Quaderni acp

Quaderni acp
www.quaderniacp.it
bimestrale di informazione politico-culturale e di ausili didattici della
A ssociazione
www.acp.it
C ulturale
P ediatri
ISSN 2039-1374
I bambini e il cibo
La redazione di “Quaderni acp” augura ai lettori, alle loro
famiglie e alle famiglie dei loro assistiti, un Felice 2015
novembre-dicembre 2014 vol 21 n°6
Poste Italiane s.p.a. - sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art 1, comma 2, DCB di Forlì - Aut Tribunale di Oristano 308/89
La Rivista è indicizzata in SciVerse Scopus
Quaderni acp
Website: www.quaderniacp.it
November-December 2014; 21(6)
A charter for the rights of the dying child:
“Carta di Trieste”
Marcello Orzalesi
Tomorrow is arriving
Paolo Siani
Q uaderni
bimestrale di informazione politico-culturale e di ausili didattici della
Associazione
OSAS in paediatrics
Giovanni Carlo De Vincentiis, Emanuela Sitzia,
Maria Laura Panatta
Tonsils and adenoids: “a cohabiting couple”
Costantino Panza, Stefania Manetti,
Antonella Brunelli
252 Informing parents
Breastfeeding and cognitive abilities,
language and motor skills at 18 months of age
Red
253 Community corner
A survey about the living conditions of children
of 18-30 months of age and their families
in Italian regions (January 2014 - December 2015)
Giuseppe Cirillo
254 Research letters
The same path for all the children screened?
The cystic fibrosis example
Sergio Conti Nibali
257 Forum
Multidisciplinary Team for mother and child care:
a tool for integrated health care
Antonella Liverani, Teresa Ilaria Ercolanese,
Enrico Valletta
260 Public health
Born for Music
Angelo Spataro
264 Mental health
Hepatitis A in developing countries:
a problem of transition
Enrico Valletta, Martina Fornaro
Culturale
Pediatri
Presidente Paolo Siani
241 Editorial
244 Formation at a distance (FAD)
acp
Direttore
Michele Gangemi
Direttore responsabile
Franco Dessì
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Amministrazione
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via Montiferru 6, 09070 Narbolia (OR)
Tel. / Fax 078 57024
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Direttore
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Antonella Brunelli
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Costantino Panza
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Maria Francesca Siracusano
Maria Luisa Tortorella
Enrico Valletta
Federica Zanetto
Casi didattici
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Giuseppe Cirillo
Antonio Clavenna
Carlo Corchia
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Programmazione Web
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PUBBLICAZIONE ISCRITTA
NEL REGISTRO NAZIONALE
DELLA STAMPA N° 8949
Ignazio Bellomo
© ASSOCIAZIONE CULTURALE PEDIATRI
ACP EDIZIONI NO PROFIT
Organizzazione
Progetto grafico
265 A window on the world
LA COPERTINA
“Suspense”, Charles Burton Barber (1845-1894), olio su tela. Art Gallery, Gran Bretagna.
I read because I write
Giancarlo Biasini
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quadre e numerate seguendo l’ordine di citazione. Negli articoli della FAD la bibliografia va elencata in ordine alfabetico, senza numerazione.
Esempio 1): Corchia C, Scarpelli G. La mortalità infantile nel 1997. Quaderni acp 2000;5:10-4.
Nel caso di un numero di Autori superiore a tre, dopo il terzo va inserita la dicitura et al. Per i libri
vanno citati gli Autori secondo l’indicazione di cui sopra, il titolo, l’editore, l’anno di edizione.
Esempio 2): Bonati M, Impicciatore P, Pandolfini C. La febbre e la tosse nel bambino. Il Pensiero
Scientifico, 1998. Un singolo capitolo di un libro va citato con il nome dell’Autore del capitolo,
inserito nella citazione del testo.
Esempio 3): Tsitoura C. Child abuse and neglect. In: Lingstrom B, Spencer N. Social Pediatrics.
Oxford University Press, 2005.
Per qualsiasi ulteriore dettaglio si invita a fare riferimento a uno degli articoli già pubblicati sulla
rivista.
267 A close up on progress
The reform of filiation
Augusta Tognoni
268 The child and the legislation
An almost accidentally diagnosis
Paolo Siani, Claudia Mandato,
Francesco Esposito, et al.
271 Learning from a case
274 Info
276 Book
278 Forasustainableworld
Pollution and children’s health: how pediatricians’
knowledge has changed and what families want to know
Giacomo Toffol
Psychotropic drugs in children: there is
a gap between research and clinical practice
Daniele Piovani, Antonio Clavenna
279 Farmacipì
Rotavirus vaccination
Rosario Cavallo
280 Vaccinacipì
281 Movies
282 Meeting synopsis
283 The world of postgraduate
Comunication-relation skills training
in paediatric residency:
the experience of the Catholic University in Rome
Michele Gangemi, Patrizia Papacci
285 Letters
287 Index (2014)
– Gli articoli vengono sottoposti in maniera anonima alla valutazione di due o più revisori. La
redazione trasmetterà agli autori il risultato della valutazione. In caso di non accettazione del
parere dei revisori, gli autori possono controdedurre.
È obbligatorio dichiarare l’esistenza o meno di un conflitto d’interesse. La sua eventuale esistenza non
comporta necessariamente il rifiuto alla pubblicazione dell’articolo.
Quaderni acp 2014; 21(6): 241-242
La Carta dei diritti del bambino morente:
“Carta di Trieste”
Marcello Orzalesi
Comitato tecnico-scientifico della Fondazione Maruzza Lefebvre D’Ovidio Onlus; Comitato per la Bioetica della Società Italiana di Pediatria
Su iniziativa della Fondazione Maruzza
Lefebvre D’Ovidio Onlus, è stata recentemente pubblicata, sia in italiano che in
inglese, e resa disponibile sul sito della
Fondazione (www.maruzza.org) la “Carta
dei diritti del bambino morente” (Carta di
Trieste) a cura di un gruppo di esperti di
varia estrazione (medici, infermieri, psicologi, filosofi, eticisti, giudici): Franca
Benini, Paola Drigo, Michele Gangemi,
Elvira Silvia Lefebvre D’Ovidio. Pierina
Lazzarin, Momcilo Jankovic, Luca Manfredini, Luciano Orsi, Marcello Orzalesi,
Valentina Sellaroli, Marco Spizzichino,
Roberta Vecchi. Una prima versione del
documento è stata discussa e sottoposta al
vaglio di un gruppo di 38 esperti italiani
riuniti in una Consensus Conference tenutasi a Roma il 15 aprile 2013, dove sono
stati raccolti pareri, suggerimenti e correzioni da parte dei partecipanti. La successiva versione, tradotta in inglese, è stata
revisionata da 10 reviewers internazionali, esperti in cure palliative pediatriche, le
cui critiche, correzioni e suggerimenti
sono stati incorporati nella versione definitiva sia italiana che inglese.
La Carta analizza i bisogni del bambino
morente, ne definisce i diritti e propone le
modalità di risposta alle necessità fisiche,
psicologiche, relazionali, etiche e spirituali sue e di coloro che gli sono a fianco.
Essa sottolinea che l’avvicinarsi della
morte non comporta la sospensione dei
diritti della “persona”, ma, al contrario, ne
aumenta il valore, date la fragilità del
bambino e la complessità della situazione.
Va pertanto considerata come uno strumento di riflessione e una guida di comportamento a cui attingere per ricavarne
indicazioni, spunti e risposte applicabili a
ogni bambino e a ogni situazione, nell’ottica di rispettare nella realtà clinica, sempre e ovunque, i diritti del bambino
morente.
Il documento si compone di una prima
parte intitolata “Glossario”, che definisce
il significato di alcuni termini utilizzati
nel testo, il cui valore semantico va ricondotto alla realtà del minore e al contesto
del termine della vita.
In una seconda parte sono elencati i
10 diritti fondamentali dei bambini che si
avvicinano alla fine della loro esistenza: a
ogni diritto corrisponde una serie di doveri che costituiscono la modalità più appropriata per garantirne il pieno rispetto
(box).
Nella terza parte sono raccolte, per ciascun diritto e dovere, alcune note esplicative, frutto di una sintesi di norme, articoli, compendi e documenti affini, di cui si
trova riferimento nella quarta parte che
riporta le voci bibliografiche più importanti.
Semplificando molto, le problematiche
affrontate dalla Carta appartengono a tre
categorie principali: quella dei diritti,
quella dei doveri e quella della comunicazione.
Riguardo alla prima categoria, quella dei
diritti, qualcuno potrebbe chiedersi se una
“Carta dei diritti del bambino morente”
sia davvero necessaria o quantomeno
utile.
In fondo, tutti i diritti elencati nella Carta
sono simili, se non identici, a quelli più
volte riconosciuti per ogni soggetto in età
evolutiva in svariati documenti ufficiali
BOX:
internazionali, a partire dalla “Convenzione sui diritti del fanciullo” dell’Assemblea delle Nazioni Unite del 1989, sottoscritti e poi incorporati nelle proprie legislazioni dai vari Stati membri, inclusa
l’Italia.
Si tratta quindi di Diritti Istituzionali che
sono contemplati, seppure in modo più
generico, anche nella Costituzione Italiana (Diritti Costituzionali).
E allora perché ribadirli in un documento
ad hoc? Tale necessità deriva dal fatto che
nel nostro Paese, ma non solo, non tutti i
Diritti Istituzionali vengono poi precisati
in Leggi o in altri Documenti ufficiali ad
hoc, e quindi tradotti nella pratica corrente, diventando così Diritti Esigibili, quelli
che il cittadino può richiedere che vengano rispettati e soddisfatti dagli organismi
competenti.
Di fatto ciò accade specialmente nei
riguardi delle fasce più deboli di cittadini,
quelli che, per scarsa conoscenza o autonomia o per l’impossibilità materiale ad
agire non possono o non riescono a ottenere ciò che spetta loro; anche perché l’e-
CARTA DEI DIRITTI DEL BAMBINO MORENTE: “CARTA DI TRIESTE”
Il bambino morente ha diritto di:
01) essere considerato “persona” fino alla morte, indipendentemente dall’età, dal
luogo, dalla situazione e dal contesto;
02) ricevere un’adeguata terapia del dolore e dei sintomi fisici e psichici che provocano sofferenza, attraverso un’assistenza qualificata, globale e continua;
03) essere ascoltato e informato sulla propria malattia nel rispetto delle sue richieste,
dell’età e della capacità di comprensione;
04) partecipare, sulla base delle proprie capacità, valori e desideri, alle scelte che
riguardano la sua vita, la sua malattia e la sua morte;
05) esprimere e veder accolte le proprie emozioni, desideri e aspettative;
06) essere rispettato nei suoi valori culturali, spirituali e religiosi e ricevere cura e
assistenza spirituale secondo i propri desideri e la propria volontà;
07) avere una vita sociale e di relazione commisurata all’età, alle sue condizioni e
alle sue aspettative;
08) avere accanto la famiglia e le persone care adeguatamente aiutate nella organizzazione e nella partecipazione alle cure e sostenute nell’affrontare il carico
emotivo e gestionale provocato dalle condizioni del bambino;
09) essere accudito e assistito in un ambiente appropriato alla sua età, ai suoi bisogni
e ai suoi desideri e che consenta la vicinanza e la partecipazione dei genitori;
10) usufruire di specifici servizi di Cure Palliative Pediatriche, che rispettino il miglior
interesse del bambino e che evitino sia trattamenti futili o sproporzionati che
l’abbandono terapeutico.
Per corrispondenza:
Marcello Orzalesi
e-mail: morzalesi@interfree.it
241
editoriale
sigibilità teorica del diritto a livello governativo spesso non si traduce in una
reale e concreta esigibilità a livello individuale.
In questo scenario le fragilità del bambino
malato e della sua famiglia, in particolare
nella fase terminale della vita, sono evidenti. Ecco quindi che un documento che
individui in modo puntuale i diritti di questa fascia di cittadini particolarmente vulnerabili può costituire un punto fermo di
riferimento per tutti coloro che, a vario
titolo, se ne devono occupare.
La seconda categoria di problemi, che
discende direttamente dalla prima, è quella dei doveri, ovvero dell’obbligo e della
capacità di far sì che tali diritti vengano
individuati, rispettati e soddisfatti in
modo adeguato.
Anche su questo versante vi sono notevoli e frequenti criticità, dovute a svariati e
complessi fattori che richiederebbero una
analisi più approfondita, non pertinente in
questa sede, ma che sono prevalentemente riconducibili a una scarsa sensibilità, a
un insufficiente impegno e a una inadeguata preparazione da parte di coloro che
dovrebbero farsene carico.
Su questo aspetto incide notevolmente
anche la scarsa applicazione della Legge
38 del 2010, che prevede il diritto di ogni
cittadino di accedere alle Cure Palliative
(CP) e alla Terapia del Dolore (TD) e
definisce in modo puntuale, facendo riferimento anche a documenti ufficiali, precedenti e successivi alla Legge, come
debba essere applicata in età pediatrica.
Infine l’importanza di una buona comunicazione. Intorno al bambino incurabile,
giunto alla fine del suo percorso di vita, si
muove un numero notevole di persone – i
genitori e tutta la famiglia, i vari professionisti della salute (medici, infermieri,
psicologi, assistenti sociali ecc.), altre
figure di supporto (volontari, insegnanti
ecc.) – che devono essere capaci di interagire sinergicamente, evitando o superando eventuali incomprensioni o conflitti, in modo convergente verso il “migliore
interesse” (the best interest) del bambino.
Pertanto una corretta e attenta comunicazione tra le varie componenti e tra queste
e il bambino rappresenta un tramite essenziale per la compiuta realizzazione di
quanto indicato nella Carta.
Nella sua semplice enunciazione, il documento offre alcuni motivi di riflessione su
problematiche di ordine bioetico e anche
organizzativo di particolare importanza
per coloro che si occupano di bambini con
malattie inguaribili, in particolare quando
il decesso sia vicino e inevitabile.
242
Quaderni acp 2014; 21(6)
Come è noto, i tradizionali princìpi etici
alla base delle decisioni cliniche sono essenzialmente quattro: non maleficenza
(primum non nocere, il più antico, di ben
nota origine ippocratica); beneficenza (fare il bene del paziente, simmetrico al precedente); autonomia (empowerment, consenso informato, di più recente introduzione soprattutto nella società occidentale); giustizia (sociale, legale, equità ecc.).
In ogni caso la premessa fondamentale è
che tali princìpi vengano utilizzati nel
“migliore interesse” (the best interest) del
bambino.
Va inoltre ribadito che il rispetto e la concreta applicazione dei suddetti princìpi
non possono prescindere da una corretta
comunicazione.
Si tratta apparentemente di un elenco che,
tuttavia, una volta tradotto nella pratica
quotidiana, può generare conflitti o
“dilemmi” di una certa importanza.
Mi riferisco in particolare a quelle situazioni in cui, tra due possibili alternative,
si vorrebbe sceglierle entrambe, ma ciò
non è possibile.
I temi del conflitto e delle scelte sono centrali nella definizione di un dilemma etico
soprattutto nel caso di un bambino inguaribile in procinto di morire.
Per esempio, per quanto riguarda il non
maleficio vs il beneficio, il dilemma principale attiene alla “astensione o interruzione” vs la “prosecuzione dei trattamenti
intensivi”. Ovvero, in determinate circostanze è lecito astenersi dai trattamenti
intensivi o sospenderli? Oppure è sempre
necessario proseguire nelle terapie intensive e invasive fino al decesso del bambino? La discriminante tra accanimento
terapeutico e desistenza terapeutica ha a
che fare con la “sacralità” della vita vs la
vita come “bene disponibile”.
Un’altra area potenzialmente conflittuale
riguarda la comunicazione, ovvero se
dire, quando dire, quanto e cosa dire e
come dire ai genitori e al bambino stesso,
in presenza o meno dei genitori.
Si tratta di scelte difficili e delicate nelle
quali la qualità della comunicazione e i
contenuti della informazione rivestono
un’importanza fondamentale. Ovviamente le decisioni andrebbero prese insieme
tra personale sanitario e genitori, coinvolgendo, quando possibile, il bambino; il
che non è sempre facile da realizzare.
Tutto ciò a sua volta impatta inevitabilmente sul principio di autonomia e di
consenso informato e sul potere decisionale del medico vs quello dei genitori, vs
quello del bambino.
Chi prende le decisioni? Il medico? I
genitori? Il bambino?
I documenti ufficiali disponibili (Convenzione di Oviedo, Convenzione ONU sui
diritti del fanciullo, Codice di Deontologia medica ecc.) non ci sono di grande
aiuto in questo senso in quanto, nel caso
di un minore, la decisione spetta generalmente ai genitori.
Vi è quindi il rischio di una eccessiva autonomia genitoriale, che a sua volta potrebbe entrare in conflitto con il “migliore
interesse” (the best interest) del bambino.
Come è stato affermato “i genitori possono sentirsi liberi di diventare martiri. Ma
ciò non significa che, necessariamente e
nelle medesime circostanze, essi siano
liberi di rendere martiri i loro figli”.
Infine, anche il principio di giustizia si presta a diverse interpretazioni. Quale giustizia? Legale? Sociale? Divina? Altro? I
dilemmi più frequenti riguardano l’uso
appropriato delle risorse e l’interesse del
singolo vs quello della società, specie
quando le risorse disponibili siano limitate.
Ed è proprio in questo ambito che gli aspetti bioetici possono entrare in conflitto
con quelli organizzativi. Infatti l’insufficiente diffusione nel nostro Paese delle Cure Palliative Pediatriche (CPP), a macchia
di leopardo e con macroscopiche differenze tra Regione e Regione, genera di fatto
intollerabili e inique disuguaglianze che
contrastano con il principio di giustizia.
Questo pur breve excursus sottolinea
come la Carta possa incontrare alcune difficoltà di ordine essenzialmente bioetico
nella sua applicazione pratica.
Ciò non deve destare meraviglia, poiché è
noto che i problemi di ordine etico, deontologico e sociale sono tanto più acuti e
complessi quanto più si ha a che fare con
situazioni che stanno tra la vita e la morte,
o che possono provocare profonde modificazioni nella vita di un individuo e della
sua famiglia, o in cui la dipendenza del
paziente nei confronti del personale di
assistenza è massimale, come accade
appunto nel caso di un bambino incurabile in procinto di morire.
È pertanto necessario che la gestione di
questi bambini sia affidata a persone
esperte nelle CPP, in grado di individuare
e tenere sempre presente quale sia il
“miglior interesse” del bambino, e adeguatamente formate, anche sotto il profilo
bioetico.
Ciò offre le migliori garanzie di poter prevenire, identificare, affrontare e possibilmente risolvere eventuali dilemmi o conflitti bioetici e applicare correttamente i
princìpi enunciati nella Carta. u
Quaderni acp 2014; 21(6): 243
Il domani che verrà
Paolo Siani
Presidente ACP
Al termine del XVI Congresso Nazionale dell’ACP tenutosi a Cesena, dove si è parlato del
domani che verrà, e stimolato dalle ottime relazioni ascoltate e dalla tavola rotonda dal
titolo “Dove va la pediatria” a cui hanno partecipato il Vicepresidente della SIP e il Presidente della FIMP, che hanno espresso un parere molto positivo sul documento ACP relativo al futuro della pediatria in Italia, vorrei
fare con voi soci e con i lettori di Quaderni
acp una considerazione e una riflessione su
dove va la pediatria, e a chi interessa oggi
investire veramente sull’infanzia.
Vorrei partire dalle considerazioni del Presidente della SIP Giovanni Corsello, che invita
a una riflessione rigorosa sui risultati ottenuti
dalla “sanità delle Regioni”, partendo dai dati
che evidenziano disomogeneità a dir poco
sconcertanti rispetto a questioni cruciali per
la tutela della salute dei bambini.
E in particolare Corsello afferma che «il
Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale
2012-2014 non è bastato a superare il disorientamento per quello che nell’introduzione
veniva eufemisticamente definito “un mosaico estremamente variegato”. La “massima uniformità dell’applicazione sul territorio nazionale della diagnosi precoce neonatale”, annunciata in un comma della Legge di Stabilità
per il 2014, resta a oggi poco più che un wishful thinking. Rete punti nascita, assistenza
oncologica e cure palliative sono le faglie di
disuguaglianze semplicemente odiose, perché
si aprono là dove sono immediatamente in
gioco questioni di vita e di morte». Per non
parlare dei posti letto nei reparti di Terapia
Intensiva Neonatale (TIN), che in molte aree
del Paese sono largamente inferiori a quelli
previsti dagli standard internazionali.
«I bambini italiani, oggi, non sono tutti uguali di fronte all’articolo 32 della Costituzione e
purtroppo la Regione nella quale sono nati e
vivono “fa la differenza” dal punto di vista
della qualità delle prestazioni offerte», come
sottolinea il Rapporto Verifica Adempimenti
LEA 2012, pubblicato il 2 luglio 2014 a cura
della Direzione Generale programmazione
sanitaria del Ministero della Salute.
Tutte considerazioni vere e pienamente condivisibili, considerando anche, come ci ricorda Giancarlo Biasini, che la prima ipotesi del
Governo Renzi era di modificare il Titolo V
per fare cessare l’anomalia dei 21 sistemi sanitari uno per ogni Regione.
Ora la Commissione Affari costituzionali del
Senato ha approvato una nuova versione del
Titolo V e tutte le modifiche che riguardavano gli articoli 117 e 118 della Costituzione
rafforzano le competenze delle Regioni
rispetto al testo governativo. In particolare le
modifiche lasciano agli enti locali il potere di
legiferare su “pianificazione del territorio
regionale [...], programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali [...], istruzione e formazione professionale”. Quindi
salvano l’obbrobrio dei 21 servizi regionali. Il
ridicolo viene raggiunto con la introduzione
di una clausola di salvaguardia: “il Governo
può intervenire a tutela dell’interesse nazionale” che difficilmente riguarderà la sanità.
Insomma rimarranno i 21 sistemi sanitari
regionali. Gli esempi riportati dalla SIP si
potrebbero moltiplicare.
Il gruppo CRC nel 7° Rapporto sul monitoraggio della Convenzione sui Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (www.gruppocrc.net) riporta che solo l’11,8% dei bambini
sotto i 3 anni di età ha avuto accesso ai nidi
comunali e l’1,6% ai servizi integrativi.
Inoltre viene segnalata la mancanza di un
sistema di raccolta dati inerenti all’infanzia e
all’adolescenza in Italia.
ACP alcuni mesi fa ha inviato un appello al
premier, chiedendo di investire sull’infanzia,
sui bambini che nascono oggi, nel 2014.
ACP chiede al Governo, al Parlamento e a
tutti i decisori politici locali e territoriali:
– di promuovere senza rinvii ulteriori un
piano di sostegno alle politiche per l’infanzia;
– che si effettui un’analisi specifica di tutti i
fondi statali e regionali destinati all’infanzia e che tali fondi siano erogati in modo
equo, tenendo conto dei bisogni della
popolazione infantile in tutte le Regioni
italiane;
– che l’Italia, come per esempio la Germania, investa sugli asili nido;
– che le risorse per i servizi all’infanzia
siano storicizzate ed erogate con continuità, perché una politica fatta di stanziamenti “una tantum” non favorisce la creazione di un sistema a supporto della famiglia e dei bambini.
Concordiamo con la SIP che quello che occorre è in realtà un ripensamento radicale
degli esiti della “regionalizzazione” del siste-
ma sanitario, per fermare la tendenza alla
divaricazione fra le Regioni ed evitare che il
cerino di servizi inadeguati o semplicemente
inesistenti resti nelle mani dei soggetti più
poveri e vulnerabili.
Crediamo che sia giunto il momento di uscire
allo scoperto e, senza alcuna difesa di categoria, di chiedere alla politica di occuparsi dell’infanzia.
La Commissione europea ha recentemente
affermato, come ricorda anche Arianna Saulini (coordinatrice del network CRC, Medico
e Bambino 2014;33(6):348-9), che bisogna
necessariamente investire sull’infanzia se si
vuole spezzare davvero il circolo vizioso
dello svantaggio sociale.
La recente ricostituzione dell’Osservatorio
nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, decisa dal ministro Poletti, è una buona notizia in
tal senso.
In ambito prettamente sanitario chiediamo
che ci si avvii rapidamente verso un’unica
figura di pediatra delle cure primarie con funzioni assistenziali e preventive rivolte al singolo e alla comunità e che gli ospedali vengano riorganizzati in base a diversi livelli di
intensità di cura con l’istituzione di terapie
semintensive pediatriche, ripensando a nuove
funzioni per quelle Unità operative di piccole
dimensioni e all’individuazione di strutture di
2°-3° livello che garantiscano la presenza
delle subspecialità pediatriche.
La proposta che vogliamo avanzare è quella
di rompere gli indugi e chiedere tutti insieme,
superando confini e ideologismi sterili, al
Presidente del Consiglio di accendere i riflettori sull’infanzia. Del resto ha iniziato il suo
incarico recandosi nelle scuole elementari e
incontrando bambini e maestre. Ora chiediamo di incontrare tutti gli operatori che si
occupano di infanzia nel solo interesse di salvaguardare la salute dei bambini.
La notizia, appresa mentre scrivo queste
righe, di assegnare alle neomamme dal prossimo gennaio 80 euro al mese fino al terzo
anno di vita del bambino ci sembra una buona
notizia, ma da sola non è sufficiente.
Noi sappiamo che se si investe sull’infanzia
sarà tutta la società ad avere benefici, non
subito, non adesso, ma tra dieci o venti anni.
Questo dovrebbe essere il salto di qualità
della politica di oggi: investire sul futuro e
pensare al domani che verrà. u
Per corrispondenza:
Paolo Siani
e-mail: presidente@acp.it
243
Quaderni acp 2014; 21(6): 244-251
OSAS in età pediatrica
Giovanni Carlo De Vincentiis, Emanuela Sitzia, Maria Laura Panatta
UOC di Otorinolaringoiatria, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù” - IRCCS, Roma
GLOSSARIO
OSAS: obstructive sleep apnea syndrome
OSA: obstructive sleep apnea
RDI: respiratory distress index
AHI: apnea hypoapnea index
AI:
apnea index
QoL: quality of life
ODI: oxygen distress index
CPAP: continuous positive air pressure
AT:
adenotonsillectomia
UARS: upper airways resistance syndrome
ALTE: Apparent Life - Threatening
Events
ADHD: disturbo da deficit di attenzione/iperattività
DRS: disturbi respiratori del sonno
I disturbi respiratori nel sonno (DRS)
comprendono una varietà di condizioni
riassumibili in:
• russamento primario: non si accompagna ad apnea, ipoventilazione e/o a frequente risveglio;
• sindrome da aumento delle resistenze
delle alte vie aeree (UARS): incremento
negativo della pressione intratoracica
durante la inspirazione e aumento delle
resistenze delle alte vie respiratorie; russamento e sonno frammentato in assenza di apnee; può essere associata ai sintomi neurocomportamentali dell’OSAS;
• ipoventilazione ostruttiva: ostruzione
parziale delle alte vie che causa il russamento ma non determina apnee e
provoca un incremento della CO2
durante la maggior parte del sonno in
assenza di patologia polmonare;
• OSAS: parziali ostruzioni delle vie
aeree superiori con russamento e/o
ostruzioni complete (apnee) che determinano ipossiemia, sonno disturbato e
sintomi diurni.
Epidemiologia
L’OSAS rappresenta l’entità più severa
nello spettro dei disturbi respiratori nel
sonno: la sua prevalenza in età pediatrica
oscilla tra il 2 e il 3%; maggiore è la prevalenza del russamento abituale, compresa tra l’8 e il 27%. In letteratura gran
parte dei lavori è incompleta o con indici variabili, tali da rendere difficile ogni
tipo di comparazione; le caratteristiche
dei campioni esaminati, la metodologia
utilizzata per lo studio e la scala del
grado di severità dei disturbi rappresentano le principali cause di discordanza:
nella maggior parte degli studi epidemiologici il numero degli episodi di apnea e
ipopnea ostruttiva per ora di sonno rappresenta il criterio per stabilire il grado di
severità dell’OSA, definita come:
– OSA lieve: 1 episodio di apnea/ipopnea per ora di sonno
– OSA media: 1-5 episodi di apnea/ipopnea per ora di sonno
– OSA grave: 5 o piu episodi di apnea/
ipopnea per ora di sonno.
