TEORIA POLITICA - Aracne editrice

TEORIA POLITICA

Direttori
Carla A
Università degli Studi di Macerata
Natascia M
Università degli Studi di Macerata
Comitato scientifico
Cristiano Maria B
Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”
José Francisco J D
Universidad Pablo de Olavide
Julien P
Université de Liège
Matteo T
Università di Parma
Gianluca V
Università degli Studi di Macerata
TEORIA POLITICA
L’apoliticità non esiste. Tutto è politica
— Thomas Mann
La collana di Teoria politica si propone di accogliere e pubblicare
ricerche e studi, in particolare monografie e volumi collettanei, dedicati alle trasformazioni del “politico” analizzato attraverso le pratiche,
le istituzioni, il lessico, le teorie e la storia delle idee. Si intende offrire
spazio anche a lavori inediti che ricostruiscano i mutamenti dello spazio politico attraverso temi quali la sfera pubblica, i cambiamenti che
investono le soggettività politiche (con riferimento alle capacità e ai
diritti), la fenomenologia rappresentativa, il simbolismo e la comunicazione politica. Con questa iniziativa editoriale ci si rivolge a quanti
seguono le metamorfosi contemporanee del “politico” con l’intento
critico proprio degli studiosi, teso a intercettare le dinamiche che si
intrecciano nel rapporto società-politica-diritto, e con l’attenzione
vigile di quei lettori che vogliano orientarsi nella comprensione dei
fenomeni politici con strumenti concettuali adeguati alle sfide di un
mondo che esige uno sguardo locale, nazionale e globale.
Michele Citro
Riflettere storicamente la democrazia
attraverso Marcel Gauchet
Prefazione di
Giorgio Cesarale
Copyright © MMXIV
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
info@aracneeditrice.it
via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: luglio 
Indice

Prefazione

Introduzione

Capitolo I
La democrazia come fatto storico
.. Un mondo incantato: “la religione contro la storia”, 
– .. Il mondo del disincanto: “la storia contro la religione”,  – .. Cristianesimo ed autonomia dal religioso,  –
.. La modernità: una rottura tripartita,  – .. La rottura
democratica: “la storia senza religione”,  – .. L’avvenire
come “altro laico” rispetto alla sacralità del passato,  –
.. La rottura utopica: l’“altro” rispetto all’hic et nunc,  –
.. Dalla “filosofia della storia” ad un’“interpretazione filosofica della storia”: una terza via tra l’idealismo hegeliano
e il materialismo dialettico marxista, .

Capitolo II
La democrazia come fatto politico
.. L’etica del débat,  – .. Dall’ortodossia repubblicana
alla religione del Popolo–Nazione,  – .. Una buona
rappresentanza come fondamento per un buon regime
democratico,  – .. Dall’“uno per tutti” al “tutti per
uno”, .

Indice


Capitolo III
La democrazia come fatto socio–antropologico
.. I tre paradossi della democrazia: l’inarrestabile affermazione del principio d’uguaglianza e la fine dell’illusione
individualista,  – .. L’individuo, un progetto in cantiere
dal , .

Entretiens con Marcel Gauchet
 domande sul passato, sul presente e sul futuro delle democrazie occidentali,  – Entretien avec Marcel Gauchet:
 questions sur le passé, le présent et le futur des démocraties occidentales,  – Il doppio senso della storia,  –
Le deux sens de l’histoire, .

