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Cooperativa
Migros Ticino
G.A.A.
6592
S. Antonino
Settimanale
di informazione e cultura
Anno LXXVII
10 marzo 2014
Azione 11
7
pping 5-52 / 62-6
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alle pa
Società e Territorio
Il comune di Bedretto e le sue
frazioni: una realtà fatta
di isolamento e volontà
di autonomia
Ambiente e Benessere
Secondo la medicina darwiniana
ci ammaliamo perché la nostra biologia
e il nostro comportamento sono adatti
a condizioni di vita passate
Politica e Economia
La Francia si appresta
ad affrontare le amministrative
in un doppio turno elettorale
Cultura e Spettacoli
Al m.a.x.museo di Chiasso
una grande mostra dedicata
a Luigi Rossini incisore
pagine 10-11
pagina 25
pagina 35
pagina 3
pagine 23, 24, 25
AFP
A un passo dalla guerra
di Alfredo Venturi, Federico Rampini e Astrit Dakli
Su un piano inclinato
di Peter Schiesser
Siamo in guerra? Il Ticino è un’appendice territoriale e culturale
pronta a staccarsi dal corpo confederale? Non esageriamo. Ma tantomeno sarebbe saggio distogliere lo sguardo da segnali di rovesciamento del piano dei valori e da un mutamento della percezione collettiva
della realtà, emersi con prepotenza dopo la votazione del 9 febbraio.
Prendiamo la recente visita in Ticino della consigliera federale
Eveline Widmer-Schlumpf: concesso, avrebbe fatto meglio a presentarsi ai giornalisti dopo l’incontro con il Consiglio di Stato, non fosse
che per dire, con eleganza, che non aveva nulla da dire. Avrebbe calmato momentaneamente l’ansia del cantone. Ma non era un po’ fuori
luogo il tono astioso di tanti politici e giornalisti nostrani nei suoi confronti? Ed è degno di un modo elvetico di intendere la politica fischiare una consigliera federale, come è successo al suo arrivo ad Agno da
parte di un gruppo di politici della Lega? È da rimarcare che oggi in Ticino è diventato «politically correct» provare sdegno e usare parole
pesanti per una mancata dichiarazione di una consigliera federale e
mostrare indifferenza se questa viene prima di tutto fischiata.
Non è uno spostamento di valori?
Ad esso si accompagna una modifica della percezione collettiva
della realtà. L’esempio migliore è rappresentato dai frontalieri. Se in
passato erano generalmente considerati un guadagno per l’economia
ticinese nel suo complesso, oggi sono generalmente percepiti come un
problema. E la percezione è così forte che il loro apporto positivo non
viene neppure più tematizzato, tanto viene schiacciato da argomenti
negativi. Chi li considera un problema sottolinea che rispetto a dieci
anni fa il loro numero è raddoppiato, superando quota 60 mila. Vero.
Ma altrettanto vero è che sono raddoppiati anche (e solo ancora) a Ginevra, che ne conta qualche migliaio in più del Ticino. Ma lì, sulle rive
del Lemano e del Rodano, il 60,9 per cento dei cittadini ha votato contro l’iniziativa dell’UDC. Quindi? Quali elementi – oggettivi o/e emotivi – fanno sì che un identico aumento, un numero simile di frontalieri, addirittura a fronte di una popolazione di un terzo inferiore (la città-cantone di Calvino conta 200 mila abitanti, noi 330 mila), ponga
Ticino e Ginevra agli antipodi nella percezione del valore dei frontalieri? Forse perché da noi in molti si è fatta largo la convinzione che
questo aumento sia andato a scapito dei ticinesi, in parole povere che i
frontalieri rubino oggi il lavoro ai ticinesi? Per sostenere questa tesi si
sottolinea che oggi un impiego su quattro è occupato da frontalieri. Se
però andiamo a spulciare qualche statistica, per esempio lo studio
dell’Istituto di ricerche economiche del 2010, constatiamo (pag 34)
che già nel 2008 la quota dei frontalieri raggiungeva il 24 per cento della manodopera globale (ossia un impiego su quattro). Quindi, se il numero dei frontalieri è cresciuto e la percentuale rispetto alla manodopera complessiva è rimasto uguale, significa che sono aumentati anche i posti di lavoro occupati da chi risiede in Ticino, se la matematica
non è un’opinione. Eppure in questi sei anni la percezione è cambiata
radicalmente. E si è colorata di molta emotività.
È tipico di un mutamento collettivo improvviso che le emozioni
prendano il sopravvento sulla razionalità, sul pensiero. Ma il passato
insegna che può essere pericoloso opporre la «pancia» alla testa,
l’emozione al pensiero. Poiché simili cambiamenti repentini creano sì
un’unione collettiva, ma sulla base di emozioni che possono giungere
al punto in cui non sono più individualmente controllabili. Poiché,
come afferma chi studia la psiche umana, in realtà non siamo noi ad
«avere» un’emozione, è l’emozione che si impossessa di noi.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
2
«Molte persone
si sentono insicure»
Ogni anno circa 2500 persone si rivolgono al servizio di consulenza dietetica di Migros. Annina Erb, responsabile
per alimentazione e salute della FCM parla di veganismo e di un caffè che risale alla Seconda guerra mondiale
o rispondiamo a richieste di chiarimenti sui valori nutrizionali, sulle vitamine e sui sali minerali.
Christoph Petermann *
Signora Erb, chi si rivolge al servizio di consulenza dietetica di Migros?
Quali sono i temi che interessano
maggiormente le persone?
Molte domande sono centrate sul tema
delle allergie e delle intolleranze. Ad
esempio, una interlocutrice voleva sapere quale pane e quali paste sono
esenti da glutine, perché le era stata diagnosticata una intolleranza di quel
tipo. I vegani vogliono essere rassicurati sul fatto che in molti prodotti,
come ad esempio la margarina, siano
veramente assenti i grassi animali.
Anche le prescrizioni religiose giocano
un ruolo: ad esempio i musulmani desiderano essere sicuri che in alcune
preparazioni a base di carne non sia
contenuto del maiale.
Persone di tutte le classi di età; donne e
uomini chiamano con la stessa frequenza. La fascia di popolazione sensibile ai temi dell’alimentazione sembra
più ampia di quanto quanto lo fosse alcuni anni fa.
Quali sono i motivi?
Sui media il tema dell’alimentazione
tiene banco da tempo. Molte persone si
sentono insicure. Che cosa dovrei e
posso ancora mangiare? Che cos’è
un’alimentazione sana? E non da ultimo, vogliamo rafforzare la competenza individuale dei clienti.
Cosa offrite ai vostri interlocutori,
precisamente?
Oltre a questo, in che modo potete
rendervi utili?
Rispondiamo a tutti i quesiti alimentari
legati ai prodotti Migros. A volte si
tratta di informazioni su allergie e intolleranze, oppure su componenti di
origine animale. Forniamo anche consigli sulla conservabilità degli alimenti
Possiamo fornire ai vegani informazioni sugli ingredienti di origine animale. Per farlo spesso sono necessarie
verifiche specifiche presso i fornitori
informazioni. Agli allergici offriamo
un sostegno nella scelta di prodotti
adatti, sotto forma di una informazione
generica o anche di una lista di prodotti
speciali per allergici e per persone che
soffrono di intolleranze, che spediamo
per email o per posta.
Mangiare meglio
con l’Infoline per
l’alimentazione
Quanto tempo dura una consulenza
telefonica?
La consulenza gratuita di Migros
permette ai clienti di porre le più diverse domande sull’argomento. Prerequisito è, chiaramente, che si parli
di prodotti Migros. L’offerta non
comprende una consulenza medica.
Ogni anno vengono prese in considerazione tra le 2000 e le 2500 richieste. Il numero di telefono per entrare
in contatto con il servizio di consulenza è parte dei servizi della M-Infoline: 0848 840848.
Ogni richiesta
viene trattata in
modo
individuale:
l’esperta di
alimentazione
Annina Erb.
(Daniel Winkler)
Tra cinque minuti e mezz’ora, a volte di
più. Ciò è dovuto al fatto che dobbiamo
trattare in modo individuale ognuna
delle richieste. Un esempio: è successo
che ci contattasse una persona che
aveva fatto pulizia nella sua cantina. Le
era capitato così di ritrovare del caffè in
chicchi che risaliva alla Seconda guerra
mondiale. Qui il caso era chiaro: l’abbiamo sconsigliata di utilizzarlo.
* Redattore di Migros Magazin
M Neo diplomati nella logistica
M Appello ai soci della
cooperativa Migros Ticino
Da 25 anni Migros Ticino collabora
con la Fondazione Diamante nell’integrazione di persone nel mondo del lavoro. Attualmente sono nove gli utenti
inseriti nel team logistico presso la sede
centrale a Sant’Antonino. Tra questi
Nathan Ramelli, Leutrim Kelmendi,
Carlos Rosasco e Patrick Lucchini, della Fondazione Diamante, hanno conseguito l’attestato di abilitazione per l’utilizzo dei «carrelli a timone» presso l’Associazione Svizzera per la formazione
professionale in logistica. Nella foto –
da sinistra – Nathan Ramelli, Leutrim
Kelmendi, Pierfranco Chiappini Responsabile dipartimento logistica di
Migros Ticino, Carlos Rosasco, Patrick
Lucchini e Pier Morisoli, uno degli
educatori della Fondazione Diamante
che seguono gli utenti che lavorano
presso la centrale di Migros Ticino a S.
Antonino.
Cari soci,
nel corso della dodicesima settimana
che segue questo avviso, la vostra
Cooperativa procederà all’elezione di
rinnovo dell’Ufficio di revisione per un
nuovo mandato biennale (20142015).
Le elezioni si svolgeranno secondo
le disposizioni dello Statuto del 7 giugno 2008 e del Regolamento per votazioni, elezioni e iniziative della vostra
Cooperativa dell’8 settembre 2010.
Quali soci potete consultare questi documenti (presentando la vostra quota
sociale o la tessera di socio) in tutte le
nostre filiali nonché presso la sede della
Cooperativa a S. Antonino.
I soci della Cooperativa possono
presentare proposte elettorali, che devono soddisfare le disposizioni previste
dallo Statuto (art. 35) e del Regolamento (art. 27) ed essere inoltrate entro il 29
marzo 2014 all’Ufficio elettorale di Migros Ticino.
In applicazione dell’art. 30 dello
Statuto, il Consiglio di amministrazione ha nominato un Ufficio elettorale che
oltre a ricevere le proposte elettorali,
sorveglia lo svolgimento dello scrutinio.
Esso è così composto:
■ avv. Filippo Gianoni, Bellinzona, presidente;
■ Alfredo Kägi, Ascona, vicepresidente;
■ Roberto Bozzini, Sementina, membro;
■ Myrto Fedeli, Cadenazzo, membro;
■ Giovanni Jegen, Locarno, membro.
Le proposte elettorali e tutta la corrispondenza destinata all’Ufficio elettorale devono essere indirizzate al suo
presidente.
Tiratura
98’654 copie
Abbonamenti e cambio indirizzi
Tel 091 850 82 31
dalle 09.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00
dal lunedì al venerdì
fax 091 850 83 75
registro.soci@MigrosTicino.ch
Settimanale edito dalla Cooperativa
Migros Ticino, fondato nel 1938
Sede
Via Pretorio 11
CH-6900 Lugano (TI)
Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89
info@azione.ch www.azione.ch
Editore e amministrazione
Cooperativa
Migros Ticino
CP, 6592 S. Antonino
Tel 091 850 81 11
Redazione
Peter Schiesser (redattore responsabile)
Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica
Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli,
Ivan Leoni
La corrispondenza va indirizzata
impersonalmente a «Azione»
CP 6315, CH-6901 Lugano
oppure alle singole redazioni
Stampa
Centro Stampa Ticino SA
Via Industria
6933 Muzzano
Telefono 091 960 31 31
Azione
Inserzioni
Migros Ticino Reparto pubblicità
CH-6592 S. Antonino
Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00
pubblicita@migrosticino.ch
Sant’Antonino, 10 marzo 2014
Cooperativa Migros Ticino
Il Consiglio di amministrazione
Costi di abbonamento annuo
Svizzera Fr. 48.–
Estero a partire da Fr. 70.–
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
3
Società eTerritorio
Educazione sessuale
Parlare di sessualità con i propri figli, per molti genitori è ancora
causa di imbarazzi e insicurezze: intervista allo psicoterapeuta
dell’età evolutiva Alberto Pellai
pagina 5
Il progetto ParLaMondo
L’Associazione Progetto Genitori Mendrisiotto e Basso Ceresio
ha avviato da poco un progetto di integrazione presso
il preasilo di Chiasso
pagina 6
L’inverno
a Villa Bedretto.
(CdT - Maffi)
La via solitaria di Bedretto
Isolamento e autonomia Sono un’ottantina i residenti del comune di Bedretto e delle sue frazioni e praticamente
nessuno vuole l’aggregazione con Airolo e Quinto. Abbiamo incontrato il sindaco Diego Orelli
Alberto Cotti
Più del bianco della neve, è il silenzio ad
impressionare. Soprattutto chi a Bedretto non vive. Per chi ci abita invece,
l’ovattato silenzio invernale è assolutamente normale. E neppure il fatto che la
strada che collega la valle ad Airolo resti
chiusa al traffico a causa della neve ha alcunché di straordinario. Succede quasi
ogni anno, eppure sono un’ottantina le
persone che risiedono stabilmente nel
villaggio e nelle sue frazioni. Per la gioia
di Diego Orelli, l’arzillo sindaco ottantenne che è anche una sorta di memoria
storica e non solo dell’intera valle. Chi
l’ha già sentito cantare – negli ultimi anni è stato spesso ospite dell’osteria Zoccolino di Bellinzona –, non fatica oltre
misura ad immaginarselo negli anni ’50
ad allietare le serate nei ristoranti del
Kreis vier di Zurigo con l’immancabile
fisarmonica. Così come è facile intuire
quanto Diego Orelli ami Bedretto. Pur
senza mai abbandonare la musica – alcuni anni fa ha anche pubblicato il suo
primo cd – è stato agricoltore, allevatore, produttore di formaggio, maestro di
sci e, soprattutto, ristoratore. Per moltissimi anni infatti, la Locanda Orelli ha
trovato posto nelle migliori guide ga-
stronomiche ed in quelle turistiche di
mezzo mondo. Sorride quando glielo si
fa notare, ma poi riporta il discorso sul
suo argomento preferito: Bedretto. E
non solo perché è proprio dagli anni ’50
che riveste quasi ininterrottamente cariche pubbliche. «Tranne per un breve
periodo – racconta – durante il quale ho
trasferito il domicilio ad Airolo, ma non
era la stessa cosa». Anche Bedretto però,
non è più lo stesso. «Molte cose sono
cambiate – ammette –. L’economia alpestre e il turismo tengono, ma l’agricoltura tradizionale è praticamente sparita». Così, se sugli alpi durante la stagione estiva si possono contare circa 400
mucche, a falciare i prati sono i contadini di Airolo. Di aggregazione però, non
ne vuole parlare. «Quasi tutti i cittadini
sono contrari – dice Diego Orelli –, anche perché, inevitabilmente, diventeremmo solo un quartiere periferico di
Airolo e Quinto».
L’autonomia deve però essere sostenuta anche finanziariamente. «Se
non ci avessero rubato l’acqua – replica
immediatamente il sindaco di Bedretto
–, non avremmo alcun problema!»
L’acqua, quella del Ticino le cui sorgenti
sono proprio in valle e che è quasi subito captata per essere condotta attraver-
so la montagna fino agli impianti delle
Officine idroelettriche della Maggia
(Ofima). Senza però dimenticare che almeno una piccola parte delle acque del
Ticino oggi alimentano una micro centrale che appartiene all’ente pubblico.
Intanto il progetto di posare sulla Novena e al Corno Gries alcune pale eoliche
avanza. «Le verifiche e gli incontri proseguono – ammette Diego Orelli – ed i
risultati sono positivi. Speriamo solo
che ci lascino almeno il vento». Le
aspettative del sindaco di Bedretto non
si esauriscono certo nella speranza di
poter alimentare le casse comunali grazie agli introiti della vendita dell’energia
eolica. Nel cassetto c’è ancora e sempre
la speranza di realizzare la cosiddetta
«finestra di Bedretto» – il collegamento
in galleria con la linea ferroviaria del
Furka sfruttando gli scavi eseguiti al
momento della realizzazione dei grandi
lavori idroelettrici –, così da poter raggiungere il Vallese tutto l’anno. Un progetto – e questo va pure detto – che non
è però mai andato oltre la semplice proposta. Anzi, ancora recentemente, il
Consiglio di Stato ha bocciato l’ipotesi
(respingendo anche la proposta di realizzare la «bretella di Andermatt»), soprattutto in considerazione degli alti
costi. Sostanzialmente i due progetti
erano stati rilanciati nell’ambito delle
riflessioni sul destino dell’attuale linea
del San Gottardo dopo l’entrata in funzione di AlpTransit. E questo per inserire l’Alto Ticino in una rete di trasporto
pubblico tra le più apprezzate dal punto
di vista turistico, come la ferrovia nata
nel 2003 dalla fusione della Furka-Oberalp e della Briga-Zermatt. Un aggancio
che anche il Consiglio di Stato caldeggia, ma non con opere che costerebbero
centinaia di milioni. Il Governo si propone piuttosto di mantenere e valorizzare il servizio sull’esistente linea di
montagna che alla stazione di Göschenen prevede coincidenze con il trenino
rosso per Andermatt.
Decisamente meno apprezzata per
contro, l’intenzione delle autorità federali di mettere a disposizione di un centinaio di richiedenti l’asilo i dormitori
delle istallazioni militari di All’Acqua.
Non per nulla lo scorso anno, al primo
incontro tra le autorità comunali e i responsabili dell’Ufficio federale della migrazione, non si è presentato solo Diego
Orelli, ma anche quasi tutti gli abitanti
del villaggio. E quasi tutti con la stessa
identica opinione: i richiedenti l’asilo
qui non li vogliamo. Un rifiuto non det-
tato necessariamente da un’opposizione agli stranieri però. Fra i motivi che
avrebbero dovuto sconsigliare Berna
dal trasferire in Valle Bedretto i richiedenti l’asilo, è stato ricordato come
«mandare gli asilanti in una caserma
sotterranea ed esiliata, significa: ghettizzazione». Inoltre, i bedrettesi hanno
evidenziato come l’intera infrastruttura
militare presa in considerazione si trovi
in una zona che potrebbe essere raggiunta da una valanga. In definitiva,
Berna ha deciso di rinunciare, almeno
momentaneamente al progetto.
Ed anche se, finora, non sono segnalate valanghe di grosse proporzioni,
la neve quest’inverno è scesa in abbondanza. Una volta di più nel corso di febbraio, la strada che sale da Airolo è rimasta chiusa al traffico per alcuni giorni.
Niente di preoccupante però. «La gente
è abituata e tranquilla – assicura Diego
Orelli –. C’è anche chi vive lì da oltre ottant’anni». Insomma il 1951, quello che
è ricordato come «l’anno della valanga»,
è ancora solo un ricordo. Un ricordo
non certo sbiadito perché la neve fa ancora paura. Ed anche perché l’inverno
non è ancora finito. Non per nulla la saggezza popolare in valle annota che: «Chi
muore d’aprile, muore d’inverno».
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5
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
Società e Territorio
Educare
alla sessualità
Intervista Alberto Pellai, psicoterapeuta
dell’età evolutiva, ha pubblicato diversi saggi
per aiutare i genitori a raccontare la sessualità
ai figli
Laura Di Corcia
Son cose che capitano spesso, scene da
commedia americana, situazioni che a
pensarci dopo ti viene da ridere, mentre
le vivi, invece, vorresti sotterrarti. La
scena è questa: visita dei genitori verso
sera. Che si fa? Si guarda un film, è
ovvio. Fin lì, tutto bene. Ma poi, a un
certo punto, la pacata e scontata storia
d’amore vira verso un territorio decisamente out of control. Gli attori si avvicinano, si baciano, si toccano e
(maledizione!) iniziano ad amoreggiare. Quello che sta succedendo nel
piccolo schermo è limpido e cristallino.
Fuori, invece, un muro di gelo divide i
presenti, la tensione sale, l’imbarazzo è
talmente denso che si può tagliare col
coltello. Insomma, è inutile: puoi avere
pure quarant’anni, ma se guardi Nove
settimane e mezzo con mamma e papà,
ti sentirai sempre un bambino intimidito, un adolescente impacciato e con le
mani sudate. Ma perché tutta questa
vergogna? A cosa si devono questi freni
«È importante che
i padri parlino di
sessualità con i figli…
occorre cercare una
comunicazione più
profonda, più vicina
ai sentimenti, che non
ammicchi alla
pornografia»
inibitori, che origine hanno? «Siamo vittime di modelli educativi sbagliati, tramandati di generazione in generazione»,
spiega Alberto Pellai, psicoterapeuta
dell’età evolutiva, che da anni si occupa
del tema anche da un punto di vista divulgativo. «Quell’imbarazzo non appartiene all’adulto, ma al bambino che
eravamo». Pellai, che ha pubblicato diversi saggi per aiutare i genitori a raccontare la sessualità ai bambini e una serie di
manuali con narrazioni che accompagnano la crescita dei ragazzi nelle varie
tappe (ricordiamo le ultime pubblicazioni: Così sei nato tu – nella doppia versione 4-7 e 7-10 anni, edizioni Erickson e
Il primo bacio. L’educazione sentimentale ai tempi di Facebook, edizioni Kowalski), ha tenuto un’interessante e
frizzante conferenza sul tema dell’educazione sessuale a Chiasso giovedì 20
febbraio, organizzata dall’associazione
Spazio Famiglia. In quell’occasione l’abbiamo avvicinato per approfondire alcuni punti.
Dottor Pellai, c’è un momento giusto
per iniziare a parlare di sessualità
con i propri figli?
In realtà sarebbe meglio non fissare una
data, ma prendere spunto da ogni occasione per proporre questo tipo di riflessione e piano piano avvicinare i nostri
figli alla tematica. Spesso sono i bambini stessi a porci dei quesiti: bene, accogliamoli senza tirarci indietro e
formuliamo delle risposte, tenendo
conto dell’età e della capacità di accoglienza rispetto a determinati argomenti. Si può partire, anche in un’ottica
di prevenzione degli abusi sessuali, con
lo spiegare che le parti intime del corpo
si coprono con il costume da bagno,
d’estate, perché pertengono alla sfera
privata. Io propongo di accompagnare
a poco a poco il loro percorso di crescita
con una serie di narrazioni via via più
dettagliate.
Alcuni genitori provano un forte imbarazzo nell’affrontare questi argomenti. Si sentono a disagio, sono
nervosi, rimandano in continuazione
o, peggio ancora, passano la patata
bollente all’altro partner. È possibile
liberarsi da questi freni inibitori?
Come?
Certamente, ma occorre aiutarsi all’interno della coppia. Per esempio, se si
decide di far affidamento su un libro
che accompagni i genitori nel percorso
educativo, si può trovare un momento
per leggerlo prima da soli con il proprio
o con la propria partner e insieme scoprire quali punti della narrazione fanno
emergere sensazioni spiacevoli nella
pancia, ricordandosi che quelli sono residui della propria infanzia e dei blocchi
emotivi che vengono trasmessi di generazione in generazione e che non servono a nulla se non a impedire un
corretto approccio alla sessualità da
parte dei bambini, molto ricettivi nell’intercettare le paure degli adulti (e nel
farle proprie).
Nell’era di Facebook l’educazione sessuale e sentimentale diventa un tema urgente all’interno della famiglia. (Keystone)
Diciamocelo pure, spesso sono i
padri a lavarsene le mani… lasciano
il compito alle madri ripetendo il
mantra «a me nessuno ha spiegato
nulla, eppure son cresciuto lo
stesso».
In molti casi è ancora così. E invece è
estremamente importante che i padri
parlino di sessualità ed emozioni con i
loro figli maschi, anche per rompere
quello stile sgarbato, da spogliatoio,
che molti uomini usano ancora
quando devono parlare di questi temi.
Occorre cercare una comunicazione
più profonda, più vicina ai sentimenti,
che non ammicchi alla pornografia, un
linguaggio diffusissimo oggi come
oggi che non aiuta certo le persone a
costruire gioia e felicità.
La sessualità, al di fuori della famiglia, non è un tabù, anzi. Spesso i
bambini e i ragazzi sono esposti al
corpo nudo, tramite la tv, internet e
altri mezzi, e anche all’esibizione
dell’atto sessuale. Che influenza ha
tutto questo?
Siamo una società fortemente «pornizzata». Il sesso raccontato dalla pornografia, però, non può fungere da
fondamento ad una vera e propria felicità relazionale. Il sesso dovrebbe essere uno scambio emotivo, ha lo scopo
di condividere il piacere e non solo di
appropriarsene. Quando diventa
merce di scambio, mi dispiace, ma la
gioia relazionale viene meno.
confini, costruire cornici che delimitino ciò che è sano da ciò che non lo è.
Il bigottismo stringe troppo l’area, individua in tutta la sessualità il male,
sessualità che invece, se vissuta bene,
apporta piacere e gioia di vivere. L’atto
di fare l’amore deve essere qualcosa
che eccita, certo, ma attorno ad esso è
importante costruire dei significati ed
eventualmente anche un progetto di
vita.
Parlare di sessualità porta in auge,
inevitabilmente, un’altra questione:
il tema dell’omosessualità.
Sul piano educativo ci sono ancora
molti genitori spaventati dal tema e soprattutto dal fatto che i propri figli possano diventare omosessuali. Ma io
credo che omosessuali non si diventi:
semplicemente lo si è. Chi nasce con
questo orientamento sessuale non
potrà negare con sé stesso questo tratto
delle propria identità e in termini psicologici è meglio che impari a non
farlo nemmeno con gli altri. Soprattutto con le persone che ama e da cui è
amato. Più i genitori sono spaventati
da questo tema più insegnano ai loro
figli ad averne paura. Un bambino gay
con genitori molto irrigiditi rispetto
all’omosessualità cercherà di proteggersi nascondendo la sua identità, ma
in questo modo farà male a se stesso,
inficiando anche la relazione con la
propria madre e il proprio padre.
È possibile educare ad una sessualità sana che escluda la pornografia
ma eviti il rischio di cadere in un’altra trappola, quella del bigottismo?
Durante le Olimpiadi di Sochi sono
emerse polemiche relative alle manifestazioni gay, che in Russia sono
proibite per tutelare i minori. Ha seguito la vicenda?
Come genitori occorre mandare questo messaggio ai bambini: che verso la
pornografia, in casa nostra, c’è tolleranza zero. Bisogna tracciare precisi
La Russia ha ostentato un atteggiamento che francamente trovo omofobo. Proteggere i bambini significa
fare l’esatto opposto di ciò che ab-
giocare dentro il silenzio», al rudimentale linguaggio ancora in formazione,
che solo papà e mamma e capivano, alla padronanza gioiosa delle parole,
espressa nel piacere di creare giochi
linguistici e filastrocche. Per quanto riguarda il gioco, il fulcro è Cipiciò, un
cane di pezza con cui Ciro parlava e
che parlava a lui (ma «gli altri non sentivano»). Cipiciò è il compagno imprescindibile del mondo immaginario, interlocutore privilegiato e intimo, con
cui condividere avventure e paure,
rabbia e tenerezza. È la storia di un’infanzia, unica e magica come tutte. Ciro
è un bambino come tanti, con la fortuna di essere amato e con la peculiare
capacità di apprezzare il silenzio. Anche questo, dell’infanzia che non è per
forza urlatrice, è un tema su cui varrebbe la pena di soffermarsi. Qui, in
particolare, il silenzio è lo sfondo su
cui possono stagliarsi i suoni, e il silenzio è la dimensione fantastica in cui si
svolgono i dialoghi tra Ciro e Cipiciò.
La storia finisce quando finisce l’età
d’oro dell’infanzia, e Cipiciò ritorna a
essere solo un cane di pezza: ma Ciro
«non soffrì tanto», ormai è grande, è la
vita, ed è giusto così. Quello che importa è che Cipiciò ci sia stato, e che «i
bei viaggi che facevano insieme» possano continuare a nutrire la memoria.
«Li ricordò per tutta la vita», leggiamo,
non a caso, nell’ultima frase del libro.
biamo visto, ovvero garantire la libertà
di espressione e soprattutto il rispetto.
Per quel che riguarda l’Italia, trovo che
troppe volte il dibattito su questi temi
sia strumentalizzato solo per procacciarsi voti. La politica non è veramente
interessata alla sessualità e ai sentimenti, altrimenti agirebbe in modo diverso. Viviamo davvero la più grande
crisi umanistica dopo il Medioevo.
E il diritto, da parte delle coppie gay,
di adottare uno o più figli, come lo
vede?
Il tema è molto nuovo e abbiamo pochissimi dati a disposizione per verificare se crescere con una coppia di
genitori gay abbia effetti positivi, negativi o non abbia alcun effetto sul bambino. Personalmente credo che i più
piccoli abbiano prima di tutto bisogno
di due adulti capaci di rispondere ai
loro bisogni emotivi. E a volte questi
bisogni sono così intensi, che non bastano due adulti, ma ce ne vogliono
quattro, come dimostrano i tanti bambini cresciuti con l’aiuto dei nonni o
che vengono dati in affido ad un’altra
coppia. Per me è importante che sia valutata prima di tutto la competenza
reale di chi vuole crescere un figlio e
per questo motivo lo chiede in adozione. Ma penso anche che ad un bambino in crescita serva davvero tanto
confrontarsi con il maschile ed il femminile, perciò auspico che, qualora si
verificasse la crescita di un minore in
una coppia gay, quest’ultima sia così illuminata da permettere ampi e frequenti contatti del figlio con persone
adulte di entrambi i sessi: nonni, zii,
quant’altro. Del resto la stessa cosa
viene consigliata anche ai genitori single, che non hanno un partner stabile
accanto.
Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani
Roberto Piumini, C’era una volta che
Ciro non c’era, San Paolo. Da 5 anni
Già il titolo, un endecasillabo giocato
sul suono «c», ci dà la cifra di questo libro, che potremmo riassumere in un
aggettivo: poetico. È un aggettivo di
cui spesso si abusa, ma nel caso di Piumini sappiamo bene che è proprio
adeguato. Questo libro è poetico per il
ritmo, per i suoni, per la cura delle parole, per la storia.
La storia di un bambino: da quando,
appunto, «non c’era», ed è stato desiderato dai suoi genitori, «che si unirono e cominciò ad esserci un bambino».
(E già qui abbiamo un esempio lieve,
semplice e intelligente di come parlare
di temi che spesso sono trattati con
grevità e presunta scientificità, peraltro non sempre richiesta dai bambini).
Ciro «cominciò ad esserci», dunque, e
pagina dopo pagina lo vediamo abitare
la vita, crescendo. Dai primi pensieri,
coscienza iniziale del tempo e delle cose, col ritmo del giorno e del respiro
(«Fame tic, latte tac, mamma tic, sonno tac, luce tic, buio tac, aria che entra
tic, aria che esce tac»), a tutte le tappe
del suo percorso di bambino: i suoni, i
passi, i giochi, la scuola materna e poi
la scuola elementare. Su due aspetti soprattutto si concentra l’autore: il linguaggio e il gioco, che a ben vedere sono correlati. Per quanto riguarda il linguaggio, l’attenzione è sui suoi aspetti
creativi e giocosi, di piacere anche. Sin
dai primi suoni, mandati dal bebè «a
John Yeoman, Quentin Blake, Attenti
al gatto!, collana «Anch’io so
leggere», edizioni Il Castoro. Da 5 anni
Abbiamo solo lo spazio di una segnalazione: nella bella collana «Anch’io so
leggere», dedicata ai primi lettori (e
scritta in alcuni casi in corsivo, in altri
in stampatello minuscolo, o in stampatello maiuscolo), le edizioni Il Castoro ripropongono, oltre a testi nuovi,
anche riedizioni di loro albi illustrati di
successo, in piccolo formato e a un
prezzo contenuto (6,90 Euro). È il caso, ad esempio, di Attenti al gatto!, te-
sto di John Yeoman e illustrazioni del
grande Quentin Blake: la storia è quella di un gatto depresso, incapace di dare la caccia ai topi; di un mugnaio, il
quale, visto che il gatto «non serve a
niente», lo vuole affogare; e di una
schiera di topolini intraprendenti che
dimostreranno la possibilità della più
improbabile delle amicizie. Un’amicizia giocosa e assolutamente gratuita…
alla faccia del mugnaio utilitarista!
