ORIZZONTI ANTROPOS SOPHIA PRIMA PAGINA SOPHIA

ISTITUTO
DELLE SUORE MAESTRE
DI S. DOROTEA DI VENEZIA
Anno XLI - Trimestrale - Poste Italiane Spa - Sped. in abb. postale - d.l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2 - DCB Roma
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1
PRIMA PAGINA
Il nuovo abita
il tempo
Antropos
ANTROPOS
Tempi di calamità
e di gaudio
SOPHIA
La bellezza
che salva
ORIZZONTI
Una società
relazionale per lo
sviluppo di tutti
PRIMA PAGINA
Il nuovo abita il tempo............................................................... 3
PAROLA E ARTE
La Vergine del segno................................................................... 4
ANTROPOS
Tempi di calamità e di gaudio................................................... 7
Sommario
2
SOPHIA
La bellezza che salva................................................................ 10
PATERIKON
Sincletica monaca..................................................................... 13
DOCUMENTI
La Parola di Dio e la fede......................................................... 16
KOINONIA
Don Luca Passi, lettere............................................................. 19
SPAZIO DON LUCA
L’amore parla di Dio................................................................ 21
FACCE DI SUORE
Anita, novizia a vita ................................................................ 24
ASTERISCO
Il sogno di Papa Francesco ...................................................... 26
ORIZZONTI
Una società relazionale fa bene allo sviluppo di tutti................ 28
PASSI NELL’OPERA
Rispondere al grido di aiuto .................................................... 32
DIA-LOGOS
Contro le mafie ....................................................................... 38
CRONACA
I fatti di casa nostra ................................................................. 41
POSTULAZIONE
In dialogo con il Beato Luca Passi ........................................... 51
CI HANNO LASCIATO............................................................. 55
INVITO ALLA LETTURA........................................................... 59
In copertina:
Cattedrale di Reims, L’angelo che sorride
La rivista viene inviata gratuitamente.
Chi desidera contribuire alle spese può servirsi del c/c postale n. 82063009.
Il nuovo abita il tempo
Suor Fernanda Barbiero
Q
uesto primo numero di Ardere per Accendere si presenta come un grande
mosaico. Ci sono tasselli diversi e complementari per comporre e leggere il
mistero del tempo che “rotola” sino a noi, raggiungendoci dal cuore dei secoli
e ci dice, puntualmente, una cosa: è possibile re-iniziare, anzi, iniziare, ogni anno, ogni
giorno, spendersi per migliorare la vita propria e degli altri: insieme.
Questo inizio accade sempre. Si intreccia lungo le trame di un racconto a più voci
semplice e ordinario, come semplice e feriale è la vita di tutti noi.
Il primo contributo sviluppa il significato dell’icona di Maria in atteggiamento orante.
È una delle più antiche rappresentazioni cristiane conosciute. Le braccia di Maria sono
orientate verso il cielo, esprimono la domanda e l’attesa del Dono da parte di Dio
e si trasformano in appello a riscoprirci, come Maria, grembo che genera alla fede,
ritrovando il gusto della testimonianza cristiana, vale a dire la capacità di rendere
visibile l’Altro che è in noi (N. Govekar)..
Le pagine successive ci aiutano a decifrare, nel vivo della storia, l’arte di essere testimoni
di speranza e non profeti di sventura; annunciatori della gioia del Vangelo, non narratori
di passioni tristi. Testimoniare la gioia ha un impatto pastorale riconosciuto e fecondo
(A. Toniolo). Rintracciare ciò che l’evento pasquale crea nel cuore e nell’esistenza di
ogni credente, aiuta a stare dentro all’esperienza ecclesiale e riconoscervi il luogo di
incontro con il Risorto (A. Arvalli).
La tonalità del racconto si snoda semplice e chiara e muove suggestioni antiche. Fa
sentire assai contemporanea la sapienza dei Padri e delle Madri della Chiesa destinata
a maturare azioni corrispondenti; fatti concreti che hanno il sapore del Vangelo e ne
esprimono la fecondità (Filocalica).
Altre mani ridisegnano mappe celate per situarci dentro la freschezza carismatica delle
origini (E. Trovò). Altre ancora aprono sentieri inesplorati, narrano esperienze dentro cui
ritrovare gocce di vita vissuta (A. Vitari).
La saggezza pasquale si rivela feconda a più livelli. Non ultimo nei percorsi ecclesiali
attraenti della Evangelii gaudium in cui tutto è nuovo inizio, tutto sembra ricominciare
(A. G. Bronzini).
Alcune voci continuano il racconto su registri sociali e spalancano lo sguardo alle
periferie dell’esistenza dove la fede cristiana si incarna nella voce dei popoli e delle
nazioni del Sud del mondo (T. Bedin). Il volontariato dei laici scrive pagine di prossimità
verso i più deboli, con l’impegno e il desiderio di giustizia per cambiare un Paese
stremato, diseguale, prima che i cambiamenti dell’economia e della politica dello
spreco, dentro le città e i territori, cambino noi e spengano i nostri desideri e la nostra
voglia di fare insieme all’intera comunità che intende essere accogliente e inclusiva (A.
Mazzarotto).
Il cerchio si chiude nel dialogo con Libera (M. Niero - N. Chiarot) e con i racconti
della Cronaca, I fatti di casa nostra, che sigilla il principio della realtà sempre superiore
all’idea. L’attenzione va ai volti, ai fratelli incontrati, alle esperienze vissute. Un inizio
che vogliamo avviare insieme a chi pensa di avere molte cose da migliorare, da
imparare incontrando la realtà e gli altri. n
3
La Vergine del segno
Natasa Govekar
parola e arte
4
Il glorioso concepimento si era impresso, come con un sigillo, nel tuo
spirito, e anche dopo il parto era come se fosse (ancora) in te, poiché
dalle tue membra si mostrava totalmente il suo splendore, e sulla tua
bellezza era disteso il suo amore, e su di te, interamente, egli si era diffuso
come un unguento. Tu hai tessuto un abito per lui ed egli ha dispiegato la
sua gloria su tutti i tuoi sensi (Efrem, Inni sulla Natività, XXVIII, 7).
L
a poesia di sant’Efrem
il Siro ci invita a
contemplare questa
icona e a scoprire in essa una
continuazione tematica delle
immagini a noi più familiari
dell’Annunciazione e della
Natività. Su questa icona del
XIII secolo la Vergine Maria
assume la postura dell’Orante,
conosciuta anche dall’arte
pre-cristana. Questa postura è
l’atteggiamento più adatto per
esprimere la totale apertura
e recettività necessaria per il
dono dall’Alto, perciò diventa
un modulo iconografico
importante della VergineMadre, tanto che alle volte
Maria-Orante può addirittura
occupare da sola la conca
absidale (come accade, ad
esempio, nella cattedrale di
Kiev).
Da Maria-Orante si sviluppa
quindi anche questo tipo di
icona che in Russia viene
chiamato Znamenie (“Segno”)
in riferimento al versetto di
Is 7,14 dove la concezione
verginale costituisce un segno:
Pertanto il Signore stesso vi
darà un segno. Ecco: la vergine
concepirà e partorirà un figlio,
che chiamerà Emmanuele. La
Vergine del Segno è “Segno
se uno prega veramente,
lo si vede, perché
i suoi modi diventeranno
quelli di Cristo
5
La postura di Cristo, benché bambino, corrisponde a quella del
Pantocratore che conosciamo dalle absidi medievali. La nostra icona è
infatti un’immagine della compenetrazione dell’invisibile e del visibile,
del divino e dell’umano: Se uno volesse cercare la tua natura invisibile,
ecco, è nei cieli, nell’immenso grembo della divinità. E se uno volesse
cercare il tuo corpo visibile, ecco, giace e fa capolino dal piccolo grembo
di Maria (Efrem, Inni sulla Natività, XIII, 7). Questa compenetrazione del
divino e dell’umano Maria la sperimenta in un modo unico, in quanto
Madre di Dio: Tu sei in me e fuori di me, o tu che confondi la Madre tua,
affinché possa contemplare la tua apparenza esterna, che giace davanti ai
miei occhi. Invece la tua forma invisibile è stata impressa nel mio spirito.
Nella tua forma visibile ho riconosciuto Adamo e in quella invisibile ho
contemplato il Padre, che è unito a te (Efrem, Inni sulla Natività, XVI,
2- 3). È il Padre, infatti, il destinatario di questa preghiera che si innalza
dall’icona. Le mani aperte e innalzate di Maria seguono esattamente la
posizione delle braccia del Figlio, rendendo esplicito che l’atteggiamento
orante della Madre è semplicemente un riflesso di Colui che porta nel
grembo, il Figlio di Dio, l’Orante per eccellenza. La preghiera di Maria
− come la nostra − è una partecipazione alla preghiera di Cristo e se uno
prega veramente, lo si vede, perché i suoi modi pian piano diventeranno
quelli di Cristo. Nella preghiera lo Spirito imprime anche in noi la forma
invisibile del Figlio e in Lui ci unisce al Padre.
Questo tipo di immagini mariane è chiamato anche platytera, “più vasta
dei cieli”. Il tuo grembo è più vasto dei cieli, poiché Colui che i cieli non
poterono contenere, il tuo grembo lo ha contenuto canta un inno liturgico
della Chiesa bizantina. Alla meraviglia per un Dio che per noi si fa così
piccolo corrisponde lo stupore per questo grembo materno che riesce
ad abbracciare l’Immenso. Mi fa stupire − scriveva sant’Efrem − che il
parola e arte
della nostra salvezza”, perché in lei contempliamo il “Dio con noi”,
l’Emmanuele, Dio che abita nell’umanità: Il Verbo di Dio pose la sua
abitazione tra gli uomini e si fece Figlio dell’uomo, per abituare l’uomo a
comprendere Dio e per abituare Dio a mettere la sua dimora nell’uomo
secondo la volontà del Padre. Per questo Dio stesso ci ha dato come
‘segno’ della nostra salvezza colui che, nato dalla Vergine, è l’Emmanuele
(Ireneo, Contro le eresie, 3, 20, 2-3).
Per evidenziare la verginità di Maria “prima, durante e dopo il parto”
ci sono le tre stelle, che adornano la sua fronte e le spalle. Ai lati della
Vergine sono raffigurati due angeli che indicano la presenza del divino e
inneggiano alla Tuttasanta.
Romano il Melode mette sulla bocca della Theotokos questa esortazione
alle creature terrestri e celesti: Rallegratevi con me, ora, terra e cielo, poiché
tra le mie braccia io porto il vostro Creatore (Kontakion sulla Natività, II, 2).
Nella foto: La
Vergine del
Segno, detta
anche l’Orante,
1224 ca.,
Galleria
Tretjakov,
Mosca.
parola e arte
6
seno di Maria abbia potuto accoglierti, mio Signore. Sarebbe stata troppo
piccola la creazione intera per nascondere la tua grandezza: troppo stretti,
la terra e il cielo, per essere come braccia per nascondere la tua divinità.
Troppo piccolo, per te, il seno della terra, ma grande per te, il seno di
Maria (Efrem, Inni sulla Natività, XXIII, 11).
L’utero dello Sheol concependolo si lacerò, e come poté sopportarlo
l’utero di Maria? Le pietre sopra i sepolcri egli spezzo con il suo grido,
e come poté sopportarlo il seno di Maria? (Efrem, Inni sulla Natività, IV,
190-191).
E di nuovo, dall’ammirazione per questo grembo “più vasto dei cieli”,
si passa alla lode della condiscendenza divina: Se lei ti poteva portare,
era perché il tuo grande monte aveva alleggerito il suo peso. Se ti poteva
dare cibo, era perché tu avevi (assunto) la fame. Se poteva darti da bere,
era perché avevi voluto aver sete. Se lei ti poteva abbracciare, era perché
il carbone ardente d’amore custodiva il suo grembo (Efrem, Inni sulla
Natività, XI, 5).
A partire da questo grembo, Dio ha
voluto percorrere la via del paradosso
(dall’immensamente grande al
piccolissimo) per farsi prossimo a noi
in un modo percepibile dai nostri sensi:
L’utero di tua madre ha invertito gli ordini
(delle cose): l’ordinatore dell’universo
è entrato ricco ed è uscito povero, vi è
entrato eccelso ed è uscito umile; vi è
entrato splendido ed è uscito vestendo un
colore miserabile. È entrato il prode e si
è rivestito di timore all’interno dell’utero.
È entrato colui che nutre l’universo e
ha assunto la fame. È entrato colui che
abbevera tutti e ha assunto la sete. Nudo e
spoglio è uscito da lì colui che veste tutti
(Efrem, Inni sulla Natività, XI, 7-8).
L’icona della Vergine del Segno è così innanzitutto un’icona della
kenosi divina, icona di quella amorevole condiscendenza divina, di
quell’adattamento di Dio alle nostre dimensioni che fa sì che la creatura
possa contenere il Creatore, che l’umanità possa essere abitata e vissuta
da Dio stesso.
La Vergine del Segno è anche un’icona della nostra divinizzazione. In
una delle sue omelie mariane Nicola Cabasilas diceva che Dio aveva
plasmato il genere umano in vista di sua Madre, e sull’icona della Vergine
del Segno si rende visibile proprio questo. L’uomo è creato non solo in
vista dell’incarnazione del Verbo – cioè non solo ad immagine di Cristo
–, ma anche in vista della divinizzazione – in vista della Theotokos.
Contemplando l’icona facciamo nostro lo stupore dei teologi-poeti,
perché tutti noi siamo stati creati in modo da poter contenere Dio. n
Tempi di calamità e gaudio
profeti non di sventura, ma di speranza
Andrea Toniolo
“Q
uesto vi chiedo: di essere
pastori con ‘l’odore delle
pecore’, pastori in mezzo al
proprio gregge, e pescatori di uomini”.
Con queste parole Papa Francesco si è
rivolto al clero di Roma durante la messa
crismale del Giovedì Santo di quest’anno.
Come molte frasi del Pontefice, essa è stata
spesso riportata sotto forma di slogan o
di battuta ad effetto, facendone perdere
il profondo significato. Il Papa riesce ad
arrivare a tutti in una forma semplice ma
non semplicistica. E contro il semplicismo
vorremmo ripercorrere l’intera omelia
crismale notando il finissimo dualismo
“olfattivo” che il pontefice istituisce tra
l’olio profumato dell’unzione sacerdotale
(il crisma appunto) e la puzza delle pecore.
Una finezza di ragionamento che si
sposa mirabilmente con la chiarezza del
messaggio. Tuttavia, prima di addentrarci
nell’analisi del discorso di Papa Bergoglio,
vorremmo sottolineare come
il tema del pastore si situi al
centro del suo pensiero teologico
soprattutto perché, come è noto,
egli ha più volte rimarcato, e
con forza, il suo essere “vescovo
di Roma”. Questo ricordare il
proprio ruolo episcopale non
deve essere inteso, come spesso
è stato fatto da tanta critica anche
cattolica, come una rinuncia
al proprio ruolo di pontefice
universale. Egli si basa su un
principio molto realistico (e molto
gesuitico) per cui il particolare
è regola dell’universale, la
fedeltà nel poco basa la fedeltà
nel molto. Se ognuno di noi
è sorvegliante (letteralmente
episkopos) del proprio fratello
partendo dalla propria parrocchia
e dalla propria diocesi, allora ciò
7
provocherà una catena universale di amore
e di cura del prossimo che unirà tutto il
mondo. Sarà una catena non annunciata nè
declamata ma profondamente reale, i cui
anelli di congiunzione saranno composti
da tutti coloro che si curano del proprio
vicino e dell’ambiente in cui vivono, a
cominciare dal qui ed ora per arrivare al
mondo e all’universale. Caino non risponde
forse al Signore che lo interroga su Abele
chiedendo a propria volta se fosse lui il
“guardiano del proprio fratello”? Potremmo
proficuamente tradurre “guardiano” con
“vescovo” che significa propriamente
“colui che pone il proprio sguardo sopra”.
Quando si smette di essere “vescovi del
proprio fratello” si apre la via della morte.
Questa riflessione etimologica dovrebbe
porre fine ad ogni sterile diatriba sulla
presunta scarsa attenzione alla universalità
del Papa in favore di una presunta
particolarità dell’essere vescovo di Roma.
8
Ma torniamo all’omelia e al dualismo
odore-profumo. Il Papa inizia il proprio
ragionamento dal Salmo 133: “È come
olio prezioso versato sul capo, che scende
sulla barba, la barba di Aronne, che scende
sull’orlo della sua veste” . L’immagine
dell’olio che si sparge, che scende dalla barba
di Aronne fino all’orlo delle sue vesti sacre,
è immagine dell’unzione sacerdotale che
per mezzo dell’Unto giunge fino ai confini
dell’universo rappresentato nelle vesti”.
Con la parola “confini” torna uno dei temi
più cari a Papa Francesco e cioè quello
delle periferie: “L’olio prezioso che unge il
capo di Aronne non si limita a profumare
la sua persona, ma si sparge e raggiunge ‘le
periferie’. Il Signore lo dirà chiaramente: la
sua unzione è per i poveri, per i prigionieri,
per i malati e per quelli che sono tristi
e soli. L’unzione, cari fratelli, non è per
profumare noi stessi e tanto meno perché la
conserviamo in un’ampolla, perché l’olio
diventerebbe rancido … e il cuore amaro”.
Ecco quindi la prima riflessione “olfattiva”
che si basa sul profumo, uno dei simboli
più forti che l’Antico Testamento utilizza
per suggerire la presenza di Dio. E con il
profumo arriva naturalmente il richiamo
a non cadere nella mondanità spirituale
(altro tema molto caro a Papa Bergoglio).
Non farsi vanto del proprio profumo (e del
colletto inamidato, verrebbe da aggiungere)
e quindi non chiuderlo in una ampolla di
autoreferenzialità; in essa l’olio perderebbe
tutte le sue qualità attrattive. E su questo
tema dell’unzione profumata, non rivolta
a sé ma rivolta all’altro, prosegue il Papa:
“Il buon sacerdote si riconosce da come
viene unto il suo popolo; questa è una
prova chiara. Quando la nostra gente
viene unta con olio di gioia lo si nota:
per esempio, quando esce dalla Messa
con il volto di chi ha ricevuto una buona
notizia. La nostra gente gradisce il Vangelo
predicato con l’unzione, gradisce quando
il Vangelo che predichiamo giunge alla
sua vita quotidiana, quando scende come
l’olio di Aronne fino ai bordi della realtà,
quando illumina le situazioni limite, ‘le
periferie’ dove il popolo fedele è più
esposto all’invasione di quanti vogliono
saccheggiare la sua fede […] E quando
(la gente) sente che il profumo dell’Unto,
di Cristo, giunge attraverso di noi, è
incoraggiata ad affidarci tutto quello che
desidera arrivi al Signore: ‘preghi per me,
padre, perché ho questo problema’, ‘mi
benedica, padre’, ‘preghi per me’, sono
il segno che l’unzione è arrivata all’orlo
del mantello, perché viene trasformata in
supplica, supplica del Popolo di Dio”.
Il profumo che rimane chiuso nelle
9
sagrestie o peggio ancora nei propri spazi di
autocompiacimento, è un dono sprecato.
“Il sacerdote che esce poco da sé, che unge
poco - non dico ‘niente’ perché, grazie a
Dio, la gente ci ruba l’unzione - si perde
il meglio del nostro popolo, quello che è
capace di attivare la parte più profonda del
suo cuore presbiterale. Chi non esce da sé,
invece di essere mediatore, diventa a poco
a poco un intermediario, un gestore. Tutti
conosciamo la differenza: l’intermediario
e il gestore ‘hanno già la loro paga’ e
siccome non mettono in gioco la propria
pelle e il proprio cuore, non ricevono
un ringraziamento affettuoso, che nasce
dal cuore. Da qui deriva precisamente
l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono
per essere tristi, preti tristi, e trasformati in
una sorta di collezionisti di antichità oppure
di novità, invece di essere pastori con
‘l’odore delle pecore’ - questo io vi chiedo:
siate pastori con ‘l’odore delle pecore’, che
si senta quello, e pescatori
di uomini”.
Il profumo diventi quindi
puzza, o meglio, il
profumo trasfiguri la puzza
e risollevi lo sguardo al
cielo. Ecco un altro grande
paradosso della fede e
della missione cristiana.
Chi è nel profumo non
stia chiuso in sé ma porti
il suo carisma negli altri,
per gli altri. Non viva in
una pasticceria (per usare
un’altra immagine del
Papa). Usi il suo dono per
la condivisione. Nelle
parole del Papa: “La nostra
gente ci senta discepoli
del Signore, senta che
siamo rivestiti dei loro
nomi, che non cerchiamo
altra identità; e possa ricevere attraverso le
nostre parole e opere quest’olio di gioia che
ci è venuto a portare Gesù, l’Unto”.
Papa Francesco conclude la propria omelia
riferendosi all’Unto per eccellenza che si
è calato nell’odore delle proprie pecore.
Questo finale non ci sembri scontato. Egli
ci suggerisce che il vero senso dell’olio (del
profumo tra l’odore) è il sacrificio; perché
in Cristo l’olio dell’unzione si è trasformato
in sangue che cola dalla croce. Per chiarire
questo concetto non può esserci forma
migliore che l’arte figurativa. I pittori hanno
espresso la consustanzialità dell’olio e
del sangue rappresentando la Maddalena
affranta che fissa i piedi trafitti del Signore.
Ella fissa quei piedi sanguinanti che erano
stati lavati e unti, realizzando, con tutta la
forza che solo la vita può suggerire, come
tra il privilegio dell’unzione e la morte per
gli altri vi sia assoluta coincidenza. n
La bellezza che salva
Una traccia di contemplazione pasquale
Andrea Arvalli
10
N
ella celebrazione della Settimana
Santa suscita sempre profonda
emozione l’ouverture gioiosa e
tripudiante dell’ingresso glorioso di Gesù
in Gerusalemme. Com’è forte il contrasto
che la liturgia della domenica delle Palme
presenta fra il suo avvio gioioso e l’austera
lettura del Passio!
paragonabili a quel fugace mattino, ma
insieme ci domandiamo che razza di
gioia fu mai quella subito smentita dalla
passione? Non fu un’illusione quella
gioia così effimera? Perché mai allora gli
evangelisti sentirono il bisogno di narrarla?
