ACQUISTI DI BENI E SERVIZI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE TRA ARMONIZZAZIONE EUROPEA E COORDINAMENTO DELLA FINANZA PUBBLICA NAZIONALE Abstract: il presente scritto, di presentazione del corso “acquisti di beni e servizi della pubblica amministrazione alla luce della e-tecnologia, della funzione di controllo e della spending review”, si propone di fornire un breve ricostruzione storica della legislazione sugli appalti della pubblica amministrazione, dalla creazione dello Stato italiano sino ai giorni nostri, al fine di cogliere gli obiettivi perseguiti in questo fondamentale settore di attività del settore pubblico. 1. Premessa. E’ un dato di comune esperienza che per realizzare i fini di interesse pubblico che la legge le attribuisce la pubblica amministrazione ha bisogno di dotarsi di mezzi di cui ordinariamente non dispone, a causa della sua organizzazione tipicamente burocratica, composta essenzialmente di regole e uomini, e che sono invece reperibili nel mercato. I rapporti tra amministrazione pubblica e mercato danno dunque luogo ad un fenomeno economico prima ancora che giuridico, e nascono dall’incontro tra l’offerta di beni e servizi che il secondo è in grado di fornire e la domanda che la prima è in grado di sostenere. Variabili fondamentali di questo fenomeno economico sono gli obiettivi che nell’ambito delle suddette finalità pubblicistiche l’amministrazione prevede di potere concretamente ed i mezzi finanziari di cui la stessa è dotata. L’amministrazione è in ogni caso uno degli attori principali dell’economia e la spesa pubblica per acquisti di beni e servizi costituisce una componente essenziale del bilancio dello Stato e degli enti pubblici in generale. Accanto ai profili di carattere economico si pongono quelli giuridici. Il fabbisogno dell’amministrazione di beni e servizi è anche una questione che pone l’esigenza di regolare a livello normativo l’incontro tra domanda pubblica ed offerta privata. La regolamentazione di questo incontro muove peraltro da due posizioni antitetiche e non facilmente componibili. Ciò deriva dal fatto che il nostro paese rientra tra gli ordinamenti giuridici statali c.d. di diritto amministrativo, nel quale, cioè, l’amministrazione pubblica è 1 dotata di supremazia nei confronti del privato, ed è pertanto in grado di imporsi autoritativamente su quest’ultimo, dettando la regola giuridica del caso concreto. Lo strumento giuridico con cui questo incontro avviene è peraltro quello del contratto, che trae origine dal diritto privato e vede i contraenti operare su un piano di parità. I contratti dell’amministrazione non rispondono tuttavia appieno a questo modello, perché la fusione dei consensi che in essi si realizza è preceduta da un’attività che l’amministrazione medesima svolge interamente nella sfera della propria organizzazione pubblicistica, diretta nel suo complesso a fare emergere le ragioni di interesse pubblico che giustificano il ricorso all’offerta privata di beni e servizi. Questa attività è definita di “evidenza pubblica”, che è un concetto fondamentale dell’azione amministrativa ed allo stesso tempo un vincolo che si impone su quest’ultima. Si tratta - come ampiamente noto - di un’attività articolata in fasi procedimentali (ora individuate dall’art. 11 cod. contratti pubblici), finalizzata nel suo complesso ad individuare il miglior contraente privato, allo scopo di realizzare in massimo grado l’interesse pubblico sotteso al contratto da affidare, e prima ancora alla decisione di procedere all’acquisto di beni servizi. Con l’evidenza pubblica l’amministrazione fa emergere questo interesse, il quale dunque assurge alla sfera del giuridicamente rilevante, all’esito di ben precise scansioni procedimentali, previste e disciplinate dalla legge e formalizzate in atti amministrativi. L’evidenza pubblica assume quindi un duplice significato. Innanzitutto, quello tradizionale di collegamento tra un’attività che nella sua fase culminante è di diritto privato, sostanziandosi nell’incontro di volontà contrattuale dell’amministrazione con il privato. In secondo luogo quello di attività svolta secondo le forme del procedimento amministrativo, retta dai principi generali dell’attività autoritativa, oggi consacrati nella Costituzione (art. 97: imparzialità e buon andamento), e oltre che nella legge generale sul procedimento amministrativo n. 241/1990 ed elaborati dalla scienza amministrativa, quali i principi di legalità, trasparenza, efficacia, efficienza, economicità, proporzionalità. L’evidenza pubblica trae a sua volta le proprie giustificazioni fondative dagli imperativi cui i pubblici poteri sono soggetti. A differenza del contraente privato, infatti, la pubblica amministrazione non è libera nei fini, perché questi sono eterodeterminati dal legislatore. Pertanto, 2 prima di stipulare un contratto con il privato, l’amministrazione è tenuta a verificare che il bene o servizio acquistato sia rispondente ai fini che è tenuta a perseguire. Vi è poi un ulteriore vincolo, che è quello di bilancio e dunque delle risorse finanziarie che l’amministrazione può impiegare per l’acquisto di beni o servizi. L’evidenza pubblica mira quindi anche a verificare che gli impegni economici rivenienti dai contratti siano compatibili con gli stanziamenti di bilancio nei pertinenti capitoli di spesa. Questa imprescindibile necessità è a ben vedere l’origine della legislazione in materia di contratti della pubblica amministrazione. Infine, anche la contrattazione non avviene secondo i moduli privatistici delle trattative prenegoziali disciplinate nel codice civile, ma in modo impersonale, attraverso una rigida predeterminazione delle modalità di individuazione del contraente privato. L’amministrazione giunge a stipulare i propri contratti dopo avere previamente selezionato l’offerta migliore. Per lungo tempo è stata considerata offerta migliore quella in grado di assicurare il maggiore risparmio per l’amministrazione. In base a questa considerazione è dunque possibile cogliere la stretta correlazione tra normativa sui contratti della pubblica e aspetti contabilistici dell’organizzazione e dell’azione amministrativa. Il rilevante impiego di risorse del bilancio dello Stato ha condotto ad escludere la materia dei contratti pubblici dal diritto privato e ad includerla nell’ordinamento giuridico finanziario-contabile della pubblica amministrazione. Questo è un profilo ed una chiave di lettura fondamentale per la comprensione degli indirizzi di politica legislativa via via succedutisi in Italia nel corso degli anni nella materia in esame, fino ai recentissimi interventi normativi del governo attualmente in carica. 2. Le origini storiche della legislazione italiana sugli acquisti di beni e servizi della pubblica amministrazione. Già presso la classe politica sotto la quale si era realizzata l’unificazione dello Stato italiano era fortemente avvertita l’esigenza di una legislazione organica sui contratti della pubblica amministrazione. Ad essa si provvide quindi già all’indomani dell’erezione dello Stato unitario, con la legge n. 2248/1865 (“legge per l’unificazione amministrativa del 3 Regno d’Italia), il cui promotore fu l’allora ministro degli interni Giovanni Lanza, ancora oggi noto per essere stato l’unico ad ottenere, allorché ricopriva la carica di vertice al dicastero delle finanze, il pareggio del bilancio dello Stato. Con la legge n. 2248/1865 venne realizzato un imponente intervento di unificazione amministrativa, diretto a superare il particolarismo degli ordinamenti degli Stati preunitari annessi all’ordinamento giuridico nato dal risorgimento e dalle guerre di indipendenza condotte dalla monarchia sabauda. L’obiettivo era allora quello di porre fine a spinte centrifughe, attraverso la soppressione degli istituti giuridici ed organizzativi delle amministrazioni pubbliche delle preesistenti entità politiche. L’attenzione fu peraltro focalizzata sui contratti di appalto di opere pubbliche, cui fu dedicato l’intero allegato F della legge, mentre nulla era previsto per i servizi e le forniture. Ciò è dovuto a ragioni di politica economica: a causa della sua frammentazione politica l’Italia versava in condizioni di forte ritardo nei confronti delle potenze europee dal punto di vista infrastrutturale. Obiettivo prioritario della classe politica al potere era dunque quello di colmare il deficit accumulato in questo campo in secoli di divisione politica. La stretta correlazione tra aspetti giuridico-contrattualistici e gestione del bilancio pubblico costituisce comunque l’aspetto saliente della legge di unificazione. Disposizioni espressive di questo indirizzo di fondo del legislatore post-unitario sono gli artt. 319 e 331 del citato allegato F alla legge n. 2248/1865. La prima prevedeva che le opere pubbliche sono eseguite nei limiti dei pertinenti stanziamenti di bilancio, mentre la seconda operava, per le procedure di selezione del contraente privato, un rinvio testuale alle “norme prescritte dalle leggi e regolamenti di contabilità generale”. Questo rinvio trovò una compiuta realizzazione con l’unificazione delle norme di contabilità generale dello Stato e degli enti pubblici, per le quali si dovette attendere il 1923, con il regio decreto n. 2440, oggi tuttora vigente in gran parte. Norma cardine della legge di contabilità generale era quella contenuta nell’art. 3, secondo cui la stipula di contratti della pubblica amministrazione deve essere preceduta da una selezione del contraente privato in base al modello della gara, in particolare allorché l’amministrazione debba stipulare contratti c.d. passivi, dai quali cioè “derivi una spesa per lo Stato”. 4 La contabilità dello Stato e degli enti pubblici è la scienza che studia le norme che disciplinano l'organizzazione finanziario-contabile dei pubblici poteri e l’attività di questi volta alla gestione del patrimonio, del bilancio, nonché il connesso sistema dei controlli e delle responsabilità degli amministratori e funzionari pubblici. E’ dunque una scienza di matrice giuridica, tradizionalmente considerata una branca del diritto amministrativo. Più precisamente, la contabilità di Stato è la parte di quest’ultimo che si occupa dei fenomeni economici dell’organizzazione e dell’attività amministrativa: il denaro ed i beni, prima di tutto, ma anche le spese, gli acquisti e dunque i contratti, sia attivi, comportanti cioè un’entrata, che passivi, fonte cioè di esborsi a carico delle finanze pubbliche. La matrice “contabilistica” dei contratti dell’amministrazione esprime inoltre un modello fortemente centralizzato ed autoritario dell’attività contrattuale. Il regio decreto n. 2440/1923 (unitamente al regolamento di esecuzione di cui al regio decreto n. 824/1924) predetermina in modo analitico i casi e le forme con i quali l’amministrazione addiviene alla stipula di contratti con il privato. A questo specifico riguardo, vengono previsti quale modello generale di contrattazione il pubblico incanto o la licitazione privata (art. 3, comma 2, r.d. n. 2440/1923), mentre assume un ruolo eccezionale e derogatorio la trattativa privata (art. 6). Trovano poi una prima espressa disciplina le forniture, per le quali si prevede il metodo selettivo dell’appalto-concorso, quando queste (o i lavori) siano qualificabili come “speciali” (art. 4). Con riguardo ai contenuti dei contratti, la legge di contabilità generale rinvia a modelli uniformi predisposti dall’amministrazione, i capitolati d’oneri (art. 7), ma al contempo regola direttamente alcuni aspetti essenziali rispetto alle esigenze di controllo della spesa. In particolare, l’art. 12 impone la durata certa dei contratti e contemporaneamente vieta, salvo casi eccezionali, che da questi possano conseguire oneri continuativi per lo Stato. Del pari presupposta alla legge è l’attività di progettazione che l’amministrazione svolge prima di procedere all’indizione di una procedura di affidamento di un contratto e prima ancora quella di programmazione dei propri fabbisogni di beni e servizi. 5 3. La concezione “contabilistica” dei contratti della pubblica amministrazione. Quella espressa dalle fonti normative sopra ricordata è la concezione “contabilistica” dei contratti della pubblica amministrazione, che trova la sua traduzione nella regola fondamentale secondo cui quest’ultima solo eccezionalmente contratta con il privato su un piano puramente negoziale, operando per il resto sempre nella sua tipica veste di autorità dotata di supremazia, nel rispetto di procedimenti amministrativi espressivi di poteri unilaterali. E ciò perché è esclusivamente all’interno della sua organizzazione, dei suoi organi ed uffici che si materializza, secondo gli schemi tipici del suo agire procedimentalizzato, la decisione di contrattare, innanzitutto, quindi la predeterminazione dei contenuti del contratto attraverso l’elaborazione del relativo progetto, ed infine nella fase di scelta del contraente, nella quale la selezione avviene attraverso un competizione tra privati in base al progetto posto a base della gara, in modo del tutto impersonale ed antitetico rispetto al tradizionale dispiegarsi delle contrattazioni tra privati. A coloro tra questi ultimi che intendano contrattare con la pubblica amministrazione non è dato altro che accettare il progetto di contratto e le relative condizioni economiche fissate nel capitolato d’oneri. Entrambi questi documenti sono già predisposti dall’amministrazione e sono destinati a costituire la base della selezione del contraente privato attraverso la gara. In questa prospettiva si colloca la tradizionale qualificazione dei contratti della pubblica amministrazione data dalla dottrina amministrativista come contratti per adesione e, prima ancora, del bando di gara o della lettera di invito, rispettivamente nei pubblici incanti o nelle licitazioni private, come inviti ad offrire ex art. 1336 cod. civ., destinati poi a sfociare nella conclusione del contratto attraverso l’aggiudicazione all’esito della gara. A quest’ultimo atto terminale della procedura di gara viene attribuito lo stesso valore del contratto (art. 16, comma 4, r.d. n. 2440/1923). La successiva stipulazione formale del contratto in forma amministrativa rimane per contro sul piano della mera riproduzione di un consenso negoziale già formatosi nella fase pubblicistica. 6 Dall’altro lato, sempre per quanto concerne i bandi di gara e le lettere di invito, si sedimenta la concezione che annette a questi due carattere di legge speciale della procedura selettiva che sono destinati a regolare. Secondo questo modello teorico (ancora di recente ribadito dalla giurisprudenza amministrativa: Cons. Stato, Ad. plen. 25 febbraio 2014, n. 9), il bando (e la lettera di invito): è un atto amministrativo generale, di natura imperativa, recante il complesso delle regole alle quali devono attenersi non solo i concorrenti ma anche l’amministrazione; è inoltre costitutivo di effetti eventualmente anche derogatori rispetto alla disciplina introdotta dalle fonti di rango primario o regolamentare e pertanto non disapplicabile da parte dell’amministrazione, oltre che del giudice amministrativo, se non impugnato; deve infine essere interpretato secondo il criterio formale testuale ed oggettivo, nonché secondo buona fede (artt. 1362 e 1366 cod. civ.), essendone per contro escluse letture in chiave soggettiva ed integrativa, in specie per quanto riguarda le cause di esclusione dalla gara. L’amministrazione quindi detta norme specifiche e prescrizioni di carattere tecnico che sono destinate a costituire la cornice regolamentare nel quale è destinato ad avvenire l’incontro di volontà con il privato. A quest’ultimo spetta di formulare un’offerta che risponda alle esigenze che l’amministrazione ha manifestato di volere soddisfare mediante un simile modello di azione. Il principio della gara e quindi dell’evidenza pubblica è poi assurto a canone generale dell’azione dell’amministrativa laddove questa offra al mercato opportunità di sviluppo economico: non solo nell’affidamento di commesse, ma ogniqualvolta si debba procedere all’assegnazione a privati di beni o risorse pubbliche (Cons. Stato, Ad. plen., 25 febbraio 2013, n. 5). Ciò ha determinato il corollario dell’applicazione di una serie di principi e regole, che - come si vedrà in seguito – si sono innestati sulla matrice “contabilistica” della normativa sui contratti della pubblica amministrazione e sono finalizzati ad attuare precetti costituzionali e comunitari, volti nel loro complesso non solo ad assicurare il migliore impiego di utilità di cui l’amministrazione dispone, ma anche assetti concorrenziali del mercato. 4. Gli sviluppi conseguenti all’impostazione “contabilistica” dei contratti della pubblica amministrazione. 