Giovanardi - Camera dei Deputati

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Camera dei deputati - Commissione Finanze
5 marzo 2014
Audizione informale del Prof. Andrea Giovanardi – Università di Trento sul d.d.l. C. 2012
La collaborazione volontaria per il rientro dei capitali (art. 1 del d.l. 28 gennaio 2014, n. 4)
1. Premessa. 2. I soggetti. La duplicazione/moltiplicazione delle sanzioni da omessa compilazione del quadro RW nei confronti di
tutti coloro che avevano la disponibilità dell’attività detenuta all’estero. Necessità di prevedere che il perfezionamento della
procedura da parte dell’autore della violazione inibisca l’irrogazione delle sanzioni agli altri soggetti che pur erano tenuti, secondo
l’interpretazione dell’Agenzia, alla compilazione del quadro RW. 3. (Segue). Ancora sui soggetti. La connessione con l’evasione
altrui. Opacità della norma, laddove nulla si prevede con riferimento alle società ed enti cui è eventualmente ascrivibile l’evasione
che ha dato origine all’espatrio delle somme oggetto di v.d. 4. L’oggetto della regolarizzazione. L’insidioso obbligo di indicare non
solo i redditi che servirono per costituire/acquistare gli investimenti/attività esteri, ma anche i redditi che sono derivati dalla
<<dismissione o utilizzo a qualsiasi titolo>> delle attività detenute al di fuori dei confini nazionali. 5. Ancora sull’oggetto della
definizione. L’estensione temporale dei dati richiesti. Il problema del raddoppio dei termini dell’accertamento. 6. Sulle modalità
della definizione. La sostanziale inopponibilità degli atti dell’amministrazione: eclatante violazione dell’art. 24 Cost. Inoltre, sul
versamento in unica soluzione e sul divieto di compensazione: chi aderisce alla v.d. deve pagare tutto e subito senza compensare,
chi viene scoperto invece può usufruire della rateazione e del diritto a compensare. Palese irragionevolezza della disposizione. La
discutibile previsione della comunicazione, in ogni caso, all’autorità giudiziaria della conclusione della procedura di collaborazione
volontaria. 6. Soggetti non ammessi alla procedura (art. 5 quater, co. 2). 7. Gli effetti del perfezionamento. Penali 8. Gli effetti del
perfezionamento: riduzione delle sanzioni da monitoraggio. 9. Il reato per dichiarazioni false e il ruolo del professionista. 10.
Riepilogo e considerazioni sull’appeal dell’istituto.
1.
Premessa
Fino a qualche tempo fa, risultava impossibile anche solo ipotizzare provvedimenti finalizzati al rientro
di capitali di stampo non condonistico.
Il contesto oggi è profondamente diverso, in ragione:
i)
ii)
iii)
iv)
del potenziamento delle direttive sullo scambio di informazioni (dir. 2011/16/UE) e
sull’assistenza alla riscossione (dir. 2010/24/UE);
del varo da parte di Italia, Spagna, Regno Unito, Francia e Germania del progetto pilota di
adesione, a condizioni di reciprocità, all’accordo FACTA sul modello statunitense;
della firma da parte dell’Italia di numerosi accordi bilaterali di scambio di informazioni con
paesi a bassa fiscalità;
dell’introduzione da parte del Gruppo d’Azione Finanziaria Internazionale (GAFI) nelle proprie
raccomandazioni della precisazione che anche i reati tributari, ovunque commessi, sono
prodromici al riciclaggio, con conseguente cambiamento di atteggiamento da parte degli
intermediari finanziari residenti in paesi non propriamente collaborativi, quali, in primo luogo,
la a noi vicina Svizzera.
Vi sono quindi le condizioni perché un provvedimento di rientro dei capitali che non sia una sanatoria
possa essere varato con speranza di successo. Diventa quindi decisivo, ai fini del raggiungimento
dell’obiettivo (il rientro dei capitali con pagamento delle imposte a suo tempo evase), che le norme che
disciplinano il nuovo istituto siano chiare e quindi di non difficile applicazione; allo stesso modo, occorre
che la voluntary disclosure (di qui in avanti, anche v.d.) garantisca tangibili vantaggi dal punto di vista della
riduzione delle penalità, inducendo così i contribuenti che detengono somme all’estero ad autodenunciarsi
al fisco.
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L’art. 1 del d.l. n. 4 del 2014 (di qui in avanti anche il decreto), recante la disciplina del rientro dei
capitali, non ci sembra particolarmente soddisfacente, né per quel che concerne il primo aspetto (chiarezza
e perspicuità della norma), né per quel che concerne il secondo (vantaggi dell’adesione alla procedura).
Grandi dubbi quindi sul successo dell’iniziativa, il tutto per le ragioni che qui di seguito analiticamente si
espongono.
2.
I soggetti. La duplicazione/moltiplicazione delle sanzioni da omessa compilazione del quadro RW nei
confronti di tutti coloro che avevano la disponibilità dell’attività detenuta all’estero. Necessità di
prevedere che il perfezionamento della procedura da parte dell’autore della violazione inibisca
l’irrogazione delle sanzioni agli altri soggetti che pur erano tenuti, secondo l’interpretazione
dell’Agenzia, alla compilazione del quadro RW.
L’art. 1 del decreto introduce quattro nuovi articoli nel d.l. 28 giugno 1990, n. 167, recante
<<Rilevazioni a fini fiscali di taluni trasferimenti da e per l’estero di denaro, titoli e valori>>, gli artt. 5quater, 5-quinquies, 5-sexies, 5-septies.
Il primo delinea i contorni dell’istituto, il secondo si occupa degli effetti della collaborazione volontaria,
il terzo rinvia, per la disciplina delle modalità applicative, ad un provvedimento del Direttore dell’Agenzia
delle Entrate, il quarto introduce un nuovo reato, connesso all’<<esibizione di atti falsi e comunicazione di
dati non rispondenti al vero>>.
Partiamo dall’art. 5-quater, il quale stabilisce (si riporta la norma per comodità di lettura) che
<<l'autore della violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all'articolo 4, comma 1, commessa fino al 31
dicembre 2013 può avvalersi della procedura di collaborazione volontaria di cui al presente articolo per
l'emersione delle attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori dal territorio dello Stato. A tal
fine deve:
a) indicare spontaneamente all'amministrazione finanziaria, mediante la presentazione di apposita
richiesta, tutti gli investimenti e tutte le attività di natura finanziaria costituiti o detenuti all'estero, anche
indirettamente o per interposta persona, fornendo i relativi documenti e le informazioni per la ricostruzione
dei redditi che servirono per costituirli, acquistarli o che derivano dalla loro dismissione o utilizzo a
qualunque titolo, relativamente a tutti i periodi d'imposta per i quali, alla data di presentazione della
richiesta, non sono scaduti i termini per l'accertamento o la contestazione della violazione degli obblighi di
dichiarazione di cui all'articolo 4, comma 1;
b) versare in unica soluzione le somme dovute, in base all'avviso di accertamento ai sensi dell'articolo
15 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, entro il termine per la proposizione del ricorso, ovvero le
somme dovute in base all'accertamento con adesione entro venti giorni dalla redazione dell'atto, oltre alle
somme dovute in base all'atto di contestazione o al provvedimento di irrogazione delle sanzioni per la
violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all'articolo 4, comma 1, entro il termine per la proposizione
del ricorso, ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, senza avvalersi della
compensazione prevista dall'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241>>.
I principali profili di criticità della disposizione surriportata ci sembrano i seguenti.
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Per quel che riguarda i soggetti, preme evidenziare che l’art. 5-quater individua colui che può accedere
alla procedura di collaborazione volontaria nell’<<autore della violazione degli obblighi di dichiarazione di
cui all'articolo 4, comma 1, commessa fino al 31 dicembre 2013>> 1, il quale statuisce che:
i)
ii)
<<le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate ai sensi
dell’articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi … residenti in Italia che, nel periodo di
imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria,
suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione annuale
dei redditi>>;
allo stesso obbligo sono tenuti coloro che, pur non possedendo dette attività, ne sono i titolari
effettivi, intendendosi tali, ai sensi dell’art. 1, co. 2, lett. u), del d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231,
le persone fisiche per conto delle quali <<è realizzata un’operazione o un’attività, ovvero, nel
caso di entità giuridica, la persona o le persone fisiche che, in ultima istanza, possiedono o
controllano tale entità, ovvero ne risultano beneficiari secondo i criteri di cui all’allegato tecnico
al presente decreto>> (v. in proposito, art. 2 dell’allegato tecnico).
Nella circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 45/E del 13 settembre 2010 (di recente confermata nella
circ. 23 dicembre 2013, n. 38/E), si specifica che sono tenuti all’anzidetto obbligo dichiarativo anche coloro
che hanno la disponibilità dell’attività o possano movimentarla: <<conseguentemente, in caso di attività
finanziarie o patrimoniali cointestate, il modulo RW deve essere compilato da ogni intestatario con
riferimento all’intero valore delle attività (e non limitatamente alla quota parte di propria competenza)
qualora questi abbia la disponibilità piena delle stesse. È il caso ad esempio del conto corrente cointestato
ad entrambi i coniugi. Analoghe conseguenze si determinano in caso di conto corrente estero intestato ad
un soggetto residente sul quale vi è la delega di firma di un altro soggetto residente; in tal caso, anche il
delegato è tenuto alla compilazione del modulo RW per l’indicazione dell’intera consistenza del conto
corrente detenuto all’estero e dei relativi trasferimenti qualora si tratti di una delega al prelievo e non
soltanto di una mera delega ad operare per conto dell’intestatario>>. Lo stesso vale per gli immobili
cointestati (v. ris. 30 dicembre 2010, n. 142/E).