Marcus C e coll. sottolineano che l’incidenza dell’OSA in età pediatrica è
compresa tra l’1 e il 3%, interessando
bambini di tutte le età, dai lattanti agli
adolescenti; mentre Villa MP e coll., in
relazione all’Italia, dimostrano una prevalenza in età pediatrica più bassa, in
particolare del 4,9% di russatori abituali
e dell’1,8% di bambini con OSAS.
Clinica
Sintomo principale di OSAS in età
pediatrica è rappresentato dal russamento notturno abituale, che si manifesta
cioè per più di tre notti alla settimana; è
però riconoscibile un corredo di segni e
sintomi maggiori, sia notturni che diurni,
riportati in tabella 1.
Segni tipici sono la respirazione orale persistente, le difficoltà all’addormentamento e l’assunzione di posizioni atipiche
durante il sonno allo scopo di ridurre l’ostruzione percepita a livello delle vie
aeree superiori. Durante le ore diurne i
piccoli pazienti affetti da OSAS sono
spesso iperattivi, irritabili; possono presentare disturbi neurocomportamentali in
TABELLA 1: SEGNI E SINTOMI MAGGIORI
IN PAZIENTI CON SINDROME DELLE APNEE
OSTRUTTIVE DEL SONNO E FATTORI PREDISPONENTI
Sintomi
– Impegno respiratorio nel sonno
– Episodi osservati di apnea
– Enuresi
– Dormire in posizione seduta o con
iperestensione del capo
– Cianosi
– Sonnolenza diurna
– Deficit di attenzione e iperattività
e/o disturbi dell’apprendimento
– Cefalea al risveglio
Segni
– Sovrappeso o sottopeso
– Ipertrofia tonsillare
– Facies adenoidea
– Micrognatia
– Retrognatia
– Palato ogivale
– Ritardo di crescita
– Ipertensione
Condizioni di rischio
– Afroamericani
– Rinite allergica
– Asma
– Prematurità
– Condizioni neurologiche (paralisi cerebrale o disordini neuromuscolari)
– Sindromi craniofacciali
– Sindrome di Down
– Disturbi rari come acondroplasia e
mucopolisaccaridosi
(da Marcus CL, et al., 2012)
grado di influire negativamente sul rendimento scolastico e sulle capacità relazionali. In una percentuale relativamente
congrua di bambini con OSAS (14,3%)
sono presenti anomalie epilettiformi
intercritiche (IEDs) all’elettroencefalografia (EEG); queste anomalie generalmente si registrano sulle regioni centrotemporali, suggerendo una somiglianza
con le IEDs riscontrate nell’epilessia
benigna. La presenza di IEDs durante il
Per corrispondenza:
Maria Laura Panatta
e-mail: marialaurapanatta@libero.it
a distanza
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formazione a distanza
sonno può influenzare negativamente le
capacità di apprendimento, soprattutto per
quello che riguarda gli aspetti attentivi,
comportamentali e le componenti della
memoria verbale; per tale motivo si può
ipotizzare che alcune alterazioni neurocognitive di questi bambini siano legate alla
presenza di IEDs all’EEG di sonno.
La patologia è associata, inoltre, a ritardo di crescita, ipertensione, disturbi cardiaci e a uno stato di infiammazione cronica sistemica, verosimilmente dipendente da uno stato di stress ossidativo
secondario agli eventi notturni intermittenti di ipossia e riossigenazione.
Il ritardo di crescita è molto frequente e
la causa non è ancora stata del tutto
dimostrata: si ipotizzano una difficoltà di
alimentazione secondaria all’ipertrofia
adenotonsillare, un aumento dell’attività
metabolica per lo sforzo respiratorio
durante il sonno, e infine un’alterazione
della regolazione ormonale con riduzione della secrezione notturna dell’ormone
della crescita e del fattore di crescita
insulino-simile.
La prevalenza di eccessiva sonnolenza
diurna nella popolazione pediatrica con
OSAS varia dal 13% al 20% ed è spesso
condizionata dall’obesità, anche se può
essere mascherata dall’agitazione diurna
con iperattività e disattenzione, sintomi
che mimano una sindrome da ADHD,
presente in comorbidità in circa il 30%
dei bambini affetti da OSAS severa.
Le complicanze cardiovascolari hanno
un impatto sia immediato sulla salute del
bambino sia sulla prognosi a distanza:
sono numerosi gli studi che hanno riportato nei bambini con OSAS un aumento
della pressione arteriosa, ipertensione
polmonare con cuore polmonare, ipertrofia del ventricolo sinistro con conseguente disfunzione ventricolare, aritmie, aterosclerosi, malattia coronarica precoce,
in associazione a un aumento della risposta rapida all’insulina, dislipidemia, e
disfunzione endoteliale, con aumento del
rischio cardiovascolare. La disfunzione
diastolica del ventricolo sinistro nei
bambini con OSAS severo è associata ad
alti livelli sierici di proteina C reattiva,
che rispecchia uno stato infiammatorio
sistemico. I pochi studi che hanno valutato il sistema nervoso autonomo hanno
evidenziato un aumento della pressione
diastolica sia in veglia che in sonno e un
aumento dell’attività del sistema nervoso
Quaderni acp 2014; 21(6)
FIGURA
1: GRADING TONSILLARE (DA I A IV GRADO IN RELAZIONE ALLA PARCENTUALE
DI OCCUPAZIONE DELL’OROFARINGE)
simpatico. I test cardiovascolari diurni
hanno dimostrato un’ampia variazione di
pressione al passaggio dal clino all’ortostatismo e una minor variabilità cardiaca
durante l’inspirazione profonda. Il meccanismo fisiopatologico comune a tutte
queste alterazioni cardiovascolari è la
presenza di una condizione di stress ossidativo e di aumentata produzione delle
specie reattive dell’ossigeno che, direttamente e indirettamente, promuovono lo
sviluppo e la progressione della disfunzione, ipertrofia e rimodellamento del
ventricolo sinistro.
Diagnosi
L’ipertrofia adenotonsillare rappresenta,
come detto, la causa che maggiormente
contribuisce allo sviluppo dell’OSAS in
bambini privi di comorbidità.
Tuttavia non tutti i bambini che presentano ipertrofia adenotonsillare soffrono di
disturbi del respiro nel sonno ed è convinzione comune che non vi sia stretta
correlazione tra il grado dell’ipertrofia
delle strutture linfatiche e la severità del
quadro ostruttivo respiratorio, per il
ruolo giocato da altri fattori (figura 1). È
comprensibile quindi l’importanza che
rivestono una corretta indicazione chirurgica e la conoscenza di quei fattori
anatomo-funzionali in grado di predire la
possibilità di una non completa risoluzione post-chirurgica dei DRS, con la
necessità di ricorrere a trattamenti complementari.
Nonostante ciò, non esiste ancora oggi
un consenso interdisciplinare sulla ne-
cessità di effettuare uno studio polisonnografico (PSG) pre-chirurgico a conferma del quadro clinico di OSAS, sebbene
molti lavori abbiano dimostrato la scarsa
corrispondenza tra la diagnosi clinica, la
presenza e la gravità dei DRS rilevati
mediante polisonnografia. Se l’American
Academy of Pediatrics (AAP) raccomanda l’esecuzione di test obiettivi per definire correttamente l’indicazione chirurgica alla adenotonsillectomia, le Linee
Guida elaborate dall’American Academy
of Otolaryngology-Head and Neck Surgery (AAO-HNS), pur riconoscendo alla
PSG il ruolo di gold-standard per la diagnosi dei DRS in età pediatrica, ritengono che l’esame stesso sia “unnecessary
(or not necessary) to perform in every
case and does not establish the effects of
the sleep disorders on the child’s wellbeing”.
Anche tra gli specialisti appartenenti all’American Society of Pediatric Otorhinolaringology (ASPO) vi sono difformità di comportamento: in uno studio
che analizza il management pre e postoperatorio di bambini affetti da DRS, la
maggior parte degli intervistati ha risposto di procedere all’intervento di adenotonsillectomia sulla base del quadro clinico e anamnestico, quando questo sia
suggestivo di DRS, senza chiedere conferma diagnostica all’esecuzione di una
PSG e anche a dispetto dei risultati della
PSG stessa. Scelta che riflette anche la
difficoltà di gran parte degli intervistati
nell’accedere ai laboratori del sonno dedicati alla pediatria, il che motiva il
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ricorso allo studio polisonnografico solo
per quei bambini appartenenti a categorie a rischio: pazienti di età inferiore ai
3 anni; affetti da obesità, patologie neuro-muscolari, trisomia 21, anomalie cranio-facciali, nelle quali sia prevedibile
una problematica respiratoria perioperatoria e post-chirurgica. In virtù dei tempi
di attesa troppo lunghi per l’effettuazione
di una polisonnografia, tempi di attesa altrettanto lunghi per un’adenotonsillectomia e necessità di consentire una priorità
chirurgica ai bambini affetti da OSAS,
Nixon GM e coll. hanno validato un sistema di scoring ossimetrico notturno in
grado di identificare la severità del quadro di desaturazione ossiemoglobinica e
di offrire un criterio di priorità chirurgica
e di assistenza perioperatoria ai bambini
maggiormente a rischio (figura 2).
Per quanto riguarda i parametri respiratori utili alla diagnosi di OSA, l’American Academy of Sleep Medicine distingue gli eventi respiratori in apnee centrali, ostruttive, miste e ipopnee. L’apnea
ostruttiva è definita come una caduta >
90% dell’ampiezza del flusso oronasale
per più del 90% dell’intero evento, associata a movimenti del torace e dell’addome e della durata di almeno due atti
respiratori. L’apnea centrale è definita
come l’assenza di flusso con cessazione
dello sforzo respiratorio della durata di
almeno 20 secondi o di almeno 2 respiri,
associati ad arousal, un risveglio o a una
desaturazione > 3%. Le apnee miste sono
definite come apnee che cominciano
solitamente con un pattern centrale e terminano con un pattern ostruttivo. Un
evento può infine essere definito ipopnea
se si verifica una riduzione del segnale
della traccia del flusso oronasale > 50%
della durata di almeno 2 atti respiratori e
deve essere associato ad arousal, o a
risveglio e/o a desaturazioni > 3%, con
movimenti di tipo paradosso a livello
toraco-addominale.
Si definisce indice di distress respiratorio
(RDI) il numero di apnee, ipopnee ed
eventi respiratori legati ad arousal, per
ora di sonno. Un indice di apnea ostruttiva (AI) > 1 eventi/ora è da considerarsi
patologico, mentre per RDI i valori normativi variano a seconda degli studi, ma
di solito si considera patologico un valore superiore a 1,5 eventi/ora.
Qualora non sia possibile effettuare una
PSG, bisognerebbe prescrivere un test
Quaderni acp 2014; 21(6)
FIGURA
2: CLASSIFICAZIONE DEI DRS SECONDO MCGILL
diagnostico alternativo come una registrazione video notturna, una pulsossimetria notturna, una registrazione polisonnografica completa diurna ridotta
(NAP) o una registrazione cardiorespiratoria notturna.
La pulsossimetria notturna possiede
quasi tutte le caratteristiche che dovrebbero connotare un ideale test di screening
per l’OSA: facilità di esecuzione, basso
costo di attuazione, alto valore positivo di
predittività diagnostica; già Brouillette
aveva dimostrato che una registrazione
pulsossimetrica notturna contenente tre o
più clusters periodici di desaturazione,
con valori inferiori al 90%, possiede, in
bambini privi di comorbidità, un valore
predittivo di OSA molto alto, pari al 97%.
Manca all’esame un valore altrettanto attendibile di predittività negativa: un tracciato ossimetrico normale, in presenza di
un quadro clinico suggestivo di DRS,
non esclude la presenza di OSA e rende
necessario il ricorso a una PSG per formulare una diagnosi definitiva. Sempre
partendo dalla considerazione che la
PSG, pur rappresentando il metodo di
diagnosi e quantizzazione dell’OSA in
età pediatrica più accurato, presenta limi-
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tazioni correlate ai costi e alle difficoltà
di realizzazione routinaria, Jin Ye e coll.
hanno voluto valutare l’attendibilità dei
parametri di misurazione della Qualità
della Vita (QoL), sempre più utilizzata
come strumento per la valutazione dell’outcome clinico, correlandoli con i
risultati ottenuti dalle registrazioni polisonnografiche. Questo perché, nonostante da molto tempo sia stato documentato
un miglioramento della QoL dopo adenotonsillectomia, la correlazione tra il
declino degli indici polisonnografici e le
modificazioni nella QoL è molto meno
documentata.
Su questo tema le Linee Guida Nazionali
(Documento sulla appropriatezza e sicurezza degli interventi di tonsillectomia
e/o adenoidectomia), dalla prima edizione nel 2003 all’ultimo aggiornamento
del marzo 2011, hanno modificato in
modo significativo le raccomandazioni
riguardanti l’indicazione chirurgica, probabilmente per la ricorrente constatazione della scarsa predittività che i sintomi
riportati dai genitori possiedono nella
definizione di OSAS.
Nella versione più recente viene posta
attenzione alla “oggettivizzazione” del
formazione a distanza
disturbo del respiro, pur considerando
“le difficoltà di effettuazione sia tecniche
sia organizzative” della PSG. Tra le raccomandazioni si legge che:
– “nel sospetto di bambino con disturbi
respiratori nel sonno si raccomanda di
adottare un approccio diagnostico
integrato, clinico e strumentale”;
– “la valutazione della storia clinica
deve essere effettuata […] con l’ausilio di appositi questionari”;
– “la pulsossimetria notturna [...] è raccomandata come test iniziale per la
diagnosi dei DRS nel bambino”…
– “la PSG va effettuata solo quando i
risultati della pulsossimetria non sono
conclusivi in accordo con i criteri di
Brouillette”.
In definitiva si può affermare che l’integrazione tra dati clinici e strumentali è
indispensabile per definire in modo corretto l’indicazione alla adenotonsillectomia: a tutt’oggi non esistono dati sufficienti per condividere una definizione di
OSA lieve, moderata o severa in età
pediatrica, né vi è accordo per definire il
valore minimo di RDI che dovrebbe fungere da linea guida per porre indicazione
di necessità chirurgica; un valore di AHI
superiore a 5 è considerato dai più indicativo di tale necessità, ma non esiste un
valore cut-off basato sulle evidenze che
indichi l’effettiva necessità di una tonsillectomia e bambini con un AHI inferiore
a 5 possono presentare una condizione
sintomatologica severa e richiedere l’intervento. Senza considerare che l’ODI
riveste un’importanza pari all’AHI nel
testimoniare la severità dell’OSA: una
saturazione inferiore a 85% indica una
necessità chirurgica, ma anche un valore
di desaturazione moderato (92%) può
assumere rilievo patologico in presenza
di una concomitante condizione di DRS
testimoniata da un quadro clinico e
anamnestico.
Terapia
Nel primo anno di vita le problematiche
del respiro sono principalmente da attribuire a condizioni malformative, congenite o acquisite, e alla immaturità neuromuscolare che può accompagnare tali
condizioni; l’OSA nell’età adolescenziale è spesso correlata all’obesità, riconoscendo le stesse caratteristiche fisiopatologiche e sintomatologiche della sin-
Quaderni acp 2014; 21(6)
drome dell’adulto; nell’età immediatamente pre-scolare la causa che più frequentemente sottende i disturbi del respiro nel sonno è rappresentata dall’ipertrofia adenotonsillare.
Di conseguenza, le Linee Guida di ogni
Società scientifica che si sia occupata del
trattamento dell’OSA pediatrica indicano
nell’intervento di adenotonsillectomia la
“first line” della terapia chirurgica della
condizione patologica.
Da sempre, tuttavia, l’intervento di adenotonsillectomia in età pediatrica ha rappresentato motivo di discussioni e di
controversie: al ricorso poco critico a
questo intervento da parte degli specialisti ORL, soprattutto nei primi decenni
del Novecento, giustificato dal timore
delle conseguenze sistemiche delle flogosi streptococciche, ha fatto da contraltare una altrettanto indiscriminata opposizione da parte dei pediatri, in una lotta
senza quartiere ( “under any and all circumstances”).
Nel tentativo di definire criteri appropriati all’indicazione chirurgica, si può
dire che ogni specialista abbia finito con
il crearsi un proprio algoritmo decisionale, nel quale criteri rigidamente strutturati si “modellano” sulla base di esperienze
personali spesso aneddotiche. In modo
molto netto negli ultimi venti anni, in
Europa come in America, si è registrata
una complessiva riduzione del numero di
interventi di adenotonsillectomia, pur
rimanendo quest’ultima operazione la
più diffusa in età pediatrica. A questa
generale contrazione del numero delle
adenotonsillectomie pediatriche si è
aggiunta ovunque una modificazione
dell’indicazione all’intervento stesso,
sempre più raramente condizionata dalla
frequenza delle flogosi streptococciche e
sempre più indirizzata alla risoluzione
delle problematiche inerenti al respiro.
Questa tendenza era già stata registrata
da Rosenfeld e Green in un lavoro del
1990, nel quale gli Autori avevano analizzato le procedure di 1722 interventi di
adenotonsillectomia effettuati presso il
New York Medical Center in un periodo
di nove anni, compreso tra il 1978 e il
1986, dimostrando che i DRS, come
indicazione all’intervento, aumentavano
da 0 a 19%, e prevedevano che quel
trend si sarebbe ulteriormente rafforzato
con il passare del tempo e una sempre
maggiore sensibilità e attenzione verso
questo tipo di patologia.
Una conferma a quanto appena detto si
riscontra nel lavoro di Erickson, che analizza 8106 adenotonsillectomie effettuate
dal 1970 al 2005 nel territorio del Minnesota, riscontrando che nel 47,4% dei
casi (3840 bambini) l’indicazione all’intervento era stata posta sulla base delle
infezioni ricorrenti, e nel 32,4% (2628
casi) era indirizzata alla correzione dell’ostruzione delle alte vie respiratorie,
con una percentuale di pazienti (19,8%:
1607 bambini) nei quali l’indicazione era
correlata sia alle infezioni che al disturbo
del respiro nel sonno. Significativa è la
constatazione di come l’indicazione chirurgica si sia modificata nel corso degli
anni: se nel 1970 era finalizzata alla risoluzione delle flogosi tonsillari nell’88,4% dei casi, nel 2005 tale percentuale scende al 23,2%, mentre aumenta
progressivamente quella correlata all’OSAS, che nel 2005 raggiunge la stima
del 76,8%.
Resta comunque la certezza di una attenzione aumentata da parte degli specialisti
ORL verso questo problema, in linea con
una richiesta sempre più pressante di un
vantaggio clinico, sia pure ottenuto chirurgicamente, da parte dei genitori dei
bambini affetti da difficoltà respiratorie.
L’esperienza personale suffraga i dati riportati in letteratura: nel 2013, delle
1000 adenotonsillectomie effettuate
presso l’UOC di Otorinolaringoiatria del
“Bambino Gesù”, oltre il 50% aveva
come indicazione una condizione di
DRS. E oltre 700 sono stati i ricoveri per
studio dei parametri respiratori nel
sonno, su un totale di circa 2000 bambini ricoverati.
L’adenotonsillectomia rappresenta l’intervento di prima scelta nella terapia chirurgica dell’OSA in bambini privi di
comorbidità importanti: la sua efficacia
nel determinare un miglioramento nella
qualità della vita, valutato attraverso
questionari validati, sia disease-specific
QoL che global QoL, è risultata molto
alta, ancor più in studi retrospettivi basati sui sintomi descritti dai genitori dei
piccoli pazienti, nei quali la percentuale
di guarigione clinica dei DRS, a distanza
di un anno dall’intervento, è pari al
100% dei casi esaminati
Negli ultimi anni, tuttavia, studi sull’efficacia dell’adenotonsillectomia nell’OSA
pediatrica, valutata sulla base dei dati
polisonnografici ottenuti da registrazioni
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pre e post-operatorie, hanno mostrato
una percentuale alta di casi nei quali persisteva una condizione di OSA residua:
l’attenzione si è pertanto concentrata
sulla conoscenza di quali fattori siano in
grado di condizionare un insuccesso o un
successo solo parziale della terapia chirurgica.
I dati pubblicati in letteratura sul valore
medio di successo dell’adenotonsillectomia nel curare l’OSAS sono molto variabili, oscillando tale valore tra il 24 e il
100%: un gradiente così alto può essere
meglio compreso se si considera che
molti studi escludono di principio i
pazienti a più alto rischio di persistenza
di OSAS, come i bambini obesi, quelli
affetti da sindromi cranio-facciali, disordini neuromuscolari o metabolici.
Laddove lo studio escluda i bambini
obesi, le percentuali di guarigione variano da valori del 53% riportati da
Guilleminault a valori del 71% descritti
da Mitchell.
In un’analisi retrospettiva multicentrica
sugli effetti dell’adenotonsillectomia in
una popolazione di 578 bambini sintomatici per OSA e con ipertrofia adenotonsillare, Bhattacharjee, Kheirandish,
Gozal e coll. hanno focalizzato l’attenzione sulle condizioni in grado di consentire in fase pre-operatoria la previsione di una non completa risoluzione delle
problematiche respiratorie, attraverso la
registrazione polisonnografica effettuata
prima e a distanza di oltre un mese dall’intervento. I criteri dell’analisi dei
bambini, di età compresa fra 8 mesi e 18
anni (il 91,3% dei quali in età prepuberale), sono stati standardizzati, nei limiti di
quanto consentito dall’uso di sistemi di
registrazione e di rilevamento diversi fra
i vari centri.
I rilievi polisonnografici post-operatori
hanno mostrato un netto miglioramento
dell’architettura del sonno, con riduzione
dei risvegli e un aumento dell’efficacia
del sonno stesso, ma non significative
differenze nella percentuale delle fasi
REM; allo stesso modo si è registrato un
miglioramento nei maggiori indici respiratori, con una riduzione dell’AHI da
valori preoperatori di 18,2+/-21,4 per
ora, a valori post-operatori di 4,1+/6,4/ora.
L’adenotonsillectomia ha consentito una
riduzione dei valori di AHI nel 90,1% dei
bambini, ma di questi solo il 27,2% ha
Quaderni acp 2014; 21(6)
FIGURA
3: CRITERI CLASSIFICATIVI DI MALLAMPATI
mostrato una normalizzazione dei pattern respiratori, considerando un valore
soglia di AHI uguale o minore a 1/ora;
mentre una cospicua percentuale di
pazienti, pari al 21,6% (125 bambini), ha
presentato un AHI post-chirurgico maggiore di 5/ora, compreso quindi nei criteri universalmente accettati per OSAS.
Tra i fattori più significativi ai fini della
persistenza di valori elevati di AHI postchirurgico sono risultati l’età maggiore
di 7 anni, l’aumento del BMI, la severità
del quadro respiratorio prechirurgico,
con un valore di AHI superiore a 20, e la
presenza di asma.
Questo studio è probabilmente il primo a
evidenziare l’asma tra i fattori predittivi
di un possibile parziale insuccesso della
terapia chirurgica, soprattutto nei bambini non obesi; negli obesi, infatti, differentemente da quanto riscontrato nei
bambini normopeso, né la severità del
quadro apnoico (AHI elevato) né la presenza di asma condizionavano un
aumento delle percentuali di OSA residua.
Nel bambino come nell’adulto, l’obesità
gioca un ruolo importante nel favorire
l’apnea ostruttiva, per un meccanismo di
compressione ab estrinseco sulle vie
aeree superiori condizionato dall’infiltrazione adiposa dei tessuti parafaringei;
per volumi polmonari ridotti con una
minor riserva di ossigeno; per un’alterata attività metabolica indotta dall’aumento del tessuto adiposo viscerale; per il
ruolo potenziale svolto dalle leptine nella
genesi dell’OSAS.
Per questo motivo, Gozal, nella definizione dei pazienti pediatrici affetti da
OSAS, ha distinto due differenti categorie – bambini normopeso o obesi – attribuendo al secondo gruppo pattern respi-
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ratori e manifestazioni cliniche assimilabili all’OSA dell’età adulta; in questi
pazienti il rischio e la severità dell’OSA
si correlano direttamente al grado di obesità, incrementando del 12% per ogni
(1 kg/m2 di incremento del BMI) punto
di incremento dell’Indice di Massa Corporea rispetto al valore medio per fascia
di sesso e di età.
La letteratura offre molti lavori sul ruolo
svolto dal sovrappeso patologico come
fattore condizionante l’insuccesso o il
parziale successo dell’adenotonsillectomia nella risoluzione dell’OSA: in una
metanalisi condotta da Costa nel 2009,
meno del 50% dei soggetti obesi ha presentato dopo tonsillectomia un AHI inferiore a 5 eventi per ora, e solo il 25% dei
pazienti un indice di AHI inferiore a 2.
Gozal, analizzando le alterazioni metaboliche e la condizione di flogosi sistemica presente in bambini affetti da OSA
in età prepuberale, ha riscontrato un AHI
post-operatorio inferiore a 2 episodi per
ora nel 60% dei pazienti normopeso,
contro un valore nettamente inferiore
(24%) nei pazienti obesi; lo stesso valore
di AHI post-operatorio Mitchell e Kelly
lo hanno riscontrato nel 72% dei 39 bambini di peso normale e nel 24% dei 33
sovrappeso; con criteri valutativi più
severi (AHI post-operatorio inferiore o
pari a 1), Tauman su 110 bambini esaminati ha trovato una guarigione completa
nel 17% dei pazienti obesi e nel 36% di
bambini normopeso.
Sull’importanza della severità del quadro respiratorio come fattore predittivo
di non completa risoluzione chirurgica
dell’OSA insiste Jin Ye, che analizza i
risultati di uno studio condotto su 84
bambini senza comorbidità, di età compresa fra 4 e 14 anni, 45 dei quali affetti
formazione a distanza
da OSA moderata e 30 con OSA severa,
sottoposti a registrazione polisonnografica e OSA prima e dopo adenotonsillectomia, con un intervallo temporale tra le
due valutazioni di circa venti mesi. In
ogni gruppo, l’intervento di adenotonsillectomia ha portato risultati significativi, consentendo una netta riduzione dell’AHI: la guarigione completa con normalizzazione dei dati polisonnografici è
stata rilevata nel 69,0% dei casi, considerando come normale un valore di AHI
inferiore a 1 episodio per ora; se il criterio per definire la risoluzione dell’OSA
era un AHI minore di 5, la percentuale
saliva all’86,9%. OSA residua è stata
riscontrata più frequentemente nei bambini obesi e la cui condizione respiratoria
prechirurgica era severa: i parametri
respiratori si sono normalizzati (AHI
inferiore a 5) in tutti i bambini con una
condizione di OSAS pre-operatoria
lieve, mentre persisteva un AHI superiore a 5 nel 4,4% dei bambini con OSA
moderata e nel 30% di pazienti con OSA
pre-operatoria severa.
Shintani analizza, tra i fattori che possono sottendere l’OSA e condizionare un
risultato chirurgico non risolutivo, le
caratteristiche morfologiche cranio-facciali. Analizzando 134 bambini operati
presso l’Ospedale Universitario di Sapporo, l’Autore rileva che sono predisposti a una incompleta guarigione i pazienti con ipertrofia adenotonsillare di minor
grado, ma con cavo rinofaringeo più
stretto e minor protrusione mandibolare:
più in particolare, rappresentano fattori
prognostici negativi alcuni rilievi cefalometrici, come un minor valore di PNS-A
(distanza fra la spina nasale posteriore e
la superficie delle adenoidi) e di SNB
(angolo descritto dalla linea che unisce
sella, nasion e punto sopramentoniero).