Davvero c’era necessità di farlo, non
sarebbe stato meglio passarla sotto silenzio?
Il Padre Rossi De Gasperis, tentando di
La processione delle palme, con i canti,
rispondere a queste domande invita a
e l’incenso spalanca il cuore allo slancio,
considerare come spesso nelle Sacre
alla gioia, ed alla speranza, lasciando di
Scritture le cose
per sé presagire
belle create da Dio
un esito tutt’altro
sembrano durare
da quello tragico
poco. La gioia
che viene poi letto
Un cuore gioioso
dell’Eden dura per
nella seconda parte
è il normale risultato Adamo ed Eva lo
della liturgia. Ogni
di un cuore che arde d’amore
spazio d’un soffio,
anno le giornate
non solo, ma nelle
drammatiche
pagine successive
dell’incomprensione,
del rifiuto e del
vedremo il sangue
d’un cruento fratricidio, ed un’alluvione
fallimento di Gesù si aprono con la gioia
che pare segnare la fine della vita sulla
dei fanciulli di Gerusalemme che cantano
terra.
e danzano al suo ingresso nella città
Anche nella storia d’Israele lo schema si
santa. Non vi è forse in questo contrasto
ripete: il regno di Davide non resta unito
tanto stridente qualcosa su cui meditare?
nemmeno ottant’anni, e quel che ne resta
Durante la sua vita pubblica Gesù non
conobbe momenti di gloria e consolazione
tramonta dopo quattro secoli con l’esilio
babilonese.
Anche a Gesù le cose belle
non sembrano riuscire: dei
dodici discepoli uno tradisce,
gli altri lo rinnegano, e
il suo unico momento di
gloria, l’ingresso trionfale a
Gerusalemme, è il preludio
della passione.
Anche nella nostra vita le
cose belle durano poco. Non
alludo solo alla bellezza fisica,
non si tratta solo di questo,
11
certo la freschezza delle gote luminose, di
strade più difficili della storia, e bagnandole
un sorriso giovanile, o i capelli neri, sono
con il suo pianto.
doni che passano presto. Tuttavia anche
Gesù nell’atto di entrare a Gerusalemme,
altre dimensioni della vita sono toccate
si ferma e piange (Luca 19,41-44) non
da questa logica. Quanta gioia e quanta
già maledicendo Gerusalemme, ma
speranza v’è in tutti noi quando otteniamo
amaramente constatando la chiusura di
un diploma, una laurea, o nel giorno
cuore del suo popolo. Tuttavia proprio
del nostro matrimonio, della vestizione,
attraverso queste lacrime apre la via ad un
della professione religiosa, o delle sacre
orizzonte di salvezza definitivo.
ordinazioni! Ma cosa rimane poi di quella
gioia di lì a pochi anni? Che ogni gioia
È attraverso queste misteriose strettoie
debba essere provata dalla vita, è una verità
che il Padre realizza le profezie di
che tutti pensiamo
salvezza. Sentendo
di sapere, eppure
il bisogno di
quando accade
ricordare l’ingresso
Occorre un colpo d’ ala
a noi di doverlo
trionfale di Gesù
contro il pessimismo,
sperimentare ci
a Gerusalemme è
troviamo sempre
come se i quattro
soprattutto fra i credenti
impreparati, e ci
evangelisti avessero
assale lo scetticismo.
voluto dirci: “Fate
attenzione, sì quella
Chi non conosce lo
gioia dell’ingresso
scoraggiamento, la delusione, la perdita
di Gesù a Gerusalemme fu presto smentita
d’entusiasmo dopo le prime difficoltà? Da lì
da una grande sofferenza. Eppure, alla luce
poi può iniziare una pericolosa deriva verso
della Pasqua, dobbiamo dire che quella
il cinismo, il pessimismo, la rassegnazione,
gioia non fu vana, né fuori posto. La Pasqua
il lamento amaro, l’abbandono degli ideali.
ci insegna che chi a Gerusalemme aveva
Avremmo dovuto sapere che le cose belle
accolto Gesù, aveva effettivamente accolto
devono essere provate con il fuoco, ma ci
il Re Messia annunciato dai profeti! Nulla
siamo invece lasciati abbattere. Il crollo
è andato perduto di quella giornata!”.
delle speranze umane avrebbe potuto e
L’ingresso a Gerusalemme rimane così
dovuto diventare il punto di partenza di una
profezia evangelica dell’accoglienza
nuova speranza, invece ci siamo lasciati
escatologica che l’Israele definitivo riserva
invadere dal dispetto, dal risentimento e
a Gesù Messia e Signore. Il senso di quel
dall’amarezza.
trionfo modesto non era perduto, quella
bellezza apparentemente sprecata non era
Celebrare il mistero pasquale, vivere
stata inutile.
un’esistenza pasquale significa saper
sostituire alle morte speranze umane
La grazia speciale del tempo di Quaresima
la speranza risorta in Cristo. Nella luce
e di Pasqua ci aiuta a far passare qualcosa
pasquale comprendiamo che Dio non
di tutto questo nella nostra vita. Anche
realizza i nostri sogni, ma le sue promesse.
noi abbiamo l’impressione che tante cose
Il mistero pasquale ci parla di un Dio che
belle della nostra vita siano andate sprecate
realizza le sue promesse passando per le
per sempre: le promesse infrante, i sogni
12
la bellezza è
l’espressione visibile
del bene,
mancati, i progetti
falliti, sono per noi
come altrettante
ricchezze perdute,
pezzi smarriti della
nostra vita. Tuttavia le cose belle donate da
Dio non sono mai perdute.
La conversione evangelica sta nella
capacità di trovare motivi di speranza anche
nel crollo delle nostre speranze. Come tutti
anche noi credenti facciamo l’esperienza
di ammalarci, fallire, commettere peccati,
ma la chiamata ricevuta non sta nell’essere
esentati dall’esperienza della fragilità,
ma nel “dare ragione della speranza
che è in noi” (1Pt.3,15-16) anche nelle
prove. Le promesse di Dio si realizzano
anche attraverso i nostri fallimenti, per
itinerari misteriosi
ed imponderabili.
Rileggere i fatti della
passione alla luce
della risurrezione ha
portato gli apostoli a scoprire la passione
come il cammino verso una speranza
che pareva morta, e che invece era viva.
Quando qualcosa inizia ad andare storto,
proprio allora il Signore inizia ad agire.
Eravamo partiti carichi di convinzioni e di
entusiasmo, avevamo un progetto bello,
tanto a lungo accarezzato, tutto pareva
procedere al meglio. Poi d’improvviso,
dopo una breve luna di miele, ecco
nascere le difficoltà che presto divengono
insormontabili.
La vera sfida consiste allora nell’imparare a
credere in Lui. La speranza risorge quando
iniziamo a credere che comunque Egli
realizzerà i suoi progetti migliori, anche
attraverso i nostri sogni infranti. La Pasqua
ci parla di una vita che abbraccia anche
la Morte. Le cose belle come le faremmo
noi non durano che un istante, ma Dio sa
come fare bene tutte le cose. La bellezza
che salva non esita a passare attraverso le
impervie strade degli uomini, profezia che
ha già iniziato a realizzarsi nella storia, pur
segnata dalla lotta e dal pianto. n
Cantoria della Robbia,
OPA Firenze
Sincletica monaca,
donna libera per
Dio
Filocalica smsd
13
da un altro grande della cristianità
Accanto ai Padri della Chiesa sono
alessandrina, sant’Atanasio, che guarda la
esistite alcune Madri della Chiesa, la più
rappresentazione del suo crepuscolo nel
celebre delle quali è Santa Sincletica,
disfacimento fisico: divenuta un agnello
detta la madre del deserto. Nata in una
sacrificale afono come il Servo messianico
famiglia della nobiltà alessandrina, ma di
cantato dal profeta Isaia (53,7), fissa
origine macedone, Sincletica alla morte
lo sguardo sull’Invisibile perché le cose
dei genitori rinunciò alla ricca eredità,
visibili sono di un momento, quelle
preferendo ritirarsi in una caverna per
invisibili sono eterne (cf G. Ravasi in Il Sole
condurre una vita appartata e di preghiera.
24 Ore del 4 agosto 2013).
La fama delle sue virtù e della sua santità
richiamò molte persone, alle quali la
Sincletica è tra le donne che, come
donna rivolse quegli insegnamenti che
i numerosi cristiani del IV secolo, si
costituiscono il nucleo più cospicuo della
spinsero nel deserto egiziano in cerca
sua biografia. La Vita di Sincletica, madre
di una vita radicalmente evangelica. Si
del deserto, è stata a lungo attribuita ad
inoltrò nel deserto assieme alla sorella
Atanasio, l’autore della Vita di Antonio (ca.
non vedente, per
355), (PG 28,1487vivere ancor più
1558), con la quale
nel nascondimento.
presenta ampi
Le persone grandi
La sua fama
parallelismi; ora
sono
crebbe tuttavia a
non più, e si ritiene
innanzitutto umili
tal punto che si
che sia un testo di
radunarono attorno
origine egiziana da
a lei molte giovani
datarsi al V secolo.
desiderose di essere
guidate nella lotta spirituale e nell’ascesi
È un racconto dallo stile «faticoso,
monastica. Sincletica, dopo un’iniziale
ridondante, ripetitivo, ma…, a
contrarietà, diede vita assieme a loro
differenza delle successive produzioni
a una forma di vita quasi cenobitica,
dell’agiografia orientale, lascia poco
nella quale il riferimento centrale era
spazio al meraviglioso» così la descrive
l’obbedienza, che essa riteneva via più
Lisa Cremaschi monaca della comunità
sicura per acquisire la povertà del cuore
di Bose in Donne di comunione. Vite di
rispetto alla purificazione consentita dalla
monache d’oriente e d’occidente, Edizioni
mera ascesi anacoretica.
Qiqajon 2013, pp. 79-146, che apre il
sipario sulle sue colleghe dei primi secoli,
vere e proprie matriarche o madri della
Sulle tracce di Gesù, mite e umile di
Chiesa da accostare a patriarchi e padri
cuore, Sincletica visse e condusse
della cristianità. Sincletica, celebrata negli
molte discepole alla gioia profonda
Acta sanctorum come la perla ignorata da
che è accessibile nella vita cristiana a
molti, è una donna patrizia di Alessandria
chi accetta di vivere un cammino di
d’Egitto, ritiratasi a vita contemplativa
abbassamento per amore. Sincletica morì
in uno dei tanti edifici funerari egizi
dopo una lunga e tragica malattia, che ne
orientati verso il Nilo. Potente nel
sfigurò il viso e che la rese muta e cieca,
suo ritratto biografico abbozzato
Come la cera si scioglie
accanto al fuoco,
così l’anima si svuota
se cerca le lodi
14
senza peraltro impedirle di rimanere con
la propria vita, sino alla fine dei suoi
giorni, testimone eloquente della buona
notizia del Vangelo.
I suoi preziosi insegnamenti sono
raccontati nella Vita. La parte centrale
del libro riguarda il pensiero di Sincletica
sui “pensieri malvagi”, una riflessione
di estrema attualità, capace di una
fine e moderna analisi psicologica sui
meccanismi del male che ciascuno
sperimenta dentro di sé. Sincletica è
una prova che esiste un monachesimo
femminile anche se molto inferiore rispetto
a quello maschile, sia perché le monache
sono vissute in maggiore isolamento
religioso, sia perché gli archivi dei loro
monasteri, trovandosi in zone di clausura,
sono rimasti inaccessibili agli studiosi.
Gli studi più recenti rilevano che le fonti
letterarie occidentali segnalano l’esistenza
di comunità femminili anteriormente
a quella di comunità maschili. Come
Sincletica altre donne. Ambrogio di
Milano, nel 376, descrive la vita di un
gruppo di donne bolognesi votate alla
verginità e impegnate a diffondere il loro
ideale fra altre donne.
Nel 384 la lettera di due preti cita un’altra
comunità femminile stanziata nella
Tebaide egiziana. Nello stesso anno, a
Roma, Girolamo descrive la comunità
di Lea, ottima madre spirituale usando il
termine monastero. È con queste notizie,
tutte riferite a donne, che il monachesimo
cristiano entra nella letteratura latina.
Apoftegmi di Sincletica
Come un tesoro scoperto va perduto, così
qualsiasi dono sbandierato da chi se ne
vanta, svanisce.
Come è impossibile costruire
una nave senza chiodi, così
è impossibile raggiungere la
salvezza senza l’umiltà.
L’umiltà viene esercitata in
mezzo alle violenze, tra le
piaghe; affinché ascoltino lo
stolto e l’insipiente, il povero e
il misero, il malato e l’invalido,
lo sbadato nell’agire, chi fa
proposte irragionevoli, chi ha un
aspetto disprezzabile, il debole
di forza. Questi sono i nervi
dell’umiltà.
Principio e fine delle virtù è
che tu sia povero. Dice infatti
il Signore: «Imparate da me
15
che sono mite e umile di cuore». Presta
attenzione a chi parla così, diventa suo
perfetto discepolo. Dice povero il modo
di pensare, non solo l’apparenza, accenna
velatamente all’intimo dell’uomo: infatti,
anche l’esterno si conforma ad esso.
Sincletica disse: «Grande è il travaglio
e lo sforzo per coloro che inizialmente
si accostano a Dio. Infatti, come coloro
che desiderano accendere un fuoco,
agli inizi si affumicano e lacrimano e in
questo modo riescono nell’intento, così
è necessario che anche noi, poiché si
dice che il nostro Dio è un fuoco che
consuma, accendiamo il fuoco divino
piangendo e faticando».
Disse ancora: «È bene non adirarsi. Se ciò
accade, chi ha detto: “non tramonti il sole
sulla vostra ira”, per questa passione non ti
ha concesso neppure un giorno di tempo.
E tu aspetti che passi tutta la tua esistenza?
Perché odiare chi ti ha procurato noia? Il
torto non è suo, ma del diavolo. Prenditela
col male, non col malato!».
Disse inoltre: «Quando stiamo nel cenobio
è preferibile l’ubbidienza all’ascesi: una
infatti insegna l’orgoglio, l’altra l’umiltà».
Disse ancora: «Occorre che noi guidiamo
l’anima con discernimento. Stando nel
cenobio, non dobbiamo fare i nostri
interessi, né seguire la nostra opinione,
ma dare retta a chi ci è padre per fede»
Disse inoltre: «Se sei in un cenobio, non
mutar di luogo perché ti causerebbe un
grande danno: come un uccello, che lascia
le uova, le rende infeconde, così pure il
monaco o la vergine che vanno in giro, si
raffreddano e si spengono alla fede».
Disse ancora:«Imita il pubblicano, affinché
tu non sia condannato insieme al fariseo.
Scegli la mansuetudine di Mosè, perché
il tuo cuore, che è duro come pietra, si
trasformi in una fonte d›acqua»
PREGHIERA
Saggiamente hai guidato la vita comune
consigliando alle tue compagne
di dimorare stabilmente in un luogo.
Con le tue parole e il tuo esempio,
non hai temuto di rendere alle monache
questo servizio nella verità.
Per la sua preghiera, Dio nostro,
abbi pietà di noi e salvaci. n
La Parola di Dio e la fede
Omelie del beato Luca Passi
Emmarosa Trovò smsd
16
I temi della fede e della Parola di
Dio, nella scaletta degli appunti di
predicazione che don Luca ci ha
lasciato, occupano un riferimento
rilevante, a significare l’importanza che
egli attribuiva alla riflessione e proposta
di questi argomenti per favorire il
processo di conversione e cambiamento
di vita nei suoi uditori. La predica sulla
“Necessità di ascoltare la Parola di Dio”
porta il numero uno nello schema di
predicazione, tenuta nella Chiesa dei
Carmini a Venezia nel 1861 e l’altra
sulla “Necessità della fede per ascoltare
con frutto la Parola di Dio”, il numero
diciotto, anche se non porta la data
e, però, egli annuncia che la prima
predica sarà seguita dalla seconda.
Le due proposte, quindi, sono a
integrazione l’una dell’altra. Ambedue sono
supportate da un riferimento alla parola
di Dio, soprattutto dell’Antico Testamento,
ma non solo, e ricalcano il compito che i
profeti Geremia ed Ezechiele in particolare,
hanno svolto rispetto al popolo d’Israele,
accogliendo l’ordine da Dio di annunciare
la Parola e invitando il popolo ad
accoglierla con cuore aperto e disponibile.
Non mancano inoltre riferimenti e richiami
ricavati dalle lettere di Paolo.
Necessità di annunciare la Parola
Nella prima predica, riflettendo sulla
cultura a indirizzo illuministico del suo
tempo, don Luca nota come il conflitto
tra ragione e fede metta la prima in
opposizione alla seconda, giacché, egli
afferma: “viviamo in un’età oltremodo
gonfia di sé medesima e che crede di
innalzare sé stessa col detrarre le età
passate” (Predica, 1, p.5). A fronte
dell’indifferenza religiosa, trionfa la
ricerca di evasione, l’ostentazione della
ricchezza, la fame di potere: “dappertutto
[…] un lusso che non riconosce misura,
divenuto costume […]. Che dirò poi della
sete dell’oro divenuta oggi si può dire
la passione dominante. Tutti vorrebbero
ingrandire, innalzarsi. Da questo deriva
poi tanta malafede nel commercio, tante
frodi nelle arti, tante usure nei prestiti; a
dir tutto in breve, di tutto si fa mercato
persino della coscienza” (idem, p.6).
Tuttavia, aggiunge, la religione che si
condanna e si rifiuta non si conosce o
è ridotta a puri atti di culto. Il vangelo
non si osserva e non si vive, perché non
è conosciuto. Ed ecco il compito del
missionario che è quello di annunciare
e di far conoscere. Don Luca ricorda
come Dio ordinò al profeta Ezechiele
di annunciare senza timore la Parola:
“E da ciò si saprà che c’è un profeta
che parla in nome di Dio” (Ez 2, 3 ss.),
perché è fondamentale l’ascolto di Dio,
ma per ascoltare ci vuole chi annunci,
e se “riguardandoti come uno di loro si
ridessero di tue minacce, gli dirai che
vieni in nome mio e che loro la mia
parola annunci”. Anche a Geremia,
citano sempre gli appunti, allorché
venne mandato in qualità di profeta ai
figli d’Israele, Dio disse: “Ecco che io
ti ho posto sulle labbra le mie parole
e ti ho costituito sovra le nazioni ed i
regni, affine ad estirpare e distruggere,
disperdere e dissipare, e finalmente
perché tu abbia ad edificare e piantare
(Ger 1, 9 ss.)”. Don Luca, perciò, forte di
questi riferimenti, presentandosi ai suoi
ascoltatori, ritiene importante chiarire
che non è mosso da iniziativa personale,
ma si presenta quale inviato, in forza
del dovere che incombe al profeta di
17
trasmettere non parole sue, bensì parole
che egli stesso ha ascoltato e accolto.
Il compito missionario si alimenta con
la personale familiarità con la parola
biblica, masticata nella preghiera,
nella riflessione, nella contemplazione
personale, possibile mediante il dono
dell’intelletto che sostiene sia colui
che annuncia come colui che ascolta,
dacché, per comprendere quanto si
ascolta è necessaria una luce, cioè il
“lume dell’intelletto, riconosciuto dallo
stesso profeta Davide: Benedicam
Dominum qui tribuit mihi intellectum”
(Sl 16,7). Dio comunica questo dono agli
uomini, sostiene sempre don Luca, con
la “predicazione esterna che fa risuonare
alle orecchie la verità e con le illustrazioni
interne che fanno sentire al cuore la
verità” (Predica, 1, p.11).
Le due vie comunque procedono sempre
insieme: “Se tace il suono della parola al
di fuori, tace anche il suono della divina
grazia al di dentro” (idem).
La parola divina fa da veicolo a tutte le
grazie interne che Dio vuole diffondere
su di noi: “Sembra veramente che Dio nel
fondare la sua chiesa abbia legate tutte le
sue grazie, tutta la forza dei Sacramenti
e la salute intera del mondo alla sua
Parola” (idem). È la Parola divina che ci
rigenera nel Battesimo, che ci assolve nella
Penitenza, che ci prepara un cibo divino
sui nostri altari. È sempre dalla Parola
che è scaturita e si è diffusa la religione,
poiché “piacque a Dio donare la salvezza
ai credenti, mediante la stoltezza della
predicazione: placuit Deo per stultitiam
praedicationis salvos facere credentes”
(1Cor 1, 21). Da ciò l’importanza di
ascoltare la divina parola e di annunciarla.
Non ci sono scuse che giustifichino né
gli annunciatori né gli ascoltatori. “Si
deve annunciare per istruire, per scuotere
le coscienze, per confermare, perché lo
Spirito santo diffonda nei cuori la sua
grazia; e chi è ignorante ha la morale
necessità di ricevere le istruzioni, di
accogliere gli ammonimenti, preparando
così la via alla grazia ” (idem).
