ISTITUZIONI Alla Gaiola la boa che raccoglie i dati marini Matania a pag.4 GLOBAL WARMING Fauna marina contro cambiamento climatico Cinquecento i milioni di tonnellate di carbonio annuali assorbite ogni anno dalle specie marine. Un dato che equivale a circa 1.500 milioni di tonnellate di anidride carbonica: è il risultato emerso da una ricerca commissionata dalla Global Ocean Commission. Esposito a pag.8 SCIENZA & TECNOLOGIA La grande ascesa delle rinnovabili nell’UE Grazie ad una crescita più sostenuta del previsto, i paesi dell'Unione Europea sono in anticipo sull'obiettivo di coprire entro il 2020 il 20% del proprio fabbisogno con energia prodotta da fonti rinnovabili. L’Ispra ha dato il via alla ricerca del deposito nazionale Scorie nucleari: dove smaltirle? A breve in Italia si dovrà procedere allo smantellamento delle centrali nucleari, degli impianti di produzione del combustibile nucleare e degli impianti di ricerca del ciclo del combustibile nucleare di: Trino (VC), Caorso (PC), Latina (LT), Garigliano (CE), Bosco Marengo (AL), Saluggia (VC), Casaccia (RM) e Rotondella (MT), nonché ad avviare le attività di chiusura del ciclo del combustibile nucleare. Ci ritroveremo, così, dinnanzi a circa 55.000 metri cubi di rifiuti radioattivi (di cui buona parte a media e bassa attività) da smaltire. Ma dove, dal momento che attualmente nella Penisola non esiste alcun deposito nucleare? Martelli a pag.2 Legambiente al Governo: ecco il dossier “#Sbloccafuturo” La tecnica naturale del fitorisanamento Il Governo “chiama”, Legambiente risponde. In vista del decreto “Sblocca Italia” voluto dal premier Matteo Renzi, l’Associazione lancia il dossier “SbloccaFuturo” nel quale segnala 101 piccole e medie opere incompiute, procedimenti fermi da anni, per ritardi o inconcludenze di settori diversi della Pubblica Amministrazione. La tecnica naturale del fitorisanamento - più comunemente nota come fitodepurazione - consente il recupero ambientale di zone umide inquinate mediante l’innesto di determinate piante, dette “minatrici”, in grado di nutrirsi di metalli pesanti e di composti organici, liberando progressivamente il terreno dalla loro presenza. Si tratta di una delle “best practice” attualmente più interessanti ed utilizzate nell’ambito della riqualificazione paesaggistica. Liguori a pag.3 Maisto a pag.9 AMBIENTE & SALUTE Combattere gli stati depressivi con l’ecoterapia Palumbo a pag.11 AMBIENTE & TRADIZIONE AMBIENTE & CULTURA L’industria tessile e manifatturiera nelle Due Sicilie Gervasio di Tilbury a Napoli L’industria tessile era certamente tra quelle più sviluppate del Regno. La lavorazione domestica di lane e cotoni, del resto, era diffusa fin dal periodo medievale e quasi in ogni casa nelle zone agricole si poteva trovare un telaio. Clemente a pag.13 De Crescenzo-Lanza a pag.14 Terzi a pag.15 LAVORO & PREVIDENZA Le riforme del Governo Il lavoro del Governo, relativamente alla riforma della Pubblica Amministrazione, è quasi completato. Tra le altre cose si prevede, a far data dal primo settembre... Ferrara a pag.18 NATUR@MENTE La chiave della vera felicità Felicità… quanti desideri, quante emozioni, quante speranze può contenere una parola così piccola, una parola così insignificante all’ apparenza ma così difficile nella realtà. Tafuro a pag.19 Scorie nucleari: dove smaltirle? L’Ispra ha dato il via alla ricerca del deposito nazionale Giulia Martelli mento l’Ispra identifica almeno 15 aree di esclusione: le prime da escludere, ovviamente, sono quelle vulcaniche, attive o dormienti. Niente Deposito quindi nelle vicinanze dell’Etna, Stromboli, Colli Albani, Campi Flegrei, Ischia, Vesuvio, Lipari, Vulcano, Panarea, Isola Ferdinandea e Pantelleria. Neppure, altrettanto ovviamente, in aree sismiche o interessate da fenomeni di fagliazione; in quelle soggette a frane e inondazioni o in fasce fluviali o in depositi alluvionali preistorici; al di sopra di un altitudine di 700 metri (orografia complessa, piogge elevate) o con pendenze superiori al 10%. E ancora: sino alla distanza di 5 Km dalla costa; in zone carsiche o vicine a sorgenti o a Parchi nazionali o luoghi di interesse naturalistico; ad «adeguata distanza» dai centri abitati; ad almeno 1 Km da autostrade, strade statali o linee ferroviarie; assolutamente non nei pressi di attività industriali, dighe, aeroporti, poligoni militari; lontane da zone di sfruttamento minerario (gas e petrolio inclusi). Insomma, una lista lunga e articolata consegnata alla Sogin, che su di essa dovrà lavorare. Resta comunque il problema delle scorie più pericolose (cosiddette di «terza categoria») che sono state mandate in Francia e in Gran Bretagna negli anni scorsi per essere «riprocessate» e che dal 2019 dovranno tornare in Italia in base agli accordi con la Francia del 2006 (allo stato disattesi) secondo cui l’Italia avrebbe dovuto dotarsi anche di un sito per l’alta intensità… Ma questa è un’altra storia… A breve in Italia si dovrà procedere allo smantellamento delle centrali nucleari, degli impianti di produzione del combustibile nucleare e degli impianti di ricerca del ciclo del combustibile nucleare di: Trino (VC), Caorso (PC), Latina (LT), Garigliano (CE), Bosco Marengo (AL), Saluggia (VC), Casaccia (RM) e Rotondella (MT), nonché ad avviare le attività di chiusura del ciclo del combustibile nucleare. Ci ritroveremo, così, dinnanzi a circa 55.000 metri cubi di rifiuti radioattivi (di cui buona parte a media e bassa attività) da smaltire. Ma dove, dal momento che attualmente nella Penisola non esiste alcun deposito nucleare? Ebbene, dopo circa un quarto di secolo qualcosa si sta muovendo, e le regioni hanno iniziato a tremare: l’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale), infatti, ha pubblicato qualche giorno fa un documento di 12 pagine contenente le regole tecniche che dovranno essere prese in considerazione dalla Sogin (la società pubblica che gestisce lo smantellamento delle vecchie centrali) per delineare la mappa delle aree «potenzialmente idonee» ad accogliere i rifiuti radioattivi a bassa e media intensità: più o meno tra 60 e 90 mila metri cubi di scorie, che «decadono» (ovvero dimezzano le loro emissioni radioattive) in un periodo tra una trentina e un centinaio di anni. Ma quali sono i criteri che consentiranno di arrivare alla scelta del sito adatto? Nel suo docu- Entro ottobre si potranno presentare nuovi progetti "LIFE PLUS" CHIAMA... 3,4 MILIARDI DI EURO FINO AL 2020 Angelo Morlando LIFE PLUS o LIFE+ è il fondo per l’Ambiente dell’intera Unione Europea, la cui Commissione ha già approvato il finanziamento di ben 225 progetti per un totale di circa 600 milioni di euro, di cui circa 300 finanziati proprio dalla UE. A breve si aprirà la "chiamata" ("the call") che permetterà l'inserimento delle ulteriori proposte progettuali fino al 2020. I progetti prevedono interventi per la tutela della natura, per i cambiamenti climatici, per le tecnologie pulite, per le politiche ambientali e per l’informazione e la comunicazione. I progetti "LIFE + Natura e biodiversità" permettono di migliorare lo stato di conservazione delle specie e degli habitat in pericolo. I progetti "LIFE+ Politica e governance ambientali" sono progetti pilota che contribuiscono a migliorare le politiche apportando idee, tecnologie, metodi e strumenti innovativi. I progetti "LIFE+ Informazione e comunicazione" puntano a dare maggiore visibilità alle tematiche ambientali e a divulgare informazioni in materia e saranno realizzati in Austria, Cipro, Grecia, Ungheria, Polonia e Romania. Il 19 marzo scorso, inoltre, è stato adottato il nuovo Programma di lavoro pluriennale. La decisione della Commissione è arrivata dopo aver ricevuto un parere positivo del comitato per il Programma per l'ambiente e l’azione per il clima. Il bilancio totale per il finanziamento di progetti durante il periodo coperto ammonta ad un miliardo e 100 milioni di Euro per il sottoprogramma dell'ambiente e circa 360 milioni di euro per il sottoprogramma del clima. La Commissione Europea ha stabilito, per la pubblicazione del prossimo bando del programma LIFE, una scadenza provvisoria per il prossimo settembre–ottobre 2014. Sarà il primo bando nel quadro del nuovo programma e l'invito riguarderà i progetti 'tradizionali', progetti preparatori, progetti integrati, progetti di assistenza tecnica e progetti di rafforzamento delle capacità. La Commissione ha evidenziato e ricordato che i progetti "tradizionali" significano "best-practice/demonstration/pilot/ information" ossia progetti analoghi a quelli attualmente già finanziati. Il tutto è stabilito dal Regolamento (UE) n. 1293/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio che ha abrogato il precedente Regolamento (CE) n. 614/2007. Fonte: http://ec.europa.eu/environment/life/funding/life2014/index.htm Legambiente al Governo: ecco il dossier “#Sbloccafuturo” 101 opere incompiute da cui ripartire per risanare il territorio italiano Fabiana Liguori Il Governo “chiama”, Legambiente risponde. In vista del decreto “Sblocca Italia” voluto dal premier Matteo Renzi, l’Associazione lancia il dossier “SbloccaFuturo” nel quale segnala 101 piccole e medie opere incompiute, procedimenti fermi da anni, per ritardi o inconcludenze di settori diversi della Pubblica Amministrazione. La selezione, che rappresenta solo un primo blocco, considerando l’enorme mole di “situazioni irrisolte” in Italia, è stata realizzata in base a criteri di utilità effettiva per il territorio e i cittadini, di miglioramento della sicurezza sismica, idrogeologica e sanitaria (bonifiche, depuratori, riqualificazione urbana, abbattimento di manufatti abusivi, impianti rifiuti) e dei trasporti. Con la presentazione delle prime 101 opere #sbloccafuturo, Legambiente lancia un invito a tutti i sindaci ed apre un tavolo di lavoro comune: bisogna essere pronti e tempestivi nel segnalare al Governo tutti gli ostacoli che, soprattutto nel proprio territorio di pertinenza, bloccano le opere utili alla comunità, e indicare tutto quello che davvero serve al Paese per intraprendere un nuovo e significativo percorso di sviluppo. Senza questi 101 “fantasmi”, infatti, l’Italia sarebbe di certo un paese migliore, più sano, efficiente e sicuro. Cosa che oggi, purtroppo, non è. Determinare di chi siano le colpe è quasi impossibile, considerando che le responsabilità di questi e tanti altri scempi cadono su tutta la scale dei livelli istituzionale. Guardare adesso indietro, forse, sarebbe solo un ulteriore perdita di tempo. Ora è necessario, intervenire e risanare il territorio. L’oscar del paradosso, tra le 101 “tristezze italiane” se lo aggiudicano a pari merito il progetto dell’idrovia Padova-Venezia, avviato solo nel 1963 e l’albergo sulla scogliera di Alimuri, a Vico Equense, la cui procedura di abbattimento è partita anch’essa nel 1963 con la dichiarazione di difformità del manufatto rispetto all’autorizzazione concessa. Ma qualcosa, a distanza di anni, si muove. A luglio sarà convocata la conferenza di servizi per l’approvazione del pro- getto definitivo di demolizione con l’assunzione di tutti i pareri ambientali e di sicurezza. Speriamo bene. Le altre segnalazioni in Campania riguardano: la rete della Circumvesuviana che, a seguito di forti criticità gestionali, potrebbe finalmente uscire dal tunnel e tornare a “vivere” grazie a diverse manovre istituzionali messe in atto negli ultimi anni, e alla disponibilità di alcuni fondi europei FAS. Il rispetto del Patto di Stabilità, però, impedisce l’effettivo utilizzo e dirottamento degli stessi per la realizzazione delle opere necessarie. Poi ancora, in elenco, il nodo rifiuti. Nel particolare è già evidente un fabbisogno di impianti di trattamento della frazione organica proveniente dalla raccolta differenziata. Degli 11 impianti previsti, 3 sono attivi, mentre per 8 risultano in vario grado avviate le procedure. Per 2 impianti sono previsti finanziamenti della Regione Campania, per i restanti 6 il ricorso alla formula dell’appalto in concessione che prevede la progettazione esecutiva, la realizzazione e la gestione per un certo numero di anni. Esistono dunque in parte già i progetti e lo stanziamento economico per i differenti impianti, il cui totale supera gli 80 milioni di Euro, ma le complessità delle procedure, talvolta le varianti al progetto originario oppure ostacoli procedurali e burocratici stanno tuttora rallentando l’iter complessivo. Come ultima, ma non per priorità, delle quattro voci campane segnalate nel dossier: la bonifica di Bagnoli-Coroglio, un’opera indispensabile per la riqualificazione e valorizzazione dell’area e dei siti contaminati (Italsider, Cementir, Eternit, e così via). Risale “solo” al 1996 la prima elaborazione del Piano di recupero ambientale della zona, da attuarsi da parte dell’ex Italsider con un finanziamento di circa 400 miliardi di vecchie lire disposto dal CIPE. Al maggio 2013 i siti svincolati e avviati a bonifica non superano il 9% del totale superficie. Tuttora le operazioni di bonifica sono bloccate per approfondimenti giudiziari e accertamenti della Magistratura. Superare le emergenze, semplificare le procedure, scongiurare le infrazioni Entra in vigore il Decreto #AmbienteProtetto Paolo D’Auria È entrato