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
6
Società e Territorio
Mappe: il mondo
dentro un PC
Alfabeto digitale La dodicesima puntata
della nostra serie di articoli sulla tecnologia
per «novizi» si concentra su un utilissimo
servizio fornito da Internet
Ti-Press
Ugo Wolf
Integrare gli adulti
attraverso i bambini
Famiglie Una nuova iniziativa pilota dell’Associazione Progetto
Genitori Mendrisiotto e Basso Ceresio al preasilo di Chiasso
cerca di favorire le mamme straniere
Stefania Hubmann
Un mondo che parla. Un mondo di
mamme e bambini piccoli che s’incontrano, condividono momenti ludici e si
confrontano sulle rispettive esperienze
di genitori discutendo in italiano pur
avendo origini linguistiche e culturali
diverse. È la nuova forma d’integrazione in atto dallo scorso mese di settembre al preasilo di Chiasso attraverso
ParLaMondo, l’iniziativa promossa
dall’Associazione Progetto Genitori
Mendrisiotto e Basso Ceresio. Favorire
l’integrazione degli adulti attraverso i
bambini è lo scopo del progetto che, così come le altre attività dell’ente, risponde direttamente ai bisogni provenienti
dal territorio. Chiasso con la forte presenza di stranieri è sicuramente il luogo
ideale per cercare di coinvolgere le famiglie che faticano a instaurare nuovi
contatti sociali.
Il progetto
ParLaMondo permette
di migliorare le
competenze linguistiche
e promuove la creazione
di una rete di sostegno
tra mamme
Il progetto si fonda sul principio che
guida l’impegno dell’associazione, vale a
dire proporre percorsi flessibili da compiere con i genitori, ma anche con i nonni e in generale con gli adulti che educano i bambini di età compresa tra 0 e 3
anni. La responsabile Martina Flury-Figini, pedagogista, ribadisce l’importanza di questo approccio, sottolineando la
condivisione e lo scambio che caratterizzano le diverse proposte del Progetto
Genitori. «L’associazione è stata fondata
nel 2006 dal pediatra dottor Vincenzo
D’Apuzzo, per rispondere al desiderio
delle mamme di discutere temi riguardanti la crescita e l’educazione dei figli.
L’attività ha conosciuto uno sviluppo
costante sia per quanto riguarda il numero di partecipanti sia per la varietà dei
temi affrontati». Da rilevare, che dal
2009 per iniziativa del Dipartimento
della sanità e della socialità la proposta è
stata man mano estesa nel resto del cantone con modalità e tempi adattati in
funzione delle realtà dei vari compren-
sori. L’associazione del Mendrisiotto e
Basso Ceresio ha comunque mantenuto
il suo statuto continuando a svolgere un
ruolo d’avanguardia, come dimostra anche il progetto ParLaMondo.
Martina Flury-Figini non esclude
che quest’ultimo possa pure trovare applicazione in altre località, ma è necessario attendere la valutazione globale
prevista dopo il primo anno d’attività.
Nel frattempo ParLaMondo evolve con
grande flessibilità grazie a una riflessione continua che permette al gruppo di
lavoro – formato da due pedagogiste
dell’associazione, quattro mamme volontarie, la responsabile dell’Ufficio culture in movimento del Comune di
Chiasso e una rappresentante del Soccorso Operaio Svizzero – di cambiare
direzione in funzione degli obiettivi
prefissati.
Gli scopi sono di favorire l’integrazione di mamme straniere nel gruppo
che frequenta abitualmente il preasilo,
permettere loro di migliorare le competenze linguistiche, promuovere riflessioni educative e la conoscenza di
altre prassi in questo ambito per giungere alla creazione di una rete di sostegno tra mamme. «In questi primi mesi
ci siamo accorte che l’interesse esiste»,
precisa la responsabile del progetto.
«Le mamme coinvolte nel corso d’italiano che proponiamo il mercoledì
mattina sono una decina. Al momento
però solo una minoranza si presenta
anche negli altri giorni, perché la maggior parte è già impegnata nel corso
d’italiano organizzato dal Comune, pure in agenda al mattino. Per questo motivo dopo le vacanze di Natale abbiamo
deciso di trasformare il mercoledì mattina in un giorno di apertura del preasilo in modo da garantire l’incontro con
le frequentatrici abituali».
Da dove provengono le famiglie
che partecipano al ParLaMondo? «I
Paesi d’origine sono molto variati. Al
momento comprendono Eritrea, Siria,
Giappone, Corea e Thailandia. Si tratta
sia di donne residenti sia di richiedenti
l’asilo con un permesso di soggiorno
provvisorio. In un caso, ad esempio,
mamma coreana e papà ticinese alternano la loro presenza, mentre una donna thailandese con figli già iscritti alla
scuola dell’infanzia viene da sola proprio per cercare un contatto con altre
mamme. Il messaggio di apertura e di
accoglienza che il progetto voleva lanciare sta quindi passando».
Un aspetto importante della nuova
iniziativa è la possibilità di individuare
situazioni critiche, come è avvenuto nei
primi mesi con un bambino difficile da
gestire attorno al quale è stato possibile
creare un gruppo di lavoro. ParLaMondo ha così funto da coordinatore fra diversi professionisti che ora seguono la
famiglia garantendo al piccolo una terapia mirata.
Grazie a un cospicuo sostegno finanziario da parte dell’associazione
benefica Club del Tappo il progetto pilota è garantito fino alla fine dell’anno
scolastico. Indispensabili pure il sostegno del Comune di Chiasso e l’apporto
di numerosi volontari. Volontari che
assicurano gran parte delle attività di
prevenzione svolte dall’Associazione
Progetto Genitori, presente essenzialmente nei preasili (sedici quelli operativi nel distretto), negli studi pediatrici
e nei tre consultori materno-pediatrici.
«Cerchiamo di andare laddove i genitori già si trovano, pensando ai problemi in termini di soluzioni e garantendo un intervento educativo con e non
sulle famiglie», spiega Martina FluryFigini. «Il lavoro di gruppo svolto in
queste sedi, unito ad atelier di motivazione e incontri a tema, permette di affrontare e risolvere i piccoli grandi
dubbi su questioni educative fondamentali come l’alimentazione, il sonno, le regole e i capricci, nonché le sfide
della crescita (inizio della scuola dell’infanzia) e della vita (separazione dei
genitori, morte)».
Le figure professionali che gestiscono l’attività dell’associazione contano
proprio sulle risorse di ogni singolo genitore. A questo aspetto è dedicato un
progetto specifico lanciato nel 2009 per
raggiungere meglio le famiglie in situazione di vulnerabilità. Un percorso formativo già seguito da una quarantina di
partecipanti permette alle mamme che
gestiscono i gruppi dei preasili di prestarsi all’ascolto attivo e riconoscere
questi casi. Genitori che aiutano altri
genitori è d’altronde lo spirito dell’associazione, le cui iniziative maturano quali segni dei tempi e delle realtà in cui crescono i più piccoli attori della nostra società, ai quali si cerca di assicurare un
contesto familiare il più favorevole possibile al loro sviluppo.
I prodotti dell’informatica domestica
stanno sempre più convergendo e uniformandosi, per finire a esprimere le loro doti migliori negli smartphone. La
cartografia satellitare, ad esempio, è
uno dei campi in cui è in corso una vera
trasformazione epocale. Sui nostri piccoli mostri da tasca funzionano sofisticati navigatori stradali, tanto che quelli
in dotazione alle automobili stanno diventando sempre meno necessari. Molti conducenti montano, anzi, sul cruscotto delle proprie auto comodi supporti in cui alloggiare il proprio telefono e ne sfruttano le app di navigazione.
Gigante nel settore delle mappe digitali è naturalmente Google Maps.
Tornato di prepotenza a installarsi anche sugli iPhone (dopo che Mac aveva
cercato invano di sviluppare un proprio
sistema indipendente), sul web Maps ha
introdotto di recente la sua versione più
sofisticata e, in qualche modo, spaventosamente efficace. Tolti di mezzo orpelli e comandi di ricerca invadenti, la
sua interfaccia è ampia e comoda. Offre
nuove funzionalità, tra cui la possibilità
di osservare il paesaggio non soltanto
dall’alto, ma anche avvicinandosi alle
strade da una prospettiva laterale. Come sorvolando le città in elicottero, ora
è possibile vedere comodamente le facciate dei palazzi. Cliccando sugli immobili stessi ne potremo ottenere indicazioni quali indirizzo, nome dei negozi
presenti nello stabile, eccetera. Utilissima e ancor meglio visualizzabile l’opzione Street View, l’«omino giallo» da
posizionare sulle strade, che ci rende
una visuale «sul terreno» del tratto di
mondo che ci interessa. Curiosità: questa opzione non è disponibile in tutto il
mondo. Oltre alle zone più impervie
che la Google Mobile non ha potuto
raggiungere nei suoi spostamenti di
mappatura, Svizzera, Germania e Austria sono state immortalate solo molto
selettivamente. Street View, in Ticino
ad esempio, non funziona.
Al di là di questo, comunque, per
gli appassionati di viaggio Google
Maps è un luogo di scoperte inesauribili. E probabilmente il miglior luogo
in cui programmare le proprie vacanze, con una precisione al centimetro.
Volete vedere se veramente la pensione che avete prenotato ha la vista sul
mare, o se l’albergo che vi propone la
vostra agenzia di viaggi è davvero a 50
metri dal centro città? Per non parlare
della possibilità che ci offre addirittura di esplorare la Luna (www.goo-
gle.com/moon), Marte (www.google.com/mars) e il sistema solare
(www.google.com/sky).
E se Google Maps non è tutto il
mondo, è perlomeno il mondo al suo
meglio: ci consente le più comode e più
ampie passeggiate che avremmo mai
desiderato, in un paesaggio dove non
piove mai (avete mai visto passanti con
l’ombrello su Street View?). Comodo e
esaustivo, ci permette persino di rivivere qualche esperienza del passato,
andando a ricercare i luoghi della nostra infanzia. A volte persino di riconoscere qualche conoscente (a chi scrive è successo…).
Il sistema di Google Maps è talmente ricco di informazioni che consente anche un utilizzo scientifico.
L’Università americana del Maryland,
ad esempio, lo ha usato per sorvegliare
lo stato della vegetazione mondiale, in
uno studio compiuto tra il 2000 e il
2012. Le fotografie delle varie zone del
globo sono state confrontate nel corso
degli anni: quelle che appaiono come
deforestate vengono segnate in rosso,
quelle riforestate invece in blu. La
mappa è qui: http://earthenginepartners.appspot.com/science-2013-global-forest. Provate a centrare l’attenzione sul Ticino, per verificare l’attendibilità della rilevazione: vengono segnalate (correttamente) come deforestate l’area corrispondente al cantiere
del Lac di Lugano, oppure quella della
zona di scarico del materiale tratto dalla galleria di base Alptransit a Mezzovico…
Naturalmente, una così incredibile
quantità di dati raccolti non è molto rassicurante per chi teme una violazione
della propria privacy. L’invadenza di
Google dà fastidio a molti. Ecco perché
da tempo è in corso un progetto alternativo, compiuto con l’utilizzazione di
programmi indipendenti e senza scopo
di lucro, per creare mappe «neutrali», a
misura d’uomo, in cui anzi tutti sono invitati a partecipare segnalando punti di
interesse. Il progetto si chiama
www.openstreetmap.org e potremmo
definirlo quasi una forma di Wikipedia
topografica. Richiede infatti la collaborazione dei suoi utenti per essere mantenuta aggiornata. Di fatto ne ha proprio
bisogno: se provate a dare un’occhiata
all’«area culturale» di Chiasso, ad esempio, troverete che non è stata resa in modo proprio corretto. Al di là da queste
imperfezioni, comunque si tratta di un
esperimento interessante, che varrebbe
la pena di sostenere: le spiegazioni su come farlo si trovano nel sito stesso.
Informazioni
www.associazioneprogettogenitori.com
Zurigo è una delle poche città in Svizzera esplorabile con Street View di Google.
(maps.google.com)
PUNTI.
RISPARMIO.
EMOZIONI.
IL CIRCO KNIE IN TOURNÉE CON DAVID LARIBLE
La famiglia Knie presenta
nuovamente un coloratissimo
programma con tanti animali,
acrobazie da record e spettacoli
clowneschi. Il Circo nazionale
svizzero può vantare il «clown dei
clown» Davide Larible quale
ospite d’onore. Questo pagliaccio
italiano dal tipico naso rosso, i
vestiti troppo larghi, il carattere
inimitabile e una presenza
scenica particolarmente espressiva
rappresenta il classico clown
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
9
Società e Territorio Rubriche
L’altropologo di Cesare Poppi
La maschera del Papa
Fra le news di seconda fila (guai ignorarle perché spesso danno il polso
della situazione meglio di tante altre
«di prima») ha fatto nei giorni scorsi
un certo stanco scalpore la notizia secondo la quale durante uno dei giri di
pista in Piazza San Pietro, Papa Francesco avrebbe sollevato fra le braccia
un bambino di tre-quattro anni «mascherato da Papa con tanto di zucchetto»: così uno dei siti web che
riportano la notizia, corredata naturalmente con la prova-verità della foto.
La notizia è zuccherosa/saponosa a
vari livelli. In primis il Papa-Bambino/Bambino-Papa. Quale mamma
degna del suo ufficio avrebbe mai pensato a vestire il pargolo da Papa ci fosse
ancora stato in Catedra Petri il Pastore
Tedesco? Nessuna. Poi lo zucchetto.
Arnese che da sempre evoca nel nome
stesso – che peraltro al secolo è «zuccotto» e non «zucchetto» – un certo infantile frisson di chi vuol far vedere di
essere tanto famigliare con i misteri
dei palazzi da poter permettersi certe
libertà: anche il Papa ha una zucca –
brrr… ho osato. Poco importa che l’infante in questione piangesse come
un’aquila durante tutta la querimonia
(vedi foto in web) e meno ancora che il
buon Francesco (a quando «Checco»,
per farcelo ancora più di casa?) appaia
un po’ imbarazzato dall’evento che
sembra un tantino difficile da gestire… In secundis: l’incontro fra le
maschere e il Papa era già avvenuto un
paio di anni fa, nel pieno del pontificato di Benedetto XVI. Allora, ad una
delegazione di maschere del Carnevale
Veronese – per la precisione si trattava
delle Maschere Veneziane del Comune di Mozzecane guidate dall’Assessore alla cultura dello stesso
Comune – era stato concesso di partecipare all’Udienza Generale. Sembra
che il Papa di allora si fosse intrattenuto con le maschere per qualche momento «visibilmente divertito»,
riporta il cronista. Tanto tuonò e tanto
piovve che alle stesse maschere fu permesso di visitare la basilica di San Pietro «in maschera» (insistono le fonti) e
sotto la guida di Don Francesco Todeschini in qualità di Assistente Spirituale del Carnevale Veronese (sic).
Cosa c’è, in tutto ciò, di così strano, si
chiederà all’Altropologo? Beh, in soldoni: portare le maschere in Vaticano
equivale, nella storia della cultura cosiddetta occidentale, a costringere il
Diavolo a tuffarsi nell’acquasanta. E
viceversa. Il monoteismo di stampo semita – e parlo qui di Ebraismo, Cristianesimo ed Islam – non ha mai
guardato favorevolmente alle maschere. Le ragioni dell’ostilità e conseguenti proibizioni nei confronti della
maschera affondano le loro radici nei
fondamenti dell’antropologia religiosa
delle Religioni del Libro. Queste nascono, infatti, come religioni «della
confessione»: laddove le religioni «pagane» ammettono una quantità di dèi
– tante quante sono le possibili espe-
rienze del divino – per le religioni rivelate «non esiste altro Dio all’infuori di
Dio». Da questa premessa ne consegue
un’altra, cruciale per capire la differenza fra la concettualizzazione della
maschera nelle culture «pagane» di
contro alle loro controparti monoteiste. Nelle religioni monoteiste il rapporto fra «Dio» ed «Io» è speculare e
diretto: «Il Sé è creato ad immagine e
somiglianza di Dio». Cos’è che viene
in mente di fare ad Adamo appena si
accorge di aver peccato? Nasconde il
suo volto da Dio. In altre parole «si
maschera», diventa altro da Sé. Si
nega: «Non sono stato io – è stata Lei».
Nelle religioni pagane accade l’inverso: ad essere «mascherato» è il dio
stesso, che appare in una moltitudine
di forme in una varietà di metamorfosi. Dioniso/Bacco – fra i tanti – è il
dio-maschera, e «maschere» saranno
nei secoli a venire i suoi adepti dai
quali tante delle nostre maschere
prendono la discendenza. L’incompa-
tibilità fra la maschera ed un concetto
«moderno», «occidentale» del Sè trova
forse la sua più alta espressione nell’accusa che Amleto fa nei confronti di
Ofelia: «Dio vi ha dato un volto e voi
ne create un altro». È questo il risultato
di secoli di battaglie culturali che il
Cristianesimo ha portato avanti contro le maschere: da Tertulliano ad Origene e via via fino ai giorni nostri la
maschera è stata condannata come
espressione prima del Demonio – il
Falso, la Menzogna ed il Mutante per
eccellenza. «Non essere sé stessi»: malattia profonda che viene poi affrancata dalla modernità laica come
disturbo psicologico ed incapacità di
coprire i propri ruoli: tutti abbiamo
una maschera. L’importante – mi dicono certi colleghi psicologi – è mettersi nelle condizioni di sceglierla.
Mmmmh… per quanto lo riguarda
l’Altropologo attende di vedere da cosa
si maschera Checco la prossima Vigilia
del Mercoledì delle Ceneri – tiè!
rito da Grazia, sia talvolta interrotto da
litigi. Certo rende ansiosi assistere a
una guerriglia domestica ma tutto è
preferibile all’indifferenza. Anche se lo
scambio di parole è teso e aggressivo,
attesta comunque che esiste una relazione, che a entrambi importa che cosa
pensa, fa e dice l’altro.
A litigare s’impara, purché si assuma
anche il punto di vista dell’antagonista e
si riesca a guardare il conflitto dal di
fuori, a inquadrarlo in una prospettiva
obiettiva.
In quei frangenti lei può fungere da
terzo, evitando la contrapposizione
frontale che innesca il ferma immagine
dell’interazione. Tenga conto che ogni
litigio contiene una volontà di cambiamento che va riconosciuta, esplicitata e
valorizzata. Quando questo accade, il
nodo che strangola la comunicazione si
scioglie ed emergono energie positive e
dinamiche costruttive. Dopo tanti anni
può darsi che la situazione si sia cronicizzata e risulti difficile modificarla. Ma
vale la pena di tentare, anche ricorrendo
ai consigli e ai supporti di un Centro di
mediazione familiare. Un servizio sociale che, nel Canton Ticino, offre prestazioni di eccellenza. Non dia tutto per
perduto, non si rassegni all’infelicità, la
prego. C’è sempre qualcosa da fare per
migliorare la vita a sé e agli altri e noi
siamo qui ad augurarle la buona riuscita
del suo impegno.
Ci scriva ancora! Grazie.
com’è successo a politici, magistrati,
insegnanti, sacerdoti, medici, anche i
critici, considerati a loro volta una
casta, sono diventati il bersaglio dei
movimenti antiautoritari che, in
nome della democrazia, rifiutano giudizi calati dall’alto, chiedono trasparenza e sospettano intrallazzi. Una
rivendicazione, insomma, di tipo
ideologico. Ma, ce n’è un’altra di tipo
tecnologico. I professionisti della critica si trovano alle prese con una
nuova forma di concorrenza: Internet
che, attraverso i social networks, sollecita e diffonde le voci del cosiddetto
grande pubblico, promosso a giudice e
intenditore. Con effetti che suscitano
perplessità. «Oggi tutti esprimono
opinioni: è davvero un bene?»: ci si è
chiesti, in un dibattito, organizzato recentemente a Milano, dal «Corriere
della Sera». Da cui è emersa, innanzitutto, una situazione di molteplicità
per non dire confusione: sono tanti i
critici, quelli ufficiali e quelli della
rete, e sono tanti i pubblici, i ribelli e i
fedeli alla critica. Infatti, pure qui
come in politica, resiste lo zoccolo
duro dei conservatori. Si tratta di fre-
quentatori di cinema, teatri, concerti,
di visitatori di mostre e musei, di lettori di libri che si attengono ai giudizi
delle giurie, alle classifiche dei titoli
più venduti, ai premi conferiti dai festival. Si potrebbe persino parlare di
«festival-dipendenti», per definire una
categoria di spettatori mobilitata dalle
pellicole scelte a Cannes, Locarno, Venezia, Berlino. Nei cui confronti sono
evidenti quelle reazioni di segno opposto, cui si alludeva. Comunque, entrambe sono viziate dal pregiudizio:
accettando a occhi chiusi, come capolavori, dei film perché premiati, o rifiutarli, sempre per la stessa ragione.
Questo discorso è tornato di stretta attualità con l’Oscar assegnato a La
grande bellezza che, una volta ancora,
rimette a confronto le due categorie di
pubblico: gli obbedienti che s’inchinano, rispettosamente, a un verdetto
di specialisti e gli insofferenti che
osano denunciare l’irritante estetismo
di belle immagini fini a se stesse. Allora da che parte schierarsi? Magari
qualche mio paziente lettore avrà capito da che parte sto senza, però, la
presunzione di essere da quella giusta.
La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi
A mia figlia non piace mio marito
Carissima Silvia,
io ci credevo (all’amore), mi sono risposata 3 anni fa, ci eravamo conosciuti 7
anni fa, mia figlia allora aveva 6 anni,
ero divorziata da 4 anni però non ho
fatto i conti con mia figlia ormai 13enne.
Pensavo, «sognavo», di poter finalmente
essere di nuovo felice insieme invece mi
accorgo di aver sbagliato, mia figlia non
ha mai accettato anzi con gli anni la situazione è peggiorata, non si parlano neanche più e se lo fanno è per litigare (a
mia figlia le sono sempre stata vicino e le
ho sempre spiegato come stavano le
cose). Ora mi sento sempre più stanca e
infelice, non ce la faccio più. Grazie per
avermi ascoltata. / Monica
Cara Monica,
grazie a lei per averci scritto. Come sa,
la stanza del dialogo è sempre aperta e
pronta a condividere problemi esisten-
ziali che ci riguardano in quanto siamo
tutti appartenenti a un’unica grande
famiglia, quella dell’umanità. Il suo
malessere si riverbera necessariamente
sulle persone che le stanno vicine e
progressivamente, come quando si
lancia un sasso nell’acqua, si estende
per centri concentrici all’intera comunità. Purtroppo la sua lettera è avara
d’informazioni ma, poiché si tratta di
una situazione abbastanza frequente,
credo di riuscire a comprenderla. Sua
figlia, che chiameremo Grazia, non ha
mai accettato il suo secondo marito e,
col procedere dell’età, l’indifferenza si
è trasformata in ostilità, in rigetto.
Mi chiedo se Grazia, nel frattempo,
abbia continuato ad incontrare il padre
naturale e ad avere con lui buoni rapporti. In questo caso sarebbe importante che i suoi due mariti si
incontrassero per stipulare un patto di
alleanza, magari utilizzando la sua mediazione.
Se invece, come spesso accade, il genitore si è volatilizzato, non pretenda che
l’attuale marito lo sostituisca. Molti
uomini, quando sposano una donna
che ha già un figlio, magari piccolo
come era la sua quando vi siete conosciuti, sentono spontaneamente emergere un sentimento di affetto di
responsabilità. Ma non tutti e non
sempre. Può darsi che avvertano il
bambino come una fastidiosa appendice del coniuge, come un corpo estraneo con cui non intendono allacciare
nessuna relazione. Convivono allora,
l’uno accanto all’altro, nella reciproca
indifferenza. Ma un accenno della sua
lettera mi fa presumere che, nella vostra famiglia ricomposta, le cose non
vadano esattamente così. Sembra infatti che il silenzio, che separa suo ma-
Indirizzo
Inviate le vostre domande o riflessioni
a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a:
La Stanza del dialogo, Azione,
Via Pretorio 11, 6901 Lugano;
oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
Mode e modi di Luciana Caglio
La critica propone: e il pubblico dispone?
«Se un film lo consiglia quel critico,
non lo vado proprio a vedere» mi dice
scherzosamente, ma non troppo, un
conoscente incontrato in una sala cinematografica, dove si proiettava Nebraska: una pellicola, che il critico in
questione aveva giudicato con sufficienza, alla stregua di un prodotto
d’ordinaria amministrazione. Mentre,
per una parte di pubblico, sia pure esigua, (il film non è stato un successo
commerciale, ed è già scomparso dai
nostri schermi), Nebraska doveva diventare un oggetto di culto, con effetti
persino sociali: a far da collante fra gli
estimatori che, incontrandosi, ne rievocano scene e dialoghi. Insomma,
come si potrebbe ricavare a prima
vista da quest’episodio, gli spettatori
si sentono ormai liberi di scegliere con
la propria testa e la propria pancia,
sganciati dall’obbedienza dovuta agli
specialisti. Per dirla adattando un
proverbio, la critica propone e il pubblico dispone. Ma è poi vero? A ben
guardare la battuta del nostro conoscente dimostra, invece, che la critica,
volere o no, continua a influire sui nostri comportamenti, anche se in modi
contrastanti, cioè accettata o rifiutata.
Dichiarando di evitare film raccomandati da un certo critico, lo spettatore, comunque, ne tiene conto quale
controindicazione. A quel sì cattedratico replica con il suo no spontaneo.
Fatto sta che il critico c’è sempre di
mezzo: rappresenta un punto di riferimento e svolge una funzione di guida,
tanto più utile in un’epoca che ha
moltiplicato le occasioni di svago e di
cultura: creando un labirinto di cose
da vedere, ascoltare, leggere, visitare,
dove appunto serve una bussola.
E questo sarebbe il compito, appunto,
della critica, che però sta perdendo autorevolezza, incalzata da fenomeni
difficilmente contrastabili. Da un lato,
Anche il film di
Sorrentino
premiato con
l’Oscar divide il
pubblico.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
10
Ambiente e Benessere
Potente ed ecologica
Presentata al Salone di Ginevra
la e-Golf Gte. Una versione
ibrida ben equipaggiata
Etiopia: culla del caffè selvatico
Un reportage dalla terra africana
per fare conoscere gli ultimi raccoglitori
della foresta Harenna
Minestre e vino
Il buon matrimonio è garantito
per qualsiasi tipo di zuppa, basta
abbinare l’etichetta giusta
pagina 17
Animali da compagnia
Il Consiglio federale ha deciso
di apportare alcune modifiche
alla legge sul trattamento e la
detenzione di cani ed equini
pagina 21
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Istockphoto.com
pagina 13
Evolutiper un mondo diverso
Scienza La medicina darwiniana ci ricorda che la nostra biologia e il nostro comportamento
sono adatti a condizioni di vita che non ci sono più; secondo la tesi raccolta in un libro scritto dallo psicologo Nesse
e dal biologo Williams è questo il motivo per cui ci ammaliamo
Lorenzo De Carli
L’evoluzione è il processo attraverso il
quale una popolazione cambia nel tempo, ottimizzando il suo stato di forma
nell’ambiente in cui vive. La medicina
darwiniana ha scoperto che molte delle
patologie attuali hanno rappresentato,
in tempi remoti, delle risposte positive
alle condizioni ambientali in cui si stava
sviluppando il genere umano. Queste
risposte, che si sono dimostrate utili nel
Pleistocene, talvolta si rivelano oggi
inappropriate e dannose.
L’atto di fondazione della medicina
darwiniana – scienza che sta studiando
la malattia cercando di mettere in dialogo discipline assai diverse tra loro come
l’antropologia, la genetica e la microbiologia, legandole assieme con la biologia evolutiva – è racchiuso nel libro
che nel 1994 pubblicarono Randolph
M. Nesse e George C. Williams: Perché
ci ammaliamo? La nuova Medicina
Darwiniana. I due autori – psicologo il
primo e biologo il secondo, nel frattempo scomparso – spiegano che la medicina darwiniana studia le cause evolutive
della malattia, complementari alle cause prossime studiate invece dalla medicina abitualmente praticata.
Nella medicina darwiniana le cause
evolutive sono esaminate attraverso il
cosiddetto «programma adattazionista». Si tratta di un programma basato
sul presupposto che ogni patologia ha
un significato adattativo. È un orientamento molto accreditato in biologia,
dove si considera l’adattamento un
meccanismo che permette agli organismi di risolvere i problemi posti dall’ambiente. Quando applicato alla medicina, il programma adattazionista
mette in evidenza tre possibili aspetti
della malattia, la quale può essere: 1) un
componente necessario del meccani-
smo adattativo; 2) un costo del meccanismo; oppure 3) una manifestazione
accidentale del modo di funzionare del
meccanismo.
L’approccio darwiniano alla malattia si fonda su una convinzione antropologica di base: l’organismo umano è
una macchina nello stesso tempo perfetta e difettosa. Siamo il prodotto di
una storia evolutiva priva di fini precostituiti perché l’evoluzione procede come un bricoleur, servendosi di quello
che ha a disposizione; di fatto ci siamo
sviluppati e adattati in un ambiente antico, la savana del Pleistocene, che oggigiorno non esiste più. Questa discrepanza ambientale è la causa di molte
malattie, come per esempio l’obesità e le
disfunzioni cardiovascolari.
Dopo la pubblicazione di Perché ci
ammaliamo si è assistito al moltiplicarsi
dei libri sulla relazione tra evoluzione e
malattia, scritti da biologi o da antropo-
logi, tutti inclini ad abbandonare
l’espressione «medicina darwiniana» in
favore di «medicina evolutiva». «La medicina darwiniana di seconda generazione – ha scritto Fabio Zampieri (oggi
all’Università di Padova, dopo aver
svolto attività di ricerca all’Università di
Ginevra) – può essere divisa in due correnti: una sperimentale, rivolta soprattutto ai problemi dell’evoluzione della
virulenza e della variazione genetica, e
una antropologica».
Il punto di partenza della corrente
antropologica è la constatazione che per
il 95 per cento della nostra storia evolutiva siamo vissuti senza agricoltura e allevamento, e che quindi la nostra biologia e il nostro comportamento hanno
sviluppato un processo di adattamento
per condizioni che non sono più quelle
venutesi a creare dopo la rivoluzione
agropastorale, né tanto più quelle di oggi. «Agricoltura, allevamento, scrittura,
commercio, città e strade – scrive Zampieri – sono novità talmente recenti e
che hanno talmente cambiato il nostro
mondo e la nostra società, che è naturale che il nostro organismo si trovi impreparato. Questi cambiamenti sono
stati alla base di importanti miglioramenti della nostra vita, ma hanno avuto
e hanno tuttora un costo da pagare: alcune caratteristiche vantaggiose nel
lontano passato della nostra formazione biologica ora possono essere divenute fonte di malattia».
C’è un esempio ormai classico che
serve a comprendere qual è la prospettiva della medicina evolutiva. È l’esempio
della nostra attrazione per gli zuccheri.
«La nostra biologia – ci racconta Zampieri – si è evoluta in un ambiente povero di risorse alimentari grasse e zuccherate, e caratterizzato probabilmente da
brevi periodi di abbondanza e lunghi
periodi di scarsità. Abbiamo evoluto un
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
11
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metabolismo capace di accumulare i
grassi in vista dei periodi di carestia e un
sistema motivazionale che ci porta a desiderare e a trovare deliziosi i cibi grassi
e zuccherati. Se queste caratteristiche
erano adattative nell’ambiente preistorico, ora sono alla base di obesità e diabete negli individui che le hanno più
pronunciate».