La parola di Dio e la fede
La condizione fondamentale dell’efficacia
dell’ascolto, afferma sempre don Luca è
la fede, pena il rischio di rendere vana
la predicazione, anche se al profeta Isaia
Dio confida: “ La mia parola non tornerà
a me vuota: Verbum meum non recedetur
ad me vacuum” (Is 55, 11). Tuttavia, come
ricorda Paolo, “la fede viene dall’ascolto
e l’ascolto riguarda la parola di Cristo:
fides ex auditu et auditus autem per
verbum Christi” (Rom 10,17), istituendo
una specie di movimento circolare fra
fede e parola, fra annuncio e ascoltoaccoglienza di esso. Don Luca lo propone
con forza: “Negli eterni decreti è fisso
che la religione si stabilisca e si propaghi
per mezzo della parola” la quale a sua
volta alimenta la fede. Per questo Paolo ai
Tessalonicesi dichiara: “Per questo anche
noi rendiamo continuamente grazie a
Dio perché, ricevendo la parola di Dio
che noi vi abbiamo fatto udire, l’avete
accolta non come parola di uomini ma,
qual è veramente, come parola di Dio,
che opera in voi credenti; gratias agimus
Deo sine intermissione, quoniam cum
accepissetis a nobis verbum accepistis
illud non ut verbum hominum sed, sicut
est vere, verbum Dei quod et operatur
in vobis (1Tes 2, 13)”. Come dichiarò
Gesù nel vangelo: “Chi ascolta voi ascolta
me” (Lc 10, 16), anche se “la divina
18
parola è efficace in proporzione delle
disposizioni dei soggetti su cui agisce,
cioè opera conforme il modo con cui
viene ricevuta; […] e se ricevuta come
Parola di Dio ad essa egli comunica di
possanza e diviene vento impetuoso che
abbatte, o fuoco divoratore alla cui attività
niente resiste” (Predica, 18, p.4). Ma,
egli aggiunge, servono delle disposizioni
o delle condizioni “perché la parola di
vita fruttifichi” (idem), e sono umiltà
d’intelletto e docilità di cuore: umiltà per
sottomettere l’intelletto alle massime del
Vangelo; docilità per piegare il cuore
secondo le massime del Vangelo. Le due
condizioni, afferma sempre don Luca, è
difficile si possano ottenere con la sola
parola umana, soprattutto quando essa
contraddice la ragione, cioè richiede di
fare del bene in contraccambio a chi ci
fa del male, o di porgere l’altra guancia
a chi ci percuote, o offrire pure la tonaca
a chi chiede il mantello, ad amare la
povertà e non la ricchezza, così come
tutto il messaggio delle beatitudini. E se
questo è difficile da accettare sul piano
della conoscenza e della dottrina, ancora
più difficile è far aderire a questa parola
il cuore e assumerla e sperimentarla nella
vita ordinaria quotidiana. Se consideriamo
le scuole dei filosofi, soprattutto le scuole
sorte nell’antica Grecia, costatiamo che in
esse, così dichiara don Luca, non è fiorita
molta virtù, mentre alla predicazione
di Giona “cangiar costumi una città
dissoluta” (Gio 3, 1 ss.); “ai parlari di
un Esdra licenziarsi le spose straniere
egualmente dal popolo che dai principi
di Israele” (Esd 9 ss.), ed “alla voce di
pochi rozzi pescatori riformarsi il mondo
intero” (Predica, 18, p. 6). Mentre i filosofi
parlavano con parole d’uomo in nome
dell’uomo, i secondi parlavano come
inviati di Dio e, trovando docile il cuore,
consentirono che “la verità poté passare
dall’intelletto al cuore” e rinnovare il
comportamento. Inoltre chi annuncia la
parola di Dio genera la fede in chi ascolta
se parla con sincerità. Basta riferirsi alla
franchezza con cui Natan parlò a Davide
(2 Sam 12, 1 ss.); Michea parlò ad Accab
(Mi, 3 ss.); il Battista ad Erode (Mt 14, 1
ss.), Stefano ai suoi uccisori (Atti, 7 ss.).
Ancora: la parola di Dio è semplice e
si comunica ai semplici perché cade in
un terreno su cui frequenti scendono le
divine rugiade e, perché benedetto da Dio,
produce erbe utili a quanti lo coltivano,
ma se infestato da spine e rovi, non vale
nulla e finirà bruciato (cfr Eb 6, 7).
Del resto, il primo miracolo dopo la
discesa dello Spirito Santo fu il dono delle
lingue perché tutti intendessero la parola,
dando conferma di quanto Paolo già ha
ricordato, cioè che “Dio volle donare la
salvezza ai credenti mediante la stoltezza
della predicazione” (1Cor 1, 21).
Conclusione
L’Esortazione Apostolica postsinodale
Verbum Domini di Benedetto XVI,
raccogliendo i contributi della XII
Assemblea Generale Ordinaria del
Sinodo dei Vescovi del 2008, offre
un’ampia riflessione sulla Parola di Dio
e la missione della Chiesa e ricorda
come tutta la vita della chiesa, la liturgia,
la catechesi, la teologia attingano alla
Bibbia, rendendola parola viva e attuale.
Leggendo gli appunti delle prediche
che ho tentato di presentare, colpisce
come tutto il pensiero di don Luca sia
intessuto di riferimenti a testi biblici, ne
proponga letteralmente continui richiami
e come, fatto salvo lo stile certamente
non più attuale, tutta la trama del suo
parlare rimandi a una familiarità ampia
e profonda con il testo rivelato, assunto
certamente, non si può essere smentiti,
non solo attraverso lo studio e la dottrina,
ma attraverso lunghe meditazioni e
intenso tempo di preghiera. Così esse
fanno emergere, in modo sempre più
definito, anche il profilo spirituale e la
statura sacerdotale di questo beato, a
conferma del giudizio dei contemporanei
sul fascino della sua predicazione, ma
ci offrono insieme la chiave segreta
per comprenderne l’efficacia e dar
ragione della vastità della sua azione e
dell’incidenza della sua opera, quale
monito per noi, oggi, di alimentare la
nostra spiritualità con il contatto vivo,
prolungato e orante con la Parola di
Dio, fonte e nutrimento della fede della
Chiesa. n
Don Luca Passi
Lettere
Ritalberta Mazzoni smsd
Sono per lo più lettere di organizzazione
pratica, in quanto relative agli impegni
di predicazione e organizzazione della
Pia Opera di Santa Dorotea, che Don
Luca desiderava venisse “sparsa in
tutto il mondo, vedendo il gran bene
che si ottiene da per tutto”; trattative e
sostegno per la fondazione dell’Istituto
religioso, specie nella città di Brescia,
che affidò alla direzione della maestra
Marina Marini. A lei, divenuta in seguito
superiora provinciale e poi generale sono,
infatti, indirizzate la quasi totalità delle
lettere. Molte altre, di specifica direzione
spirituale e ritenute le più belle, che Don
Luca scrisse alla stessa superiora e ad
altre religiose, purtroppo sono andate
perdute: consegnate a Don Angelo
Teanini, prevosto di Almenno S. Salvatore
(Bergamo), non si sono più trovate: morì
inaspettatamente prima di comporre la
biografia che gli era stata commissionata.
Tuttavia, la raccolta che viene presentata
(452 lettere, che vanno dal 1819 al
1866), benché incompleta, rivela un
cuore grande, aperto a Dio e ai fratelli; dà
un’ampia visione di quella meravigliosa
koinonia
L’
Istituto delle Suore Maestre di S.
Dorotea ha voluto perpetuare il
ricordo della beatificazione del
suo Fondatore, il Servo di Dio Don Luca
Passi, anche raccogliendone le Lettere
in una elegante e ben curata edizione,
stampata dalla Tipografia Vaticana. Il
volume, desiderato da tempo dalle
dorotee, e da esse accolto festosamente
come prezioso dono del loro Padre, è
documento importante per conoscere
meglio non solo la vastità e l’intensità
dell’azione apostolica svolta da Don
Luca, ma soprattutto lo zelo che lo
animava per la gloria di Dio e il bene
del prossimo, e così far tesoro dei suoi
illuminati insegnamenti. L’epistolario
mette pertanto in animo il desiderio
di riscoprire i tratti quotidiani della
sua santità, della sua appassionata
testimonianza del Vangelo, e “aiuta
ad alimentare quel fuoco di carità che
egli desiderava vedere sempre acceso
nelle nostre case” (dalla Presentazione
della Superiora generale, Madre Teresa
Simionato).
19
KOINONIA
20
corrente di carità spirituale che circolava
tra Don Luca e tante persone significative
del suo tempo: fondatrici e fondatori,
molti dei quali da tempo elevati agli onori
degli altari come: Maddalena di Canossa,
Bartolomea Capitanio, Crocifissa di
Rosa, Teresa E. Verzeri, Paola Frassinetti e
Annunciata Cocchetti – Antonio Gianelli,
Lodovico Pavoni, Antonio Rosmini, Luigi
Palazzolo, Giovanni Antonio Farina e il
Papa Pio IX, cui si aggiungono tanti altri,
dalla Chiesa già riconosciuti venerabili.
Veramente una lunga catena di santa
amicizia, alla quale era strettamente unito
anche l’amatissimo fratello Don Marco.
Indirettamente poi è documentata, anche
attraverso le numerose note poste in calce
alle lettere, la stima e benevolenza che
il Passi riscuoteva non solo da autorità
religiose e civili, ma da un numeroso
coro di popolo, semplice e devoto,
che affollava le chiese durante la sua
“robusta” predicazione di “missionario
apostolico”. La sua fede-speranza e
carità, la sua affabilità, la sua edificante
testimonianza, l’ardente desiderio che
lo consumava, perché piccoli e grandi
si avvicinassero a Dio, lo facevano
credere “uomo tutto di Dio”, ed era
quindi naturale che, ovunque passava,
germogliassero frutti di bene. Possano
tali frutti maturare ancora oggi, aiutando
in particolare le suore e i cooperatori
dell’Opera di S. Dorotea a tenere vivo il
suo spirito e ad imitarne la santità. n
Venezia Casa
Madre, ingresso
Cappella dove
riposa don Luca
L’amore parla di Dio
lungo i sentieri della pasqua
Fernanda Barbiero smsd
Un’esistenza al ritmo della Pasqua
Nella vita spirituale di don Luca l’eucaristia
occupa un posto privilegiato fin dai
tempi della formazione al sacerdozio, sia
nell’adorazione, sia nella celebrazione
della S. Messa. La sua lunga esistenza
sacerdotale, conferma questa impostazione
eucaristica - pasquale. Non sorprende
perciò che agli occhi di chi lo conosceva
egli desse prova di essere uomo di Dio,
tutto preso da pensieri e progetti di bene
per la gloria di Dio. La cognata Elisabetta
Zineroni nei suoi Appunti lo descrive così:
“Sentiva la religione, anzi non viveva che
per questa in un modo straordinario. Il
bene della Chiesa, la sua prosperità erano
i suoi pensieri, le sue gioie; afflizioni i suoi
combattimenti. Quando celebrava la S.
Messa o era esposto il SS. Sacramento
sembrava alle volte che andasse in estasi.
Quando non aveva da predicare, si può
dire che fosse sempre in orazione”.
Giustamente, la contessa rimarca il grande
amore di Don Luca per la Chiesa, per
l’Eucarestia e la vita di orazione che curava
con esemplare assiduità.
La logica dell’amore che dona se stesso
Uno degli aspetti singolari dell’esperienza
pasquale secondo don Luca è quello del
fare la comunione: fare comunione col
Signore Gesù. Lo dicono le molte lettere
indirizzate alle suore. Fare comunione
col Signore Gesù significa davvero
immergersi nell’intero mistero pasquale,
significa morire col Signore Gesù, perché
ci cibiamo del suo corpo spezzato e del
suo sangue versato, ma significa anche
attraversare il mistero della morte nella
luce pasquale che, con la forza dello
Spirito Santo, rinnova quel corpo e
quel sangue chiamandolo alla pienezza
della risurrezione. Fare la comunione,
espressione ricorrente, quasi a indicare
che cibandoci dell’eucarestia siamo
inevitabilmente raggiunti dalla stessa logica
di amore con cui il Signore Gesù ha dato
se stesso, morendo per noi e risorgendo
a vita nuova. Allora fare la comunione è
dinamicamente venire coinvolti, con tutto il
nostro essere, nell’intera vicenda pasquale
del Signore Gesù. Un’attitudine tanto
preziosa e feconda per don Luca che si era
fatto apostolo della comunione frequente.
Egli diffondeva “pensieri sulla Comunione
frequente” (cf. lett. 33); consegnava o
spediva libretti per rendere le sue figlie
spirituali “tutte amanti ardenti di Gesù
Sacramentato” (lett. 269).
“Parlava spesso dell’adorabile mistero
della SS. Eucaristia […] e concludeva: è un
mistero di bontà, un amore che non si può
capire!”.
Il fuoco dell’amore che accende e
infiamma
Come responsabile nella Confraternita
del SS. Sacramento, viene a trovarsi nella
privilegiata condizione di crescere sempre
più nell’amore e adorazione a Gesù
Sacramentato, e nello zelo per promuovere
21
spazop don luca
D
on Luca trova nel mistero della
Pasqua il segreto e la grazia di
dare la vita per il fratello, di
generarlo alla vita in Cristo. È la realtà più
straordinaria che il Signore Gesù ci ha
lasciato:“un mistero di bontà”, “un mistero
di amore che non si può capire”.
Il Fondatore, in modo assai diretto
considera il mistero pasquale presente nel
Sacramento dell’amore: sacramento che
racconta la salvezza offerta dalla passione
e morte e resurrezione del Signore. L’amore
-dunque- è la via pasquale alla salvezza. E
la salvezza si compie nell’amore.
spazio don luca
22
la devozione negli associati. Impara a
riproporre in sé le stesse caratteristiche
del suo Signore, che fatto pane per amore,
rende il suo discepolo pane per gli altri.
“l’Eucaristia è un tal fuoco amoroso che
accende ed infiamma chiunque gli si
avvicina” (F. SARTORI, cit., p. 25). Questi
sentimenti si trasformeranno in fede
operosa e fonte ispiratrice di tutte le sue
scelte apostoliche.
Nella consapevolezza di essere
compartecipe dell’opera di salvezza di
Dio e in forza del suo amore per Gesù
eucaristico, egli sa che dovrà
diventare “eucaristia”, per i
fratelli; presenza viva e amica;
parola che guida e promuove;
offerta ininterrotta di sé e di
quanto possiede. “Non fa
meraviglia se ritraendo in sé
i principali caratteri di Gesù,
egli si mostrasse tutto zelo
pel bene delle anime” (F.
SARTORI, cit., p. 25).Il suo
ministero di annunciatore
della Parola e di apostolo e
padre dei giovani, lo rende
discepolo, associato a Gesù,
erede di una passione che
lo assimila a Gesù, al suo
patire per la salvezza. “Non
dimenticate che a Gesù Cristo
costò tutto il preziosissimo
sangue la salvezza di un’anima
sola… Dunque se voi l’amate
davvero cosa non dovete
fare?”.
Un Dio che non solo dona,
ma che si dona
È interessante notare, in
don Luca, che la Pasqua è il
contesto in cui scaturisce il
sacramento dell’Amore. Nelle
sue prediche egli sottolinea la dimensione
della notte pasquale: una notte drammatica,
terribile; la più buia ed oscura delle notti, la
notte in cui ha agito il male, tramite il cuore
indurito di Giuda, abbagliato dal denaro.
Giuda vende Gesù ai suoi nemici. Lo vende
con un bacio. Leggiamo, in una delle sue
prediche, l’atmosfera pasquale dell’ultima
cena: “Compiuta appena quella cena
memoranda in cui G.C. manifestò per dir
così l’eccesso dell’amor suo per noi poiché
intanto, come opportunamente rileva
l’appostolo, che gli uomini macchinavano
il nero tradimento e levar lo voleano dal
mondo in qua nocte tradebatur amor lo
indusse per rimanersene tra noi ad istituire
l’augusto sacramento dell’altare. Oh se
veduto l’aveste allora che preso in mano
quel pane, e quel calice sacrato, acceso
in volto scintillante negli occhi con voce
e gesto da esprimere assai più che non
dicea, rivolto a discepoli suoi prendete loro
disse: Quest’è il mio corpo. Quest’è il mio
Sangue. E così il mio cuore è pago poiché
potrò rimanermene con esso voi sino
alla consumazione de secoli […]. Anime
amanti, ricordatelo sempre che questo
Sacramento d’amore è stato instituito in
quella notte medesima in cui era tradito: in
qua nocte tradebatur” (Predica, “Passione”).
Don Luca nel racconto dell’ultima cena,
ci offre l’opportunità di riscoprire l’identità
cristiana in radicale rapporto con il mistero
dell’amore di Cristo che dà la vita è quindi
il mistero che chiama l’uomo alla verità
Scoprire di essere amati
“Nella notte in cui veniva tradito…
il costituirsi del memoriale eucaristico
è accompagnato da un dramma
sconvolgente. Le parole del dono: “il mio
sangue versato per voi”, sono precedute da
quelle del tradimento.
Questo fatto è per don Luca l’aspetto più
inquietante dell’esperienza pasquale. Il
memoriale del dono contiene al suo interno
la storia del dono tradito. Un storia che
minaccia tutti, giacché sulla tavola della
cena ci sono le mani di tutti i discepoli,
“tutti cominciarono a domandarsi a vicenda
chi di essi avrebbe fatto ciò”. Il dono
“tradito”: è possibilità sempre incombente.
“In qua nocte tradebatur!”. Sta qui, per don
Luca il dramma dell’esperienza cristiana:
in essa la gratuità del dono è sempre
esposta al tradimento. Giuda tradisce quel
Gesù che ha ricevuto nella cena come
corpo a lui donato. Il dono vive nella
prigione del tradimento, proprio nella sua
forma più alta. Don Luca lo esprime nella
drammaticità dell’offerta fatta da Gesù: […]
ricordatelo sempre che questo Sacramento
d’amore è stato instituito in quella notte
medesima in cui era tradito: in qua nocte
tradebatur” (Predica, “Passione”). È tutta
una visione teologica della storia umana
e del suo rapporto con Dio che qui viene
espressa: Dio accetta di essere “tradito”
dall’uomo, portando su di sé questo
tradimento lo redime. Il peccato dell’uomo
che, apparentemente, vince su Dio è in
realtà accolto da Dio. Dunque l’esperienza
pasquale è anche l’altra faccia della storia
umana; la storia in cui il dono viene tradito.
Diventa, perciò, necessario essere raggiunti
dal suo amore. Noi non siamo capaci di
generare l’amore in noi stessi. L’amore ci
raggiunge quando scopriamo di essere
amati e dunque capaci di rinunciare a
noi stessi. Non ci può essere amore si
cerca se stessi. Solo quando non si ha più
nessuna certezza propria, quando non c’è
più niente che possa servire per la propria
affermazione si è nella condizione di
scoprire l’amore. “La scoperta dell’amore è
infatti la scoperta di essere amati ed essere
amati significa sperimentare di non meritare
l’amore. Fino a quando si pensa di essere
meritevoli di amore e di essere capaci di
fare il bene, si cammina verso il tradimento
e il rinnegamento” (M. Rupnik).
Saper morire a causa dell’amore
Si comprende, allora, che ciò che vogliamo
salvare non va stretto in pugno, ma va
donato. Ciò che dura per la vita eterna, lo
avvolge l’amore e lo si seppellisce nelle
mani degli altri. La pasqua, in don Luca,
esprime il volto della carità, dell’amore
realizzato. Si tratta di imparare a saper
morire a causa dell’amore.
Ma per morire nell’amore bisogna
rinunciare alla propria volontà e compiere
la volontà di Dio. Alla logica umana
sembra impossibile che per vivere occorra
morire, che per realizzarsi sia necessario
cedere il posto. Per entrare nell’esperienza
pasquale questo è l’unico varco. Ed è
proprio l’immagine dell’amore quella che
più di ogni altra parla di Dio. La Pasqua è il
rivelarsi dell’amore di Dio in Cristo, amore
ricevuto, amore dato, amore nel quale si
realizza l’uomo. n
23
spazio don luca
dell’amore. Il punto essenziale e costitutivo
del mistero dell’Amore egli lo appoggia
nell’atto che Gesù compie “nella notte in
cui fu tradito” […] in qua nocte tradebatur,
ad una croce lo affiggono ma non per
questo vien meno la carità sua. Poiché su
di essa confitto anzi da crocifissori inumani
beffeggiato, e deriso raccoglie le poche
forze che dalla barbarie de suoi nemici
ancor gli si lasciano, per iscusare presso del
Padre il lor nefando attentato ed alzando la
moribonda sua voce: Padre mio, gli dice,
perdonate loro perché non sanno quel che
si facciano” (Predica, “Carità – filantropia”).
La notte del tradimento viene posta in
parallelo con la cena pasquale. Nell’ultima
cena, prima di morire, Gesù riassume, con
i gesti e con le parole tutto il senso della
sua vita e della sua morte: una vita offerta.
Si rivela così, la verità dell’Amore di Dio
fatto dono per noi. Un Dio che non solo
dona, ma che si dona. Gesù raggiunge con
la forza dell’amore la nostra vita, tocca e
penetra la nostra esistenza nell’abisso della
sua oscurità, di quella grazia di salvezza
che viene dalla croce e dalla resurrezione.
Grazia che non si può accogliere senza
essere mutati, trasformati, convertiti. Così
sono i doni di Dio, sempre!
Anita, novizia a vita
Alberica Vitari smsd
facce di suore
24
D
iminutivo di Anna, Anita significa
graziosa. Nome tutto femminile,
che sta a pennello alla protagonista
di questa breve storia. (Breve per lo spazio
che ci è dato). La definirei una persona
dalla triplice identità: una ragazza tutt’altro
che emergente, che vive in una cittadina di
provincia e lavora per sostenere la famiglia.
Non ha grilli né grandi progetti per il suo
avvenire. È sana dentro e fuori.
Le capita di conoscere un uomo dal volto
di patriarca, consumato, dallo sguardo
vivo. E’ un padre che ha perso la figlia
piccola. Quest’uomo non cede al dolore
pungente, anzi si attiva e inventa un centro
di accoglienza per bambini, che abbiano
qualsiasi necessità. Lui non fa selezioni:
siano orfani, ammalati, abbandonati, o
semplicemente affamati. Tale incontro
determina una svolta nella routine quotidiana
di Anita: da casa-chiesa il suo piccolo mondo
si apre. E il suo cuore si dilata. Fa compagnia
ai piccoli ospiti del centro, li intrattiene nel
gioco, racconta loro fiabe semplici, che
inventa o ricorda. Tempi brevi. Vuole tuttavia
imparare, per rendere la sua presenza più
professionale. Prende confidenza con i
manuali di medicina e scopre di poter
affrontare il ruolo di infermiera. È una
ragazza sicura, di una sicurezza che non
ostenta, ma che mette a servizio.
Questo nuovo spazio operativo le offre
opportunità insperate, buone e insidiose
insieme. Anita è una giovane generosa,
gentile e intelligente quanto basta per
intuire i pericoli. Un medico pediatra,
con il quale collabora, la corteggia, ma lei
coglie in quelle sue proposte qualcosa di
non chiaro e si difende con la franchezza
propria di chi è semplice e dall’animo
puro. Sapeva pure di una sua compagna
di lavoro, che era stata illusa e tradita in
proposito.