7 La riconduzione dell’attività contrattuale nell’alveo della contabilità generale dello Stato e degli enti pubblici esprime dunque un modello economico nel quale amministrazione e mercato sono separati, ed il loro incontro non avviene su base personale, ma secondo metodi di scelta meccanicistici, in una sfera dominata dal potere autoritaritivo dell’amministrazione. Oltre a non essere in primo luogo libera di agire, quest’ultima è indifferente alle dinamiche del mercato, se non nei ristretti limiti delle singole procedure di affidamento, essendo invece protesa al perseguimento dei propri obiettivi di selezione del miglior contraente attraverso il rigoroso rispetto delle regole che ne perimetrano l’agire. La necessità di osservare queste regole ha finito per innervare la cultura dell’amministrazione oltre che la legislazione in materia di contratti di quest’ultima. Nella sua impostazione fondamentale di matrice contabilistica la normativa sugli appalti pubblici non consentiva significativi margini di elusione, in particolare per quanto riguarda la selezione del contraente. I metodi di scelta erano infatti analiticamente predeterminati, non intercambiabili, così come, all’interno di questi, le singole fasi procedimentali. In questo sistema l’asta pubblica aveva un ruolo di preminenza. Con esso si otteneva il risultato di stimolare la libera concorrenza, nella convinzione di perseguire in questo modo vantaggi economici per l’erario, contemporaneamente accettandosi che la capacità e serietà del contraente privato venissero compiutamente vagliate nell’ambito di un metodo selettivo meccanicistico, rigidamente disciplinato, ed impersonale. L’ampliamento del confronto concorrenziale era dunque concepito come strumentale agli interessi dell’amministrazione. In particolare, la concorrenzialità nell'aggiudicazione era garanzia di risparmio finanziario per l'amministrazione, nel senso che la procedura competitiva era vista come la modalità più efficace per garantire la minore o migliore spendita del denaro pubblico. Si tendeva inoltre a fugare dubbi circa possibili collusioni o fatti di malcostume da parte dei funzionari pubblici. Questa preoccupazione è particolarmente evidente nella legislazione degli anni in cui la corruzione assume fenomeni di allarme sociale, e cioè negli anni dell’esplodere di tangentopoli, con la legge quadro sui lavori pubblici (c.d. legge Merloni 8 n. 109/1994), connotata da una forte riduzione dei poteri discrezionali dell’amministrazione nell’affidamento di appalti pubblici di lavori. Peraltro, prima che il fenomeno corruttivo si manifestasse in tutta la sua gravità, si maturò in progresso di tempo la convinzione che l’ampia partecipazione consentita dal sistema dell’asta pubblica non assicurasse l’individuazione del miglior contraente. Ciò consentì il ritorno in auge della licitazione privata, cui inizialmente era stato attribuito un ruolo di sistema selettivo eccezionale, sebbene formalmente equiparata all’asta pubblica dall’art. 3 della legge di contabilità generale dello Stato. Questo metodo di selezione del contraente venne quindi ad assumere un ruolo di pari dignità rispetto all’asta pubblica, ed anzi in alcuni casi venne preferita, per il fatto che con essa la pubblica amministrazione era posta nelle condizioni di scegliere anticipatamente i partecipanti alla gara, fino a divenire un sistema ordinario e generale di selezione del contraente. Nella sua configurazione originaria, la licitazione privata si caratterizzava per essere una gara ristretta a inviti insindacabili dell’amministrazione, espressivi di ampia discrezionalità. Questo profilo è stato in seguito ritenuto non compatibile con le istanze di massima concorrenzialità emerse in sede comunitaria, le quali ne hanno determinato, sul piano interno, una progressiva assimilazione all’asta pubblica, finendone per snaturarne le originarie caratteristiche di procedura ad inviti. In origine, la licitazione privata presupponeva che la pubblica amministrazione avesse una piena conoscenza del mercato degli operatori di settore cui il contratto si riferisce. Tuttavia, del conseguente potere di invitare questi ultimi si era finito per fare un uso distorto, favorendo il consolidarsi di posizioni di potere di mercato da parte di pochi operatori economici. Da ciò è derivato il disfavore del legislatore per questa procedura ed i primi risalenti interventi correttivi: con l. n. 14/1973 si è introdotto il preventivo avviso di gara e dunque la fase di prequalificazione, onde sollecitare manifestazioni di interesse in vista dei successivi avvisi. Con l’art. 23 l. n. 109/1994 la licitazione privata è stata quindi assimilata completamente all’asta pubblica, essendosi introdotto l’obbligo di invito per tutti i richiedenti. Si è pertanto imposto alle amministrazioni non solo di pubblicare un bando pubblico per sollecitare le imprese interessate a formulare una domanda di partecipazione, ma anche di 9 osservare il principio per il quale ogni soggetto che abbia fatto richiesta di partecipazione e sia in possesso dei requisiti debba essere invitato alla fese di selezione del contraente. Tale principio, già presente nella previgente disciplina dei lavori pubblici, è stato esteso a tutti i tipi di appalto, finendo per rendere la procedura ristretta un inutile duplicato di quella aperta (la procedura ristretta viene infatti definita procedura aperta “a inviti” o “aggravata”). Pertanto, non vi è alcuna fase di preselezione, bensì di verifica dei requisiti posseduti dai soggetti che hanno fatto richiesta di partecipazione alla procedura (prequalificazione). Questa è l’unica sostanziale variante rispetto alla procedura aperta. Come sopra accennato, invece, la trattativa privata assumeva in questo sistema (come del resto tuttora), rilievo marginale e derogatorio degli ordinari sistemi di selezione del contraente. A differenza di quelli finora visti, nella trattativa privata l’aspirante contraente partecipa attivamente alla formazione del contenuto contrattuale trattando con l’amministrazione. L’amministrazione quindi “si apre” al mercato, richiedendo la collaborazione del privato al fine di individuare il contenuto del contratto, non limitandosi ad offrire semplicemente un prezzo. Dall’altra parte, l’amministrazione assume le vesti del contraente privato e dunque si spoglia dei suoi tradizionali connotati di autorità. Nella legislazione contabilistica, quest’ultima si caratterizzava per il fatto che la pubblica amministrazione individuava uno o più soggetti (art. 92, reg. n. 827/1924) e, senza alcuna formalità, contrattava direttamente con essi il contenuto dell’offerta, nonché in alcuni casi anche aspetti del contenuto contrattuale. La caratteristica della trattativa privata risiedeva quindi nell’ampia discrezionalità dell’amministrazione di scegliersi i contraenti in assenza di specifiche formalità. Si osservava che il momento squisitamente pubblicistico nella trattativa privata si poneva chiaramente solo nelle fasi antecedenti e successive, in senso logico e temporale, a quelle della formazione del contratto in senso stretto. In particolare nella delibera o determinazione a contrattare, nella quale devono essere indicati i presupposti del ricorso alla trattativa privata. Si segnala poi che un altro modello di tipo negoziale, nel quale cioè il ruolo del privato non consiste nella mera formulazione di un prezzo è quello dell’appalto-concorso (oggi appalto integrato ex art. 53 cod. 10 contratti pubblici). Anche in questo caso, infatti, questo metodo di selezione consente la piena partecipazione del privato al processo di formazione del contratto, in particolare nell’integrazione del progetto che l’amministrazione ha lasciato aperto all’apporto tecnico del proprio futuro contraente. 5. I caratteri dell’evidenza pubblica interna. La riconduzione della normativa sull’attività contrattuale della pubblica amministrazione nel sistema della contabilità generale dello Stato e degli enti pubblici ha determinato peculiari sviluppi di carattere legislativo. Sebbene infatti questa collocazione abbia costituito l’espressione di una politica economica accentatrice e massimamente attenta alle esigenze di uniformità e oculata gestione delle risorse pubbliche, ad essa non si è accompagnata la previsione di un rigido sistema di controlli preventivi, interni o esterni, sulla scelta delle amministrazioni di ricorrere al mercato per la provvista di beni o servizi, come invece avviene per altri settori dell’attività comportante l’impiego di risorse economiche. Ad essi era in particolare stata sottratta la fase formativa della decisione di ricorrere all’aggiudicazione di contratti, culminante con la delibera a contrattare, non era soggetta a questa tipologia di controlli. Per contro, questi ultimi intervenivano invece solo una volta che il procedimento di scelta assumeva effettivo rilievo contabile, e cioè con la stipulazione del contratto all’esito della procedura selettiva e la conseguente nascita di un’obbligazione giuridicamente perfetta, costituente il fatto giuridico indispensabile per l’assunzione dell’impegno di spesa sul pertinente stanziamento di bilancio (nei contratti passivi) o per l’accertamento dell’entrata (per i contratti attivi). L’attività prodromica alla conclusione del contratto assume invece rilievo per quanto concerne i profili di carattere strettamente tecnico. A questo riguardo, come ampiamente noto la materiale stipulazione del contratto e prima ancora l’espletamento della gara è preceduta da un complesso di attività dirette in primo luogo a formalizzare la decisione di contrattare e quindi a determinare, in misura più o meno completa, il contenuto del contratto. 11 Nella materia dei lavori pubblici è obbligatoria la predisposizione di un programma triennale, aggiornabile su base annua. Nel programma, i lavori che l’amministrazione prevede di realizzare sono collocati secondo un ordine di priorità espressivo delle scelte politiche fondamentali dell’ente pubblico, che poi trova un momento di coordinamento con il ciclo di bilancio e dunque con la programmazione finanziaria sottesa a quest’ultimo. Ciò al fine di individuare la copertura finanziaria, sin dalla progettazione preliminare (titolo III, della parte I del codice dei contratti pubblici; per le infrastrutture strategiche di cui alla legge n. 443/2001 la copertura finanziaria deve invece essere reperita nella manovra di bilancio, ora attuata con legge di stabilità). Il metodo della programmazione, già introdotto dalla legge quadro sui lavori pubblici n. 109/1994 (art. 14), costituisce garanzia di trasparenza, ma anche efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa, nonché di partecipazione del privato alle scelte dei pubblici poteri aventi significativi impatti sull’economia. Sotto il primo profilo, è il caso di sottolineare che con la previsione di una disciplina generale sulla programmazione delle opere pubbliche il legislatore ha inteso realizzare l’obiettivo di razionalizzare il processo decisionale, attraverso la predeterminazione degli obiettivi e la predisposizione de conseguente piano degli interventi, secondo i principi generali di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa. A questo obiettivo si correla quello della programmazione finanziaria, divenuta fondamentale in una situazione di endemica scarsità di risorse e postasi in posizione sinergica rispetto all’individuazione delle opere. Scopo dell’attività di programmazione è dunque quello di evitare che siano realizzate opere non rispondenti ai bisogni della collettività (Corte Cost. 7 novembre 1995, n. 482). Pertanto, la programmazione costituisce un’attività necessariamente preliminare rispetto alla progettazione e realizzazione dell’opera pubblica, la quale non rimane confinata sul piano della sfera organizzativa interna della pubblica amministrazione, ma assume rilievo sul piano dell’ordinamento generale, divenendo dunque soggetta alle norme sul procedimento amministrativo e sui canoni generali dell’azione dei pubblici poteri, e conseguentemente sindacabile dal giudice amministrativo (Cons. St., Sez. V, 23 ottobre 2002, n. 5824; Sez. VI, 22 novembre 2004, n. 7615). 12 Oltre a rispondere alle finalità finora viste la programmazione è funzionale anche all’apertura alla concorrenza, giacché la con essa il processo decisionale dei pubblici poteri viene esternato e reso conoscibile agli operatori privati, i quali possono già in questa fase formulare proposte di interventi per opere già inserite nell’elenco o addirittura da inserire in questo (art. 153 d.lgs. n. 163/2006), assumendo dunque il ruolo di proponente dell’intervento anziché quello di promotore. La pluralità di proposte relative ad un medesimo intervento introduce quindi un elemento di competitività di cui l’amministrazione può giovarsi per acquisire le capacità tecniche che il mercato offre per realizzare interventi maggiormente al pubblico interesse alle condizioni migliori. La novità di attribuire al privato l’iniziativa propositiva è stata introdotta al fine di rimuovere uno dei fattori che in passato avevano scoraggiato il ricorso all’istituto della finanza di progetto, consistente nel fatto che i privati erano costretti a muoversi nei limiti di una programmazione di interventi già effettuata dall’amministrazione. Il sistema della programmazione è dunque concepito come aperto al contributo del privato, ed esprime una visione dell’amministrazione non rispondente a quella propria della concezione contabilistica dei contratti. Va detto tuttavia che la proposta non è vincolante per l’amministrazione. Questa conserva un’ampia discrezionalità nel valutarla e finanche nel non prenderla nemmeno in considerazione. A questo riguardo, occorre certamente che la stessa sia corredata da un studio di fattibilità che ne dimostri l’utilità collettiva e ne evidenzi le caratteristiche tecniche, gestionali ed economico-finanziarie, in linea con quanto l’amministrazione è tenuta a fare in sede di attività preliminare alla programmazione. Nondimeno, si ritiene che quest’ultima possa limitarsi a dichiarare di non avere interesse alla realizzazione degli interventi proposti, trattandosi di decisione che si inserisce nell’ambito degli apprezzamenti di carattere politico non sindacabili in sede giurisdizionale (TAR Toscana, 4 maggio 2005, n. 2051). In altri termini, non sussistono i presupposti giuridici per ritenere operante l’obbligo di motivazione sancito dall’art. 3 l. n. 241/1990. Una posizione tutelabile in capo al privato è configurabile solo in seguito ad una valutazione preliminare positiva della proposta, allorché dunque questi assuma la veste di promotore, attraverso la previsione del 13 carattere prioritario alle opere finanziate da capitali privati previsto dall’art. 128, comma 3, d.lgs. n. 163/2006. Il modello della programmazione è invece previsto su base facoltativa per gli appalti di servizi e forniture. Nei pochi articoli ad esso dedicati dal regolamento di attuazione del codice dei contratti pubblici, di cui al d.p.r. n. 207/2010 (art. 271 - 274 ss.), sono richiamate disposizioni e regole valevoli per la programmazione nei lavori pubblici, e si pone l’accento sul ruolo del responsabile unico, al quale viene attribuita la cura e la responsabilità delle varie fasi del procedimento di acquisto di beni e servizi. L’attività di programmazione conosce poi il proprio momento di sintesi nella deliberazione a contrattare, considerata tradizionalmente il fulcro dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione. Formalmente prevista per i soli enti locali (art. 284 t.u. legge comunale e provinciale di cui al regio decreto n. 383 del 1934), la stessa è stata ritenuta implicita anche negli atti di approvazione di progetti di contratto per le amministrazioni dello Stato. Nell’ordinamento contabilistico-finanziario in cui l’attività contrattuale dei pubblici poteri è stata inserita, la delibera a contrattare è stata considerata quale necessario requisito di legittimazione ad agire dell’organo responsabile, la cui mancanza determinava l’invalidità del contratto ciò nondimeno concluso. Malgrado il recepimento delle istanze autonomistiche all’epoca diffuse, l’ordinamento degli enti locali di cui alla l. n. 142/1990 ha confermato nella sostanza l’istituto, precisando i contenuti della delibera, di competenza della giunta (art. 56). I successivi interventi riformatori nei confronti della dirigenza attuati a fine anni ’90 hanno trasformato poi l’istituto in determinazione a contrattare (art. 192 testo unico enti locali di cui al d.lgs. n. 267/2000), ed hanno previsto che l’acquisizione di beni e servizi effettuata in assenza della necessaria copertura di spesa determini la responsabilità esclusiva del funzionario che ha agito, salvo l’arricchimento conseguito dall’amministrazione [ora artt. 191, comma 4, e 194, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 267/2000]. 