ufficialmente in vigore il decreto #AmbienteProtetto del Ministero dell’Ambiente che contiene disposizioni urgenti per la tutela dell’ecosistema. Gli obiettivi del provvedimento sono: superare alcune emergenze, semplificare le procedure e scongiurare diverse infrazioni comunitarie. Sono nove, i principali punti chiave del decreto: in primis, più risorse per l’efficienza energetica delle scuole. Finanziamenti a tasso agevolato per un importo complessivo di oltre 300 milioni verranno concessi, attraverso il fondo rotativo “Kyoto”, per incrementare l’efficienza energetica degli edifici scolastici e universitari. Ai finanziamenti si applicherà un tasso di interesse dello 0,25%. Poi ancora: procedure più veloci e semplici contro il dissesto idrogeologico. I Presidenti di Regione subentreranno, per i rispettivi territori di competenza, nelle funzioni dei Commissari straordinari delegati alla mitigazione del rischio idrogeologico e nella titolarità delle relative contabilità speciali. Il risparmio stimato è di circa 1.800.000 euro, da destinare all’esecuzione degli interventi operativi. Per semplificare e velocizzare le procedure, l’autorizzazione dei progetti rilasciata dal Governatore della Regione sostituisce tutti i visti, i pareri, le autorizzazioni, i nulla osta ed ogni altro provvedimento necessario all’esecuzione degli interventi di messa in sicurezza del territorio. I Presidenti dovranno completare gli interventi entro il 31 dicembre 2015 e pubblicare online i dati sullo stato di avanzamento dei lavori. Come terzo punto, il documento ministeriale prevede la “requisizione in uso” per gli impianti di gestione dei rifiuti. Il decreto, infatti, risolve alcune problematiche interpretative sull’applicazione dell’articolo 191 del codice dell’ambiente in merito ai poteri degli enti locali nella gestione di situazioni di crisi in tema di rifiuti: la norma di tutela viene estesa anche al caso di “grave e concreto” pericolo ancora allo stato potenziale. Gli strumenti eccezionali da utilizzare per porre rimedio alle situazioni di crisi vengono integrati con uno specifico potere di “requisizione in uso” degli impianti destinati alla gestione dei rifiuti. Un ampio spazio nel documento è riservato alla Campania: controlli più stringenti sui terreni a rischio e via al termovalorizzatore di Salerno. Si interviene con una modifica sul decreto legge “Terra dei Fuochi”, prevedendo che le analisi possano essere estese ai terreni agricoli non oggetto di indagine perché coperti da segreto giudiziario e di quelli oggetto di sversamenti resi noti a conclusione delle indagini. È stato, inoltre nominato un commissario straordinario per la realizzazione del termovalorizzatore a Salerno, che provveda alla stipula del contratto e a tutti gli adempimenti per portare a termine l’opera. Anche per chi va per mare trasportando idrocarburi nuove norme all’orizzonte: in caso di incidenti pagherà anche il proprietario del carico. Altro punto importante del decreto: una procedura semplificata per le bonifiche e la messa in sicurezza. Per i soggetti che garantiscono di poter ridurre il livello di “concentrazione soglia di contaminazione”, con un programma di interventi dai tempi certi, infatti, è previsto un procedimento di approvazione veloce, fermo restando il controllo delle Arpa sui dati tecnici e sul raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell’inquinamento. Gli ultimi tre punti chiave del provvedimento legislativo prevedono: una nuova composizione per la Commissione tecnica VIA, meno costi, più qualificazione e trasparenza, dei Piani d’azione per difendere le specie a rischio, operatività del Parco delle Cinque Terre e la Riduzione delle procedure di infrazione comunitaria in materia ambientale. Alla Gaiola la boa che raccoglie i dati marini Prevenire le inondazioni e tenere sotto controllo la qualità delle acque Domenico Matania Le acque del mare di Napoli saranno dotate di una boa oceanografica. Si tratta di un meccanismo in grado di monitorare costantemente l’andamento delle acque al fine di prevenire le inondazioni e nello stesso tempo di tenere sotto controllo la qualità del mare per verificare la balneabilità della zona. La boa è stata posizionata giovedì 12 giugno da parte del Cacciamine Milazzo per conto del Comune di Napoli (Dipartimento Ambientale, Servizio Risorse Mare). Nello specifico, la boa oceanografica è stata posizionata al largo di Posillipo, presso la “secca della Cavallara”, su un fondale di 27 metri, a circa 800 metri dalla Gaiola. Non è la prima volta che si procede a tale operazione: già nello scorso febbraio il Cacciamine Milazzo aveva posizionato la boa ma una violenta mareggiata ne aveva spezzato il cavo d’ormeggio rendendo vane tutte le operazioni di posizionamento. Oltre al coinvolgimento del Dipartimento Ambientale del Comune di Napoli, l’attività è stata svolta in collaborazione con il Dipartimento di Scienze per l’Ambiente dell’Università Parthenope e l’Arpac: al mo- mento del posizionamento della boa era presente un team di docenti e ricercatori universitari guidato dal prof. Giorgio Budillon. Comune di Napoli, Università Parthenope, Arpac e Marina Militare riuniti per far fronte al rischio di inquinamento antropico sull’intera costa napoletana, prendendo parte al S.I.M.P.A.C. Napoli, il Sistema Integrato di Monitoraggio e Protezione dell'Ambiente Costiero di Napoli. L’importanza delle boe oceanografiche (o ondametriche) è chiaramente espressa dalla descrizione dell’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale; in particolare si parla della Rete Ondametrica Nazionale come “un bene della collettività di grandissima utilità”. Inoltre l’obiettivo non è solo quello di monitorare le acque, ma sussistono scopi pratici quali la progettazione di opere costiere (porti, frangiflutti, strade, ferrovie), per studiare l'erosione delle coste e per stabilire la reale occorrenza di calamità naturali. Dal punto di vista tecnico una boa oceanografica è dotata di un ondametro direzionale accelerometrico a stato solido, di altissima precisione, TRIAXYS, di una stazione meteorologica e, in alcuni casi, di un misuratore della conducibilità elettrica dell'acqua di superficie. Inoltre sono presenti un termometro per misurare la temperatura del mare ed un corner reflector che rende visibili le boe al Radar. In Italia, quello di Napoli non è il primo caso di installazione di una boa oceanografica; secondo il sito dell’Ispra sono presenti altre quindici boe dislocate nei mari italiani, tra Mazara, Palermo, Cetraro, Alghero, Ponza, Monopoli, Civitavecchia, Ancona, La Spezia, Venezia, Cagliari. Aree marine protette: perché non a Capri? Con l’arrivo della bella stagione, le principali mete turistiche vacanziere si ritrovano a dover affrontare l’invasione di villeggianti e pendolari. La Campania ed in particolare le sue isole restano tra le mete più gettonate. Il fascino e l’appeal della sempreverde isola di Capri riescono ancora ad attrarre migliaia di turisti. Ma non è tutto oro quel che luccica. L’impatto ambientale è senza dubbio molto forte e riuscire a gestire un flusso turistico di grandi dimensioni non è impresa semplice nemmeno per un’isola da sempre dedita all’accoglienza di visitatori da tutto il mondo. Ad avere la peggio sono proprio le acque cristalline dell’Isola Azzurra. Ebbene sì, perché sebbene le immagini dello splendido mare di Capri facciano il giro del mondo, non è mai stata istituita un’area marina protetta in quella zona. In Campania angoli di paradiso altrettanto meravigliosi godono del privilegio di essere tutelati dal punto di vista ambientale: c’è Punta della Campanella, il “Regno di Nettuno” (tra Procida, Vivara ed Ischia), Baia, la Gaiola, l’area degli Infreschi e della Masseta (Marina di Camerota) e ancora Santa Maria di Castellabate. E Capri? Fino ad ora il vuoto; esiste una pratica aperta e sarebbe compito del Ministero dell’Ambiente accertare i requisiti per istituire un’area protetta nei mari dell’isola azzurra e degli Enti comunali completare l’incartamento per procedere. La situazione è in stato di stallo da circa cinque anni, l’intervento delle Associazioni am- bientaliste potrebbe velocizzare il da farsi visto anche il rinnovo delle due Amministrazioni comunali di Capri ed Anacapri. Senza l’istituzione dell’area marina protetta si concede la libera navigazione e il libero ormeggio di turisti e pendolari provocando non pochi danni dal punto di vista ambientale. Il risultato a dir poco triste vede i fondali delle acque di Capri rovinati e la stessa biodiversità sconvolta. Si parla di alghe morte, della scomparsa dei ricci di mare e della comparsa di branchi di barracuda. A questo scenario raccapricciante si aggiungano le rocce imbrattate con la nafta e i rifiuti che vengono gettati in mare. Si spera in un intervento rapido ed efficace affinché l’Isola Azzurra non cambi colore. D.M. La ricerca ha coinvolto anche studiosi italiani Il Gps del genoma umano per conoscere le proprie origini Anna Paparo L'acido desossiribonucleico o deossiribonucleico (DNA) è un acido nucleico che contiene le informazioni genetiche necessarie alla biosintesi di RNA e proteine, molecole indispensabili per lo sviluppo ed il corretto funzionamento della maggior parte degli organismi viventi. In esso è racchiusa sul sito Nature Communications, fa parte di un più ampio studio sulla variazione genomica delle popolazioni umane nell’ambito del progetto Genographic della National Geographic Society e ha coinvolto una trentina di scienziati, tra i quali ricercatori italiani delle università di Pisa, Cagliari e Sassari. Come ha ben spiegato il dottor Sergio Tofa- cune popolazioni, come nel caso dei sardi, il cinquanta per cento è stato collocato correttamente entro un raggio di 50 km dal proprio villaggio di origine. Addirittura, tutte le donne del Comune di San Basilio, in provincia di Cagliari, sono state associate al loro villaggio. L’assegnazione, infatti, è più accurata nel caso di popolazioni non interessate L’originale hotel di container riciclati L’Hive-Inn di Hong Kong Fabio Schiattarella tutta la nostra storia, possiamo trovare ogni sorta di informazione sul nostro luogo di origine, sulla popolazione a cui apparteniamo. Ed ora, grazie all’algoritmo Gps, acronimo per Geographic Population Structure, messo a punto da un consorzio internazionale di scienziati, sarà possibile tradurre questa informazione genetica in precise coordinate geografiche, assegnando ogni individuo alla propria nazione e in molti casi anche alla città di origine. Questo strumento è una sorta di navigatore satellitare a base genomica e, come un normale Gps riesce a fornire precise coordinate spaziali attraverso le onde radio dei sistemi satellitari, così l’algoritmo parte dalle varianze del Dna per collocare un individuo nel suo posto di origine. La ricerca, pubblicata nelli, ricercatore del dipartimento di biologia dell’ateneo pisano che ha partecipato allo studio, è stata analizzata la distribuzione delle varianti a singolo nucleotide in banche dati pubbliche e private, poi, tra i diversi milioni di varianti, ne sono state selezionate circa 130mila, cioè il numero più basso sufficiente a discriminare coppie di popolazioni separate su base geografica. In gergo vengono chiamate AIMs, che in italiano potremmo tradurre con marcatori informativi di ancestralità. L’algoritmo è stato poi testato con ottimi risultati sul patrimonio genetico di mille seicento cinquanta individui appartenenti a 40 popolazioni diverse. Ne è emerso che ben l’ottantatre per cento degli individui è stato assegnato in modo corretto alla nazione di origine e per al- da recenti fenomeni di mescolamento o di migrazione. Infine, Le applicazioni del Gps genomico sono molte: si va dallo studio dei fenomeni migratori alla medicina su misura (alcune terapie farmacologiche, infatti, hanno un’efficacia diversa a seconda del gruppo etnico), dalle indagini medico-legali alla genealogia amatoriale. Ma il gruppo di studiosi non si ferma. Stanno, infatti, ultimando un nuovo algoritmo in grado di risalire al luogo di origine di entrambi i genitori. Uno degli aspetti più innovativi dell’algoritmo Gps è che per la sua costruzione ci si è basati sul paradigma moderno della genetica evolutiva umana: «Non esistono popolazioni umane pure: tutte sono frutto del mescolamento di una manciata di componenti genomiche di base». I container, come bene sappiamo, sono utilizzati per il trasporto di merci su navi, camion e treni, ma con alcuni adattamenti, possono essere sfruttati anche come case di emergenza per terremotati o come ambulatori. Una grande novità sarebbe, ad esempio, sentire parlare di container come parte integrante di un edificio. Da oggi questo è possibile; basta dare un’occhiata all’interessante progetto dell’Hive-Inn, del quale subito colpisce l’originalità. Parliamo di un hotel che viaggia sui binari dell’ ecosostenibilità. Forme futuristiche e colori sgargianti sono le parole che racchiudono la particolarità di questo progetto, proposto dagli architetti del gruppo Ova Studio di Hong Kong, che ha suscitato molto interesse per la sua massima flessibilità ed adattabilità alle funzioni più svariate. L’idea di base è il riciclo. I progettisti partono da un’idea