittime innocenti. Tale fenomeno è purtroppo foraggiato da un traffico di armi molto spesso indisturbato. La Chiesa considera che la corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi dell’umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri”. Il Papa argentino gliele ha cantate al Vecchio Continente. In fondo, che ne sa dell’Europa chi conosce solo l’Europa? COSE TURCHE Erdogan e l’equivalenza femminile all’islamica di Roberta Zunini DIRITTI E VIOLENZE Rosa Parks il 1° dicembre venne arrestata per non aver ceduto il posto sul bus a un bianco. Rodney King dopo il pestaggio della polizia nel ‘91 e Trayvon Martin LaPresse pure che l’essere afro-americano tiri fuori dai guai: succede nel 1994 a O. J. Simpson, campione di football. Giocando sul sospetto di pregiudizio razziale nei suoi confronti, l’avvocato riesce a farlo assolvere dall’accusa di duplice omicidio, la ex moglie e il suo nuovo fidanzato. Non s’era mai visto assolvere un nero così palesemente colpevole. Gli afro-americani guadagnano spazi: 1983, Guion Bluford Jr. è il primo astronauta ne- ro; 1989, Colin Powell è il primo capo di Stato maggiore nero (e nel 2001 è il primo segretario di Stato). Fino al 2008, quando Barack Obama è il primo nero eletto presidente. Alla Casa Bianca, fa avanzare un’altra frontiera dei diritti civili, quella dell’uguaglianza per gay e lesbiche. Ma, come ‘avvocato’ degli afro-americani, sembra quasi frenato dal timore di apparire di parte. @ggramaglia on c'è dubbio: il 2014 sarà ricordato come l'annus horribilis delle donne turche. L'ennesimo attacco è arrivato dal preN sidente Erdogan al quale ieri hanno risposto 8 associazioni per la tutela dei diritti delle donne. Con un comunicato congiunto hanno condannano la sua affermazione sulla differenza tra uomini e donne. Secondo il “sultano” di Ankara “non si può dire che le donne siano uguali agli uomini perché la loro natura è differente, semmai sono equivalenti”. Le ong firmatarie scrivono che “le parole del capo dello Stato violano Costituzione e accordi internazionali, oltre a denigrare decenni di sforzi per la parità di genere”. Nelle manifestazioni organizzate in occasione della Giornata contro la violenze sulle donne, l’avvocatessa Hulya Gulbahar, ha denunciato che il discorso di Erdogan “alimenta gli abusi”. Dalla rivolta di Gezi park nell'estate 2013, a cui le donne laiche parteciparono in massa, a turno i deputati del partito di Erdogan, l' islamico Akp (Giustizia e Sviluppo) sono passati dal consiglio di evitare di farsi vedere in pubblico quando si aspetta un bambino all'avvertimento di non ridere in pubblico perché contro la morale islamica. A quel punto era partita via twitter la campagna della risata: centinaia di migliaia di selfie con sorrisi singoli o di gruppo. Dulcis in fundo le parole del presidente. Che ha spiega- FAMIGLIA IMPERIALE Figlia, moglie e presidente: to a un pubblico di sostenitrici gli Erdogan LaPresse dell’Akp rigorosamente velate,, come alle donne Allah abbia riservato “una condizione di privilegio perché possono generare figli. Perciò le donne non saranno mai uguali agli uomini. Nell'Islam la donna ha un ruolo prioritario dato che le spetta la procreazione”. Erdogan ha poi spiegato che è ciò che tutte dovrebbero fare. Del resto aveva già sottolineando che le donne sposate dovrebbero fare “almeno 3 figli e stare a casa ad allevarli”. Il rapporto Global Gender Gap, pubblicato dal World economic forum nel 2013, ha messo la Turchia al 120° posto su 142 in materia di parità di genere e all’ultimo posto tra i paese europei. Dal 2009 al 2012 in Turchia sono state uccise da familiari ben 670 donne e i reati sessuali sono aumentati del 400% nell'ultimo decennio. Chissà se Erdogan riuscirà a convincere la figlia Sumeyye che anziché provare a ricalcare le sue orme in politica dovrebbe stare a casa a produrre bambini. 18 il Fatto Quotidiano MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014 ADDIO AD AURELIO MILANI, ATTACCANTE DELLA GRANDE INTER È morto a 80 anni Aurelio Milani, attaccante della Grande Inter di Helenio Herrera con cui ha vinto due volte la Coppa dei Campioni, una Coppa Intercontinentale e uno scudetto NESSUN FLIRT: BARBARA B. E INZAGHI SMENTISCONO VOCI DI UNA RELAZIONE LA PRIMA VOLTA DI VETTEL: IL TEDESCO NEL BOX FERRARI “La notizia è falsa e totalmente inventata”: Barbara Berlusconi e Filippo Inzaghi smentiscono di avere una relazione. I due sono pronti a querelare chi riporterà la notizia Sebastian Vettel in visita ai box della Ferrari. Il pilota tedesco, che dal 2015 correrà con il Cavallino, si è presentato sul circuito di Abu Dhabi, durante la prima giornata di test SECONDO TEMPO SPETTACOLI.SPORT.IDEE Agon Channel, come riciclarsi a Tirana DEBUTTA IL CANALE ALBANESE (33 DEL DIGITALE TERRESTRE) DI FRANCESCO BECCHETTI, NIPOTE DEL “RE DELLE DISCARICHE” ROMANE CERRONI UNA TV “SEMIGENERALISTA” CON PROGRAMMI AUTOPRODOTTI CHE FA INCETTA DI STAR NOSTRANE: FERILLI, COSTAMAGNA, VENTURA E PUPO S di Nanni Delbecchi Milano e non è l’isola dei famosi, le somiglia molto questa Agon Channel, televisione made in Albania ma di lingua (e soprattutto anima) italiane, al debutto sulla frequenza 33 del nostro digitale terrestre. L’ultimo acquisto della Tv dove tanti più o meno famosi di casa nostra hanno trovato rifugio è, nemmeno a farlo apposta, Simona Ventura, che insieme a Massimo Ghini condurrà questa sera da uno dei tanti grattacieli targati Expo il galà d’apertura con red carpet regolamentare: Nicole Kidman la superstar una tantum, e poi tutti i personaggi acquisiti in questi ultimi mesi dell’emittente: Sabrina Ferilli, Pupo, Maddalena Corvaglia, Antonio Caprarica, Fulvio Collovati, Luisella Costamagna, Giancarlo Padovan. CLIMA DA veglione anni Ottanta alla Terrazza Martini, per la presentazione alla stampa. Gran cerimoniere Antonio Caprarica in completo color zabaione, direttamente da Buckingham Palace agli studi di Tirana, dove 500 giovani lavorano alacremente alla produzione dei due canali (ce n’è anche uno in lingua albanese). Superstar L’ex giornalista tra le star, l’imprenditore romano Francesco Becchetti, l’uomo solo al Rai Antonio comando che dal nulla ha voluto tutto Caprarica (al questo. Specializzato nella costruziocentro) e la sua ne di opere idrauliche, nello smaltisquadra mento dei rifiuti e nella produzione di cureranno energia rinnovabile, Becchetti è nipo- l’informazione. In te di Manlio Cerroni, il plurinquisito basso, da sinistra, re delle discariche romane. Due anni Simona Ventura, fa ha sentito il richiamo dell’etere, e Pupo e Sabrina deciso di buttare in questa scommessa Ferilli LaPresse “40 milioni di euro senza debiti dalle banche”. Quando ha sentito la OBIETTIVO SHARE mancanza del calcio, nei ritagli di tempo si è comStasera il gran galà prato il Leyton Orient, una squadra della Terza con Nicole Kidman. divisione inglese; ma Il palinsesto comincia ogni riferimento ad altri magnati di casa nostra lunedì con quiz, talk viene respinto al mittente. “Io non mi paragono e informazione. Costo a nessuno... Oggi un iminiziale: 40 milioni di euro prenditore o sta alla finestra, o rischia. Io ho voluto rischiare... Ho voluto Sabrina Ferilli a tutti i costi e lei è venuta perché le piacciono le sfide. Se fosse nata in America, Sabrina avrebbe vinto almeno dieci Oscar... Mi piacerebbe farvi vedere l’elenco di tutti quelli che mi hanno cercato in questi mesi: diciamo che c’è almeno l’80 per cento dei nomi grossi della televisione italiana... Io vado a istinto. L’obiettivo è quello di raggiungere struito “una squadra meravigliosa l’uno per cento di share, però non mi (“squadra” è la parola che ripete più pongo limiti (infatti qualche mese fa spesso) e di volere “una televisione seaveva dichiarava il tre per cento, migeneralista”, anche se che intenda con quel “semi” non è del tutto chiaro. ndr).” Passando ai contenuti, Becchetti è al- “La gente non ne può più di puntare il trettanto sicuro di sé; dice di avere co- telecomando su realtà che sente esau- rite. Ha voglia di qualcosa di nuovo e di fresco”. Questo lo capiamo; ma un po’ meno comprensibile è l’idea di proporre la nuova torta riutilizzando esattamente gli stessi ingredienti. Pupo è il responsabile dei quiz, lui stesso ne condurrà subito uno a sfondo mu- POCHI INCASSI di Chiara Daina I l museo dedicato a Renato Guttusdo di Bagheria ha chiuso