Qualità della vita: anche il tpl relega Napoli in

PERIODICO D’INFORMAZIONE DELLA UILTRASPORTI CAMPANIA
ANNO 6, NUMERO 1
GENNAIO 2014
“Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale” (art. 16 Cost.)
Qualità della vita: anche il tpl relega Napoli in fondo alla classifica
Editoriale
Ripartire da una coscienza politica che metta al centro delle proprie scelte il futuro della collettività
Anno nuovo
vecchie abitudini
“
Che aspettative per il nuovo anno” è la
riflessione che in molti in questi giorni
stanno ponendo e si pongono nel tentativo di
immaginare la fine di una recessione che,
solida ed oramai inconfutabile, non ammette
più bugie e tentativi malcelati di mistificazione
magari lasciando immaginare luci e vie di
uscita miracolose e immaginifiche, così come
le intuizioni e le ricette che si sono succedute
senza soluzione di continuità nel corso della
più grave crisi che ha interessato ogni economia dal dopoguerra. La crisi non nasce da
sola, non si produce per automatismi, è figlia
di gestioni e comportamenti consapevoli di
determinare difficoltà ma che, solo con l’irresponsabilità e l'egoismo di ritenere che ad
altri spetteranno le soluzioni, si traducono in
scelte sbagliate e deprimenti per l'economia
ed il futuro di interi popoli ed in essi di intere
generazioni. Purtroppo ognuno pensa che la
soluzione sia innanzitutto nel cambio di comportamenti altrui, affidando a se stessi, troppo
spesso, solo valutazioni e nessuna possibilità
di partecipare alla svolta, limitandosi, in attesa che sia il corso della storia a cambiare gli
eventi, ad assistere alla deriva senza nessun
protagonismo. Oramai appare evidente come
sia saltato e bocciato dalla storia un modello
di sviluppo che riteneva di poter fare soldi
con i soldi, che voleva affidare alla finanza la
chiave di volta di ogni attività, secondo cui ciò
che nel breve portava profitto e moltiplicava
gli utili era perseguibile e soprattutto doveva
costituire la discriminante per ogni scelta politica. Non è stato così: la bolla immobiliare
nata negli Stati Uniti ha coinvolto le economie
mondiali, nessuna esclusa; l’inattendibilità e
l’inaffidabilità delle società di certificazione
figlie dello stesso sistema che dovrebbero
valutare hanno falsificato ogni economia; la
produzione indecente e criminale della Cina
ha minato ogni sistema industriale, costretto a
confrontarsi con livelli di lavoro più simili alla
schiavitù che a quelli di un mondo che si affacciava al terzo millennio. In questo contesto
solo immediati interessi ed una visione corta
dell'orizzonte di riferimento di interi Paesi
hanno potuto sottovalutare e, peggio ancora,
sottacere quello che era chiaro stava avvenendo, con egoismi e nazionalismi che hanno
finito per sconvolgere anche i sani obbiettivi
posti dalle integrazioni continentali o dalle
deboli proposizioni della democrazia a interi
Paesi, che non potevano essere indotti a un
cambiamento che, in altri tempi e per altri
luoghi, aveva potuto poggiare su forze sane e
autoctone alla base di una crescita culturale e
politica, di cui oggi non si ritrovano tracce
nemmeno in quelli che si pongono come innovatori di altri, mentre sono protagonisti delle
loro stesse sconfitte.
La prospettiva è necessariamente figlia di ciò
che saremo in grado di determinare e se si
continua a pensare all'immediato senza traguardare obiettivi di medio e lungo termine,
ogni scelta sarà destinata a fallire aggravando
ulteriormente la condizione di milioni di cittadini. Pensare al futuro deve essere la scelta,
sapendo che spesso per perseguire scelte
condivise bisogna fare compromessi e mediazioni che non sempre pagano, ma se si vuole
condizionare e disegnare il futuro si deve necessariamente mettere in conto qualche rinuncia anche di potere. Viviamo un sistema di
preoccupante appiattimento, dove riesce
sempre più difficile individuare le differenze
poste dalla politica nelle sue diverse espressioni, ogni giorno è più compliPag. 2
A
nche il 2013, come ogni anno, ha
regalato nuove e piacevoli sorprese
sul fronte degli studi sulla qualità della
vita all'interno del nostro beneamato Stivale. Nonostante la grave crisi economica,
molto più della metà sono infatti le province italiane in cui i livelli di qualità hanno
raggiunto almeno la soglia dell'accettabilità. Il miglior dato degli ultimi cinque
anni, non per Napoli però, né ovviamente
per le restanti province campane, tutte
relegate agli ultimi posti della classifica
stilata. Tristemente non ce ne sorprendiamo, calcolando infatti le stime in base ad
indicatori quali ambiente, lavoro, disagio
sociale, criminalità, tenore di vita, salute e
servizi offerti, immediata salta alla mente
l'associazione a cupe realtà che caratterizzano il nostro territorio: emergenza rifiuti,
Terra dei fuochi, disoccupazione crescente, camorra, malasanità e trasporto pubblico al collasso. Già, ancora i trasporti, il
pane che mastichiamo quotidianamente, il
micro-mondo di cui ci occupiamo e che
riteniamo in qualche modo possa erigersi
a risposta del perché continuiamo a scorrer il dito sdegnatamente fino al fondo
della suddetta classifica per scovare Na-
Crisi sociale:
scelte sbagliate
che riducono i
servizi...
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poli e le altre città della Campania. Una
realtà in rovina, che continua ormai da
anni a tramandarsi da un'amministrazione
all'altra, al pari di un fardello ereditato
che giustifica la politica dell'innocenza e
dell'impossibilità inevitabile al cospetto
di scelte pregresse. Davvero facile così.
Ma è giunta l'ora di dire basta, di invertire la rotta, l'ora in cui ognuno si faccia
carico delle proprie responsabilità, accantonando una volta e per tutte la fastidiosissima visione egoistica e qualunquistica che antepone il cambiamento altrui
alla ricerca delle soluzioni. Ed è per questo infatti che dopo tanti anni di politica
dei trasporti condizionati dalla retorica
delle grandi opere e delle infrastrutture
strategiche, comincia ad emergere la
consapevolezza che a fare la differenza
siano finalmente i servizi, quelli offerti ai
cittadini, quelli che dovrebbero avvicinare l’utente al trasporto. Elaborare nuovi
piani del traffico, ridurre l’impiego
dell’auto privata, favorire gli spostamenti
in metro e in bus, è questo quello di cui
avremmo bisogno per dare la garanzia ai
cittadini di una qualità della vita più elevata ed un sistema della mobilità più effi-
MCNE: rischio
chiusura della
linea metropolitana
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Il Sud
corre con
Sita da cento
anni
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cace e sostenibile. Ma non può essere
semplice se l’impegno per far fronte ai
pesanti tagli imposti dal governo al trasporto pubblico locale continua a venire
sempre meno in una città come la nostra.
Le decurtazioni hanno già avuto un impatto notevole sia sugli utenti, con una riduzione del numero e della frequenza delle
linee urbane ed extraurbane, sia sulle
aziende stesse, il cui personale continua a
soccombere ad una situazione limite che
si proroga da troppo. Occorrono investimenti, questo è sicuro, occorrono soldi
che siano indirizzati a rendere i mezzi
pubblici efficienti, perché l’efficienza del
servizio e la cura del cittadino sono e devono essere la priorità. Rafforzare il tpl,
curarlo, salvare il settore. Non farlo sopravvivere, ma dargli vita. Una sfida difficile, che si gioca in tempi stretti, ma l’unica che può consentire davvero di rilanciare nuovamente il settore, difendere i livelli occupazionali e donare agli utenti il sacrosanto diritto alla mobilità cittadina.
Perché alla gente il trasporto serve, alla
gente che di trasporto ci
vive, a quella gente che il
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trasporto lo paga ma del
Il D.L. contro il lavoro irregolare
Novità per affitti e acquisto casa
Velo: discriminazione o identità?
Bonasera Bella 'Mbriana mia
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Qualità della vita: anche il tpl relega Napoli in fondo alla classifica
Ripartire da una coscienza politica che metta al centro delle proprie scelte il futuro della collettività
quale non è affatto ripagata. Intanto, nel mentre la
domanda di trasporto cittadino sembra
crescere in maniera vertiginosa, tutta la
retorica del dibattito pubblico rimane
invece concentrata sulle grandi promesse
che verranno, ingigantendo così il
paradosso trasporti che continua
ad offrire sempre più cantieri a
cielo aperto per la realizzazione di
grandi opere e nessun miglioramento dei materiali in circolazione
che stentano a sopravvivere per
carenza di manutenzione. Corse
ridotte, talvolta annullate ed orari
di attesa che addirittura triplicano.
Il tutto in un clima a dir poco rovente dove l'insicurezza, fomentata
dall'esasperazione, il disagio sociale e la totale assenza di sistemi
precauzionali, fa da padrona. Ecco
il grosso contributo che il nostro
trasporto pubblico regala oggigiorno ai livelli di qualità della
vita. Si sa, i sistemi di trasporto
sono generalmente analizzati focalizzando l’attenzione sul ruolo di
servizio che essi svolgono a beneficio della collettività a fronte dei
costi di investimento e di gestione
che determinano. Lo sviluppo
dell’economia e della qualità stessa della vita è fortemente condizionato dal modo in cui il crescente
bisogno di mobilità delle persone
è soddisfatto da infrastrutture, modalità di governo e gestione dei
sistemi di trasporto. È legittimo quindi
chiedere un trasporto funzionale, perché
il trasporto pubblico è parte integrante
del diritto alla città ed al suo godimento.
Lottare per un trasporto pubblico è lottare
per una città di tutti, per una qualità di vita
da pag. 1
migliore. E quelle che incidono sono le
scelte di chi ci governa, quelle scelte collegate alla modalità e alle regole di gestione che condizionano la sopravvivenza,
il declino o la nascita di numerose aziende di trasporto. Aziende che chiudono,
aziende che non riescono ad erogare i
propri servizi e sono costrette ad abbandonare il mercato, a lasciare la gente a
piedi e i dipendenti senza futuro. Le chiamano scelte strategiche, le politiche pubbliche della mobilità. Guardare l’orizzon-
te del trasporto pubblico della città di
Napoli è diventato davvero impossibile,
per il momento si annoverano le intenzioni e restano solo quelle. Le difficoltà crescono, la vivibilità diminuisce. Oggi trovare un bus per strada o attendere un
treno senza ritardi è diventato utopia. Ed in questo scenario aggravato dalle risorse pubbliche disponibili decrescenti, la scelta di concentrare tutta la scommessa sulle
grandi opere megagalattiche, sulle
inaugurazioni in pompa magna, ha
comportato una minore disponibilità di risorse per la manutenzione
del preesistente e per il rinnovo
delle flotte del trasporto pubblico.
Più stazioni con meno treni, più
pensiline e meno pullman. Ancora
il paradosso trasporti. Si tratta ora
di ragionare con chiavi di lettura
nuove sul futuro del settore, tenendo conto ovviamente delle risorse
già investite, cercando di cucire le
reti del trasporto collettivo (bus
urbani ed extraurbani, tram, filobus, metro, ferrovie regionali), realizzando servizi in logica di integrazione e superando le sovrapposizioni che si sono generate nel tempo: questa la sfida dei prossimi anni, quella che mira ad una riorganizzazione del trasporto collettivo
proponendo soluzioni funzionali e
competitive ai cittadini. Risvegliare
le coscienze e riappropriarsi del
futuro, dal trasporto agli altri servizi, dal lavoro all'ambiente, non per mettere in piedi miracoli, ma per iniziare a render, se non all'altezza, almeno degna la
vivibilità di chi popola questo meraviglioso territorio.