di base: recuperare container abbandonati sfruttando il più possibile le loro potenzialità.Questi infatti sono dei grandi parallelepipedi metallici, molto resistenti, e il loro interno può trasformarsi in uno spazio fruibile da più persone. Come un edificio è articolato in più stanze, così nell’Hive-Inn ogni stanza è rappresentata da un modulo container riciclato che ospita una realtà autonoma e flessibile in base alle esigenze dell’hotel. L’Hive-Inn è caratterizzato da una struttura molto semplice: una griglia metallica centrale in cui vengono “inseriti” i moduli container. Questi sono assemblati uno all’altro creando piani dell’edificio con forma di volta in volta diversa, lasciando spazio anche ad aree verdi e terrazzi. I moduli container possono essere rimossi o spostati tramite una gru posta sulla parte superiore dell’edificio, ed ospitano funzioni diverse: uffici, negozi o ambulatori. Inoltre i progettisti, propongono di utilizzare i moduli come strumento di promozione pubblicitaria per famosi brand: attraverso un restyle del container infatti, si possono evidenziare i loghi del brand e ospitare allestimenti espositivi richiamando numerosi visitatori. Guardando in casa nostra menzioniamo Milano dove grazie al Fondo G.D.F. si potranno realizzare degli edifici ecologicamente sostenibili di questo genere. Raccontiamo il meteo. Perché le tempeste nei mesi caldi sono difficili da prevedere Il temporale estivo che non ti aspetti Gennaro Loffredo Che temporale! Il cielo è nerissimo e viene giù tanta di quell’acqua che non si vede quasi nulla. Le strade si sono trasformate in autentici torrenti e in mezzo alla pioggia c’è anche un po’ di grandine. Abbiamo cumulato 30mm in un’ora e continua. Passato il temporale si va a trovare un amico, che abita a due km di distanza; arrivando sul posto si nota che l’asfalto è appena bagnato e non ci sono pozzanghere. Questi scambi di opinioni vanno spesso di moda quando sull’Italia è presente una circolazione di aria instabile come quella avvenuta nel corso del mese di giugno. Magari ci si sveglia al mattino con un bel sole e si finisce sotto un temporale anche forte nelle ore pomeridiane. Quando i temporali non risultano organizzati in un vero e proprio sistema di perturbazioni, sono spesso dettate dal contrasto di masse di aria; perciò possono risultare molto violenti, ma di estensione limitata. Ci sono delle zone privilegiate per la nascita di questi fenomeni tanto pericolosi e affascinanti? La risposta è affermativa. La diversa morfologia del terreno, che si ripercuote anche con una maggiore o minore coper- tura vegetale, influenza il distaccamento delle termiche al suolo, materia prima per la costruzione di temporali. Un pendio montuoso che si presenta senza alberi può assorbire maggiormente i raggi del sole e riscaldarsi di più. Se un rilievo si presenta, invece, totalmente coperto da vegetali, l’assorbimento del calore da parte del terreno sarà minore, essendo in parte “neutralizzato” dalle fronde. Minore riscaldamento del terreno significa minore produzione di termiche e di conseguenza di nubi cumuliformi ed eventuali temporali. In poche parole, è molto più facile che un temporale pomeridiano si sviluppi in un luogo con minore copertura vegetale, piuttosto che in prossimità di una zona totalmente verde. Questo discorso vale solo per i cosiddetti “temporali di calore”, cioè quelli estivi che nascono e muoiono sul posto, a patto che non intervenga una corrente in quota in gradi di spostarli su altre zone. In questo caso si parla di “sconfinamenti”, e i temporali possono colpire anche zone relativamente lontane dal luogo di origine (come coste e pianure). Il litorale tirrenico e quindi anche Napoli risultano generalmente coinvolti dai temporali pomeridiani quando la corrente in quota proviene dai quadranti orientali; infatti ad est della città partenopea è collocato l’Appennino, zona ideale per lo sviluppo di temporali. Discorso inverso invece per quanto riguarda il versante adriatico. Un altro fattore che influenza la crescita dei temporali pomeridiani è la presenza di laghi, magari anche artificiali, che si trovano in valli strette, circondate da montagne anche elevate. Il lago crea un surplus di umi- dità, che viene sollevata dal riscaldamento delle rupi circostanti assieme alle termiche; l’aria che viene portata in quota oltre che essere calda è anche umida e la formazione di nubi e temporali sarà notevolmente esaltata. Molto improbabile, se non impossibile, che un temporale pomeridiano si sviluppi in mare aperto. In questo caso l’umidità è presente in abbondanza, ma la presenza dell’acqua, la cui temperature è quasi sempre inferiore a quella dell’aria, non consente il sollevamento delle termiche dal basso. L’umidità è costretta a rimanere nei bassi strati; non salendo in quota viene scoraggiata la condensazione del vapore acqueo e la formazioni di nubi. Il temporale è uno dei fenomeni in meteorologia più difficili da prevedere, proprio per la sua caratteristica di imprevedibilità e localizzazione dei fenomeni. (immagini www.sat24.com) Consigli per il corretto recupero dei Raee Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche protagonisti della Giornata dell’ambiente Anna Gaudioso Il 5 giugno 2014 si è celebrata la Giornata mondiale dell’ambiente. Istituita nel 1972 dalle Nazioni Unite, la Giornata mondiale dell'Ambiente si prefigge non solamente di richiamare l'attenzione pubblica sulle questioni ambientali, ma anche di indicare delle azioni concrete che possano contribuire al miglioramento dell'ambiente stesso. Protagonista di questa giornata, quest’anno, sono stati i Raee. Parliamo, cioè, dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, delle pile esauste e dei moduli fotovoltaici. «Ognuno di noi può fare un gesto che, per quanto semplice, dà una importante mano all'ambiente», ha detto il direttore generale di Ecolight, Giancarlo Dezio. Da qui i consigli del Consorzio Ecolight per smaltire i rifiuti elettronici. Fare una corretta raccolta e un attento recupero permette di risparmiare in termini di produzione di energia e di inquinare meno. Per smaltire i rifiuti elettronici il Consorzio Ecolight dà dei consigli utili: indica, cioè, le azioni concrete per avviare i Raee al recupero, tre piccole azioni che ciascuno può compiere per dare il proprio ARPA CAMPANIA AMBIENTE del 30 giugno 2014 - Anno X, N.12 Edizione chiusa dalla redazione il 30 giugno 2014 DIRETTORE EDITORIALE Pietro Vasaturo DIRETTORE RESPONSABILE Pietro Funaro CAPOREDATTORI Salvatore Lanza, Fabiana Liguori, Giulia Martelli IN REDAZIONE Cristina Abbrunzo, Anna Gaudioso, Luigi Mosca, Andrea Tafuro GRAFICA E IMPAGINAZIONE Savino Cuomo HANNO COLLABORATO I. Buonfanti, F. Clemente, P. D’Auria, G. De Crescenzo, A. Esposito, E. Ferrara, R.Funaro, L. Iacuzio, G. Loffredo, R. Maisto, D. Matania, B. Mercadante, A. Morlando, A. Palumbo, A. Paparo, F. Schiattarella, L. Terzi, M. Tafuro, E. Tortoriello SEGRETARIA AMMINISTRATIVA Carla Gavini DIRETTORE AMMINISTRATIVO Pietro Vasaturo EDITORE Arpa Campania Via Vicinale Santa Maria del Pianto Centro Polifunzionale Torre 1 80143 Napoli REDAZIONE Via Vicinale Santa Maria del Pianto Centro Polifunzionale Torre 7- 80143 Napoli Phone: 081.23.26.405/426/427 Fax: 081. 23.26.481 e-mail: rivista@arpacampania.it Iscrizione al Registro Stampa del Tribunale di Napoli n.07 del 2 febbraio 2005 distribuzione gratuita. L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti e la possibilità di richiederne la rettifica o la cancellazione scrivendo a: ArpaCampania Ambiente,Via Vicinale Santa Maria del Pianto, Centro Polifunzionale, Torre 7-80143 Napoli. Informativa Legge 675/96 tutela dei dati personali. piccolo ma significativo contributo per un ambiente migliore. E’ utile far conoscere e far capire a tutti, soprattutto alle giovani generazioni, che i Raee possono essere utili e, anzi, sono una risorsa importante. A tutt’oggi non c’è un buon recupero di questi materiali: infatti, per quanto riguarda i piccoli elettrodomestici, meno del 20% viene raccolto in modo corretto e avviato al recupero. Il restante finisce probabilmente nella raccolta indifferenziata. Eppure recuperare questi materiali non è difficile. Alla domanda “dove mettiamo i RAEE?”, la risposta è semplice: si possono portare nelle isole ecologiche attrezzate per la raccolta differenziata di questa categoria dei rifiuti, e metterli nei cassoni giusti: R1 per le apparecchiature refrigeranti (frigoriferi e congelatori); R2 per lavatrici e forni; R3 per televisori e monitor; R4 per piccoli elettrodomestici ed elettronica di consumo; R5 per sorgenti luminose neon e risparmio energetico. Inoltre oggi, nel caso in cui si acquista una nuova apparecchiatura, si può la- sciare al negozio quella vecchia non funzionante da sostituire. Ciò è stato possibile grazie al Decreto ”Uno contro Uno”: è un’operazione gratuita, ma il cliente deve però compilare una scheda di consegna del vecchio dispositivo o elettrodomestico. In effetti, quando il negoziante consegna il nuovo apparec- Da aprile è possibile depositare apparecchi fuori uso nei negozi chio, ritira il vecchio. Inoltre i Raee beneficiano del recente e positivo Decreto “uno-contro-zero” (mi riferisco al Dlgs 49/2014), che dal 12 aprile consente a chiunque di riconsegnare in negozio i piccoli apparecchi elettrici ed elettronici dismessi (quelli di dimensioni esterne inferiori ai 25 centimetri) senza obbligo di acquisto. Dunque tutti possiamo dare il nostro contributo consegnando quei piccoli elettrodomestici che non usiamo più, e sapere come fare è importantissimo. Anzi, bisognerebbe fare una campagna pubblicitaria per indicare ed invitare tutti a dismettere i piccoli elettrodomestici in modo corretto. Per quanto riguarda le imprese e i liberi professionisti, possono rivolgersi direttamente a Ecolight che effettuano una raccolta domiciliare. Questo servizio viene svolto su tutto il territorio nazionale e si chiama “Fai spazio”. Sarebbe un peccato non recuperare questo tipo di materiali visto che oltre il 90% del loro peso può essere recuperato e riciclato e ciò sarebbe un grande risparmio sia in termini di materia prima che di emissioni di Co2 in atmosfera. Non è da trascurare, in effetti, il fatto che alcuni Raee contengono sostanze particolarmente inquinanti, come il mercurio delle lampadine a risparmio energetico o i gas refrigeranti dei freezer, che richiedono specifici trattamenti. Fauna marina contro cambiamento climatico Alessia Esposito Cinquecento i milioni di tonnellate di carbonio annuali assorbite ogni anno dalle specie marine. Un dato che equivale a circa 1.500 milioni di tonnellate di anidride carbonica: è il risultato emerso da una ricerca commissionata dalla Global Ocean Commission. La GOC è un organismo internazionale indipendente nato nel 2013 con lo scopo di compiere studi e formulare delle proposte concrete a salvaguardia degli oceani. il compito della Comissione si muove in quattro direzioni: esaminare le minacce, i cambiamenti e le sfide che i nostri mari si trovano ad affrontare; studiare punti di forza e criticità del piano giuridico utilizzato dalla governance; stabilire relazioni con tutte le parti interessate, compresi i cittadini e individuare azioni concrete stabilendone fattibilità e costi. Oggi a seguito della giornata annuale del mare (8 giugno) la Global Ocean Commission ci avverte che proteggere i nostri amici del mare è, oltre che un dovere etico, anche un validissimo contributo per evitare i cambiamenti climatici causati dall’inquinamento. Nel rapporto stilato viene evidenziato – riporta il sito Rinnovabili.it – “il ruolo strategico della fauna marina nella mitigazione del climate change”. « Pesca selvaggia, inquinamento delle acque e cementificazione i primi nemici delle specie marine In particolare lo studio sottolinea che alcuni servizi ecosistemici hanno “valore diretto” per il genere umano. Tra questi i “servizi di approvvigionamento” come il materiale genetico e le materie prime e i “servizi di regolamentazione” come la purificazione dell’aria.. All’uomo spetta ovviamente il compito di innescare un circolo vizioso proteggendo la biodiversità delle specie marine dalla pesca selvaggia e le acque, habitat necessario alla loro sopravvivenza, dalle attività nocive. Ad oggi ancora troppi gli idrocarburi, gli scarichi industriali tossici, i rifiuti radioattivi (oltre che l’inciviltà) » che distruggono il mare, così come denuncia un altro rapporto dal titolo “Oceani in pericolo” redatto da Greenpeace, World Watch Institute e Onu. Il co-presidente della Commissione, Trevor Manuel, ha affermato che, grazie a questa ricerca, si potrà "vedere e valutare molto più chiaramente cosa potremmo perdere se non prendiamo subito le adeguate misure per tutelare il mare e governare in modo efficace al fine di proteggere i servizi ecosistemici vitali". La ricerca verrà utilizzata dalla Global European Commission per presentare proposte concrete da applicare per tutelare l’equilibrio del mare eche saranno valutate nelle prossime settimane. In particolare, le azioni si soffermeranno ad arginare il fenomeno della pesca “cattiva” che influisce negativamente sulle prestazioni offerte da altri “servizi eco sistemici”, come la cattura e lo