05_Abstract Dionisio Vianello AUDIS [186.55 KB]

AUDIS – Associazione aree urbane dismesse
Rigenerare Italia – Ruoli, obiettivi, strumenti per ripartire dalla città
Modena, 16 maggio 2014
Dionisio Vianello – Presidente onorario AUDIS
La normativa urbanistica nazionale e regionale: bilancio critico e proposte
Una rivoluzione copernicana
Andasse a buon fine anche solo la metà delle proposte di legge su consumo di suolo e
rigenerazione urbana presentate dal governo e dalle regioni, per l’urbanistica italiana si
tratterebbe pur sempre di una rivoluzione copernicana. Uno dei pochi effetti positivi della
crisi è stato quello di seppellire definitivamente – almeno si spera - dopo più di
sessant’anni di predominio assoluto il modello di sviluppo basato sulla crescita
indiscriminata delle città; che poi era stato tra gli artefici principali. Stop al consumo di
suolo agricolo e naturale, d’ora in poi si lavorerà esclusivamente (o quasi) sulla città
costruita. Caposaldi di questa rivoluzione saranno il riuso delle aree ed immobili dismessi, la
riqualificazione delle periferie e dei servizi pubblici, il rinnovo del patrimonio edilizio
esistente secondo criteri di sicurezza fisica ed ambientale, risparmio energetico, riduzione dei
consumi.
Lo stato confusionale
Consumo di suolo e rigenerazione urbana sono l’argomento del giorno. Circolano varie
proposte di legge, la prima del governo ed altre delle regioni, che non vogliono essere tagliate
fuori da un tema così cruciale. Ferve il dibattito, soprattutto in fase preelettorale, il che
aumenta la confusione. Troppi ministri (5 nel governo letta, 4 in quello Renzi) si occupano di
territorio ed ambiente, spesso pestandosi i piedi l’uno con l’altro. C’è poco lavoro e molto
tempo libero, per cui si organizzano innumerevoli convegni, tutti in stanze rigorosamente
separate. Da una parte il pubblico (amministratori, sociale), dall’altra gli operatori (Fondi,
ANCE, Assoimmobiliare), in mezzo i professionisti (architetti, ingegneri) che si dividono
equamente passando da un convegno all’altro. Ognuno porta la sua ricetta che riflette una
posizione personale o di gruppo, o meglio ancora gli interessi di bottega. Nonostante molti
tentativi, alcuni dei quali da parte di persone altamente qualificate, manca ancora una strategia
complessiva che tenga conto di tutte le istanze in gioco, dei condizionamenti esterni, delle
risorse disponibili.
L’esperienza di AUDIS
Esultano i pochi che da sempre hanno portato avanti questa linea, sperando che alla fine
diventasse patrimonio di tutti. E’ il caso di AUDIS, l’Associazione aree urbane dismesse
fondata nel 1995, nella prima stagione della rigenerazione, quella del decreto Fontana e dei
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Programmi di riqualificazione urbana (i famosi PRU). Un’associazione che ha lo scopo di
mettere insieme il versante pubblico (amministrazioni, sociale, professioni) con il privato
(investitori, promotori, imprese) per ricercare le buone pratiche e sviluppare percorsi
condivisi. In quasi vent’anni di attività AUDIS, coerentemente con il suo imprinting, ha da
sempre lavorato su questi temi producendo alcuni pregevoli lavori: nel 2010 la “Carta della
rigenerazione urbana”, e più recentemente nel 2012 il “Protocollo qualità per Roma
capitale”, guida per la progettazione ed approvazione dei grandi progetti di trasformazione. In
questa fase di cambiamento epocale il convegno nazionale di Modena vuole testimoniare la
continuità dell’impegno di AUDIS sul tema della rigenerazione.
Un po’ di storia. La prima stagione della rigenerazione urbana
Adesso la rigenerazione è al centro di tutto, eppure non è stato sempre così, basta tornare a
vent’anni fa, anno 1994. Era l’epoca della riqualificazione delle grandi aree industriali
dismesse, avviata con il Decreto Fontana della fine del 1994 con la dotazione 800 mld di
vecchie lire per incentivare i progetti attraverso la formazione dei PRU, Programmi di
riqualificazione urbana. Non c’erano nemmeno promotori in Italia, solo Milano Centrale e
pochissimi altri. Bisogna inventarsi un mestiere nuovo, e così, detto fatto, proprietari di aree
(il caso IRI) e grandi imprese decidono di mettersi a fare i developers.