Cuore sognante
Dunque, una ragazza sicura, sana e
pura. Questo è il corredo di Anita, la sua
ricchezza. Scevra dagli inquinamenti delle
opinioni correnti e dai modelli mondani,
si affida alla bontà del suo compito al
quale ri-dice sì convintamente. E mentre
persevera accanto ai bambini con la
competenza guadagnata nello studio e la
sua tenerezza naturale, prova a spostare lo
sguardo in avanti e ad interrogarsi.
Trascorrono quasi tre decenni. Vado a
Torino per la visita alla Sacra Sindone e
la incontro durante una sosta del nostro
viaggio, nella Piccola Casa della Divina
Provvidenza, fondata dal Cottolengo.
Perché sei qui? le chiedo sorpresa.
Anita riannoda i fili della trama della sua
vita, interrotta dalle circostanze, e dice di
sé quasi trasognata: avevo sentito viscere
materne, e sognavo di tenere tra le braccia
un figlio, dodici figli, allora. Cioè? Nella
vicenda del medico, taglia corto. Ma qui
ne ho di più, tanti di più. Mi era nato un
sogno e quel sogno oggi è realtà tangibile,
fatto carne e vita. Mi sento madre di
tutti i bambini del mondo, il cui volto
si riflette nel viso di questi miei ospiti.
Questo è lo spirito del mio Istituto e la
sua missione:.”Essere donne sintonizzate
con il progetto caritativo evangelico, per
umanizzare la sofferenza di fratelli respinti
o abbandonati dagli altri” (dai documenti
dell’Istituto).
La vita è noviziato
Sei stata raggiunta da una vocazione
limpida, affermo con ammirazione.
Diciamo piuttosto raggiunta dalla grazia di
essere per una missione bellissima, totale,
troppo esigente, che mi porta e riporta alla
sorgente del mio vivere da “fedele serva dei
poveri” (Regole,1834).
L’amore i suoi segreti
Ho notato, Anita, che hai dimestichezza
con il verbo imparare: imparare le
competenze, imparare la fedeltà, imparare
il Vangelo. Si può imparare l’amore? Una
domanda da quiz la tua. Nell’esperienza
dell’amore esiste un segreto, o meglio un
mistero, che è questo: noi non sappiamo
perché amiamo una persona invece di
un’altra, e perché è proprio quella.
Sembra di poter dire che è un fatto
incomprensibile anche a noi stessi.
Comunque l’amore è la vocazione
universale, per tutti, specie per noi che
siamo segnati dal vincolo sacramentale con
Gesù Cristo, modello sommo di amore.
Dalla mia esperienza, imparo e re- imparo
ad accettare il rischio di essere una
perdente; di investire il cuore, la mente,
le energie a vuoto. Nel senso di non avere
riscontri di utilità immediata o a lungo
termine; nel senso di non conteggiare
favori personali, nel senso di non vedere i
frutti auspicati.
Il mio amare, come il tuo, che sei suora
come me, è un investimento che si fonda su
una fiducia cieca, senza garanzie e senza
logica. La pietra miliare è la Promessa di
Colui che mi ha provato il suo amore con la
morte. Forse le vicende tristi che ci toccano
vengono da un amore negato. La vita vuota
di amore s’infetta di infelicità e produce
frutti amari, di anti-vita.
I nostri ospiti ne sono il riscontro e la
conseguenza. Per questo siamo chiamate
all’amore. n
25
FACCE di suore
Anita mi accompagna nella visita alla sua
Piccola Casa. Ad un certo punto mi trae
in disparte: vedi, siamo negli ambienti del
noviziato, sono stata accolta qui, tra questi
muri. Si commuove, sospende le parole per
un attimo, poi continua: il noviziato… lo
ritengo “la terra buona”, che ho attraversato
come rischio e liberazione, e nella quale
ho pregato e imparato ad assumere la
forma umana e concreta del Vangelo
della Carità, la straordinaria Parola detta
per tutte le Piccole Sorelle della Divina
Provvidenza. È in essa che risuona per noi
ogni giorno lo stupore della chiamata. Poi
afferma sicura: questo è luogo di lavoro, di
fatica, di vita, di appartenenza. Tutto questo
vive e cresce nell’interiorità, e converge a
definire il tuo profilo.
E vivi ancora qui, in noviziato? Sì,
accompagno le novizie nella formazione
e mi sento novizia con loro e come
loro. La fedeltà va imparata e ri-assunta
continuamente, perché sia vissuta (cfr.
Regole). È un esercizio profondo di amore.
È ginnastica del cuore.
Il sogno
di Papa Francesco
P. Antonio Giocondo Bronzini, OSJ
asterisco
26
«Sogno una scelta missionaria capace
di trasformare ogni cosa, perché
le consuetudini, gli stili, gli orari, il
linguaggio e ogni struttura ecclesiale
diventino un canale adeguato per
l’evangelizzazione, più che per
l’autopreservazione». Papa Francesco non
ha paura di dire chiaramente che il suo
è un “sogno”: qualcosa di bello, grande
e gioioso, voluto con tutto il cuore, ma
difficile da realizzare. Di conseguenza, ne
affronta la sfida e chiama tutti i credenti a
ritrovare la gioia autentica dell’annuncio
pasquale, per illuminare di essa un
mondo sempre più cupo e disperato.
La gioia del vangelo e la gioia di
evangelizzare
La relazione tra gioia e vangelo/
evangelizzare è più stretta di quanto si
immagini: la gioia è per se stessa inclusa nel
vangelo, che etimologicamente, come si sa,
vuol dire buona notizia e che storicamente
già nell’uso profano indicava il gioioso
annuncio di una vittoria.
Il tema scelto da Papa Francesco richiama
idealmente le ultime due esortazioni
apostoliche di Paolo VI: Gaudete in Domino
(1975) ed Evangelii nuntiandi (1975):
numerose, si possono vedere, le citazioni
soprattutto di quest’ultima, a riprova di
una lunga ri-meditazione di un problema
sempre attuale e impellente.
La novità della Evangelii Gaudium sta
nell’unire vangelo ed evangelizzazione
non con le categorie tradizionali della
missione e dell’impegno concreto (che pur
sono chiaramente presenti nell’esortazione
attuale), ma con la categoria tipicamente
evangelica della gioia: gioia da annunciare,
gioia da annunciare con gioia, gioia di
annunciare.
L’intenzione principale dell’esortazione
Pur essendo ovviamente in stretta
relazione con il Sinodo dei Vescovi
sulla Nuova Evangelizzazione (2012), la
Evangelii Gaudium non porta la consueta
intitolazione di post-sinodale; e il Papa
ne spiega la ragione: “Ho accettato
con piacere l’invito dei Padri sinodali di
redigere questa Esortazione. Nel farlo,
raccolgo la ricchezza dei lavori del
Sinodo [...]. Ma ho rinunciato a trattare in
modo particolareggiato queste molteplici
questioni, che devono essere oggetto di
studio e di attento approfondimento”.
Dunque, il Papa rimanda al mittente
(Vescovi e Conferenze Episcopali) le
questioni sollevate nel Sinodo e raccolte
nelle Propositiones, perché “non è
opportuno che il Papa sostituisca gli
Episcopati locali nel discernimento di tutte
le problematiche che si prospettano nei loro
territori”.
Questa decisione spiega, a sua volta,
una singolare (e finora inedita) presenza
accordata alla voce degli Episcopati: oltre
a citare gli ormai classici documenti di
Puebla e di Aparecida, sono di volta in
volta citati i pronunciamenti dei Vescovi
di Brasile (nn. 64 e 191), Francia (nn.
66 e 205), Filippine (n. 215), Stati Uniti
d’America (n. 220) e Congo (n. 230); a
ribadire il concetto già espresso, di un
magistero dei Vescovi, da considerare
attentamente accanto a quello pontificio.
Qual’è, dunque, la vera intenzione del
documento?
“In questa Esortazione desidero indirizzarmi
ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova
tappa evangelizzatrice marcata da questa
gioia e indicare vie per il cammino della
Chiesa nei prossimi anni”.
La Evangelii Gaudium allarga l’orizzonte
e va oltre il campo di attenzione tracciato
dai Padri sinodali, per darsi due obiettivi
Programma del pontificato
Con molto realismo, e non senza una punta
di umorismo, Papa Bergoglio afferma: “Non
ignoro che oggi i documenti non destano lo
stesso interesse che in altre epoche, e sono
rapidamente dimenticati. Ciononostante,
sottolineo che ciò che intendo qui
esprimere ha un significato programmatico
e dalle conseguenze importanti”. Ciò
significa che i temi e le linee pastorali,
che formano l’ossatura dell’esortazione,
vengono proposti a tutti i cristiani come
altrettanti punti fermi di un programma da
portare avanti con fervore e dinamismo,
punto per punto:
Capitolo primo: Una Chiesa
missionaria e in uscita, che “non vuol
dire correre verso il mondo senza una
direzione e senza senso”.
Capitolo secondo: La crisi
dell’impegno comunitario e la
rassegna delle patologie sociali,
delle sfide culturali e delle tentazioni
pastorali (accidia, pessimismo,
mondanità...).
Capitolo terzo: L’annuncio del
Vangelo è compito di tutta la Chiesa
e di tutti nella Chiesa; con una
sezione bellissima, e in parte inattesa,
dedicata all’Omelia e un’altra al
rinnovamento della catechesi.
Capitolo quarto: La dimensione
sociale dell’evangelizzazione, di
particolare importanza perché “nel
cuore stesso del Vangelo vi sono la
vita comunitaria e l’impegno con
gli altri. Il contenuto del primo annuncio
ha un’immediata ripercussione morale, il
cui centro è la carità”. Ciò che dà modo a
Papa Francesco di ribadire alcuni suoi temi
ricorrenti: l’inclusione sociale dei poveri e
la cura delle fragilità, il bene comune e la
pace sociale...
Capitolo quinto: prima di concludere
l’Esortazione, il Papa ritorna sul tema
fondamentale degli agenti pastorali: gli
evangelizzatori con lo Spirito sono quelli
che si aprono senza paura all’azione
dello Spirito Santo, attraverso l’incontro
personale con Cristo e l’apertura costante
alla speranza.
La preghiera finale a Maria, “Madre del
Vangelo vivente, sorgente di gioia per i
piccoli”, non è lì solo pro forma: sta ad
affermare, ancora una volta, lo stile mariano
che deve avere l’evangelizzazione.
Conclusione
Per finire questa rapida carrellata su un
documento che merita ben altro commento
e deve, comunque, essere letto e gustato
fino in fondo, voglio ricordare una citazione
del Documento di Aparecida, che il Papa
fa al n. 25 della sua Esortazione: “Ora non
ci serve una semplice amministrazione.
Costituiamoci in tutte le regioni della terra
in uno stato permanente di missione”. n
27
Asterisco
essenziali: invitare i fedeli cristiani (tutti!) a
una nuova tappa evangelizzatrice marcata
dalla gioia; e indicare vie per il cammino
della Chiesa nei prossimi anni.
Il primo obiettivo segna una svolta quanto
al modo e allo stile: “Un evangelizzatore
non dovrebbe avere costantemente una
faccia da funerale!”; affermazione che
richiama quella altrettanto espressiva detta
da Papa Bergoglio il 6 luglio 2013: “Ma per
favore: mai suore, mai preti con la faccia di
peperoncino in aceto, mai! La gioia viene
da Gesù”.
Il secondo obiettivo (indicare vie per il
cammino della Chiesa nei prossimi anni) fa
capire che il Papa ha pensato l’Esortazione
come un vero e proprio documento
programmatico del suo Pontificato.
Una società relazionale
fa bene allo sviluppo di tutti
Tino Bedin
orizzonti
28
E
ra sembrato un modo per...
sdrammatizzare la sorpresa che
lo Spirito Santo aveva preparata
per Chiesa. “Voi sapete che il dovere
del Conclave era di dare un Vescovo a
Roma. Sembra che i miei fratelli Cardinali
siano andati a prenderlo quasi alla fine
del mondo…”: così Papa Francesco si era
presentato in Piazza San Pietro e nelle case
di milioni e milioni di persone di tutto il
mondo, quasi rassicurare tutti che il primo a
rendersi conto della “stranezza” della scelta
era proprio lui. Invece era solo l’inizio della
sua predicazione.
La “fine del mondo” è stata ben presto ben
presto definita “periferia”: invito alla Chiesa
e ai cristiani ad essere “decentrati”. “La
Chiesa è istituzione, ma quando si erige
in ‘centro’ si funzionalizza e un poco alla
volta si trasforma in una Ong”.
E subito, perché non si assimilasse la
“periferia” all’America latina, cioè perché
non si riducesse la sua predicazione
all’esperienza di vescovo argentino,
“callejero”, di strada, ha parlato di
“periferie esistenziali”. In luglio ha
condiviso la sua visione proprio con i
vescovi latino-americani: “Mi piace dire che
la posizione del discepolo missionario non
è una posizione di centro bensì di periferie:
vive in tensione verso le periferie… incluse
quelle dell’eternità nell’incontro con
Gesù Cristo. Nell’annuncio evangelico,
parlare di ‘periferie esistenziali’ decentra
e abitualmente abbiamo paura di uscire
dal centro. Il discepolo missionario è un
‘decentrato’: il centro è Gesù Cristo, che
convoca e invia. Il discepolo è inviato alle
periferie esistenziali”.
“Tra una Chiesa accidentata che esce
per strada, e una Chiesa ammalata di
autoreferenzialità, non ho dubbi nel
preferire la prima. E le strade sono
quelle del mondo dove la gente vive,
dove è raggiungibile effettivamente e
affettivamente. Tra queste strade ci sono
anche quelle digitali, affollate di umanità,
spesso ferita: uomini e donne che
cercano una salvezza o una speranza”,
ha ulteriormente spiegato in gennaio
nel Messaggio per la Giornata delle
Comunicazioni sociali.
Forse non è venuto dalla “fine del mondo”
Le “periferie esistenziali”, cioè tutto ciò
che è marginale per la cultura dominante,
ogni persona che viene considerata come
uno “scarto” dal sistema economico e
sociale, inglobano anche le periferie delle
grandi città; queste ultime sono un simbolo
dell’essere tagliati fuori.
L’America latina è piena di questi “simboli”:
cambiano nome a seconda del paese,
ma indicano le stesse persone, le stesse
vite. Le favélas del Brasile sono quelle più
note, ma altrove hanno nomi tragicamente
evocativi anche in italiano: villas miserias
in Argentina, ciudades perdidas in Messico,
tugurios in Colombia; e poi callampas
in Cile, guasmos in Ecuador e barrios
marginales in Perú, ranchitos in Venezuela.
“Villas miserias” abitate da milioni di
persone che paradossalmente proprio qui
Il cibo diritto costituzionale
A Roma è stato chiamato due anni fa un
altro latino-americano, per nulla noto
né allora né ora in Italia e in Europa, ma
capace di portare nel cuore di un’altra
istituzione planetaria la vita dell’America
Latina. L’istituzione è la Fao (il Fondo
dell’Onu per l’Agricoltura, che ha sede
appunto a Roma); lui è José Graziano da
Silva, figlio di genitori brasiliani immigrati
negli Stati Uniti, agronomo, ministro per
la sicurezza alimentare del Brasile con il
presidente Luiz Inácio Lula da Silva, dall’1
gennaio 2012 direttore generale della Fao.
Uno degli obiettivi della Fao è
l’eliminazione della fame nel mondo.
All’inizio di questo millennio l’atlante
geografico della fame comprendeva anche
il Brasile; oggi non più. La regressione
della fame non è figlia dello sviluppo
economico: è piuttosto il fatto che molti
mangino di più ad accelerare la crescita
complessiva del Brasile.Il punto di partenza
è stato infatti il riconoscimento di diritti agli
affamati: secondo la Costituzione del 1998
il cibo è diritto costituzionale in Brasile. Poi
l’attuazione di questo diritto è inserita nel
programma di governo: 1 gennaio 2003,
discorso di insediamento del presidente
del Brasile Lula: “Finché ci saranno un
fratello o una sorella brasiliani che avranno
fame, avremo motivi d’avanzo per coprirci
di vergogna. Per questo ho stabilito tra le
priorità del mio governo un programma
di sicurezza alimentare che ha il nome di
‘Fame Zero’.
Se alla fine del mio mandato, tutti i
brasiliani avranno la possibilità di fare
colazione, pranzare e cenare, avrò
compiuto la missione della mia vita”. Dal
programma all’azione: c’è un ministero
speciale per la lotta alla fame, a dirigerlo
Lula chiama l’agronomo Luis Graziano da
Silva, che attua il programma “Fame zero”.
Alla base del programma non c’è il sussidio
ma il lavoro di una parte degli “affamati”, i
piccoli produttori agricoli. Ad esempio gli
incentivi finanziari servono a far accedere
i coltivatori diretti alla fornitura di pasti per
le scuole, forniture fino ad allora sempre
vinte dalle grandi imprese agroalimentari.
Si è calcolato che 28 milioni di brasiliani
siano usciti dalla soglia di povertà attraverso
questo programma.
Ora che è a Roma alla guida della Fao,
l’agronomo Luis Graziano da Silva prova a
ripetere lo schema a livello planetario.
La Fao ha scelto il 2014 come anno
29
orizzonti
sono arrivate per scampare ad una miseria
ancor più tragica, perché senza neppure la
speranza che qualcosa potesse cambiare.
Invece da qui puoi vedere il “centro”,
puoi anche andarci. Ma poi devi tornare
alla tua baracca perché tu sei “periferia”,
sei uno che vive ai margini; la tua stessa
esistenza è marginale. Intanto però in
questo andirivieni dalla baracca al “centro”
i bambini hanno imparato a sopravvivere
in strada, da soli. I più grandi si illudono
in altri “viaggi”: vittime e complici dei
narcotrafficanti, trasformano se stessi in
periferia.
La dimensione continentale di queste
condizioni ha certamente dato un’impronta
alla Chiesa latino-americana, che da
decenni ha maturato la scelta preferenziale
per i poveri. Non una scelta sociologica,
ma risposta alla missione: “Mi ha mandato
ad evangelizzare i poveri”. “È puro
Vangelo”, chiosa spesso Papa Francesco
quando teme che qualcuno interpreti parole
e gesti della Chiesa come una novità.
Se non in America Latina, dove il Vangelo
può essere vissuto? In questo continente
vive il 42 % dei cattolici di tutto il mondo.
Vengono da questo continente anche gli
“hispanos” che vivono negli Stati Uniti. In
tutto oltre la metà dei cattolici sono latinoamericani.
Vien da pensare: lo Spirito Santo è andato a
prendersi il vescovo di Roma non alla “fine
del mondo” ma nel cuore della Chiesa.
orizzonti
30
mondiale dell’agricoltura familiare.
Visto che per sconfiggere la fame non
è servito l’aumento delle produzioni
(che le multinazionali hanno gestito
impoverendo milioni di contadini della
terra, che sono stati privati persino della
titolarità delle sementi), si segue la strada
brasiliana puntando sui produttori locali,
creando sussistenza per loro e cibo per
i territori in cui vivono. Ha spiegato
bene il direttore della Fao: “Più del 70
% delle popolazioni che vivono in stato
d’insicurezza alimentare risiedono in zone
rurali nei Paesi in via di sviluppo. In grande
parte si tratta di agricoltori famigliari,
produttori di sussistenza, che coltivano per
l’autoconsumo. Fino a non molto tempo
fa, per questo motivo, erano visti soltanto
come un soggetto a cui dedicare delle
politiche sociali, e non come importanti
attori produttivi. Erano considerati parte del
problema della fame nel mondo, mentre
sono parte della soluzione”.
Nessuno è così povero da non avere nulla
da offrire, spiegherebbe evangelicamente
Papa Francesco.
Cittadini americani figli di clandestini
Le scelte fatte in Brasile con il programma
“Fame Zero”, ora rilanciate a livello globale
dalla Fao, hanno il pregio di spiegare in
concreto, in carne ed ossa, chi sono le
“periferie esistenziali” incontro alle quali
Papa Francesco sprona la Chiesa e invita
i giovani. Sono persone che diventano
“periferia” perché non vengono incontrate.
Spesso vengono respinte. Altre volte ci si
difende da loro: ufficialmente, legalmente.
Ecco come si formano nuove “periferie” in
America latina.
Sono quasi 5 milioni i bambini
statunitensi che hanno almeno un genitore
“clandestino”. Sono bambini nati negli Stati
Uniti, e quindi sono cittadini americani,
da genitori immigrati latino-americani privi
di cittadinanza. La conseguenza è che
questi piccoli americani devono subire la
deportazione del padre o della madre (o di
entrambi).
Il recente rapporto dei Gesuiti statunitensi
(“Un fallimento documentato. Le
conseguenze della politica antiimmigrazione lungo la frontiera tra
Messico e Stati Uniti”), che riporta questa
situazione, segnala anche “la separazione
dei migranti dai familiari operata dalla
polizia di frontiera statunitense. Il fenomeno
è particolarmente grave per le donne
che, nel 30% dei casi secondo il governo
messicano, vengono separate dai propri
accompagnatori e rispedite in centri di
accoglienza in Messico dove rischiano di
subire abusi”. Qui sono le leggi a creare le
“periferia esistenziali”.
In Honduras il Parlamento aveva preso la
decisione di diventare il primo Stato del
pianeta nel quale costruire una ventina di
“città private”. Dovevano essere costruite
con 15 miliardi di dollari di finanziamenti
provenienti da imprese internazionali, ed
avrebbero avuto un sistema monetario e
tributario, leggi e politiche di immigrazione
e di sicurezza proprie. La Corte
costituzionale ha cassato la decisione
perché metteva a rischio la sovranità
nazionale e - almeno per ora - non se ne
fa nulla. Segnalano però - anche perché
31
orizzonti
nascono da filosofie che vengono dal
“centro” del pianeta - l’altro modo di creare
“periferie”: difendendosi da esse, isolandosi
nella propria ricchezza.
L’errore del ricco Epulone
La promessa - o meglio il miraggio - che
anche la proposta delle “città private”
faceva alle “periferie” già esistenti è sempre
la stessa: per costruirle arriveranno dei
soldi, tanti, è qualche dollaro finirà anche
in periferia.
L’America latina ha sperimentato negli
ultimi 25 anni ricette economiche e
politiche differenti. Complessivamente c’è
stata una crescita generalizzata, tanto che il
Brasile è ormai fra gli attori dell’economia
globale. L’insieme del continente non è più
percepito come “in via di sviluppo”.