P. Arrighini - R. Intermoia
Crisi sociale: scelte sbagliate che riducono i servizi ai cittadini
Questione sociale come lotta di democrazia e civiltà contro l’indifferenza politica
La crisi che investe oramai ogni settore
economico ha investito anche quello del
sociale.
Il settore in Campania è in mobilitazione
non da poco tempo: incontri, sit-in, cortei
e presidi la fanno da padrone in tutti gli
Ambiti di Zona della Regione Campania,
dove più e dove meno il grido è unanime
ma molto spesso inascoltato: garanzia dei
servizi dopo i
tagli compiuti e
tutela occupazionale.
Il reale rischio
che si sta correndo è quello
di chiusura di
tante esperienze
importanti,
che lasceranno
decine di migliaia di persone senza servizi
e migliaia
di
lavoratrici
e
lavoratori senza
lavoro.
Ancora troppa
indifferenza da
parte di amministratori locali
che molto spesso sono più concentrati
sulla
spartizione
di
poltrone,
di
CDA o quant’altro, a discapito di quei lavoratori che anche da un decennio ogni giorno hanno a
che fare con il disagio.
Ancora si è lontani dal capire che in questo settore il servizio è “l’operatore” e che
pertanto preservare le professionalità
risulta strategico per la gestione dei servizi sociali, poiché l’operatore sociale rappresenta la risorsa sostanziale degli Ambiti per garantire la qualità del servizio.
Purtroppo siamo di fronte a scelte politiche inadeguate, operate in primis dal
governo nazionale e di conseguenza da
quelli locali, che, nei fatti, hanno determinato un sostanziale passo indietro arretrando le politiche sociali e riducendo i
servizi ai cittadini. Ciò ha comportato da
un lato la chiusura e la messa in discussione di tanti servizi ed esperienze di lavoro
e dall’altro dietro l’alibi della scarsità di
risorse, viene minata nel profondo la sostenibilità dei servizi sociali universali e
soprattutto la loro funzione pubblica.
Questa situazione nella nostra Regione si
somma e molto spesso si "confonde" con
le numerose emergenze che quotidianamente ci troviamo a fronteggiare e che
purtroppo non è riuscita ancora a tramutarsi in una vera e propria battaglia di
settore. Battaglia che merita attenzione al
pari degli altri comparti in crisi, visto che
qui più che altrove le scelte politiche sbagliate si riversano immediatamente sulla
pelle della popolazione più fragile, che
per destino ha avuto in dono una sorte
non propizia.
È fondamentale che la questione sociale
diventi una lotta di democrazia e civiltà,
capace di percorrere
le coscienze e le sensibilità al di là di logiche
di settore e corporazione.
In Campania, a seguito
del ridisegno degli
Ambiti di zona operato
con
la
Delibera
320/2012, si assiste
soprattutto in questi
g i o r n i
a
“commissariamenti” di
molti Ambiti che non
lasciano nessuna provincia esente (Ambito
A4, B5, C2, n 16, n 33,
S9) e questo la spiega
lunga come in molti
casi la politica non si
trova a ragionare di
persone e di servizi
ma di “poltrone da
spartire” a danno dei
cittadini e dei lavoratori.
Diventa fondamentale
pertanto scuotere le
coscienze ed importante che ciò parta dal
Mezzogiorno dove le condizioni economiche, politiche e sociali vanno sempre di
più degenerando, ma che proprio per
questo può rappresentare il luogo ove
individuare gli elementi concreti ed efficaci su cui costruire basi solide per una
ripresa strutturale che parta dalle persone, dalle comunità e dalla società civile.
Vincenza Preziosi
da pag. 1 cato segnare le diversità,
troppe le ovvietà, le genericità e le strumentali divisioni, tutti alla ricerca di uno spazio di potere immediato in ragione del quale si abbandonano convinzioni e
posizioni in grado di caratterizzare l'offerta
politica su cui chiamare i cittadini a scelte
consapevoli. Ogni giorno bisogna aggiornare
la tavola degli apparentamenti, con maggioranze variabili ampiamente divise al loro interno per quanto diverse ed indifferenziate,
con opposizioni evanescenti e mostruosamente simili anche se formalmente provenienti da
esperienze diverse, ma tutte accomunate dalla esigenza immediata di attentare alla maggioranza, non già di condizionarne il cammino. Non si esce dal buio senza accendere una
luce, aspettare solamente l'alba non paga,
bisogna offrire una via di uscita e costruire
l'alternativa, chi l'ha fatto ha parlato alla gente
con i fatti non con i blog, ha recuperato volontà chiare per la gente e non per gli schieramenti politici e per la finanza. Laddove è nata
la crisi si ė provveduto ad offrire sanità a tutti,
soldi al sistema di produzione, ai lavoratori e
alle famiglie per far ripartire la spesa e i consumi, da noi invece soldi alle banche, che non
sono arrivati né alle imprese né alle famiglie,
e con sterili egoismi e protagonismi, solo abbassamento dei livelli di servizi sanità, trasporti, scuola, ricerca, formazione, con la presunzione di uscire così dalla crisi. Ma che Paese stanno immaginando, che futuro vogliono
disegnare, nessuno l’ha capito e nemmeno
loro lo sanno, visto che ogni giorno cambiano
le loro stesse decisioni, perdono pezzi delle
deboli maggioranze stranamente costruite, in
molti casi depauperando anche quelle uscite
dalle urne. In Campania il bilancio regionale
è stato approvato con un solo voto di scarto,
assessori evanescenti che non votano bilanci,
mica niente; riassetto di sistemi, come quello
idrico, dei rifiuti, dei trasporti, sanitario, che
somigliano a ectoplasmi destinati a peggiorare ancor più le già drammatiche condizioni
organizzative e gestionali, che tra sindaci che
ritengono fuorvianti le analisi sulla vivibilità
che vedono la Campania tutta insieme nel
fondo, solo perché “i freddi numeri non tengono conto del calore con cui i napoletani si
salutano per strada" ed altri che non sanno
se fare i sottosegretari o i sindaci, ma che annunciano di rinunciare al mandato di sindaco
se arriva il potere dal ministro, o quelli che
dopo soli sei mesi già sono sotto scacco di
potentati e partiti Irpini, ci siamo avviati ad un
nuovo anno che di nuovo non è sembrato avere nulla! Almeno che non si voglia valutare
come novità positiva, la grande omogeneità e
similitudine ad ogni livello nel rappresentare
un momento di svolta immaginifico, mentre
non si sa come pagare la nuova IMU (tasi)
come sarà la nuova TARES (tare) cosa dire al
popolo a cui è stata devastata la terra e la vita,
senza colpevoli e con tanta finta solidarietà.
Non vediamo vati, non ci sono opzioni vere,
solo propaganda anche dentro i partiti, solo
per fini immediati di potere, un job act per il
lavoro che non c'è, una riforma della legge
elettorale che non si capisce con ben tre opzioni su cui scegliere!! (e poi era a Napoli che
c'erano le tre carte) solo ovvietà e campagna
elettorale perpetua che non ci porteranno
fuori dal pantano! Tocca al sindacato e alla
cultura riformista, se se ne può ancora immaginare una, attrezzare un’offerta politica e
sociale che parli al lavoro, alla scuola, ai giovani insomma al futuro del nostro Paese. Le
lotte di classe non sono lontane, le diffuse
manifestazioni del dissenso non vanno sottovalutate né licenziate con supponenza e superficialità, vanno lette le difficoltà vere da cui partono ché anche ignorarle ė strumentale. Bisogna riprendere da dove la politica non vuole
partire, dai problemi veri della gente, non quelli dei partiti, non è la riforma elettorale, né quella costituzionale e tantomeno quella delle forme della tassazione che interessano e toccano
la vita di lavoratori, giovani e pensionati, sono
altre le emergenze e i diritti da ripristinare:
lavoro, maggiori risorse in salari e pensioni,
occupazione, servizi e Mezzogiorno sono le
emergenze a cui rispondere, e se non ci sono
svolte vere e tangibili è da questo che il sindacato dovrà attingere per una grande stagione di dissenso e protesta per riportare sulla
terra quelli che al realismo di Orwell dei piedi
nel fango, preferiscono l'utopia della testa fra
le nuvole, con cui stanno distruggendo il presente e il futuro di un Popolo.
Luigi Simeone
ANNO 6, NUMERO 1
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Le regioni italiane pronte a strappare il contratto di servizio con Trenitalia
Parte dall'Abruzzo la volontà di salvaguardare il destino dei 3 milioni di pendolari italiani
Le grandi rivoluzioni spesso partono dai
piccoli centri. Questo postulato sembra
possa essere applicato anche al futuro del
trasporto ferroviario italiano. La regione
Abruzzo, negli ultimi giorni del 2013, ha
formalizzato la volontà di cessare il contratto di servizio con Trenitalia, favorendo
dunque il rinnovo dello stesso attraverso la
procedura della gara. La decisione nasce
dalla volontà di dare un forte segnale a chi
spesso, sfruttando proprio l'esclusività,
sorda a qualsiasi richiamo istituzionale,
fornisce un servizio degradato e lacunoso,
catturando l'ira dei pendolari e delle amministrazioni. Un'iniziativa storica che ha
alimentato una ventata di cambiamento
che ha presto contagiato altre regioni della penisola, in particolare Toscana e Veneto. In merito a quest'ultima, Luca Zaia
ha pubblicamente annunciato di aver
chiesto la revoca dei servizi a Trenitalia,
ormai stanco dei treni regionali sovraffollati ed in ritardo, non degni di un paese
civile. Il suo obiettivo è quello di mettere
in discussione il fatto che ci possa essere
solo ed esclusivamente un gestore per i
treni regionali e per questo è pronto a fare
una gara europea, con la massima evidenza pubblica e nel pieno rispetto della legalità, affinché vinca davvero il migliore. La
sfida contro le Ferrovie dello Stato passerà anche attraverso un'attenta valutazione
del servizio di Trenitalia, che porterà a
tradurre i disagi dei pendolari in detta-
gliate contestazioni al gestore del servizio ferroviario regionale. Un'iniziativa di
estrema importanza, anche perché, in
attesa dei tempi di gara, sarà comunque
Trenitalia a garantire il servizio fino al
utenti si sono ridotti a 310mila contro i
395mila dello scorso anno ed i 467mila
del 2011. Numeri causati dal drammatico
taglio al servizio, che dal 2010 ad oggi è
stato ridotto del 19% (con punte del 50%
2015 ed è dunque prioritario garantire il
rigoroso rispetto del contratto di servizio
fino a quella data, nel pieno rispetto dei
passeggeri e degli abbonati.
Ed in Campania? Il numero di passeggeri
che utilizzano il servizio ferroviario regionale sta calando vertiginosamente: gli
su alcune linee). Una vera e propria catastrofe, che non riesce comunque a sensibilizzare le amministrazioni locali. Si pensi che in Campania, per il trasporto pubblico locale, a fronte di centinaia di migliaia di pendolari, non si raggiunge lo
0,3% della spesa rispetto al bilancio.
Crisi autotrasporto merci, imprese che chiudono e riduzione di personale
Le difficoltà ad applicare il nuovo contratto collettivo nazionale di categoria
Un trafiletto per raccontare i numeri di una
crisi: il comparto dell’autotrasporto merci
su strada segna il passo. Tra il primo trimestre 2009 ed il terzo trimestre 2013 hanno
chiuso circa 16.000 imprese (14,7 per cento). Diminuite quasi 70 mila unità lavorative. La regione più colpita è il Friuli, ma è
solo un dettaglio nel contesto nazionale.