i battenti. “Non per sempre – giura il sindaco del M5S Patrizio Cinque – per un po’, ma non sappiamo ancora fino a quando, stiamo studiando un piano migliore”. Decine e decine di tele appese che Guttuso prima della sua morte, nel 1987, aveva donato al Comune di Bagheria, la sua terra natale, da allora conservate nei tre piani di Villa Cattolica. Pochi visitatori e costi troppo alti: questo il motivo che ha spinto la giunta a spegnere le luci: “Da gennaio sono stati venduti solo 20 mila biglietti – spiega il primo cittadino – con una spesa stratosferica di 480 mila euro per la gestione, personale e utenze. Insostenibile per un’amministrazione come la nostra che è in dissesto finanziario. Abbiamo un buco di 42 milioni di euro”. Nel 2013 il conto finale è stato quasi di 800 mila euro. “Fino all’anno scorso però godevamo dei contributi regionali: in tutto 60 mila euro, che sommati ad altri 20 mi- Bagheria, il sindaco chiude il museo di Guttuso. L’erede: “Ritiro le opere” la euro di ricavi, ci sono serviti a sal- privati disposti a gestire la struttura. dare le spese”. L’erede del maestro, Ci ha sorpreso questo annuncio – reaFabio Carapezza Guttuso, presidente gisce il sindaco – Ci sono gli atti che degli Archivi Guttuso, non ha affatto documentano la donazione dei quagradito e ha minacciato di riprendersi dri da parte di Guttuso alla comunità le opere: “Sono in attesa di riflessioni di Bagheria”. Carapezza si difende: ulteriori da parte del Comune – ha di- “La comunicazione è stata data chiarato - sperando che tutto questo dall’assessore alla Cultura con soli sia solo un ballon due giorni di preavd’essai per attirare viso e ha impedito l’attenzione e che le persino la ricerca di LA DIFESA cose tornino indieuna soluzione altertro”. Venerdì sera e condivisa, Il sindaco Cinque (M5S): nativa era presente anche mettendo tra l’altro lui alla riunione del a rischio gli impor”Pochi visitatori e 480 Comitato direttivo tanti progetti, Itinemila euro di gestione. per valutare il futurari Guttusiani, che ro percorso del garantirebbero al Insostenibile il dissesto museo. “A noi in Museo Guttuso, e realtà ha detto che finanziario, ma troveremo quindi alla città, si sarebbe impeun’importante flusuna soluzione” gnato a trovare dei so turistico cultura- le”. Intanto, fra qualche giorno, partiranno i lavori per la riqualificazione degli ambienti (giardino e caffetteria). Non è la prima volta che scoppia la guerra tra i due. “Negli anni 90 – racconta il sindaco – Caparezza rivendicò ingiustamente le opere, quindi firmò un accordo sulla rinuncia perché l’episodio non si potesse ripetere. Ma a quanto pare è valso a poco. Tra l’altro controllando i registri delle opere ci siamo accorti che da 12 anni sono scritti a matita. Abbiamo avvisato subito i carabinieri. Dobbiamo verificare se sono spariti dei quadri”. Intanto, l’amministrazione pensa a come rilanciare il museo. Per esempio affidardo la gestione a giovani neolaureati in discipline umanistiche, “che magari potrebbe costituire una cooperativa”, suggerisce il sindaco. sicale. Alla Corvaglia è stato affidato un talent show per aspiranti guardie del corpo che rischia di oscurare quello di Briatore, e dove tra le giurate spicca Lory Del Santo (“Lei di uomini se ne intende, e riesce a vedere tante sottigliezze”). Infine, due talk basati su altrettanti faccia a faccia tra la conduttrice e il suo ospite; più privato Contratto della Ferilli, più politico Lei non sa chi sono io di Luisella Costamagna. Per quanto riguarda le news nessun tg tradizionale e invece dieci edizioni flash, che Caprarica assicura “di taglio chiaro, sintetico e internazionale”. QUIZ, TALK, talent (ce ne sarà anche uno sul calcio, affidato a Padovan, con Collovati ospite fisso); le premesse sono quelle di una “Tv dei famosi” di target anziano e familiare. Un modello in crisi in tutto il mondo ma che Becchetti conta di rivitalizzare. Se ci riesce, è davvero un mago del riciclo. Da stasera la parola passa ai fatti, con due piccoli gialli ancora da chiarire. Il primo è la fisionomia del palinsesto che si inaugura lunedì 1 dicembre e che, dovendo coprire 24 ore su 24 con format esclusivamente autoprodotti – non sono previsti né fiction né film – avrà blocchi di repliche ricorrenti nelle diverse fasce orarie, con l’eccezione del prime time serale, dove ci sarà sempre qualcosa di inedito. Il secondo giallo riguarda Alessio Vinci, il giornalista che aveva avviato con Becchetti il canale albanese, e lanciato Agon come la prima Tv delocalizzata. Adesso è fuori dal progetto, ufficialmente perché non era disposto a trasferirsi a Tirana a tempo pieno, cosa che però vale anche per la squadra dei nuovi acquisti, nessuno escluso. Comunque vadano gli ascolti, i voli Roma-Tirana faranno sicuramente il tutto esaurito. Forse Vinci era l’unico che voleva viaggiare in prima classe. SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014 19 La questione della lingua: lezione di sesso per gli uomini ARRIVA IN ITALIA L’ULTIMO BEST-SELLER AMERICANO: “LEI VIENE PRIMA”, UN TRATTATO CHE SPIEGA – IRONICAMENTE – AL GENERE MASCHILE COME SODDISFARE (DAVVERO) LE DONNE di Elisabetta L Ambrosi IL PIACERE a penetrazione? Giusto un preliminare. Il clitoride? Il tempio del piacere femminile. La via maestra per l’orgasmo femminile? Il sesso orale, e niente di più. No, non sono le ultime dichiarazioni di un’attrice porno, né le rivelazioni del romanzo erotico del momento, ma le conclusioni scientifiche di una manuale che negli Stati Uniti, dove ha già venduto 250.000 copie, spopola ovunque: Lei L’attrice Charlotte Gainsbourg, protagonista di “Nymphomaniac” di Lars von Trier Lip Service. On Being a Cunning Linguist della scrittrice Anka Radakovich e The Clitoral Truth di Rebecca Chalker), che il sesso orale è la via maestra al piacere femminile . “Ogni uomo”, scrive Kerner, “dovrebbe fare una mantra della celebre battuta che Reth Butler rivolge a Rossella O’Hara in Via col Vento: “Dovreste essere baciata, e spesso, da un esperto”. CON BUONA pace di Freud, che definiva gli orgasmi clitoridei “infantili”, il manuale arriva a rovesciare, con dovizia di citazioni scientifiche e letterarie, il paradigma penetrativo. “L’idea che la penetrazione vaginale possa essere seriamente sopravvalutata è una pillola amara da buttar giù, specie per gli uomini”, scrive Kerner. Ma l’amarezza dura giusto il tempo di riscoprire il piacere di portare lei all’orgasmo. Già, ma come? Il punto di partenza, infatti, può apparire disperato visto che “per la maggior parte degli uomini è più facile riconoscere quel che c’è sotto il cofano di un’auto che quel che c’è sotto il prepuzio di un clitoride”. Nulla di cui scoraggiarsi, però: sia che abbiate appena intrapreso il sentiero della vita “clitteraria”, sia che siate già in buona fede membri della “élite dei clitterati”, Kerner è lì per spiegarvi – veramente in dettaglio – come cavarvela egregiamente. Primo, scoprire per la prima volta ciò con cui si ha a che fare – la vulva – in tutte i suoi numerosi, e sconosciuti, com- Torino, il No Tav è diventato film Pontiggia Torino on si può ridurre queste N lotte a scontri tra tifosi, non si può gestire questi fe- (tradotto in Italia dall’originale casa editrice Odoya). L’autore è il sessuologo clinico Ian Kerner (già autore, per par condicio, di Passioni- il quale, con una buona dose di autoironia, precisa che il libro è stato scritto dal punto di vista di un ex eiaculatore precoce che, ormai convinto che sulla sua lapide sarebbe stato scritto “Veni, vidi, et denuo veni”, si è accostato al cunnilingus come se “fosse una scappatoia dalle gioie e degli splendori del vero sesso”. Per scoprire (e non è il solo, visto che negli Stati Uniti sono usciti anche IL FESTIVAL di Federico viene prima. La guida dell’uomo pensante al piacere femminile sta: The Empowered Woman’s Guide to Pleasuring a Man); Il corteo No Tav a Torino del 14 novembre Ansa LEI VIENE PRIMA Ian Kerner Odoya pagg. 256, 16,00 ¤ ponenti. Poi, conoscere la tecnica, che spazia dai consigli per la posizione giusta (quella che non vi aspettereste), alla minuziosa spiegazione su come imparare, ad esempio, un “pizzicotto perineale” o un “vieniquì a fermaglio”, fino alle istruzioni sul tempo necessario (dai 15 ai 45 minuti, esclusi i preliminari). Il tutto, lavorando con la “pignoleria di un felino”, senza essere né “schizzinosi o esitanti ma neanche eccessivamente zelanti o impazienti”: piuttosto controllando – con calma zen – il processo fino all’ultimo, cioè all’orgasmo. Completano il manuale indicazioni su come proteggersi anche nel sesso orale – dai condom “dental dam” a quelli fai da te con la pellicola da cucina – fino ai suggerimenti su come mettere da parte i classici timori maschili di cattivi odori. “È raro”, scrive Kerner, “trovare un uomo che sappia assaporare la cassolette di una donna con lo stesso incrollabile ardore di un Napoleone”. Ma, assicura il sessuologo, dopo aver scoperto che, “altro che palude, la vagina è un ecosistema con ricambio costante”, anche il maschio medio potrà presto arrivare a dire come Napo- GENEROSITÀ “A ciascuna secondo le tue capacità, ciascuno secondo i bisogni di lei”. Negli Usa ha venduto 250 mila copie leone a Giuseppina, “Non lavarti, sto arrivando!”