Allora il mercato edilizio tirava, era in ciclo espansivo, e questo ha aiutato non poco il
decollo della rigenerazione urbana. Bastava arrivare all’approvazione del PRU, avere tanti
metri cubi, destinazione pregiate soprattutto il commerciale grande distribuzione, i comuni
erano molto disponibili, in tempi brevi si arrivava all’approvazione, si parte con le
preurbanizzazioni ed urbanizzazioni, si mettono in vendita le aree, privati ed imprese
comprano e realizzano. Non occorrevano neanche gli incentivi per le bonifiche: avevamo fatti
i conti, ad esempio per un meccanico od un siderurgico leggero con mezzo metro cubo in più
si facevano le bonifiche, per una siderurgica pesante occorreva 1 metro cubo.
In pochi anni – poco più di un decennio, dal 1995 al 2006 - le città italiane cambiano
volto. Per fare un esempio a Torino Fintecna aveva in dotazione ben 760.000 mq di SLP
(vuol dire più di 2.000.000 di mc), 10 anni dopo ne aveva solo 60.000.
La seconda stagione: gli immobili pubblici
Nei primi anni del 2000 è in fase avanzata la riqualificazione delle aree industriali, ed il
mercato comincia a saturarsi. Vengono immessi sul mercato gli immobili pubblici, beni
demaniali (caserme, manifatture tabacchi, servizi pubblici), i patrimoni degli enti
previdenziali. I promotori improvvisati si buttano a pesce, e per paura di rimanere fuori dalla
torta comprano gli immobili a qualsiasi prezzo. Tutto a prezzi altissimi, tanto poi i costi si
scaricheranno sui poveri utenti. Si fanno nuovi progetti, riprendono i contatti con le
amministrazioni per arrivare agli accordi di programma. Ma poi arriva la crisi, e tutto si
ferma.
La terza stagione (abortita): la rottamazione dei quartieri ERP
Si sperava in una terza fase. AUDIS nel 2005 lancia la rottamazione dei vecchi quartieri
ERP di edilizia popolare dei primi anni del dopoguerra. Edilizia ed urbanistica povera,
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edifici vecchi e superati, quartieri degradati. Si accendono grandi speranze, ma in questo caso
non occorre nemmeno la crisi. Ancora prima che per la scarsità di risorse, tutto si ferma per
la complessità dei problemi (proprietà frazionata, disagio sociale) ed i blocchi normativi
della legislazione.
Si annuncia una quarta stagione: migliaia di capannoni chiusi
Di oggetti da rigenerare ne avevamo abbastanza, non si sentiva proprio il bisogno di altri. Ed
invece da qualche anno abbiamo un altro tema al quale dedicare le nostre energie. La crisi ha
costretto alla chiusura migliaia di imprese, e continua imperterrita. E così migliaia di
capannoni industriali – 3.400 solo a Torino – sono chiusi, e non trovano né acquirenti né
affittuari. Cosa fare per rimetterli in circolazione? E magari per par partire nuove attività
produttive?
Aggiungiamo anche questo argomento alla lista già lunga che abbiamo in tasca.
Dentro la crisi
Tutto questo è roba di cent’anni fa, non esiste più. Dal 2007 siamo dentro la crisi. Crisi
economica e sociale, cadono i redditi e quindi scompare la domanda. La domanda di
abitazioni ed uffici è in caduta libera. La crisi del comparto produttivo mette in ginocchio le
imprese: sono migliaia i capannoni chiusi ed abbandonati, che nessuno vuole. Gli istituti di
credito non finanziano più niente, caduta verticale degli investimenti. I promotori, che sono
fuori con le banche fino al collo, saltano uno dopo l’altro. Gli investitori (Fondi, enti
istituzionali, ecc.) gli unici che avrebbero i soldi, si guardano bene dall’investire in progetti di
sviluppo. Investono solo in immobili a reddito, già affittati, solo a Roma e Milano. I comuni,
completamente privi di risorse, sono alla canna del gas. Non hanno nemmeno i soldi per
assicurare i servizi essenziali ai cittadini, quasi niente rimane per gli investimenti.