Questo, il bollettino che fotografa come un
plastico la cartina del crollo. Lo rende noto
a mo’ di dispaccio d’agenzia, l’Associazione artigiani piccole imprese di Mestre.
settori, ha subito la crisi generale in modo
violento, al pari e forse più di altre nazioni
dell’Europa Unita.
Lo scoppio della bolla del mercato immobiliare americano fu solo l’atto propedeutico di una catastrofe mondiale ancora in
corso e, per quest’anno, sono previsti in
generale moderati segnali di ripresa della
nostra economia.
Ora se è vero, come è acclarato dalla
scienza economica, che dall’incontro fra
domanda ed offerta nasce l’economia rea-
Riguarda una platea complessiva di ben
700 mila addetti, comunque enorme, sterminata, a macchia di leopardo, come si
conviene quando si parla di questo comparto che opera nella distribuzione, nello
stoccaggio e talora nell’e-commerce, in
pratica il core-business di come organizzare l’approvvigionamento di ciò che occorre per la vita stessa di una nazione. La
logistica, termine abusato, ma che è esso
stesso un assioma di origine militare per
significare il concetto stesso di movimentazione delle risorse per l’autosostentamento.
La tempesta scoppiata nel 2008 ha travolto, alla fine, anche un settore che è elemento indefettibile nella stessa organizzazione della vita delle collettività; non ha
fatto “sconti” quindi al nostro Paese, colpito in toto che, a quanto pare, viste queste
cifre allarmanti unitamente a quelle di altri
le e che gli aiuti di Stato possono solo servire a sbloccare e rimettere in moto il carrozzone di tante attività, bisogna ammettere che la povertà si è ramificata, rinnegando un tempo non lontano quando aleggiava un benessere disomogeneo ma positivo
e che investiva anche il settore dell’autotrasporto merci. Con la caduta degli dei
(ossia le antiche certezze di sopravvivenza) è stata acquistata piena consapevolezza della impotenza a risolvere la crisi. Non
sono bastate, pertanto, le favorevoli inondazioni di fondi trasferiti dalle finanziarie
degli ultimi anni alle imprese del settore
per arginare l’emorragia di posti di lavoro.
Milioni di euro ed aspettative di crescita
smarritisi nel mare della parcellizzazione
imperante.
E se Ferrovie dello Stato italiane, pur guardando con interessata attenzione all’autotrasporto merci con l’obiettivo di drenarne
fette di mercato da indirizzare al ferro, non
sono riuscite se non in modo infinitesimale
a cogliere l’obiettivo, difatti la forbice resta
pressoché uguale con quasi l’ottanta percento delle merci che viaggia su gomma
da illo tempore, va da sé che l’universo
dell’autotrasporto ha pagato una crisi di
identità inevitabile.
Capita così, nel marasma di un’epoca contorta, che le associazioni dei padroncini,
dei quali ci siamo occupati nel numero
scorso, si rifiutino di corrispondere 108
euro di aumento in busta paga e non vogliano riconoscere il 100% degli istituti
contrattuali. In pratica, non intendono sottoscrivere l’accordo di rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro della logistica, del trasporto merci e delle case di
spedizione, firmato il 1° agosto 2013 con
alcune fra le più rappresentative associazioni di categoria: Confcooperative, Legacoop e AGCI.
Si tratta di un capitolato sull’occupazione
complesso e con norme finalmente ottenute dai sindacati dopo le trattative rispetto
ad una piattaforma articolata e ricca di richieste innovative. Sono regole che prevedono la facilitazione per assumere autisti
italiani o regolarmente residenti nella penisola; che tendono a valorizzare la contrattazione aziendale e territoriale e dettano criteri precisi per stabilizzare il lavoro
precario; ma anche per combattere elusione ed evasione fiscale, sebbene i finanziamenti a pioggia favoriti da un patrocinio
politico d’antan. In ogni caso le imprese
saranno incoraggiate da un sistema premiale che si intreccia con l’impegno a favorire l’apprendistato. Quest’ultimo, a seconda della visione politica, è visto come
elemento positivo nell’ottica dell’investimento umano o, al contrario, invece come
subdolo sfruttamento giovanile, da evitare,
favorendo il lavoro con contratti di formazione. Ma la metodica resta ispirata fondamentalmente a forme di flessibilità occupazionali che, alla lunga, sono affatto paganti
se la precarizzazione promette meno posti
piuttosto che pieno impiego a contratto
indeterminato. Ma qui, come altrove, le
discettazioni trovano esse solo il tempo
che possono trovare; i fatti invece languono in un tempo incerto.
Arcangelo Vitale
E così, mentre il diritto alla mobilità muore, continuano le solite bagarre.
A dicembre l'assessore ai Trasporti della
Regione, Sergio Vetrella, ha annunciato
un'azione legale nei confronti di Trenitalia,
accusandola di non aver rispettato il contratto stipulato nel 2008. In particolare,
mancherebbero nuovi treni sulle linee,
convogli che sarebbero dovuti essere in
funzione già dal 2011. A causa di questa
mancanza, l'assessore richiede la restituzione di diverse centinaia di milioni. La
risposta da parte di Trenitalia non si è fatta
attendere: "Ad oggi la Regione Campania,
in qualità di committente, è in difetto di
pagamenti verso Trenitalia per 215 milioni di euro, pari ad oltre un anno di servizio ferroviario svolto dalla società a fronte
di alcun pagamento", una situazione inaccettabile e finanziariamente insostenibile.
A sua volta, dunque, Trenitalia ha già intentato quattro azioni legali finalizzate al
pagamento di quanto ad essa spettante.
Di questo passo è probabile che anche la
Campania sciolga la convenzione con Trenitalia, ma non perché animata dal vento di
cambiamento che nasce dal Gran Sasso,
ma per risoluzione del contratto per inadempienza della Regione e a quel punto,
mentre Zaia punta ad assomigliare sempre
più alle ferrovie giapponesi, noi potremo
al massimo aspirare ad una Hiroshima post
-atomica.
Umberto Esposito
Perché la TAV?
La Tav in Val di Susa, che in realtà Tav
non è, ma Tac, treno merci ad alta
capacità, è un mistero. Una tratta
ideata alla fine degli anni '80 che finirà tra vent'anni. Lascerà un debito
generazionale spaventoso che pagheremo con le tasse e il debito pubblico e una valle sconvolta per sempre. Un tunnel di 57 chilometri che
modificherà la struttura del territorio,
comprese le fonti d'acqua con il pericolo della diffusione di amianto. I fondi della UE di cui si riempie la bocca
Il nostro “Capitan Findus E. Letta”
serviranno solo per coprire una piccola parte dei costi, forse un miliardo, quando il valore complessivo della Tav è di almeno 18/20 miliardi di
euro. Quattro volte il Ponte di Messina. Una tratta ferroviaria in Val di Susa esiste già e, ogni anno, diminuiscono le merci trasportate. L'interesse dei politici per quest'opera colossale e inutile è morboso. Perde i pezzi, ma non si discute. Doveva collegare Lisbona a Kiev e, se andrà bene,
collegherà Torino a Lione. Il Paese
non ha soldi per i trasporti primari,
per i treni dei pendolari, per le strade, ma per la Tav i miliardi devono
saltare fuori. Non c'è logica in tutto
questo, così come è surreale l'occupazione militare di una valle perché
si è schierata compatta contro la sua
distruzione demonizzando e inquisendo chiunque si opponga a questo
scempio. Gli abitanti della Val di Susa sono trattati come pericolosi brigatisti. L'accanimento sulla Tav che
dura ormai da un ventennio deve
avere delle ragioni profonde, insondabili, ma importanti, di vita o di
morte. Perché Fassino nel suo primo
discorso da sindaco ha subito perorato la causa della Tav? Perché ogni
governo negli ultimi quindici anni ha
avuto la Tav come priorità trascurando le vere emergenze del Paese?
Provate voi a dare una risposta a queste domande irrisolte. Vox populi,
vox dei.
Gennaro Raggioli
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Il piano di rientro EAV: i conti non tornano e le preoccupazioni aumentano
Tu t t o q u e l l o c h e s i n d a c a t i e l a v o r a t o r i d e v o n o s a p e r e , t u t t o q u e l l o c h e d e v o n o c a m b i a r e
Eran 2.300, eran giovani e forti… Potrebbe
iniziare così, questa storia: la storia di un’azienda che - dal momento della fusione in
avanti - non ha saputo governare alcun
processo di razionalizzazione, di efficientamento, di biforcazione… tantomeno di riqualificazione del personale! Al punto che
il management, poco prima di Natale, ha
ripescato dal suo cilindro la famigerata
Legge 223/91 sui licenziamenti collettivi.
Il Piano di rientro del Commissario Voci,
che prevede tra l’altro tagli al servizio,
tagli alla paga dei lavoratori, tagli ai posti
di lavoro (il tutto associato a “nuove assunzioni”…), pare essere fatto esclusivamente
di cifre piuttosto che di reali esigenze di
trasporto pubblico. E la stangata più aspra
tra tutte, naturalmente, è quella dei 100
contratti di solidarietà annunciati nel piano
stesso, poi trasformatisi nel dicembre scorso (con l’avvio della summenzionata Legge
223) in 74 esuberi di personale amministrativo. Ma andiamo per gradi. EAV era partita, la scorsa estate, da 116 amministrativi in
esubero, che per non essere licenziati
avrebbero dovuto cambiare mansione. E
così, nel giugno scorso, via alle visite mediche per il controllo di idoneità e ai corsi
di formazione ad hoc per il cambio qualifica, il tutto per sfoltire gli uffici e rinfoltire
treni, stazioni ed officine.
La riqualificazione degli impiegati, ad oggi,
non è conclusa e allo stato attuale potremmo definirla un’operazione organizzativamente complessa e dispendiosa. Ma la più
penosa delle conseguenze è che, a distanza
di alcuni mesi da allora, i conti dell’azienda
non tornano. Parliamo di conti, perché di
numeri – dicevamo – è fatto il piano Voci.
Parliamone. Magari potrà rispondere il
management di EAV a qualche semplice
domanda? Ad esempio: quanto va recupe-
rato attraverso i tagli, nei prossimi due anni? (Sembrerebbe che dalle misure previste dal piano si recuperino circa 15 milioni
di euro) E di questa cifra, quanto è stato già
recuperato ad oggi con le riqualificazioni
effettuate?
ste ce ne sarebbero ancora da esporre. Chi
ha un po' di memoria, ad esempio, ricorda i
tempi in cui nelle biglietterie della ex Circumvesuviana erano in distribuzione ticket
e convenzioni per i turisti. Addirittura si
vendevano tracce ferroviarie per inserire
Quanto, in termini di bigliettazione, con
l’innesto dei neo verificatori di titoli di
viaggio? Quanto, in termini di straordinario, con l’innesto dei neo operai nelle officine? Quanto, in termini di straordinario di
personale viaggiante, coi neo capitreno?
Ancora: quanti dirigenti occorrerà tagliare,
per avere una proporzione decente tra le
varie aree professionali?
Sono domande necessarie, poiché pare
che un bilancio del “già dato” non sia stato
ancora redatto. Ma di domande e di propo-
treni dedicati ai croceristi diretti a Sorrento
e a Pompei Villa dei Misteri per mirare le
bellezze di un passato glorioso di una terra
antica e ricca di risorse.