Non è questa la sede per soffermarsi compiutamente sulla ragionevolezza e conformità al principio
comunitario di proporzionalità di una siffatta impostazione: da essa, infatti, deriva la
duplicazione/moltiplicazione della sanzione a fronte della stessa attività non dichiarata, e ciò quand’anche
l’investimento sia stato comunicato al fisco da uno dei soggetti che ne aveva la disponibilità.
Quel che va evidenziato in questa sede, invece, è che non risulta sufficiente la voluntary disclosure di
uno dei detentori: nel caso in cui non accedano tutti alla procedura, dovrebbe essere possibile per
l’amministrazione irrogare le sanzioni da monitoraggio senza alcuna attenuazione in capo agli altri
cointestatari o ai delegati ad operare sul conto.
Confermative le istruzioni alle bozze del modello di ammissione alla procedura, laddove si legge che <<il
modello è strutturato in modo da garantire l’adesione alla procedura di collaborazione volontaria sia al
singolo contribuente che ha un collegamento con una o più attività estere rilevanti, sia a più contribuenti
che, presentando un collegamento con una stessa attività estera rilevante, scelgano di aderire
contestualmente alla procedura>> (v. anche le esemplificazioni di cui alle pag. 3 e 4, nonché le
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Ad oggi, pertanto, le violazioni che possono essere sanate sono quelle fino al 31 dicembre 2012, non essendo ancora
scaduto il termine per la presentazione della dichiarazione 2013 (30 settembre 2014). Nel 2015, per chi non ha dichiarato o ha
dichiarato solo in parte le attività estere detenute nel 2013, sarà possibile accedere alla v.d. anche per le violazioni commesse fino
al 31 dicembre 2013.
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specificazioni sulla nozione di collegamento all’attività estera, con i relativi codici, pag. 7). Se tutti coloro
che presentano un collegamento con un’attività estera possono aderire, è evidente che chi non lo fa non
potrà usufruire dei benefici dell’adesione.
Si tratta di conclusione che genera una qualche perplessità, dato che il costo dell’autodenuncia non
dovrebbe essere diverso in relazione al numero di cointestatari-delegati. Siamo di fronte ad un’occasione
(per ora) persa: il decreto n. 4 del 2014 poteva essere l’occasione per modificare l’anzidetta impostazione
interpretativa, che conduce all’irrogazione di sanzioni inutilmente vessatorie.
Andrebbe quindi specificato, preferibilmente nel nuovo art. 5 quinquies, dedicato alla disciplina degli
effetti del perfezionamento della procedura, che la v.d. di un soggetto inibisce all’amministrazione
l’irrogazione delle sanzioni da monitoraggio nei confronti di altri soggetti che pur avessero la disponibilità
delle medesime attività. Opportuno dunque l’inserimento nel citato art. 5 quinquies, co. 3, dell’inciso:
<<irrogabili esclusivamente nei confronti di colui che ha attivato la procedura>> tra <<Le sanzioni di cui
all’articolo 5, comma 2,>> e <<sono determinate, ai sensi dell’articolo 7, …>>.
3.
(Segue). Ancora sui soggetti. La connessione con l’evasione altrui. Opacità della norma, laddove
nulla si prevede con riferimento alle società ed enti cui è eventualmente ascrivibile l’evasione che ha
dato origine all’espatrio delle somme oggetto di v.d.
Ancor più delicato è altro aspetto che è il caso di evidenziare fin da subito.
Intendiamo riferirci al fatto che non si disciplinano gli effetti dell’adesione per tutti quei soggetti, si
tratta senz’altro della maggioranza degli interessati alla v.d., che siano entrati in possesso delle somme
espatriate grazie all’evasione di una o più società e/o enti partecipati.
Il problema si pone perché dall’art. 5-quater risulta che chi si autodenuncia deve <<indicare
spontaneamente all'amministrazione finanziaria, mediante la presentazione di apposita richiesta, tutti gli
investimenti e tutte le attività di natura finanziaria costituiti o detenuti all'estero, anche indirettamente o
per interposta persona, fornendo i relativi documenti e le informazioni per la ricostruzione dei redditi che
servirono per costituirli, acquistarli …>>.
Sembrerebbe dunque che chi abbia costituito le attività all’estero per il tramite di società/enti
partecipati debba fornire all’amministrazione dati e notizie che consentano all’Agenzia di individuare la
fonte dei redditi sottratti a tassazione, fonte che, nello specifico caso, non potrebbe che essere la società
partecipata, la quale, tuttavia, non può essere ammessa alla procedura. A conferma di tale conclusione il
fatto che nell’art. 13-bis, co. 3, del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, recante disciplina dello scudo fiscale, si
prevedeva, con disposizione per il vero non particolarmente chiara, che le operazioni di emersione non
potevano costituire elemento utilizzabile a sfavore del contribuente, previsione questa che era stata
interpretata nel senso che non potessero utilizzarsi i dati dello scudo a scapito di soggetti a questi
riconducibili in qualità di dominus.
L’accertamento andrebbe dunque emesso, a voler essere conseguenti: i) sia nei confronti dell’ente
collettivo, potendo rilevare non solo ai fini dell’Ires e dell’Irap, ma finanche ai fini Iva (con conseguenze
deflagranti); ii) sia nei confronti dell’aderente alla procedura, che, ai sensi dell’art. 47, co. 1, del t.u.i.r.,
andrebbe tassato, qualora partecipe di una società di capitali, per gli utili extracontabili percepiti.
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Non induce con certezza a differenti conclusioni il riferimento operato dal citato art. 5-quater, co. 1,
lett. b), all’<<avviso di accertamento>> o all’<<accertamento con adesione>>: è pur vero, il legislatore pare
dare per scontato che l’atto impositivo conseguente alla v.d. vada emesso nei confronti di chi si
autodenuncia, il che, tuttavia, non esclude che l’amministrazione decida, così valorizzando appieno i dati
messi a disposizione dallo stesso contribuente, di accertare anche la sua o le sue società. Potrebbero anche
sorgere dei dubbi, in questa prospettiva, in merito all’accertamento che andrebbe pagato per perfezionare
la procedura: quello emesso nei confronti dell’aderente o entrambi?
A ciò si aggiunga che, considerato che qualche isolata Direzione Provinciale assume che l’art. 47, co. 1,
del t.u.i.r., il quale stabilisce che gli utili distribuiti sotto qualsiasi forma e denominazione vadano tassati al
40 per cento (49,72 per cento dal 2008 in poi) in capo al percettore, non andrebbe applicato fino a quando
la società da cui provengono gli utili non abbia pagato le accertate imposte sul reddito successivamente
distribuito, potrebbe addirittura capitare che chi abbia aderito alla procedura si veda accertare la propria
società (ai fini Ires, Irap, Iva) e se stesso, con una sostanziale duplicazione dell’imponibile evaso.
Si tratta di rischi che non possono essere corsi da coloro che pur abbiano in animo di emergere, sicché
sarebbe certamente più che opportuno che si specifichi espressamente che l’emersione rileva
esclusivamente nei confronti di chi ad essa abbia aderito, con conseguente inibizione di qualsivoglia
possibilità di far derivare dalla v.d. un accertamento nei confronti di soggetti diversi dall’aderente. Potrebbe
essere aggiunto, a tal fine, un comma all’art. 5-quinquies, il settimo: <<7. I dati e le notizie messi a
disposizione dell’amministrazione nella procedura di collaborazione volontaria possono essere utilizzati ai
soli fini dell’accertamento dell’imposta sul reddito nei confronti del soggetto che si sia avvalso della
procedura>>.
4.
L’oggetto della regolarizzazione. L’insidioso obbligo di indicare non solo i redditi che servirono per
costituire/acquistare gli investimenti/attività esteri, ma anche i redditi che sono derivati dalla
<<dismissione o utilizzo a qualsiasi titolo>> delle attività detenute al di fuori dei confini nazionali.
Oggetto della procedura di collaborazione volontaria sono, come si è visto, le <<attività finanziarie e
patrimoniali costituite o detenute fuori dal territorio dello Stato>> o, con formulazione un po’ diversa (art.
5-quater, co. 1), <<gli investimenti e tutte le attività di natura finanziaria>>.
Deve trattarsi degli investimenti e attività <<costituiti o detenuti all'estero, anche indirettamente o per
interposta persona, fornendo i relativi documenti e le informazioni per la ricostruzione dei redditi che
servirono per costituirli, acquistarli o che derivano dalla loro dismissione o utilizzo a qualunque titolo,
relativamente a tutti i periodi d'imposta per i quali, alla data di presentazione della richiesta, non sono
scaduti i termini per l'accertamento o la contestazione della violazione degli obblighi di dichiarazione di cui
all'articolo 4, comma 1>>.