Rigenerazione: lo stato dell’arte
Anche per la rigenerazione sono tempi durissimi. Tutto è fermo. I progetti avviati
vengono fermati, quelli approvati non vengono nemmeno ritirati, non si firmano le
convenzioni e non si ritirano i permessi a costruire per non pagare gli oneri, i progetti
nuovi tornano nei cassetti in attesa di tempi migliori.
Il macigno dell’invenduto paralizza il mercato, anche se qualche ente o fondo di
investimento cerca di sfruttare le sovrabbondanti occasioni a basso costo anche per fini
lodevoli, come il social housing.
Le imprese di costruzione che negli anni ruggenti avevano cercato di fare il salto di qualità
trasformandosi in developers – senza peraltro averne le capacità – sono quasi tutte saltate,
oberate dai mutui bancari che non riescono a ripagare.
Il settore immobiliare è in affanno, e la estrema frammentazione non aiuta certo una
riorganizzazione, come da tempo auspica Guglielmo Pelliccioli dalle colonne del Quotidiano
Immobiliare.
E adesso cosa facciamo?
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Non sapendo cosa fare facciamo convegni. Difficile seguirli tutti. Tutti rigorosamente
separati, gli urbanisti da una parte, gli investitori e gli immobiliaristi dall’altra, gli avvocati
nel chiuso di qualche studio legale, i professionisti che si dividono equamente da un convegno
all’altro. Guai a mescolarsi perché ognuno ha la sua ricetta magica per risolvere il problema,
è convinto che quelle degli altri siano tutte sbagliate.
Tutti parlano delle stesse cose. Quando passerà la crisi, siamo fuori dal tunnel o no, la lucetta
che si vede da lontano è l’uscita dal tunnel o è un treno che ci viene addosso? cosa succederà
dopo la crisi? Si riprenderà come già è successo altre volte? Magari fosse così, ma tutti i
guru giurano che il cambiamento sarà epocale, niente sarà più come prima.
Anche se non sappiamo niente – o ben poco - di che cosa succederà, e quando passerà la crisi,
ci siamo accorti che il modello tradizionale non funziona più, il mito della crescita
continua si è fermato, il giocattolo si è rotto, bisogna cambiare strada.
Occorre inventare nuove strategie, nuovi modelli di business. Ma con quale domanda? E
con quali risorse?
Una cosa è sicura. Dalla crisi si esce solo con uno sforzo ed un impegno comune, che
metta insieme tutti gli operatori e gli stakeholders alla ricerca di soluzioni e percorsi condivisi.
Con questo convegno AUDIS intende proporsi come tavolo di concertazione tra tutti gli
attori che vivono e recitano la loro parte sul palcoscenico della città e del territorio.
Un punto fermo: ripartire dalle città
Qualche base sulla quale costruire dei programmi condivisi esiste pure. Un punto fermo dal
quale ripartire è il concetto che la città è l’unico motore che può avviare lo sviluppo.
La prima e più importante conferma viene dalla Comunità Europea. Il QCS 2014/2020
assume questo principio come base di gran parte dei programmi comunitari. Su questo asse
privilegiato per l’Italia saranno disponibili ben € 5 mld.
Che questa linea sia condivisa da molti lo dice il successo dei Piani città, ben 457 domande,
anche se solo 26 accolte, sia pure con tutte le carenze riscontrate nella prima fase. E pure lo
confermano le mille iniziative, i convegni che proliferano sulle Smart city, le Green city, i
guru imperversano. Come AUDIS abbiamo lavorato con gli amici di Edilizia e Territorio sui
Piani città. Un’esperienza che, pur tenendo conto degli inevitabili difficoltà dovute
all’impreparazione dei comuni ed ai tempi troppo stretti, consideriamo positiva, e da non
abbandonare. Anzi da riprendere e potenziare, stabilizzare i Piani città che, depurati dai
difetti originari, devono diventare il recapito finale di tutte le forme di finanziamento
dai programmi europei (QCS 2014/2020, programmi Jessica, ecc.) nonché delle
invenzioni estemporanee dei tanti ministri in-competenti (smart city, green city, piani
campanile, ecc.).