Qualcuno, ancora, ricorda i tempi in cui
circolava il progetto di adibire le biglietterie a operazioni commerciali - ricariche
telefoniche o altro. Infine, qualcuno ricorda
antichi e dimenticati progetti per il marketing, la pubblicità e la sponsorizzazione nei
locali e sui treni aziendali, che, circolando
su tutta la rete, potevano coprire ben tre
diverse province.
Tutto questo per dire che: un altro modo di
fare recupero esiste. Non solo: esisteva già!
Non era certo indispensabile la “soluzione
finale”, quest’uovo di Colombo dei tagli al
personale, che a molti appare un subdolo
strumento per deprezzare il personale del
TPL in vista di futuri acquirenti.
Per chi ha a cuore la missione del TPL, questa rovinosa caduta verso il cosiddetto
“appianamento di bilancio” è frustrante.
Da parte nostra, come lavoratori e Sindacato, cosa contrapponiamo al Piano di rientro? Forse, oltre al denaro e alle cifre indicate nel Piano, serve anche qualcosa di
intangibile.
Serve che le idee valide non siano cestinate a favore di idee alla moda (la moda dei
contratti di solidarietà, ad esempio).
Serve un approccio sindacale più semplice
e diretto, innovativo: occorre, senza remore, rinunciare all’idea del “si salvi chi può”.
Occorre anche fare del sindacato un organismo aperto e trasversale, piuttosto che
settoriale. Magari, mettendo sullo stesso
tavolo le varie categorie professionali, per
attingere dalle stesse idee e percorsi utili
alla collettività.
Già: sullo stesso tavolo, sia coloro che si
reputano già danneggiati, sia coloro che
stanno perdendo la garanzia occupazionale.
Al personale di linea e di macchina, che
dai tagli già attuati ha perso ore di straordinario in busta paga, sia detto che lo straordinario è straordinario, lo dice la parola
stessa; e in tempi di magra, si taglia quello.
A quelli che, considerati “meno utili”, sono
sottoposti a cambi di mansione coatti, sia
offerta una prospettiva diversa dal “si salvi
chi può”.
Rosa Fornaro
MetroCampania NordEst: rischio chiusura della linea metropolitana
A meno di cinque anni dall’inaugurazione, la carenza di mezzi e di investimenti minaccia il futuro
La vista dell’arcobaleno ispira anche
nell’animo più cupo allegria e serenità,
riuscendo quasi sempre a donare un inaspettato sorriso. In Campania, invece, sono riusciti a spezzare questa magia, a
smorzare anche questo sorriso, traducendolo in un
ghigno di
malessere.
Qui
l’arcobaleno
è
associato
ai colori
sociali di
MetroCampania
NordEst
(MCNE),
la
tratta
ferrata
del gruppo EAV,
che unisce Aversa a Piscinola passando per Giugliano e Mugnano e che, a
meno di cinque anni dalla nascita, rischia
già la chiusura. La linea è nata con le migliori premesse, con sistemi avveniristici
capaci di contare su un ACC Metropolitano (Apparato Centrale Computerizzato)
unico in Italia e tra i più evoluti in Europa,
ed una rete di telecamere intelligenti che
realizzano un monitoraggio finalizzato ad
assicurare altissimi livelli di sicurezza contro atti vandalici, intrusioni, malfunzionamenti e, grazie ad avanzate funzioni di
autoanalisi, contro eventi terroristici.
La Linea Arcobaleno avrebbe dovuto chiudere l'anello del sistema metropolitano
campano, unendo l'estrema periferia napoletana all'aeroporto di Capodichino ed
arrivando fino alla stazione di Piazza Garibaldi. Ad oggi, invece, la tratta non è stata
estesa, il collegamento con il terminal fer-
roviario di Napoli è stato realizzato attraverso la Linea 1 e la connessione allo scalo
di Capodichino è ancora pura teoria. Perfino della stazione di Melito, alla quale mancherebbero solo i dettagli e che potrebbe
definirsi già pronta ad operare, non si sa
più nulla.
Il dramma della
linea si
aggrava
se si valuta
il
materiale rotabile.
Dei
tredici
treni che
avrebb e r o
dovuto
servirla
(tra l’altro tutti
vecchi
circa un
trentennio e semplicemente revampizzati),
ad oggi solo uno serve il tratto metropolitano. Questo ha reso indispensabile ridurre tragicamente la frequenza dai dieci minuti previsti ai trenta attuali. Una vera e
propria agonia per i circa diecimila viaggiatori che ogni giorno affollano le banchine e che spesso si scontrano con gli incolpevoli dipendenti, i quali quotidianamente
si barcamenano per evitare il collasso.
Si consideri che i lavoratori deputati alla
manutenzione dei veicoli sono tuttora costretti a lavorare in un’officina provvisoria,
troppo piccola e scarna per permettere la
manutenzione con efficacia a treni che ormai hanno percorso fino a 300000 km.
MCNE non troppo tempo fa poteva vantare
uno stimabile tasso di evasione ed elusione, pari solo all'1%. Ad oggi, a causa
dell’abbandono degli investimenti neces-
sari a garantire l’efficienza dei varchi, della
limitazione del personale predisposto alla
controlleria, ma soprattutto a causa di una
caduta vertiginosa dei servizi che ha creato
malcontento e rabbia tra i pendolari, l'indice si è vertiginosamente incrementato.
La desolazione di MCNE si rispecchia
tutta nel degrado che attanaglia i parcheggi di interscambio di Giugliano e
Piscinola, vaste aree abbandonate a se
stesse, dove i sistemi di accesso sono
ormai fuori uso ed i malviventi fanno razzia delle auto dei pendolari tristemente
incustodite. Eppure, considerando che i
due parcheggi potrebbero contare su un
bacino totale di oltre 1500 veicoli al giorno, basterebbe ripristinare il funzionamento di
questi
due siti
per poter
iniziare a
racimolare denaro
utile
ad investire nel
rilancio
dell’azienda.
Questa
miopia
attanaglia
da
troppo
tempo l'
azienda,
la
proprietà e finanche la dirigenza e, prima
che si traduca in completa cecità, si dovrà
intervenire con iniziative utili a rinverdire
le speranze di MCNE, e di un intero territorio che già aveva vissuto l' abbandono per
decenni con la "temporanea" chiusura della
Alifana. Lo chiedono i passeggeri e innanzitutto i lavoratori, i quali, benché inadeguati nel numero (si pensi che sulla linea,
lunga quasi 11 km, operano circa sessanta
persone), lottano quotidianamente per assicurare un servizio. È necessario garantire
loro un futuro, attraverso iniziative coraggiose ed efficaci. Magari ancorando gli
orari a quelli della linea di Metronapoli, di
cui è bene capire che MCNE è la naturale
prosecuzione e non un elemento avulso,
aumentando il numero dei treni, accelerando le procedure per la consegna dei mezzi
nuovi già in fase di allestimento e rilanciando la manutenzione di quelli vecchi. In quest'ultimo caso basterebbe anche realizzare
semplicemente una rampa di collegamento
che permetta ai mezzi guasti di accedere
agli spazi dedicati a Metronapoli nell'area
di Piscinola, dove potrebbero ricevere
interventi
più incisivi.
Alle
istituzioni, invece,
si
chiedono
maggiore
sensibilità per una
metropol i t a n a
vitale per
il sistema
dei
tras p o r t i
regionale
e l’utilizzo
dei fondi
europei
per
lo
sviluppo delle aree interne previsti dalla
Legge di Stabilità 2014.
Nessuna chimera dunque, ma semplicemente iniziative realizzabili e logiche,
obiettivi minimi per qualsiasi paese civile,
ma una vera e propria pentola d'oro sotto
l'arcobaleno per i dipendenti ed i pendolari campani.
U. E.
ANNO
ANNO
NUMERO
ANNO4,4,
6,NUMERO
NUMERO6 6
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La linea 1 avanza con la stazione Garibaldi. Prossime tappe, Municipio e Duomo
Inaugurazioni in pompa magna ma nessuno parla dei ritardi sulla consegna delle prossime stazioni
È da poco che i napoletani hanno assistito ad
un grande evento, l’apertura del corridoio
della fermata della stazione di Toledo, esattamente il 18 settembre scorso. L’uscita di Montecalvario, nel cuore dei Quartieri Spagnoli,
si tratta in effetti soltanto di uno sbocco di una
fermata già esistente ma che ha garantito
l’accesso diretto della linea 1 all’area dei
Quartieri Spagnoli. Una grande festa, persone
che sono accorse da ogni luogo e tanto entusiasmo per l’inaugurazione di una semplice
uscita di una metropolitana: tutto questo risulta comprensibile in una città di ritardi e false
illusioni dove anche un semplice corridoio
diventa così una grande opera realizzata per
la città di Napoli, tanto di guadagnato poi se
di un passaggio sotterraneo se ne fa un’opera
d’arte, così come vuole la tradizione della
linea 1 della metropolitana. A distanza di pochi mesi una nuova festa: la linea 1 arriva a
Garibaldi. Che vanto per la casa comunale,
se ne è parlato così tanto e sembra che le
istituzioni l’abbiano considerata una delle
giornate più importanti per la città di Napoli,
sembra che i problemi sin a quel momento
esistenti per tutto il comparto del trasporto
pubblico siano di colpo scomparsi e l’importante è stato celebrare Garibaldi e prendersi i
meriti di questo evento, perché da un’amministrazione che perde così tanta acqua qualcosa di buono e di consistente doveva pur
uscire.. Questa volta non si parla di una semplice inaugurazione, questa volta si tratta di
festeggiare la realizzazione di un nodo crucia-
le per tutto il sistema di circolazione metropolitano e regionale. L’apertura della fermata
Garibaldi della Linea 1 è davvero un grande
evento, uno di quelli che proprio non si scorderanno più perché questa diciassettesima
di sulla tabella di marcia a causa dei molti
ritrovamenti archeologici che ne hanno rallentato decisamente i lavori di realizzazione.
Ma tutti, proprio tutti, hanno fortemente sperato che la linea 1 avanzasse, che quella me-
stazione va a rivoluzionare il trasporto in città
diventando il nodo di intersezione con la Linea 2, con molte linee di autobus e con le
ferroviarie extraurbane. Sembrava quasi che
i napoletani avessero deposto le loro speranze sul proseguimento dei lavori di realizzazione della linea metropolitana, troppi imprevisti, innumerevoli slittamenti, si prometteva di
aprire nuove stazioni ma poi inevitabili i ritar-
tropolitana, struttura fondamentale per la
mobilità urbana, proseguisse nel suo completamento e fosse considerata il fiore all’occhiello del trasporto pubblico locale. Ma c’è
ancora tanto da fare. Ancora tanto di cui vantarsi. Al di là della prima pietra posata per
proseguire i lavori sino a Capodichino c’è la
stazione di Municipio da completare, stazione
che sarà un nodo di interscambio con la linea
6 in direzione Fuorigrotta, anch’essa in fase di
costruzione o meglio dire di distruzione. Già,
perché se tanto si può essere fieri della linea
1 non si può dire altrettanto della breve linea
6, quella linea abbandonata a se stessa, la
metropolitana fantasma che dal giorno della
sua apertura probabilmente è rimasta più
chiusa che aperta “per consentire il completamento dei lavori di manutenzione straordinaria al momento in atto”, almeno così dicono. Di questa linea non se ne parla più, questa
è stata un vero flop, solo soldi sprecati e tanta, tanta attesa inutile. Un caso emblematico
quello della linea 6, quattro stazioni famose per
la loro bellezza ma sottoutilizzate e quasi inutili
per la mobilità urbana, prima con treni ogni 15
minuti e attiva solo fino alle 14.30, poi completamente chiusa e riaperta dal 20 gennaio. Ma di
questo non se ne parla, non conviene parlarne,
con la fantomatica linea 6 l’amministrazione
comunale non può proprio permettersi di accaparrarsi onori e vanto. È bello poter trionfare
con successi certi e celare sconfitte tanto evidenti. Ora staremo a vedere quanto i napoletani dovranno attendere per l’apertura di Municipio e Duomo, di quanto il tutto slitterà ancora
in avanti. Abbiamo imparato a non farci prendere dall’entusiasmo per promesse di puntualità nella consegna delle stazioni immancabilmente disattese ma che imparassero anche
gli altri a non annunciare date irrealistiche
ogni volta che si ha bisogno di riconquistare
credibilità agli occhi dei cittadini.