Con l’obiettivo di dare spiegazioni
di tipo evoluzionistico alle malattie,
Nesse e Williams hanno identificato
sette categorie: 1) la difesa, vale a dire
ciò che noi riteniamo un sintomo patologico, in realtà, è un meccanismo di
adattamento; 2) il conflitto con altri elementi in evoluzione, ad esempio gli organismi patogeni; 3) il disadattamento
del nostro corpo alle veloci modificazioni dell’ambiente e dei modi di vita
nell’epoca moderna; 4) i compromessi
evolutivi a livello genetico; 5) i compromessi evolutivi a livello dei tratti fenotipici complessi; 6) i vincoli storici e dipendenza da traiettorie evolutive; e 7) i
fattori casuali.
La medicina darwiniana
è importante perché ci
incoraggia a studiare la
relazione tra geni
e ambiente
Lo storico della medicina Stefano Canali – autore del libro Emozioni e malattia
– ha osservato che «la prima categoria
di spiegazioni, la difesa, ha messo in evidenza come certe patologie o debolezze
organiche in realtà costituiscono dei fini meccanismi di difesa e adattamento».
Per esempio, la tosse favorisce la liberazione dei polmoni dai corpi estranei,
dai residui dei processi di infezione e infiammazione delle vie respiratorie. La
febbre serve a uccidere gli agenti patogeni estranei, virus, batteri, piuttosto
vulnerabili all’ipertermia. Il vomito
permette all’organismo di liberare il canale alimentare dalle sostanze irritanti o
tossiche, o da eventuali eccessi di cibo. Il
dolore segnala l’avvicinarsi dei limiti di
funzionalità organica, l’insorgenza di
patologie interne, e limita i movimenti
negli arti malati che hanno bisogno di
riposo. L’ansia induce l’attivazione organica e stimola l’attenzione in situazio-
ni importanti della vita o cruciali per la
sopravvivenza, quando è necessario
cioè essere pronti, determinati, motivati, sensibili agli stimoli, inoltre essa può
impedire comportamenti e azioni pericolose.
Il quarto modello darwiniano della
malattia, quello dei compromessi evolutivi a livello genetico, spiega certi stati
patologici come conseguenza di determinati adattamenti genetici a un ambiente. Un gene può conferire certi vantaggi in specifici contesti ambientali ma
aumentare la suscettibilità a sviluppare
alcune patologie. Un caso tipico è quello delle emoglobinopatie, come l’anemia falciforme e la talassemia, che in
condizione eterozigotica possono dare
vantaggi selettivi in ambienti malarici
ma espongono anche al pericolo di anemie più o meno gravi.
La categoria dei vincoli storici è
quella che ci mostra l’evoluzione funzionare come un bricoleur. Un esempio
spesso citato è quello dei rischi di soffocamento dovuti a ostruzione delle vie
aeree con cibi a causa della parziale condivisione dei canali delle vie respiratorie
e del primo tratto del canale alimentare:
è il risultato della nostra conquista della
parola.
Spiccatamente sensibile a una prospettiva storica, la medicina darwiniana
è importante perché c’incoraggia a studiare la relazione tra geni e ambiente. «I
geni – ci ricorda Stefano Canali – regolano la sintesi proteica in funzione dei
fattori ambientali. Stimoli interni ed
esterni quali gli stadi dello sviluppo, le
concentrazioni di ormoni e di mediatori chimici, la disponibilità di certi nutrienti, di certe sostanze, la presenza di
certi contaminanti nell’ambiente, lo
stress, l’apprendimento, l’interazione
sociale influenzano la formazione e il
comportamento dei fattori di trascrizione genica, modulando sensibilmente
l’espressione dei geni, ciò che si indica
col termine di regolazione epigenetica».
Ciò significa che, studiando il nostro genoma, potremo conoscere le basi
della nostra vulnerabilità per malattie
prodotte dall’interazione con una nicchia ecologica che ci siamo costruiti dopo la rivoluzione agropastorale, mettendoci in tal modo nella condizione di
sviluppare politiche d’intervento sull’ambiente e sugli stili di vita importanti
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
13
Ambiente e Benessere
L’ibrida e-Golf al salone di Ginevra
Motori Il Gruppo tedesco ha scelto la Svizzera per mostrare al grande pubblico europeo la sua nuova stella
Mario Alberto Cucchi
Dopo diversi mesi di trattative, a fine
febbraio l’Unione Europea ha ufficialmente deciso che le emissioni di nuove
auto dovranno rispettare il limite di 95
g/km di CO2 entro il 2020. Questa soluzione riguarderà il 95% dei nuovi veicoli prodotti, con l’obiettivo di raggiungere il 100% per l’anno successivo.
La Golf GTE coniuga
i vantaggi
dell’elettromobilità
e il dinamismo
delle classiche GTI
A nulla sono valse le resistenze della
Germania che voleva proteggere i «propri» costruttori. Questi ultimi producono modelli con cilindrate generose e faticano quindi maggiormente a mantenere basse le emissioni. Il primo passo
per l’UE è quello di limitare le emissioni
di CO2 a 130 g/km entro il 2015.
Nel frattempo, tra i costruttori automobilistici tedeschi presenti al Salone
dell’auto di Ginevra – che chiuderà i
battenti il prossimo 16 marzo – Volkswagen ha presentato il suo ultimo
gioiello: l’ecologica Golf Gte. Una versione ibrida plug-in che completa una
gamma articolata su tutte le possibili
alimentazioni. La eGolf è equipaggiata
con un potente propulsore turbo benzina 1.4 Tsi da 150 cavalli che, per l’occasione, è stato abbinato a un motore elet-
trico da 102 cavalli. La potenza complessiva così ottenuta è di ben 204 cavalli. Coniuga dunque i vantaggi dell’elettromobilità e il dinamismo delle classiche GTI di Wolfsburg. In modalità puramente elettrica, la Golf GTE raggiunge una velocità massima di 130 km/h,
mentre sfruttando la potenza del motore Tsi lo spunto velocistico arriva fino a
217 km/h con accelerazione da 0 a 100
orari in 7,6 secondi. I consumi sono limitati a 1,5 litri/100 km, le emissioni di
CO2 sono contenute ad appena 35
g/km e l’autonomia in modalità esclusivamente elettrica è di 50 km. Ben 939
chilometri quella complessiva.
La terza GT della gamma (dopo
GTI e GTD) sarà commercializzata nei
mercati internazionali il prossimo autunno. Le batterie sono agli ioni di litio
da 8,8 kWh e il cambio è un automatico
a tripla frizione DSG a sei rapporti, sviluppato appositamente per l’impiego
ibrido. Proprio nell’alloggiamento del
cambio si trova il motore elettrico.
Volkswagen ha già aperto in Germania
le ordinazioni per la GTE che sarà disponibile a partire da 34’900 Euro, inclusa la garanzia per le batterie di 8 anni
o 160 mila km.
Il Gruppo tedesco ha quindi scelto
la Svizzera per mostrare al grande pubblico europeo la sua nuova stella. Il Salone internazionale di Ginevra si conferma ancora una volta uno dei maggiori
eventi mondiali dedicati all’automobile
con i suoi oltre 80mila metri quadrati assegnati, 7 padiglioni, 250 espositori provenienti da 30 Paesi e oltre 700 marchi
rappresentati. Una kermesse in cui si at-
In mostra al Salone di Ginevra fino al 16 marzo.
tendono oltre 700mila visitatori e 10mila operatori della stampa provenienti da
tutto il mondo (www.salon-auto.ch).
Per facilitare gli appassionati provenienti da altri Paesi sono stati studiati,
in collaborazione con l’Ente del Turismo elvetico, pacchetti all-inclusive che
comprendono pernottamento, visita al
Salone e trasferimenti urbani con prezzi
calmierati a partire da 70 franchi.
L’84esima edizione della manifestazione elvetica strizza l’occhio all’ecologia con una brochure che riporta
i 65 modelli con emissioni di CO2 inferiori ai 95 g/km con indicazioni precise
sulla loro ubicazione all’interno dei padiglioni. Dedicata alle elettriche è pure
una pista coperta ricavata all’interno
del padiglione 1 che darà la possibilità
di toccare con mano le prestazioni delle
ultime evoluzioni sul tema proposto
dalle Case.
Parlando di anteprime, le novità
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
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Ambiente e Benessere
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Nicola Pfund è uno scrittore, ma anche
uno sportivo e appassionato di triathlon. Sono questi gli interessi che lo
hanno condotto alla pubblicazione di
un nuovo libro: A-Z fitness, lo sportivo a
360°. Un piccolo manuale per tutti coloro che praticano o che si vogliono avvicinare allo sport, al benessere e alla
salute generale.
Riassunto in 180 pagine
lo sport inteso come
fonte di benessere,
o meglio come mezzo
per restare in salute
Filosofo di formazione, Pfund ha completato questa sua opera con il consueto
entusiasmo che lo contraddistingue e
che nella sua carriera sportiva lo ha condotto ai massimi livelli nella disciplina
del triathlon. Dal 1988 vi si è dedicato
intensamente per alcuni anni, arrivando fino alle Hawaii (qui si svolgono i
campionati del Mondo di Ironman)
dove, in 9 ore e trenta minuti, ha coperto i 3,86 chilometri a nuoto, i 180 in
bicicletta e i finali 42,195 a corsa. Oggi è
docente di cultura generale presso una
Scuola professionale del Cantone, ma
anche un giornalista, un blogger e uno
scrittore: A-Z fitness, lo sportivo a 360° è
la sua ultima pubblicazione, a pochi
anni di distanza dalla precedente che si
intitolava La filosofia del jogger, di cui
«Azione» aveva riferito nel 2012.
Il volume conta 168 pagine che racchiudono in esse una serie di piccoli testi,
suddivisi in consigli, informazioni e
motivazioni ordinati in modo alfabetico. Da Acido lattico a Yoga, passando
per Bruciare grasso o per Dormire che
bello, i 140 flash spaziano dall’allenamento all’alimentazione, esplorando
pure altri contesti. Troviamo per esempio otto raccomandazioni per un’adeguata preparazione fisica, la storia della
maratona oppure capitoli più tecnici
sulle fibre muscolari o informazioni sul
test Conconi.
La lettura, scorrevole, variata e piacevole
pone particolare attenzione allo sport
inteso come fonte di benessere, come
mezzo per restare in salute. L’aspetto
agonistico è un argomento più marginale, mentre grande importanza viene
data alla prevenzione, al riposo e a uno
stile di vita salutare che contempli attività fisica. Non mancano i riferimenti al
cibo; ad esempio il gelato viene elogiato
sotto la lettera «V» di Voglia di gelato.
Ma che cosa l’ha spinto a scrivere
questo nuovo libro, Nicola Pfund?
Non è stato un evento particolare ma il
seguito di quanto fatto in questi anni,
un percorso iniziato nel 2003 con la
pubblicazione del libro Triathleta per
passione: viaggio alla scoperta di uno
sport affascinante. Già dieci anni fa parlavo, infatti, di sport inteso anche come
benessere e questo libro è un naturale e
ulteriore tassello nell’approfondimento
della tematica.
Si è allontanato quindi dal lato competitivo dello sport?
Nello sport abbiamo sempre tre principali fattori che ci spronano a praticarlo:
competizione, obiettivi personali e benessere individuale. Effettivamente, in
A-Z fitness, lo sportivo a 360° è proprio
quest’ultimo fattore a essere predominante, a tal punto che tutti i consigli
ruotano attorno all’attività fisica intesa
in un’ottica positiva e in modo che
possa apportare benefici alla vita.
Cerca in un certo senso di seguire
quella tendenza che, lentamente, si
sta affermando anche da noi?
Sì, dieci anni fa parlavo già di fitness
come elemento essenziale nella vita di
tutti e non solo per gli sportivi. Erano
però ancora discorsi pionieristici, mentre oggi questo cambio di tendenza è in
atto (pensiamo per esempio alla nascita
di Sportissima che promuove lo sport e
non necessariamente la competizione)
e sono sempre di più le persone che praticano sport solo e unicamente per il
puro piacere.
Nel suo libro propone diversi suggerimenti per un allenamento sensato:
programmare, variare, riposare, essere motivati, prudenza, ginnastica,
forza, alimentazione, continuità. Cos’altro deve aspettarsi chi legge A-Z
fitness?
Tanti consigli per non farsi male, per assaporare appieno la pratica di una sana
attività fisica e per uscire da un approccio esasperato allo sport.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
17
Ambiente e Benessere
Harenna, la
drupa, il frutto
del caffè.
L’ultimo caffè selvatico
Viaggiatori d’Occidente Frutto spontaneo e straordinario della foresta etiope, il caffè di Harenna
è reputato uno dei cinque migliori di tutta l’Africa
Alessandro Gandolfi, foto e testo
Sembra una favola: in Etiopia c’è un favoloso caffè che cresce spontaneo a quasi
duemila metri d’altezza. È unico al mondo, la sua qualità è straordinaria e lo raccolgono donne laboriose vestite di giallo,
di verde e di blu, camminando per ore
nel cuore della foresta di Harenna.
Le piantagioni si
trovano a un altezza
di quasi 2000 metri
e si raggiungono su
una strada impervia
Questa piccola comunità di cinquemila anime è rimasta isolata per secoli,
continuando a vivere in capanne di paglia e a trasportare il caffè selvatico a
dorso d’asino, in grossi sacchi di iuta.
Ma trent’anni or sono le cose sono
cambiate: l’esercito socialista di Mengistu costruì una strada che, superato
un forte dislivello, arrivava fino alla foresta di Harenna. Ed è proprio seguendo questa via che oggi il prezioso caffè
arabica arriva ai mercati della capitale.
Un prodotto di alta qualità che inizia a
essere apprezzato: l’anno scorso una
speciale commissione lo ha premiato
come uno dei cinque migliori caffè di
tutta l’Africa.
Il caffè è nato in Etiopia. Qui la sua
preparazione accurata resta un rituale
simbolico, una cerimonia praticata ogni
giorno e ispirata all’ospitalità. Lo è nei
ristoranti alla moda di Addis Abeba come nei remoti villaggi del Tigrè, dell’Afar o dell’Oromia, regione meridionale verso la quale ci spostiamo a bordo
di un 4x4. Mi accompagna l’italiana Flaminia Battistelli: «Quella di Harenna è
una foresta primaria meravigliosa –
spiega la ragazza – e ospita le ultime
piante di caffè selvatico al mondo: il risultato della raccolta è un caffè che non
hai mai assaggiato prima».
Flaminia lavora per la Cooperazione Italiana, l’organo del Ministero degli
esteri che sta portando avanti un progetto di sostegno ai piccoli raccoglitori e
produttori di caffè di Harenna.
Il problema è arrivarci, ad Harenna! Questa remota foresta si trova cinquecento chilometri a sud della capitale, al centro dell’Etiopa meridionale, e il
percorso è massacrante: si guida per
due giornate intere e lungo il primo
tratto ci si lascia alle spalle laghi popolati da pellicani, sicomori secolari (il loro
legno nell’antico Egitto veniva usato per
costruire sarcofaghi) e villaggi dal fascino unico, come Shashemene. Qui dal
1948 vive una folta comunità di rastafa-
Harenna: i sacchi di caffè sono portati fuori dalla foresta con gli asini.
riani arrivati direttamente dalla Giamaica, e proprio qui ogni settimana arriva il caffè di Harenna per essere venduto agli intermediari.
Da Shashemene la strada vira bruscamente verso est. Dopo pochi chilometri, l’asfalto lascia il posto alla terra
battuta e ai campi di teff, il cereale con il
quale si cucina l’enjera, una crêpe spugnosa che è alla base di tutta la cucina
etiope. Il giorno successivo si sale fino a
quattromila metri, entrando in una dimensione inconsueta: vegetazione bassa, vento freddo, steppa a perdita d’occhio, un uomo che cavalca solitario ver-
so il nulla. Sembra la Mongolia ma si
chiama Sonetti Plateau, il maggiore altopiano etiope, sul quale corre la strada
asfaltata più alta dell’Africa.
Scendendo di nuovo, la steppa si
trasforma in foresta tropicale e si entra
così nel vasto Bale National Park, dove
si trova la foresta di Harenna: «Mi sembra di avere fatto un salto indietro di
duecento anni» commenta Flaminia
quando ai lati della strada iniziano ad
apparire le prime case in terra e fango,
con gli asini che trasportano lenti i sacchi di caffè. È questa da sempre la loro
unica fonte di reddito.
Harenna: le donne vanno a raccogliere il caffè nella foresta.
Mena, Harenna: una donna cammina
lungo una strada del villaggio.
Le allegre donne del villaggio si infilano nella foresta intonando canzoni
della tradizione. Passano ore a raccogliere la drupa, il rosso frutto del caffè
che sembra una ciliegia, gettandolo velocemente nella lunga cesta in vimini
con un gesto che i loro antenati hanno
ripetuto per anni, sempre uguale. Poi
era consuetudine metterlo a essiccare a
terra, sopra grandi teli colorati che vediamo ancora qua e là fra le colline vicine. Il progetto, con la consulenza dell’Iao (l’Istituto Agronomico per l'Oltremare), mira proprio a cambiare questa
abitudine secolare: «A contatto con il
terreno – spiega Tiberio Chiari dell’Iao
– il chicco di caffè ne assorbe in parte
l’odore. Per questo sono state introdotte
reti che impediscono il contatto con il
suolo, aumentandone così la qualità».
Te ne accorgi quando una donna
arriva con due tazze fumanti di caffè
appena tostato: il sapore è unico, intenso, mai sentito prima. Ma non è
questo l’unico pregio del caffè di Harenna. «A causa dei cambiamenti climatici – continua Tiberio – nei prossimi quarant’anni le coltivazioni di caffè
potrebbero sparire dall’Africa Orientale. Una catastrofe! La soluzione, pensiamo, potrebbe arrivare proprio dalla
biodiversità genetica dell’Harenna».
Più buono, dunque, ma anche molto
più resistente…
Addis Abeba: lavoratori alla Oromia Coffee Farmers Cooperative Union
(OCFCU).
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
19
Ambiente e Benessere
Minestre e vini,
un felice matrimonio
Bacco a tavola Tornano di moda anche le zuppe,
Davide Comoli
Le zuppe e le minestre appartengono alla tradizione popolare e alla cucina povera dei nostri avi. Per lungo tempo rifiutate a causa di questo loro retaggio,
stanno oggi tornando di moda sia tra i
privati sia sulle proposte dei vari ristoranti. Oggi vengono considerate a tutti
gli effetti un primo piatto. Che siano di
magro oppure più o meno sostanziose,
meritano comunque di essere riscoperte per le loro caratteristiche organolettiche e per il buon valore nutritivo. Di
certo le zuppe di oggi sono il diversivo
di piatti più impegnativi e l’offerta culinaria per chi ha voglia di scaldarsi. Esse
vantano un equilibrio di sapori e consistenze, e preparano il commensale ad
affrontare in seguito cibi più corpulenti.
Quelle che vengono proposte oggi
non sono le minestre altamente caloriche come quelle descritte dall’Artusi
(1820-1911), che introduceva così le
minestre nel suo famosissimo libro:
«Poca a chi non trovandosi nella pienezza delle forze né in perfetta salute ha
bisogno di un trattamento speciale, poca minestra e leggera nei pranzi se i
commensali devono fare onore alle varie pietanze che vengono appresso».
Se c’è il vino non c’è zuppa e se c’è
zuppa non c’è vino, sembrerebbe cosa
ovvia, ma non lo è. Se c’è zuppa c’è anche pane, ingrediente cardine della die-
ta medievale (il nome zuppa sembra appunto che derivi dal gotico suppa e cioè
dalla parola che indicava la fetta di pane
su cui veniva versato il brodo). Al fine di
superare gli ostacoli, nei quali questa
portata può incappare quando si parla
di abbinamento con il vino, bisogna dividere le minestre in quattro categorie:
minestre chiare, minestre legate, minestroni e zuppe. Le minestre chiare comprendono piatti preparati con brodo di
carne e si suddividono in due altre sottocategorie. Nella prima troviamo le
minestre all’italiana (se nel brodo si aggiunge pasta, riso, crostini o carne e se
vengono consumate calde). A questo
genere occorre abbinare un vino bianco
giovane, di poco corpo, abbastanza
morbido, eventualmente amabile, con
un ricco bouquet vegetale e floreale, fresco d’acidità come ad esempio un Sylvaner o un Riesling italico.
Nella seconda categoria troviamo
invece i consommé (se composte da una
dose più o meno concentrata di brodo,
insaporito da particolari ingredienti,
con guarniture servite a parte). A loro
volta i consommé possono essere ulteriormente insaporiti con ingredienti come vini liquorosi o tartufi; a volte serviti
freddi danno origine a ricette di grande
classe. Il miglior abbinamento con questi «brodi» si ha con vini bianchi secchi e
liquorosi, ricchi di acidità e profumi ossidativi che ricordano le spezie e la frutta
secca come il Marsala Vergine e lo Sherry. Le minestre «legate» si possono suddividere invece in: «puree» ovvero passati di vario genere alle quali vanno abbinati vini bianchi molto leggeri di
struttura, come il Menfi bianco o l’Erbaluce di Caluso; e in «creme» nel caso siano composte da una purea legata con
besciamella o roux, e in questo caso un
buon abbinamento può essere con dei
vini bianchi giovani, abbastanza di corpo e morbidi, ma freschi d’acidità, quali
l’Asprinio d’Aversa o i Lessini-Durello.
Con le «vellutate» (quando alla purea sono aggiunte componenti come
tuorli d’uovo o burro che la rendono
particolarmente liscia), per un buon abbinamento, occorre scegliere un vino
bianco giovane, molto fresco d’acidità,
non molto ricco d’alcol, ma soprattutto
un ricco bouquet di aromi vegetali e
frutta fresca, come un Sancerre bianco o
un Sauvignon dell’Alto Adige. Normalmente le creme e vellutate vengono servite con punte d’asparagi o lamelle di
fungo che richiamano gli ingredienti
usati per la preparazione. La categoria
dei «minestroni» comprende piatti ricchi e composti piuttosto da una base di
soffritto con grassi – come olio extravergine o burro, che determinano piacevoli sensazioni di grassezza e untuosità – alla quale si aggiungono varie verdure e legumi che apportano al piatto
sensazioni di aromaticità e tendenza
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Alma Mora
Cabernet Sauvignon
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Verdura, prodotti
di salumeria,
pesce d’acqua dolce
Pinot Noir,
Gamay
Nuova cucina economica (1803) nota
che l’ingresso della zuppa di pesce nei
ricettari coincide con la comparsa in
cucina del pomodoro, che ha conferito
dignità aromatica a un piatto ritenuto
fino ad allora troppo rustico.
Il miglior abbinamento si realizzerà con un vino bianco secco, di buona
struttura, nel quale l’alcol stemperi la
grande freschezza data dagli acidi e la
mancata sapidità. Il vino dovrà avere un
bouquet che spazia tra il floreale (rosa,
glicine) e la frutta matura (pesca bianca,
pera) quale il Pinot Grigio dei Colli
Orientali del Friuli o il Verdicchio di Jesi,
ma non sottovaluterei un Rosato di
Bandol dal grande equilibrio, in grado
di smorzare l’untuosità del piatto.
Nel corso degli anni, molti chef di
cucina si sono adoperati per rendere
queste preparazioni meno pesanti e più
digeribili, meglio adattabili a essere inseriti nei menu. Essi hanno inoltre permesso di rendere attuale il pensiero di
Grimod de la Reynière (1758-1837) che
soleva dire: «Una zuppa è per una cena,
quello che un portico o un peristilio sono per un edificio, e siccome è un primo
piatto, dovrà essere scelto in funzione
della qualità e del seguito della cena
stessa».
Moscato d’Asti DOCG
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Rosato Terre Siciliane IGT
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Guide des
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dolce che aumenta con l’aggiunta di riso o pasta.
Numerose e varie sono le ricette regionali di questo tipo di piatto. Per l’abbinamento si ricercherà un vino bianco
secco, di corpo, con una buona alcolicità, fresco d’acidità, con note ricche di
profumi di frutta fresca come la mela o
vegetali come il sedano, ottimo quindi
un Lugana o un Trebbiano d’Abruzzo,
ma anche un nostro Bianco di Merlot.
Nelle «zuppe» troviamo le ricette
più antiche e tradizionali preparate con
una base di pane o crostoni abbrustoliti,
quasi sempre posti nella fondina prima
di essere ricoperti dal liquido della preparazione piuttosto densa a base di brodo di carne, verdure, cereali, ecc. Alcuni
vini rossi giovani si possono ben abbinare a queste ricette della tradizione; vini quindi di medio corpo, dai tannini
leggeri, un po’ spigolosi, con un bouquet ricco di aromi vinosi e di frutta,
non troppo alcolici, come un Merlot del
Ticino, un Chianti Colline Senesi o un
Cabernet del Friuli. «Brodetto»: così
viene definita una preparazione a base
di pesce. Questo tipo di zuppa è stato
per secoli un piatto a uso esclusivo popolare: sulla tavola dei ricchi compariva
di rado. Vincenzo Agnoletti, nella sua
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2
3
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
21
Ambiente e Benessere
Dalla parte della legge
Mondoanimale I detentori di animali devono essere ben informati
sulla legislazione OPAn e le sue modifiche
Maria Grazia Buletti
Per colmare alcune lacune presenti nel
diritto vigente in materia di protezione
degli animali e adeguare alcune disposizioni della relativa ordinanza (OPAn),
il Consiglio federale ha deciso di apportarvi alcune modifiche che coinvolgono
il trattamento e la detenzione degli animali da compagnia. Queste modifiche
dell’ordinanza sono entrate in vigore il
1° gennaio di quest’anno e riguardano
principalmente la detenzione di cani e
cavalli.
Tra le modifiche
dell’ordinanza OPAn
anche diversi obblighi
o divieti per chi ha
a che fare con gli equini
Le novità inerenti i cani riguardano la
loro detenzione in box o nei canili (art.
70 cpv. 2 / art. 72), dove non sussisterà
più l’obbligo di detenzione almeno a
coppie: «Si possono tenere animali anche in parchi limitrofi, purché in contatto visivo, acustico e olfattivo con altri
cani», escludendo così da questo requi-
sito i cani che durante il giorno hanno
contatto con altri conspecifici o con
persone per almeno cinque ore al di
fuori del parco e i cani che invece vivono in box o canili per un periodo inferiore ai tre mesi.
Inoltre, si puntualizza che tutti i tipi
di collari che provocano dolori sono
vietati (art. 73 cpv. 2). Di fatto, nuove
forme di collari di addestramento che
infliggevano dolori ai cani venivano
usati per eludere il divieto di utilizzare
collari con aculei interni. Ora questo
non è più permesso. Subisce qualche
aggiustamento pure l’articolo 74 che regola la formazione dei cani da difesa da
parte di imprese di sicurezza private:
«Fino a oggi era consentito lo svolgimento di allenamenti per i servizi di difesa soltanto con i cani di servizio in dotazione a esercito, guardie di confine,
polizia e con cani destinati alle competizioni sportive dei servizi di difesa. I cani
di servizi di sicurezza privati non rientrano in alcuna delle categorie summenzionate. Tuttavia il loro addestramento è necessario affinché i servizi di
sicurezza statali come la polizia possano
impiegarli a scopo di sostegno». Perciò,
l’ordinanza OPAn oggi include anche la
formazione di cani da difesa di queste
imprese di sicurezza private.
Social a quattrozampe
È un mix tra Instagram, Facebook e
Twitter e si chiama Petigram: parliamo di un’app che funge anche da rete
sociale. Nello specifico, si tratta di una
piattaforma che permette di condividere fotografie e notizie sui propri animali a quattro zampe, come pure di
intrecciare amicizia con altri proprietari e amanti degli animali. Di fatto, il
web è sempre più colmo di siti, imma-
gini e video che rappresentano i migliori amici dell’uomo e la nuova tendenza è proprio quella che vede nascere veri e propri social network a loro
dedicati, come Ynetpet, Matchpuppi e
Mysocialpet, per citarne solo qualche
esempio che certifica come, oramai, i
nostri animali sono entrati anch’essi a
pieno titolo, e forse loro malgrado,
nell’era telematica.
Per quanto attiene invece ai cani da
caccia e al loro addestramento, l’articolo 75 estende il suo campo d’applicazione, mentre l’art. 76 rafforza il divieto di
usare mezzi per impedire ai cani di
emettere gridi o esprimere dolore.
In rapporto invece agli equini, l’articolo più significativo aggiornato (art.
63) ribadisce che permane il divieto di
utilizzo del filo spinato nelle recinzioni
che li ospitano, anche se a determinate
condizioni esiste la possibilità di ottenere una deroga: «Ad esempio, per un
pascolo vasto che dispone di una delimitazione aggiuntiva ben visibile – come il margine di un bosco o i muri a
secco tipici del Giura – questa autorizzazione dovrebbe essere possibile».
Un altro interessante aggiornamento concerne gli articoli 21 g e h, che
pongono le regole di protezione dei cavalli da addestramento e da salto, vietando la rollkur (ndr: iperflessione della
testa e del collo del cavallo, che comporta a sua volta un’eccessiva tensione del
dorso) e lo sbarramento dei cavalli da
salto. Quest’ultimo è una pratica nella
quale si infligge dolore o si incute paura
all’animale per indurlo a saltare più alto. Ad esempio: durante l’allenamento
si alza artificialmente l’asta dell’ostacolo
al passaggio del cavallo, in modo che
l’animale vi urti contro e in seguito sia
costretto ad alzare maggiormente le
zampe.
Infine, per il trasporto dei cavalli
(art. 160 cpv. 1), oltre alle capezzine di
corda (finimento di cuoio con cui si lega
la testa di un animale per condurlo) è
ora espressamente vietato anche l’uso di
quelle annodate e delle briglie per legare
i cavalli durante il trasporto: «Le cavezze annodate e le briglie permettono di
controllare facilmente i cavalli, a causa
della pressione esercitata su alcuni punti sensibili della testa. Non si può tuttavia escludere che durante il trasporto un
cavallo perda l’equilibrio e lo strappo
Autorizzazione obbligatoria anche per dog-sitting/walking multipli. (Oskarp)
provocato dalle briglie o dalla cavezza
annodata provochi inutili dolori».
Un’ultima modifica concerne il
trattamento professionale degli animali che oggi impone un’autorizzazione
cantonale anche per alcuni casi che prima non erano ancora contemplati (art.
101 e 102). Quest’ultima deve essere ottenuta dai titolari di pensioni e rifugi
per animali, dalle persone che offrono
servizi di accudimento (come ad esempio dog-sitter e dog-walking) e che accolgono animali quando il loro proprietario è in vacanza, «qualora si occupino di più di cinque animali, escludendo naturalmente i propri da questo
conteggio».
Viene inoltre richiesta un’autorizzazione cantonale anche per gli allevamenti e le organizzazioni di soccorso
che si prendono cura ogni anno di grandi numeri di animali, così come per le
persone che si occupano professional-
mente della cura degli zoccoli dei cavalli
(ad esempio: pareggiatori di cavalli scalzi), che ora dovranno dimostrare di essere in possesso di una formazione riconosciuta. Mentre i maniscalchi, dei
quali già si fa garante la formazione
svolta a norma di legge, non necessitano di autorizzazione.
Queste nuove clausole legali dovrebbero proteggere i detentori, e soprattutto i loro animali, da persone che
non sono qualificate ad occuparsene
professionalmente, mentre lo potrà fare
chi potrà dimostrare di aver portato a
termine un percorso di formazione riconosciuto e aver ottenuto anche la relativa autorizzazione cantonale a esercitare. Con queste premesse, l’Ufficio federale di veterinaria, sempre a beneficio
degli animali, invita i loro detentori a richiedere l’autorizzazione cantonale
quando decidono di dare in custodia ad
altre persone il loro animale domestico.
Giochi
ORIZZONTALI
Cruciverba
Dopo cinquant’anni di matrimonio lui muore,
passa qualche anno e anche lei sale in cielo, lì
rivede il marito e correndogli incontro
esclama: «Amore che bello rivederti!» – Lui
infastidito risponde: «Mia cara, non ricordi
cosa disse Don Matteo?…». Per scoprire la
frase, risolvi il cruciverba leggendo le lettere
evidenziate.