. Il saggio contiene, infine, un vero e proprio “Manifesto del Cunnilinguista”, coniato sulla falsariga di quello del Partito comunista (“A ciascuna secondo le tue capacità, ciascuno secondo i bisogni di lei”). INSOMMA, altro che volgare libro antisociale. Donne, per Natale regalate She comes first. Non è escluso che il vostro compagno, schiacciato dal nuovo imperativo categorico del piacere orale, venga afflitto da ansia da castrazione clitoridea. Ma se ciò non avverrà, allora, di sicuro, sarà la rivoluzione. Per lei, ma anche per lui: “Non dimenticherò mai”, scrive Kerner, “quando ho condotto una donna all’orgasmo con la lingua. Mi sentii come quando E.B. White ricevette il suo primo assegno per un racconto: finalmente ero un professionista”. nomeni culturali e politici in termini di ordine pubblico, si può fare della democrazia una scatola vuota”. Soffia il vento NoTav sul Festival di Torino: Qui di Daniele Gaglianone, documentario in soggettiva su dieci NoTav che non sono black bloc giunti dall’estero per attaccare la polizia, “come vorrebbero i mass media che hanno evocato, anzi, invocato l’lrlanda del Nord Anni 70”, ma valligiani che lottano da anni, da decenni contro la Torino-Lione. Cattoliche che pregano davanti al cantiere, infermiere che catechizzano le forze dell’ordine, sindaci resistenti, raccoglitori di castagne, famiglie che scoprono dal plastico della Stazione Internazionale che la propria casa verrà abbattuta, proprietarie di agriturismo che s’incatenano al cantiere con le manette di un sexy-shop, tutte persone comuni, espressione attiva e partecipe della democrazia dal basso, la stessa che secondo Gaglianone spiega l’astensione record alle Regionali in Emilia-Romagna: “Non capisco che cazzo Renzi abbia da festeggiare, perché la gente non s’è mossa di casa, ha deciso che il poco che gli viene concesso non le sta be- ne. Non ha bisogno di votare, perché fa politica ogni giorno, in Emilia come in Val di Susa”. Eppure, Gaglianone si dice “molto preoccupato, oggi ci troviamo nuovamente tra Rosa Luxemburg e la birreria di Monaco: il nostro ceto dirigente è inadeguato, questo è un film di rivolta, meglio, che si rivolta, perché il senso di cittadinanza è compromesso”. Da domani in sala a Roma, poi anche a Milano, Qui non è fazioso, ma partigiano: “Queste persone possono anche avere torto, ma l’importante qui e ora è prendere posizione”. A contemplare LA TEORIA del tutto, vicever- sa, è l’ottimo film di James Marsh sulla relazione tra il celebre fisico teorico inglese Stephen Hawking e la moglie Jane Wilde: “Non è una storia di malattia, ma d’amore, limiti e fallimenti compresi”, dice Eddie Redmayne, straordinario e metamorfico nei panni di Hawking, un uomo che la Sla non ha piegato. “Per prepararmi sono andato in una clinica, ho incontrato 30-40 pazienti e loro famiglie, era importante conoscessi il costo emotivo e relazionale della patologia, ma io sono fortunato: ogni sera mi alzavo dalla sedia a rotelle, mentre i malati di Sla vivono in una prigione che si restringe sempre di più”. CHAMPIONS LEAGUE La Roma scivola all’ultimo secondo di Roberto Beccantini embrava tutto in ghiaccio, e non S solo perché si giocava a Mosca. Una sassata di capitan Totti aveva rot- to le fragili vetrine del Cska e “consegnato” gli ottavi di Champions League alla Roma. Il gollonzo di Vasilij Berezutski, all’ultimo dei tre minuti di recupero, un cross ambiguo e ondivago sul quale Doumbia ha bluffato e De Sanctis ci è cascato, rinvia la sentenza agli incroci del sesto turno: Roma-Manchester City, Bayern-Cska. Potrebbe bastare un punto, ma si lascia la Russia con la rabbia di aver sprecato un’opportunità semplicemente colossale. È stata una partita lenta, di mosse laboriose, senza pubblico, in quel freddo moscovita che fa tanto Napoleone. Bravo, Garcia, a schierare il 4-3-3 d’ordinanza, con Florenzi terzino d’emergenza, Gervinho, Totti falso nueve e Ljajic in attacco: un segnale. Meno bravo, l’allenatore, a non reagire al progressivo arretramento dei reparti. La Roma aveva la partita in pugno. Se le è scappata, colpa sua, oltre che merito degli avversari. In gergo, si scrive beffa. A patto che non diventi un alibi. Crivellato di gol GELO A MOSCA Giallorossi avanti con una punizione di Totti, il Cska pareggia al 93’. Qualificazione ancora possibile, ma che occasione sciupata all’Olimpico (5-1), il Cska di Slutski si era rimesso in piedi aggrappandosi al Manchester City, rimontato in casa e sconfitto in trasferta. È un collettivo modesto, che si ciba di episodi. Prima che, al 43’, Totti spaccasse l’equilibrio su punizione procurata da Florenzi, il migliore, l’occasione buona era capitata all’ivoriano Doumbia, murato in uscita da De Sanctis. IL POSSESSO palla della Roma aveva provveduto ad addormentare la sfida. Eremenko e Dzagoev giravano in folle. I ritmi, lenti, hanno garantito a Keita, De Rossi e Nainggolan una gestione fin troppo serena e paciosa delle rare scaramucce. I russi, altro non facevano che attendere l’attimo che Doumbia non aveva colto e il tritolo di Totti gli aveva rubato. Alla ripresa, è successo quello che a noi italiani o italianisti capita spesso. Sedotta dalle sirene del braccino corto, la Roma si è tirata indietro: non che i rivali l’avessero spinta alle corde, ma ho avuto l’impressione che De Rossi e c. credessero di aver vinto. Anche se Gervinho non ha acceso il contropiede, Nainggolan e Ljajic, preferito a Pja- nic, hanno sciupato il raddoppio: diagonale a fil di palo, il belga; gran parata di Akinfeev sul serbo. Per carità, se pensiamo alle nuvole del sorteggio estivo il senso dell’impresa che accompagna la Roma rimane inalterato, e la sera del 10 dicembre potrà essere ribadito, urlato. Resta la stizza per non averlo fatto già alla Khimki Arena, in capo a un’ordalia che le aveva offerto più rose che spine. Nulla da dire sulla staffetta tra Gervinho e Iturbe. Con il senno di poi, viceversa, l’ingresso di Strootman al posto di Nainggolan sarà letto come una leggera forzatura. Di sicuro, la Roma aveva sfiorato il 2-0 più di quanto il Cska non avesse accarezzato l’1-1: ricordo un’acrobazia di Dzagoev e poco altro. Il pareggio di Berezutski, introdotto da un errore di Strootman, quando si dice il destino, è piovuto dalla parabola più banale che un guerriero in affanno potesse pennellare. Mia, tua, tua, mia: strada facendo, eccola trasformarsi in una freccia avvelenata. Il rimpianto è di aver tenuto in vita fino al 93’ una partita morta, o comunque prigioniera. 