A. S.
Eavbus, un gelido anno da brividi Il Sud corre con Sita da cento anni
Nulla è cambiato per una società ibernata U n s e c o l o d i a t t i v i t à f e s t e g g i a t o a S a l e r n o
Sono almeno quattro giorni che pensiamo e
ripensiamo a cosa scrivere nell’articolo di
questo mese; ci siamo fermati a riflettere,
ci siamo confrontati con i lavoratori, ma il
risultato è stato sempre una tabula rasa.
Abbiamo addirittura pensato di aver perso
l’ispirazione, ma alla fine abbiamo capito:
da un po’ di tempo a questa parte, nella
nostra azienda non succede nulla. È come
se si fossero tutti abbandonati all’apatia,
come se oramai nulla possa essere fatto
per risollevare le nostre sorti. Se si cerca
conforto dai vertici aziendali, o ci si lascia
cullare da un dondolo di bugie o se si trova
un interlocutore poco avvezzo alla menzogna, ci si accontenta di due braccia spalancate in segno d’impotenza.
Eppure, da quando riuscimmo ad evitare la
ghigliottina del fallimento, ci saremmo
aspettati una reazione d’orgoglio da parte
di chi quel patibolo ce l’aveva costruito con
anni di lassismo e menefreghismo. Abbiamo visto barbe lunghe, lacrime, depressioni, richieste di condanne sommarie e minacce di scontri violenti; ancora oggi però
non è ben chiara la dinamica di quello
scandalo. Solitamente quando si scansa la
morte si è portati ad apprezzare di più la
vita, ma in EAVBUS non è stato così: ad un
anno dal fallimento non è cambiato nulla.
Ad aggravare questa situazione c’è il continuo disattendere da parte dell’azienda
degli accordi sottoscritti durante questo
periodo di vacche magre. Con minuziosa
e certosina attenzione, la parte economica
dell’accordo sulla solidarietà in deroga è
stata rispettata. Ogni lavoratore in aggiunta alla perdita per la decadenza delle indennità economiche degli accordi di secondo livello (scaturiti da anni di conquiste sindacali) si sono visti decurtare ogni
mese lo stipendio di un ulteriore 5% circa,
a causa dell’accordo per la solidarietà
aziendale, deciso con un referendum or-
ganizzato tra i lavoratori. Grazie a questo
enorme sacrificio, che rileva un grandissimo senso di responsabilità, i dipendenti ex
EAVBUS preferirono decurtarsi un’ulteriore parte dello stipendio per risollevare le
sorti aziendali e ridurre il deficit che gli
impediva di andare avanti. In cambio l’azienda avrebbe dovuto, ogni tre mesi, convocare i sindacati per ragguagliare sul
recupero del debito, e, casomai, ridurre le
quote di solidarietà man mano che gli esuberi venivano smaltiti. Da quasi un anno
nessuno di questi incontri è stato fatto, nessuno ha notizie sul recupero del debito e
nessuno si sta assumendo le proprie responsabilità. Ancora oggi, ad un anno da
quell’accordo e alle porte di un nuovo e
possibile rinnovo, l’azienda non si è più
curata di informare i sindacati sul bilancio
economico che, dopo questo beneficio
economico ottenuto con i sacrifici dei lavoratori, dovrà assolutamente registrare forti
recuperi.
Dopo un anno di “lacrime e sangue”, i lavoratori hanno il diritto di sapere se i loro
sacrifici sono stati vani; allo stesso modo
chi aveva il compito di recuperare i bilanci
aziendali dovrà assumersi le responsabilità
in caso di un ulteriore fallimento gestionale. In questo anno non abbiamo assistito
all’applicazione di nuove strategie societarie, non abbiamo visto cambiamenti nel
management aziendale, non abbiamo visto
nuovi accordi tesi all’aumento della produttività o alla diminuzione degli sprechi.
Con un ordine di servizio perentorio, il più
grande sforzo mentale partorito dai nostri
manager, è stato quello di voler trasferire
un gruppo di circa dieci lavoratori da un
deposito ad un altro. Fortunatamente quest’aberrante idea è stata subito bloccata e
la minaccia di un ulteriore danno economico per questi dipendenti è stata scongiurata.
Alle porte di un prossimo incontro sul possibile rinnovo annuale della solidarietà, ci
aspettiamo che la controparte aziendale ci
porti innanzitutto gli eventuali risultati economici prodotti quest’anno e, contestualmente, l’eventuale prospettiva di un completo recupero entro l’anno. Nonostante la
stagione invernale, il disgelo dell’exEAVBUS deve cominciare; vogliamo che
tutti si diano da fare affinché quest’azienda
torni a fare ciò per cui è stata creata: il Trasporto Pubblico.
Giuseppe Carrara
“Il sud corre, 100 anni di Sita”. Questo il
titolo della manifestazione che si è svolta in
occasione del festeggiamento del centenario della Sita. In verità, questa storica azienda ha qualche anno in più, essendo nata nel
1912, ma la crisi che ha investito il TPL
campano dal 2011 ha impedito che la ricorrenza fosse festeggiata con adeguato tempismo.
Sita (Società Italiana Trasporti Automobilistici) fu un'idea degli azionisti di Fiat e mosse i primi passi a Torino, radicandosi su
tutto il territorio nazionale e superando
indenne perfino le due guerre mondiali. Le
difficoltà che FIAT visse negli anni 80 costrinsero ad un progressivo abbandono del
settore degli autotrasporti che si concluse
con la cessione di Sita
nel 1987 al
g r u p p o
Sogin della
famiglia
Vinella
e,
successivamente, nel
1993,
le
Ferrovie
dello Stato
acquistarono il 55%
del pacchetto azionario della società, per
arrivare ai giorni nostri quando nel 2011
l’azienda finì la sua esperienza di società
unica a carattere nazionale, scindendosi in
due nuove società, Bus Italia-Sita Nord, che
gestisce i servizi in Veneto e Toscana e
Sicurezza Trasporti-Sita Sud che opera in
Campania, Basilicata e Puglia.
Ma la crisi generale e quella in particolare
vissuta nel settore trasporti in Regione
Campania ha determinato nell'ultimo anno
la volontà di Sita Sud di lasciare i servizi in
Campania, tant'è che la Regione Campania,
applicando la disciplina europea 1370 sugli
obblighi di servizio pubblico, ha costretto
Sita Sud ad effettuare i servizi retribuendoli
a fronte di una rendicontazione analitica di
spesa.
Ed è in questo quadro buio, come un lampo
che squarcia l'oscurità, ecco che Luciano
Vinella, Presidente di Sita Sud, decide di
cambiare rotta. Ed il primo inconfutabile
indizio viene dall'acquisto di 40 autobus
nuovi da destinare alle linee turistiche della costiera amalfitana, un investimento di
10 milioni di euro. Autobus di nuovissima
generazione, presentati in occasione della
festa dei 100 anni. Ma la vera svolta si è
percepita nelle parole del Commendatore
Vinella che hanno accompagnato la relazione di apertura del centenario, una relazione che parte dal racconto dalle sue prime esperienze nelle officine del padre, in
un paesino della Puglia, sino ad arrivare
alla Vinella Group, una struttura societaria
complessa che si avvale anche di partners
stranieri come l'Owens-Illinois. Attraverso
questo racconto si capisce perché Piero La
Porta, autore di una biografia di Vinella, lo
descrive come un uomo che non ha l'orologio sul polsino, non ha l'erre moscia, parla
all'autista così come a un ministro, vive per
il suo lavoro imprenditoriale e per la sua
famiglia ed è
un po' come
il vetro che
produce nelle sue fabbriche : trasparente, pulito,
votato a molte funzioni,
ma tuttavia
non è fragile,
anzi sa essere duro e
ancor
più
tagliente se si rompe.
E nella sua semplicità ed autorevolezza,
Luciano Vinella fa intravedere un piano
industriale solido di Sita Sud in regione
Campania, un progetto che parte dal suo
investimento per l'acquisto degli autobus e
che attraverso le capacità delle risorse
umane disegna un quadro di prospettiva
nel trasporto pubblico su gomma in Campania. Uno spiraglio di speranza, per i lavoratori Sita Sud e per gli utenti delle linee
esercite, una luce che si intravede nel lungo e tortuoso tunnel in cui è stato incanalato il servizio di trasporto campano. Quindi,
dobbiamo pensare positivo e sperare, il
sud torna a correre e lo fa con i suoi uomini
migliori, imprenditori o lavoratori che siano, sperando che ad essi riesca ad interfacciarsi una classe politica seria e tale da
poter offrire un servizio di trasporto degno,
perché per dirla all’Enaudi, “Ogni giorno,
migliaia di individui lavorano, producono e
risparmiano nonostante tutto quello che noi
(la classe politica n.d.r.) possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli”.
Antonio Aiello
Pagina 6
2014: novità per affitti e acquisto casa
Il D.L. contro il lavoro irregolare
Misure restrittive contro evasione fiscale e frode agli acquirenti
Sanzioni più pesanti per chi non rispetta la legge
Tra le novità inserite nella Legge di Stabilità, l’utilizzo del contante nei pagamenti
mensili del canone di affitto è stato bandito
per sempre. I pagamenti dei canoni di locazione di unità abitative, dovranno infatti
essere corrisposti obbligatoriamente, indipendentemente dall’importo da pagare, in
forme e modalità che, escludendo l’uso del
contante, ne assicurino la tracciabilità.
Dunque, gli inquilini non possono più pagare l’affitto di casa con denaro liquido, ma
dovranno ricorrere a strumenti tracciabili,
come possono essere i bonifici, gli assegni, le carte di credito e i bancomat.
A essere esclusi dal divieto di utilizzo del
contante, rispettando comunque la soglia
di 1.000 euro prevista dall’antiriciclaggio,
sono i pagamenti dei canoni di locazione di
negozi, uffici e in generale di ogni immobile che non abbia destinazione abitativa e
gli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Per i box auto, si ritiene che, qualora
questi fossero di pertinenza dell'abitazione, allora dovrebbero considerarsi alla
stregua di quest'ultima, che prevede, ovviamente, l'uso abitativo e quindi il pagamento non in contanti, altrimenti se si affitta solo il box indipendente dall’appartamento è ammesso per ora l’uso del contante.
A vigilare sul rispetto della norma, volta
ad assicurare il contrasto all'evasione fiscale nel settore, saranno i Comuni che
possono svolgere attività di monitoraggio,
servendosi anche dei registri di anagrafe
condominiale tenuti a cura degli amministratori per ogni condominio.
Ma le restrizioni sull’utilizzo dei contanti
nel campo degli affitti potrebbero non essere così efficaci per contrastare il fenomeno degli affitti in nero, in quanto se il contratto non è registrato il proprietario non
sarà così ingenuo da richiedere un assegno o un bonifico per il pagamento del
canone mensile. L’obbligo della tracciabilità, piuttosto, potrebbe scoraggiare chi ha
registrato all’Agenzia delle Entrate un contratto di locazione con un canone inferiore
rispetto a quello reale, anche se in questo
caso, qualcuno ha già pensato di riscuotere l’importo del canone registrato col bonifico o l’assegno, mentre la differenza
della somma sarà comodamente riscossa
a mezzo contanti, senza restrizione alcuna.