Veniamo, ciò detto, alle criticità, da ravvisarsi, secondo la nostra opinione, nel fatto che l’aderente alla
procedura non ha la possibilità di far riferimento ad una determinata data, rendendo disponibile
all’amministrazione la <<fotografia>> dell’esistente in quel momento, ma deve dare conto,
documentalmente:
-
della fonte reddituale degli investimenti detenuti all’estero, il che comporta individuazione dei
redditi che sono serviti per costituire-acquistare le attività estere mai dichiarate al fisco;
dei redditi derivanti dalla loro gestione;
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-
dei redditi derivanti dalla loro dismissione-utilizzo a qualunque titolo.
Sulla necessità di dare conto della fonte reddituale, con tutto quello che ciò comporta in termini di
coinvolgimento di altri soggetti, anche per quel che riguarda altri comparti impositivi, si è già detto. In
aggiunta, si fa presente che la suddetta fonte potrebbe essere ignota all’aderente alla v.d.: è questo il caso,
che non ci sembra di scuola, in cui un erede residente in Italia venga a conoscenza dell’esistenza all’estero
di disponibilità finanziarie provenienti da un familiare defunto, delle quali ignori del tutto la provenienza.
Meglio, quindi, anche per evitare sconfinamenti nell’Iva (v. supra, quanto detto al par. 3, laddove, nella
proposta di modifica, si è specificamente limitata l’operatività del recupero da v.d. all’imposta sul reddito),
eliminare l’obbligo di evidenziare al fisco la fonte dell’evasione.
Sulla necessità di far conoscere all’amministrazione i redditi derivanti dalla gestione delle attività
estere, non dovrebbero esserci particolari difficoltà, considerato che i dati dovrebbero essere facilmente
ottenibili dal contribuente.
Laddove, invece, la norma potrebbe generare (ulteriori) significativi problemi è sulla necessità di dare
spiegazione dei redditi derivanti dalla dismissione-utilizzo degli investimenti (nelle istruzioni alle bozze si
legge che <<devono essere inoltre evidenziati i singoli apporti e la relativa provenienza, nonché i singoli
prelevamenti, con la relativa destinazione>>).
È chiaro, si vuole evitare che il contribuente con prelevamenti a destinazione ignota possa trasferire
parte delle disponibilità altrove, presso altro intermediario finanziario di altro paese. Da tale pur
commendevole tentativo derivano tuttavia notevolissime complicazioni: ed invero, qualora non si desse
conto della destinazione del prelievo, tali somme dovrebbero considerarsi dall’amministrazione ancora
esistenti all’estero. In definitiva, non solo le stesse, qualora non siano ancora decorsi i termini
dell’accertamento (ma sul punto, v. infra), potrebbero essere assoggettate ad imposizione, ma è appena il
caso di segnalare che da tale presunzione di permanenza all’estero non potrebbe che scaturire l’obbligo di
dichiarazione nel quadro RW delle dichiarazioni successive. Il tutto a fronte di una situazione in cui i
prelevamenti possono essere stati destinati al sostenimento di spese ovviamente non documentate, magari
effettuate sul territorio italiano (chi chiede o conserva la fattura a fronte di pagamenti effettuati con il
<<nero>> conservato all’estero e magari rimpatriato proprio per pagare forniture e/o acquisti non
documentati?).
Insomma, la prova che si richiede al contribuente, quella sulle modalità di utilizzo delle somme portate
all’estero, si palesa, in molte situazioni, come impossibile. Né ad una qualche soluzione tranquillizzante può
addivenirsi ipotizzando che gli uffici considerino irrilevanti a tal fine i prelevamenti di ridotto importo o,
comunque, quelli che verosimilmente potrebbero essere stati utilizzati per mantenere un determinato
tenore di vita: le soluzioni che i singoli uffici potrebbero adottare si presenterebbero infatti come le più
disparate, con conseguente aumento dell’incertezza che accompagna le decisioni del potenziale aderente
alla procedura.
Che dire poi di quelle situazioni, non infrequenti nella realtà, in cui sono stati effettuati dei prelievi in
contanti, magari per un importante acquisto, per poi procedere al versamento di tutte (nel caso l’acquisto
non sia andato a buon fine) o di parte delle medesime somme nello stesso conto? È perfino pacifico che
l’atteggiamento dell’amministrazione sarà lo stesso che l’Agenzia è abituata a tenere in sede di indagini
finanziarie: si considereranno quindi non solo le somme prelevate ancora all’estero, ma gli ulteriori
versamenti come frutto di ulteriore evasione, con conseguente dilatazione della pretesa erariale sia in
termini di imposte, che in termini di sanzioni da monitoraggio.
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Ci sembra, quindi, necessaria una drastica semplificazione del meccanismo individuato dal legislatore:
sarebbe sufficiente che ogni contribuente dia conto dell’entità degli investimenti-attività che avrebbe
dovuto dichiarare nel quadro RW per ogni periodo di imposta (d’altra parte l’obbligo dichiarativo non
richiede di dare conto dei prelevamenti).
La lettera a) del primo comma dell’art. 5-quater diventerebbe dunque la seguente: <<A tal fine deve: a)
indicare spontaneamente all’amministrazione finanziaria, mediante la presentazione di apposita richiesta,
tutti gli investimenti e le attività di natura finanziaria e patrimoniale costituiti o detenuti all’estero, anche
indirettamente o per interposta persona, che si sarebbero dovuti dichiarare ai sensi dell’art. 4, comma 1,
fornendo i relativi documenti relativamente a tutti i periodi di imposta per i quali, alla data di presentazione
della richiesta, non sono scaduti i termini per l’accertamento e la contestazione della violazione degli
obblighi di dichiarazione di cui all’articolo 4, comma 1>>.
5.
Ancora sull’oggetto della definizione. L’estensione temporale dei dati richiesti. Il problema del
raddoppio dei termini dell’accertamento.
Come si è fin qui visto la disciplina è particolarmente criticabile, giacché non vi è certezza né dal lato
dei soggetti coinvolti, né dal lato dell’oggetto dell’emersione.
Ma non è finita, dato che, sempre in merito alla delimitazione dell’oggetto della procedura di
collaborazione volontaria, è il caso di segnalare un ulteriore aspetto che si manifesta foriero di sicure
problematiche sul versante dell’applicazione della disciplina in discussione.
Ci riferiamo, segnatamente, all’individuazione delle ipotesi nelle quali possa rendersi applicabile il
raddoppio dei termini dell’accertamento 2 in presenza di notizia di reato concernente le fattispecie
delittuose di cui al d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74. Si rammenta, infatti, che chi attiva la procedura deve
rendere disponibili all’amministrazione documenti ed informazioni utili ai fini della ricostruzione del reddito
relativamente a <<tutti i periodi di imposta per i quali, alla data di presentazione della richiesta, non sono
scaduti i termini per l’accertamento o la contestazione della violazione degli obblighi di dichiarazione di cui
all’articolo 4, comma 1>> (art. 5-quater, co. 1, lett. a).
Ebbene, con riferimento a tale disposizione, risulta fin da subito evidente che potrebbe essere
conveniente, per chi voglia aderire, il rinvio della presentazione della richiesta al 2015, in modo da far
scadere un’annualità, magari quella cui è ascrivibile l’evasione più consistente. È pur vero, c’è il rischio di
essere <<scoperti>> nel frattempo, ma, nella gran parte dei casi, si tratta di eventualità molto remota.
Ma torniamo al raddoppio dei termini.
Innanzitutto, nulla quaestio per i casi in cui le attività estere siano collocate nei paradisi fiscali,
operando in tale ipotesi l’art. 12, co. 2-bis e 2-ter, del d.l. 1 luglio 2009, n. 78: con la prima disposizione si
raddoppiano, indipendentemente dalla rilevanza penale della fattispecie, gli accertamenti basati sulla
presunzione dell’art. 12, co. 2, quella cioè secondo la quale gli investimenti e le attività detenuti in paesi a
fiscalità privilegiata si presumono costituiti mediante redditi sottratti a tassazione; con la seconda si
2
I termini <<ordinari>> sono fissati al 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, al
31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata in caso di dichiarazione
omessa (cfr. art. 43 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 e art. 57 del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633.
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raddoppiano i termini per l’irrogazione delle sanzioni connesse alla violazione degli obblighi del
monitoraggio fiscale (art. 4, co. 1-3, d.l. n. 28 giugno 1990, n. 167)3.
Per le altre situazioni, invece, si pongono tutte le questioni che si connettono ad una fattispecie
particolarmente discussa sia a livello dottrinale che giurisprudenziale.
