I Vincitori del Concorso IL LOGO Stratiepolo 2014

Annuale della Scuola Media Statale “Tiepolo” di Milano - Anno XXIII n. 1, Maggio 2014 - Distribuzione gratuita
LA RAI
SALE IN
CATTEDRA!
A
bbiamo avuto nella nostra
classe, la 2ªL, una lezione di
giornalismo tenuta dalla
giornalista Vera Paggi di RAINEWS24, la quale ci ha spiegato che
Rainews24 all'inizio era soltanto
sulla piattaforma di Sky, nata nel
1999 per dare notizie ogni ora. Poi il
nostro compagno Fabio ha domandato quali studi si fanno per diventare giornalista. Allora la signora
Paggi ci ha raccontato che non c’è un
solo modo per fare questo affascinante mestiere: fino agli anni ‘80
venivi assunto per 18 mesi come apprendista e poi facevi l'esame di
stato. Tuttavia, i percorsi per diventare giornalista attualmente sono: la
scuola dell’obbligo, la scuola superiore, un diploma triennale e una
scuola giornalistica per due anni; o
in alternativa alla scuola di giornalismo si fa la “scuola sul campo”, cioè
la pratica in un giornale o in un sito.
Poi ci ha raccontato che negli anni
’80 si diffusero le televisioni private
locali e che ai suoi tempi c'era solo
la Rai come televisione italiana e
che, da quando lei ha iniziato a fare
la giornalista, molti metodi sono
cambiati soprattutto per il sopravvento di internet e dei giornali online. Ci ha consigliato di leggere il
giornale stampato oltre a quello online se vogliamo davvero approfondire alcuni argomenti di attualità e
non solo scoprire le notizie. Inoltre
ci ha informati che il Corriere della
Sera paga, per articolo online, venticinque euro netti.
Dopo ha spiegato che Rai News funziona così: vi lavorano duecento dipendenti per otto ore di lavoro tra
turno all’alba, turno di giorno, turno
di sera e turno di notte così da monitorare ininterrottamente le nuove
notizie inviate dalle agenzie di
stampa.
Ogni giornalista si specializza in un
settore: cronaca nera, cronaca
bianca, spettacolo, sport, politica.
Per noi è stata una esperienza interessante perché ci ha consentito di
conoscere di più il giornalismo.
Guido Armando Castiglioni, 2ªL
- In
Viaggio con
lo zaino: seguiteci in Italia e
nel mondo
- Creativ@MENTE: storie,
racconti e disegni ideati da noi
Piccoli critici si arricchisce
A
partire da questo anno scolastico, la Scuola Media
Tiepolo si è unita con la
scuola Leonardo da Vinci, divenendo così Istituto Comprensivo
Statale Piazza Leonardo da Vinci,
sotto la Dirigente Scolastica
dott.ssa Alessandra Ortenzi. Le due
scuole, già da tempo in stretto contatto e accomunate da una lunga
tradizione, hanno quindi “mosso i
primi passi” insieme, come ci testimoniano alcune immagini dell’Open day di dicembre.
Questo, e molto altro in
delle recensioni ad album musicali,
concerti, oltre che a film e libri
Qui
Tiepolo, la sezione dedicata agli
eventi e alle attività più importanti
che ci hanno visti protagonisti quest’anno.
Finestra sul mondo: articoli
nelle lingue che studiamo:inglese,
francese, spagnolo e tedesco
A review on
Pollock exhibition
On Wednesday, February 5th, I went
with my classmates to Palazzo Reale
to see the picture exhibition about
“Pollock and the irascibles”. Mrs
Muneroni and Mrs Pimpinelli came
with us. We had already seen a film
about Pollock in class, so when we
went to see the collection we already
knew about his life and way of painting.
Before we started the visit, Mrs Pimpinelli gave us some information
about the pictorial style of the artists
that lived in the same period and had
his same artistic ideas. After that, we
visited the first room that was dedica-
ted to Pollock’s different studies of
painting. Actually, some of his paintings are quite easy to understand because you can recognize the figures
represented on them, while in others
this is quite impossible, because it is
abstract art. In the first room there
was also a very famous picture by
Pollock called “Number 27”. In the
following room there was a sofa, and
lying on it you could see on the ceiling
a clip from a film about the life of the
artist. In the film you could see from
an unusual point of view his typical
way of painting. In the rest of the exhibition there were more paintings of artists such as Mark Rothko, Willem de
Kooning, Franz Kline and Barnett
Newman. Their pictures were unique
because they didn’t represent something they could see in real life, but
that they felt.
In particular Pollock experimented a
new kind of painting called dripping.
It consists in dripping the colour directly on the canvas. I find this art
very interesting.
In the show there were many other
paints and I was impressed by some
of them, while I didn’t like others
maybe because I didn’t understand
them or what the artist wanted to communicate. But this type of art is really
difficult to understand because the artists painted what they felt and so the
meaning of their works may be incomprehensible to ordinary people.
I really enjoyed the exhibit because
some paintings were really interesting
and unusual, the colours were bright
and beautiful. To conclude this review,
I think that Pollock exhibition was
very interesting and I would suggest it
to anyone who likes abstract art.
Alessandro Intropido, 3ªA
Nella nuova rubrica Noi tra passato e futuro come ci sentiamo noi adolescenti e come ci vedono
gli adulti e uno speciale sui lavori dei nostri sogni.
Troverete interviste sulle professioni, tra cui due interviste a un pompiere e a un vigile urbano, qui un’anticipazione, l’intervista a due illustri magistrati.
Marito e moglie, uniti dalla legge
INTERVISTA AI MAGISTRATI EUGENIO E
FRANCESCA FUSCO
Come avete deciso di iscrivervi a giurisprudenza?
La scelta di Eugenio di frequentare giurisprudenza è stata un po’ casuale ed è maturata solo all’ultimo anno
di liceo, mentre il sogno di Francesca era fin da ragazza di fare il magistrato, ed è riuscita a realizzarlo.
Quali sono stati i momenti più difficili e quelli che le hanno dato maggiore soddisfazione?
Il difficile viene quando bisogna decidere, perché la decisione di un magistrato si riflette sempre sulla vita
delle persone e non solamente quelle coinvolte dalle indagini; si pensi ai famigliari ma anche ai dipendenti
di un’azienda. La più grande soddisfazione si ha quando anche il condannato comprende che la sanzione
che ha ricevuto è giusta. Questo capita raramente, ma quando accade dà grande soddisfazione. Un’altra
grande soddisfazione si ha quando un cittadino che si è rivolto alla magistratura ringrazia perché ha ottenuto
giustizia.
Mi racconta un caso particolare a cui ha lavorato?
Il caso Parmalat, in cui tanti risparmiatori avevano perso i propri risparmi. In molti sono riusciti anche ad
ottenere un risarcimento attraverso l’azione giudiziaria.
Quali sono, secondo voi, le principali regole che deve rispettare un “giovane cittadino” oggi per diventare un adulto consapevole dei suoi doveri?
In primo luogo un “giovane cittadino” deve imparare a rispettare le regole, non alcune in particolare, ma
tutte. Le regole sono tutte egualmente importanti, perché se ognuno usasse solo le leggi che gli fanno comodo, ciascuno avrebbe leggi diverse.
AMERICAN IDIOT,
UN ALBUM DA RICORDARE
American Idiot è l’album che ha
portato all’affermazione dei Grenn
Day nella scena punk-rock mondiale. L’album ha segnato il decisivo
passaggio della band dallo stile punk
anni 90’ al punk-rock moderno. Il
settimo lavoro della band di Oakland (California) è infatti una rock
opera con protagonista un immaginario alter-ego del leader della band,
Billie Joe Armstrong, e attraverso la
storia di Jimmy critica l’era Bush
dal suo punto di vista.
American Idiot non è il primo album
dei Green Day, gruppo fondato da
Billie Joe Armstrong, chitarrista e
voce, Mike Dirnt, bassista e Tré
Cool, batterista. Infatti il gruppo ha
alle spalle, a partire dal 1987 fino ad
arrivare al 2004, anno d’uscita dell’album in questione. Durante questi
anni la band ha subito una grandissima trasformazione, come si può
intuire dal fatto che il trio sono partiti dal suonare in piccoli club del
punk classico fino ad arrivare a suonare il loro rock negli stadi davanti
a migliaia di persone.
Un aspetto molto importante dell’album American Idiot è certamente
costituito dai testi, scritti dal cantante Billie Joe Armstrong, il quale
spesso parla implicitamente di se
stesso. Essi variano da semplici dichiarazioni d’amore a espressioni di
rabbia e di dolore, fino ad arrivare a
critiche molto specifiche verso la
politica americana di Bush. La maggior parte dei testi dell’album parla
di Jimmy,un ragazzo in cerca della
propria identità; egli incontra una ragazza, ironicamente chiamata Whatsername, la quale gli darà la
speranza di poter cambiare che però
lo lascerà con il ricordo dei momenti
felici passati insieme. Nel disco
sono però affrontati anche altri temi
quali le operazioni militari di Bush,
oppure fatti personali accaduti nella
vita di Armstrong: ad esempio in
Wake me up when september
ends,dove viene narrata la tragica
morte per cancro del padre di Billie,
avvenuta nell’infanzia di quest’ultimo. La band è tuttora in tour, riempiendo arene in tutto il mondo, a
pubblicizzare la trilogia di album da
loro appena prodotta.
Antonio Marino,
Andrea Lucchini, 3ªC
All’interno del Giornale l’inserto
Stratiepolo, dedicato a Il
Passo, con i temi vincitori del
concorso, il logo premiato e le
foto vincitrici, seguite quindi i nostri passi…
Alberto Puliga, 1ªI
Yer Myka Dimacali, 3ªE
Federico Di Cola, 3ªB
2
QUI TIEPOLO
Un’esperienza
davvero benefica
L
'open day della scuola è per tutti
- insegnati, famiglie e alunni un bel momento di incontro e di
conoscenza, ma per noi ragazzi di terza
in particolare è un'occasione per “mettersi in gioco”: è per questo che venerdì 13 dicembre anche noi abbiamo
dato il nostro contributo alla giornata
aperta della scuola. Tornare a scuola il
pomeriggio fa un altro effetto, in un
certo senso ci si sente “utili”.
Il nostro compito era quello di dare una
mano al banchetto all’ingresso, per
raccogliere fondi da destinare a un’organizzazione benefica. Anche se passare al banchetto tutto il pomeriggio
può sembrare un po' noioso, lo abbiamo fatto volentieri pensando che se
ciascuno fa una piccola parte, insieme
si può arrivare ad una cosa meravi-
gliosa. Non si pensi sia stato facile per
noi! Molte persone ci evitavano e solo
i più gentili si fermavano e compravano. Ma è stato bello perché abbiamo
rivissuto l’esperienza di entrare in una
scuola media per la prima volta: da una
parte ci ricordavamo di quando eravamo ancora in quinta elementare, e
dall’altra ci sentivamo grandi e ormai
tanto esperti da essere addirittura lì a
dare il nostro aiuto. Alla fine eravamo
tutti molto stanchi, ma felici di aver
partecipato: è in occasioni come questa
che si capisce che è bello aiutare gli
altri.
Filippo Cabras, Caterina Cozzani,
Beatrice Minerva, Cecilia Olivieri,
Olivia Regoli, Alessandra Sandja
keddine, Beatrice Sibani, Classe 3ªB
La nostra fotogallery, alcuni momenti
della giornata dell’Open day
La distribuzione del giornale
Prove di canto in Aula Magna con il prof. Mercurio
Oggetti realizzati da noi e piantine
in vendita per beneficenza
I nostri alunni mostrano la scansione orario con la Lim
Lezione d'inglese con la prof. Muneroni
La recita della 3ªI
I prof. si preparano per accogliere gli alunni delle
elementari divisi in gruppi con le coccarde colorate
La recita della 3ªI per gli alunni delle elementari
organizzata dalla prof. Marcandelli
Grazie a tutti per aver partecipato
Le magie della Lim con la prof. Pimpinelli
Lezione di disegno con il prof. Longo
3
QUI TIEPOLO
I nostri alunni nel CONSIGLIO DI ZONA 3
per il PROGETTO “RAGAZZI IN ZONA”
Parte anche a Milano il Consiglio di Zona dei Ragazzi e delle Ragazze. Partecipa alla “competizione elettorale”
anche la S.M.S. Tiepolo e tre alunni vengono eletti.
E
chi l'ha detto che l'esercizio
della politica sia solo affare
degli adulti? Come se i ragazzi
non fossero cittadini, come se dal loro
occhio vigile e critico non potessero
sorgere proposte interessanti ed innovative, come se il futuro non partisse
proprio da loro.
E' con questa idea che i diversi Consigli di Zona di Milano, tra cui quello di
Zona 3, hanno deciso di far spazio a
loro, ai ragazzi dai 9 ai 14 anni, per la
formazione di un Consiglio di Zona
dei Ragazzi e delle Ragazze, con l'ausilio dell'Associazione ARCI. Il tutto
preceduto da una seria campagna elettorale a scuola che ha permesso di ri-
che spiega come si svolgerà la mattinata. Finalmente davanti a noi vedo
un'insegna con il logo di Milano e capisco che è lì che dobbiamo entrare,
accolti dagli operatori dell'ARCI. Mi
guardo un po' intorno: vedo delle scrivanie disposte a semi-cerchio e delle
imponenti poltrone rosse.
Ecco il momento che aspettiamo tutti
con impazienza: ci chiamano uno per
volta e finalmente ci insediamo. E' già
tempo per ognuno di noi di parlare, di
illustrare le nostre idee. Quando tocca
a me, le parole all'inizio restano in
gola e la testa comincia a girare, ma
non è il momento, devo parlare per
tutti quelli che mi hanno votato: allora
Poi ognuno di noi ha parlato e spiegato perché i compagni di classe lo
avevano votato e cosa aveva intenzione di fare per migliorare la città.
Alcuni volevano rendere più accessibili i parchi, altri riparare o ingrandire
le palestre delle scuole, altri ancora
occuparsi di viabilità, rendere più sicure le piazze ed aprire luoghi d'incontro per bambini stranieri.
Quando è arrivato il mio turno mi è salita un'agitazione tale da cambiarmi la
voce, ma sono riuscita comunque a
parlare. Ho detto che mi sarebbe piaciuto rendere più sicure e moderne le
scuole, migliorare i parchi e costruire
più zone verdi. Quando sono tornata a
finalmente riesco a pronunciare il discorso più bello che io abbia mai fatto.
Credo che sia stata l'esperienza più significativa ed emozionante di tutta la
mia vita.
ANDREA SOFIA PONTA - Era il
grande giorno. Due miei compagni ed
io saremmo entrati a far parte del Consiglio di Zona dei Ragazzi per illustrare le idee nostre e dei nostri
compagni, allo scopo di migliorare la
Zona 3 di Milano.
Noi tre consiglieri eletti eravamo agitatissimi all'idea di partecipare a questo appuntamento. Una volta giunti,
un grido di ammirazione è uscito dalle
nostre bocche. La sala era stupenda:
gigantesche sedie ci aspettavano in ordine davanti ad un palco di legno. Davanti ad ogni poltrona c'era un
microfono ed i classici bottoni per le
votazioni, nascosti in una piccola cavità del tavolo. Ci hanno spiegato che
servono per votare le proposte prima
di ogni delibera: verde significa “favorevole”, rosso “contrario”, bianco
“astenuto”. Quando anche tutti gli
eletti delle altre scuole sono arrivati,
gli operatori dell'ARCI ci hanno spiegato come funziona e a cosa serve un
Consiglio di Zona: si tratta di un
gruppo di persone elette che insieme
decidono come migliorare la città e
renderla più sicura. Alcuni ragazzi
sono stati anche intervistati telefonicamente da “Radio Raga” per raccontare
il loro stato d'animo e le loro proposte.
E' stato tutto molto emozionante, soprattutto quando abbiamo dovuto trovare posto sulle poltrone su cui
compariva il nostro nome e votare
l'inizio della seduta.
Leo Colonnello, classe IID - Non dirò di avere un sogno, né di voler
realizzare una Milano “più pulita”, “più verde”… certo, voglio un
futuro del genere, ma sicuramente è un obiettivo molto alto. Perciò,
fin dall’inizio della campagna elettorale, mi sono chiesto cosa possiamo fare noi ragazzi per la Zona 3, noi che di solito non siamo
nemmeno interpellati. Beh, questa volta ci hanno interpellato, ed è
già un passo avanti! La Costituzione Italiana stabilisce dei diritti
anche per noi ragazzi, ma solo alcuni di essi vengono rispettati.
[…]
Spero perciò che si possa partire dal Consiglio di Zona dei Ragazzi
e delle Ragazze per poi partecipare alla vita politica della città. Questo, sì, è il mio sogno, e vi ringrazio, comunque vada, perché insieme
mi aiuterete a realizzarlo!
Riccardo Iannotta, classe IID - Avete mai sognato di andare a
scuola senza inconvenienti che vi facciano ritardare? Oppure di tornare senza rischiare di perdere il pranzo fumante che vi aspetta?
Bene! Semafori troppo lenti e automobilisti impazziti non saranno
più un vostro problema! Votate Iannotta e starete sicuri!Proporrò di
multare chi non raccoglie i bisognini dei propri amici a quattro
zampe e chiederò più vigili negli orari di entrata e uscita da scuola,
per garantire sicurezza e per regolare il traffico dove non ci sono i
semafori. […]
Avete tutti in mente le piste ciclabili che partono da un punto per poi
interrompersi in un altro? Ecco, consiglierò di riunire la pista che
passa da Corso Plebisciti, si interrompe in Piazzale Dateo, per poi
riprendere in Corso Concordia. In più consiglierò alberi al posto
degli spartitraffico, più pulizia nei parchi, più cartelloni pubblicitari
per la salvaguardia della natura e, per i più piccoli, più alberi nei par-
Andrea Sofia Ponta, Filippo Toniolo e Sofia Corradino
con la prof. Monaldi al consiglio di zona
flettere su temi di educazione alla
cittadinanza attiva, come i problemi e
le criticità del territorio, la partecipazione politica ed il voto, la rappresentanza democratica ed il funzionamento
delle istituzioni.
Agli eletti sarà poi data la possibilità
di elaborare e presentare delle delibere
su temi di interesse condiviso; esse saranno poi esaminate ed eventualmente
adottate dal Consiglio di Zona “degli
adulti”.
Di certo non si può dire che manchino
le idee: il 22 novembre 2013, giorno
dell'insediamento del Consiglio di
Zona dei Ragazzi e delle Ragazze, ne
sono state presentate moltissime, alcune delle quali, realizzabili anche con
un budget piuttosto esiguo, saranno
meglio approfondite nel corso delle
successive sedute.
Per la Scuola Media “G.B.Tiepolo”
sono stati eletti tre alunni della classe
II D: Sofia Corradino, Andrea Sofia
Ponta e Filippo Toniolo. Ecco qual era
il loro stato d'animo quel fatidico 22
novembre, entrando nella sede del
Consiglio di Zona 3:
SOFIA CORRADINO - Per la prima
volta nella mia vita sono più emozionata di quando vado ad un’interrogazione di Geografia senza aver studiato.
Succede tutto così: un attimo prima sei
in classe col cuore che batte a mille e
un attimo dopo sei in cammino verso
la sede dei Consigli di Zona, con il
cuore che ormai sta per collassare per
l'emozione.
Ho di fianco la Consigliera Andrea
Ponta e il Consigliere Filippo Toniolo,
che parlano allegramente e non mi
sembrano per niente emozionati; ci accompagna il Vicario Guido Siniscalchi
CAMPAGNA ELETTORALE “IN PILLOLE”
Piccoli “sognatori” crescono
scuola ero ancora emozionata per la
bellissima esperienza vissuta.
FILIPPO TONIOLO - Avete mai
avuto quella sensazione di caldo nonostante fuori ci siano cinque gradi?
Ecco, più camminavamo e più questa
sensazione saliva. Eravamo tutti col
sorriso sulle labbra, ma si vedeva sui
nostri volti una nota di pura paura, immaginando ciò che stavamo per fare
mentre cercavamo di raffigurarci
l'aula che stavamo per raggiungere.
Forse ripensavamo al giorno delle elezioni e a quanto era stato emozionante
quel momento che tutta la classe
aspettava.
Quando finalmente siamo arrivati,
siamo stati accolti calorosamente: eravamo i primi. Dopo l’arrivo degli altri
Consiglieri, ha avuto inizio l’incontro
di preparazione all’insediamento guidato dagli operatori dell'ARCI. L'atmosfera si è riscaldata all'arrivo del
Presidente della Commissione Decentramento, Caterina Antola, che, fatto
l'appello, ci ha invitati a prendere
posto sulle poltrone rosse; poi si è votato per aprire la seduta che così ha
avuto inizio.
Ognuno di noi si è presentato;
quando è arrivato il mio momento, ho
iniziato a sudare freddo e a percepire
un certo tremore alle gambe, ma ho
preso coraggio ed ho iniziato a leggere il mio discorso: speravo di non
fare brutta figura, e alla fine ho tirato
un sospiro di sollievo. Così siamo
tornati a scuola felici e entusiasti di
questa prima giornata al Consiglio di
Zona 3 dei Ragazzi e delle Ragazze.
2ªD
chi gioco, perché vedere i bambini più felici rende più felici tutti noi.
VOTATE IANNOTTA,VOTATE VOI STESSI.
Andrea Sofia Ponta, classe IID - “Io ho un sogno”. Sogno che tutti
i ragazzi e le ragazze di Milano possano esprimere le loro idee per
migliorare la città. Sogno che gli adulti, anche quelli più "importanti"
e più "lontani" da noi ascoltino i ragazzi e ci aiutino a realizzare le
nostre idee.
Quante volte in piazza o al parco ci siamo resi conto che bisognerebbe migliorare quegli ambienti? E quante volte ci siamo chiesti :
"Ma come faremo a far capire agli adulti tutto ciò?". Con questo progetto che riguarda la Zona 3 abbiamo una magnifica possibilità. Finalmente possiamo far capire ai grandi che abbiamo l'urgente
bisogno di posti belli e sicuri in cui stare. […]
Se approvate quello che ho scritto, vi dico che insieme potremo cambiare le cose affinché Milano diventi una città migliore. Insieme diremo NO ai parcheggi che finiscono per sostituire i nostri parchi,
diremo NO al traffico, diremo NO ai tristi colori del cemento. Che
voi mi votiate o meno, non fa differenza. Io non faccio questo discorso perché voi mi votiate. Io faccio questo discorso per far capire
a voi che bisogna fare qualcosa. […]
Se vorrete, io vi aiuterò a realizzare i vostri sogni. I nostri sogni. E
ricordate: si inizia migliorando un quartiere e si finisce per migliorare il mondo.
4
QUI TIEPOLO
Elio Fiorucci: un genio
della moda GIOVANILE
L
a mattina del 14 marzo la nostra classe ha avuto la fortuna di ospitare lo stilista
Elio Fiorucci per un’intervista sul
tema della moda. Gli abbiamo posto
alcune domande sulla sua vita e del
suo lavoro: ecco le sue risposte.
Quando era bambino, qual era il
lavoro dei suoi sogni?
Da piccolo vivevo in campagna, in
mezzo alla natura e agli animali, e
sognavo di fare il contadino. Ancora
oggi conservo questa passione e ho
cercato di trasmetterla anche in
quello che faccio, utilizzando ad
esempio materiali naturali, o facendo riferimento alla natura e agli
animali nei soggetti delle mie magliette.
Se oggi avesse la nostra età farebbe le stesse scelte di studio?
Da ragazzo non amavo studiare e non
trovavo molto interessante quello di
cui ci si occupava a scuola. La mia
grande fortuna è stata quella di poter
viaggiare, di scoprire cose nuove andando in posti come ad esempio Londra, che in quegli anni erano ricchi di
grandi novità ancora sconosciute in
Italia: erano gli anni della beat generation, degli hippies, della rivoluzione
della musica e dei costumi giovanili.
Oggi nel mio campo le cose sono
molto cambiate, oggi ci sono fantastiche scuole per designer e stilisti. Ma
il mio è stato certamente un percorso
molto fortunato; un’altra grande fortuna che ho avuto è stata che i miei genitori avevano un negozio, nel quale
ho cominciato a lavorare avendo così
la possibilità di incontrare le persone,
i clienti, e capire così che cosa piaceva
loro di più. Ecco, questa è una cosa
che consiglierei a degli aspiranti stilisti: andare a lavorare a contatto con la
gente, in un negozio, in modo da avviare un dialogo con il pubblico, che
nella moda è fondamentale.
Quali sono state le migliori soddisfazioni e le peggiori delusioni durante il suo percorso lavorativo?
Partendo dalle cose peggiori, direi
l’avere spesso trascurato i rapporti familiari per il lavoro. Mentre credo che
la soddisfazione migliore, che condivido con i miei fratelli, è quella di accorgermi di aver ereditato dalla mia
famiglia idee “buone”, nel senso di essere stati educati bene e di esserne
fieri.
Qual è l’idea che sta dietro al marchio Fiorucci?
Elio Fiorucci
Dietro ai miei prodotti c’è di certo
molta creatività e molta freschezza,
data anche dai miei giovani collaboratori. Anche la novità e l’originalità
sono importanti per me. Ma soprattutto la comodità e la funzionalità, tali
da rendere gli abiti adatti al movimento e alla vita: credo che sia questo
il filo principale delle mie idee.
Oggi cosa ama e cosa odia di più del
suo lavoro?
Oggi, come all’inizio della mia carriera, amo le mie idee, ma odio me
stesso perché non sempre riesco a
sfruttarle.
Se dovesse definire con tre parole il
suo lavoro, quali sceglierebbe?
Direi innanzitutto libertà, il non essere
condizionati cioè da schemi preconcetti; poi curiosità, come desiderio di
scoprire cose nuove; e infine volontà
di fare, o ancora meglio, magia del
piacere del fare. E credo che in tutti i
lavori questo sia fondamentale.
Di cosa si occupa Fiorucci oggi?
Oggi mi piace definire Fiorucci “a riposo”, anche se mi sento ancora un ragazzino. E poi oggi ci sono tanti
marchi che fanno prodotti bellissimi:
la moda ha compiuto dei tali passi in
avanti, verso una sempre maggiore libertà, sia nel senso della comodità e
della funzionalità, che come rottura
degli schemi, delle uniformi, dei canoni. Quando ero giovane bisognava
adeguarsi a un certo modello di abito
a seconda delle situazioni: oggi invece
conta sempre di più come ci si comporta in quelle situazioni, non come si
è vestiti!
SIAMO giovani… alla moda
È inutile negarlo, la moda ci condiziona, ci affascina, ci stuzzica ci gira intorno… o forse siamo noi a girarle intorno!
Come dice il signor Fiorucci, che abbiamo avuto il piacere di ospitare in nostra classe per una interessante intervista.
Ma noi ragazzi, nel vestirci, scegliamo i “capi alla moda” o cerchiamo di apparire così come pensiamo di essere? Insomma,
come si comportano i ragazzi quando si tratta di moda, vestiti, scarpe, felpe, ecc.?
Per dare una risposta fondata abbiamo sottoposto ai 750 alunni della scuola un breve questionario in cinque domande, e
abbiamo poi diviso i risultati in base all’età.
Come cambia il rapporto con la moda nel corso dei tre anni delle medie?
A quanto pare i ragazzi di prime fanno di rado acquisti da soli (13%), ma altrettanto di rado lasciano che a comprare i
loro indumenti siano i genitori (11%): la maggioranza di loro si reca nei negozi in compagnia di un adulto per scegliere
insieme cosa comprare (76%). In seconda e in terza media aumenta invece progressivamente la percentuale dei ragazzi
che effettua in autonomia i propri acquisti (29% per le 2e, 38% per le 3e), mentre calano fino quasi a scomparire gli
acquisti delegati completamente ai genitori (6% per le 2e, 4% per le 3e).
Non meno interessante è il risultato della seconda domanda, a proposito di chi scelga quotidianamente i capi da indossare:
pochi risentono infatti ancora dell’influenza dei genitori, e in misura drasticamente decrescente nel corso dei tre anni (dal
10% dei ragazzi di prima, allo 0% di quelli di terza), anche se molti di loro sono ancora disposti ad accettare un “buon
consiglio”.
Un risultato forse più inaspettato è quello della terza domanda, che mostra come l’attenzione verso le “firme” abbia
1 - Chi compra i tuoi vestiti?
un leggero picco verso la seconda media, ma in generale ciò
A.
Tu
che più interessa ai ragazzi è il risultato complessivo del loro
B.
Tu con un adulto
C.
Un adulto
“look”.
La domanda 4 rivela però che alla fine una buona percen2 - Chi sceglie quello che indossi?
tuale dei capi presenti nei nostri guardaroba è “firmata”. Sarà
perché ci stanno davvero meglio, perché sono di migliore
A.
Tu
B.
Tu con un adulto
qualità, o perché ci sembrano soltanto più belli per la loro
C.
Un adulto
marca?
Cosa ci racconta infine il risultato della domanda 5? Diven3 - Quali sono i criteri utilizzati per l’acquisto dei tuoi vestiti?
tando più grandi siamo portati a rinnovare gli abiti sempre
A.
La marca
più frequentemente, anche quando non sarebbe proprio neB.
Come ti stanno
C.
Il costo
cessario, ma impariamo ad approfittare dei saldi.
La risposta alla domanda iniziale dobbiamo cercarla nella
“domanda sottointesa” e nelle domande 3 e 4. La domanda
4 - Quale percentuale dei tuoi vestiti è “firmata”?
nascosta infatti è: “I giovani sono interessati alla moda?”. A
A.
Più del 50%
quanto pare la risposta è sì, perché al questionario tutti hanno
B.
Il 50%
risposto più che volentieri! Dalle risposte alle domande 3 e
C.
Meno del 50%
4, poi, si capisce che quando dobbiamo scegliere cosa indossare pensiamo prima di tutto: “Come mi sta?”, e cioè: “È
5 - Ogni quanto rinnovi i capi del tuo guardaroba?
così che voglio mostrarmi agli altri?”. E allora apriamo arA.
Piuttosto frequentemente
madi e cassetti alla ricerca del nostro personaggio!
B.
C.
In occasione di saldi/cambi di stagione
Quando non ti vanno più bene
Andrea Esposito,2ªB
La 2ªB
Fidarsi di un altro
per arrivare più in alto!
L
e mie aspettative sull'uscita alla
Rockspot non erano molte: mi
aspettavo che un paio di istrut-
tori ci dicessero come fare e poi ci stessero a guardare. Invece avevano preparato per noi due percorsi diversi: il
boulder e la vera e propria arrampicata.
Con il mio gruppo abbiamo cominciato
dal boulder, che è una piccola montagnetta sulla quale ci si arrampica senza
imbragatura. A prima vista non sembrava difficile, ma tra dire e il fare c'è
in mezzo il mare, infatti completare
l’intero percorso era molto complicato.
L'inizio era una semplice, poi però bisognava girare e non c'erano appigli, e
poi c'era una parete in pendenza con
molti appigli lisci dove arrampicarsi
era una vera impresa, e io personalmente mi sono divertita molto a cercare
di arrampicarmi su quella parete.
Nel tempo a nostra disposizione ab-
biamo fatto il percorso due volte, poi ci
siamo scambiati con l'altro gruppo e
siamo passati alla vera e propria arrampicata. I nuovi istruttori ci hanno mostrato come mettere l'imbragatura,
come usare il gri-gri e come fare sicura.
Io facevo da sicura alla mia amica
Greta e lei la faceva a me. Quando è
stato il mio turno, a tre passi da terra mi
sono impiantata in un punto e non sono
più riuscita a salire ma, dopo un paio di
tentativi falliti e una caduta in cui senza
sicura mi sarei fatta molto male, sono
riuscita ad arrivare fino a metà parete,
cosa che mi ha insegnato a fidarmi
meno delle apparenze e di più delle mie
amiche.