Conclusioni

Bibliografia
Prefazione
Il lavoro di Michele Citro sulla “antropo–sociologia trascendentale” di Marcel Gauchet suscita un largo ed immediato sentimento di soddisfazione. Con esso appare
finalmente in Italia una ricostruzione accurata, affidabile,
ragionata, di un pensiero così importante come quello di
Gauchet. Non che quest’ultimo, soprattutto attraverso gli
interventi su « Le Débat », non sia in qualche modo già
penetrato entro la cultura italiana. La nostra discussione
sullo statuto politico e le alterne vicende storiche della
democrazia deve infatti molto alle sue analisi, specie in
riferimento al nesso religione/politica e a quello diritti
umani/sovranità popolare. Ma ciò che nel nostro paese
sembra esser sfuggito è il tentativo di Gauchet di inscrivere
la sua analisi della democrazia, di questa nuova forma di
organizzazione dell’essere–insieme degli uomini, entro
una più ampia campata storica. La democrazia, insomma,
non è concepita da Gauchet, come in buona parte accade
oggi, come il miglior sistema per aggregare a livello politico le preferenze date degli individui o come quel regime
politico che in tanto è cognitivamente superiore in quanto
eleva la qualità discorsiva della cooperazione intersoggettiva. La democrazia è la risposta a un dilemma storico di più
profonda portata, quello relativo alla tensione strutturante,
così come la chiama felicemente Citro, fra eteronomia
e autonomia, e cioè fra una organizzazione dei rapporti
umani in funzione di una alterità e organizzazione degli


Prefazione
stessi secondo ciò, che in un altro contesto filosofico, piace
chiamare il piano dell’immanenza. È per questo che la
comprensione del rapporto fra religione e politica democratica è così cruciale in Gauchet e anche nel resoconto
che ne fa Citro: se la religione è la rappresentazione della dipendenza delle collettività umane da una alterità che
permette peraltro di identificarle e la politica democratica è il riflesso dello sforzo delle collettività umane di
auto–costituirsi, allora interrogare criticamente la storia
nella quale si svolge il rapporto fra la prima e la seconda è
tutt’altro che una attività secondaria. Si tratta piuttosto di
qualcosa di cui il filosofo politico, se è davvero consapevole
della posta in gioco che si cela dietro il fatto democratico,
non può prescindere, pena l’inevitabile impoverimento del
suo esercizio teorico.
Sono affermazioni, queste, che non godono di larga
circolazione entro il dibattito contemporaneo sulla democrazia. Come è facilmente constatabile, infatti, nel secondo
dopoguerra il rapporto fra democrazia e storia è stato giocato più nel verso dell’antitesi che in quello della reciproca
dipendenza. L’esplosione, poi, dopo gli anni Settanta, della considerazione normativa o puramente normativa del
fenomeno democratico non ha fatto altro che imprimere
una ulteriore e brusca accelerazione a questo processo. La
storia sembra esser integralmente risucchiata dalla democrazia, spezzata nella sua più intima vigenza ed effettualità.
Il motto che contraddistingue l’ultimo pensiero politico
di Mario Tronti, « per la politica, contro la storia », sembra
esser valido anche per quelle esperienze di pensiero, di
tipo normativistico, che certo hanno poco a che fare con
il discorso di Tronti. Per rendersene conto, è sufficiente
inoltrarsi lungo le vie di uno dei più recenti capolavori
della teoria normativa della democrazia, Fatti e norme di
Prefazione

Jürgen Habermas. Qui la storia ha senz’altro un rapporto
non occasionale con il diritto e con il progetto di costituzionalizzazione dei diritti. Lo svincolarsi del diritto dal
potere politico così come dal mondo di vita è infatti per
Habermas frutto di un processo storico che è colto nel segno della differenziazione delle sfere dell’agire sociale. La
costituzione è poi intrinsecamente progetto incompiuto
perché il sistema dei diritti su cui essa si fonda deve aprirsi all’interpretazione, storicamente sempre variabile, dei
soggetti e dei movimenti sociali che devono attualizzarla.
Entro questo contesto, tuttavia, il rapporto della storia con
la democrazia appare molto più labile e indiretto. La democrazia pare in Habermas aprirsi alla storia solo grazie
al diritto — il quale, se vuole essere diritto legittimo, non
può evitare di correlarsi alla democrazia — e al processo
di razionalizzazione del mondo di vita su cui poggia l’articolarsi della opinione pubblica. Ma la politica deliberativa
non sembra dimostrare alcun nesso interno con le forme
della “coscienza storica” moderna, su cui invece indugia
a lungo Gauchet, né sorge sulla base della necessità di rispondere agli specifici problemi politici che sono posti e
determinati dall’evoluzione storica.
Sarebbe un grave errore disporre meccanicamente il
rapporto in Gauchet fra eteronomia e autonomia, e dunque fra religione e politica democratica. V’è infatti nella
sua articolazione concettuale una complicazione che ce lo
fa avvicinare direttamente a Hegel. È noto il modo in cui
quest’ultimo ha pensato il rapporto fra differenza esterna
e interna: quando la prima si dissolve, è la determinazione
residua a doversi schiudere alla differenza, a doversi articolare al proprio interno. La differenza esterna, insomma,
può dissolversi solo a patto di riapparire come differenza
interna. Lo stesso accade, complessivamente, in Gauchet:

Prefazione
l’uscita dalla religione, dall’eteronomia, e quindi l’affermazione compiuta del principio dell’autonomia, può darsi
solo a patto che dentro l’orizzonte politico segnato da quest’ultima compaiano nuove forme di assoggettamento a
una alterità. Tutto ciò produce un curioso e paradossale effetto, che è ben ritratto nelle due interviste a Gauchet che
Citro ha meritoriamente effettuato e introdotto nel presente volume: la modernità politica non è soltanto uscita dal
religioso, definitivo congedo da un mondo che vive della
dipendenza dalla trascendenza, ma continua uscita da essa.
Che cosa vuol dire questo? Citro lo spiega bene: il progetto
moderno dell’autonomia è tutt’altro che consegnato a un
destino di perfetta autotrasparenza e coincidenza con sé.
Esso deve combattere costantemente contro tutte quelle forze che mirano a ripristinare strati eteronomici di
esperienza. Sennonché, ecco dispiegarsi la dialettica, queste forze sono chiamate in vita precisamente dal progetto
dell’autonomia. La società può irrigidirsi contro lo Stato
e i diritti umani possono puntare a fare a meno interamente della politica e della sovranità popolare solo dopo
che le collettività umane hanno intrapreso il cammino
dell’autocostituzione democratica.
V’è un evento storico che, sotto questo profilo, svolge
per Gauchet funzioni inaugurali, ed è la Rivoluzione francese. In essa ciò che si è venuto appalesando è la costitutiva
“irrequietezza” della democrazia, il suo non mai sopito
potenziale emancipativo, la sua ambizione, per dirla con lo
Hegel della Fenomenologia dello spirito, di “rifare” il mondo
sociale da capo. Tale ambizione la differenzia nettamente
dalla Rivoluzione americana, che è invece apparsa, dice
Gauchet con tono tocquevilliano, su un suolo naturaliter
democratico. La democrazia, insomma, negli Stati Uniti
ha dovuto, per essere, conquistare a sé molto poco. Ma là
Prefazione