6. Le politiche interne di contrasto alla corruzione nel settore degli appalti pubblici. 14 L’approccio contabilistico alla materia dei contratti della pubblica amministrazione, con il corollario del sistema dei controlli e delle responsabilità, si è tuttavia mostrato alla prova dei fatti incapace di reggere spinte verso fenomeni di malcostume nell’uso delle risorse pubbliche. Sono ampiamente note le vicende politico-giudiziarie ricondotte dal punto di vista storico nell’ambito degli anni di “tangentopoli”. In questa sede conviene soffermarsi sugli interventi attuati dal legislatore dell’epoca per fronteggiare l’emergenza. Momento di massimo contrasto alla dilagante corruzione è certamente la legge quadro sui lavori pubblici n. 109/1994 (c.d. legge Merloni). L’impianto complessivo di questa risente della necessità di accrescere la trasparenza dell’amministrazione nel settore contrattuale avente maggiore rilievo per la finanza pubblica, quello appunto delle opere pubbliche, nel quale i fenomeni di malcostume avevano determinato un insostenibile aumento della spesa pubblica. In base all’art. 1, recante i principi generali della legge, l’attività amministrativa in materia di appalti di lavori pubblici “deve garantire la qualità ed uniformarsi a criteri di efficienza ed efficacia”, attraverso procedure di gara “improntate a tempestività, trasparenza e correttezza”. In conseguenza di ciò il legislatore ha introdotto, come sopra accennato, l’istituto della programmazione triennale delle opere pubbliche (art. 14). Inoltre, allo scopo di evitare comportamenti collusivi con i privati è stato quindi posto il divieto di committenza nelle concessioni (art. 19, comma 3). Occorre al riguardo ricordare che per il passato la concessione era stato lo strumento elettivo per la realizzazione e gestione di opere pubbliche, cui le amministrazioni facevano ricorso per realizzare importanti programmi costruttivi attraverso moduli procedimentali semplificati e derogatori rispetto alla disciplina dell’evidenza pubblica, nel quale il privato concessionario si vedeva investito di poteri di carattere pubblicistico per il reperimento di fondi, la progettazione e l’attivazione delle procedure per la realizzazione dell’opera, ivi compresa l’espropriazione dei suoli, nonché nella gestione della stessa. In base a questo schema l’amministrazione conseguiva il vantaggio di ricorrere al mercato sopperendo a carenze di risorse economiche e professionalità 15 interne, mentre il privato lucrava non solo dalla remunerazione conseguente alla realizzazione dell’opera ma anche dalla sua gestione. A questo modello non erano peraltro estranei elementi di distorsione, in particolare per la presenza dell’istituto della concessione di sola costruzione, che non si distingueva sostanzialmente dall’appalto e che dunque consentiva alle amministrazione di eludere l’obbligo della gara. La legge quadro n. 109/1994 ha pertanto recepito (nel solo settore dei lavori pubblici) della nozione comunitaria di concessione, caratterizzata rispetto all’appalto dal solo fatto che la prestazione in favore del concessionario “consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente tutti i lavori realizzati” (art. 19, comma 2), dopo che già in precedenza, sempre sotto la spinta del diritto comunitario, il legislatore nazionale era stato costretto ad equiparare la concessione di sola costruzione all’appalto [direttiva 71/305/CE, recepita con l. n. 584/1977, art. 3, comma 1, lett. a)]. Con la legge Merloni si era inoltre registrata la significativa compressione dei margini di discrezionalità dell’amministrazione nelle procedure di affidamento degli appalti, attraverso l’imposizione del criterio selettivo del massimo ribasso (art. 21); limite poi parzialmente superato dalla l. n. 166/2002 (con l’introduzione del comma 1-ter al citato art. 21 l. n. 109/1994) ed infine completamente superato, mediante disapplicazione, in virtù della sentenza della Corte di Giustizia CE 16 luglio 2004, C-247/2002. Al medesimo fine di contenere la spesa pubblica negli appalti, giunta a livelli di guardia, viene successivamente mutuato da ordinamenti stranieri l’istituto della finanza di progetto (con la già citata legge n. 166/2002). Con la finanza di progetto si intendeva in particolare perseguire gli obiettivi di favorire la partecipazione degli operatori economici privati all’attività di programmazione dei lavori pubblici, in posizione di proponenti di progetti di opere pubbliche o di pubblica utilità da affidare successivamente, nonché, contemporaneamente, di circoscrivere i rischi inerenti l’esecuzione del contratto al contraente privato. Ciò attraverso lo strumento della concessione di costruzione e gestione, in grado di consentire all’amministrazione di non soggiacere al rischio dell’investimento, interamente gravante sul privato, il quale viene 16 remunerato mediante l’attribuzione del diritto di gestire funzionalmente e sfruttare economicamente i lavori realizzati. 7. Le politiche interne di contenimento della spesa nel settore degli appalti pubblici. L’obiettivo del contenimento della spesa pubblica costituisce una costante degli indirizzi di politica generale nel settore degli appalti pubblici, sin dalla scelta di ricondurre l’attività contrattuale della pubblica amministrazione nell’ordinamento contabile e finanziario di cui al regio decreto n. 2440 del 1923. Detto obiettivo si è imposto con particolare attenzione negli anni della crisi della finanza pubblica, così da costringere il legislatore ad intervenire ripetutamente nel settore dei contratti pubblici in occasione del varo delle manovre economiche annuali o in funzione correttiva rispetto a situazioni di squilibrio nei conti. Campo elettivo di intervento è la fase esecutiva dei contratti, fonte di criticità a causa della lievitazione dei costi originariamente programmati in sede di progettazione frequentemente verificatasi. Particolarmente travagliata è la vicenda dei contratti di appalto di forniture e servizi, ma anche i lavori pubblici hanno conosciuto significativi interventi limitativi dell’autonomia delle parti pubblica e privata contraenti Si può partire dalla legge finanziaria per il 1986 (l. n. 41/1986), il cui art. 33 conteneva una disciplina statuente l’assoluta immodificabilità del prezzo pattuito in tutti i settori, poi abrogato per i lavori pubblici dalla legge quadro n. 109/1994 e sostituito dal meccanismo del c.d. “prezzo chiuso” (art. 26) ed infine dal meccanismo revisionale prefigurato dall’art. 115 cod. contratti pubblici. Per i servizi e le forniture viene invece in rilievo l’art. 6 l. n. 537/1993, come modificato dall’art. 44 l. n. 724/1994, contenente una previsione analoga a quella del citato art. 115, con l’ulteriore previsione di un parametro di orientamento per la quantificazione del compenso revisionale da parte delle amministrazioni appaltanti. Questo veniva individuato dal legislatore in un indice che l’Istat avrebbe dovuto elaborare relativo ai “prezzi del mercato dei principali beni e servizi acquistati 17 dalle pubbliche amministrazioni” relativi al semestre precedente (art. 6, comma 6, l. n. 537/1993). La mancata attuazione di tale previsione normativa ha condotto la giurisprudenza amministrativa a fare applicazione in via sussidiaria dell’indice Istat dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati, in uno con l’affermazione del principio secondo cui la norma in esame sul meccanismo di computo della revisione del corrispettivo costituisce una norma imperativa insuscettibile di essere derogata pattiziamente, le quali sono colpite dalla sanzione della nullità parziale ex art. 1419 cod. civ. e quindi sostituite dalla disciplina imperativa ai sensi dell’art. 1339 cod. civ. (Cons. Stato, Sez. V, 19 giugno 2009, n. 4079, 9 giugno 2008, n. 2786, 14 dicembre 2006, n. 7461, 16 giugno 2003, n. 3373, 8 maggio 2002, n. 2461). Al medesimo scopo di contenimento della spesa riveniente dalla stipula di contratti pubblici è diretto anche il divieto contenuto nel comma 1 dell’art. 6 l. n. 537/1993 in esame, vale a dire il divieto di rinnovo tacito “dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi” e la sanzione di nullità conseguente alla sua violazione, salvo che sia accertata “la sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse per la rinnovazione dei contratti medesimi”. In questo indirizzo si collocano successivi interventi del legislatore finanziario nazionale. Con l’art. 27, comma 6, l. 488 del 1999 (legge finanziaria per il 2000) ha dettato una speciale disciplina (per i contratti in scadenza nel triennio 2000/2002, compreso nel bilancio pluriennale interessato dalla manovra economica), in virtù della quale la rinnovazione era consentita per una sola volta, purché fosse praticato uno sconto del 3% sui prezzi già convenuti ed a condizione che si trattasse di contratti stipulati previo esperimento di gara. Tale disposizione, formalmente applicabile solo alle amministrazioni statali, è stata di fatto utilizzata in via estensiva anche dalle altre pubbliche Amministrazioni. Salvo alcune oscillazioni, la giurisprudenza amministrativa si è mossa nella linea degli interventi normativi in esame e pur ribadendo che la regola generale è quella dell’indizione della gara pubblica, mentre la rinnovazione costituisce l’eccezione, ha nondimeno specificato che quest’ultima consentita al ricorrere di specifiche ragioni di convenienza e di interesse pubblico, si è pronunciato a favore della rinnovabilità dei contratti (Cons. Stato, Sez. V, 7 febbraio 2002, n. 726, 26 ottobre 2002, 18 n. 5860, 17 aprile 2003, n. 2079), ulteriormente precisando che il divieto in esame concerne il rinnovo tout court, comportante una rinegoziazione delle clausole essenziali dell’originario contratto, ma non già la proroga, vale a dire il differimento in avanti del termine di scadenza (Sez. V, 31 dicembre 2003, n. 9302). La stessa legge n. 488 del 1999 ha introdotto per la prima volta il sistema delle convenzioni Consip (società con capitale interamente posseduto dal Ministero dell’economia e finanze), vale a dire di quella sorta di accordi quadro con i quali “l'impresa prescelta si impegna ad accettare, sino a concorrenza della quantità massima complessiva stabilita dalla convenzione ed ai prezzi e condizioni ivi previsti, ordinativi di fornitura di beni e servizi” (art. 26, comma 1), vincolando in sostanza tutte le amministrazioni a rispettare i prezzi previsti in tali convenzioni “come limiti massimi” (comma 3). Il quale limite massimo è stato poi ripreso dalla legislazione successiva, al fine di sanzionare con la nullità delle clausole difformi e con ipotesi testuali di responsabilità disciplinare ed amministrativa i competenti funzionari. Quest’ultima forma di responsabilità è quella originariamente prevista dalla disposizione in esame, mentre le altre saranno inserite da manovre finanziarie successive. Degno di nota è il fatto che oltre alla fattispecie, venne specificato che il danno erariale andava ragguagliato alla “differenza tra il prezzo previsto nelle convenzioni e quello indicato nel contratto”. In sostanza, si stabilì il maggior esborso di spesa causato dal mancato rispetto del limite massimo fissato dalle convenzioni Consip non doveva gravare sulle finanze dell’ente pubblico appaltante, ma sul funzionario responsabile dell’esborso. La previsione normativa ora vista costituirà la base per successivi ed importanti interventi fortemente connotanti l’azione politica e legislativa dei vari governi via via succedutisi nella materia dei contratti della pubblica amministrazione, che esamineremo in seguito. 8. Il recepimento del diritto comunitario negli appalti pubblici. In questo contesto si giunge dunque alle direttive europee del 2004 sugli appalti pubblici. Il diritto comunitario ha come noto inciso profondamente sul quadro normativo finora descritto, senza tuttavia stravolgerlo. L’interesse 19 del legislatore europeo per i diritti nazionali degli appalti nasce dal rilievo macroeconomico di questi ultimi, attestato all’incirca al 20% del prodotto interno loro continentale e dunque dall’indiscutibile impatto sulla realizzazione del mercato interno europeo e sull’attuazione delle libertà di circolazione delle merci e dei servizi. Il fine primario del diritto comunitario degli appalti pubblici non prende quindi a riferimento base la posizione dell’amministrazione, e gli interessi alla cui cura è finalizzato l’esercizio dei suoi poteri, nel rispetto comunque dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento (art. 97 Cost.), ma il mercato degli operatori economici nell’ambito del quale il contraente privato deve essere individuato. Come visto sopra, protagonisti di questo mercato è indiscutibilmente la pubblica amministrazione, la quale vi interviene mediante l’affidamento di commesse, aventi ad oggetto non solo la realizzazione di lavori ed opere pubbliche, ma anche l’acquisizione di beni e servizi. L’approccio è dunque di tipo macroeconomico, a differenza di quello per anni perseguito dal legislatore nazionale, incentrato sulle microeconomie dell’amministazione all’interno del singolo contratto. La legislazione sovranazionale si pone l’obiettivo generale di aumentare la contendibilità delle gare per l’affidamento di contratti pubblici, la fine di rimuovere situazioni mono o oligopolistiche di fatto, e dunque allo scopo di promuovere la concorrenza “per il mercato” (secondo una definizione della Corte Costituzionale nella sentenza 23 novembre 2007, n. 401, § 6.7), mediante lo strumento di procedure ad evidenza pubblica trasparenti, aperte e non discriminatorie. Il diritto comunitario muove dunque da una prospettiva antitetica rispetto alle norme sulla contabilità generale dello Stato, ancorché gli indirizzi interni di politica legislativa in materia abbiano trovato una sostanziale conferma anche in seguito all’irrompere del diritto sovranazionale, pur nell’antiteticità delle prospettive di partenza. Il passaggio dal regime contabile a quello comunitario ha determinato una sorta di trasformazione del primo, il quale, da espressione della finalità di oculata gestione delle risorse finanziarie pubbliche, è via via degradato a mezzo rispetto al predetto fine primario. L’obiettivo dal quale muovono le direttive sugli appalti è infatti quello di fare sì che il mercato stimolato dalla spesa pubblica per acquisti di beni e servizi sia effettivamente rispondente a criteri concorrenziali, in modo da attuale le libertà economiche sancite nei trattati europei (libera 20 circolazione delle merci, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi) e di contribuire dunque ad uno sviluppo equilibrato e sostenibile dello spazio economico creato attraverso l’Unione europea (il passaggio dalla concezione contabilistica al diritto europeo dei contratti della pubblica amministrazione è efficacemente descritto dalla Corte Costituzionale nella sentenza citata 23 novembre 2007, n. 401). Le istanze europee di massima concorrenzialità nel settore degli appalti pubblici si traducono in particolare nell’eliminazione delle discriminazioni tra operatori economici basate sulla nazionalità e nella conseguente apertura dei mercati nazionali a tutte le imprese situate nella comunità. L’intervento normativo comunitario si muove al fine di assicurare la più ampia partecipazione possibile delle imprese alle commesse pubbliche ed in questa ottica lo strumento dell’evidenza pubblica viene conseguentemente elevato a canone fondamentale ed inderogabile, perché funzionale ad assicurare il rispetto dei principi di massima concorrenzialità. A questo scopo viene enucleato un coacervo di principi che costituiscono il fondamento di tutti gli interventi normativi a livello europeo. In primo luogo viene in rilievo il principio di parità di trattamento, attraverso il quale si vieta alle amministrazioni di discriminare le imprese in base alla loro nazionalità e l’adozione di trattamenti ingiustificatamente diversi a fronte di situazioni analoghe. Strettamente connesso è il principio del mutuo riconoscimento. Esso si fonda sulla reciproca fiducia dei Paesi membri dell’Unione nei rispettivi sistemi di qualificazione, certificazione e controllo in ordine alle caratteristiche tecniche degli operatori economici, e che si traduce nella reciproca accettazione dei titoli acquisiti dall’impresa nello Stato dove è sita la propria sede. Quindi, il principio di trasparenza, attraverso il quale si impone alle amministrazioni di diffondere la propria intenzione di ricorrere al mercato per l’acquisizione di beni o servizi e di esplicitare nei bandi di gara tutte le informazioni necessarie affinché le imprese possano consapevolmente determinarsi nel senso di partecipare o meno alla gara. Il dovere di trasparenza si traduce pertanto nella predeterminazione nel bando di gara delle caratteristiche del contratto, dei criteri di selezione del contraente e negli elementi di valutazione delle offerte. 