Laura Monaco, 1ªI
Disegno eseguito dagli alunni della prof. Bertagnoli
5
QUI TIEPOLO
“LUCI E OMBRE DAL PALCOSCENICO”
L
a mia esperienza teatrale passa
dall’essere una spettatrice, seduta in platea a osservare uno
spettacolo, a interpretazioni molto
brevi e quasi interamente improvvisate,
un po’ come l’atellana nell’antica
Roma, alla rappresentazione di una
vera a propria opera di Shakespeare.
Da ormai cinque anni, infatti, frequento
gli scout e molto spesso i nostri capi ci
chiedono di realizzare una scenetta di
pochi minuti inventando la storia a partire da un titolo. La maggior parte di
queste rappresentazioni è basata sull’improvvisazione: non si ha un copione né delle battute fisse, ma bisogna
inventare delle battute al momento,
sulla base di una storia e, molte volte,
senza neanche una storia. Queste piccole scene insegnano molte cose che
non sono poi così distanti dal teatro
vero: ad esempio tenere sempre la voce
alta, non parlare tutti insieme e non
dare mai le spalle al pubblico. Ma, al
contrario di una rappresentazione teatrale, insegnano a improvvisare, a inventare sul momento, ad aggiustare la
scena in modo che la scenetta sia comprensibile e possibilmente faccia anche
ridere.
Quest’anno invece la mia la mia classe
ha messo in scena la tragedia shakespeariana di Romeo e Giulietta e ho
imparato cosa vuol dire andare veramente in scena, su un palcoscenico con
luci e musiche e con un copione da imparare. Ho provato l’ansia prima di entrare in scena, ho capito cosa si prova
palco i due attori tra loro e con noi pubblico.
La mia esperienza teatrale insomma
non è molto varia né particolarmente
lunga, ma è sufficiente per potere avere
un’opinione sul teatro: non tutti i tipi di
teatro sono uguali e tutti sono difficili,
in un modo o nell’altro; un’esperienza
teatrale ti insegna cose che prima non
pensavi esistessero o magari non avevi
notato, ma nessuna esperienza di questo tipo passerà senza averti insegnato
qualcosa.
Carola Plebani, 2ªB
Quando si va a vedere qualche opera a
teatro, spesso si pensa che tralasciando
un gesto o una battuta, l'opera possa
riuscire comunque; ma non è così, e
l'ho scoperto personalmente.
Frequentando un corso a scuola ho imparato che quando si è sul palco, se si
sbaglia una battuta o un'uscita, l'intera
scena è compromessa, perché probabilmente il compagno non avrà l'attacco
per continuare a parlare e, se anche
continuasse, non si coglierebbe il senso
della battuta; ho imparato che non c'è
dialogo fra il pubblico e chi recita,
bensì fra le persone sul palco, e anche
se magari non tutti gli attori pronunciano delle battute, sono importanti
tanto quanto il protagonista che recita.
Al contrario di quanto si pensi, imparare le battute a memoria è solo il
primo passo, ed è anche il più facile,
poi bisogna capire da dove entrare e da
dove uscire e, specialmente, imparare
Andrea Benedetto 2ªG
a recitare di fronte a un pubblico numeroso e ho anche confrontato questa mia
esperienza con le scenette fatte agli
scout, scoprendo che è molto diverso
improvvisare piuttosto che andare in
scena, anche se a volte anche nel teatro
vero e proprio bisogna improvvisare,
magari per aggiustare una scena o
riempire il buco di una battuta dimenticata. C’è anche un altro aspetto del
teatro: il dialogo con il pubblico, perché ciò che il pubblico vede accadere
tra due attori in scena è molto importante, come ci ha sempre detto Matteo,
colui che ci ha aiutati a preparare il nostro spettacolo.
Infine sono stata anche molte volte
spettatrice di spettacoli, interpretati da
attori professionisti o da ragazzini della
mia età. Uno spettacolo recente che
sono andata a vedere con la mia classe
metteva a tema il bullismo e mi sono
accorta di averlo guardato con occhi diversi da tutti gli altri che avevo visto in
precedenza: essendo stata su un palcoscenico a rappresentare un’opera importate come Romeo e Giulietta, e
avendoci lavorato molto sopra, durante
la rappresentazione sul bullismo ho
avuto più attenzione ad alcuni particolari che prima non avrei notato, come
ad esempio il rapporto che avevano sul
come muoversi mentre si è in scena.
Personalmente ero molto eccitato per il
corso di teatro, ma poi mi sono accorto
di non essere portato per questo genere
di cose, specialmente perché sono
molto timido e mi sentivo a disagio appena entravo in scena, poi perché interpretavo il personaggio di Romeo, che
diceva cose a mio parere molto belle,
ma che io non riuscivo a dire senza imbarazzarmi molto, e perché il mio personaggio provava sentimenti che io
non avevo mai provato, e che io non
riuscivo a esprimere; la prima volta che
sono salito sul palco è stato terribile:
avevo tutte le luci puntate addosso, e
appena ho parlato mi sono reso conto
che avevo la voce talmente bassa che
molte persone non mi avrebbero sentito
mentre recitavo la mia parte.
Abbiamo fatto due spettacoli, uno
aperto ad altre classi ed un altro aperto
a tutti, famiglie comprese; abbiamo
avuto la fortuna di poter fare prima
quello per i nostri coetanei, così abbiamo avuto modo di correggere le
parti dove vacillavamo; nonostante la
prima volta che ci siamo esibiti il pubblico fosse scarso, la mia reazione è
stata la stessa, ossia mi sono vergognato moltissimo e di conseguenza il
tono della mia voce è sceso, e questo è
valso anche per il secondo spettacolo.
Insomma, per me quella del teatro è
stata un’esperienza utile, anche se non
proprio piacevole, perché mi ha fatto
capire che sono molto più portato per
fare lo spettatore che non l’attore.
Andrea Bagnato, 2ªB
Il teatro non mi è mai piaciuto. Ma questa volta ero
anche prevenuto, perché pensavo che fosse una delle solite
noiose recite scolastiche in
cui ero sempre il protagonista,
e per giunta questa volta
avevo pure una parte secondaria e, diciamo, non ero poi
così entusiasta del mio ruolo.
Però da quando Matteo, il regista, mi ha detto che dovevo
uscire dalla mia “vita normale” ed identificarmi nel
personaggio ho preso più sul
serio questo “progetto” e ho
fatto la mia parte come se
fossi davvero il mio personaggio, pensando a delle vicende simili che mi erano
capitate o di cui avevo sentito
parlare. Così, avendo ascoltato i consigli del regista, sono diventato uno dei più bravi “attori” della
nostra rappresentazione.
Inoltre sapevo che la mia scena non era
delle più importanti, ma comunque dovevo aprire tutto lo spettacolo, quindi
il mio contributo era fondamentale per
catturare l’attenzione del pubblico.
Il risultato è stato oltre ogni mia aspettativa.
Ringrazio Matteo di avermi fatto fare
questa bellissima esperienza e ringrazio tutti i miei compagni per aver creduto come me nella loro parte.
Gianluca Casagrande, 2ªB
Alle elementari facevamo delle recite,
in genere per Natale, così il tema era
sempre attinente a quel periodo. Abbiamo recitato Lo schiaccianoci, Il figlio di Babbo Natale, Natalino il
postino magico, ecc...
Erano le maestre a farci da regista, e
nonostante la loro ignoranza in materia,
la classe ristretta e gli sfondi colorati
da mani di bambini, lo spettacolo era
salvato dalla nostra tenerezza, e devo
dire, anche dalla nostra bravura.
Quest’anno è stato tutto diverso. Innanzitutto abbiamo recitato sotto la guida
di un regista vero, che essendo anche
attore ci capiva e ci invogliava a continuare anche se alcuni dei nostri compagni erano imbarazzati dalle scene
che dovevano recitare. Matteo è una
persona gentile, esperta e soprattutto
mette un grandissimo impegno in tutto
ciò che fa.
Poi per la prima volta, ho recitato in un
teatro vero. Era un incanto solo a
vederlo, e quando lo abbiamo paragonato al corridoio in cui avevamo fatto le prove ci è sembrato
enorme, spaziosissimo e soprattutto magico.
Magico, può sembrare una parola
inappropriata, ma è proprio così,
perché le luci creano un’atmosfera
da fiaba e anche le musiche fanno
la loro parte. Anche stare dietro le
quinte è bello, perché dà una sensazione di complicità e di amicizia
come pochi altri posti al mondo.
Dietro le quinte tutti sono amici e
sono disposti ad aiutare gli altri,
che sia per mettere i vestiti di
scena o per consolare qualcuno
che ha sbagliato la parte.
Lo spettacolo è venuto benissimo
e tutti hanno recitato con grande
impegno Romeo e Giulietta, anche
se includeva scene imbarazzanti e difficili da recitare per alcuni compagni,
che però hanno superato la prova e
hanno sfoggiato una maschera degna di
veri attori. Ormai non ci si aspetta più
da noi qualche frasettina o le canzon-
visto lo sforzo che ho fatto per recitare
quelle tre battute, anche devo ammettere che guardando le parti degli altri
ero un po’ invidiosa.
Secondo me questo lavoro è servito a
tutta la classe, soprattutto a quelli che
cine natalizie, ma uno spettacolo completo e anche per tanti versi complesso.
Pecche? A mio parere ce n’è solo una,
che riguarda solo pochi di noi. Le parti
infatti avrebbero potuto essere divise
più equamente, perché c’erano compagni che dicevano quasi trenta battute e
altri (tra cui io) che stavano quasi zitti
per tutto lo spettacolo.
Nonostante questo è stata una bellissima esperienza, che è piaciuta a tutti,
e che mi ha fatto capire il vero senso
del teatro, che non è cantare quattro
canzoncine, ma far rivivere una vera
opera.
Francesca Tortini, 2ªB
in genere hanno paura ad entrare nel
gioco, perché ci ha permesso di sperimentare emozioni e sentimenti che non
avevamo mai provato, da dietro una
maschera, cercando di mettere in relazione le nostre parti con la nostra vita
quotidiana. Il regista ci ha fatto lavorare molto su questo punto, facendoci
fare molti esercizi per cercare di pensare alla nostra parte nella vita di tutti i
giorni; ci ha ripetuto questo concetto
un sacco di volte, e meno male, perché
io all’inizio non riuscivo proprio a immaginarmi nella vita la scena dello speziale.
Un altro aspetto molto positivo è stato
quello di lavorare insieme a tutta la
classe, perché lo spettacolo aveva bisogno, per riuscire bene, di persone che
non recitavano da sole la loro parte a
memoria, ma di attori che si mettessero
nei panni del proprio personaggio e
parlassero davvero con il pubblico, in
caso di monologo, o con il proprio
compagno di scena, in caso di dialogo.
Un’ultima cosa che questo corso ci ha
offerto, che è stata forse quella che mi
ha colpito di più, è stata la possibilità
di paragonare il nostro lavoro con
quello dei professionisti, non più solo
immaginando il lavoro di preparazione
ad uno spettacolo, ma riuscendo a comprenderlo per averne fatto esperienza.
Quindi il nostro timore e quello della
prof. di perdere delle ore di lezione per
dedicarci al teatro non si è realizzato,
anzi non solo non sono state sprecate,
ma utilizzate al meglio!
Eugenia Ramploud, 2ªB
Quel giorno a scuola non si parlava
d’altro: io e la mia classe ci eravamo
iscritti ad un corso di teatro che
avrebbe occupato le ultime due ore di
ogni lunedì; anche la prof. era molto
curiosa di provare questo nuovo esperimento e vedere cosa avremmo imparato.
Quando è arrivato il regista, si è presentato come Matteo, e ci ha annunciato ufficialmente che alla fine del
corso avremmo messo in scena uno dei
più grandi capolavori di Shakespeare:
Romeo e Giulietta. Credo che tutti noi,
in quel momento, abbiamo sperato di
non dover interpretare né Romeo né
Giulietta, o almeno questo era il mio
desiderio, che per fortuna si è esaudito:
infatti il regista mi ha fatto interpretare
lo Speziale, colui che vende a Romeo
il veleno con cui si ucciderà. Questa
parte era sì molto corta, ma adatta a me
Lara Nervetti 2ªG
6
QUI TIEPOLO
Alcune delle attività svolte dalle classi seconde A, B, E con la prof. Anna Bertagnolli: lettere miniate e stemmi
7
QUI TIEPOLO
Ora sì che mi oriento!
L
'orienteering è una disciplina
sportiva nata a Stoccolma circa
100 anni fa, precisamente nel
1919. Si pratica all'aperto nei parchi,
nei boschi e a volte anche nei centri
abitati. I partecipanti, muniti di una
bussola e di una cartina topografica,
devono svolgere un percorso segnato
da punti di controllo chiamati “lanterne”. Se alla gara partecipano più persone si formano dei gruppi suddivisi
per categoria chiamati "trenini". I partecipanti devono avere una descrizione
della lanterna, che è nascosta ed indica
il luogo da visitare. Per dimostrare di
aver svolto tutto il giro del percorso il
testimone deve essere “pinzato”: oggi
si usano metodi moderni chiamati
“sport-ident” che permettono la registrazione dei dati che poi verranno scaricati all'arrivo. Tutti - giovani,
bambini, anziani, intere famiglie - possono svolgere questo sport che, infatti,
prevede tratti di varie lunghezze e difficoltà: quello corto è segnato da 12
lanterne, quello medio da 14 e quello
più lungo da 18. Vince chi impiega
meno tempo per svolgere l’intero percorso, scegliendo liberamente il tragitto
da percorrere.
Ho scoperto questo sport grazie al prof.
Curtarelli, il mio insegnante di educazione fisica: mi sono talmente appassionato a questa attività che quasi ogni
sabato partecipo alle gare con altre tre
compagne della classe 3ªC. Ho avuto
modo, così, di fare un’esperienza a diretto contatto con la natura che mi ha
permesso di migliorare le mie capacità
di ragionamento e di orientamento, aiutandomi ad usare sempre meglio strumenti come la bussola e la cartina.
Durante le gare mi diverto molto e
spesso arrivo primo: spero di vincere
anche la prossima gara, che si terrà a
Varese, così parteciperò alla finale.
Partecipare alle gare di orienteering è
molto divertente, è come vivere un’avventura, perché vaghi nella natura, in
qualsiasi condizione climatica, anzi
quando piove è ancora più divertente
perché il gioco si fa più duro. Durante
le gare mi è capitato di perdermi perché
non trovavo alcune lanterne: durante
l’ultima gara, ad esempio, non trovavo
la lanterna numero 5 perché era ben nascosta e mi sono anche perso, ma durante il percorso ho chiesto
informazioni ad altri ragazzi, mi sono
unito a loro e, alla fine, l’abbiamo tro-
vata e ho concluso il giro in un totale
di 2 ore e 10 min. Un’altra volta mi è
capitato di perdere la bussola nel
fiume. All’inizio mi sono spaventato,
ma poi non mi sono perso d’animo e
me la sono cavata con la sola cartina,
concludendo il percorso con una soddisfazione ancora maggiore.
Mi auguro che l’orienteering si diffonda e venga conosciuto anche da altri
ragazzi come me, perché purtroppo è
ancora uno sport poco conosciuto, ma
vale la pena partecipare almeno una
volta.
Riccardo Barbiero, 2ªA
Da Striscia la notizia ad Haiti:
L’INTERVISTA a Corallo
Lo scrittore Alessandro Corallo
incontra in classe gli alunni della 2ªD
I
l giorno 18 dicembre lo scrittore
Alessandro Corallo è venuto a
trovarci in classe. In quest’occasione ci ha mostrato un video-documentario sulla vita dei bambini di
Haiti ed è stato disponibile a rispondere alle nostre domande:
Come si svolgevano le giornate di
animazione al mare di cui parla
nel libro?
Raggruppavamo i ragazzi, li facevamo pranzare e poi giocare con diverse attività. Tuttavia i bambini, pur
essendo degli isolani, temevano il
mare, come tutti gli Haitiani: forse
c’è in loro il ricordo ancestrale delle
deportazioni dei loro avi dall’Africa
al centro-America.
Qual è la cosa di cui hanno più bisogno i bambini di Haiti?
Direi, oltre ovviamente al cibo ed ai
beni di prima necessità, di affetto: la
cosa che più colpisce è che al primo
sorriso che fai ad un bambino, questo
ti stringe la mano e non vuole più lasciartela.
Perché avete scelto di curare proprio Thèophile nella vostra missione?
Perché è entrato in casa nostra…insomma perché lui era lì. Magari potrebbe sembrare ingiusto il fatto che
abbiamo accolto lui e non altri ragazzi, ma a volte è il cuore che ti
guida in queste scelte.
Lei ha preso come un fallimento la
morte di Thèophile?
Sapendo che era malato di Aids, non
ho provato senso di colpa, ma mi
sono sentito realizzato nel renderlo
felice e farlo sentire amato nel periodo in cui è stato con noi.
Perché sulla tomba di Thèophile
non vi era neppure una croce?
Perché ad Haiti, quando muori, nessuno può più occuparsi di te: anche
il lutto è un lusso che non ci si può
permettere quando devi risolvere
ogni giorno il problema del cibo e
dell’acqua.
Come si è sentito quando è tornato
in Italia?
Ero assolutamente stupito, cose che
noi diamo per scontate, come accendere la luce, ad Haiti sembrano eccezionali. Anche piccole somme di
denaro che noi spendiamo senza problemi, là risolverebbero per un
giorno il problema del cibo.
Haiti ha subito anche un terribile
terremoto: com’è oggi la situazione?
Poco è cambiato, sono stati portati
via solo cumuli di macerie, ma la ricostruzione è ferma perché gli interessi dei vari stati che avevano
promesso fondi per finanziarla mantengono bloccati questi fondi. Perciò
le condizioni dei bambini haitiani
oggi non sono migliorate rispetto a
quanto descritto nel libro.
Ha mai pensato che forse il suo
compito in Italia è quello di far ridere i bambini grazie a “Striscia
La Notizia” [Corallo è uno dei redattori di “Striscia la notizia”]?
Sì, in realtà sono stato assunto tanti
anni fa a “Striscia La Notizia” in
quanto già mi occupavo di volontariato: cercavano qualcuno che fosse
disponibile ad ascoltare con pazienza
chi contattava la trasmissione.
Spesso le capacità che si sviluppano
in questi ambiti possono risultare
utili anche nel mondo del lavoro.
Lavori eseguiti da
Melissa Ravazzani,
e dalla classe 3ªH
della prof. Braghin.
Maria Andrea Clerici,
Sofia Piccinelli, 2ªD
BAMBINI DELL’“ALTRO MONDO”
Quando la letteratura racconta la vita: “AD HAITI SI NASCE ULTIMI” di Alessandro Corallo
a cura di Maria Andrea Clerici e Sofia Piccinelli 2ªD
“Ormai la condivisione la troviamo solo sul tasto CONDIVIDI dei social network”. E’ questo che
abbiamo pensato tutti noi ragazzi di “questo mondo” dopo aver letto il libro "Ad Haiti si nasce ultimi
" scritto da Alessandro Corallo e pubblicato nel 2006.
L'opera, di carattere autobiografico, racconta la
storia di Haiti, la perla delle Antille, paradiso
caraibico ma con scarso turismo dovuto alla povertà della popolazione. Alessandro, insieme ad un’altra
decina di missionari va a Port-de-Paix, dove conosce bambini come Mérisellet, sordomuto o come
Téophile che ogni giorno combatte per sconfiggere l’AIDS. Per un mese tutta l'équipe accudisce, cura
e nutre i ragazzi dell'isola. Al loro ritorno, l'anno successivo, arriva una terribile notizia: Théophile
sta morendo. Alessandro e i volontari riescono solo a battezzarlo e a salutarlo in punto di morte: con
un commovente paragrafo di addio ma anche con un messaggio di amore e speranza si conclude il
libro.
Sicuramente la lettura di questo testo come dimostrano i commenti di alcuni compagni:
Andrea Ponta - "Il libro mi è piaciuto moltissimo, in sole 140 pagine Alessandro Corallo è riuscito ad
emozionarmi più di quanto si possa immaginare. Una volta iniziato a leggerlo non si riesce più a smettere. Quando ho finito il libro mi sono sentita triste e avrei voluto che la storia continuasse, volevo sapere di più, scoprire che fine avevano fatto i bambini e informarmi in modo più approfondito".
Federica Stella – “Una delle cose che maggiormente mi ha colpito è come quest’esperienza abbia segnato i missionari: ad esempio uno di questi racconta che al suo ritorno in Italia è stato in grado di vedere la sua vita sotto un altro aspetto”.
Filippo Toniolo – “E’ sconvolgente il fatto che
sembrerebbe quasi un libro d'invenzione per le
condizioni di vita assurde che vengono raccontate,
ma bisogna convincersi che questa è la realtà e non
la trovata letteraria di un autore strampalato: anche
per questo il testo è molto coinvolgente”. Sara Abdous - “Credo che questo sia il libro più interessante che abbia mai letto perché non ho mai
provato sentimenti cosi intensi e profondi, pur non
avendo vissuto i fatti narrati di persona”. Leo Colonnello - Fra le parti più suggestive del libro si
notano quelle dedicate alle credenze popolari di
Haiti, ai mostri, agli zombie e ai riti vudù spesso
praticati in quelle zone.
Roberto Ardito- “...il tema principale è la vita, perché il libro parla di sorrisi, malattie, morti, bambini, tutto ruota attorno alla VITA che viene presa
quasi come un gioco dai bambini di Haiti. Essi
sanno di avere poche possibilità di un futuro e per
questo decidono di vivere...” Maria Andrea Clerici
- Mi è sembrato incredibile che dall’altra parte del
mondo ci sia gente che ogni giorno deve lottare per
vivere. Sofia Piccinelli - Un libro che dice le cose come stanno, un libro che a noi, gente con la luce
accesa ed il rubinetto aperto, ma col cuore spento, apre gli occhi.
8
IN VIAGGIO CON LO ZAINO
Una vacanza in camper
nel Nord Europa: la Finlandia
U
na vacanza in camper di per sé
è un’avventura. Si viaggia a
bordo di quella che per qualche settimana sarà la tua casa. Certo,
tutto è un po’ “ristretto”, gli spazi sono
ridotti e bisogna andare molto d’accordo per una felice convivenza. Bisogna rispettare alcune regole: ad
esempio, durante il viaggio non ci si
può muovere (a differenza di quanto
qualcuno potrebbe pensare), ma bisogna rimanere seduti con la cintura di
sicurezza allacciata. Se si è bene attrezzati si può però guardare un film, sempre rimanendo seduti nei sedili
posteriori. Ma io preferisco sedermi di
fianco a mio papà che guida, ascoltando la musica, guardando il panorama e chiacchierando; qualche volta
ci raccontiamo delle storie che inventiamo al momento.
Quando poi si raggiungono posti lontani, come abbiamo fatto la scorsa
estate, il senso di avventura è ancora
più forte: il traffico si riduce e per
facile incontrare le renne. Anzi, bisogna stare attenti mentre si guida, perché questi grossi animali non hanno
paura dell’uomo e si incontrano spesso
mentre camminano ai bordi delle
strade, o persino in mezzo alla strada!
Non ci credete? Ho le prove!
Quando poi si raggiunge la meta e ci si
prepara per la cena e per la notte, può
succedere che gli animali vengano vicini; in una di queste occasioni è venuto a trovarci un cucciolo di renna
tutto bianco, una vera rarità.
In questa parte della Finlandia la natura è protagonista, i paesaggi e i tramonti sono davvero fantastici, anche
K
con l'Oceano Atlantico, la sua acqua
non è salata, perché è alimentata da numerosi fiumi e dallo scioglimento della
neve.
La Finlandia è anche famosa come
terra dei laghi; ce ne sono moltissimi,
infatti, con rive circondate da grandi
boschi.
Per la prossima estate abbiamo già un
programma molto interessante: la Sco-
Svezia, lago
se per vedere un tramonto, in estate, bisogna aspettare mezzanotte!
Ma non crediate che lì al Nord d'estate
faccia freddo: finché c'è il sole si può
tranquillamente stare in maglietta. E se
capita l’occasione ci si può mettere in
In Svezia, quando è
sempre giorno
alix è il paese natale di mia mamma
e si trova in Svezia, vicino a Stoccolma.
Come
tutti
sanno,
da
quelle parti in estate il
sole non cala mai, perciò
c’è luce anche di notte;
meno noto è invece che ci
sono anche molte zanzare, che danno un gran
fastidio; e fa così freddo
come si pensa, infatti
quando siamo l’ andiamo
spesso in un grande parco
acquatico proprio come si
farebbe in Italia.
Il paese è piccolo, ma
molto carino, con casette,
stradine e qualche negozio, ma soprattutto molto
verde.
La cosa a cui ogni volta è
più difficile abituarsi è il
silenzio: passano pochissime macchine, e a volte
si ha l’impressione che
non succeda niente. Ma in
realtà giochiamo molto
fuori o facciamo bellis-
costume e fare anche il bagno, come ci
è capitato quando siamo passati sulla
costa del Mar Baltico, nel Golfo di
Botnia. Una curiosità: anche se questa
parte del Mar Baltico è in comunicazione con il Mare del Nord e quindi
Tramonto in Svezia
Svezia, renne attraversano
liberamente la strada
molti chilometri si viaggia immersi
nella natura, cercando con lo sguardo
gli animali selvatici che vivono in libertà. La Finlandia ci ha regalato tutte
queste emozioni; soprattutto al nord di
questo paese, in Lapponia, è veramente
La 1ªL in gita a Verona
sime escursioni nei boschetti.
Un’altra ragione di tanto
silenzio è che, non parlando lo svedese, sono
costretta a comunicare in
inglese, e posso parlare
italiano solo con la mia
famiglia.
Ovviamente
la
Svezia,
come tutti i paesi stranieri, offre cibi diversi
dai nostri. Il mio piatto
tipico preferito sono le
polpette con le patate
lesse, che cucinano sempre, accompagnate da salmone
e
varie
salse.
Oppure njalle, un pane tipico della zona che assomiglia a una piadina, con
burro salato: è un pane
che a noi tutti piace moltissimo, e siccome si
trova solo in Svezia, ogni
volta che qualche parente
viene a trovarci ce lo
facciamo subito portare!
Caroline Buzzetti, 1ªC
zia. Se sarò fortunata, in futuro potrei
raccontarvi del nostro incontro con il
mostro di Loch Ness o con il fantasma
di qualche antico castello...
Martina Zaccaria, 1ªC
I
l 17 marzo ci siamo recati a
Verona per una gita istruttiva
e divertente. Una volta salutati i genitori, siamo saliti sul
pullman pieni di eccitazione e,
dopo due ore e mezza di viaggio
e di risate, siamo giunti a destinazione. La prima cosa che ci è
saltata agli occhi è stata la mole
maestosa delle mura medievali,
lunghe 10 km; una fortificazione
imponente che ha protetto nel
corso dei secoli la città. Davanti
a esse ci aspettava Daniele, la
nostra guida, che si è dimostrato
subito simpatica e coinvolgente.
Ci siamo mossi verso l’estesa
piazza Bra, dove è situata la famosa Arena, simbolo per eccellenza di Verona e testimonianza
unica dell’epoca romana. Piazza
Bra, pur non essendo il vero centro della città, racchiude e custodisce tracce e monumenti relativi
ad ognuna delle diverse epoche
di Verona: quella romana con
l’Arena, quella medievale con il
Municipio usato come caserma,
e quella delle signorie con i palazzi in stile gotico.
Continuando il nostro percorso,
siamo poi arrivati su un ponte
posto sopra il corso dell’Adige,
dal quale, aguzzando la vista, si
poteva scorgere il celebre Castelvecchio, costruito da Cangrande, uno dei più importanti
membri della famiglia degli Scaligeri. Ci siamo quindi spostati
verso il vero centro della città:
piazza delle Erbe, usata per svolgere i grandi mercati. E di lì ci
siamo recati alla famosa casa di
Giulietta, dove il nostro pensiero
è volato con emozione alla tragica storia dei due giovani
amanti.
Sempre seguendo Daniele, ci
siamo diretti alle Arche Scaligere, tombe edificate dai Signori
della Scala per farsi ricordare
nei secoli. Curiosa è la storia di
Beatrice della Scala che, alla
morte del marito, si risposò con
un Visconti di Milano: in suo
onore infatti venne costruita una
chiesa, a Milano, sui cui resti
sorge oggi il famoso Teatro della
Scala, che da lei prende il nome.
Dopo un pranzo veloce e un po’
di riposo siamo ritornati all’
Arena, dove ci aspettava Michelangelo, la nuova guida che ci
avrebbe fatto divertire nel pomeriggio. Una volta entrati ci siamo
accorti che degli operai stavano
montando il palco per i festival
estivi che si sarebbero svolti
all’interno del teatro. Michelangelo ci ha spiegato che in epoca
romana l’Arena veniva usata per
i cruenti spettacoli dei gladiatori, ai quali assistevano soprattutto i soldati. C’erano diversi
tipi di gladiatori, che si distinguevano per le armi utilizzate e
le tecniche di combattimento: tra
i più conosciuti vi erano il Sannita, famoso per la sua lunga
lancia; il Reziario, noto per il
tridente; e il Mormillo, munito
di un grande elmo argentato che
gli limitava la visuale. Dopo
averci illustrato le varie figure
presenti
nei
combattimenti
(come l’arbitro e l’editor, che in
assenza dell’imperatore decideva
della vita e della morte dei gladiatori alla fine della battaglia),
la nostra guida ci ha fatto simulare un vero combattimento: eravamo eccitatissimi e, in men che
non si dica, tra armature, saluti
gloriosi all’imperatore e sfide
“all’ultimo sangue”, il pomeriggio è volato via, salvo un’ultima
sosta per un gelato e qualche
souvenir.
Il ritorno in pullman è stato più
breve del previsto e verso le
19:15 eravamo già davanti alla
scuola, dove ci attendevano i nostri genitori curiosi di sapere com’era
andata
la
nostra
avventura.
Theodor Leguti e Riccardo
Migliorisi, 1ªL
I CAPITELLI GRECI
1) Dorico
2) Ionico
3) Corinzio
1) Capitello Dorico = semplice e squadrato, è formato da un elemento tondeggiante in basso (Echino)
e da un parallelepipedo sopra (Abaco).
2) Capitello Ionico = elegante ed aggraziato, è formato da grosse spirali ai lati (Volute) e da piccole
decora
zioni prevalentemente ovali al
centro (Ovuli).
3) Capitello Corinzio = elaborato e ricco, è formato
da una sorta di cesto di foglie, che formano riccioli
e bordature ondulate (Foglie d’Acanto).
Czerine Macaraig, 1 ª G
Christian Zhao, 1 ª G
Lavori delle classi della prof. Falciola
9
IN VIAGGIO CON LO ZAINO
Il matrimonio in Eritrea
Q
uest’anno sono stato due
volte nel mio paese d’origine, l’Eritrea, in occasione
del matrimonio dei miei fratelli e di
mio cugino. Il matrimonio nel mio
paese è un evento così importante e
divertente che ho pensato di scrivere
un articolo sul giornale della scuola
per far conoscere a tutti i miei compagni e ai professori questa bellissima tradizione, che per alcuni
aspetti è simile a quella italiana, ma
per altri molto diversa.
In Eritrea i preparativi del matrimonio cominciano una settimana prima
della data stabilita per la cerimonia.
Gli uomini della famiglia, infatti, allestiscono dei tendoni, uno davanti
alla casa dello sposo e uno davanti a
quella della sposa. Una volta allestite
le tende si canta, si balla, e si festeggia con injera (pane rotondo che si
prepara con il teff, un cereale che si
produce solo in Africa) e zighinì
(spezzatino di carne verdura e legumi vari) preparato dalle donne
della famiglia per celebrare la nuova
unione.
Un tempo il giorno dei matrimoni
era la domenica, ora non più, ci si
sposa anche di sabato. Mese tradizionale per le nozze è gennaio.