stoccaggio del carbonio. Secondo i dati sono infatti sfruttate al di sopra delle possibilità più dell’80% delle risorse ittiche con conseguente estinzione di molte specie marine. Non bisogna dimenticare una concausa altrettanto incidente: l’urbanizzazione costiera selvaggia ha ridotto del 20% l’estensione delle barriere coralline e del 35% quella delle foreste di mangrovie, fucine di biodiversità. Non resta che aspettare le proposte formulate per garantire la sostenibilità delle azioni dell’uomo sulle acque. Nel frattempo, ognuno nel suo piccolo, e soprattutto con l’avvento dell’estate, può fare la sua parte rispettando il mare e favorendo una spesa di pesce “consapevole”. Gas fluorurati a effetto serra: il nuovo regolamento CE Brunella Mercadante Nella GUCE L.150/195 del 20.05.2014 è stato pubblicato il nuovo Regolamento sui gas fluorurati a effetto serra che abroga il Regolamento 848/2006/CE. In vigore dal 9 giugno 2014 troverà applicazione a partire dal 1 gennaio 2015. Anche se non più menzionato, la Comunità europea prosegue la politica ambientale dettata dal protocollo di Kioto volto alla riduzione delle emissioni dei gas fluorurati a effetto serra. Il nuovo Regolamento stabilisce nuove disposizioni in tema di contenimento, uso, recupero e distruzione dei gas fluorurati, nuove condizioni per l’immissione in commercio di prodotti ed apparecchiature specifici che contengono o che funzionano a mezzo di gas fluorurati, nuove condizioni per gli usi e i limiti quantitativi per l’immissione in commercio di idrofluoricarburi. Vengono ulteriormente specificate le definizioni di riparazione, installazione, manutenzione e assistenza, ma soprattutto, ai fini della prevenzione, vengono stabilite le caratteristiche dei controlli, che devono essere tra l’altro svolti da persone fisiche certificate che, secondo i criteri stabiliti all’articolo 10 del Regolamento, abbiano frequentato corsi di formazione con valutazione finale. Viene stabilito che devono essere sottoposti a controlli delle perdite le apparecchiature contenenti gas fluorurati a effetto serra in quantità superiore o uguali a 5 tonnellate di CO2 equivalente, siano esse apparecchiature fisse di refrigerazione, di condizionamento d’aria, di pompe di calore , di protezione antincendio, di celle frigorifero di autocarri e rimorchi frigorifero, di commutatori elettrici. Le apparecchiature contenenti meno di 3Kg di gas fluorurati a effetto serra e le apparecchiature ermeticamente sigillate contenenti meno di 6 Kg di gas fluorurati a effetto serra fino al 31 dicembre 2016 non sono soggetti a controlli di perdite. Per ciascuna tipologia di apparecchiatura è stata prevista la frequenza dei controlli e l’istituzione per ciascuna apparec- chiatura di un apposito registro su cui vanno annotate, a cura degli operatori che effettuano i controlli: la quantità e il tipo di gas a effetto serra, la quantità di gas fluorurati aggiunti durante l’istallazione, la manutenzione o l’assistenza o a causa di perdite, la quantità, la tipologia e il nome e l’indirizzo della casa produttrice del gas rigenerato eventualmente installato, la quantità di gas a effetto serra recuperato, il nominativo e il numero di certificato della ditta che svolge l’istallazione, riparazione, manutenzione o assistenza, le date e i risultati dei controlli. I registri vanno conservati dagli operatori per almeno 5 anni. Sono infine stabilite le condizioni di etichettatura. LA GRANDE ASCESA DELLE RINNOVABILI NELL’UE Svezia, Estonia e Bulgaria hanno già superato l’obiettivo del 2020 Rosario Maisto Grazie ad una crescita più sostenuta del previsto, i paesi dell'Unione Europea sono in anticipo sull'obiettivo di coprire entro il 2020 il 20% del proprio fabbisogno con energia prodotta da fonti rinnovabili. La maggior parte dei 28 paesi che fanno parte dell’UE, appare in grado di raggiungere la quota nazionale di consumi energetici da fonti rinnovabili prevista dal cosiddetto piano “20-20-20”. Adottato dal Parlamento europeo, il piano prevede che entro il 2020 l'UE riduca del 20% rispetto al 1990 le emissioni di gas serra, aumenti del 20% l'efficienza energetica, e porti la quota complessiva di energia da rinnovabili al 20%, sulla base di obiettivi nazionali differenziati che prendono in considerazione i diversi punti di partenza degli Stati membri, il potenziale di energia rinnovabile e la capacità economica del paese (per l'Italia l'obiettivo coincide con quello medio dell'UE del 20%). Nel 2013 per la prima volta gli investimenti in energie rinnovabili della Cina hanno superato quelli dell'Europa, dove si è registrato un forte calo. Tuttavia, come viene sottolineato dal rapporto Global Trends in Renewable Energy Investment 2014, grazie alla contemporanea diminuzione dei costi di produzione degli impianti fotovoltaici, la quota di energia elettrica da fonti rinnovabili sale dal 7,8 all'8,5% del totale mondiale. Questa quota di energia elettrica prodotta dalle rinnovabili ha continuato a crescere globalmente anche lo scorso anno, sebbene gli investimenti siano calati del 14% rispetto al 2012 e del 23% rispetto al 2011. L'Ufficio statistico dell'Unione certifica che la crescita delle rinnovabili è stata più sostenuta del previsto, avendo fatto un balzo del 6% circa rispetto al 2004, primo anno per cui si hanno dati affidabili per tutta l'Unione. Tre paesi hanno addirittura già superato l'obiettivo per il 2020: (la Svezia, che soddisfa con le rinnovabili ben il 51% del suo fabbisogno ed aveva come obiettivo il 49%, l'Estonia 25% su un obiettivo di 24,2 e la Bulgaria 16,3 su 16%). Per i paesi in cui le fonti rinnovabili assicurano la percentuale più alta di consumi coperti, sono in testa la Svezia, la Lettonia 35,8%, la Finlandia 34,3% e l'Austria 32,1%. Fra i paesi in cui le rinnovabili sono ancora indietro, si segnala in particolare la Gran Bretagna, che in valori assoluti ha consumi energetici molto elevati, ma oltre a restare a grande distanza dal proprio obiettivo del 15% appare intenzionata a ridurre le emissioni di gas serra investendo sull'energia nucleare, è infatti di recente l'annuncio della costruzione di due nuove centrali nucleari che dovrebbero fornire il 7% del fabbisogno elettrico della nazione, piuttosto che sulle rinnovabili. Considerati i risultati già ottenuti otto anni prima della scadenza del 2020, l'UE intende procedere verso un nuovo obiettivo: portare la quota delle energie rinnovabili al 27% entro il 2030, e ridurre le emissioni del 40% rispetto ai livelli del 1990. In giro per l’universo alla ricerca di altre forme di vita LA E-SCIENZA: I “MIRACOLI” DELLA REALTÀ VIRTUALE Possiamo aggirarci nel nostro cervello, camminare su Marte o vedere un virus da vicino. Videogioco o scienza? Entrambi. Si tratta di un sistema di realtà virtuale che permette di vedere in 3D e muoversi in qualsiasi “ambiente scientifico”, sia esso un cervello umano sia un sito archeologico, utilizzando non l’invenzione, ma dati provenienti da Istituti di ricerca come la Nasa, e da esami diagnostici tipici delle neuroscienze come la risonanza magnetica. Il sistema si chiama CAVE 2 ed è stato sviluppato dai ricercatori dell’Electronic Visualization Laboratory (EVL) dell’Università dell’Illinois a Chicago (UIC). Tra di loro anche un italiano, Alessandro Febretti: ora assistente ricercatore e dottorando, è partito per uno scambio tra Politecnico di Milano e UIC, per poi restare dedicandosi alla messa a punto di questo sistema utile ad altri scienziati, a medici e studiosi. Lo “strumento” è costituito da 72 pannelli LCD immersivi che formano un cilindro alto 2.6 metri e con un diametro di più di 6 metri. Una delle applicazioni vede come protagonisti i neurochirurghi del College of Medicine della UIC che hanno sfruttato il potenziale dello schermo di CAVE2 per creare un ambiente virtuale, in dimensioni esagerate, che ricreasse la struttura anatomica del cervello, in modo da risolvere alcuni problemi riscontrati nelle arterie cerebrali di pazienti del tutto reali. La risoluzione dei normali computer e sistemi di visualizzazione diagnostica non era infatti sufficiente per comprendere appieno alcune delle strutture più interne. CAVE 2 invece permette di andare a studiare con precisione tutto ciò che risulta troppo piccolo, troppo intricato, nascosto o pericoloso, utilizzando i dati di pazienti o ambienti reali. Un’altra applicazione di successo è nata da una collaborazione finanziata dalla NASA, per la quale è stata creata una mappa 3D di un lago in Antartide, esplorato da un robot subacqueo. Questa mappa, formata da 200 milioni di punti, in CAVE2 si è potuta riprodurre in scala 1:1 e i ricercatori che hanno lavorato in Antartide sono riusciti a esplorare di nuovo il lago e a effettuare misure come se si trovassero ancora lì. L’obiettivo a lungo termine di questo progetto è create un robot da spedire su una delle lune di Giove (Europa) per sondare l’oceano sotto la superficie ghiacciata della luna, potenzialmente in cerca di vita. I.B. Quali sono i prodotti solari da scegliere? Buoni per la pelle e per l’ambiente Se in passato la pelle chiara era segno di una condizione sociale elevata, in contrapposizione a quella più scura caratteristica di una vita di duro lavoro nei campi, oggi al contrario la pelle abbronzata è sinonimo di salute, gioventù e bellezza ed evoca immagini di vacanza, rilassamento e benessere. Oltre agli indiscutibili benefici del sole bisogna, però, tener conto dei possibili danni causati dall’eccessiva esposizione. Invero oggigiorno, grazie alla sempre maggiore diffusione di informazioni, vi è la consapevolezza della necessità di proteggersi adeguatamente dai raggi solari; oltre, quindi, a non esporsi durante le ore più calde della giornata e ai raggi più diretti grande importanza viene riconosciuta all'uso di specifici prodotti che, a salvaguardia della salute della pelle, prevengono rossori, bruciori e scottature e nello stesso tempo favoriscono un’abbronzatura graduale e duratura. Ma come scegliere i prodotti giusti? Ogni anno all'arrivo dell'estate l'offerta commerciale di prodotti solari è infinita e diventa estremamente difficile districarsi tra creme, gel, oli e spray, sopratutto se oltre a voler proteggere la pelle vogliamo anche non danneggiare l'ambiente. Molti prodotti solari, infatti, sono senz'altro buoni per la protezione dal sole, ma quando finiscono in acqua possono danneggiare coralli e pesci o lasciare macchie oleose andando ad inquinare un sistema ecologico già fragile. Inoltre non dimentichiamo che tubetti, barattoli e contenitori vari sono talvolta difficilmente recuperabili. Scegliamo, quindi, prodotti biodegradabili e non ittiotossici. Verifichiamo dall'etichetta che non vi siano ingredienti a rischio, come composti petrolati, oli minerali (contenuti nei prodotti resistenti all'acqua), siliconi, acrilati, condizionanti o addensanti tossici, dannosi per gli organismi marini. Cerchiamo prodotti che abbiano filtri fisici, sostanze minerali come ossido di zinco e biossido di titanio sono ad esempio ecologiche, così come anche filtri chimici di nuova generazione come mexoryl e tinosorb. Oltre ai prodotti che scegliamo contano molto per l'ambiente anche i comportamenti: evitiamo tanti prodotti, una protezione 50 per le parti sensibili ed una medioalta da dosare in base alle necessità sono sufficienti, preferiamo sole e doposole 2 in 1, evitando troppi contenitori, e poi buon senso, cappelli, occhiali scuri e maglietta sono potenti alleati e sono completamente ecologici. B.M. Guida blu 2014: i mari più belli d'Italia La toscana Castiglione della Pescaia, la campana Pollica e la sarda Posada: sono questi i mari più belli di Italia in base alla Guida Blu stilata da Legambiente in collaborazione con il Touring Club Italiano. Le ambite cinque vele sono state assegnate a 14 località marine e 7 lacustri. A seguire, nella classifica dei mari, Ostuni (Br), San Vito Lo Capo (Tp), Vernazza (Sp), Otranto (Le), Melendugno (Le), Baunei (Og), Bosa (Or), Maratea (Pz). New entry 2014 Domus De Maria (Ca) e Roccella Jonica (Rc). Per le isole minori premiata Santa Marina Salina (Me). A conquistare il podio dei laghi più belli sono invece Molveno (Tn) al primo posto, insieme ad Appiano sulla strada del vino (Bz) al secondo e Fie’ allo Sciliar (Bz) al terzo. La Guida Blu è aggiornata annualmente in base a criteri come la gestione sostenibile del territorio anche in termini di rifiuti ed energia, i servizi offerti nel rispetto dell'ambiente e l’alta qualità della ricettività turistica e dell’enogastronomia. “Le località premiate con le 5 vele da Legambiente rappresentano l’eccellenza dei distretti del nostro territorio costiero – ha affermato Angelo Gentili di Legambiente - La qualità che fa la differenza e che traccia le linee guida di ciò che dovrebbe rappresentare il futuro del nostro comparto turistico, capace di garantire occupazione e rilancio dell’economia.” Un mix di fattori che ha fatto sì che Castiglione della Pescaia passasse, rispetto al 2013, dalla quarta alla prima posizione. La località toscana si era del resto già aggiudicata quest’anno il premio di Comune Europeo dello Sport 2014 grazie alle attività promosse di vela, ciclismo ed escursionismo. Per quanto riguarda la Campania, Pollica