20 SECONDO TEMPO MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014 il Fatto Quotidiano SIRONI 1885 - 1961 Roma, Vittoriano, fino all’8 febbraio 2015 ARTE Mario Sironi, sublime e maledetto A ROMA, RETROSPETTIVA DEDICATA A UN ARTISTA CHE PAGA ANCORA IL LEGAME CON IL FASCISMO di Claudia Colasanti L e occasioni per rivedere il pregiudizio e la rimozione subìti da Mario Sironi (1885-1961) – prima pittore, poi colossale (in tutti i sensi) artista interdisciplinare, illustratore, mosaicista, grafico, scultore – non sono mancati. Eppure non sono stati sufficienti né i FUMETTO decenni che ci separano dal fascismo, né quelli trascorsi dall’anno della sua scomparsa (1961) per considerare virtuosa la sua opera, etichettata come faziosa, univocamente politica, con la totale adesione al fascismo (i suoi numerosi e giganteschi murali, che qui possiamo osservare nei loro toni più perentori ma privi di retorica, progettati a misura per l’impe- di Stefano Feltri Senza nuvolette si va all’“Infierno” INFIERNO 2 di Tito Faraci e Silvia Ziche, Rizzoli Lizard, 104 pagg., 14 euro CI SARANNO PIÙ PAROLE IN QUESTA breve recensione che in tutto il volume di cui si parla, cioè “Infierno 2” di Tito Faraci e Silvia Ziche. Perché è un fumetto muto, non ci sono neppure le onomatopee. La sfida è un bis: il più noto sceneggiatore Disney (e ora non solo) e la più divertente disegnatrice di Topolino (e non solo) tornano insieme otto anni dopo quel primo Infierno che era una sfida per entrambi, un fumetto umoristico in cui parlavano soltanto i disegni. C’è una lunga tradizione di comics senza parole: qualche anno fa la Marvel tolse la voce a tutte le sue serie per un mese, in queste settimane è uscita un’unica tavola muta (lunga sette metri) di Joe Sacco dedicata alla battaglia della Somme, molte strip comiche cercano di limitare al massimo i dialoghi che rallentano la lettura. Ma costruire un intero racconto senza parole è difficile: perché bisogna mantenere una sottile ambiguità, è muto il racconto, non i personaggi che, semplicemente, vengono disegnati nelle situazioni in cui interagiscono tra loro ma senza bisogno di ricorrere ai baloon. Nel primo episodio del volume Rizzoli Lizard, due diavoli poliziotti devono recuperare un criminale condannato ai tormenti ro) e la sua intesa, mai rinnegata, con Mussolini. Utile, anche per dissipare molte storture critiche, questa grande mostra antologica, allestita al Vittoriano di Roma (fino all’8 febbraio 2015), offre una visione ampia di tutto il suo impervio, plumbeo, a tratti stravagante (per troppa etica) percorso, partendo dalle primissime e ancora indecise prove pittoriche. Ancor più chiaro, durante l’itinerario, emerge il carattere dell’uomo, sin da giovane pessimista e catastrofico; e il suo aspetto psicologico, che lo rese vulnerabile e diffidente, soggetto a frequenti crisi depressive. Ne era conscio, sin da subito, Mario Sironi, di proiettare anche nelle sue opere l’assioma di una necessità del dolore, della visione drammatica dell’esistenza dell’uomo moderno e dei suoi raggelanti nuovi insedia- menti urbani, sostituendo un futile e passeggero successo a favore dell’ideale: “L’arte non ha bisogno di essere simpatica, comprensibile, ma esige grandezza, altezza di principi”. In mostra tutte le stagioni della sua pittura (con novanta dipinti), dagli esordi simbolisti al momento divisionista, dal periodo futurista a quello metafisico, dal ‘900 italiano alla pittura TEATRO di Camilla murale fino alle opere del Dopoguerra, con bozzetti, riviste, e carteggi (comprese le impettite sollecitazioni: Sironi era spesso in ritardo con le consegne) con alcuni protagonisti del Novecento italiano, da Margherita Sarfatti, con cui condivise solidarietà critica e umana, fino a Marcello Piacentini, che con lui costruì gli imponenti scenari fascisti. Il suo autoritratto, del Tagliabue Le voci di dentro non finiscono più © Le voci di dentro Di Eduardo De Filippo, con Toni e Peppe Servillo. Milano, Piccolo Teatro Strehler fino al 7 dicembre; poi Barcellona e Napoli. NON HA NEMMENO due anni di vita, ma è già un classico, una di quelle opere – come diceva Calvino – che non si leggono o si vedono, ma si rileggono e si rivedono: “Le voci di dentro” di Eduardo De Filippo, nell’impeccabile allestimento del 2013 di Toni Servillo, continua a macinare applausi, premi e incensamenti in Italia e nel mondo, grazie alla felice tournée ancora in corso. Scritta di getto nel 1948, sulle “macerie morali” di un Paese da ricostruire, la pièce mette in scena – a detta del regista – la “tragedia della normalità, la mostruosità che cova nella ovvietà”: protagonista è Alberto Saporito, un uomo qualunque, che non esita a denunciare i vicini di casa per aver ucciso un amico e occultato il cadavere, salvo poi IL LUNGOMETRAGGIO accorgersi di aver solo sognato l’orribile delitto. Ma a quel punto è difficile arrestare la macchina del fango che egli stesso ha innescato… La realtà si confonde con l’incubo, il demone cartesiano si insinua nel vissuto quotidiano e il sospetto fa il paio con la delazione, per cui tutti accusano tutti, madri, padri, figli, zie, senza nemmeno lo straccio di una prova, o di un morto. Il capocomico Servillo esaspera intelligentemente la dimensione onirica e allucinata della commedia, e si affida alla grande perizia degli attori, tra cui spicca il fratello Peppe, dalla straordinaria e luciferina sensibilità; l’ensemble partenopeo regge bene, per dna, il gioco dei sofismi eduardiani, così come “la grande magia” del teatro nel teatro: i fratelli Saporito, interpretati dai Servillos, sono, infatti, raf- di Valerio fazzonati impresari di spettacoli e feste popolari. Anche la visionaria scenografia di Lino Fiorito complotta a confondere i piani tra recita e realtà, sonno e veglia, finzione e verità, morte e vita: in fondo alla scena c’è una scala di sedie accatastate che porta da nessuna parte. Non esiste alcun aldilà; il morto c’è, ma è quello sbagliato. E l’inferno è tutto “di dentro”. Venturi Bowie, ritorno sullo schermo eterni che è riuscito a sfuggire all’inferno per nascondersi in paradiso, dove prova a sfidare Dio alle elezioni. Nella seconda sono a caccia di una femme fatale che non vuole passare millenni a guardare bucolici cartoni animati. La prima storia è perfetta: il tratto comico della Ziche (che funziona meglio quando disegna storie di altri, i suoi personaggi femminili ironici e un po’ depressi alla lunga sono ripetitivi) ha ritmo, ogni vignetta si fa guardare a lungo, proprio grazie al silenzio delle parole, la sceneggiatura di Faraci è vivace, con guizzi continui. La seconda storia risulta troppo densa, a tratti difficile da seguire e la mancanza di dialoghi ne limita la comprensione. Ma fare fumetti senza parole è difficile, Faraci e la Ziche dimostrano che è possibile farlo ma che è impresa cui possono ambire soltanto gli autori (e i lettori) più consapevoli della grammatica del fumetto. Un esperimento interessante, un divertissement che non deluderà chi aspettava il sequel del volume del 2006. Funziona anche l’introduzione, una chiacchierata Faraci-Ziche via WhatsApp sul progetto. 1909, eseguito a 24 anni, è l’immagine di un giovane severo, con l’espressione dura e le sopracciglia inarcate; così come cupo è il ritratto della madre del 1914. Seguono, oltre ai tentativi futuristi e metafisici, una serie di dipinti (1920) di grande bellezza, che raccontano, con toni freddi e pochi drammatici elementi (un muro, un palazzo dalle finestre squadrate, un ciclista affaticato), tutto lo stupore del precoce fallimento delle nuove città, dei suoi trasporti e soprattutto delle nuove periferie; e della malinconia urbana che investirà i suoi futuri abitanti. E ancor di più dalla mostra emerge il suo sentimento di intima e definitiva solitudine: dall’inizio alla fine della sua vita, prevedendo, come avvenne, che in pochissimi avrebbero seguito il suo feretro. Al termine della mostra la sua profezia è infatti davanti ai nostri occhi. Ne Il mio funerale, una piccola tela del 1960, sfila un minuscolo corteo trainato da un cavallo; alle spalle, come graffiti su un muro affollato, appaiono le icone incrollabili della sua esistenza: le enormi sagome dei murali e la severa geometria priva di calore umano. © David Bowie Is Hamish Hamilton DAVID BOWIE è un’icona. Se il rock “vivo” se la passa male, è invece sempre tempo per celebrare/capitalizzare gli evergreen che hanno fatto la storia della pop culture. Tutto questo per dire che lunedì sera è stato presentato a Milano (in situazione molto fashion) “David Bowie Is”, lungometraggio che racconta cinquant'anni di carriera del camaleonte del rock da ora nelle sale. Il documentario in proiezione per pochi giorni, è un viaggio nella storia del Duca, svolto tra gli oltre 300 memorabilia (filmati, foto, costumi bozzetti, scenografie, storyboard) che sono stati esposti durante la mostra “David Bowie Is” al Victoria and Albert Museum di Londra, realizzata da Victoria Broackes e Geoffrey Marsh del Dipartimento di Teatro & Performance V & A. L’esposizione, che ha raccolto 300 mila visitatori in Uk e che attualmente sta girando per il mondo, è divenuta un film documentario gustoso. Ovviamente c’è super David che si racconta, ma chiaccherano di lui anche lo stilista giapponese Kansay Yamamoto e il front-man dei