Prima del matrimonio, a casa della
sposa (e a sue spese) si fa la “festa
degli amici” (arki halifot) durante la
quale gli amici dello sposo “invadono” la casa della futura moglie per
“distruggerla” simbolicamente e
dare inizio alla nuova vita.
La mattina delle nozze lo sposo
passa a prendere la sposa per accompagnarla in chiesa, fanno colazione
insieme e posano per il servizio fotografico. Ci si sposa di solito nella
chiesa più vicina, non da soli, ma insieme ad altre coppie. Prima di entrare in chiesa, nella zona più
distante dall’altare, dove un tempo
stavano i penitenti, ci si tolgono le
scarpe. La sposa è accompagnata
sull’altare dalle damigelle che svolgono il ruolo di ancelle della sposa
che sceglie per loro colore e stile
dell’abito, hanno il compito di aiutarla, animare la festa, condurre le
danze. Gli amici dello sposo, invece,
hanno un ruolo simile ai testimoni
nel rito cattolico e, a fine cerimonia,
firmano sul registro della chiesa. Per
consuetudine le donne non sono mai
testimoni, anche se non esiste un
esplicito divieto.
In chiesa il prete celebra la liturgia
in ghee’z (lingua semitica, oggi
estinta, parlata nell’impero di Etiopia fino al XIV sec.), che qualche
volta è sostituita dalla lingua tigrina
perché per la chiesa copta (chiesa
cristiana orientale) è importante la
partecipazione dei fedeli e desiderano quindi che tutti capiscano. Fondamentale durante la cerimonia è il
canto: i fedeli pregano accompagnati
dal coro al suono di triangoli e cimbali. I preti, vestiti di bianco, durante
la messa, danzano con lunghi bastoni
al suono di canti liturgici.
La sposa indossa l’abito bianco con
il velo. L’abito generalmente si noleggia, non si acquista perché non
c’è l’usanza di conservare l’abito
delle nozze. In chiesa, sopra l’abito
tradizionale, gli sposi mettono una
cappa leggermente diversa per uomini e donne, di velluto nero con ricami oro. In testa è posta una corona,
qualche volta uguale al mantello, per
simboleggiare la sovranità degli
sposi e l’importanza di condividere
il futuro. Le invitate si preparano con
cura per la festa. Il dorso delle mani
è disegnato con tatuaggi colorati
all’hennè. Il palmo della mano e i
piedi possono essere dipinti solo
quando si è già sposate, motivo per
cui la sposa lo fa durante il festeggiamento. Bellissima e impegnativa
è la cura dei capelli, impreziositi da
fili d’oro e pendenti. È usanza che lo
sposo regali i gioielli che la futura
moglie sfoggerà durante la festa.
Alla fine della cerimonia gli sposi si
scambiano gli anelli, ma non si baciano in chiesa. All’uscita della
chiesa una bambina butta sugli sposi
del popcorn in segno di augurio. Gli
sposi, poi, vanno in giro per il paese
per farsi fotografare con gli invitati.
Nel frattempo le donne della famiglia aspettano a casa gi sposi e, al
loro rientro, li accolgono con un fischio particolare. Poi cominciano i
festeggiamenti: il banchetto nuziale
si organizza a casa e non al ristorante
come nella tradizione occidentale.
Ad animare la festa c’è un cantante
accompagnato dagli strumenti, di solito una chitarra e un pianoforte. Durante il banchetto si mangia l’injera
accompagnata con carne di pollo,
mucca, agnello (non si mangia il maiale perché è un animale sacro), tutto
preparato dalle donne della famiglia,
e si beve vino e coca-cola. Anche in
Eritrea non può mancare la tradizionale torta nuziale con la quale si
chiude il banchetto. I festeggiamenti
finiscono a notte inoltrata, gli sposi
restano a casa dello sposo, dove le
donne hanno preparato per loro un
letto protetto da tende e la tradizione
vuole che gli sposi per venticinque
giorni non abbandonino il talamo coniugale.
Samuel Negussie, 3ªA
La casa delle mie vacanze
U
n posto che ricordo
molto bene è la casa
che ho in montagna,
i n Tr e n t i n o A l t o A d i g e .
Quella casa mi piaceva molto
e ci passavo la maggior parte
del tempo in estate.Era fatta
tutta in legno e aveva terrazzi molto graziosi; il mio
era decorato con bellissimi
fiori rossi. All'interno era divisa su due piani: al piano
terreno c’erano la cucina, il
salotto, la camera dei miei
genitori e dei miei fratelli,
mentre la mia camera si trovava al piano superiore.
La cosa che amavo di più,
era il terrazzo: se ti affacciavi, si vedevano le casette
del paese e un immenso
campo
dove
pascolavano
mucche e cavalli, ciò mi
emozionava molto. La sera,
verso l’ora di cena, uscivo e
si poteva avvertire il profumo della legna bruciata,
che mi piaceva in modo particolare. Nei pomeriggi piovosi invece si restava a casa,
a giocare ai giochi di società
e a bere cioccolata calda.
Lucrezia Maniero, 1ªA
Muse, un modello da seguire
I
nsieme ai miei compagni e alle prof
ho visitato il Muse, un nuovo museo
di scienze naturali appena fuori
Trento. La cosa che mi ha colpito subito
è che la struttura, oltre ad avere una architettura moderna e innovativa, è anche
totalmente ecosostenibile grazie a pannelli fotovoltaici e termosensibili e il suo
sistema di riscaldamento e raffreddamento è in parte alimentato dalla raccolta
di acqua piovana.
Il museo è strutturato su vari piani, al
centro dei quali si apre una grande sala
con moltissimi animali imbalsamati; le
pareti erano costituite da pannelli di
vetro trasparente.
La guida ci ha inizialmente spiegato la
parte dei fossili e delle rocce insieme ai dinosauri, accompagnando la spiegazione con numerose domande in modo da
coinvolgerci: il risultato è stato molto interessante.
In seguito abbiamo avuto quaranta minuti per girare da soli e io ho visitato alcune esposizioni di biologia, tecnologia,
fisica e geografia: oltre ai numerosi animali imbalsamati, c’erano diversi display interattivi e divertenti. Inoltre abbiamo
visto una stampante 3D in funzione, telecamere termiche, e molti giochi sull’equilibrio e sui moti.
Purtroppo non sono riuscito a vedere tutto, e nemmeno tutte le cose che mi interessavano, spero quindi di tornarci per rivivere le stesse emozioni e completare la mia visita. Questo museo mi è piaciuto moltissimo perché non rispecchia solamente il modello dei musei moderni, ma anche della società moderna, cioè ecosostenibile, semplice, diretta. Spero che
gli altri musei italiani si muovano in questa direzione, insieme a tutta la società, per restare al passo col mondo e riportare
l’Italia ad essere un paese importante.
Andrea Galassini, 3ªE
Cinque motivi + 1 per amare la
montagna d’estate
N
on tutti conoscono la bellezza
della montagna d’estate. Da
quando sono piccolo ho imparato a conoscerla e tante volte ho
pensato ai motivi per cui mi piace
davvero molto. Ve li racconto.
1) Le camminate in montagna sono
sempre belle e a me piacciono soprattutto quando si svolgono nel folto di
un bosco. Alti larici spiccano sopra le
chiome delle betulle dal tronco bianco
che, più basse, cercano di farsi posto
per prendere un po’ di luce. Alle radici
crescono felci e altri arbusti e nel terreno, soprattutto se umido, si possono
trovare i funghi: buoni come i porcini
e le russole, o velenosi come le amaniti. A volte si possono incontrare alberi secolari con
tronchi più larghi
di un metro e rami
contorti. Una cosa
che mi diverte
sempre è raccogliere foglie di
quella o quest’altra pianta per poi
a casa fissarle su
un quaderno.
2) Oltre alla flora
può
capitare
molto spesso di
incontrare animali. Sulle vette
più alte, dove predomina la roccia, è
facile imbattersi in stambecchi, giovani con le corna piccoline o più vecchi con le corna lunghe. Spesso gli
stambecchi si possono anche vedere
con il binocolo sulla cresta di un’altra
montagna. Un altro animale che si può
vedere spesso è il camoscio che si
trova nei boschi più a valle. E’ sempre
divertente osservare questi animali
nella loro vita quotidiana, oppure avvistarne uno in lontananza e avvicinarsi strisciando per non farsi notare.
Le marmotte invece si possono avvistare sui grandi prati ad alta quota:
piccole e veloci, a volte si confondono
con il terreno. Una cosa che faccio
spesso cercando le marmotte è sedermi in un punto del prato a fissare
l’erba e i sassi finché non vedo una
macchiolina muoversi. Le marmotte
salutano con un fischio inconfondibile: forse per loro è un richiamo di allarme, ma a me sembra un saluto
scherzoso. Il canto degli uccelli accompagna sempre il cammino e
quando riesco a scorgerne uno cerco
di riconoscerlo dai colori e dal canto:
merlo, fringuello, passero, cincia, pettirosso… Anche il volo dei grandi rapaci mi attrae, mi è sempre piaciuto
immaginare la visuale da quelle altezze e pensare come deve essere entusiasmante sfiorare le cime degli
alberi per poi risalire fino alle cime
più alte. Gli uccelli sono secondo me
gli animali più difficili da fotografare
perché sono piccoli e si spostano velocemente da un ramo all’altro. Sul
terreno si possono trovare anche le
loro orme, soprattutto se l’animale è
passato quando il terreno era umido.
Io le fotografo con una matita accanto,
così da poter poi ricostruire la loro
grandezza quando riguarderò le foto.
3) Dalle passeggiate in montagna
torno sempre a casa con le tasche
piene di sassi curiosi. Anche le rocce
sono divertenti da osservare nelle loro
venature dai diversi colori, e anche da
toccare sulle loro superfici ruvide o
lisce, immaginando a cosa assomigliano per forma e dimensione. Si possono trovare diverse rocce, dalle
arenarie che si sgretolano facilmente
al serpentino-scisto di colore verde e
molto liscio, ai cristalli di quarzo che
sembrano gemme preziose. Delle
rocce è sempre impressionante osservare le linee curve degli strati che si
sono deformati nel corso dei millenni.
Fotografo anche le rocce con la matita
accanto, come faccio per le orme.
4) In montagna è affascinante partire
per una gita prima dell’alba, quando
fa freddo e il bosco è ancora buio. Gli
animali a quell’ora girano più sicuri
ed è più facile sorprenderli. Alzano la
testa, ruotano le orecchie verso di te e
ti osservano chiedendosi se non è
troppo presto per dei visitatori. Nel
naso pizzica un forte odore di pigna e
resina e, quando è molto umido, sale
dal basso un lieve profumo di funghi.
Le camminate sono spesso faticose,
soprattutto quando si deve partire
prima che il sole sorga in modo da non
arrivare troppo tardi alla mèta. Questa
fatica è però sempre premiata da
spettacolari paesaggi che si
aprono da una
forcella o dalla
cresta di una
montagna: una
grande pianura,
un lago, vette innevate.
5) Quando si
fanno gite in
montagna è sempre bello camminare
in
compagnia, purché si sia in pochi. E’
importante camminare in silenzio,
scambiando poche parole, per non allarmare gli animali del bosco e per risparmiare il fiato. Bisogna avere un
passo regolare, ognuno ha il proprio
zaino e la propria borraccia e la riserva d’acqua va gestita bene perché
non finisca troppo presto. Si cammina
in fila indiana: il primo ha la responsabilità di guidare i compagni sul sentiero. Mi piace camminare guardando
gli scarponi di chi ho davanti e sapere
che chi mi viene dietro sta facendo lo
stesso con me. Poi ci si dà il cambio.
+1) Infine, amo camminare nei boschi
perché spero sempre di vedere apparire da un momento all’altro un elfo
silvano. So che prima o poi accadrà.
Sebastiano Vena, 2ªA
10
IN VIAGGIO CON LO ZAINO
Ho realizzato alcuni lavori di geografia: ecco quello che mi è piaciuto di più!
Joseph Mabiala, 1ªH
Torino per la 2ªL
I
l giorno 21 marzo siamo andati in
gita scolastica a Torino insieme
alla classe II A, partendo alle 7.00
con il pullman dalla scuola. Siamo arrivati in Piazza Castello verso le 9.30,
dove abbiamo incontrato la nostra
guida che ci ha illustrato brevemente
la storia di Torino: ancor prima dei romani, la zona era abitata dai Taurini,
che in celtico significa “ai piedi dei
monti”. Successivamente, in epoca
romana, vi sorse un accampamento e
la zona fu spesso teatro di guerre:
sono rimaste solo due porte delle
quattro costruite dai romani, una delle
quali nel Medioevo divenne un palazzo; oltre alle due porte, si è conservato anche il teatro romano, di cui
però non è rimasto molto.
A quel punto la nostra visita si è spostata verso il Duomo, costruito nel
1492 dal vescovo della Rovere, in
stile rinascimentale, al cui interno è
custodita la famosa Sindone. Il
duomo fu progettato dall’architetto
toscano Meo del Caprina, ed è dedicato a San Giovanni, patrono della
città. Un particolare curioso è il campanile, di epoca medievale, con mattoni a vista, sopraelevato nel ’700. La
cappella dove si trovava la Sindone,
progettata dall’architetto Guarino
Guarini, nel 1997 fu teatro di un incendio, ed è ancora in fase di restauro; perciò la Sindone si trova in
una cappellina laterale, sotto il palco
reale da cui i Savoia assistevano alla
messa.
Successivamente siamo tornati in
Piazza Castello, di fronte al Palazzo
Reale. Torino divenne capitale del
regno dei Savoia solo nel 1563,
quando Emanuele Filiberto, dopo
aver riconquistato i territori italiani
persi dal suo predecessore Carlo II, vi
spostò la capitale da Chambery, in
Francia.
In onore della battaglia con cui riconquistò i suddetti territori, svoltasi a S.
Quintino il 10 agosto 1556, giorno di
S. Lorenzo, Emanuele Filiberto dedicò una chiesa a questo Santo. La
chiesa, che ovviamente abbiamo visitato, è molto suggestiva: la facciata è
quella di un palazzo normale, che riprende lo stile del Palazzo Reale e
degli altri palazzi dalla piazza, il cui
stile era deciso dai Savoia. Entrando,
si rimane stupiti da ciò che ci si trova
davanti. La pianta è circolare, con
splendidi fasci di luce che dalla cupola, dove è disegnata una stella, arrivano al pavimento, dove è
riproposta la stella, simbolo di Guarino Guarini, l’architetto che progettò
questa chiesa. Un altro particolare
suggestivo è la disposizione dei colori
che, partendo dal basso sono il nero,
il rosso, il rosa, il giallo e, in alto, il
bianco della luce. Un’altra caratteri-
stica innovativa e particolare di questa chiesa si può osservare solo il 21
settembre: in questo giorno, infatti,
un fascio di luce penetra in uno dei
fori del controsoffitto della cappella,
alla sinistra dell’altare, illuminando
l’affresco del volto di Cristo, che rimane nascosto tutto il resto dell’anno.
Abbiamo poi fatto una brevissima visita a Palazzo Madama, dove si riunì
il primo parlamento italiano. Era
un’antica porta romana, e nel 1400 diventa dimora dei Savoia-Acaja; nel
secolo successivo, i reali che vi abitavano lo fecero ristrutturare da Filippo
Juvara che però lasciò il lavoro incompiuto; vi si trova anche un busto
di Cavour, l’anima politica del nostro
risorgimento.
Dopo questa intensa e lunga scarpinata, siamo andati a mangiare al
Parco del Valentino, sulla cui etimologia si fanno tre ipotesi: una fa risalire il nome ad una parola latina che
vuol dire “salute”, perché si trova vicino al fiume. Un’altra attribuisce il
nome alla figlia di un generale francese, chiamata Valentina, a cui il
padre regalò questo parco dopo aver
assediato la città. L’ultima ipotesi si
riferisce al santo cui è dedicata una
chiesa attigua, dove erano conservate
le sue reliquie. Nel Parco c’è anche il
borgo medievale, progettato da un architetto portoghese nel 1884 per
un’esposizione universale, antesignana dei moderni EXPO.
Dopo pranzo siamo andati a visitare
la Mole Antonelliana, che ospita il
Museo del Cinema. Qui abbiamo
preso l’ascensore, completamente trasparente, per salire fino alla terrazza
panoramica: la salita, è stata molto divertente ma, per chi soffre di vertigini, anche un po’ paurosa!
Dopo una divertente e rilassante mezz’ora nel book shop del museo, ci
siamo recati nell’aula-laboratorio: divisi in tre gruppi abbiamo realizzato
dei brevi cartoni animati, cosa che è
molto meno facile di quanto si possa
credere, ma nonostante la fatica, è
davvero gratificante vedere su uno
schermo qualcosa che hai ideato e disegnato tu!
Usciti dal Museo abbiamo fatto alcune interviste ai passanti, chiedendo
loro cosa amavano di più di Torino e
loro ci hanno risposto: Mole Antonelliana; Museo dell’Automobile;
Museo del Cinema; Museo Egizio e
Palazzo Reale. E’ stata una gita davvero istruttiva e divertente e auguriamo a tutte le future Seconde di
visitare questa bella città!
Valeria Bogara,
Rossella Ferrara,
Giulia Mariano,
Davide Zanzi, 2ªL
Un posto da
ricordare
I
l luogo che da sempre ha
nutrito i miei ricordi è la
mia casa al lago, a Gardone
Morgnaga sul Lago di Garda,
vicino a Salò. Quello è il mio
paradiso.
La via che costeggia il lago, è
piena di fiori rossi, gialli e azzurri; i limoni, caratteristici di
quella zona, sono di un giallo
chiaro e luminoso. La nostra
casa ha tre piani, il cortile non
è molto largo, ma ha un praticello ben curato in cui crescono alcuni ulivi. Appena si
varca il cancello, si avverte il
profumo dei fiori, dei limoni,
della resina dei pino. Quando
ero piccola, mi divertivo a salire sulla lunga scala accanto
all’entrata, che portava direttamente alla grande sala dove di
sera si accendeva il camino e si
stava in famiglia, mentre
l’odore di legno bruciato che si
diffondeva nella stanza espandendosi fino a scomparire,
quasi fosse spinto dal desiderio
di uscire e inondare altre case.
Maria Bertozzi, 1ªA
11
IN VIAGGIO CON LO ZAINO
Su e giù per il Friuli
L
a gita di quest’anno in Friuli
Venezia Giulia è stata piena di
sorprese: chi l’avrebbe detto
che una regione così piccola e così periferica potesse custodire tanti segreti
di epoche diverse. Appena arrivati a
Grado, le nostre simpatiche guide di
Panda Trek ci hanno sorpresi con la
sfida dei 1000 scalini della Grotta Gigante. Ma il fascino della grotta, ricca
di antichissime stalattiti e stalagmiti, ci
ha pienamente ricompensato dello
sforzo.
Dopo questa prima emozionante visita,
ci siamo recati alle Foibe di Basovizza.
Questa seconda tappa mi ha portato a
concludere che l’uomo può essere crudele anche con i suoi simili e che non
c’è limite alla follia; in particolare le
lapidi delle vittime mi hanno fatto riflettere su come la vita sia attaccata a
un filo e su come tutto possa cambiare
Lorenzo Cerrini 3ªA
da un giorno all’altro.
Abbiamo poi visitato la Risiera di San
Sabba: la Risiera era un campo di detenzione, smistamento e sterminio.
Ogni cella
ospitava
anche sei o
sette prigionieri, nonostante fossero
molto piccole. All’interno
del
museo erano
esposte le lettere e testimonianze
della sofferenza e delle
torture subite
in quel triste
luogo.
Luoghi della memoria
A Trieste non ci siamo fatti mancare
qualche folata di bora, ma abbiamo comunque potuto ammirare la celebre
Piazza dell’Unità d’Italia, che per un
lato si affaccia sul mare. Ma ancor più
abbiamo ammirato lo splendido Castello di Miramare, di cui potete ammirare le nostre riproduzioni.
Il giorno seguente è stato dedicato alla
visita di Grado, con le sue splendide
chiese, e alla cattedrale di Aquileia, famosa per i suoi mosaici misteriosi.
Per l’ultima tappa ci siamo diretti a
Redipuglia, sacrario militare dedicato
ai caduti della Prima Guerra Mondiale,
dove ognuno ha cercato il proprio cognome per scoprire eventuali parenti,
morti durante la guerra mondiale. La
gita si è infine conclusa in poesia, con
un saluto in versi da parte delle nostre
guide, che ha ben coronato quei giorni
di divertimento e cultura.
Alessandro Roversi, 3ªA
D
urante la gita di classe a Monaco di Baviera abbiamo visitato il campo di Dachau,
distante pochi chilometri dalla città.
Per rispetto del luogo, gli autobus e le
vano i prigionieri.
Per arrivare ai forni, il luogo più triste,
bisognava attraversare l’intero campo.
Molti del nostro gruppo non hanno
osato visitare il luogo in cui migliaia di
automobili si dovevano fermare in un
parcheggio fuori dal campo, pertanto
abbiamo dovuto fare un pezzo di strada
a piedi. Mentre ci avvicinavamo, anche
la natura taceva e sembrava essere triste come i nostri animi; mentre l’aria
si faceva pesante abbiamo attraversato
il portone di ferro con la scritta “Arbeit
macht frei”, ovvero “Il lavoro rende liberi”. All’entrata si apriva un enorme
spazio, il luogo di ingresso e di smistamento dove per migliaia di persone
aveva inizio la terribile prigionia.
Ovviamente era d’obbligo il silenzio,
anche se nessuno avrebbe comunque
avuto il coraggio di proferire parola; e
in quel silenzio sembrava di udire il
rumore dei passi delle migliaia di
ebrei che all’alba di ogni mattino dovevano presentarsi per l’appello.
Superata una porta, si arrivava al
centro del campo, dove si potevano
osservare resti e ricostruzioni delle
baracche in cui, ammassati gli uni
sugli altri su letti di legno, dormi-
uomini furono cremati vivi dai loro
stessi simili. Dietro ai forni si trovava
una camera a gas, la prima di una
lunga serie, mai utilizzata se non per
fare dei test.
Questo è ciò che si trova dentro a
quelle mura; questo è quello che migliaia di persone hanno visto e provato.
E sulla strada del ritorno, coi cuori rotti
dalla tristezza e dal dolore, abbiamo
condiviso l’invocazione, ripetuta in
molteplici lingue, “NEVER AGAIN”,
“PLUS JAMAIS”, “NIE WIEDER”.
Mai più.
Riccardo Provasi, 3ªI
Alessandro Intropido, 3ªA
Quella giornata, così speciale, me la
ricorderò per sempre
U
na delle avventure più belle
della mia vita è stata quella
che ho vissuto a Legoland, vicino a Windsor, in Gran Bretagna. Ero
a Londra per una vacanza dai miei cugini inglesi: Costanza e Paolo e i loro
figli Leo, di otto anni, e Sasha di sette;
visto che sia loro sia noi chiedevamo
insistentemente di andarci, alla fine
siamo riusciti a convincere i nostri genitori.
Il viaggio da Londra a Windsor è durato circa un’ ora e abbiamo cambiato
diversi mezzi: per arrivare alla metrò
di Londra abbiamo preso il bus a due
piani, poi il metrò fino alla stazione
ferroviaria e abbiamo cambiato tre
treni prima di arrivare a Windsor; lì
abbiamo fatto merenda. Poi abbiamo
passeggiato un po’ per la città, abbiamo ammirato il “Windsor Castle”,
una residenza ufficiale della regina
Elisabetta, e infine abbiamo preso un
bus di Lego che ci ha portato da Windsor fino a Legoland. Il bus ha fatto
due fermate: la prima era un albergo a
tema, che già ci sembrava era bellissimo, poi è arrivata Legoland: abbiamo varcato i cancelli e finalmente
ci siamo scatenati!
La prima attrazione che abbiamo provato sono state le montagne russe:
erano velocissime, a tema medioevale,
con cavalieri, maghi e draghi, tutti
fatti di Lego. Poi siamo andati al gioco
dei pompieri: c’erano cinque camion
di Lego, abbastanza grandi; ogni camion era guidato da tre persone, il camion aveva un motore elettrico e
bisognava guidarlo fino all’“incendio”
e spegnerlo con un cannone ad acqua
montato sul camion. Quando si era
domato l’incendio, si tornava indietro;
chi arrivava primo, vinceva e noi abbiamo vinto! Tutti soddisfatti siamo
passati a quello che ormai ci pareva un
“gioco da ragazzi”: ognuno aveva una
piccola auto di Lego e potevamo guidarla in una vera e propria città con
semafori, precedenze, rotonde. Ed
ecco infine l’ultima attrazione della
giornata: il laser-game “Egypt Desert”: su una jeep in movimento bisognava centrare con una pistola laser
dei bersagli fissi e mobili, ognuno dei
quali aveva un punteggio: chi totalizzava più punti, vinceva e io sono arrivato terzo.
Prima di andare via, abbiamo anche
visto un film di Star Wars in versione
Lego, che era veramente bellissimo, e
abbiamo fatto qualche acquisto, tornando infine a casa molto soddisfatti.
La gita è stata veramente divertente,
per tutti: non la dimenticherò mai e mi
piacerebbe moltissimo tornarci, perché è stato veramente bellissimo!
Alberto Puliga, 1ªI
Lavoro eseguiti dalla
classe 1ªH della prof.
Braghin.
Lavori eseguiti dalla classe 1ªE della prof. Braghin.
Un’avventura a Bezzecca
O
gni anno con la mia famiglia
trascorro le vacanze di Natale
a Bezzecca, un piccolo paese
in Trentino Alto Adige, dove i miei
nonni hanno una bella casa. A Bezzecca, sì avete capito bene Bezzecca
quel paesino in cui Garibaldi ha combattuto. Ci vado da quando sono nata
e lì ho delle care amiche che conosco
ormai da molti anni: Sofia, che frequenta la prima liceo, Emma, che va
in quinta elementare, e la loro sorellina più piccola, Anita, che fa ancora
l’asilo.
Un giorno dello scorso inverno c’era
molta neve e io, mia sorella e le mie
amiche siamo scese da un versante di
una collina che porta al torrente. Per
scendere, siamo scivolate sulla morbida e fresca neve, immaginando di
essere esploratrici che dovevano affrontare pericoli per arrivare a conquistare un premio, che nelle nostre
menti, consisteva in una buona me-
renda preparata dalla mia nonna.
Il nostro principale nemico era l’immaginario abitante della casa in fondo
al torrente, una casa grigia e sporca,
che ci sembrava stregata. Abbiamo attraversato il torrente e, a mano a mano
che ci avvicinavamo, incontravamo
sempre più alberi fitti e spaventosi,
come in una foresta; ma una volta arrivate alla casa stregata nessuna di noi
aveva più il coraggio di farsi avanti;
alla fine ci siamo avvicinate tutte insieme, ma solo per scoprire che in verità quella era solo una casa
abbandonata, senza nessuna strega o
nessun mostro che l’abitasse.
A quel punto, un po’ deluse ma anche
un po’ sollevate, siamo tornate a casa
e abbiamo annegato i nostri dispiaceri
nella cioccolata calda che la nonna ci
aveva preparato: un’avventura emozionante dal finale molto dolce.
Cecilia Zambello, 1ªC
12
ATTUALITA’
Come un profugo
Il tifone nelle Fillippine: Haiyan
F
l tifone che ha colpito le Filippine
viene chiamato Haiyan in quasi
tutto il mondo. Haiyan è una parola cinese, che significa procellaria,
un uccello marino. Nelle Filippine invece la tempesta viene
chiamata Yolanda. Questo
perché dal 1963 l’Amministrazione dei servizi atmosferici, geofisici e
astronomici delle Filippine
ha cominciato a dare solo
nomi femminili alle tempeste tropicali che colpiscono il paese, spiega il
“Wall Street Journal”. I
nomi sono assegnati
usando le 19 lettere dell’alfabeto filippino, che
comincia con la A e finisce
con la Y.
Nel corso degli anni sono state aggiunte anche alcune lettere dell’alfabeto inglese: la lista adesso è formata
da 25 nomi più altri dieci di riserva. I
nomi si usano a rotazione, a cicli di
quattro anni, ma vengono eliminati se
fanno più di 23 milioni di dollari di
danni o almeno 300 morti. Il tifone
Yolanda è il 24° ciclone tropicale che
ha colpito le Filippine quest’anno. Nel
2001, il tifone Washi nelle Filippine
provocò 1.200 morti e 300 mila sfollati, distruggendo oltre 10 mila case.
Le Filippine sono particolarmente vulnerabili a tempeste fortissime, perché
l’arcipelago è il primo bastione di terraferma che i tifoni che si formano
nell’Oceano Pacifico incontrano nel
loro cammino. L’Amministrazione
orse non ero la più piccola su
quel barcone, ma quella distesa infinita di mare mi faceva sentire più piccola di quanto
già non fossi , l'unica cosa che mi
faceva stare bene era il contatto con
il corpo esile e debole di mia madre.
Solo nelle sue braccia mi sentivo veramente al sicuro.
In questi giorni trascorsi al Centro
di Accoglienza, che sembrano non
finire mai, continuavano a riaffacciarsi nella mia mente alcuni momenti del Viaggio, che mi porterò
con me per sempre.
Il Viaggio non è un viaggio come gli
altri.
Il Viaggio è l'ultima speranza, qualcosa di così grande che lascia cicatrici per sempre e non si dimentica
mai, l'ultima opportunità che può finalmente dare un senso alla vita di
persone come me, costrette a vivere
in Siria tra la Guerra e il Terrore.
Il Viaggio è un qualcosa di talmente
incredibile che non lo si riesce ad
immaginare finché non lo si vive,
finché non ci si trova in mezzo al
mare in un barcone che sobbalza
onda dopo onda, con gli schizzi salati che bagnano il viso e l'unica
cosa che rimane da fare è pregare
per la vita, la propria vita.
Quella mattina, quando sbarcammo,
fui una tra le fortunate: mi salvai.
Anche mia mamma e mio fratello ce
la fecero, ma, arrivati a Lampedusa,
capimmo che anche in Italia non sarebbe stato facile anzi: fin da subito
ci accorgemmo di trovarci in un
mare di morti, di anime senza nome
che ormai appartenevano solamente
alle onde del mare.
Era pieno di volontari, di gente che
ci voleva aiutare; non parlavano la
nostra lingua, ma subito si presero
cura di noi e riuscivano a capire di
cosa avessimo bisogno, guardandoci
solamente negli occhi, con un semplice sguardo.
Ci diedero alcuni biscotti e coperte
termiche, ci caricarono su pullman e
arrivammo qui: in un edificio gremito di gente che non sa se sperare
o disperare.
Anche io, anzi, anche noi, siamo impauriti ed è difficile guardare avanti
ed immaginarsi una vita fuori di qui,
ma il giorno in cui si inizia a vivere
per davvero arriva per tutti e già so
che per noi arriverà molto presto, ne
sono sicura.
Non riesco più a trattenere la voglia
che ho di vivere l'Italia e di vedere
quant’è bella.
Voglio solamente far sentire a tutti
la mia Voce, voglio urlare e far vedere al Mondo chi sono: non voglio
più essere un fantasma, io voglio Vivere!
Benedetta Benvenuto, 3ªC
Voci dal Banco
Il 30 novembre abbiamo partecipato alla Colletta Alimentare nel supermercato Pam di Via Piccinni.
La mattina alle nove ci siamo trovati all'entrata, e la professoressa Merzoni,
nostra insegnante di religione e accompagnatrice, ci ha assegnato diversi
ruoli: alcuni stavano all’entrata a informare gli avventori dell’iniziativa,
altri aiutavano nella scelta degli alimenti più adatti nei vari reparti di spesa,
e altri ancora smistavano e inscatolavano gli alimenti da portare via. É stata
un'esperienza molto educativa perché il fatto di aiutare le persone più povere e sfortunate di noi è una soddisfazione che ripaga pienamente del lavoro svolto.