Occorre una politica nazionale per le città, ma su quale linea? AUDIS sulla base
dell’esperienza maturata in 20 anni di attività avanza la sua proposta: sviluppare e diffondere
le buone pratiche. Non occorrono progetti faraonici, che del resto non sono più possibili
perché non ci sono le risorse. Serve di più una politica dei piccoli passi ma con una
strategia ed una visione ben delineata. A mio parere per tanti amministratori e consulenti
varrebbe di più fare uno stage a Torino o a Bologna che partecipare a tanti convegni che
giornalmente imperversano.
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Consumo di suolo e rigenerazione urbana
Semplificando le cose, possiamo tranquillamente affermare che riduzione del consumo di
suolo e rigenerazione urbana sono le due facce della stessa medaglia. Infatti si persegue e
si ottiene la riduzione del consumo di suolo – fino al blocco della “crescita zero” prevista
dalla UE per il lontano 2050, e molto prima dai provvedimenti nazionali in corso di
discussione ed approvazione – solo se la domanda di spazio per ospitare le attività umane
verrà reperita utilizzando aree già costruite ma non più in uso.
Obiettivo di grande portata, a prima vista sembra facile, ma realizzarlo concretamente è
tutt’altra cosa. Occorre infatti superare tutta una serie di difficoltà, la principale dei quali è che
gli interventi di rigenerazione sono notevolmente più costosi di quelli ex novo perché
devono scontare gli oneri necessari per le bonifiche dell’area e delle demolizioni dei
fabbricati esistenti. Senza entrare più di tanto in questa sede nelle problematiche in materia
di consumo del suolo – che non sono oggetto del presente convegno – vediamo invece quali
sono le condizioni per avviare concretamente le operazioni di rigenerazione urbana.
Ricostituire le condizioni per la rigenerazione
Rigenerare va bene, ma come, con chi e con che cosa? Questo era il titolo di un mio recente
editoriale, pubblicato giorni fa sul Quotidiano Immobiliare. E’ un tema sul quale abbiamo
ragionato a lungo, e da tempo, con AUDIS, con INU, con CeNSU. Qualche idea è venuta
fuori. E poiché in grande maggioranza siamo urbanisti, buona parte delle nostre proposte
riguarda essenzialmente l’urbanistica. Materia che rappresenta ancora uno dei passaggi
fondamentali - anche perché preliminare a tutti gli altri aspetti, economico-finanziari ed
operativi – per realizzare qualsiasi intervento di rigenerazione.
Dal piano regolatore ai piani della rigenerazione
Dopo 50 anni di piani orientati a governare lo sviluppo tocca ora ai piani della rigenerazione.
A questo punto viene spontanea una domanda. E’ pensabile che il sistema di pianificazione
sia assolutamente neutrale, cioè vada bene per tutte le stagioni? Certamente no. Anche
l’apparato strumentale va cambiato orientandolo sui nuovi obiettivi.
Ormai tutti gli addetti ai lavori, anche quelli che più avevano contribuito alla costruzione di un
sistema di pianificazione farraginoso e complesso, finalizzato più alla sua perpetuazione
che alla soluzione dei problemi, sono ormai d’accordo che bisogna cambiare strada. Anche
perché questo sistema si è dimostrato incapace di perseguire il suo obiettivo primario, quello
di evitare le malefatte ed i disastri che invece sono continuamente successi e continuano ad
accadere.
Non entro nel dettaglio, porterebbe via troppo tempo. Accenno solamente ad alcune proposte
discusse in AUDIS e CeNSU. Alcune di esse possono sembrare provocatorie e di rottura, e
purtroppo in questa sede non c’è né il tempo né lo spazio per argomentarle a sufficienza.
• Basta con le pianificazioni separate, l’unità territorio, ambiente, paesaggio.
• Sopra il comune un solo livello di pianificazione, quello regionale. Un pianoprogramma semplificato con proiezioni territoriali.
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• Piani di area vasta solo dove necessario: aree metropolitane, conurbazioni, aree ad
urbanizzazione diffusa
•
A livello comunale abbandono senza rimpianti del doppio sistema di pianificazione,
un documento programmatico al posto del piano strutturale, e piani d’intervento di
area e/o settore.
• Piani diversi per realtà diverse: piani strategici per le città maggiori, per i piccoli
comuni: tornare al programma di fabbricazione rivisitato.
• Perequazione sì ma con juicio, meglio la fiscalità urbana.
• Standard qualitativi e prestazionali: social housing, servizi, ecc.