dove la democrazia non è “distruzione creatrice”, tentativo
di cancellare ciò che è a sé eterogeneo, essa non risponde
veramente al progetto dell’autonomia, non è intrinsecamente moderna. Conclusione secca e anche divaricante
rispetto all’opinio communis contemporanea, piuttosto propensa ad accreditare l’immagine dell’“eccezionalità” in
termini democratici dell’esperienza politica statunitense.
Ma la peculiarità dell’approccio di Gauchet si osserva
anche in merito al rapporto fra teoria e storia. Su questo
punto Citro fa nel testo osservazioni di grande chiarezza,
che qui sarebbe incongruo ripetere. Se è inequivocabile
il rifiuto della filosofia della storia, in quanto viziata da
determinismo e teleonomia, non meno inequivocabile è
l’opzione a favore di una ipotesi ricostruttiva della storia
che si dimostri come unitaria. La grande lezione che ci
comunica pertanto Gauchet è che se si vuole fare teoria
democratica, questa è indisgiungibile dalla presentazione
di un resoconto di ciò che siamo divenuti storicamente;
a sua volta fornire questo resoconto è possibile solo se
fra passato, presente e futuro (il luogo temporale aperto
per Gauchet dalla coscienza storica moderna) si stabiliscono interrelazioni non episodiche. Il senso della politica
democratica insomma può essere attinto soltanto se, contemporaneamente, si riesce a rintracciare un senso nella
storia. Operazione tutt’altro che pacifica, come dimostra
l’accanito lavoro che contro questa possibilità è stato compiuto in ampie zone della filosofia contemporanea. È per
questa ragione che avvicinarsi a Gauchet, soprattutto nel
modo, critico e informato, con cui lo ha fatto Michele
Citro, può generare un reale avanzamento nella comprensione non solo del fenomeno democratico, ma anche della
nostra identità come individui moderni.
G C
Introduzione
La democrazia attraverso la rivista
Nato nel , Marcel Gauchet è un filosofo tuttora attivo.
Attualmente capo redattore della rivista « Le Débat » e
direttore di studi presso l’“École des hautes études en sciences sociales”, egli si fa conoscere nel corso degli anni ’
come articolista scrivendo per alcune riviste dell’epoca
di ispirazione filosofica, antropo–sociologica e politica.
Durante il suo periodo di formazione intellettuale lavora
presso una rivista belga gestita interamente da studenti di
orientamento ultra gauchista fondata da Max Loreau. Quest’esperienza gli permette di collaborare con una serie di
intellettuali che si riveleranno decisivi per lo sviluppo del
suo pensiero successivo fra i quali si ricordano, in primis,
Claude Lefort, con il quale nascerà inizialmente un sodalizio intellettuale molto fecondo, nonostante i successivi
dissapori dovuti a divergenze di pensiero e di orientamento politico, Miguel Abensour, Pierre Clastres, Cornelius
Castoriadis e Marc Richir. Nella seconda metà di quegli
stessi anni, Gauchet abbandona « Textures » per « Libre »,
una rivista orientata verso idee un po’ meno estremiste e
révoltistes. Questa nuova rivista è caratterizzata, dal punto
di vista filosofico, da un’accesa critica verso lo strutturalismo, che lo stesso Gauchet concepisce come “una falsa
rivoluzione intellettuale”; dal punto di vista politico, da
un intenso e fortunato dibattito sul totalitarismo messo


Introduzione
in moto dalla pubblicazione in Francia nel  del libro
di Solženicyn, L’arcipelago Gulag, opera che ispira Castoriadis nella stesura di uno degli articoli che porteranno
« Libre » ad essere una delle riviste più accreditate del paese, L’istituzione immaginaria della società. L’importanza di
questa rivista, inoltre, sta nell’essersi dimostrata decisiva
nella rinascita di una filosofia politica nuova, non contaminata dalle rappresentazioni marxiste. Questa nuova
filosofia politica, ed in particolare quella dello stesso Gauchet, si assume l’arduo compito di delineare una genesi
della democrazia quale attualmente la conosciamo, in
maniera tale da poterne individuare quei meccanismi fondamentali che, accompagnati da un’accurata riflessione,
siano in grado di rivelarsi validi aiuti nella formulazione di un pronostico riguardo al futuro di questa stessa
democrazia.
Agli esordi degli anni ’ Gauchet collabora con Pierre
Nora nella fondazione, per la casa editrice Gallimard, della
rivista « Le Débat » e, inoltre, entra a far parte del Centre
de recherches politiques Raymond Aron. La nuova rivista, a
differenza delle prime due, non è né studentesca né di
nicchia, cioè rivolta ad un pubblico composto perlopiù da
intellettuali, bensì si configura come una classica rivista
di generalità intellettuale, a modello dell’Esprit e del Commentaire. A differenza di queste ultime due riviste, però,
« Le Débat » cerca di preservarsi, dal punto di vista dell’orientamento politico, quanto più neutrale possibile. La
preoccupazione di fondo che la anima è totalmente intellettuale, tanto che il suo interesse per la politica non mira
né a formulare giudizi di parte né ad orientare i lettori
verso la droite o la gauche, ma si propone di osservare ed
analizzare i fenomeni politici attuali con il solo scopo di
coglierne le tendenze ideologiche di fondo.
Introduzione