Federica Andreini e Alessandro Fiorini 3ªB
Lo scorso novembre ho avuto l'occasione di partecipare al Banco Alimentare per raccogliere alimenti di prima necessità destinati alle persone più
bisognose. E’ stata un’esperienza abbastanza faticosa perché ho dovuto
stare anche fuori al freddo per invitare le persone a partecipare; ma nello
stesso tempo è stato molto bello fare questa piccola fatica per la mia soddisfazione personale. Ho sempre saputo di cosa trattasse il volontariato, ma
solo con questa esperienza l'ho potuto provare personalmente ed è stato
molto bello!
Cecilia Olivieri 3ªB
Avevo partecipato al Banco Alimentare anche l’anno scorso: penso che sia
un’esperienza veramente utile e costruttiva!
Filippo Gorla 3ªB
L'esperienza del Banco Alimentare è stata per me molto interessante e utile:
l’anno prossimo vorrei ripeterla perché mi è piaciuto molto incontrare le
persone per proporre loro di contribuire con la loro spesa a sostenere il
Banco.
Beatrice Minerva 3ªB
Sabato 30 novembre con alcuni miei amici della Tiepolo ho vissuto un'esperienza bellissima: ci siamo trovati davanti al Pam di Via Piccinni per partecipare alla Colletta Alimentare insieme alla professoressa Merzoni.
All'inizio avevo il compito di distribuire i volantini con i sacchetti all'entrata
del Supermercato e, anche se non tutti mi ascoltavano, ho cercato di trasmettere l'importanza di fare qualcosa per le persone meno fortunate di noi
e questo è stato per me molto emozionante e educativo.
Poi mi hanno dato il compito di aiutare le persone a prendere gli alimenti
più adatti per la Colletta, come il riso, il tonno, l’olio; anche questa parte
mi è piaciuta molto, soprattutto perché era bello sapere cosa stavo facendo
e vedere che degli adulti si fidavano di me. Per questo sarei molto felice di
rivivere un'esperienza così anche negli anni a venire.
Carola Laconca, 3ªB
I
dei servizi atmosferici, geofisici ed
astronomici delle Filippine di solito
sceglie nomi tipici filippini, in modo
che la popolazione li possa memorizzare e ripetere facilmente.
corpi delle vittime sono distesi delle
strade, secondo la testimonianza di un
ufficiale dell’aeronautica che ha sorvolato Tacloban. Lo ha reso noto il capitano John Andrews, vice direttore
generale dell’Aviazione
civile delle Filippine.
3.000 i morti e 2.000 i dispersi nell’isola di Samar.
Ora l’allarme si sposta in
Vietnam, dove sono state
evacuate 600 mila persone, e in Cina.
Il governo delle Filippine
ha ricevuto diverse critiche per la lentezza delle
operazioni di soccorso,
soprattutto nelle zone più
Filippine, albero abbattuto
colpite, come Tacloban.
dal tifone Haiyan
Nella città i cadaveri si
sono accumulati per le
Il presidente Benigno Aquino, il 13 strade e i residenti, alla disperata rinovembre aveva avvertito che 12 mi- cerca di cibo, hanno cominciato a saclioni di persone erano a rischio, com- cheggiare i negozi. Il 14 novembre un
presi gli abitanti di Cebu, la seconda portavoce di Medici Senza Frontiere
città più grande del Paese, situata in ha detto alla Bbc che al momento ci
una zona che è anche una popolare de- sono grandi problemi logistici nella
stinazione turistica, già colpita il mese distribuzione degli aiuti. L’esecutivo
scorso da un terremoto di 7,1 di ma- si è difeso dicendo che il tifone Hagnitudo. Intanto sono stati sospesi il iyan è una delle tempeste più potenti
traffico dei traghetti, dei bus e l’atti- della storia. Il 14 novembre gli Stati
vità ittica, circa 200 voli sono stati Uniti hanno inviato nelle Filippine
cancellati.
una portaerei, la nave Uss George WaSono 4 milioni le persone toccate a shington, che aiuterà le operazioni di
vario titolo dalle devastazioni, mentre ricerca e soccorso e fornirà una piatmezzo milione ha trovato riparo nei taforma per gli elicotteri che trasporcentri di evacuazione. Il maggior nu- tano i rifornimenti, ha detto la Casa
mero di morti si è registrato nella città Bianca.
di Tacloban, capitale della provincia
Leyte, al centro dell’arcipelago. I
Anatalie Czarina C. Navarez, 3ªL
Alla ricerca della libertà
Per me la libertà individuale deve essere rispettata: non ci dovrebbero essere paesi o persone a cui la libertà
viene tolta, infatti la libertà è un bene
di tutti. Ci sono però paesi in cui l'eccessiva libertà, come, per esempio, ad
Amsterdam in Olanda dove il drogarsi non è proibito. Al contrario ci
sono paesi in cui invece la libertà è
quasi proibita: in alcuni stati dell'Africa, del Medio Oriente o dell’India le persone devono rispettare rigide
leggi che secondo me privano le persone, soprattutto le donne, della propria libertà. Ogni stato ha la sua
definizione di libertà, ma, secondo
me, questo non va bene. L'uguaglianza tra le persone significa anche
avere la stessa libertà. Perché allora
non è così?!
Secondo la mia opinione gli Stati
Uniti d'America dovrebbero imporre
una legge a tutti gli stati sull'uguaglianza della libertà. Siamo quindi in
attesa di un grande personaggio che
come Nelson Mandela, Martin Luther
King, Abramo Lincoln e come per
primo Gesù sono riusciti a comporre
un altro tassello verso l' uguaglianza
che dà la libertà.
Anche Ghandi è stato un grande
uomo che attraverso numerose
"guerre" pacifiche, è riuscito a dare
all'India un "passo" verso la totale libertà. Quest'uomo, come altri, ha dedicato la sua vita al desiderio di pace
e libertà. Ghandi ha vissuto a Londra,
la città che lui poi combatte per ria-
Riconoscete i ritratti dei personaggi famosi?
Ritratti eseguiti dagli alunni delle classi, 2ªA, B, E
vere la giustizia che ha sempre amato
e l’indipendenza del suo paese, l’India. Ghandi è stato un grande esempio, un piccolo uomo che combatte
contro un grandissimo impero coloniale che quasi nessuno era mai riuscito a scalfire. Io credo che tutti, nel
loro piccolo, dovrebbero avere lo
stesso spirito che aveva Ghandi, un
uomo che rimarrà nel cuore di decine
di popoli.
Ogni paese, secondo me, sa che la libertà eccessiva e la mancanza di libertà sono un grande problema, a cui
pensare prima che la popolazione arrivi a un punto di non ritorno in cui la
libertà non viene rispettata.
Alberto Luzzara, 3ªL
13
ATTUALITA’
Verso EXPO 2015
AGRICOLTURA BIOLOGICA
Nonostante al mondo ci sia cibo per
tutti, 925 milioni di persone soffrono
ancora la fame. Alla base di questo problema c’è soprattutto la povertà che
ostacola l'accesso ai cibi nutrienti.
L'agricoltura è la maggiore fonte di occupazione e fornisce sostenimento al
40% della popolazione mondiale attuale. Si tratta della maggiore fonte di
reddito e di lavoro per le famiglie con-
tadine povere.
La crescita dell'economia mondiale e l'aumento della popolazione del pianeta ( 9 miliardi di persone entro il 2050) sono chiari segnali del fatto che le risorse della terra vengono consumate rapidamente.
Risorse come acqua, suolo, aria pulita e servizi sono vitali per la nostra salute e qualità di vita,
tuttavia sono disponibili solo in quantità limitate.
Da ricerche del 2012 risulta che più di 900 milioni di persone soffrono la fame a causa del degrado
dei terreni agricoli dovuto all'uso di OGM oppure dell'inutilizzo di terreni rendendoli così poveri.
Si prevede che nel 2050 la popolazione crescerà di un miliardo e mezzo e che la percentuale delle
persone che soffrono la fame aumenterà del 10%.
Per diminuire questo dato si dovrebbe investire nei piccoli proprietari terrieri che sfamano il 40%
della popolazione mondiale e costituiscono un terzo degli agricoltori, anche perché loro stessi, in
gran parte (80%) soffrono la fame anche a causa dei cambiamenti climatici.
Più della metà di essi vive nelle zone dell'Asia meridionale e nel Corno d'Africa, zone colpite
maggiormente dalle carestie e monsoni.
Sicuramente un metodo molto efficace e intelligente sarebbero quello di sprecare tutti meno cibo
e dare le stesse opportunità di lavoro e tutela a tutte le popolazione senza distinzioni di classe.
La biodiversità, l'insieme di piante, animali e microrganismi che coesistono, deve essere considerata la fonte di sopravvivenza della vita sulla Terra. Purtroppo negli ultimi anni si è verificato
il fenomeno della perdita di biodiversità, un problema molto serio: l'estinzione di specie animali
a causa delle attività umane sta avvenendo molto rapidamente. Tra le cause principali ci sono le
distruzione degli ambienti naturali, la crescente urbanizzazione, la deforestazione e l'eccesso di
sfruttamento di specie animali e vegetali. Esse portano alla distruzione degli ecosistemi nel mondo.
Vandana Shiva, ha deciso di fondare la Navdanya per la salvaguardia del paesaggio e della biodiversità dell'India. Questa associazione combatte contro la Rivoluzione verde, che occupava i terreni
dei contadini per la coltivazione di pochi prodotti quali: la soia, il grano, il riso e il granoturco destinati al commercio mondiale eliminando di fatto piante utili a nutrire il suolo, foraggiare gli animali ed essere materiale per la costruzione di capanne. Ciò ha ridotto i contadini autoctoni in
povertà.
Navdanya aiuta anche i contadini indiani a scambiare tra loro i semi in via di estinzione, per salvaguardarli ha creato una banca dei semi composta da più di 110 tipologie varie di semi in via di
estinzione, scambiandoli con oltre 650 mila membri. Questi consumano molta meno acqua degli
OGM e Vandana Shiva con essi ha creato una fattoria nella valle del Doon.
Abbiamo poi provato ad analizzare tecniche di coltivazioni alternative a quelle tradizionali che
potrebbero aiutare a produrre meglio e per un numero maggiore di persone in tutto il mondo
AGRICOLTURA SOSTENIBILE
L'agricoltura sostenibile è quella che
oltre a produrre alimenti e altri prodotti
agricoli è anche:
-economicamente vantaggiosa per gli
agricoltori perché non vengono utilizzate sostanze chimiche, quindi non
spendono soldi, e perché mantengono
la biodiversità.
-rispettosa dell'ambiente perché non ci
sono sostanze chimiche.
-socialmente giusta, cioè deve contribuire a migliorare le qualità di vita dell'intera società.
Chi si occupa di agricoltura sostenibile
privilegia quei processi naturali che consentono di preservare la "risorsa ambientale" evitando
così il ricorso a pratiche dannose per il suolo e sostanze chimiche utilizzando fonti energetiche
rinnovabili.
Un progetto sicuramente interessante è quello degli orti scolastici presenti soprattutto in Uganda.
Gli orti scolastici insegnano ai bambini a coltivare in modo rispettoso per l'ambiente prodotti agricoli, ma anche le tecniche migliori, la tradizione culinaria del proprio paese e le caratteristiche
dei cibi. Il progetto è stato realizzato in più di trenta scuole ugandesi e vanno via via aumentando
le adesioni grazie all'entusiasmo di grandi e piccoli nell'iniziativa della Slow Food, l'associazione
fondatrice del progetto. Fra gli obbiettivi v’è quello di creare una banca di semi, per conservare
le varietà del luogo, fare una biblioteca di testi sull'agricoltura e vari laboratori.
L'agricoltura biologica è il modo di produrre cibi senza utilizzare prodotti chimici.
L'agricoltura biologica vuole sviluppare un modello di produzione che eviti lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali,
in particolare del suolo, dell'acqua e dell'aria, utilizzando invece tali risorse all'interno di un modello di sviluppo che possa
durare nel tempo.
Per quanto riguarda i sistemi di allevamento, si pone la massima attenzione al benessere degli animali, che si nutrono di
erba e foraggi biologici.
Inoltre nell'aziende agricole, devono esserci ampi spazi perché
gli animali possano muoversi e pascolare liberamente.
L'agricoltura biologica aiuta anche a preservare la biodiversità.
Ad oggi l'Italia è uno dei paesi europei con uno dei tassi di presenza di aziende biologiche più
alto che impiegano tra l’altro imprenditori agricoli giovani.
Se l'Italia saprà sfruttare questo sistema per l'Expo 2015 potrebbe dare una grande spinta all'agricoltura Italiana.
PERMACULTURA
La permacultura è la disciplina che permette di progettare insediamenti umani dando vita ad ecosistemi.
I suoi principi sono basati sulla linea etica e sono:
- avere un ambiente sostenibile ed equilibrato
- il rispetto per la biodiversità e l'utilizzo di energie rinnovabili
- il minimo utilizzo di spazio e di energia
- la cura della terra
- la cura degli esseri umani e soddisfarne i bisogni fondamentali
- le condivisioni delle risorse in eccesso
La permacultura è la rivoluzione camuffata da giardinaggio bio
L'Hugelkultur è una tecnica di coltivazione che consiste in aiuole rialzate riempite di materia organica, la legna.
I suoi principi sono:
- coltivare un pezzo di terra senza fertilizzanti
- coltivare in ogni tipo di zona climatica
- riciclare pezzi di legno e radici di alberi
- ridurre il riscaldamento globale
- produrre un raccolto sano
- evitare di piegare la schiena
- eliminare la necessità di arare, zappare e irrigare
AGRICOLTURA BIODINAMICA
L'Agricoltura Biodinamica viene creata da un filosofo chiamato Rudolf Steiner , negli anni 20 in Polonia. Lui si è basato sull' abbinamento del sapere scientifico con
osservazioni spirituali della natura. E' una azienda a stretto
contatto con l'ambiente circostante, con la Terra intera e con
il cosmo. Negli anni 30 vengono aggiunte le prime esperienze di agricoltura "biologica".
•
I suoi scopi fondamentali sono: accrescere e mantenere la fertilità del terreno con il fattore fondamentale dell'
HUMUS;
•
I suoi obbiettivi sono:
la produzione di alimenti con massima vitalità e
qualità
- il produrre alimenti che rafforzano il metabolismo
umano.
Gli strumenti a disposizione per l'agricoltura biodinamica sono:
- la rotazione agricola
- il calendario lunare e il planetario per semine e operazioni colturali
- il compostaggio in cumuli o di superficie
- la lavorazione non distruttiva del terreno
- la concimazione di qualità attraverso sovesci particolari e con compost trattato con i preparati
biodinamici.
Stefania Schiavi, Kevin Narvaez, Veronica Guerra, Marco Carini, Gustavo Bonvecchiato,
Carlotta Bramante Davide Avallone, Francesca De Felice, Camilla Cavallini,
Duane Szaijowski, Benedetta Girotti, Flaminia Bulli Prolo, Mairene Zorilla, 2ªE
Disegni eseguiti dalle classi I
e III della prof. Bertagnolli
14
ATTUALITA’
“Basta aprire la finestra di casa e guardare fuori per trovare una foto” diceva Paul Strand: partendo
da questa frase gli alunni di Alternativa, sotto la guida del prof. Sgrò, nel corso dell’anno scolastico
hanno rivolto il loro sguardo alla realtà che li circonda, catturando le sue infinite manifestazioni.
Le foto pubblicate sono una piccola selezione di quelle “trovate”. (segue a pag. 32)
Anna Privileggio, 1ªC
Anna Moneta, 1ªC
Bettiba Narducci, 1ªG
Giorgia Montacchini, 1ªD
Edoardo Bisagno, 2ªC
Chiara Anzano, 2ªH
Alessandro Grassi, 3ªG
Luca Cremonesi, 3ªH
Andrea Corsi, 1ªF
Bianca Vecchi, 1ªF
Vicente Henriquez, 1ªG
StratiepolO
I passi salienti della carriera della grande attrice Giulia Lazzarini
che ha appena compiuto 80 anni festeggiata al Piccolo Teatro
per lei “i passi” importanti
della sua attività artistica.
G
Quali sono stati i suoi
primi passi nel mondo
dello spettacolo?
Ognuno nella vita ha un
obiettivo, il mio era quello
di fare l'attrice.
Il mio primo passo è stato
Giulia Lazzarini
nel 1952, a soli 18 anni:
sono andata alla scuola
iulia Lazzarini è una grande
“Centro
Sperimentale di Cinematoattrice di teatro, cinema, tv.
grafia”di
Roma, che mi era stata fatta
Le ho chiesto quali sono stati
conoscere dalla madre di una mia
amica. Ho dovuto vincere un concorso per essere ammessa e, una
volta diplomata, ho fatto pratica nel
cinema; poi ho recitato nelle commedie televisive.
Ma il mio vero desiderio era fare teatro: ho avuto l’opportunità di fare
una audizione al Piccolo Teatro di
Milano con il grande regista Giorgio
Strehler. Fui accettata nella sua
scuola e da lì è iniziata la mia carriera di attrice teatrale, che continua
fino a oggi.
Quali sono stati i passi più impor-
tanti nella sua carriera?
Il mio primo spettacolo è stato l’Arlecchino di Goldoni con la regia di
Strehler che, dopo il grande successo
di Milano, è stato recitato in tantissimi teatri nel mondo, come in Brasile e a New York.
L'Arlecchino è stato una degli spettacoli più importanti e significativi
della mia vita. Tra i tanti altri che ho
fatto, ricordo con particolare soddisfazione i ruoli di Ariele ne La Tempesta di Shakespeare e di Winnie in
Giorni felici di Samuel Beckett e i
molti sceneggiati televisivi.
Un altro grande passo è il film che
sto girando in questo momento a
Roma con Nanni Moretti, intitolato
Mia madre, in cui interpreto la protagonista, la madre appunto: il film è
dedicato alla madre di Moretti, morta
da poco. Per me Moretti è un regista
molto importante ed è un onore lavorare con lui; questo film è quasi un ritorno alle origini, perché il mio
primo passo nel mondo dello spettacolo è stato alla scuola di cinema di
Roma.
Alberto Puliga, 1ªI
Il passo in montagna e il
lungo cammino verso la vetta
I
Andrea Ponta, 2ªD
“I passi nello spazio” realizzati dalle classe 2ªD del prof. Longo
Roberto Ardito, 2ªD
o e la mia famiglia amiamo molto la
montagna, facciamo passeggiate
lunghe anche fino a otto ore e più.
Mi piace molto passeggiare con la mia
famiglia, mi rilassa e poi posso stare a
stretto contatto con la natura e vedere
bellissimi paesaggi. Mi piace soprattutto
passeggiare nei boschi, prendere i sentierini dove si possono raccogliere mirtilli. In montagna, i boschi assomigliano
ai boschi incantati delle favole: le radici
sono ricoperte di un soffice muschio, le
foglie sono bagnate di rugiada, i sentieri
sono pieni di sassi e radici che vanno a
formare delle piccole scale. Quando poi
si arriva nell’alta montagna, tutto lo scenario cambia ed arriva la vista sulle morene, sui ghiacciai, sulle rocce aguzze.
E’ uno spettacolo impressionante. I momenti migliori di queste giornate in
montagna sono il percorso di ritorno,
che è meno faticoso e più rilassante, e la
sera, quando si discute e si commentano
le emozioni della lunga giornata. Tante
volte quando siamo fortunati e torniamo
a casa sul tardi, sulla via del ritorno abbiamo “incontri ravvicinati” con qualche capriolo o camoscio. Sono
bellissimi e sembrano così sereni, come
se nei loro occhi si riflettesse la libertà e
la voglia di vivere. Alcune volte, dopo o
durante le nostre passeggiate, mi sento
stanchissima e non vorrei più continuare
a camminare, ma i miei genitori e mio
fratello riescono a darmi forza e grazie
ai loro consigli ho potuto assistere allo
spettacolo di panorami mozzafiato che
mi sarei persa se mi fossi fermata prima,
come ghiacciai immensi, valli innevate
anche in piena estate e cascate impetuose. Tutto questo mi ha fatto capire
una cosa importante: nella mia vita
dovrò percorrere un lungo cammino e
passo per passo incontrerò vari ostacoli,
ma pur con molti sforzi, riuscirò a raggiungere grandi mete se la mia volontà
sarà sempre forte.
Cecilia Paola Carniti 3ªA
Procedere passo passo
Oggi vi racconto di un’amicizia speciale, l’amicizia tra me e un mio compagno
di un’altra classe, alunno anche lui della prof. Storelli: si chiama Federico e
ha la mia età. All'inizio di questa magica amicizia io e lui ci divertivamo un
mondo, soprattutto io, che lo rincorrevo per il corridoio mentre lui si rincantucciava in tutti gli angoli possibili.
Adesso usciamo insieme e il nostro livello di comunicazione è aumentato moltissimo. Io ora voglio molto bene a Federico e proprio non saprei come ringraziare la prof. che ci ha fatto conoscere. Infatti agli inizi di questa
meravigliosa relazione io, lui e la prof. Storelli andavamo ogni tanto al cinema
per conoscerci meglio e secondo me è proprio da lì che il legno ha cominciato
ad ardere.
I passi giusti verso Federico ora sono aumentati, mi ricordo ancora quando il
prof. Bray aveva assegnato un compito di storia a sorpresa e Federico era
molto agitato per il fatto che di non essersi preparato a dovere; per fortuna
c’ero io che gli ho fatto tornare il sorriso sulle labbra!
Ho imparato tante cose durante questa grande relazione, come che devo capire
i suoi limiti, valutare il suo carattere eccezionale e le sue specialità. Un’altra
cosa che volevo dirvi, e che spero faccia ridere voi quanto me, è la seguente:
cioè i metodi di comunicazione tra noi, che all’inizio si svolgevano tramite la
prof., con bigliettini, in corridoio, per telefono, via mail e attraverso i nostri
genitori, vale a dire con un grande dispiegamento di mezzi; ora invece, avendo
noi compiuto un grande passo, ci basta incontrarci corridoio e sentirci per telefono; ma la cosa più importante è che ormai tutto ciò avviene solo ed esclusivamente tra me e il mio BFF (Best Friend Forever ®).
In poche righe, insomma, si può dire che con Federico siamo passati dal non
conoscerci affatto ad una super amicizia, e so che nel futuro farò il massimo
per coltivarla da solo, in autonomia, sperando che anche lui accetti e voglia
fare lo stesso con me.
Giacomo Mancini, 3ªC
16
STRATIEPOLO
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STRATIEPOLO
I vincitori della Stratiepolo 2014
I nostri super temi
Tema comune a tutte le classi
1) Quei passi, quelle pagine, quei versi che, leggendo, ti hanno particolarmente colpito e che hai fatto tuoi: illustrali,
spiegane il contenuto in relazione al contesto, specifica quali riflessioni hanno suscitato in te e perché sono rimasti così
impressi nella tua memoria.
Classi prime:
2) Fare “il primo passo” può significare compiere un gesto di riconciliazione verso l’altro.
Racconta una storia di perdono che abbia visto protagonista te o qualcuno che conosci.
3) Chi è per te un punto di riferimento, l’eroe o il personaggio del quale vorresti seguire le orme? Spiega il motivo della
tua ammirazione ed illustra il percorso da compiere per realizzare il tuo sogno.
Classi seconde:
2) Hai mai dovuto prendere decisioni che per te hanno rappresentato “un grande passo”? Quali? In che modo hai maturato
le tue scelte? Parlane in una lettera indirizzata a una persona che ti sta vicina.
3) Pensa ad una persona adulta a te vicina e racconta quali sono stati i passi, i momenti, le scelte che hanno reso la sua
esi
stenza significativa davanti ai tuoi occhi.
Classi terze:
2) Ogni relazione armoniosa è ‘un passo a due’, una danza complessa in cui tutto però sembra semplice e spontaneo.
Guardando al mondo della famiglia, delle amicizie o degli affetti in generale, racconta e descrivine uno particolarmente
riuscito, mettendo in luce quali sono ‘i passi giusti’ che permettono di comunicare in profondità con gli altri.
3) ‘Muovere i primi passi, ‘compiere passi da giganti’, ‘fare un passo indietro’, ‘procedere di pari passo’: i modi di dire
legati a questa parola non finiscono certo qui. Il loro grande numero ci fa capire l’importanza di questo gesto per l’uomo,
che attraverso passi grandi o piccoli ha costruito la sua storia e il suo progresso. Esponi le tue riflessioni e le tue conoscenze a riguardo.
I segnalati di tutte le classi:
1ªA Himaya Mutugala, 1ªB Niccolò Righi, 1ªC Viola Bertoletti, 1ªD Leonardo Murdaca Stadiotti, 1ªG Alessia Bullaro,
1ªH Sonja Hallak, 1ªI Matteo Mainetti; 2ª Francesca Tortini, 2ªC Pawani Kurawalaha, 2ªE Veronica Guerra, 2ªG Aurora
Arrighi, 2ªH Silvia Fusar Bassini, 2ªI Livia Martinelli, 2ªL Alessandra Carbone; 3ªB Filippo Cabras, 3ªC Benedetta Benvenuto, 3ªE Yer Myka Dimacali, 3ªG Andrea Martino, 3ªH Elisa Garlanda, 3ªI Giorgio Zambon, 3ªL Elisa Lanocita.
Vincitrice classi prime: Sara Jo Agostino, 1ªF;
seconda classifivata: Sofia Sanguini, 1ªE;
terzo classificato: Leonardo Rilasciati, 1ªL.
Traccia n. 3
o pensato molto a cosa scrivere in questo tema ed ora voglio presentarvi una persona
che per me ha rappresentato l’eroe
degli eroi: il mio papà. Fin da piccola
lo stimavo e lo ammiravo fortemente
ed il mio sogno più grande era quello
di diventare proprio come lui: con una
grande personalità, molta pazienza, positività e soprattutto volevo, in futuro,
amare la vita esattamente come
l’amava lui. Dovevo imparare ad aiutare gli altri, cercare in ogni modo di
risolvere i problemi saggiamente e non
scoraggiarmi davanti alle difficoltà.
Queste erano le tre cose fondamentali
del mio percorso.
Mio padre riusciva a trasformare ogni
problema ed ogni momento buio in
luce; insomma era il mio idolo. Già da
bambina ho incominciato ad osservarlo, a vedere tutti i gesti e le azioni
che compiva per aiutare gli altri e, man
H
mano, sentivo che crescevo e crescevo
con lui sempre al mio fianco, che mi
proteggeva e mi aiutava in ogni momento. Arrivata all’età di otto anni,
mio padre ha dovuto affrontare un periodo durissimo. Si è ammalato e trascorreva molto meno tempo con me;
però, come sempre, lui non si arrendeva e cercava in ogni modo di vedermi e di non farmi soffrire.
Quando se n’è andato ho provato una
sensazione fortissima, come se fossi
sprofondata in una buca buia e senza
fine. Poi mi sono resa conto di aver
avuto un padre unico a differenza di
molti altri che ci sono fisicamente, ma
trascurano i propri figli. Quindi in un
certo senso mi sentivo felice, orgogliosa e fiera di lui, soprattutto perché
ha lottato come un leone per guarire da
quella feroce malattia e continuare a
vivere ed è proprio questo, oltre a tutte
le sue qualità, il motivo di tanta ammi-
razione. Per andare avanti ed iniziare
il mio percorso, ho cominciato a collaborare insieme alla mia famiglia composta da mia mamma e dalla mia
sorellina.
Passavano i giorni, le settimane, i mesi
ed io mi sentivo fortissima. Sentivo il
mio papà più vicino che mai anche se
non lo vedevo, mi sentivo sicura del
suo aiuto e della sua protezione ancora
più di prima! Sono diventata molto più
responsabile ed autonoma. Questa
esperienza mi ha fatto riflettere, mi ha
dato forza e mi ha aiutato a vedere la
vita da un’ altra prospettiva. Certo,
avrei preferito che non fosse mai accaduto!
Il mio sogno è vicino, lo sento e lo raggiungerò presto! Ora sono qui, mi sono
ripresa e sono sicura che il mio papà rimarrà sempre nel mio cuore e rappresenterà in ogni momento IL MIO
EROE!
Allora ho iniziato ad “indagare” e
man mano che crescevo cominciavo a
capire e, quando l’ho scoperto non ci
volevo credere: era per lavoro. Allora
non sapevo cosa fosse, quale fosse la
sua importanza e cosa riuscisse a fare
come, ad esempio, dividere una famiglia. Quando l’ho scoperto non vedevo l’ora di raccontartelo così avresti
capito perché siamo partiti e ti saresti
“messa l’anima in pace”, ma poi ci ho
pensato e ho capito che tu lo sapevi e
anche bene.
Quindi non so quale sia il vero significato di questa lettera; forse è per rassicurarti e dirti che mi trovo bene a
Milano, mi sono fatto tanti amici,
vado bene a scuola. O forse è per ringraziarti, perché se potessi tornare indietro nel tempo, anche se a
Traccia n. 3
l 'passo' è ognuno delle singole
parti del movimento che gli uomini e gli animali compiono per
procedere in un cammino. Il 'passo',
nel tempo, è stato anche un'unità di
misura. Esiste il passo dei romani che
corrisponde a circa 75 cm, o quello
meccanico, che corrisponde alla distanza tra le filettature di una vite.
Passo è, inoltre, anche il percorso che
consente all'uomo di passare da una
valle montana ad un'altra. Se ci penso,
quindi, è un termine che prevede un
processo, 'un procedere in avanti' in un
percorso, un movimento. E' proprio
questo che trovo interessante: l'idea
che il passo coincida con un avvicinamento. Accostare il passo dell'uomo
all'evoluzione della specie viene spontaneo: ecco perché oltre all'immagine
del cammino dal primo ominide all'homo sapiens, che rappresenta l'evoluzione (immagine falsa, secondo uno
scienziato che relazionò alla Tiepolo 2
anni fa). Ricordo una frase che mi
hanno detto tanti anni orsono, è la
frase che Neil Armstrong disse quando
mise piede sulla Luna nel 1969: “Questo è un piccolo passo per l'uomo, ma
un grande balzo per l'umanità”. Il
passo misura il progresso in diversi
ambiti: tecnologico, scientifico, economico e sociale. L'uomo ha compiuto
diversi passi avanti nella sua storia che
ci hanno portato a vivere nella società
di oggi. Negli anni 2000 viviamo in un
mondo molto diverso da quello in cui
vivevano, per esempio, i nostri genitori. Anche se magari hanno vissuto
nell'epoca della missione sulla Luna di
I
cui parlavo prima, da allora più che
passi ci sono state vere e proprie
“corse” verso il progresso.
Per quanto riguarda il progresso tecnologico io e la mia classe abbiamo
partecipato ad una conferenza sulla
stampante 3D. Tra qualche anno questa potrà essere nelle nostre case e basterà a produrre non solo immagini,
ma oggetti. Se la macchina da scrivere, inventata sul finire del XIX secolo, costituiva un grande risultato,
come verrà definita una macchina in
grado di “materializzare” quelli che
prima erano disegni? La mia generazione appartiene ai cosiddetti “nativi
digitali” perché siamo abituati ai progressi tecnologici, ma a volte viene la
paura di non avere compiuto altri
“passi avanti”, che sono necessari per
gestire la nostra vita e tutta la tecnologia.
Forse ognuno di noi dovrebbe fare una
riflessione sul proprio modo di progredire, di fare cioè dei veri “passi
avanti”. Da quando siamo nati, anche
noi siamo in continuo progresso procediamo “a piccoli passi”. Siamo passati dal gattonare al camminare, dal
ciuccio al biberon, al leggere e allo
scrivere. Ognuno con i propri tempi,
che sono quelli dell'evoluzione biologica. Il mondo esterno, invece, ha accelerato la sua corsa e noi gli corriamo
dietro. Forse il passo non basta più
come unità di misura, forse dovremmo
usare “la corsa”, ma mi domando se
sia giusto o se, prima o poi, tutti ci ritroveremo a dover fare... “un passo indietro”.
lavoro grafico 1ªG (foto in alto)
lavoro grafico 1ªH (foto in basso)
Vincitore classi seconde: Roberto Ardito, 2ªD;
secondo classificato Rhysel Marcial, 2ªA;
terzo classificato Andrea Lucchesi, 2ªF.