21 Un rilievo particolare in ambito europeo assume il principio di proporzionalità, in virtù del quale è impedito all’amministrazione di esigere dalle imprese partecipanti ad una procedura di affidamento capacità tecniche o economico-finanziarie non congruenti con l’oggetto dell’appalto e le caratteristiche delle prestazioni in esso dedotte. L’afflusso dei principi comunitari nell’ordinamento interno conosce un primo significativo momento di piena realizzazione attraverso provvedimenti normativi di carattere organico relativi ai lavori (l. n. 109/1994 e regolamento di esecuzione di cui al d.p.r. n. 554/1999, con i quali si è attuata la direttiva 93/37/CEE), alle forniture (d.lgs. n. 358/1992, di attuazione della direttiva 93/36/CEE) ed ai servizi (d.lgs. n. 157/1995, con cui si è recepita la direttiva 92/50/CEE). A questi testi deve poi aggiungersi il d.lgs. n. 158/1995 (e la presupposta direttiva n. 93/38/CEE), relativo agli appalti pubblici nei settori speciali (acqua, energia, trasporto e servizi postali) o esclusi. Va peraltro precisato che la normativa di recepimento delle direttive comunitarie sugli appalti pubblici non abbraccia l’intera attività contrattuale della pubblica amministrazione, ma solo i contratti aventi un valore superiore alla c.d. soglia comunitaria, variamente fissata in relazione alla tipologia contrattuale, la cui previsione si spiega con la rilevanza per il mercato europeo di contratti pubblici. Pertanto, i contratti il cui valore si attesta al di sotto della predetta soglia rimangono assoggettati alla normativa di origine interna. In particolare, mentre la legge quadro sui lavori pubblici n. 109/1994 recava una disciplina anche per i contratti sotto soglia, si ricorda per le forniture il d.p.r. n. 573/1994, mentre i servizi non avevano una specifica disciplina, risultando dunque applicabile per essi la legge generale di contabilità di Stato n. 2440/1923. Vi era poi una specifica regolamentazione degli appalti in economia, e cioè il d.p.r. n. 384/2001 per i servizi e le forniture, mentre i lavori in economia erano disciplinati dalla l. n. 109/1994 e dal relativo regolamento di esecuzione. Caratteristica fondamentale degli appalti in economia, sia nei lavori che nelle forniture e nei servizi, è la duplicità delle forme di acquisizione, consistenti nell’amministrazione diretta o nel cottimo fiduciario, in alcuni casi, e cioè entro determinate soglie di valore, alternativamente impiegabili (e fissate dall’art. 125 cod. contratti pubblici: fino a 40 mila euro per i lavori; fino a 211 o 137 mila euro per servizi e forniture, a 22 seconda che la stazione appaltante sia qualificabile o meno come “autorità governativa” ai sensi art. 28 cod. contratti pubblici). Nella prima, l’amministrazione effettua direttamente, con materiali e mezzi propri (o appositamente acquistati o noleggiati) e con personale proprio (o appositamente assunto), le prestazioni necessarie all’acquisto dell’opera, del bene o del servizio. Le somme necessarie a coprire la spesa sono fornite mediante aperture di credito in favore di funzionari delegati. Nel secondo, invece, queste acquisizioni avvengono mediante affidamento a terzi. In questo caso si applicano le regole ed i principi propri dell’evidenza pubblica, ma con alcune semplificazioni procedimentali, imponendosi, al fine di non decampare dai principi comunitari di concorrenzialità, la consultazione di un certo numero di operatori economici del settore (art. 125, comma 11, cod. contratti pubblici). Esistono peraltro delle deroghe per alcuni settori, tra i quali si segnala la sanità, nell’ambito del quale le Asl possono ricorrere alla contrattazione di diritto privato per le forniture inferiori alla soglia comunitaria (art. 3, comma 1-ter, d.lgs. n. 229/1999). Si tratta di un settore nel quale gli acquisti dell’amministrazione sono strumentali alla produzione di un servizio di primaria importanza per i bisogni del cittadino, in quanto afferenti un diritto qualificato dalla Costituzione come “fondamentale” (art. 32). In questa prospettiva si comprende e giustifica la maggiore libertà contrattuale che viene riconosciuta all’amministrazione, al fine di assicurare livelli di erogazione del servizio appropriati e coerenti con le esigenze della popolazione. 9. Il codice dei contratti pubblici. Si giunge quindi ad un nuovo ciclo di interventi normativi a livello comunitario, il quale trae origine dall’esigenza di riordinare la materia e razionalizzare le singole discipline in un testo organico. Viene dunque emanata la direttiva 2004/18/CE, con cui è stata unificata la disciplina sugli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture nei settori ordinari, cui si affianca la direttiva 2004/17/CE per gli appalti nei settori speciali. Queste due direttive vengono recepite in modo 23 unitario dal legislatore interno, con il già citato codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 163/2006. Il codice dei contratti ha un ambito di applicazione più ampio delle direttive dallo stesso recepite. Innanzitutto, in esso sono unificate i settori ordinari e speciali ed i contratti di rilevanza comunitaria e quelli sotto soglia. Inoltre, a differenza delle direttive, non si limita a disciplinare la fase dell’evidenza pubblica, ma anche della programmazione e progettazione a monte della gara e dell’esecuzione a valle della stipulazione del contratto, innestando quindi nel tronco del diritto comunitario i tradizionali segmenti di disciplina dei contratti dell’amministrazione di matrice contabilistica interna. Ancora sul piano dell’organizzazione amministrativa, il codice estende la figura del responsabile del procedimento anche agli affidamenti di forniture e servizi, come visto sopra. L’acquisita consapevolezza dell’impatto degli appalti della pubblica amministrazione e della connessa spesa pubblica sul mercato e l’economia determina subito un frizione nella disciplina dei rapporti tra Stato centrale e regione, all’indomani del riparto di competenze legislative tra questi due livelli do governo scolpito della riforma del titolo V della Costituzione attuata con l. cost. n. 3/2001. E’ noto che con la riformulazione dell’art. 117 Cost. ad opera di detta riforma, si è ribaltato il criterio di riparto previsto nella versione originaria di questa disposizione, fondato sull’enumerazione di ambiti tassativi riservati alla legislazione regionale e sulla residuale potestà normativa dello Stato. Allo scopo di valorizzare i principi di autonomia dei livelli di governo locali e decentramento si è assoggettato quest’ultimo ad una competenza legislativa limitata ad alcune specifiche materie, contemporaneamente attribuendo alle regioni una competenza legislativa concorrente, anche questa su materie specificamente previste dall’art. 117, ed una potestà normativa primaria per tutto quanto non espressamente previsto. All’indomani di questo rovesciamento dei rapporti Stato – regioni, si è affacciato il dubbio che ciascuna di queste ultime, avvalendosi della clausola di residualità, introdurre per gli appalti pubblici, non espressamente contemplati dal citato art. 117, potesse dare vita ad un ordinamento regionale della materia, in tal modo vanificando le esigenze di uniformità sancite a livello europeo ed alla base della disciplina nazionale sopra vista. 24 Ciò non è tuttavia avvenuto perché nella citata sentenza 23 novembre 2007, n. 401 la Corte Costituzionale ha interpretato l’art. 117 ed i rapporti Stato – regioni in esso trasfuso in chiave dinamica, enucleando da esso alcune materie “trasversali” necessariamente riservate alla potestà normativa centrale, perché riferibili a compiti e funzioni trascendenti il livello di governo regionale e riconducibili a sfere di competenza legislativa attribuite allo Stato centrale. Con specifico riguardo al settore degli appalti pubblici, la Corte ha ritenuto che la disciplina nazionale di recepimento delle direttive comunitarie sia espressione della tutela della concorrenza e dell’ordinamento civile [art. 117, comma 2, lett. e) e l), Cost.]. In particolare, la fase dell’evidenza pubblica preordinata alla selezione del contraente ed all’affidamento del contratto rientra nella prima, mentre attiene all’ordinamento civile, ed in particolare alle norme del codice civile, la disciplina dell’esecuzione del contratto. Già in precedenza la Corte Costituzionale aveva precisato che i lavori pubblici “non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono” (sentenza 1 ottobre 2003, n. 303), per cui la loro disciplina può di volta in volta essere attribuita al legislatore nazionale o regionale. Nel 2007 la Corte ha ribadito questo principio, specificando che l’intera attività contrattuale della pubblica amministrazione “non può identificarsi in una materia a sé, ma rappresenta, appunto, un’attività che inerisce alle singole materie sulle quali si esplica”. In questa linea si collocano alcune disposizioni del codice dei contratti di cui al d.lgs. n. 163/2006. L’art. 4, comma 2, prevede infatti alcune materie oggetto di competenza concorrente, nelle quali le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano possono legiferare nel rispetto dei principi fondamentali contenuti nel codice. Queste materie sono: programmazione dei lavori pubblici, approvazione dei progetti a fini urbanistici ed espropriativi (che rientrano nella materia concorrente del governo del territorio), organizzazione amministrativa, compiti e requisiti del responsabile del procedimento, sicurezza del lavoro. Il successivo comma 3, invece, sottrae al legislatore regionale le seguenti materie: qualificazione e selezione dei concorrenti, procedure di affidamento, esclusi i profili di organizzazione amministrativa, criteri di aggiudicazione, subappalto, poteri di vigilanza sul mercato degli appalti, attività di progettazione e piani di sicurezza, stipulazione ed esecuzione 25 dei contratti, compresi la direzione dei lavori, contabilità e collaudo, contenzioso. Nella decisione n. 401/2007 la Corte Costituzionale ha inoltre specificato che la tutela della concorrenza nel settore degli appalti pubblici si estrinseca nell’individuazione di misure e strumenti volti a creare la concorrenza “per” il mercato, vale a dire l’apertura di quest’ultimo a tutti gli operatori economici del settore, al fine di realizzare le libertà economiche comunitarie. La quale apertura non può prescindere – secondo quanto stabilito dalla Corte – dall’adozione di uniformi procedure proprie dell’evidenza pubblica comunitaria nella scelta da parte delle amministrazioni pubbliche del contraente. Conseguentemente, l’osservanza dei sottesi principi di parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e mutuo riconoscimento inerisce al principio costituzionale dell’imparzialità e buon andamento cui è soggetta l’attività della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 97 Cost. Con ciò, quindi, la concezione originaria dell’evidenza pubblica come strumento posto a tutela dell’amministrazione è stata sostituita da una visione avente come valore assiologico fondamentale la realizzazione di un mercato europeo concorrenziale e all’interno di esso il benessere degli operatori economici. 10. L’influenza del diritto comunitario negli appalti pubblici: l’evidenza pubblica comunitaria. La legislazione comunitaria sugli appalti pubblici ha comportato una significativa influenza sugli istituti di teoria generale del diritto amministrativo elaborati a livello dei singoli Paesi. Caratteristica fondamentale dell’intervento normativo comunitario è il c.d. approccio funzionale, in virtù del quale questo in tanto si giustifica in quanto vi sia l’esigenza di disciplinare a livello sovranazionale un ambito materiale per realizzare i fini stabiliti nei trattati europei. Per quanto concerne gli appalti pubblici, il fine perseguito è, come visto sopra, quello di imporre le libertà economiche comunitarie ed assetti di mercato concorrenziali nei confronti dell’operatore pubblico, che rispetto a questi valori può essere in misura più o meno maggiore refrattario. Infatti, gli schemi generali dell’azione dei pubblici poteri non 26 rispondono a canoni generali di carattere economico valevoli per le imprese che operano nel mercato. A differenza di queste ultime, i primi non sopportano i rischi connessi al proprio agire. Al fine di evitare la conseguente fuga dall’evidenza pubblica, una delle principali direttrici della normativa comunitaria sugli appalti pubblici è stata quella di affermare il principio della gara pubblica nei confronti di soggetti non rientranti nel perimetro tradizionale della pubblica amministrazione e dunque a soggetti che, pur formalmente privati, sono stati ritenuti nondimeno riconducibili ai pubblici poteri, in ragione di varie tipologie di legami con questi ultimi. Si tratta in prima approssimazione di soggetti che malgrado la veste privatistica svolgono comunque un’attività avente rilievo pubblicistico e/o beneficiano di interventi finanziari pubblici per la realizzazione dei loro fini. In particolare, sono soggetti all’evidenza pubblica comunitaria le “amministrazioni aggiudicatrici” (art. 3, comma 25, d.lgs. n. 163/2006), nozione che abbraccia, oltre alle amministrazioni statali e locali, anche l’organismo di diritto pubblico. Quest’ultimo, si caratterizza, oltre che per la personalità giuridica (indifferentemente di diritto pubblico o privato), per il fatto di essere stato specificatamente istituito per soddisfare esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, e per il fatto di essere assoggettato a governance pubblica, in quanto la sua attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato o altri enti pubblici, o la sua gestione è da questi controllata, o i cui organi amministrativi, direttivi o di controllo sono designati in via maggioritaria dai medesimi. La nozione di organismo pubblico si impernia in particolare sull’elemento finalistico della destinazione dell’attività a bisogni di interesse generale, che la giurisprudenza ha interpretato nel senso che questi sono riferibili ad una collettività indeterminata di soggetti, purché questi non siano suscettibili di essere soddisfatti mediante un’attività di produzione o scambio di beni o servizi (Cons. St., sez. VI, 13 febbraio 2009, n. 795). Elemento qualificante l’organismo di diritto pubblico è dunque l’agire sostanzialmente amministrativo, ragione per la quale si giustifica la sua inclusione nel novero delle “amministrazioni aggiudicatrici” ex art. 3, comma 25, sopra citato, e l’imposizione di modelli di azione amministrativa elaborati a livello comunitario. 27 In questo modo, il diritto sui contratti della pubblica amministrazione diviene una materia applicabile in via oggettiva, vale a dire in considerazione degli interessi in gioco e degli obiettivi da realizzare, a prescindere quindi dalla qualificazione soggettiva del soggetto ad essa tenuto. Viene quindi in rilievo il concetto di evidenza pubblica comunitaria, vale a dire dell’insieme di norme, di origine sovranazionale, che disciplinano l’attività delle amministrazioni aggiudicatrici, ed inoltre degli enti aggiudicatori e degli altri soggetti aggiudicatori, limitatamente ai settori esclusi di cui alla parte II del codice dei contratti pubblici, e che hanno nel loro complesso lo scopo di realizzare le libertà economiche europee [il concetto dell’evidenza pubblica comunitaria ha trovato una sua positivizzazione nel settore delle infrastrutture strategiche: art. 2, comma 1, lett. g), l. n. 443/2001]. L’evidenza pubblica è quindi divenuta la regola per l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, anche mediante società miste (art. 113 t.u.e.l., d.lgs. n. 267/2000 e 1, comma 2, cod. contratti pubblici). 