si conferma all’altezza del podio da anni. Per trovare una seconda località campana bisogna però scendere nella zona 4 vele dove c’è Praiano, seguita da Anacapri. Ha sottolineato Salvatore Sanna, vicepresidente di Federparchi: “È attestato che laddove c’è qualità del mare e della costa, le economie che vi si legano non sentono la crisi. Parchi e aree protette finiscono spesso per coincidere con le aree che meritano le vele, a dimostrazione del valore aggiunto dato dalle scelte di quegli amministratori che hanno puntato su qualità della ricettività”. A.E. Neonati sotto l’ombrellone: i consigli degli esperti Rosa Funaro Nonostante le tempeste e le bombe d’acqua dei giorni scorsi non lasciassero presagire l’imminente arrivo della bella stagione è finalmente tempo d’estate! Ma, con l’estate, arrivano anche i mille dubbi di chi ha figli piccoli sulle vacanze o sull’esposizione corretta alle alte temperature. Per aiutare i genitori a districarsi tra questi innumerevoli quesiti, la SIN (Società Italiana di Neonatologia) ha stilato un decalogo di regole e consigli in merito. Innanzitutto, non esiste alcuna controindicazione nel portare i neonati al mare ma come sempre, bisognerà farlo con criterio e logica: non nelle ore più calde della giornata, non esponendoli ai raggi solari diretti e proteggendo la loro pelle facendogli indossare degli abitini chiari e dal tessuto traspirante e naturale. È poi necessario proteggere anche la testa, facendo loro indossare un cappellino a falda larga o con visiera. Tuttavia il sole non va demonizzato, è un elemento fondamentale per garantire una crescita sana dell’apparato muscolo scheletrico e per favorire il buonumore. Inoltre l’esposizione ai raggi del sole stimola la produzione di vitamina D, che secondo numerosi studi protegge dalle malattie delle ossa, dal morbo di Parkinson, dalle malattie autoimmuni e dai disturbi cardiovascolari; basterà applicare sulla pelle del neonato delle creme pro- tettive che contengono minerali come ossido di zinco o titanio, grazie alle quali sarà possibile riflettere i raggi solari impedendone la penetrazione. Anche per quanto riguarda la montagna, non vi sono particolari controindicazioni per i neonati, ma i neogenitori dovranno evitare di portare il piccolo ad altezze superiori a 2000 mt e proteggerlo ugualmente dai raggi solari, dalle temperature elevate e dalle zanzare. E i viaggi? In auto con soste frequenti mentre l’aereo va usato solo se necessario a causa degli sbalzi di temperatura e di pressione. La tecnica naturale del fitorisanamento Recupero ambientale e opportunità per il paesaggio Antonio Palumbo La tecnica naturale del fitorisanamento - più comunemente nota come fitodepurazione - consente il recupero ambientale di zone umide inquinate mediante l’innesto di determinate piante, dette “minatrici”, in grado di nutrirsi di metalli pesanti e di composti organici, liberando progressivamente il terreno dalla loro presenza. Si tratta di una delle “best practice” attualmente più interessanti ed utilizzate nell’ambito della riqualificazione paesaggistica. L’idea di base risale già agli anni Cinquanta, quando alcuni ricercatori sovietici osservarono che piante semiacquatiche come il giacinto e la lenticchia d'acqua avevano la capacità di assorbire metalli tossici quali il piombo, lo zinco e il cadmio dalle acque contaminate, o che piante come il crescione alpino prosperavano in terreni ricchi di zinco e di nichel. Tra le piante con tali caratteristiche è in fase di studio l’uso dell’erba storna alpestre, capace di assorbire zinco, piombo ed altri metalli pesanti dal terreno. La bonifica di suoli contaminati con queste specie vegetali è prioritaria, poiché esse non si degradano e persistono nell’ambiente per tempi indefiniti. Il problema è particolarmente rilevante, in quanto svariate attività umane importanti sono causa di inquinamento: l’utilizzo di fertilizzanti, il traffico motorizzato, gli inceneritori, le cen- trali termoelettriche e la dismissione di miniere, ad esempio, sono tutte attività difficilmente sostituibili, che provocano l’automatica deposizione di metalli sul suolo. Il fitorisanamento sfrutta la nutrizione inorganica, con la quale le piante assumono sia le sostanze inorganiche essenziali per la loro crescita, sviluppo e riproduzione, sia quelle non essenziali, che, ad alte concentrazioni, possono però risultare tossiche per la pianta stessa. L’assorbimento da parte della pianta avviene attraverso due meccanismi: assorbimento attivo o simplastico, attraverso il trasporto delle proteine associate alla membrana delle radici (esso è selettivo rispetto ai metalli necessari per la vita della pianta, e l’assorbimento attivo di metalli non essenziali, quali il Pb, è molto limitato); assorbimento passivo o apoplastico, tramite il flusso di traspirazione e convezione di acqua attraverso l’apoplasma (superficie delle cellule e spazi intracellulari). Il processo che viene sfruttato per il fitorisanamento dei metalli pesanti non è legato, dunque, alla degradazione dei contaminanti, ma alla loro estrazione e accumulo nei tessuti della pianta o alla loro immobilizzazione nella rizosfera. Particolare attenzione dovrà pertanto essere posta sul destino delle piante stesse e nel progetto di bonifica dovranno essere indicati le modalità e i tempi di raccolta delle parti recidibili delle piante nonché del loro eventuale smaltimento. La cattura dei metalli è influenzata dal pH del suolo, dal potenziale redox, dal contenuto di materia organica, dalla temperatura, dalla cinetica della reazione, dalla mineralogia, dalla capacità di scambio cationico (CEC) e dal contenuto di acqua nel terreno (che può influenzare la crescita di piante e microrganismi e la disponibilità di ossigeno richiesto per la respirazione aerobica): in particolare, sono preferibili basso pH e basso contenuto di argilla e materia organica. Le forme più facilmente solubili sono le più pericolose per l’ambiente, e la conoscenza della composizione della soluzione del suolo è essenziale per capire l’assorbimento da parte della pianta degli elementi in tracce. Un parametro fondamentale da tenere in considerazione, infine, è la tossicità del contaminante presente nel suolo per una determinata specie di pianta. A seconda del metallo da estrarre dal suolo, dunque, bisognerà scegliere il tipo di pianta più resistente agli effetti nocivi del contaminante: oltre all’ecotossicità, occorrerà porre particolare attenzione affinché il contaminante, passando dal terreno alla pianta, non possa trasferirsi nella catena trofica, trovando vie di migrazione molto pericolose e nocive per l’ambiente. I mondiali brasiliani esempio di risparmio energetico e basso impatto ambientale Gli stadi diventano sostenibili con l’“eco-bollino” Ilaria Buonfanti Un mondiale verde, quello che il Brasile sta ospitando dal 12 giugno al 13 luglio 2014. Non per l’erba dei suoi campi, ma per l’eco-sostenibilità degli stadi in cui si stanno giocando le partite più attese dell’anno e alcuni degli eventi delle Olimpiadi del 2016. L’eco-programma, basato sulla compensazione delle emissioni di CO2, ha riguardato sia la parte preparatoria che quella successiva attraverso la realizzazione di progetti di cooperazione internazionale nei Paesi in via di sviluppo, così da rendere i mondiali a basso impatto di carbonio. Secondo una stima saranno pari a 1,4 milioni le tonnellate di CO2 prodotte nel mese in cui si svolgerà il torneo. Il totale delle emissioni, secondo la Fifa, dovrebbe invece raggiungere i 2,7 milioni di tonnellate. Con i crediti otte- nuti dalla cooperazione insieme con una certificazione ad hoc per gli stadi si dovrebbe riuscire a tagliare notevolmente l’inquinamento prodotto. In questo modo infatti, tutti gli stadi taglieranno di almeno un terzo le emissioni ottenendo una certificazione Leed (Leadership in energy and environmental design), una specie di “bollino” di qualità.Il progetto, che ha anche già ottenuto il riconoscimento della Convenzione quadro delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici, intende diventare poi un modello da seguire per l’organizzazione di grandi eventi. Tutte le sette arene che ospiteranno le partite per la fase finale della competizione sono state oggetto di una serie di interventi pensati secondo criteri di eco-efficienza e risparmio energetico. In alcuni casi si tratta di strutture completamente nuove, come il National Stadium Mane Gar- rincha di Brasilia, inaugurato dal presidente DilmaRoussef il 18 maggio 2013. Potrebbe essere il primo stadio al mondo a ricevere il certificato di sostenibilità Leed Platinum, grazie all’impianto fotovoltaico con pannelli in ETFE installato sull’anello superiore, capace di generare fino a 2.5 Megawatts di energia e tagliare le spese di 2.4 milioni di sterline l’anno. In questo modo il Mane Garrincha riesce a produrre energia più che bastevole per il proprio fabbisogno. Non sono rimaste indietro nemmeno le arene “storiche”, come il Maracanà, il celeberrimo stadio di Rio de Janeiro che ospiterà la finale della Coppa del Mondo FIFA il 13 luglio 2014 e che monta pannelli fotovoltaici sul tetto e vanta un sistema di riciclo delle acque per il risparmio energetico. Anche allo stadio Castelao di Fortaleza l’energia pulita ha fatto gol. Nel- l’arena sportiva da poco ristrutturata gli standard di eco-sostenibilità che stanno caratterizzando questi Mondiali non vengono solo rispettati, ma in alcuni casi superano le più rosee previsioni. Il Castelao è stato il primo stadio ad essere consegnato alla fine dei lavori, costando anche meno rispetto ai colleghi Mane Garrincha o Maracanà: 250 milioni di dollari contro 500. Ma soprattutto è stato il primo impianto brasiliano ad aver ricevuto la certificazione Leed. Non solo stadi però in questo progetto “green” ma anche tanto altro. Grande importanza anche agli spostamenti intelligenti e non inquinanti. Circa 1900 posti auto sono riservati al servizio di car sharing o ai veicoli alimentati da carburanti alternativi. Sono state intensificati i mezzi pubblici, con quattro linee dirette allo stadio con una frequenza di circa 200 corse al giorno. I mondiali in Brasile si tingono di verde Divise “green” per 10 nazionali Ormai siamo in pieno clima “mondiale” e la febbre per la tanto agognata Coppa del Mondo sale ogni giorno che passa. Ma, molto probabilmente, nessuno sa che alcune squadre hanno già vinto per questo duemilaquattordici il trofeo della sostenibilità. Si tratta di squadre, secondo quanto riporta il sito “In a Bottle”, che sfoggiano delle divise completamente sostenibili perché realizzate con bottiglie di plastica riciclata. Tra queste, però, non compare l'Italia, le cui divise non sarebbero ancora abbastanza green. Peccato! Ma, come si dice, non è mai troppo tardi. Le nazionali che si sono aggiudicate il riconoscimento per la sostenibilità sono: Brasile, Francia, Grecia, Portogallo, Usa, Australia, Corea del Sud, Croazia, Inghilterra e Olanda. Le loro divise sono state rea- lizzate con un innovativo materiale, il poliestere riciclato, rendendole le più eco-compatibili mai prodotte. In questo modo queste nazionali stanno lanciando un messaggio importantissimo di sensibilizzazione verso un tema alquanto delicato, quello del riciclo della plastica. Ogni completo da gara è stato realizzato impiegando fino a tredici bottiglie di plastica riciclate. Questo innovativo processo di fabbricazione riduce i consumi energetici fino al trenta per cento rispetto al poliestere tradizionale. Il tessuto, inoltre, è più leggero del ventitrè per cento, con una struttura della maglia più resistente del venti per cento. E, ancora, presenta una tecnologia per assorbire l'umidità dal corpo degli atleti e mantenerli così freschi e asciutti in campo. Quindi, divise utili non solo all’ambiente ma anche ai calciatori stessi, che potranno dare il massimo nell’area di rigore vestiti di ogni confort, naturalmente only green. Insomma, un segno, questo, tangibile del fatto che la sostenibilità sembra diventare sempre più importante, anche per il mondo dello sport, perché la salute del nostro Pianeta coinvolge tutti e non è un problema di pochi. E chi più di calciatori, miti per grandi e piccini, può rappresentare un buon esempio da emulare? Non possiamo fare altro, dunque, che dare pollici in su a tutte queste squadre, augurando un buon mondiale green a tutti e che vinca la migliore. A.P. Combattere gli stati depressivi con l’ecoterapia Lo stress cittadino si riduce ristabilendo il contatto con la natura Fabiana Clemente Vi siete mai chiesti perché al rientro a casa, dopo una lunga giornata al mare, si avverte un singolare senso di stanchezza che ci induce a dormire come un sasso? Come mai durante una passeggiata in un parco avvertiamo uno stato di leggerezza e pace? Medesima condizione che leggiamo anche sui volti estranei che ci circondano. Adesso proviamo a creare una rappresentazione mentale degli stessi volti, inseriti in un contesto cittadino durante una consueta settimana lavorativa. Qual è il risultato? Espressioni corrucciate, accompagnate da occhiaie e da un palese senso di affaticamento. La differenza tra gli stati umorali sopracitati è la risposta dello stile di vita a cui il nostro organismo è sottoposto