Traccia n. 2
Cara nonna,
ti voglio raccontare di quando ci
siamo trasferiti a Milano: non è stata
un’ idea mia e non sapevo quale fosse
il motivo. Avevo due anni quando
siamo dovuti partire per Milano dalla
Puglia, ho solo dei ricordi sfocati di
quel momento. Anche se ero ancora
molto piccolo, la mia decisione era
quella di rimanere coi parenti, con le
persone care, ma la mia opinione non
contava molto, quindi non è stata
presa in considerazione. Per me è
stata una brutta esperienza, ma solo
ora mi accorgo di quanto sia stato doloroso per te! Hai visto andare via tua
figlia ed i tuoi nipoti e ora li puoi vedere solo tre volte l’anno. Mi sono
sempre chiesto: questa decisione a chi
ha giovato?
Vincitrice classi terze: Carlotta Rossi, 3ªD;
secondo classificato: Alessandro Intropido, 3ªA;
terza classificata: Francesca Romano, 3ªF.
malincuore, deciderei di partire perché adesso ti scrivo da ragazzo di tredici anni, sono grande e so che alcune
scelte comportano dei sacrifici e questo lo so anche grazie a te perché,
anche se siamo così lontani materialmente, siamo vicini con il cuore e tramite questo legame mi hai insegnato
molte cose.
Questo vale per tutte le persone che
mi sono care, esse hanno il potere di
indurre le persone a fare il PASSO
giusto, proprio come tu hai fatto con
me e di questo ti ringrazio infinitamente. In più spero un giorno, quando
sarò nonno anch’io, di poterlo insegnare ai miei nipoti, per tramandare
questo dono speciale, come hai fatto
tu con me.
Tuo nipote Roberto.
18
STRATIEPOLO
I Vincitori del Concorso IL LOGO Stratiepolo 2014
La commissione Logo Stratiepolo 2014 ha selezionato i seguenti loghi:
1° classificato:
Tommaso Baresi 1ªE
2° classificato:
Alessandro Fiorini, 3ªB
3° classificato:
Leonado Bracchetti, 2ªB
I Vincitori del Concorso fotografico Stratiepolo 2014
La commissione Foto Stratiepolo 2014 ha selezionato le seguenti foto con le seguenti motivazioni:
Primo classificato: Luca Rosati, 1ªF
Motivazione: Il passo di una vita
Secondo classificato: Alessandro Nardone, 2ªC
Motivazione: “Un piccolo passo per
l’uomo, un grande passo per l’umanità.” La conquista della luna è stata
una dei più grandi passi per l’umanità, un passo che ha lasciato una
grande impronta in tutta la storia.
Attraverso i mattoncini lego ho voluto rappresentare questa meravigliosa ed eroica impresa.
Terzo classificato: Cecilia Valentini, 2ªC
Motivazione:
Giochi d’Autunno
I “Giochi d’Autunno” organizzati dal Centro Pristem dell’Università Bocconi consistono di una serie di giochi matematici che gli studenti partecipanti devono risolvere individualmente nel tempo di 90 minuti. Alcuni
nostri alunni hanno concorso in entrambe le categorie (C1, per gli studenti
di prima e seconda media, e C2 per gli studenti di terza media e prima
superiore) e si sono così classificati:
Classi Prime: primo Jacopo Di Benedetto, 1ªA; secondo Daniele Vanzan,
1ªH; terzo Alessandro Corso 1ªL.
Classi Seconde: primo Marlon Rodriguez, 2ªG;
seconda Camilla Cavallini, 2ªE; terzo Filippo Toniolo, 2ªD.
Classi Terze: primo Gianluca Canzi, 3ªH; secondo Davide Duva 3ªC;
terza Caterina Cozzarini, 3ªB.
19
STRATIEPOLO
Fab Lab e la stampa in 3 D
F
ab Lab è un’azienda che conta
circa 600 laboratori in tutto il
mondo che utilizzano stampanti
3D per realizzare oggetti progettati tramite un programma per computer. Al
Fab Lab ogni prodotto costruito è raggruppato nella ‘digital fabbrication’.
Fab Lab Italia da tempo organizza incontri nelle scuole per raccontare ai ragazzi tutto ciò che hanno bisogno di
sapere per potere utilizzare le stampanti
3D nell’immediato futuro. Il cambiamento più radicale sarà il passaggio
dalla produzione in serie a quella personalizzata, che risponde più precisamente ai bisogni di un singolo
individuo.
La nostra classe, 3B, e le altre terze
hanno assistito ad uno degli incontri
proposti da Fab Lab Italia. Massimo
Temporelli, esperto del Fab Lab Italia,
nonché professore e storico della tecnologia, ha partecipato in qualità di
rappresentante e ci ha spiegato in cosa
consiste la stampa 3D e un laboratorio
Fab Lab.
In un laboratorio Fab Lab sono presenti:
una
stampante 3D,
una fresa cnd,
una laser cutter, un computer
e
il
software Arduino che trasforma il file
dal ‘linguag-
gio’ del computer e dei programmi al
‘linguaggio’ della stampante 3D.
La stampa 3D avviene attraverso il riscaldamento di un filo che, portato a
temperature elevate, si fonde. Il materiale ottenuto viene depositato a strati
su una base di gomma, in modo da
creare l’oggetto graduatamente.
Gli oggetti creati da Fab Lab possono
essere prodotti in ABS, PCA, nylon,
gomma e gesso.
Le più famose stampanti 3D sono
quelle di Markerboot, Share Bot e
Wasp. Altre marche hanno creato delle
Desktop 3D Printers che sono già di-
sponibili all’acquisto anche in Italia.
Esistono migliaia di programmi per la
modellazione 3D, i migliori costano
anche centinaia di euro. Un’alternativa
gratis scaricabile attraverso internet è
123D Design, una delle tante applicazioni di Autodesk.
Fab Lab organizza anche dei corsi sulla
stampa 3D a cui possono partecipare
persone di tutte le età.
I progetti realizzati da Chiara Levy e
Michele Scattola comprendono il logo
Apple, una puntina da disegno, due
tazze tazze e una lampada.
Il programma è relativamente facile da
usare e l’ unica conoscenza richiesta è
quella della lingua inglese che ormai
nella società moderna non
è poi un
c o s ì
grande
problema.
Come si
può vedere dalle immagini sono presenti funzioni di “svuotamento” dei solidi e
dello smussamento degli angoli; è
anche possibile tracciare una linea a
mano libera e poi decidere di farla diventare un solido scegliendo di quanto
estenderla in altezza.
La creazione di oggetti richiede una
buona parte di un pomeriggio ma il divertimento è tanto e si hanno sempre
nuove idee.
123D Design è un programma abbastanza pesante, per fortuna è utilizzabile anche su internet senza doverlo
scaricare e i propri progetti si possono
salvare in rete in modo che tutti vi possano accedere e modificarli a proprio
piacimento.
Dopo aver fatto un po’ di pratica,
avrete una gran voglia di stampare i vostri progetti, ci auguriamo che questo
argomento vi appassioni come ha fatto
con noi!
Chiara Levy e Michele Scattola, 3ªB
Più che un passo, un balzo:
Giaime, il rapper venuto
dalla Tiepolo
P
er la Stratiepolo, noi classi seconde, avremmo inizialmente
dovuto partecipare ad una conferenza sull’orientamento scolastico,
ma per fortuna è avvenuto un imprevisto e il rapper diciannovenne Giaime,
ex studente della nostra scuola, ci ha
salvati da un'ordinaria conferenza.
Durante l’incontro Giaime ci ha raccontato come ha fatto a diventare
quello che è oggi, superando le difficoltà, soprattutto iniziali: ha iniziato
facendo rap con degli amici, con canzoni a suo parere improponibili; e poi,
man mano che andava avanti, si è reso
conto che la musica era la sua passione
e così l’ha coltivata senza lasciarsi scoraggiare dalle critiche e dalle difficoltà.
Un elemento fondamentale è stato
avere accanto a sé persone che l’hanno
aiutato e hanno creduto in lui, il suo
manager e amico, fin dai tempi della
Tiepolo, Simone. E ci ha assicurato
che, tra le soddisfazioni migliori, non
è mancata quella di far vedere dove era
riuscito ad arrivare a tutti quelli che invece in lui non avevano creduto affatto. Infine ci ha raccontato come
prosegue oggi il suo lavoro, rispondendo a tutte le nostre domande e facendoci ascoltare alcune delle sue
canzoni più popolari, come Solitudine
e Adolescenti sui trampoli.
Volete una prova che questa conferenza è piaciuta ed ha lasciato il
segno? A quante conferenze è capitato
che tutte le classi seconde, dalla A alla
L, si sono volute fare un selfie con la
persona che la teneva?
Maria Sole Di Capua, 2ªB
Arianna Zancuoghi, 3ªA
“I passi verso la torre” da Bruno
Munari, Elementi di architettura,
realizzato dai ragazzi della 2ªH
Alessandro Fiorini, 3ªB
Lavoro delle classi III della prof. Pimpinelli
Lavoro eseguito dalle classi 1 e 2ªC
con la prof. Rovetta
20
NOI TRA PASSATO E FUTURO
Inauguriamo una nuova rubrica, “Noi tra passato e futuro”, in cui oltre a parlare di noi e della nostra adolescenza, raccontiamo le professioni più amate da noi ragazzi e intervistiamo chi lavora in alcuni
ambiti. Iniziamo con le forze dell’ordine, dopo l’intervista in prima pagina a due magistrati, abbiamo immaginato la giornata tipo di un commissario di polizia, inventando storie e cercando di capire le
tecniche e le mansioni svolte quotidianamente dai commissari di tutta Italia. Poi abbiamo riflettuto sul ruolo civile e sulle responsabilità del commissario.
Infine abbiamo intervistato un vigile del fuoco e un agente della polizia municipale. E noi cosa faremo da grandi?
La 1ªI
Io commissario per un giorno
Eleonora Frabasile, 1ªI
Q
uando arrivo al commissariato, devo ascoltare il racconto di un miliardo di
testimoni a vari delitti, poi però appena comincio le indagini, vengo interrotto dalla segnalazione della
scomparsa improvvisa di una ragazzina, poi dalla notizia di un quintuplo
omicidio in cui erano rimasti uccisi il
presidente e sua moglie. Come un fulmine mi dirigo sul luogo del delitto e
comincio le complesse indagini. Appena finita la giornata di lavoro, torno
a casa, ma appena mi addormento,
squilla il telefono e uno dei miei poliziotti mi dice di ritornare subito al
commissariato. Io mi precipito e vedo
il poliziotto che mi aveva telefonato ad
aspettarmi per annunciarmi che hanno
ucciso il commissario di turno che mi
sostituiva per la notte. Mentre penso
da dove iniziare le indagini arrivano
tre individui che mi dicono che sanno
cos'è successo. Mi fanno un racconto
sbalorditivo: loro fanno parte della
banda che ha compiuto l'omicidio obbligati a ciò dalla mafia che tiene prigionieri i loro figli. Stendo il mio
verbale della loro deposizione e decido di inserirli in un programma di
protezione per farli fuggire con le loro
famiglie in Canada e attendo la prossima avventura!
vedo la sua faccia terrorizzata. Gli
chiedo cosa diavolo è successo e lui
mi conferma il mio peggior timore: un
terribile criminale che cerchiamo da
tempo ha agito ancora rapinando un
portavalori. Oggi doveva partire un carico da un milione di euro da Roma a
Genova, nessuno lo poteva sapere, neanche gli addetti al trasporto, era stata
sparsa la voce falsa che il convoglio
sarebbe partito giovedì alle 16,30,
mentre oggi è martedì e sono le 12,30.
Esco e prendo la mia macchina accompagnato da due agenti, altre due
macchine mi seguono a ruota per raggiungere il luogo dell’agguato; mentre
corriamo, con la radio i colleghi ci comunicano che l’hanno preso a 25 chilometri davanti a noi. Raggiunto il
luogo dell’arresto, vediamo tutti gli
agenti per terra e i soldi sparsi sull’
asfalto. Ora capisco, il criminale si è
fatto catturare volontariamente, i soldi
erano falsi e in mezzo a questi c’era
una polvere narcotizzante, mentre i
soldi veri li aveva nascosti addosso a
lui, e, in questo modo, si è tolto qualche agente di torno. Chiamiamo l’ambulanza, saliamo in macchina e ci
mettiamo le maschere anti-gas nel
caso riservi lo stesso trattamento
anche a noi. Partiamo a massima velocità. Lo raggiungiamo al casello.
Prendo il megafono e comunico: “Esci
con le mani dietro la testa e disarmato,
hai le pistole di tutti gli agenti puntate
alla nuca, una mossa falsa e sei
morto!” Il criminale scende disarmato
con le mani dietro la testa; per lui è
proprio la fine della carriera. Gli mettiamo le manette, gli leghiamo i piedi
e lo carichiamo sull’ auto. Arrivati in
caserma lo mettiamo in una cella di sicurezza, da adesso in poi ci penseranno i giudici.
Luca Pezzera, 1ªI
Laura Monaco, 1ªI
Camilla Petrillo, 1ªI
U
Sofia Gentile, 1ªI
M
i trovo nel mio ufficio alla
centrale di polizia di Roma.
Suona la sirena dell’allarme
e un agente entra di corsa, quasi buttando giù la porta. Sono arrabbiatissimo, dov’è finito il rispetto? Però
n bel giorno d’estate, ero seduto alla mia spaziosa scrivania piena di documenti da
firmare, mi stavo bevendo un caffè in
santa pace quando, ad un certo punto,
suonò il telefono rosso, quello delle
emergenze!!! Allora risposi: “Ciao
Carlo, cosa c’è?” e lui mi disse:” C’è
stato un altro omicidio in via Travolta
al numero 2, in un vicolo cieco.” Presi
la mia P99, 2 caricatori e un AK-47 da
90 colpi, salii in macchina, accesi le
sirene e andai a tutto gas verso il luogo
del delitto. Lì vidi due poliziotti che da
soli non riuscivano a sfondare la porta
della stana in cui si era nascosto l’as-
sassino, ma pensai che fosse scappato
sul tetto, allora presi l’elicottero “parcheggiato” in doppia fila e salii sul
tetto, scorsi l’assassino e gli sparai
circa cinquanta colpi addosso con la
mitragliatrice montata sull’elicottero,
ma lui li schivò tutti con incredibile
agilità; ma alla fine lo presi e lo sbattei
dietro le sbarre, finalmente era finita
!!! Questa finta avventura se fosse
stata vera mi sarebbe piaciuta molto,
anche se, secondo me, fare il commissario di polizia è un lavoro che comporta molte responsabilità ed
altrettanti impegni.
Matteo Mariano, 1ªI
Laura Monaco, 1ªI
E
ntro in centrale. “Buongiorno
commissario”. Grugnisco. Benché fuori ci sia il sole, dopo un
interminabile periodo di pioggia, io
non ci vedo niente di buono. E di solito il mio sesto senso non sbaglia.
Entro in ufficio, sbattendo la porta, e
comincio a leggere alcuni fogli: perso
gatto…. “Chissà com’è finita qui questa roba” penso. Chiamo la segretaria:” Buongiorno commissario!” “Ciao
Marisa. Senti, oggi non voglio vedere
nessuno. Mandami qualcuno solo in
caso di emergenza.” “D’accordo signora” Chiudo gli occhi “Devo calmarmi. Magari non succederà niente.”
mi ripeto poco convinta. Come non
detto. Mi chiama Marisa. È sempre diligente, non mi chiama mai per nulla.
“Cosa c’è?” “Una denuncia anonima,
commissario... ho cercato di...” “Non
ti preoccupare. Che linea?” “8.25”.
Alzo la cornetta: “Pronto?”. Le denunce anonime mi preoccupano sempre. Potrebbe essere uno scherzo da
ragazzini, ma anche qualcosa di grave.
Dall’altra parte si sente: “Commissario, commissario, all’ospedale c’è un
uomo che vuole ucciderci tutti!” “E
dove……”. Ha riattaccato. Meglio
mandare una pattuglia. Poco dopo mi
fanno il loro rapporto: “C’è un uomo
con una mitragliatrice. Ha fatto mettere contro il muro tutte le persone”.
Un tuffo al cuore. Cerco di tenere la
voce ferma: “Descrizione?” “Alto e
decisamente robusto. Purtroppo non
riusciamo a vederlo bene”. “Ha ucciso
qualcuno?” “No. Interveniamo?” “No,
aspettate, potrebbe essere pericoloso.
Arrivo io con delle volanti. A dopo.”
In men che non si dica sono alla guida
di una macchina, seguita da altre tre
auto. Arrivati all’ospedale, entriamo il
più silenziosamente possibile e saliamo le scale. Il nostro uomo è al
primo piano. E’ un pazzo. Ha numerosi tic facciali e si muove in modo
strano. “State indietro, qui nascosti”
dico ai miei uomini e mi avvicino all’attentatore. Lui mi colpisce con un
proiettile al braccio sinistro. Vedo tutto
confuso, sto per svenire. Devo farmi
forza, non posso abbandonare tutte
quelle persone. “Ascoltami, tu non
puoi uccidere tutte queste persone. Tu
non vuoi!”. Silenzio. Il dolore al braccio è lancinante. L’uomo risponde.
“Si…io…voglio!”. “No” rispondo con
calma “tu non vuoi. Dammi una buona
ragione sul perché devi farlo”. Scoppia
a piangere: “Perché il mondo mi
odia!”. “Ha una crisi”, penso. Ad un
certo punto però, si asciuga violentemente le lacrime e urla: “Ma io ti ucciderò!” e punta a me il mitra.“ È
finita” penso, ma non perdo la calma
e mi gioco il tutto per tutto. “Senti, ci
occupiamo tutti e due di crimini, di delitti, ma io guadagno molto di più,
sono stimata e rispettata. Allora, chi è
più intelligente?!” Arrossisce violentemente. Temo di averlo fatto arrabbiare. Invece lascia cadere il mitra e le
gambe non lo reggono più. Ce l’ho
fatta! Alcuni uomini lo ammanettano
mentre qualcuno chiama l’ambulanza
per me. Sulla porta dell’ospedale sento
l’urlo della sirena dell’ambulanza.
Sono sulla barella e dico flebilmente:
“Ispettore, ci sono morti?” “No commissario, no. Ora riposi”. Mi portano
via e io mi addormento. Cado in un
sonno nero e profondo. Sono troppo
stanca anche per sognare.
Amalia Benassi, 1ªI
nella casa del signor Gheretti, per
aspettare ed intercettare la chiamata
dei rapitori alla signora Gheretti per
chiedere il riscatto in cambio della liberazione del marito. È importante,
prima di fare qualsiasi cosa, capire
bene la situazione.
h.9.30 La telefonata arriva e, come mi
aspettavo, è fatta da una cabina telefonica pubblica per cui riusciamo solo a
registrare la chiamata: chiedo alla signora Gheretti di abbassare la cornetta
a metà frase, così il rapitore sarà obbligato a chiamare nuovamente. Io, intanto mi reco alla centrale di polizia,
per far analizzare ai miei tecnici la registrazione. Una cosa importante è utilizzare tutti i mezzi che si hanno a
disposizione nei migliori dei modi ed
indurre i malintenzionati a compiere le
azioni che li possono smascherare.
h.11.00 Chiamo la ditta telefonica cittadina e mi accordo di comunicarmi,
alla chiamata, da dove proveniva . Per
fortuna i telefoni pubblici sono usati
molto poco e quindi la centralina della
zona interessata mi rassicurò che capire da dove veniva la telefonata sarebbe stato facile.
h.12.30.Tutto è pronto, la signora Gheretti è stata avvertita di trattenere al telefono a lungo il malfattore, la
centralina ci avrebbe avvertito qual era
il telefono da cui chiamava il malfattore, quindi la squadra mobile sarebbe
partita e avrebbe raggiunto il criminale.
Alberto Puliga, 1ªI
Q
uesto caso, il caso Gheretti,
me lo ricorderò per tutta la
vita.
h.7.00. Sono nel mio ufficio, entra da
me una signora che, sulla faccia, aveva
dipinto il terrore. Io cerco di mantenere la calma e le chiedo perché fosse
venuta da me, lei risponde che due o
più malviventi avevano rapito suo marito: il famoso imprenditore milanese
Gheretti. Io le offrii un caffè e una
brioche, la mia colazione, per farle
mantenere la calma e far recuperare al
corpo della signora un po' di energie:
poi passai ad organizzare un piano
d'azione: prima di tutto chiamai il prefetto per chiedergli l'autorizzazione ad
agire, lui dovette consultare alcune
carte e poi mi comunicò che potevo
agire. Nel mestiere del commissario
bisogna saper organizzare il tutto,
mantenere la calma e avere le autorizzazioni necessarie.
h.9.00 Mi reco con alcuni agenti ed il
materiale per intercettare le telefonate
h.13.00 Arriva la chiamata, la centralina ci avverte da dove proviene, la
squadra mobile parte e raggiunge il
criminale ancora al telefono, quest'ultimo scappa allarmato, ma aspettandosi questa mossa i motociclisti lo
inseguono fino alla sua casa dove trovano un uomo pieno di botte, stanco
ed affamato; vengono arrestati i rapitori che poi subiranno un processo.
Ognuno in Italia ha diritto di difendersi davanti al giudice, anche il peggior criminale. Frattanto io feci tanti
interrogatori e risolsi le questioni burocratiche, ma la mia soddisfazione
più grande è stata quando il signore e
la signora Gheretti mi vennero a ringraziare. Nel mio lavoro di commissario la più grande soddisfazione è
aiutare, sostenere le persone bianche o
nere, sempre rispettando le leggi ed i
diritti di tutti che sono, secondo me, le
cose più importanti.
Andrea de Curtis, 1ªI
21
NOI TRA PASSATO E FUTURO
Sabrina,
la nostra principessa
L’ESPERIENZA ITALIANA IN
ERITREA
Dalla storia dei singoli alla grande Storia: memorie di una famiglia.
M
i chiamo Sabrina Milleo,
sono nata a Milano il 19
febbraio del 2001, vivo in
via Ciro Menotti a Milano con mio
padre Giuseppe , mia mamma Anna
e mia sorella Cristina.
Frequento la scuola media Tiepolo e
le mie professoresse sono Paola
e
Viviana
La storia di mio nonno
M
i o n o n n o To n y o g g i
ha settantotto anni.
Nacque a Napoli,
prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, nel
1936. Al termine della guerra
aveva solo nove anni, infatti i
suoi ricordi dell’infanzia sono
legati principalmente ai bombardamenti, o ai pianti di vicini e conoscenti per lutti
familiari. Per circa due anni la
famiglia subì i problemi legati
alla mancanza di viveri (che a
quel tempo riguardava quasi
tutta la popolazione italiana e
non solo).
Il nonno era il secondo di cinque figli, tre maschi e due femmine. All’età di circa due anni,
si ammalò di asma bronchiale,
che gli impedì di frequentare
regolarmente la scuola, ma riuscì a completarla ugualmente
con l’aiuto di scuole ecclesiastiche e insegnanti privati.
La malattia del nonno si risolse con il trasferimento a
Melfi (città sul mare in Basilicata). Questa cittadina, posta a
circa seicento metri d’altezza
sul livello del mare, non aveva
problemi di cibo, come Napoli,
e i n o l t r e o ff r i v a u n c l i m a o t timo per la guarigione dell’asma.
Nel 1952 il padre di mio nonno
intuì che rimanere a Melfi presentava tanti vantaggi, ma non
q u e l l o d i o ff r i r e p o s s i b i l i t à d i
lavoro a tutti e cinque i figli
che, nel frattempo, erano cre-
s c i u t i . Av v e n n e
così
“lo
sbarco” a Milano, città che mio
nonno considerava e considera
tutt’ora la più moderna e vivibile città d’Italia. Racconta il
nonno che Milano fu per loro
una vera scoperta: la piscina
coperta Cozzi, il Palazzo del
Ghiaccio, le fabbriche, il Vigorelli col suo circuito per il ciclismo…
Le scuole serali comunali,
quasi gratuite, permisero a
n o n n o To n y d i c o n s e g u i r e i n
tre anni il diploma in ragioneria, lavorando contemporaneamente in banca. Anche gli altri
quattro fratelli trovarono lavoro a Milano. Il nonno,
quando racconta queste cose,
parla con nostalgia ed entusiasmo di quegli anni, e ripete
sempre che sia lui sia tutti i
suoi amici non hanno mai rinunciato a nulla e che quindi la
sua infanzia e la sua gioventù
sono state felici e formative.
Parlando spesso con mio
nonno, mentre giochiamo a
carte o guardiamo insieme
eventi sportivi, mi sono accorto della grande ricchezza,
saggezza ed esperienza che le
persone anziane possono trasmettere a noi ragazzi oltre che
rappresentare fonti di conoscenza per chi li ascolta, col
loro nitido e profondo ricordo
della storia, che raccontano
con entusiasmo e semplicità.
Tommaso Rossi, 2ªA
N
el 1937 il bisnonno Guido
Faré, padre di mio nonno
Paolo decise di trasferire la
sua famiglia all’Asmara, in Eritrea, allora colonia italiana. Il Paese offriva
delle ottime possibilità lavorative, ma
purtroppo il progetto del nonno si realizzò in modo diverso da com’era nato:
la bisnonna Ida, infatti, morì di parto
dando alla luce la sorella di mio
nonno, che fu chiamata Ida come la
madre. Il bisnonno Guido si trasferì
ugualmente in Africa nel 1938 con il
primogenito Paolo, che allora aveva 3
anni, la sua sorellina Ida di poche settimane, e le balie per accudire i bambini.
Presero casa nel centro dell’Asmara e
là il bisnonno lavorava come direttore
di una ditta genovese di import-export.
Sono tantissime le avventure che mio
nonno racconta di quegli anni: dal traffico di tante e strane merci, che transitavano dal magazzino della ditta
situato alle spalle della casa, ai viaggi
che faceva con suo padre per i suoi
contatti commerciali, in cui poteva
contattare l’ ‘Africa vera’, con gli animali feroci, i paesaggi bellissimi, le
persone così diverse e ospitali. Mio
nonno all’Asmara non andava a
scuola, ma suo padre gli insegnava la
scrittura, la lettura e la matematica con
delle lezioni serali. Per tutto il giorno
era quindi libero di giocare, scorrazzare e curiosare nel quartiere e nei ma-
gazzini delle merci. L’atmosfera serena, nonostante la mancanza della
mamma, di quegli anni ‘coloniali’ iniziò a cambiare con il progredire della
Seconda Guerra Mondiale e con l’arrivo degli Inglesi. Tutti i viaggi furono
sospesi per il pericolo dei predoni
(sciftà), forse fomentati dagli Inglesi
contro gli Italiani, e anche nella tranquilla Asmara, che era stata occupata
dagli Inglesi nel 1942, ormai si viveva
chiusi in casa e i rapporti dapprima ottimi con la popolazione locale si deteriorarono. Sulla città ci furono anche
dei bombardamenti dell’aviazione inglese. Il bisnonno decise così di imbarcare i bambini con le balie su una nave
per rimpatriarli: il Giulio Cesare, nato
come transatlantico per le rotte verso
l’America, fu così letteralmente riempito di donne e bambini, mentre gli uomini non potevano lasciare l’Eritrea.
Ci vollero 52 giorni per raggiungere
Venezia, poiché il canale di Suez era
chiuso per questioni belliche, quindi la
nave dovette fare il periplo dell’Africa
ed entrare nel Mediterraneo dallo
stretto di Gibilterra. Il nonno Paolo e
sua sorella, partiti nel dicembre del
’42, arrivarono così a gennaio del ’43
dalle zie, trasferendosi dal bel clima
dell’Asmara al freddo inverno della
provincia di Varese. Il bisnonno, bloccato all’Asmara, attese invano di tornare a guerra finita, ma purtroppo
venne a mancare per una peritonite.
il tumore. Lei è cosciente di averne uno
al cervello. Cerca di non nominarlo
spesso e neanche io lo faccio.
Continuiamo la ricerca.
Scavalcata una radice, passo dopo
passo, arriviamo ad un praticello.
Federica urla di gioia e sta quasi piangendo dalla felicità. Il “tesoro di Lalla”.
Io lo so, il tesoro non esiste, ma voglio
darle qualche speranza. Mi fa segno di
scavare e io comincio a farlo in fretta.
Scava, scava, troviamo una scatolina.
L’ho messa io. E’ la vecchia custodia di
un orologio in cui ho infilato un bicchierino pieno di acqua zuccherata. La
beve immediatamente e salta come un
grillo, pensando di essere salva.
Torniamo in casa, lei è al settimo cielo,
io triste di averla ingannata. Salta in
collo a sua madre e urla: ”Il tesoro di
Lalla! L’ho trovato! Sono salva!”. Sua
madre sospira e fa un sorriso, uno dei
più falsi che abbia mai visto. Federica
chiede: “Mamma, ma devo fare lo
stesso la chemio”. “Meglio di si!”. Ci
rimane malissimo. Piange e si butta fra
le braccia di sua madre. A me scappa
una lacrima.
Andiamo a dormire e quando sorge il
sole non c’è più. E’ in ospedale. Lo
leggo da un bigliettino che mi ha lasciato sul comodino, c’è scritto che c’è
stata un’emergenza. Ricordo solo che
sono corsa da mia madre e le ho chiesto
cosa fosse successo.
Non mi risponde, quindi ho capito. Federica è in Paradiso.
E’ un dramma per me. E’ il mio idolo,
la mia eroina. Adesso, Fede, ti prometto che il tesoro di Lalla proverò a
inventarlo io, con tanto studio, quando
diventerò grande.
Riccardo Daniello, 3ªF
La promessa
N
on è un’eroina. E’ poco più
alta di me. Non è una semidea. E’ una ragazza.
Non ha poteri. E’ solo coraggiosa.
Non è particolarmente forte. E’ forte
psicologicamente.
Il suo nome? Federica.
Il suo sogno? Sopravvivere al tumore.
La sua storia? Forse è meglio che cominci a raccontare.
In Costa Azzurra, nell’entroterra, sorge
una villa. Lì c’è la mia famiglia e, come
ospite, quella di Federica.
Ogni mattina, andiamo nel boschetto,
lei dice che lì c’è un tesoro: il “tesoro
di Lalla”.
“Appoggia il piede lì!”, sussurra Federica. “Dove?” rispondo io. “Shht! - mi
interrompe lei - siamo vicini al posto
giusto…lo sento!”.
Lei dice che il “tesoro di Lalla”, contiene una medicina in grado di guarire
Le nostre interviste sui lavori
Ho realizzato il mio sogno di bambino: essere un pompiere!
Come ha deciso di entrare nelle forze dell’ordine?
Ero un bambino di 7 anni quando mi hanno portato con la scuola in visita alla caserma dei pompieri
e mentre li vedevo salire sulle scale, mi dicevo “che bello, anch'io vorrei salire in alto come loro”,
poi anziché fare il militare per un colpo di fortuna sono riuscito ad entrare nei vigili come ausiliario,
dopodiché ho partecipato ad un concorso e l'ho vinto, dopo varie selezioni sono diventato un pompiere o vigile del fuoco che dir si voglia.”
Quali sono stati i momenti più difficili e quelli che le hanno dato maggiore soddisfazione?
Momenti difficili per mia fortuna ce ne sono stati pochi e quei pochi sono sempre legati ad incidenti
dove sono coinvolti adolescenti piuttosto che bambini; per mia grande fortuna, i momenti di grande
soddisfazione invece nell'arco di questi 18 anni sono stati tanti; tra i più belli da ricordare la dimostrazione di affetto che ci ha trasmesso la gente dell'Aquila dopo il terremoto, quando siamo partiti
da Milano per andare a dar loro un aiuto. Ricordo due casi all'apparenza sciocchi che, invece, a noi
pompieri hanno gratificato molto: andare prima in una palazzina di 3 piani che stava per crollare per
recuperare una dentiera di nessun valore per noi, ma indispensabile per una nonna di 79 anni che
senza non riusciva a mangiare e, sempre per una signora anziana, andare a scavare tra le macerie di
casa sua, per ritrovarle la parrucca, senza la quale non aveva il coraggio di uscire dalla tenda in cui
era costretta a vivere. Il bello del mio lavoro è che quando la campana suona e noi usciamo è sempre per qualcosa di diverso e sempre perché qualcuno ha bisogno di noi...