Tra le caratteristiche strutturali rilevabili
a un attento esame obiettivo, Guilleminault sottolinea l’importanza dei fattori
che riducono la pervietà nasale, come le
deviazioni stenosanti del setto nasale e
l’ipertrofia dei turbinati, ma soprattutto
la necessità di valutare, in fase di impostazione del programma chirurgico, oltre
al grado di ipertrofia tonsillare, anche
l’ampiezza dell’orofaringe secondo i criteri classificativi di Mallampati, fattore
prognostico importante per la possibile
persistenza di OSA post-operatoria (figura 3). A dispetto infatti di un migliora-
Quaderni acp 2014; 21(6)
mento clinico rilevato nei questionari
familiari in un’altissima percentuale
(92,6%) dei 202 bambini operati, i tracciati polisonnografici effettuati a tre/cinque mesi dall’intervento davano la persistenza di AHI uguale o superiore a 1 episodio per ora nel 46,2% dei casi, la maggior parte dei quali caratterizzata da un
grado di Mallampati 3 o 4.
Pertanto, anche Guilleminault conclude
che il grado di ipertrofia tonsillare, come
fattore di ostruzione delle vie aeree superiori, non ha valore assoluto ma va posto
in relazione alle dimensioni meno ampie
delle strutture ossee che delimitano le vie
aeree stesse.
L’adenotonsillectomia condiziona certamente un immediato beneficio clinico,
sottolinea l’Autore, ma può non rappresentare la soluzione di ogni problema
respiratorio, ed è necessario spiegare ai
pazienti la necessità di effettuare controlli a distanza dall’intervento per supportare i vantaggi dell’operazione con terapie
complementari (come la ventilazione
meccanica, la terapia ortodontica o la
terapia medica).
Analoga riflessione deve essere fatta
quando si tratta di pazienti neurologici,
nei quali grado e severità del disturbo
respiratorio notturno sono strettamente
correlati alla complessità del quadro neuromuscolare.
In questi pazienti sono generalmente
compromessi tanto l’attività diaframmatica, fondamentale nella genesi delle
pressioni negative delle vie aeree, quanto l’attività della muscolatura dilatatrice
faringea, necessaria ad assicurare la pervietà del lume respiratorio. È evidente
che in questi pazienti l’adenotonsillectomia può favorire un incremento dello
spazio aereo senza apportare comunque
variazioni alle competenze neuromuscolari del paziente stesso: la prognosi nei
pazienti neurologici dipende strettamente dal grado di compromissione del sistema nervoso centrale e dalla severità dell’ipoventilazione secondaria che questi
soggetti manifestano.
La ventilazione meccanica, che rappresenta in questi pazienti la scelta terapeutica più corretta, può trarre benefici da
una chirurgia di disostruzione che, riducendo le pressioni negative respiratorie,
può rendere più facile la gestione delle
pressioni ventilatorie da erogare.
Indicazioni al trattamento ventilatorio
sono rappresentate da:
1. OSAS severa senza indicazione al trattamento chirurgico;
2. OSAS residue persistenti dopo intervento chirurgico;
3. trattamento chirurgico ritardato;
4. indicazione all’intervento chirurgico
ma opposizione da parte del paziente
o della famiglia alla procedura;
5. OSAS complesse;
6. OSAS ad alto rischio di complicanze
anestesiologiche.
In un approccio diagnostico-terapeutico
all’OSAS è necessario considerare con
attenzione il ruolo patogenetico di una
struttura cranio-mandibolare sfavorevole.
In letteratura è presente un gran numero
di lavori che sottolineano l’importanza
del fenotipo, sia per quanto riguarda le
parti molli che la struttura ossea craniomandibolare, quali elementi predisponenti all’insorgenza dei disturbi respiratori nel sonno e dell’OSAS in particolare: retrognazia, micrognazia, biretrusione maxillo-mandibolare, vie aeree strette
a livello faringeo, posizione disto-caudale dello ioide, postura linguale atipica.
L’importanza della struttura ossea craniomandibolare è presa in considerazione non solo per un corretto inquadramento diagnostico, ma anche per pianificare
la migliore condotta terapeutica per ciascun paziente. Diversi lavori riportano
evidenze sul ruolo degli oral devices
(OD) nella terapia dell’OSAS dell’adulto; in ambito pediatrico, l’AAP, Section
on Pediatric Pulmonology, Subcommittee on Obstructive Sleep Apnea Syndrome, nel pubblicare nel 2002 le Clinical
Practice Guideline: Diagnosis and Management of Childhood Obstructive
Sleep Apnea Syndrome, non faceva alcuna menzione a un eventuale ruolo della
malocclusione, né come fattore di rischio, né come possibile ambito terapeutico ai fini OSAS. La difficoltà nell’estendere la terapia con un dispositivo intraorale all’età pediatrica non risiede in
aspetti tecnici o in particolari difficoltà
applicative, ma nella necessità di considerare una diversa filosofia che veda in
questa terapia non l’applicazione di una
protesi, ma il primo step di un trattamento ortognatodontico che, dimostrandosi
efficace anche nell’OSAS, è in realtà
volto anzitutto alla soluzione della
malocclusione riscontrata, e quindi già di
per sé comunque indicato. Il rapido
249
F
A
D
formazione a distanza
miglioramento del quadro respiratorio
che si consegue in molti casi dopo l’adenotonsillectomia ha ovviamente contribuito finora a limitare la considerazione
dell’ipotesi terapeutica ortognatodontica,
a favore, appunto, di quella chirurgica
ORL. È con la revisione del 2008 delle
Linee Guida italiane sull’“Appropriatezza clinica e organizzativa degli interventi di tonsillectomia e/o adenoidectomia” che giunge la prima chiara considerazione degli aspetti ortognatodontici
nell’OSAS in età pediatrica: il capitolo si
conclude con alcune chiare raccomandazioni:
– I bambini con OSAS e ipertrofia adenotonsillare, con sospetto di anomalie
occlusali o altre anomalie craniofacciali, necessitano di valutazione ortodontica prima di procedere all’intervento di adenotonsillectomia.
– L’intervento ortodontico deve essere
considerato come opzione terapeutica
prima o contestualmente al trattamento con CPAP.
Se una malocclusione abbia realmente
ruolo nell’insorgenza dell’OSAS e se
questa, di conseguenza, possa trarre giovamento da una terapia per via occlusale,
non è quesito risolvibile a priori in senso
assoluto, ma costituisce oggetto di approfondimento diagnostico caso per
caso: la strategia terapeutica che consideri le differenti opportunità di trattamento non può prescindere da un esame
clinico affidato a un ortodontista esperto
in problemi del respiro nel sonno. Infatti
le tipologie occlusali che possono accompagnarsi a OSAS sono molto varie e
comprendono discrepanze tra la mascella e la mandibola (e di conseguenza fra le
arcate dentarie antagoniste) sia in senso
sagittale che verticale e latero-laterale.
Tali discrepanze non sono peraltro patognomoniche, potendo essere compatibili
anche con la totale assenza di disturbi
respiratori e nel sonno, come possono,
pur accompagnandosi a OSAS, non
esserne l’unica causa.
Dalla letteratura si evince che le strade
terapeutiche dell’OSAS per via ortodontica si avvalgono essenzialmente di due
tipologie di dispositivi:
1) Dispositivi di riposizionamento mandibolare: sono di conformazione diversa da Autore e Autore, ma tutti, una
volta applicati, si interpongono alle
Quaderni acp 2014; 21(6)
arcate dentarie antagoniste e comportano da un lato la perdita dei rapporti
interocclusali generati dalla malocclusione e dall’altro un riposizionamento
della mandibola secondo il programma terapeutico deciso dal dentista;
non comportano un indefinito “mandibular advancement” ai fini OSAS,
ma sono volti a correggere individualmente sui tre piani dello spazio (sagittale, orizzontale e frontale) la malposizione mandibolare che il singolo caso presenta, secondo il razionale che
ipotizza possa essere questa a sostenere, caso per caso, il problema OSAS.
2) Disgiuntore Palatino Rapido (indicato
con la sigla RME, Rapid Maxilla
Expansion): allarga l’arcata dentaria
superiore agendo con le attivazioni
frequenti di una vite saldata a bande
ortodontiche, a loro volta cementate
su alcuni denti dell’arcata superiore,
l’azione ortopedica di espansione si
esplica sulla sutura palatina mediana,
ed è quindi indicata in arcate mascellari strette con palati ogivali, che ai
fini ortodontici nei casi più gravi si
manifestano con morsi crociati mono
o bilaterali.
Ruolo della terapia medica
Esistono diverse segnalazioni che tendono a evidenziare come alcuni quadri clinici indicati come conseguenze del
disturbo respiratorio dovuto all’OSAS,
soprattutto nell’ambito dei disturbi
psico-comportamentali, non siano direttamente collegati all’entità dell’ipossia:
da tali lavori emerge la possibilità di
attribuire ad aspetti non strettamente
respiratori, come per esempio il livello di
flogosi sistemica, almeno una parte dei
sintomi che accompagnano l’OSAS in
età pediatrica.
In base a queste considerazioni, il range
di opportunità di una terapia medica
dell’OSAS può essere abbastanza ampio:
– ipertrofia adenotonsillare di grado
lieve-moderato in assenza di una stretta indicazione chirurgica di AT;
– ipertrofia adenotonsillare con controindicazioni alla AT;
– sequele di OSAS post-chirurgiche;
– tutte le situazioni in cui la terapia
medica può avere lo scopo di ridurre
lo stato di flogosi sia locale che sistemica.
250
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D
Un gruppo di farmaci a effetto antinfiammatorio, non corticosteroidi, che può
avere interesse in tale ambito, è rappresentato dagli antileucotrieni o, meglio,
dagli antagonisti recettoriali dei leucotrieni e, tra essi, la molecola più conosciuta è il Montelukast (MLK), molto
impiegato nella terapia della rinite allergica e dell’asma bronchiale.
L’ipotesi patogenetica a sostenere l’impiego del MLK nella terapia dell’ipertrofia adenotonsillare è giustificata dal
riscontro nei tessuti linfatici (tonsille e
adenoidi) dei soggetti con OSAS di una
superespressione di recettori per leucotrieni (LR). È plausibile che il processo
infiammatorio dovuto per la continua stimolazione meccanica dei tessuti del
rinofaringe provocata dalle vibrazioni
del russamento comporti una up-regulation e quindi un aumento di concentrazione dei LR con conseguente incremento di volume delle stesse strutture. La
terapia con MLK interferirebbe su tale
processo d’incremento di volume legato
alla superespressione dei LR.
Conclusioni
L’adenotonsillectomia deve essere considerata la “prima linea” terapeutica in
bambini affetti da OSAS e ipertrofia adenotonsillare, privi di comorbidità: questa
affermazione, da sempre basata su esperienze cliniche, ha trovato recentemente
il conforto di un trial randomizzato multicentrico, i cui risultati dovranno essere
ovviamente confermati in futuro da
ricerche altrettanto correttamente strutturate. L’adenotonsillectomia può rappresentare anche la terapia iniziale per bambini nei quali la genesi dei disturbi del
respiro nel sonno sia multifattoriale, qualora sia presente una ipertrofia adenotonsillare relativamente importante: in questi pazienti l’intervento, pur non risolvendo tutti i fattori patogenetici, ha la
finalità di migliorare la pervietà delle vie
aeree superiori, riducendo la severità dei
sintomi e migliorando il quadro clinico.
Analoga considerazione può essere fatta
per i bambini obesi: in presenza di una
ostruzione orofaringea da ipertrofia tonsillare, l’intervento chirurgico rappresenta comunque la prima opzione terapeutica, in grado di apportare un miglioramento clinico, anche se rivalutazioni
polisonnografiche post-operatorie mostrano un’alta presenza di OSA residua,
formazione a distanza
che suggerisce e condiziona il ricorso a
terapie addizionali. Il grado di ipertrofia
adenotonsillare non è così strettamente
correlato alla presenza e alla severità del
quadro respiratorio, e non consente un’adeguata previsione dei benefici apportati
dall’intervento.
È opportuna, pertanto, una valutazione
strumentale pre-operatoria che consenta
di: distinguere i bambini con russamento
primario da quelli affetti da OSA, così da
indirizzare più correttamente questi ultimi a intervento chirurgico; identificare
pazienti con OSA lieve, che potrebbero
beneficiare di terapie antinfiammatorie,
ovviando alla necessità di essere sottoposti ad adenotonsillectomia; orientare una
strategia assistenziale intra-operatoria e
post-chirurgica. In pazienti nei quali
siano identificabili, in fase di valutazione
pre-operatoria, fattori che lascino prevedere la persistenza di un’OSA residua
post-chirurgica, una rivalutazione polisonnografica va effettuata a distanza dall’intervento, per determinare la normalizzazione dei patterns respiratori o il
rilievo della persistenza di un disordine
residuo del respiro, con indicazione a
effettuare terapie farmacologiche con
agenti antinfiammatori quando il residuo
sia lieve; o per selezionare i pazienti che
necessitino di essere avviati a terapia
ventilatoria con CPAP. Tutti i bambini
che vengono indirizzati a intervento di
adenotonsillectomia perché affetti da
OSA devono essere considerati a più alto
rischio chirurgico rispetto a bambini che
non presentano disordini del respiro nel
sonno, per una maggior incidenza di
complicazioni respiratorie dopo l’intervento (dal 16 al 27% in bambini con
OSA rispetto all’1% di complicanze in
età pediatrica). I maggiori fattori di rischio possono essere identificati pre-operatoriamente nell’età inferiore ai 3 anni; nella condizione di gravità dell’OSA
nelle registrazioni polisonnografiche
pre-operatorie (AHI maggiore di 24; saturazione di ossigeno inferiore all’80%,
Quaderni acp 2014; 21(6)
pCO2 superiore a 60 mmHg); nelle anomalie del tono o della struttura delle alte
vie respiratorie (obesità, patologie neuromuscolari, anomalie cranio-facciali);
nelle complicanze cardiache legate alla
fatica respiratoria; nelle infezioni delle
vie aeree. Questi bambini necessitano di
un’approfondita valutazione interdisciplinare in fase di programmazione chirurgica e di una osservazione post-operatoria particolarmente attenta. u
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251
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Quaderni acp 2014; 21(6): 252
Tonsille e adenoidi:
“una coppia di fatto”
Costantino Panza*, Stefania Manetti**, Antonella Brunelli***
*Pediatra di famiglia, Sant’Ilario d’Enza; **Pediatra di famiglia, Piano di Sorrento
(Napoli); ***Direttore del Distretto ASL, Cesena
Se guardate dentro la bocca, si vedono
due piccole masserelle rosa, di forma
ovale, aderenti alle pareti laterali in
fondo, oltre le arcate dei denti: sono le
tonsille. Queste sono piccole nei neonati
e nei lattanti ma crescono di volume
durante gli anni dell’infanzia, quando il
bimbo va all’asilo o alla scuola d’infanzia. Questi piccoli organi producono
anticorpi quando il corpo combatte le
infezioni. Come le tonsille, anche le adenoidi fanno parte del nostro apparato
difensivo contro le infezioni. In realtà,
anche se noi le chiamiamo adenoidi, il
tessuto forma una sola masserella che si
trova sopra l’ugola e aderisce alle vie
respiratorie dietro il naso (questa parte
del corpo viene chiamata dai medici il
nasofaringe). Le adenoidi non possono
essere viste a occhio nudo ma solo attraverso degli speciali specchietti o attraverso i raggi X oppure con una strumentazione endoscopica che ha una videocamera incorporata: il fibroscopio, uno
strumento usato dagli otorinolaringoiatri.
Spesso le tonsille s’infiammano a causa
di malattie infettive provocate da virus o
batteri, le cosiddette tonsilliti. I sintomi
di questa malattia sono: tonsille gonfie e
arrossate, un rivestimento delle tonsille
biancastro o giallastro, una voce gutturale, dolore alla gola, dolore alla deglutizione, febbre, linfonodi gonfi o dolenti al
collo.
Non sempre invece è facile riconoscere
la presenza di adenoidi ingrossate perché
non sono visibili a bocca aperta. Talvolta
sono grosse per una semplice caratteristica individuale, altre volte le adenoidi
s’ingrossano a causa di influenze, raffreddori o sinusiti.
Alcuni sintomi di adenoidi ingrossate
sono: respirazione attraverso la bocca
invece che con il naso per la gran parte
della giornata; sensazione di naso tappato quando il bambino parla; respirazione
rumorosa durante il giorno, russamento
Per corrispondenza:
Costantino Panza
e-mail: costpan@tin.it
252
durante la notte. Se il bambino ha un
ingrossamento importante sia di adenoidi
che di tonsille, oltre ai sintomi già
descritti possono essere presenti: una
interruzione del respiro per un breve
periodo di tempo durante la notte nel
bambino che solitamente russa o respira
con la bocca (questa condizione è chiamata apnea durante il sonno); respiri irregolari, difficoltà alla deglutizione di cibi
solidi, un caratteristico timbro di voce “a
patata”.
Nei casi più severi il bambino, a causa
della difficoltà a respirare, può non riuscire a prendere l’ossigeno necessario
con il respiro e a eliminare tutta l’anidride carbonica con le espirazioni.
Talvolta questa condizione di difficoltà a
ossigenarsi può disturbare in modo
importante il sonno, con una conseguente modificazione del comportamento
durante il giorno (irritazione, iperattività,
sonnolenza) e con una difficoltà a concentrarsi o a impegnarsi nelle normali
attività. Se il bambino respira male di
notte ed è sonnolento o svogliato durante il giorno parlatene con il vostro pediatra: potrebbe soffrire di OSA, sigla inglese che significa appunto apnee notturne
ostruttive.
I genitori riportano che circa l’8% dei
bambini russa: i russatori “forti”, quelli
che russano ogni notte, sono il 3-15%,
mentre quelli che russano ogni tanto il
2-6%. È necessario consultare il pediatra
se il vostro bambino russa frequentemente di notte, più di tre volte alla settimana,
e ha un sonno molto disturbato, con
apnee (trattiene il respiro per qualche
secondo, in genere più di dieci), “salta”
durante il sonno, tende a mettersi seduto
o a estendere molto il collo mentre
dorme, al risveglio appare non riposato,
durante il giorno è invece troppo attivo e
vivace, oppure comincia anche a fare la
pipì di notte. Se il pediatra valuta importante l’ingrossamento di questi tessuti
«Vola libellula, vola parola Portati via questo mal di gola
Cavalo fuori dalla mia bocca Appeso alla filastrocca».
B. Tognolini, Mal di pancia calabrone,
in Formule magiche per tutti i giorni
potrebbe indicarvi alcuni tipi di trattamento. Qualche volta, più raramente,
l’atteggiamento più corretto è quello di
osservare e attendere; infatti, nella maggior parte delle volte, tonsille e adenoidi
si riducono spontaneamente di volume
durante la crescita.
Talvolta il pediatra potrebbe decidere di
intraprendere una terapia antibiotica al
fine di ridurre il volume di questi tessuti.
Potrebbe in alcuni casi essere presente
l’indicazione per togliere le tonsille o le
adenoidi oppure entrambe, attraverso un
intervento chirurgico chiamato adenotonsillectomia.
Questa operazione chirurgica è necessaria quando il respiro è molto difficoltoso
o è presente spesso una interruzione del
respiro di notte (l’apnea notturna) che
dura più di dieci secondi; talvolta le tonsille vengono asportate se sono così grosse da rendere difficile la deglutizione dei
cibi. Le adenoidi, se sono molto ingrossate, provocano un sonno molto disturbato che rende il bambino svogliato di giorno o troppo vivace, compromettendo
spesso le sue capacità di concentrazione
a scuola; a volte anche il linguaggio può
essere compromesso. Si può considerare
la rimozione delle tonsille quando il numero di infezioni tonsillari gravi all’anno
è molto elevato. Di solito la decisione se
operare di tonsille e/o adenoidi viene
presa consultando uno specialista otorinolaringoiatra, un medico esperto dei
problemi di bocca, gola e naso, con esperienza in campo pediatrico.
Chiedete consiglio al vostro pediatra se
pensate che il vostro bambino possa
avere un ingrossamento delle tonsille e/o
delle adenoidi e se pensate che questo
problema disturbi il sonno e la qualità
della sua vita. Sarà lui stesso a consigliarvi e programmare, se necessario, un
approfondimento o semplicemente una
vigile attesa. u
Quaderni acp 2014; 21(6): 253
Rubrica a cura di Costantino Panza
Allattamento al seno e capacità cognitive,
di linguaggio e motorie, all’età di 18 mesi
Uno studio osservazionale prospettico, Rhea Study, ha seguito
dalla nascita fino a 18 mesi, 540 madri e i loro figli in Creta
(Grecia). Sono state eseguite interviste ai genitori alla nascita, al
9° e 18° mese. Al 18° mese è stato eseguito il Bailey Scales of
Infant Toodler Development (III ed) a ogni bambino. La percentuale di mamme che non allattavano aumentava progressivamente del 10% ogni mese raggiungendo il 68% al 6° mese. Solo
il 6% dei bambini era allattato al seno in modo esclusivo o predominante al 5° mese. Il Baley III ha evidenziato, dopo l’analisi di numerosi fattori confondenti, una associazione lineare
positiva per ogni mese di allattamento al seno: 0,28 punti per lo
sviluppo cognitivo (IC 95%: 0,01-0,55), 0,29 punti per il linguaggio recettivo (IC 95%: 0,04-0,54), 0,30 per il linguaggio
espressivo e 0,29 (IC 95%: 0,02-0,56) per lo sviluppo delle
capacità motorie fini. I bambini allattati per più di sei mesi
rispetto a quelli mai allattati presentavano 4,44 punti in più nella
scala dei movimenti fini. I fattori confondenti più influenti nell’effetto stimato per lo sviluppo cognitivo erano l’istruzione
materna (13%), lo stato lavorativo materno (5%) e la parità
(5%). u
L’ESPERTO IN SALUTE PUBBLICA. Indagare l’effetto dell’allattamento al seno sullo sviluppo cognitivo dei bambini è compito non facile, per problemi legati al disegno degli studi, alla
scelta delle scale di valutazione, alla durata del follow-up e
alla possibilità di controllare possibili fattori confondenti. Lo
studio Rhea ha il vantaggio di essere uno studio prospettico,
di avere utilizzato scale di valutazione dello sviluppo accreditate e di avere considerato nell’analisi numerose variabili
confondenti. È interessante notare come i benefici dell’allattamento al seno sullo sviluppo cognitivo e motorio del bambino
siano statisticamente significativi solo considerando l’allattamento come variabile continua, con un aumento di circa 0,3
punti del punteggio nelle diverse scale per ogni mese di allattamento al seno. Il problema è che alla significatività statistica non sembra corrispondere una significatività clinica. I
benefici dell’allattamento (o, come si usa dire, i rischi del
mancato allattamento) al seno sono molteplici, ma gli effetti
sullo sviluppo cognitivo necessitano ancora di solide evidenze. È comunque difficile discriminare l’effetto del solo allattamento al seno da quello del contesto familiare, delle relazioni genitori-bambino e degli interventi precoci.
LO PSICHIATRA. Non sono sorpreso dei risultati dello studio
Rhea. La relazione tra fattori pre- peri- post-natali e sviluppo
neurologico/mentale è indagata da quasi un secolo. Fattori di
sofferenza neurologica prenatale (per es. alcolismo materno),
perinatale (per es. anossia) sono stati associati a una maggiore incidenza di schizofrenia. Fattori di deprivazione affettiva nelle primissime fasi della vita, come l’istituzionalizzazione in brefotrofio, comportano probabilità altissime di sviluppare deficit cognitivi e disturbi mentali. Oggi sappiamo che
circa l’80% delle adozioni internazionali presenta problemi
dello spettro cognitivo/psichiatrico in età adolescenziale e
adulta. Risulta quindi comprensibile come la durata dell’allattamento al seno, pratica che potremmo definire di fisiologia
biopsicosociale, riunendo in sé aspetti nutrizionali, affettivi e
di stimolazione cognitiva di grande valore, sia positivamente
correlata allo sviluppo neurologico fine. Mi auguro che lo studio Rhea possa effettuare un follow-up di questa coorte nell’età adulta.
Angelo Fioritti,
Direttore Dipartimento Salute Mentale, Bologna
angelo.fioritti@ausl.bologna.it
*Leventakou V, Roumeliotaki T, Koutra K, et al. Breastfeeding duration and cognitive, language and motor development at 18 months of age: Rhea mother-child cohort in Crete, Greece.
J Epidemiol Community Health. Published online first. doi:10.1136/jech-2013-202500.
Antonio Clavenna, IRCCS “Mario Negri”, Milano
Antonio.Clavenna@marionegri.it
L’EPIDEMIOLOGO. La maggior durata dell’allattamento al
seno favorisce un migliore sviluppo psichico del bambino,
rilevabile a 18 mesi di età? Non era per nulla semplice portare delle evidenze sul quesito. L’articolo qui presentato appare robusto nel metodo e nei risultati, e la rivista su cui compare è una garanzia. Le maggiori difficoltà stavano nella non
semplice misurabilità sia dell’esposizione (allattamento) che
dell’outcome (lo sviluppo); e nella necessità di controllare i
numerosi confondenti a causa del ricorso a uno studio osservazionale: non è certo pensabile randomizzare la durata dell’allattamento al seno! La misura, retrospettiva, dell’esposizione viene attuata con le classiche definizioni di allattamento;
quella dell’outcome con le scale Bayley. Il controllo del
confounding con il ricorso all’analisi di regressione multipla. I
risultati mostrano una costanza nella direzione e nell’intensità
dell’associazione tra durata dell’allattamento e sviluppo psichico che fa ben sperare. La consistenza dei risultati è infatti
molto promettente, suggerendo una relazione “dose-risposta”
tra latte della mamma e “intelligenza” (?) del bebè.
Roberto Buzzetti, Bergamo
robuzze@gmail.com
IL PEDIATRA. Interessante il dato che la durata dell’allattamento al seno costituisce un predittore positivo dei punteggi
dei test, indipendentemente dal fatto che fosse esclusivo, prevalente o complementare. Questo lascerebbe supporre nella
modalità propria dell’allattamento al seno più che nella composizione del latte, il fattore prioritario dell’effetto. Questi
incoraggianti risultati dovrebbero però essere confermati nel
medio-lungo termine. Una valutazione in età successive consentirebbe infatti di stabilire la durata e l’entità dell’effetto dell’allattamento al seno almeno su alcune caratteristiche neurologiche “definitive” dei soggetti studiati; andrebbero misurate
anche le caratteristiche neuropsicologiche dei genitori.
L’eventuale dimostrazione che l’impatto sia persistente e rilevante avrebbe conseguenze importanti nell’ambito della salute pubblica. Lo studio greco riporta alcune note negative: la
durata media dell’allattamento al seno esclusivo riportata era
di soli 0,8 mesi e solo il 6% delle madri allattava esclusivamente al seno il figlio per almeno cinque mesi; le madri che
non allattavano al seno aumentavano del 10% al mese e quelle che allattavano scendevano al 30% a 6 mesi. C’è ancora
parecchio da fare perché l’allattamento al seno sia una pratica comune.
Claudio Maffeis, Università di Verona
claudio.maffeis@univr.it
253
Quaderni acp 2014; 21(6): 254-256
Indagine sulle condizioni di vita dei bambini di 18-30 mesi
e delle loro famiglie nelle Regioni italiane (gennaio 2014 - dicembre 2015)
Giuseppe Cirillo ACP Campania
Gruppo di Progetto dell’indagine
Metodologia e obiettivi
dell’indagine
Esiste ormai un’infinità di evidenze
empiriche circa l’efficacia degli interventi precoci di sostegno genitoriale,
durante la gestazione e le prime fasi della
vita, relativamente a diverse dimensioni
della salute e del benessere sia del bambino che dei genitori. Esistono, inoltre,
evidenze che questi interventi determinano risparmi e riduzione di tutta una serie
di costi sociali che derivano, con effetti
più o meno a lungo termine, dall’esclusione sociale.