L’esperienza in « Le Débat », inoltre, permette a Gauchet di entrare in contatto con altri due intellettuali dei
quali mostra tuttora avere grande stima e rispetto, uno è
Krzysztof Pomian del quale, in seguito alla lettura di un articolo comparso nel  in Annales, dal titolo La storia della
scienza e la storia della storia, riconosce la grande apertura
mentale e l’immensa cultura poliglotta, tanto da proporgli
un ruolo da collaboratore nella rivista; l’altro è François Furet, la lettura della cui opera, Pensare la Rivoluzione francese,
accende in lui l’interesse per quest’avvenimento storico di
importanza capitale per la nascita e lo sviluppo successivo
della democrazia.
Ciò che emerge fin qui, dunque, è una vita consacrata
al lavoro di articolista. Ciò può considerarsi un caso, una
necessità o una scelta?
Dalle diverse interviste che gli sono state fatte, sembra
che il suo essere un intellettuale da rivista sia in parte dovuto al caso ed in parte frutto di una scelta di vita con salde
motivazioni ideologiche. Agli inizi, infatti, è il caso che lo
porta a collaborare con « Textures » e con « Libre », ma è
la coscienza del ruolo che la rivista ha nella circolazione
di nuove idee nello spazio pubblico e nella preservazione
della libertà di pensiero all’interno di una società, nata in
seguito a queste due esperienze, che lo spinge ad andare
avanti con questa modalità di diffusione del sapere. Per
Gauchet la rivista è “uno dei rari rimedi di cui ancora disponiamo contro il catastrofico fenomeno dell’appassimento
della critica” , un modo di garantire la sopravvivenza di
orientamenti intellettuali minoritari bistrattati negli ambienti universitari. Egli apprezza, appunto, questo ruolo di
. M. G, De Textures au Débat ou la revue comme creuset de la vie
intellectuelle, in La condition historique, Gallimard, Paris .

Introduzione
creatrice di libertà che essa ha. Rimanere fedele al mondo
della rivista rappresenta per lui una maniera personale di
sentirsi cittadino della repubblica delle lettere.
Per ritornare all’intento principale verso il quale il suo
percorso intellettuale è rivolto, si è sopra accennato che egli
è animato dalla grande ambizione di voler ricostruire una
genesi della democrazia e del suo attore principale: l’individuo, inteso in una duplice accezione, sia come civis dotato
per natura di diritti inalienabili, sia come soggetto, l’essere pensante, l’individualità considerata dalla prospettiva
dell’interiorità. La cosa fondamentale, perciò, è avere ben
chiaro cosa intenda Gauchet quando parla di democrazia.
Più che riferirsi alla definizione canonica che generalmente se ne dà, « governo del popolo per il popolo », egli la
considera nel suo essere fenomeno storico.
L’interrogativo, dunque, dal quale la sua ricerca parte è
il seguente: cosa caratterizza l’uomo democratico? Qual è
la sua origine, la sua storia, i suoi dubbi?
Per darsi una risposta decide di adottare la modalità
dell’inchiesta storica, secondo la quale la storia non viene
concepita come una semplice raccolta di fatti, ma come
una riflessione all’interno della quale questi stessi fatti,
ovvero i diversi avvenimenti storici, devono essere inseriti
affinché possano rendersi comprensibili.
La particolarità di questo suo percorso è di svilupparsi
secondo diversi assi di riflessione. Per rendersene conto basterebbe dare un’occhiata alla sua bibliografia. Si rimarrà
sicuramente impressionati e disorientati di fronte all’apparente diversità dei suoi studi. Il suo primo libro, pubblicato
nel , la Pratica dello spirito umano, scritto in collaborazione con Gladys Swain, affronta la questione degli asili
psichiatrici e delle forme di trattamento della follia nella
società post–illuminista dominata e fondata sulla ragione.
Introduzione