quotidianamente. Da uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Rochester e pubblicato sul Journal of Environmental Psycology, è stato dimostrato che stare a contatto con la natura sia un vero toccasana per ritrovare un equilibrio psicofisico. Ricerche scientifiche – made in USA - risalenti a circa 30 anni fà, hanno dimostrato che pazienti ricoverati in strutture dotate di ampi spazi green, si riprendevano dalla malattia in tempi più brevi, lamentando mano dolore e stress fisico. Dello stesso parere è la Medicina Naturale orientale, secondo cui vivere a contatto con la natura avrebbe sull’organismo un vero e proprio effetto preventivo. E’ stato dimostrato che la natura aumenta la produzione di linfociti NK responsabili della distruzione di cellule tumorali, dell’aumento dei globuli bianchi, e della riduzione dei livelli di glucosio nei casi di diabete. Dello stesso parere è la dott.ssa Carla Schiaffelli – responsabile dei processi formativi della Scuola di Agraria del Parco di Monza e membro dell’Associazione Italiana di ortoterapia. Lo stress che maturiamo ogni giorno, a causa dei ritmi frenetici, del traffico, dello smog e del caos che ci circondano, può ridursi notevolmente ristabilendo il contatto con la natura. Va da sé che l’inverno allontana le rinfrescanti nuotate a mare e le lunghe passeggiate nei boschi, divenute ormai solo un ricordo. E allora come ricaricare quell’energia psichica di cui parlava Freud? Lungi dal cer- care una risposta nei rimedi farmacologici, è possibile ritagliarci, in settimana o nel weekend, un momento di relax tutto nostro. Parola d’ordine: natura! Prendiamoci cura dei nostri gerani, dedichiamoci alla coltura di basilico, rosmarino e qualche pianta aromatica. Se lo spazio ce lo consente, possiamo cimentarci anche nella realizzazione di un piccolo orticello. La cura e la soddisfazione di vedere i frutti maturare giorno dopo giorno, non può che giovare al nostro umore, e perché no alla nostra autostima. Adottare un amico a quattro zampe, una tartaruga o un pesciolino rosso. Anche la pet-therapy è nota per mitigare ansie e preoccupazioni. Dopo il lavoro, ritagliamo per noi stessi una mezz’ora per una passeggiata al parco. In televisione, privi- legiare un programma on nature. Mens sana in corpore sano? L’ecoterapia è la soluzione per alleviare le tensioni e ridurre l’ansia. Dopotutto, non dobbiamo allontanarci tanto per ritrovare il nostro equilibrio psichico. E una volta raggiunto, miglioreranno di conseguenza le nostre relazioni sociali, il nostro ruolo lavorativo, di genitore, di figlio, di amico. Dagli Usa la possibilità di distruggere cellule tumorali con un batterio comune La viroterapia: una cura anticancro? Cosa accomuna un banale morbillo e il cancro? Apparentemente niente, eppure la ricerca scientifica dice altro! Studiosi della Mayo Clinic di Rochester, in Minnesota, hanno condotto una sperimentazione su come distruggere le cellule tumorali a partire da un batterio comune. Nello specifico, hanno rilevato che una dose massiccia di virus del morbillo ha infettato ed ucciso le cellule cancerogene, preservando allo stesso tempo i tessuti sani. Una prova iniziale di questa cura sui generis, ha visto come protagoniste due pazienti affette da un mieloma multiplo, che lottano rispettivamente da nove e sette anni. Nel primo caso siamo in presenza di una remissione – dopo il trattamento farmaco- logico – da circa sette mesi. Nel secondo, invece, i medici hanno riscontrato una riduzione del tumore sia a livello del midollo osseo che delle proteine di mieloma.. Sul fronte italiano, gli esperti nel settore frenano gli entusia- smi. Il direttore di Ematoncologia e Trapianto di midollo del San Raffaele di Milano, pur esaltando i meriti dello studio americano, ritiene indispensabile continuare la sperimentazione ed osservare i nuovi risultati prima di can- tar vittoria. Allo stesso modo, il presidente della Società Italiana di Ematologia e direttore dell’Ematologia e Trapianti di midollo dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, il professor Fabrizio Pane, consiglia la massima cautela. E’ necessario, secondo l’esperto valutare i risultati delle ultime sperimentazioni attualmente in corso presso la Mayo Clinic. In questi mesi, infatti, i ricercatori statunitensi stanno procedendo con dosi più elevate del morbillo, per provocare una demolizione ad ampio spettro. E’ necessario dunque, considerare una serie di variabili, che per il momento non sono oggetto di considerazione. Quali, le vaccinazioni effettuate dal pa- ziente in età infantile oppure le modalità responsive al trattamento di ogni singolo soggetto. Last but not least, i tempi e gli ostacoli burocratici cui siamo avvezzi ad assistere in ambito sanitario. E se davvero ci ritrovassimo di fronte ad una scoperta scientifica che avrebbe del miracoloso? Le speranze e le preghiere di migliaia di malati troverebbero una risposta. Questo connubio ha, tuttavia, radici ben più lontane. Circa 60 anni fa, la ricerca medica sosteneva l’importanza della viroterapia, come trattamento antitumorale a base di virus. Cosa è successo nel frattempo non è dato saperlo. Non ci resta che confidare nell’avanguardia scientifica, per evitare un’ulteriore situazione di stallo. F.C. L’industria tessile e manifatturiera nelle Due Sicilie Dagli appartamenti ai più grandi opifici della penisola Gennaro De Crescenzo Salvatore Lanza L’industria tessile era certamente tra quelle più sviluppate del Regno. La lavorazione domestica di lane e cotoni, del resto, era diffusa fin dal periodo medievale e quasi in ogni casa nelle zone agricole si poteva trovare un telaio. Nell’Ottocento pre-unitario, grazie al protezionismo doganale, soprattutto nelle aree del salernitano, del casertano (presso la Valle dell'Irno e del Liri) e degli Abruzzi, si verificò il passaggio dal lavoro a domicilio a vere e proprie fabbriche. Si affermano così i lanifici napoletani Scotto-Giannini, quello presso l’Albergo dei Poveri, il Sava a Santa Caterina a Formello (presso Porta Capuana) con una famosa produzione di pantaloni rossi per l’esercito napoletano e francese; i cotonifici meccanizzati fondati da imprenditori svizzeri a Piedimonte Matese, Salerno, Pellezzano, Angri e Scafati; i linifici e i canapifici presso Sarno; le aziende per la lavorazione della seta ancora presso Napoli (8 solo a Portici, in testa la Betz a Palazzo Ruffo, specializzata per nastri e stoffe), a Barra e a Frattamaggiore e Ottaviano (funi e tele). Non tutte le aziende disponevano di veri opifici, uti- lizzando spesso appartamenti più o meno ampi: a Napoli erano presenti soprattutto nel centro storico (da Mezzocannone a Forcella) ma 14 di esse risultano presenti tra il 1818 e il 1860 alle varie esposizioni industriali distinguendosi per la qualità dei loro prodotti (tessuti di lana, cotone, seta e lino, coperte, scialli, tappeti, calze, maglie). Emergevano, tra gli altri, i moderni impianti della Compagnia Sebezia, della Società Partenopea o del Real Convitto del Carminello con la produzione di seta, nastri e “raso liscio da non potersi desiderar meglio, operato di diversi colori, stoffe rasate bianche broccate in oro”, premiato anche alla Mostra industriale del 1853 e in grado di formare professionalmente alcune centinaia di ragazze all’anno addirittura con stage all’estero. La storia di San Leucio risulta interessante e significativa anche sotto l'aspetto tecnico-produttivoindustriale. Già Carlo di Borbone aveva cercato di promuovere senza grande successo la nascita di una manifattura presso San Carlo alle Mortelle nella capitale, per evitare di comprare all’estero le sete richieste nel Regno. La svolta si ebbe allora a Caserta: dopo la realizzazione del progetto architettonico, si cominciò dal miglioramento apportato al sistema di “trattura” (dipanamento dei bozzoli) e di filatura, per passare poi alla sperimentazione di nuovi filati per veli, calze, rasi, cotoni e per tutti gli altri prodotti che venivano commercializzati nei magazzini presso la manifattura e a Napoli, presso il Sedile di Porto e presso via Toledo. La gestione dal 1798 non fu più diretta e fu appaltata a terzi o agli operai stessi per le principali operazioni della lavorazione. Anche se sono poche le notizie relative alle prime produzioni, è certo che si rifornivano presso la fabbrica la famiglia reale e tutte le famiglie più importanti del Regno acquistando tessuti per abbigliamento e per arredamento: damaschi, rasi, velluti, broccati a righe, racemi, nastri o festoni, seguendo le mode del tempo. Successivamente, verso il 1860, la Real Fabbrica di tessuti di seta possedeva 114 bacinelle a vapore , 9 filatoi, diversi incannatoi di seta grezza, una tintoria con tre grandi caldaie, diversi orditoi con la capacità di corrispondere ai bisogni di oltre 150 telai in opera, 130 telai per le sete, 80 per i cotoni. 600 i lavoranti nella comunità: il ciclo produttivo era completo e andava dall'allevamento del baco da seta ad un prodotto finito che per la qualità delle trame e dei disegni fu apprezzato in tutto il mondo e presso le più grandi corti europee, dove lo si può ammirare ancora oggi. Alcuni antichi setifici sono stati restaurati e altri ancora sono da restaurare e con essi telai, strumenti e oggetti vari delle storiche produzioni seriche leuciane. Una maggiore valorizzazione di tutto il sito potrebbe essere fondamentale anche per le seterie ancora attive, non numerose ma in grado di esportare prodotti ancora apprezzati soprattutto all’estero per la loro tradizionale qualità. Fu acquistato dal Comune di Mignano soltanto nel 2009 IL CASTELLO DI MIGNANO MONTE LUNGO Linda Iacuzio Nel saggio Note e documenti per la storia feudale del castello di Mignano Montelungo, Adolfo Panarello afferma che il primo riferimento storico all’oppidum Miniani in Terra di Lavoro risale all’agosto del 1034. Sappiamo inoltre che nel 1222, regnando Federico II, Mignano e il suo castello facevano parte, con ogni probabilità, del Demanio della Corona sveva. Ma, partito l’imperatore alla volta della Terrasanta per partecipare alla Crociata, papa Gregorio IX, approfittando della sua as- senza, radunò un esercito ed entrò nel Regno il 18 gennaio 1229, conquistando diversi possedimenti imperiali, fra cui - appunto - Mignano. Tornato dall’Oriente, Federico II riottenne però in breve tempo i territori perduti. Dopo l’avvento degli Angioini, fu signore della Baronia di Mignano Ugone Sorello. Fra il 1283 e il 1285 Carlo I d’Angiò donò i castelli di Mignano, di Pentima e di Mastrati al milite Riccardo di Chiaromonte che ne divenne feudatario, avendo sposato Egidia Sorello, nipote di Ugone. Più tardi il feudo di Mignano passò ai della Ratta. Nel 1496 subentrò nel possesso Rinaldo Fieramosca, padre dell’Ettore della “Disfida di Barletta”. Questi, succeduto al genitore, seguì nell’esilio francese il re Federico d’Aragona, perdendo provvisoriamente il feudo. Rientrato nel Regno, Fieramosca riuscì a inserirsi nella lotta tra Ferdinando il Cattolico e Luigi XII per il possesso dello Stato napoletano e ad essere investito da Ferdinando della Contea di Mignano nel 1504. Dopo alterne vicende, la terra e il castello pervennero ai de Capua; nel 1797 furono intestati a Vincenzo Tuttavilla, duca di Calabritto, che li tenne fino all’emanazione delle leggi eversive nel 1806. Nel 1845 il castello venne in possesso della famiglia Nunziante, che ne perse la proprietà durante il Fascismo. Tuttavia Benjamin Seymour Guinness - il quale sposò in seconde nozze, nel 1936, la marchesa Maria Nunziante di Mignano - riscattò il maniero e lo restaurò. Alla sua morte, la fortezza fu venduta alla diocesi di Teano. Fino agli anni Settanta del Novecento venne usata per alcune manifestazioni popolari; dopo di che cadde in completo abbandono. Nel 2009 il castello è stato infine acquistato dal Comune di Mignano. Gervasio di Tilbury a Napoli Lorenzo Terzi Fra le più antiche e singolari testimonianze su Napoli dobbiamo annoverare quella di Gervasio di Tilbury, scrittore inglese dell’Essex vissuto fra il XII e il XIII secolo, morto dopo il 1211. Studiò in Italia, prima a Roma e poi a Bologna. Fu quindi al servizio di Enrico, figlio di Enrico II d’Inghilterra, dell’arcivescovo di Reims Guglielmo di Champagne, di Guglielmo II di Sicilia e infine dell’imperatore Ottone IV di Brunswick, per il quale Gervasio redasse gli Otia imperialia, finiti intorno al 1211. Gli Otia consistono in una miscellanea di notizie, precetti storico-politici, leggende religiose, rac- conti folkloristici. Dal punto di vista storiografico, essi sono rilevanti soprattutto per le informazioni sui re d’Inghilterra dal 1066 al 1099 che l’autore fornisce nella seconda parte dell’opera. È noto che il “magico” è una categoria familiare a Napoli, tanto che molti scritti dedicati alla città hanno accennato a questo elemento, o addirittura sono stati incentrati esclusivamente sulla dimensione del “meraviglioso” in terra partenopea. Il mito riguardante le presunte doti taumaturgiche del poeta latino Virgilio, per esempio, ha dato origine a diversi racconti fiabeschi ambientati, per l’appunto, all’ombra del Vesuvio. Gervasio di Tilbury, negli Otia, dà il suo contributo all’arricchimento di siffatto repertorio aneddotico