In sostanza quello che si propone è nient’altro che la riforma urbanistica – e scusate se è
poco – che giace da tempi immemorabili nei cassetti e nei vicoli del parlamento. Una riforma
che secondo noi va fatta a livello nazionale, disegnando uno scenario comune ed unificato
che costituisca un quadro di riferimento comune ed obbligato per tutte le regioni;
mettendo la parola fine all’alluvione legislativa nella quale stiamo tutti annegando.
La rigenerazione come intervento di interesse pubblico
Il principio è già presente nei PDL Lombardia e Veneto, ma più a livello di sentiment che di
concept, e va quindi ripreso e potenziato. Succede frequentemente che i proprietari delle aree
dismesse siano assenti o assenteisti, quasi sempre perché le hanno pagate troppo e
preferiscono tenerle ferme aspettando tempi migliori. Peggio ancora il caso di aree
pesantemente inquinate, dove i proprietari non ci sono più, sono spariti, le aree sono
diventate “les sites orphelins”, i siti orfanelli come dicono i francesi. Vedi il caso di Napoli
Est. Occorre rimettere in circolazione le aree, eliminando o riducendo il peso della
rendita fondiaria. La procedura che consigliamo è questa:
• Con atto legislativo (meglio statale ma anche regionale) si stabilisce che gli interventi
di rigenerazione possono essere classificati di pubblico interesse
• i comuni individuano gli ambiti di rigenerazione considerati strategici e li classificano
di pubblico interesse, con la previsione di servizi pubblici, quote parti di social
housing, ecc:;
• il comune mette in gara gli interventi più significativi indicando parametri urbanistici e
dotazioni pubbliche e sollecitando il mercato ad intervenire;
• i soggetti interessati presentano un progetto di trasformazione indicando anche
l’indennità di esproprio dell’area, i costi di demolizione e bonifica, per l’adeguamento
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infrastrutturale, la dotazione di servizi pubblici e social housing, oneri di
preurbanizzazione ed urbanizzazione, extra-oneri;
• i progetti vengono selezionati con procedura di evidenza pubblica, ed approvati
attraverso accordo di programma;
• al vecchio proprietario rimane comunque il diritto di prelazione.
Procedure di approvazione semplificate per la riconversione delle aree ed immobili
dismessi
Tutti gli interventi di rigenerazione, anche non strategici, vanno agevolati semplificando ed
abbreviando le procedure di approvazione, eliminando le lunghe e complesse trattative tra
pubblico e privato e garantendo agli operatori la certezza dei risultati. Con AUDIS, in quasi
20 anni di sperimentazione, abbiamo monitorato le buone pratiche già realizzate (ma
anche quelle non buone), un lavoro che consente di individuare procedure, modalità e
parametri standardizzati. Si fa così.
• Le regioni emanano un atto amministrativo nel quale definiscono modalità e
parametri per gli interventi. Quali sono questi parametri? Mantenimento del
volume esistente per l’edilizia civile, salvo gli edifici industriali (i grandi capannoni
dove non si può mantenere lo stesso volume) per i quali non va considerato il volume
ma la SLP al massimo raddoppiata, liberalizzazione delle destinazione d’uso
compreso il commerciale e grandi strutture di vendita perché siamo in zone centrali e
bisogna contrastare il trasferimento di queste funzioni pregiate fuori città, standard
urbanistici di tipo prestazionale, quote minime di social housing.
• Progetto urbanistico-edilizio sviluppato possibilmente mediante concorso
• Rispetto di protocolli di qualità e di sostenibilità energetica ed ambientale: vedi
Protocollo AUDIS per Roma capitale, oppure ITACA, od altri.
• Una task force regionale per assistere i comuni nelle trattative con i privati su queste
problematiche così complesse, con presenza degli Ordini professionali, associazioni
culturali come INU, AUDIS. Vedi nuova LUR Toscana.
• Tempi contingentati per l’approvazione, massimo sei mesi.
Chi non intende rispettare questi criteri continua a passare per le procedure tradizionali. In tal
modo si riducono i tempi di approvazione dei progetti e si da certezza all’imprenditore.