Nel nostro Paese, la povertà minorile e il
rischio di esclusione sociale sono aumentati negli ultimi anni, così come le
condizioni di marginalità e di sofferenza
delle famiglie.
Nelle prime fasi della vita i pediatri di
famiglia (PdF) sono gli operatori più
vicini alle famiglie, di cui godono grande
fiducia e di cui orientano scelte e comportamenti non solo in campo strettamente sanitario ma anche sociale, relazionale, educativo.
La formazione dei pediatri, universitaria
e post/extra accademica, non è propriamente improntata a un modello biopsico-sociale e alla valorizzazione dei
determinanti sociali della salute.
L’organizzazione stessa del lavoro del
PdF spesso impedisce una conoscenza
approfondita delle condizioni di vita dei
bambini e delle loro famiglie e una scarsa integrazione con i servizi territoriali;
viene così ostacolata quella visione collettiva e comunitaria che potrebbe sostanziare per il PdF un ruolo di advocacy,
attivazione territoriale e sentinella della
salute che l’Associazione Culturale
Pediatri (ACP) ritiene possa essere una
delle funzioni fondamentali e innovative
della nuova pediatria di famiglia del
terzo millennio.
L’indagine ha l’obiettivo di aumentare le
conoscenze dei pediatri sulle famiglie
assistite e sulla rete di supporto territoriale, modificando i loro sistemi di credenze al riguardo (predittori comportaPer corrispondenza:
Giuseppe Cirillo
e-mail: peppe.cirillo@libero.it
254
mentali) mediante discussioni di gruppo
non direttive (T-group lewiniani); e infine consolidando i cambiamenti nei loro
sistemi simbolici di riferimento, mediante la creazione partecipata di una pagina
web tematica, consultabile dai professionisti non implicati nell’esperienza, o non
appartenenti all’ACP.
Obiettivi specifici
a. Conoscere i livelli di consapevolezza
dei pediatri relativamente alle condizioni di vita e ai fattori di rischio
socio-sanitario dei bambini e delle
loro famiglie.
b. Conoscere i fattori di rischio per la
salute e il benessere delle bambine e
dei bambini assistiti dai pediatri partecipanti allo studio, indagati a partire
dai “determinanti della salute” (OMS
2005, Commissione Disuguaglianze).
c. Sostenere il ruolo svolto dal PdF di
attivatore comunitario e di sentinella
dei “determinanti della salute” nel
quadro della “ricerca-azione”, finalizzato a provocare, mediante l’utilizzo
della metodologia del T-group, alcune
modifiche misurabili su predittori specifici delle modalità di presa in carico
dei pediatri coinvolti.
d. Promuovere azioni di miglioramento
della salute e dell’equità sin dai primi
anni di vita nei territori coinvolti nel
Progetto.
e. Promuovere l’esercizio della responsabilità individuale e della prevenzione collettiva, attraverso la rinnovata
consapevolezza dei Pdf e le attività
informative e di advocacy che si realizzeranno in rapporto ai risultati dell’indagine, promuovendo l’utilizzo di
risorse specifiche di informazione,
aiuto e sostegno.
f. Accompagnare i pediatri coinvolti
nell’intervento, nel processo di creazione di una pagina web divulgativoinformativa sui temi oggetto dell’intervento.
Azioni
Prima fase
1. Progettazione partecipata tra i partners progettuali dello strumento di
rilevazione dati.
Il questionario semi-strutturato, attraverso una batteria di check-list, item
scalari e domande aperte, intende raccogliere informazioni, attraverso i pediatri, relative alle condizioni di vita,
ai fattori di protezione e di rischio dei
bambini e delle famiglie nei primi
anni di vita, utili alla predisposizione
di specifici progetti-intervento relativamente ai seguenti domini:
– sociale;
– sanitario;
– psicorelazionale;
– pratiche educative e supporto allo
sviluppo.
2. Piano di campionamento dei partecipanti allo studio: campione rappresentativo dei pediatri iscritti all’ACP,
stratificato per Regione.
Regione
Friuli-Venezia Giulia
Veneto
Trentino Alto Adige
Val d’Aosta
Piemonte
Lombardia
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Marche
Abruzzo
Sardegna
Lazio
Puglia
Campania
Basilicata
Calabria
Sicilia
Umbria
Totale
n. pediatri
11
50
2
3
19
43
2
31
8
7
4
8
25
18
24
4
8
30
13
311
3. Richiesta di adesione allo studio ai
pediatri (mediante compilazione di
un’apposita scheda) e costruzione del
research letters
data base dei PdF iscritti all’ACP che
hanno aderito allo studio.
4. Richiesta, a ciascuno dei pediatri
appartenenti al campione, di produrre
un elenco (nominativo o codificato)
delle famiglie di assistiti con bambine
e bambini tra 18 e 30 mesi (+/- 3
mesi) (fascia di età individuata, nell’ambito delle età precoci, per permettere una conoscenza abbastanza approfondita della famiglia da parte del
pediatra e per poter prevedere almeno
una visita domiciliare).
5. Campionamento e randomizzazione
dei nuclei familiari appartenenti agli
elenchi prodotti da ciascun PdF partecipante alla ricerca.
6. Sperimentazione del questionario in
un piccolo campione di pediatri (4-5),
già individuati nel campionamento
generale, analisi dei risultati.
Seconda fase
1. Avvio della rilevazione dati. Nell’arco
temporale di tre mesi, ciascuno dei
pediatri coinvolti compilerà il questionario collocato su un’apposita piattaforma web, servendosi delle conoscenze già in suo possesso su ciascun
nucleo familiare campionato, integrate attraverso un contatto attivo e almeno una visita domiciliare già effettuata o da fare nel corso della ricerca.
2. Raccolta e verifica dati.
3. Elaborazione dati.
4. Stesura report e diffusione dei risultati.
Terza fase
1. Organizzazione e realizzazione di
almeno tre T-group per Nord-Centro e
Sud Italia.
2. Realizzazione di una pagina web
tematica liberamente consultabile.
3. Diffusione dei risultati finali della ricerca.
4. Definizione di ulteriori obiettivi di
ricerca-intervento.
Partners e Gruppo di Progetto
• ACP – Giuseppe Cirillo, Luciana
Nicoli, Antonella Brunelli, Massimo
Farneti, Paolo Siani
• Fondazione Zancan – Tiziano Vecchiato, Cinzia Canali, Giulia Barbero
Quaderni acp 2014; 21(6)
• Dipartimento Scienze Sociali, Università di Napoli “Federico II” –
Roberto Fasanelli
• CSB onlus – Giorgio Tamburlini,
Anduena Alushaj, Valeria Balbinot
• Save the Children – Giulio Cederna,
Francesca Marta
Note dei Partners dell’indagine
Fondazione Zancan
Tiziano Vecchiato
La Fondazione Zancan partecipa all’indagine sulle condizioni di vita dei bambini e delle loro famiglie, promossa
dall’ACP.
I cinquant’anni di storia della Fondazione evidenziano una socialità in evoluzione. Uno dei punti di partenza principali è
stato il riconoscimento della dignità di
tutti, anche dei più deboli, quindi anche
dei bambini. Tuttavia dignità e diritti dei
più deboli sono tuttora un problema, anzi
una sfida difficile da concepire e conciliare con i problemi di sostenibilità della
spesa pubblica e del faticoso funzionamento delle istituzioni.
Le vite vissute dentro questo arco temporale sono state alimentate dalla speranza
che il nostro sistema di risposte ai bisogni sociali e sanitari, insieme con quello
di istruzione, diventassero inclusivi, universalistici, capaci di accogliere e valorizzare ogni persona, anche quelle che la
Costituzione identifica come più deboli e
bisognose di attenzioni.
Come sappiamo, l’area dell’infanzia in
Italia è confinata negli ultimi posti di
diverse classifiche europee: per esempio
l’Eurostat stima che nel 2012 quasi un
terzo (31,9%) dei bambini di età 0-6 anni
in Italia era a rischio di povertà o esclusione sociale, contro circa un quarto
(25,9%) dei bambini 0-6 anni in media
nell’intera Unione Europea. Un quadro
negativo sulla condizione dei minori in
Italia è tratteggiato dall’Istat, che stima
come il numero di minori in povertà
assoluta sia raddoppiato tra il 2011 (723
mila) e il 2013 (1 milione 434 mila): in
conseguenza di queste tendenze, nel
2013 il 13,8% dei minori residenti in
Italia si trovava in condizioni di povertà
assoluta.
Siamo confinati agli ultimi posti in
Europa nella capacità di affrontare i problemi sociali. La storia ha evidenziato
che in certi periodi siamo stati straordi-
nari, grazie alla tensione ideale che ha
sopravanzato le culture particolari,
facendo diventare scelte collettive quelle
che normalmente si sarebbero ridotte a
interessi di parte. Il superamento delle
forme istituzionalizzanti di cura e protezione dell’infanzia non sarebbe, per
esempio, stato possibile. Dovremmo
invece chiederci continuamente cosa è
stato prodotto, realizzato, trasformato.
Sono domande che in Fondazione
Zancan ci siamo fatti costantemente,
chiedendoci ogni anno quali fossero le
gemme dell’innovazione sociale, quali i
problemi emergenti, come far dialogare
problemi e potenzialità.
E i bambini sono proprio l’espressione
vivente delle potenzialità di ogni persona. Non tenerne conto significa guardare
l’offerta e non anche i suoi risultati, gli
esiti e il beneficio sociale.
Il futuro è chiedersi come costruirlo, partendo da molteplici bisogni e molteplici
risposte. È per dare risposta a queste
domande che la Fondazione Zancan si è
impegnata a collaborare con l’ACP, dato
che attivare insieme numerose responsabilità significa pensare non soltanto a
innovazioni di risposta o di servizio ma
anche a innovazioni nei modi di concepire le soluzioni dei problemi e delle persone, e in particolare dei bambini che
vivono in situazioni di precarietà.
CSB onlus
Giorgio Tamburlini
Il CSB è impegnato da tempo nella promozione del concetto degli interventi
precoci – quindi della necessità che si
investa di più nei primi anni di vita del
bambino, quelli che più conteranno nella
sua formazione – e quindi delle buone
pratiche che possono essere attuate dalle
famiglie con il supporto dei servizi.
Infatti oggi, ancor di più della povertà
materiale – che pure è raddoppiata negli
ultimi 5-6 anni tra le famiglie con figli –
preoccupa la deprivazione educativa, che
non comprende solo il fatto che a troppi
bambini è precluso l’accesso a un nido di
qualità, ma anche, in molti casi soprattutto, la carenza di opportunità, quando non
addirittura una delle diverse forme del
maltrattamento, dentro le mura domestiche.
Il contributo del CSB sta nella parte di
questa inchiesta, promossa dall’ACP, che
esplora questa dimensione psicologica,
255
research letters
sociale ed educativa: siamo infatti convinti che su questo occorra lavorare, sia
nella relazione tra i singoli operatori –
PdF, operatori dei consultori, altri operatori sanitari e del settore socio-educativo
– e i genitori, sia a livello di comunità, di
gruppi professionali e di decisori politici.
Ci si attende di poter dare a tutti questi
attori spunti di conoscenza e di riflessione per la loro attività di informazione e
consiglio. Il CSB ha messo a punto un
materiale (www.csb.org) da utilizzare,
dall’epoca della gravidanza al secondo
anno di vita (i primi fondamentali 1000
gg) e che su questa base potrà anche
essere migliorato e rivisto.
Dipartimento Scienze Sociali,
Università degli Studi di Napoli
“Federico II”
Roberto Fasanelli
La famiglia può essere considerata la
cartina al tornasole di ogni epoca. Non
tanto perché subisce passivamente la storia, ma perché rappresenta, per certi
versi, la matrice stessa della società.
Ciò che è vero per tutti i fatti sociali lo è
ancor di più per la famiglia: la sua percezione evolve in funzione delle ansie collettive. Attraverso la famiglia, la società
non cessa d’interrogarsi su se stessa e
ciascuna epoca storica sembra avere i
propri problemi familiari.
È proprio il caso degli ultimi anni, in cui
lo sguardo rivolto alle famiglie sembra
essere cambiato in maniera sostanziale. I
diversi temi attinenti all’universo famiglia, infatti, sono oggi terreno di confronto/scontro ideologico. L’emergenza
di una nuova attenzione alle problematiche familiari a ogni modo si manifesta
nell’evoluzione delle rappresentazioni,
dei dibattiti, delle aspettative e infine
256
Quaderni acp 2014; 21(6)
delle posizioni dei poteri pubblici. Le
rappresentazioni della famiglia, in particolare, non sono più quelle circolanti
anche soltanto una decina d’anni fa: la
famiglia ormai è percepita attraverso il
prisma dell’esclusione sociale. Non sono
più il fallimento del matrimonio o la
denatalità che inquietano, quanto piuttosto l’attitudine delle famiglie a proteggere i propri membri dalle minacce legate
alla crisi socio-economica.
La stessa “genitorialità”, totem della progettazione sociale e tabù della pratica
d’intervento dell’ultimo ventennio, dallo
stadio biologico è approdata a uno stadio
più evoluto che coincide con il “prendersi cura di”, laddove partecipare e contribuire alla crescita dell’altro provoca il
più grande arricchimento del sé. La genitorialità, finalmente, è intesa come un
percorso che si struttura intersecandosi
con i vari stadi evolutivi della prole, dei
genitori stessi, così come del mondo
esterno alla famiglia. Il crescente interesse per la creazione di contesti preventivi
e di protezione nei suoi confronti si
fonda sulla considerazione empirica che
la precoce identificazione di segnali di
vulnerabilità è molto più efficace del
potenziale intervento riabilitativo.
La riorganizzazione continua e significativa dei paradigmi teorici di riferimento,
attualmente, focalizza l’attenzione sulla
“matrice relazionale” intesa come ambito costitutivo dell’esperienza dei significati personali e interpersonali. Un discorso a parte merita il disagio legato al contesto socio-economico e/o al supporto
affettivo, due ambiti fortemente interconnessi: quello socio-economico sotteso alla mancanza o all’inadeguatezza
dell’autonomia economica, lavorativa
e/o di alloggio; quello ambientale, corre-
lato all’assenza di un contesto supportivo
adeguato alla crescita del bambino. Tale
disagio riguarda spesso donne che raramente hanno scelto la gravidanza e presentano sradicamenti ambientali, gravidanze adolescenziali, gravi problemi di
carenza o distorsione del supporto relazionale, tipici di contesti familiari conflittuali, che si contraddistinguono per
violenza, aggressività, relazioni instabili
o dipendenza da sostanze psicotrope.
Altrettanto importanti sono quei fattori
di rischio derivanti dall’assenza di protezione, sostegno e sicurezza.
Genitori maltrattanti o abusanti determinano significativi problemi inerenti alla
regolazione delle emozioni, la prevalenza di espressioni emotive primarie, quali
collera e rabbia, ed espressioni emotive
secondarie, come vergogna e colpa. Il
retroterra teorico di riferimento degli
interventi che l’indagine intende attivare,
è sotteso dallo spostamento dell’attenzione dalla diade primaria alla triade
madre-padre-bambino.
Sulla scia di questo approccio teorico è
risultato necessario elaborare una metodologia osservativa attraverso la quale
analizzare la triade in questione, collocandola nel suo macro-sistema di riferimento che vede giocare un ruolo fondamentale, oltre al sistema relazionale
interno (genitori-figli), anche a quello
dei caregivers informali (amici/parentialtri nuclei familiari) e a quello dei caregivers formali (PdF/operatori sociali-servizi sociosanitari).
Il Dipartimento di Scienze Sociali, dalla
sua nascita impegnato a dialogare con
quest’ultimo sistema territoriale, è lieto
di mettere le proprie competenze professionali a disposizione di questa iniziativa
progettuale. u
Quaderni acp 2014; 21(6): 257-259
Un percorso uguale per tutti gli screenati?
L’esempio della fibrosi cistica (FC)
Sergio Conti Nibali
Pediatra di famiglia, Messina
Il nuovo Forum di Quaderni è dedicato agli screening in pediatria. La scelta è caduta su questo argomento perché negli ultimi
decenni lo scenario delle patologie per le quali è possibile una diagnosi in fase pre-clinica è profondamente cambiato, così come
anche i criteri classici per ritenere proponibile uno screening di popolazione hanno, forse, subito modifiche. Di questi aspetti si
occuperanno i vari interventi ospitati nelle pagine della rivista. Si comincia con un contributo di Sergio Conti Nibali, dedicato in
particolare alle problematiche connesse alle cure nei primi mesi di vita del bambino con fibrosi cistica (FC) diagnosticata mediante screening neonatale. Attenzione particolare viene data al ruolo e alle attività del pediatra di famiglia (PdF). Ogni presentazione di Sergio ai lettori di Quaderni, della cui redazione fa parte, appare superflua. È socio di lunga data dell’Associazione Culturale
Pediatri (ACP) e i suoi contributi in tema di nutrizione infantile, allattamento al seno, etica dei comportamenti medici, conflitti
d’interesse, demedicalizzazione, pediatria basata sulle prove, qualità delle cure, formazione, molti dei quali reperibili su PubMed,
sono ampiamente noti. Chi volesse intervenire sugli aspetti oggetto di questo Forum può farlo scrivendo al Direttore di Quaderni
o a me personalmente (corchiacarlo@virgilio.it).
Carlo Corchia
La premessa
Uno screening deve essere suggerito da
ipotesi scientifiche attendibili e con elevate utilità attese, che dipendono dalla
rilevanza del danno che l’esito dello
screening potrebbe ridurre e dall’efficacia dei trattamenti che esso potrebbe
indurre. Gli screening neonatali per l’ipotiroidismo e la fenilchetonuria soddisfano tali requisiti; per la fibrosi cistica
(FC) a tutt’oggi non vi è una dimostrazione incontrovertibile dell’efficacia
dello screening sui principali outcome, in
termini di guadagno prognostico negli
screenati rispetto ai non screenati.
Se infatti sono abbastanza acclarati i
miglioramenti di natura nutrizionale e di
auxologia, ancora non sembrano stabiliti
con certezza quelli a livello polmonare e
sulla durata della vita. Quando lo screening si basa sulla ricerca delle mutazioni
porta inevitabilmente a diagnosticare,
oltre alle forme classiche, anche delle
forme più miti, alcune delle quali sarebbero comparse in età avanzata, o addirittura non sarebbero emerse; nonché
nuove mutazioni prima ignorate, delle
quali ancora non si conoscono né il
significato né tantomeno la storia naturale. Questo pone tra l’altro interrogativi
etici sull’opportunità di etichettare come
malate delle persone che in realtà forse
non lo sarebbero [1].
È stato ipotizzato, per esempio, che i
neonati con sufficienza pancreatica
(≤ 10% dei malati FC) probabilmente
non traggono beneficio da un programma
di screening neonatale [1].
La mia esperienza
Ho lavorato per dieci anni in un reparto
di FC, fino al 1993, epoca pre-screening;
buona parte dei bambini era diagnosticata tardivamente, spesso con sintomi
importanti e con penose peregrinazioni
prima di arrivare alla diagnosi definitiva;
i genitori alla fine ricevevano una diagnosi che, se da un lato spiegava i sintomi, dall’altra apriva uno scenario drammatico. Adesso i 5 pazienti con FC che
seguo nel mio ambulatorio sono stati diagnosticati per screening, tranne uno con
ileo da meconio; e questo aspetto è
tutt’altro che irrilevante, in quanto l’approccio oggi è con la famiglia di un bambino apparentemente sano, ma che, da un
esame di laboratorio, ha saputo che il
proprio figlio potrà presentare tutta una
serie di sintomi o problemi nel corso
della vita.
Una famiglia che ha davanti un bambino
che ha un comportamento e uno stato di
salute non diversi da quelli del neonato
che un’altra mamma teneva tra le sue
braccia subito dopo il parto nella stanza
dell’ospedale dove avevano partorito
insieme. Il papà e la mamma di questo
bambino diagnosticato per screening
sono genitori che avrebbero voluto
(dovuto?) confrontarsi con il loro bambino e che invece spesso si confrontano
con una malattia sebbene ancora, a volte,
non espressa.
Sono genitori che vorrebbero (dovrebbero?) confrontarsi con la normalità e che
invece apprendono che il loro bambino si
allontanerà da questa “normalità”, ma
non sanno quando, in quale momento
della vita.
È l’altra faccia della medaglia dello
screening della FC che, se da una parte ci
permette la diagnosi alla nascita, dall’altra si intromette con una forza dirompente nel primo periodo della vita di un bambino e, dunque, nella relazione che si stabilisce con i genitori accudenti. Da PdF
ho imparato a valorizzare molto questo
periodo; so che dallo stile di accudimento, e perciò da tutto quello che lo può
influenzare, dipende molto lo stato di
“salute” del bambino.
La domanda
I genitori di un neonato con FC asintomatico, diagnosticato attraverso screening, hanno bisogno sin da subito di
avviare un programma di controlli con
annesso ricovero in un Centro specializzato, o piuttosto hanno bisogno di essere
seguiti dal loro PdF (competente) come
tutti gli altri bambini e avere un accompagnamento “soft” da parte del Centro di
riferimento?
Le risposte possibili
Le Linee Guida (LLGG) internazionali
dettate dalla Cystic Fibrosis Foundation ci forniscono alcuni elementi di
discussione appropriati al punto di
domanda [2].
– “The psychosocial impact of the diagnosis of CF on the family must be
carefully addressed at the initial
visit”.
Per corrispondenza:
Sergio Conti Nibali
e-mail: serconti@glauco.it
forum
257
forum
– “An initial visit within 24 to 72 hours
of diagnosis (1 to 3 working days in
the absence of overt symptoms)”.
– “The pivotal role that both the parents
and primary care provider (PCP) play
as part of the CF team should be
emphasized at the early visits”.
Le LLGG auspicano un’attenzione particolare all’impatto psicosociale della diagnosi sulla famiglia; propongono un
immediato contatto entro uno-tre giorni
con la famiglia del neonato sano ed enfatizzano il ruolo dei genitori e del PdF
all’interno del team del Centro di riferimento. In altri termini è come se il neonato e la sua famiglia debbano ricevere il
più presto possibile l’imprinting da parte
del Centro di riferimento, centro che
molto spesso si trova molto distante dall’abitazione della famiglia, a volte a centinaia di chilometri; ed è lì che, in effetti,
la famiglia deve trovare il punto di riferimento per i suoi bisogni. Per cui diventa
“normale” che i genitori comincino a
confrontarsi da subito con un bambino
“immaginario”, quello con la FC, piuttosto che con il loro bambino. Di norma i
genitori di fronte al loro neonato sano
esprimono dei bisogni, hanno delle attese, si pongono delle domande, hanno
delle paure che riguardano, per esempio,
l’accudimento, l’allattamento e l’alimentazione in generale, la crescita; una
mamma con un bambino apparentemente sano, ma con FC diagnosticata allo
screening, può perdere questo bisogno di
“normalità”? Se sì, cosa comporta questa
perdita?
Le LLGG danno indicazioni precise sui
controlli da eseguire:
– “Standard pediatric visits are at age 1
to 2 weeks and at 2, 4, 6, 9, and 12
months in the first year of life; CF
Center visits should be once monthly
during the first 6 months, and every 1
to 2 months in the second 6 months of
life” [2].
Essi variano da 15 a 22 nel primo anno
tra centro e pediatra. In media un nuovo
nato sano riceve 5-6 controlli nel primo
anno; una famiglia con un bambino con
FC deve effettuare il quadruplo dei controlli, di cui oltre la metà lontano da casa,
anche se asintomatico. Quanto incide
tutto questo nel vissuto di una famiglia
nelle prime fasi della relazione con il
nuovo nato?
258
Quaderni acp 2014; 21(4)
L’esempio della nutrizione
Il primo anno di vita rappresenta una
straordinaria sequenza di eventi e di
esperienze che per il bambino e per i
genitori costituiscono la base per il
benessere futuro; vi sono alcuni aspetti
cruciali di grande importanza; almeno
due riguardano la nutrizione: l’allattamento e l’avvio dell’alimentazione complementare.
– “The CF Foundation recommends
that children reach a weight-forlength status of the 50th percentile by
2 years of age, though achieving this
goal earlier in infancy is likely to be
beneficial”.
– “The goal for infants with CF is to be
at or above the 50th percentile weightfor-length (‘slightly chubby’)”.
– “Well-designed clinical trials are not
available that define which type of
milk feeding (human or formula) or
what type of diet should be recommended for the infant and toddler with
CF” [2].
Lo stato di benessere di un bambino
“normale” dipende solo in parte dal suo
percentile peso-altezza; anzi, uno degli
obiettivi principali del lavoro del PdF è
di aiutare i genitori a valorizzare tutto il
resto per capire se un bambino sta bene o
no; bambini con percentili ottimali possono crescere “male” e viceversa. Il
primo obiettivo è quello di promuovere
l’allattamento al seno; a parte il fatto che
non sarebbe etico prospettare un trial clinico che preveda una randomizzazione
tra allattati e non allattati, non bisognerebbe mai porsi la domanda se esistano
trial ben disegnati che sostengano tale
scelta. L’eccessiva attenzione ad aumentare l’apporto calorico sin dalla nascita
potrebbe scoraggiare l’allattamento al
seno in favore di formule “ipercaloriche”, come dimostrerebbe uno studio
osservazionale, che tuttavia non mostra
problemi di crescita, ma al contrario
benefici respiratori nei bambini con FC
allattati (seppur per soli due mesi) con
latte materno esclusivo [3].
L’attenzione delle LLGG (e quindi le
attese che vengono riversate sui genitori
di un lattante con FC) è rivolta a ottenere un bambino “paffutello”; certamente
le attese dei medici diventano di conseguenza quelle dei genitori che faranno di
tutto per raggiungere l’obiettivo; e tutto
questo influenzerà le scelte sull’alimentazione del loro bambino e in particolare
la scelta di allattarlo e di proseguire l’allattamento se il peso non andrà oltre una
certa soglia di crescita.
Contemporaneamente, se l’obiettivo non
viene raggiunto, possono attivarsi dinamiche relazionali che potrebbero influenzare negativamente l’avvio dell’alimentazione complementare.
Così facendo si educano i genitori a dare
più attenzione alle calorie del cibo piuttosto che a una “normale” relazione con
il cibo. Recenti ricerche hanno tentato di
identificare il ruolo dei fattori psicologici all’origine dei disturbi dell’alimentazione infantile e la possibile correlazione
con l’ambiente accudente. Durante l’infanzia, l’alimentazione rappresenta un’esperienza fondamentale per lo sviluppo
del rapporto tra madre e figlio, in cui i
segnali emotivi influiscono sulla comunicazione dei bisogni, dei desideri e del
piacere e sulla stabilizzazione dei ritmi
biologici [4].
Il rapporto tra il caregiver e il bambino è
caratterizzato da un elevato grado di
coordinamento e bidirezionalità, e gli
scambi costituiscono un sistema di regolazione, in cui ciascuno influenza e regola il comportamento dell’altro; queste
influenze possono favorire o bloccare un
adattamento reciproco, proteggere da
eventuali fattori di rischio o, al contrario,
trasmettere influenze negative [5].
È stata dimostrata una maggiore frequenza di disturbi alimentari precoci con
madri coercitive, che attuano un controllo stretto dell’alimentazione, con difficoltà nel riconoscere empaticamente i
segnali di fame e sazietà nel bambino e
di regolazione degli stati affettivi del
bambino; i bambini in contatto con madri
che misurano la loro competenza come
genitore in relazione a quanto il loro
bambino mangia, mostrano una maggiore frequenza di interazioni diadiche
disfunzionali durante l’alimentazione
rispetto al gruppo di controllo [6-7].
E che questi siano problemi che bisogna
affrontare nella gestione dei pazienti con
FC lo confermano le stesse LLGG, laddove si evidenzia che “parents of infants
and toddlers with CF report higher rates
of children’s unwillingness to try new
foods, having a poor appetite, and preferring to drink rather than eat” [2].
forum
BOX: QUANTO INCIDONO GLI SCREENING
SULLA QUALITÀ DI VITA? L’ESEMPIO
DELLA FIBROSI CISTICA (FC)
I neonati con sufficienza pancreatica
probabilmente non traggono beneficio da un programma di screening
neonatale della FC.