narrando che a Napoli Virgilio, “per mezzo del- l’arte matematica”, costruì una mosca di bronzo: finché fosse stata custodita intatta, essa avrebbe impedito alle vere mosche di infestare la città. Lo stesso autore dell’Eneide avrebbe anche nascosto in un macello un pezzo di carne in grado di rendere imputrescibili tutte le carni ivi conservate. Il letterato inglese ricorda un altro prodigio operato da “Virgilio mago” a Porta Nolana. Da questo ingresso, nota Gervasio, si snoda una via “costruita con pietre a regola d’arte”. Sotto una statua eretta in un punto della strada, Virgilio avrebbe imprigionato “ogni genere di rettile nocivo”; sicché a Napoli, sebbene la città sia “di assai vasta circonferenza” e appoggiata “su colonne sotterranee”, non si trova mai un serpente pericoloso, neppure nelle caverne o nei giardini chiusi nel recinto delle mura. A TARANTO SI RIPARTE DALLA CANAPA! La fitodegradazione per coltivare su aree fortemente inquinate Fabio Schiattarella Era il 2008 quando l’allevatore tarantino Vincenzo Fornaro, causa emissioni dell’Ilva, è costretto ad abbattere oltre duemila pecore. Attualmente, l’allevatore sta seminando con la canapa qualche ettaro del suo terreno. Come? Con la fitodegradazione , un processo che permette ad alcune piante erbacee a rapido accrescimento di assorbire inquinanti organici dal terreno, ha deciso di donare un futuro a un’area che a causa dell’inquinamento industriale non può più essere dedita al pascolo. Fornaro è oggi l’immagine di un’ Italia che resiste e che si batte contro il malaffare e l’inquinamento. Questa “ rivoluzione verde ” ha donato linfa vitale nuova al territorio. ù Il processo ha trovato anche il consenso della comunità scientifica. Secondo Angelo Masacci, direttore dell’Istituto di biologia agro-ambientale e forestale del Cnr di Porano, le piante hanno evoluto efficienti sistemi di difesa e tolleranza verso gli inquinanti del suolo. Alcune specie vegetali, dette “escludenti”, riescono a evitare l’effetto tossico dei metalli pesanti in eccesso, preservano i frutti ed eliminano il rischio di diffusione nella catena alimentare. Altre, definite iperaccumulatrici, rie- scono ad assorbire nei propri tessuti quantità di metalli pesanti da decine a migliaia di volte superiori a quelle tollerate da altri organismi. Nel caso di Taranto l’unico dubbio deriva dalla disponibilità di acqua nel suolo, la masseria, infatti, sorge in un’area che, nelle prossime settimane, sarà spesso scaldata da più di trenta gradi. Per far crescere al meglio la canapa è necessario che il terreno sia sempre umido e che, in assenza di piogge, permetta una risalita capillare dell’acqua dalla falda. FINO AL 23 NOVEMBRE PROSSIMO ARCHITETTURA IN MOSTRA La 14esima Biennale di Venezia Elvira Tortoriello Il 7 Giugno è stata inaugurata la 14°edizione della Biennale di Architettura di Venezia. Il curatore della mostra Rem Koolhaas, ha scelto il tema “Fundamentals”, facendo riferimento al passato e alle architetture storiche che hanno caratterizzato i Paesi partecipanti. Il filo conduttore è stato la ricerca dei fondamenti dell’architettura, cioè gli elementi principali dei nostri edifici: pavimenti, tetti, scale. L’esposizione analizza quindi l’evoluzione di tali elementi nel corso della storia, la loro reinterpretazione in diverse culture e l’innovazione tecnologica che hanno avuto nel corso del tempo. Afferma Koolhaas che “attraverso una panoramica globale dell’evoluzione degli elementi architettonici condivisi da tutte le culture, la Mostra estende il discorso dell’architettura al di là dei suoi parametri tradizionali, e coinvolgerà ampiamente il pubblico nell'esplorazione di una dimensione familiare, perduta e visionaria”. Nei Padiglioni Nazionali il tema è “Absorbing Modernity: 19142014”. Si tratta di un viaggio storico tra le architetture del passato fino ad arrivare ad oggi. L’architettura di inizio XX secolo aveva spiccati caratteri nazionali che la rendevano facilmente identificabile mentre oggi queste caratteristiche na- zionali peculiari si sono perse per lasciare posto ad una uniformità di linguaggio. L’Arsenale ospita “Monditalia”: danza, musica, cinema e teatro daranno una visione collettiva del nostro paese. Il Padiglione Italia è ideato e curato da Cino Zucchi, autore di progetti importanti come gli edifici residenziali e per uffici nell’area dell’ex Alfa Romeo a Milano, la galleriascultura di Lugano, la sede Salewa a Bolzano, l’ampliamento del museo dell’automobile di Torino e il masterplan per l’area di Keski Pasila a Helsinki. La vera sfida si giocherà adesso, vista l’usuale torrida estate tarantina. Tutte le speranze sono riposte sulla canapa, una pianta che ha proprietà disinquinanti e molteplici utilizzi:dalla bioedilizia al tessile, all’impiego in ambito farmaceutico o alimentare. Energia spesa, energia guadagnata! Una palestra all'aperto, per fare attività fisica, mantenersi sani e... generare energia! The Great Outdoor Gym Company è una società con sede nel Regno Unito che ha creato e installato tutta una serie di palestre a cielo aperto che generano elettricità. Tutto è nato dall'idea di Matt, insegnante di educazione fisica e giocatore di basket professionista, che voleva aiutare le comunità a mantenersi più attive, offrendo strutture di alta qualità alla portata di tutti. "Sento che abbiamo una reale opportunità di trasformare i parchi locali e i campi da gioco in spazi di salute e benessere per l'intera comunità e affrontare i problemi di salute con la prevenzione, piuttosto che con le cure". Fin dall'inizio, il Team TGO, pioniere delle palestre all'aria aperta, ha adottato anche un disciplinare di produzione di palestre all'aperto, per dare ai clienti protezione e garantire che le attrezzature siano sicure, inclusive e ben collaudate. E oggi ne hanno installate tantissime, anche nelle scuole. Come al Sir George Monoux College, con cui ha da poco vinto l'Ashden School Award, premio inglese per l'energia di scuole e college. Ma come funziona la palestra? Semplice: l'energia meccanica delle attrezzature viene convertita e trasformata in energia pulita a costo zero. Il tutto è visibile anche sugli attrezzi, che mostrano su un display l'energia generata dagli utenti. L'energia prodotta viene utilizzata per illuminare la zona di notte o per caricare i cellulari, ma potrebbe anche alimentare le abitazioni nelle vicinanze, o essere immessa in rete. (greenme.it) Da Bologna la rivoluzione social street Dal virtuale al reale per un vivere più sostenibile Cristina Abbrunzo Via Fondazza è la prima social street d’Italia e del mondo. Fino a qualche mese fa era una delle tante affascinanti strade di Bologna con i portici, qualche osteria e le vecchie botteghe, ora è una strada speciale, più famosa della celebre via Gluck. L’idea è nata a un residente, Federico Bastiani, giornalista, esperto di comunicazione e papà: “Mi sono accorto che non conoscevo nessuno dei miei vicini, nonostante da qualche anno abitassi in questa strada. Avvertivo un senso di isolamento e di indifferenza. Poi mi è nato un bambino e con mia moglie ci siamo detti che, non avendo parenti qui, sarebbe stato bello scoprire se ci fossero altri bimbi vicini a casa nostra. Ho deciso di aprire un gruppo su Facebook “Residenti in Via Fondazza – Bologna” e di stampare una cinquantina di volantini per coinvolgere anche chi non fa uso della tecnologia. Speravo aderissero 20 persone, già così pensavo sarebbe stato un gran successo. Adesso siamo arrivati a 930 su una via di 500 metri». Da allora il gruppo è cresciuto in modo sorprendente e l’esperimento si è esteso a macchia d’olio lungo tutta la penisola ed è stato imitato anche all’estero. Attualmente ci sono 260 social street in Italia e una ventina nel mondo tra Nuova Zelanda, Croazia e Bra- sile, con 12mila persone che non sono più estranee con i loro vicini di casa. Via Fondazza è, dunque, la strada che sta insegnando una cosa semplice e dimenticata, soprattutto nelle grandi città: il vicino di casa non è qualcuno da temere o con cui litigare alle riunioni di condominio, ma una persona che, se può, ti aiuta. L'obiettivo di una Social Street è proprio quello di socializzare con i vi- cini della propria via di residenza al fine di instaurare un legame, condividere necessità, scambiarsi professionalità, conoscenze, portare avanti progetti collettivi di interesse comune e trarre quindi tutti i benefici derivanti da una maggiore interazione sociale. Tutto nasce dal virtuale grazie al noto social network Facebook che rappresenta il mezzo per far incontrare le persone a costo zero senza aprire nuovi siti, o piattaforme. Nessuno spende niente e nessuno ci guadagna niente. Non servono soldi, è soltanto un investimento umano. Dal virtuale si passa poi alla concretizzazione, al reale. Sul web si parla dei problemi della strada, delle questioni da affrontare e da risolvere, ma partono anche un mucchio di idee: si organizza una festa di Natale, una mostra fotografica, si Un’app per la difesa del decoro urbano La tecnologia per segnalare il degrado cittadino La tecnologia non sempre è una cosa malvagia. Ciò che la rende tale è l’uso che ne facciamo. Esistono infatti una serie di applicazioni che, ad esempio, se caricate sul nostro smartphone, lo possono far diventare uno strumento green. Tra le tante da evidenziare: Decoro Urbano, un’applicazione gratuita con cui gli utenti possono rendere noto il degrado della propria città, un filo diretto tra cittadini e amministrazioni pubbliche. Il progetto è in costante sviluppo ed è attualmente possibile segnalare rifiuti abbandonati, buche sul manto stradale, affissioni abusive, atti di vandalismo, problemi di segnaletica stradale e incuria nelle zone verdi. Le segnalazioni o foto inviate dallo smartphone vengono automaticamente localizzate tramite GPS e sono liberamente consultabili dall’app e sul sito www.decorourbano.org. Per utilizzare l'applicazione è necessario registrarsi oppure in alternativa utilizzare il proprio account Facebook per effettuare il login. Si tratta quindi di un utilizzo mirato e responsabile della rete per comunicare la presenza dell’Amministrazione nel territorio, da integrare con i sistemi tradizionali di comunicazione e con altri social network, in modo da coinvolgere sempre di più la comunità. Grazie a questo servizio gratuito le Istituzioni avranno la possibilità di monitorare costantemente il territorio e organizzare meglio gli interventi, ma anche di informare automaticamente i cittadini sullo stato delle proprie segnalazioni e quelle relative alla propria zona. Mente i cittadini potranno sfruttare l’opportunità di controllare e tutelare il Bene Pubblico personalmente e diventare parte attiva del decoro del proprio territorio. Una sinergia che ci consentirà di migliorare la vivibilità delle nostre cittadine. C.A. lancia un progetto per gestire un giardino comunale, si abbellisce la strada con alcune fioriere fatte con materiali di recupero. E poi nella vita reale, soprattutto, ci si incontra e, nei limiti del possibile, ci si aiuta. C’è chi vuol vendere un frigorifero, chi chiede informazioni sui medici della zona, chi si è appena trasferito e vuole conoscere qualcuno e così via. L’esperimento “social street di via Fondazza” è diventato un vero e proprio caso di studio. Al gruppo Facebook si sono iscritti antropologi e sociologi che stanno esaminando quanto sta accadendo in questa ormai famosa via. Da altre città arrivano continue richieste per far nascere altre social street ed è stato istituito un sito www.socialstreet.it per mettere in rete tutte le esperienze in merito. Iniziative come questa fanno ben sperare in un futuro sempre più all’insegna del vivere sostenibile, dove la parola d’ordine è creare occasioni e attivare situazioni che costruiscano rapporti di fiducia e che aiutino a sentirsi parte di una comunità. Il fenomeno Social street, come è stato definito, è in effetti un “acceleratore di fiducia”, questo è il motore di tutto, lavorare sulla socialità disinteressata, affinché si possano costruire rapporti di fiducia. L AVORO E PREVIDENZA Le riforme del Governo Eleonora Ferrara Il lavoro del Governo, relativamente alla riforma della Pubblica Amministrazione, è quasi completato. Tra le altre cose si prevede, a far data dal primo settembre prossimo, una forte riduzione di permessi sindacali, distacchi e aspettative, finalizzata alla piena fruizione della collaborazione dei sindacalisti, in ambito lavorativo. Senza alcun dubbio, Renzi sta rompendo tutti gli schemi ancestrali, cercando di debellarli, per concretizzare una P.A. ben lontana da consolidati e farraginosi sistemi burocratici. In tale contesto, il sindacato viene visto quale elemento imprescindibile della vita lavorativa, che con il proprio operato difende gli interessi dei lavoratori, muovendosi su un terreno che gli è del tutto familiare, ossia l’ambiente di lavoro. In tal modo, verrebbe resa più efficiente la stessa P.A. ed è previsto che se ne conseguirebbe un grosso risparmio. Sono previste novità anche in tema di pensioni, Cesare Damiano, infatti, continua a sostenere la necessità di intervento, da parte del Governo, in questo settore, per apportare concrete soluzioni. Tra le proposte possibili, c’è l’opzione donna per