Basti rilevare che copiosa giurisprudenza di merito è nel senso di ritenere che il raddoppio, disciplinato
dagli artt. 43, co. 3, del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 e 57, co. 3, del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, non
debba trovare applicazione nel caso in cui la notizia di reato sia stata inoltrata dagli uffici finanziari o dalla
Guardia di Finanza all’autorità competente in un momento in cui il reato risultava già prescritto. L’aderente
alla procedura, che non sia mai stato fatto oggetto dell’attenzione del fisco, dovrà/potrà ritenere che gli
anni precedenti, ad oggi, al 2007 siano già scaduti per effetto dell’intervenuta prescrizione? È chiaro, non è
questa la posizione dell’Agenzia che, dunque, pretenderà dati e notizie fino al 2005 (2003 in caso di
dichiarazione omessa), il che, tuttavia, non risolve la questione, giacché occorrerebbe interrogarsi sulle
possibilità del contribuente di vedersi riconosciuta l’esclusione degli anni per cui la legittimità del raddoppio
è dubbia. Sul punto ci soffermeremo successivamente: quel che si può fin da subito evidenziare, tuttavia, è
che i contorni della v.d. non sono certi nemmeno per quel che concerne le annualità a fronte delle quali
risulti necessario autodenunciarsi.
Ma non è tutto, giacché la disciplina oggetto di commento dà origine non solo a dubbi ed incertezze,
ma anche ad aporie.
Infatti, non è chiaro se il raddoppio trovi applicazione nei casi in cui, pur configurandosi una condotta
penalmente rilevante, la punibilità sia esclusa ai sensi dell’art. 5-quinquies, co. 1, lett. a) del d.l. n. 167 del
1990, introdotto dall’art. 1 del d.l. n. 4 del 2014.
Il problema si pone, in particolare, nei seguenti termini:
-
-
in primo luogo, va specificato se il raddoppio dei termini trovi o meno applicazione in presenza del
reato di omessa dichiarazione (art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000). Per tale condotta, infatti, l’art. 5quinquies, co. 1, del d.l. n. 167 del 1990 sancisce espressamente la non punibilità in ipotesi di
perfezionamento della procedura di v.d. (sul punto, v. infra). Laddove si ritenesse operante il
raddoppio dei termini, l’attività accertativa potrebbe andare a colpire all’indietro sino, al massimo,
all’annualità d’imposta 2003;
in secondo luogo, va specificato se il raddoppio dei termini trovi o meno applicazione in presenza
del reato di dichiarazione infedele (art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000). Anche per tale condotta, infatti,
è esclusa, ex lege, la punibilità in base all’art. 5-quinquies, co. 1, del d.l. n. 167 del 1990 (sul punto,
v. infra). Laddove si ritenesse operante il raddoppio dei termini, l’attività accertativa potrebbe
andare a colpire all’indietro sino, al massimo, all’annualità d’imposta 2005;
Ebbene, la nostra opinione è che esigenze di coerenza sistematica impongano di escludere, in
entrambi i casi surrichiamati, l’applicabilità del raddoppio dei termini. Ed infatti, se viene meno, per
espresso riconoscimento del legislatore, la rilevanza penale della fattispecie e, con essa, la punibilità del
reato (ossia il presupposto che ha determinato la proroga dei termini per l’accertamento tributario),
diventa proibitivo dare giustificazione all’allungamento dei termini dell’accertamento.
3
Il raddoppio vale anche, impropriamente, per le attività detenute in Lussemburgo (più in generale, il raddoppio si applica
per tutti i paesi di cui ai dd.mm. 4 maggio 1999 e 21 novembre 2001.
9
Resta comunque che:
-
-
nel momento in cui la richiesta è presentata vi sono delle annualità che si pongono oltre gli
ordinari termini che debbono considerarsi come potenzialmente non ancora scadute, perché il
contribuente potrebbe essere incorso nel reato di infedele dichiarazione e/o di omessa
dichiarazione (dal che potrebbe farsi derivare la necessità di mettere a disposizione tutta la
documentazione anche per quelle annualità);
nel momento in cui la procedura si perfeziona, i reati vengono meno per effetto di quanto disposto
all’art. 5-quinquies, co. 1, il che dovrebbe determinare l’illegittimità degli atti appena pagati,
basandosi il raddoppio sulla sussistenza degli anzidetti reati.
Non può sfuggire, poi, altra rilevantissima problematica.
I confini tra dichiarazione infedele (art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000 4) e dichiarazione fraudolenta
mediante altri artifici (art. 3 del medesimo decreto) sono tutt’altro che nitidi, tanto più in casi in cui lo
stesso fatto della detenzione di somme all’estero potrebbe essere valorizzato (ed è valorizzato da molte
Procure) per ritenere che si sia concretizzata la fattispecie di reato più grave, quella cioè di cui al
menzionato art. 3.
Il che non solo determina incertezza sugli effetti della procedura da un punto di vista penale, ma
contribuisce a rendere ancora più problematica la valutazione cui è tenuto chi intenda aderire, il quale non
ha la certezza che la v.d. non si trasformi in un clamoroso autogoal: alla comunicazione dei dati potrebbe
infatti seguire non solo l’accertamento anche degli anni che si ritenevano prescritti (qualora si opti per
l’interpretazione or ora caldeggiata), ma, addirittura, l’incriminazione per un reato che si riteneva di non
aver commesso.
Infine, dubbi anche sul termine per l’irrogazione delle sanzioni per le violazioni da monitoraggio di cui
all’art. 20 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, il quale prevede che <<l’atto di contestazione di cui
all’articolo 16, ovvero l’atto di irrogazione, devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31
dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione o nel diverso termine previsto
per l’accertamento dei singoli tributi>>. Anche qui, l’Agenzia delle Entrate ritiene che il termine vada
individuato nel quinto anno successivo, sicché risulterebbero non ancora scaduti il 2003, se opera il
raddoppio, il 2009, negli altri casi. Viceversa, la Cassazione (cfr. sent. n. 24009 del 2013) ritiene che il
termine debba coincidere con quello dell’accertamento, e quindi sarebbero aperti, rispettivamente, il 2004
e il 2009.
Insomma, notevoli sono i dubbi con riferimento alle annualità per le quali la v.d. opera. Ci
sembrerebbe, dunque, opportuno, in ragione del fatto che per le attività collocate in territori a fiscalità
privilegiata opera già il raddoppio, prevedere che, nelle altre situazioni, gli anni a fronte dei quali occorra
autodenunciarsi siano solo quelli non ancora scaduti tenendo a riferimento i termini ordinari
dell’accertamento. Si potrebbe quindi aggiungere una lettera c) nel primo comma dell’art. 5-quinquies di
4
L’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000 dispone che <<fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre
anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette
imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente:
a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro cinquantamila;
b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi
fittizi, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è
superiore a euro due milioni>>.
10
questo tenore: <<Nei confronti di colui che presta la collaborazione volontaria ai sensi dell’articolo 5-quater:
…; c) non opera il raddoppio dei termini previsto dall’articolo 43, comma 3, del d.p.r. 29 settembre 1973, n.
600>> 5.
Una tale scelta, in coerenza con quanto previsto nell’ordinamento (si pensi al succitato art. 12 del d.l.
n. 78 del 2009):
i) non premierebbe coloro che hanno collocato le proprie attività estere in paradisi fiscali;
ii) semplificherebbe la disciplina della v.d.;
iii) incentiverebbe i potenziali interessati all’emersione alla v.d.
6.
Sulle modalità della definizione. La sostanziale inopponibilità degli atti dell’amministrazione:
eclatante violazione dell’art. 24 Cost. Inoltre, sul versamento in unica soluzione e sul divieto di
compensazione: chi aderisce alla v.d. deve pagare tutto e subito senza compensare, chi viene
scoperto invece può usufruire della rateazione e del diritto a compensare. Palese irragionevolezza
della disposizione. La discutibile previsione della comunicazione, in ogni caso, all’autorità giudiziaria
della conclusione della procedura di collaborazione volontaria.
Passiamo, ciò detto, all’esame delle modalità della definizione.
Innanzitutto, va ricordato che:
-
-
il già citato art. 5-quater, co. 1, lett. b), prevede che chi attiva la procedura deve <<versare in unica
soluzione le somme dovute, in base all'avviso di accertamento ai sensi dell'articolo 15 del decreto
legislativo 19 giugno 1997, n. 218, entro il termine per la proposizione del ricorso, ovvero le somme
dovute in base all'accertamento con adesione entro venti giorni dalla redazione dell'atto, oltre alle
somme dovute in base all'atto di contestazione o al provvedimento di irrogazione delle sanzioni per
la violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all'articolo 4, comma 1, entro il termine per la
proposizione del ricorso, ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472,
senza avvalersi della compensazione prevista dall'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997,
n. 241>>;
l’art. 5-quinquies, co. 6, stabilisce che <<se il contribuente destinatario dell’atto di contestazione
non versa le somme dovute nei termini previsti dall’articolo 5-quater, comma 1, lettera b), la
procedura di collaborazione volontaria non si perfeziona e non si producono gli effetti di cui ai
commi 1, 3 e 5 del presente articolo. L’Agenzia delle Entrate notifica, anche in deroga ai termini di
cui all’articolo 20, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, un nuovo atto di
contestazione con la rideterminazione della sanzione entro il 31 dicembre dell’anno successivo a
quello di notifica dell’avviso di accertamento o a quello di redazione dell’atto di adesione o di
notifica dell’atto di contestazione>>.