Beatrice Gianoli, 1ªD
Quali sono, secondo lei, le principali regole che deve rispettare un giovane cittadino oggi per
diventare un adulto consapevole dei suoi doveri?
Per me un giovane, come del resto un adulto o un anziano, prima di tutto deve rispettare chi gli sta
davanti che sia più grande o più piccolo, maschio o femmina, bianco, nero, rosso o giallo di pelle;
dopodiché, dobbiamo tutti aver cura delle cose che maneggiamo, che siano nostre o della comunità.
Non è necessario conoscere a memoria tutte le leggi, l'importante è che ci comportiamo sempre nel
miglior modo possibile, secondo la nostra sensibilità.
.Edoardo Cernuschi, 1ªI
Su di voi vigilo io!
Come ha deciso di entrare in polizia?
All'inizio volevo far parte della squadra speciale della polizia, ma, in seguito, visto che non sono risultato idoneo, ho deciso di partecipare alla polizia stradale”.
Ricorda alcuni casi del suo lavoro?
Un caso che mi ha dato molta soddisfazione è stato quando abbiamo sbloccato il traffico che si era
creato a causa di un incidente sul lago di Como. Un caso particolare a cui ho lavorato è stato arrestare un venditore abusivo di birra in piazza Duomo, ne aveva vendute talmente tante che erano rimaste centinaia di bottiglie vuote in piazza. Il caso è stato raccontato anche sui giornali.
Quali regole deve rispettare il cittadino?
Un cittadino, secondo me, deve trovare un suo modo di essere utile agli altri.
Francesco Fossati, 1ªI
22
NOI TRA PASSATO E FUTURO
Con la prof. Bertagnolli ci siamo immaginati “Come saremo tra 20 anni?”, guardate alcuni dei nostri sogni
Classi 3ª A, B, E
PENSIERI DI UNA NEOADOLESCENTE
Oggi, mentre tornavo a casa da
scuola, ho riflettuto molto. Praticamente tutto quello che vediamo intorno a noi è stato creato da noi:
palazzi, strade, negozi, zaini, scuole,
giacche, chiavi... Noi abbiamo dato
un nome alle cose: la pioggia si sarebbe potuta chiamare felicità, il sole
treno, l'amore caffè... E’ veramente
una cosa pazzesca. Noi abbiamo
creato tutto. La nostra immaginazione. I soldi sono solo pezzi di
carta. Se non li avessimo inventati
non ci sarebbe crisi. Se non avessimo dovuto creare un modello di
“vita realizzata” non avremmo dovuto nemmeno pensare ai risultati
scolastici, al nostro aspetto, alla famiglia, ai problemi... Non dovremmo soffrire per tutte quelle
stupidaggini che ci sembrano tanto
importanti.
E poi. Ho immaginato la scena della
mia morte. Immaginavo cosa sarebbe successo in quel momento,
mentre la pioggia cadeva sottilissima, io ero sola a tornare a casa perché le mie due amiche erano
entrambe malate, una signora prendeva il caffè al bar, il solito barbone
se ne stava accucciato a prendere il
freddo fuori dal supermercato, i miei
compagni erano in piazza a chiacchierare perché loro hanno una “vita
sociale più attiva”. Cosa sarebbe
successo se in quel momento mi
fossi buttata sotto un’auto? Sarebbe
cambiato qualcosa? Il mondo si sarebbe fermato? La signora avrebbe
smesso di starsene seduta? Il bar-
bone che mi guardava sempre e mi
sorrideva, si sarebbe almeno alzato
da terra? E gli altri? Avrebbero
pianto un po’ e poi basta? O avrebbero continuato? Per tutta la vita?
No. La signora avrebbe prima finito
il caffè. Il barbone avrebbe girato un
po’ la testa, e poi si sarebbe riaccomodato al suo posto. E gli altri? I
miei genitori, i miei parenti, gli
amici, i miei compagni, i professori,
i conoscenti... Cosa sarebbe cambiato? Cosa cambia se non c’è più
una come me, una che ascolta troppa
musica, che prende bei voti, che
adora la scuola perché a casa si annoia; una che ama paesi lontani, che
ama dormire e che sogna di tutto;
una che è negata in disegno, che a
volte vorrebbe spettegolare ma che
odia le pettegole; una che vuole far
sorridere quelli davanti a sé, e ha
sempre una battuta pronta; una che
sa di non avere un gran fisico ma che
continua a mangiare normalmente,
che va in palestra e non si sente più
magra, che si veste da OVS, che non
passa al Leonardo, che non si fa il
letto alla mattina, che dorme a mezzanotte; che si emoziona troppo se
deve parlare di cose serie e allora rischia di scoppiare a piangere, una
che magari sembra sicura di sé e
forte ma che in realtà piange di
notte, una che ama le storie d’amore
e non ne ha mai avuta una vera; una
che guarda Don Matteo da nove
anni, che frequenta l’oratorio ma ha
mille domande su Dio a cui non riesce a rispondere; una che si sente
così egocentrica da stilare questo
lungo elenco, che ora, in questo momento, vorrebbe capire se può servire al mondo la sua personalità, il
suo stile, le sue idee, se può piangere
di fronte a tutti, se può amare con libertà le persone.
Non capisco a cosa serve questa vita.
Tanto finisce. Non riusciremo mai a
provare tutto. Scommetto che non
farò mai il salto nel vuoto con l’elastico. Bene. Ora lo metto al primo
posto nella lista dei miei desideri. Io
sono una briciola in confronto a tutto
il resto. Siamo tutti delle briciole in
confronto al resto. Quale resto poi.
Mi chiedo troppe cose ma non posso
farne a meno. Oggi mi sento così.
Un’alunna di terza
23
NOI TRA PASSATO E FUTURO
La nostra è una generazione di ragazzi
sdraiati? Così la pensa Michele Serra
nel suo libro uscito recentemente.
E noi come ci sentiamo?
U
n libro spiega che i ragazzi di
questa generazione sono abituati ad avere tutto. Se si
chiede loro qualcosa, non hanno voglia
di fare nulla per guadagnarselo, perché
credono che tutto gli sia dovuto. Ragazzi abituati a non sentirsi dire mai
no; le poche mete che hanno sono incentrate su fini personali. Secondo me
è vero, però è relativo, perché i ragazzi
e le loro famiglie non sono tutti uguali
e queste critiche non valgono per tutti.
Gli insegnati devono contribuire, trasmettendoci valori umani e lezioni di
vita, oltre alle materie che devono insegnarci. In altri casi è colpa dei genitori perché insegnano al ragazzo che
per avere qualcosa basta chiederla e al
massimo frignare un po’, invece dovrebbero guadagnarsela dimostrando
ai genitori di meritarla, ad esempio impegnandosi a scuola. Di conseguenza
si rovinerà la vita al ragazzo, perché,
quando non ci
sarà più nessuno a dargli ciò che vuole,
dovrà cavarsela da solo e magari non
avrà neanche voglia di provarci.
Quindi tutti i genitori dovrebbero abituare i propri figli a guadagnare quello
che vogliono e prepararli a ciò che li
aspetta nella vita.
massimo mezz’ora se no stanno tutto
il tempo sul divano con la televisione
accesa aspettando che arrivi il sabato
e la domenica per poter fare niente.
Però a scuola ci sono anche dei ragazzi
che sono molto interessati agli argomenti che ogni giorno si affrontano e
che hanno la voglia di stare attenti ad
ogni ora del giorno per imparare cose
nuove e imparare come comportarsi
nella vita, perché la scuola ti apre un
mondo davanti per fare qualsiasi scelta
tu voglia e per farti crescere meglio,
riuscendo a capire quel che è giusto e
quel che no da fare nella vita.
Molti ragazzi si sprecano, alcuni
hanno un talento in qualcosa che poi
mandano all’aria per stupidaggini.
Io non mi inserirei mai nella “categoria” dei ragazzi “spiaggiati” e “sdraiati”, perché io ho la voglia di imparare
a crescere, a prendere le scelte giuste
e mi sento anche originale, diverso
dagli altri.
Io credo che la vita sia qualcosa di infinito che nessuno è ancora riuscito a
capire come funziona e che non si
deve mai sprecare ma tenersela ben
stretta perché è la cosa più bella che ci
sia in assoluto.
Alessandro De Crinito, 3ªL
Andrea Razzoli, 3ªL
Io non mi sento sdraiato!
“
Sdraiati” oppure “spiaggiati”, è
proprio così che molti adulti chiamano i ragazzi di oggi, forse li
chiamano così perché pensano che non
possono essere “utili” per la società,
oppure perché li considerano tutti
“omogenei”, ma secondo me è esattamente il contrario, noi ragazzi di oggi
saremo il futuro della nostra società e
siamo molto originali, con molte idee.
È vero che ogni ragazzo è diverso da
un altro, ma come ogni cosa, ci sono
diverse “categorie”, ci sono quelli che
pensano solo a se stessi, al proprio
stile, a come devono apparire davanti
agli altri per essere belli, mentre ci
sono quelli che pensano anche agli
altri, agli studi, cercando di arrivare al
punto che fin da piccoli sognavano di
arrivare.
È anche vero che a scuola esistono i ragazzi che stanno come delle balene
spiaggiate sul banco, come dice lo
scrittore e prof. Alessandro D’Avenia
sul suo blog, e aspettano che la campanella dell’uscita suoni e che al rientro a casa mangiano e studiano
C
i chiamano “sdraiati”, “spiaggiati”, “nuova generazione”,
“menefreghisti”, “cellulari-dipendenti”e tanto altro, ma come possono farlo quando non sanno niente di
noi?
Perché fondamentalmente nessuno riesce a comprendere appieno un adolescente, concentrato non sul suo futuro
ma sul suo presente, preoccupato non
di quello che è ma di quello che gli
altri pensano che sia, convinto di doversi adeguare per essere accettato.
Michele Serra ci ha definiti “sdraiati”,
senza spina dorsale, comodamente seduti a guardare la nostra vita che va
senza fare niente per portarla dove vogliamo.
Spettatori, niente di più, niente di
meno. E molti pensano che abbia ragione, perché anche per loro non ci impegniamo abbastanza, siamo senza
prospettive, senza voglia e l'unica cosa
che sappiamo fare è stare davanti ad
uno schermo a costruirci una vita virtuale. Ovviamente c'è anche la controparte, come sempre, che invece
sostiene che possiamo permetterci di
essere “sdraiati”. Ci sono stati forniti i
mezzi per esserlo, quindi perché no?!
“Cara Infanzia, dove sei finita?”
Cara Infanzia,
perché te ne sei andata così presto? Dove sono finiti quei
giorni in cui ero una fata, una maga e una ballerina tutto
nello stesso momento? Quei pomeriggi passati senza preoccupazioni, nei quali tutto era possibile? In cui ogni compagno di giochi diventava il tuo amico inseparabile, dove
non avevi nemici, ma solo amici?
Non ti sento, non ti vedo da tanto tempo, ma percepisco
che tu sei qui da qualche parte, che quella bambina che
amava correre e giocare è ancora qui e vuole uscire da quest’armatura che la rinchiude. Non ero pronta a diventare
grande, beh... chi lo è? Non mi hai salutato, non abbiamo
discusso, te ne sei andata e basta, una mattina mi sono alzata e mi sono sentita diversa. Un tempo amavo correre e
sentirmi libera, ora invece passo la mia vita in una stanza
chiusa a leggere libri; prima era così facile avere amici e
Perché non possiamo. Certo, abbiamo
bisogno di perdere un po' di tempo davanti ad uno schermo, ma non tutti
sono in balia di questo, anzi. Molti ragazzi pensano al loro futuro e si impegnano per ottenerlo, perché sanno di
dovere e di potere fare qualcosa della
loro vita. E poi, anche se i tempi cambiano, gli “sdraiati” ci sono e ci saranno sempre.
Anche quando i nostri genitori, i nostri
nonni, bisnonni, trisavoli ecc. erano
giovani, anche
“ai loro tempi” ci saranno stati i ragazzi-spettatori e i ragazzi intraprendenti. Ogni “sdraiato” sarà stato
criticato al suo tempo e magari crescendo è diventato un grande uomo e
tutti quei giorni passati a fare lo spettatore gli saranno sembrati persi o magari utili per diventare quella persona
che è riuscita ad essere ricordata. C'è
quel periodo della vita durante il quale
la voglia di fare qualsiasi cosa sparisce
e in questo momento, sì, hanno ragione a chiamarci in tutti quei modi.
Ma quando questo periodo finisce possiamo fare due scelte: continuare ad
essere “sdraiati” per tutta la vita, lasciando che siano gli eventi a plasmarci e non il contrario, oppure
alzarci e darci da fare per recuperare il
tempo perso. Sta solo a noi scegliere.
Le difficoltà
dell’adolescenza
C
iao Ade, mi fa piacere che tu
mi abbia chiesto cosa non va, e
io ti rispondo con questa lettera. Questo per me è un periodo molto
difficile, sono molto confusa sulla
scuola, gli amici e la famiglia. Sono in
terza media e a gennaio ho dovuto decidere che scuola frequentare, ti dico la
verità è da quando ero piccola che
aspetto questo momento, ma poi ho
cambiato idea molte volte.
Prima volevo fare la veterinaria, poi
volevo intraprendere il liceo linguistico, poi il liceo scientifico, l'alberghiero, scienze umane-socio sanitario,
classico ed infine ho pensato al liceo
artistico, ne ho parlato molto con i miei
genitori, e mio padre è d’accordo con
me, mentre mia madre non è molto
convinta, ma non per le mie capacità,
ma per l'ambiente dal liceo artistico.
Sono anche preoccupata perché i miei
genitori stanno attraversando un momento difficile e per me l’unica via di
fuga è la musica. Ma in questo momento gli altri problemi mi sono sembrati tutti minori: sto vivendo un
momento ancora più difficile perché
Rebecca, la sorellina di otto anni della
mia amica Aurora è morta a dicembre
per un tumore inoperabile. Io la trovo
una cosa ingiusta perché Rebecca ha
iniziato la terapia con altri sei bambini
e nessuno di loro ce l’ha fatta…io
penso che se gli uomini sono riusciti
ad andare sulla luna, a costruire palazzi
altissimi, a inventare robot, è impossibile che non abbiano ancora trovato la
cura per alcuni tumori!
Martina Autiero, 3ªL
Alcuni lavori eseguiti dalle classi della prof. Gorini
Camilla Pulzoni, 3ªL
S
econdo me gli adulti ci vedono
sempre molto rilassati o, come
diremmo noi, molto SWAG. In
realtà dietro la nostra tranquillità ci
sono molte cose.
Lo studio: si sa, la nostra professione
è imparare e conoscere nuove cose, essere tranquilli e preparati per eventuali
interrogazioni o verifiche a “bruciapelo”. Gli ordini: le mamme, quando
escono per andare al lavoro ci lasciano
sempre qualcosa da fare e spesso, ce lo
dimentichiamo. La camera: noi siamo
molto disordinati, al contrario dei nostri genitori che io definisco maniaci
dell'ordine. La nostra cameretta deve
sempre essere ordinata e pulita. Solo
dopo tutto ciò possiamo rilassarci la
sera davanti alla TV o al computer. La
sera, quando mamma e papà tornano
dal lavoro, dicono di trovarci sempre
davanti alla TV, senza pensare a cosa
abbiamo fatto durante il corso della
giornata. E cosa abbiamo fatto? Il nostro lavoro, proprio come loro.
Maria Chiara Onorato, 3ªL
Luca Pezzera, 1ªI
Ivan Francipane, 2ªI
Caterina Dallera, 2ªI
ora faccio fatica a fidarmi di chiunque. I miei genitori, che
una volta erano compagni di giochi, ora sono nemici, non
capiscono, sembra che non siano stati mai ragazzi.
Ero così felice quando in prima elementare andavo a
scuola, adoravo i compiti: ora ne sono sommersa. Io che
incalzavo mia madre perché si alzasse, che facevamo tardi
e ora... non vedo l'ora di tornare in quel comodo letto.
Tutte le fatiche mi si riversano contro soffocandomi, tutto
questo è solo colpa tua, Infanzia, che sei andata e non tornerai più; dovevo godermi di più quella gioia, perché ora
che l’ho perduta mi sembra la cosa più importante.
Però mi hai lasciato una parte di te, dentro di me, che a
volte esce e allora ritorno la bambina di quel tempo.
Grazie di tutto quello che mi hai fatto passare e qualche
volta fatti sentire, va bene? Mi manchi tanto!
La tua cara Sofia
Sofia Corradino, 2ªD
Alessandro Vincenti, 1ªL
24
FINESTRA SUL MONDO
A SCHOOL TRIP TO
MUNICH 3rd G/I
A step forward to lose your identity: our visit to Dachau
SHOES…shoes…shoes…
The following people want to find the
right pair of shoes for them. Below the
people there are descriptions of ten
pair of shoes. Can you find the most
suitable for the following people?
1. Jack Brown is from New York and
he is a businessman. He’s brilliant and
lively. He likes his job because it is
very interesting and because he makes
a lot of money. When he goes to work
he wears smart clothes and he often
wears striped ties. He enjoys playing
sport with his friends too so he sometimes wears casual clothes.
It was 7.00 a m
It was so early!
We were so sleepy, but excited when
we left for Munich, we woke up so
early but it was worth while. We went
to Munich for 3 days.
From 7 am to 7 pm we had a hard
journey by coach, but we were so
happy that we didn’t get bored. During the journey we stopped at Innsbruck, a fantastic city in Austria
When we arrived at Munich, we went
straight to the hotel because we were
tired and hungry.
In the evening we had dinner in a typical German restaurant, but we missed Italian food…
We slept in a hotel situated in the centre of the city, in fact we went for a
walk after dinner, we spent the first
night chatting and singing, but in the
morning we were a bit tired.
The following morning we went to
see the concentration camp in Dachau.
Like other camps, in Dachau there
were barracks, and a gas chamber that
had never been used. This place is
very big .A guide told us about the
life of the prisoners in the camp and
this was very touching, the prisoners
lost their identity as soon as they went
into the camp and they became just
numbers,(that were imprinted on their
arms.).We also visited the prison for
priests, they could not live with the
other prisoners because they would
have given hope to them and prisoners could not hope. At the end of this
visit we could not believe how men
can be so cruel.
The following day we went to see the
Science and Technology museum,
where there was an interesting exhibition about the cell. In the afternoon
we went to see the castle of Neunschwestein: we had to walk up to a
hill but the castle was beautiful and
enchanting.
2. Caroline is from Manchester and
she’s ten. She’s funny, confident and
nice. Her favourite colour is light blue
and her favourite animals are big cats
with light blue eyes. She can skate
very well and she likes going to the
park and skate with her friends. She
prefers to wear comfortable flat shoes
but she also likes sports shoes.
Riccardo Matarazzo and
Leonardo Ravioli, 3ªG
Gustav Klimt
Typisch für die Jugend-Künstler, läβt
sich Klimt von der
Natur inspirieren.
Seine Werke sind
von floralen Motiven und Ornamente
geprägt.
Seine zweidimensionale Flächenkunst wird durch
flieβende Linien,
Ornamente
und
geometrisch-spiralförmige Formen
charakterisiert.
Traum und Symbolbilder kommen
in seinen Bildern
Der Kuss – 1907 – 1908
zum Auzdruck. Am
liebsten malt er
Menschen und ganz besonders die Frauen. In vielen seiner Bilder stehen erotisch dargestellte Frauen im Mittelpunkt.
3. Sophia is an English teacher. She’s
young and dynamic. She likes classical
music very much and she goes to
dance classes in her free time because
she really loves dancing. She doesn’t
like very smart and expensive shoes,
she prefers comfortable shoes in particular when she goes to school.
4. Anna is a grandmother. She has got
white hair and blue eyes. She isn’t very
tall but she’s slim. She loves children
and sweets. Anna lives in New York.
She loves New York, but her real passion is rock music. She’s got four rock
Isabella Daino, 3ªL
5. Rachel is twenty-one years old and
she’s a model. She loves fashion and
she enjoys shopping for clothes and of
course… shoes! She likes going to
parties and meeting her friends. She
loves reading fantasy books. She’s
from Paris, but her mother is from England and her father is from Italy. Her
favourite colour is purple or bright
pink.
6. Frank is a policeman. His job is to
protect the city. He wears a black uniform with a yellow badge on his jacket. Sometimes he must run after the
criminals and sometimes he must
climb a tree to save a kitten. His job is
complicated and a bit dangerous but it
is very important.
7. Antony is a sportsman. He likes running, jumping and boxing. His favourite colour is red but he hates red
shoes. When he has a competition he
wears his favourite blue trainers. He
loves them but they are quite old! At
home he wears a pair of red slippers
but he doesn’t like them. He has very
big feet and his shoe size is 44!
A. FREECOM
These trainers are blue and white.
They come in different colours and
different sizes, also very big sizes!
They are strong but soft and comfortable and they are good for a person who
plays many sports. They are good in
every season.
B. FULOON
These boots are made of black leather.
They are very strong but comfortable,
they are very good for running and to
walk in the rain. They are cheap and
they are perfect for a person that has a
hard job.
C. MIRAGE/BUFF
These shoes are black, polished and
elegant and they are perfect if you
work in an office or for an important
occasion but they are also a bit uncomfortable and very expensive of course.
They are also available in large sizes
for people with big feet!
D. DOTTY
These flat silk shoes have got a beautiful bow. They are very comfortable
but they aren’t very expensive. You
can wear them every day, in the morning at work or in the evening at a
party, because they are beautiful but
not too elegant.
E.BELKIN
These trainers are very big. They are
bright pink and very comfortable.
They aren’t chic but they are strong
and very good for running and jumping
F. CHIPIE
These high heels suede shoes are very
elegant and expensive. They are purple
with a black stripe and many golden
studs on the heels. They are very high.
It isn’t easy to walk in them because
you need a very good balance!
G. PEARL
These velvet flat shoes are very comfortable but they are also very smart.
They haven’t got any bows or ribbons
but they have got small silver glitters.
They are quite expensive and they aren’t for everyday use. They are perfect
on a very special occasion.
H. SWANKY
These fantastic slippers are made of
black velvet with gold studs and a
pink fashionable skull. They are very
comfortable and warm especially in
winter because they have a black and
soft fur inside. They are so cool you
can even wear them to the disco!
I. MESLACETS
In summer children like to wear this
kind of shoes because they are light
and you can wear them without socks.
These shoes have got a lace with a
pink flower on the ankles, they are
flat and they are very comfortable.
J. BLAZE
These roller shoes are fashionable and
very popular among children. They are
small with many decorations: a yellow
thunder because you can run very fast
with them, and a light blue tiger eye.
Roller shoes are great fun but a bit
dangerous if you can’t skate.
1ªA
IT’S TEA TIME in 1st G/I
DO YOU LIKE TEA?
Golden im Licht seiner Braut
In seiner goldenen Schaffensperiode malt Gustav Klimt einer seiner berühmtesten und mit Gold geschmückten Bilder:
„der Kuss“.
In diesem hat sich der Künstler mit seiner Geliebten Emelie Flöge ein Denkmal
gesetzt. Das Paar ist durch eine goldene Aura von der Umwelt abgeschieden,
in einander intim versunken. Die verführerische Frau, in einem schimmernden
gekleidet, gibt sich dem Mann hin. Der erotische Ausdruck des Bildes wirkt
jedoch nicht direkt.
guitars at home. She loves leather and
dark clothes but at home she wears
comfortable slippers. Her grandchildren play in a rock band and when she
was young she sang in a rock band too.
T
o tell the truth, we prefer coke,
but tea is very important in British life.
At school with our teacher and the
classmates, we organized a tea
party in February: for an hour
we became perfect Englishmen
and Englishwomen. We had a
teapot, cups and biscuits, digestive biscuits, toasts with jam
and marmalade and very good
honey… We drank typical English tea: not with lemon but
with milk.
Everything was ready to start our teatime.
First of all we laid our desks, then our
teacher boiled water; after that, she
poured the water into the teapot and finally she put the teabags in the teapot.
We were all very busy in serving tea
with milk… At last we sat down and
tasted our hot tea: it was delicious.
Tea time was a beautiful experience
and we hope to do it again soon. Now
we are ready for wurstel time, because
we also learn German!
Alessandro Allegri,
Camilla Petrillo, 1ªI
FINESTRA SUL MONDO
25
26
FINESTRA SUL MONDO
La Comida Española, entre
Tradición y Fast Food
L
a gastronomía española es muy
variada y cada región tiene sus
proprias especialidades.
Entre los platos más conocidos y apreciados se destacan la paella y la tortilla.
La paella, típica de Valencia, consiste
en una base de judías, conejo, caracoles y arroz cocidos con pescado (paella
marinera), carne y pescado (paella
mixta) o verduras, según la zona en la
que se cocina.
La tortilla de patatas o tortilla española
- llamada en Argentina y Uruguay tortilla de patas - es una tortilla preparada
con huevos batidos y patatas. Es uno
de los platos más clásicos de la cocina
española.
¿Y cómo olvidar el gazpacho? Se trata
de una sopa hecha con pedacitos de
pan seco, tomates, ajo, pimiento, pe-
pino, cebolla, aceite, vinagre, agua y
sal. Se sirve bien frío y se suele tomar
en verano. Se puede comer como primer plato o se puede beber en un vaso.
Pero en España hay también locales de
comida rápida donde se toman tapas y
otras especialidades tradicionales de
todo el mundo hispanico. ¿Queréis conocer algunas?
Los tacos méxicanos, por ejemplo, son
tortillas de maís o de trigo que se rellenan con un preparado de carne y/o
verduras y se toman con las manos.
Solitamente van acompañados con una
salsa picante y se pueden comer en
cualquier parte, desde el restaurante
Notre voyage à Naples
hasta el lugar improvisado.
Muy famósos son el Barro Luco y el
Barro Jarpa, o sea dos bocadillos “inventados” en el Club de la Unión en
Santiago, donde el presidente del Chile
solía pedir que entre dos rodajas de
pan tostado colocaran una rodaja de
carne a la plancha y queso (el Barro
Luco) y, por otro lado, un abogado y
abogado y político chileno, Ernesto
Barro Luco, comía también un sandwich, pero con jamón. Los otros
clientes empezaron a pedir cada vez
más estos sandwiches y así nacieron
los populares bocadillos chilenos.
Y tú, ¿cúal plato prefieres?
2ªF
Notre voyage à Trieste
(ce n’était pas la France, mais…)
C
ette année nous sommes allés
à Trieste dans le mois de
mars. J’étais avec ma classe et
la classe 3ª B. Les profs qui sont venues avec nous étions Mme Pimpinelli,
Mme
Muneroni,
Mme
Bertagnolli et Mme Schiavo. Nous y
avons été pour trois jours.
Le voyage a été très fatigant, parce
qu’ il a duré cinq heures et un peu ennuyeux. Le premier jour nous sommes allés à la Grotte Géante. Elle est
la plus grande grotte du monde. Au
dedans est très magnifique et extraordinaire. Après ce tour nous sommes
allés aux Foibe. Là nous avons vu une
vidéo qui racontait ce que sont les
Foibe. Puis nous avons vu divers monuments à propose de ça.
Après ce nous sommes allés à Grado,
où se trouvait notre hôtel. Le soir
nous avons mangé à l’hôtel et puis les
accompagnateurs nous ont apporté visiter la ville pendant la nuit.
Le jour suivant nous sommes allés à
la ville de Trieste. Nous l’avons visitée en marchante de Colle San Giusto,
où se trouvaient l’ancienne ville, à
Piazza Unità d’Italia, la place la plus
importante de la ville.
Dans la place nous avons mangé et
nous avions du temps libre. Après
nous sommes allés visiter le château
de Miramare. C’est un château vraiment beau et il est tout blanc. Au dedans il est magnifique et pendant les
leçons de technologie nous sommes
en train de le dessiner. Après la visite
nous avons été un peu dans le parc du
château. Nous sommes rentrés chez
nous dans l’après-midi.
Le soir les accompagnateurs nous ont
proposé des jeux très amusants, surtout le dernier parcequ’il fallait prendre une chanson et changer les mots
avec des autres sur le voyage. La
chanson la plus belle a été celle des
profs, qui ont chanté la "Vecchia fattoria".
Le dernier jour nous sommes allés vi-
siter Grado et là nous avons vu deux
églises du temps des anciens romains.
Après nous sommes allés à Aquileia
et nous avons visité sa basilique avec
ses célèbres mosaïques. Pendant la visite à la ville nous avons pu manger
et jouer un peu.
Puis nous sommes allés à Redipuglia,
où nous avons visité des trincee et les
tombes des soldats morts pendant la
première guerre mondiale.
Après les accompagnateurs nous ont
demandé ce que nous avions aimé davantage.
A’ la fin nous sommes rentrés chez
nous après un voyage de cinq heures.
Le voyage a été fantastique, mais la
durée du voyage en autocar était trop
long et ennuyeux et je regretté que
nous n’avons pas pu aller en France.
Mais il a été aussi amusante parceque j'ai pu passer du temps avec mes
amis.
On va parler du voyage qu’on a fait à Naples avec notre classe, la 3 C, les jours
14-15-16 avril 2014.
Nous sommes partis à 07h15, donc j'étais très fatiguée et en train il était impossible de dormir avec mes amis qui m'entouraient et parlaient à haute voix...
Le voyage a duré cinq heures et enfin nous sommes arrivés à Naples. Nous
sommes allés jusqu’à Posillipo, une colline avec une vue magnifique sur la
ville et son golfe. Tout de suite après nous avons visité la ville avec le guide
qui nous a montré quelque chose du centre: le Théâtre San Carlo, la place du
Plébiscite, la Galleria Umberto I et des églises. Puis nous sommes arrivés à l’hôtel et je suis allée en chambre avec ma meilleur amie Francesca et nous nous
sommes amusées beaucoup, en particulier le soir.
Le deuxième jour nous ne sommes pas allés au Vésuvio à cause de la pluie et
nous sommes allés directement à Pompéi vieux: une ville magique qui me surprend chaque fois que je la vois; je reste stupéfiée et fascinée toujours pour l’histoire qui parcourt ces murs et qui nous fait remonter dans le temps passé.
Le soir la III C et la III F ont vu un film proposé par les profs, « About a boy ».
Le dernier jour nous avons visité encore la ville et Naples souterrain et nous
avons acheté beaucoup de souvenirs. Nous sommes allés en train à Milano,
j’ai rencontré de nouvelles personnes très sympathiques et nous sommes devenues amies. Revenir à Milan? Je l’ai aimé: Milan est toujours Milan, ma
ville préférée!
J'ai aimé beaucoup de choses pendant ce voyage: avant tout la compagnie de
mes amis, une chose qui rend tout plus amusant et intéressant; puis j’ai tellement aimé aller à Pompéi, un lieu magique qui surprend toujours, même si
j'aurais aimé voir plusieurs villas de Pompéi; c'était aussi amusant de passer la
soirée avec mes amis, et même si la nuit nous avons été fermés dans la chambre
avec du ruban adhésif à l'extérieur de la chambre, nous avons étudié tout pour
sortir... Personne ne peut savoir si nous sommes arrivées à le faire… c’est notre
secret!
Il y avait aussi des choses que je n'ai pas aimées: nous avons visité presque
seulement des églises et je crois qu'il ya aussi d'autres choses à Naples ; puis
le guide parfois parlait en dialecte et je ne comprenais rien; je n’ai pas aimé la
division entre les garçons et les filles et je n'ai pas trouvé la raison; alors l'extrême gravité des professeurs dans la nuit... le ruban adhésif pour nous empêcher de sortir: quelle exagération! Mais ça a été quand même magnifique!