Le LLGG, pur auspicando un’attenzione particolare all’impatto psicosociale della diagnosi sulla famiglia,
propongono un immediato contatto
entro uno-tre giorni con la famiglia
del neonato sano e almeno 15 controlli nel primo anno tra Centro e
pediatra.
Uno degli obiettivi terapeutici è il
raggiungimento del 50º centile del
rapporto peso/altezza e avere un
bambino “paffutello”.
L’impatto negativo che le raccomandazioni delle LLGG possono avere
nella relazione tra bambino e genitori e, di conseguenza, nello sviluppo
psicologico del bambino dovrebbe
essere tenuto in considerazione per
sperimentare nuovi modelli di presa
in carico in alcuni casi specifici.
Le stesse considerazioni potrebbero
essere estese ad altri screening neonatali per i quali non si conosce con
certezza l’utilità attesa.
Conclusioni
I punti di domanda rispetto al reale vantaggio di una diagnosi precoce dello
screening neonatale della FC potrebbero
essere ancora tanti. Le risposte non possono prescindere dagli auspici delle
LLGG per i futuri studi nel campo della
FC: “All studies in infants should include development assessments and quality
of life measures that are specific to
patients in this age range” [2].
Lo screening infatti porta inevitabilmente a diagnosticare, oltre alle forme classiche, anche delle forme più miti, alcune
delle quali sarebbero comparse in età
Quaderni acp 2014; 21(6)
avanzata, o addirittura non sarebbero
emerse; nonché nuove mutazioni prima
ignorate, delle quali ancora non si conoscono né il significato né tantomeno la
storia naturale. Questo pone, tra l’altro,
interrogativi etici sull’opportunità di etichettare come malate delle persone che
in realtà forse non lo sarebbero.
L’impatto negativo che le raccomandazioni delle LLGG possono avere nella
relazione tra bambino e genitori e, di
conseguenza nello sviluppo psicologico
del bambino, dovrebbe essere tenuto in
considerazione per sperimentare nuovi
modelli di presa in carico in alcuni casi
specifici. Le stesse considerazioni potrebbero essere estese ad altri screening
neonatali per i quali non si conosce con
certezza l’utilità attesa. u
Bibliografia
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Una rassegna della letteratura. Verona, ottobre
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ANTONELLA COSTANTINO
NUOVO PRESIDENTE
NAZIONALE SINPIA
L’Associazione Culturale Pediatri
(ACP) saluta il Presidente Nazionale
SINPIA,
Antonella
Costantino,
Direttore UONPIA Fondazione IRCCS
“Ca’ Granda” Ospedale Maggiore
Policlinico di Milano, e si congratula
per la sua elezione.
La Sua presenza al vertice della
Società Italiana di Neuropsichiatria
dell’Infanzia e dell’Adolescenza
(SINPIA) nazionale può facilitare
quell’incontro tra le varie realtà della
pediatria da sempre auspicato a tutti
i livelli, con la ricerca di sinergie in
merito a obiettivi formativi e modelli
efficaci nell’ambito della salute mentale dei bambini e degli adolescenti,
tra le priorità di intervento da tempo
individuate a livello nazionale dall’ACP.
SIGARETTE ELETTRONICHE
E BAMBINI
Il Global Burden of Disease Study attribuisce 6,4 milioni di morti per il
2010 al fumo di tabacco. Nel periodo 1990-2010 le morti sono aumentate del 18%. Il successo ottenuto
dalle politiche finora attuate è dunque nullo. Il dibattito sulle sigarette
elettroniche (inalazione di una soluzione a base di acqua, glicole propilenico, glicerolo, nicotina in quantità
variabile, ma non residui di combustione come catrame, benzene e idrocarburi policiclici aromatici) ha questa giustificazione. Pochi sono gli
studi attendibili sulla loro innocuità,
mentre sembra certa l’attrattiva su
ragazzi e bambini esercitata dall’uso
di questi dispositivi, vista la dichiarazione di non nocività. Il recente US
National Youth Tobacco Survey ha
dimostrato un forte aumento di coloro che ne fanno uso in questi gruppi
di popolazione: dai 79.000 del
2011 ai 263.000 del 2013. Si suggeriscono perciò barriere nella propaganda di tali sigarette per prevenire per lo meno la vendita ai bambini
(Lancet 2014;384:825).
259
Quaderni acp 2014; 21(6): 260-263
L’Équipe Multidisciplinare in ambito materno-infantile:
uno strumento di intervento socio-sanitario integrato
Antonella Liverani*, Teresa Ilaria Ercolanese**, Enrico Valletta**
*Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche; **Dipartimento Materno-Infantile, AUSL della Romagna, Forlì
Abstract
Multidisciplinary Team for mother and child care: a tool for integrated health care
Aims Since 2008 within the Forlì Birth Program operates a Multidisciplinary Team
(MDT) with the participation of different health care and social services aimed at
taking care of different needs emerging during pregnancy. We reviewed the activity of
the MDT focusing on functional and organization features.
Methods MDT activities between 2008 and 2012 were reviewed
Results 156 situations were discussed, 92% had been directly taken care of. The number of cases per year were progressively increasing. 36% of the cases dealt with problems of social nature; 51% and 13% were respectively situations regarding mother
and child health. In 38% of the cases the activation of a single Service was needed; in
38%, 17% and 7% two, three or more than three Services were needed respectively.
Conclusions The integrated work of social and health Services allowed the MDT to face
operatively and efficiently with complex social and health needs.
Quaderni acp 2014; 21(6): 260-263
Obiettivi L’Équipe Multidisciplinare (EMD) opera, dal 2008, all’interno dal Percorso
Nascita (PN) di Forlì con la partecipazione di diversi Servizi socio-sanitari per affrontare situazioni problematiche emerse nel corso della gravidanza. Tracciamo qui un profilo dell’attività svolta dall’EMD discutendone gli aspetti funzionali e organizzativi.
Metodi Sono stati riesaminati i casi trattati dall’EMD negli anni 2008-2012.
Risultati Sono stati discussi 156 casi, il 92% dei quali preso in carico dall’EMD. Il
numero dei casi/anno appare in costante aumento. Le problematiche trattate sono di
natura sociale nel 36% dei casi, mentre riguardano aspetti sanitari della madre nel
51% e del bambino nel 13% delle situazioni. Nel 38% dei casi la gestione è stata affidata a un solo Servizio; sono stati coinvolti due, tre e più di tre Servizi, rispettivamente
nel 38%, 17% e 7% delle situazioni.
Conclusioni L’integrazione tra Servizi socio-sanitari che partecipano all’EMD è stata
in grado di offrire risposte articolate e flessibili a bisogni assistenziali anche complessi.
Il Percorso Nascita (PN) del Distretto di
Forlì prende forma tra la fine degli anni
’90 e il 2000 e si sviluppa in un contesto
di collaborazione e integrazione tra la
componente sanitaria dell’AUSL e quella sociale dei Comuni e dei Centri per le
Famiglie del territorio forlivese. La finalità è quella di offrire ai futuri genitori un
percorso di accompagnamento che consenta di vivere con consapevolezza e
serenità l’esperienza della gravidanza e
del parto fino al ritorno a casa attivando,
al meglio, le risorse educative, sociali e
sanitarie disponibili sul territorio. L’organizzazione e l’evoluzione di questo
progetto sono state recentemente descritte in una raccolta di interventi in occasione dei dieci anni di attività del PN [1].
Le linee di indirizzo della Regione EmiPer corrispondenza:
Enrico Valletta:
e-mail: e.valletta@ausl.fo.it
260
lia-Romagna, in tema di PN, sono reperibili all’interno di documenti della Giunta
Regionale e dell’Assessorato Politiche
per la Salute [2-3].
L’Équipe Multidisciplinare (EMD) si
struttura nel 2008, come strumento operativo del PN, per dare risposta a situazioni problematiche dal punto di vista
socio-sanitario emerse durante il percorso di accompagnamento alla nascita. È
una metodologia di lavoro che consente
la prevedibilità degli eventi e dei bisogni
e una pianificazione degli interventi
prima del parto. Al tavolo dell’EMD siedono gli operatori dei servizi socio-sanitari interessati alla gestione del caso e tra
questi viene individuato il Servizio referente che ne curerà la presa in carico e il
coordinamento del progetto. Seguono
incontri periodici tra tutti i Servizi coinvolti per fare il punto della situazione,
analizzare i provvedimenti adottati, verificarne il risultato e apportare gli eventuali correttivi al percorso concordato.
Dopo cinque anni durante i quali l’esperienza dell’EMD ha avuto modo di consolidarsi, è utile tracciare un profilo dell’attività svolta per discutere gli aspetti
pratici più rilevanti di uno strumento che,
grazie alla stretta integrazione tra i
Servizi, ha consentito di gestire situazioni socio-sanitarie di rilevante complessità.
Metodi
Sono stati riesaminati i casi trattati
dall’EMD dal 2008 al 2012 ed estrapolati
i dati relativi alla provenienza e alla specificità delle situazioni, al numero e tipologia dei Servizi coinvolti e all’andamento di queste variabili nel corso dei cinque
anni di attività. Le riunioni dell’EMD
hanno cadenza mensile, ma può essere
indetta una riunione straordinaria ogni
volta vi siano situazioni urgenti da affrontare. Le componenti costitutive dell’EMD
sono il Dipartimento Materno-Infantile
(Ostetricia-Ginecologia e Pediatria-Neonatologia), il Consultorio, il Dipartimento
di Salute Mentale e Dipendenze
Patologiche (DSMDP), la Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza
(NPIA), il Servizio Sociale, il Centro
Famiglie e il Dipartimento di Cure Primarie (Pediatria di Comunità e Consultorio Salute Donna). Altri Servizi vengono attivati secondo necessità. Il coordinamento dell’EMD è affidato alla Psicologa del PN e le riunioni sono preparate
con un ordine del giorno diffuso per email. La riunione si chiude con la restituzione di un verbale che riporta l’analisi
dei casi discussi, le decisioni operative
assunte e i ruoli di responsabilità individuati. A seconda delle circostanze, viene
fissata una data di verifica per ciascun
caso o si affidano al responsabile del caso
il monitoraggio dell’evoluzione e l’eventuale segnalazione per la rivalutazione.
salute pubblica
Risultati
Nel corso dei cinque anni considerati,
sono stati discussi dall’EMD 156 casi,
dei quali 144 (92%) hanno determinato
la presa in carico da parte di uno o più
Servizi dell’Équipe. Nel rimanente 8%
dei casi, l’EMD ha ritenuto di procedere
esclusivamente con un approccio osservazionale, non avendo ravvisato elementi di rischio tali da richiedere interventi
mirati. I casi proposti all’EMD sono stati
individuati dai diversi Servizi referenti
seguendo criteri di gravità specifici per
ciascun Servizio e tali da identificare un
livello di rischio medio-alto. L’andamento del numero di casi/anno esaminati è graficamente rappresentato nella
figura 1. Rispetto alla media (n = 27/anno) delle situazioni prese in esame nel
periodo 2008-2011, nel 2012 i casi considerati (n = 47) sono aumentati del 74%.
Le segnalazioni all’EMD sono pervenute
dai Servizi ostetrici (territorio e/o ospedale) in 120/156 (77%) casi, e dalla
Neonatologia/Pediatria in 36 (23%) casi.
Nel corso degli anni, le segnalazioni
ostetriche hanno rappresentato una quota
crescente delle situazioni esaminate
dall’EMD, fino a diventare l’85%
(40/47) nel 2012 (figura 2). Le ostetriche
e i ginecologi del Consultorio Salute
Donna e dell’UO di Ostetricia rappresentano il primo filtro in grado di valutare i
fattori di rischio psico-sociale e i segni di
disagio materno e di definirne il livello di
gravità. Già in questa fase si attiva l’accompagnamento e si delinea la possibile
presa in carico da parte dell’EMD.
La frequenza con la quale i diversi
Servizi (singolarmente o in collaborazione) sono stati coinvolti nella gestione dei
casi è riportata nella figura 3. Il Servizio
sociale – Area Adulti (AA) o Area Tutela
Minori (ATM) – è stato coinvolto in 124
(88%) casi, il DSMDP in 65 (33%). In 22
(14%) situazioni si è ricorso alla dimissione protetta della coppia madre-bambino con accoglienza in comunità o casafamiglia. Le problematiche trattate erano
prevalentemente di natura sociale in 52
(36%) casi mentre riguardavano aspetti
sanitari della madre in 73 (51%) e del
bambino in 19 (13%) situazioni. Le aree
di intervento del Servizio sociale AA
hanno riguardato difficoltà di ordine economico o abitativo. Il Servizio sociale
ATM si è fatto carico delle problematiche relative al sostegno alla genitorialità,
Quaderni acp 2014; 21(6)
FIGURA 1: NUMERO DI CASI ESAMINATI E PRESI IN CARICO DALL’EMD NEL CORSO
DEGLI ANNI 2008-2012
FIGURA
2: PROVENIENZA DELLE SEGNALAZIONI ALL’EMD
al riconoscimento dell’assegno di maternità, ai contributi economici per latte e
pannolini e agli interventi di supporto
educativo per il contesto familiare fino
all’inserimento della coppia madre-bambino o del minore in comunità protetta.
Il ruolo del DSMDP si è giocato su livelli diversi. Da un lato, l’accompagnamento psicologico che ha valutato la sintomatologia depressiva, l’attaccamento
madre-bambino e la relazione di coppia.
Dall’altro, l’intervento psichiatrico vero
e proprio che ha garantito, anche dopo la
dimissione, la continuità assistenziale nel
caso di scompensi gravi e acuti in prossimità del parto o nel post-partum. Le
cosiddette “dimissioni in ambito protetto” hanno riguardato situazioni che
richiedevano una maggiore tutela per il
minore. Quando l’inserimento ha riguardato la coppia madre-bambino, l’individuazione della comunità ha tenuto conto
dei bisogni e delle condizioni sanitarie
materne, pur mantenendo come obiettivo
primario l’instaurarsi del legame con il
bambino e il raggiungimento di una sufficiente autonomia nell’espressione della
genitorialità. La gestione delle situazioni
prese in carico dall’EMD ha richiesto, in
diverse occasioni, la collaborazione di
più di un servizio socio-sanitario. In 55
(38%) casi la gestione è stata affidata a
un unico servizio, mentre sono stati coinvolti 2, 3 e più di 3 servizi, rispettivamente in 54 (38%), 25 (17%) e 10 (7%)
situazioni. Nel corso degli anni emerge il
261
salute pubblica
progressivo incremento dei servizi coinvolti (fino a un massimo di 6 nel 2012)
sul singolo caso.
Discussione
Il lavoro dell’EMD, concepita come strumento operativo del PN del Distretto di
Forlì, ha consentito di affrontare situazioni di importante disagio emerse lungo
il percorso di una gravidanza, attivando
sinergicamente le risorse presenti sul territorio e afferenti alle aree sanitaria,
sociale e del terzo settore. Raccogliere in
forma strutturata attorno a un tavolo queste singole componenti ha consentito di
rispondere in maniera articolata a una
grande varietà e complessità di bisogni,
garantendo la continuità assistenziale e
l’accompagnamento nei passaggi territorio-ospedale-territorio, coordinando gli
interventi e monitorandone gli esiti. Nel
corso del tempo, l’EMD è diventata uno
strumento utilizzato anche all’interno del
Dipartimento Materno-Infantile a fronte
di situazioni individuate in Pediatria e
Neonatologia che manifestassero disagio
psico-sociale o bisogni sanitari particolari con necessità di sostegno a domicilio.
I dati di attività testimoniano il costante
incremento delle situazioni prese in carico dall’EMD. È un incremento che, se da
un lato può ricondursi a una crescente
attenzione degli operatori dei diversi
Servizi nel cogliere bisogni e fragilità,
dall’altro non può non tenere conto dell’attuale contesto socio-economico di
particolare difficoltà [4]. Le ricadute
sono evidenti sul piano sociale ma possono esserlo anche sullo stato di benessere psicofisico del nucleo familiare fino a
rendere necessario un sostegno a tutela
del neonato. Questi fenomeni rendono
stringente il tema dell’appropriato utilizzo dell’EMD e delle sue risorse. Si tratta
di risorse umane ed economiche non trascurabili. In tal senso, sono state utilizzate griglie di rilevazione informatizzate
che permettono il monitoraggio della
gravidanza, raccolgono l’anamnesi personale e familiare sul piano psichico, i
fattori di rischio psicosociale e il quadro
sintomatico attuale. Non a caso la principale fonte di segnalazioni è stata rappresentata dai Servizi ostetrici del
Consultorio e dell’Ospedale, a confermare il periodo della gravidanza come
importante finestra di osservazione sulle
fragilità e sul disagio della donna e del
262
Quaderni acp 2014; 21(6)
FIGURA 3: FREQUENZA CON LA QUALE SONO STATI COINVOLTI NELLA GESTIONE DEI CASI
I SINGOLI SERVIZI. IL TOTALE È SUPERIORE AL 100% PERCHÉ IN MOLTE SITUAZIONI C’È
STATO IL COINVOLGIMENTO DI PIÙ DI UN SERVIZIO
*Servizio Sociale Area Adulti; °Servizio Sociale Area Tutela Minori; ^Neuropsichiatria Infantile e
dell’Adolescenza; **Servizio Dipendenze Patologiche; ***Assistenza Domiciliare Integrata.
suo nucleo familiare [5-7]. Non raramente emergono vissuti di tossicodipendenza, patologia psichiatrica nota o latente o
condizioni sociali gravemente compromesse. Se è opportuno che vengano mantenuti un’osservazione e un sostegno
dopo la dimissione, la transizione ospedale-territorio può prevedere anche l’attivazione della Visita Domiciliare
Ostetrica. Costante è il coinvolgimento
del pediatra di famiglia, in grado di
cogliere eventuali segnali di sofferenza
del bambino, disfunzioni all’interno
della relazione madre-bambino e il manifestarsi di un disagio psichico materno
successivo al parto. In attesa che l’EMD
concretizzi gli interventi necessari, l’accoglimento del neonato in Neonatologia
può rappresentare uno spazio di osservazione e transizione utile al perfezionamento della dimissione protetta. Le
segnalazioni che provengono direttamente dalla Neonatologia o dalla
Pediatria riguardano generalmente situazioni di disagio che per motivi diversi
(elusione dei percorsi pre-parto, latenza
o recente insorgenza delle difficoltà psicosociali) non sono state intercettate nel
corso della gravidanza.
Il numero e la tipologia dei Servizi che
l’EMD è in grado di mobilitare sono
assai variabili, dipendendo dal profilo
della situazione e dalla sua complessità.
Il Servizio sociale è coinvolto nella quasi
totalità dei casi con compiti di sostegno
per i nuclei familiari in difficoltà economiche, abitative o culturali o prendendo
provvedimenti a tutela del minore. Può
predisporre la sorveglianza del nucleo
familiare, l’accoglienza della coppia
madre-bambino in una struttura protetta
(comunità, casa-famiglia) o l’allontanamento del neonato e l’affidamento
secondo le indicazioni del Tribunale dei
Minori. I disturbi della sfera psichica
hanno costituito motivo di intervento per
i Servizi di Psicologia e/o di Psichiatria
in circa un terzo dei casi con un evidente
incremento negli ultimi due anni. Con
sempre maggiore frequenza più Servizi
sono chiamati a contribuire alla gestione
del singolo caso e il coordinamento delle
azioni è affidato al Servizio maggiormente coinvolto (box). Negli ultimi due
anni, il 14% (10/71) dei casi ha richiesto
l’intervento coordinato di almeno 4-6
Servizi.
Nella nostra esperienza, l’EMD si è dimostrata, allo stesso tempo, punto di riferimento importante per gli operatori del
PN (ma anche per l’intero Dipartimento
Materno-Infantile) e strumento efficace
di previsione, pianificazione e coordinamento degli interventi. La conoscenza
salute pubblica
delle situazioni problematiche in anticipo rispetto al parto ha ridotto i tempi di
intervento con una conciliazione tra le
esigenze dell’area sanitaria (contenimento dei tempi di ricovero, certezza di presa
in carico da parte del territorio, condivisione dei percorsi sanitari dedicati) e
quelle dell’area sociale (ricerca delle
migliori soluzioni, rispetto dei tempi
burocratici e giuridici, reperimento e
allocazione delle risorse). Nella nostra
realtà il coordinamento dell’EMD è affidato alla psicologa del PN alla quale convergono le richieste e le proposte avanzate dai diversi Servizi e che diventa
quindi un elemento “cardine” che tiene
unite le parti del percorso del singolo
caso e i professionisti che operano intorno a esso.
Conclusioni
Dopo cinque anni di attività, rileviamo
come l’EMD si sia dimostrata una metodologia di grande utilità nell’affrontare le
situazioni multiproblematiche dal punto
di vista socio-sanitario che, sempre più
frequentemente, emergono nel percorso
di accompagnamento alla gravidanza e
nel periodo post-parto. L’integrazione tra
Servizi appartenenti ad aree diverse è
stata in grado di offrire risposte articolate e flessibili a bisogni assistenziali complessi. La consuetudine al lavoro integrato non esime da un costante coordinamento delle attività dell’EMD con l’obiettivo di tenere aggiornati e monitorati
i percorsi di sostegno e tutela avviati.
Ringraziamenti
Desideriamo ringraziare tutti coloro che
hanno contribuito all’ideazione, alla realizzazione e alle attività dell’EMD del
PN di Forlì. Sapendo che ci sarebbe
impossibile citare tutti coloro che si sono
avvicendati attorno al tavolo di lavoro, ci
limitiamo a ricordare alcuni responsabili
Quaderni acp 2014; 21(6)
BOX:
SINTESI DI UN CASO ESEMPLIFICATIVO
La donna, di origine cinese, è affetta da depressione bipolare. Alla 34ª settimana di
gravidanza, manifesta uno scompenso psicotico con disturbo dispercettivo che la
porta al ricovero in Psichiatria. La crisi è stata preannunciata, qualche giorno prima,
da attacchi d’ansia e stato di agitazione. La gravidanza era monitorata nell’ambulatorio della Gravidanza a Rischio per diabete gestazionale e controllo della crescita
fetale con parto cesareo programmato alla 38ª settimana. L’EMD ha seguito il passaggio della paziente dalla Psichiatria all’Ostetricia mantenendo la continuità assistenziale e condividendo con lei e il marito gli obiettivi socio-sanitari per garantire
l’accompagnamento e il sostegno alla madre e una condizione di tutela per la neonata. Il Progetto ha previsto la pianificazione degli interventi coinvolgendo gli operatori della Psichiatria e dell’Ostetricia, il Servizio Sociale ATM, il Terzo Settore e il
Servizio di Mediazione Culturale in vista di una dimissione protetta. Il ricovero in
Ostetricia è stato gestito, 24 ore su 24, con la presenza del marito alternata a quella della sorella della paziente. Si è attivato il servizio di mediazione culturale per
un’ora al giorno, con la presenza della psichiatra e, talora, dell’assistente sociale. La
degenza è stata prolungata per qualche giorno, per verificare la stabilizzazione psichica della donna e per permettere al Servizio sociale di individuare una comunità
protetta idonea ad accoglierla. Si rendeva necessaria una Struttura in grado di gestire la relazione con una paziente psichiatrica che, pur avendo raggiunto un compenso degli aspetti psicotici e avere avviato una prima relazione con la neonata, manteneva una condizione di rallentamento psichico e appariva ancora poco reattiva ai
bisogni della bambina. Lei stessa manifestava la necessità di un maternage che la rassicurasse e la aiutasse a orientare le sue risorse sull’accudimento e sull’attaccamento
affettivo. Alla dimissione sono state programmate visite domiciliari ostetriche presso
la struttura protetta. È stata assicurata la continuità assistenziale da parte del Centro
di Salute Mentale per il monitoraggio del quadro psichico e della terapia farmacologica e la presa in carico da parte del Servizio Sociale ATM per garantire la condizione di tutela della neonata.
dei Servizi coinvolti, estendendo a tutti i
loro collaboratori il nostro ringraziamento: Maria Teresa Amante, Anna Baldoni,
Celestino Claudio Bertellini, Nadia
Bertozzi, Stefano Boni, Paola Dalla
Casa, Gianfranco Gori, Nancy Inostroza,
Licia Massa, Giustino Melideo, Edoardo
Polidori e Claudio Ravani. Grazie, per il
loro costante impegno, anche agli operatori delle Comunità Protette, Case Famiglia, Centro di Aiuto alla Vita, Caritas e
altre realtà del Terzo Settore. u
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263
mentale
Quaderni acp 2014; 21(6): 264
Rubrica a cura di Angelo Spataro
Nati per la Musica
Intervista di Angelo Spataro* a Stefano Gorini**
*Pediatra di famiglia, Palermo, Responsabile del Gruppo “Salute mentale” dell’ACP
**Pediatra di famiglia, Rimini, Coordinamento Nazionale “Nati per la Musica”
“Nati per la Musica” (NpM) è un progetto per la diffusione della musica da 0 a 6 anni finalizzato a sensibilizzare i genitori
affinché creino attorno al bambino un ambiente musicalmente stimolante. Il bambino sembra venire al mondo con un cervello
preparato a elaborare il proprio mondo musicale e sembra che la capacità di percepire e apprezzare la musica sia innata. Quali
sono i vantaggi di questo progetto? A chi deve essere rivolto?
L’esposizione alla musica rafforza il
legame affettivo e influisce sullo sviluppo cognitivo. È la musica in se stessa o
sono anche la quantità e la qualità
della relazione madre-bambino e la
stessa voce materna a influire nello sviluppo del bambino?
Le componenti affettive e cognitive sono
strettamente legate fra loro e si alimentano a
vicenda. Il fatto che il bambino venga al
mondo con un cervello già perfettamente in
grado di riconoscere la musica ci fa capire
che l’apprendimento e lo sviluppo cognitivo
iniziano già nella vita uterina e che la musica,
fra i tanti stimoli che arrivano al bambino,
può favorire questi apprendimenti. Nei neonati è presente una dominanza emisferica
destra per la percezione dell’informazione
musicale simile a quella osservata negli adulti, e già a poche ore di vita i sistemi neurali
interessati sono sensibili a minime alterazioni
nella struttura musicale. Il neonato è in grado
di riconoscere le melodie che la madre cantava con una certa frequenza nell’ultimo trimestre di gravidanza, periodo in cui si struttura
la funzione uditiva, ed è in grado di distinguere la voce della mamma da quella del papà
e queste voci da quelle degli altri familiari.
Quando i genitori cantano, nel bambino si
attivano alcune aree del piacere, e tutto questo concorre al positivo sviluppo di quelle
esperienze socio-affettive che si andranno
strutturando nelle età successive. Se la
mamma parla in modo neutrale queste aree
non si attivano o si attivano meno; si attivano
se la sua cadenza è musicale (il motherese) o
se canta. In uno studio che, prendeva in esame bambini di 6 mesi si è notato che, quando la mamma canta, in essi aumenta l’attenzione maggiormente rispetto a quando parla.
Che rapporto c’è fra lo sviluppo del
linguaggio e la musica?
Le competenze musicali svolgono un ruolo
cruciale nelle prime fasi dell’acquisizione del
linguaggio, dato che l’elaborazione delle
informazioni prosodiche fornisce indicazioni
importanti per l’identificazione di sillabe,
parole e frasi. Linguaggio e musica non utilizzano substrati nervosi completamente soPer corrispondenza:
Angelo Spataro
e-mail: spataro.angelo@alice.it
264
vrapponibili, ma le neuroimmagini ci suggeriscono che alcune funzioni, come la sintassi,
possono richiedere risorse neurali comuni a
entrambi. Queste osservazioni sono veramente interessanti e si sta ora investigando quale
aiuto la musica possa fornire in alcune condizioni come la dislessia. A tale proposito va
citato il Progetto di ricerca tutto italiano “ReMus”, che per la prima volta documenta positivamente questa promettente prospettiva.