Il meccanismo pare essere dunque il seguente: il contribuente presenta l’istanza (la cui bozza, come si
è detto, è già disponibile) all’Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Accertamento, Ufficio Centrale per il
Contrasto agli illeciti fiscali internazionali (UCIFI). Le Direzioni Provinciali competenti emetteranno poi
5
L’esclusivo riferimento all’art. 43, co. 3, del d.p.r. n. 600 del 1973 si spiega in ragione dell’ipotizzata non estendibilità degli
accertamenti da v.d. a comparti impositivi diversi da quello reddituale. In tal senso, peraltro, la proposta di modifica posta al
termine del par. 3. Qualora si ritenesse che la v.d. possa valere anche ai fini Iva, occorrerebbe menzionare nella norma proposta
anche l’art. 57, co. 3, del d.p.r. n. 633 del 1972.
11
avviso di accertamento, per quel che concerne i redditi sottratti a tassazione, e atti di
contestazione/provvedimenti di irrogazione delle sanzioni per le violazioni alla normativa sul monitoraggio
fiscale.
In altri termini, l’UCIFI, individuato dall’Agenzia delle Entrate come soggetto destinatario delle richieste
(a tanto l’Agenzia è facoltizzata dall’art. 5 sexies, co. 1), dovrebbe inviare le istanze e la documentazione
correlata alle singole Direzioni Provinciali, le quali mantengono, in assenza di esplicita previsione normativa,
le competenze accertativo-sanzionatorie loro attribuite dalla legge.
Veniamo, ciò detto, ai profili di criticità della previsione normativa.
Il primo riguarda le modalità con cui l’amministrazione avanza le proprie pretese nei confronti di
colui/coloro che abbiano attivato la procedura.
Intendiamo riferirci a questo.
Come si è visto al contribuente vengono notificati avvisi di accertamento e atti di contestazione. La
formulazione della norma è tale per cui non si preclude al contribuente il contraddittorio, sia perché,
evidentemente, nulla impedisce alla Direzione Provinciale di convocare quest’ultimo prima della notifica
degli atti impositivo-sanzionatori (nella norma, tuttavia, non si obbliga a tanto l’amministrazione), sia
perché è possibile presentare i) istanza di accertamento con adesione nei confronti degli accertamenti 6 o ii)
atti di deduzioni difensive 7 a fronte degli atti di contestazione 8.
6
L’istanza di accertamento con adesione può essere presentata ai sensi dell’art. 6, co. 2, del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, il
quale prevede che <<il contribuente nei cui confronti sia stato notificato avviso di accertamento o di rettifica, non preceduto
dall’invito di cui all’articolo 5, può formulare anteriormente all’impugnazione dell’atto innanzi la commissione tributaria provinciale,
istanza in carta libera di accertamento con adesione, indicando il proprio recapito, anche telefonico>>.
7
La presentazione di atti di deduzioni difensive a fronte degli atti di contestazione è regolata dall’art. 16, co. 4, del d.lgs. 18
dicembre 1997, n. 472, il quale dispone che <<se non addivengono a definizione agevolata, il trasgressore e i soggetti obbligati in
solido possono, entro lo stesso termine, produrre deduzioni difensive. In mancanza, l'atto di contestazione si considera
provvedimento di irrogazione, impugnabile ai sensi dell'articolo 18>>.
8
Al contraddittorio, tuttavia, qualora l’Ufficio non convochi preventivamente il contribuente, si arriva perdendo il diritto di
definire le sanzioni ad un sesto del minimo edittale, per gli accertamenti, e correndo il rischio di perdere il diritto alla definizione ad
un terzo per le sanzioni da monitoraggio.
Per quanto riguarda la definizione delle sanzioni ad un sesto del minimo edittale, si veda l’art. 15, co. 2-bis, del d.lgs. n. 218
del 1997, il quale prevede che <<fermo restando quanto previsto dal comma 1, le sanzioni ivi indicate sono ridotte alla metà se
l'avviso di accertamento e di liquidazione non è stato preceduto dall'invito di cui all'articolo 5 o di cui all'articolo 11. La disposizione
di cui al periodo precedente non si applica nei casi in cui il contribuente non abbia prestato adesione ai sensi dell'articolo 5-bis e con
riferimento alle maggiori imposte e alle altre somme relative alle violazioni indicate nei processi verbali che consentono l'emissione
degli accertamenti di cui all'articolo 41-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive
modificazioni, e all'articolo 54, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive
modificazioni>>. A sua volta, il co. 1 dell’art. 15 cit., richiamato dal co. 2-bis, dispone che <<le sanzioni irrogate per le violazioni
indicate nell'articolo 2, comma 5, del presente decreto, nell'articolo 71 del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di
registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, e nell'articolo 50 del testo unico delle
disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni, approvato con decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, sono
ridotte a un terzo se il contribuente rinuncia ad impugnare l'avviso di accertamento o di liquidazione e a formulare istanza di
accertamento con adesione, provvedendo a pagare, entro il termine per la proposizione del ricorso, le somme complessivamente
dovute, tenuto conto della predetta riduzione. In ogni caso la misura delle sanzioni non può essere inferiore ad un terzo dei minimi
edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo>>.
Per quanto riguarda la definizione delle sanzioni da monitoraggio ad un terzo, si veda l’art. 16, co. 3, del d.lgs. n. 472 del 1997,
il quale prevede che <<entro il termine previsto per la proposizione del ricorso, il trasgressore e gli obbligati in solido possono
definire la controversia con il pagamento di un importo pari ad un terzo della sanzione indicata e comunque non inferiore ad un
terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo. La definizione agevolata impedisce l'irrogazione
delle sanzioni accessorie>>.
12
Il passaggio, tuttavia, è estremamente delicato, dato che, qualora non si convinca l’amministrazione
della fondatezza delle proprie osservazioni e quindi l’Ufficio confermi le risultanze degli avvisi di
accertamento-atti di contestazione notificati, al contribuente che voglia ottenere gli effetti della v.d.
parrebbe inibita nei fatti l’impugnazione degli atti impositivi-sanzionatori. Quest’ultima, infatti, si
perfeziona con il versamento: i) entro i venti giorni successivi alla sottoscrizione dell’atto di accertamento
con adesione, che non è impugnabile; ii) entro il termine per la presentazione del ricorso nei confronti
dell’avviso di irrogazione delle sanzioni che faccia seguito alle deduzioni difensive presentate.
Insomma, si faccia il seguente caso, tutt’altro che di scuola, in un contesto in cui le attività finanziarie
sono sottoposte a regimi impositivi variegati e tutt’altro che semplici da individuare9:
-
-
-
-
la Direzione Provinciale delle Entrate notifica un avviso di accertamento e/o un atto di
contestazione che il contribuente ritiene illegittimo, dato che la pretesa che scaturisce dai dati
comunicati spontaneamente all’amministrazione dovrebbe, secondo il contribuente, essere più
contenuta;
il contribuente decide, pur nella consapevolezza di perdere il diritto alla definizione delle sanzioni
ad un sesto del minimo edittale, di presentare istanza di accertamento con adesione a fronte
dell’avviso di accertamento e/o atto di deduzioni difensive a fronte dell’atto di contestazione;
si addiviene quindi al contraddittorio, ma l’Ufficio, peraltro consapevole che l’adesione alla
procedura si perfeziona con il pagamento di quanto risulta dai propri atti, respinge tutte le
osservazioni del contribuente;
a quel punto il contribuente, che voglia ottenere gli effetti della v.d., è costretto ad addivenire ad
un accordo o, comunque, a pagare l’avviso di irrogazione delle sanzioni;
l’atto di accertamento con adesione (con certezza) e l’avviso di irrogazione delle sanzioni pagato in
acquiescenza (con qualche dubbio in più) non sono però impugnabili.
Ci sembra quindi perfino eclatante la violazione dell’art. 24 Cost.: il meccanismo dell’adesione alla
procedura di collaborazione volontaria non contempla che possa finire di fronte al giudice la
determinazione della pretesa operata dal fisco, in quanto erronea e/o infondata.
Chi non paga non ha diritto agli effetti della v.d., potendo esclusivamente, con tutti i rischi del caso,
impugnare gli atti impositivi-sanzionatori per chiedere al giudice: i) la rideterminazione della pretesa e ii) la
rimessione in termini per poter perfezionare la procedura. Si tratterebbe, comunque, di strada piuttosto
impervia.
Ci sembra quindi necessario aggiungere al comma 6 dell’art. 5 sexies, dopo il primo, il seguente
periodo: <<La procedura si perfeziona anche nei confronti di coloro che abbiano impugnato gli atti
impositivi e sanzionatori emessi dall’Agenzia delle Entrate, purché si proceda al pagamento delle somme
dovute sulla base della sentenza passata in giudicato entro venti giorni dalla notificazione da parte
dell’Agenzia delle entrate del prospetto recante gli importi da versare comprensivi dei maggiori interessi nel
frattempo maturati, >>.
Qualche perplessità genera anche la previsione della necessità di pagare in unica soluzione senza
possibilità alcuna di compensare. È il caso di ricordare, infatti, che il provvedimento non ha matrice
condonistica, dato che gli aderenti alla procedura pagano tutte le imposte che avrebbero comunque
9
Cfr. sul punto il recente contributo di M. PIAZZA, Voluntary disclosure: ridotti margini di convenienza da valutare in
prospettiva, in Il fisco, 2014, p. 713 e s., laddove si individuano nove diversi regimi impositivi in ragione delle differenti attività
finanziarie detenute.