1
2
3
4
5
6
10
7
,
8
11
9
1. Sottili, minuti
5. Francesco, scrittore
ticinese
10. Nome maschile
11. Pagamenti dilazionati
12. Numero delle Muse
13. Acido ribonucleico (Sigla)
15. Le iniziali dell’attrice Rohrwacher
16. Si dice per incoraggiare
ed esortare
17. Primo cardinale
18. Le figlie di Zeus
19. Finito in fondo
20. Deteriorato, guasto
21. Imposta sul Valore Aggiunto
22. Le tracce più labili
24. Le iniziali del regista Avati
25.Uno stretto parente di però
26. L’attore Bova
28. Sconfinati
Sudoku Livello per geni
Scopo del gioco
Completare lo
schema classico
(81 caselle,
9 blocchi, 9 righe
per 9 colonne) in
modo che ogni
colonna, ogni riga
e ogni blocco
contenga tutti i
numeri da 1 a 9,
nessuno escluso
e senza ripetizioni.
13
16
17
19
20
25
28
23
24
26
27
15
18
21
22
14
1. Estremismi intolleranti
2. Simulacro
3. Cade finendo in acqua
4. Isola francese
5. Palchi quelle del cervo
6. Fa bollire il sangue
7. Le iniziali dell’imitatrice Aureli
8. All’inizio di una corsa
9. Sta spesso tra le nuvole
14. Regolari, ordinari
17. Supera l’esame di maturità
a settembre
18. Le ali dell’oca
20. Conseguire, ottenere
21. L’ultimo re Umberto
23. Un figlio di Noè
24. Si forma per suppurazione
27. Sono uguali nel fidanzamento
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VERTICALI
12
4
7
1
4
Soluzione della settimana precedente
Tra innamorati – Risposta di lei:
«che nessuno si fa gli affari suoi?».
O C H E
S I A
S
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
23
Politica e Economia
Ritorno al passato
Le relazioni diplomatiche
Usa-Russia subiscono una
battuta d’arresto in Crimea
Le invasioni di Mosca
L’intervento in Crimea di forze armate facenti
capo al Cremlino è di gran lunga più modesto
e incruento (per ora) di quelli compiuti dagli
dagli stessi russi in Ungheria, Cecoslovacchia,
Afghanistan e Georgia (e dagli Usa in Iraq)
In cerca di compromessi
Come conciliare il sì all’iniziativa
contro l’immigrazione di massa
e la libera circolazione? Una
proposta di Avenir Suisse
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Consiglio federale a nove?
Si riaffaccia l’idea di allargare
il governo a nove consiglieri
federali, una soluzione che
garantirebbe un posto alla
Svizzera italiana, più che
necessario visto lo scollamento
fra la Confederazione e il Ticino
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Crimea, le radici
della crisi
Il caso Per capire la scontro che oppone
Kiev alla Russia riguardo alla regione
autonoma bisogna tornare a guardare
la storia del suo turbolento passato
Alfredo Venturi
È il 1954 quando un tratto di penna sposta la Crimea dall’appartenenza etnica a
quella geografica: a un anno dalla morte
di Stalin il nuovo capo del Cremlino, Nikita Krusciov, trasferisce la penisola del
Mar Nero dalla Repubblica socialista federativa sovietica russa alla Repubblica
socialista sovietica ucraina. Lo fa per celebrare i tre secoli dell’annessione ucraina all’impero russo. Ovviamente il primo successore di Stalin non ha ragione
di dubitare della solidità del monolito
sovietico, né potrebbe lontanamente
immaginare che pochi decenni lo separano dalla disintegrazione dell’impero e
dunque dall’estraniamento della Crimea ormai ucraina rispetto a Mosca. I
russi che abitano la penisola, quasi i due
terzi della popolazione, possono dormire sonni tranquilli, il potere di Mosca
sulla penisola non è minimamente scalfito dalla formale dipendenza da Kiev.
Ma la storia ha in serbo uno spettacolare mutamento di circostanze e di
prospettive: il crollo dell’Unione Sovietica rende la Crimea straniera alla Russia.
La penisola torna a essere al centro dell’attenzione di Mosca, come lo fu spesso
negli anni successivi al 1783, quando le
truppe imperiali sottrassero la magnifica
preda alla dominazione ottomana. Era il
trampolino ideale della proiezione russa
nei mari caldi, ostacolata da quella «questione degli Stretti» che dominò a lungo
gli annali della diplomazia: il vitale collegamento fra Mar Nero e Mediterraneo
controllato dai turchi. Non a caso proprio qui si combatterono a metà Ottocento le battaglie decisive della guerra
che vide schierate accanto agli ottomani
le potenze europee occidentali. Di fronte
alla sfida fra il declinante impero turco e
l’arrembante autocrazia zarista, Londra
e Parigi scelsero senza esitare l’alleanza
con Costantinopoli, assicurandosi una
posizione di forza nelle terre ottomane e
coinvolgendo il Regno di Sardegna, ansioso di affacciarsi alla ribalta internazionale per promuovere il progetto unitario
italiano.
Meno di un secolo più tardi, nuovo cruciale appuntamento con la storia. La Germania hitleriana invade
l’Unione Sovietica e quei risentimenti
antirussi che da sempre serpeggiano
alla periferia dell’impero generano la
tentazione del collaborazionismo. In
particolare fra gli inquieti tatari di Crimea, un popolo affine ai turchi per lingua, cultura e religione che a lungo appoggiò contro i russi le politiche ottomane, prende corpo un movimento fi-
lonazista. La risposta di Mosca è spietata: subito dopo la conclusione vittoriosa della «grande guerra patriottica»,
Stalin ordina la deportazione dei tatari
verso gli immensi spazi orientali. Poi li
sostituisce con immigrati ucraini e
russi, più russi che ucraini. Il gesto di
Krusciov, che assegna la Crimea alla
dipendenza amministrativa da Kiev,
vuole essere un segnale di conciliazione, all’insegna di una fraternità sovietica che si vuole più forte delle identità
nazionali e che nessuno, al momento,
può mettere in discussione.
La crisi in corso fra Mosca e Kiev,
che vede il presidente Vladimir Putin
rifiutarsi di escludere il ricorso alla forza
per tutelare la minoranza russa in
Ucraina, del resto maggioranza nella regione autonoma di Crimea, affonda
dunque le sue radici in un turbolento
passato, fonte di frustrazioni, rancori e
desideri di rivalsa. La fraternità sovietica non c’è più e le identità nazionali rialzano la testa. Le popolose comunità russe dell’Ucraina orientale e soprattutto
della Crimea guardano a quella che
considerano da sempre la loro madrepatria. A Mosca si richiama il precedente dei primi anni Quaranta e si bolla come «fascista» la posizione antirussa
emersa dalla rivoluzione di Kiev. Putin
muove le forze russe che in virtù degli
accordi bilaterali stazionano in Crimea,
in particolare allerta la potente flotta del
Mar Nero che ha base a Sebastopoli. Assicura che non attaccherà, non ora…
Nel bollente calderone ucraino il caso della Crimea fa storia a sé. Poiché nella regione autonoma i russi sono maggioranza, lo status della penisola offre un
quadro giuridico all’interno del quale
trova posto l’ipotesi di un referendum
per una maggiore autonomia da Kiev
che potrebbe essere, confidano coloro
che guardano nostalgicamente a Mosca,
il primo passo verso l’autodeterminazione e il ritorno alla Russia. Naturalmente
Kiev respinge questo scenario e chiama
in soccorso l’Occidente, ma la pressione
dell’Occidente ha come obiettivo niente
più che scongiurare la guerra e favorire
una soluzione incruenta. Del resto Putin
ha a disposizione non soltanto la potenza militare ma anche l’arma formidabile
degli approvvigionamenti energetici.
Quei gasdotti che attraversano l’Ucraina
per distribuire energia in Europa stanno
a cuore non soltanto a Kiev ma all’intero
continente. Un dettaglio che spiega, fra
l’altro, la sensibile differenza fra la durissima reazione degli Stati Uniti alle mosse
di Mosca e quella meno intransigente
degli europei.
Il monumento del Soldato Sovietico a difesa di Sebastopoli durante la Seconda guerra mondiale. (Keystone)
Per il nuovo zar Putin la partita si
gioca su molti tavoli. Non vuole assolutamente che un’Ucraina ostile avvicini
ulteriormente al cuore della Russia l’influenza occidentale. Vuole tener lontana la frontiera della Nato, all’interno
della quale già si trovano non soltanto
gli ex alleati dell’Europa orientale ma
perfino le repubbliche ex sovietiche del
Baltico. Per questo ha assunto una posizione aggressiva nei confronti dei
nuovi padroni di Kiev, ai quali rimprovera una deriva verso Occidente che ripropone, a suo dire, lo sbandamento filonazista di tanti ucraini durante l’oc-
cupazione tedesca. In tutto questo la
Crimea è una comoda pedina, perché
gli permette di affiancare al principio
della tutela delle minoranze quello della capacità decisionale delle maggioranze. Inoltre intende mettere al riparo
da ogni possibile insidia la base navale
di Sebastopoli, essenziale oggi come
sempre per la strategia planetaria di
Mosca.
Nel difendere gli interessi dei russi
ovunque si trovino, Putin agita infine il
vessillo dell’orgoglio nazionale. Dalle
ceneri dell’impero sovietico il nazionalismo è riemerso anche a Mosca, è il
nuovo collante che ha sostituito quello
sovietico, salvando nel collasso dell’Unione il suo nucleo gigantesco, quella Federazione russa che si estende
dall’Europa fino al Pacifico. L’uomo del
Cremlino sente come suo dovere storico proteggerne l’integrità affrontando
le minacce periferiche, che si tratti di rivolte «interne» come quelle caucasiche
o di fibrillazioni sulla soglia di casa come i fatti di Kiev. Quanto all’antico gioiello della corona imperiale, i turbinosi
eventi ucraini aprono le porte al sogno:
il ritorno della Crimea fra le braccia della santa madre Russia.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
Politica e Economia
È l’addio al «Reset»
Federico
Rampini
va in scena
Usa-Russia La strategia del riposizionamento delle relazioni con Mosca inaugurata
da Obama e dalla Clinton ha subìto un grave colpo con l’annessione russa della Crimea
Federico Rampini
Hillary Clinton ha scatenato una bufera
di polemiche, per aver paragonato Vladimir Putin a Hitler. L’analogia è parsa
eccessiva soprattutto ad alcuni suoi
compagni di partito, «colombe» di politica estera, che in questa fase sperano
ancora che sia possibile una soluzione
negoziata della crisi in Ucraina, nonostante l’annessione militare della Crimea alla Russia, «legittimata» (per così
dire) dal voto-farsa del parlamentino
della Crimea. I repubblicani gongolano:
la Clinton dice ad alta voce quel che
molti di loro pensano, ma vederla al
centro di una controversia fa sempre
piacere alla destra che considera Hillary
come la più temibile candidata (per ora
virtuale) alla Casa Bianca nel 2016. Di
fatto, poi, la Clinton non è stata l’unica a
usare il paragone con Hitler. Prima di
lei lo ha fatto sul «Washington Post» un
esperto di geostrategia come Zbigniew
Brzezinski, democratico anche lui, che
fu consigliere di sicurezza nazionale di
Jimmy Carter dal 1977 al 1980.
Brzezinski ha paragonato l’invasione russa della Crimea all’annessione
che il dittatore nazista fece dei Sudeti
nel 1938, seguita dall’occupazione della
Cecoslovacchia nel 1939. Altri evocano
paragoni altrettanto inquietanti con la
guerra di Crimea del 1853-1856: allora
ci volle una vasta alleanza tra l’Impero
britannico, la Francia, l’Impero ottomano, e il Regno di Sardegna (Piemonte),
per venire a capo dell’armata zarista…
L’America vara le prime
sanzioni mentre
l’Europa si defila
provocando irritazione
a Washington
Ma l’uscita della Clinton è sintomatica
per un’altra ragione. Quando fu segretario di Stato di Barack Obama, lei diede
un contributo essenziale alla politica del
«reset». Qualcuno ricorda ancora quel
termine? Sembrano passati cent’anni…
Il «reset», è il bottone che si schiaccia sul
computer per azzerare quel che si sta facendo, rimettere i programmi di software al punto di partenza, insomma ricominciare tutto da capo. E «reset» fu il
termine con cui Obama e il suo segretario di Stato all’inizio del 2009 lanciarono
un’idea di ri-posizionamento nelle relazioni con la Russia. Per fare piazza pulita
delle gravi incomprensioni del passato –
c’era stata l’anno prima la guerra in Ge-
orgia – Obama voleva ripartire da una
pagina bianca, provare a ricostruire un
rapporto positivo.
L’inizio fu promettente davvero.
Ricordo ancora, perché fu uno dei miei
primi viaggi al seguito di Obama, il vertice di Praga per il trattato Start 2, nuova
tappa nel disarmo nucleare. Già, ma a
Praga di fronte a Obama c’era Dmitri
Medvedev, non Putin. Si era in quella fase in cui Putin aveva dovuto «fare una
sosta» dopo due mandati presidenziali,
si era fintamente rassegnato a una posizione di secondo piano, lasciando a
Medvedev la presidenza. Grave abbaglio, quello di Obama. Credette, come
peraltro molti leader occidentali e altrettanti esperti di geopolitica, che Medvedev fosse un leader vero. E l’aspetto modernizzatore, occidentalizzante, moderato di Medvedev piaceva molto agli
americani, conquistati anche dal suo ottimo inglese. Non capirono che Medvedev era un burattino, che il potere restava nelle mani di Putin anche se momentaneamente traslocato nel suo ufficio di
primo ministro. Putin peraltro se la legò
a un dito, visse come un affronto personale quell’idillio diplomatico tra Obama
e Medvedev. Covò risentimenti e voglie
di rivincita.
Il seguito lo si è visto, dalla Siria
all’Ucraina. «Reset» addio. Il 2014 è iniziato in un copione sempre più simile
alla Guerra fredda. Gli ultimi sviluppi
sono pessimi. Putin esibisce la più gelida indifferenza alle vibrate proteste
dell’Occidente. Prima si è annesso di
fatto la Crimea dispiegando le risorse
militari che aveva già in loco (in virtù di
un accordo siglato all’epoca dell’indipendenza dell’Ucraina, dopo la dissoluzione dell’Unione sovietica, alla Russia
è rimasta la base navale di Sebastopoli e
quindi una robusta presenza militare).
Ha deciso di far «richiedere» allo stesso
parlamentino della Crimea l’aiuto russo, ripetendo anche in questo un copione collaudato durante la Guerra fredda:
i carri armati sovietici entrarono a Budapest nel 1956 e a Praga nel 1968 sempre «rispondendo fraternamente» a una
richiesta di aiuto da parte delle autorità
locali, che ovviamente erano fantocci
manovrati da Mosca.
Obama non si rassegna. Ancora
giovedì sera, in un colloquio tesissimo al
telefono con Putin, per un’ora il presidente americano ha ribadito la sua posizione: l’annessione della Crimea è una
grave violazione del diritto internazionale, la sovranità e l’integrità territoriale
dell’Ucraina vanno rispettate, la crisi va
risolta attraverso un dialogo diplomatico tra Kiev e Mosca, eventualmente con
la mediazione di altre organizzazioni
multilaterali (Onu e Osce).
Intanto l’America vara le sue prime
sanzioni contro la Russia, cominciando
dal congelamento dei visti che colpisce
direttamente la cerchia di Putin. E sempre rispettando un copione già visto,
l’Europa si defila, provocando irritazione a Washington. Ma la convocazione
imminente di un G7 senza la Russia, annunciata dal Canada, viene accompagnata da voci secondo cui la Germania
non è affatto d’accordo di abolire il G8 e
relegare Mosca nell’isolamento di vent’anni fa. Il Pentagono da parte sua non
drammatizza il test missilistico compiuto martedì scorso da Mosca: «Era previsto, ci avevano avvertiti in base alle regole del tratto Start». Ma dalla Casa Bianca
traspare malumore anche su quello: se
Putin avesse voluto dare un segnale distensivo, avrebbe cancellato quel lancio.
Obama ha pronte anche le sanzioni
successive: dopo il congelamento dei visti, può scattare il sequestro di conti bancari e altre proprietà che i capi della nomenclatura russa detengono negli Stati
Uniti. Non è una misura simbolica: se il
mercato immobiliare di Manhattan è di
nuovo una bolla speculativa, lo si deve
anche agli acquisti degli oligarchi russi,
alcuni dei quali fanno parte della cerchia
di Vladimir Putin. Al Congresso Usa
crescono consensi bipartisan verso
un’idea avanzata dal presidente della Camera John Boehner: «Obama acceleri le
autorizzazioni per esportare gas naturale
americano verso l’Europa». E già, questa
sarebbe davvero una mossa efficace. Gli
Usa traboccano di gas naturale, a costi irrisori rispetto a quello europeo, ma l’antica preoccupazione per l’autosufficienza
energetica fa sì che il gas «made in Usa»
non sia esportato. Un via libera alle vendite, ridurrebbe la capacità di ricatto che
Putin ha in virtù delle sue forniture di
energia all’Europa (Ucraina inclusa).
Liberalizzare l’export di gas americano avrebbe conseguenze enormi sui
rapporti di forze tra la Russia e i suoi
«clienti». Tuttavia bisogna sapere che
non si decidono queste cose in un istante. Il gas naturale abbonda negli Stati
Uniti, a prezzi stracciati, ma per essere
esportato in grandi quantità ha bisogno
di nuove infrastrutture: impianti di liquefazione e rigassificazioni, terminali
portuali, ecc. È possibile che tutto questo
avvenga con un’accelerazione causata
dall’aggressione russa in Crimea, ma gli
effetti si vedranno tra qualche anno.
Decisivo è il ruolo degli europei,
nella partita delle sanzioni. Le relazioni
economiche Usa-Russia sono modeste,
appena 40 miliardi di interscambio al-
l’anno contro 460 miliardi fra Ue e Russia. Gli Stati Uniti non figurano neppure
tra i primi dieci partner commerciali di
Mosca. Se Obama dovesse andare avanti
da solo con le sanzioni, rischierebbe di
«regalare» il mercato russo agli europei
danneggiando quelle multinazionali
Usa che vi hanno interessi importanti
come Exxon, Boeing, General Motors,
Procter & Gamble.
Per Obama le titubanze europee
sulle sanzioni segnano il fallimento di
un’altra strategia, quella che puntava
proprio a delegare all’Ue un dossier regionale come quello ucraino. In una fase
in cui vuole disimpegnarsi dal ruolo di
gendarme del mondo per dedicarsi alle
priorità domestiche (la scorsa settimana
ha presentato una legge di bilancio con
forti investimenti nella scuola e più tasse
sui ricchi), Obama si era deciso a delegare agli europei certe missioni locali come
l’ancoraggio dell’Ucraina all’Occidente.
Ora la Casa Bianca constata che l’Ue
procede con grande lentezza, almeno
sulla partita delle sanzioni economiche
contro la Russia. Il consiglio di Brzezinski: «Fornire armi all’esercito ucraino, e
mettere la Nato in stato di allerta, se non
vogliamo che le prossime prede di Putin
siano Romania, Polonia e Paesi baltici».
Altri ricordano però che di fronte
all’invasione della Georgia nel 2008,
perfino i falchi neoconservatori dell’Amministrazione Bush si limitarono a
mosse simboliche. La U.S. Navy mandò
una piccola flotta nell’area, solo per distribuire aiuti umanitari. Per ora il gesto
più rapido di Obama è la richiesta di aiuti economici immediati a Kiev, che il
Congresso ha approvato in tempi record: ma si tratta di un solo miliardo di
dollari, mentre all’Ucraina ne servono
venti volte tanti. Almeno su questo fronte la Ue sta facendo di più, da Bruxelles
sono in arrivo 10 miliardi di euro per
Kiev. Come gesti di forza, a Washington
qualcuno invoca rappresaglie su altri
fronti: la U.S Navy potrebbe preparare
un embargo contro le navi russe che forniscono armi alla Siria. In tal modo
Obama si prenderebbe una rivincita su
un’altra partita strategica sulla quale Putin a suo tempo lo aveva beffato.
Ma nessuno vuole davvero combattere un’altra guerra per la Crimea, in Occidente, dopo quella di 160 anni fa. Intanto Putin va avanti per la sua strada che
prevede un referendum tra la popolazione crimeana. Anzi: un plebiscito. Mandando alle urne una popolazione etnicamente russa che invocherà l’annessione
a Mosca, e le altre componenti etniche
(ucraini di Crimea, Tatari) che andranno al voto con i fucili puntati addosso.
Teatro Una lezione
spettacolo su
Occidente Estremo
alla SUPSI
Il noto giornalista e scrittore italiano,
attuale corrispondente dagli Stati Uniti, editorialista di «Repubblica» e nostro collaboratore da quando cominciò
a seguire per la testata romana l’ascesa
della Cina e il suo miracolo economico, torna a Lugano. Questa volta portando in scena il suo libro Occidente
Estremo: frutto del suo nomadismo
giornalistico che diventa spettacolo
teatrale, dove racconta il Mito americano rivisitato in chiave autobiografica, attraverso le sue esperienze in California – terra di tutte le rivoluzioni sociali e tecnologiche – e a New York –
cuore del capitalismo malato di Wall
Street nel periodo della Grande Contrazione. È una riflessione sul declino
(irreversibile?) degli Stati Uniti, risultato dell’ascesa dell’impero cinese e
delle seduzioni che essa ha esercitato
sull’Occidente. Ma è anche la riflessione su di noi, sul Continente Europa,
periferia di un Occidente in declino
che sta vivendo questo rovesciamento
di rapporti di forze e di mondi, e sul futuro che ci aspetta e che va riscoperto
con fiducia e speranza.
Ma dove nasce l’esigenza di portare in scena il giornalismo? Perché raccontare di nuovo su un palcoscenico
quanto già raccontato con la parola
scritta su libri e giornali? Raccontare la
crisi globale, spiega Rampini, è
un’operazione complessa che ha bisogno di essere spiegata anche attraverso
questa efficacissima tecnica comunicativa che è il teatro, altrimenti la sequestrano gli esperti, i tecnocrati che ci
espropriano dal nostro futuro.
Da questa idea di ridefinire i luoghi dell’apprendimento, nasce la serie
di incontri organizzati dalla Formazione Continua del Dipartimento scienze
aziendali e sociali (Palcoscienza) della
SUPSI che esplorano nuove vie di formazione e di comunicazione, fra i quali, appunto la lezione-spettacolo di
Rampini. La sua performance, che avrà
luogo alla SUPSI di Trevano venerdì
21 marzo, sarà anche un originale intreccio di parole, musica e immagini.
Le scelte musicali, da Gershwin a Ravel
fino ad autori cinesi ignoti al pubblico,
sono della direttrice d’orchestra Gianna Fratta (pianoforte) accanto alla
quale saranno in scena anche il violinista Dino De Palma e la cantante Veronica Granatiero. La regia è affidata ad
Antonio Patris e la produzione è di
Marcello Corvino.
Lo show di Federico Rampini sarà
introdotto da Wilma Minoggio, direttrice DSAS e da Donato Ruggiero.
Dove e quando
Il segretario di
Stato americano
John Kerry porta
fiori e una
candela per i
morti di Kiev.
(AFP)
Aula Magna SUPSI, Trevano, venerdì
21 marzo, ore 18.15. La partecipazione
all’evento è gratuita. Al termine verrà
offerto un aperitivo. È richiesta la
prenotazione entro il 18 marzo
all’indirizzo:
www.supsi.ch/go/palcoscienza
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
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Politica e Economia
L’ultima invasione
di Mosca
Dall’Ungheria alla Georgia La violazione russa del diritto
internazionale in Crimea è un evento molto differente per contesto
e condizioni dai passati interventi militari in Paesi satelliti
Astrit Dakli
Guidato dall’Amministrazione statunitense, a sua volta incalzata e sospinta in
questa direzione dalla destra repubblicana che vi vede l’occasione propizia
per mettere in difficoltà Barack Obama,
tutto lo schieramento governativo e
mediatico dell’Occidente sta raggiungendo in questi giorni livelli di vera e
propria isteria anti-russa, come non si
vedevano da 35 anni almeno a questa
parte – dai giorni cioè dell’invasione sovietica dell’Afghanistan. Lo schieramento in Crimea di forze armate chiaramente, anche se non esplicitamente,
facenti capo al Cremlino, in contrapposizione con i nuovi dirigenti nazionali
ucraini arrivati al potere con la «rivoluzione» di fine febbraio, ha provocato
una reazione furibonda negli Stati Uniti; molto meno accesa in Europa, dove
però la pressione di Washington si è fatta comunque sentire. E questo nonostante il fatto che, oggettivamente, la
violazione del diritto internazionale
compiuta da Mosca in Crimea sia di
gran lunga più modesta e incruenta di
quella compiuta dagli stessi Usa e dai
loro alleati nel 2003 invadendo l’Iraq.
Ma tant’è, sessant’anni di propaganda – e di crisi – alimentati dalla
Guerra fredda non sono passati invano
e tuttora quando un soldato russo si
muove fuori dai confini nazionali, le
ombre di Budapest, di Praga, di Kabul
tornano a rendere difficile mantenersi
freddi e oggettivi nel giudizio.
In realtà, le vicende del passato e
quelle odierne sono davvero assai diverse. Tanto per incominciare, è diversa la
scala con cui si presentano: bisogna ricordare che nel 1956 in Ungheria e poi
di nuovo nel 1968 in Cecoslovacchia i
sovietici intervennero con un esercito
enorme. A Budapest si presentarono in
quel 4 novembre oltre duecentomila
soldati sovietici con 4000 tank; a Praga
dodici anni dopo un’armata quasi doppia, nella quale alle forze dell’Urss si
unirono anche grossi contingenti di altri paesi comunisti europei, tedescoorientali, polacchi, magiari. Non parliamo poi dell’Afghanistan, dove le truppe
sovietiche impegnate ammontarono,
nell’arco di dieci anni (1979-1989) a oltre seicentomila uomini, dai circa 50mila che costituivano il primo contingente
spedito a Kabul.
In Crimea, almeno finora, si sono
viste all’opera poche centinaia di soldati
ed è difficile capire quanti di questi siano effettivamente parte delle forze armate russe già stanziate in Crimea nella
base navale di Sebastopoli e quanti siano invece membri delle milizie locali, in
una regione dove i sentimenti pro-moscoviti sono largamente dominanti sia
tra la popolazione sia a livello di autorità autonome territoriali.
Molto diversa anche la scala delle
conseguenze umane di quelle invasioni:
quasi tremilacinquecento morti in Ungheria, con decine di migliaia di feriti;
niente vittime ma centinaia di migliaia
di esuli in Cecoslovacchia, dove venne
annientato un coraggioso e popolarissimo progetto di rinnovamento politico e
sociale; un’ecatombe in Afghanistan,
dove si contarono (ma le stime variano
molto) oltre un milione di civili uccisi, a
fianco di 90mila mujaheddin afghani e a
forse 45mila morti tra soldati sovietici e
regolari afghani schierati al loro fianco.
In Crimea fino a questo momento e
sperabilmente anche in futuro l’intervento russo è incruento.
A parte questo, non si può non vedere un’altra fondamentale differenza:
in tutte le occasioni citate l’intervento
venne diretto contro popolazioni civili
ribelli all’autorità del Cremlino, mentre
oggi in Crimea la popolazione civile appare favorevole all’azione russa, che anzi
vi trova la sua giustificazione essenziale
– anche se ovviamente la verità storica
potrebbe in futuro raccontare cose diverse, visto che oggi tutto viene avvolto
da ondate di propaganda contrapposta
che rendono difficile capire esattamente
cosa succede. Come che sia, l’intervento
delle forze russe è esplicitamente mirato
a contrapporsi ad eventuali azioni militari ucraine, dunque si pone su un piano
diverso rispetto al passato.
Una qualche analogia si potrebbe
piuttosto trovare rispetto al più recente
intervento militare di Mosca fuori dai
propri confini, cioè la guerra con la Georgia del 2008. Anche in quel caso infatti l’azione russa fu condotta contro un
altro esercito – che tra l’altro aveva anche compiuto la stupidaggine di attaccare per primo, confidando probabilmente in un intervento americano in
proprio favore – e con la motivazione
fondamentale di difendere cittadini
russi minacciati; e anche in quel caso il
risultato immediato dell’operazione fu
di mettere le due regioni secessioniste
della Georgia, la Sud Ossezia e l’Abkhazia, in condizione di proclamare la propria indipendenza sotto la tutela delle
armi russe, diventando de facto dei protettorati di Mosca. Che è quello che ci si
aspetta succeda ora in Crimea, anche se
il presidente russo Vladimir Putin ha
esplicitamente negato che Mosca voglia
favorire la secessione, o a maggior ragione voglia annettere la penisola.
Chiaro comunque che verba volant, e
domani Putin potrebbe agevolmente
trovare pretesti per gettare alle ortiche il
suo impegno.
In effetti, quello che sembra oggi
Il presidente russo Vladimir Putin. (Keystone)
chiaro è che l’operazione Crimea per
Putin non è fine a se stessa ma mira a un
bersaglio più complesso e difficile, rappresentato dall’assetto del potere a
Kiev. La Russia non ha riconosciuto –
né poteva farlo – l’esito della rivoluzione armata che alla fine di febbraio ha
rovesciato il presidente ucraino Yanukovic: per Mosca (Putin lo ha detto a
chiare lettere) si è trattato di un golpe
inaccettabile, condotto sotto la spinta di
«gruppi neonazisti», che ha reso l’intera
situazione ucraina «illegale» togliendo
ogni valore anche ai patti e ai trattati
che legano i due Paesi e che regolano la
convivenza civile tra i diversi gruppi
nazionali all’interno dell’Ucraina. Staccare la Crimea dal resto dell’Ucraina è
per Putin un modo per far capire a Kiev
– e all’Occidente che sostiene acriticamente il nuovo regime – che un compromesso diverso può e deve essere trovato a tutti i costi: un esito in cui una
parte vince tutto non sarà accettato.
Intanto, però, una trattativa diretta
fra il nuovo potere ucraino e il governo
russo sembra estremamente ardua,
proprio per la reciproca sfiducia –
quando non aperta ostilità – fra le due
parti, convinti come sono i russi di trovarsi di fronte a una gang di fascisti xenofobi desiderosi solo di schierare truppe occidentali sui confini con la Russia,
e gli ucraini di aver a che fare con il vecchio orso russo di sempre, pronto a
schiacciarli con i carri armati per imporre il comunismo o qualcosa del genere. Toccherebbe proprio agli Stati
Uniti e all’Occidente il ruolo di pazienti
e convincenti mediatori in questo conflitto, capaci di mostrarsi al di sopra delle parti e soprattutto senza essere rozzamente protesi a conquistare posizioni.
Purtroppo non sembra che questa sia la
scelta che nelle cancellerie occidentali
va per la maggiore.
Tempo di marzo per Hollande
Francia È il primo grande appuntamento elettorale nazionale dopo le legislative del 2012 e un test importante
per verificare la perdita di consensi popolari delle forze politiche al governo
Marzio Rigonalli
Fra due settimane i francesi tornano alle
urne per scegliere le autorità comunali.
È il primo grande appuntamento elettorale con valenza nazionale, dopo quello
delle legislative del giugno 2012. Ed è
anche la prima grande prova di verità
per il presidente Hollande e la sua maggioranza.
Di solito, le elezioni locali e regionali che avvengono durante un mandato presidenziale, si concludono con un
risultato negativo per le forze politiche
che sono al governo. Sono una sorta di
sanzione nei confronti di chi è al potere,
uno sfogo che esprime delusione, o per
lo meno insoddisfazione per il modo in
cui il paese vien governato. I sondaggi
indicano che sarà così anche questa volta. Il dubbio, prevale soltanto riguardo
all’ampiezza di quella che ormai quasi
tutti gli osservatori chiamano la sconfitta socialista. Sarà contenuta entro limiti
ancora difendibili o si rivelerà una vera
batosta? È l’interrogativo intorno al
quale ruotano le riflessioni preelettorali.
La lista dei problemi irrisolti e delle
situazioni sfavorevoli per il presidente
ed il suo governo è lunga. Va dalla crisi
economica che è ancora lontana dall’essere risolta alle promesse non mantenute da Hollande; dalla scarsa fiducia che i
francesi ripongono nel loro presidente
all’assenza di obiettivi ben definiti e di
chiari percorsi necessari per raggiungerli; dalla debolezza dell’esecutivo alle
divisioni sorte all’interno della sinistra.