11. L’applicazione dell’evidenza pubblica comunitaria. Uno degli aspetti e delle conseguenze maggiormente caratteristici e qualificanti l’influsso del diritto comunitario sugli appalti è costituito dall’aggravamento procedimentale dei meccanismi con i quali le pubbliche amministrazioni addivengono alla selezione del contraente privato. Si è detto in precedenza che l’ordinamento interno di matrice contabilistica aveva posto l’accento su metodi di contrattazione meccanicistici (asta pubblica e licitazione privata), comportanti l’applicazione di regole rigide di selezione del contraente privato, al quale era rimesso di offrire in sede di gara un prezzo, mentre rilievo del tutto marginale e derogatorio assumevano forme di contrattazione di stampo più squisitamente negoziale, quali pure previste dalla legislazione interna (trattativa privata e appalto concorso). Ebbene, questa suddivisione ha perso gran parte del proprio significato e validità per effetto dell’influenza del diritto comunitario nel settore degli appalti pubblici. La valorizzazione del principio di 28 concorrenzialità e di massima partecipazione alle procedura di affidamento di contratti pubblici ha comportato l’iniezione di meccanismi competitivi in tutte le procedure selettive. Ne è conseguito, innanzitutto, che le procedure ristrette, come visto sopra, non hanno più i connotati delle gare ad invito, nelle quali l’amministrazione esplicava un ampio potere discrezionale nella selezione delle imprese da invitare e nel conseguente affidamento del contratto. In conseguenza dell’impatto del diritto europeo sugli appalti la procedura ristretta altro non è che una variante “aggravata” della procedura aperta. In forza delle direttive comunitarie sugli appalti del 2004 e quindi del codice dei contratti pubblici, costituiscono procedure ordinarie e generali per l’aggiudicazione dei contratti quelle aperte e ristrette, le quali sono pressoché equiparate tra loro, e la cui scelta tra l’una e l’altra è frutto di valutazioni discrezionali dell’amministrazione non sindacabili in sede giurisdizionale. Inoltre, in linea con il passato la procedura negoziata assume tuttora carattere eccezionale e derogatorio, ma ha perso gran parte delle caratteristiche della originaria trattativa privata (in particolare è venuta meno la libertà dell’amministrazione di invitare imprese a propria assoluta discrezione, ex art. 92, reg. n. 827/1924). In estrema sintesi, la procedura negoziata è ordinariamente preceduta dalla pubblicazione di un bando e nelle ipotesi in cui questo adempimento pubblicitario non è dovuto, viene comunque imposto l’esperimento di una gara informale. Si tratta pertanto di modalità antitetiche alla tradizionale trattativa privata, la quale consisteva in sostanza in un interpello che l’amministrazione faceva nei confronti di un’impresa di fiducia (la trattativa privata “pura” ricorre ormai in ipotesi del tutto marginali). In particolare, l’art. 56 cod. contratti pubblici prevede una procedura negoziata nella quale l’amministrazione è tenuta a pubblicare un bando di gara, nei casi di procedura aperta, ristretta o dialogo competitivo in cui tutte le offerte siano risultate irregolari o inammissibili (art. 56, comma 1, lett. a). Con riguardo ai lavori questo sistema si applica solo per gli appalti di importo inferiore ad 1 milione di euro. Inoltre, tale procedura viene in rilievo nelle ipotesi di lavori realizzati unicamente a scopo di ricerca, sperimentazione o messa a punto e non per assicurare una redditività o il recupero dei costi di ricerca e sviluppo. Nel caso in cui la gara sia andata deserta, la norma prescrive che in sede di trattativa 29 privata non possono essere modificate in modo sostanziale le condizioni iniziali del contratto. Ciò significa che l’amministrazione non può stabilire una diversa base d’asta, né può modificare le altre condizioni del contratto che influiscono sul sinallagma, pena altrimenti l’elusione delle norme sulla concorrenza. In seguito alla pubblicazione del bando, i soggetti interessati presentano le proprie domande di partecipazione e l’amministrazione seleziona i soggetti da invitare. Successivamente, l’amministrazione negozia le offerte per adeguarle alle esigenze previste dal bando o dal capitolato d’oneri, comunque nel rispetto dei principi di parità di trattamento e non discriminazione. In tale procedura può venire in rilievo l’istituto della c.d. forcella ex art. 62 cod. contratti pubblici, potendo essere prevista nel bando, allorchè lo richieda la complessità dell’opera, della fornitura o del servizio, la limitazione del numero dei candidati idonei da invitare alla negoziazione. La procedura descritta condivide alcuni caratteri della procedura ristretta e del dialogo competitivo. Della prima condivide la fase di prequalificazione, mentre della seconda condivide sia la possibilità di una negoziazione dell’offerta sia quella di ridurre progressivamente il numero dei soggetti partecipanti. L’altra tipologia di procedura negoziata è quella senza previa pubblicazione del bando di gara, prevista dall’art. 57 del codice dei contratti pubblici. Si tratta di una procedura che si avvicina alla tradizionale trattativa privata, caratterizzandosi per l’assenza di formalità che se alcuni elementi di procedimentalizzazione sono stati comunque introdotti dal legislatore. I presupposti per l’utilizzazione di tale sistema di selezione sono analiticamente previsti dall’art. 57, il quale consente il ricorso ad esso nei casi di previo esperimento di una procedura aperta o ristretta in cui non siano pervenute offerte o siano state presentate offerte inappropriate. Tale disposizione si applica, ai sensi del comma 2, lett. a), della citata disposizione, ai lavori di importo inferiore a 10 milioni di euro. Inoltre è possibile farvi ricorso allorché vi sia un solo operatore economico che per ragioni artistiche o tecniche, ovvero per ragioni attinenti alla tutela di diritti esclusivi, possa aggiudicarsi il contratto (comma 2, lett. b). L’unicità del fornitore deve essere certa prima di addivenire alla trattativa privata e un’eventuale indagine di mercato può avere il solo scopo di 30 acquisire la certezza di tale unicità o escluderla. La procedura senza bando può inoltre essere utilizzata nei casi di estrema urgenza derivante da eventi imprevedibili, per cui sia impossibile rispettare i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette o negoziate con previa pubblicazione del bando (lett. c). Con riguardo a tale ipotesi, la giurisprudenza richiede una adeguata motivazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 10 settembre 2009, n. 5426). Vi è poi l’appalto integrato, il quale si invece caratterizza oggi (rispetto al tradizionale appalto-concorso) per l’affidamento congiunto della progettazione e dei lavori e per il quale oggi il codice dei contatti prevede diverse forme. Accanto all’affidamento della redazione del progetto definitivo ed esecutivo vi è l’appalto integrato. In questo, base di gara è il progetto definitivo già predisposto dall’amministrazione e pertanto i concorrenti privati sono tenuti a sviluppare la progettazione esecutiva, oltre all’esecuzione dell’opera. In ogni caso, il codice considera l’appalto concorso o integrato non già metodi selettivi, ma contratti caratterizzati da una prestazione a contenuto complesso, i quali sono assoggettati alle regole generali sulla scelta delle ordinarie procedure aperte o ristrette (art. 55, comma 2, cod. contratti pubblici). Inoltre, si è detto sopra che al fine di contrasto della corruzione, la legge quadro sui lavori pubblici n. 109/1994 aveva imposto il metodo selettivo del massimo ribasso. Il legislatore comunitario è intervenuto anche su questo profilo, attribuendo piena dignità al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Questa opzione normativa esprime una rinnovata concezione dell’amministrazione, la quale ricorre al mercato privato, ed in particolare agli apporti tecnici che questo è in grado di offrire, non già nella posizione di chiusura ed autosufficienza propria dell’ordinamento giuscontabilistico, ma con approccio aperto ad ogni contributo utile, in funzione integrativa e di miglioramento della progettazione sviluppata sul piano interno. Del resto, proprio in funzione di controbilanciamento dei rinnovati margini di discrezionalità di cui l’amministrazione dispone attraverso il predetto criterio di aggiudicazione, le direttive del 2004 contengono una analitica predeterminazione della scansione procedimentale degli affidamenti di contratti di appalto pubblico, a partire dalle formalità 31 pubblicitarie con le quali le amministrazioni manifestano all’esterno la propria volontà di aggiudicare commesse. Di particolare rilievo è l’obbligo, ai sensi dell’art. 83, comma 4, cod. proc. amm., di predeterminare già nel bando di gara non solo gli elementi di valutazione delle offerte secondo il metodo selettivo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ma anche i sub-criteri e i sub-pesi (o sub-punteggi), in modo da assicurare che la scelta avvenga in modo trasparente e rispettoso della par condicio tra i concorrenti, impedendo che la commissione di gara possa orientare il proprio giudizio una volta conosciute le offerte. A questa esigenza rispondono anche le norme contenute nell’art. 84, relative alla commissione, ed in particolare il comma 4, che prevede un’ipotesi di incompatibilità per i commissari diversi dal presidente, i quali non devono avere svolto alcuna funzione o incarico inerente al contratto da aggiudicare, affinché il loro giudizio non sia condizionato, nonché il comma 10, a mente del quale la commissione deve essere formata una volta scaduto il termine di presentazione delle offerte, onde evitare che tra questi e le imprese offerenti si instaurino “contatti” indebiti. 12. I nuovi sistemi di selezione del contraente. Oltre all’esaltazione dei principi di concorrenzialità, il diritto comunitario ha introdotto nuovi metodi di selezione che muovono nella direzione del massimo coinvolgimento del soggetto privato nella negoziazione del contenuto del contratto, proponendo quindi una nuova visione del ruolo della pubblica amministrazione nell’affidamento di contratti. Viene in primo luogo in rilievo il sistema dinamico di acquisizione, previsto dall’art. 60 cod. contratti pubblici, cui le amministrazioni possono fare ricorso. Il sistema dinamico di acquisizione è una procedura aperta, caratterizzata innanzitutto dall’uso esclusivo di mezzi telematici in tutte le sue fasi e si applica ai soli casi di forniture e servizi tipizzati o standardizzati, di uso corrente. Si tratta quindi di prodotti o servizi conformi ad un modello prefissato, per dimensioni e caratteristiche, tra le quali spicca il carattere della ripetitività secondo lo schema prefissato 32 dall’amministrazione. La procedura si presta all’acquisizione, in particolare di beni consumabili, come il materiale di cancelleria o beni che hanno un termine finale di utilizzo, si pensi alle licenze d’uso, o ancora beni destinati all’accumulo, come libri, mentre è esclusa in caso di acquisti caratterizzati da particolare complessità, le cui caratteristiche non sono comunemente rinvenibili sul mercato. Il sistema dinamico di acquisizione consente di gestire una pluralità di gare aventi ad oggetto beni standardizzati. Il vantaggio per le pubbliche amministrazioni è quello di procedere ad una pluralità di aggiudicazioni senza dovere ripetere ogni volta, con l’abilitazione, la fase della prequalificazione, e senza dovere predisporre per ogni specifico contratto un apposito capitolato tecnico. Il procedimento si articola in tre fasi: l’istituzione del sistema, l’ammissione degli offerenti al sistema e l’aggiudicazione dello specifico appalto. In tutte le fasi si applicano i principi e le regole della procedura aperta, con gli adattamenti conseguenti all’ambiente elettronico nel quale si svolge il procedimento, in modo da garantire comunque la massima concorrenzialità ed il rispetto della par condicio. L’istituzione del sistema avviene attraverso la pubblicazione di un bando di gara e del connesso capitolato d’oneri. Il bando individua i beni per i quali si intende istituire il sistema, le modalità tecniche utilizzate dall’amministrazione, i requisiti di partecipazione ed i criteri di aggiudicazione. Per tutta la durata del sistema dinamico di acquisizione (quattro anni) è lasciata la possibilità a qualsiasi operatore di presentare un’offerta indicativa, la quale è funzionale all’accreditamento presso l’amministrazione ai fini dell’ammissione al sistema. Con l’offerta l’impresa indica una base di partenza qualitativa ed economica che la pubblica amministrazione può giudicare accettabile dal punto di vista qualitativo ed economico in base a quanto previsto nel bando. Ne consegue che tale offerta potrà essere migliorata in sede di aggiudicazione dei singoli lotti nell’ambito del sistema dinamico. La presentazione dell’offerta apre la fase di prequalificazione nella quale la stazione appaltante valuta l’ammissibilità ed accettabilità dell’offerta ed inserisce la ditta nel sistema. I soggetti ammessi sono quindi legittimati a presentare le offerte con riferimento ai singoli appalti che la pubblica amministrazione aggiudicherà nel medesimo sistema. 33 Espletata la fase di ammissione, la amministrazione dispone quindi di un elenco di fornitori qualificati ed abilitati a presentare le offerte riferite ai singoli e specifici appalti. La particolarità di questo sistema consiste nel fatto che l’elenco risulta sempre aperto a nuovi offerenti, connotando la procedura della massima flessibilità. Peraltro, ad ogni appalto specifico sono legittimati a presentare offerte tutti i soggetti che ne abbiano interesse, ancorché non inseriti nel sistema. Infatti, per aggiudicare ogni specifico contratto la stazione appaltante deve pubblicare un apposito bando con il quale si apre un confronto concorrenziale tra ditte ammesse al sistema e quelle interessate a partecipare alla selezione. Essendo in questo modo assicurata la massima concorrenzialità, la pubblica amministrazione ha sempre a disposizione un ampio ventaglio di offerte che rispecchiano l’andamento del mercato dei servizi e delle forniture. Vi è poi il dialogo competitivo, definito dal codice (art. 3, comma 39) come quella procedura nella quale la stazione appaltante, in caso di appalti particolarmente complessi, avvia un dialogo con i candidati ammessi al fine di elaborare una o più soluzioni atte a soddisfare le sue necessità e sulla base della quale o delle quali i candidati selezionati saranno invitati a presentare offerte. Emerge già dalla sua definizione il tasso di innovatività di tale metodo di selezione del contraente, che ne ha al contempo limitato l’applicazione per le particolari cautele da cui l’istituto è stato legislativamente circondato. La direttiva 2004/18 ha individuato nel dialogo competitivo una nuova procedura particolarmente flessibile per aggiudicare appalti pubblici, poi recepita all’art. 58 del codice dei contratti, con alcuni limiti, come sopra accennato. In primo luogo, la sua applicazione è stata differita all’approvazione del regolamento di esecuzione del codice, secondo una scelta che è apparsa illogica per l’assenza di reali necessità di ulteriori specificazioni in sede di normazione secondaria, vista l’esaustività del citato art. 58. L’unica ragione plausibile è dunque il timore per una procedura che possa indurre a collusioni tra pubblico e privato. Essendone previsto il ricorso per appalti particolarmente complessi, è avvertito il rischio che il dialogo competitivo possa essere piegato per effettuare acquisti sostanzialmente inutili per l’amministrazione. 34 Al di là di queste ipotesi patologiche, il dialogo competitivo rappresenta uno strumento flessibile, che coniuga l’esperienza e la capacità innovativa degli imprenditori con l’esigenza di realizzare interventi pubblici complessi L’istituto muove da una logica antitetica a quella che aveva per il passato improntato la disciplina nazionale degli appalti pubblici, la quale presupponeva che la stazione appaltante fosse pienamente consapevole delle necessità ed esigenze sottese al contratto da affidare e fosse pertanto in grado di predeterminare tutti contenuti di quest’ultimo (peraltro questo assioma era già stato incrinato dal metodo selettivo dell’appalto concorso e dal criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa). Il dialogo competitivo si fonda sulla presunzione opposta, che vede l’amministrazione coinvolta in una dialettica tecnica con i privati per stabilire l’oggetto delle prestazioni contrattuali ed in ultima analisi sulle finalità che il contratto dovrà realizzare. In altri termini, esso si pone come punto di equilibrio tra l’imprescindibile esigenza di terzietà della pubblica amministrazione ed il fondamentale bisogno di conoscenze di cui la stessa non può fare a meno per confrontarsi con mercati altamente specializzati. Scardinando il dogma dell’incomunicabilità tra amministrazione e privato, la procedura di aggiudicazione in esame offre una valida combinazione tra elementi propri delle procedure ristrette e quelli propri delle procedure negoziate, consentendo all’amministrazione di condurre una trattativa concernente l’oggetto delle prestazioni a carico del privato, a differenza dei tradizionali metodi di selezione del contraente, nei quali il contenuto del contratto è prestabilito mediante i capitolati che i concorrenti devono accettare. Sono dunque gli stessi candidati che concorrono a definire i profili contrattuali. A questi si chiede di proporre un progetto, di stabilirne la copertura finanziaria e di affinare progressivamente l’offerta. Tale approccio innovativo si evince chiaramente dall’analisi della disciplina positiva dell’istituto, anche se le rigide condizioni applicative imposte dal legislatore nazionale ne hanno ridotto il tasso di innovatività sull’intero sistema delle aggiudicazioni dei contratti pubblici. Il dialogo competitivo è secondo il codice, innanzitutto, una procedura di selezione utilizzabile esclusivamente per aggiudicare appalti. 