13
corrisposto qualora avessero regolarmente dichiarato le somme espatriate. Per quale ragione dunque
impedire non solo la rateazione, ma anche la compensazione con crediti che l’Amministrazione stessa ha la
possibilità di controllare nella loro sussistenza ed effettività?
Si verifica poi una situazione paradossale: il contribuente che venga scoperto con degli investimentiattività all’estero derivanti da evasione ha il diritto di dilazionare il pagamento delle somme dovute,
compensandole con i crediti che abbia a disposizione; chi, invece, si autodenuncia aderendo alla procedura
di v.d. deve pagare tutto e subito senza poter compensare il debito con il credito che abbia legittimamente
a disposizione. La previsione è quindi palesemente irragionevole, generandosi da essa effetti discriminatori
difficilmente compatibili con il principio di eguaglianza.
Infine, l’art. 5-quater, co. 4, a mente del quale <<entro 30 giorni dai versamenti indicati al comma 1,
lettera b), l’Agenzia delle Entrate comunica all’autorità giudiziaria competente la conclusione della
procedura di collaborazione volontaria>>. Si tratta, anche qui, di disposizione che ci sembra criticabile: per
quale motivo vanno comunicati all’autorità giudiziaria anche le definizioni che non rilevano sul piano
penale? Perché questa differenza rispetto a quanto normalmente accade? Perché chi è scoperto con delle
somme all’estero la cui evasione-detenzione non rilevi penalmente non vede segnalata la sua posizione
all’autorità giudiziaria, chi invece si autodenunci vede comunicato il suo nome alla Procura? Forse che il
legislatore ritiene che quest’ultima debba sottoporre a controllo quanto fatto dall’Agenzia delle Entrate in
ragione della pericolosità sociale degli evasori che abbiano portato il frutto dell’evasione all’estero,
autodenunciandosi per questo? Forse che chi ha già definito la propria posizione con l’Agenzia può essere
sottoposto ad un controllo da parte della Guardia di Finanza in veste di polizia giudiziaria tutte le volte che
la Procura intenda effettuare un qualche approfondimento su quella specifica situazione?
7.
Soggetti non ammessi alla procedura (art. 5 quater, co. 2).
In base al co. 2 dell’art. 5-quater, l’attivazione della procedura di collaborazione volontaria è preclusa
ogniqualvolta la richiesta sia stata presentata dopo che l’autore della violazione degli obblighi di
dichiarazione di cui all’art. 4, co. 1 abbia avuto <<formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o
dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, per violazione di
norme tributarie, relativi alle attività di cui al comma 1>>.
Non solo.
La preclusione suddetta trova applicazione <<anche nelle ipotesi in cui la formale conoscenza delle
circostanze di cui al primo periodo è stata acquisita da soggetti solidalmente obbligati in via tributaria o da
soggetti concorrenti nel reato>>.
E’ infine previsto dall’art. 5-quater, co. 2 cit. che <<la richiesta di accesso alla collaborazione volontaria
non può essere presentata più di una volta, anche indirettamente o per interposta persona>>.
Non ci sembra che tale disciplina presenti particolari profili problematici, anche se appare non
pienamente convincente la scelta di collegare l’esclusione alla formale conoscenza di accessi, ispezioni,
verifiche etc. <<acquisita da soggetti solidalmente obbligati in via tributaria o da soggetti concorrenti nel
reato>>.
14
8.
Gli effetti del perfezionamento. Penali
Sul piano degli effetti connessi all’adesione alla v.d., l’art. 5-quinquies, co. 1, del d.l. n. 167 del 1990
(rubricato <<effetti della procedura di collaborazione volontaria>>), nel disporre che <<nei confronti di colui
che presta la collaborazione volontaria ai sensi dell’articolo 5-quater:
a) è esclusa la punibilità per i delitti di cui agli articoli 4 e 5 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n.
74;
b) le pene previste per i delitti di cui agli articoli 2 e 3 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 sono
diminuite fino alla metà>>,
prevede, a seconda della diversa gravità dei reati in gioco, un duplice effetto.
Procediamo, dunque, con ordine.
Per quanto concerne i reati di dichiarazione infedele (art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000) e di omessa
dichiarazione (art. 5 del d.lgs. n. 74 del 200010), il perfezionamento della procedura di dichiarazione
volontaria determina il venir meno della rilevanza penale della condotta. Ciò significa che, a fronte di fatti
che, normalmente (ossia al di fuori dei casi di adesione alla v.d.), configurerebbero condotte penalmente
rilevanti, la procedura di collaborazione volontaria, alla stregua di un’esimente, depotenzia, sul piano degli
effetti, il reato tributario, il quale diventa, pertanto, non punibile.
Diverso è il discorso per quanto riguarda i delitti di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o
altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 del d.lgs. n. 74 del 200011) nonché di dichiarazione
fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 del d.lgs. n. 74 del 200012). Per essi, infatti, il perfezionamento
della procedura di collaborazione volontaria comporta, a beneficio del soggetto che abbia aderito alla v.d.,
un’attenuante, consistente nella riduzione fino alla metà delle pene previste.
Il co. 2 dell’art. 5-quinquies cit. prevede, inoltre, che <<le disposizioni di cui al comma 1 si applicano
limitatamente alle condotte relative agli imponibili riferibili alle attività costituite o detenute all’estero>>.
10
L’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000 prevede che:
<<1. E' punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non
presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l'imposta evasa è superiore, con
riferimento a taluna delle singole imposte a euro trentamila.
2. Ai fini della disposizione prevista dal comma 1 non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni
dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto>>.
11
L’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000 prevede che:
<<1. E' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore
aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette
imposte elementi passivi fittizi.
2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o
documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell'amministrazione
finanziaria>>.
12
L’art. 3 del d.lgs. n. 74 del 2000 prevede che: <<1. Fuori dei casi previsti dall'articolo 2, è punito con la reclusione da un anno
e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, sulla base di una falsa rappresentazione
nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l'accertamento, indica in una delle
dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi,
quando, congiuntamente:
a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila;
b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi
fittizi, è superiore al cinque per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è
superiore a euro un milione>>.
15
Anche in tal caso, la formulazione della disposizione pone taluni problemi.
Il principale ostacolo che mi sembra di poter ravvisare all’applicazione della nuova disciplina 13 è
rappresentato dagli effetti pregiudizievoli che l’autodenuncia potrebbe comportare.
Come si è detto, infatti, v’è un rischio, concreto e non immediatamente escludibile, che l’adesione alla
v.d. per una condotta astrattamente riconducibile, in base ad una valutazione effettuata dal contribuente,
nell’ambito della dichiarazione infedele ex art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000 (non punibile in presenza
dell’autodenuncia) determini, per effetto della diversa valutazione della notitia criminis, l’incriminazione
per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici ex art. 3 del d.lgs. n. 74 del 2000
(perseguibile, sia pure con una pena attenuata).
In assenza di significativi interventi sul testo normativo (si potrebbe, per evitare tale conseguenza,
prevedere che il perfezionamento della v.d. determini anche la non punibilità del reato di cui al citato art.
3), il profilo di rischiosità sopra evidenziato costituirà un forte deterrente all’applicazione della disciplina in
discussione da parte dei soggetti il cui comportamento omissivo risulti rilevante penalmente sulla base dei
criteri indicati dal d.lgs. n. 74 del 2000.
Senza contare che, per i reati non espressamente richiamati dal d.l. n. 4 del 2014, l’assenza di una
previsione espressa in merito agli effetti connessi all’adesione alla v.d. dovrebbe determinare la
perseguibilità della condotta illecita, con il conseguente venir meno dell’effetto premiale previsto, per i
reati di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, dal neo introdotto art. 5-quinquies, co. 1, del d.l. n.
167 del 1990.
A ciò si aggiunga che nulla dice la norma in merito ai reati commessi in qualità di amministratori di
società, ponendo, di fatto, un ulteriore freno (oltre a quelli già evidenziati sopra) all’applicazione della v.d.
da parte di quei soggetti che abbiano costituito le attività all’estero per il tramite di società partecipate.
Sempre sul piano interpretativo, ulteriori dubbi sono posti dal mancato coordinamento tra
l’attenuante consistente nella riduzione fino alla metà delle pene previste in corrispondenza della v.d. e la
riduzione fino ad 1/3 (alla metà, fino al 17 settembre 2011) della pena contemplata, al ricorrere di
particolare circostanze, dall’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000 14. Si tratta, infatti, di stabilire se le due
attenuanti siano destinata a operare in concorso l’una con l’altra o se, viceversa, la prima risulti assorbente
rispetto all’altra.
13
Si tratta di aspetto evidenziato da A. IORIO E S. MECCA, Effetti penali della voluntary disclosure, in Il fisco, 2014, p. 723 e s.
L’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000 prevede che:
<<1. Le pene previste per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino ad un terzo e non si applicano le pene
accessorie indicate nell'articolo 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi
ai fatti costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o
di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie.
2. A tale fine, il pagamento deve riguardare anche le sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme tributarie,
sebbene non applicabili all'imputato a norma dell'articolo 19, comma 1.