Maria Bassani, 3ªC
Quand nous sommes allés visiter Naples souterrain ça a été une expérience
passionnante! Il est étrange de penser que sous la ville avec ses rues, ses bâtiments, son histoire, il y avait une autre ville avec d’autres rues, d’autres bâtiments et une autre histoire. Puis, nous sommes allés à la gare où nous avons
pris nos sacs et nous avons sauté dans le train.
C’est sans aucun doute la meilleure expérience de trois années de collège, nous
avons eu beaucoup de plaisir et nous avons aussi appris des choses intéressantes. Nous avons réussi à mieux nous entendre entre nous et nous avons appris
à partager les bonnes et les mauvaises expériences et beaucoup d’émotions positives avec les autres.
Caterina Magnani, 3ªC
Alessandro Intropido, 3ªA
Disegno realizzato dalle classi III della
prof. Bertagnolli
Disegno realizzato dalle classi III della
prof. Bertagnolli
Piccoli Critici
27
X Factor
C
he Michele Bravi fosse “il favorito tra i favoriti” si sapeva.
Certo, mezza Italia tifava per
gli Ape Escape e per Violetta, ma i
cinque milioni
di voti del
giorno della finale hanno dec r e t a t o
vincitore il diciottenne della
squadra
di
Morgan. Oggi
però una parte
del pubblico
mette in discussione la vittoria di Michele.
Tuttavia Michele questo trionfo se l’è
guadagnato per molti e svariati motivi: ha carisma, personalità e sa stare
sul palco come un professionista.
Quando canta brani di altri nomi, non
imita: lui prende le canzoni e le fa sue.
Non è un clone e ha un talento innato
per la musica. In più è umile, il che
non guasta.
Vittoria meritata quindi. Lo si capisce
rileggendo il suo percorso a X Factor
sotto la guida di Morgan.
Per capire il senso e la logica della sua
vittoria è bene riascoltare quel che ha
fatto nel corso delle puntate.
La chiave del suo trionfo è racchiusa
in quattro canzoni: la prima è Carte da
decifrare di Ivano Fossati, pezzo difficilissimo reso speciale da un’interpretazione superlativa. La seconda è
God Only Knows, il capolavoro dei
Beach Boys. Anche in questo caso il
Laura Pausini: il concerto
rischio di una figuraccia era dietro
l’angolo. Ma non è andata così, anzi.
Misurarsi con la penna e la voce di
Brian Wilson fa tremare i polsi, ma
lui, sereno si è
appropriato di
un evergreeen e
ha strappato applausi a
s c e n a
aperta. Il
terzo mattone della vittoria è stata See
Emily Play, capolavoro dei primi Pink
Floyd, nella quale Michele si è superato con una performance eccezionale.
Infine l’inedito, La vita e la felicità,
brano scritto da Zibba e Tiziano Ferro.
Dei brani composti per l’occasione
era decisamente il migliore, ma la differenza si è vista nell’interpretazione,
adulta e perfettamente “a fuoco”.
Tutto questo per dire che al di là delle
simpatie e dei gusti, le performance
del giovane di Città di Castello sono
state in media superiori a quelle degli
altri talenti. Che Michele avesse una
marcia in più in fondo si era intuito
quando, con una classe e un senso
dello show più unici che rari, aveva riletto in chiave punk Dreams are not
reality da Il tempo delle mele. Roba
da grandi.
Ludovico Forte,
Jacopo Ungarelli, 3ªF
One Direction – You & I
Y
ou & I è la quinta traccia
dell’album Midnight Memories dei One Direction, uscito
sul mercato il 25 novembre scorso.
Midnight Memories è il terzo album
della band anglo-irlandese, dopo Up
All Night e Take Me Home, che ha
raggiunto il primo posto in classifica
in molti paesi, fra cui l’Italia, l’Irlanda
e la Gran Bretagna.
È un pezzo straordinario, dal testo
dolce e romantico ma allo stesso
tempo coinvolgente, che spinge ad
ascoltarlo tutto con il fiato sospeso.
Genere? Pop, sicuramente.
We don't wanna be like them
We can make it till the end
Nothing can come between
You & I
Not even the Gods above us can separate us
No, nothing can come between
You & I
Oh You & I
Io e te/Non vogliamo essere come
loro/Possiamo farcela fino alla
fine/Niente può mettersi in mezzo/Io
e te/Neanche gli dèi sopra di noi/No,
niente può mettersi in mezzo/Io e
te/Oh io e te…
Francesca Romano, 3ªF
You & I
Robinson Crusoe
N
elle ultime vacanze ho avuto
modo di leggere due classici intramontabili: Robinson Crusoe
di Daniel Defoe e Il Milione di Marco
Polo, del viaggiatore veneziano del Medioevo.
Tutti e due i libri mi sono piaciuti, ma in
particolare mi ha colpito Robinson Crusoe: non è strano, visto che fa quest’effetto a migliaia di lettori da alcuni
secoli! Daniel Defoe lo ha scritto infatti
nel lontano 1673 ed è stato il primo romanzo d’avventura di tutta la storia della
letteratura.
Questo libro ha come protagonista Robinson Crusoe, un giovane uomo nato a
Hull in Inghilterra, molto amante dell’avventura, che, contro il volere della
sua famiglia, s’imbarca per il Brasile per
allestirvi una piantagione. Durante un
viaggio in mare, però, la fortuna gli
volta le spalle: si scatena una bufera che
farà naufragare l’imbarcazione su
un’isoletta nel bel mezzo dell’Oceano
Atlantico e Robinson sarà l’unico sopravvissuto.
Durante la permanenza sull’isola lui non
Dopo una lunga attesa da parte dei suoi fan, Laura Pausini arriva finalmente a
Milano, dove si esibisce il 16 dicembre al Forum, per celebrare i 20 anni di
carriera; l’evento ospiterà anche altri nomi del panorama musicale italiano, tra
i quali Emma Marrone e Biagio Antonacci.
L’orario pomeridiano della manifestazione (ore 17.00) è stato scelto da Laura
per permettere a tutti di partecipare. Costo del biglietto: € 44.00, ma i bambini
sotto i 12 anni entrano gratis. “Sarà una data speciale, dedicata alla famiglia”,
ha affermato la cantante.
Andrea Ponta, 2ªD
Ligabue - Mondovisione
Dopo anni di inattività, il cantautore emiliano pubblica Mondovisione, un
nuovo album che racconta i contrasti e il disappunto verso il mondo della politica italiana contemporanea. L’album contiene successi come Il Sale della
Terra o Arrivederci Mostro. Il tour per presentare il nuovo album partirà a
maggio 2014 e porterà il contante in giro per l’Italia per più di due mesi.
Riccardo Daniello, 3ªD
Novità da Alessandra Amoroso
Alessandra Amoroso presenta il suo nuovo singolo: Fuoco d’artificio. Per il
lancio del disco la cantante concede un’anteprima di Amore puro Tour; ad applaudirla ci sono Tiziano Ferro, Marco Mengoni e Gigi D’Alessio.
Al momento né Sanremo né il serale di Amici rientrano tra i suoi progetti, perché la cantante è interamente concentrata sui suoi concerti. Ha rifiutato perfino
il posto come giudice ad Amici, perché si sente ancora troppo giovane.
Si commuoverà come sempre? Lo saprete solo se andrete al concerto.
Eliana Pifferi, 2ªD
Passione in movimento
M
olti di voi, come me,
avranno visto in televisione
i giochi olimpionici invernali, che in questa edizione si sono tenuti in una città russa: Sochi. Per me è
stata la prima occasione per ammirare
e anche scoprire degli sport diversi da
quelli che vengono solitamente tra-
smessi in televisione.
Quest’anno gli atleti italiani sono
stati molto bravi e si sono distinti
in molte discipline: nella classifica generale si sono classificati
al 22° posto con 8 medaglie (2 argento e 6 bronzo).
Soprattutto mi sono appassionata
del pattinaggio artistico, dove la
nostra campionessa nazionale,
Carolina Kostner, è arrivata terza:
è stata bravissima. Quando faceva i salti si muoveva con molta
grazia, e anche il sottofondo musicale
era perfetto per la sua performance.
Non è mai caduta e aveva sempre il
sorriso sulle labbra, anche negli esercizi e nelle figure più difficili. Secondo
me dava un senso di leggerezza e armonia che la differenziava da tutte le
altre.
Mi sono accorta che molti sono gli
sport praticati in Italia dei quali televisione e giornali non parlano quasi mai,
se non in occasione delle Olimpiadi.
Invece da parte di chi li pratica c’è un
grande lavoro, che cambia la vita di
tanti ragazzi che hanno il talento e la
passione per lo sport. Per far conoscere
meglio questo grande impegno mi piacerebbe che si parlasse di più anche di
tante discipline poco conosciute, come
il nuoto, la ginnastica, la scherma, la
pallavolo, l’atletica...
Per questo mi è piaciuta tanto l’iniziativa della nostra scuola, la “Stratiepolo”, perché è un modo divertente per
farci conoscere meglio l’atletica.
Giorgia Pagnotta, 1ªC
Jona che visse nella balena
perde la speranza e la ragione, ma addirittura riesce a recuperare armi, viveri e
utensili dal relitto, alleva e addomestica
delle capre selvatiche, si costruisce varie
abitazioni, non perde la cognizione del
tempo e riesce anche a salvare un prigioniero dai cannibali. Chiamerà l’uomo
Venerdì, gli insegnerà l’inglese e la religione cristiana.
Dopo alcuni anni, con l’aiuto di alcuni
marinai sfuggiti ad un ammutinamento,
riesce ad impossessarsi di un’imbarcazione che servirà poi loro per far ritorno
in Brasile.
Dopo una ventina d’anni circa Robinson
rivede la sua piantagione e scopre di essere diventato ricco.
Farà poi ritorno in Inghilterra, ma il suo
spirito avventuriero non lo abbandonerà:
tornerà alla “sua” isola per colonizzarla
e qualche anno dopo morirà di vecchiaia
durante un viaggio nell’Oceano Indiano.
Questo libro era, è e sarà uno dei più letti
di sempre per la trama davvero avvincente ed il ritmo sempre incalzante.
Filippo Arnaboldi, 2ªL
J
ona che visse nella balena è un bel
film, tratto dal romanzo di Jona
Obersky Anni d’infanzia. La regia
e la sceneggiatura sono di Roberto Faenza, in collaborazione con Filippo Ottoni. Pubblicato per la prima volta in
italiano nell’aprile del 1993, il racconto ha come argomento principale la
tragedia della Shoah. La storia comincia nel 1942 ad Amsterdam e finisce
nel 1945 sempre nella capitale olandese. Jona Obersky è un bambino
ebreo di quattro anni che vive tranquillamente con la sua famiglia, ma ad un
certo punto giungono soldati che cominciano ad imporre leggi razziali: il
padre perde il lavoro e alla madre non
è più permesso comprare generi alimentari. Un giorno vengono portati in
un campo di smistamento, ma qui la
loro permanenza è breve e, grazie ad
un permesso per andare in Palestina,
tornano a casa. Poco tempo dopo,
però, vengono sbattuti su un camion e
mandati in un altro campo di smistamento, dove il famoso visto non riesce
a salvarli. Una mattina trovano dei camion con la scritta “Per la Palestina”.
In realtà è un inganno dei soldati, perché gli autocarri non sono diretti verso
la salvezza, bensì al campo di concentramento di Bergen-Belsen . Una volta
arrivato lì, Jona si trova davanti un
mare di difficoltà, che è costretto a superare da solo. In quel brutto periodo
perde suo padre, che muore stremato
dai lavori forzati. Poco tempo dopo gli
ebrei vengono trasferiti in treno in un
altro campo, ma un’imboscata tesa dai
Russi ferma il convoglio e le persone
al loro interno vengono liberate e trasferite in un paesino. Hanna, la madre
di Jona, è in condizioni gravissime a
causa dei numerosi traumi subiti e
muore, lasciano il piccolo Jona orfano.
Il ragazzo viene adottato dai Daniel,
una coppia che lo tratta come un principe, ma lui inizialmente è disperato,
si rifiuta di mangiare e disobbedisce.
Pian piano, ritorna ad essere il solito
bambino vivace che era, anche se ricorderà per sempre questo tragico pe-
riodo della sua vita.
Mi hanno colpito le numerose scene
nelle quali Jona guarda fuori dalla finestra: secondo me è un modo del regista per far capire la crudele realtà di
quel tempo vista attraverso gli occhi di
un bambino. La frase “Guarda sempre
il cielo e non odiare mai nessuno” mi
è penetrata nel cuore: significa che,
anche quando ti trattano male e non ti
considerano uomo, bisogna guardare
in alto ed essere sempre disposti ad
amare il prossimo. Ho apprezzato
molto il personaggio della madre, che
rappresenta la gentilezza e la bellezza,
sempre pronta ad abbracciare, proteggere e rassicurare Jona, anche nei momenti più critici. Jona che visse nella
balena è un film semplicemente unico,
commovente, che rispecchia perfettamente tutta la drammaticità di quel periodo, senza scene “forti” o “cruente”.
Un’opera cinematografica che fa pensare e ti resta nel cuore per sempre.
Leonardo Rilasciati, 1ªL
Piccoli Critici
28
Io non ho paura di Ammaniti
Wonder
gni libro, sia quello che ha
conquistato il tuo interesse e
la tua immaginazione, che
quello che non rappresenta i tuoi gusti,
fa parte di te ed è un piccolo passo
verso la tua crescita, la tua maturazione. Un libro che mi ha innervosito,
ma allo stesso tempo appassionato e
fatto riflettere, è stato “Io non ho
paura”.
Il racconto si svolge in un piccolo
paese della Puglia, isolato dal resto del
mondo, durante un’estate caldissima,
in cui l’aria calda e secca opprime e le
forze sembrano mancare. Tuttavia Michele e i suoi amici esplorano la campagna in bicicletta. Tutt’intorno solo
un mare dorato di grano. I ragazzi arrivano a una casa abbandonata che, per
una penitenza, Michele deve esplorare.
La casa è diroccata, le stanze buie e le
assi cigolanti. In una buca, scavata nel
pavimento, Michele vede un bambino
pallido e magro, avvolto in una coperta. All'inizio è immobile e sembra
morto, un corpo senza vita, ma dal
buio sorgono dei rumori silenziosi e
Michele intuisce che il ragazzino è
vivo. Michele cerca di dimenticare la
casa, la buca e il bambino ma quando,
dalla TV, scopre che il bambino è stato
rapito, decide di aiutarlo. I due diven-
onder è un libro coinvolgente e commovente
scritto nel 2012 da R.J. Palacio, pseudonimo di Raquel Jaramillo, e pubblicato in Italia nel
maggio del 2013. L’autrice ha scritto
questo romanzo per saldare un debito
morale, in quanto tempo prima si era
resa protagonista di una reazione eccessiva e offensiva nei confronti di
una bambina affetta dalla sindrome di
Treacher-Collins, una rara malattia
che rende viso di chi ne è affetto mostruoso. Inventando il personaggio di
August, la Palacio ha chiarito a sé e a
tutti i lettori quanto sia importante superare i pregiudizi.
La storia parla di August Pullman,
detto Auggie, un ragazzino della nostra età perfettamente normale, tranne
per il fatto che ha una faccia fuori dal
comune. Non possiede zigomi e al
posto di questi ultimi ha gli occhi. Il
naso è piccolo e deforme, ha un buco
nel palato e gli manca la parte esterna
delle orecchie. Per il resto August è
vivace, intelligente e in gamba. A
causa degli infiniti interventi chirurgici a cui ha dovuto sottoporsi per migliorare l’aspetto e la funzionalità
della sua faccia, però, non è mai potuto andare a scuola e ha sempre studiato a casa. A 11 anni i suoi genitori
decidono che ormai è in grado di frequentare una scuola media normale e
quindi Auggie, per la prima volta,
entra in una vera aula con banchi, professori che spiegano e, soprattutto,
tanti compagni. È terrorizzato dalla
loro probabile reazione alla vista del
suo volto, che cerca in tutti i modi di
nascondere. Nel corso dell’anno scolastico si trova ad affrontare molte difficoltà e a superare tantissimi ostacoli
con l’aiuto di quelli che scoprirà essere veri amici. La famiglia Pullman
è molto unita nell’accompagnare August in questa avventura. Un ruolo
particolare è svolto dalla sorella Via;
infatti, è proprio assistendo al suo
spettacolo teatrale che Auggie vede
per la prima volta a una “standing
ovation” e pensa: “Che bello! Magari
anche io un giorno ne riceverò una!”.
O
tano grandi amici e Michele ogni
giorno, la mattina presto, va a trovare
il ragazzino nella buca. Per Michele
sarà un vero sgomento scoprire che i
rapitori sono suo padre e gli altri adulti
del villaggio.
Questo libro rappresenta il passaggio
di Michele dall’infanzia all’età adulta.
Michele scopre infatti un nuovo
mondo, quello degli adulti, che è per
lui un mondo nuovo, che non aveva
mai osato violare: da piccolo aveva
sempre seguito gli adulti e non si era
mai messo contro di loro. Il bambino
scopre invece che gli adulti non sono
solo le persone che ti hanno cresciuto
e guidato, ma anche degli estranei e
delle persone crudeli. Perfino l’adulto
di cui si è sempre fidato nasconde un
lato spaventoso, addirittura mostruoso.
Michele deve quindi scegliere tra i
suoi genitori, le persone che l’hanno
sempre guidato e protetto, e ciò che la
sua coscienza gli dice è giusto fare.
Questo libro mi ha appassionata, perché ho vissuto l’esperienza con Michele. Ho vissuto con lui l'ansia e la
paura. Non ho semplicemente letto
queste pagine, le ho vissute. Come Michele, ho scoperto che l’adulto può essere crudele. Che perfino gli adulti di
cui mi fido, che mi hanno cresciuto e
W
insegnato, possono avere, al contrario
di noi bambini che abbiamo un solo
carattere, degli aspetti caratteriali inaspettati e terribili, con più sfumature,
a noi bambini nascoste.
Il ricordo di questo libro e le riflessioni
che mi ha regalato adesso sono parte
di me e del mio carattere. Ogni parola
di questo libro l’ho impressa nella
mente e la porterò con me, in ogni mio
passo.
Sara Goldstein, 1ªF
Nella steppa di Checov
E
gòruska è un ragazzo di nove
anni, orfano di padre, che viene
mandato a studiare in Ucraina
dalla madre poiché vuole che diventi
una persona istruita. Il romanzo racconta il viaggio affrontato dal ragazzo
per raggiungere il ginnasio dove studierà. Lo accompagnano durante il
viaggio lo zio, un mercante di lana ed
un prete protestante. Egòruska attraverserà l’affascinante steppa russa in
un viaggio pieno di emozioni, nuovi
incontri e scoperte.
Il romanzo è ambientato nei primi anni
del 1900.
Alcune parti del viaggio vengono descritte in modo simile a quelle di Tol-
kien nel suo libro “il signore degli
anelli” per l’accuratezza delle descrizioni e dei particolari. Il libro di Cechov mi è piaciuto per il modo in cui
vengono descritti i paesaggi e le caratteristiche psicologiche dei personaggi.
Il personaggio che ho preferito è il protagonista per le sue capacità intuitive
e di osservazione; il passaggio che mi
è rimasto più impresso è la descrizione
di un violento temporale che ha sorpreso i personaggi nella steppa.
Andrea De Curtis, 1ªI
Boy
"Boy" è la biografia di Roald Dahl in
cui narra tutti i ricordi o le testimonianze della sua vita da prima che nascesse fino ai vent'anni, quando
ottenne il suo primo lavoro.
L'episodio che mi è piaciuto di più del
suo racconto è quando, con alcuni suoi
amici, mettono un topo morto in un barattolo di caramelle della negoziante di
dolciumi, l'odiosa signora Pratchett....
Ma lei si vendica e li denuncia al direttore, che li picchia con una canna da
passeggio. Questo libro ha episodi talvolta divertenti, talvolta commoventi,
ma la narrazione è per lo più allegra e
Roald Dah racconta tutto con ironia e
divertimento.
Amalia Benassi, 1ªI
Alla fine questo suo desiderio viene
esaudito, perché nel corso della cerimonia di fine anno scolastico, quando
vengono premiati gli alunni che si
sono distinti per qualche motivo, August viene chiamato sul palco e premiato per aver reso migliori tutti (o
quasi) gli studenti della scuola.
La vicenda è narrata dai differenti
punti di vista dei principali protagonisti: August, sua sorella e gli amici più
importanti. Tra le pagine si alternano
gioia, tristezza, dolore, rispetto e commozione da parte del lettore. Questo
romanzo tratta il tema della diversità
e fa capire con qualche lacrima, ma
anche molti sorrisi quanto sia difficile
convivere con quei problemi fisici.
Siamo tutti come una famiglia:
ognuno ha bisogno di affetto e non
deve essere escluso dalla vita comune
quotidiana. Wonder è un libro che ti
rimane impresso nel cuore, ti mette di
fronte ai tuoi pregiudizi e alle tue
paure e fa riflettere veramente su concetti importanti e reali. Molto significativa è la frase riportata sul retro
della copertina del libro: “non giudicare un libro dalla copertina” che,
dopo la lettura, diventa “non giudicare
una persona dalla faccia”.
Tommaso De Rienzo,
Riccardo Migliorisi,
Leonardo Rilasciati, 1ªL
Il terzo occhio
Mago Merlino e la Spada della Luce
Il libro di Mary Pope Osborne, pubblicato nel 2005 da Piemme, racconta
la storia di Jack e Annie, due fratelli che vivono a Frog Creek, in Pennsylvania, e un giorno scoprono per caso una strana casa su un albero. Incuriositi, salgono e si trovano in una piccola stanza piena di libri. La casa
appartiene a Morgana, una fata che viaggia nel tempo e nello spazio raccogliendo libri per la biblioteca di Artù, re di Camelot. Anche Jack e Annie
scoprono di poter viaggiare nel tempo e nello spazio, basta indicare un'immagine sui meravigliosi libri contenuti nella casa. Qualche volta anche
Mago Merlino usa la casa sull'albero; il primo giorno d'estate manda un
gabbiano a chiamare i due fratelli perché deve affidare loro una missione
importante: recuperare la Spada della Luce per salvare il Regno di Camelot. Merlino lascia, come sempre, delle indicazioni nella casetta a Jack e
Annie che si ritrovano così su un’isola dove incontrano il Cavaliere delle
Acque, il quale, senza parlare, li accompagna all’entrata di una caverna.
La caverna è spaventosa, buia e piena di strani rumori; dopo essere caduti
in un fiume, Jack e Annie incontrano la Regina dei Ragni, che nonostante
l’aspetto terrificante, è buona e li aiuta a salvarsi.
Usciti dalla caverna, incontrano due foche giocherellone e poi, stanchissimi, si addormentano sulla spiaggia. Quando si svegliano, al posto delle
due foche, ci sono Teddy, un giovane mago loro compagno di avventure,
e Kathleen, una creatura magica amica di Teddy. Kathleen insegna loro
come trasformarsi in foche e così, dopo aver attraversato la Grotta delle
Meduse, trovano la Spada della Luce. Riescono a prenderla, ma vengono
fermati da un enorme serpente, protettore della spada, che pone loro il
quesito: "A cosa serve la Spada della Luce?". Jack e Annie rispondono
che serve per mantenere la pace e il serpente consente loro di portare via la spada. I due fratelli tornano così alla casa sull'albero dove li aspetta Mago Merlino, che dovrà restituire la spada alla Regina del Lago; sarà lei a consegnarla ad Artù.
Questo è un libro semplice, ma ricco di avventura e fantasia; mi è piaciuto perché parla del legame tra fratelli, di coraggio
e di amicizia. I protagonisti sono molto simpatici e mi piace molto quando si trovano in difficoltà e, unendo le loro forze
e le loro intelligenze, riescono a cavarsela. Anche gli ambienti descritti sono molto belli, anche se irreali. Mi piacciono
molto le avventure fantastiche perché tutto può accadere, basta immaginarlo.
Matteo Valtolina, 1ªI
I
l libro, scritto da don Mario
Longo, parla di un luogo chiamato Oasi di David, dove vengono ospitati molti ragazzini della
mia età, che per tutto il soggiorno
vengono trattati come dei re: ci sono
stanze dove alloggiare, una sala in
cui vengono serviti buoni pasti, e
tutto favorisce la scoperta e la conoscenza del cammino di David; infatti
nella cappellina della chiesa i dipinti
sulle pareti raccontano la sua storia.
Lo scopo è far scoprire il senso di
questa meravigliosa avventura che è
la vita, senza dimenticare tutti quelli
che soffrono, perché il Signore li
ama e anche loro devono sapere che
in questo bel paese c’è un’oasi tutta
per loro dove potranno sperimentare,
con la nostra accoglienza, l’amore
del Signore.
Il libro parla in particolare di questo
“terzo occhio”, che tutti hanno ma
pochi sfruttano, perché non lo sanno
usare: uno dei personaggi, Jacques,
spiega infatti che tutti dovrebbero
fare come Salomone, che chiese al
Signore di dargli la capacità di usare
questo terzo occhio per scoprire il
segreto più profondo della vita, per
dargli la vera sapienza, cioè lo
sguardo di Dio su tutte le cose. È
un’esperienza da provare: e si sco-
prirà che tutto quello che ci circonda,
se osservato con attenzione, diventa
qualcosa di meraviglioso da scoprire.
Questo terzo occhio infatti è la Fede;
proprio di Fede si parla, quel dono
prezioso che il Signore ci ha dato il
giorno del Battesimo, rappresentato
dalla candela accesa nelle mani del
nostro papà, che noi dobbiamo usare
per fare luce nella nostra vita, per capire e conoscere meglio quanto ci
circonda. Per chi ha la Fede (e la
usa) è proprio come avere un occhio
in più: avere Fede vuol dire vedere
le cose con gli occhi di Dio, capire
che tutto ci parla di Lui, che ogni
cosa, persona, avvenimento, ci conduce a Lui e contiene un suo messaggio. La Fede ci aiuta a capire il
senso di tutte le cose perché le vediamo con gli occhi di chi le ha
create, di Colui che conosce il segreto profondo di ogni cosa, anche
della nostra vita.
Anche se è solo un piccolo e semplice libretto, con una copertina
strana, è molto bello e mi ha fatto riflettere molto, in particolare sulle
buone e cattive amicizie. Ma il cammino continua: buon viaggio!
Anatalie Czarina C. Navarez, 3ªL
29
Creativ@MENTE
Il lupo sbruffone
Robin Hood ai giorni nostri
Che atmosfera! E quanta gente: come sempre è pieno di persone che entrano
ed escono dal grande magazzino multimarca di Piazza V Giornate, il Coin.
Il Coin attrae molti passanti grazie alle sue ampie vetrine disposte su ben nove
piani di un grande palazzo che occupa un intero angolo della piazza. La sua
modernità è forse in contrasto con il vero simbolo di Piazza Cinque Giornate:
il grande obelisco circondato da un giardino che celebra appunto le Cinque
Giornate di Milano.
Al Coin in questo periodo si sono verificati eventi strani; ben tre furti in soli
dieci giorni nonostante l’attenta sorveglianza dei sistemi di sicurezza e l’allerta
della polizia. I rapinatori sono stati scaltri e attenti, infatti nessuno è riuscito a
identificarli nonostante le telecamere di sicurezza della banca di fronte li abbiano ripresi mentre scappavano durante la notte. Erano cinque la prima notte,
sei la seconda e la terza notte.
Questi furti, piuttosto insoliti, hanno suscitato scalpore tra la gente; tutti si chiedevano come fosse potuto accadere e chi avesse potuto realizzare una rapina
come questa, non di gioielli o di abiti sfarzosi, ma di oggetti di prima necessità,
come calze, coperte, scarpe, magliette, pantaloni di tutte le taglie, per bambini
e per adulti e anche qualche pacco di biscotti e di pasta dal reparto biologico
che si trova al piano terra.
La polizia intensifica le ricerche perlustrando la zona. Le indagini si concentrano sul mercatino di Piazza Tricolore, nella piazza vicina a quella del Coin,
proprio di fronte all’Opera di San Francesco, che offre un pasto caldo a tutti
coloro che si presentano; lì sono esposti vestiti di tutti i tipi, non in vendita, ma
destinati ad essere distribuiti a una lunga fila di persone. Qui gli agenti notano
che molti dei capi distribuiti hanno le caratteristiche degli indumenti rubati, descritti dai responsabili del Coin dopo aver fatto l’inventario della merce. La polizia, insospettita, decide di agire e così, controllando capo per capo, appura
che la maggior parte ha sull’etichetta la sigla del Coin. I vestiti sono stati quindi
rubati dal Coin e portati ai poveri dell’Opera di San Francesco: ma quale moderno Robin Hood ha rubato per aiutare i più bisognosi?
Le indagini sono complicate, ma tra i partecipanti al piccolo mercatino la polizia trova alcuni ragazzi che hanno l’andatura, l’altezza e altre caratteristiche
simili a quelle dei rapinatori che si sono potuti osservare nelle riprese. Si decide
quindi di portare in caserma questi ragazzi che dopo un lungo interrogatorio
decidono di confessare: colpiti dalla terribile povertà di chi faceva lunghe code
per ottenere anche solo un pezzo di pane o un panno per coprirsi avevano deciso
di aiutare a loro modo.
Le autorità non puniscono questi ragazzi, perché il Coin ha deciso di non sporgere denuncia, ottenendo così, dopo grazie a questa storia apparsa ovunque sui
giornali, una grande pubblicità positiva.
Silvia Chieppi, 2ªF
Un negozio molto speciale
C
appellini, scarpe, felpe e magliette. Ero molto attirato da
questo negozio del centro, in
una via importante di Milano, un
posto dove si possono trovare tutti i
più bei capi di abbigliamento che un
dodicenne possa desiderare.
Avendo io appunto dodici anni, quel
pomeriggio non potei resistere alla
tentazione e decisi di entrare per comprarmi un berretto. Una volta dentro
rimasi letteralmente incantato, e seguendo la scia infinita di scarpe salii
al piano superiore.
Ad un certo punto, però, mi accorsi di
essermi allontanato troppo dai miei
amici e di avere il cellulare spento.
Scesi velocemente, ma al piano terra
trovai tutto chiuso. Mi ricordai allora
di aver sentito dire da due turisti inglesi che erano le 19 e 30, e il negozio
chiudeva proprio a quell’ora. Ero
molto impaurito all’idea di dover passare tutta la notte lì dentro, al buio,
senza né cibo né acqua, ma quello che
mi spaventava più di tutto molto
erano i miei genitori che mi aspettavano a casa per le 8.
Mi sedetti in un angolino e cominciai
a piangere. Nel frattempo calava il
buio e improvvisamente sentii una
voce abbastanza spaventosa. Corsi allora alla ricerca di un interruttore
della luce, ma mi ci volle un po’ per
trovarlo. Quando finalmente riuscii ad
accendere la luce, vidi un’ombra che
si muoveva rapidamente. Nonostante
il pianto di poco prima, sapevo di essere un ragazzino coraggioso, così decisi di scoprire di che cosa si trattava.
Scesi al piano sotterraneo e mi trovai
di fronte uno spettacolo inaspettato:
le scarpe e i cappellini “passeggiavano” allegramente, parlando fra loro
in una lingua molto strana. Anche loro
notarono la mia presenza e decisero
di venire a parlarmi. Per fortuna nelle
lingue straniere me la sono sempre
cavata bene e compresi subito quello
che mi stavano dicendo: con un cenno
del capo accettai la proposta di giocare a nascondino con loro. Andai subito a nascondermi insieme a delle
magliette e scoprii che in uno stanzino c’era un distributore di merendine e di bevande diverse. Con i 10 €
che mi erano avanzati presi ben tre
pacchetti di patatine e una lattina di
tè, coi quali risolsi il problema della
cena. Continuai a giocare fino alle 7
di mattina, quando una scarpa mi
disse che era arrivato il momento di
smettere e di rimettere tutto a posto;
si raccomandò anche di non dire a
nessuno della notte trascorsa a giocare con loro.