Ma in definitiva la musica a cosa serve?
Le ricadute positive dell’esperienza musicale
sullo sviluppo del bambino riguardano diversi aspetti. Per sensibilizzare l’opinione pubblica su questi argomenti e per promuoverne
le buone pratiche sia in famiglia sia a scuola
recentemente è stato pubblicato, a cura del
Coordinamento Nazionale di NpM, il manifesto “Le buone pratiche musicali aiutano i
bambini a crescere”. Esso ha ricevuto il supporto di alti esponenti del mondo sanitario,
musicale, dell’arte e della cultura, della ricerca e delle scienze (http://www.natiperlamusica.it/img/IT_manifesto_npm.pdf).
Nel manifesto si evidenzia come l’esperienza
musicale precoce stimoli lo sviluppo cognitivo, linguistico, emotivo, comunicativo e
sociale del bambino e offra opportunità eccellenti per interazioni di qualità all’interno
della famiglia. La ricerca ha inoltre dimostrato che le competenze specifiche acquisite dal
bambino in ambito musicale favoriscono e
potenziano anche lo sviluppo di altre funzioni di base e competenze inerenti ambiti non
prettamente musicali.
Per esempio fare musica stimola lo sviluppo
dell’attenzione, della discriminazione uditiva,
della memoria, della coordinazione motoria e
della capacità di interagire con l’altro: abilità
necessarie per apprendere in generale. È
anche dimostrato che l’attività musicale
migliora le abilità linguistiche e di lettura.
Fare musica avvicina il bambino alla bellezza
rinforzandone la motivazione ad apprendere
attraverso il piacere, il gioco e il divertimento. L’attività musicale in famiglia consente
poi l’instaurarsi di un terreno favorevole alle
esperienze musicali successive e crea dunque
i presupposti per lo sviluppo della sensibilità
musicale del bambino.
NpM rientra nell’ambito del sostegno
alla genitorialità soprattutto per le
famiglie in situazione di svantaggio.
Esistono a volte barriere sociali, culturali ed economiche che impediscono di
arrivare proprio in quelle famiglie la
cui situazione di svantaggio è tale da
comportare la mancata ricezione dell’importanza del progetto di aiuto.
Come si può ovviare a questo importante inconveniente?
È importante che siano coinvolti tutti i professionisti che incontrano il bambino fin dalla
più tenera età. Come in Nati per Leggere,
anche in NpM il ruolo del pediatra è fondamentale per l’autorevolezza del suo ruolo e
perché viene in contatto con tutti i bambini.
Credo non si possa, per quanto detto precedentemente, non dedicare un poco del proprio
tempo a NpM durante le visite periodiche.
Sintetizzando al massimo, quello che è richiesto è di informare i genitori, indirizzandoli
anche al sito di NpM e al blog, e se disponibile distribuire il materiale cartaceo messo a
diposizione dal CSB. Oltre al pediatra partecipano al progetto ostetriche, personale infermieristico, educatrici dei nidi e scuole materne, bibliotecari, insegnanti e animatori musicali specializzati per l’età infantile. Per quanto riguarda il sostegno alla genitorialità, che è
una delle priorità dell’ACP, sappiamo che
l’intervento è tanto più utile quanto più il
nucleo familiare è a rischio psicosociale e che
le ricadute positive di questo sostegno possono essere notevoli sia per l’individuo che per
la società. Requisiti di efficacia di un’azione
di sostegno alla genitorialità sono, fra gli altri,
l’inizio precoce e la durata nel tempo. Con la
musica si inizia a coinvolgere la mamma già
nell’ultimo trimestre di gravidanza, per esempio durante i corsi pre-parto. Comunque a
ogni età del bambino l’intervento di sostegno
tramite la musica è semplice e non particolarmente impegnativo dal punto di vista economico, anche per le famiglie più svantaggiate.
La musica infatti entra in ogni casa e la voce
rappresenta il primo strumento musicale, gratuito, a disposizione di tutti. La musica può
essere veramente uno strumento per superare
le disuguaglianze e gli esempi non mancano.
Uno fra tutti è l’esperienza di “El Sistema”
venezuelano, che si è rivelata una grande
opportunità di condivisione e socializzazione
e quindi di riscatto sociale offerta a migliaia
di bambini attraverso la musica. u
Quaderni acp 2014; 21(6): 265-266
L’epatite A nei Paesi in via di sviluppo:
un problema di transizione
Enrico Valletta, Martina Fornaro
UO di Pediatria, AUSL della Romagna, Forlì
È possibile, paradossalmente, che il
miglioramento delle condizioni igienicosanitarie nelle zone meno sviluppate del
Nord Africa e del Medio Oriente porti
nuovi problemi di salute per quelle popolazioni e che questo coinvolga, non marginalmente, anche noi europei al di là di
un Mediterraneo sempre più piccolo e
sempre più percorso da imponenti flussi
migratori. Uno sguardo a quanto sta
accadendo all’epidemiologia del virus
dell’epatite A (HAV) può servirci da
esempio.
Il grado di endemia dell’HAV in un territorio è strettamente correlato alla disponibilità di acqua e alle condizioni igienico-sanitarie della popolazione: maggiore
è il grado di povertà tanto più precocemente l’infezione sarà contratta nel corso
della prima infanzia [1-2]. La figura 1 ci
dice che all’età di 14 anni, in un’area a
elevata endemia (Africa sub-sahariana) il
100% dei bambini avrà già contratto l’infezione; in una zona a endemia intermedia (Nord Africa - Medio Oriente) il 70%
sarà sieropositivo mentre meno del 20%
dei bambini europei (bassa endemia)
sarà venuto a contatto con l’HAV alla
stessa età.
L’epatite A è una malattia a esito sostanzialmente benigno che non cronicizza
mai e che nei primi 5-6 anni di vita
decorre in maniera asintomatica (epatite
anitterica) in oltre il 90% dei casi con
una bassissima mortalità (0,1-0,3%). Al
contrario l’85-90% degli adulti infettati
sviluppa epatite e ittero con un decorso
variabile da 2-3 settimane a 6-12 mesi e
con un tasso di mortalità che cresce con
l’età fino a raggiungere il 2% oltre i 4050 anni. In una situazione di endemia
elevata/intermedia il principale serbatoio
di infezione è costituito dai bambini che
trasmettono l’HAV per via orofecale e
con i contatti interpersonali in situazioni
di scarsa igiene ambientale.
Con una popolazione già praticamente
del tutto immunizzata in età infantile, le
FIGURA
1: SIEROPREVALENZA PER HAV IN REGIONI A ENDEMIA ALTA (AFRICA SUBSAHARIANA), INTERMEDIA (NORD AFRICA - MEDIO ORIENTE) E BASSA (EUROPA OCCIDENTALE). MODIFICATA DA [1]
Africa sub-sahariana
Nord Africa - Medio Oriente
epidemie di epatite A sono molto rare e
scarso è l’impatto sulla popolazione
adulta, sia in termini sanitari che economici. Del tutto diversa è la realtà nei Paesi sviluppati, dove la gran parte dei soggetti adulti è ancora suscettibile all’infezione e dove si verificano ricorrenti focolai da contaminazione alimentare (molluschi crudi: Shangai 1988, Puglia/Campania 1996-97; frutti di bosco congelati:
Europa/Italia 2013), da viaggiatori provenienti da Paesi a elevata endemia (Europa, 2012-13) o in gruppi a rischio (disagiate condizioni sociali, tossicodipendenti, maschi omosessuali: Repubblica Ceca,
Lettonia, Slovacchia, 2008) [3-5].
Parallelamente al miglioramento delle
condizioni igienico-sanitarie nei Paesi in
via di sviluppo, anche l’epidemiologia
dell’HAV sta cambiando e si assiste a un
progressivo spostamento dell’età alla
quale viene contratta l’infezione, dall’infanzia all’adolescenza e all’età adulta. È
quanto si sta verificando nella regione
nordafricana e del Medio Oriente dove
Europa occidentale
l’impatto dell’epatite A, modesto fino a
che la malattia è rimasta confinata all’interno della prima infanzia, assume un
significato clinico ed economico ben
diverso nel momento in cui l’infezione
interessa fasce sempre più ampie della
popolazione adulta [6]. Il fenomeno, tuttavia, così come l’evoluzione igienicosanitaria, tende a svilupparsi a macchie
di leopardo e il contatto diretto tra popolazioni a differente grado di endemia e di
suscettibilità alla malattia porta all’emergere di focolai epidemici prima pressoché sconosciuti. In Arabia Saudita la percentuale di sieropositività nei bambini di
9-10 anni è scesa dal 68% nel 1989 all’11,4% nel 2005, in un’area (Palestina,
Turchia, Iraq, Siria) che permane a elevata diffusione dell’HAV con quote di
sieropositività nell’infanzia superiori al
90% [7]. Nel 2008 l’Arabia Saudita ha
così deciso di inserire nel proprio programma vaccinale anche la vaccinazione
per HAV per tutta la popolazione pediatrica [8].
Per corrispondenza:
Enrico Valletta
e-mail: e.valletta@ausl.fo.it
internazionale
265
osservatorio internazionale
Quaderni acp 2014; 21(6)
CONVEGNO
INTERNAZIONALE
MULTIDISCIPLINARE
Nel frattempo l’Europa occidentale sta
vivendo l’altra faccia del problema:
regione a elevato sviluppo e a bassa
endemia per HAV, si confronta con una
crescente immigrazione proveniente da
Paesi a elevata diffusione del virus e con
i periodici viaggi che le prime e le seconde generazioni di immigrati effettuano
nei Paesi di origine. In Olanda, l’HAV ha
picchi di incidenza stagionali in relazione al ritorno di giovani turchi e marocchini che vanno in visita alle famiglie
nelle terre di provenienza, contraggono
l’HAV e al ritorno in Olanda trasmettono
l’infezione nelle comunità scolastiche e
successivamente agli adulti [9].
I più giovani che non avevano già avuto
contatto con l’HAV prima di emigrare e
ancor più le seconde generazioni nate e
cresciute in Europa divengono i vettori
principali di un’infezione che mette in
connessione aree distanti e a differente
grado di endemia. Per contrastare questo
fenomeno, dal 1998 diverse municipalità
olandesi hanno varato un programma di
vaccinazione per l’HAV rivolto ai giovani turchi e marocchini che hanno in programma un viaggio in patria [10].
In prospettiva non c’è dubbio che l’Italia
dovrà porre attenzione al problema e
alcuni dati relativi al Piemonte mostrano
già un elevato rischio di contrarre l’infezione per i bambini immigrati (soprattutto da Marocco, Egitto e Romania) che
trascorrono le vacanze estive nei Paesi di
origine e sviluppano la malattia, in
autunno, al loro ritorno in Italia [11]. In
Puglia, l’inserimento della vaccinazione
per HAV nel programma vaccinale, dopo
l’epidemia del 1996-97, ha consentito di
contrastare efficacemente la circolazione
del virus in una popolazione a rischio
intermedio per cause essenzialmente alimentari [12].
In sintesi, sembrano confermarsi le recenti raccomandazioni del World Health
Organization (WHO), che consigliano
un’estensiva vaccinazione per HAV nei
Paesi a endemia intermedia – o in via di
transizione da alta a intermedia – per
interrompere la circolazione del virus e
limitare il contagio in età adulta [13]. Nei
Paesi a elevata endemia la grande diffusione dell’infezione asintomatica nella
prima infanzia non giustifica una politica
vaccinale di massa, mentre nei Paesi a
266
bassa o bassissima circolazione dell’HAV la vaccinazione dovrebbe essere
attivamente offerta ai viaggiatori in zone
endemiche, come protezione individuale
e per limitare i focolai epidemici al loro
ritorno. u
Siamo grati a Rosario Cavallo per alcuni
utili suggerimenti bibliografici.
Bibliografia
[1] Jacobsen KH. The global prevalence of hepatitis A virus infection and susceptibility: a systematic
review. WHO, 2009.
[2] Kamal SM, Mahmoud S, Hafez T, El-Fouly R.
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countries. Mediterr J Hematol Infect Dis 2010;
2(1):e2010001. doi: 10.4084/MJHID.2010.001.
[3] European Centre for Disease Prevention and
Control. Outbreak of hepatitis A in EU/EEA countries. Second update, 11 April 2014. ECDC, 2014.
[4] MacDonald E, Steens A, Stene-Johansen K, et
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England, Germany, the Netherlands, Norway and
Sweden returning from Egypt, November 2012 to
March 2013. Euro Surveill 2013;18(17):20468.
[5] Payne L, Coulombier D. Hepatitis A in the
European Union: responding to challenges related
to new epidemiological patterns. Euro Surveill
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Africa region: a new challenge. J Viral Hepat
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[7] Almuneef MA, Memish ZA, Balkhy HH, et al.
Epidemiologic shift in the prevalence of hepatitis A
virus in Saudi Arabia: a case for routine hepatitis A
vaccination. Vaccine 2006;24(27-28):5599-603.
[8] Abdo AA, Sanai FM, Al-Faleh FZ. Epidemiology of viral hepatitis in Saudi Arabia: are we
off the hook? Saudi J Gastroenterol 2012;18(6):
349-57. doi: 10.4103/1319-3767.103425.
[9] Suijkerbuijk AWM, Lindeboom R, van
Steenbergen JE, et al. Effect of hepatitis A vaccination programs for migrant children on the incidence
of hepatitis A in the Netherlands. Eur J Public
Health 2009;19(3):240-4. doi: 10.1093/eurpub/
ckn145.
[10] Whelan J, Sonder G, van den Hoek A. Declining incidence of hepatitis A in Amsterdam (The
Netherlands), 1996-2011: second generation migrants still an important risk group for virus importation. Vaccine 2013;31(14):1806-11. doi: 10.1016/
j.vaccine.2013.01.053.
[11] Lombardi D, Acucella G, Boscardini L, et al.
Epatite A in età pediatrica in Piemonte. Medico e
Bambino Pagine Elettroniche 2014;17(4).
[12] Martinelli D, Bitetto I, Tafuri S, et al. Control
of hepatitis A by universal vaccination of children
and adolescents: an achieved goal or a deferred
appointment? Vaccine 2010;28(41):6783-8. doi:
10.1016/j.vaccine.2010.07.069.
[13] WHO position paper on hepatitis A vaccines –
June 2012. Wkly Epidemiol Rec 2012;87(28/29):
261-76.
In occasione
del X “Convegno di Neuropsichiatria
Quotidiana per il Pediatra”
ACP, Centro Brazelton di Firenze,
ISIPSÉ, Associazione Natinsieme
Mi fido di te!
Valorizzare le competenze
del bambino, dell’adolescente
e dei genitori
Un tributo a T. Berry Brazelton
Roma, Auditorium Antonianum
13 e 14 marzo 2015
Il sostegno alla genitorialità passa
per il riconoscimento e la promozione, sia nei genitori che negli operatori, delle risorse, competenze e intenzionalità creative del bambino dalla
nascita fino all’adolescenza. Sostenere la fiducia in queste capacità è alla
base dell’approccio Brazelton che
dialogherà con la Psicologia dello
Sviluppo e con la Psicoanalisi Relazionale che in anni recenti hanno
contribuito al cambiamento di paradigma verso la prospettiva intersoggettiva.
Ciò ha permesso di sviluppare altri
approcci per il sostegno alla cogenitorialità, inclusa l’esperienza dell’uso
del videofeedback in un ambulatorio
del pediatra di famiglia.
L’evento è rivolto a tutti gli operatori
che lavorano con la famiglia: pediatri,
neonatologi, psicologi, psicoterapeuti,
neuropsichiatri infantili, riabilitatori,
infermieri, ostetriche, educatori.
Il Convegno vedrà la partecipazione
di esperti di fama internazionale –
Berry Brazelton, Joshua Sparrow, Kevin Nugent, Nadia Bruschweiler
Stern e Colwyn Trevarthen – che, oltre a presentarci i risultati delle recenti ricerche e il loro pensiero fortemente innovativo sulle interazioni precoci
e lo sviluppo neuropsichico nei primi
mesi di vita e nell’età dell’adolescenza, discuteranno tra loro e con i partecipanti, anche con casi clinici presentati da operatori di diversa professionalità in una cornice interdisciplinare.
Ci auguriamo che questa iniziativa
possa facilitare una reale e più fattiva collaborazione nell’assistenza al
bambino, all’adolescente e alla sua
famiglia, sia a livello ospedaliero che
territoriale, tramite percorsi formativi
comuni e lo scambio di esperienze
tra operatori di diversa professionalità, realizzando così l’obiettivo che
dieci anni fa il professor Panizon
aveva pensato per il Convegno di
NPI quotidiana per il pediatra.
Per informazioni e iscrizioni:
www.convegnobrazeltonroma.it
Quaderni acp 2014; 21(6): 267
Leggo perché scrivo
Giancarlo Biasini
Direttore editoriale
Ha avuto grande successo il video A Magazine Is an iPad That Does Not Work.
Una bambina di un anno gioca con un
iPad passando le dita sullo schermo. Poi
ripete la manovra strisciando su una rivista cartacea. La sua delusione è chiara:
Does Not Work. Per intendere la differenza fra carta e schermo occorre riandare ad
alcune nozioni. Non esiste nel cervello un
“centro” per la lettura. Nella evoluzione
l’uso delle lettere è un evento relativamente recente, forse collocabile nel III-IV
millennio a.C. Si ipotizza che le lettere
abbiano una origine pittografica. La lettera A avrebbe indicato la testa del bue o del
toro (in semitico Alpu), la B la pianta
della casa (in semitico Betu), la K il
palmo della mano (Kappu) e così via. Per
la loro comprensione sarebbero state utilizzate le regioni cerebrali del riconoscimento degli oggetti. Lo scritto sarebbe
quindi una sorta di paesaggio materiale
fatto di parole viste come immagini [1].
Ci sono dati che sembrerebbero confermare questo assunto. Capita infatti di ricordare la posizione di un verso o di una
poesia su una pagina, come se la poesia
fosse una figura. Io so che, nel testo del
liceo, il famoso Ille mi par esse deo videtur di Catullo è in una pagina di sinistra,
in alto al centro. Una immagine mentale,
un paesaggio resistente per decenni. Tornando alla lettura, fra le fatiche dei mille
giorni, c’è anche il lavoro di costruire, all’interno delle reti, dei circuiti a essa dedicati. Questo può avvenire rubando “fili”
dedicati ad altre capacità geneticamente
dedicate come linguaggio, vista, udito o
altro. Come nascono i circuiti? Uno studio del 2009 su bambini di 5 anni, rilanciato il 24 gennaio 2012 con una News
Release, dimostra che i circuiti cerebrali
dedicati alla lettura si attivano molto più
efficacemente quando i bambini scrivono
a mano rispetto a quando battono i tasti su
una tastiera [2-3]. La dimostrazione è
stata ottenuta misurando con risonanza
magnetica funzionale l’attivazione neurale prima e, successivamente, tre differenti
tipologie di sessioni sperimentali: scrittura manuale, al computer, semplice visione
di lettere su una lavagna o su uno schermo. La spiegazione è semplice: una parola appresa con la scrittura a mano richie-
de un apprendimento concordato visivo/manuale assai più lungo di quello di
batterla sulla tastiera. L’Autore della
ricerca aggiunge che i suoi studenti ricordano meglio le informazioni una settimana dopo averle scritte a mano rispetto a
quando le hanno battute o semplicemente
lette alla lavagna. Sempre su questo argomento Anne Mangen (Università di Stavanger) ha condotto una sperimentazione
su 72 ragazzi di 17 anni [4]. Metà ha letto
un testo su carta, metà su un file PDF.
Sottoposti a un test di comprensione del
testo dava risultati significativamente
migliori chi aveva letto su carta. Il dato è
confermato da un discreto numero di altre
ricerche, e in una non conclusa, la Mangen ha confrontato il coinvolgimento dei
lettori di un testo narrativo breve su carta
o su iPad [1]. Chi leggeva il testo su carta
era più coinvolto nella storia di quello che
la leggeva su schermo. Alla base di tutto
questo starebbe il concetto che più sono le
parti del corpo impegnate nel processo di
leggere/scrivere maggiore è la capacità di
comprendere e di apprendere. Si tratterebbe di una ulteriore applicazione del “learning by doing”: quando si leggono le lettere imparate con la scrittura manuale si
attivano più parti del corpo e del cervello.
La mano che si muove lascia una memoria nell’area sensimotoria che aiuta stabilmente il riconoscimento delle lettere. In
un esperimento in due gruppi di adulti
Mangen assegnò il compito di scrivere
lettere di un alfabeto ignoto in due gruppi: uno a mano, l’altro su tastiera. Tre e
sei settimane dopo i due gruppi furono
testati per il riconoscimento delle stesse
lettere dritte e invertite. Il gruppo “mano”
ebbe risultati migliori. L’area di Broca
risultava fortemente impegnata in questo
gruppo; quasi per nulla nell’altro. Si
potrebbe dedurre, ma è presto, che i bambini con difficoltà di apprendimento possano trarre beneficio dalla attivazione
della componente sensi-motoria [5]. Ancora interessante una ricerca preliminare
di Chiong e coll. che ha coinvolto 32 coppie di genitori e bambini fra i 3 e i 6 anni,
focalizzata su quanto ricordano i bambini
di una breve storia di 10 minuti che veniva loro letta dai genitori in un libro cartaceo, in un e-book semplice e in un e-book
che integrava la lettura digitale con animazioni (enhanced e-book) [6]. La conclusione non coincide con qualche dato
sopra riportato: i bambini che raccontano
la storia letta su carta ed e-book non si
comportavano in maniera sostanzialmente diversa. Quelli con enhanced e-book
venivano particolarmente distratti dall’apparecchiatura e ricordavano significativamente meno particolari e avevano
minori interazioni. Gli Autori però (bicchiere mezzo pieno) suggeriscono che
l’enhanced e-book può essere uno strumento attrattivo per bambini poco motivati alla lettura. Un questionario, successivo alla ricerca e inviato a 1220 genitori,
rivelava che la maggioranza riferiva che i
figli preferiscono un libro stampato a un
e-book per la lettura condivisa. Una
recentissima indagine su 165 diadi genitori-bambini ha dichiarato che, nella lettura dialogica, la relazione nella coppia e la
comprensione della storia da parte dei
bambini sono ambedue negativamente
influenzate dall’utilizzo della forma elettronica [7]. La presenza di tasti nell’ebook è fortemente distraente (“smetti di
premere i bottoni e stai attento alla storia”). In conclusione, sembra che la carta
abbia (ancora? O forse molto cambierà
con la diffusione del digitale nelle generazioni?) dei vantaggi nella lettura condivisa e specialmente nei primi 1000 giorni. u
Bibliografia
[1] Jabr F. Carta contro pixel. Le scienze 2014;
1;67-71.
[2] James KH, Atwood TP. The role of sensimotor
learning in the perception of letter-like-forms: traching the causes of neural specialization for letters.
Cogn Neuropsychol 2009;26(1):91-110. doi:
10.1080/02643290802425914.
[3] James KH. Printing, cursive, keyboarding:
What’s the difference when it comes to learning?
Indiana University New Release. January 13, 2012.
[4] Mangen A. Paper beats computer screens.
Science Nordic March 13, 2013.
[5] Trond Egil T. Better letter through handwriting.
Science daily June 27, 2012.
[6] Chiong C, Ree J, Takeuchi L, et al. Comparing
parent-child co-reading un print, basic amd enhanced e-book platforms. The Joan Ganz Cooney
Center Report, Spring 2012.
[7] Parish-Morris J, Mahajan N, Hirsh-Pasek K, et
al. Once Upon a Time: Parent-Child Dialogue and
Storybook Reading in the Electronic Era. Mind,
Brain, and Education 2013;7:200-11. doi: 10.1111/
mbe.12028.
Per corrispondenza:
Giancarlo Biasini
e-mail: giancarlo.biasini@fastwebnet.it
267
Quaderni acp 2014; 21(6): 268-270
La riforma della filiazione
Augusta Tognoni
Magistrato
Abstract
The reform of filiation
The Law 10/12/2012 n. 219 is a milestone in family law: it equalises the legal treatment of children born “inside and outside marriage”; eliminates any distinction/discrimination between “legitimate” and “natural” children; allows the creation of a
parental network regardless of the type of union, enhancing family ties that previously did not have a legal significance, with consequent impact on the patrimonial, succession and emotional sphere of children. Significant is the replacement of “parental
authority” with “parental responsibility”, as a new instrument of cohesion of the parent-child relationship. The child is a “person” subject of law, which “must” be heard
on all matters concerning him in accordance with the fundamental principles of the
Constitution and International Rights Conventions.
Quaderni acp 2014; 21(6): 268-270
La Legge 10/12/2012 n. 219 è una tappa fondamentale nel Diritto di famiglia: parifica il trattamento giuridico dei figli nati “dentro e fuori dal matrimonio”; elimina ogni
distinzione/discriminazione tra figli “legittimi” e figli “naturali”; consente la creazione della rete parentale indipendentemente dall’unione matrimoniale dei genitori,
valorizzando legami familiari che in precedenza non assumevano rilievo giuridico,
con conseguenti ricadute nella sfera affettiva, patrimoniale, successoria dei figli.
Significativa è la sostituzione dell’espressione “potestà genitoriale” con “responsabilità genitoriale”, come nuovo strumento di coesione dei rapporti genitori-figli. Il figlio
è “persona”, soggetto di diritto, che “deve” essere ascoltato per tutte le questioni che
lo riguardano nel rispetto dei princìpi fondamentali della Costituzione e delle
Convenzioni internazionali.
La riforma della filiazione, introdotta
dalla Legge 10/12/2012 n. 219 e completata dal D.L. 154/2013, incide su due elementi strutturali della società: il rapporto
di filiazione e la relazione parentale. Evidenzia anche il ruolo del diritto come valenza sociale, culturale e antropologica.
La Legge 219/2012 innova profondamente il Diritto di famiglia con l’affermazione del principio della unicità dello
“status” del figlio; rappresenta la compiuta realizzazione di un processo di
tutela dei soggetti deboli nel segno dell’uguaglianza del trattamento giuridico
dei figli, a prescindere dal fatto che la
procreazione sia avvenuta o meno in un
contesto coniugale, secondo le linee tracciate dalla Costituzione e dalle fonti
sovranazionali (Convenzione di New
York sui diritti del fanciullo del 1989,
ratificata con Legge 176/1991; Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei minori del 1996, attuata con
Legge 77/2003; art. 24 Carta di Nizza del
2000; art. 6 Trattato di Lisbona; Regolamento Europeo 2201/2003).
Il nuovo criterio ordinante è il valore
prioritario concesso ai diritti individuali
rispetto all’interesse collettivo del gruppo familiare.
L’art. 315 del Codice civile (c.c.) con
proposizione inequivoca stabilisce che
“tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”, con il corollario (art. 74 c.c. come
modificato) che “la parentela è il vincolo
tra persone che discendono da uno stesso
stipite, sia nel caso in cui la filiazione è
avvenuta all’interno del matrimonio sia
nel caso in cui è avvenuta fuori di esso”.
La condizione giuridica del figlio è tutelata in ogni ordine di rapporti come valore autonomo e indipendente dal vincolo
eventualmente esistente tra i genitori. Le
nuove disposizioni segnano una frattura
netta rispetto alla precedente regolamentazione che manteneva distinta la posizione del figlio legittimo, al quale solo
era riservata piena collocazione nella
rete familiare, rispetto a quella del figlio
naturale riconosciuto, la cui relazione
giuridica era circoscritta al genitore e al
corrispondente ascendente; si considerava cioè estraneo rispetto ai propri fratelli
e sorelle, rispetto agli zii, ai cugini.
In sintesi: il principio di uguaglianza dei
figli si realizza non solo nella relazione
verticale tra genitori e figli, ma anche in
quella orizzontale con gli ascendenti e i
parenti, in quanto la parentela dipende
dalla generazione, non già dal matrimonio, che non si configura più come elemento di differenziazione del rapporto
giuridico genitori-figlio-parenti.