La crescita economica stenta ad arrivare: sarà di pochi punti decimali nel
2014 e ancora ben timida nel 2015. Il
deficit pubblico non è rientrato entro i
limiti annunciati, che prevedevano il
3% del Pil nel 2015; la Commissione europea calcola un 4% quest’anno ed un
3,9% nel 2015. La disoccupazione continua ad aumentare, nonostante la promessa di Hollande di invertire la tendenza entro la fine del 2013. Una promessa non mantenuta, che ha provocato nei francesi un’altalena di perplessità
e di commenti ironici sulle capacità del
presidente a governare. Hollande cerca
ora di porvi rimedio con il tanto declamato «patto di responsabilità». Annunciato nella conferenza stampa di metà
gennaio, il patto prevede la riduzione di
30 miliardi di euro del carico fiscale delle imprese, che come contropartita dovranno creare nuovi posti di lavoro.
Questo è il principio, che deve però
ancora essere negoziato tra le parti sociali e che, quindi, non porterà risultati
positivi in tempi brevi. Una prima riunione tra imprenditori e sindacati si è
svolta una settimana fa. Nel patto è stata
vista una svolta socialdemocratica voluta da Hollande, un passo ben accolto da
una parte della destra, ma criticato dalle
forze politiche a sinistra del partito socialista, che l’hanno giudicato un regalo
fatto agli imprenditori. Anche la pressione fiscale sulle persone rimane alta.
La maggior parte dei francesi è esasperata ed intrattiene un rapporto teso con
la politica e la pubblica amministrazione. Per di più, il governo di Jean-Marc
Ayrault non dà l’impressione di essere
all’altezza della situazione. Il primo ministro non è certo una persona energica
e decisa. La sua azione non è sempre lineare e non vien debitamente confortata dai suoi ministri.
Per esempio, vi sono stati progetti
di legge, come la legge sulla famiglia,
presentati in parlamento e poi ritirati, in
seguito ad una manifestazione pubblica.
Oppure vi sono ministri che hanno rilasciato dichiarazioni contraddittorie sullo stesso argomento ed altri che sono andati ancora più in là, come l’ecologista
Cécile Duflot, che non ha esitato a criticare pubblicamente la politica economica ed ambientale dell’esecutivo.
Al centro di questo contesto, fatto
di pochi risultati positivi e di altrettanta
poca fiducia dei cittadini nei loro governanti, si erge la figura di Hollande. Il
presidente ha raggiunto qualche successo in politica estera, in particolare in
Africa, ma sul piano interno attraversa
un momento veramente difficile. Un po’
per la sua azione politica, giudicata debole e senza progettualità, un po’ per le
storie legate alla sua vita privata, l’inquilino dell’Eliseo è diventato il presidente
meno popolare della V Repubblica. Secondo l’ultimo sondaggio di febbraio,
soltanto il 19% dei francesi gli esprime
ancora la propria fiducia e tra questi soltanto il 49% dei simpatizzanti socialisti.
Il partito socialista vanta una forte
presenza locale. Dirige più della metà
dei comuni con più di 9000 abitanti e
due terzi delle città con più di 100’000
abitanti. Una bella fetta di potere, che
subirà la prova delle urne il 23 ed il 30
marzo. In vari casi verrà premiato il lavoro svolto localmente, ma in tanti altri
prevarranno valutazioni di carattere
più generale, condizionate dalla situa-
zione economica e politica nazionale.
La destra è molto attiva. L’UMP (Union
pour un mouvement populaire), nonostante l’esistenza al suo interno di vecchi e nuovi problemi, tenta di riconquistare un po’ di potere, utile per affrontare le prossime scadenze elettorali. Il
Fronte nazionale cerca di allargare il
suo consenso a livello locale e molti lo
vedono già come il principale vincitore.
Il confronto più vivace avviene nelle
grandi città, in particolare a Parigi ed a
Marsiglia. Per la prima volta nella sua
storia, la capitale avrà una donna come
sindaco: la socialista Anne Hidalgo,
braccio destro del sindaco uscente Bertrand Delanoé, affronta Nathalie Kosciusko-Morizet, UMP, ex ministro
dell’ambiente del governo Fillon. A
Marsiglia, i socialisti cercano d’impedire a Jean-Claude Gaudin, UMP, di farsi
eleggere sindaco per la quarta volta
consecutiva.
Il verdetto che emergerà la sera del
secondo turno sarà seguito, due mesi
dopo, da un altro verdetto, quello delle
elezioni europee. Un’altra prova che
s’annuncia difficile per Hollande ed il
suo governo. Come reagirà il presidente? Con un rimpasto di governo subito
dopo le comunali? Oppure Hollande
aspetterà l’esito delle europee prima di
decidere? La sua scelta sarà probabilmente determinata dai numeri che
emergeranno alla fine marzo.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
27
Politica e Economia
Avenir Suisse
tenta la quadratura del cerchio
CH-UE Il think tank liberale propone di conciliare la limitazione dell’immigrazione con la libera circolazione
delle persone attraverso un modello che prevede un’autoregolazione dell’economia
Ignazio Bonoli
La messa in atto dell’iniziativa contro
l’immigrazione di massa – accettata di
misura dal popolo svizzero lo scorso 9
febbraio – sta suscitando animate discussioni in Europa, ma soprattutto in
Svizzera. Il 1. marzo il consigliere federale Schneider-Ammann ha incontrato
a Berna una trentina di rappresentanti
dell’economia. Della massima importanza per l’economia – è stato ribadito –
è il salvataggio degli accordi bilaterali
con l’Unione europea. Ora, di fronte alle
posizioni molto rigide dell’Europa, conciliare questo salvataggio con una corretta applicazione dell’iniziativa è praticamente impossibile.
Bisognerà quindi vedere in che misura le due parti in campo sarano disposte a compiere passi di avvicinamento
fra le opposte tesi. In sostanza – ha riassunto Schneider-Ammann – la concretizzazione dell’iniziativa dovrà essere
tanto vicina al principio della libera circolazione delle persone da riuscire a salvare il primo pacchetto di accordi bilaterali. Vi è però anche un pericolo interno,
finora solo accennato, e cioè quello di
costringere i vari settori dell’economia a
lottare l’uno contro l’altro per accaparrarsi il massimo possibile dei contingenti di mano d’opera estera che saranno
ancora a disposizione.
Lo scontro è latente non solo fra coloro che vorrebbero un massimo di personale qualificato, in provenienza tanto
dall’UE quanto da Stati terzi, e coloro che
invece vogliono personale non accademico proveniente dai Paesi dell’UE. A
tutti preoccupa molto il fatto che l’iniziativa proponga il contingentamento anche dei frontalieri: dall’industria farmaceutica di Basilea, a quella orologiera del
Giura, a intere regioni come il canton Ti-
Sono «intrecciabili» le diverse
posizioni sull’immigrazione?
Johann Schneider-Ammann ci
prova, anche figurativamente,
qui alla MUBA di
Basilea.
(Keystone)
cino o l’arco lemanico. Una soluzione di
questo problema, focalizzato in precise
zone di confine, potrebbe essere quella di
lasciare ai cantoni la competenza del
probabile contingentamento.
Su queste discussioni è venuta a innestarsi la proposta del think tank dell’economia Avenir Suisse, resa nota proprio alla vigilia dell’incontro di Berna.
Secondo questo studio, la Svizzera dovrebbe fissare un «tetto globale» decennale di immigrazione consentita e anche
di popolazione totale. Il grosso vantaggio di questa soluzione starebbe nel costringere l’economia ad adeguarsi a rigidi contingenti settoriali o regionali, ma
la indurrebbe a collaborare al contenimento della mano d’opera estera tramite l’autoregolamentazione.
A prima vista l’idea sembrerebbe
non distanziarsi da altre proposte che
sono già state definite incompatibili con
l’iniziativa. Avenir Suisse precisa però
quali devono essere gli elementi costitutivi del progetto. Sarà infatti comunque
necessario fissare limiti massimi entro i
quali ci si possa muovere e che potranno
quindi fungere da stimolo a un comportamento che si avvicini allo scopo di ridurre l’immigrazione. La stessa iniziativa dà tempo fino al 2016 per realizzare i
suoi presupposti.
A partire da questa data verrebbe
quindi fissato un tetto globale d’immigrazione (per esempio 55’000 persone)
e di popolazione (per esempio 9 milioni). La cifra sarebbe inferiore a quella
media del periodo 2007-2013 che era di
75’000 immigrati netti. Nei primi cinque anni non ci saranno contingenti e ci
sarebbe la libera circolazione delle persone. Se dopo cinque anni l’obiettivo
fosse superato, il sistema dei contingenti entrerebbe automaticamente in funzione. Questa «minaccia» dopo cinque
anni dovrebbe indurre l’economia ad
autoregolarsi. A livello di azienda si agirebbe su coloro che hanno assunto più
mano d’opera estera.
Le associazioni economiche e le autorità politiche dovrebbero agire di comune accordo, per esempio con una
tassa per ogni nuova assunzione di straniero. Il ricavato verrebbe usato per una
migliore utilizzazione della riserva di
mano d’opera indigena (per esempio
donne e anziani). Altre misure potreb-
bero essere il ricorso a mano d’opera
esterna ai Paesi UE e il non favorire (per
esempio fiscalmente) l’arrivo di nuove
aziende. Dopo dieci anni la situazione
dovrebbe essere migliorata nel senso
voluto dall’iniziativa e – si spera – accettato dall’UE.
Il tentativo di Avenir Suisse di una
«quadratura del cerchio» è senz’altro
interessante, ma presenta alcuni punti
deboli e parecchie incognite. Intanto
non rispetta, in senso stretto, il testo
dell’iniziativa, che esige l’introduzione
di contingenti. Quindi è in contraddizione con la libera circolazione delle
persone e l’UE potrebbe vedervi una discriminazione degli stranieri. Il punto
più debole è proprio nell’incompleto allontanamento dal sistema dei contingenti (solo per cinque anni). È lecito anche chiedersi se la minaccia di sanzioni
sia un incentivo sufficiente per riportare
l’immigrazione entro limiti accettabili.
Resta poi da vedere se la tassa per ogni
assunzione di uno straniero possa essere considerata compatibile con la libera
circolazione delle persone. D’altro canto però questa tassa potrebbe rispondere alla richiesta dell’iniziativa di dare la
priorità alla mano d’opera svizzera, comunque senza sciogliere il dubbio di
una discriminazione.
A coloro che hanno subito giudicato la proposta «poco compatibile con
l’iniziativa» oppure «illusoria quanto
all’autoregolazione dell’economia» si
può far notare che i due concetti a confronto (contingenti contro libera circolazione delle persone) sono così lontani
da chiedere notevoli passi di avvicinamento per evitare una completa rottura.
Ogni idea in questa direzione è benvenuta, tanto per i negoziatori svizzeri a livello diplomatico, quanto per il gruppo
di lavoro che si sta costituendo a Berna.
Meglio il 2° o il 3° pilastro?
Lo stipendio aumenta con l’età
La consulenza della Banca Migros
Stipendio lordo
in franchi
Daniel Lang
Vorrei migliorare la mia previdenza
per la vecchiaia. Che cosa mi
consiglia: devo versare il denaro
nella cassa pensioni o nel terzo
pilastro?
Responsabile
Product
Management della
Banca Migros
Qui sono in ballo grosse somme: ogni
anno i lavoratori svizzeri versano volontariamente quattro miliardi di franchi nella propria cassa pensioni. E
addirittura sei miliardi nel pilastro 3a.
La decisione di quale sia, per lei personalmente, il pilastro previdenziale più
opportuno dipende da diversi fattori.
Mi limito dunque a una regola d’oro di
carattere generale: per i più giovani il
pilastro 3a offre più vantaggi. Il riscatto
nella cassa pensioni è indicato di solito a
partire da 50-55 anni circa.
Per entrambi i pilastri vale comunque il
principio che, effettuando un versamento regolare, prima di tutto impedite
difficoltà finanziarie dopo il pensionamento. In secondo luogo beneficiate di
interessanti agevolazioni fiscali, poiché
potete dedurre il versamento dal reddito imponibile. Con un’aliquota fiscale
marginale del 20 percento un versamento di 5000 franchi riduce l’onere fiscale di 1000 franchi. Anche i proventi
degli investimenti nel secondo e terzo
pilastro sono esenti da imposte. D’altro
canto il capitale è vincolato: indipen-
dentemente da poche eccezioni, come
l’acquisto di una proprietà abitativa, è
possibile attingere ad esso solo dopo il
pensionamento.
Rimandare
il riscatto nella cassa
pensioni
Che cosa distingue i due pilastri previdenziali? Per il pilastro 3a la possibilità di versamento vale solo per l’anno
in corso e, una volta mancata, non
può più essere recuperata. I riscatti
nella cassa pensioni, invece, possono
essere distribuiti in modo flessibile.
Di conseguenza, se investe regolarmente nel terzo pilastro quando è più
giovane, a partire dai 50 anni le rimane comunque l’opzione di aumentare il suo capitale nella cassa
pensioni. Di solito lo stipendio sale
con l’età (v. grafico), quindi ottiene
un maggiore vantaggio fiscale se
aspetta un po’ ad aumentare il secondo pilastro. Il momento più favorevole è inoltre quando i figli
diventano maggiorenni e la deduzione per i figli nella dichiarazione fiscale viene meno. A seconda dei
cantoni, va dai 5000 ai 10’000 franchi
per figlio. Con l’acquisto nella cassa
0
Meno 20 - 29 30 - 39 40 - 49
di 20 anni anni
anni
anni
Stipendio medio annuo di diverse categorie di età.
50 - 65
anni
Fonte: Ufficio federale di statistica
pensioni queste penalizzazioni possono essere compensate.
In ogni caso consiglio una pianificazione accurata: invece di versare una
somma elevata un anno e niente
dopo, gli importi dovrebbero essere
distribuiti regolarmente per interrompere la progressione fiscale. Con
un po’ di abilità, quindi, non solo aumenta il cuscinetto di sicurezza per gli
anni della pensione, ma risparmia
anche migliaia di franchi di tasse.
28
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi
Un moltiplicatore regionale?
La teoria del federalismo fiscale afferma
che vi sono indubbi vantaggi economici
a decentralizzare la produzione di servizi pubblici. Quanto alla dimensione
dell’unità di produzione locale questa
potrebbe variare da servizio a servizio in
funzione delle caratteristiche della domanda. Ovviamente, poiché non è possibile costituire delle unità
amministrative di grandezza diversa
per ciascun servizio, in pratica la dimensione ideale delle unità locali sarà
un compromesso tra le esigenze che
può manifestare ciascun servizio. Ciò
nonostante non è solo auspicabile, ma
capita realmente che, anche quando i
comuni offrono i medesimi servizi, la
qualità dell’insieme di servizi offerti da
un comune sia abbastanza diversa da
quella dei servizi offerti da un altro comune. In America, in Gran Bretagna,
ma anche in alcuni cantoni svizzeri le
differenze di qualità maggiori nell’of-
ferta dei servizi comunali si ritrovano in
ambito scolastico. In Ticino non sembrerebbe che l’offerta di servizi scolastici sia molto diversa da un comune
all’altro, almeno per il momento. Forse
anche perché di fatto i comuni non offrono che l’asilo e la scuola elementare.
Inoltre, la chiusura di molte scuole elementari in località discoste ha probabilmente fatto sì che le differenze
qualitative in materia di formazione
scolastica siano diminuite. Non sembra
d’altronde che l’offerta di altri servizi
susciti in Ticino preferenze marcate per
un comune (o un tipo di comune) o l’altro. L’eccezione alla regola potrebbe essere costituita dalla disponibilità di aree
edificabili con tassi di occupazione
bassi. Ma questo è un discorso che faremo un’altra volta. È forse per questo
che da noi, piuttosto che dalla qualità
dei servizi che offre, l’attrattiva di un comune dipende dal loro costo per il con-
tribuente. Per le caratteristiche del nostro sistema di finanziamento della
spesa comunale, questo costo viene misurato, in modo sintetico, dal moltiplicatore d’imposta. Comuni con
moltiplicatori d’imposta bassi sono così
più attrattivi di comuni con moltiplicatore d’imposta elevati. A titolo di esempio possiamo comparare la situazione
di Chiasso con quella di Mendrisio. Siccome le due cittadine si trovano nella
medesima regione è pensabile che come
luoghi di residenza le stesse siano in
concorrenza. Nel 2009, ultimo anno per
il quale disponiamo di dati, Chiasso
aveva un moltiplicatore dell’85 e Mendrisio uno del 70%. Mendrisio dovrebbe quindi essere, come luogo di
residenza, più attrattivo di Chiasso. Se
un comune è attrattivo è probabile che
la sua popolazione sia stabile, ossia che
la quota di abitanti che risiedono nel comune da molti anni sia elevata. La quota
di popolazione stabile dovrebbe essere a
Mendrisio più elevata che a Chiasso. Di
fatto a Chiasso la popolazione che risiede da più di 5 anni era, nel 2010, pari
al 44,9%; a Mendrisio, invece, era vicina
al 60%. Penso che siano costatazioni di
questo tipo che motivano coloro che, da
qualche tempo, argomentano in favore
di un moltiplicatore d’imposta regionale. Se, infatti, le differenze nel moltiplicatore giocano un ruolo
determinante nella scelta del comune di
residenza e, di fatto, creano differenze
significative nel grado di stabilità della
popolazione, eliminando le stesse si dovrebbe conseguire un rallentamento, se
non addirittura un annullamento della
propensione ad emigrare da un comune
all’altro, all’interno di una data regione.
Una possibile alternativa al moltiplicatore regionale è naturalmente l’aggregazione. Infatti, se i comuni di una data
regione, attraverso l’aggregazione, fos-
sero ridotti da 10 a 1, invece di 10 moltiplicatori d’imposta ce ne sarebbe solo
uno. Personalmente reputo che la proposta del moltiplicatore regionale sia da
respingere soprattutto perché annienterebbe l’autonomia comunale. Indipendentemente dall’ente al quale
spetterebbe di fissare il moltiplicatore
(Cantone o consorzio dei comuni della
regione) è evidente che questa decisione
sarebbe presa fuori dai consessi che oggi
sono delegati a gestire il comune, con
poche possibilità per gli elettori dei singoli comuni di potersi pronunciare sul
peso fiscale che sarebbero chiamati a
sopportare. La competizione per il moltiplicatore più basso non cesserebbe. Si
sposterebbe solo dal livello comunale al
livello regionale. Con il grosso pericolo
che, alla fine, regioni finanziariamente
deboli trovino la strada per addossare al
Cantone ancora maggiori oneri di
quanto non debba già sopportare.
era l’emblema dell’interventismo liberal, quello degli anni Novanta, regime
change in nome dei diritti dei popoli,
nonché l’autrice di uno dei più documentati libri sui genocidi e sulla tendenza dell’Occidente a ignorarli (si
intitola A Problem from Hell, è bellissimo). Sembrava che quell’idealismo,
depurato dalla tossicità del bushismo,
fosse tornato alla Casa Bianca.
Sappiamo che non è andata così, ma
quel che non si sa è che l’ambizione
idealista è stata abbassata anche in
contesti che parevano, per i democratici tornati al potere dopo le guerre dei
repubblicani e il loro unilateralismo,
decisivi. Prendiamo la Corte internazionale all’Aia, per la cui creazione la
stessa Power fece grandi pressioni:
quando nel 2002 l’Amministrazione
Bush decise di tirarsi fuori da quel circuito di giustizia internazionale ci fu
una rivolta capitanata dai democratici
contro quell’atto di unilateralismo
controproducente. Durante la crisi libica la dedizione alla giustizia internazionale ha iniziato a traballare (ora è
quasi scomparsa). David Bosco ha ricostruito, su «Foreign Policy», quelle
settimane del marzo del 2011 quando
si stava mettendo a punto l’intervento
militare contro Gheddafi ma si valutava anche la possibilità di garantire
l’esilio al rais di Tripoli. Si mise in
mezzo la Corte internazionale, che invece voleva spiccare un mandato di
cattura per Gheddafi, finché un
giorno, il capo dei procuratori della
Corte, l’argentino Luis MorenoOcampo, ricevette una telefonata proprio dalla Power. Power e
Moreno-Ocampo si conoscevano
bene, avevano lavorato assieme su
molti dossier, lui era persino andato al
matrimonio di lei in Irlanda. Ma in
quella telefonata la Power voleva dirgli
di andare piano con le accuse a Gheddafi, che avrebbero potuto inficiare
tutto il costrutto militare che stava
predisponendo a Washington. Ovviamente non ci sono dettagli di quella
telefonata, e lo stesso MorenoOcampo non ha voluto commentare
l’incidente, ma molti dei suoi hanno
detto che aveva subito pressioni e che
ne era uscito frustrato. E a oggi nessuna delle persone ricercate dalla
Corte è stata consegnata e gli Stati
Uniti hanno smesso di far pressioni
sul governo libico perché ci sia il passaggio alla Corte (i libici vogliono gestire da sé il processo, e soprattutto
l’esecuzione).
La stessa freddezza si è riproposta nel
caso della Siria: molti Stati, compresi
nove membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, hanno chiesto alla
Corte internazionale di aprire un’inchiesta (la Siria non fa parte della
Corte). Ma l’Amministrazione
Obama non si è mai eccitata all’idea.
In un discorso intenso del 2013, in cui
la Power spiegava e giustificava la decisione di Obama di intervenire contro il regime di Assad, l’ambasciatrice
precisò l’inefficacia della giustizia internazionale: «Che cosa può fare la
Corte internazionale, anche se Russia
e Cina fossero d’accordo? Può un processo legale influenzare i calcoli di
Assad e di chi ha ordinato gli attacchi
chimici?». La risposta era no, ed era il
motivo per cui Bush si ritirò dalla
Corte. E poi, come si sa, nemmeno
l’America di Obama e della Power è
riuscita a influenzare i calcoli chimici
di Assad.
sarebbe probabilmente scaduto a sagra
nazional-popolare, a manifestazione
priva di guizzi originali. La ricorrenza,
come si ricorderà, non aveva ottenuto
l’appoggio dei cantoni della Svizzera
centrale; inoltre tanti intellettuali influenti avevano negato la loro collaborazione, scossi dallo scandalo delle
schedature («Kulturboykott»). Solo il
contributo fattivo della minoranza ticinese riuscì a salvare l’anniversario dal
naufragio.
Altro esempio: la nomina di Giuseppe
Motta a Consigliere federale sullo scorcio del 1911. Allora nelle vene del Ticino e dei ticinesi scorreva sangue
amaro. Il cantone languiva, fra promesse non mantenute e atteggiamenti
di sufficienza da parte degli «orsi bernesi». Dopo la partenza, nel 1864, di
Giovan Battista Pioda, divenuto ministro plenipotenziario a Torino, nessun
italofono a Berna aveva preso il suo
posto. Fino, appunto, al dicembre del
1911: una vacanza durata quasi mezzo
secolo. Alcuni, come il radicale Emilio
Bossi, detto Milesbo, giunse a chiedersi
«se valesse la pena ancora rimanere
svizzeri», talmente diffuso era lo sconforto. L’elezione di Motta spense le intemperanze e i propositi di secessione.
Defunto l’airolese, nel 1940, l’assemblea federale provvide a sostituirlo subito con un altro ticinese, Enrico Celio,
nativo di Ambrì. Oltre i confini nazionali la guerra imperversava, la Confederazione doveva rimanere coesa, non
mostrare né crepe né segni di cedimento.
Oggi, per fortuna, l’atmosfera è diversa,
non siamo più sotto una spada di Damocle. Eppure c’è scollamento, incomprensione tra i poteri, e un regionalismo
che assomiglia ad un conglomerato di
compartimenti stagni. Una riforma del
Consiglio federale nella direzione indicata da Kessler potrebbe contribuire a
raddrizzare la barca.
Affari Esteri di Paola Peduzzi
Dov’è finito l’idealismo?
L’idealismo in politica estera ha abbandonato la Casa Bianca, e questo è
evidente, ma quel che è più grave è che
ha abbandonato anche gli idealisti. C’è
una figura, nell’Amministrazione
americana, che incarna questo passaggio: Samantha Power. È una figura riconoscibile, ha i capelli lunghi e rossi,
gli occhi chiari, le lentiggini, sembra
non invecchiare mai, mantiene quell’espressione da ragazzina competente
che aveva quando faceva la giornalista,
nella Jugoslavia in guerra, negli anni
Novanta. Ora la Power è l’ambasciatrice degli Stati Uniti all’Onu, in questi
giorni ha persino alzato la voce con i
russi, in una sessione del Consiglio di
sicurezza, in maniera tanto sorprendente quanto inefficace. Prima di arrivare all’Onu, la Power è stata
consigliera di Obama, ha lavorato al
Consiglio per la sicurezza della Casa
Bianca ed è diventata famosa come
una delle tre «valchirie» che hanno
convinto il presidente ad andare a cacciare Gheddafi dalla Libia.
Le altre due erano Susan Rice, amica
della Power e idealista non di nascita
(dice di essere stata segnata dalla non
comprensione del genocidio ruandese), e Hillary Clinton, allora al dipartimento di Stato, interventista
cauta. La Power spiccava nel gruppo
non soltanto perché la sua presenza
dimostrava la riappacificazione con la
Clinton, che aveva gentilmente definito «un mostro», ma anche perché lei
Samantha Power, ambasciatrice Onu.
Cantoni e Spigoli di Orazio Martinetti
È tempo di allargare il governo
Ritroviamo, nel supplemento illustrato
del «Tages-Anzeiger» («Das Magazin n.
8»), una vecchia, anzi ormai antica proposta: quella di portare i consiglieri federali da sette a nove. Firma l’articolo
Thomas Kessler, responsabile della sezione urbanistica di Basilea-città. Argomenta l’autore che per «meglio tener
conto del paesaggio partitico e della
Svizzera latina occorre aumentare il numero dei ministri e dei Dipartimenti da
sette a nove, affinché la Romandia abbia
sempre tre esponenti e la Svizzera italiana almeno uno. Un nuovo, importante Dipartimento sarà quello dedicato
alla formazione, alla ricerca e all’innovazione, le basi del nostro benessere».
Finora l’idea, come i lettori ricorderanno, è sempre stata bocciata, l’ultima
volta non molto tempo fa. L’edificio del
governo centrale – eretto nel 1848 –
sembra davvero intangibile. Anche la
contro-proposta di integrare la compagine con funzionari d’alto rango, in so-
stanza con dei sottosegretari, non ha
avuto fortuna. Ma ora, dopo il voto del
9 febbraio e il riemergere di inquietanti
faglie sulla superficie elvetica, forse la riforma può ottenere le gambe che le
sono necessarie per camminare.
La Svizzera italiana, il Ticino in particolare, non ha più rappresentanti nell’esecutivo federale dal 1999, anno della
partenza di Flavio Cotti. L’assenza, agli
inizi non reputata grave o preoccupante, si è col tempo trasformata in
scarsa conoscenza reciproca, in indifferenza e in estraneità. Difficile dire dove
stiano torti e ragioni, se più a Berna o
più a Bellinzona. Fatto sta che le due
culture politiche si sono allontanate
l’una dall’altra come due blocchi di
ghiaccio staccatisi dalla banchisa.
Quella ticinese è addirittura caduta nel
vortice del rivendicazionismo petulante
e scarsamente documentato. Risultato:
una perdita di credibilità che non ha
certamente giovato alla causa.
Spesso si sostiene che la presenza di un
«Bundesrat» italofono non generi quegli effetti benefici che generalmente
tutti si attendono nel cantone d’origine. Vero, perché il suo compito non
sta nel farsi portavoce di una parte (un
cantone, una regione linguistica, una
determinata corporazione), ma nel difendere gli interessi dell’intero Paese.
Con il linguaggio di Rousseau, si potrebbe dire che il «saggio» che siede
nell’esecutivo federale si pone come interprete supremo della «volontà generale», ne è filtro e mediatore. Tuttavia
la storia ci dice anche che una fiammella «regionalistica», diciamo così, rimane sempre accesa. Sapere che nella
capitale c’è qualcuno che ti ascolta è
confortante.
Facciamo un esempio: i festeggiamenti
per i settecento anni della Confederazione, 1991. Senza l’apporto della
«troika» ticinese (Flavio Cotti, Marco
Solari, Mario Botta), l’anno giubilare
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
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Cultura e Spettacoli
Addio «Affari di famiglia»
A colloquio con Erica Bottega,
storica produttrice della sitcom
di grande successo
Yes, I’m also Swiss
Il britannico di nascita e svizzero d’adozione
Diccon Bewes il 28 marzo presenterà il suo nuovo
libro (un Grand Tour del XXI secolo) alla Scuola
Club Migros di Lugano
Il Ticino e Berlino
La flautista ticinese Linda
Jozefowksi sarà ospite della
rassegna Jazz a Primavera
Una nuova TV a Massagno
Molto spazio (creativo) per
la musica e idee interessanti:
il Ticino ha un nuovo canale TV
pagina 43
pagina 37
pagina 39
pagina 36
Luigi Rossini,
Parte del Foro
Romano e
Monte
Capitolino col
Tempio di Giove,
1827-1829,
acquaforte,
56 x 81 cm,
tavola XI della
raccolta «I sette
colli di Roma
antica e
moderna»,
Biblioteca di
Archeologia e
Storia dell’Arte,
Fondo Lanciani,
Roma.
L’illustratore delle meraviglie di Roma
Mostre A Chiasso le suggestive incisioni di Luigi Rossini
Alessia Brughera
Roma, prima metà dell’Ottocento. Sono gli anni degli scavi, dell’indagine archeologica, dell’esplorazione delle vestigia del passato. Lo spirito che anima
il desiderio di scoperta è però cambiato
rispetto all’epoca tardo settecentesca: il
nuovo secolo porta infatti con sé un
modo diverso di rapportarsi all’antichità, ora non più vista come una sorta
di Eden perduto a cui aspirare, ma come materia di studio da esaminare con
piglio analitico. Si intensificano le ricerche, si affinano le tecniche e, soprattutto, si considera ogni testimonianza
come un documento estetico attraverso cui la gloriosa storia della «città
eterna» viene compresa e non più soltanto contemplata.
A quel tempo Roma era un grande
museo a cielo aperto continuamente
arricchito da nuovi e importanti ritrovamenti. L’andirivieni incessante di
viaggiatori stranieri, poi, tutti smaniosi di acquistare illustrazioni che rappresentassero gli scorci più suggestivi
della città, ne faceva il luogo prediletto
da molti artisti, che qui trovavano un
buon mercato per le loro opere.
Poco più che ventenne e dopo aver
frequentato l’Accademia di Bologna,
nel 1813 arriva a Roma anche Luigi
Rossini, ben consapevole di quanto lo
studio dell’antico fosse importante per
la sua carriera di architetto. Dopo il
quadriennio di formazione romana si
rende però ben presto conto della difficoltà di trovare un impiego in questo
ambito e decide così di dedicarsi all’incisione, battendo «la strada segnata
dall’immortale Piranesi».
Lo scenario dell’arte incisoria è
molto variegato in quel momento. Le
correnti del gusto neoclassico si consolidano sempre più, di pari passo con
l’interesse per il paesaggio e per la veduta pittoresca, quest’ultima capace di
mettere in risalto i costumi delle varie
realtà locali. E poi c’è la nascente disciplina archeologica che rivendica rigore, precisione e imparzialità: diventa
quindi fondamentale attestare la conoscenza dei reperti del passato tramite
una rappresentazione che sia il più oggettiva e fedele possibile.
Acuto interprete di tutte queste
molteplici tendenze, Rossini diventa
uno degli incisori più richiesti. Le sue
stampe, molto ricercate soprattutto
dalla nutrita colonia di inglesi a Roma,
vengono apprezzate non solo per la loro valenza documentaria e per l’accurata resa dei particolari, ma anche perché descrittive delle bellezze paesaggistiche e monumentali di Roma e dintorni, ammiccando alla vita popolare
nei suoi aspetti più caratteristici.