Eppure è la regione del pianeta con la
maggiore disuguaglianza: è stato calcolato
che il 10 % dei più ricchi tra gli abitanti ha
in tasca 84 volte più risorse rispetto al 10
% dei più poveri. Per farci un’idea, in Italia
(che è il paese europeo con la maggiore
disuguaglianza) i più ricchi hanno in tasca
12 volte le risorse dei più poveri.
La situazione dell’America latina conferma
che la crescita economica da sola non basta
a creare giustizia; anzi chi sta al “centro”
del sistema è in grado di intercettare
la maggior parte delle nuove risorse,
aumentando così la disuguaglianza.
È sempre più evidente che la fragilità di
uno dei pilastri dell’ideologia capitalistica:
la ricchezza dei ricchi fa bene anche ai
poveri, secondo il principio della “ricaduta
favorevole”. Non è un principio nuovo, visto
che Gesù si è premurato di dedicare ad esso
una delle parabole più dure, quella del ricco
Epulone (con i suoi cani e le sue briciole).
“È Vangelo puro”, dice Papa Francesco.
Vangelo da cui si ricava che l’alternativa
è la “relazione”: un’altra delle parole più
usate dal Papa. Una società “relazionale”
- che quindi escluda in sé di avere delle
periferie - è anche la terapia indicata da
alcuni studiosi per riprenderci dall’infarto
finanziario globale generato da trent’anni di
capitalismo individualista.
Per il 21 dicembre del 2012 il calendario
dei Maya aveva previsto la “fine di
un mondo”, caratterizzato proprio
dall’individualismo. Nessuno ha preso sul
serio quella profezia fiorita in America
latina. Meno di tre mesi dopo però proprio
dall’America latina è arrivato un vescovo
che si è fatto chiamare Francesco. n
Rispondere al grido di aiuto
Antonio Mazzarotto
passi nell’opera
32
La Fondazione
Territori Sociali
Altavaldelsa,
costituita nel
2006, gestisce i
servizi sociali per
conto dei Comuni
dell’Alta Val
d’Elsa.
1
La testimonianza del Direttore generale Fondazione Territori Sociali Altavaldelsa1 costituisce
un importante apertura per il dialogo con i Laici Cooperatori dell’OSD. Si cercano strade
nuove di servizio, aperture alle periferie esistenziali. Si prospettano impegni.
Ci si impegna perché si crede nell’amore, la sola certezza che non teme confronti, la
sola che basta ad impegnarci personalmente. Impegno, questa è la parola – chiave che
muove chi lavora nel sociale. Non esistono scorciatoie, strade facili o percorsi alternativi,
solo l’impegno. Impegno che non riguarda solo “gli addetti ai lavori”, ma ci tocca tutti
intimamente; impegno che non si esaurisce negli orari di lavoro, ma che diventa “compito
per casa”; impegno che non conosce limiti spaziali, ma che sorpassa ogni barriera
architettonica, naturale, culturale, mentale.
H
o 50 anni, e ho sempre lavorato
come operatore sociale, nell’ambito
dei servizi e dei progetti per il
benessere delle persone. Cioè per la
possibilità di tutte le persone di essere
cittadini, membri di una comunità, soggetti
di relazioni di amicizia, di lavoro, o per
la semplice condivisione di tempo libero.
Forse ci sono tanti motivi che mi hanno
spinto a scegliere di lavorare nel sociale.
Ricordo che quando all’università studiavo
marketing e finanza, e mi immaginavo in
banca o in una multinazionale come molti
miei amici dell’epoca, mi sentivo inquieto,
perché sentivo che non era la mia strada.
Volevo cambiare il mondo
Io volevo cambiare il mondo. Volevo
cambiare le regole del commercio
internazionale, del rapporto tra i popoli,
volevo abolire le guerre, la fame e le
malattie. Volevo un mondo più giusto e più
equo, e volevo potermi prendere una parte
del merito.
Vedevo intorno a me tanta ingiustizia,
e all’epoca ritenevo giusto imbracciare
un fucile e combattere il sistema per
modificarlo radicalmente. Per fortuna
nessuno me lo ha mai offerto, un fucile.
Allora ho aperto gli occhi, e mi sono reso
conto che ognuno di noi è chiamato a dare
testimonianza di giustizia e onestà ovunque
si trovi, nel proprio lavoro, nella famiglia,
in ogni piccola o grande responsabilità
della nostra vita. In quel tempo avevo
anche a portata di mano un grande tesoro,
e decisi allora la mia fedeltà a quel tesoro:
l’amicizia delle persone disabili. Da quel
momento, molte delle mie scelte, e in
particolare quelle di lavoro, sono state
orientate dalla fedeltà alla loro amicizia.
Sono entrato a Fede e Luce – un movimento
cristiano di incontro con le famiglie di
tante persone disabili mentali – a 14 anni,
e ho incontrato lì le mie migliori amicizie;
amicizie indifferentemente di ragazzi
con problemi e non, e con i loro genitori.
Queste amicizie e la lunga militanza nel
movimento mi hanno reso e dato molto di
quello che sono oggi, ma soprattutto tre
doni inestimabili:
Cristiana, mia moglie, conosciuta a Fede e
Luce e con la quale lì abbiamo condiviso
una parte importante della nostra vita prima
del nostro matrimonio;
La gratuità nell’amicizia, che vive di ascolto
autentico del cuore dell’amico, di bisogni
colti prima che io li esprima. Ma anche
di una ricerca di comunicazione fatta
secondo le possibilità di ciascuno, chi a
gesti, chi con il silenzio, chi con parole
apparentemente poco sensate.
La fedeltà nelle relazioni, fatta di attese
senza pretese, di affetto che dura nel tempo
33
Lavorare per le persone più deboli
Il passo è stato breve: decidere che la mia
fedeltà sarebbe stata quella di lavorare per
le persone più deboli, e da allora è sempre
stato così. Ed oggi faccio un bellissimo
lavoro, organizzo i servizi sociali a favore
di tutte le persone in difficoltà di un piccolo
territorio.
Per chi non ha un parente anziano, un
amico disabile, o non ha conosciuto una
giovane mamma sola, è difficile capire
quanto grande sia il mondo del bisogno
sociale. Noi tutti immaginiamo che ci sia
una parte delle persone che ha qualche
difficoltà, e supponiamo (e pretendiamo)
che le istituzioni se ne pre – occupino.
Ma manteniamo un’idea della nostra
società sostanzialmente conformata a
quello che ci raccontano in televisione,
che propone come normali i modelli di
successo, bellezza, ricchezza.
Invece il mondo reale è fatto di persone
e famiglie che vivono un quotidiano fatto
di affetti normali, di lavoro faticoso e mal
retribuito, e che cercano nient’altro che
la salute e la felicità per sé e per i propri
cari. Tra queste, oggi tante famiglie hanno
aggiunto alle solite preoccupazioni (la
salute, la casa, ecc.) l’ansia di un lavoro che
non c’è più, e quando c’è è molto precario.
Fino a pochi anni fa, gran parte del
nostro lavoro (in una zona ricca della
provincia toscana), era orientato alla
qualità della vita di anziani e disabili.
L’evoluzione demografica ha portato
nel tempo a potenziare molto i servizi
residenziali e domiciliari per le persone
non autosufficienti, anche per sopperire
alla diminuita capacità della famiglie di
occuparsene direttamente.
Negli ultimi anni la crisi di lavoro ha messo
in grande difficoltà tante famiglie, che sono
state sfrattate perché non riescono a pagare
l’affitto; che stanno per perdere anche
la cassa integrazione e non vedono altre
prospettive professionali; che si sentono
umiliate nel dover chiedere aiuto ai centri
di ascolto della caritas, o ai servizi sociali.
Tante coppie non hanno retto alle difficoltà
economiche, e allora la povertà sta anche
facendo esplodere un grande problema di
disagio minorile, con tanti bambini che non
passi nell’opera
senza sbiadire, una fedeltà che non giudica,
ma che testimonia sempre la gioia del
rincontrarsi.
passi nell’opera
34
possono più contare sui loro genitori, e ai
quali dobbiamo trovare una nuova famiglia,
un nuovo luogo di accoglienza.
Che cosa lega la difficoltà economica
alle difficoltà genitoriali? Non ne sono
sicuro, ma almeno in parte penso che se
costruiamo il nostro modello familiare
su uno status sociale basato su ciò che
consumiamo e su ciò che possiamo
regalare ai nostri figli, il venir meno delle
possibilità mette in crisi anche i legami tra
marito e moglie, tra figli e genitori.
grande e talmente sofferente da prendere
con la forza ciò di cui ha bisogno, per
disperazione.
C’è una gradualità anche nella rabbia e nel
modo di vivere la propria povertà. Ci sono
persone che hanno avuto una vita felice,
prospera, e che negli ultimi anni hanno
bisogno di assistenza. Sono grati alla vita, e
domandano in punta di piedi, sono pieni di
riconoscenza per ciò che ricevono e verso
chi glielo garantirà.
Ci sono famiglie che sono ferite da una
vita diversa da ciò che avrebbero voluto.
Il volontariato, un fatto individuale,
privato?
Il resto lo fa una società che negli ultimi
30 anni ha aumentato tantissimo le
diseguaglianze economiche e la centrifuga
sociale. Si è affermata nella nostra società
l’idea che la generosità, il volontariato,
la prossimità, debba essere un fatto
individuale, privato. Non è la collettività
che si deve far carico dei deboli, ma la
solidarietà individuale. Un modello che
corrisponde esattamente alla cultura
individualista cresciuta in tutta la società.
Trasformato nella prassi delle politiche
sociali, siccome è ovvio che ci sarà sempre
qualcuno (e sempre di più) che ha bisogno
dei servizi, è forte la tentazione che la
risposta al bisogno della persona sia una
“prestazione di cura”, come in ospedale
per curare una malattia. Hai un problema
specifico, ti do una risposta puntuale.
Se ho sempre meno risorse farò sempre
meno servizi, e darò meno risposte, fino a
che, inesorabilmente, la massa di persone
sofferenti e arrabbiate sarà talmente
Hanno avuto un figlio speciale, che non
potrà trovare da solo la propria strada nella
vita. La ferita è profonda e piena di sale, e i
genitori oscillano tra l’angoscia del futuro,
la rassegnazione ad una vita di sacrifici, e
la ricerca di un colpevole (Dio, il mondo, il
coniuge, ecc.).
E ci sono famiglie che vivono uno stato
di bisogno immediato in grande ansia, ne
danno la colpa alle istituzioni, al datore
di lavoro, al padrone di casa, e ritengono
giusto e dovuto che tutti li aiutino. Urlano
la rabbia e la frustrazione, usano gli
strumenti che questi sentimenti mettono
loro a disposizione, aggressività, minacce.
Queste sono le voci individuali, quelle
che arrivano al nostro cuore, al cuore di
tutti quelli che operano nei servizi, nel
volontariato; poi ci sono le voci sociali, la
capacità dei poveri di avere chi si batte per
loro, che dà loro voce nelle istituzioni, nei
luoghi dove si impegnano le risorse.
I laici una risorsa per la società
La voce degli anziani è forte, per fortuna,
Ma per molte altre persone, il grido di
aiuto esprime un bisogno di ascolto, di
accoglienza, di relazione: di inclusione.
Ci siamo abituati a rispondere con i
soldi perché la nostra cultura ci porta
ad esprimere tutti i bisogni in termini
materiali, e anche a dare risposte materiali.
Per i servizi pubblici, per le istituzioni è
senz’altro più facile rispondere con i soldi:
li ho, ne hai diritto, te li do; non li ho,
non ne hai diritto, non te li do. Fine del
discorso.
E invece… tanta parte della povertà è una
povertà che assomiglia tanto alla solitudine,
e che va sconfitta con l’accoglienza e
l’inclusione.
Dobbiamo superare l’io generoso, fatto
di tante iniziative, di tante comunità
accoglienti, e metterci a disposizione di
una Comunità più grande, dove finalmente
anche le istituzioni si mettano in gioco, e
accettino una sfida culturale: organizzare
risposte della Comunità nel suo complesso,
valorizzando e non cancellando le
appartenenze e le identità di ciascuno e di
ciascuna comunità, gruppo, associazione;
ma rendendole parte di uno sforzo solidale
consapevole e collettivo. n
35
passi nell’opera
perché è la voce di tutti i pensionati italiani,
che sono tanti e organizzati in sindacato.
La voce dei disabili è debolissima, si
appoggia su alcuni testimoni eccellenti, su
alcune associazioni ben organizzate, ma
sostanzialmente è una voce inascoltata.
Poi ci sono gli altri: i bambini, i poveri, i
senzatetto, ecc. La loro voce è talmente
flebile che sembra arrivare da stanze
insonorizzate, tutte le orecchie sono sorde.
La nostra responsabilità di operatori
sociali e di cristiani è dunque doppia: c’è
quella di ascoltare il grido del singolo, e
di cercare di rispondere ciascuno per le
proprie possibilità e responsabilità. Ma c’è
anche quella di dare voce a chi non l’ha,
di diventare noi il grido sociale di chi ha
talmente perso la fiducia e la speranza da
non riuscire più a chiedere aiuto.
C’è una idea forte dietro tutto questo
ragionamento, una idea che può darci
grande speranza ed incoraggiamento per il
futuro: rispondere al grido di aiuto con tutta
una Comunità (la città, il quartiere, ecc.)
che accoglie, che include. Ci sarà sempre
bisogno di più pane e di più servizi, per
rispondere a quella parte di povertà più
assoluta e materiale.
L’Opera si diffonde
in Molise
Massimiliana Bandiera smsd
passi nell’opera
36
Il mondo si muove se noi ci muoviamo, si muta se noi mutiamo, si fa nuovo se qualcuno si
fa nuova creatura. La primavera comincia con il primo fiore, la notte con la prima stella, il
fiume con la prima goccia d’acqua, l’amore col primo pegno. Troppo spesso stiamo seduti
nella platea del teatro della vita a guardare, senza vedere davvero, quello che succede
davanti a noi, credendo erroneamente che non sia una questione che ci riguarda.
Abbiamo dimenticato che noi, in quanto esseri umani ci realizziamo come “esseri
in relazione”, come “apertura a” che diventa “incontro”, “dialogo”: è proprio nel
relazionarci “autentico” che prendiamo coscienza della nostra responsabilità nel rapporto
con l’altro e, interpellati all’impegno mettiamo in gioco la totalità del nostro essere.
L
a Famiglia Dorotea che opera nella
diocesi di Campobasso(Molise), ha
messo in gioco se stessa consapevole
che come il fiume inizia con una goccia, la
notte inizia con una stella e l’amore inizia
con un sogno, non ha aspettato che siano
gli altri ad iniziare, a fare. Ha voluto essere
la piccola goccia di quel fiume, la stella di
quel cielo, il sogno di quell’amore. E così
nella solennità della festa di S. Dorotea,
nella parrocchia di Monteverde di Bojano
mentre le suore hanno rinnovato il IV voto e
cinque cooperatrici la loro Promessa. Altre
cooperatrici hanno maturato la decisione di
impegnarsi con la Promessa come risposta
ad una singolare chiamata da parte di Dio
e come impegno in uno specifico servizio
ecclesiale. La richiesta è stata accolta con
gioia dal gruppo dei cooperatori, dalla
comunità delle suore e dalle Delegate
dell’Opera di S. Dorotea.
Si è subito iniziato un cammino di
preparazione e deciso le modalità e la
data per avere una presenza da parte del
consiglio provinciale. Domenica 9 marzo,
presente Suor Annapaola Mazzucco, vicaria
è una ricchezza per la Chiesa molisana.
Sappiamo bene che ciò che facciamo è
qualcosa di molto semplice e piccolo: non
è che una goccia nell’oceano della storia.
Ma se questa goccia non ci fosse all’oceano
mancherebbe.
L’esperienza della Promessa, così intensa,
si è conclusa con l’incontro formativo del
percorso annuale. Tutto il gruppo ha gioito
insieme alle nuove cooperatrici e con
le Suore hanno riflettuto su quale strade
spingersi per incontrare il mondo giovanile
con l’ardore del beato Luca Passi. n
Sante donne che
intercedono per noi
Maria Elisa Perinasso smsd
P
oco lontanto da Sarezzo, a Carcina,
si trova la pala che Serafina Regis,
attivissima Cooperatrice dell’Opera
di S. Dorotea aveva commissionato nel
1853 a Luigi Campini per l’Oratorio che lei
stessa aveva fatto costruire intitolandolo alla
Santa Patrona.
I personaggi di questo dipinto hanno offerto
lo spunto per un pomeriggio di canti e
preghiere presso la comunità delle suore
dorotee di Sarezzo, in prossimità della Festa
di S. Dorotea.
Per l’animazione musicale si è offerto il
quartetto femminile Sidus Praeclarum,
composto da due giovani e da due mamme
saretine. Il repertorio di questo gruppo
vocale raccoglie composizioni medievali e
moderne di brani sacri mariani.
Tante le persone convenute, di tutte le
età, che hanno riempito la casa per questa
occasione nata ricordando che “la Vergine
Addolorata, santa Dorotea e sant’Angela
Merici sono protettrici dell’Istituto e
dell’Opera, e modelli di azione apostolica”.
All’intercessione di queste donne e a
quella di san Luigi Gonzaga che nella pala
rappresenta tutti i giovani, abbiamo affidato
il desiderio vivo in tutti i Cooperatori di
farsi “amorosa guida” nel cammino della
vita, e la rinnovata apertura delle suore ad
accogliere e vivere l’eredità che il beato
Luca ha lasciato loro nel suo testamento
spirituale: compiere l’ufficio di “seconde
madri”.
La santa amicizia che caratterizza l’Opera è
stata invocata come dono per tutti i giovani
della parrocchia, perché questa esperienza
possa aiutarli a crescere secondo la vita
buona del vangelo. n
37
passi nell’opera
provinciale e animatrice dei Cooperatori,
nella chiesa parrocchiale di Spinete, due
cooperatrici, la signora Bambina Calabrese
e la signora Rosalba Iacopucci, a cui si è
aggiunta la signora Anna Patullo del vicino
paese di S. Polo, hanno emesso per la prima
volta la Promessa di cooperare nell’Opera
di S. Dorotea.
Il parroco don Josè Lopez che opera
sia a Spinete che a S: Polo ha dato a
questo evento una solennità particolare
riconoscendo che la presenza delle suore
dorotee come quella delle cooperatrici
Foto: “Madonna
Addolorata
con le sante
Dorotea e Angela
Merici e S. Luigi
Gonzaga”
L. Campini, 1853 Pala, olio su tela
Carcina (BS) Oratorio S. Dorotea
Contro le mafie
Mara Niero parla di Libera1
a cura di
dia- logos
38
Responsabile
del presidio
di Libera per
l’area del
Miranese
(Venezia)
1
Nicola Chiarot
In questa Rubrica ci mettiamo in dialogo con esperienze di frontiera davanti alle quali è
più facile trincerarsi nel recinto delle nostre paure: tutto ciò che è diverso da noi, che non
rientra nei nostri schemi mentali è visto come qualcosa da temere, da sfuggire.
Ma se cediamo a questa inclinazione ciò che muove le nostre vite degrada in un processo
di inarrestabile individualizzazione. Sviluppiamo una graduale e inevitabile perdita di
valori, di punti di riferimento per l’itinerario della vita.
Abbiamo bisogno di testimoni che navigano controvento, che leggono il mondo in una
prospettiva “diversa”. È la prospettiva da cui si guarda che determina l’interpretazione
della realtà. Una volta appreso questo sarà facile aprirci verso gli altri diventare parti di
un mondo che opera per la giustizia e la legalità e insieme cooperare scoprendo che
possiamo essere ricchezza, risorsa da liberare… con un po’ di impegno.
Che cos’è Libera e di che cosa si occupa?
Libera è un coordinamento di 1600
associazioni, gruppi, scuole, istituzioni
e realtà di base per costituire sinergie
politiche culturali e organizzative capaci
di diffondere la legalità democratica.
L’obiettivo principale di Libera è la vicinanza
ai familiari delle vittime di mafia e il grande
impegno nelle scuole e nelle università,
quindi la sfida culturale e i percorsi
educativi. Il terzo grande obiettivo è stata
la raccolta di 96.000.000 di firme per dare
continuità alla legge di Pio La Torre (che
prevede il sequestro dei beni appartenuti ai
mafiosi) ed al quale noi di Libera abbiamo
aggiunto una variante che prevede l’utilizzo
sociale di questi beni che ora proponiamo
di estendere anche ai corrotti. Altre attività
concrete sono il sostegno ai testimoni
di giustizia e gli sportelli S.o.S giustizia
che aiutano i famigliari vittime di mafia,
i testimoni di giustizia e gli imprenditori
vittime del racket e dell’usura.
Come è nato il suo impegno
nell’Associazione?
Io ho 40 anni e da quando ne avevo 16 mi
sono occupata di attività politica e sociale,
grazie soprattutto allo stimolo dei professori
che ho avuto la fortuna di incontrare
durante il mio percorso scolastico e in
particolare al mio professore di Diritto:
Paolo Nasuti. Da quando frequentavo le
superiori mi sono sempre interessata di
questioni legate alla criminalità. Infatti nella
storia del nostro paese il fatto che ricordo
maggiormente sono gli attentati del ‘92
che hanno provocato la morte di Falcone e
Borsellino. La morte di Borsellino la ricordo
in particolar modo, il secondo magistrato
morto in così poco tempo. Ricordo mia
madre che mi ha chiamato quasi urlando.
Ero nella mia camera, stavo studiando per
il mio esame di maturità, e rammento lo
stupore, lo sbigottimento, la confusione e
il silenzio che aleggiava tra di noi...perciò
quando nella mia zona è nato il primo
presidio la mia è stata una scelta spontanea
ed insieme a una mia amica che ora non c’è
più e che voglio ricordare: Sonja Slavik è
nato il Presidio e l’impegno in Libera.
Come si può oggi definire la mafia e come
è organizzata?
Che cos’è la mafia? è il silenzio impaurito,
è il tono alto della voce e l’imposizione
prepotente, e la logica del tutto e subito
senza fatica, è violenza, oblio, arroganza, la
Quanto è presente oggi ? È presente solo
a Sud o ci sono cosche che operano anche
nel nord-Italia?