35 Presupponendo una stretta collaborazione con i privati, lo stesso si rivela particolarmente adatto per tutte le operazioni contrattuali, tra cui quelle atipiche, nonché per i contratti di partenariato pubblico-privato (il terzo correttivo al codice, d.lgs. n. 152/2008, ha prefigurato l’utilizzo del dialogo competitivo per le concessioni di lavori: art. 58, comma 15), alla luce dei numerosi vantaggi offerti. Tra questi, in particolare, la riduzione del c.d. rischio amministrativo, che si manifesta nei ritardi, nelle inefficienze, nella revoca di atti, nella mancanza di coordinamento tra amministrazioni interessate al progetto, in quanto la selezione avviene in modo ampiamente concordato. Altro vantaggio consiste nell’effetto deflattivo del contenzioso che il maggior grado di partecipazione dei concorrenti alla fase di selezione e la conseguente maggior condivisione delle scelte amministrative che la procedura in esame assicura. Altro limite alla relativa utilizzazione deriva dal fatto che il dialogo competitivo viene previsto non tanto come forma alternativa alle tradizionali procedure di selezione del contraente, quanto piuttosto come forma residuale di aggiudicazione degli appalti rispetto alle procedure aperte, ristretto o negoziate, alla quale fare ricorso nel caso in cui il contratto non può essere aggiudicato con queste ultime. In questo caso sono due i presupposti che consentono il ricorso al dialogo competitivo: che si tratti di appalto particolarmente complesso e che nella realizzazione di tali interventi le amministrazioni si trovino nell’impossibilità oggettiva di definire i mezzi per soddisfare le proprie esigenze e per valutare ciò che il mercato può offrire in termini di soluzioni tecniche, giuridiche e finanziarie. I presupposti individuati dal legislatore sono quindi generici ed introducono una forte responsabilizzazione dei competenti funzionari amministrativi. Può allora parlarsi di appalto particolarmente complesso qualora l’amministrazione non sia in grado di definire i mezzi tecnici atti a soddisfare le sue necessità, i suoi obiettivi ovvero di specificare l’impostazione giuridica o finanziaria di un progetto. Inoltre, possono intendersi per appalti particolarmente complessi quelli per i quali l’amministrazione non si possa avvalere di studi in merito alla identificazione dei propri bisogni o dei mezzi necessari per soddisfarli, nonché di studi in riferimento all’analisi delle caratteristiche funzionali, tecniche, gestionali ed economico-finanziarie. Questa carenza non deve essere imputabile all’amministrazione ma deve essere riconducibile a 36 situazioni oggettive, che peraltro devono adeguatamente essere illustrate nella motivazione del provvedimento con cui si dispone il ricorso al dialogo competitivo. La procedura è caratterizzata da una fase iniziale, quella del dialogo tra i soggetti aspiranti e l’amministrazione e da una finale, in cui quest’ultima procede all’aggiudicazione del contratto. Tale suddivisione deriva dalla necessità di contemperare le esigenze di flessibilità, da un lato, e di concorrenzialità dall’altro lato. La fase del dialogo si articola a sua volta in tre sottofasi. La prima è quella della pubblicazione del bando, laddove l’amministrazione esterna le proprie esigenze. In applicazione del meccanismo della forcella, il bando può prevedere un numero limitato di candidati idonei che saranno in seguito invitati a presentare un’offerta, a negoziare o a partecipare al dialogo, purché il numero sia sufficiente per garantire una effettiva competizione. La seconda è quella della selezione dei candidati in base alle norme sulla qualificazione. La terza è quella del vero e proprio dialogo con i candidati selezionati. Attraverso il dialogo, condotto senza particolari formalità, l’amministrazione mira ad individuare i mezzi più idonei a soddisfare le proprie necessità, per cui con i candidati vengono discussi tutti gli aspetti dell’appalto. In questa fase della procedura deve essere garantita la parità di trattamento di tutti gli offerenti, per cui l’amministrazione non deve fornire informazioni in modo discriminatorio, in modo da favorire alcuni rispetto ad altri o rivelare ad alcuni le soluzioni proposte da un candidato o altre notizie riservate. Questo accorgimento mira a salvaguardare la riservatezza delle proposte e delle soluzioni tecnologiche ed ha l’obiettivo di stimolare la competizione su queste ultime. In tal modo tutti i candidati potranno confidare sull’obbligo di riservatezza cui è tenuta la stazione appaltante. Nella fase del dialogo non è precluso alla stazione appaltante di ridurre progressivamente il numero dei concorrenti e, quindi, delle soluzioni da discutere, purché ciò avvenga nel rispetto dei criteri di aggiudicazione precisati nel bando di gara. La flessibilità della procedura consente inoltre all’amministrazione di scegliere se proseguire il dialogo fino a che non sia stata individuata la soluzione migliore in relazione alle esigenze da soddisfare, ovvero di individuare più soluzioni possibili, anche eterogenee, comunque compatibili con l’interesse pubblico. Per impedire che le amministrazioni possano combinare singoli profili delle 37 proposte nonché per tutelare la riservatezza dei concorrenti viene previsto che, salvo ipotesi eccezionali, il dialogo si svolga di volta in volta tra l’amministrazione ed un solo candidato. Concluso il dialogo ed individuata la soluzione o le soluzioni ammissibili si apre la fase dell’aggiudicazione, che avviene in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Dall’apertura di tale fase deve essere formalmente data comunicazione ai partecipanti. La fase dell’aggiudicazione si suddivide a sua volta in due sottofasi. La prima è quella dell’invito a presentare le offerte finali, in base alle soluzioni proposte e specificate nella fase di dialogo: tali offerte devono contenere tutti gli elementi richiesti e necessari per l’esecuzione del progetto; peraltro, anche successivamente a questa sottofase, i partecipanti possono chiarire, precisare o perfezionare l’offerta, purché non ne modifichino gli elementi fondamentali. La seconda è quella dell’aggiudicazione secondo il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa in relazione ai criteri fissati nel bando e nella lettera di invito. E’ prevista inoltre la facoltà per le amministrazioni di erogare premi o pagamenti ai partecipanti al dialogo che non siano risultati aggiudicatari, allo scopo di incoraggiare la partecipazione. La gara può fondarsi sia su un’unica soluzione progettuale scaturita dal dialogo ed adottata dalla pubblica amministrazione come base per l’aggiudicazione o su più soluzioni. In questa seconda ipotesi possono profilarsi problemi, come nei casi di soluzioni non agevolmente comparabili tra di loro. Per risolverlo sarebbe opportuno attribuire alla commissione di gara un ampio potere di determinazione dei criteri di aggiudicazione, in deroga a quanto previsto dal codice con riguardo agli altri sistemi di selezione del contraente come le procedure aperte o ristrette. Va al riguardo evidenziato che, diversamente da queste ultime, nel dialogo competitivo il bando ha la sola funzione di sollecitare i privati alla partecipazione alla procedura, ma non può prevedere puntualmente i criteri ed i parametri di valutazione delle offerte, non essendovi ancora una soluzione progettuale da utilizzare come base di gara. Deve quindi essere consentito un adattamento dei principi di trasparenza ed imparzialità mediante deroga all’art. 83, comma 4, d.lgs. n. 163/2006, sopra visti, nei limiti in cui ciò sia strettamente funzionale alle esigenze di flessibilità proprie del dialogo competitivo. 38 Altra procedura di selezione innovativa è l’accordo quadro (previsto dall’art. 59 del codice dei contratti pubblici), che nasce dall’esigenza di semplificare l’aggiudicazione di contratti aventi contenuto ricorrente, come nel caso di lavori ripetitivi o forniture di durata. L’accordo quadro si connota per essere un accordo concluso tra una o più stazioni appaltanti e uno o più operatori economici, il cui scopo è quello di stabilire le clausole riguardanti appalti da aggiudicare in un determinato lasso di tempo. Tali clausole possono riguardare i prezzi e anche le quantità previste. Dalla definizione normativa sorge un primo problema che investe la natura stessa dell’istituto. Si deve infatti stabilire se si tratti di una autonoma fattispecie negoziale che si affaccia nel sistema dei contratti pubblici ovvero, più semplicemente, di un sistema semplificato di aggiudicazione di appalti. Il problema sorge perché con l’accordo quadro non viene aggiudicato un singolo contratto d’appalto, ma vengono individuati uno o più operatori economici per la realizzazione di un programma di prestazioni le cui condizioni, peraltro, non possono essere compiutamente stabilite in sede di accordo. A quest’ultimo poi, seguono procedure di aggiudicazione, per i singoli appalti facenti parte del programma, secondo lo schema privatistico del contratto normativo. Prevale la tesi che in luogo di una nuova fattispecie contrattuale l’accordo quadro costituisca un sistema di aggiudicazione di contratti tipizzati. Ciò in primo luogo avuto riguardo al fatto che il codice dei contratti colloca l’istituto, dal punto di vista sistematico, nell’ambito delle procedure di scelta del contraente. Inoltre, tale conclusione si ricava dalla definizione normativa, a mente della quale l’accordo quadro è il contratto che ha per oggetto la predeterminazione di clausole relative ad appalti che l’amministrazione dovrà poi aggiudicare. Problema fondamentale è la compatibilità dell’istituto con le regole dell’evidenza pubblica. La soluzione non è agevole. Lo stesso art. 59 prevede che l’individuazione degli operatori economici con i quali stipulare l’accordo quadro debba avvenire sulla base dei criteri di aggiudicazione definiti dall’art. 81 d.lgs. n. 163/2006, implicanti, quindi, il pieno rispetto dei principi nazionali e comunitari di concorrenzialità. Laddove l’accordo quadro sia aggiudicato ad un solo operatore economico, detti principi 39 risulteranno dunque rispettati a monte, nella scelta di quest’ultimo ai sensi del citato art. 59. Nel caso di più operatori economici selezionati la situazione è più complessa. Possono venire in rilievo due ipotesi: quella in cui gli appalti sono da aggiudicare alle condizioni stabilite nell’accordo e quella in cui non tutte le condizioni siano state in esso fissate e pertanto si debba ancora individuare con esattezza il contenuto contrattuale. Nella prima ipotesi l’amministrazione può procedere alla conclusione dei contratti di appalto senza alcun ricorso al confronto competitivo tra i vari operatori in precedenza individuati, per cui l’aggiudicazione deve seguire unicamente il criterio della rotazione. Nella seconda, invece, tale confronto deve essere attivate e deve pertanto essere effettuata una nuova gara. 13. Gli appalti della pubblica amministrazione all’epoca della crisi della finanza pubblica. Si viene infine ai giorni nostri, nei quali si impone in modo pressante, per effetto di obblighi assunti dall’Italia in sede europea, gli imperativi del riequilibrio dei conti pubblici e della riduzione del debito pubblico. Questi obiettivi costituiscono una costante negli indirizzi di politica legislativa in materia di appalti pubblici degli ultimi dieci anni. Come detto sopra, già a partire dall’inizio di questo millennio il legislatore ha avviato una politica di razionalizzazione delle modalità di acquisto di beni e servizi, attraverso un impulso verso la centralizzazione della committenza e la standardizzazione, semplificazione ed informazione delle procedure di acquisto. Punto di partenza è stato lo strumento delle convenzioni Consip, introdotte dall’art. 26 della legge finanziaria per il 2000, con relativa comminatoria di responsabilità erariale (n. 488/1999). In relazione a questo sistema di accordi quadro si è dapprima prevista una facoltà di impiego da parte delle amministrazioni, con assunzione di queste del conseguente rischio in caso di superamento dei limiti massimi di prezzo in esse stabilito. Quindi, con la legge finanziaria per il 2007 (articolo 1, commi 449 – 458, legge n. 296/2006) si è introdotto un vero e proprio obbligo, per le amministrazioni centrali e periferiche di farvi ricorso, in relazione alle tipologie di beni aventi caratteristiche tecniche di mercato standardizzate, 40 il tutto come stabilito con decreto del Ministro dell’economia e finanze. Compito del Ministero delegato era dunque quello di individuare il grado di uniformità (standardizzazione) dei beni e dei servizi acquisibili presso il mercato, in relazione al quale l’obbligo di approvvigionarsi mediante convenzioni, astrattamente previsto dalla legge, diveniva concretamente operativo. Le altre amministrazioni, pur facoltizzate, erano tenute ad attenersi ai parametri qualità-prezzo ricavabili dalle convenzioni Consip. Venivano invece esonerati da questo obbligo gli istituti scolastici e le università, nonché gli enti del servizio sanitario nazionale. Per questi ultimi l’obbligo di ricorrere al sistema delle convenzioni-tipo veniva tuttavia previsto nei confronti delle centrali di committenza regionali, alle quali si demandava il compito di procedere mediante convenzioni tipo sulla base del modello inaugurato con l’art. 26 della legge finanziaria per il 2000. Inoltre, la finanziaria per il 2007 ha introdotto l’obbligo di ricorrere al mercato elettronico della pubblica amministrazione per gli acquisti sottosoglia, sempre con le sopra dette eccezioni. Il decreto legge n. 112/2008 (“Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”), all’insegna del “risparmio energetico” (così la rubrica dell’articolo 48), aveva imposto a tutte le amministrazioni statali l’obbligo di approvvigionarsi di combustibile da riscaldamento e dei relativi servizi, nonché per l’energia elettrica, mediante le convenzioni quadro Consip o comunque a prezzi inferiori o uguali a quelli praticati da detta società, stabilendo altresì per le altre pubbliche amministrazioni l’obbligo di adottare misure in modo da ottenere risparmi equivalenti. Il d.l. n. 98/2011 (“Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”) ha previsto un sistema di interventi per la razionalizzazione dei processi di approvvigionamento di beni e servizi della pubblica amministrazione, in particolare attraverso uno sviluppo dei processi di centralizzazione degli acquisti riguardanti beni e servizi e la messa a disposizione del sistemo informatico di negoziazione della Consip. A quest’ultima viene demandato tra l’altro il compito di elaborare appositi indicatori e parametri per supportare l'attività delle amministrazioni di misurazione dell'efficienza dei processi di approvvigionamento. 