Nella mostra che il m.a.x. museo
di Chiasso dedica a Rossini, la prolifica
attività dell’artista ravennate viene ripercorsa attraverso una ricca selezione
delle opere più significative. Vera chicca dell’esposizione sono gli inediti acquerelli preparatori alle incisioni, alcuni dei quali conservati in Canton Ticino perché di proprietà di un ramo della famiglia che qui si trasferì anni or sono. A questi disegni acquarellati, realizzati con fluide pennellate di inchiostro bruno, sono accostate le relative
matrici in rame, provenienti dall’Istituto Nazionale per la Grafica di Roma,
e le stampe, che arrivano dalla Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte di
Roma e dalla Civica Raccolta di Stampe «Achille Bertarelli» di Milano. Ed è
interessante osservare come dal confronto tra questi materiali, che rappresentano le tre diverse tappe di un unico
processo creativo, si possano cogliere i
ripensamenti e le modifiche effettuate
durante l’esecuzione dell’incisione. Ci
si accorge, per esempio, che Rossini si
prende una certa libertà nella variazione degli elementi naturalistici o nella
realizzazione dei particolari dei personaggi che animano i suoi scenari, gli
unici ambiti, questi, in cui estro e inventiva potevano impreziosire l’opera
senza compromettere la precisione
della veduta.
Nella mostra viene anche documentata la figura di Rossini quale uomo colto e ben introdotto negli ambienti intellettuali, attraverso libri, appunti e i preziosi carteggi con il famoso
cugino compositore Gioachino e con
lo scultore Antonio Canova.
Quanto le prime opere di Rossini
risentano ancora dell’influenza di Piranesi ce lo dimostra la raccolta delle
Antichità Romane, del 1823, di cui
l’esposizione propone alcune delle
stampe più notevoli: il grande artista
veneto viene qui emulato nelle inconsuete inquadrature prospettiche e nel
marcato contrasto chiaroscurale. Eppure anche in queste incisioni iniziali
si respira già un’aria nuova, conforme
al momento storico. Non ci sono più
la potenza immaginifica, la visionarietà e l’inquietudine piranesiane.
Rossini interpreta in modo oggettivo
la realtà dell’antica rovina e ne restituisce una rappresentazione coerente
e riconoscibile attraverso una puntuale descrizione dei dettagli costruttivi. Le sue vedute si basano su un approccio scientifico, sostenuto da una
documentazione scrupolosa, dal raffronto diretto con le scoperte e dalla
riproduzione meticolosa delle piante
di monumenti e siti. Accade così anche nelle tavole de I sette colli di Roma
antica e moderna, riguardo alle quali è
lo stesso Rossini a sottolineare la propria estrema attenzione al dato reale
per ritrarre al meglio «le sembianze di
Roma», o ne Le antichità di Pompei,
altro grande paesaggio archeologico
che l’artista racconta con estrema diligenza.
Ma le vedute di Rossini non sono
solo rigore e accuratezza. L’originalità
di questo abile incisore sta nel creare
composizioni innovative per la scelta
della luce e per il punto di ripresa, e nel
saperle vivacizzare con l’inserimento
di brani di vita popolare che dialogano
con disinvoltura con il resto della rappresentazione.
Dei grandi illustratori delle meraviglie di Roma, Rossini sarà l’ultimo: la
fotografia, con il suo avvento, incomincerà infatti di lì a poco a sostituire
l’arte incisoria nell’affascinante compito di immortalare la città.
Dove e quando
Luigi Rossini (1790-1857) incisore. Il
viaggio segreto, m.a.x. museo, Chiasso.
Fino al 4 maggio 2014. A cura di Maria
Antonella Fusco e Nicoletta Ossanna
Cavadini. Orari e giorni di apertura:
martedì-domenica 10.00-12.00 /
15.00-18.00. Chiuso il lunedì. Catalogo
pubblicato da Silvana Editoriale,
Fr. 38.–. www.maxmuseo.ch
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
Cultura e Spettacoli
Un mondo all’asta
Televisione Erica Bottega, storica produttrice di Affari di famiglia, ci racconta la fortunata
esperienza vissuta con una delle più seguite soap opera della storia della RSI
Marisa Marzelli
In Ticino si è trattato di una prima assoluta. Conclusa l’ultima stagione della
fiction RSI Affari di famiglia, gli oggetti
di scena sono andati all’asta. Abiti da
boutique, mobili, soprammobili d’artigianato, lampade, quadri… In un sabato di febbraio, alla Polivideo di
Riazzino il pubblico ha potuto portarsi
a casa «pezzi» di Affari di famiglia. Accanto a un mercatino con circa 2000 oggetti disparati, a prezzi bassi, l’asta
riguardava i lotti più pregiati. Banditore
Eugenio Jelmini, neo-delegato per la
Svizzera italiana della Catena della Solidarietà (alla quale è andato l’incasso di
quasi 5’000 franchi), coadiuvato da tre
attori della fiction: Diego Gaffuri
(nonno Mario), Caterina Righenzi (la
nipote Sara) e Aglaia Amadò (l’amica
Stefy). Il pubblico ha fatto shopping al
mercatino e ha potuto acquistare in anteprima il cofanetto dvd con la raccolta
delle sei stagioni. Quanto all’asta, alcuni
oggetti sono andati a ruba, soprattutto
quelli di piccole dimensioni (l’inquietante maschera del clown, ad esempio,
partita da una base di 20 franchi è stata
aggiudicata a 70). Hanno invece stentato i più voluminosi.
Mercatino ed asta hanno chiuso in
un’atmosfera di festa l’iter della fiction
tv da record, d’intera produzione nella
Svizzera italiana: sei stagioni in dieci
anni, 105 puntate complessive e la notevolissima media d’ascolti – nell’ultima
stagione trasmessa a dicembre – del
44,1% di quota di mercato, con punte
sopra il 50%. Affari di famiglia è diventato un fenomeno locale, stabilendo
grande feeling con il pubblico di riferimento. Il successo sta in un mix tra il legame della vicenda al territorio ticinese,
una storia popolare e verosimile, l’identificazione dei telespettatori. Affari di
famiglia è diventata una vera saga, non
letteraria ma televisiva. Con il valore aggiunto di una sicura professionalità. La
varietà degli oggetti testimonia l’impegno con cui era stato creato l’arredo scenografico della serie, con ricerche anche
tra rigattieri e antiquari.
La preparazione di mercatino e asta
hanno impegnato negli ultimi due
mesi Erica Bottega, «inventrice», autrice e storica produttrice della fiction,
che proprio dopo il boom di ascolti
della sua «creatura», dopo 32 anni di
lavoro lascia la RSI. Bottega è la classica personalità che sta dietro le quinte
di un lavoro creativo, costruendolo
con entusiasmo, tenacia e competenza.
Di origine confederata – nata a Zugo,
vissuta fino a sei anni a Zurigo prima
di trasferirsi in Ticino –, ha studiato in
Germania ed è bilingue; l’abbiamo intervistata.
Esordisce così: «Alla RSI ho avuto la
fortuna di collaborare subito con il regista Vittorio Barino, che mi ha introdotto ai segreti della fiction di
coproduzione internazionale. Come
Arsenio Lupin, che coinvolse otto Paesi
per la produzione di due stagioni, per
un totale di 26 episodi. Ogni ente televi-
facevano analisi del racconto, ricordavano tutti i dettagli.
È sua l’idea dell’asta di oggetti della
fiction?
L’idea è mia e ne ho seguito tutto lo sviluppo. Avevo fatto degli stage e seguito
corsi a New York e Los Angeles, con l’opportunità di frequentare certi set – in
particolare Sex and the City – e di partecipare a un’asta dove al termine di una
serie tutto il materiale era stato messo in
vendita. Ho visto come funziona e ho
provato a farlo anche da noi. Non ho inventato niente, ho applicato. Mi sembrava bello.
Tante soddisfazioni, però se ne va
dalla RSI…
Diego Gaffuri,
uno dei
protagonisti
della serie tv.
sivo realizzava una puntata e trasmetteva tutta la serie. È stata una grande
esperienza e un arricchimento».
Come ha cominciato a occuparsi di
fiction tv?
Ho iniziato come organizzatrice, quello
che oggi viene chiamato direttore di produzione. Barino, allora anche capo-dipartimento, alternava produzioni
teatrali, fiction seriali, commedie dialettali. Dal ’99 ho cominciato come produttrice e autrice. Affari di famiglia l’ho
inventato e prodotto io. Avevo un’idea
che mi girava per la testa e cominciavo a
capire che la prossimità ha un valore. Ero
alla ricerca di uno spunto forte e penso di
averlo trovato con l’ambientazione nella
vigna. Così «la Ginestra» è diventata il
personaggio silenzioso. La vite affonda le
radici nel territorio; c’è un passato, un
presente e anche un futuro. C’era un potenziale narrativo molto ampio e la possibilità di sfruttarlo per più stagioni.
Qual è la soddisfazione più grande
che le ha dato Affari di famiglia?
Gli ascolti sono stati una bella soddisfazione, d’accordo. Però la gratificazione è
venuta dal pubblico. Ho potuto sentirne
l’affetto attraverso i social. Mi ha quasi
commosso. Leggendo ciò che scrivevano
i fan li sentivo davvero dentro la storia,
Non potevo lasciare in un momento migliore, al top. Compresa la partecipazione alla produzione nazionale Gli
Svizzeri, dove sono subentrata a Giulia
Fretta. Negli ultimi due anni ho collaborato a questa produzione che ho amato
subito. Anche lì abbiamo fatto indici insperati: 32% di media d’ascolto. Era davvero un buon prodotto.
Allora, perché parte?
Si dice sempre «per affrontare nuove
sfide». In concreto si tratta di mie sfide
personali: voglio mettermi in gioco con
altri progetti e riappropriarmi della libertà. Ne ho sempre avuta in RSI, ma ora
voglio essere io a decidere se fare o non
fare. Ho anche progetti di vita personale.
Ma sono grata alla RSI che mi ha dato le
opportunità e la fiducia per esprimere la
mia creatività. Fiducia che spero di avere
ricambiato.
Una promessa è una promessa!
Ritiriamo da subito tutte le bottiglie
di plastica vuote e le ricicliamo.
La piccola Solei ha un buon motivo per essere contenta:
come abbiamo promesso, ora in ogni filiale Migros insieme
alle bottiglie del latte si possono restituire anche i flaconi
vuoti di shampoo, docciaschiuma, detersivi e prodotti per
la pulizia. Con questa misura e altre numerose promesse
concrete ci impegniamo per la generazione di domani.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
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Cultura e Spettacoli
La Svizzera secondo un inglese
Personaggi Il britannico (e svizzero di adozione) Diccon Bewes sarà a Lugano a fine marzo per un incontro
pubblico, in cui presenterà il nuovo libro Slow Train to Switzerland
è diverso qui è il sistema della democrazia diretta. Un sistema grandioso, di cui
anche gli altri Paesi potrebbero approfittare, nonostante vi sia il pericolo di
scegliere per i motivi sbagliati o decontestualizzando gli argomenti. Comunque non credo che per il 9 febbraio si
possa parlare di razzismo o di xenofobia, è stata molto più una questione di
città e strade sovraffollate, di affitti alti e
di stipendi bassi, e di sfiducia nei confronti di Bruxelles. Se si fosse votato in
GB probabilmente il risultato sarebbe
stato lo stesso. Gli Svizzeri hanno il diritto di riappropriarsi della propria politica di immigrazione, ma devono
essere pronti ad accettare le conseguenze. Perdere la possibilità di accedere al programma Erasmus potrebbe
costituire la prima tappa di una spirale
negativa, a meno che Svizzera e UE non
si affrontino da adulti. Il primo ostacolo
psicologico e politico è rappresentato
dal fatto che gli Svizzeri si sono creati
questo problema da soli: hanno deciso
di cambiare le regole del gioco. Qualunque cosa succeda, per uno straniero è sicuramente un momento interessante,
in cui trovarsi in Svizzera!
Simona Sala
I due terzi del mese di febbraio sono stati
caratterizzati da fiumi di parole, da congetture e proiezioni su quello che sarà il
futuro della nostra nazione dopo il voto
del 9 febbraio. In mezzo a tanta politica
farcita di economia, cultura e perfino
morale, mancava forse un elemento
fondamentale: il sense of humour. Visto
che proverbialmente il popolo britannico è forse il massimo detentore europeo di questa meravigliosa qualità,
abbiamo incontrato Diccon Bewes, brillante scrittore inglese residente nel nostro Paese ormai da nove anni, autore di
numerosi libri che ci vedono protagonisti, nonché presto ospite della Scuola
Club Migros di Lugano.
Diccon Bewes, cosa l’ha affascinata
al punto da spingerla a vivere qui?
La ragione principale è da ricercare nel
mio grande amore per il cioccolato. Al
secondo posto c’era il mio compagno:
dopo nove anni trascorsi lontani l’uno
dall’altro abbiamo deciso di ridurre la
distanza da 900km a pochi centimetri.
18 mesi dopo il mio arrivo (durante i
quali ho studiato il tedesco) ho trovato
lavoro in una libreria a Berna. Sono qui
da nove anni, e mi sento a casa, specie
ora che mi sono abituato alle buffe abitudini degli svizzeri.
Ci indichi le 10 maggiori differenze
fra il Regno Unito e la Svizzera.
In certi aspetti le due nazioni sono simili, specie per quel che riguarda l’atteggiamento verso l’UE, ma ecco le
differenze:
1. I Britannici amano parlare del tempo.
È un buon modo per iniziare una conversazione. Gli Svizzeri non amano lo
small talk, dunque questo non è un argomento che dura a lungo. Ecco un
esempio di conversazione tra un Britannico e uno Svizzero: Britannico, appena entrato in un locale «Brrr, che
freddo oggi». Svizzero: «È inverno».
Fine della conversazione.
2. La GB ha delle colline che considera
montagne, la Svizzera ha delle vere
montagne.
3. La Svizzera ha quattro lingue nazionali, e in molti parlano un buon inglese.
I britannici parlano inglese anche all’estero.
Bewes racconta ai sudditi di Elisabetta la più antica democrazia d’Europa.
4. Noi abbiamo la Regina da 62 anni, voi
cambiate Presidente ogni anno, quindi
non si sa mai il suo nome.
5. Il treno è un’invenzione britannica
ma è diventata una perfezione svizzera.
6. La Gran Bretagna è un’isola circoscritta dal mare mentre la Svizzera è un
Paese isolato (in realtà è un’isola emotiva che ama isolarsi dai vicini).
7. Le marche di cioccolato svizzere sono
le migliori del mondo, mentre quelle inglesi sono le migliori solo in GB.
8. Noi abbiamo fish and chips, voi avete
la fondue. Sono entrambi deliziosi in
patria, ma non all’estero.
9. I Britannici guidano dalla parte corretta (la sinistra), gli svizzeri dalla parte
sbagliata (la destra).
10. In GB ci scusiamo molto, anche
quando non è colpa nostra; in Svizzera
la gente non si scusa neanche quando è
in torto, ma quando lo fa, è sincera.
Il suo approccio è basato solo sull’osservazione o anche su testi
scientifici?
Il primo libro, Swiss Watching, era un
miscuglio di osservazione e ricerca, rea-
lizzato sia in casa a Berna sia viaggiando
per la Svizzera. Il mio libro più recente,
Slow Train to Switzerland, ha un approccio più storico. Segue il percorso
del primo tour della Svizzera di Thomas
Cook del 1863, che ha segnato l’inizio
dell’industria del turismo così come la
conosciamo, e rappresenta un momento di svolta per lo sviluppo della
Svizzera. Ripercorrendo il tour con
l’ausilio di un diario scritto da una
donna di quel tempo, ho cominciato a
vedere la Svizzera con lo sguardo di 150
anni or sono; ho scoperto ciò che era
cambiato e ciò che invece era rimasto
uguale. Questo libro si è rivelato affascinante per due motivi: anzitutto ho realizzato quanto sia diventato facile
viaggiare. Nel 1800 si iniziava a viaggiare alle 4 di mattina, la giornata durava 18 ore, non c’erano bagni negli
hotel né WC sui treni, inoltre si attraversavano le Alpi in abiti vittoriani. In
secondo luogo il libro mi ha mostrato
quanto sia cambiata la Svizzera. Nel
1863 era un Paese povero con infrastrutture limitate e un’aspettativa di vita
di 40 anni. Il turismo ha dato il via all’economia.
C’è qualcosa che rende questo
Paese completamente diverso da
quelli da lei visitati finora?
Credo sia il fatto che questo Paese esista
unicamente perché lo vogliono i suoi
cittadini. La Svizzera è sopravvissuta
per 700 anni nonostante le differenze
politiche, linguistiche, geografiche e religiose. E sono proprio queste differenze a renderla unica. Senza il Ticino e
la Romandia, la Svizzera sarebbe semplicemente un’altra Austria. Va anche
detto che sebbene i ticinesi non abbiano
un consigliere federale dal 1999, preferiscono essere ignorati da Berna che governati da Roma.
Passiamo a un tema caldo: come si è
sentito il 10 febbraio scorso?
Il 10 febbraio mi sono sentito come il 9
febbraio. Le cose non erano cambiate
molto, ma potrebbero cambiare nei
prossimi 3 anni. Purtroppo i razzisti ci
sono dappertutto e la Svizzera non fa
eccezione, anche se fortunatamente
rappresentano una minoranza. Ciò che
Cosa prova pensando alla GB dopo
tutti questi anni all’estero?
Molti espatriati dicono di avere due
case: quella che hanno lasciato e quella
che hanno scelto, ciò vale anche per me.
Sono molte le cose che mi mancano, più
di tutte il mare. Alcune parti di me resteranno britanniche: devo ad esempio
controllare il mio desiderio di mettermi
in fila in modo ordinato, una tendenza
che mi porto nel DNA, come tutti i britannici. Quando vado in GB mi arrabbio per i treni in ritardo e i vicini che
ascoltano la musica a mezzanotte, e
passo i primi giorni a stupirmi per il
fatto che tutti parlino la mia lingua! Mi
reputo fortunato perché ho due patrie, e
le amo entrambe.
Dove e quando
Diccon Bewes incontrerà i suoi lettori
alla Scuola Club Migros di Lugano
(Via Pretorio, 4. piano) il 28 marzo
2014. Per maggiori informazioni
telefonare al no. 091 821 71 50
Per informazioni sull’autore:
www.dicconbewes.com
Le nostre cose
Pubblicazioni Profili antropologici costruiti sull’analisi degli oggetti che ci circondano
e che parlano di noi in un libro di Daniel Miller
Stefano Vassere
«Leggendo questo libro scoprirete
che, in molti casi, le relazioni con gli
oggetti che possediamo sono spesso
molto profonde e, di norma, più vicini
siamo alle cose, più vicini siamo alle
persone».
Daniel Miller, ci dice il risvolto di
copertina (ma è la copertina stessa che
è molto bella, di questo libro), è docente allo University College di Londra e, soprattutto fiero «fondatore dell’antropologia del consumo». Ha pubblicato in traduzione italiana cose decisamente curiose: una Teoria dello
shopping nel 1998 e Per un’antropologia delle cose l’anno scorso. A comperare e leggere un libro come questo
Cose che parlano di noi. Un antropologo a casa nostra, viene per qualche ora
(ma per qualche ora solamente, per
carità!) il sospetto di avere sbagliato
mestiere, e che in cuor nostro avremmo dovuto dedicarci al sognante e immaginifico mondo dell’antropologia
culturale, dell’etnografia urbana in
modo particolare: studi su quartieri
delle città, abitudini alimentari delle
società, che ci dicono tutto sulle loro
componenti etniche e sociali, l’osservazione sulla metropolitana, la scuola
di Chicago, quella di Palo Alto.
Questo libro parte da un’asserzione molto «antropologica»: accompagnarsi a oggetti è pratica comune ed è
pure piuttosto diffusa l’idea che circondarsi di beni di consumo renda
tutti più superficiali e meno attenti; di
fatto però, detto appunto molto antropologicamente, gli oggetti comunicano al di là della loro essenza e non è vero per esempio che vestire la propria
casa ci isoli dal mondo e dalle relazioni
con il prossimo, anzi. Così Miller e la
sua squadra hanno deciso di andare a
casa di una serie di persone, single e famiglie di una strada scelta a caso in un
quartiere di Londra; di parlare con loro, di vedere come le loro case erano
arredate e di dedurre le loro faccende e
la loro vita.
Anche i titoli dei capitoli sono
molto «antropologici» e quindi gradevoli e accattivanti: scelti a caso, «Paperelle di plastica», «Fantasmi», «Parla
col cane», «Gli Happy Meal e la felicità». Metodo ed esposizione testuale
sono sorprendenti e in un certo senso
molto british. Nella storia di Harry e
del suo cane Jeff (qui Jeff è l’oggetto),
l’inquilino accoglie i ricercatori con ritrosia e diffidenza, non tanto perché
non ha fiducia in loro ma semplicemente perché «pensava che non c’era
nulla di interessante su di lui da scoprire e che quindi noi stavamo perdendo inutilmente il nostro tempo». E
poi ci sono i primi due capitoli, che
più che a oggetti specifici e al loro tipo
volge lo sguardo alla loro densità: si
intitolano «Vuoto» e «Pieno» perché
osservano e descrivono l’appartamento di George, sconcertante perché non
contiene nulla, «fatta eccezione per un
tappeto e qualche mobile», e quello dei
Clarke, che colpisce per la sua pienezza, che sembra una scena dello Schiaccianoci e dove «dal centro di ciascun
soffitto pende un elaborato congegno
di cerchi e raggi, su cui sono sospesi
un centinaio di minuscoli pacchetti,
ricoperti di cartapesta rossa o verde».
Tra gli oggetti, interessano Miller
La copertina del libro di Miller.
anche quelli così intimi e personali da
finire per coincidere con la persona
stessa: come nel capitolo dedicato alla
tenerissima storia di Charlotte, ragazzina ventenne, segnalata per l’abbon-
danza di tatuaggi e piercing sul suo
corpo. È una ragazza giovane ma saggia, come succede ogni tanto, e gli interventi sulla pelle non sono ammassati a casaccio: i piercing sono associati
a determinati ricordi, «a cui si può
guardare per tornare alle proprie origini». Ci sono quelli felici e colorati e
poi ci sono anche quelli tristi, come felici e tristi sono le fotografie che conserva. Le prime sulla parete, le seconde, una serie di immagini scattate nel
periodo della partenza per il Brasile
del suo ragazzo, stanno in una scatolina che tiene in alto, sopra l’armadio: sa
che sono lì ma non le può raggiungere
senza un qualche sforzo.
«Queste persone riflettono sui beni accumulati, per considerare il grado
in cui la loro vita è stata o non è stata
degna di essere vissuta; o, come si è
detto qui, è stata piena o vuota».
Bibliografia
Daniel Miller, Cose che parlano di noi.
Un antropologo a casa nostra, Bologna,
il Mulino, 2014.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
39
Cultura e Spettacoli
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Una ticinese
a Berlino
Jazz a Primavera Intervista a Linda
Jozefowski, che partecipa alla rassegna
musicale proposta da Musibiasca
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In caso di disturbi della
crescita di capelli e unghie,
in seguito a carenza di biotina.
La flautista
luganese.
(lindajozefowski.
com)
Alessandro Zanoli
Il festival jazz (e davvero jazz) più settentrionale del nostro cantone si avvia
con passo tranquillo e con costanza
verso il suo decennale: Jazz a Primavera
è curato dall’Associazione Musibiasca e
coordinato dall’infaticabile Domenico
Ceresa (con il sostegno del Percento
culturale di Migros Ticino). Propone
nel 2014 il suo ottavo cartellone, mantenendo fede alla sua vocazione di palcoscenico attento alle produzioni
elvetico-insubriche di medio/piccolo
formato. Un impegno degno di nota
oltre che per gli aspetti artistici, sempre
molto interessanti, anche perché culturalmente… a chilometro zero. Nella
lista dei musicisti presenti per l’edizione 2014 abbiamo scelto di interpellare la brava e promettente flautista
Linda Jozefowski, che si presenterà a
Biasca con il suo trio. Dopo aver portato in giro per la Svizzera durante il
2012 il suo bellissimo album For My
Dead Folks (2011, Unit Records), la
giovane ticinese vive da oltre un anno a
Berlino e sarà un piacere dunque riascoltarla e sentire in quale modo la sua
esperienza all’estero si rispecchia nella
sua musica.
Linda Jozefowski, è difficile vivere
da jazzisti in Ticino: è per questo che
si va a finire a Berlino, giusto?
È una domanda a cui non posso rispondere veramente perché io non ho
mai provato a vivere da musicista in Ticino. Ho studiato a Losanna per 7 anni,
e ho provato a resistere là, ma ero decisa da sempre a vedere il mondo, a
praticare un’attività che mi consentisse
Il programma
Sabato 16.3, Olivone, 17.00 –
Mauro Dassié trio suona Pat Martino.
Sabato 22.3, Biasca, 21.00 –
Linda Jozefowski New Trio –
Exp Jazz.
Sabato 29.3, Biasca, 21.00
Ars3 – promemoria.
Sabato 5.4, Biasca, 21.00
Inside evening quartet.
Giovedì 10.4, Biasca, 21.00
Peter Schärli Trio feat. Glenn Ferris.
Domenica 13.4, Olivone, 17.00
Daniel Macullo Hammond Trio.
Biglietti in palio
I lettori di Azione possono vincere
alcuni biglietti per il concerto del 22
marzo di Linda Jozefowski New
Trio. (Casa Cavalier Pellanda, Biasca,
ore 20.30). Per aggiudicarseli basta
telefonare al numero 091 821 71 62,
martedì 11 marzo dalle 10.30, fino ad
esaurimento dei biglietti.
di stare all’estero. Certo la Svizzera offrirebbe la comodità, la sicurezza finanziaria, ma io preferisco conoscere altri
Paesi, altre mentalità, avere una maggiore libertà.
E come si sta a Berlino, dal punto di
vista di una flautista jazz?
Diciamo che non ci sono tanti flautisti
jazz sul mercato. Credo che in tutto il
mondo siamo abbastanza privilegiati
come categoria di musicisti. Lo sapevo
già quando ho cominciato a suonare il
flauto, anche se non me ne rendevo
bene conto. Beh, poi bisogna essere un
bravo musicista, devi possedere il linguaggio del flauto jazz. Spesso sono i
sassofonisti che hanno la possibilità di
avvicinarsi anche al flauto. Occorre
mantenersi sempre a un certo livello,
anche per quello che riguarda lo studio.
Parliamo del gruppo con cui verrai in
Ticino: suonerai i brani del tuo
disco?
In realtà avrei voluto venire con i musicisti con cui suono qui a Berlino, Tai
Knupfen al basso e Valentin Schuster
alla batteria, ma loro non hanno potuto
esserci, quindi mi rimetterò a suonare
con il mio vecchio bassista e il mio vecchio batterista, Fabien Iannone e Maxence Sibille. Siamo molto contenti di
suonare insieme di nuovo, perché ci
siamo mancati. Maxence è venuto un
paio di volte e abbiamo suonato qui,
anche Jean Loup Trebloux, il vibrafonista che è sul disco, è venuto a Berlino...
Vorrei portare nuovi pezzi che ho preparato per l’altro progetto, infatti dovremo organizzare delle prove prima
del concerto di Biasca. Sono brani
molto complicati: ho cominciato a triplicare le ritmiche, a introdurre tempi
complessi come 13 ottavi, ci divertiamo
insomma nella ricerca musicale.
L’aria di Berlino come cambia il tuo
modo di suonare, di comporre?
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questa libertà, la libertà di essere quello
che si vuole e lo vedi semplicemente da
come si pone la gente: puoi andare in
giro con i capelli rosa, nudo con un tatuaggio in faccia, e nessuno ti guarda
strano. C’è un senso di grande tolleranza che si percepisce in giro. Anche se
questo senso di libertà non è necessariamente legato alla qualità artistica: può
esserci anche cultura molto cheap, musicisti che in fondo non sono artisti, che
vengono qui per fare fortuna, che si atteggiano un po’.
(Una versione più lunga dell’intervista
è pubblicata su:
www.percento-culturale.ch)
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
41
Cultura e Spettacoli
I romanzi dei nostri tempi
True detective Due attori di eccezionale bravura per le otto puntate
di un poliziesco di grande successo su HBO
Mariarosa Mancuso
Un altro bel colpo messo da segno dalla
HBO, la tv americana via cavo dei Soprano e di Sex and the City, di Game of
Thrones e di Girls, di In Treatment e di
Boardwalk Empire: serie da vedere e rivedere, per non perdersi il meglio che
oggi offre la televisione. In termini di
narrazione, capacità di scrittura, bravi
attori – e seguito di pubblico – da un decennio almeno lo schermo casalingo se
la sta giocando alla pari con il cinema.
Con il romanzo, anche. Un paio di
settimane fa il supplemento libri del
New York Times ha dedicato lo spazio
del dibattito alla questione: «Le serie televisive sono il romanzo dei nostri tempi?» Mohsin Hamid, lo scrittore pakistano che conosciamo per Il fondamentalista riluttante (Mira Nair ne ha tratto
un film zeppo di luoghi comuni e ingenuità, fosse stata una serie tv le avrebbero bocciato subito la sceneggiatura) non
si sbilancia troppo sui giudizi di valore.
Ma rivela l’orribile verità: i romanzieri
ormai passano più tempo a guardare le
serie che a leggere libri. Ognuno ne
tragga le sue conclusioni: le nostre non
sono affatto apocalittiche. Fin dall’800,
fa parte del mestieraccio stabilire un
contatto con il pubblico, senza scavalcarlo per entrare direttamente nella storia della letteratura.
L’ultimo successo targato HBO è
True Detective, thriller in otto puntate
(l’ultima è andata in onda il 9 marzo)
che ha generato riassunti per chi l’avesse cominciata in ritardo, interpretazioni filosofiche, parallelismi letterari,
commenti appassionati, dibattiti sul
possibile finale. Racconta la storia di
due poliziotti della Louisiana, Rust Cohle e Marty Hart: il primo nichilista come se ne sono visti di rado, il secondo
più in linea con la tradizione («è uno
sporco lavoro, ma qualcuno lo deve pur
fare»). Rust è Matthew McConaughey,
fresco vincitore di Oscar per Dallas
Buyers Club di Jean-Marc Vallée. Marty è Woody Harrelson, altro splendido
attore che ricordiamo come cow boy
canterino, in coppia con John C. Reilly,
in Radio America di Robert Altman.
Dusty e Lefty entravano in scena con la
chitarra, e attaccavano canzonacce
country.
I loro dialoghi in automobile, tra
un interrogatorio e un sopralluogo, sono da mandare a memoria. Marty vorrebbe conversare, Rust lo gela con i
suoi mutismi, rotti soltanto da cupe
considerazioni sulla tragedia che chiamiamo mondo. Ognuno può scegliere
la parte preferita: il pessimista (ma è
ancora un eufemismo) che cita Nietzsche, Emil Cioran e Schopenauer; l’ottimista convinto delle virtù salvifiche
di una birra e di una bella ragazza rimorchiata al bar. Siamo nel 1995, stanno indagando sulla scomparsa di una
ragazza e su una macabra messa in scena: corna di cervo, strane spirali, ramoscelli intrecciati. Il classico delitto
che affonda le radici in quel che si usa
chiamare gotico sudista e ha tra i suoi
campioni letterari William Faulkner e
Flannery O’Connor.
Interamente scritta da Nick Pizzolatto – nato a New Orleans nel 1969,
Mondadori ha pubblicato il suo romanzo Galveston – la serie alterna con strepitosa bravura tre diverse epoche. Il
1995, quando i due indagano sul delitto,
e Rust viene soprannominato «l’agente
delle tasse» per l’abitudine di girare con
un grande quaderno dalla copertina nera. Il 2012, quando la coppia viene interrogata separatamente da altri due
poliziotti sui fatti di 17 anni prima.
Visti in tivù Gli
scrittori su Raitre
in progressivo calo
di ascolti
e di «reputazione»
Antonella Rainoldi
Woody Harrelson e Matthew McConaughey sono gli interpreti.
Rust ha ora i capelli lunghi, appare
più scheletrico e spiritato che mai. Marty i capelli li ha persi, ha messo su pancia, capiamo che non se la passa tanto
bene neanche lui (aveva una moglie,
tradita a ripetizione: una delle scene più
spaventose, nelle prime puntate, mostra
Rust invitato per cena a casa di Marty, la
conversazione ha momenti tremendi). I
due non si parlano più da parecchi anni,
qualcosa di grave è accaduto ma non
sappiamo cosa.