Egli manifesta uno spiccato interesse per le terapie psichiatriche scoperte nel corso del ’ come dimostra la
pubblicazione nel ’ de L’incosciente cerebrale. Nel 
pubblica un libro che desta grande scalpore e che ha come oggetto la relazione tra la religione e l’istituzione del
politico all’interno della società umana. Questo libro ha il
titolo, di ispirazione chiaramente weberiana, Il disincanto del mondo. Una storia politica della religione. Egli scrive
inoltre due libri sulla Rivoluzione francese, La rivoluzione
dei diritti dell’uomo, pubblicato nel , e La rivoluzione
dei poteri, pubblicato nel . A queste opere bisogna poi
aggiungere quelle che egli presenta al pubblico sotto la
veste di editore, autore di prefazioni o co–autore, come nel
caso della raccolta degli scritti politici di Constant o i saggi
che compaiono in numerose collane alle quali partecipa,
quali, ad esempio, quella edita da Pierre Nora, intitolata I
luoghi della memoria, nella quale compare il celebre articolo
Storia di una dicotomia. La destra e la sinistra, o, ancora, il
Dizionario critico della Rivoluzione francese di François Furet
e Mona Ozouf. Negli ultimi tre anni, infine, ha lavorato ad un’opera in tre volumi dal titolo assai impegnativo
L’avvento della democrazia.
Come si può vedere, dunque, quest’autore passa senza alcun problema dalla religione alla Rivoluzione francese o alla psichiatria fondendo fra loro diverse epoche
nonché diverse discipline, quasi provasse una sorta di furbesco piacere a trasgredire le classificazioni accademiche
generalmente riconosciute.
Cos’è che lo spinge in questo suo apparentemente
confusionario ed antiaccademico modo di procedere?
Una risposta plausibile a questo interrogativo potrebbe
essere che probabilmente Gauchet sia dell’opinione che
gli uomini nello svolgersi delle loro faccende non tengano

Introduzione
conto delle rigorose separazioni accademiche all’interno
delle quali le università vorrebbero farli entrare una volta
per tutte. Essi hanno attraversato e continuano ad attraversare il vasto piano della storia senza rispettare le categorie
nelle quali gli accademici vorrebbero relegarli.
Inoltre, da un’attenta analisi della sua poliedrica produzione ci si può rendere conto che l’interdisciplinarità
che attraversa lo sviluppo del suo pensiero, dopotutto, è
tenuta insieme da un Leitmotiv onnipresente e costante: la
filosofia politica.
A suo parere, infatti, l’esatta chiave di lettura, che attualmente può condurci ad una migliore comprensione della
storia nella sua quasi totalità, è politica.
Cosa intende col dire ciò?
Quando parla di una chiave di lettura politica della storia, intende dire che la riflessione che coinvolge la storia
non si riduce a nient’altro che ad una riflessione sulla democrazia. Tutta la sua produzione, quindi, mira, in sintesi,
a spiegare o, meglio, a comprendere la poliprospettica e
complessa idea di democrazia. Una democrazia che si realizza nel corso della storia come il regime politico dove gli
uomini scelgono da sé medesimi le loro leggi, il momento
in cui “l’altro” diviene immanente alla società e non è più
quel principio istituente primitivo, esterno ed intangibile.
Ciò porta Gauchet a chiedersi: a che prezzo siamo
potuti divenire legislatori di noi stessi? Quali sono i possibili e desiderabili punti di congiungimento fra individuo, società e Stato all’interno dell’emisfero democratico? Cos’ha significato l’avvento del mondo democratico
per l’individuo? Nel momento in cui l’individuo viene
a configurarsi come sovrano del proprio ordine politico,
può effettivamente e integralmente sentirsi padrone di se
stesso?