2-bis. Per i delitti di cui al presente decreto l’applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale
può essere chiesta dalle parti solo qualora ricorra la circostanza attenuante di cui ai commi 1 e 2.
3. Della diminuzione di pena prevista dal comma 1 non si tiene conto ai fini della sostituzione della pena detentiva inflitta con
la pena pecuniaria a norma dell'articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689>>.
14
16
9.
Gli effetti del perfezionamento: riduzione delle sanzioni da monitoraggio.
Sul piano degli effetti della procedura di collaborazione volontaria, l’art. 5-quinquies del d.l. n. 167 del
1990 prevede, al co. 3, che <<le sanzioni di cui all'articolo 5, comma 2, sono determinate, ai sensi
dell'articolo 7, comma 4, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, nella misura pari alla metà del
minimo edittale se: a) le attività vengono trasferite in Italia o in Stati membri dell'Unione europea e in Stati
aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo che consentono un effettivo scambio di informazioni
con l'Italia inclusi nella lista di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 settembre 1996, e successive
modificazioni, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 220, del 19 settembre 1996; ovvero b) le attività
trasferite in Italia o nei predetti Stati erano o sono ivi detenute; ovvero c) l'autore delle violazioni di cui
all'articolo 5-quater, comma 1, fermi restando gli adempimenti ivi previsti, rilascia all'intermediario
finanziario estero presso cui le attività sono detenute un'autorizzazione a trasmettere alle autorità
finanziarie italiane richiedenti tutti i dati concernenti le attività oggetto di collaborazione volontaria e allega
copia di tale autorizzazione, controfirmata dall'intermediario finanziario estero, alla richiesta di
collaborazione volontaria. Nei casi diversi da quelli di cui al primo periodo, la sanzione è determinata nella
misura del minimo edittale, ridotto di un quarto>>.
Ebbene, ci sembra utile sottolineare come, sul piano degli effetti connessi all’attenuazione della
pretesa sanzionatoria, la disciplina di v.d. non possa che qualificarsi come scarsamente appetibile.
Ai molteplici ed insidiosi rischi connessi all’autodenuncia non fa senz’altro da contraltare la sin troppo
timida riduzione delle sanzioni che è stata tratteggiata dal legislatore del d.l. n. 4 del 2014.
Viene pertanto da domandarsi, dalla lettura del decreto, per quale ragione il contribuente dovrebbe
confidare in un effetto premiale così scarsamente gratificante, per di più accompagnato da uno scarno e
discontinuo corredo di garanzie.
Non è inutile segnalare, in questa prospettiva, che nella norma di comportamento dell’Associazione
Italiana dei dottori commercialisti ed esperti contabili n. 185 del 1 settembre 2012, avente ad oggetto
<<Modulazione delle sanzioni in caso di inadempimento alle disposizioni di segnalazione delle attività
estere nel quadro RW del modello unico>>, si è specificato che <<nel caso di integrazione della
dichiarazione dei redditi entro il termine di accertamento del relativo periodo di imposta e prima dell’avvio
di controlli da parte dell’Amministrazione Finanziaria al fine di sanare l’ omissione o la parziale
compilazione del quadro RW, si applica esclusivamente la sanzione fissa di euro 258 e non quella
proporzionale prevista dal decreto legge n. 167 del 1990. Laddove la mancata compilazione del quadro RW
riguardi unicamente la sezione III in relazione ai trasferimenti dall’estero all’Italia ovvero dall’Italia
all’estero nei quali siano intervenuti intermediari finanziari residenti, nessuna sanzione potrà essere
irrogata giusta la conoscenza, da parte dell’Amministrazione finanziaria, dei dati in questione
indipendentemente dall’obbligo dichiarativo>>.
Non è questa la sede per soffermarsi sulla fondatezza di una siffatta interpretazione, mai condivisa
dall’Agenzia. Quel che si intende evidenziare è che si trattava di lettura delle disposizioni che non si
palesava come sicuramente infondata (anzi, si può dire che essa fosse maggiormente in linea con il
principio di proporzionalità), sicché accadeva che:
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prima del varo della v.d., il contribuente che si fosse manifestato al fisco presentando le
dichiarazioni integrative complete dei dati relativi alle attività ed investimenti poteva sostenere, di
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fronte ad un giudice, anche sulla scorta dell’anzidetta autorevole presa di posizione, che le
sanzioni previste non dovessero trovare applicazione, se non nella misura minima di euro 258,00;
in vigenza della v.d. il contribuente che si autodenunci può contare solo sulla riduzione della
sanzione del 50 o del 25 per cento, sempreché si verifichino le condizioni di cui all’art. 5-quinquies,
co. 3.
A ciò si aggiunga che, come visto, la sanzione da monitoraggio può essere irrogata, secondo l’Agenzia,
a tutti coloro che avessero la disponibilità dell’attività estera. Capita, quindi, che, per le attività detenute in
un paradiso fiscale (es. Svizzera) da, per esempio, 4 soggetti (2 cointestatari del conto, marito e moglie, due
delegati, i figli) le sanzioni irrogabili vanno dal 6 al 30 per cento (in precedenza, dal 10 al 50 per cento,
prima ancora, dal 5 al 25 per cento) delle somme detenute nel conto al 31 dicembre di ogni anno per
ognuno dei soggetti che, secondo l’Agenzia, avrebbe dovuto compilare il quadro RW. La penalità minima
applicabile è dunque pari all’incredibile percentuale del 24 per cento (6 per cento per quattro soggetti), che
si dimezzerebbe per effetto del perfezionamento della v.d. Il tutto per non aver dichiarato al fisco delle
somme portate all’estero che potrebbero anche non derivare da evasione. È pur vero, può applicarsi il
beneficio della continuazione, ma l’art. 5 quinquies, co. 5, stabilendo che <<il procedimento di irrogazione
delle sanzioni per le violazioni degli obblighi di dichiarazione di cui all’articolo 4, comma 1, è definito ai sensi
dell’articolo 16 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. Il confronto previsto dall’articolo 16,
comma 3, del decreto legislativo n. 472 del 1997 è operato tra il terzo della sanzione indicata nell’atto e il
terzo della somma dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi o, se più favorevole, il terzo della
somma delle sanzioni più gravi determinate ai sensi del comma 3>>, nei fatti impedisce che il pagamento al
terzo previsto dall’art. 16 da ultimo citato possa avvenire sull’unica sanzione (ridotta del 50 per cento ai
sensi del comma 3) determinata secondo le regole del cumulo giuridico. Nel nostro esempio quindi i
ricordati detentori finiscono per pagare il terzo della somma delle sanzioni rideterminate al 50 per cento
(se, quindi, per ipotesi e prescindendo per semplicità dal cambio delle aliquote, fossero irrogate sanzioni
per un complessivo 12 per cento per 3 anni, i contribuenti dovrebbero pagare il 12 per cento delle attivitàinvestimenti detenuti all’estero, a cui si aggiungono imposte, sanzioni e interessi sui redditi evasi con cui
sono state costituite le attività estere).
Non sarebbe meglio dunque prevedere che chi aderisce alla procedura debba pagare tutte le imposte,
gli interessi e le sanzioni connessi all’evasione (per i paradisi fiscali opera, peraltro, come si è visto, una vera
e propria presunzione che le somme detenute all’estero derivino da redditi sottratti a tassazione), ma nulla
debba a titolo di sanzioni sul monitoraggio (o debba comunque una somma calcolata in misura forfettaria)?
Infine, merita evidenziare che anche sul piano delle condizioni previste ai fini del beneficio della
riduzione delle sanzioni il testo normativo presta il fianco a talune critiche:
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in primo luogo, la disposizione dovrebbe essere corretta, laddove essa sembrerebbe prevedere un
ostacolo all’applicazione della disciplina di v.d. in tutti i casi in cui, in violazione delle norme di
monitoraggio fiscale, si sia già provveduto al rimpatrio delle somme;
in secondo luogo, la previsione suddetta dovrebbe essere temperata, laddove essa sembra
disporre, in situazioni caratterizzate dal mancato rimpatrio totale delle somme (ad esempio
laddove il contribuente abbia dimenticato di rimpatriare anche solo un euro del <<bottino>>
detenuto all’estero), la caducazione degli effetti premiali;
per quanto riguarda la condizione di cui alla lettera <<c>> summenzionata, è il caso di fare
presente che l’art. 271 del Codice penale svizzero stabilisce che <<chiunque, senza esservi
autorizzato, compie sul territorio svizzero per conto di uno Stato estero atti che spettano a poteri
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pubblici; … è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria e, in casi
gravi, con una pena detentiva non inferiore a un anno>>, con ciò inibendo agli intermediari
finanziari di scambiare informazioni con le Autorità estere. La conseguenza è che l’eventuale
autorizzazione rilasciata dall’autore delle violazioni che abbia attivato e perfezionato la procedura
all’intermediario finanziario svizzero parrebbe destinata a rimanere priva di efficacia.
10. Il reato per dichiarazioni false e il ruolo del professionista.
Con l’art. 5-septies del d.l. n. 167 del 1990 (rubricato “esibizione di atti falsi e comunicazione di dati
non rispondenti al vero”), il legislatore ha introdotto, nelle maglie del nostro ordinamento, un nuovo reato,
connesso alla collaborazione volontaria.