41 Nel corso delle due ultime legislature si è proseguito lungo questo filo conduttore, all’insegna del tema dominante della revisione della spesa pubblica (la c.d. spending review). Ovviamente i contratti della pubblica amministrazione di acquisto di beni e servizi non potevano che essere posti al centro della revisione della spesa, essendo stato creato per essi un commissario straordinario “per la razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi delle amministrazioni pubbliche”, con i compito di fissare i livelli di spesa per voci di costo per le amministrazioni pubbliche. A tale soggetto è stato altresì attribuito il compito di curare lo sviluppo del sistema a rete delle centrali di acquisto dei beni e servizi della pubblica amministrazione. Volendo concentrare l’esposizione sui punti maggiormente qualificanti i recenti interventi normativi, va in primo luogo evidenziato che la Consip ha visto accrescere il proprio ruolo, in materia di definizione del “programma di razionalizzazione degli acquisti” e le attività di centrale di committenza e di e-procurement per le amministrazioni pubbliche, con l’ausilio della Sogei s.p.a. (altro ente societario partecipato dal Ministero dell’economia e finanze) per quanto concerne la gestione e lo sviluppo del sistema informatico della pubblica amministrazione (d.l. n. 95/2012 “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi per i cittadini”). Sono quindi resi maggiormente cogenti gli obblighi per le pubbliche amministrazioni di approvvigionarsi attraverso gli strumenti centralizzati messi a disposizione da Consip e dalle centrali regionali di committenza di cui all’art. 33 cod. contratti pubblici. In particolare, con il d.l. n. 52/2012 (“Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica”) e con la legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013), l’obbligo di approvvigionamento attraverso le convenzioni-quadro Consip è stato esteso a tutte le tipologie di beni e servizi che devono essere acquistati da tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, ivi comprese scuole ed università. Del pari, in virtù dei citati provvedimenti normativi tutte le amministrazioni pubbliche, anche quelle non statali, sono tenute a ricorrere al mercato elettronico della pubblica amministrazione (disciplinato dall’art. 328 d.p.r. n. 207/2010) per gli acquisti di beni e servizi sotto soglia. Il potenziamento del mercato elettronico per l’acquisizione di beni e servizi è stato ulteriormente perseguito dalla legge di stabilità 2013, il 42 cui art. 1, comma 158), ha demandato ad un decreto del Ministro dell'economia, da adottare entro il 31 marzo di ogni anno, l’individuazione delle categorie di beni e di servizi nonché la soglia al superamento della quale le amministrazioni pubbliche statali, centrali e periferiche procedono alle relative acquisizioni attraverso strumenti di acquisto informatici propri, ovvero messi a disposizione dal Ministero dell'economia. Tale previsione dunque demanda ad un atto secondario la fissazione di quelle tipologie di acquisti, per le quali, a prescindere dal fatto che siano sopra o sotto la soglia di rilievo comunitario, opera comunque l’obbligo di ricorrere agli strumenti informatici. E’ poi intervenuto in modo incisivo il d.l. n. 95/2012 sulla revisione della spesa pubblica. Questo prevede che, all’art. 1, al complessivo fine di assicurare maggiore cogenza agli strumenti di acquisto centralizzato, che i contratti stipulati in violazione dell’obbligo di ricorrere alle convenzioni quadro Consip ex art. 26 l. n. 488/1999 o agli strumenti di acquisto da questa messi a disposizione sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e causa di responsabilità amministrativa. Viene fatto salvo il caso in cui il contratto sia stato stipulato ad un prezzo più basso, sempre che tra amministrazione e impresa fornitrice non siano insorte contestazioni sull’esecuzione di eventuali contratti stipulati in precedenza. Analoga previsione viene introdotta per le forniture di energia elettrica, gas, carburanti, combustibili per riscaldamento e telefonia, (ciò in virtù dell’art. 1, comma 7, d.l. n. 95/2012, come modificato dalla legge di stabilità per il 2013). Più precisamente, la citata disposizione prevede l’obbligo non solo per le amministrazioni pubbliche, ma anche per le società inserite nel conto economico consolidato pubblica amministrazione a totale partecipazione pubblica diretta o indiretta, di ricorrere alle convenzioni quadro e agli accordi quadro messi a disposizione da Consip e dalle centrali di acquisto regionali di riferimento, con comminatorie e sanzioni identiche a quelle sopra viste (art. 1, comma 8). Viene comunque lasciata a questi soggetti la possibilità di esperire proprie autonome procedure nel rispetto della normativa vigente, utilizzando i sistemi telematici di negoziazione messi a disposizione dai soggetti sopra indicati. Sono escluse dall’obbligo di ricorso alle convenzioni Consip le centrali di committenza regionali, pur dovendo queste attenersi ai 43 parametri di qualità e di prezzo degli strumenti di acquisto da questa messi a disposizione (art. 1, comma 1). E’ poi consentito esperire autonome procedure nel caso in cui le convenzioni Consip e delle centrali regionali di committenza non siano disponibili per quelle specifiche categorie di beni o servizi e vi sia urgenza di procurarseli (art. 1, comma 3). Gli obblighi di ricorso alle convenzioni-quadro riguardano anche i contratti affidabili in economia mediante cottimo fiduciario (art. 125 d.lgs. n. 163/2006) al di sopra della soglia di 40.000,00. Non è peraltro chiaro se la nullità di cui all’art. 1 del citato d.l. n. 95/2012 si estenda anche ai contratti stipulati in violazione dell’obbligo di utilizzo del mercato elettronico della pubblica amministrazione, riferendosi la norma ai soli strumenti di acquisto messi a disposizione dalla Consip, laddove l’art. 328 del regolamento di attuazione dei codice dei contratti pubblici (n. 207/2010) consente il ricorso anche ad ulteriori forme di mercato elettronico, tra cui quello realizzato dalla medesima stazione appaltante. Inoltre, è stato introdotto (art. 1, comma 13) il diritto di recesso da parte delle pubbliche amministrazioni che hanno stipulato autonomi contratti di fornitura o di servizi, nel caso in cui i parametri delle convenzioni quadro stipulate da Consip successivamente alla stipula dei contratti siano migliorativi e l'appaltatore non acconsenta ad una modifica. Ogni patto contrario a tale previsione è considerato nullo. Si segnala che secondo la giurisprudenza amministrativa a questi obblighi sono tenuti anche gli enti del servizio sanitario nazionale, avuto riguardo al fatto che questi sono esonerato, ai sensi del comma 23 dell’art. 1 in esame, dall’applicazione dei soli commi 5 e 24, essendo invece per il resto assoggettati alle altre disposizioni sugli acquisti di beni e servizi introdotte con la spending review (Cons. Stato, Sez. III, sentenza 11 aprile 2014, n. 1793). Prima di questo intervento normativo, il settore sanitario era stato disciplinato da una normativa speciale, in parte derogatoria rispetto a quella valevole per le altre amministrazioni. L’art. 11, comma 4 del d.l. n. 78/2010 (“Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”) ha introdotto l’obbligo per le aziende sanitarie ed ospedaliere di specifica e motivata relazione – da sottoporrre agli organi di controllo e di revisione delle aziende sanitarie ed ospedaliere – sulle eventuali operazioni di acquisti di beni e servizi effettuati al di fuori delle convenzioni e per 44 importi superiori ai prezzi di riferimento delle centrali regionali di acquisto, ovvero dalla Consip. Se prima si registrava un certo margine di autonomia, della quale era responsabilità dei dirigenti disporne nel rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento, con i provvedimenti legislativi più recenti questo sembra essere stato del tutto compresso. Il che potrebbe porre dei problemi, visto che nel settore sanitario viene in rilievo – come visto sopra – il fondamentale diritto alla salute, garantito dalla Costituzione (art. 32). E’ noto infatti che i contratti di fornitura di presidi strumenti ed apparecchi medici o biomedicali non sempre si prestano a standardizzazioni, potendo rispondere a bisogni di cura di volta in volta diversificati. 14. Obiettivi di politica legislativa attraverso la revisione della spesa pubblica per acquisti di beni e servizi. Come detto, il legislatore della revisione della spesa pubblica si è mosso lungo la duplice direzione della centralizzazione degli acquisti e della razionalizzazione delle relative procedure. Sotto il primo profilo si è pressoché generalizzato l’obbligo dell’acquisto centralizzato mediante Consip s.p.a. e le centrali regionali di committenza, le convenzioni o accordi-quadro delle quali da parametro di prezzo e qualità per l’esperimento delle gare da parte delle singole stazioni appaltanti sono divenuto un vero e proprio strumento contrattuale imposto. Ciò sull’assunto che le centrali di committenza (tra le quali è inclusa la Consip), comunque tenute ad applicare integralmente le disposizioni del codice dei contratti pubblici (la centrale di committenza è infatti una “amministrazione aggiudicatrice” ai sensi del d.lgs. n. 163/2006), permette indubbiamente di aggregare la domanda al fine di ottenere oltre che migliori condizioni sul mercato, oltre ad una complessiva riduzione dei costi di gestione legati allo svolgimento delle gare. A questo obiettivo si aggiunge quello della prevenzione della lotta alla corruzione. Quanto al rispetto dei principi di derivazione comunitaria di tutela della concorrenza, è innegabile come vi sia a monte da parte della centrale di committenza il pieno rispetto dell’evidenza pubblica, anche se il sistema centralizzato è istituto idoneo a creare effetti distorsivi, 45 avvantaggiando la creazione di forme di oligopolio in favore degli operatori di notevoli dimensioni ed in danno delle piccole e medie imprese. Sul punto, si è affacciato il dubbio che si possa determinare un conflitto tra diversi obiettivi di politica legislativa, ed in particolare tra le predette istanze di risparmio della spesa per acquisti di beni e servizi e la tendenza ad aprire il mercato degli appalti pubblici alle piccole e medie imprese. A questo specifico riguardo, si segnala che la l. n. 180/2011 (“Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese”) incoraggia la suddivisione in lotti degli appalti pubblici ed il ricorso al subappalto (art. 13), poi imposto come regola generale per le procedure di affidamento, alle quali le stazioni appaltanti possono sottrarsi dovendo fornire nel bando di gara una specifica motivazione (art. 2, comma 1-bis, cod. contratti pubblici, come modificato dall’art. 26-bis del decreto c.d. “del fare” n. 69/2013. Le convenzioni stipulate da Consip fungono da contratti “normativi”. Con esse viene predeterminata la disciplina alla quale dovranno conformarsi tutti i futuri ed eventuali rapporti contrattuali che abbiano ad oggetto le categorie merceologiche individuate dal legislatore, salva la possibilità per singola stazione appaltante di introdurre all’atto dell’adesione alla convenzione-quadro singoli aggiustamenti ed estensioni utili ad adeguare le caratteristiche generali alle proprie specifiche esigenze contrattuali, così da rendere il sistema effettivo ed evitare elusioni. Il vantaggio pratico da esso derivante per le stazioni appaltanti è, anche nelle residuali ipotesi in cui il ricorso al relativo utilizzo è facoltativo, quello di non dovere motivare in ordine allo specifico interesse pubblico sotteso a tale scelta ed quella di ricorrere ad un acquisto di beni o servizio, essendo il giudizio di convenienza già espresso dalla convenzione cui si aderisce. La giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Sez. V, 23 novembre 2010, n. 8158) ha affermato al riguardo che la possibilità (originariamente prevista dall’art. 26, l. n. 488/1999) di ricorrere alla Consip o di utilizzarne, come limiti massimi, i parametri di prezzoqualità, per l'acquisto di beni e servizi comparabili oggetto delle stesse, non si pone in contrasto con i principi della libera concorrenza, perché il momento competitivo è assicurato a monte, cioè al momento in cui viene la Consip seleziona l’impresa che si impegna accetta gli ordinativi di fornitura di beni e servizi. Proprio questo obbligo consente una 46 maggiore osservanza dei principi di efficacia ed economicità, grazie al fatto cioè di potere ottenere un prezzo formato sulla base dell’uniformità delle prestazioni su tutto il territorio nazionale o nelle singole regioni. La stessa giurisprudenza ha anche segnalato che i rischi di eccessiva standardizzazione degli acquisti, a scapito delle necessarie garanzie sul piano tecnico, possono essere scongiurati mediante le centrali regionali, istituite “per soddisfare le esigenze di acquisto localmente diversificate”, ammettendo per il resto la possibilità di ricorrere a singoli aggiustamenti ed estensioni utili ad adeguare le caratteristiche generali della convenzione alle specifiche esigenze, pur nei limiti dell’oggetto di questa (Sez. III, sentenza 26 settembre 2013, n. 4803, resa nel vigore del d.l. n. 95/2012); Per quanto concerne gli strumenti normativi, successivamente introdotti, preordinati a rendere cogenti gli obblighi di ricorso alle convenzioni quadro spicca la nullità del contratto d’appalto concluso in violazione di detti obblighi. Come noto, la nullità determina l’inefficacia ex tunc del negozio concluso, con effetti restitutori a carico delle parti, la cui azione di accertamento è imperscrittibile e può essere fatta valere, in linea di principio, da chiunque vi abbia interesse. Le prestazioni di fare eseguite sulla base del contratto nullo comportano l’applicazione dell’art. 2041 c.c. in tema di arricchimento senza giusta causa, con diritto per l’appaltatore alla corresponsione di un mero indennizzo commisurato al valore economico del servizio effettuato, fermo restando l’inesigibilità dell’utile contrattuale. La nullità è la massima sanzione civilistica, posta a presidio di interessi generali, e che nel caso di specie può ritenersi espressiva di principi di ordine pubblico economico volti al contenimento della spesa pubblica per acquisti di beni e servizi. Essa ha dunque carattere assoluto ed è deducibile da chiunque, a differenza della nullità relativa o di protezione, che è posta a tutela della parte lesa dalla stipulazione del contratto. Si profilano conseguentemente rischi che l’affidamento dei privati sulla stabilità dei contratti possa essere compromesso. La nullità in esame mette in particolare a repentaglio la stabilità dell’aggiudicazione definitiva e tutto il complesso di istituti relativi alle procedure di affidamento, essendo possibile in astratto esperire una autonoma azione dichiarativa della nullità (davanti al giudice ordinario), 47 rimedio cui potrebbero ricorrere le imprese non aggiudicatarie, salvo l’esercizio di poteri di autotutela, che tuttavia potrebbero determinare una duplicazione di contenziosi. Analoghe preoccupazioni possono essere fatte anche in relazione al diritto di recesso, in particolare nei casi di contratti relativi a beni non oggetto di convenzioni quadro, poi sopravvenute nel corso dell’esecuzione. Ulteriori criticità possono prospettarsi sul piano più generale dell’azione ed organizzazione amministrativa e della conformità dell’obbligo di ricorrere alle convenzioni-quadro Consip e centrali di committenza con i precetti costituzionali relativi di ragionevolezza, buon andamento e coordinamento della finanza pubblica (artt. 3, 97 e 117, comma 3, Cost.), nell’ipotesi, non astrattamente escludibile, che il sistema in questione possa rivelarsi non economico ed in contraddizione con le stesse dichiarate finalità di contenimento della spesa pubblica. Infatti, con esso si impedisce comunque alle singole amministrazioni di conseguire sicuri risparmi di spesa, in ipotesi ottenibili laddove queste possano reperire condizioni di approvvigionamento di beni e servizi più convenienti rispetto a quelli ottenuti a livello centralizzato. In ogni caso, si preclude la stessa possibilità di utilizzare le condizioni contrattuali Consip come base d’asta, al fine di sollecitare la formulazione di eventuali offerte migliorative nell’ambito del mercato locale di riferimento, in disparte ogni considerazione sui limiti a principi di autonomia finanziaria ed organizzativa di amministrazioni ed enti locali e regioni, sanciti dalla Costituzione (sul punto giova ricordare che la Corte Costituzionale aveva sostanzialmente “convalidato” il previgente sistema di convenzioni-quadro sul rilievo che queste costituissero limiti massimi per l'acquisto di beni e servizi aventi caratteristiche comparabili, proprio perché aventi carattere di vincoli-obietto, che non comprimevano i margini di discrezionalità dell’ente con riguardo ai mezzi per raggiungerli: sentenza 14 dicembre 2005, n. 417). Si segnalano al riguardo alcune prese di posizione della giurisprudenza amministrativa: - secondo il TAR Sicilia – Palermo (sentenza 24 marzo 2014, n. 861), è legittima la revoca (o recesso) ai sensi dell’art. 1, comma 13, d.l. n. 95/2012, di una concessione di servizio pubblico svolto in condizioni non antieconomiche quali risultanti dai parametri delle convenzioni- 48 quadro Consip, a meno che il contraente privato non acconsenta ad una modifica delle condizioni contrattuali in essere; - il Consiglio di Stato (Sez. III, sentenza 26 settembre 2013, n. 4803), ha ritenuto legittima l’adesione ai sensi del d.l. n. 95/2012 ad una convenzione-quadro Consip anche con singoli aggiustamenti ed estensioni utili ad adeguare le caratteristiche generali della convenzione alle specifiche esigenze, pur nei limiti dell’oggetto di questa; - il TAR Veneto (sentenza 28 aprile 2014 n. 538) ha invece affermato che è illegittimo l’affidamento a Consip da parte di una pubblica amministrazione (nella specie una Usl) di un appalto di servizi, nel caso in cui la relativa convenzione sia inidonea a soddisfare l’effettivo ed integrale fabbisogno prestazionale della stazione appaltante e per tale ragione l’amministrazione ai fini del suddetto affidamento, abbia suddiviso artificiosamente il servizio in due tronconi di cui uno, calibrato esattamente sulla convenzione Consip, affidato alla ditta aggiudicataria della relativa convenzione-quadro mentre l’altro attribuito alla medesima ditta ex art. 57, comma 5, d.lgs. n. 163/2006 (con procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara per l’esecuzione di lavori o servizi complementari, originariamente non prevedibili, necessari all’esecuzione del servizio oggetto del contratto iniziale e funzionalmente non separabili dall’assegnazione originaria); il TAR ha precisato che o la convenzione Consip prevede le prestazioni effettivamente rispondenti alle esigenze dell’amministrazione, ed allora la stessa può aderirvi, o non li prevede, ed allora la medesima amministrazione deve indire apposita procedura concorsuale per affidare l’appalto ad un’impresa in grado di assicurare il servizio nella sua interezza; - laddove un obbligo di adesione non vi sia, è legittimo il rifiuto di aggiudicare definitivamente una gara ad un prezzo superiore a quello ottenuto da Consip nella corrispondente convenzione-quadro (Cons. Stato, Sez. V, 2 febbraio 2009, n. 557); - sono in contrasto con gli obblighi comunitari in materia di affidamenti mediante procedura ad evidenza pubblica, e devono perciò essere disapplicate, le norme del d.l. n. 95/2012 che prevedono proroghe dei termini di durata delle convenzioni Consip (Cons. Stato, Sez. III, 11 aprile 2014, n. 1793 e 27 marzo 2014, n. 1486). Queste ultime pronunce pongono in rilievo possibili profili di frizione tra obiettivi di politica economica perseguiti mediante la revisione della spesa pubblica per acquisiti di beni e servizi sul piano 49 interno e le esigenze di massima concorrenzialità imposte dal diritto europeo. Sul piano più generale, rimangono inoltre sullo sfondo interrogativi circa la responsabilità con principi fondamentali e fortemente caratterizzanti le recenti riforme della della pubblica amministrazione, incentrati sul ruolo dei dirigenti e delle connesse responsabilità per il raggiungimento di risultati. Ruolo che le convenzioni-quadro tendono a svilire ed appiattire. 