Pulp Jarvis Cocker, fonti inesauribili di aneddoti. Spazio anche a i video musicali storici, poi tanta altra buona musica per soundtrack: cinquant’anni di carriera passati in rassegna con molti documenti e molto amarcord. D’altronde è in pista dagli Anni 60, ha più di 60 anni, il contenuto non manca: cantautore, artista, attore, personaggio artificiale extraterrestre e androgino, conservatore oppure no, dandy e rivoluzionario, parapunk, brand da tshirt, Bowie è celebrato da tutti e nonostante la carriera ogni tanto esce fuori con un nuovo prodotto (l’ultimo cd, The Next Day e raltivo singolo primo singolo Where Are We Now? è dell’anno passato). Un’altra occasione per vederlo su grande schermo. Come attore, ebbe successo nel 1976 da protagonista con “L'uomo che cadde sulla Terra” di Nicolas Roeg. Poi le interpretazioni: Furyo (Merry Christmas Mr. Lawrence) di Nagisa Oshima del 1983, Absolute Beginners, Labyrinth del 1986 e Basquiat di Julian Schnabel del 1996. Ora il documento celbrativo, realizzato dal regista Hamish Hamilton, Autore dello spettacolo di apertura dei Giochi Olimpici di Londra del 2012. Fit for fans. SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano MANUELA REPETTI MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014 21 è stata ospite del salotto di Agorà LaPresse ONDA SU ONDA IL PEGGIO DELLA DIRETTA La riforma della Rai e l’esempio di TivùSat di Loris Mazzetti a decisione del cda della L Rai di ricorrere contro il decreto del governo, che ha tolto 150 mi- lioni di euro dal bilancio del servizio pubblico, un risultato lo ha prodotto, al di là dell’indignazione dei vari Alfano: l’aver accelerato la riforma della Rai, se approvata (Berlusconi e Forza Italia ovviamente contrari), consentirebbe la nomina di un amministratore delegato e di un cda composto, non più da 9 ma da 5 consiglieri, con funzioni ridotte, indicati da un soggetto esterno per garantirne l’indipendenza dalla politica. Fino a quando Renzi non deciderà di intervenire sul conflitto d’interessi il sistema non sarà mai libero e indipendente. TIVÙSAT gestisce la seconda piatta- forma satellitare (vi hanno già aderito 2.300.000 famiglie), indispensabile per far accedere gratuitamente al segnale gli abitanti dei tanti paesi sperduti nelle nostre montagne, non raggiungibili dal digitale terrestre. TivùSat è una piccola società che fattura circa 9 milioni di euro con un grande futuro, composta dal 48% Rai, 48% Mediaset, 3% Telecom Italia Media, 0,5% Airanti-Corallo (associazione radio e tv locali), 0,5% Confindustria Radio Tv. Recentemente la piattaforma satellitare ha aggiunto nuovi canali per un totale di 68, tra questi Arte, il canale franco-tedesco dedicato al mondo dell’arte e della cultura. Il business tv passa attraverso la Rete (film, serie tv, servizi on demand) non a caso Mediaset sta puntando Telecom per cedere Premium e per portare a casa quote della telefonica. Attraverso il decoder Hd di TivùSat, dove sono presenti dispositivi certificati tivùon, si può accedere alla varie librerie on demand di Internet, come Timvision e Infinity, attraverso le quali si possono vedere migliaia di film, serie tv, ecc. Se in Italia vi fosse una vera legge sul conflitto d’interessi, non nascerebbero dubbi e sospetti tutte le volte che i soci devono prendere una decisione strategica, perché tra essi vi sono tv concorrenti con precedenti gravi di antidemocrazia: l’editto bulgaro, una legge di sistema ad personam come la Gasparri che ha favorito sul mercato Mediaset rispetto alla concorrenza, ma soprattutto il suo proprietario da presidente del Consiglio ha reso subalterna la Rai grazie alla nomina di vertici a lui fedeli al punto di intervenire sulla raccolta pubblicitaria, sull’ascolto e manipolando l’informazione. Il presidente (Rai) e l’ad (Mediaset) di TivùSat, scaduti da tempo, stanno per essere rinnovati, se non vi sarà la naturale rotazione, ancora una volta il sospetto è legittimo. B. e le ultime amazzoni in attesa dei titoli di coda di Fulvio Abbate n assenza del Principale, Forza ItaI lia o come cavolo azzurro vorrai mai chiamarla, non è più, non rispon- de, le manca perfino la targhetta punzonata sull’etichettatrice “Dymo” lì sul citofono. L’amico Berlusconi, d’altronde, come dargli torto, si è proprio rotto di tirare fuori i talleri, i voucher, i buoni pasto per i suoi uomini, le sue miracolate. Arrangiatevi!, così sembra dire da dietro le quinte dello scoramento, e non sarà certo il barboncino della giovane compagna a offrirgli un conforto che sembra assente. E ci fermiamo qui per non precipitare nella prevedibilità prosaica, nella sit-com. Ah, sì, ci sarebbe il cosiddetto Patto del Nazareno a mantenere ogni cosa in “surplace”, sorta di scatola nera contenente gli accordi sulla “roba” che sta a cuore all’inventore dell’impero Fininvest-Mediaset, ma qui, senza volerla fare troppo lunga, ogni giorno è un nuovo giorno e dunque non è detto che tutto stia per svanire come il “Ti amo” scritto sulla sabbia nell’eponima canzone. Nel frattempo, i palafrenieri e le amazzoni del Cavaliere hanno modo di mostrarsi in pubblico: dopo l’ottima, doverosamente livida prova offerta ai telegiornali da Deborah Bergamini, già quinta colonna Mediaset in Viale Mazzini, in risposta a batosta e astensionismo, ecco che nel salotto di “Agorà” (Raitre) Manuela Repetti, premurosa compagna di Sandro Bondi, il poeta, già noto per essere stato anche lo Starace del Nano Ghiacciato. Nello stesso momento, all’altro capo del filo della concorrenza su “Omnibus” (La7) c’è pronto invece a manifestare insofferenza il vivace deputato Maurizio Bianconi che, con maggiore decisione rispetto alla collega Manuela, invoca un’immediata discussione che possa servire a rimettere ogni cosa in gioco, già, c’è pure il convitato di pietra Fitto a essere citato, ma, a dispetto delle forze in campo, meglio, in studio, tra via Novaro e Saxa Rubra, dove hanno rispettivamente luogo le singole emittenti, la sensazione complessiva è quella dell’ammazzacaffè, una sorta di bunker della cancelleria di Arcore la cui vita interna e perfino esterna sem- Gli ascolti di lunedì QUESTO NOSTRO AMORE '70 Spettatori 5,6 mln Share 22,6% ARGO Spettatori 2,5 mln Share 10,9% bra essere regolata dalle regole di un reality iniziato con queste esatte parole: “L’Italia è il paese che amo…”. “BERLUSCONI, se vuoi andare vai, io non ti fermerò,” pronuncia ancora Bianconi parafrasando un ideale cantagiro politico, e tuttavia non si raggiunge mai la temperatura mediatica dello psicodramma, segno che il partito cosiddetto liquido, perdonate la pietosa battuta, venuti meno i liquidi del suo titolare, bastano scarne parole affinché giunga al rompete le righe, d’altronde, pensandoci bene, il giorno della caduta di Craxi all’hotel Ergife di Roma a piangere sincero dolore c’era soltanto Sandra Milo. Le lacrime di Deborah Bergamini non le avremo mai, e anche questo molto dice. Su tutto, nelle pupille di Manuela lì in studio e forse anche degli altri alla buvette, come minaccia incombente, Matteo Salvini, il medesimo politico che quando inforca la cravatta sembra un cognato al banchetto nuziale dopo l’amaro e in attesa di andare in bagno a fare aria. Auguri. @fulvioabbate AMORE CRIMINALE Spettatori 2,1 mln Share 8,4% PIAZZAPULITA Spettatori 876 mila Share 4,2% 22 SECONDO TEMPO MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014 il Fatto Quotidiano IL BADANTE A STRASBURGO Il Papa dei poveri e i burocrati sordi di Marco Politi C’ è un passaggio nell’appassionato discorso di Francesco al Parlamento europeo di Strasburgo, che riassume la filosofia politica e religiosa del pontefice argentino: “Siete chiamati a prendervi cura della fragilità delle persone e dei popoli”. Un appello spirituale e al tempo stesso profondamente realistico a farsi carico della condizione “più marginale e angosciante” di individui e nazioni e “ungerla di dignità”. IL DISCORSO del Papa – il più lungo mai pronunciato in una sede politica – è , al fondo, fortemente laico nell’illuminare le piaghe della crisi attuale. Il modello funzionalista, tecnocratico e privatista dell’economia. La cultura dello scarto, con gli esseri umani trattati come oggetti da utilizzare e buttare. Lo svuotamento della democrazia, sottoposta alla pressione di un potere finanziario sovranazionale “al servizio di imperi sconosciuti”. La mancanza di