Alle 8, subito prima dell’apertura del
negozio, tutte le scarpe e tutti i cappellini tornarono al proprio posto; io
mi nascosi dietro uno scaffale e, mentre la gente cominciava ad entrare,
uscii senza che nessuno si accorgesse
della mia presenza. Tornai rapidamente a casa e trovai i miei genitori
in preda alla disperazione. Mi chiesero dove fossi stato. Raccontati loro
che per sbaglio era rimasto chiuso in
un negozio, ma fui fedele alla parola
data alla mia amica scarpa e non rivelai niente del resto.
Ora ho trent’anni, sono sposato e ho
due figli. Lavoro da ormai dieci anni
in un negozio di scarpe dove faccio il
guardiano di notte. Ho mantenuto fino
ad oggi il mio segreto e tutte le sere
mi diverto a parlare e a giocare con le
mie scarpe. Non potrei mai lasciare
per nessun motivo questo negozio.
Mara Pedrazzoli, 2ªF
U
n vecchio lupo maschio viveva in un bosco chiamato
Bosco Verde con la moglie e
i suoi nove figli.
La coppia aveva cacciato per tanti
anni in una grande radura ma, diventando vecchi, si stancarono di passare
le notti a rincorrere selvaggina. Per un
po’ di notti, quindi, non si udirono più
i loro ululati sotto le stelle, quegli
spaventosi lamenti che facevano rabbrividire gli abitanti dei villaggi vicini.
Ora era giunto il momento che fossero i figli ad andare a caccia durante
la notte, mentre i genitori restavano
nella tana a riposare.
Il padre spiegò ai figli che non poteva
accompagnarli nelle cacce notturne
perché doveva fare la guardia alla
tana, per impedire a qualche altro animale di intrufolarsi nella loro caverna. Il capofamiglia amava
insegnare ai figli come cacciare e raccontava con orgoglio le avventure
stupefacenti della sua gioventù e delle
prede che aveva catturato grazie al
suo grande coraggio e alla sua astuzia.
La sera i figli andarono a caccia verso
l’argine del fiume e, mentre camminavano silenziosamente, incontrarono
un orso enorme disceso dalle montagne. Quest’incontro spaventò molto i
giovani lupi, che decisero di andare a
cacciare in un’altra zona; ma il grande
orso, che li aveva visti, disse loro di
avvicinarsi e li invitò a cacciare assieme a lui per riuscire a catturare più
prede.
Loro accettarono, anche se non si fidavano molto dell’orso. Cacciarono
con fatica tutta la notte e, infine, catturarono dieci lepri. I lupetti erano
tutti eccitati pensando a quanto sarebbe stato fiero il padre e chiesero all’orso di spartire le prede.
Il grande orso però disse: “Bene, ora
dividiamo il bottino: nove lepri a me
e una a voi!”. I nove lupacchiotti cominciarono a lamentarsi, allora l’orso
rispose: “Cosa c’è che non va? La
matematica non è un’ opinione: nove
lepri ed un orso fanno dieci e nove
lupi e una lepre fanno ugualmente
dieci, quindi siamo pari!”.
I lupetti tornarono così a casa tristi e
scoraggiati. Quando il padre li vide
con una sola lepre dopo una intera
notte di caccia, si infuriò e diede loro
degli incapaci. Per discolparsi uno dei
lupetti raccontò quello che era accaduto con l’orso.
A quelle parole, il padre disse ai figli
di seguirlo fino alla tana dell’orso,
dove avrebbe mostrato loro il suo
enorme coraggio da prendere come
esempio.
Ma quando arrivarono a destinazione
e il lupo vide quanto era grosso
l’orso, invece di protestare per l’inganno fatto ai suoi figli, regalò all’orso anche la loro unica lepre per
paura di essere attaccato.
Mentre la famiglia di lupi tornava a
casa, uno dei figli commentò: “Grazie
papà, adesso abbiamo davvero capito
quale sia il vero coraggio: quello che
tu non hai!”
Sara Gervasoni, 1ªL
La Giraffa vanitosa
C
’era una volta una bellissima
giraffa che viveva in una immensa savana africana. Era un
animale vanitoso ed un po’ altezzoso,
ma anche molto solo e senza alcun
amico. La giraffa era orgogliosa del
suo lungo ed elegante collo e guardava veramente tutti dall’alto in
basso; questo suo atteggiamento però,
la rendeva sempre più sola e scontrosa: nel suo cuore allegria e buon
umore non erano mai di casa! E
spesso prendeva in giro gli altri animali, perché non li riteneva “alla sua
altezza”: nessuno come lei riusciva a
prendere le foglie più verdi e i germogli più saporiti sui rami alti degli alberi.
In particolar modo la giraffa era solita
prendere in giro un goffo e pacifico ippopotamo, che viveva in un laghetto
fangoso lì vicino. Questo tozzo animale, però, era molto saggio, paziente
e amato da tutti gli abitanti della sa-
vana; spesso sopportava gli insulti
della giraffa con il sorriso sulle labbra.
Diceva con ironia la giraffa: “Ué! Pachiderma, sposta le tue chiappe fangose dalla mia strada!”; oppure: “Ma
ti sei visto? Tutto il giorno a rotolarti
nel fango e a mangiare roba sporca e
maleodorante!”. “Cara giraffa” replicava l’ippopotamo, “non mi trattare
così male. La natura mi ha fatto in
questo modo, ma se un giorno ti degnerai di venire quaggiù vedrai che
non si sta poi così male e si passano le
giornate in compagnia ed allegria”. La
giraffa, però, non si curava di lui e,
ondeggiando, se ne andava verso i
suoi amati alberi.
Accade una notte che una tremenda
tempesta colpì violentemente la savana. La mattina seguente tutti gli alberi erano stranamente spogli e le
foglie ricoprivano il suolo e il laghetto
fangoso. La giraffa inizialmente fu titubante, poi, affamata, decise di ab-
bassare il collo e di nutrirsi umilmente
come gli altri animali. Nel far questo,
però, alcuni schizzi di fango le colpirono per caso il muso e l’ippopotamo,
con un dolce sorriso, le disse: ”Oh
cara Giraffa, sembri quasi una di
noi!”.
La giraffa, dopo un attimo di imbarazzo e di rabbia, si specchiò nelle
acque del laghetto e, vedendo il suo
viso buffo tutto infangato, iniziò a ridere a crepapelle, come mai aveva
fatto nella sua vita. Capì così quanto
il suo atteggiamento fosse stato
sciocco e sbagliato. Tutti gli animali
allora la circondarono allegramente e
lei divenne la migliore amica dell’ippopotamo e una buona compagna per
gli abitanti della savana.
Questa storia dimostra che non bisogna essere vanitosi e superbi, perché
si finisce soltanto per rimanere da soli.
Riccardo Migliorisi, 1ªL
I tre porcellini reloaded
C
’era una volta un lupo mite,
buono e gentile, che amava più
di ogni altra cosa la lettura.
Può sembrare strano, ma questo lupo
era il bersaglio preferito degli scherzi
di tre porcellini, animali prepotenti,
antipatici e dispettosi. Il lupo aveva un
desiderio: costruire una casetta dove
avrebbe potuto leggere in pace, senza
i fastidiosi porcellini tra i piedi. Così
fece: andò nel bosco e con legno,
chiodi e paglia si costruì un rifugio; era
di dimensioni ridotte, ma dentro c’era
tutto il necessario per vivere tranquillamente.
I porcellini, purtroppo, non ci misero
molto a scoprire il nascondiglio del
lupo e, per fargli uno scherzo, gli buttarono giù la casa, soffiando fortis-
simo. Il lupo, la cui quiete ormai era
distrutta, se la diede a zampe levate
spaventato, cercando un altro posto
calmo e accogliente dove dedicarsi alla
sua passione. Non troppo distante
trovò una capanna di legno e vi si rifugiò. I porcellini pestiferi, però, lo
avevano seguito di nascosto e, armati
dei loro piedi di porco, con tanti calci
demolirono anche la seconda speranza
di tranquillità del lupo. Disperato, in
un battibaleno questi se la filò, riuscendo a mettere in salvo una delle sue
letture preferite, una raccolta delle
fiabe più famose. Questa volta il lupo
cercò pace in una casa vera e propria,
fatta di mattoni e cemento e sostenuta
da solide fondamenta; i maiali, decisi
a tormentare lo stesso il loro bersaglio
preferito, iniziarono a scervellarsi per
trovare il modo di continuare ad infastidirlo. Soffi e calci non sarebbero di
certo bastati per abbattere quel solido
rifugio; ed ecco che uno dei tre ebbe
un’idea sensazionale, subito approvata
dagli altri: entrare dal camino. Con un
po’ di fatica si infilarono nel comignolo ma, una volta arrivati in fondo,
trovarono una bella brace ad aspettarli!
Era stata preparata dal lupo, che aveva
preso spunto proprio dal suo libro! Per
festeggiare l’avvenuta liberazione,
venne organizzata una grande festa,
dove tutti ebbero l’opportunità di assaggiare il miglior arrosto di maiale
mai cucinato da un lupo.
Leonardo Rilasciati, 1ªL
Disegno realizzato da Esteban
Iglesias, 1ªE
30
Creativ@MENTE
Spolvero
Miracolo alla Scarioni
S
polvero è il cane di mia zia, è
nero, grosso e coraggioso, ma
allo stesso tempo tenero e
coccolone.
Le sue caratteristiche che però mi
affascinano di più sono la sua intelligenza e la sua saggezza. Ho scoperto questa sua particolarità un
giorno in cui pensavo di non rivederlo più: avevo lasciato aperto il
cancello del giardino e Spolvero era
scappato. Io stavo dormendo e me
ne accorsi molto dopo, non ebbi il
coraggio di spiegarlo a mio cugino,
con il quale ero solo in casa, ma gli
proposi di andare a fare una passeggiata. Intanto si faceva sera: gironzolammo per un tempo che non
potrei definire e, quando stavamo
per tornare a casa, avvistammo il
furgoncino di mio zio.
Ora a voi sembrerà una cosa normalissima, ma il fatto è che dietro al
furgone c’era una scia di cani, capitanata da Spolvero. Il camioncino si
fermò e Spolvero lo fece a sua volta,
poi abbaiò agli altri come per dir
loro che dovevano fermarsi lì, cosa
che capii dalla pronta reazione degli
altri e che mi stupì molto. Poi andò
da mio zio e con la zampa indicò il
retro del furgone. Anche questo mi
stupì e mio zio aprì il retro, scoprendo dei contenitori con il cibo
per il buffet di una festa. In una di
queste scatole c’era della carne già
cotta lasciata a temperatura tiepida,
che fu subito preda dei cani. Spol-
vero prendeva i pezzi di carne e li
distribuiva, calmava i litiganti che
volevano rubarsi la carne a vicenda
e impediva a tutti di salire sul camioncino. Le sue capacità di leader,
la sua saggezza e giustizia nel dirigere la spartizione sono ancora oggi
impressi nella mia mente.
Dopo questo buffet “canino” arrivarono le altre casse di cibarie e il furgone ripartì. Spolvero abbaiò e
allora gli altri cani tornarono dai
loro padroni e Spolvero rientrò in
casa. Quella sera tutti i cani del
paese rifiutarono croccantini e biscotti perché avevano già fatto una
bella cena.
Jacopo Di Benedetto, 1ªA
L
a Scarioni. La famosa società
calcistica milanese fondata nel
1925 dove ho cominciato a
giocare a calcio. Proprio qui, un
giorno, si è verificato un fatto veramente strano.
La Scarioni ha il secondo campo più
grande della città, malridotto però, soprattutto quando piove.
Era una giornata buia e molto nuvolosa. Cominciammo la partita. I nostri
avversari erano nettamente più forti di
noi. Ci trovavamo già 2-0 per loro,
quando all’improvviso… cadde una
piccola roccia dal cielo. Nessuno sapeva che cosa fosse, ma immaginammo fosse un frammento di
meteorite. Cadde al centro del campo,
tutti si allontanarono impauriti, ma
dopo alcuni istanti cominciò a crescere un’erba stupenda e come per
magia un tendone per la pioggia coprì
tutto il campo!
Eravamo molto stupiti per ciò che era
successo, ma capimmo che questo era
un segno per la nostra squadra. Così,
tra gli applausi del pubblico, ricominciammo la partita con il pezzo di meteorite in mezzo al campo. Ci
sentivamo pieni di energia e subito rimontammo da 2-0 a 2 pari, ma non
fermammo. La partita finì 2-5 per noi.
Ma non era ancora finita: gli effetti
magici sono durati per cinque lunghi
anni, nei quali giocare lì è stato ogni
volta meraviglioso!
Andrea Lemus, 2ªF
La storia di Swan
M
Disegno realizzato da Stacey De La Vina, 2ªA
i piacciono molto i cani,
sono animali che danno affetto, fanno compagnia e
sono sempre fedeli al proprio padrone:
i migliori amici dell’ uomo.
Io ho un cane di nome Jack, un jackrussel di dieci mesi, che accompagno
spesso al parco vicino a casa. In questo
luogo incontro a volte un doberman di
cinque anni di nome Swan che mi ha
colpita molto. È di media taglia, pelo
raso e nero, zampe lunghe e snelle; la
sua coda è stata tagliata perché fino a
poco tempo fa venivano praticate queste barbarie sui cani di alcune razze.
Ha il muso sporgente sul quale è visibile un naso nero e lucido, ma gli mancano completamente le orecchie e
l’occhio destro. Ha un comportamento
pacifico e socievole, gioca volentieri
con cani grandi e piccoli, e quindi
anche con Jack; quando il padrone lo
chiama, obbedisce prontamente al suo
richiamo.
Incuriosita, ho chiesto informazioni
sull’animale e il suo padrone mi ha
raccontato che l’ha preso al canile
dove era arrivato dopo molte sofferenze. La sua storia è molto triste: era
stato acquistato per i combattimenti ma
lui, non essendo aggressivo, non ne voleva sapere di combattere. Per renderlo
feroce, allora, gli hanno tagliato completamente le orecchie e tolto un occhio; nonostante ciò l’animale è
rimasto docile e così è stato abbandonato. Successivamente è stato recuperato sulla strada e condotto al canile.
Sono molto contenta che ora il cane
abbia trovato persone che gli vogliono
bene e lo compensano del male ricevuto. Quando lo incontro al parco, lo
accarezzo sempre volentieri e lui, riconoscente, mi lecca la mano.
Carlotta Greppi Cappa, 1ªA
Aiuto! La 2ªL è infestata!
Mr Johnson.
Mr Johnson è il fantasma di un famoso avvocato londinese, che in vita si trasferì a Parigi per lavoro. Indossa ancora gli abiti con cui andava al lavoro, è molto elegante e porta con sé la cartella portadocumenti.
E’ triste, malinconico, ma anche chiacchierone: stando solo tutto il tempo qualunque rapporto è importante! È morto una sera di primavera investito da un tram, il 45. È un fantasma molto professionale,
infesta il tribunale dove lavorava: aiuta, dando consigli, gli avvocati troppo incapaci per vincere un caso. Appare alla gente con la lettura dell’articolo della sua morte. Si sposta volando, oppure con la
limousine di Ms Monroe.
Ms Monroe.
Ms Monroe, in vita, era una famosa attrice. Veste un abito rosso con una sciarpa di pelliccia, è elegante, allegra e molto educata. E’ morta mentre recitava, adesso abita al Louvre, gira tra i quadri e socializza
con i soggetti dei dipinti. Appare ai turisti per tener viva la sua fama; si manifesta accompagnata da brani di musica classica. Si muove a piedi o in limousine, spesso in compagnia di Mr Johnson.
Mike e Bill.
Mike era un bambino che andava solamente alla scuola elementare. Ora veste con jeans e maglietta e sta sempre insieme al suo cane Bill. È vivace e giocherellone, come molti della sua età. E’ stato investito,
insieme al suo cane, da un pirata della strada; ora vivono insieme in un luna park e si divertono a fare scherzi ai bambini; in questo modo passano il tempo tutti i mercoledì sera, quando il luna park è aperto.
Mike e Bill si fanno vedere dai ragazzini preceduti e seguiti da risate minacciose. Si spostano a bordo di autoscontri, sembrano giochi tra i giochi.
Alice Tassinari, 2ªL
Ginger Braede.
Ginger Braede, giullare di corte morto per indigestione di dolci ad un banchetto del re, ora ama ritornare soprattutto alle feste dei bambini, perché, essendo veramente goloso, ha scoperto il cioccolato che
alla sua epoca non c’era ancora. Ginger Braede è un fantasma magro e di bassa statura, con i denti tutti cariati, e indossa abiti variopinti, fatti di pezzi di stoffa colorati che, nonostante il tempo, riescono a
rimanere ancora cuciti tra loro; naturalmente è molto sporco e pieno di macchie appiccicose. Al suo arrivo, si sente il rumore dei campanelli legati alle caviglie e dei sonagli attaccati al cappello, accompagnati
da una risata terrificante e un forte vento, che però dura solamente pochi secondi e non si riesce mai a distinguere da dove provenga e dove si trovi precisamente il fantasma. In sua presenza si scatena il
panico, soprattutto tra le mamme, perché se ci sono bambini con le dita sporche di cioccolata, come spesso accade, il giullare non esita a mangiarsele e, siccome è velocissimo, non si fa nemmeno in tempo
a nasconderle o a metterle in tasca.
Matilde Gianoli. 2ªL
I Paramavasindra: Mr Avarizia e Mrs Malinconia.
I Paramavasindra sono una coppia di spettri spaventosa e pericolosa, soprattutto il marito. Mr Avarizia in vita era un importante commerciante indiano. Aveva successo negli affari, ma era anche tremendamente
avaro e possessivo. Indossa un enorme turbante, ormai marcio e sbrindellato, e una lunga tunica piena di ciondoli e specchietti. Ha un pugnale nel cuore, e il sangue che sgorga dalla ferita continua a
macchiare la tunica. Mr Avarizia è stato assassinato dalla moglie, stanca di stare in casa segregata dal marito, e di non poter fare niente per i poveretti che chiedevano loro aiuto. Mr Avarizia si comporta in
modo molto strano quando incontra degli umani: prende un sacco d’oro dalla sua tomba e lo offre alla persona che ha davanti. Il mese dopo si presenta al signore a cui aveva donato il sacco d’oro e ne
pretende il doppio. Se entro una settimana lo sciagurato non paga, Mr Avarizia lo perseguita fino alla fine dei suoi giorni, che di solito si avvicina velocemente, e poi passa a perseguitare i figli e i nipoti del
malcapitato. Quando appare si sentono grida disperate e fumi verdi si alzano tutt’intorno a lui. Quando scompare si sente un grande botto, e subito dopo scoppia un incendio nel preciso punto dove era il
fantasma. Si muove in portantina, trasportato dai malcapitati che hanno ricevuto il sacco d’oro e non sono riusciti a restituirlo.
Mrs Malinconia, la moglie, è molto meno pericolosa del marito, ma se la si incontra mette subito paura e cattivo umore. In vita era una signora gioiosa, caritatevole, bella… tutto ciò prima di sposarsi. Dopo
il matrimonio il marito l’ha rinchiusa in casa, e lei ne è uscita solo dopo la morte del marito, ma per andare incontro alla propria sul rogo. È avvolta in bende, legate e fissate così strette che le sue ossa sono
rotte, perciò si muove tutta rattrappita, stentatamente, gridando di dolore, cosa che mette subito paura. È morta bruciata viva accanto al marito, come si usava all’epoca in India. Mrs Malinconia lo aveva assassinato perché lo odiava con tutto il cuore, infatti si era sposata con Mr Avarizia solo per volere dei suoi genitori. Ora ama apparire nel punto in cui è morta, che ai suoi tempi era una foresta, e adesso è
un campo di riso. Mrs Malinconia vorrebbe donare l’oro di suo marito ai poveri contadini che lavorano nel campo dove lei appare, ma quando si avvicina loro fuggono spaventati dal suo aspetto. Lei allora
urla più di quanto non faccia normalmente, e insegue i contadini, che scappano ancora più lontano, terrorizzati. Quando appare si odono i terrificanti rumori della sua morte: le urla di dolore, il canto
assordante dei bramini, il crepitare delle fiamme. E infine si sentono solo paurosi lamenti.
Rossella Ferrara, 2ªL
31
Creativ@MENTE
Papaya
Il cane che vorrei descrivere è Papaya,
il Lagotto Romagnolo dei miei nonni.
L’episodio che mi ha colpito di più di
lei si è svolto quando io ero appena
nata. I miei genitori mi avevano portata a Incisa nel Monferrato, dove abbiamo una grande casa.
All’inizio Papaya era molto gelosa
dell’attenzione che i miei nonni e i
miei genitori mi riservavano, perché
lei si riteneva un membro della famiglia ed essere esclusa per lei non era
bello.
Ma quando mi hanno messa vicina
alla sua cuccia, lei mi ha conosciuta
meglio e, la sera, quando ero nella mia
culla, mi ha portato la sua palla, segno
che mi aveva ammessa nella sua cer-
Un nobile sacrificio
chia di famiglia.
Da allora la nostra amicizia è cresciuta
fino a diventare fortissima, legandoci
ancora di più quando lei, nonostante
la paura dell’acqua, si è tuffata in piscina per recuperare la mia bambola.
Mi dispiace tantissimo che in ottobre
sia morta, ma era ormai tempo per lei:
aveva 17 anni, era sorda e aveva la cataratta. Mi manca tantissimo e non riesco ad immaginarmi le vacanze a
Incisa senza di lei.
Sarà triste non poter più vedere il suo
sguardo profondo negli occhi marroni
e il suo pelo ormai grigio, morbidissimo da accarezzare
Olimpia Ferrari, 1ªA
Sprazzi dal futuro
M
i sveglio alle 6:30 e
vado pigramente in cucina a fare colazione.
Alzo tutte le tapparelle e vedo che
la giornata fa già schifo: pioggia
e cielo grigio. Mi lavo e mi vesto
frettolosamente, per arrivare in
redazione in tempo. Oggi devo
tradurre quasi quattro volumi di
fumetti appena arrivati dal Giappone e non ne ho tutta questa voglia. Mentre esco trovo sul
pavimento un volume di Bleach
insieme a una decina di altri fumetti. Raccolgo solo Bleach e lo
metto in borsa. Noto che sul divano sono sparsi dei vestiti da stirare e penso che dovrei chiamare
mia madre per farmi aiutare. Ma
poi mi viene in mente che se facessi venire mia madre, lei mi farebbe una ramanzina sull’ordine.
Quindi ci ripenso e non la
chiamo. Esco di fretta dimenticandomi la luce del bagno accesa.
Alle sette sono in metropolitana.
Il mio “ufficio” è in Bicocca, a
Milano, e ci vuole un po' per arrivarci, dato che abito dall'altra
parte della città... Sul treno mi
metto le cuffiette e ascolto una
canzone di Tori Amos, Garlands,
almeno dieci volte. Alle otto devo
essere in ufficio e, come al solito,
arrivo alle otto e dieci perché mi
fermo a prendere un caffè con la
mia amica Camilla. Con lei ricordo i nostri anni alle medie, noiosi e monotoni. Ripensiamo alla
nostra amica Angelica, che veniva
presa in giro da molti e che ora è
diventata una star internazionale.
Arrivo in ufficio e trovo “Jack”
con i piedi sulla scrivania che al
posto di tradurre il fumetto giapponese lo sta leggendo, Mary che
fuma una sigaretta e litiga con il
suo ex marito già alle otto di mattina, e Carlo che pensa a come
impostare la copertina del nuovo
fumetto. Il direttore mi vede, mi
fa un sorriso a trentadue denti e
mi saluta con la mano. Ricambio
il saluto. Mi lascio cadere sulla
sedia e Jack si mettere a ridere,
quasi cadendo dalla seggiola:
starà ridendo per il fumetto...
Alza lo sguardo dal fumetto e mi
metto a ridere anche io pensando
alle facce buffe che fa quando
sorride. La giornata passa in fretta
e riesco a tradurre soltanto tre fumetti. Finalmente si torna a casa.
Dato che dal cielo stanno venendo
giù ettolitri di pioggia fin dalla
mattina, approfitto del gentile
passaggio che mi offre Carlo, così
arrivo a casa relativamente
asciutta, ovvero con solo i piedi
zuppi d’acqua. Arrivo al portone
di casa e lui se ne va in macchina.
Ora inizia la parte più difficile
della giornata: la caccia alle
chiavi di casa. Dovete sapere che
la maggior parte dei mazzi di
chiavi sono specializzati in “nascondino” e quindi una povera
donna che torna a casa distrutta
dal lavoro deve pure mettersi a
giocare con loro. Dopo aver scavato nella borsa per più di dieci
minuti mi accorgo che dalla tasca
dei miei jeans sporge una punta
metallica. Con l’agilità di un elefante entro nel mio palazzo fradicia dalla testa ai piedi. Arrivo nel
mio appartamento e subito mi
tolgo i vestiti bagnati correndo in
bagno per una doccia rilassante.
Dopo una buona ora riemergo pulita come se mi avessero lavata
con lo Chante Clair [citazione dedicata alla 3L, N.d.A.], mi metto
un pigiamone lungo e soffice (ma
soprattutto caldo) e mi butto sul
divano facendomi posto tra i
panni da stirare. C’è un silenzio
tombale e sento la vibrazione del
cellulare che è in cucina. Mi alzo
svogliatamente a rispondere.
Sopra vecchio catorcio appare la
scritta “papà”. Rispondo. È mia
madre. Mi chiede come sto e mi
dice che mi saluta la zia. I miei
vivono a Sesto San Giovanni da
quando sono in pensione (strano
ma ci sono arrivati!). Io le parlo
un po’ e poi chiudiamo la chiamata con un “a presto”. Mi ributto
sul divano e chiamo il ristorante
giapponese SushiMaSushi, quello
che hanno aperto da un mese e
che io frequento regolarmente.
Arriva il solito filippino della
consegna a domicilio che mi sorride e mi porge il sacchetto contenente la mia cena. Pago e rientro
in casa sbattendo troppo forte la
porta. Appoggio il sacchetto sul
tavolino davanti al divano e apro
la graziosa scatolina del ramen
come se fosse oro. Inizio a mangiarlo e intanto chiamo mio marito su Skype. Lui è americano ma
si è trasferito in Italia da un bel
po’. Ieri è tornato in America perché è morto il suo cane e torna tra
qualche giorno. Mentre assaporo
il mio ramen e parlo con mio marito mi ricordo che non do da
mangiare al pesce da tre giorni.
Vado a controllare la sua graziosa
e accogliente boccia in camera
mia e lo trovo stecchito. Finalmente, costava troppo il cibo per
pesci.
Isabella Daino, 3ªL
Sono una vecchia casa diroccata e mi trovo nella campagna di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta. Intorno
a me le terre sono deserte, desolate e aride da quando i miei proprietari, persone rispettabili e oneste, se ne sono andati.
Loro avevano anche dei bambini e io ero una casa piena di vita e di felicità.
Fuori c’era una fattoria con molti animali ben curati, mentre ora riesco solo a vedere campi abbandonati. Ormai i mobili
e le suppellettili che mi arredavano non esistono più, e i pochi rimasti sono rotti o ammuffiti.
Tutti in paese mi considerano come una casa fantasma e per questo nessuno è più venuto ad abitare qui.
Da quando i miei proprietari sono andati via mi sento sola e da quello che ho capito non compaio neanche più sulle
mappe: ho paura che prima o poi!
Non sono proprio sola, per la verità, però credo che le riunioni che si tengono al mio interno siano losche e poco raccomandabili. Vorrei che quella gente se ne andasse, perché come dice il detto “meglio soli che male accompagnati”. Sento
voci di gente strana, con l’accento del posto… mi fanno venire i brividi! Parlano di soldi e di affari, di rifiuti tossici e di
assalti, rapine e morti. Una volta hanno addirittura giustiziato un giovane e perché? Perché aveva idee diverse da quelle
del boss, perché qui stiamo parlando di camorra!
Inizio ad avere paura, gli spari sono frequenti e queste faccende non mi piacciono per niente: non voglio diventare il nascondiglio di gente come questa, sporca e irrispettosa. Non so cosa ne sarà di me, ma penso che presto smetterò di vedere
queste terre. Ormai sono diventata un bunker, tanto vale morire.
Al prossimo incontro scatenerò su questa gente tutta la mia furia: i loro verdoni finiranno nel forno, che è ancora attivo,
e ribalterò loro addosso i resti dei miei mobili.
Così ho fatto.
Ora i camorristi sono fuori con dei contenitori di benzina, mi vogliono bruciare: dicono che sono una casa stregata, ma
io so che morirò per la giustizia, e sono intervenuta contro la malavita al posto della polizia. Non ho paura di morire: il
mio ultimo desiderio è che questo luogo migliori e che possa uscire da questa brutta situazione.
Alberto Accornero, 2ªF
Disegno realizzato dalle
classi III della
prof. Bertagnolli
Notte di fuoco
L
a vita è una cosa importante, a
cui si deve tenere più di ogni
cosa. Questo è quello che ancora non sapevo prima di quella notte
incandescente. Ero ancora piccolo, e
mi trovavo in vacanza con i miei genitori a Marina di Campo, un paesino
dell’isola d’Elba, sul litorale sud: avevamo affittato un casetta ai piedi del
monte più imponente di tutta l’isola,
il monte Capanne. Era una tranquilla
sera d’agosto, e dopo cena andai a
letto piuttosto presto: ricordo che
avevo la pancia veramente colma,
perciò mi serviva una bella dormita.
Quando mi svegliai la notte sembrava
quasi finita: faceva un caldo torrido.
Non capivo bene cosa stesse accadendo, ma sentivo continue fitte allo
stomaco; allora decisi di andare a fare
qualche frigna da mamma e papà, al
fine di passare la notte con loro: con
gli occhi colmi di lacrime, iniziai ad
urlare più forte che potevo e andai in
camera loro. I miei genitori stavano
dormendo tranquilli, quando mi sentirono arrivare: mio padre si tirò su
per prendermi in braccio, quando gli
cadde l’occhio sulla finestra che, malgrado il clima cocente, era ricoperta
di condensa; immediatamente saltò
giù dal letto e mormorò qualcosa all’orecchio della mamma.
Ed allora sì che lo vidi: una enorme
massa di fuoco che si avvicinava a
vista d’occhio, inseguita da gli elicotteri. “Wow!”, pensai fra me e me. Ne
ero totalmente affascinato: volevo
toccarlo, volevo entrarci, mi immaginavo lì dentro, il ‘’bambino di
fuoco’’. La mamma voleva scappare,
ma si calmò quando papà rispose alla
sua richiesta con un solenne rifiuto.
Era l’alba quando l’incendio smise di
espandersi e cominciò a ritirarsi; ci
vollero tre giorni e tre notti per spegnerlo.
Tempo dopo ho sentito raccontare dai
miei genitori una storia alquanto diversa da quella che avevo immaginato
io: una piromane tedesca si era incamminata nel bosco con il suo cane
e aveva appiccato quel maledetto
fuoco; erano morti entrambi. Pensai
che se lo fossero meritato: questo fu
il mio secondo e ultimo errore rispetto
all’importanza della vita.
Matteo Mainetti, 1ªI
Disegno realizzato dalle
classi III della
prof. Bertagnolli
Valentina Quaranta, 1ªD
Valeria Vitali, 3ªD
Ravidu Buddhakorala, 1ªG
Roberta De Francesco, 2ªH
Alessandro Micheli, 1ªF
Giovanni Zapelloni, 1ªG
Stefano Carra, 1ªB
Martina Zocca, 3ªB
Annuale della Scuola Media Statale “Tiepolo” di Milano
Anno XXIII - Maggio 2014
Redazione
Albarosa Camaldo
(Ordine Nazionale dei Giornalisti, Tessera n. 102661)
Silvia De Pol
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Stampa
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Matteo De Rienzo, 3ªL