15. Gli ultimi sviluppi della revisione della spesa negli acquisti di beni e servizi della pubblica amministrazione. Nel documento di economia e finanza recentemente approvato dal parlamento viene nuovamente ribadito l’indirizzo di politica economica e normativa finora descritto. Particolare rilievo viene dato al vincolo derivante dalla congiuntura di finanza pubblica, la quale impone, sul piano delle opere pubbliche, l’incremento dell’apporto economico privato e del ricorso al partenariato pubblico-privato. Al fine di incoraggiare gli investimenti privati, peraltro, già il precedente governo aveva introdotto strumenti di finanziamento innovativi o agevolativi (project bond, il contratto di disponibilità ed una disciplina di forte agevolazione fiscale per le opere infrastrutturali superiori ai 200 milioni di euro prive di contributo pubblico). Per quanto concerne forniture e servizi, si ribadisce l’obiettivo primario di accentrare gli acquisti presso la Consip e le centrali di committenza regionali (nonché a livello di città metropolitane), al fine di conseguire risparmi nel medio e lungo periodo. Nel documento si riferisce inoltre che nel 2013 sono stati ottenuti 6,9 miliardi di risparmi, per effetto: 1) dell’attività di acquisto; 2) del c.d. benchmark delle convenzioni, i cui parametri prezzo-qualità costituiscono limiti massimi per gli acquisti della pubblica amministrazione (si tratta peraltro di una cifra ragguardevole, che non è ben precisato rispetto a quali stanziamenti sia stata conseguita). La relativa consistenza numerica ha fatto detti risparmi siano entrati a pieno titolo nelle manovre finanziarie, in termini di obiettivi di bilancio. Con la legge di stabilità per il 2014 (l. n. 147/2013) è stata disposta una riduzione lineare delle spese della pubblica amministrazione per 50 consumi intermedi (pari a 150 milioni circa per ciascuno degli anni 2014 e 2015 e 250 milioni per il 2016. Con il recente decreto legge n. 66/2014 (“Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale”, meglio noto come decreto degli 80 euro) gli obiettivi di risparmio si fanno particolarmente ambiziosi. Sono 2,1 miliardi i risparmi che si impongono per l’anno finanziario, divisi in pari misura tra amministrazioni centrali, regioni ed enti locali (art. 8). Per regioni ed enti locali si prevede una correlativa riduzione dei trasferimenti dal bilancio dello Stato (art. 50, comma 3). La determinazione dell’obiettivo per ciascun ente è demandata, ai sensi del predetto art. 8, ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, secondo criteri di premialità, in particolare, per le amministrazioni che abbiano fatto ricorso agli strumenti messi a disposizione della Consip (sistemi informatici e convenzioni-quadro). Per il raggiungimento di questi obiettivi sono previsti alcuni strumenti. In linea con il diritto di recesso precedentemente previsto, il citato art. 8 contiene un’autorizzazione a “ridurre gli importi dei contatti in essere aventi ad oggetto acquisto o fornitura di beni e servizi, nella misura del 5 per cento, per tutta la durata residua dei contratti medesimi”, salva la facoltà di rinegoziare questi ultimi “in funzione della suddetta riduzione”, e salvo il recesso dell’appaltatore; si impone per i contratti da stipulare di rimanere entro i prezzi “derivati, o derivabili” dalle predette riduzioni o alle convenzioni Consip, a pena di nullità oltre che ai fini “della performance individuale e della responsabilità dirigenziale di chi li ha sottoscritti [comma 8, lett. a) e b)]. Degno di menzione è il fatto che in caso di recesso dell’appaltatore e nelle more dell’espletamento delle procedure per nuovi affidamenti che si renderanno necessarie (“al fine di assicurare comunque la disponibilità di beni e servizi necessari alla loro attività”, recita la norma), le amministrazioni possono stipulare nuovi contratti sia accedendo al sistema delle convenzioni-quadro, sia “tramite affidamento diretto nel rispetto della disciplina europea e nazionale sui contratti pubblici”. Questa seconda evenienza pare ancora una volta porsi in contrasto con i principi comunitari di massima concorsualità, profilandosi ulteriormente il rischio di non fare conseguire i risparmi di spesa attesi. Ciò in quanto, strette dall’esigenza di dovere assicurare la continuità dell’attività amministrativa e dei servizi erogati, le amministrazioni dovrebbero stipulare contratti con la massima urgenza, la quale non 51 sempre (ed anzi molto spesso), si pone in antitesi con l’obiettivi di ridurre l’esborso economico. Sul punto, è vero che la lett. b) impone che gli importi ed i prezzi dei contratti stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legge non siano superiori a quelli “derivati, o derivabili” dalle riduzioni di cui alla precedente lettera a) – come visto sopra – ma è del tutto evidente che un simile obbligo non è predicabile nei confronti del contraente privato, il quale verrebbe dunque ad assumere del tutto inopinatamente una posizione di forza contrattuale nei confronti dell’amministrazinoe. Per altri aspetti, con l’ultimo intervento legislativo viene quindi ulteriormente rafforzato il processo di accentramento delle stazioni appaltanti, con l’istituzione dell’elenco dei “soggetti aggregatori”, che le regioni obbligate a costituire, fino ad un massimo di 35 sul territorio nazionale, o alternativamente stipulare convenzioni-quadro con Consip (art. 9). Di tali soggetti aggregatori “fanno parte Consip S.p.A. e una centrale di committenza per ciascuna regione”. Del pari si obbligano i comuni non capoluogo di provincia ad aggregarsi per gli acquisti di beni e servizi (all’uopo essendosi aggiunto il comma 3-bis all’art. 33 d.lgs. n. 163/2006). I soggetti aggregatori sono destinati ad intervenire necessariamente per categorie di beni e servizi ed in caso di superamento di soglie economiche, non più coincidenti con quelle comunitarie come visto sopra, che si demanda nuovamente al Presidente del Consiglio dei ministri di stabilire con proprio decreto (l’art. 9, esonera peraltro le istituzioni scolastiche e gli enti del servizio sanitario nazionale). I soggetti così costituiti sono vincolati al rispetto dei “prezzi di riferimento alle condizioni di maggiore efficienza di beni e di servizi” elaborati dall’Autorità per la vigilanza dei contratti pubblici, così come tutta la programmazione dell’attività contrattuale di ciascuna pubblica amministrazione ed il successivo espletamento delle procedure di affidamento, costituendo questi “prezzo massimo di aggiudicazione”, il cui mancato rispetto è sanzionato con la nullità (art. 9, comma 7). Alla predetta autorità sono attribuiti i conseguenti controlli (art. 10). In questo caso, i possibili profili di contrasto con gli obblighi comunitari discendono dall’eccesso di concentrazione dell’offerta che meccanismi di centralizzazione dei punti di spesa dell’amministrazione può determinare, a vantaggio dei grossi gruppi economici, benché i più recenti interventi normativi, anche a livello interno, siano connotati da una speciale attenzione nei confronti delle medie e piccole imprese (nel 52 settore degli appalti pubblici in particolare mediante la previsione dell’obbligo di suddividere i contratti in lotti funzionali: ora art. 2, comma 1-bis, cod. contratti pubblici). 16. Le direttive europee sugli appalti di terza generazione. Fin qui il diritto esistente. Sono peraltro prossime ulteriori e rilevanti novità normative per gli appalti della pubblica amministrazione. Nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea del 28 marzo 2014 sono infatti state pubblicate, le nuove direttive in materia di appalti e concessioni (la Direttiva 2014/23/UE del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione; la Direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici; la Direttiva 2014/25/UE del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e servizi postali. In due casi, le nuove norme sostituiscono disposizioni vigenti: la direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici che abroga la direttiva 2004/18/CE e la direttiva 2014/25/UE sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali che abroga la direttiva 2004/17/CE. Completamente innovativa è invece la direttiva 2014/23/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione. Le Direttive entreranno in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, e cioè il 17 aprile 2014, mentre gli Stati membri dovranno obbligatoriamente recepirle entro il 18 aprile 2016. Con le direttive di “terza generazione” il legislatore europeo intende perseguire tre obiettivi principali: semplificazione, flessibilità e certezza giuridica. La finalità della riforma è consentire alle autorità pubbliche di ottimizzare il ricorso agli appalti pubblici, rendendo il public procurement più efficiente, strategico e trasparente, a beneficio sia delle autorità pubbliche che degli operatori economici. Tra le novità delle nuove direttive si segnalano: la semplificazione e maggiore flessibilità delle procedure d’appalto, attraverso il crescente ricorso all’autocertificazione (nuovo “documento unico europeo di gara” standard, basato sull’autocertificazione) ed una rivisitazione delle procedure; la promozione delle “aste elettroniche” in grado di favorire 53 efficienza e risparmi di spesa; il miglioramento dell’accesso al mercato delle piccole e medie imprese; la vigilanza della correttezza delle procedure, mediante le norme dedicate ai conflitti di interesse ed al comportamento illecito; le nuove norme per il subappalto e disposizioni più severe sulle “offerte anormalmente basse”; l’espressa previsione dell’in house nel settore degli appalti pubblici con una puntuale definizione delle condizioni in presenza delle quali è possibile l’affidamento diretto (art. 28). Si specifica, in particolare, che il requisito del controllo analogo richiede un’influenza dominante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni più significative della persona giuridica controllata e che tale controllo può essere esercitato anche da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice; la disciplina del c.d. partenariato pubblico-pubblico, fissando espressamente le condizioni (fino ad oggi affidate all’elaborazione della giurisprudenza comunitaria e nazionale) in presenza delle quali un accordo tra amministrazioni non rientra nel campo di applicazione della direttiva. La nuova disciplina prevede, in particolare, che un contratto concluso esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell’ambito di applicazione della presente direttiva, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) il contratto stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, finalizzata a fare in modo che i servizi pubblici che esse sono tenute a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che esse hanno in comune; b) l’attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni relative all’interesse pubblico; e c) le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20% delle attività interessate dalla cooperazione. In materia di concessioni, la novità è costituita dalla stessa introduzione di una direttiva appositamente dedicata, la quale prevede, tra l’altro, una definizione più precisa di contratti di concessione, con la specificazione che l’aggiudicazione di una concessione di lavori o di servizi comporta il trasferimento al concessionario di un “rischio operativo” legato alla gestione dei lavori o dei servizi, il che significa che non viene garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. Nel suo complesso, il recente intervento normativo si pone nella linea finora osservata a livello sovranazionale, cercando di rimuovere gli inconvenienti legati ad una eccessiva “legiferazione”, vale a dire ad una 54 regolamentazione rigorosa della procedura ad evidenza pubblica, la quale se finalizzata a prevenire il rischio di una gestione scorretta e faziosa della gara, rischia di svilire in modo eccessivo e sproporzionato la discrezionalità amministrativa. A questo riguardo è maturata infatti la consapevolezza che l’approccio pro-concorrenziale richiede comunque che l’amministrazione disponga di spazi di valutazione e di flessibilità nel confronto con le imprese, al fine di addivenire alla scelta migliore in relazione alle singole circostanze concrete. Contro il formalismo esasperato si sono levate critiche dalla dottrina amministrativista, volte a stigmatizzare la “caccia all’errore” in cui spesso tende a trasformarsi il contenzioso in materia di appalti pubblici. Se per il passato espressione di questo approccio maggiormente “sostanzialista” erano alcuni punti qualificanti l’azione normativa comunitaria sin dall’origine, come la valorizzazione del criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa rispetto a quello vincolato del prezzo più basso e la valutazione discrezionale e in contraddittorio della valutazione dell'anomalia dell'offerta, oggi questi obiettivi sono perseguiti attraverso: una maggiore semplificazione e riduzione degli oneri amministrativi a carico delle imprese partecipanti a procedure di affidamento; il crescente ricorso all’autocertificazione, l’obbligo di suddivisione in lotti; limiti massimi di fatturato (pari al doppio del valore del contratto); nonché una maggiore flessibilità delle procedure, attraverso nuovi spazi alla negoziazione tra amministrazione aggiudicatrice e impresa partecipante in relazione all’offerta iniziale presentata da quest’ultima. Già sul piano interno, peraltro, le esigenze di sviluppo economico avevano condotto il legislatore nazionale a positivizzare il principio della tassatività delle cause di esclusione dalle gare (art. 46, comma 1-bis, cod. contratti pubblici, introdotto dal c.d. decreto sviluppo n. 70/2011), nonché con il sistema di certificazione unica del possesso dei requisiti di partecipazione alle gare (tramite la banca nazionale dell’Autorità per la vigilanza dei contratti pubblici ex art. 6-bis, d.lgs. n. 163/2006, attraverso il sistema Avcpass), rinviato al 1° luglio 2014 dall’ultimo decreto milleproroghe. Il futuro dirà se questa è la direzione giusta e come si evolveranno gli indirizzi di politica nazionale nella materia. 55 A questo riguardo è il caso di segnalare che gli appalti pubblici sono considerati nelle direttive della terza generazione come mezzi per perseguire politiche di crescita economica intelligente, sostenibile ed inclusiva (secondo la strategia Europa 2020), volte nel loro complesso a conseguire, mediante un approccio attivo alla materia, beni e servizi che promuovano l’innovazione, rispettino l’ambiente e favoriscano e migliorino l’occupazione, la salute pubblica e le condizioni dei lavoratori. Pertanto, occorrerà verificare se l’approccio rigidamente finanziario perseguito negli ultimi anni dal legislatore nazionale si ponga o meno in conflitto con queste finalità di interesse generale. 56
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