Oggi la mafia è diffusa in tutto il mondo
e ovviamente non è presente solo al sud
ma anche al nord. In Lombardia ormai
vi sono indagini e sentenze che a più
riprese confermano la presenza della
‘ndrangheta così pure in Piemonte. Nel
Veneto un tentativo di penetrazione da
parte della criminalità organizzata è stato
attuato nel 2009 dalla camorra,clan dei
casalesi, ma è stato scoperto e sgominato
grazie al cosidetto processo “Gamorra
in Veneto”. In Veneto esistono fenomeni
criminali e tentativi di penetrazioni nel
tessuto economico e politico da parte
della criminalità organizzata , che devono
destare in noi la giusta attenzione perché il
fenomeno non dilaghi sempre più.
Rispetto al tema della legalità come è
messa secondo lei l’Italia?
Attraverso una lettura superficiale e poca
attenta si potrebbe affermare che nel
nostro paese il senso della legalità non sia
molto sentito. In realtà si notano un fiorire
di iniziative su questo tema, il che denota
che la questione viene sentita e interessa.
Moltissimi giovani ogni estate partono per
fare attività di volontariato nelle cooperative
di Libera Terra sui beni confiscati alla
criminalità organizzata. Inoltre è vero che
nel nostro paese c’è la mafia e la criminalità
organizzata più forte, ma l’Italia, il nostro
Paese, è stato anche il primo paese che
si è dotato di una legislazione antimafia
all’avanguardia non solo in Europa ma
anche nel mondo. Certo non possiamo
mai abbassare la guardia e dobbiamo
sempre vigilare e sviluppare e mantenere
sani gli adeguati anticorpi dati dalla
democrazia,dalla giustizia sociale e dallo
stimolo alla cittadinanza attiva. Pressando la
politica e i politici che devono fare bene la
loro attività di servizio al Paese, garantendo
i diritti ai cittadini e in particolar modo il
diritto al lavoro.
Rispetto al fenomeno delle mafie come la
pensano i giovani?
I giovani sono interessati al fenomeno e
cercano di comprenderlo e di essere attivi
con iniziative di sensibilizzazione per la
legalità e con progetti concreti ad esempio
fornendo un sostegno alle cooperative
di Libera con attività di volontariato
grazie al progetto Estate Liberi, dove alla
mattina si lavora insieme ai soci della
cooperativa e al pomeriggio si fa attività
di formazione. Questo atteggiamento tra i
giovani si sviluppa quando capiscano che
la criminalità organizzata non è una cosa
lontana ma vicina a loro che può minare,
anche senza alcun motivo,le loro vite e
quelle dei loro famigliari, privandoli del
bene più prezioso che è quello della libertà
e della dignità in quanto uomini e cittadini.
Siete presenti nelle scuole? Ricordi un
episodio che ti ha profondamente colpita
durante le vostre iniziative nelle scuole?
Si siamo presenti nelle scuole. Non ho
un ricordo particolare. I ragazzi sono
sempre meravigliosi e mi stupiscono in
più di un’occasione per la loro capacità
di ascoltare argomenti così difficili per ore
di fila senza stancarsi e per le domande
semplici ma puntuali che pongono
agli esperti che non lasciano spazio al
compromesso e che come diceva Borsellino
sono la bellezza del profumo del senso
libertà tipica della loro giovane età che può
portare a migliorare il nostro Paese.
Qual è l’importanza della confisca dei beni?
I beni confiscati sono importantissimi
perchè oltre ad essere una sanzioni penale
concreta che va ad incidere non solo
39
dia-logos
mafia è discordia e disinteresse. Alla parola
mafia si contrappone quella di conoscenza
e legalità che comporta per noi di Libera
la presenza di due elementi essenziali la
responsabilità individuale e la giustizia
sociale, quest’ultima è a fondamento della
nostra costituzione, quindi per noi significa
riconoscere l’importanza dei diritti del
uomo in quanto essere umano e cittadino
e il rispetto della sua dignità. Per quanto
riguarda l’organizzazione della mafia posso
solo dirle che la mafia ha una struttura
molto complessa con dei livelli superiori e
inferiori, con specifici gradi e compiti e che
opera nei settori più svariati da quelli tipici
criminali quali racket, estorsioni, traffico,
droga, traffico di rifiuti illeciti etc.. a quelli
legali quali alberghi, centri commerciali,
villaggi turistici nei quali ricicla il denaro
proveniente dalle attività illecite.
economicamente ma anche sul potere e il
prestigio dei boss; la confisca dei beni ai
sensi dell’art. 416 bis del codice penale,
permette un loro riutilizzo sociale ciò
significa che possono essere trasformati in
beni di accoglienza, recupero, incontro
e assistenza per persone in difficoltà, che
vivono ogni giorno in condizioni di povertà
e marginalità sociale, oltre che offrire
forti posizioni prese da Papa Francesco
in particolare mi riferisco al Messaggio
per la Giornata della Pace, ma non
solo,dove Papa Francesco rivolgendosi ai
cattolici afferma: “Un autentico spirito di
fraternità vince l’egoismo individuale che
contrasta la possibilità delle persone di
vivere in libertà e in armonia tra di loro.
Tale egoismo si sviluppa socialmente sia
possibilità di lavoro ai giovani del sud e non
solo che non trovano lavoro, ciò avviene
attraverso le Cooperative e il progetto
Libera Terra. La confisca dei beni permette il
riscatto economico e sociale a quei territori
che per anni hanno subito i soprusi e la
violenza della criminalità organizzata.
nelle molte forme di corruzione, oggi così
capillarmente diffuse, sia nella formazione
delle organizzazioni criminali, dai piccoli
gruppi a quelli organizzati su scala globale,
che, logorando in profondità la legalità e
la giustizia, colpiscono al cuore la dignità
della persona. Queste organizzazioni
offendono gravemente Dio, nuocciono ai
fratelli e danneggiano il creato, tanto più
quando hanno connotazioni religiose.”
Don Ciotti nel suo libro:“La speranza
non è in vendita” scrive: La fede non può
essere un salvacondotto. Non esonera
dalla responsabilità della vita civile, sociale,
politica. Non solleva dalle scelte difficili
e dall’impegno in prima persona”, il che
chiama evidentemente i credenti sempre a
un esame di coscienza. n
dia- logos
40
Il mondo cattolico come può operare per
una cultura della legalità?
A questa domanda rispondo in base
a quanto da sempre sostiene il nostro
Presidente Don Luigi Ciotti: “La Chiesa
deve interferire, risvegliare le coscienze,
denunciare non solo gli affari criminali
e le ingiustizie sociali, ma l’illegalità
diffusa e le morali di convenienza”. A
questo proposito rincuorano le recenti e
I fatti di Casa nostra
41
Echi della Beatificazione di don
Luca Passi
Camminare nel tempo, per incontrare e
vivere delle emozioni inaspettate, delle
esperienze che riempiono l’anima di
passione e coraggio.
Nel cammino del tempo, dentro la mia
comunità, ho potuto conoscere la grande
sensibilità, il grande coraggio, l’immensa
disponibilità delle suore che, ogni
giorno, incontriamo per le nostre vie, che
guardiamo da lontano e comprendiamo
quanto amore possano dare anche nei loro
silenzi, al nostro paese.
Le guardo da lontano e capisco nei loro
atteggiamenti la grandezza della loro
tenerezza, della loro voglia di aiutare e
sacrificarsi, per ognuno di noi. Ero curioso
di comprendere, di capire, di sentire quegli
abbracci che, in quelle parole ed
in quegli sguardi, loro ti donano.
Ho partecipato con entusiasmo
alla Beatificazione di Don
Luca Passi, il fondatore delle
Dorotee, ho partecipato perché
era un atto, nato dal cuore
e quando questa sensazione
nasce dalla volontà di esserci,
bisogna costruirla ed anche
perché volevo ringraziare chi
ha permesso di inviare presso
la nostra comunità quelle
presenze così importanti; ed
ho partecipato, pregato, ho
rappresentato tutta una comunità
attraverso la fascia tricolore che
vestivo, perché con me c’era un
paese che voleva ringraziare le
strette di mano che, le nostre
suore, ogni giorno ci dedicano.
Nel cammino del tempo, si
vivono esperienze che ti lasciano segni
indelebili nell’anima, una di queste è stata
la celebrazione vissuta a Venezia nella
Basilica di San Marco. Si respirava una
particolare partecipazione, spirituale ed
umana, si è vissuto una rievocazione in cui,
ogni preghiera era un ringraziamento a chi
ha donato tanto agli altri. Per me è stata
una giornata che mi ha permesso di capire
l’immensità delle parole, delle gesta, della
sensibilità viva anche nei piccoli momenti
quotidiani della nostra vita; da questa
esperienza e da quello che le suore del mio
paese mi donano ogni giorno, ho compreso
che devo costruire quelle emozioni che
possono dipingere le vie, le case, un
pensiero, un abbraccio, partendo da quelle
pagine scritte in quella giornata.
Grazie ancora a Suor Terenziana, a Suor
Claudina ed a Suor Elisanna. n
Il Sindaco Molinaro Pierluigi
cronaca
FORGARIA
VIAREGGIO
“La Castagnata”
cronaca
42
Anche quest’anno la nostra
castagnata è stata un successo. Gli
ingredienti hanno funzionato alla
grande: voglia di stare insieme,
collaborazione e cose buone da
mangiare sono stati la formula
giusta!!! Sabato 9 Novembre
sono arrivati i papà specialisti del
barbecue che hanno “riscaldato”
le griglie. Più tardi le mamme
dei bambini si sono sistemate
al loro posto di combattimento e alle 11
tutti insieme abbiamo dato il via alla festa.
Nell’aria si è subito espanso un profumo
invitante:salcicce, rosticciana, castagne.
Sui tavoli salumi, formaggi, dolci a non
finire. La pesca dei bambini ha fatto in
modo che i due piani di scale fossero un
continuo viavai di piccoli e grandi! Altri
si sono improvvisati cantanti e con il
“Karaoke” hanno messo in moto l’ugola
facendoci sentire brani moderni o classici.
Nel pomeriggio c’è stato il solenne
momento della premiazione e tutti in sala
verde abbiamo applaudito chi ha ottenuto
il riconoscimento con tanto di motivazione
del premio “io c’ero!”
Ecco le categorie: premio “grafica”,
“fotografia”, “il fuoco di Don Luca Passi”,
“il pesca persone”, “vengo anch’io!”, “ci
vado io!”, “ci penso io!”, “immediata
disponibilità” e ringraziamenti e applausi.
Presente “il mercatino di Dorotea” che ha
riscosso attenzione.
Alla sera,dopo aver riposto gli oggetti
e pulito tutto ci siamo salutati, come si
suol dire “stanchi ma felici”. Abbiamo
ringraziato il cielo che ci ha permesso
di fare festa, nonostante le previsioni
preoccupanti. Siamo stati “bene”: genitori,
bambini, maestre, suore, nonni.
La castagnata è un appuntamento storico
che ci permette di conoscerci meglio e di
far del “bene”, potendo così offrire un aiuto
a sostenere le missioni delle nostre suore.
“Ardere per accendere”, il motto di
Don Luca Passi, sempre attuale che noi
proteggiamo e promuoviamo con il fuoco
dell’amicizia. Ci siamo donati a vicenda
un sacco di cose belle: la gioia di esserci,
l’allegria di fare, disfare, rifare, il profumo
e il gusto delle cose buone da mangiare,
gli applausi, i canti. Il progetto didattico
di questo anno “Il Dono” va prendendo
sempre più forma e sostanza: le insegnanti,
i bambini ci lavorano in aula. Con i
genitori lavoriamo in giardino, in sala
verde negli incontri di formazione, nella
preghiera. Insieme per donare, per donarci,
per arricchirci. Un’altra bella serata ci
arricchisce con il messaggio forte di un
Piccolo Bambino che sta per nascere: è la
serata del 19 dicembre nella Basilica di San
Paolino con la tunica rossa bordata di oro
il coro dei nostri bimbi ci allieta con i canti
gospel: musica, movimenti, colore per far
festa e dar gloria a Gesù. Ma… il nostro
concerto fa replica: nel Centro di Viareggio
le voci del nostro coro si sono sentite
ancora per arricchire l’atmosfera natalizia e
offrire .un dono alla città.
E ora? Altre cose importanti ora ci aspettano
per continuare a crescere, per donare la
nostra gioia, il nostro impegno, per poter
ardere e accendere! n
Maestra Antonella
ROANA
A viso aperto capita che…
Si chiamano Chiara, Federica, Isabel, Silvia,
Luca, Alessandro, Riccardo e Lodovico.
Sono i protagonisti di questa storia. Giovani
di differente età e provenienti da località
diverse, ma tutti sono stati raggiunti
da angeli che hanno dato loro un lieto
annuncio. Un annuncio “a viso aperto”: il
Signore ti sta cercando!
Si sono incamminati e la stella che
seguivano si è fermata su Roana. Si sono
fidati senza indugio e hanno portato in
dono i loro cuori, le
loro speranze, le loro
consapevolezze, le
loro domande, le loro
fatiche... Davanti
alla mangiatoia tutti
insieme si sono
ritrovati e si sono
lasciati guidare da
chi, prima di loro,
si è lasciato stupire
da questo Dio
bambino, piccolo e
indifeso, ma nello
stesso tempo così
infinitamente grande.
Così la diffusione
della gioia ebbe
inizio e ai loro occhi
tutto fu meraviglia.
Intanto il tempo
passava. La stella era
ancora lì e nei loro cuori entrava la gioia
vera quella che illumina ogni uomo. Anche
se non conoscevano bene quel Bambino
avvolto in fasce, si avvertiva, osservandoli,
che avevano proprio voglia di scoprire
il Suo volto, di stare con Lui, di lasciarsi
incontrare da quell’amore tenero che li
aveva portati fin lì, di contemplarlo. E così,
fiduciosi e a viso aperto, si sono messi in
ascolto di chi li aveva preceduti: Maria,
Giuseppe, gli angeli, i pastori, i re magi e,
in loro compagnia, cercavano di collocarsi
in quella mangiatoia per scorgere il volto
di quella Vita carica di eterno nonostante le
grotte, le notti, i dubbi e le incertezze...
Ma non basta sapere. Bisogna incontrare. E’
giunto il momento di mettersi in cammino.
Accompagnati da Bartimeo i giovani sono
scesi nelle loro profondità senza paura.
Hanno saputo riconoscere i loro bisogni e
li hanno affidati a quell’Amore che piano
piano li stava conquistando. Sono stati
coraggiosi a buttar via i “mantelli” che
impedivano loro di non vedere, di non
toccare, di non abbracciare e di non dare
fiducia alla Via, alla Verità, alla Vita.
E così anche loro dopo essere andati e
aver visto, dopo essersi lasciati conquistare
dalla tenerezza di quel Bambino, dopo
essere diventati Uno, fecero ritorno nelle
loro case glorificando e lodando Dio per
quell’incontro, per quelle vite intrecciate,
per quelle storie arricchite di chiavi e di
un frutti, per quella gioia che ha coinvolto
aprendo i cuori, per quel volto che ha
concesso pace, per quella santa amicizia
che iniziava a prendere forma, per quella
fiamma che si è accesa…
Ed io dal quel giorno continuo a benedire
il Dio della vita per averli incontrati. Li
porto nel cuore e sul braccio legati a un
braccialetto colorato dal verde, che mi
ricorda la speranza e la forza di Chiara e
Isabel, dal giallo, che mi ricorda la gioia di
Federica e di Silvia, dal blu, che mi ricorda
la profondità di Alessandro e Riccardo,
dal bianco, che mi ricorda la semplicità
di Lodovico e di Luca, dal rosso, che mi
ricorda la passione di Suor Stefania, di Suor
Lisa e di Suor Giancarla. n
Giusi Canino
43
CALCINATE
Preziosa semplicità
44
Preziosa semplicità: già queste due parole,
da sole, racchiudono il senso di quanto
è avvenuto nella chiesa parrocchiale di
Calcinate lo scorso 7 dicembre, nella Vigilia
della Solennità dell’Immacolata.
Al termine della Celebrazione Eucaristica
presieduta dal Vicario generale della diocesi
di Bergamo, mons. Davide Pelucchi,
già superiore dei Preti del Sacro Cuore,
successori del Collegio Apostolico del
quale furono membri anche il Fondatore,
il fratello don Marco e lo zio mons. Marco
Celio.
Ai piedi dell’immagine sorridente del Beato
don Luca si trovavano, disposte quasi a
cascata sui gradini dell’altare, le copie
della nuova edizione delle sue Lettere: un
dono per sacerdoti, suore e cooperatori
che così possono nuovamente accostarsi al
suo cuore di pastore ed educatore sapiente
e amorevole. Insieme al parroco, diversi
sacerdoti della Chiesa bergamasca hanno
concelebrato con cuore riconoscente a Dio
per il dono della santità di don Luca. In
particolare don Alessandro Baitelli, storico
dei preti del Sacro Cuore, durante l’omelia
ha messo in parallelo il Verbo fatto carne
in Maria nell’Annuciazione con la vita del
nostro Fondatore, tutta dedita all’annuncio
della Parola perché potesse essere accolta e
vissuta da quanti incontrava nel suo servizio
durante le missioni al popolo. Ha inoltre
invitato a scorgere, tra le righe delle lettere,
la storia sacra che il Signore ha continuato
a scrivere anche attraverso le relazioni di
don Luca e i santi del suo tempo.
È dunque risuonata nell’assemblea la
cifra di un’amicizia sacerdotale che
irrobustisce la dedizione al Signore e la
passione per i fratelli. Al termine della
S. Messa, i Cooperatori dell’Opera di S.
Dorotea, i responsabili dei vari gruppi e i
rappresentanti delle varie Istituzioni si sono
quindi presentati all’altare per ricevere dalla
Superiora Generale dell’Istituto, Madre
Teresa Simionato un nuovo “scrigno”. Mi
richiamano infatti l’immagine del tesoro,
infatti, queste lettere, e anche quella
di “gomitoli”, intrecciati di fede, zelo
apostolico, passione per i fratelli. Sì. Le
lettere di don Luca mi sembrano proprio dei
“gomitoli”. Se li srotoli con pazienza, trovi
vigorose tracce di fede, amore, passione,
slancio, premura; è uno stimolo perché
anche noi oggi srotoliamo, riconosciamo,
apprezziamo, impariamo a discernere i
vari fili per dar vita a nuovi … “manufatti”
nella concretezza dell’esistenza e nella
grandezza del
cuore. Si è trattato
di un nuovo slancio
per laici e suore, a
cui ancora oggi è
affidato il “beato”
compito di farsi
amorose guide
per le giovani
generazioni. n
Suor Elena Palazzi
BURUNDI - GIHIZA
Liceo scientifico
“Beato Luca Passi”
Il 28 gennaio 2014 è stata una giornata
memorabile per i cinquecento giovani
alunni del liceo scientifico e collegio (=
scuola media) “Santa Dorotea”. Sono state
benedette e inaugurate ufficialmente le tre
nuove aule costruite con l’aiuto del gruppo
Amici del Mondo fondato dal Sacerdote
friulano Don Danilo Burelli che svolge il
ministero tra gli emigrati italiani in Svizzera,
nostri benefattori dal 1985.
La nostra grande e bella sorpresa è
stata quando Don Danilo, alla vigilia
dell’inaugurazione, ci ha mostrato la
targa, che si applica sulla parete esterna
dell’edificio, con inciso il nome del
donatore e dedicata al Beato Luca Passi,
nostro Fondatore!
Al mattino dopo la solenne Celebrazione
Eucaristica nella chiesa parrocchiale di
45
Gihiza, presieduta dal supervisore diocesano
delle scuole cattoliche nell’arcidiocesi
di Gitega, Abbé Vincent Bandeba, e
concelebrata dall’Abbé Albert Ntibazonkiza
vicario parrocchiale e direttore dello stesso
liceo, si è proceduto alla benedizione e
inaugurazione delle tre aule.
È stata immensa la gioia di
scoprire il telo che copriva
la bella sorridente immagine
di Don Luca con vicino la
targa-dedica, tra gli applausi,
i suoni dei tamburi e le
danze dei numerosi giovani
alunni, professori, sacerdoti,
genitori, rappresentanti
delle autorità civili, operai
che hanno realizzato la
costruzione e, in particolare,
noi suore di Don Luca!
Per tutta la popolazione è un
segno di speranza, di amore
e di certezza che la presenza
delle Suore Dorotee a Gihiza
è viva e operante.
I santi del nostro Istituto
restano lì a proteggere
e guidare le giovani
generazioni: la principale
scuola elementare di Gihiza
è dedicata a Suor Gina
Simionato, la scuola media
a Santa Dorotea, il liceo al
Beato Luca Passi! n
Suor Maria Vera di Gregorio
Castell’arquato
La Parrocchia in festa per
S. Dorotea
cronaca
46
Domenica, 9 febbraio 2014, nella
Collegiata di Castell’Arquato dedicata a
Maria Assunta, il Parroco don Giuseppe
Rigolli celebra l’Eucarestia in onore di
S. Dorotea. La Chiesa è gremita di fedeli
che, stretti attorno alle Suore, partecipano
con grande devozione alla celebrazione.
Il quadro della Santa, esposto di fianco
all’altare, mette in risalto, con i suoi colori
vivaci, la bellezza e la giovinezza di
questa martire, che sacrificò la propria vita
per amore del Signore. Le mele e le rose
poste sull’altare e davanti al quadro di S.
Dorotea, con il loro intenso colore rosso
ci richiamano all’amore,
al sacrificio, ma anche
all’esultanza della vittoria
della fede nel Signore.
Don Giuseppe, nell’omelia,
rileva che quando la Chiesa
celebra un martire tutti noi
siamo presi da un senso
di profonda trepidazione
e ci sentiamo a contatto
con il Cristo. Il Beato Luca
Passi affidando questa
Congregazione di Suore a
S. Dorotea, ha voluto che la
giovane martire trovasse in
loro la possibilità di essere
segno di quello che lei era
stata, in mezzo a noi. Poi
chiede a Suor Fernanda di
prendere la parola, che si
rivolge ai fedeli, con calore, porgendo il
saluto a tutti coloro che nel corso degli anni
ha potuto conoscere e a tutti i presenti che
hanno voluto condividere la celebrazione.