In questo caso, spetta all’inquilino avvalersi di quanto sancito dal D. Lgs. 23/2011,
che nei casi di affitto in nero, anche parziale, riconosce la riduzione del canone
ad un importo pari al triplo della rendita
catastale dell'immobile locato e una durata del contratto pari ad anni 4 + 4 dal momento in cui il contratto in nero viene registrato. Tale normativa si applica anche ai
contratti regolarmente registrati che riportino un canone inferiore a quello effettivamente pagato e ai finti contratti di comodato.
Sul fronte delle compravendite, nel 2014
viene invece sdoppiata l’imposta di registro sui trasferimenti immobiliari: 9% di
base e 2% per la prima casa. Il pagamento, inoltre, dovrà essere effettuato direttamente al notaio che depositerà le somme
su un conto dedicato, fino a quando non
sarà regolarmente registrato l’atto di vendita. In pratica, la consegna del denaro al
venditore avverrà non più al momento
della firma del contratto, ma solo una volta
che il contratto sia regolarizzato nei pubblici registri immobiliari. In questo modo
l’acquirente è tutelato nel caso in cui il
venditore abbia alienato un bene che non
è più suo o che è stato nel frattempo ipotecato. Infatti, solo quando il trasferimento
della proprietà sarà stato trascritto i soldi
entreranno nella disponibilità del venditore.
Francesco Di Palma
Calcio Napoli, una stagione ancora da salvare
Un attacco stellare che non rispecchia i risultati
Nonostante l’ottimo girone di andata, il
Napoli si trova in terza posizione, dopo
Roma e soprattutto Juve che viaggiano
in maniera più spedita della nostra. Volendo analizzare le differenze tra le prime tre in classifica potremmo dire che i
reparti offensivi di Napoli e Juve si
equivalgono, il centrocampo di Roma e
Juve pure, come egualmente forti sono
le difese della squadra capitolina e della
torinese. Con questo giochetto, volendo
esprimere
una classifica
dei reparti,
la
Juve
avrebbe
3
punti, la Roma 2 ed il
Napoli, con il
suo attacco
stellare, solamente 1.
È chiaro che
il problema
di Benitez è
a
centrocampo ed in
difesa,
ed
allora il mercato di riparazione di metà
campionato capita a fagiolo, anche se
però, anche qui, abbiamo dimostrato
un’insufficienza. Si è partiti con nomi
altisonanti, Mascherano, Xabi Alonso,
Agger, poi si è virato su giocatori meno costosi, ma comunque di prospettiva, Nainggolan e Bastos, ma a quel
punto, il falco Sabatini, General Manager della Roma, così come fece per
Balzaretti, si è divorato il passerotto
Bigon, con il risultato di aver rinforzato
una nostra diretta concorrente.
Al momento siamo riusciti ad assicurarci
un giovane, si in crescita, ma che ancora
deve dimostrare le sue doti, sperando che
le abbia, un tal Jorginho, portando soldi
nelle casse dei simpaticissimi veronesi,
ma siccome il mercato ancora deve chiudersi aspettiamo e speriamo. Certo, che
veder giocare nel nostro Napoli, giocatori come Fernandez, Britos o l’Inler di
oggi, è una sofferenza che il tifoso del
Napoli non
merita, quindi, così come avvenne
per Gargano
speriamo nel
mercato
in
uscita per le
altre mezze
calzette.
Infine,
un
accenno sulla
questione
stadio, e qui
bisogna fare
un plauso al
Presidente
De Laurentis, il quale, dopo il rifiuto del
Sindaco di vendergli il San Paolo per
adeguarlo, è sempre più intenzionato a
costruirsi un impianto privato per mettersi a livello dei più grandi club europei, certo che per noi napoletani sarà
una altra piccola sconfitta, nel nostro
immaginario lo stadio è e deve rimanere a Fuorigrotta, ma se così non sarà
dovremmo ancora una volta ringraziare i
nostri “beneamati e lungimiranti” politici.
A. A.
Per effetto del Decreto legge 145/2013
recante interventi urgenti di avvio del piano "Destinazione Italia", dal 24 dicembre
2013 sono aumentate fino a dieci volte le
somme a carico del datore di lavoro qualora non rispetti alcune norme riguardanti
l’orario di lavoro e l’impiego di personale
in nero.
Al fine di rafforzare l'attività di contrasto al fenomeno
del lavoro sommerso ed irregolare, tra le inadempienze punite con
maggior
vigore
c’è il superamento
della durata massima dell’orario di
lavoro e il mancato
riconoscimento
del riposo settimanale al dipendente.
Infatti, l’articolo 14 del provvedimento,
sancisce che se il datore di lavoro non osserva le disposizioni normative in cui si
stabilisce che l’orario di lavoro non debba
superare le 48 ore in 7 giorni (rilevabili
come media) ed il lavoratore debba riposare almeno 24 ore consecutive ogni 7
giorni, è passibile di una sanzione amministrativa pecuniaria che va da 1.000 euro a
7.500 euro (prima variava tra 100 e 750
euro). Se la violazione si riferisce a più di
cinque lavoratori, allora la sanzione va da
4.000 a 15.000 euro o da 10.000 a un massimo di 50.000 euro, se sono coinvolti più di
dieci lavoratori. In questo ultimo caso non
è ammesso il pagamento della sanzione in
misura ridotta.
Il Decreto Legge
145/2013 interviene anche sulla maxi sanzione per
utilizzo di lavoratori in nero. In tale
circostanza gli importi delle sanzioni
sono
aumentate
del 30 per cento.
Stesso
aumento
previsto per il datore di lavoro che
incorrerà
nella
sospensione dell’attività per lavoro irregolare o per gravi e reiterate violazioni in
materia di tutela della salute e della sicurezza. A questo punto, inasprite le sanzioni,
si attende un maggior impiego di ispettori
del lavoro, che attraverso gli strumenti
messi in campo dal legislatore contrastino
con migliore efficacia quel fenomeno vergognoso del lavoro sommerso che non
alcuna dignità all’essere umano.
avv. Antonietta Minichino
Napoli, condominio dimenticato
S o g n a n d o l ’ Av a n a d i B e p p e L a n z e t t a
Napoli, Napoli periferia, rione Incis, quartiere Ponticelli. Annus Horribilis, governo
Monti, elezioni, Grillo, Movimento Cinque
stelle, l’Italia senza governo, mondo senza
Papa. I giorni passano, il tempo scorre, la
gente sopravvive, arriva il nuovo Papa, una
ventata di freschezza, il nuovo vecchio Presidente della Repubblica prova a mettere
su un governo con un accordo improbabile: Pd-Pdl. La crisi dilaga in Italia come a
Napoli, a Napoli come a Ponticelli, Rione
Incis. Bassolino e il suo rinascimento, spazzato via dai rifiuti, in Regione c’è la destra
di Caldoro, le cose non migliorano… anzi.
Napoli continua a barcamenarsi, continua a
sudare nell’indifferenza
generale. A Ponticelli c’è
una bomba, ci sono storie,
c’è un condominio con le
sue ansie, affanni, il suo
andare avanti. Storie nella
storia, uomini e donne
protagonisti di un microcosmo che diventa paese,
che segnano il grande
ritorno di un grande scrittore. Storie quelle di Lanzetta che sembrano riportarci ai primordi della sua
vita letteraria. In queste
pagine intense sembra di
rivedere Messico Napoletano, il suo primo romanzo, la Rossa, la Scampia che all’epoca non
versava sangue e che non trovava spazio
sui media. Ora come allora ritroviamo
quella scrittura asciutta, sintetica, che entra
e non esce, una lingua più matura che dà
più spazio alla voce degli ultimi. Questo
libro sembra una sceneggiatura di un film
già visto per come è reale. In Messico Napoletano Peppe si soffermava sulle voci in
presa diretta di vite rovinate dalla droga,
dalla sete di potere, dall’illusione del denaro facile. In Sognando l’Avana cambia il
quartiere, i volti, il condominio, ma ritroviamo la stessa disperazione, le stesse strade e vite dimenticate. Napoli, un condominio dimenticato, le sue storie, i suoi volti,
metafora di un paese borderline. I palazzi
del potere che perdono tempo sull’Imu
mentre un uomo da vent’anni condiziona la
vita di un paese. “Avità murì” ci diceva
Peppe in una delle sue ballate, ed è questa
la rabbia che viene dal più profondo nel
leggere le pagine di questo bel libro. 176
per l’esattezza, pubblicate dalla coraggio-
sa casa editrice napoletana Edizioni Centoautori di Villaricca, che lasciano un segno. Un bel ritorno per il poeta che da venti anni dà voce ai desperados. Un ritorno
nel Bronx, in quella cruda periferia napoletana che sogna il culo di Belen. Un sogno
bipartisan di uomini e donne, ragazzi e
ragazze, giovani e vecchi, chi vorrebbe
imitare la bella argentina, chi invidia quel
bel po’ di patrimonio, perché con quel culo
si può andare dappertutto, e chi vorrebbe
scoparsela. Un ordine caotico, disordinato
da una bomba che apre uno squarcio in un
mondo. Così le storie di Dora e Giacinta,
due sorelle con sogni ed ambizioni diversi,
si intrecciano con quelle di Elio e
Vito, due gemelli poliziotti, uno
corrotto e l’altro onesto, della loro
madre, la signora Imbriani, vedova di un poliziotto integerrimo, che
litiga con la signora Capece perché i panni stesi “scorrono”, donna legata a suo marito, Don Ciro,
con il quale ha avuto quattro figli
maschi, uno più bello dell’altro:
Enrico detto Julio Iglesias, Nennillo
l’elettrauto, Manuele “che bellu
guaglione, che peccato però ca’ è
ricchione”, Andrea, rabbia, tanta
rabbia. Storie le loro, storie d’amore, di sogni, di sesso, prostituzione a buon mercato, storie che si
intrecciano con la storia del nostro
paese, dell’Italia sud del mondo, Napoli
periferia a sud del sud del mondo stesso.
Storie di frontiera che non trovano spazio
sui massi media, pugni in faccia, nello stomaco, pugni per svegliasi dal sonno, per
farci prendere coscienza. Lanzetta dà voce
agli ultimi, fa diventare letteratura storie
dimenticate, storie che non fanno storia
che sono tuttavia la storia dei nostri giorni.
In questo bailamme c’è l’ingenuità di una
ragazza che sogna l’Avana, Cuba le sue
spiagge, le case particolar, la casa di Ernest Hemingway, il sole, il mare, l’Avana
che fonde il modernismo e il colonialismo,
sogna di andarci con Andrea il suo fidanzato troppo preso dalla sua rabbia: vo’ appiccià tutte cose. Galeotto fu un gratta e vinci
e il sogno Cuba, diventa realtà nella irrealtà di un mondo che se ne fotte. Nel condominio, nel paese, in questo universo mondo, tutto continua a scorrere inesorabilmente. Bravo Lanzetta, cantore di un mondo, che il nostro mondo.
Tonino Scala
ANNO 6, NUMERO 1
Pagina 7
Reggia di Carditello patrimonio pubblico
Velo: discriminazione o identità?