lavoro e di dignità del lavoro e l’incombere di un meccanismo mirato allo sfruttamento delle persone. La sordità dinanzi alla questione delle migrazioni. Un giro d’orizzonte amplissimo, contrassegnato dai dati reali di un disagio di massa che la classe politica rimuove sistematicamente. Una ricognizione popolata di volti umani, SPECCHIO D’ITALIA Se si accantona un progetto sociale di giustizia e solidarietà non può che esplodere il rigurgito razzista dei Salvini di turno cancellati costantemente dalla scena mediatica, se non nell’agitazione temporanea della “tragedia” consumata sugli schermi televisivi in 24 ore. Un discorso che ha insistito su un’altra grande malattia della società europea contemporanea (e non solo europea). Quella solitudine “che si vede negli anziani abbandonati al loro destino, nei giovani privi di punti di riferimento e di opportunità per il futuro, nei numerosi poveri che popolano le nostre città, negli occhi smarriti dei migranti venuti in cerca di un futuro migliore”. Matteo Renzi – titolare della presidenza dell’Unione per pochi mesi – assisteva in prima fila compunto e alieno. Che contatto poteva esserci tra chi, su un palcoscenico decorato di biciclette e finti banconi da falegname, declama esaltato che il “posto fisso non c’è più”, quasi fosse un trofeo – Papa Francesco, ieri, al Parlamento europeo di Strasburgo LaPresse tra le urla gioiose di fan isterici ignari delle angosce di milioni di individui in carne e ossa – e un uomo sobrio e pacato che indica il punto di rottura della nostra società? Che lunghezza d’onda condivisa può esistere tra chi fugge dai luoghi del dolore e della disperazione (si chiamino Genova, Giambellino o Tor Sapienza) e un vecchio prete aduso alle baraccopoli? Ma Renzi, in realtà, è solo la maschera di una casta politica, che chiude gli occhi davanti alla scena drammatica di una società, che si va spezzando. Perché tra il discorso di Strasburgo di Francesco e la realtà italiana emersa esplosivamente in queste settimane, c’è una robusta connessione logica. Laddove si accantona un progetto politico di giustizia e solidarietà, di legalità e di inclusione sociale, laddove si rompe il legame tra diritti e rispetto dei doveri e impegno per il “bene comune”, non può che esplodere la guerra dei poveri, il rigurgito razzista, la mobilitazione xenofoba, la mobilitazione autoritaria contro l’“Altro”, lo scatenamento dei clan delinquenziali di varia provenienza e di vario colore. IL FENOMENO Salvini in Emi- lia Romagna, il coagularsi sulla scena italiana con percentuali consistenti di una destra antieuropea, antisolidale e culturalmente violenta non può che prosperare a fronte dello sfascio dello Stato e del disinteresse civile praticato dai boiardi politici. I disperati delle case popolari di Milano, vessati dalle occupazioni abusive, la popolazione di Tor Sapienza esasperata dal degrado e dalla sopraffazione quotidiana di marca nostrana o straniera, non sono “di destra”, ma piuttosto le vittime e lo spazio su cui si scaricano i disastri di una politica, che non vuole più occuparsi della “questione sociale”, che sfrutta egualmente italiani e stranieri in lavori sottopagati e con falsi contratti, che ha rinunciato equanime- mente a pretendere legalità da delinquenti italiani e stranieri (e specialmente dai potenti nostrani in colletto bianco), che non ha uno straccio di concetto di politica dell’immigrazione né di repressione dei mercanti di schiavi, che non sa più cosa sia un progetto sociale per la casa e un’urbanizzazione armonica. CHIUSA la Tv, si riprenda do- mani in mano il discorso di Francesco e ci si domandi: è un’Italia spezzata, rancorosa, sfiduciata, aggressiva, asociale, non-europea, nemica dell’Altro quella che vogliamo? La democrazia come “fenomeno secondario” di Oliviero Beha n RARAMENTE capita alla politica, specie a “questa” politica, di dire una parola definitiva sulla situazione, tenendo sempre conto che soprattutto in politica le parole sono degli autentici massi. Anche se fanno a gara a farli sembrare palloncini gonfiati. È successo nel commento all’andamento delle ultime elezioni in Emilia-Romagna e in Calabria da parte del premier: l’astensione, ha detto, è un “fenomeno secondario”. Naturalmente si esprime così perché il suo partito pur vincendo ha perso molti voti. Il punto non è però questo, e neppure la vittoria relativa a destra della Lega di Salvini. Nel mirino c’è proprio la maggioranza degli aventi diritto al voto che non l’hanno esercitato, in una percentuale straniante. Non è davvero sorprendente. Probabilmente buon ultimo nella fila, proprio qui una settimana fa parlavo di “estrema unzione della politica”, della voragine ormai dilatata tra il Palazzo delle istituzioni e il Residence dei partiti da una parte, e la Piazza o la strada dall’altra. La questione riguardava anche il M5S, nella contraddizione della doppia anima di lotta e di governo che la gente percepisce confusamente e di conseguenza fatica a distinguere. Di qui le contestazioni al M5S (che vengono da loro attribuite solo ai “nemici” del Pd, e magari fosse così, saremmo ancora in un recinto identificabile…) nella sua versione “politica” anche se non politicante, e una bella raffica di insulti che il web mi ha poi recapitato. Ben mi sta. Guai a chi non tifa nel Paese in cui si è calcistizzato tutto. Pec- cato che poi le urne diano responsi non troppo lontani da quella “estrema unzione”, che viene epigrafata da Matteo Renzi con il suo “secondario” riferito all’astensionismo. SE DOBBIAMO prenderne atto, siamo costretti anche a trarne una serie di deduzioni che attengono alla logica e non al politicismo d’occasione. Se la Repubblica italiana ha una forma di governo democratica, essa non può prescindere dal voto come sua attuazione pratica. Se non votare è secondario, ne discende che sia secondaria la democrazia. Il che può essere tranquillamente oggetto di discussione. Abbiamo avuto il ventennio fascista, ci siamo immersi nel berluscon ALLA FRUTTA Il valore dell’astensione viene spogliato di ogni suo significato politico. Invece ci sarà pure chi ha scelto di mandare un segnale, no? LaPresse nismo più impuro, nulla vieta che si voglia trangugiare anche la medicina del renzismo e del suo “partito della nazione” che però appunto considera marginale l’andare a votare. La democrazia sarebbe dunque esemplarmente un lusso che oggi, visti i tempi, non ci possiamo più permettere, anche alla luce del disastro combinato in passato dalla “nostra” democrazia leggermente stracciona. Non solo: in questo senso il valore del non voto, che ha riguardato in questa tornata molti italiani in più di quelli che invece hanno votato, viene spogliato di ogni suo significato politico. Ci sarà pure chi non ha votato per mandare un segnale comunque, giusto o sbagliato che sia, no? Niente, si sono astenuti per niente. E le Regioni, l’istituto che dovrebbe far discutere per l’importanza che ha assunto negli anni (pensiamo solo alla spesa sanitaria nazionale che ne assorbe quasi tutto il bilancio)? Nulla, non contano, non è “primario” che non abbiano votato per l’amministrazione di esse. E potrei continuare… Se è prioritario che abbia vinto in ogni caso Renzi e perso Berlusconi, con Salvini all’arrembaggio sulle navi degli immigrati, e non che si stia dissolvendo un’idea democratica della politica e con essa il Paese, forse l’estrema unzione è già stata data. E non mi si venga a dire che “quelli fanno il loro mestiere di parte”, etimologicamente inteso: l’aver ballato sul Titanic mentre affondava non viene considerata oggi la migliore delle opzioni, con l’aggravante che questa classe dirigente rimedia sempre un posto in elicottero per alzarsi in volo prima del naufragio. PIOVONO PIETRE Finalmente elezioni a risultato immediato: hanno votato in 36 di Alessandro Robecchi orse è questo che intende Matteo Renzi F quando dice che sogna un Paese dove la sera stessa delle elezioni si possa sapere chi ha vinto e chi ha perso. Giusto. Bello. Basterebbe che votassero in trentasei: poche schede da contare, percentuali presto fatte, seggi assegnati e seccatura archiviata. Rito antico e democratico, novecentesco, polveroso, retorico, che noia, che vecchiume. Perché poi, di tutte le spiegazioni, le sottili analisi, le elaborate elucubrazioni di questi giorni sul clamoroso astensionismo (soprattutto in