Non è chiaro neppure perché i poliziotti vengano interrogati dai colleghi
più giovani, che prendono nota di tutto,
soprattutto delle contraddizioni. Uno
scrittore meno geniale ci avrebbe campato sopra fin dalla prima scena, mettendo Rust e Marty in lotta uno contro
l’altro. Non Nick Pizzolatto: in quel momento capiamo perché la HBO abbia
fatto scrivere le otto puntate della serie
tutte a lui e non a un gruppo di sceneg-
giatori, per quanto bravi potessero essere. Unico per tutta la stagione anche il
regista Cary Fukunaga: nato in California nel 1977, da padre giapponese e madre svedese, ha tra i suoi film un riuscitissimo adattamento di Jane Eyre. Pagine e pagine di Charlotte Bronte – le pagine con le descrizioni, per intenderci –
rese sullo schermo solo con i gesti, gli
abiti, il modo di sedersi, le occhiatacce
tra Mia Wasikowska e il suo RochesterMichael Fassbender.
Il grande successo di True Detective
obbligherà a una seconda stagione, ma è
già deciso che la serie sarà antologica:
cambierà la storia e cambieranno gli attori. Sarà un dolore abbandonarli, sia
Matthew McConaughey sia Woody
Harrelson sono semplicemente perfetti.
Vanno contro tutte le regole, per esempio indugiando sui tempi, ma mai danno l’impressione di voler esibire la loro
bravura.
Vivere, non sopravvivere
Filmselezione L’Oscar al primo film di un regista di colore sullo schiavismo
Fabio Fumagalli
**** 12 anni schiavo (12 Years a Slave),
di Steve McQueen, con Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender, Benedict
Cumberbatch, Paul Dano, Paul Giamatti, Lupita Nyong’o, Brad Pitt (Stati
Uniti 2013)
Oscar per il Miglior Film a suggello di
una premiazione insolitamente coerente (Regia a Gravity di Cuaron, Interpretazioni per Matthew McConaughey di
Dallas Buyers Club e Cate Blanchett in
Blue Jasmine di Woody Allen, Sceneggiatura a Her di Spike Jones, ecc.) 12 anni schiavo conferma l’importanza di un
artista ai vertici delle arti plastiche contemporanee divenuto una delle personalità più marcanti di un cinema ormai
non più «soltanto» sperimentale.
Forse di riflesso a uno storico complesso di colpa collettiva il cinema americano si è da sempre occupato poco di
schiavismo. Ora, ispirandosi alla cronaca autobiografica di un certo Solomon
Northup apparsa a metà del diciannovesimo secolo, Steve McQueen firma il
primo film che un nero americano dedica al soggetto. Seguendo un procedimento drammaturgico inabituale
quanto proficuo ai fini dell’identificazione da parte dello spettatore,
McQueen mostra quanto possa essere
fulmineo il passaggio dalla libertà alla
schiavitù. Un meticcio, libero poiché figlio di un padre liberato e di madre
bianca, padre felice di una famiglia borghese nel Nord degli Stati Uniti, che viene rapito e venduto come schiavo in
Il protagonista
Chiwetel Ejiofor
e il regista Steve
McQueen.
uno degli stati del Sud che ancora non
riconoscevano l’emendamento abolizionista di Abraham Lincoln, imposto
poi con la Guerra di Secessione. Una
spirale disperata, a cui non si sottrarrà
che otto anni dopo, grazie alla propria
cultura, al proprio accanimento nel
«volere vivere, non sopravvivere».
All’interno di questa epopea che
avrebbe potuto essere soltanto grandiloquente, melodrammatica o kitsch,
pur avviando una riflessione profonda
sulle contraddizioni della natura umana, sugli estremi inimmaginabili dell’ingiustizia, le commistioni con l’ipocrisia religiosa, la cupidigia alleata della
legge, al film riesce una transizione mirabile dal cinema d’autore a quello popolare. Alcuni rimproverano a
McQueen di aver annacquato il rigore
del proprio sguardo cinematografico in
nome della consensualità di quello classico ed edulcorato la spirale progressiva
di quei gironi infernali nella luce e nei
suoni di una Louisiana lussureggiante.
Masterpiece,
non c’è più
speranza
Ma se vi è bellezza, essa serve al regista
quale contrasto alla brutalità dell’infamia: contrariamente ad altri film del
passato (Slaves di Biberman, Mandingo
di Fleischer fino a Spielberg e Tarantino) 12 Years a Slave ha il pregio di analizzare l’indecenza della piaga in tutti i
suoi aspetti. La disumanizzazione progressiva degli schiavi, ma pure le contraddizioni e le fragilità degli schiavisti
(rivelate nella finezza interpretativa di
Michael Fassbender, sadico ma autopunitivo nell’annientamento della propria
vena amorosa) autori di una inimmaginabile sopraffazione che finisce però
per minare, introducendovi terrore e
ingiustizia, il cuore stesso dello Stato sudista. Il cinismo della perversione nasce
in una Washington già sontuosa (la panoramica sui suoi tetti dopo l’inganno,
tra le più significative del film) per proseguire nell’ipocrisia dei sermoni biblici
dei padroni, le gerarchie di casta fra
schiavi e servitori, le loro mortali sottomissioni sessuali, le sadiche frustrazio-
ni vendicative delle mogli tradite, ecc.
Al suo terzo film, McQueen affina la
propria poetica così vicina al corpo e alle
sue torture: quelle fisiche, indicibilmente mortificate di Bobby Sands, il resistente irlandese dell’IRA imprigionato a
morte in Hunger, e quelle psichiche, interiorizzate, l’insoddisfazione sessuale
dello splendido yuppie nuovaiorchese,
sempre interpretato da Fassbender di
Shame, sfociano ora nelle frustate sempre più invasive di 12 anni schiavo. Dove
l’accanimento compulsivo, estenuante
sui corpi forza alla condivisione lo spettatore, acquistando sempre più una dimensione mentale; mentre l’uso dei piani fissi, dei tempi immobili terribilmente dilatati ci trasportano in una dimensione seconda, paradossalmente immateriale e quindi morale.
Così, nella sequenza indimenticabile dell’impiccato che, per sopravvivere, deve mantenersi con la punta dei
piedi sul fango, l’occhio dello spettatore
non è tanto attirato dall’atroce meccanica: ma da quanto accade nell’idilliaco
controluce sullo sfondo, dove la vita ricomincia noncurante, dove l’impotenza, la rassegnazione confinano con l’indifferenza, dove i bimbi si rincorrono,
mentre gli schiavi incrociano eleganti
dame anche di colore. È tutta la complessità di una condizione, l’elaborazione di una memoria rifiutata: inserendo
l’intransigenza del proprio sguardo all’interno di una cornice più accessibile
Steve McQueen rende allora possibile
quella divulgazione popolare che è ambizione da sempre di una parte dell’arte
cinematografica.
Come va Masterpiece? Gli ascolti non
lo premiano (appena 400 mila spettatori, pari all’1,91% di share, per la puntata del 3 marzo), ma più ancora è difficile dare un senso a un programma costruito sul controsenso. È un controsenso portare la scrittura in tv. A differenza della cucina, la scrittura è invisibile. E l’invisibile non può misurarsi
con il visibile. Ha ragione Aldo Grasso
quando scrive: «Masterpiece è la cosa
meno televisiva che si possa mettere in
scena: i manoscritti non hanno volto».
È ripartito un paio di settimane fa
su Raitre, la domenica alle 22.45, il primo talent letterario al mondo, per la
gioia del direttore di rete Andrea Vianello e di pochi altri. Com’è noto, Masterpiece si articola in due fasi. Nella
prima, andata in onda tra novembre e
dicembre, i migliori aspiranti scrittori
emersi da una selezione effettuata dallo staff di Rcs Libri si sono sfidati in
prove di capacità creativa e di lettura.
In questa seconda fase, i sei vincitori
della prima, più tre ripescati dai giurati
e tre dal pubblico attraverso il web, si
cimentano in una nuova competizione. Si procede così a eliminazione, finché gli ultimi rimasti in gioco si contendono la pubblicazione del romanzo
nel cassetto in centomila copie con
Bompiani in collaborazione con Rai
Eri e «Corriere della Sera». La gran
parte della gara si svolge di fronte a una
giuria composta da Giancarlo De Cataldo, Andrea De Carlo e Taiye Selasi.
Il coach Massimo Coppola aiuta i concorrenti a entrare nella parte.
Abbiamo sperato in una crescita
di Masterpiece, almeno dal punto di vista della resa, ma questa seconda fase
sembra fatta apposta per scoraggiare la
visione: l’insensato andirivieni di personaggi (Elisabetta Sgarbi, Roberto
Vecchioni, Luca Bianchini, Teresa
Ciabatti), l’incertezza sui ripescaggi, la
farsa dello storytelling. Come se non
bastasse, gli autori Omar Bouriki, Edoardo Camurri, Giancarlo De Cataldo,
Tommaso Marazza, Giovanni Robertini e Michele Truglio hanno introdotto le varianti della scrittura veloce come gli sms, i tweet, le email, i biglietti
d’auguri, con i talenti nei panni dei
pubblici scrivani impegnati a esporsi a
una figura imbarazzante nelle piazze di
Torino. Inutile chiedersi se Masterpiece possa far bene alla letteratura, renderle un buon servizio. Ogni speranza
è ormai solo un ricordo lontano.
Giancarlo De Cataldo, Taiye Selasi e
Andrea De Carlo.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
43
Cultura e Spettacoli
Mary Poppins
Reloaded
La televisione
di quartiere
e i live musicali vintage
Cinema Dietro le quinte: il nuovo film firmato Disney
Musica Gionata ci introduce a
offre un’interessante riflessione sul potere catartico dell’arte,
e della scrittura in particolare
Benedicta Froelich
Esiste da sempre, alla base della vicenda
letteraria di ogni scrittore o narratore
che dir si voglia, un irrinunciabile e costante principio – un precetto secondo
il quale dietro qualsiasi sforzo creativo,
vi è sempre un tentativo di rettificare ciò
che nella vita dell’autore è rimasto irrisolto o incompiuto, raddrizzando i torti
e traendo qualcosa di buono e positivo
dagli eventuali mali sofferti. In ciò, dopotutto, risiede il potere catartico e terapeutico della scrittura: e nemmeno i libri per bambini, si sa, ne sono immuni.
Questo sembra essere anche l’insegnamento di Saving Mr. Banks, l’interessante film disneyano «per adulti» da poco giunto nelle nostre sale, incentrato
sull’odissea che Walt Disney dovette affrontare per riuscire a realizzare una
versione cinematografica del celeberrimo romanzo della scrittrice P.L. Travers – quel Mary Poppins che avrebbe
finito per diventare noto al pubblico internazionale proprio grazie al tanto sofferto film, infine presentato al mondo
nel 1964.
In effetti, il fatto che siano passati
già cinquant’anni dall’uscita di questo
capolavoro della cinematografia per
l’infanzia costituisce probabilmente la
motivazione principale dietro la realizzazione di Saving Mr. Banks, ottimo
esempio di biopic psicologico, seppur a
tratti un po’ retorico. La storyline si di-
ti a trasformare un padre indifferente e
anaffettivo in una persona a tutto tondo. E qui sta il fulcro della vicenda: perché proprio quel salvataggio costituisce
la trasposizione romanzata del mai sopito senso di colpa della piccola Helen
Goff (vero nome della Travers), incapace di perdonarsi la propria impotenza davanti agli impulsi autodistruttivi
del padre, morto precocemente quando lei era ancora una bambina. Ci vorrà
tutto l’intuito di Disney per comprendere come i continui rifiuti della scrittrice a cedere i diritti del suo romanzo
nascondano in realtà un’incapacità a
«staccarsi» dalla propria stessa tragedia: una resistenza che il creatore di
Mickey Mouse dovrà riuscire a vincere,
per regalare al pubblico di tutto il mondo un sogno di celluloide che rappresenti, in qualche modo, il riscatto di
ogni sfortunata figura paterna – non
solo quella dell’infelice autrice, ma anche dello stesso Disney.
Perciò, sebbene, come molti film
americani, Saving Mr. Banks tenda a cedere a un certo sentimentalismo dalla
lacrima facile, il messaggio trasmesso
dalla vicenda personale di P.L. Travers
resta più che valido: l’impulso creativo è
in grado di «redimere» e nobilitare
qualsiasi vissuto, spesso fungendo da
tramite salvifico tra l’autore dell’opera e
la realtà. E se l’insopportabile scrittrice
si vede infine costretta a cedere all’arte
persuasiva di Disney e a firmare il tanto
sospirato contratto, tale resa non rappresenta in realtà una sconfitta, bensì
un punto di svolta importante: per la
prima volta, la donna riesce infatti a
«voltare pagina» e a smettere di colpevolizzarsi per quanto accaduto a un padre che, nella sua mente di bambina,
non aveva potuto che idealizzare – per
poi, inevitabilmente, distaccarsene una
volta divenuta adulta. Come a voler dire
che a volte è necessario arrendersi, accettando di «lasciar andare» il passato,
per liberarsene davvero. Un messaggio
che potrebbe apparire insolitamente
profondo per un film targato Disney,
ma che, in fondo, racconta la storia di
ogni opera e autore; ricordandoci come
l’arte non sia mai fine a se stessa o al mero apprezzamento estetico o formale,
ma dipenda da un insopprimibile anelito vitale – quello di lenire il dolore, donando rinnovata speranza a chiunque
possa beneficiarne.
Una première per la Svizzera italiana: è
di questi giorni il debutto ufficiale della
trasmissione musicale televisiva Mono
live session. Un format che sa di altri
tempi, con le immagini missate in analogico e in diretta, con una pasta dei colori e il ritaglio dello schermo indubbiamente vintage, con le registrazioni dal
vivo presso il Living Room, con la trasmissione su scala planetaria grazie alla
TV di quartiere TeleMassagno e al suo
canale youtube. Un annuncio, quello relativo alla nuova trasmissione, che sembra mischiare senza soluzione di continuità vecchio e nuovo, grande e piccolo,
globale e locale. Per cercare di capirne
qualcosa di più ci siamo rivolti a Gionata
Zanetta – musicista, videomaker nonché personalità tra le più eclettiche della
cultura ticinese degli ultimi vent’anni –
che di TeleMassagno è tra i promotori,
nonché ideatore di Mono live session.
«È stata innanzitutto un’esigenza di
condivisione tra amici, quella che ha
portato a nascere TeleMassagno. Si sentiva il bisogno di creare una piazza virtuale per il quartiere, siccome nel nostro
comune non esiste una vera e propria
piazza fisica. Quindi a costo zero si è recuperato materiale televisivo in disuso e
si è cominciato a metterlo in funzione».
La linea editoriale di TeleMassagno, grazie alle dimensioni volutamente ridotte,
è totalmente libera e autogestita dal
gruppo di persone che l’hanno creata,
con un occhio di riguardo ai temi locali e
a quelli culturali, ma soprattutto con
l’attenzione al fatto che la forma – malgrado il contesto volontario che muove
l’intera operazione – mantenga sempre
un certo livello qualitativo.
E di qualità – a proposito di Mono live session – propriamente si tratta. Pur
nella dimensione del «live», o forse proprio nel forte sapore di estemporaneità
Tra jazz e nuove musiche
Rassegna di Rete Due
Studio 2 RSI, Lugano
Giovedì 20 marzo, ore 21.00
Chiasso Danza
Rassegna di balletto
Cinema Teatro, Chiasso
Sabato 22 marzo, ore 20.30
900Presente
Rassegna concertistica
Auditorio RSI, Lugano
Domenica 23 marzo, ore 17.30
Primi applausi
Rassegna teatrale per l’infanzia
Teatro Sociale, Bellinzona
Domenica 23 marzo, ore 16.00
Harriet Tubman & Wadada Leo Smith
Hamburg Ballet/John Neumeier
Percussus
La bambina dei fiammiferi
Wadada Leo Smith, tromba; Brandon
Ross, chitarre, banjo; Melvin Gibbs,
basso; JT Lewis, batteria.
www.rsi.ch/jazz
Con Silvia Azzoni, Otto Bubenicek,
Alexandre Ryabko, Ivan Urban, Lucia
Solari, Alexandr Trusch, Fernando Magadan.
www.chiassocultura.ch
Ensemble percussioni, elettronica
e solisti. Direttore Bernhard Wulff.
Musiche di autori molto diversi tra loro
mostreranno le numerose facce di un
mondo strumentale virtualmente infinito ed in continua evoluzione.
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Di Chiara Guidi, da La bella fiammiferaia di Hans Christian Andersen con
Lucia Trasforini e con Fabrizio Ottaviucci (pianoforte).
Dai 7 anni.
www.teatrosociale.ch
Orario per le telefonate: dalle 10.30
fino a esaurimento dei biglietti
Orario per le telefonate: dalle 10.30
fino a esaurimento dei biglietti
Orario per le telefonate: dalle 14.30
fino a esaurimento dei biglietti
Orario per le telefonate: dalle 14.30
fino a esaurimento dei biglietti
pana infatti lungo tutto l’arco della
complicata lavorazione alla sceneggiatura del film, alternando il racconto del
difficile rapporto tra l’acida signora
Travers e l’équipe di Walt Disney a ripetuti e strazianti flashback sull’infanzia della scrittrice – i quali ci permettono via via di scoprire le molte e rivelatrici corrispondenze tra la vicenda inventata di Mary Poppins e la dolorosa
storia personale della Travers. L’abilità
degli attori protagonisti rispecchia perfettamente la tensione tra i personaggi
(la sfavillante Emma Thompson-Travers ruba spesso e volentieri la scena al
Disney di Tom Hanks), contribuendo
non poco a calare lo spettatore nella rarefatta realtà del ricordo; e scopriamo
così che, dato il proprio vissuto di bambina, la scrittrice aveva ben più di un
motivo per desiderare di dare vita non
solo a una tata di talento, ma a una vera
e propria «figura salvifica» quale il personaggio incarnato su pellicola da Julie
Andrews. Del resto, basta guardare il
film del 1964 con occhi da adulto per
rendersi conto di come l’arrivo dell’astuta Mary Poppins serva, prima ancora che ad aiutare i due trascurati fratellini Jane e Michael, a salvare dal baratro il loro padre, il signor Banks (non
per niente il titolo di questo nuovo biopic si può tradurre proprio come Salvando il signor Banks): solo gli sconvolgimenti portati dall’intervento dell’incredibile governante riusciranno infat-
Concorsi
Tom Hanks e Emma Thompson in una scena di Saving Mr. Banks.
091/8217162
TeleMassagno e alle Mono live session
Regolamento
Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le
manifestazioni sopra menzionate.
Gionata e Yea
Nay. (Davide
Bolgé-Maison
Grise)
Zeno Gabaglio
Massimo due biglietti per economia domestica. La
partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di
vincite in occasione di analoghe promozioni
nel corso degli scorsi mesi.
Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino
che da essa si ricava, il primo episodio
della serie offre la vivida documentazione di un concerto tenuto lo scorso ottobre al Living Room di Lugano, che vedeva proprio Gionata tra i protagonisti. «Il
progetto Yea/Nay – presentato nella
Mono live session – ha visto la luce perché già da qualche anno volevo mettermi alla prova con canzoni scritte e cantate in inglese. Fare un intero disco da
solo con questa novità sarebbe però stato troppo gravoso, e quindi ho ripreso in
mano alcune basi musicali che Omar
Bernasconi (già attivo da diverso tempo
con il concept RE-COUNT) mi aveva
mandato nel corso degli anni, cominciando poi una collaborazione effettiva
ed elaborando assieme nuovo materiale». Human Obsolescence è il risultato
dell’album che è approdato alla distribuzione digitale ma anche fisica, pubblicato in una futuristica confezione contenente una chiavetta usb. Una specie di
mini-astronave che rimanda ad un precedente disco concepito da Gionata:
L’uomo e lo spazio. «Ci sono effettivamente delle tematiche affini tra i due dischi. Il viaggio nello spazio e l’obsolescenza umana trovano qui però una differente veste musicale, electro-dance
con venature anni Ottanta».
Come andrà avanti, a questo punto,
il progetto delle Mono live session?
Chiederlo a Gionata equivale ad avere
un giudizio di esperto – in quanto tra i
pochi «musicisti nostri» ad aver ottenuto riscontri in terra straniera – sull’attuale musica della Svizzera italiana.
Quali quindi i gruppi che potreste ospitare sulle onde di TeleMassagno? «Non
mi dispiacerebbe vederci i Peter Kernel,
o qualche altra realtà della loro etichetta,
la On the Camper Records. Per la contagiosa energia delle loro esibizione live
inviterei volentieri i Gospel Blastfighter,
mentre per la freschezza e la spontaneità
del modo di porsi Andrea Bignasca».
Per aggiudicarsi i biglietti basta telefonare martedì 11
marzo al numero sulla sinistra nell’orario indicato.
Buona fortuna!
Passione per il bio.
Floriano Locarnini è fra i pionieri dell’agricoltura biologica in Ticino, da oltre quarant’anni fornisce prodotti nostrani a Migros Ticino. Dal 1995 la sua azienda agricola è certificata secondo le norme di Bio Suisse. «La scelta che mi ha portato a dedicarmi totalmente
all’agricoltura biologica è senza dubbio motivata dal fatto che ritengo sia molto importante contribuire alla salvaguardia dell’ambiente in cui viviamo, favorendo così uno stile
di vita sano e sostenibile». Floriano Locarnini, Orticola Locarnini, Sementina
dal 1933
T
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p
o
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in Tic
icino
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
45
Idee e acquisti per la settimana
shopping
Passione Nostrana
Una selezione di prodotti dei Nostrani del Ticino. (Flavia Leuenberger)
Lavorare con passione tenendo presente non solo grandi progetti di respiro nazionale o internazionale, ma
con un occhio di riguardo a quanto
succede fuori dai nostri uffici, nel
campo di fronte, nel piccolo laboratorio dall’altro lato della strada, nell’industria che si trova qualche chilometro
più il là. Questo spirito contraddistingue il team marketing di Migros Ticino. Da quasi 10 anni siamo una porta
aperta ad imprenditori locali che vogliono trovare uno sbocco per i loro
prodotti. Tante volte ci siamo trovati
riuniti ad un tavolo con di volta in volta
diverse varianti dello stesso biscotto o
di uno iogurt all’uva americana. Sempre con un occhio di riguardo rivolto ai
nostri clienti, cercando di trovare la ricetta migliore, pensando a quale aroma
poteva al meglio incontrare i loro favori. In tutti questi anni ci siamo trovati tante volte a discutere di un deter-
minato imballaggio, o di una certa etichetta preparata dal nostro grafico Michele, valutando le diverse impostazioni grafiche, i diversi colori,
meravigliandoci di come si traduceva
la parola albicocca nel dialetto di Airolo.
Ci sono stati prodotti che sono nati un
po’ per caso, altri un po’ strani/inusuali, come la confettura di zucca, per
scommessa, altri che non abbiamo ancora avuto il coraggio di portare avanti
come la marmellata di pomodori verdi.
Piccoli progetti, ma anche qualcosa di
molto di più, come nel caso degli iogurt
nostrani, in cui da una telefonata con
Floriano, il nostro responsabile dei latticini, è nato lo iogurtificio di Airolo.
Grazie al coraggio imprenditoriale di
Ari Lombardi sono stati investiti 5 milioni di franchi e creati una decina di
posti di lavoro in una zona periferica
del Canton Ticino.
In tutti questi anni anche noi abbiamo
imparato tante cose, come ad esempio
alcuni «trucchi» per un’agricoltura biologica dal nostro fornitore Floriano Locarnini, ma non solo. Abbiamo portato
avanti anche dei progetti articolati, che
tenevano conto di un’intera filiera, per
esempio il progetto del maiale nostrano. Qui si partiva dalla fattoria di
Ueli, per poi andare all’ingrasso gestito
da Chico e, dopo esser passati dal macello cantonale di Cresciano, si finiva
nel reparto degli apprendisti della Rapelli. Anno dopo anno la coccarda dei
Nostrani del Ticino è diventata un
marchio di garanzia, via via abbiamo
aggiunto la foto dei nostri produttori
per mostrare chi stava dietro a questi
prodotti, quindi qualche anno fa abbiamo aggiunto, per sottolineare il legame con il territorio, il nome nel dialetto della regione in cui vengono
prodotti.
Lo sviluppo di tutti i nostri prodotti dei
Nostrani si è composto di tanti piccoli
tasselli, che ci hanno arricchito e ci
hanno fatto conoscere molte persone
interessanti, i loro progetti, i loro sogni
ed è stato emozionante collaborare
tutti assieme per poterli realizzare.
Con il progetto dei Nostrani siamo stati
pionieri per quanto riguarda la sostenibilità, l’ambiente e l’economia locale,
tema che oggi tutti gli attori della
grande distribuzione cercano di cavalcare.
Bello è stato pure a vedere come i nostri
clienti hanno apprezzato i nostri sforzi.
In tutti questi anni ce lo hanno dimostrato giorno dopo giorno comprando i
prodotti dei Nostrani, scrivendoci, telefonandoci, dandoci la carica per guardare avanti e trovare assieme ai nostri
fornitori nuove prelibatezze nostrane. /
Fabio Rossinelli, responsabile dipartimento marketing Migros Ticino
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
47
Idee e acquisti per la settimana
I Crèfli di Paul Forni
Novità I biscotti alla panna e al miele sono la «new entry» dei Nostrani del Ticino. Nostra
intervista al produttore della specialità
Paul Forni, cosa l’ha spinta a lanciare questo nuovo prodotto?
Come al solito la mia golosità! Oltre a
questo, è già da alcuni anni che produco
dei biscotti al miele, ma con un’altra
forma. I Crèfli li ho sempre prodotti
solo per amici e per la mia famiglia. Alla
fine qualcuno mi ha tirato le orecchie
dicendomi che tutto ciò era un’ingiustizia nei confronti di altri golosi.
Qualche curiosità sui Crèfli?
Come con le Pastefrolle, tra i Crèfli ci
sono quasi nato. In famiglia non si producevano e quindi da bambino goloso
mi comportavo un po’ come i segugi
alla ricerca di «piste» che portassero a
questi buonissimi biscotti, con ottimi
risultati oserei dire. Da quello che so, i
Crèfli generalmente si producono tra
Airolo e Giornico, ognuno ha naturalmente la propria ricetta e quindi variano per consistenza, gusto, forma
ecc..
Come avviene la produzione?
Posso dire che l’impasto lo produco
con un certo anticipo. La lavorazione
è abbastanza lunga e laboriosa, come
pure il confezionamento che, come
per tutti gli altri nostri prodotti forniti
a Migros Ticino, viene sempre effettuato dai miei fedeli collaboratori
della Fondazione Diamante. Gli ingredienti sono semplici e genuini,
vale a dire miele, panna, burro, farina
e zucchero… null’altro. Purtroppo, a
causa della moria di api, quest’anno
sarà più difficile avere una certa quantità di miele, ma può essere una ragione in più per gustare quanto la
natura ci offre al momento.
Chi apprezza i Crèfli?
Sicuramente gli amanti del miele, alimento sano dalle «mille» proprietà.
Sono molto apprezzati a merenda
con il tè, ma ho molti conoscenti e
amici che se li portano in montagna,
in bicicletta o in diverse altre occasioni dove può servire un apporto
energetico naturale e facilmente digeribile.
Flavia Leuenberger
Crèfli 150 g Fr. 5.90
Oltre ai nuovi Crèfli, a Migros Ticino di Paul
Forni trovate anche i Biscotti alla «farina
bona» della Valle Onsernone, le Frolle al limone, le Pastefrolle e il Panspezi.
Flavia Leuenberger
Vincenzo Cammarata
I Crèfli sono apprezzati sia a casa…
… sia durante le gite in montagna.
Paul Forni, produttore dei Crèfli.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
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Idee e acquisti per la settimana
Una carne tanto rinomata
I bovini Charolais pascolano sugli ampi prati della tenuta Aerni da marzo a novembre. (Giovanni Barberis)
Tenera, succosa e incredibilmente saporita: gli atout della carne di manzo Charolais sono apprezzati in tutto il mondo
dagli chef più prestigiosi. Una carne che
si distingue per il suo colore rosso vivo, la
fibratura fine e i pochi grassi distribuiti in
modo uniforme. La Charolais è senza
dubbio una delle più famose razze bovine
da carne francesi; originaria dell’omonima regione della Borgogna è nota da
tempi molto lontani. Fino al diciottesimo
secolo era allevata solamente per il consumo locale, tuttavia dopo l’esposizione
universale di Parigi del 1867 la sua carne
venne riconosciuta come un’autentica
prelibatezza e si diffuse ben presto in
tutta la Francia e oltre.
Anche in Ticino la docile razza Charolais
ha trovato casa grazie all’intraprendenza
dei fratelli Aerni di Gordola che l’allevano con grande passione da più di
vent’anni. L’Azienda Aerni attualmente
possiede oltre 250 capi di bestiame. Per i
primi 8-10 mesi i vitelli sono allattati direttamente dalla madre. Successivamente sono nutriti con foraggi secchi –
fieno e mais – prodotti dall’azienda
stessa, nonché erba fresca che da metà
marzo a inizio novembre i manzi brucano golosamente e liberamente sui prati
a pochi passi dalle Bolle di Magadino.
A Migros Ticino la carne di manzo Charolais è disponibile nei seguenti tagli a libero servizio: bistecche, spiedini, arrosto
coscia, geretto, lesso magro, spezzatino,
arrosto spalla, hamburger e fettine alla
pizzaiola. Ai banchi troverete invece
costa schiena e filetto (Agno e Lugano),
entrecôte (Serfontana, S. Antonino,
Agno e Lugano) e scamone (Serfontana e
S. Antonino). Chiedete consiglio ai nostri
macellai per piatti di sicuro successo.
Dolce pausa
p
vantaggiosa
Il barometro
dei prezzi
Migros riduce i prezzi dei gipfel al prosciutto crudo affumicato. D’altro canto
diverse miscele di noci rincarano. Questo è dovuto al fatto che attualmente, a
causa del cattivo raccolto, l’offerta di
mandorle e nocciole è carente.
Alcuni esempi:
Prezzo vecchio
in Fr.
Gipfel al prosciutto crudo affumicato, surgelati, 8 pezzi 7.50
Sun Queen Premium Nuts noci miste salate, 170 g
3.90
Party noci miste salate, 200 g
2.20
L’allevatore Roberto Aerni.
Nuovo
in Fr.
in %
6.80
4.40
2.40
–9,3
12,8
9,1
A colazione oppure a merenda, durante tutta la settimana nei Ristoranti
e De Gustibus Migros ti attende
un’imperdibile promozione sulle tue
bontà preferite. L’offerta – valida al
mattino dalle ore 9.00 alle 11.30 e al
pomeriggio dalle 14.30 alle 18.30 – ti
dà la possibilità di acquistare caffè e
relativo dolce ad un prezzo particolarmente vantaggioso. L’offerta propone
al mattino Cappuccino e Croissant
all’albicocca e al pomeriggio Espresso
con Torta di Fragole pan di Spagna.
Passa a trovarci!
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
49
Idee e acquisti per la settimana
Così tanti da perderci la testa
Attualità Con la piccola panetteria Jowa non c’è pericolo di annoiarsi. Tutto l’assortimento è ora in promozione
e vi permette di partecipare ad un grande concorso
Sono talmente tanti che è un attimo
perderci la testa quando si tratta di fare
la propria scelta. Stiamo parlando dei
panini, delle michette e dei cornetti in
sacchetto dell’assortimento dei supermercati di Migros Ticino, disponibili
in ben 19 varianti differenti. Dai classici della colazione come i cornetti alla
parigina o al burro fino alle michette
soffiate e alle ciabattine per panini supersfiziosi, passando per i mini sandwich tanto amati dai bambini e dagli
sportivi fino ai morbidissimi panini al
burro: ce n’è proprio per tutti i gusti e
desideri. Tutti sono prodotti dal panificio Jowa di S. Antonino – un’azienda
Migros – con ingredienti naturali di
prima qualità. Qui gli abili fornai sfornano annualmente qualcosa come 7
milioni di pezzi.