Il monumentale complesso sarà recuperato e restaurato
Un uso antico legato alla tradizione musulmana
Era un’azienda agricola dei Borbone, opera dell’architetto Francesco Collecini che
fu allievo di Luigi Vanvitelli, la Real Tenuta
di Carditello in san Tammaro, in Terra di
Lavoro, dopo una storia infinita fatta di razzie vandaliche e mille incubi che la consegnavano ad uno stato di abbandono totale,
tra l’incuria delle istituzioni e l’ineluttabile
destino di degrado, è finalmente destinata
alla salvezza, a diventare patrimonio di
tutti. 3 milioni di euro per i primi restauri
che saranno gestiti
attraverso una Fondazione, finalmente
la fine del calvario:
una volta appurato
che la vendita all’asta di questo tesoro
inestimabile
non
sarebbe andata a
buon fine, la Sga
(società controllata
dal ministero dell’Economia che deteneva un
credito per i soldi sborsati per il restauro) ha
incamerato la Reggia a pagamento del debito e la dimora settecentesca è così passata
al ministero dei Beni culturali e del Turismo che aveva nel tempo cercato di restaurare l’edificio, ma a nulla è valso, visto
i ripetuti atti di vandalismo perpetrati a
danno della reggia. La Reggia di Carditello
finì per entrare nel patrimonio immobiliare
del Consorzio generale di bonifica del
bacino inferiore del Volturno. Un carrozzone destinato ad esser assorbito dalla Regione e a sprofondare sotto una montagna
di debiti mai pagati. Debiti in gran parte
nei confronti del Banco di Napoli. Col risultato che, quando questo naufragò, tutto finì
ipotecato dalla Sga, la “bad bank” che
ammucchiò, dopo il crac, i crediti in sofferenza dell’Istituto fallito. Ma oggi la Reggia
di Carditello sembra essere salva ed entra
finalmente a far parte del nostro patrimonio artistico e culturale. Erano troppi anni
ormai in cui versava in completo abbandono e visitabile in rare occasioni: la splendida dimora tra Napoli e Caserta aveva vissuto la sua ultima stagione decorosa quando era stata scelta come sede di prestigio
dai responsabili dell’Alta Velocità ed era
stata sottoposta ad un parziale restauro
della parte più nobile, poi abbandonata a
se stessa in attesa di un compratore. Aste a
vuoto e prezzo che cala: cannibalizzata nel
tempo dei marmi delle sue scalinate, degli
stucchi, i cancelli, i
camini, l’impianto
elettrico, le panche, i pavimenti
dell’altana, è stata
privata di tutto. Un
vero massacro per
questo tesoro d’arte e bellezza che
ogni
paese
al
mondo
avrebbe
trasformato in una fonte di ricchezza turistica riportandola alla vocazione originaria,
cioè quella di un centro di eccellenza
dell’agricoltura. Da noi no, non è così. Da
noi era diventata sede di spropositate
quantità di immondizia, una discarica abusiva. Sarebbe dovuta diventare un ranch, o
un laboratorio per lo sviluppo della filiera
agroalimentare, conservando quello stile
neoclassico voluto da Carlo di Borbone
quando veniva utilizzata per l’allevamento
dei cavalli, perché proprio lui pensò di
trasformarla in un’azienda agricola destinata alla coltivazione del grano e all’allevamento di pregiate razze di bovini. Ma finalmente il dramma è finito: oggi la Reggia di
Carditello è stata recuperata dall’asta fallimentare e questo gioiello della lungimiranza imprenditoriale agricola del Meridione potrà ritornare al suo antico splendore. Ora Carditello appartiene a tutti i cittadini e l’unico obiettivo sarà il suo rilancio.
Paola Arrighini
Una chiacchierata con Paolo del Vaglio
L’umorista grafico autore di vignette e strip
Associazioni locali, Circoli Culturali, Centri
Giovanili, Club Sportivi, Comunità Parrocchiali, Movimenti Ambientalisti, Redazioni
Giornalistiche e Salotti Letterari lo hanno
avuto come gradito “Ospite d’Onore” per
Manifestazioni di Umorismo grafico su
Amicizia, Socialità, Solidarietà, Sport.
Eppure non è assolutamente conosciuto:
per strada può camminare tranquillamente, senza abbracci di fans.
Ma se si osserva
una sua vignetta
sono in tanti ad
affermare: “È di
Paolo del Vaglio!”.
Nato nell’anno di
Topolino (1928),
Paolo del Vaglio,
Umorista grafico
di chiara fama
Nazionale,
ha
scritto 10 libri,
disegnato
migliaia di vignette e di strips, relazionato in
centinaia di Incontri. Professor del Vaglio
(insegnava Lettere), come nascono le sue
vignette?
Le mie vignette nascono dalla realtà quotidiana, traducendo, dopo un “quid”, l’argomento in vignetta.
A chi si rivolge?
A tutti, nessuno escluso!
Con chi preferisce “dialogare”, con i suoi
coetanei o con i giovani?
(Ridendo di gusto) Soprattutto con i giovani,
ma non solo con loro.
Quali sono stati i suoi modelli di ispirazione?
Jacovitti, Crateri, Faccini e Peynet
In che acque naviga l’Umorismo oggi?
(Diventando scuro in volto) L’Umorismo
oggi naviga in paludose acque, data la poco
sensibilità del pubblico in generale verso
l’argomento… Basti vedere il genere “trash”
dei vari Pierino ancora tanto in auge…
Quando nacque Pigy?
Pigy nacque negli anni ’60. Poi nacquero
Tailù, Don B., Frate Angelico, Gabriel.
Cosa bolle nella sua pentola… di Vignettista?
Ancora un libro, l’ultimo prima di morire…
Professore, il suo Ciuccio è sinonimo di
Napoli…
Si, è vero: lo si può ancora vedere il Lunedì
sera al TG3 Campania – Settore Calcio.
Lei giocava a Calcio?
Ho giocato in porta
dai 15 ai 64 anni!
Il mio idolo? Angelo Franzosi, portiere dell’Inter che
collezionò ben 191
partite in maglia
nerazzurra.
Poi sono stato affascinato da Giorgio
Grezzi, Lido Vieri,
Ivano Bordon, Walter Zenga, senza dimenticare Luciano Castellini e Dino Zoff , portieri
anche del Napoli.
Perché in porta?
Dalla porta perché si apprezza di più il gusto estetico del gioco.
Chi potrebbe essere un Umorista grafico
per il suo estro in campo?
Una volta avrei detto Alvaro Recoba, el Chino; oggi direi Domenico Berardi, attaccante
del Sassuolo.
Professore, vogliamo parlare della Vittoria
de “Il Dattero d’Oro” al Salone dell’Umorismo di Bordighera e il Premio Consiglio
d’Europa?
No, Emilio, no.
Poi, con un sorriso bonario, prende cartoncino e pennarelli e… conclude questa informale, conoscitiva chiacchierata per
“Articolo 16”.
Emilio Vittozzi
A fronte delle numerose polemiche sorte
sull’utilizzo del velo islamico, secondo alcune normative legate all’abbigliamento e
secondo alcune bozze d’intesa accordate
con associazioni islamiche, le donne musulmane residenti in occidente possono liberamente indossare il foulard islamico purché lascino scoperto e identificabile il volto.
È fondamentale chiarire, prima di affrontare la questione del velo, che l’Islam non
impone ai propri fedeli un particolare modo di vestire ma li invita ad indossare indumenti modesti che coprano le parti ritenute
“indecenti”, ovvero, nell’uomo ciò che sta
tra l’ombelico e il ginocchio e nella donna,
tutto il corpo tranne il viso, le mani e i polsi.
Oltretutto per gli uomini è vietata la seta,
non è consentito portare i capelli lunghi, ed
è fortemente raccomandata la cura della
barba. Quanto all’uso del velo, si fa riferimento, invece, al versetto Cor XXIV, 31 che
recita: “E dì alle credenti che abbassino gli
sguardi e custodiscano le loro vergogne e
non mostrino le loro parti belle, eccetto
quel che di fuori appare, e si coprano i seni
d’un velo e non mostrino le loro parti belle
altro che ai loro mariti o ai loro padri o ai
loro suoceri o ai loro figli, o ai figli dei loro
mariti, o ai loro fratelli, o ai figli dei loro
fratelli, o ai figli delle loro sorelle, o alle
loro donne, o alle loro schiave, o ai loro
servi maschi privi di genitali, o ai fanciulli
che non notano le nudità delle donne, e non
battano assieme i piedi sì da mostrare le
loro bellezze nascoste; volgetevi tutti a Dio,
o credenti, che possiate prosperare!”.
Questo versetto coranico ha dato luogo, nel
tempo, a innumerevoli interpretazioni tra
cui quella più accreditata, ancora oggi, che
tende a contestare l’esplicita obbligatorietà
del velo come imposizione del Corano. Tra
le maggiori attiviste dei movimenti femministi sorti negli anni ’90 all’interno del mondo islamico, la sociologa marocchina Fatima Mernissi, esplicitò una tesi di carattere
storico per giustificare la necessità dell’uso
di questo indumento, fornendo la propria
interpretazione in base al seguente versetto Cor. XXXIII, 59:
“…O Profeta! Dì alle tue spose e alle tue
figlie e alle donne dei credenti che si ricoprano dei loro mantelli; questo sarà più atto
a distinguerle dalle altre e a che non vengano offese. Ma Dio è indulgente e clemente!”.
Il momento storico di riferimento si rifà alla
crisi militare che attraversava Medina nei
primissimi anni dell’era islamica, periodo
in cui le donne erano maggiormente esposte a rischi e violenze, per cui il velo serviva esclusivamente a proteggerle.
Tralasciando, però, gli innumerevoli dibattiti riguardo le connotazioni storicoreligiose, è importante sottolineare anche il
carattere ideologico che assume l’utilizzo
del velo, per esempio in Algeria, esso è
stato esibito come affermazione di identità
contro il colonialismo e la forzata occidentalizzazione operata dai francesi.
Per quanto riguarda i tipi di velo, essi variano in base all’appartenenza geografica,
culturale e religiosa della donna che lo
indossa, tra questi c’è il Niqab, mantello
che lascia scoperti soltanto gli occhi e il
hijab, fazzoletto che incornicia il volto lasciandolo visibile. Il hijab viene citato sette
volte nel Corano e solo una volta assume il
significato di velo, ovvero in riferimento
alla Madonna quando diede alla luce Gesù.
Il termine sta ad indicare letteralmente una
“separazione”. Infine c’è il Burqa che nasconde tutto il corpo e porta una griglia
all’altezza degli occhi. L’obbligo di indossare il Burqa è legato a tradizioni locali e
non alle prescrizioni religiose dell’Islam.
Esso è stato introdotto in Afghanistan durante il regno di Habibullah agli inizi del
1900, che lo impose a tutte le donne del suo
harem per non indurre in tentazioni gli uomini. Considerato inizialmente un indumento delle classi agiate, con l’avvento dei talebani fu imposto a tutte le donne, indistintamente dal ceto sociale.
Corinne Bove
Bonasera Bella 'Mbriana mia
Lo spirito buono delle case napoletane
La casa napoletana (quella antica) non è
solo uno spazio, ma un'essenza con un proprio carattere delineato nel tempo dalle
emozioni e le vicissitudini vissute dalle
persone che l'hanno abitata, un luogo magico e sacro per le creature che si muovono in essa e vivono con gli inquilini o che
ne rappresentano l'anima stessa, come la
“Bella 'Mbriana”. Un'entità nascosta, invisibile, lo spirito femminile che custodisce e
protegge la casa, il
cui spettro può apparire in un attimo,
manifestazioni fugaci perché si possa
dire di averla vista:
un riverbero di una
finestra, una tendina mossa dal vento.