Ha voluto essere presente prima di
tutto per dare rilievo alle consorelle
che hanno scritto pagine di storia nel
paese di Castell’Arquato insieme a tutti
i compaesani. Una presenza, la sua che
esprime riconoscimento.
Una seconda ragione che l’ha spinta ad
essere presente, è il debito di gratitudine per
voi, dice ,rivolgendosi all’assemblea , che
custodite così bene le mie consorelle. Graziedunque-a don Giuseppe e a tutto il paese.
E siamo tutti qui per dare significato
alla festa di oggi dalla quale dobbiamo
trarre il messaggio per la nostra vita. S.
Dorotea è una giovane martire di cui,
una Passio molto antica, ci parla del suo
martirio. Alle origini del Cristianesimo gli
imperatori romani perseguitavano i cristiani.
Dorotea era una ragazza che non passava
inosservata, era rilevante, significativa, si
faceva notare perché era bella e si provava
per lei grande simpatia. Seppe rimanere
ferma nella sua fede e testimone di Cristo
fino al sangue. Un giovane, Teofilo, che la
scherniva lungo la strada verso il patibolo
le chiese: “Quando vai dal tuo Sposo,
mandami delle mele e delle rose” ed ecco
apparire un angelo nelle sembianze di
un bambino che portava un cesto di mele
e rose: Teofilo si convertì e finì martire.
L’essere cristiani, anche oggi, domanda
coraggio; non bisogna avere paura di
mostrare la propria fede.
Nel dialogo che si legge nella Passio, fra
Dorotea e le due amiche, Crista e Callista
che vinte dalla paura avevano ceduto
all’apostasia, Dorotea richiama due cose
importanti: “Non bisogna mai disperare
della misericordia di Dio” perché non c’è
ferita che Dio non possa guarire, non c’è
peccato che Dio non possa perdonare. Per
questo il Dio in cui crediamo si chiama
Salvatore.
Inoltre nel racconto del martirio di Dorotea,
viene evidenziato come la giovane
cristiana conoscesse l’arte di dare volto
al comandamento dell’amore di Dio:
Amatevi gli uni gli altri come io ho amato
47
voi. Dorotea era la manifestazione della
carità di Dio. Il martire è proprio colui
del quale Dio si serve per dimostrarci il
suo amore: un amore forte come la morte.
C’è un programma di vita in questa Santa
che suore, cooperatori e tutta la comunità
cristiana sono invitati a vivere nella propria
esistenza come un fuoco che arde a gloria
di Dio e in testimonianza feconda per le
giovani generazioni. n
TAVERNA
aggiunto gioia e speranza al mio vivere. Ha
contagiato e trascinato al Bene. Ha avuto
fiducia. Ha portato e porta la croce insieme
a me. Ha alimentato la voglia di spendersi
per il bene del fratello. Ha saputo seminare
nella mia terra arida. Ha teso la sua mano
per aiutarmi a rialzarmi. Ha prestato i suoi
piedi e le sue mani per farmi raggiungere e
toccare la perla preziosa. Ha tolto dal mio
essere tutte quelle insistenti incrostazioni
che non facevano arrivare la luce e il calore
dell’Amore. Ha saputo mettersi di fianco a
Un abbraccio di vita
Quest’anno il mio augurio è un po’ diverso
dal solito. Non ho scritto nulla anche se
il cuore vorrebbe mettere nero su bianco
quanto si muove in questo momento. Ma
non posso e non voglio tirarmi indietro dal
dire una parola semplice, magica, che apre
il cuore.
Da qualche mese sto seguendo un percorso
di spiritualità sulla misericordia, proposto
da Suor Mariangela Tassielli sul blog
Cantalavita.
Questa settimana la proposta è di stilare
una lista dei grazie. Perché dire grazie è
non dare nulla per scontato. Dire grazie
è riconoscersi non necessari in questo
mondo. Dire grazie è riconoscere di esserci
grazie a qualcuno.
La memoria della nostra Santa Patrona,
quindi, si inserisce con insistenza in questa
lista perché da questo grazie scaturiscono
tutti gli altri.
Ognuno di voi mi ha regalato qualcosa. Ha
condiviso con me un pezzo di strada. Ha
contributo a rendere a colori la mia vita. Ha
Giuliana Bozzoni
cronaca
48
me e indicarmi la bellezza del Dono più
grande. Ha plasmato il mio cuore e lo ha
aperto alla Vita in abbondanza.
In questi quasi 10 anni di esperienze
dorotee ognuno di voi ha fatto tutto questo
per me. Ed è per questo che sono qui ad
esprimere il mio grazie al Dio della Vita
e dell’Amore per avervi messo sulla mia
strada. Il mio non vuole essere un grazie
scontato, fatto giusto perché domani è la
festa di Famiglia... Il mio grazie nasce dal
profondo (dopo duri momenti) e con la
consapevolezza che se oggi prendo la mia
vita e ne faccio un capolavoro è solo grazie
COLLE D’ANCHISE
Centro di spiritualità e cultura
S. Famiglia di Nazaret
Il Centro di spiritualità e cultura nasce
con la consapevolezza che è necessario
comunicare il Vangelo in un mondo che
cambia, che la famiglia è la prima e la
più importante fra le strade lungo le quali
cammina l’uomo, credere nella famiglia è
costruire il futuro. Si propone di annunciare
il Vangelo dell’amore, del matrimonio,
della famiglia, della vita. Accoglie persone,
gruppi, coppie, famiglie promuovendo
incontri di formazione e di spiritualità.
Accompagna le coppie al matrimonio,
segue il cammino delle coppie passo dopo
passo, aiuta i genitori ad essere per i figli
a tutti voi. Se oggi posso
essere una fiamma che
arde per incendiare
l’altro è solo grazie alla
vostra passione che
si è poggiata in modo
indelebile sul mio
cuore...
Allora vi/mi affido
alla nostra Santa
Patrona perché ci
faccia sempre sentire
l’abbraccio immenso,
forte, quasi da togliere
il fiato al nostro Dio.
Solo se ci sentiremo
immersi in questo
abbraccio d’amore,
avremo la stessa dolcezza persuasiva,
la stessa fermezza nella fede, la stessa
forza di trascinare al Bene che ha avuto
Dorotea. E tutto questo per un unico scopo:
accompagnare i giovani da Cristo. Io ci
credo! Credo in adulti significati, credo in
anime contagiose desiderose di camminare
insieme e portare gioia e speranza. E con
don Luca, Vi dico: allarghiamo il cuore a
grandi speranze... tanto si ottiene quanto si
spera...
Buona Festa a tutti.
Con immenso affetto n
Giusi Canino
“genitori efficaci”, promuove incontri per
coppie separate, divorziate.
Il Centro Famiglie Incontro è un villaggio
che si estende su una superficie di circa
diecimila metri nel verde e nella quiete
della campagna nel comune di Colle
d’Anchise (CB).
A poca distanza dalla struttura si apre
La domenica delle famiglie
Si è svolto domenica 2 marzo 2014
l’appuntamento delle famiglie organizzato
dalla Pastorale Familiare in collaborazione
con le Suore Maestre di S. Dorotea che
animano il Centro.
Il tema scelto per quest’anno pastorale
è la rivisitazione dei luoghi dove Maria
è vissuta (Betlemme, Nazaret, Efeso)
o ha sperimentato eventi significativi
(Cana) per darne una lettura in chiave
familiare ricondotta ai nostri tempi. In
questo cammino le famiglie della Diocesi
“entrano” nelle case di Maria e rileggono
la propria storia fatta di relazioni intense e
significative, con una serie di simboli mai
fini a sé stessi e attraverso la ricostruzione
scenica di episodi di vita vissuta.
La casa del resto è la metafora della vita
vissuta in vari luoghi che rimandano ad
altrettanti aspetti dell’esperienza familiare:
ascolto, comunicazione, condivisione,
riposo, ricordi, cura dell’ altro, cadute.
Prossimi appuntamenti programmati
domenica 6 aprile 2014
domenica 4 maggio 2014. n
Suor Massimiliana Bandiera
uno spazio di ventimila metri
con campi da calcetto, tennis,
pallavolo, percorsi nel bosco.
Nel centro vi risiede una
piccola comunità di suore
Maestre di S. Dorotee: Suor
Massimiliana, Superiora, Suor
Annaclara, Suor Osanna.
Le suore, oltre agli impegni
pastorali nelle parrocchie
vicine, dedicano momenti
di preghiera a favore della
famiglia, curano l’accoglienza
e seguono i gruppi. Il Centro
Famiglie Incontro è una struttura
a servizio della pastorale
familiare. Viene data a chiunque ne fa
richiesta. Lo stile è quello dell’autogestione.
È tuttavia possibile usufruire dei servizi
con altre modalità concordabili con la
Superiora. n
Mons. Angelo Spina
Vescovo di Sulmona - Valva
49
cronaca
50
Tutto quello che fai al fratello più piccolo,
tu l’hai fatto a me
Mt 25, 40
La Fondazione MSD.Ve (Missioni Solidarietà Dorotee Venezia) – Onlus è stata costituita
il giorno 5 novembre 2012 dall’Istituto delle Suore Maestre di S. Dorotea per
continuare a promuovere e sostenere, grazie all’aiuto di tanti benefattori, progetti
di sviluppo internazionali in Albania (Burrel), in Africa (Repubblica Democratica
del Congo, Burundi, Cameroun, Madagascar), in America Latina (Bolivia, Brasile,
Colombia).
La Fondazione, che ha la sua sede legale a Treviso in Via Pierre de Coubertin n. 8
presso la comunità “Il Mandorlo”, intende perseguire le sue finalità di solidarietà
sociale oltre che all’estero, anche in Italia accogliendo e proponendo progetti a favore
dell’assistenza sociale, dell’istruzione e della formazione.
Sostenere un Progetto attraverso la Fondazione permette ai donatori di usufruire degli
sgravi fiscali previsti per i cittadini che destinano offerte a scopo benefico.
Alla Fondazione può essere destinato anche il 5 x 1000 compilando l’apposito riquadro
nel modulo per la dichiarazione annuale dei redditi.
Le offerte e le donazioni di tanti amici hanno permesso alle comunità di suore dorotee
che operano nei Paesi di missione di sostenere attraverso l’adozione il percorso
scolastico di tanti ragazzi che diversamente non avrebbero potuto frequentare la scuola.
Sono stati realizzati inoltre progetti per costruire scuole, pensionati studenteschi, spazi
ricreativi per bambini, ragazzi e giovani. Inoltre, grazie a questi aiuti è stato possibile
mantenere le strutture dove i ragazzi possono trovare qualcuno che si prende a cuore la
loro vita e li accompagna nel cammino formativo.
I bisogni sono ancora tanti: il cammino però può continuare grazie a tutti coloro che
anche in futuro vorranno esprimere vicinanza e solidarietà attraverso i Progetti che la
Fondazione ha attivato per contribuire a un futuro migliore per coloro che incontriamo.
Per donazioni o offerte Banca Carige Italia IT 91J0343112120000000387580
Per il 5 x 1000: C.F. 94142410268
www.msdve.it
Fondazione MSD.VE – onlus, Via P. de Coubertin, 8 - 31100 Treviso. Tel. 0422 263534
postulazione@smsd.it
In dialogo con il beato Luca Passi
a Venezia nell’anno 2013
51
(3–1-2013)
Sono tante le cose che vorrei dirti, caro
don Luca. Ti voglio bene e il mio grande
desiderio che da tanto è nel mio cuore
è quello di fare qualcosa per i giovani;
comunque la mia preoccupazione per il
momento è quella di stare accanto ai miei
figli; tu sai di cosa hanno bisogno e perciò
ti raccomando tutta la mia famiglia. Se tu
vuoi che io faccia qualcosa per gli altri
giovani ti affido i miei progetti. (Firmato)
Ti chiedo, Padre, la salute per tutta la mia
famiglia, tanta felicità in compagnia del mio
amore, e altre grazie. (Rita)
(15-1-2013)
Carissimo don Luca, come sono contenta
che il mio sogno si sia realizzato. Ora ti
chiedo per tua intercessione di benedire, di
aiutare, di sostenere quelle persone che tu
sai e che porto nel mio cuore. (Imelda)
(19–1-2013)
Grazie per l’incontro di preghiera nella
tua casa, don Luca, in attesa della tua
beatificazione. (Guido)
Ti affidiamo, don Luca, il nostro percorso
vissuto e da vivere… la nostra scelta di vita
… il nostro matrimonio. (Marta – Samuele)
Caro don Luca, ti affido tutta la mia
famiglia e le mie nipotine e invoco la tua
misericordia e benedizione. (Bianca)
Don Luca, proteggi tutti e la mia famiglia,
dacci salute e serenità, guidaci sempre per
la retta via. (Nicole, Simone e altri)
Caro, don Luca, ti chiedo la grazia della
conversione di mio figlio. (Davide)
(13-3-2013)
Carissimo don Luca, auguri per
l’anniversario della tua ordinazione
sacerdotale! Grazie per la tua immensa
opera di educazione della gioventù,
in particolare di mio figlio, tramite la
cura e l’istruzione attuata dalle suore; ti
raccomando la salute fisica e spirituale
del prossimo pontefice romano e del papa
emerito Benedetto XVI, nonché della mia
famiglia nel segno dell’antica croce di
Aquileia: unde origo inde salus. (Dante)
Don Luca, prega per la mia famiglia. Non ti
chiedo tanto, solo la salute per i miei nipoti,
che crescano con la fede nel cuore e che
stiano lontano dal male. (Merisio)
(13-4-2013)
Alla tua intercessione affido la comunità
delle suore maestre di santa Dorotea, da
te voluta, una in particolare: la piccola
comunità che è in Suc, Albania, Diocesi di
Reshen. (Cristoforo, Vescovo)
Don Luca Passi, proteggi tutta la mia
famiglia e tutti i miei nipoti e quelli che
Dio mi manderà; proteggici tutti insieme.
(Loredana)
Grazie per averci infuso il tuo ‘spirito’; fa
che noi possiamo portarlo ed infonderlo
in altri. Sii tu il nostro intercessore.
(Antonietta)
Giorno indimenticabile e gioia immensa
per la tua beatificazione! Don Luca Passi,
guidaci da lassù a camminare con la tua
fede. (Bianca)
Don Luca, ti ringrazio per aver fatto guarire
Giulia. Aiutaci tutti. (Antonietta)
Caro Padre Luca, ti affidiamo tutte le suore
Dorotee, particolarmente noi di Cemmo
ed anche la piccola congregazione del
Buon Pastore che ora cammina con noi.
Ti affidiamo tutte le giovani e i giovani in
postulazione
Dal quaderno dei visitatori
questa gioia del cuore, in cui sentiamo
unite anche tutte le fondatrici. (Sr. Amelia)
Caro don Luca fa’ che ci amiamo tanto per
amare di più il Signore. (Sabina)
postulazione
52
(14-4-2013)
Signore Gesù, per intercessione del beato
Luca ti affidiamo le intenzioni del nostro
cuore e ti ringraziamo sin d’ora per quanto
vorrai donarci. (Fabio–Anna)
Grazie, d. Luca, per la tua “presenza” tra
noi. Ti affido tutte le sorelle e confido in te.
Sono felicissima di questo evento. (S. A.)
Don Luca tu sai cosa ho nel cuore: Ti prego
per tutta la mia famiglia e specialmente
per i miei figli e nipoti. Godi la gloria del
paradiso, insieme a Mariagnese e tutti i
Passi. Grazie di tutto. (Ludovica Passi Melzi)
(16-4-2013)
Merci a Dieu, a don Luca Passi pour son
élévation au rang
de bienheureuse. Je
viens de te visiter
dans ton reposons
après ta Béatification.
Prie pour nous,
pour nos familles
et particulièrement
pou nos jeunes en
Afrique. (Balola Vital)
Gracias Beato
Lucas por todas tus
benediciones, a hora puedo decir “todo fine
bendecido”, ayudame a ser un fuego ardente
amor por el Reino de Dios. (Bertha Quiroz)
(9-5-2013)
Sono qui per pregare il beato Luca Passi
perché interceda per mia figlia Lucia ed ella
guarisca dalla sua depressione, si avvicini
a Gesù e possa vivere una vita serena,
onesta ed equilibrata. Possa trovare il giusto
compagno della sua vita. Ringrazio le suore
per la grande gentilezza. (Luisa)
(11-5-2013)
Don Luca, aiuta la mia zia perché possa
tornare a sorridere. (Arianna)
(13-5-2013)
Il piccolo resto della casa provinciale di
Brescia è venuto a trovare don Luca per
ringraziarlo dei doni della fede, della
speranza e della carità che ha trasmesso
a tutte noi con la sua vita. Chiediamo la
grazia di nuove vocazioni e della gioia per
tutto l’Istituto. (Sr. Celina)
Carissimo don Luca, chiedi per noi al
Signore un po’ del tuo zelo apostolico.
(Sr. Lucina)
Ti sentiamo particolarmente “amico” e
“compagno di viaggio”. Sii sempre a noi
vicino. (Rosanna, Piermaria)
(12-4-2013)
Ciao Sr. […]. Ti volevo tanto ringraziare per
il dono della rivista che mi hai fatto avere.
È un dono del Signore… Lo sento! Proprio
ieri mi sentivo affranta per le difficoltà
nel mettermi in opera per fare la volontà
di Gesù…quella di salvare mio figlio (N).
Non è facile perché ha rancore verso di
me […]. Ma confido in Gesù. Ieri sera
stavo leggendo il mio solito libro… ma non
riuscivo perché i miei occhi si chiudevano
dal sonno. Poi,
all’improvviso
la rivista Ardere
per Accendere.
Apro… leggo
e con una
forza “ardente”
comincio a
leggere. E, non
ho più sonno,
anzi un’energia
alimenta
fortemente il mio cuore: è Gesù. Lui che
mi guida e che sempre risponde alle mie
suppliche, che non mi lascia soffrire mai
più di un giorno, che sempre mi viene
incontro. Trovo nella correzione fraterna
di don Luca Passi il metodo e la via per
avvicinarmi a mio figlio […]. Testualmente
leggo: “per voler aspettare circostanze
più opportune, non si fa mai nulla […].
Si proceda come chi vuol fabbricare una
casa, ed ha pochi mezzi di fortuna. Se non
può completarla in un anno, si contenta
di vederla terminata in dieci, e bada solo
che quel poco che fa, sia stato secondo
il disegno, altrimenti sarebbe e spesa e
tempo perduto” (Pia Opera). Altre cose
mi hanno “illuminato” nella lettura: te ne
parlerò quando verrò a trovarti. Ti ringrazio
e prego per te. Un abbraccio. “Gesù ci ama
tantissimo e lo sento ogni giorno!”.
(Lettera firmata)
Ci hanno
lasciato…
53
BOFFO (Agnese) suor FABIA
nata a San Zenone degli Ezzelini
(TV) il 15.9.1938
morta a Padova il 29.10.2013
Agnese, nasce il giorno della Vergine
Addolorata. Trascorre la sua infanzia
serena in una famiglia ricca di valori
cristiani, circondata da quattro fratelli
ed altrettante sorelle. Terminata la licenza elementare, entra nell’Apostolinato
a Padova, dove tra preghiera, lavoro
e studio, matura la sua vocazione alla
vita religiosa. Durante questo periodo
frequenta il Patronato di San Benedetto, dove vive una Comunità Dorotea. Lì,
assieme ad altre ragazze, lavora in laboratorio e si specializza in maglieria.
A 19 anni, maturato il suo cammino vocazionale, entra nell’Istituto delle Suore
Maestre di Santa Dorotea, a Venezia, il
5 ottobre 1957.
Agnese veste l’abito religioso il 30 agosto 1958 e le viene dato il nome di Fabia. Nel 1960 fa la prima professione e
nel 1965 si dona definitivamente al Signore con il suo sì per sempre!
Suor Fabia non aspira a cose alte, dal
punto di vista umano, ma si dedica, con
umile generosità, a quelle attività della
vita ordinaria, indispensabili per la vita
delle comunità nella quale l’obbedienza la porta per un lungo periodo della
sua vita (laboratorio, cucina). Padova,
Scorzè, Thiene, Maserada e dal 1993
a Padova! Tutto fa nella serenità, nella tranquillità, nella riservatezza, con
bontà e generosità, possiamo dire, in
punta di piedi senza disturbare nessuno. Senz’altro impara questo stile di vita
da Gesù “mite ed umile di cuore” che
incontra ogni giorno nella preghiera frequente, prolungata, intensa e fervente.
Ma la vita silenziosa e serena di Suor Fabia, ad un dato momento, è visitata dalla
sofferenza, cosa che tutti, in un modo
o nell’altro, prima o poi incontriamo. La
malattia si inserisce gradualmente nella
sua vita, fino a diventare una vera croce,
una croce pesante, che ad un certo momento la inchioda su quel letto, da cui
il Signore l’ha chiamata a sé, liberandola dal pesante giogo e portandola a far
parte della sua gioia. Lei non si ribella
alla sofferenza. Anzi, con la forza che
le viene dall’amore a Cristo Crocifisso,
sa arricchire la sua vita di una nuova
caratteristica: la sofferenza diviene per
lei un modo nuovo di amare Gesù. La
croce non la separa da Lui, ma la unisce
a Lui più profondamente. Così il dolore
diventa amore!
Pensiamo e ne siamo certe, che Suor
Fabia, alla fine di una vita, vissuta nella semplicità e segnata da una lunga e
dolorosa sofferenza, giunto il momento
di passare dalla Chiesa di quaggiù alla
Chiesa celeste, Gesù l’ha chiamata con
le parole dette un giorno alla folla che
lo seguiva:
“Vieni a me, tu Fabia, stanca e affaticata; ora e per sempre io ti darò ristoro.
Sazierò la tua fame e sete di amore, perché sperimenterai in pienezza quanto ti
ho sempre amato, sazierò la tua fame e
sete di felicità, perché ti riempirò della
mia gioia divina, E questa sarà la tua vita
per l’eternità”. Chiude la sua esistenza
nell’infermeria di Padova. Ora i suoi resti mortali riposano nel cimitero di Ca’
Rainati, suo paese natale.