Emilia) se ne dimentica una che non è un dettaglio: il valore del voto degli italiani è piuttosto in ribasso. La riforma delle province, di cui si parla da quando Matteo faceva il boy scout, si è tradotta in una semplice abrogazione del voto. Cioè, le province sono ancora lì, con i loro presidenti e i loro consiglieri, ma nominati (anche in seguito a vergognosi accordi tra partiti) e non più eletti. Al Senato peggio mi sento: anche lì resteranno gli scranni, il mirabile palazzo, i senatori che potranno legiferare persino sui temi etici (in soldoni: la vita e la morte), ma non ce li manderà l’elettore italiano. Saranno nominati anche loro, su base regionale. Ecco. Assistiamo dunque allo spettacolo d’arte varia di gente – commentatori politici, corsivisti, esponenti di questa o quella corrente dere la realizzazione delURNE VUOTE – che si rammarica per le sorti luminose e prol’astensionismo dopo che si prometteIl voto, questo rito antico gressive aver applaudito sonoravano ad ogni passo. Ora, mente due riforme che quell’entusiasmo sembra e democratico, toglievano il diritto di in fase calante. Faremo novecentesco, polveroso, questo in febbraio, quevoto agli italiani per istituzioni fondamentali. Si sto in marzo, questo in retorico, che noia, aggiunga che senatori e aprile. Poi passano febbraio, marzo, aprile e tutconsiglieri provinciali che vecchiume. Molto verranno nominati proti gli altri mesi del calenmeglio nominare prio dalle regioni (e dai dario, e non si vede gransindaci), dunque avreché, e soprattutto quel mo, per dire, un Senato che si vede non piace. Sanominato da consigli regionali eletti da rebbe questo, tutto il nuovo che si diceva? un’esigua minoranza di cittadini. Mah. Fosse ancora vivo, quell’entusiasmo Siccome la cultura politica da queste parti della prima ora, alle urne ci si sarebbero somiglia a quella calcistica, il giovane Pre- precipitati, emiliani e calabresi. E invece mier ha fatto notare che l’importate è la no. In più, dopo aver discettato per mesi vittoria. Al novantesimo, con gol di mano, su renziani della prima e della seconda in fuorigioco, con due avversari a terra, ora, ecco spuntare un nuovo soggetto, che ma che importa, conta vincere. E dunque sarebbe l’anti-renziano della seconda ora. l’astensione è diventata un problema “se- Quello diventato più critico, quello che condario”. Sarà. Resta il fatto che l’aria è così come ha dato credito ora se lo riprenun po’ cambiata. Qualcuno ricorderà (ok, de, o lo congela, che frena gli entusiasmi. va bene il paese senza memoria, ma sono Comunque sia, è vero: settecentomila voti passati solo sei mesi!) il garrulo entusia- che se ne vanno su un milione e duecensmo con cui Renzi e il renzismo vennero tomila potrebbero essere un problema seaccolti dal paese. Primarie affollate, urne condario, ma solo se avranno voglia di piene alle Europee, il mitico 41 per cento tornare. Se invece se ne staranno fuori, a ripetuto come un mantra a ogni uscita guardare, sconsolati e orfani, il problemipubblica dei giannizzeri del re. Un paese no potrebbe diventare primario. ipnotizzato e innamorato, ansioso di ve@AlRobecchi SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano 23 MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE 2014 A DOMANDA RISPONDO Furio Colombo Poco importa a Renzi la distanza degli elettori Abbiamo vinto 2 a 0. Questo è l’entusiasmante commento di Renzi dopo le elezioni regionali. Il tracollo verticale dell’affluenza alle urne non sembra preoccupare il premier che con provocante indifferenza ha giudicato la piaga dell’astensionismo un problema secondario, lasciando capire che di primaria importanza considera solamente la propria ambizione personale. C’è un segno tangibile di distacco e disaffezione della gente nei confronti delle istituzioni. Ma per il Presidente del Consiglio nonché segretario del Pd il concetto di democrazia è uno solo: il suo. Un atteggiamento irresponsabile e indisponente che provocherà ulteriore malessere e irritazione nell’elettorato perché la democrazia non è una partita di calcio, qualcuno vicino a Renzi dovrebbe farglielo notare. Per l’ennesima volta, il non voto ha lanciato un preciso segnale di allarme: sta alle persone consapevoli e responsabili saperlo intercettare e farlo capire a chi ostinatamente continua a fare finta di non vedere e non sentire. Ma probabilmente è già tardi. Silvano Lorenzon L’astensionismo come problema secondario Renzi con queste parole dimostra quanto si era già intuito da tempo e cioè in quale considerazione tenga gli elettori. È riuscito a portare il partito a livelli di astensionismo mai visti prima, cosa che già si era intravisto alle europee. A lui non interessano le elezioni, in fin dei conti si può governare senza mai essere eletti, come succede a lui. Anzi, probabilmente, il suo ideale elettorale è che a votare vada sempre meno gente, possibilmente nessuno a parte lui e i suoi fedelissimi, in modo da poter avere il potere assolu- to e non essere disturbato da noiose critiche che fanno solo perdere tempo. Del resto, la sua riforma elettorale non fa che confermare la volontà di togliere alle persone la possibilità di votare e soprattutto di scegliere: la democrazia non fa parte del suo Dna. Non è sua abitudine chiedersi perché non piace alle persone, ovviamente sono le persone che non capiscono niente; insultare, di L’equivoco linguistico dello sciopero del voto La corruzione del linguaggio, praticata soprattutto in democrazia, lo trasforma in una potentissima arma di distruzione, di quel che rimane della sovranità popolare. L’astensione dal voto emersa in una dimensione dirompente e mai vista prima alle elezioni regionali di domenica viene anche definita “sciopero del voto”, ma così in un La Lega trionfa sulle paure CARO FURIO COLOMBO, qualcosa non va in quello che lei ci dice ogni giorno sulla Lega Nord. In queste ultime elezioni Salvini ha raddoppiato il suo voto. Se fosse quel pessimo personaggio che lei dice… Vitaliano MATTEO SALVINI è quel personaggio che dico. Basti pensare che marcia accanto a Borghezio, uno dei personaggi meno stimabili del mondo politico europeo, che pure è di scarso livello. Potrei dire che ha saputo stanare gente come lui, ma sarebbe un giudizio arbitrario. Conosco Salvini e so che non è politicamente rispettabile. Non conosco chi lo ha votato e perché, ma posso fare le congetture che seguono. Primo. Chi ha votato Salvini lo ha fatto per vendetta, come accade nelle storie d’amore. Lo ha votato di certo una parte della sinistra abbandonata sull’autostrada dal nuovo Partito democratico di Renzi. Una brutta vendetta, ma una vera vendetta, votare per il peggior gruppo disponibile come per dire: persino chi è pessimo merita più attenzione di te. Secondo. Paura e pregiudizio sono due brutte bestie sempre in agguato. Nei secoli, e in Paesi, culture e religioni diverse, la vignetta fatto, chi si è astenuto dal voto anzichè cercare di capirne le motivazioni fa parte del modo suo e delle sempre più simpatiche sue ministre di fare politica. L’ex classe dirigente del partito, quello da rottamare per intendersi, ha fatto sicuramente disastri ma per lo meno quando l’astensionismo aumentava se ne chiedeva le motivazioni e bisogna ammettere che qualcuno, spinto dal comune senso del pudore che evidentemente non tutti hanno, arrivava al punto di dimettersi, anche se eletto e scelto dagli elettori regolarmente. Ecco, c’è una cosa che Renzi potrebbe e dovrebbe fare: prendere atto che ormai l’incantesimo è finito e dimettersi. Albarosa Raimondi colpo solo si piccona ulteriormente la dignità dello strumento “sciopero”, e a vantaggio della classe dominante, si confonde “quella gente” che per dirla con l’Eugenio Scalfari del 2006, si è dimessa da popolo, è diventata plebe, moltitudine anonima e unidimensionale, è spinta sempre più a ridursi poltiglia. Sono più che mai convinto che quel diritto di sciopero che all’ultima Leopolda “renziana” è stato pure irriso, resta un costoso strumento del “fare” nelle mani dei lavoratori subordinati che credono ancora di poter in qualche modo incidere sul proprio destino. All’astensione massiccia dal voto, ed a cui pure mi sono rassegnato per la prima volta in vita mia di aderire, si arriva invece, come giustamente ha sottolineato Piergiorgio Odifreddi, “percependo lucidamente che il rito del voto è ormai una