Abbattere i costi della rigenerazione
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Tutto questo è necessario, ma non sufficiente. . Una volta che fossimo riusciti a far passare
questi provvedimenti come urbanisti potremmo ritenerci soddisfatti, abbiamo fatto il
massimo di quello che si poteva fare, e possiamo pensare che la rigenerazione ripartirà alla
grande. Ma siamo proprio sicuri? Sarà poi vero che sia sufficiente semplificare alcune
norme, ridurre peso e tempi delle procedure, perché gli operatori riprendano lavorare su nuovi
modelli di business? Forse sarà meglio interpellarli, sentire almeno cosa ne pensano Accenno
solo ad alcuni punti cruciali, che verranno sviluppati anche negli interventi che seguono.
Le bonifiche
Le bonifiche sono certamente uno dei maggiori ostacoli che penalizzano le operazioni di
rigenerazione.
• Normativa farraginosa, procedure infinite, sovrapposizione di competenze, confusione
sui ruoli, tempi lunghissimi
• Costi elevati, talora elevatissimi, insopportabili per il bilancio finanziario degli
interventi.
• “Les sites orphelins”. Non sempre chi inquina paga, anzi. Molto spesso l’inquinatore è
sparito, non esiste o non si trova più, e così gli oneri ricadono sulla colettività.
• Di conseguenza in molti casi è difficile operare senza contributi pubblici.
AUDIS ha lavorato molto su questi temi, organizzando convegni (Bologna 1998 e molti
altri), lo farà in futuro (convegno di Milano nel guigno prossimo, seminario di ottobre)
formulando suggerimenti e proposte. Ad esempio le bonifiche possono rientrare negli oneri
primari, scomputandoli come costo di preurbanizzazione. Vedi PRG Firenze.
Infrastrutture ed oneri aggiuntivi
Rimane aperta la questione degli extra-oneri per l’adeguamento della rete infrastrutturale.
Questione complessa e difficile,
impossibile da risolvere se si segue la strada
dell’incameramento del plus valore generato dal cambio d’uso (legge 122/2010 e PRG di
Roma); anche perché al momento per quanto riguarda il valore dell’area non c’è plusvalore
ma minusvalore. Meglio ancorarlo a dati certi come gli oneri di urbanizzazione, in questa fase
come massimo raddoppiati. Vale anche in questo caso il discorso fatto per le bonifiche.
Ma se non riesce ad abbattere i costi più di tanto, rendendoli sopportabili dal business plan,
alla fine cosa succederà? E’ chiaro che certi interventi al momento, e forse ancora per anni
a venire, non si potranno fare; dovranno essere congelati e rimandati a tempi migliori.
I fattori trainanti
Un requisito essenziale per velocizzare le rigenerazioni è trovare un asset che faccia da
traino a tutto il progetto. Vedi il caso delle Manifatture tabacchi. La Manifattura tabacchi
di Milano e il centro sperimentale per la cinematografia e la televisione: in sei mesi chiuso
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l’accordo di programma. Firenze, grande occasione perduta (polo del restauro). Napoli tre
anni persi per le indecisioni dell’AC. (Cittadella della Polizia).
Il mix cultura, divertimento, alimentari e gastronomia, tempo libero è vincente. Se non si
trova all’interno dell’area cercarlo anche fuori, e mettere insieme un pacchetto vincente. Il
caso della Manifattura di Trieste.
Il social housing
L’unica domanda che al momento esiste – e diventa sempre più rilevante - è per l’edilizia
popolare, soprattutto in affitto. Ma si tratta di una domanda poco attraente per gli investitori, a
meno che non venga sostenuta.
Il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti è fondamentale, sia per la cospicua disponibilità di
risorse che per il coinvolgimento dei fondi privati. Ultimamente sembra che qualcosa si
muova con la rimozione di assurdi vincoli di compartecipazione.
Altro suggerimento, metabolizzare l’invenduto rimettendolo in ciclo ed utilizzandolo
(almeno in parte) per il social housing. E’ la strada già imboccata da alcune regioni.
La gestione degli immobili e dei servizi
Qualche parola sui piani finanziari, tema che affronto sempre con profondo scetticismo. Al
giorno d’oggi nessun business plan sta in piedi se non si chiude col collocamento degli
edifici sul mercato. Il macigno della rendita fondiaria connessa al valore dell’area, ma
soprattutto l’aleatorietà di troppi fattori determinanti (tempi e ricavi delle vendite) sono
condizionamenti pesanti, tali da far saltare qualsiasi operazione. L’unico asset che può
riequilibrare il piano finanziario è la gestione dei complessi in regime di global service; solo
in questo modo, introducendo una nuova fase con tempi lunghi e ricavi sicuri, si riesce a
bilanciare i probabili deficit delle fasi precedenti. Ma anche qui mancano le professionalità.