Comunità di Padova
Salvatori (Lea)
suor Alessandrina
nata a Passo di Treia
(Macerata),il 4.10.1928
morta a Padova il 4.11.2013
Lea Salvatori conosce le Suore Dorotee
del Beato Luca Passi, presenti in paese, le
frequenta con amore e, guidata dalla lampada della fede e dell’amore, si prepara alle
nozze con Cristo. Sente la chiamata alla
vita contemplativa, ma, per motivi familiari,
entra nella famiglia religiosa di Santa Dorotea a Venezia il 3 ottobre 1956, a 28 anni.
Il noviziato è per lei un tempo di intenso
impegno, per adornarsi di tutte quelle virtù
che la renderanno sempre più gradita allo
Sposo divino che l’aveva scelta e chiamata. Chi l’ha conosciuta, da vicino, ricorda
il suo fervore nell’attesa della Prima Professione avvenuta il 1 settembre 1959 che
l’avrebbe legata a Cristo per tutta la vita.
Lea con il nome nuovo di Suor Alessandrina, può dire a Cristo con gioia: “Mi
hai chiamato, eccomi Signore!”.
Tra le molte caratteristiche che la distinsero Suor Alessandrina e la resero cara
a Dio e a quanti la incontrarono, nel
percorso della sua lunga vita, ne spicca
una: il suo grande amore per la preghiera e per la casa della preghiera, amore
che si rifletteva in tutto il suo comportamento, nel rapporto con le consorelle e
con quanti incontrava.
54
La sua vicinanza a Cristo, mediante la preghiera, non poteva non creare in lei anche
un grande amore per la casa del Signore,
la Chiesa, dove Cristo Sposo è presente e
vivo, specialmente nell’Eucarestia.
Ancora novizia viene mandata a Casier
presso il Seminario dei Padri Sacramentini, poi nelle comunità di Asolo, Venezia, Roma e nel 1972 a Venezia, Casa
Madre. A lei è affidata la cura della
Cappella e del guardaroba, servizi che
ha svolto con passione e meticolosità.
Suor Alessandrina è stata un’ottima sarta! Quante consorelle ha reso felici soprattutto a Venezia finché ha potuto!
La vita trascorre, passa in fretta e per
tutti giunge la vecchiaia con i suoi malanni. E anche per suor Alessandrina si
aprì l’ultima fase della vita, quella della
sofferenza che la portò fino all’impossibilità di comunicare con gli altri.
Suor Alessandrina è entrata nella infermeria di Padova il 25 novembre 2011. è stato,
per lei, il tempo della grande attesa di incontrare definitivamente lo Sposo. Poteva
dire, e certamente diceva, con le parole
del Salmo: L’anima mia attende il Signore.
Ed il Signore venne, quasi in punta di
piedi, una serena mattina di novembre,
per dirle: Vieni, mia sposa, ricevi la corona che ti ho preparato. I suoi funerali
sono stati celebrati il 7 novembre 2013
nella Cappella dell’Istituto e nel pomeriggio al suo paese natale, dove ora riposa vicino ai suoi cari.
Comunità di Padova
VANIN suor ROSALIA
nata a Quinto il 21.12.1929
morta a Padova il 14.11.2013
Rosalia ha vissuto con gioia e impegno
la preparazione a divenire Suora Doro-
tea, prima nella sua famiglia, a Quinto
di Treviso, poi a servizio dei sacerdoti di
Santa Cristina: Mons. Tognana e il cappellano Don Luigi Spolaore, che erano
di lei assai contenti perché era brava e
svelta, sempre serena e allegra. Essendo molto giovane e con tanta voglia di
giocare, approfittava dei momenti liberi
per andare a divertirsi con le ragazze
della famiglia Durigon che abitava vicino alla Canonica. E l’amica Rosalia Durigon, che la ricorda con affetto, quando
doveva recarsi a Quinto in bicicletta
volentieri si prestava a passare dalla sua
mamma per alcune commissioni.
A vent’anni, Rosalia Vanin entra in Istituto a Venezia e alla vestizione le viene
dato il nome “Prosdocima”; riprenderà
poi quello di battesimo. Sua attitudine
particolare fu la cura costante e l’amore
ai fiori, la passione per il canto sacro. In
qualche paese, dove è stata come educatrice nella scuola dell’Infanzia, ha guidato il coro per l’animazione liturgica.
Quando è stata chiusa la Comunità a
Ramon di Loria, dove ella era responsabile, si rese disponibile ad aiutare in
una casa di riposo. Trasferita a Maserada, si prodigò nei vari servizi alle sorelle anziane, in particolare come autista
per accompagnarle a visite e cure negli
ospedali della zona.
Quando si è creata la necessità di fare
raggio con la scuola materna di Varago,
ella visse questa esperienza di pendolare per alcuni anni. Era molto espansiva,
creava facilmente buoni rapporti con la
gente. Ancora oggi la ricordano.
Anche a Maserada riuscì a riorganizzare
il “Coro Parrocchiale” dopo che il maestro in carica Graziano Santolin decise
di rispondere al bel dono della chiamata
ad entrare in Seminario. Ad Alessandro
Facchin, giovane parrocchiano, Suor
Rosalia scoprì il talento della musica e
gl’insegnò con costante pazienza le prime nozioni, che poi egli perfezionò e
completò al conservatorio.
Nel 2002 venne mandata alla casa di riposo di Pagnano continuando il servizio
che già svolgeva a Maserada. Le forze
però cominciarono a diminuire e dopo
alcuni anni fu trasferita a Venezia. Necessitando dell’intervento di protesi al
ginocchio, dopo l’operazione all’Ospedale di Monastier, fece la convalescenza
a Maserada dove tornò stabilmente nel
2010. Riprese a coltivare la passione per
i fiori e abbelliva con gusto la cappella;
teneva compagnia alle sorelle che erano stabilmente a letto recando conforto
e pregando con loro. Nel gennaio 2013
si ammalò seriamente con forti e persi-
stenti febbri. Ricoverata all’Ospedale Ca’
Foncello di Treviso, dopo varie indagini e
lunga degenza non fu trovata la causa dei
suoi mali, ma il fisico appariva visibilmente provato e un successivo ricovero in cardiologia evidenziò la fragilità del suo essere. Ritornata in Comunità aveva bisogno
di molte attenzioni, e la Madre Provinciale le propose di entrare nell’infermeria di
Padova, più strutturata e funzionale. Suor
Rosalia accettò con la speranza di guarire.
La Superiora, Suor Francalisa, e le sorelle
infermiere l’hanno accolta con tanto amore prodigandosi per la sua salute.
Suor Rosalia ebbe uno sprazzo di ripresa, ma il male lavorò nascostamente.
Morì il mattino del 14.11.2013 dopo
aver ricevuto l’Eucaristia, mentre seguiva la santa Messa trasmessa tramite
microfono.
Il rito funebre si svolse nella Cappella
delle Suore, via S. Pietro; concelebravano: Mons. Angelo Cecchinato, cappellano della casa, e Don Mirco Moro, parroco di Maserada. Erano presenti i suoi
fratelli, familiari e una discreta presenza
di amici di Maserada.
La salma è stata tumulata nel cimitero
di Padova.
Il 14 dicembre il coro “San Giorgio” animò la S. Messa di trigesimo a Maserada,
e vi fu la partecipazione dei parrocchiani e dei familiari.
Grazie, Suor Rosalia, del tuo tratto di
strada vissuto serenamente con noi. Ora
dal Paradiso intercedi per noi luce, coraggio, amore, fedeltà alle indicazioni
del nostro Beato Fondatore che disse:
“La carità domanda a ciascuno di prendersi a cuore la salvezza del prossimo” e
“Io temo solo quando si manca di confidenza in Dio”.
Le consorelle di Maserada e di Padova
PARENTI DEFUNTI
Caterina Zani
sorella di suor Bonaventura (Brescia, “Villa S. Giuseppe”)
Cristoforo Boldini
papà di suor Caterina (Brescia, Via Marsala 30)
Maddalena Dusi
sorella di suor Clemenzia (Brescia, “Villa S. Giuseppe”)
Carlo Sabatti fratello di suor Francesca (Calcinate)
fr. Romeo Pirazzo, dei Missionari d’Africa
fratello di suor Annaclara (Colle d’Anchise)
Sante Mazzucco
fratello di suor Annapaola (Padova, Curia Provinciale)
Giovanni Cervi
fratello di suor Sara (Asolo)
Antonio Marangon
fratello di suor Luciana (Vorno)
Giuseppe Vecchi
fratello di suor Gerardina (Padova, via S. Pietro)
Carmela Cappelletto
sorella di suor Giannamaria (Thiene)
Stefano Tasinazzo
fratello di suor Giannalberta (Padova, via S. Pietro)
Giuditta Bettariga Bergomi
mamma di suor Marialuisa (Roma, viale Vaticano)
Ilde Marostica
sorella di madre Angela (Padova, Curia provinciale)
Bianca Andreolle Dal Broi
sorella di suor Isangela (Roma, Casa generalizia)
e di suor Maria Chiara (Padova, via S. Pietro)
55
Una guida,
un Padre
56
A
ll’alba del 13 febbraio, il Signore ha chiamato a sé Mons. Vincenzo Carbone, e con
viva riconoscenza e affetto in tutte noi Dorotee si è ravvivato il suo ricordo ed elevata la
preghiera di suffragio. Nato il 5-4-1920 a Mercogliano, provincia di Avellino e diocesi
dell’Abbazia Territoriale di Montevergine, fu ordinato sacerdote il 27-6-1943. Nel 1945 gli
fu assegnata la Cattedra di Teologia Dogmatica nel Pontificio Seminario Regionale del Lazio
Superiore, a Viterbo, svolgendo contemporaneamente anche l’incarico di Professore nell’Istituto
Tecnico Statale e di Preside della Scuola Media e dell’Istituto Magistrale “G. Merlini”.
Nel settembre 1959 fu chiamato a Roma da Papa Giovanni XXIII con l’incarico di collaborare
nella Segreteria Generale del Concilio Vaticano II. La sua vita, già tutta a servizio della Chiesa,
divenne da allora specificatamente rivolta alla preparazione e svolgimento di quel grande
evento, con un ruolo assolutamente centrale, come prezioso ed intelligente assistente del
Segretario Generale, Monsignor Pericle Felici, e come Segretario del Tribunale Amministrativo.
Concluso il Concilio egli desiderava ritornare a insegnare a Viterbo, ma Paolo VI lo volle
Archivista ufficiale dei documenti del Vaticano II. Con il suo solito stile di deferenza, Monsignor
Carbone obbedì al Papa e con indicibile acribia e pazienza certosina si accinse a raccogliere
tutti gli Atti del Concilio in 64 poderosi volumi. La sua ferrea memoria era poi un “computer” di
quell’importante storia della Chiesa, e molti studiosi lo consultavano.
Chi si fida di Dio,
mette Dio in obbligo
di prendersi cura di lui
57
A Roma abitò nel territorio della Parrocchia di S. Maria delle Grazie e le nostre suore studenti di
Viale Vaticano subito lo conobbero, ne apprezzarono le doti e la sensibilità sacerdotale, tanto
che con unanimità di voti (27 su 27) lo scelsero come loro Confessore Ordinario. Il 2-9-1960
fu inaugurata la cappellina nella nostra casa e quindi diverse furono poi le occasioni perché
egli vi celebrasse la S. Messa con omelie sempre qualificate e dense di insegnamenti dottrinali.
Da allora Monsignore accompagnò, con amore costante e paterno, la vita del nostro Istituto.
In particolare ricordiamo le tappe più significative: il Capitolo Generale Speciale per l’unione
dei tre Istituti; la revisione e riformulazione delle Regole e delle Norme; l’epistolario di Madre
Guardini… Guidò molte suore con la direzione spirituale, corsi di formazione, esercizi spirituali.
Era sempre pronto ad ogni richiesta di consiglio o di assistenza spirituale e per celebrazioni
proprie dell’Istituto. Il Patriarca Card. Albino Luciani, sapendo quanto ci fosse vicino, dopo la
morte di Paolo VI, gli telefonò a Mercogliano pregandolo di sostituirlo nella celebrazione del rito
della Professione perpetua a Venezia il 3 settembre 1978, prevedendo di trovarsi in Conclave.
Eletto Papa il 28 agosto, Giovanni Paolo I gli ritelefonò per assicurarsi che l’indomani avrebbe
presieduto la nostra funzione. A seguito dell’avviso dato a tutte le Comunità della sua morte,
molte risonanze sono pervenute alla Superiora generale.
“Tutte partecipiamo a questo lutto nella preghiera e nella
speranza, perché siamo certe di aver ricevuto un immenso
In punto di morte
dono divino nella persona di Mons. Vincenzo Carbone e
non piangete,
rendiamo lode e ringraziamento al Padre che ce lo ha dato. In
particolare Madre Vincenza, Sr. Scolastica, la sottoscritta con
è l’ora della gioia
le sorelle che a vario titolo lo hanno conosciuto e apprezzato ne conservano un ricordo grato e orante.
Il Signore ha rivelato in Lui il suo Amore paterno: Monsignore infatti ci ha aiutato e sostenuto con
rara competenza, anche nei momenti più delicati del cammino della nostra Famiglia religiosa, e
con indefesso e amoroso servizio nell’approfondimento del Carisma e nella precisazione della
Storia dell’Istituto che Egli ha molto amato […]” - Suor Gerolama.
“Abbiamo ricevuto la comunicazione della morte del nostro carissimo padre e amico, Monsignor
Vincenzo Carbone. Non nascondo che la notizia mi ha commossa, ripercorrendo tutto il suo
prezioso servizio non solo alla Chiesa e all’Istituto, ma anche e in modo particolare alla sottoscritta.
Tanto per indicare un suo importante intervento a mio favore: se non ci fosse stato lui, credo che
non avrei potuto tenere nella mia scelta di diventare medico. Il Signore lo ricompenserà anche
solo per questo! Quando penso a quante persone (sono migliaia e decine di migliaia) ammalate,
povere, rifugiate, carcerate, ecc. ho potuto aiutare e continuo ad aiutare, grazie al mio servizio
e alla mia competenza di medico, non posso non ringraziare il Signore e il suo servo, Mons.
Carbone! E che il nostro padre continui a pregare per noi dal cielo!” – Suor Lucia n
Suor Ritalberta Mazzoni
Invito alla lettura a cura di Suor Fernanda Barbiero
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WALTER KASPER,
Il vangelo della famiglia
Queriniana Brescia 2014, € 9
Tema del libro è la “buona notizia” della famiglia: la
famiglia, cioè, nella prospettiva della fede cristiana.
Fra l’altro, il teologo e cardinale tedesco suggerisce
che non basta considerare il complesso e spinoso
problema dei divorziati risposati esclusivamente dal
punto di vista canonico-giuridico e dalla prospettiva
della Chiesa come istituzione; abbiamo invece
bisogno di cambiare paradigma, considerando la
situazione – come ha fatto il buon Samaritano –
anche dalla prospettiva di chi soffre e chiede aiuto.
Su queste posizioni, è aperto il dibattito.
Aprendo i lavori del concistoro straordinario sulla
famiglia, il 20 febbraio 2014 papa Francesco si è
rivolto al collegio cardinalizio con queste parole:
«La famiglia rappresenta nel mondo come il
riflesso di Dio, Uno e Trino. Eppure la famiglia
oggi è disprezzata, è maltrattata, e quello che ci
è chiesto è di riconoscere quanto è bello, vero
e buono formare una famiglia, essere famiglia
oggi; quanto è indispensabile questo per la vita
del mondo, per il futuro dell’umanità. Ci viene
chiesto di mettere in evidenza il luminoso piano
di Dio sulla famiglia e aiutare i coniugi a viverlo
con gioia nella loro esistenza, accompagnandoli
in tante difficoltà, con una pastorale intelligente,
coraggiosa e piena d’amore». Dopo la relazione,
lo stesso papa Francesco si è complimentato
così: «Nel lavoro del cardinal Kasper, che vorrei
ringraziare, ho trovato profonda teologia, direi
anche un pensiero sereno nella teologia. È
piacevole leggere teologia serena. E ho trovato
anche il sensus Ecclesiae, l’amore alla Madre
Chiesa. Mi ha fatto bene e mi è venuta un’idea:
questo si chiama “fare teologia in ginocchio”.
Grazie! Grazie!». n
JOAN CHITTISTER
Felicità
Queriniana Brescia 2013,
«Joan Chittister non delude mai; ma qui ha superato
se stessa. Il libro è uno studio profondo, perspicace
e ampio del tema “felicità”. E tuttavia è anche molto
più di questo. Il lettore sarà sicuramente più saggio,
dopo averlo letto: si sentirà più completo e – sono
pronta a scommetterlo – più sereno» (Phyllis Tickle).
Che cos’è la felicità? Felicità e piacere sono la stessa
cosa? La felicità è una chimera, è un risultato da
perseguire con fatica o la si può anche conseguire
del tutto? E perché mai la felicità, anche in ambito
cristiano, a volte non pare essere considerata un
valore? Certo, la felicità non deriva dalle cose che
si possiedono, ma perché sentirsi in colpa se si
va alla ricerca della felicità? Siamo stati educati a
fare ciò che agli altri dà felicità, non a noi stessi.
Siamo stati educati a valorizzare la fatica e il lavoro,
l’obbedienza e la disciplina, a essere persone forti
e indipendenti: tutte cose importanti e doverose. Se
però queste cose mi distolgono dalla valorizzazione
dei miei talenti o dei miei desideri, allora forse
trascorro la vita mettendo a tacere una parte
costitutiva della mia umanità: e la felicità diventa
una creazione fittizia della mia fantasia. Questo
libro rema controcorrente. Sviluppa una archeologia
della felicità, operando uno scavo profondo. Mette
ordine nel pietrame di secoli, negli archivi dei
principali campi di studio dell’umano – biologia,
neuroscienze, psicologia, sociologia, filosofia,
religione… – per capire le molteplici dimensioni di
ciò che di epoca in epoca è stato chiamato ‘felicità’.
Non ne risulterà una formula magica, valida per tutti.
Ma, questo sì, un insieme di intuizioni, domande
e provocazioni utili a riflettere personalmente sulla
felicità, sul punto in cui realizziamo al meglio ciò
che siamo destinati a essere. n
59
MICHAEL DAVIDE SEMERARO
Etty Hillesum - Umanità radicata in Dio
Paoline, Milano 2013, € 13,50
L’itinerario spirituale di Etty Hillesum, a
settant’anni dalla sua morte nel campo di
sterminio di Auschwitz (30 novembre 1943). Si
tratta di un omaggio che fratel Michael Davide
Semeraro rende alla giovane ebrea e al suo
incredibile percorso spirituale ed esistenziale.
Inizialmente lontana da Dio, Etty lo scopre
guardando in profondità dentro se stessa e con
l’aiuto di un’assidua preghiera.
Nel suo diario scrive: “Dentro di me c’è una
sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è
Dio”. In questi settant’anni il seme della vita di Etty
Hillesum è diventato un albero su cui tanti hanno
trovato rifugio e conforto attingendo a piene mani
il balsamo necessario alle molte ferite della vita: le
ferite ricevute, ma anche quelle provocate con la
superficialità, l’egoismo, l’indifferenza.
Diversamente dalle altre recenti pubblicazioni
su questa figura poliedrica, il libro di fratel
Michael Davide si pone come modello per un
percorso spirituale proponibile anche alle nuove
generazioni, con il pressante invito a cercare Dio
nella propria vita, partendo dall’incontro vero e
profondo con se stessi.
Scrive l’autore nell’introduzione: “Etty Hillesum
è testimone della possibilità di trasformare la
storia accettando di trasformare profondamente e
radicalmente la propria vita. […] In queste pagine
non ci sono chissà quali novità su Etty e sul suo
percorso né sul suo destino, ma sono un modo
per creare un clima di ri-ascolto. Proprio come se
ci trovassimo attorno al focolare per risentire le
stesse storie, quelle di sempre. Eppure ogni volta
che le riascoltiamo troviamo qualcosa che ritorna
e nello stesso tempo rincuora”. n
card. LUIS ANTONIO GOKIM Tagle,
arcivescovo di Manila
Raccontare Gesù.
Parola – Comunione – Missione
EMI, 2014, pp. 64, € 6,90
«è uno scandalo che ogni giorno abbia luogo
una cancellazione di tanti “ultimi” del mondo».
Con questa denuncia si chiude il nuovo libro del
cardinale Luis Antonio Gokim Tagle, arcivescovo
di Manila, voce autorevole della chiesa asiatica
e tra i nomi più in vista della «nuova» chiesa
di papa Francesco. Nel volumetto il cardinale
filippino affronta la missione della chiesa nel
mondo sotto tre aspetti: il primato della parola di
Dio, la centralità dell’eucaristia come offerta di
sé al prossimo, il ruolo dei cristiani nel contesto
asiatico, dove i credenti in Cristo rappresentano
una piccola minoranza (3%), osteggiata e spesso
perseguitata, ma anche «piccolo gregge» fedele
alla propria identità.
Tagle affronta, con la sapienza del teologo e la
passione del pastore «con l’odore delle pecore»,
per usare un’espressione cara a Papa Francesco,
il rapporto tra essere credenti e il mondo
contemporaneo partendo dagli «ultimi», i primi
destinatari dell’annuncio di Cristo: «I poveri,
le bambine, le donne, i rifugiati, i migranti, le
minoranze, i popoli indigeni, le vittime di diversi
tipi di violenza domestica, politica ed etnica,
l’ambiente, vedono soffocare le loro storie. La
chiesa racconta la storia di Gesù, le cui parole
spesso rimasero inascoltate. La chiesa in Asia gli
rende omaggio riconoscendosi nella funzione di
narratrice delle storie dei senza voce, in modo
che la voce di Gesù sia udita nelle loro storie
soppresse». n
TAXE PERçUE
Roma - Italy
60
Ardere per Accendere
Anno LII - n. 1 - Gennaio/Aprile 2014
Finito di stampare nel mese di Aprile 2014
PERIODICO QUADRIMESTRALE
DELLE SUORE MAESTRE
DI S. DOROTEA DI VENEZIA
Iscritto sul Registro della stampa
del Tribunale di Roma
al N. 367/’82 del 9.11.1982
Direttore
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Maria Elisa Perinasso - Emmarosa Trovò
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