Il ruolo degli ascendenti
In questa ottica estremamente innovativo
è l’art. 317 bis c.c.: “Gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni”. L’ascendente al quale è impedito l’esercizio di
tale diritto può ricorrere al giudice del
luogo di residenza abituale del minore
affinché siano adottati i provvedimenti
più idonei nell’esclusivo interesse del
minore, con la considerazione che il
punto di vista degli ascendenti viene elevato da posizione soggettiva a vero e
proprio diritto (art. 336, 2º comma c.c).
È un diritto che ha la caratteristica di
autonomia, perché prescinde dalla posizione dei genitori e dalla loro relazione e
può emergere indipendentemente dai
comportamenti di questi, dal loro stato di
unione o separazione e mediante richieste dirette nei confronti di uno di essi o di
entrambi.
Il contenuto della formula “rapporti
significativi” deve essere letto non tanto
in termini quantitativi e materiali, quanto
piuttosto in termini qualitativi, come
diritto a partecipare alla vita del minore.
Il “diritto dei nonni” a una relazione affettiva profonda e stabile nella catena generazionale, discusso e auspicato in molti studi giuridici e psicologici, è acquisito come valore positivo che contribuisce
ad arricchire l’esperienza esistenziale del
nipote.
Per corrispondenza:
Augusta Tognoni
e-mail: augusta.tognoni@gmail.com
la legge
268
il bambino e la legge
Responsabilità genitoriale
Significativa, sotto il profilo culturalepsicologico, è la sostituzione della formula tradizionale di “potestà genitoriale”
con l’espressione “responsabilità genitoriale”, recepita dalle fonti internazionali
e sovranazionali (parental responsibility
nella Dichiarazione ONU dei diritti del
fanciullo del 1959 e nel regolamento CE
n. 2201/2003; in particolare, il Children
Act britannico del 1989 esprime una sintesi di poteri, diritti, responsabilità del
genitore verso il figlio e il suo patrimonio).
La nozione di “responsabilità genitoriale” comporta la riorganizzazione sistematica delle norme che regolano i rapporti genitori-figlio (art. 316 c.c.).
La relazione illustrativa della riforma
precisa che con il termine “responsabilità” si indica una situazione giuridica
complessa “idonea a riassumere i doveri,
gli obblighi e i diritti derivanti per il
genitore dalla filiazione, con l’avvertenza che “la modifica terminologica dà
risalto alla diversa visione prospettica
che nel corso degli anni si è sviluppata ed
è ormai da considerare patrimonio condiviso”; “i rapporti genitori-figli non devono più essere considerati avendo riguardo circa il punto di vista dei genitori, ma
occorre porre in risalto il superiore interesse dei figli minori”. Ciò appare coerente rispetto alle Linee Guida (LLGG)
emerse nelle discipline europee; in particolare l’art. 2 n. 7 Reg. CE 2201/2003
definisce la responsabilità genitoriale
come “insieme dei diritti e dei doveri di
cui è investita una persona fisica in virtù
di una decisione giudiziaria, della legge
o di un accordo in vigore, riguardanti la
persona o i beni di un minore”, con la
puntualizzazione che la responsabilità
genitoriale “persiste sino alla maggiore
età o all’emancipazione” (art. 318 c.c.)
“fino al raggiungimento dell’indipendenza economica del figlio”.
“La responsabilità genitoriale” è un
nuovo strumento di coesione dei rapporti genitori-figlio.
La responsabilità genitoriale di entrambi
i genitori non cessa a seguito di separazione, scioglimento, annullamento, nullità, cessazione degli effetti civili del
matrimonio (art. 317 c.c.). In tali situazioni (art. 337, 1° comma c.c.) il figlio
minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con cia-
Quaderni acp 2014; 21(6)
scuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale
da entrambi e di conservare rapporti
significativi con gli ascendenti e con i
parenti di ciascun ramo genitoriale. Il
giudice adotta i provvedimenti relativi
alla prole con esclusivo riferimento
all’interesse morale e materiale di essa.
Valuta prioritariamente la possibilità che
i figli restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi siano
affidati, determina i tempi e le modalità
della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo
con cui ciascuno deve contribuire al
mantenimento, alla cura e all’educazione
dei figli.
L’art. 337 ter, 3º comma c.c., sancisce
che le decisioni di maggiore interesse per
i figli, relative all’istruzione, all’educazione e alla salute, sono assunte di comune accordo, tenendo conto della capacità,
dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli, con l’indicazione esplicita
che in caso di disaccordo la decisione è
rimessa al giudice.
Sottolinea il legislatore che l’esercizio
esclusivo della responsabilità genitoriale
è circoscritto alla sola ipotesi in cui il
figlio sia affidato in via esclusiva a uno
solo dei genitori e che anche in tale caso
le decisioni di maggiore interesse per i
figli sono adottate da entrambi i genitori
(art. 337 quater).
È agevole concludere che il combinato
disposto degli artt. 316, 4º comma, 337
ter e 337 quater c.c., consente di affermare la regola dell’esercizio congiunto della
responsabilità genitoriale come principio
generale. Il figlio, salvi i casi in cui sia
accertato un suo interesse di segno contrario, fa riferimento a entrambe le figure
genitoriali investite congiuntamente nei
suoi confronti della responsabilità, ossia
di quella “situazione giuridica complessa,
idonea a riassumere i doveri, gli obblighi
e i diritti derivanti per il genitore dalla
filiazione che viene a sostituire il tradizionale concetto di potestà” (relazione conclusiva 4 marzo 2013 n. 152).
L’ascolto del minore
Segno dell’evoluzione normativa, volta a
realizzare pienamente la tutela della personalità e della sensibilità del minore
come soggetto portatore di interessi individuali, è la previsione dell’ascolto del
medesimo come criterio di ordine gene-
rale. La centralità dell’interesse del minore è descritta nell’art. 315 bis c.c.: “Il
figlio minore che abbia compiuto gli anni
12 e anche di età inferiore ove capace di
discernimento ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e procedure che
lo riguardano”. È un adempimento “obbligatorio” per il giudice nei procedimenti di responsabilità genitoriale e di
affidamento in cui debba assumere decisioni che riguardano le scelte esistenziali
del figlio, le modalità organizzative di
vita più opportune, con la precisazione
che “è possibile derogare, ove l’ascolto
risulti in contrasto con l’interesse del
minore o manifestamente superfluo” (art.
336 bis, 1º comma c.c.).
La portata della norma è molto ampia: il
richiamo in termini generici a “questioni” e “procedure” impone che l’ascolto
debba esplicarsi non soltanto sul versante della tutela giurisdizionale, ma prima
ancora “a monte”, nell’ambito delle relazioni familiari.
Nella famiglia l’ascolto del minore si
pone come condivisione di pensiero,
come guida partecipata e consapevole
per spingere il figlio sempre più verso
capacità di scelte e autodeterminazione
contestualizzate nella vita reale; un rapporto nuovo nell’ambito del quale i genitori esercitano una collaborazione morale e giuridica congiuntamente con il
figlio, sostenendolo nel suo percorso formativo, assicurandogli e tutelandone la
sicurezza, la salute, promuovendone il
benessere psico-fisico e la progressiva
acquisizione di autonomia.
Princìpi successori
La previsione di un comune statuto giuridico dei figli con l’equiparazione di
tutti i nati comporta la modifica delle
LLGG della successione con una prospettiva che cancella la discriminazione
iniqua, molto forte e particolarmente sofferta nel campo dell’eredità.
La riforma inserisce il figlio naturale
nella rete della parentela prima limitata
al solo rapporto genitore-figlio.
Si amplia la categoria dei successibili e si
modifica l’ordine successorio: il figlio
nato fuori dal matrimonio diventa un
successibile di ciascuno dei parenti del
proprio genitore prevalendo rispetto allo
Stato, al quale prima soccombeva; in
senso inverso tutti i parenti del genitore
diventano successibili del figlio nato
269
il bambino e la legge
fuori dal matrimonio, con la conseguenza che costoro prevalgono sullo Stato
che, in precedenza, in assenza di coniuge, figli o fratelli era l’unico erede.
Viene eliminata la facoltà di commutazione che prevedeva la possibilità per i
figli legittimi di escludere dalla comunione ereditaria i figli naturali, riducendo
la loro posizione a una mera quantificazione monetaria (un esempio semplice
per comprendere: i figli legittimi si tenevano la casa e agli altri davano solo una
somma di denaro).
Azioni di “status”
Importanti sono le innovazioni che
riguardano le azioni di “status” (disconoscimento della paternità, dichiarazione
giudiziale di paternità, contestazione e
reclamo dello “status” di figlio, riconoscimento dei figli nati da relazioni parentali), ma non è questa la sede per discutere problematiche tanto complesse e
sfaccettate che richiedono una trattazione specifica.
Conclusioni
La Legge 219/2012 cancella la distinzione tra figli “legittimi” e figli “naturali”,
con la previsione di un comune statuto
giuridico dei figli, indipendentemente
dall’unione matrimoniale dei genitori.
La conseguita consapevolezza del legislatore riguardo alla varietà di situazioni
che possono caratterizzare il legame tra i
genitori, incidendo sulla sua stabilità, ha
condotto a valorizzare legami familiari
che in precedenza non assumevano rilievo giuridico. È una trasformazione “epocale” con la creazione del legame di
parentela prima limitata al solo rapporto
genitore-figlio, con la profonda modifica
dei rapporti successori, nel senso che i
figli succedono ai parenti del genitore e i
parenti del genitore succedono al figlio
nato fuori dal matrimonio.
Il figlio è inserito nelle relazioni di
parentela di entrambi i genitori e vede i
genitori congiuntamente coinvolti in una
responsabilità nei suoi confronti, che si
basa esclusivamente sulla generazione e
prescinde dalla tipologia di unione che li
lega, dalla sua stabilità e dalla creazione
di unioni nuove.
L’obbligo dell’ascolto del minore, previsto da norme precise, realizza la tutela
dello stesso come “persona” portatrice di
diritti e interessi individuali. u
270
SITUAZIONE DEGLI INFERMIERI LAUREATI DISOCCUPATI
Valori/anno a dodici mesi dalla laurea
2008
2009
2010
2011
2012
2013
Marche
0
0
11
13
63
100
Sardegna
0
0
11
9
56
100
Sicilia
29
0
42
47
52
95
Puglia
50
50
0
36
67
91
Campania
0
17
10
44
94
87
Veneto
5
0
0
14
0
84
33
20
25
0
83
80
0
38
22
63
75
74
Calabria
Lazio
Toscana
4
18
0
23
52
72
Piemonte
0
22
0
21
22
65
Emilia-Romagna
11
0
17
25
27
64
Abruzzo
40
0
0
44
50
36
Friuli Venezia Giulia 0
6
8
0
23
26
Lombardia
0
0
8
22
25
0
Basilicata, Molise, Umbria, Liguria: dati insufficienti
Secondo dati di Alma/Laurea (2008-2013) a un anno dalla laurea gli infermieri
accettano anche altri impieghi al di fuori della loro professionalità. Al Nord l’anno
in cui la disoccupazione (57%) supera l’occupazione (43%) è il 2013. Al Centro la
situazione è più critica: nel 2012 disoccupazione al 58% e nelle isole al 76%.
L’occupazione ospedaliera è scesa dal 90% del 2006 al 24% del 2013. Cresce l’offerta delle strutture residenziali che supera (51%) l’ambito ospedaliero nel 2012 e
regredisce (41%) nel 2013.
(Il Sole 24 ORE Sanità, 23- 29 settembre 2014)
FLOP DELL’AGENZIA PER L’ITALIA DIGITALE
NON SOLO LA SANITÀ
L’Agenzia per l’Italia Digitale ha emesso il suo verdetto: sono 10.320 le amministrazioni che nei tempi previsti dal DL n. 90 (misure urgenti per la semplificazione e
la trasparenza amministrativa) non hanno inviato l’elenco delle proprie “basi dati”
e degli applicativi che utilizzano.
Tra le inadempienti, decine di aziende sanitarie locali e ospedaliere delle Regioni.
All’appello, infatti, mancano 83 Asl su 157; 51 Aziende ospedaliere su 107 e
10 Agenzie sanitarie regionali.
Fra le amministrazioni “non pervenute” non risulta solo la sanità, ma anche
l’Avvocatura dello Stato, i Ministeri degli Affari Esteri, del Lavoro, della Difesa e
dello Sviluppo Economico e perfino (in ambito sanitario!) l’Agenas, a cui il recente
Patto della Salute ha affidato non pochi compiti di monitoraggio e valutazione.
Quaderni acp 2014; 21(6): 271-273
Una diagnosi quasi per caso
Paolo Siani*, Claudia Mandato*, Francesco Esposito**, Federica de Seta°, Giovanna Puoti°
*UOC di Pediatria, AO Santobono Pausilipon; **UOC di Radiologia, AO Santobono Pausilipon; °Dipartimento di Scienze Mediche
Traslazionali-Sezione di Pediatria, Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Abstract
An almost accidentally diagnosis
The case of a 13 year old girl with elevated and persistent fever is described. During
hospitalization infectious mononucleosis is diagnosed. For the progressive enlargement of the spleen the patient undergoes an ultrasound examination of the abdomen
which showed a mass of pancreatic origin. Further investigations confirm the presence of a rare pancreatic tumor that primarily affects adolescent females and young
women in the second decade of life.
Quaderni acp 2014; 21(6): 271-273
È descritto il caso di una bambina di 13 anni con febbre elevata e persistente da sei
giorni. Durante la degenza è posta diagnosi di mononucleosi infettiva; per il progressivo ingrossamento della milza viene sottoposta a esame ecografico dell’addome che
evidenzia una massa a partenza pancreatica. Le indagini successive confermano la
presenza di un raro tumore pancreatico che colpisce soprattutto le femmine adolescenti e le giovani donne nella II decade della vita.
La storia
Francesca, 13 anni, viene ricoverata per
il persistere di una febbre elevata (38,539 °C) da sei giorni. Per il passato nulla
di rilevante all’anamnesi. Gli esami di
laboratorio eseguiti a domicilio hanno
mostrato una linfomonocitosi e un’ipertransaminasiemia (x4). Un’ecografia
addominale ha evidenziato una splenomegalia.
Il percorso diagnostico
All’esame obiettivo: peso kg 49,500
(50°-75° pc), altezza 156,5 cm (25°-50°
Pc), BMI 20,3 kg/m2 (75°-85° Pc). Condizioni generali compromesse. Aspetto
sofferente. Cute e mucose normoemiche
e normoidratate. TC 39 °C. PA 110/65
mmHg. Obiettività cardiorespiratoria
nella norma.
Addome trattabile, non dolente in tutti i
quadranti. Fegato palpabile a 1 cm dall’arco costale di consistenza parenchimatosa. Milza palpabile a 3 cm circa dall’arco costale di consistenza parenchimatosa a superficie liscia. Faringe iperemico con tonsille ipertrofiche e iperemiche
con piccoli zaffi di essudato bianco-grigiastro. Ingrossamento di due linfonodi
sottomandibolari bilateralmente, della
grandezza di un cece, spostabili sui piani
superficiali e non dolenti.
Gli esami di laboratorio mostrano: linfomonocitosi (L 54,6%, M 9,9%), modesta
piastrinopenia (113/mm3), ipertransaminasemia (AST 217 UI/l, ALT 342 UI/l) e
un aumento della PCR (5,84 mg/l con
v.n. < 1 mg/l).
In sintesi la ragazzina presenta:
– febbre alta da sei giorni
– faringo-tonsillite essudativa
– linfoadenite sottomandibolare bilaterale.
Il laboratorio mostra:
– linfomonocitosi
– ipertransaminasemia
– piastrinopenia.
Il fondato sospetto diagnostico è per una
mononucleosi infettiva (MNI), avvalorata anche dalla comparsa dopo due giorni
dal ricovero di edema palpebrale e di difficoltà respiratoria “alta”, con respirazione orale e russamento da ipertrofia notevole delle tonsille palatine e delle vegetazioni adenoidi. La sierologia per
l’Epstein-Barr Virus (EBV) è infatti positiva (VCA IgM fortemente positive,
VCA IgG negative). Pertanto Francesca
è affetta da MNI.
Trascorsi altri quattro giorni di febbre
elevata (10 giorni dall’inizio della malattia) la situazione clinica appare immodificata con persistenza della difficoltà
respiratoria alta. La milza è aumentata di
volume (circa 4 cm dall’arcata costale) e
di consistenza rispetto alla valutazione
eseguita al momento del ricovero. Si decide di praticare una nuova ecografia addominale per valutare la possibilità di
utilizzare la terapia steroidea al fine di
ridurre il volume della milza e la difficoltà respiratoria. L’ecografia mostra:
fegato di dimensioni aumentate (DL dx
168 mm) a ecostruttura parenchimale omogenea. Vie biliari intra ed extraepatiche non dilatate. Vena porta di calibro
regolare. Colecisti alitiasica. Milza di dimensioni aumentate (diam. max 176 mm)
a ecostruttura conservata. A livello del
pancreas si rileva struttura ovalare con
FIGURE 1-2: ECOGRAFIE CHE MOSTRANO LE DIMENSIONI DELLA MASSA E LA SUA
IMPRONTA SULLO STOMACO
Per corrispondenza:
Paolo Siani
e-mail: p.siani@santobonopausilipon.it
271
il caso che insegna
diametro massimo di 43x36 mm tenuamente iperecogena, con scarsi segni di
vascolarizzazione (figure 1, 2).
L’ecografia addominale, oltre a confermare le notevoli dimensioni della milza,
svela la presenza di una massa a partenza pancreatica, non segnalata alla precedente ecografia praticata a domicilio.
Che tipo di rapporto potrebbe esistere tra la MNI e questa neoformazione pancreatica?
La ricerca della letteratura su PubMed ed
Embase, per verificare un’eventuale relazione tra MNI e neoplasie pancreatiche,
dà risultato negativo. Quindi, la ragazzina è verosimilmente portatrice già da
qualche tempo di questa massa che, con
ogni probabilità, non ha alcuna relazione
con la MNI di cui soffre e che l’ha portata al ricovero. Si decide un approfondimento diagnostico facendo eseguire una
RMN. Il radiologo riferisce: il corpo
pancreatico appare ingrandito per presenza di formazione espansiva tondeggiante di circa 42x40 mm, che appare
lievemente ipointensa in T1w, con fine
disomogeneità di segnale in T2w e che
dopo mdc paramagnetico in vena mostra
moderato e diffuso enhancement. Diffuso
e moderato ingrandimento delle restanti
porzioni pancreatiche che mostrano
segnale omogeneo. Wirsung non ectasico. La lesione impronta l’antro gastrico.
Asse spleno-portale modicamente compromesso dalla formazione su descritta
(figure 3, 4).
La diagnosi
Dopo consulto con il radiologo e il chirurgo si decide di approfondire l’esatta
natura della massa pancreatica mediante
ago-biopsia attraverso endoscopia ecoguidata.
Il quadro macro-endoscopico fa vedere a
livello dell’istmo formazione ipoecogena, rotondeggiante, circoscritta di 43x34
mm con dilatazione del Wirsung. La
lesione comprime la vena mesenterica
senza segni di infiltrazione.
L’istologia mostra: fibrina, emazie e
abbondanti frustoli di neoplasia a struttura solido-papillare in assenza di necrosi, composta di elementi con atipie lievimoderate, occasionali istiociti schiumosi
e depositi lobulari PAS-diastasi positivi.
Positività diffusa per vimentina, CD 10,
272
Quaderni acp 2014; 21(6)
TABELLA
1: QUANTO INCIDONO GLI
SCREENING SULLA QUALITÀ DI VITA? L’ESEMPIO DELLA FIBROSI CISTICA
MASSE PANCREATICHE
FIGURA
3: RMN. IMMAGINE CORONALE
T2W CHE MOSTRA UNA LESIONE CON
MARGINI NETTI, IPERINTENSA NEL CORPO
DEL PANCREAS CON UNA PSEUDOCAPSULA FIBROSA IPOINTENSA
INFIAMMATORIE
- Pseudocisti
- Pancreatite sclerosante
- Linfoplasmocitica
NEOPLASTICHE
Tumori epiteliali
BENIGNI
- Cistoadenoma sierico
- Cistoadenoma mucinoso
- Adenoma intraduttale mucinoso
papillare
- Teratoma maturo
BORDERLINE
- Neoplasia cistica mucinosa con
displasia moderata
- Neoplasie solide pseudopapillari
MALIGNI
- Adenocarcinoma duttale
- Cistoadenocarcinoma sieroso
- Cistoadenocarcinoma mucinoso
- Carcinoma intraduttale mucinoso
papillare
- Carcinoma a cellule acinari
- Pancreatoblastoma
- Carcinoma pseudopapillare solido
- Tumori non epiteliali
- Tumori neuroendocrini
focale per alfa 1-antitripsina e, debole,
per sinaptofisina; negatività per cromogranina A e B-catenina.
I reperti sono indicativi per tumore pancreatico pseudopapillare cistico.
In sintesi, la ragazzina era portatrice di
una massa del corpo pancreatico, rivelatasi un tumore pseudopapillare cistico,
che non aveva dato mai luogo ad alcun
tipo di sintomatologia addominale e scoperta in occasione di un esame ecografico richiesto per valutare il volume della
milza in corso di infezione mononucleosica.
Ne è seguito l’invio al chirurgo per l’asportazione della massa pancreatica.
Commento
Il tumore solido pseudopapillare cistico
del pancreas (TSP), descritto per la
FIGURA
4: RMN. NELL’IMMAGINE ASSIALE “FAT SUPPRESSED” T1W LA PSEUDOCAPSULA FIBROSA È IPOINTENSA
(FRECCIA BIANCA) E VI È UN MARGINE
INTERNO PERIFERICO CON ALTO SEGNALE
(FRECCIA NERA), REPERTO CONCORDANTE
CON EMORRAGIA
prima volta nel 1959, è una neoplasia
inquadrata tra quelle cosiddette “borderline”, al limite cioè tra le neoplasie benigne e maligne del pancreas (tabella 1)
[1]. Si tratta di una rara neoplasia con
bassa malignità che rappresenta l’1-2%
di tutti i tumori pancreatici e che colpisce
per lo più bambine adolescenti e giovani
donne prevalentemente di origine asiatica [2].
Con l’utilizzo di tecniche d’immagine
sempre più sofisticate e con la migliore
comprensione della sua fisiopatologia, il
numero di pazienti affetti da TSP del
pancreas riferiti in letteratura è stabilmente aumentato. Basti pensare che dal
1930 sono stati riportati dalla letteratura
di lingua inglese 700 casi totali (bambini
e adulti), dei quali oltre i due terzi negli
ultimi dieci anni [3-5].
il caso che insegna
DAL CASO E DALLA LETTERATURA
ABBIAMO IMPARATO CHE
– esiste un rarissimo tumore del
pancreas, denominato tumore
pseudopapillare cistico, che è una
neoplasia a bassa malignità;
– la sintomatologia, aspecifica, è di
tipo gastrointestinale con nausea,
vomito, dolori addominali o ittero,
ma il tumore può essere, in un
terzo dei casi, completamente
asintomatico;
– la diagnosi può essere casuale nel
corso dell’esecuzione di un’ecografia addominale eseguita per
altro motivo;
– se il tumore viene rapidamente
diagnosticato e asportato, la sopravvivenza a 5 anni è del 97%.
La patogenesi rimane sconosciuta ma la
sua tendenza a colpire femmine adolescenti o giovani donne induce a pensare al
coinvolgimento degli ormoni sessuali [6].
È stata infatti ipotizzata la positività del
recettore del progesterone nelle cellule
neoplastiche.
L’immunofenotipo non è suggestivo di
una chiara linea cellulare: è stata supposta un’origine da cellule pancreatiche
pluripotenti. Le analisi immunochimiche
hanno rivelato nel 95% dei casi di TSP la
mutazione del gene della beta-catenina
(gene CTNNB1) [7].
La presentazione clinica del TSP è abitualmente aspecifica. La maggior parte
dei bambini presenta sintomi clinici non
peculiari che comprendono dolori addominali, scarso appetito, nausea, vomito,
ittero, perdita di peso o massa addominale alla palpazione. Tutti questi sintomi
sono correlati alla compressione del
tumore sugli organi adiacenti. In circa un
terzo dei casi il tumore è del tutto asintomatico. È spesso diagnosticato, come nel
caso descritto, durante un’ecografia o
Quaderni acp 2014; 21(6)
una TAC dell’addome praticata per altri
motivi. La TAC o, meglio, la RMN dell’addome consentono una diagnosi molto
fondata di sospetto che dev’essere confermata dalla agobiopsia eco-guidata. Il
trattamento di elezione è la resezione
chirurgica che è in grado di consentire
una prognosi relativamente favorevole.
La sopravvivenza totale a 5 anni si avvicina al 97% nei pazienti trattati chirurgicamente [8].
La morte, come conseguenza diretta del
tumore, è rara ed è descritta la sopravvivenza per anni o per decenni anche in
presenza di malattia disseminata asintomatica. u
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undifferentiated carcinoma and a comparative clinicopathologic analysis of 34 conventional cases.
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L’EMA TORNA IN EUROPA
ALLE DIPENDENZE
DELLA COMMISSIONE
INDUSTRIA E NON PIÙ
DI QUELLA DELLA SANITÀ
L’istituzione della European Medicines Agency (EMA) ha rappresentato
un notevole progresso per l’industria,
che non aveva più bisogno di presentare i suoi dossier alle autorità
regolatorie dei singoli Stati, e per i
Paesi europei che potevano aspirare
a una armonizzazione delle regole.
Tuttavia l’EMA era stata posta, nell’ambito dell’organizzazione burocratica della Commissione europea,
sotto la giurisdizione della Direzione
generale dell’industria.
Finalmente nel 2010 la dipendenza
dell’EMA era passata dalla Direzione
generale dell’Industria a quella dei
Consumatori e della Sanità. La nuova
Commissione europea ha ricollocato
l’EMA alle dipendenze della
Direzione generale dell’industria,
ricostituendo uno dei più grandi conflitti di interesse immaginabili.
L’industria regola l’autorizzazione
dei suoi stessi prodotti e certamente si
guarderà bene dall’introdurre riforme che sono auspicate da chi ha a
cuore la salute invece del profitto.
Del resto, più del 75% del budget
dell’EMA deriva direttamente da
pagamenti fatti dall’industria mentre
l’EMA, ente pubblico, dovrebbe
avere un suo budget su fondi europei. Paradossalmente, poi, i ricercatori e i pazienti, attraverso le loro
associazioni, non possono aver
accesso ai dati presenti nei data-base
dell’EMA per capire su che base sono
stati stabiliti l’approvazione o il rifiuto di un nuovo farmaco.
Ci si deve augurare che questo “passo indietro” possa essere scongiurato, lasciando che i farmaci rimangano nel mondo della sanità! (Il Sole
24ORE Sanità, 30 settembre - 6 ottobre 2014)
273
Quaderni acp 2014; 21(6): 274-275
Rubrica a cura di Sergio Conti Nibali
Latte con il trucco
in Vietnam
Ben oltre la metà dei bambini del mondo
nasce in Estremo Oriente. E si dà il caso
che in quegli stessi Paesi ci siano anche
le condizioni ideali per convincere le
famiglie e le madri a passare all’alimentazione artificiale: tassi di crescita economica positivi da anni, maggiore reddito disponibile per le famiglie, aumento
costante delle donne che lavorano fuori
casa, progressiva transizione dalla famiglia tradizionale a quella nucleare tipica
delle società industrializzate, medicalizzazione della gravidanza, del parto e del
puerperio, oltre che della nutrizione. Non
sorprende che produttori e distributori di
sostituti del latte materno si facciano la
guerra tra loro per guadagnare fette di
mercato.