Qualcosa si sta movendo: vedi le proposte di Romeo per Napoli, riprese da Gualtiero
Tamburini e Federimmobiliare.
Cercansi developers
In Italia non ci sono più developers, non c’erano prima e tanto meno ci sono adesso,
mancano professionalità adeguate sia tra gli operatori che tra i tecnici. La crisi ha
distrutto qualche grande albero (Milano Centrale, poi Prelios ora Pirelli RE) sono sparite tante
imprese di costruzione che si erano candidate a fare i developers senza averne la competenze,
ma anche le esili piantine che stavano crescendo all’ombra delle più grandi.
Gli interventi di rigenerazione sono complessi e non si costruiscono se non ci sono
professionalità adeguate. Costruire queste professionalità all’interno dell’ANCE, delle società
immobiliari e dei fondi di investimento, – perché no? – anche dei professionisti. Sempre più
spesso capita di vedere nelle riviste specializzate gruppi di professionisti associati che
propongono progetti di rigenerazione e social housing in collaborazione con imprese
avanzate. Ecco una specializzazione da consigliare caldamente ai nostri giovani colleghi.
Maurizio De Caro ed il LAB a Milano.
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Non per niente uno dei prossimi seminari AUDIS verrà dedicato a promotori ed
immobiliaristi (il real estate) per verificare quali condizioni ritengono necessarie per
riprendere a lavorare ed investire nel campo della rigenerazione.
Rianimare gli investitori
Gli investitori (fondi, SGR) si sono ritirati da tempo dal settore della rigenerazione e guardano
con fastidio se non con avversione ai programmi complessi. Preferiscono investire sul sicuro,
su immobili a reddito sicuo nelle città più attrattive (Roma, Milano e poche altre).
E tuttavia il ritorno degli investitori privati – non basta certo da sola la CDP – è
condizione essenziale per riavviare la rigenerazione urbana.
A quali condizioni? Aspettiamo con ansia la relazione di Luca Giacomelli su questo
argomento, rimasta segreta fino all’ultimo momento.
Dall’immobiliare al real estate
Il settore dell’immobiliare è sicuramente uno dei fattori di arretratezza. Frammentazione
eccessiva in una miriade di attori non dialoganti ma in perpetua competizione. Nei processi di
rigenerazione ci sono troppe fasi separate, troppi attori non collaboranti. Occorre
riannodare i rapporti tra promotore, investitore, costruttore, immobiliarista, gestore. E
probabilmente occorre formare nuove figure professionali
I casi dell’emergenza: l’Aquila, dove la ricostruzione degli edifici condominiali del centro
storico è di fatto affidata agli amministratori di condominio.
Anche in questo caso mi limito a sottolineare un’esigenza molto sentita, sperando che dagli
interventi del pomeriggio vengano suggerimenti ed indicazioni utili. Che ci aspettiamo
soprattutto dal coordinatore Guglielmo Pelliccioli, direttore del Quotidiano Immobiliare, e
grande esperto del settore. Da sempre impegnato su due direttrici. La prima, rinnovare un
settore che in Italia enormemente arretrato rispetto agli altri paesi europei: il passaggio
dall’immobiliare al real estate non è solo uno slogan ma una esigenza imprescindibile.
La fiscalità immobiliare
Non è il mio tema, e con questo chiudo. Ma non senza aver ricordato che uno dei punti fermi
degli ingegneri italiani è stata da sempre la proposta di utilizzare l’IMU (una volta era
l’ICI) a fini perequativi, per disincentivare certi interventi (leggi consumo di suolo) e
favorirne altri (rigenerazione). Argomento sul quale il compianto e carissimo amico Guido
Colombo aveva prodotto proposte illuminanti ed ancora pienamente valide. Tanto che ogni
volta che le esponevamo alle Commissioni parlamentari tutti rimanevano stupefatti – ma
questo è l’uovo di Colombo! Questo risolve tutti i problemi! lo mettiamo nella prossima
riforma urbanistica! Ma sappiamo tutti come finiscono queste cose: dopo un mese la
legislatura decadeva ed arrivederci alla prossima puntata.
Modena, 16/05/2014
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