La disposizione surrichiamata prevede, segnatamente, che <<chiunque, nell’ambito della procedura di
collaborazione volontaria, esibisce o trasmette atti o documenti falsi in tutto o in parte ovvero fornisce dati
e notizie non rispondenti al vero è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni>>.
Non v’è dubbio che con l’espressione <<chiunque>> si pongano, in primo luogo, sotto i riflettori i
professionisti i quali, avendo ricevuto uno specifico incarico da parte dei contribuenti, si collochino,
all’interno della procedura di v.d., in posizione di intermediari nei rapporti tra questi ultimi e
l’Amministrazione finanziaria.
Ebbene, pur condividendo l’esigenza di prevedere particolari forme di cautela a fronte dell’effetto
premiale connesso all’emersione di attività finanziarie o patrimoniali costituite o detenute al di fuori del
territorio dello Stato, ci sembra che una reazione tanto estrema e grave da parte dell’ordinamento non
possa che comportare un effetto marcatamente dissuasivo nei confronti dell’adozione della v.d.
In fin dei conti, la previsione normativa non considera con sufficiente attenzione che i professionisti
che, a qualsiasi titolo, si facciano carico di esibire ovvero di trasmettere atti o documenti per conto del
contribuente potrebbero, non per propria negligenza, ignorare la falsità (totale o parziale) degli stessi.
Lo snodo della questione, in definitiva, è il seguente: mantenere la previsione di una punizione
credibile (quantunque temperata), ma attenuare la stessa in maniera tale da farvi concorrere, anche nel
rispetto del principio di proporzionalità, soltanto i soggetti che, scientemente, abbiano esibito o trasmesso
all’amministrazione finanziaria documentazione artefatta, ovvero abbiano fornito alla stessa notizie o dati
falsi, con prova, da parte dell’Amministrazione stessa, della cattiva fede che ha caratterizzato l’operato del
professionista-intermediario. Altrimenti non resterà ai professionisti che tutelarsi, facendo depositare
personalmente ai clienti tutti i documenti sui cui si fondi la v.d.: ci sarà sempre, tuttavia, qualcuno che
penserà che l’aver fatto depositare ad altri i documenti sia la prova più eclatante della colpevolezza del
consulente.
La norma, in conclusione, andrebbe riformulata nei termini seguenti: <<l’autore delle violazioni di cui
all’articolo 4, comma 1, che, nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria, esibisce o trasmette
atti o documenti falsi in tutto o in parte ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al vero è punito con la
reclusione da un anno e sei mesi a sei anni>>. Il professionista che abbia contribuito fattivamente al reato
risponderà sulla base delle normali regole del concorso.
L’esigenza di attenuare la previsione in esame va letta anche alla luce degli obblighi di segnalazione di
operazioni sospette che già incombono sui professionisti per effetto della disciplina di cui al d.lgs. n. 231 del
2007, con la quale, in ogni caso, la disposizione di cui all’art. 5-septies del d.l. n. 167 del 1990 dovrebbe
essere coordinata (evidentemente, per i soli soggetti ai quali si applica la disciplina di cui al d.lgs. n. 231 del
2007).
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11. Riepilogo e considerazioni sull’appeal dell’istituto.
La disciplina normativa quale risulta dal d.l. n. 4 del 2014 presenta svariati profili di criticità, dato che:
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quanto ai soggetti, la norma non è soddisfacente per quel che riguarda la mancata previsione del
fatto che le sanzioni da monitoraggio non possano essere irrogate a soggetti diversi rispetto a chi
abbia attivato la procedura;
quanto ai soggetti, la norma è palesemente carente, laddove nulla dice in merito alla possibilità
dell’amministrazione di accertare, sulla base dei dati messi a disposizione del contribuente, anche
le società e gli enti partecipati da chi abbia aderito alla procedura;
quanto all’oggetto della regolarizzazione, la norma genera indiscutibili complicazioni laddove si
obbliga il contribuente a dare conto della fonte dell’evasione e dei prelievi/utilizzi del conto;
quanto all’oggetto della regolarizzazione, la norma è del tutto insoddisfacente sia perché risente
dei dubbi e delle perplessità derivanti dal controverso istituto del raddoppio dei termini
dell’accertamento, sia perché non sono chiari gli effetti derivanti dall’esimente per i reati di
dichiarazione infedele e dichiarazione omessa sul raddoppio stesso;
quanto al procedimento, la norma genera perplessità di ordine costituzionale sia nella parte in cui
rende particolarmente impervia la strada della tutela giurisdizionale per chi voglia comunque fare
salvi gli effetti della v.d., sia nella parte in cui obbliga al pagamento in unica soluzione senza
possibilità di compensazione;
quanto agli effetti, notevoli sono i dubbi e le perplessità sia per quel che concerne gli effetti penali
che quelli dal lato amministrativo;
quanto alla nuova norma incriminatrice, essa si palesa come eccessiva e squilibrata, laddove non
si riferisce all’autore della violazione ex art. 4, co. 1, del d.l. n. 167 del 1990, così rendendo
particolarmente delicata la posizione del professionista che, oltretutto, non ha modo di sottoporre
a controllo quanto consegnatogli dal cliente.
Siamo ben lontani quindi da quella chiarezza e perspicuità delle disposizioni che dovrebbe/potrebbe
indurre molti soggetti ad attivare alla procedura.
A ciò si aggiunga il costo particolarmente elevato della regolarizzazione, soprattutto per chi ha allocato
le attività in paesi <<opachi>> (tra cui la vicina Svizzera).
Interessanti, in questa prospettiva, le simulazioni apparse il 28 gennaio scorso su Il Sole 24 Ore (V.
VALLEFUOCO, Nei paesi <<opachi>> il conto è molto alto, p. 15), nel presupposto che le somme espatriate,
ipotizzate pari ad un milione di euro, derivino da evasione. Ebbene, con un’aliquota Irpef, comprensiva di
addizionali, del 44 per cento, con un aliquota Iva del 20 e Irap del 4 per cento e con attività che abbiano
reso ogni anno l’1 per cento:
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per chi abbia evaso in un periodo non più accertabile, per esempio il 2000, sarebbero dovute
imposte, interessi e sanzioni per circa 110.000 euro;
per chi abbia evaso redditi assoggettabili unicamente ad Irpef in un periodo ancora aperto
(nell’esempio il 2011), sarebbero dovute imposte, interessi e sanzioni per euro 590.000 circa;
per chi abbia evaso redditi nell’esercizio di un’attività professionale collocando le somme in un
paradiso fiscale (ma lo stesso dovrebbe potersi dire per l’imprenditore individuale), il costo sale a
960.000 circa;
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per chi abbia evaso redditi nell’esercizio di un’attività professionale collocando le somme in un
altro paese dell’Unione (ma lo stesso dovrebbe potersi dire per l’imprenditore individuale), il costo
si attesterebbe sui 930.000 euro.
Riteniamo, quindi, tutto ciò considerato che, in assenza di radicali modifiche, la voluntary disclosure
sarà utilizzata, a voler essere ottimisti, solo da coloro che non abbiano assoggettato a tassazione le somme
trasferite all’estero in anni non più soggetti ad accertamento.
Eppure, ci sembra che, per preservare la matrice (giustamente) non condonistica della disciplina
restituendo ad essa appeal, risulterebbe sufficiente rivedere le disposizioni alla luce dei seguenti criteri
direttivi:
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per chi abbia trasferito all’estero somme evase in anni accertabili (senza l’ausilio del raddoppio dei
termini connesso alle fattispecie di reato), e non per altri soggetti, collettivi o meno, a costui
collegati, l’imposta andrebbe pagata senza sconto alcuno;
l’unica imposta dovuta dovrebbe essere l’Irpef, cui vanno aggiunte le relative addizionali;
va previsto che gli interessi debbano comunque essere corrisposti;
le sanzioni amministrative andrebbero o eliminate o determinate in misura forfettaria,
distinguendo ovviamente tra quelle relative al monitoraggio e quelle relative all’evasione
reddituale;
la non punibilità dovrebbe essere prevista per tutti i reati tributari, ad eccezione della
dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 del d.lgs. n.
74 del 2000).
Traspare invece dall’articolato del d.l. n. 4 del 2014 un atteggiamento scopertamente punitivo nei
confronti dei potenziali aderenti alla procedura, evidentemente considerati già condannati, senza
alternative, finalmente all’angolo. È ovvio, si potrebbe sostenere che non manchino le ragioni per nutrire
sentimenti di avversione nei confronti di chi ha violato il patto sociale; tali inclinazioni, tuttavia, non
debbono prevalere, giacché, altrimenti, i provvedimenti legislativi diventano inefficaci e velleitari. Si
modifichi quindi il decreto, per non accorgersi, tra qualche anno, che l’effetto della v.d. è stato quello di
indurre molti di quelli che sarebbero stati disposti a regolarizzare la propria posizione a ricongiungersi con
quei soldi che in fondo, potrebbe pensare lo scaltro ma impaurito evasore, sono lì all’estero ad aspettare
che il loro padrone li raggiunga.
Andrea Giovanardi
Università di Trento
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