A lei è legato il geco come proiezione
della sua presenza
ed i napoletani lo
considerano un portafortuna da lasciare in
casa, qualora vi entri.
Nonostante la sua invisibilità, nell'immaginario collettivo la Bella 'Mbriana è rappresentata come una giovane donna, seducente, chiara e solare, come del resto dimostra
il suo nome che evoca la luce, da
“meridiana”, l'ora più luminosa della giornata. È lei che custodisce il focolare, che
difende la casa e quelli che la abitano; una
presenza benevola ma anche molto temuta
e rispettata. Un tempo si usava lasciarle
una sedia vuota a tavola e lei ricambiava
vegliando sull'armonia familiare. Nei mo-
menti critici di pace domestica ci si rivolgeva a lei invocandone il risveglio “Scetate
Bella 'mbrià!”. Il suo legame con la casa è
inscindibile, quindi non bisogna mai parlare male della casa o di uno spazio di essa,
o addirittura pensare di traslocare, anche
la 'Mbriana è capricciosa, come tutti gli
spiriti, e sa vendicarsi con chi la offende.
Odia il disordine e le ristrutturazioni: stravolgere la casa significa stravolgere l'anima
stessa dell'entità.
La Bella 'Mbriana è
la fata buona, un'entità comune a tante
credenze che impersona la buona
sorte
dell'intimità
familiare, a cui gli
antichi indirizzavano la buonasera nel
momento in cui
all'imbrunire si accendevano le luci
della casa, o a cui entrando o uscendo si
dava il saluto. Il saluto esprime la gratitudine per la sua ospitalità. Un'abitudine risalente agli antichi romani che quando accendevano le lampade salutavano per rispetto il genio protettore della casa.
Antiche credenze? Ingenue abitudini del
passato? Ancora oggi rincasando in compagnia di qualche anziano possiamo sentirli sussurrare, con fare quasi reverenziale,
all'apertura della porta “Bonasera Bella
'Mbriana mia”, del resto un saluto non si
nega a nessuno…
Annalisa Servo
Danni del tempo
''Il tempo passa e l'uomo non se ne avvede''. Così recitava la
voce in sottofondo di una quotidiana rubrica televisiva agli
albori della TV a colori, cercando tra le altre cose, in modo se
vogliamo anche ingenuo, di stimolare il ''pensiero''. È innegabile la veridicità del concetto annunciato del ''tempo passa'' se
poi questo tormentone sia riuscito a far ''stimolare'' resta un
mistero. Oggi non c'è più spazio sulle emittenti TV per promuovere con messaggi stimolanti la ''riflessione'', ora c'è la ''crisi'' e
questa, come un enorme buco nero, fagocita tutte le emozioni. Le
''rubriche'' televisive di approfondimento danno ''voce'' al popolo
vessato dalla crisi, amplificando i “lanci'' dei notiziari e dilatando la notizie della carta stampata. In questi ultimi tempi, la persona che ancora ha voglia di capirci qualcosa si vede propinare una serie di spot cinematografici con soggetti urlanti che vengono fatti passare per rappresentanti di vasti strati della popolazione. Poi lunghe
carrellate di onorevoli salmodianti, di sindacalisti affannati a spiegare cose che
nessuno vuol sentire e non mancano ecclesiastici benedicenti. Tutto questo dovuto
alla ''crisi'' che mangia i risparmi, elargisce insicurezza e mette in mostra la scarsa
concezione di un popolo non solidale. Una società sfilacciata, fatta di persone
ablanti e non informate, urlanti e non riflessive. E mentre il tempo passa noi restiamo legati al tutti contro tutti. Uno dei teatrini televisivi più surreali è stato presentato dall'emittente di proprietà di un signore ''negazionista'' della ''crisi'', salvatore di
compagnie di ''bandiera'', molto noto per il lato ''gaudente'' della sua personalità.
Ebbene, in quel quadretto TV, si vedevano ''signori'' che inveivano contro i sindacati incolpandoli di ogni nefandezza, rivendicando il diritto di tutela a loro dire negatogli. Peccato! L'arcano è stato svelato dallo stesso intervistatore quando, incautamente, nella sua voglia di ''strafare'', fece dire agli astanti quale era la loro occupazione, non c'era tra essi un solo lavoratore dipendente, tutti titolari di partite IVA.
Quel che non si capisce è il livore con cui quei soggetti riversavano sui sindacati le
colpe e gli effetti nefasti della crisi. Sempre su una tele di ''sua emittenza'', tra un
tripudio di nani e ballerine, orge di spot pubblicitari, un noto politico pontificava
sulle buone scelte del suo partito, mi sono ricordato nel vederlo di quando, non molto tempo fa, sosteneva le tesi del suo capo, affermando che i ''ristoranti'' erano pieni
ed il sacro suolo patrio era stato calpestato dalla ''nipote'' del capo di stato di un paese dell'Africa settentrionale. Ma tutto questo non ci aiuta ad uscire dalle difficoltà. La
preoccupazione è che tutte queste ''rappresentazioni'', più o meno artefatte, possano avere facile presa su menti pigre, ormai al di là della crisi, la quale sottrae in
certi casi anche i bisogni più elementari. Sono anni che andiamo avanti per
''slogan'' con parole d'ordine dei vari capipopolo, in mancanza dell'intravedere una
soluzione può venir voglia dell' “uomo forte''. Del taumaturgo che sana tutti i mali.
Magari travestito da ex comico, magari da vecchio imprenditore imbolsito nel fisico e nelle idee, ormai tutto preso a costruirsi ”l'immortalità”. Certo anche il paludato ''genere'' statalista non offre uno spettacolo ''MIGLIORE''! E mentre il tempo passa
e passando fa andare avanti le cose, tutte, anche quelle brutte, come tutto quel che
c'è di buono matura il cattivo degenera. E noi, come in una seduta psicoanalitica
collettiva, noi tutti, gli italiani l'un contro l'altro ''armati''. Allegramente come i topi
di una famosa fiaba incantati, non dalle note magiche del ''piffero'' ma dal berciare
collettivo, da improperi e maledizioni dalla sterile ricerca di un colpevole, uno qualunque, se anche trovato non servirebbe a risolvere nulla. E nel frattempo? <<Il fiume in cui hai immerso il piede ora non esiste più'. Quelle acque hanno lasciato spazio a questo, e questo adesso…>> da Eraclite di Efeso. Buone feste fatte!
Vi saluto e sono
l’Autoferroagricolo
Foto incredibili con le applicazioni
La fotografia una passione che cresce grazie agli smartphone
Con l’avvento delle reflex, il mondo della
fotografia amatoriale è decisamente cambiato in meglio. Ma un importante apporto
al cambiamento di tendenza della foto digitale c’è stato anche grazie alle numerosissime applicazioni di fotografia, che,
installate sugli smartphone, garantiscono
effetti straordinari e l’immediata condivisione in rete dell’istante appena immortalato.
L’applicazione più famosa e usata tra i milioni di utenti è sicuramente Instagram,
un'app gratuita che permette agli utilizzatori di scattare foto, applicare filtri
e condividere le immagini
per
commentare
il
risultato
sui più popolari social
network, tra
cui
Facebook,
Foursquare,
Tumblr
e
Flickr.
Tra le diverse app più recenti e competitive che si trovano in rete c’è Lomogram,
uno strumento di fotoritocco alternativo
che con i suoi 47 filtri e 72 effetti di luce
permette di infondere alle immagini modificate un aspetto assolutamente unico dal
sapore vagamente retrò, per di più senza
dover sostenere alcun costo.
Invece, un’applicazione che permette di
scattare fotografie con formato esclusivamente quadrato alle quali vengono applicati filtri selezionabili dall'utente prima
dello scatto, rendendo le immagini simili a
quelle scattate con fotocamere analogiche
è Hipstamatic. Un programma che contiene al suo interno diverse lenti, filtri, flash e
cornici, alcuni scaricabili gratuitamente e
altri acquistabili direttamente dall'applicazione per rendere le immagini più uniche
che rare. Per sfruttare al massimo le potenzialità della fotocamera del proprio
iPhone, tra le migliori applicazioni dispo-
nibili su App Store abbiamo Camera+, che
consente di scattare fotografie di altissima
qualità. Infatti, grazie alle sue numerose
funzionalità, è possibile modificare l’esposizione ed il focus di ciascuna immagine
attraverso semplici tocchi a due dita, evitando di ottenere fotografie mosse e quindi di bassa qualità.
Caratterizzata da un design semplice al
quale si affiancano potenza di elaborazione ed eleganti strumenti, Afterglow
è tra le migliori applicazioni in grado
di offrire all’utente il risultato desiderato in pochi
secondi con
aggiustamenti originali per migliorare visibilmente la
qualità delle
immagini
scattate con
il
proprio
cellulare.
Preferita dagli utenti è
anche LINE
C a m e r a ,
un’app che coi filtri incorporati, simili a
quelle Instagram, permette di ottimizzare sensibilmente le foto, modificando con
pochi tocchi luminosità, contrasto e saturazione.
Infine, tra le ottime app gratuite per
Android con cui si possono scattare
diverse tipologie di foto con modalità
sequenza e autoscatto, non possiamo
non includere A Better Camera che,
grazie alle sue funzioni, permette anche di rimuovere oggetti indesiderati
dalle immagini, di scattare foto nitide
di notte e di registrare video.
Il tutto a completamento di una moltitudine di applicazioni, ciascuna delle
quali capace di migliorare quello scatto che per molti utilizzatori di smartphone
serve a catturare momenti divertenti e
indimenticabili da condividere con se
stessi e con gli altri.
F. D.
Passione per la musica anni ‘80
Steve Norman degli Spandau Ballet in esclusiva a Napoli
Qualcuno afferma che le grandi passioni
sono malattie senza speranza e probabilmente gli amanti della musica sono dei
malati cronici. Molti vivono ancora di
quella musica degli anni ’80, gli anni di
cui tanti hanno uno splendido ricordo di
un'Italia di certo più ingenua, più forte, un
periodo in cui tutti credevano di più nel
domani.
Sono questi i tempi
in cui sono
sbocciati
amori che
leghiamo
a
pezzi
musicali di
indubbio
successo,
che hanno
scritto la
storia della musica
e che ancora oggi
sono presenti nelle hit parade. Su tutti c'erano loro:
gli Spandau Ballet e i Duran Duran.A distanza di tempo entrambi i gruppi riscuotono ancora la stima dei fans; gli Spandau
Ballet sono tornati insieme da qualche
anno dopo un’intensa attività di solisti che
ha decretato comunque il loro successo. Il
Justintime, stupenda struttura sita a Qualiano ha puntato su uno di loro per dare
continuità ad una serie di serate di grande
successo di musica anni ‘70 e ’80, grazie
appunto alla partecipazione del biondo
sassofonista degli Spands, che con il suo
sax ha fatto rivivere, caratterizzandolo in
chiave personale, il sound di varie hits del
suo gruppo, con pezzi magici come
“True”,”Gold”, “Only when you leave”,
“Through
the barricades”, grandi successi
musicali
mai dimenticati.
In
attesa
di
rivedere
tutto
il
g r u p p o
nuovamente riunito e
di ascoltare
ancora
la
splendida
voce
di
Tony Hadley, sarà sicuramente piacevole passare
una serata tra una cena di qualità e l'intramontabile musica anni ‘70 ‘80 in questo locale che ha avuto l’onore di
ospitare sul palco un grande rappresentante della musica di quell'epoca
dal successo internazionale, Steve Norman!
Pasquale Cerza
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Direttore Responsabile:
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