farsa”, che votare non serve, come paradossalmente tanto meno serve non votare. Intanto che la classe dominante apparentemente lo esalta, si conferma che il voto è un fatto secondario, Renzi docet. Vittorio Melandri Il Papa troppo filosofico non ha colpito in Europa Devo dire che sono rimasto deluso dal discorso di Papa Bergoglio al Parlamento europeo: da un lato troppo “filosofico” per quei caproni e lobbisti dei parlamentari europei e dall’altro troppo generalista e scontato sui problemi specifici: si è visto che, pur essendo il suo un ruolo ecumenico e globale, il Fatto Quotidiano Direttore responsabile Antonio Padellaro Condirettore Marco Travaglio Direttore de ilfattoquotidiano.it Peter Gomez Caporedattore centrale Ettore Boffano Caporedattore Edoardo Novella Caporedattore (Inchieste) Marco Lillo Art director Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Valadier n° 42 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 mail: segreteria@ilfattoquotidiano.it - sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. sede legale: 00193 Roma , Via Valadier n° 42 Presidente: Cinzia Monteverdi Consiglio di Amministrazione: Lucia Calvosa, Luca D’Aprile, Peter Gomez, Antonio Padellaro, Layla Pavone, Marco Tarò, Marco Travaglio nella concezione e stesura del suo discorso. Forse ha pagato lo scotto di un Papa non europeo che parla all’Europa. Francesco Mantuano hanno sempre portato male. Ma fanno presa. Salvini è un attivissimo portatore di paura e di pregiudizio. Alcuni fra coloro che sono contagiati dalla paura o si sentono liberati dalla proibizione di sfogare il pregiudizio, scelgono Salvini e la Lega, che su queste materie sono imbattibili. Terzo. In un suo modo ingannevole, che, come si è già visto con la buona fortuna privata della famiglia Bossi, serve solo a chi conduce il gioco, la Lega sa come far girare successo e voto. Perciò non bada a spese (morali) per allargare il proprio spazio, dovesse anche provocare qualche linciaggio, non bada a notizie false e a disinformazione, Ebola inclusa. Tutta la storia europea insegna, in tutti i momenti bui del secolo scorso, che i peggiori si affermano, aumentando, attraverso l'illusione di soccorso, il pericolo. Il “trionfo” della Lega nelle elezioni emiliane è la più brutta notizia del momento ma anche la più allarmante chiave di interpretazione del Pd guidato da Renzi: l’Emilia Romagna precipita nella Lega. Non è poco come finale tragico. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 lettere@ilfattoquotidiano.it parlava troppo all’Europa senza richiamarla alla sua inserzione nel mondo. Eppure era lì non come “Capo di Stato” ma come “Pastore di anime”. E cosa sarebbe l’Europa senza la sua particolare relazione globale se non una penisola dell’Asia? Un esempio è la rapida vaghezza con cui Bergoglio ha accennato alla pressante necessità di affrontare il problema migratorio andando alle cause e non limitandosi ai facili ma obsoleti concetti di elemosina e assistenzialismo. Piaccia o no, ma da dopo Marx (e certo non solo) l’elemosina è un concetto arcaico da pregressa cosmogonia pre-destinativa (cosa forse ancora non bene interiorizzata culturalmente dalla società civile europea). Il fenomeno migra- torio, potenzialmente globale e devastante sia economicamente che socio-culturalmente, richiede all’Europa coscienza di sé e politiche internazionali del tutto diverse che devono darle un’auto-definizione del tutto nuova che riguarda la sua stessa intima struttura socio-culturale e politica; tra l’altro unendo il problema a quell’altro, anch’esso solo accennato, della difesa dell’ambiente naturale come condizione indispensabile di elementare sopravvivenza. Senza una visione europea come affrontare questo gigantesco problema? Forse per Bergoglio sarebbe stato meglio parlare la metà ma “all’impronta”. Avrebbe toccato meno argomenti ma con più sensibilità. Forse è stato consigliato male Grazie a Papa Bergoglio per aver usato l’italiano Credo che gli italiani debbano ringraziare il Papa per la lingua che ha usato indirizzandosi al Parlamento europeo. Ha riportato in valore l’italiano, una delle quattro lingue dei paesi fondatori. Per i politici nostrani, che si compiacciono tanto di parlare inglese abbandonando anche il francese in nome di una adesione al globalismo finanziario imperante, spero sia una non piccola lezione. Grazie Papa da un non cattolico anche per quello che ha detto. Marcello Nieri Dove sono le sentinelle per la casa e il lavoro? Non è strano che questo Paese tanto cristiano, che ospita il Papa e il Vaticano, sia l’unico in tutta Europa (esclusa la Grecia) a non avere introdotto una misura nazionale di contrasto alla povertà? Non è strano che, in un Paese dove ti saltano addosso se parli di eutanasia o di matrimoni omosessuali, ci siano quasi dieci milioni di poveri? Non è strano che in un Paese tanto cristiano ci siano famiglie non in grado di garantire ai figli un pasto sostanzioso tutti i giorni? Non è strano che non esista una politica per l’infanzia, per l’adolescenza, per i giovani? Non è strano che in un Paese dove il Papa definisce “diritti sacri” la casa e il lavoro, tante persone siano senza casa e senza lavoro? Non è strano che in questo Paese tanto cristiano non ci siano sentinelle, magari sedute (si ragiona meglio), che vigilino affinché tutti abbiano una casa e un lavoro? Francesca Ribeiro Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 lettere@ilfattoquotidiano.it Abbonamenti FORME DI ABBONAMENTO COME ABBONARSI • Abbonamento postale annuale (Italia) Prezzo 290,00 e Prezzo 220,00 e Prezzo 200,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Abbonamento postale semestrale (Italia) Prezzo 170,00 e Prezzo 135,00 e Prezzo 120,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Modalità Coupon annuale * (Italia) Prezzo 370,00 e Prezzo 320,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Modalità Coupon semestrale * (Italia) Prezzo 190,00 e Prezzo 180,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento in edicola annuale (Italia) Prezzo 305,00 e • 7 giorni Prezzo 290,00 e • 6 giorni È possibile sottoscrivere l’abbonamento su: https://shop.ilfattoquotidiano.it/abbonamenti/ • Abbonamento in edicola semestrale (Italia) Prezzo 185,00 e • 7 giorni Prezzo 170,00 e • 6 giorni Oppure rivolgendosi all’ufficio abbonati tel. +39 0521 1687687, fax +39 06 92912167 o all’indirizzo mail: abbonamenti@ilfattoquotidiano.it ABBONAMENTO DIGITALE • Mia - Il Fatto Quotidiano (su tablet e smartphone) Abbonamento settimanale 5,49 e Abbonamento mensile 17,99 e Abbonamento semestrale 94,99 e Abbonamento annuale 179,99 e • il Fatto Quotidiano - Pdf (su Pc) Abbonamento settimanale Abbonamento mensile Abbonamento semestrale Abbonamento annuale 4,00 e 15,00 e 80,00 e 150,00 e * attenzione accertarsi prima che la zona sia raggiunta dalla distribuzione de Il Fatto Quotidiano Centri stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130, 20060 Milano, Pessano con Bornago, via Aldo Moro n° 4; Centro Stampa Unione Sarda S. p. A., 09034 Elmas (Ca), via Omodeo; Società Tipografica Siciliana S. p. A., 95030 Catania, strada 5ª n° 35 Concessionaria per la pubblicità per l’Italia e per l’estero: Publishare Italia S.r.l., 20124 Milano, Via Melchiorre Gioia n° 45, tel. +39 02 49528450-52, fax +39 02 49528478, mail: natalina.maffezzoni@publishare.it, sito: www.publishare.it Distribuzione Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A., Sede: 20132 Milano, Via Cazzaniga n° 1, tel. + 39 02 25821, fax + 39 02 25825203, mail: info@m-dis.it Resp.le del trattamento dei dati (d. Les. 196/2003): Antonio Padellaro Chiusura in redazione: ore 22.00 Certificato ADS n° 7617 del 18/12/2013 Iscr. al Registro degli Operatori di Comunicazione al numero 18599 • Servizio clienti assistenza@ilfattoquotidiano.it MODALITÀ DI PAGAMENTO • Bonifico bancario intestato a: Editoriale Il Fatto S.p.A., BCC Banca di Credito Cooperativo Ag. 105, 00187 Roma, Via Sardegna n° 129 Iban IT 94J0832703239000000001739 • Versamento su c. c. postale: 97092209 intestato a Editoriale Il Fatto S.p.A. 00193 Roma , Via Valadier n° 42, Dopo aver fatto il versamento inviare un fax al numero +39 06 92912167, con ricevuta di pagamento, nome, cognome, indirizzo, telefono e tipo di abbonamento scelto • Pagamento direttamente online con carta di credito e PayPal.
© Copyright 2024 Paperzz