Infine, ricordati di partecipare al
grande concorso sulla piccola panetteria Jowa: ritaglia 4 bollini dai sacchetti
e incollali sulla cartolina di partecipazione che trovi nei supermercati di Migros Ticino. In palio vi sono 1 buono
del valore di Fr. 1000.– presso il Kurhaus Cademario Hotel & Spa; 2 buoni
da Fr. 250.– per lo Splash e Spa Rivera e
5 carte regalo Migros del valore di Fr.
100.– ciascuna.
L’industria Migros produce numerosi
prodotti molto apprezzati, tra cui
il pane Jowa
Michette soffiate
TerraSuisse
5 pezzi Fr. 1.75
invece di 2.20*
Cornetti alla
parigina
5 pezzi Fr. 1.75
invece di 2.20*
Mini Sandwiches
10 pezzi Fr. 1.80 invece di 2.30*
Flavia Leuenberger
Bambini
in panetteria
Panini al burro TerraSuisse
5 pezzi Fr. 2.05 invece di 2.60*
In vendita nei supermercati di Migros Ticino.
*20% su tutti i panini Jowa fino al 17.3.2014.
Mercoledì 26 marzo, dalle ore 14.00
alle 16.30 ca., nelle panetterie della
casa Migros di S. Antonino e Serfontana si terrà il primo pomeriggio in
panetteria del 2014 dedicato ai bambini. La partecipazione è gratuita e
aperta a tutti i bimbi tra i 7 e i 14 anni
(10 partecipanti per panetteria). Durante il pomeriggio i panettieri in
erba potranno assistere insieme agli
artigiani Jowa alla produzione di
pane e creare con le proprie mani golose specialità. Per partecipare telefonare al numero 091 840 12 61,
mercoledì 12 marzo 2014, tra le ore
10.30 e 11.30.
Migros: la grande corsa ai pacchetti sorpresa
La Svizzera è in preda alla febbre da raccolta. Il pacchetto sorpresa della Migros
gode infatti di una popolarità enorme.
Le clienti e i clienti hanno già consegnato
molte più cartoline del previsto. E non
tutte le filiali avranno pacchetti a sufficienza per tutti. Nessuno, però, se ne
andrà a mani vuote tra coloro che disporranno di cartoline per la raccolta
punti complete. Chi non potrà portarsi a
casa un pacchetto, riceverà pertanto da
subito uno sconto pari a 20.– Fr. sulla
spesa attuale o successiva.
Il programma «Noi firmiamo. Noi garantiamo.» della Migros è partito all’insegna di un grande successo. Dall’11
febbraio è in corso la campagna di raccolta con cui la Migros consente di toccare con mano la ricchezza delle marche proprie. Chi acquista per almeno
20.– Fr., riceve un bollino e una cartolina per la raccolta punti. Con una car-
tolina completa di 18 bollini si può ritirare un pacchetto sorpresa in negozio
(fino a esaurimento delle scorte). La
campagna proseguirà ancora fino all’11
marzo 2014. Già ora appare però evidente che gli stock di pacchetti sorpresa
non saranno sufficienti in tutte le filiali.
«Siamo stati larghi nei calcoli ed eravamo convinti di avere abbastanza
pacchetti in magazzino», spiega Marc
Engelhard, Responsabile Marketing
Comunicazione alla Migros. «Ma non
avevamo fatto i conti con un simile fervore da parte dei nostri clienti!» Sebbene con una nota si faccia sempre
presente che la campagna è valida fino
a esaurimento delle scorte, tutti coloro
che possiedono una cartolina completa devono poterne approfittare. Per
questa ragione la raccolta proseguirà
come previsto fino all’11 marzo 2014.
Qualora in un negozio non vi fosse più
alcun pacchetto disponibile, tutti i
clienti che presenteranno una cartolina completa riceveranno 20.– Fr. di
sconto sulla spesa attuale o successiva
– ancora fino al 24 marzo 2014.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
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Idee e acquisti per la settimana
Fairness
sotto vetro
Un campo di asparagi verdi con alcuni
contadini della cooperative Fairtrade
Ceprovaje e rappresentanti della Migros.
PERU
Migros amplia costantemente il suo
assortimento Fairtrade-Max-Havelaar, agendo
così in modo pionieristico. I nuovi prodotti
in conserva e in vaso come gli asparagi verdi
offrono ai piccoli contadini peruviani nuove
possibilità di guadagno
Insalata d’asparagi
e pollo con toast
Nella regione
di Trujillo
le condizioni
climatiche
per la coltivazione
degli asparagi
sono ideali.
Piatto principale per 4 persone
Ingredienti
600 g di dadini di pollo
1 cucchiaio d’olio d’oliva
200 g di crème fraîche
¼ di cucchiaino di paprica dolce
sale, pepe*
4 fette di pane da toast
2 vasetti d’asparagi verdi da 190 g (100 gr,
peso sgocciolato)
100 g d’insalata a foglia mista, ad es. formentino, lattuga, riccia
crescione per guarnire
Trujillo
Lima
0
100
Preparazione
Rosolate i dadini di pollo da ogni lato nell’olio
in una padella antiaderente per ca. 6 minuti.
Estraeteli e lasciateli raffreddare. Mescolate il
pollo con la crème fraîche. Condite con la paprica, sale e pepe. Tostate bene il pane e dimezzatelo in diagonale. Scolate gli asparagi
e fateli sgocciolare bene. Servite il toast, gli
asparagi e il pollo con l’insalata. Guarnite con
il crescione.
200 km
Tempo di preparazione
ca. 25 minuti
Per persona
ca. 35 g di proteine, 30 g di grassi, 14 g di
carboidrati, 2000 kJ/480 kcal
In Perù, quando ci si sposta dalla capitale Lima in direzione nord, pochi chilometri prima della città di Trujillo il paesaggio
desertico
si
trasforma
all’improvviso: la desolazione di sabbia
e pietre color ocra, delimitata a ovest dal
Pacifico e a est dalle Ande, si trasforma
in un mare di verde: una distesa di
campi di asparagi a non finire.
Con un fatturato di 532 milioni di dollari statunitensi, il Perù è il maggior
esportatore di asparagi al mondo. La cittadina coloniale di Trujillo, un tempo
sonnacchiosa, conta oggi un milione di
abitanti, di cui circa 60’000 si guadagnano da vivere coltivando asparagi, che
sul povero terreno sabbioso e nel clima
costantemente caldo della costa peruviana prosperano benissimo.
Enrico Antonini, 49 anni, è acquisitore
di conserve per la Migros ed è un autentico pioniere in fatto di Fairtrade. Viaggia in tutto il mondo per trovare nuovi
produttori Fairtrade per frutta e verdura
in scatola. «Spesso devo fare opera di
convinzione per far capire ai contadini
Il marchio Fairtrade per
prodotti coltivati in modo
sostenibile e commerciati in modo equo permette alle famiglie dei
piccoli contadini nonché
alle lavoratrici e ai lavoratori nei paesi emergenti e
in via di sviluppo di godere di condizioni di vita
migliori. Ulteriori informazioni sul sito: www.maxhavelaar.ch
* Disponibile come articolo Faritrade
che Migros è un partner affidabile. Proprio in Perù i contadini non sono molto
propensi ai cambiamenti e all’inizio temono un impegno eccessivo», afferma
Antonini.
Negli anni 70 in Perù ci fu un’importante riforma territoriale con l’esproprio
di tutti i grandi proprietari fondiari. La
terra venne suddivisa fra i lavoratori e a
poco a poco, particolarmente attraverso
le eredità, finì in possesso di piccoli con-
Enrico Antonini dialoga con i contadini della cooperativa Faitrade Ceprovaje.
«Spesso devo
convincere i contadini
che ne vale la pena»
Enrico Antonini, acquisitore di prodotti
in scatola di Migros.
tadini. Il reddito della coltivazione di
queste superfici relativamente piccole è
modesto e per i contadini non è facile lavorare in modo effciente e affermarsi
contro i grandi produttori.
Con la fondazione di cooperative, i contadini creano una premessa per la certificazione Fairtrade, che li aiuta a conquistare una posizione più forte sul
mercato. «Grazie alla certificazione ho
uno smercio garantito del prodotto attraverso la società di lavorazione Sociedad Agricola Viru SA e Migros. Ciò mi
permette di pianificare a lungo termine
e mi dà sicurezza», dice Reyes Artega,
coltivatore di asparagi e membro della
cooperativa Ceprovaje.
Ottimizzazione dell’azienda e premi
Fairtrade
La comunità organizzata in questo
modo sostiene lo sviluppo economico e
sociale delle aziende coinvolte. I suoi
membri si aiutano reciprocamente, non
soltanto scambiandosi le rispettive esperienze, ma anche i macchinari stessi e gli
apparecchi per la lavorazione. Oltre a
questo possono approfittare di un premio Fairtrade che è utile alla Cooperativa. Nel caso dei coltivatori di asparagi
di Trujllo, si finanziano bilance e fertilizzanti. Collaboratori di Fairtrade impartiscono lezioni di agronomia. I futuro sono previste formazioni specifiche
su temi quali la potabilizzazione dell’ac-
qua di fiume o l’ottimizzazione dell’azienda attraverso l’informatica e l’uso
di Internet.
Due volte all’anno si raccolgono asparagi verdi
Per gli asparagi verdi lavorano 57 fattori
attorno a Trujillo. Due volte all’anno, in
maggio e giugno così come da ottobre a
dicembre, è tempo di raccolta. La produttività si aggira sulle dodici tonnellate
all’ettaro, circa tre volte quanto si raccoglie in Svizzera, dove a causa del clima si
può raccogliere solo una volta all’anno.
Coltivare asparagi significa anche commerciare asparagi. Tra l’altro bisogna
scavare solchi e sistemare tubi per l’irri-
gazione; l’acqua necessaria allo scopo è
trasportata mediante canali dalle Ande.
Durante il periodo della raccolta i lavoratori devono percorrere un campo fino
a due volte al giorno, perché l’asparago
cresce anche di otto centimetri dalla
mattina alla sera.
Dopo la raccolta, l’asparago è portato
nella fabbrica di scatolame Sociedad
Agricola Viru S.A. Già da 15 anni la Migros ritira da questo stabilimento asparagi verdi in vaso. Ora anche la lavorazione, cioè il riempimento dei vasi di
vetro, avviene nello stabilimento di
un’azienda certificata Fairtrade collegata e offre così a tutti i lavoratori coinvolti nella produzione un’interessante
vantaggio supplementare. Circa sei settimane dopo la raccolta l’asparago
giunge in Svizzera; il trasporto avviene
su nave. La sua conservabilità è di circa
quattro anni. Ogni anno, sugli scaffali
della Migros arrivano 350’000 vasi Fairtrade con asparagi verdi.
«Siamo continuamente alla ricerca di
nuovi produttori. Per i contadini, Fairtrade in scatola è una possibilità in più di
esportare e di guadagnare di più», afferma Antonini, dopo che una volta ancora ha potuto convincersi sul posto che
il commercio equo migliora effettivamente a lungo termine le condizioni di
vita dei coltivatori.
L’attuale offerta Migros di scatolame da
commercio equo comprende mango,
litschi, ananas, asparagi verdi, cuori di
palma, cuori di carciofo e latte di cocco.
E ne seguiranno ancora altri. / Anette
Wolffram Eugster
Parte di
Generazione M è simbolo
dell’impegno sostenibile
della Migros Fairtrade Max
Havelaar ne fornisce un
prezioso contributo.
• M-Classic Fairtrade
asparagi verdi
100 g Fr. 1.90
• M-Classic Fairtrade
cuori di carciofo
240 g Fr. 3.40
• Sun Queen Fairtrade
fette di mango
250 g Fr. 1.70
• M-Classic Fairtrade
cuori di palma
220 g Fr. 3.20
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
52
Idee e acquisti per la settimana
Per guadagnare punti
Gli ovetti punteggiati addolcisono la Pasqua. Quest’anno c’è una nuova, fruttata Limited Ediltion
Gli ovetti di cioccolato della Chocolat
Frey sono un prodotto di culto. Per
un regalo si prestano in particolare le
grandi uova di metallo, che esistono
nelle varianti Extra, Pralinor, Torrone
o Mocca. Inoltre tre novità sono
giunte ad arricchire l’assortimento.
Le prime due faranno la gioia del golosoni, che potranno gustarsi le varietà Pralinor e Extra anche in grandezza maxi. L’altra è costituita dalla
Limited Edlition Blueberry, che presenta un nuovo gusto. Era stata scelta
a Pasqua dell’anno scorso dagli utenti
di Migipedia, e dal 25 marzo su
www.migipedia.ch si potrà già votare
per la Limited Edition 2015. Questa
volta si potrà scegliere fra cocco, cranberry e frutto della passione. / Dora
Horvath; foto Claudia Lins
Ecco le novità:
gli ovetti
Blueberry
e le maxiuova
Extra
e Pralinor.
Il giudizio dei lettori
Patricia Egresits, 37 anni,
di Zurigo, specialista in cure
Gli ovetti punteggiati sono da sempre la mia leccornia pasquale preferita.
Sono cremosi e buonissimi. La varietà
Blueberry fa già pregustare l’estate.
Per me sono un tantino troppo dolci.
Varietà preferita: quelli gialli coi puntini rossi: Torrone.
Vorreste provare anche voi il cioccolato
e dare il vostro giudizio in merito?
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Svizzera, sacchetto da 1 kg
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prodotti in Ticino, imballati, per 100 g
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prodotti in Svizzera con carne del Brasile, 2 x 500 g
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Spagna, al pezzo
Mirtilli
Cile / Spagna, in conf. da 125 g
Caseificio Leventina
prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg
Spezzatino di manzo, TerraSuisse
Svizzera, imballato, per 100 g
Tutto il lesso di manzo
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imballato, per 100 g
Salame della festa del papà Rapelli
Svizzera, pezzo da 640 g
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Italia, rete da 2 kg
Formentino Anna’s Best in conf. da 2
2 x 100 g
Tulipani ton sur ton
mazzo da 20, il mazzo
Fettine di tacchino
importate dall’Unione Europea, imballate,
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Filetti di merluzzo, MSC
pesca, Atlantico nordorientale, per 100 g,
fino al 15.3
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Società Cooperativa Migros Ticino
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Pizza M-Classic in conf. da 4
per es. del padrone, 4 x 370 g
Tutti i cake e i biscotti M-Classic
20% di riduzione, per es. cake al cioccolato*, 700 g
Tutti gli articoli pasquali in PET Frey Bunny
Family e le uova Babushka Frey, UTZ
per es. Bunny al latte, 170 g
Tutti i sofficini M-Classic
surgelati, 20% di riduzione, per es. sofficini
al formaggio, 10 pezzi
ChocMidor Rocher o Carré in conf. da 3
per es. Carré, 3 x 100 g
Tondelli di riso o di mais in conf. da 3
per es. tondelli di riso con cioccolato, 3 x 100 g
30%
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2.10 invece di 3.–
4.90 invece di 5.90
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Mortadella Beretta affettata
Italia, per 100 g
Uova svizzere
da allevamento al suolo, 15 pezzi da 53 g+,
15% di riduzione
Tutti gli ovetti di cioccolato Frey, UTZ,
in sacchetto da 500 g
per es. ovetti Pralinor e Giandor, assortiti
Tutti i succhi Gold in confezioni da 1 l
e da 3 x 25 cl
20% di riduzione, per es. multivitaminico, 1 l
Tutta l’acqua minerale Aquella
in conf. da 6 x 1,5 l
20% di riduzione, per es. Aquella blu
Ravioli, polpette di carne, purea di mele o crema
di pomodoro Bischofszell in conf. da 3
per es. purea di mele Jonagold*, 3 x 300 g
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5.30 invece di 6.60
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Fiori agli spinaci e alla ricotta Anna’s Best
in conf. da 2, aha!
2 x 200 g, 20% di riduzione
Tutti i cornetti al burro precotti, refrigerati,
in conf. da 2
25% di riduzione, per es. 2 x 6 pezzi, 2 x 210 g
Barrette ai cereali Farmer in conf. da 2
20% di riduzione, per es. Soft Choc alla mela,
2 x 290 g
Graneo e Corn Chips Zweifel in busta grande
per es. Graneo Original, 225 g
Tutti i sughi e le salse di pomodoro Salsa
all’italiana
20% di riduzione, per es. salsa Napoli, 250 ml
Tutte le minestre in bustina Knorr in conf. da 3
20% di riduzione, per es. zuppa Cuore d’avena,
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tovaglie in rotolo di carta Cucina & Tavola e Duni
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da 2, 2 x 100 g 5.60 invece di 7.–
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da 1 kg 1.50
Finocchi, Italia, al kg 2.60
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Sudafrica / Cile / India,
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Arance sanguigne, Italia,
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Mirtilli, Cile / Spagna, in conf.
da 125 g 2.30 invece di 2.90 20%
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secca / pancetta cruda / coppa),
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Carne di manzo macinata, Svizzera,
al kg 9.80 invece di 17.– 40%
Nuggets di pollo Don Pollo, prodotti
in Svizzera con carne del Brasile,
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Tutti i tipi di sushi, per es. bio,
salmone da allevamento in Irlanda,
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Rica, 130 g 9.50 invece di 11.90 20% *
Luganighetta, Svizzera, imballata,
per 100 g 1.40 invece di 2.– 30%
Salametti a pasta grossa,
prodotti in Ticino, imballati,
per 100 g 2.65 invece di 3.85 30%
Spezzatino di manzo, TerraSuisse,
Svizzera, imballato, per 100 g
1.95 invece di 2.80 30%
Tutto il lesso di manzo, Svizzera,
per es. lesso magro, TerraSuisse,
imballato, per 100 g
1.95 invece di 2.70 25%
Cordon-bleu di maiale,
Svizzera, imballati, per 100 g
2.35 invece di 3.40 30%
Fettine di tacchino, importate
dall’Unione Europea, imballate,
per 100 g 1.55 invece di 1.95 20%
Filetti di merluzzo, MSC, pesca,
Atlantico nordorientale, per 100 g
2.15 invece di 3.10 30% fino al 15.3
Filetto di pesce persico, Polonia,
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3.90 invece di 4.90 20% fino al 15.03
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Tutti gli yogurt Bifidus, per es. al
mango, 150 g –.65 invece di –.85 20%
Tutti i Crème Dessert da 6 x 125 g,
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porzioni, 100 g 1.90 NOVITÀ *,** 20x
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2 x 150 g 2.40 invece di 3.– 20%
Grigliata Lucana, pomodori
Pugliesi e olive Siciliana Polli,
per es. pomodori Pugliesi, 535 g 6.40
Caseificio Leventina,
prodotto in Ticino, a libero servizio,
al kg 19.50 invece di 24.35
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Tulipani ton sur ton, mazzo da 20,
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Narcisi Tête-à-Tête 1.– di riduzione,
in vaso da 10 cm, la pianta
2.80 invece di 3.80
Tutti i bulbi di fiori primaverili,
per es. mughetti 7.– invece di 8.80
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Articoli Kinder Ferrero in confezioni grandi e multiple, per es. barrette
Kinder, 18 pezzi 4.40 invece di 4.65
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con soggetto primaverile, UTZ,
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finissimo o Noxana, per es. cioccolato al latte finissimo, 3 x 100 g
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Tutti gli ovetti di cioccolato Frey,
UTZ, in sacchetto da 500 g,
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in conf. da 3, per es. Carré,
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in conf. da 2, per es. al limone,
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in conf. da 3, per es. zuppa Cuore
d’avena, 3 x 75 g 4.90 invece di 6.30
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refrigerati, in conf. da 2,
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
62
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
Idee e acquisti per la settimana
Un patto con la natura
Walter Heiniger,
contadino IP-Suisse,
è fieramente convinto:
«La carne dei vitelli
che godono di aria
fresca e spazi aperti
è senza dubbio
migliore».
Allevamenti con spazi all’aperto per respirare tanta buona aria fresca, campi di cereali
con piccole superfici fiorite e promozione della biodiversità: sono circa 10’000 i contadini
legati al programma IP-Suisse, che si impegnano così a praticare un’agricoltura in sintonia
con la natura. Alla Migros i loro prodotti si riconoscono dal marchio TerraSuisse
Walter Heiniger (44), alleva vitelli a
Weier nell’Emmental e ogni volta che
entra nella stalla pensa a undici anni fa,
quando decise di ristrutturarla; una
scelta più che mai azzeccata: «Da
quando i miei dieci vitelli dispongono
di maggior spazio all’aperto e hanno
così la possibilità di scorazzare allegramente all’aria fresca, sono molto più
robusti e meno soggetti a malattie». Se
allora era ancora considerato un visionario, oggi la sua opzione è diventata
una direttiva, che gli agricoltori IPSuisse devono realizzare entro la fine
dell’anno. Ciò per incrementare notevolmente il benessere degli animali.
E non è l’unica misura dettata al fine di
rispettare al meglio le esigenze degli
TerraSuisse è simbolo
di un’agricoltura in sintonia con la natura, rispettosa degli animali.
Il marchio della sostenibilità si basa sulle linee
direttive di IP-Suisse,
l’associazione svizzera
dei contadini che producono in modo integrato, che conta
12’000 membri.
Ulteriori informazioni
sul sito
www.migros.ch/terrasuisse
animali, anche l’adattamento dell’alimentazione è basilare a tale scopo.
Ogni vitello riceve, così, almeno 1000
litri di latte fresco oltre a fieno e acqua a
volontà. Un piano nutrizionale che influisce considerevolmente sulla qualità
della carne, poiché il fieno ne incrementa il tenore di ferro. A lungo si è ritenuto che la carne di vitello dovesse essere tendenzialmente chiara. Oggi,
però, si sa che la carne che offre un
maggior contenuto di ferro – e quindi
più pregiata - ha un colore tendenzialmente rosato. La carne di vitello di
Walter Heiniger, fornitore Migros, risponde a tutte le esigenze del programma ed è perciò contrassegnata
con il marchio TerraSuisse, come d’al-
tronde già il 91 percento della carne di
vitello proposta dal maggior dettagliante svizzero.
Direttive più severe di quelle previste
dalla Confederazione
Walter Heiniger e i suoi colleghi IPSuisse possono tranquillamente sostenere di allevare nel pieno rispetto di direttive addirittura più severe, rispetto a
quelle dettate dalla legislazione della
protezione degli animali svizzera. E lo
stesso Heiniger è convinto che ad approfittare del benessere dell’animale
alla fine è lo stesso consumatore: «La
carne dei vitelli che godono di aria fresca e spazi aperti è senza dubbio migliore».
• Entrecôte
di manzo
TerraSuisse
100 g, al prezzo
del giorno
• Bratwurst
di vitello
TerraSuisse
280 g Fr. 5.40
• Fettine lonza
di maiale
TerraSuisse
100 g, al prezzo
del giorno
• Medaglioni
di rösti
TerraSuisse,
surgelati
500 g Fr. 5.40*
Illustrazioni Daniel Kellenberger, Peter Mosimann, Veronika Studer
* in vendita nelle
maggiori filiali Migros
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 10 marzo 2014 • N. 11
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Idee e acquisti per la settimana
Bramata Polenta
500 g Fr. 1.80*
Olio di colza
50 cl Fr. 3.35
Tagliatelle
alla spelta
500 g Fr. 4.95*
Treccia al burro
500 g Fr. 3.30
* nelle maggiori
filiali.
«Nei campi di cereali non pianto ogni anno
la stessa cosa, bensì punto sulla rotazione
delle colture e il riposo del terreno»
Martin Tanner, coltivatore di cereali IP-Suisse
Il lavoro di un contadino non è mai noioso. Nessun anno assomiglia al precedente; infatti non si sa mai, quando si potranno raccogliere cereali, frutta o patate.
Un agricoltore si deve affidare alla natura
e ciò vale anche per i coltivatori IP-Suisse.
Lo sanno bene, che per ottenere i risultati
migliori e offrire prodotti degni di questo
marchio sinonimo di sostenibilità, si devono seguire le regole dettate da madre
natura e non lottare contro di lei. Le condizioni imposte da IP-Suisse, l’associazione svizzera degli agricoltori a produzione integrata, sono molto severe. Vieta
ad esempio l’uso di insetticidi e fungicidi
chimici, nonché di regolatori della crescita. Il cinquantacinquenne Martin
Tanner, come i contadini legati al programma si impegnano inoltre a promuovere la biodiversità. Ciò significa che favoriscono la varietà di piante e animali. I
coltivatori conoscono bene, ad esempio,
l'importanza fondamentale del lavoro
svolto dalle api, con l’impollinazione
delle piante. Purtroppo, però, indagini
Martin Tanner, coltivatore di cereali di
Bolligen BE, controlla il grado di maturazione del grano.
Promuovere la varietà
I coltivatori di cereali IP-Suisse rinunciano
all’uso di insetticidi, fungicidi e regolatori
della crescita e puntano sulla biodiversità. Un
particolare che si rivela, ad esempio, nella semina puntuale di fiori selvatici nel bel mezzo
dei campi di cereali, al fine di creare un piccolo paradiso per la nidificazione delle allodole (ill. a destra). Gli agricoltori piantano
inoltre siepi o dispongono mucchi di pietre ai
margini delle coltivazioni per offrire l’habitat
ideale a tanti insetti, rettili e uccelli e combattere così possibili parassiti in modo del tutto
naturale.
Martin Tanner è contento della qualità del suo frumento.
scientifiche hanno svelato che, negli ultimi anni, in Svizzera, coltivazioni monotone e l’impiego di pesticidi hanno portato alla moria di intere popolazioni di
api. I contadini IP-Suisse si impegnano,
perciò, ad offrire loro l’habitat ideale e attirare e invitare a restare queste preziosissime assistenti naturali.
Pregiati cereali per le migliori preparazioni
Nell’ambito del progetto Generazione M,
la Migros promette di offrire entro fine
anno solo insetticidi e fitosanitari rispettosi delle api. È infatti risaputo, che proprio negli orti e nei giardini privati e sulle
terrazze di casa vengono impiegate sostanze che potrebbero risultare dannose
per questi preziosi insetti. I contadini IPSuisse, che producono per TerraSuisse,
danno il buon esempio, creando biotopi
per piante e animali rari. E i risultati si vedono; con le loro particolari caratteristiche, convincono, infatti, anche i panettieri Migros. Così nasce un buon pane.
Piantando costantemente la stessa varietà di cereali s’impoverirebbe il terreno.
Per evitare ciò, gli agricoltori si impegnano a variare il tipo di coltivazione o a
concedere ai campi un periodo di riposo.
Ciò significa che seminano una miscela
di erbe e fiori e lasciano che il terreno si
rigeneri con essa per un intervallo che va
dai due ai sei anni, in modo che sia nuovamente fertile per l’anno successivo. Per
molti coltivatori questa è la miglior compensazione ecologica possibile. In questo
modo gli oltre 10 000 contadini, che
hanno scelto di lavorare in sintonia con la
natura, formano le basi per un’agricoltura moderna. / Claudia Schmidt
Parte di
Generazione M è il nome del
programma testimone dell’impegno Migros a favore
della sostenibilità. E TerraSuisse offre un importante
contributo.
Proteggere
le api
Nell’ambito del progetto Generazione M,
la Migros promette di
offrire entro fine 2014
solo insetticidi e fitosanitari rispettosi delle
api. In qualità di cliente
Migros, si ha ora la
possibilità di garantire
a questi preziosi insetti
un’alimentazione variata, piantando nel
proprio giardino o nelle
cassette sul balcone
di casa piante particolarmente ricche di polline. Un vero e proprio
«campo per api» insomma. Ordinate ora il
vostro sacchetto di sementi di fiori su
www.generationm.ch/api.
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Idee e acquisti per la settimana
Piatti tradizionali svizzeri
subito in tavola
Nessun trambusto, niente caos in cucina: quando si è di fretta, Bischofszell offre gustose alternative ai piatti fatti in
casa. Pratici e assolutamente privi di esaltatori del sapore, aromi o coloranti
Bischofszell rösti al burro
400 g Fr. 1.70 invece di 2.60
Bischofszell mousse di mele
Jonagold
3 x 300 g Fr. 5.– invece di 7.50
Bischofszell zuppa di pomodori
3 x 420 g Fr. 5.80 invece di 8.70
In vendita nelle maggiori filiali Migros.
Azione valida dall’11 al 17.3
Quando lo stomaco
brontola, il classico
menu è subito servito.
Convenience è sinonimo di praticità.
Una parola che ben si addice ai prodotti
della Bischofszell. Quando manca
tempo e voglia, oppure semplicemente
si vuole mangiare bene senza dover
stare troppo a lungo in cucina, gli appetitosi piatti pronti della nostra tradizionale marca sono un’ottima soluzione. I
piatti si conservano a lungo senza refrigerazione – grazie ad un trattamento
termico – è sono veloci da preparare.
Tuttavia si distinguono chiaramente
dai prodotti pronti convenzionali.
Le materie prime principali provengono dalla Svizzera
Le ricette sono di qualità, le materie
prime principali come patate, mele,
carne o panna sono di origine svizzera, e anche la produzione avviene
nel nostro paese. Sostanze aggiuntive
come esaltatori del sapore, aromi e coloranti artificiali, sono praticamente
abolite del tutto: sono presenti sostanze aromatiche solo sotto forma di
estratti di spezie.
La zuppa di pomodori è raffinata con
panna, i rösti sono al burro, mentre la
mousse di mele nel vasetto richiudibile
è costituita di una sola varietà e non
contiene zucchero cristallizzato. /
Anna Bürgin; foto & styling Claudia
Linsi
L’industria Migros produce numerosi
prodotti molto apprezzati, tra cui gli alimenti
della Bischofszell.
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Idee e acquisti per la settimana
Ice, ice, Baby!
Quando si tratta di festeggiare, le cose non si fanno certo a metà. Con un’eccezione: il nuovo tè freddo Tencha
Half & Half
Non ci vuole molto per organizzare un
piccolo party casalingo: basta chiamare un paio di amici, invitare anche i
vicini per mantenere buoni rapporti e
tirar fuori la vecchia collezione di vinili. A questo punto manca solo
l’amico DJ con il suo giradischi e la
festa Oldschool-Disco da appartamento può iniziare.
Bere molto:
ballando intensamente
si perdono ogni ora
quasi due litri di liquidi.
Fifty-fifty: mixami qualcosa di tè e limonata
Chi si lancia nei balli più sfrenati ovviamente perde molti liquidi attraverso il sudore; di conseguenza è importante bere molto, preferendo le
bevande senz’alcol. La novità dell’assortimento Tencha mette d’accordo
sia gli amanti del tè freddo sia i fan
della limonata: la nuova bibita Half &
Half Lemonade & Black Tea contiene
gli ingredienti base del migliore tè
freddo, dove al classico tè nero viene
aggiunto del rinfrescante succo di limone per un dissetante piacere senza
fine. Inoltre la nuova bibita si presenta
in una nuova, graziosa bottiglia. La
novità firmata Tencha è la quinta della
serie: l’assortimento comprende già
Green Tea with Honey, Green Tea Pomegranate, White Tea Blueberry e
White Tea fiori di sambuco. / Nicole
Ochsenbein; foto Markus Bertschi;
styling Mirjam Kaeser
Tencha Lemonade
& Black Tea
50 cl Fr. 1.60
Tencha Green
Tea with Honey
50 cl Fr. 1.50
Tencha White
Tea Blueberry
50 cl Fr. 1.50
Tencha Green
Tea Pomegranate
50 cl Fr. 1.50
In vendita
nelle maggiori
filiali Migros.
L’industria Migros produce numerosi
prodotti molto apprezzati, tra cui i tè
freddi Tencha.
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OLTRE 4 MILIONI DI ACQUISTI DIMOSTRANO CHE
LA MIGROS È PIÙ CONVENIENTE DELLA COOP.
In collaborazione con l’Istituto di ricerche di mercato indipendente LP, dall’11 al 17
febbraio 2014 abbiamo ripetuto il più grande confronto di prezzi nel settore del
commercio al dettaglio svizzero, prendendo in considerazione oltre 5000 articoli.
Nell’ambito di questo studio oltre 4 milioni di acquisti, realmente effettuati,
sono stati messi a confronto con acquisti avvenuti alla Coop. Il risultato?
Facendo la spesa alla Migros si risparmia l’11,6%. È quindi dimostrato ciò che
i nostri clienti sanno da sempre: LA MIGROS È SEMPRE PIÙ CONVENIENTE.
MGB www.migros.ch W
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