la pensione anticipata alle lavoratrici, in base alla quale il pensionamento sarebbe anticipato a 57 anni e 3 mesi con almeno 35 anni di contributi. In tal caso il calcolo della pensione verrebbe effettuato interamente con sistema contributivo. Come è ben noto, questa possibilità era già in vigore, ma in scadenza a fine novembre 2014 per le lavoratrici dipendenti, qualche tempo fa ne era stata annunciata la proroga, non ancora intervenuta a tutt’oggi. Possiamo ben dire, quindi, che il Governo si muove all’insegna della flessibilità. Tornare, perciò, sul tema delle pensioni è fondamentale anche per creare quelle condizioni ottimali per svecchiare gli organici, venendo incontro, in tal modo alle esigenze delle imprese e degli stessi lavoratori. Le imprese, sono di frequente impegnate in processi di ri- strutturazione per rendere più efficiente la struttura e ringiovanire gli organici, cosa che, allo stato attuale diventa difficile realizzare, dato che non è possibile fare uscire anticipatamente i lavoratori attraverso la previsione di incentivi. Chi aveva attuato queste misure prima della riforma Fornero, ha finito per creare gli «esodati», cioè i lavoratori che avevano siglato accordi con le aziende per un accompagnamento verso una pensione che, in seguito, si è rivelata irraggiungibile, lasciando, di fatto, il lavoratori privi di alcuna fonte di sussistenza. E’ pur vero che con diversi decreti il Governo Monti intervenne per salvaguardare gli esodati, anche se solo in parte. Sono previsti cambiamenti anche per il Fisco. Difatti dopo il 730 precompilato e la riforma del catasto, potrebbe trovare attuazione anche la riforma di Equitalia, che da ente di riscossione, diventerebbe un ente al servizio del cittadino. Il bonus Irpef di 80 euro, inol- tre, verrebbe esteso anche alle famiglie monoreddito con figli e agli incapienti, ed è prevista la revisione dello sgravio Irap del 10% per le imprese. Dal canto suo, il ministro del- l'Economia Padoan è convinto che sia necessario “rendere più equo l'onere del prelievo fiscale. Perchè bisogna tenere conto delle difficoltà dei contribuenti onesti. E perchè un fisco equamente distribuito, come quello che emergerà attraverso l’attuazione della delega fiscale, consentirà di affrontare meglio questo momento”. Viaggio nelle leggi ambientali RIFIUTI Il proprietario del fondo non è responsabile degli illeciti ambientali del conduttore. La Suprema Corte ha stabilito che non risulta spiegato perché il fatto di locare un'area ad un terzo per l'esercizio di una attività imprenditoriale debba comportare, in capo al locatore, l'onere di assicurarsi che gli adempimenti relativi allo smaltimento dei rifiuti derivanti da una tale attività vengano effettuati in conformità alle norme di legge, non potendo il mero fatto del contratto di locazione trasferire sul locatore un obbligo di garanzia in tal senso. Cassazione Penale Sez. III, Sentenza 16666/2014 RIFIUTI I reati di associazione per delinquere e attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti possono concorrere. Ai fini del concorso tra i due reati, è necessaria la sussistenza degli elementi costitutivi di entrambi, cosicché la sussistenza del reato associativo non può ricavarsi dalla mera sovrapposi- zione della condotta descritta nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260 con quella richiesta per la configurabilità dell'associazione per delinquere, richiedendo tale ultimo reato la predisposizione di un'organizzazione strutturale, sia pure minima, di uomini e mezzi, funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti, nella consapevolezza, da parte di singoli associati, di far parte di un sodalizio durevole e di essere disponibili ad operare nel tempo per l'attuazione del programma criminoso comune, che non può certo essere individuata nel mero allestimento di mezzi e attività continuative organizzate e nel compimento di più operazioni finalizzate alla gestione abusiva di rifiuti indicate dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260 richiedendosi, evidentemente, un'attiva e stabile partecipazione ad un sodalizio criminale per la realizzazione di un indeterminato programma criminoso. Cassazione Penale Sez. III, Sentenza 5773/2014 INQUINAMENTO ACUSTICO Sulla G.U.U.E. L173 del 12.6.2014 è stato pubblicato il Regolamento (UE) n. 598/2014 del Parlamento Euopeo e del Consiglio del 16 aprile 2014 che istituisce norme e procedure per l’introduzione di restrizioni operative ai fini del contenimento del rumore negli aeroporti dell’Unione, nell’ambito di un approccio equilibrato, e abroga la direttiva 2002/30/CE. A.T. LA CHIAVE DELLA VERA FELICITÀ Il coraggio di saper scegliere tra demolire e costruire Martina Tafuro Felicità… quanti desideri, quante emozioni, quante speranze può contenere una parola così piccola, una parola così insignificante all’ apparenza ma così difficile nella realtà. Tutti noi uomini nel profondo del nostro cuore speriamo di essere felici, di sentirci realizzati e al posto giusto nel mondo. Trovare la Felicità era lo scopo dei primi filosofi greci, era la virtù per eccellenza e coincideva strettamente con il Bene, felicità era colonna portante di movimenti volti alla ribellione dai sistemi politici oppressivi che hanno attraversato la nostra e la storia di molti Paesi, felicità corrisponde a libertà. Eppure la commercializzazione, il desiderio dei potenti di renderci ignoranti per meglio dominarci, ha fatto un dono anche alla felicità, le ha dato il significato di happyness, sfrondando l’albero più rigoglioso dello splendido giardino valoriale. Happyness sinonimo di competizione l’uno contro l’altro, di soddisfazione per chi è il migliore e non per chi migliora, di rassegnazione per chi non arriva al traguardo. Ma chi ci riesce purtroppo sarà incanalato verso il prossimo obiettivo e non si renderà nemmeno conto di essere stato svuotato e di avere l’animo grigio, il grigio piatto dell’ apatia. Però c’è un modo per recuperare l’unicità e il piacere nell’ essere diversi. I filosofi inglesi hanno ribattezzato la felicità in human BENESSERE ORGANIZZATIVO LA QUALITÀ DELLA VITA SUL LAVORO “lavorare significa fondamentalmente gestire le relazioni con il contenuto del lavoro, con le tecnologie impiegate, con le persone e con i diversi ruoli con i quali si interagisce, con l’organizzazione nella quale e per la quale si lavora” Francesco Avallone Andrea Tafuro flourishing (fioritura umana), una sensazione che ha ben poco a che vedere con i centri benessere, le auto costose, la chirurgia estetica, le vacanze nei Paesi esotici … e molto invece con la sete di cultura, con la famiglia, con gli affetti e perché no? Con il lavoro. Il lavoro è quel pizzico di sale che rende saporoso il piatto della felicità. Sin da piccoli ci viene posta la fatidica domanda: Che cosa vuoi fare da grande? Noi tutti lasciamo spazio al nostro sogno che dopo qualche decennio ci prepariamo a depennare dalla lista delle nostre priorità. Io ritengo, invece, che sarebbe fantastico se nelle chiacchierate estive potessi trovare qualcuno che mi dica di voler inseguire a tutti i costi il proprio desiderio, indipendentemente dal tornaconto mensile che ne ottiene. La felicità si nutre con ingordigia di azioni gratuite, di genuinità, di semplicità. Ciascuno di noi quando chiude gli occhi e respira profondamente immagina un volto, un paesaggio, un piacere, immagina in altre parole la propria casa ed ecco è quella la chiave del successo: seguire le emozioni e costruire mattone dopo mattone la sicurezza di essere padroni del proprio futuro. Risvegliarsi dal torpore dell’accettazione di non poter conoscere un cambiamento dovrebbe essere un appuntamento giornaliero nella nostra agenda,una consapevolezza di tutti, un mezzo per costruire il Bene Comune. Accumulare tanti piccoli pezzetti di felicità e non denaro. Le persone felici sono umili, impariamo ad allontanarci dal vortice del perfezionismo affinché si diffonda la consapevolezza che la felicità non è una ricchezza elitaria ma inclusiva: tutti abbiamo il diritto di essere felici. L’idea di scrivere questo pezzo, mi è venuta per salutare la fine di un percorso dei miei compagni di lavoro, che dopo tanti anni si vedono riconosciuta la loro esperienza e il loro bagaglio di conoscenza. In attesa dei festeggiamenti..che mi aspetto abbondanti, voglio cercare di riflettere sul BenEssere organizzativo. Henry Minzberg, in La progettazione dell’organizzazione aziendale, scrive che un’organizzazione può essere idealmente raffigurata come un iceberg in cui i tratti affioranti sono costituiti dalle variabili hard, cioè la struttura, i ruoli, i prodotti/servizi, la tecnologia e le procedure che definiscono l’assetto organizzativo, e dagli elementi soft che costituiscono le cosiddette variabili sommerse, ovvero, gli atteggiamenti, l’ideologia, la cultura, i sentimenti, l’immagine, il clima, i valori, le norme di gruppo. Se, dunque, nell’agire collettivo i principi fondativi sono l’efficienza, l’efficacia e l’economicità, essi sono il prodotto di un mix di entrambe le variabili. Indubbiamente la sfera pubblica negli ultimi decenni è stata investita da un profondo mutamento di contesto, per cui stiamo vivendo una marcata evoluzione delle forme organizzative. Viviamo quotidianamente sulla nostra pelle il passaggio da un tipo di struttura meccanico a una forma relazionale organica, se sino ad ora era la gerarchia la principale leva di integrazione, ora viviamo in strutture costruite sulla comunicazione verticale, orizzontale e trasversale. Ai processi di specializzazione si accostano processi di integrazione e gestione organica delle interdipendenze ed è in tale quadro operativo che diviene pregnante il fattore uomo, poiché è impulso cruciale per il buon funzionamento degli elementi strutturali per il successo organizzativo sia in un’ottica sociale che individuale. Investire risorse e tempo per il miglioramento del BenEssere organizzativo diventa, così, un aspetto decisivo per lo sviluppo e l’efficacia organizzativa, che influenza positivamente la capacità dell’organizzazione stessa di adattarsi ai mutamenti del contesto di riferimento. Tutto ciò è vero sia nel privato che nel pubblico, tanto più che la Pubblica Amministrazione nell’ultimo decennio è stata interessata da radicali cambiamenti che hanno imposto agli enti di cambiare il modo di operare e di agire consolidato. Essendo sottoposti a sempre più pressanti sollecitazioni e a continui mutamenti si vanno perdendo quelle certezze che hanno caratterizzato per lungo tempo il lavoro pubblico. Oggi viene chiesto ai dipendenti pubblici di esprimere una professionalità sempre maggiore, ben visibile nell’offerta di servizi ai cittadini e costantemente monitorata sia all’interno che all’esterno. Oggi tutti i dipendenti sono sempre più in prima linea nel percorso del miglioramento, trovandosi a dover fronteggiare nuove complessità e nuove contingenze oltre che a cogliere quotidianamente i segnali nuovi che provengono dall’interno e dall’esterno. In un contesto organizzativo così complesso pertanto a fianco delle variabili hard (tecnologia, aspetti normativi, organizzazione verticale del lavoro), assumono sempre più peso le variabili soft legate alle persone (motivazione, comunicazione, relazioni, trasmissione e gestione delle conoscenze, condivisione dei valori). Foto di Fabiana Liguori La Pedamentina di San Martino “Erta e pittoresca salita a gradoni che adduce alla rocca di San Martino» (Chiarini in Celano, 1856-60). E’ tra i più antichi camminamenti riconoscibili fin dalle prime vedute cartografiche della città. Il suo tracciato costituisce, insieme alla ottocentesca scala di Montesanto, uno dei percorsi privilegiati di collegamento tra l'area collinare di San Martino e la zona di Montesanto utilizzato a tutt'oggi dai vomeresi. Contrariamente ad altre gradonate, il tracciato della Pedamentina non viene realizzato sfruttando un antico alveo naturale, ma è pensato fin dall'inizio come arteria di collegamento tra la città bassa e la collina. L'origine della Pedamentina è legata alla fondazione della Certosa di San Martino, promossa da Carlo di Calabria, figlio primogenito del re Roberto d'Angiò. Il percorso, tagliato sinuosamente sul ripido versante orientale del colle, viene, infatti, realizzato per il trasporto del materiale necessario ai lavori che hanno inizio nel 1325 sotto la direzione degli architetti Tino di Campiono e Francesco de Vito. La gradonata inizia dal piazzale di S. Martino, è una passeggiata molto interessante da un punto di vista paesistico perché non essendo stata chiusa tra cortine di palazzi,offre un ampia veduta di tutto il nucleo più antico di Napoli, di cui si distinguono nettamente il tracciato viario, le fabbriche più importanti, le chiese. Nonostante questa sua posizione invidiabile, è uno dei pochissimi esempi risparmiati dagli scempi della speculazione edilizia. Anche se le condizioni di degrado e la carenza di servizi rendeno urgente un intervento di riqualificazione dell’area. 27 giugno 2014 – Napoli, II edizione del Festival Pedamentina "Poetry and Pummarols" La Pedamentina di San Martino: un patrimonio storico culturale da far tornare a vivere
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