Qualche governo, nel tentativo di mettere un argine per lo meno al marketing
sfrenato delle ditte, sia locali sia multinazionali, emana leggi restrittive che non
sono altro che applicazioni alla lettera
del Codice Internazionale. Lo ha fatto
l’India quando nel 2002 ha bandito qualsiasi pubblicità di qualsiasi cibo destinato a minori di 2 anni. Lo ha fatto il
Vietnam che da gennaio 2013 proibisce
la pubblicità dei latti per i bambini fino a
2 anni, e cioè dei latti iniziali, di quelli di
proseguimento e di quelli di crescita.
Che cosa si sono inventate le ditte per
aggirare la legge? Hanno cambiato nome
ai latti 2 e 3; non si chiamano più latti di
proseguimento e di crescita, si chiamano
alimenti complementari. Non essendo
più dei latti, anche se solo in etichetta,
non sono coperti dalla legge e possono
quindi essere pubblicizzati. In Italia e nel
resto d’Europa non è necessario ricorrere
a questi trucchetti: la legge permette la
pubblicità dei latti 2 e 3, in flagrante violazione del Codice Internazionale.
Per fortuna non tutti stanno zitti. OMS,
UNICEF e una ONG locale (Alive and
Thrive) hanno emesso il 26 settembre
2013 un comunicato stampa in cui
denunciano il volgare trucco e chiedono
che le ditte e il governo vi pongano rimedio. Non è in ballo solo il rispetto della
legge e del Codice Internazionale; ne va
274
dell’allattamento al seno e quindi della
salute e della nutrizione di madri e bambini, con gravi conseguenze anche per il
sistema sanitario (aumento dei costi), la
società e l’ambiente.
Alluminio
nei latti artificiali
Una ricerca condotta nel Regno Unito ha
analizzato il contenuto di alluminio dei
30 latti artificiali maggiormente consumati nel Paese, prodotti dalle principali
ditte di alimenti per l’infanzia (Nestlè,
Danone, Hipp). Il quantitativo di alluminio riscontrato nei trenta prodotti testati
(da 106 µg/l a 755 µg/l) costituisce almeno il doppio della dose considerata sicura (< 50 µg/l) e in 14 casi supera il livello massimo consentito in UE per le acque
potabili (200 µg/l). Dal momento che
nessuno dei prodotti è addizionato di
alluminio, si tratterebbe di contaminazione durante il procedimento di produzione
e di impacchettamento. Gli autori richiamano il Principio di precauzione per la
salute dei neonati, chiedendo che i produttori mettano in atto interventi per
ridurre il livello di alluminio nei latti artificiali, in particolare considerando che
nel Regno Unito il 25% dei genitori offre
ai propri figli esclusivamente latte artificiale fin dalla nascita e il 50% dei lattanti fra 4 e 10 settimane di vita è nutrito
esclusivamente con latte artificiale
(http://www.biomedcentral.com/14712431/13/162).
Appello di Gimbe
per salvare il Servizio
Sanitario Nazionale (SSN)
Secondo la Fondazione Gimbe per salvare il SSN non servono riforme ma azioni
mirate e innovazioni di rottura che
richiedono volontà politica, un’adeguata
(ri)programmazione sanitaria basata
sulle conoscenze, un management rigenerato, l’impegno di tutti i professionisti
sanitari e la riduzione delle aspettative
dei cittadini.
La Fondazione ha ribadito con fermezza
che per tutti i protagonisti del pianeta
Sanità è giunto il momento di intraprendere una nuova stagione di collaborazio-
ne, mettendo da parte interessi di categoria e futili competizioni, per ridurre gli
sprechi e indirizzare il denaro pubblico
verso servizi e prestazioni sanitarie efficaci, appropriati e dall’high value. Il
Rapporto Gimbe contiene la “Carta
Gimbe per la tutela della salute e del
benessere dei cittadini italiani”, una vera
e propria declinazione dell’articolo 32
della Costituzione, che prende in considerazione tutti gli aspetti che oggi condizionano la sostenibilità del SSN: dal
diritto costituzionale alla tutela della
salute al finanziamento/sostenibilità del
SSN, dai rapporti tra politica e sanità alla
programmazione, organizzazione e valutazione dei servizi sanitari, dai professionisti sanitari ai pazienti, dalla ricerca alla
formazione continua, dall’integrità alla
trasparenza. La Fondazione Gimbe ha
consegnato vari premi:
– Premio Evidence a Silvio Garattini,
direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”, per il
costante impegno volto a migliorare
l’etica, la trasparenza, l’integrità e
l’indipendenza della ricerca clinica
nell’interesse dei pazienti;
– Premio “Salviamo il nostro SSN” alla
Regione Toscana, per le sue politiche
sanitarie che, rappresentando un modello per la sostenibilità della Sanità
pubblica, hanno permesso di ottenere
rilevanti performance nell’adempimento “Mantenimento dell’erogazione dei Lea” e nel Programma nazionale esiti;
– i Gimbe Awards individuali sono stati
assegnati rispettivamente ad Alda
Cosola e Marika Giacometti dell’Asl
To3;
– il Gimbe Award aziendale è stato consegnato all’Istituto Ortopedico Rizzoli
di Bologna.
Nestlé non è sponsor
gradito a una conferenza
sulla nutrizione
La scelta di avere Nestlé come principale sponsor ha fatto affogare in un mare di
polemiche la Conferenza organizzata da
P3 Media, che si sarebbe dovuta tenere a
Edimburgo il 27 maggio sul tema
info
Quaderni acp 2014; 21(6)
salute
“Building a Healthier, Fairer Scotland”
sui temi dell’obesità, della nutrizione
infantile, del consumo di tabacco e dell’epatite C. Da decenni Nestlé è accusata
di adottare tecniche di marketing aggressive per promuovere il latte artificiale per
neonati, in sostituzione dell’allattamento
al seno nei Paesi in via di sviluppo. Dopo
la diffusione del programma, nove membri dello Scottish Public Health Network,
che riunisce figure di alto livello del Servizio Sanitario Nazionale, hanno scritto
una lettera agli organizzatori, annunciando che, vista la decisione di accettare la
sponsorizzazione di un produttore di
latte sostitutivo di quello materno, avrebbero raccomandato ai loro colleghi di
non partecipare o di non assistere.
L’annuncio del boicottaggio ha indotto
P3 Media a cancellare l’evento, provocando il “forte disappunto” di Nestlé,
secondo cui la conferenza non era un’occasione per presentare propri prodotti,
ma per promuovere l’importanza dell’allattamento al seno e di una buona alimentazione durante la gravidanza e nella
prima infanzia. La sponsorizzazione prevedeva che Nestlé potesse affiancare i
relatori del mattino, fare una propria presentazione e avere uno stand in posizione privilegiata.
carenza alla nascita e nei mesi successivi
può creare problemi emorragici… Vitamina D: previene il rachitismo, regola la
funzione immunitaria e la funzione
muscolare”. La pagina dedicata all’integratore Colecalcium recava, invece, le
seguenti indicazioni salutistiche: “Vitamina D e calcio sono fondamentali per
l’accrescimento osseo e scheletrico ma
fanno parte anche di quel circolo ormonale indispensabile per il mantenimento
del corretto equilibrio calcio/fosfati,
necessario alla protezione dell’omeostasi
fisiologica”.
Il Difensil Junior era pubblicizzato con
la promessa che i nutrienti e le vitamine
ivi contenute “[...] riducono la produzione di radicali liberi che si formano nel
nostro organismo e sono alla base dello
stress ossidativo, acuto (come durante
una malattia tipo influenza) o cronico
(stile di vita, inquinamento ecc.)”, anche
in ragione del contenuto di “ROC (Red
Orange Complex), vitamina C e zinco
che esercitano sinergicamente la loro
azione reattiva a favore dell’immunità e
antinfiammatoria”.
Il prodotto ChetoNex per lattanti e bambini era infine consigliato nei casi di
“chetosi e vomito acetonemico”, grazie
alla sua azione di riduzione dell’“attività
spastica dello stomaco”.
Integratori per l’infanzia,
Antitrust multa Humana
Italia per claim salutistici
Finanziamenti
di Big Pharma ai medici
Claim salutistici scorretti per pubblicizzare integratori alimentari adatti alla
prima infanzia. L’Antitrust ha inflitto una
multa di 110.000 euro all’azienda
Humana Italia per aver pubblicizzato in
modo scorretto diversi integratori alimentari (Ditrevit Forte e Ditrevit Forte
K50, Colecalcium, Difensil Junior e
ChetoNex), particolarmente adatti alla
prima infanzia, vantandone gli effetti
salutistici rispetto a malattie come il deficit di accrescimento osseo e scheletrico e
rispetto alla cura di disturbi vari come la
chetosi. Per esempio ai prodotti Ditrevit
Forte e Ditrevit Forte K50, Humana
attribuiva effetti quali: “Vitamina K: regola la coagulazione ematica. Una sua
Per la prima volta vengono pubblicati
ufficialmente i dati sul denaro destinato a
medici e a ospedali negli Stati Uniti dall’industria farmaceutica e di dispositivi
medici.
Le somme pagate negli ultimi cinque
mesi del 2013 raggiungono i 3,5 miliardi
di dollari (circa 2,8 miliardi di euro),
secondo il primo rapporto dei Centers for
Medicare and Medicaid Services (CMS),
incaricati di mettere in atto il cosiddetto
Sunshine Act sulla trasparenza dei finanziamenti industriali previsto nella riforma sanitaria di Obama. Andavano segnalati tutte le elargizioni e i pagamenti a
medici e a istituzioni di valore superiore
ai 10 dollari, compresi i compensi per
consulenze e conferenze, le spese relati-
ve a viaggi, pasti e intrattenimento e
anche i pagamenti da destinare, su richiesta dei medici, a enti caritatevoli. Più di
540.000 medici e di 1300 ospedali ricevettero denaro, ma non è stato possibile
nel 40% dei casi risalire ai nominativi dei
destinatari per problemi di software e di
accuratezza dei dati raccolti. La spesa
sostenuta dall’industria, pari a circa
23 milioni al giorno, sostanzialmente
costante dal 2007 (secondo dati ufficiosi), ha storicamente riguardato l’83% dei
medici, sotto forma di regali, e il 28%
come pagamento per consulenza o per
ricerca. Se i pazienti si rendessero conto
dei potenziali conflitti di interessi dei
loro medici, potrebbero chiedersi se le
prescrizioni di farmaci e dispositivi siano
influenzate dalle ditte che li hanno pagati. Tutti i medici potrebbero poi imparare
se gli esperti che promuovono linee
guida cliniche siano stati finanziati dalle
industrie che ne traggono vantaggio. In
effetti, tra i medici che avevano dichiarato, ancora prima del Sunshine Act, di
avere ricevuto compensi dall’industria, il
40% aveva partecipato alla costruzione
di linee guida.
Possono anche essere giustificate le
preoccupazioni delle compagnie di assicurazione che rimborsano le spese mediche negli USA sull’impiego eccessivo di
farmaci molto costosi indotto dai pagamenti che i prescrittori ricevono dall’industria; le assicurazioni osservano che,
mentre i vari responsabili dei servizi
sanitari si sforzano di contenere i costi,
l’industria studia strategie per mantenerli alti.
Alcune categorie di medici temono che
la pubblicazione di questi dati possa
risultare in una pubblica riprovazione di
quei professionisti che, per esempio,
hanno accettato il pagamento di viaggi
tutto compreso in località esotiche. In
realtà i ricercatori che si occupano del
tema dei finanziamenti ai medici dubitano che ai pazienti interessi molto se i loro
medici vengano pagati dall’industria. Se
alcuni potessero avere perplessità sui
viaggi gratuiti, altri potrebbero pensare
che chi riceve pagamenti da svariate ditte
per consulenze sia in realtà un professionista molto competente.
275
Quaderni acp 2014; 21(6): 276-277
Rubrica a cura di Maria Francesca Siracusano
Passioni e ideali
Pierpaolo Farina (a cura di)
Enrico Berlinguer
Casa per casa
strada per strada
Melampo, 2013
pp. 397, euro 17,50
Vorrei che tutti leggessero il libro Casa
per casa strada per strada, a cura di
Pierpaolo Farina, perché parla di uno dei
più grandi uomini e dei più grandi politici del 1900. Io personalmente lo regalerò
a quante più persone possibili e per ogni
occasione. Questo uomo è Enrico
Berlinguer.
È stato vicino a molti della mia generazione e leggere le sue interviste e i suoi
interventi porta il ricordo a tempi ricchi
di ideali, aspettative e utopie, e leggerlo
per i giovani di oggi è mantenere una
memoria che sarebbe un delitto perdere e
dimenticare.
Dopotutto il curatore è uno dei giovani di
oggi che nel 2009 ha creato il sito web
enricoberlinguer.it. Il libro è da leggere
perché ci dà la giusta dimensione, solo e
unicamente attraverso le cose da lui dette
e scritte, della grandezza umana di quell’uomo così minuto, schivo e riservato,
ma con un cervello e un cuore che pochi
altri politici hanno avuto e tanto meno
hanno ora. Enrico Berlinguer si conferma un comunista così diverso e probabilmente unico per capacità di suscitare
passioni e ideali e un politico “in violento contrasto con l’immagine consueta
dell’uomo politico” come lo definì
Vittorio Foa.
Dai suoi pensieri emerge sempre una
grande capacità di analisi, un partire
sempre da conoscenze, un’attitudine a
studiare e ad approfondire sforzandosi di
ragionare in termini logici, storici e critici, un rinunciare alle semplificazioni e
alle dichiarazioni estemporanee. Il tutto
sempre sostenuto da una profonda e coerente volontà di rendere il mondo globale e la nostra società migliori di quella in
cui eravamo e siamo, perché era questo
che lo spingeva a essere e a considerarsi
comunista.
276
Libro da leggere anche perché, come
scrisse una volta Mikhail Gorbaciov, “le
idee di Berlinguer ci servono ancora”. A
tutti!!!
Francesco Morandi
Il cervello spiegato
ai bambini
Sara Capogrossi Colognesi
Simone Macrì
Che ti passa per la testa?
Il cervello e neuroscienze
Lapis, 2013
pp. 192, euro 13,50
Hanno interesse i nativi digitali a conoscere il funzionamento del cervello attraverso la lettura di un libro? Da una mia
breve inchiesta su un campione vergognosamente ristretto sembrerebbe di no,
ma il successo editoriale di Che ti passa
per la testa? ci darà una risposta più affidabile. La rivista Liber lo consiglia dagli
11 anni; non è certamente una indicazione sbagliata, ma sarebbe forse meglio
trasformare questa secca età in “gli anni
della scuola media”, cioè nel tempo dell’inizio della educazione scientifica formale (ma cosa sanno di questo argomento gli insegnanti di scuola media?).
Gli Autori sono ricercatori (Macrì), studiosi e divulgatori (Capogrossi) e adottano uno stile sufficientemente semplice
per i dati scientifici e comprensibile data
la obiettiva difficoltà del tema. Lo rendono coinvolgente con interviste immaginarie e spiritose ai filosofi e agli scienziati che nei secoli si sono occupati della
conoscenza.
Un po’ lontani, e di coinvolgimento più
difficile, sono Alcmeone o Anassagora e
i maggiori filosofi greci che sostenevano
la centralità del cuore e non del cervello.
Più facile la cosa riesce con Ippocrate,
Galeno e Avicenna che sono i primi a
comprendere la centralità del cervello.
Ancora più facile con Leonardo, Broca,
Wernicke o Golgi (che scopriamo avere
lavorato nella cucina dell’ospedale di
Abbiategrasso), fino a Rita Levi Montalcini con i suoi fattori di crescita.
La presentazione è sistematica e sufficientemente rigorosa: i neuroni, la loro
crescita prenatale e poi la loro costanza
numerica in tutte le età, le connessioni
fra neuroni con le sinapsi e le loro modalità di trasmissione, chimiche (neurotrasmettitori) ed elettriche (differenze di
potenziali), la glia come sostegno, nutrizione e generatrice di mielina.
Ben spiegato è come avviene la crescita
ponderale del cervello se i neuroni
rimangono 100 miliardi, come agiscono
le influenze ambientali su di esso, come
e quando avviene la potatura della rete,
quella dei 1000 giorni, come la chiamiamo noi dell’ACP: questa parte e quella
della plasticità cerebrale sono rappresentate in maniera non usuale e ben comprensibile. Meno facile, naturalmente, il
lavoro di spiegazione che riguarda la collocazione nelle loro sedi di paure, emozioni, stress, amori.
Insomma c’è tutto l’essenziale su quel
chilo e mezzo di sostanza molto vorace
perché consuma il 20% della nostra energia, e molto esigente perché mangia solo
zuccheri. A cercare di mantenere sulle
pagine il presumibilmente volatile ragazzo ci sono giochi di riflessi, di abilità, di
memoria, di percezione di colori, di sperimentazioni su se stessi e sugli amici
che possono avvincere e trasmettere, un
po’ per gioco, le nozioni desunte dal libro
e, per i nativi digitali, vengono segnalati
alcuni siti web dove fare test che saranno
certamente utilizzati.
Si diceva che è un libro per ragazzi, ma
dato che ho una certa cognizione delle
conoscenze correnti che ho raccolto fra
gli adulti, nel mio peregrinare a raccontare il cervello dei primi 1000 giorni,
questa lettura leggera non farebbe male
neppure a loro.
Giancarlo Biasini
Un bambino in Uganda
Wojciech Jagielski
Vagabondi notturni
Nottetempo, 2014
pp. 440, euro 20
libri
Quaderni acp 2014; 21(6)
« La verità profonda, per fare qualunque cosa, per scrivere, per
dipingere, sta nella semplicità. La
vita è profonda nella sua semplicità».
buona
Nord dell’Uganda, terra degli acholi, una
delle numerose etnìe che popolano questa nazione. L’esercito di Resistenza del
Signore guidato da Joseph Kony, formato perlopiù da bambini e bambine, rapiti
e addestrati fino a diventare una formidabile macchina di distruzione. In questa
cornice si svolge la storia di uno di questi bambini, Samuel, raccolta da un giornalista polacco, Wojciech Jagielski, e
raccontata in questo libro. Una storia
breve, un fascicolo di qualche foglio di
carta ingiallita, che l’Autore raccoglie
nei suoi frequenti incontri con il bambino nell’istituto che accoglie Samuel e
dove si tenta di recuperare i tanti bambini strappati ai guerriglieri. Jagielski
intervalla sapientemente il racconto del
bambino con la storia antica e recente
dell’Uganda, con le credenze e la vita
delle numerose etnìe che la popolano. È
un racconto fatto in prima persona, autobiografico, quindi, dove il giornalista
s’interroga sul suo impegno lungo i viaggi all’interno di questo affascinante e terribile Paese. Le pagine dove riflette lo
spirito che muove il giornalista sono di
forte impatto non per l’erudizione ma per
il riconoscimento del cuore di chi scrive.
Ed è un cuore che fatica. Noi non conosceremo mai il contenuto del fascicolo di
Samuel, forse nemmeno Jagielski lo leggerà, anche se lo trascina con sé in tutte
le sue trasferte.
Leggeremo, invece, di inimmaginabili e
impossibili crudeltà raccontate probabilmente nell’unico modo leggibile, dove,
allorché non è possibile contenere la propria emozione, si lascia spazio al burn
out, al distacco, all’allontanamento, all’autismo dei sentimenti. Ed è così che
giustamente si conclude, con un po’ di
amarezza umana, il viaggio in Uganda di
questo giornalista. La descrizione dei
paesaggi africani è molto suggestiva e
strizza l’occhio allo spirito religioso animista, radicato in profondità in questa
terra. La narrazione della storia dal dopoguerra a oggi di questo Paese, a dir poco
incredibile, è intrecciata di continuo alle
esperienze dei diversi protagonisti incontrati da Jagielski. “Quando due elefanti
lottano è l’erba che soffre”, nelle poche
parole di un proverbio acholi, una saggezza valida a tutte le latitudini abitate
dall’uomo.
Costantino Panza
Charles Bukowski
Hollywood, Hollywood!, 1989
Alimentazione come un momento
di comunicazione
Mauro Destino
Federico Marolla
Mangiare per crescere
Pensiero Scientifico editore,
2014
pp. 352, euro 18
Non lasciatevi ingannare dal sottotitolo
Consigli per genitori in gamba del
libro di Mauro Destino, biologo nutrizionista, e Federico Marolla, pediatra di
famiglia. Rivolto ai genitori, ma altrettanto utile per noi pediatri, questo
manuale integra nozioni di fisiologia
della nutrizione con suggerimenti pratici
per una corretta alimentazione, con l’intento di modificare i comportamenti inadeguati e superare le difficoltà quotidiane dei genitori.
Se le scelte alimentari durante la gravidanza e nei primi anni di vita condizionano lo stato di salute nell’età adulta e
se, come viene evidenziato nella bella
prefazione di Giorgio Tamburlini, “l’alimentazione deve essere considerata
come un momento di comunicazione nel
contesto dell’interazione col bambino”,
il tema dell’educazione alimentare
diventa centrale nella pratica pediatrica.
In questo senso questo volume costituisce un utile strumento di formazione e un
valido aiuto per rispondere con appropriatezza ai tanti quesiti riguardanti il
comportamento alimentare e gli stili di
vita che i genitori quotidianamente ci
rivolgono.
Ciò grazie alla capacità degli Autori di
rendere facilmente comprensibili argomenti di particolare complessità e alla
presenza di utili schemi, di tabelle e di
una ricca bibliografia e sitografia.
Un ulteriore motivo per consigliare questo volume è la meritevole intenzione di
devolvere parte degli introiti al progetto
Nati per Leggere.
Patrizia del Balzo
La propria storia
nella storia del paese
Francesco Piccolo
Il desiderio
di essere come TUTTI
Einaudi, 2013
pp. 264, euro 18,00
Di questo Autore avevo letto un romanzo
che si intitola Il tempo imperfetto che mi
era sembrato geniale. Poi le tante sceneggiature importanti e adesso questo
ultimo romanzo.
La storia di un ragazzo prima, e un adulto poi, inserita nel contesto degli ultimi
vent’anni di storia del suo paese:
Francesco Piccolo narra la sua formazione politica e di uomo. E così noi leggiamo, attraverso il suo sguardo e le sue
emozioni, Berlinguer e il compromesso
storico, il rapimento Moro, l’ascesa al
potere di Craxi, il congresso del Psi a
Vicenza e l’ultima apparizione di
Berlinguer, il malore e i funerali, l’Unità
e la scritta in rosso TUTTI.
Poi la vita quotidiana con Berlusconi al
governo. E mentre scorre la storia
dell’Italia, il ragazzino che diventa
comunista guardando una partita di calcio, il primo amore con la compagna di
scuola, l’impegno politico con lei e la
fine dell’amore a causa di un peluche di
Snoopy incartato in carta rosa a San
Valentino.
Il tradimento del padre, il distacco dalla
città di provincia, la critica alla superficialità della madre e la scoperta di somigliarle. Raccontarsi attraverso un racconto di Carver, una frase di Parise, un film
di Scola, la sceneggiatura del Caimano,
filmati, discorsi. Questo libro in qualche
modo mi appartiene, parla di sentimenti,
disagi, amori, disgusti che conosco. Parla
di cose che hanno contato per me e che
ancora contano, e di quelle che mi sono
lasciata alle spalle. Quindi parla di individui e collettivo, e di come si diceva
allora, di personale e politico. Il libro ha
vinto il premio Strega.
Maria Francesca Siracusano
277
Quaderni acp 2014; 21(6): 278
Inquinamento e salute dei bambini: come sono cambiate
le conoscenze dei pediatri e cosa chiedono le famiglie
Giacomo Toffol
Pediatra “Per Un Mondo Possibile”
Nell’ultimo decennio la comunità scientifica internazionale ha prodotto molte prove
circa le correlazioni tra inquinamento
ambientale e salute dei bambini, particolarmente sui danni a lungo termine, sui rischi
di carcinogenesi, sulle patologie endocrine
e sui meccanismi dell’epigenetica.
Le sostanze inquinanti che quotidianamente vengono immesse nell’atmosfera, nell’acqua e nei suoli sono in gran parte
responsabili dell’incremento di patologie
non diffusive che si è verificato negli ultimi decenni.
Le correlazioni tra inquinamento atmosferico e patologie respiratorie sono note da
tempo. Le polveri ultrafini, di diametro
inferiore a 0,1 micron (µm) e caratterizzate
da un elevato contenuto di particelle carboniose, sono le più pericolose per la salute
umana, essendo in grado di attraversare
tutte le membrane biologiche compresa la
placenta e di veicolare anche al feto una
notevole quantità di molecole tossiche e
metalli pesanti [1].
Ciò può provocare effetti negativi irreversibili sullo sviluppo dell’apparato respiratorio, con riduzione permanente della funzionalità respiratoria [2]. È ormai documentato, inoltre, persino dall’Agenzia
Internazionale di ricerca sul cancro
(IARC), che l’inquinamento atmosferico è
cancerogeno [3]. Sono sempre di più, infine, gli studi che dimostrano come l’esposizione transplacentare a inquinanti ambientali possa alterare l’epigenoma fetale, ed
essere almeno in parte una delle cause dell’aumento in tutto il mondo occidentale di
molte patologie cronico-degenerative e
neoplastiche [4].
Numerose sono anche le evidenze scientifiche sui rischi dell’esposizione ai composti
chimici immessi nell’ambiente e di cui
sono documentati i possibili effetti endocrini, cancerogeni, immunologici e genotossici [5]. Tra questi una preoccupazione
particolare destano i biocidi utilizzati in
agricoltura, che possono contaminare le
catene alimentari umane [6].
A seguito di questo incremento delle conoscenze anche le istituzioni e le società
scientifiche pediatriche si sono occupate
molto di questa tematica. Già dal 2006 il
codice deontologico dei medici riporta
testualmente che “il medico è tenuto a considerare l’ambiente nel quale l’uomo vive e
Per corrispondenza:
Giacomo Toffol
e-mail: giacomo@giacomotoffol.191.it
278
lavora quale fondamentale determinante
della salute dei cittadini” (art. 5) e, negli
anni, numerosi sono stati gli incontri su
queste tematiche patrocinati dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei
Medici (FNOMCEO), in collaborazione
soprattutto con l’Associazione medici per
l’ambiente (ISDE-Italia). L’Istituto Superiore di Sanità ha un dipartimento specifico
che si occupa di queste tematiche, e uno
specifico spazio è dedicato a ciò anche dal
portale del Ministero della Salute e da
Epicentro, il portale dell’Epidemiologia
per la Sanità pubblica a cura del Centro
Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza
e Promozione della Salute [7-9]. Persino
all’interno delle principali associazioni
pediatriche questa tematica sta assumendo
un ruolo sempre più importante.
Per comprendere come queste conoscenze
siano state assimilate dai pediatri italiani
abbiamo effettuato, a distanza di cinque
anni da una precedente inchiesta, un’indagine questionaria con lo scopo di comprendere sia le competenze dei pediatri sia i
bisogni dei genitori italiani su questi temi
[10]. L’indagine si è svolta tra il 2012 e il
2013. Hanno partecipato 334 pediatri delle
Regioni Emilia-Romagna, Friuli, Lazio,
Lombardia, Piemonte, Puglia e Veneto, in
prevalenza (93%) pediatri di famiglia
(PdF).
Il 65% dei pediatri intervistati ritiene le
proprie conoscenze sull’argomento ancora
scarse (78% nell’indagine precedente).
Coerentemente il 63% di essi considera
utile per la sua attività professionale un
approfondimento sulle correlazioni tra
inquinamento ambientale e salute.
A quasi tutti i pediatri intervistati vengono
richieste informazioni su queste tematiche
dai genitori dei propri pazienti: per circa
metà di loro (55%) questo avviene con frequenza relativamente bassa (una-tre volte
al mese) ma per quasi un quinto dei pediatri (19,7%) con frequenza più che settimanale, ovvero più di cinque volte al mese. Le
principali preoccupazioni dei genitori
(segnalate dai medici all’interno di un elenco composto anche da inquinamento
indoor, elettromagnetico, acustico e da
radiazioni ultraviolette) sono rivolte all’inquinamento atmosferico dell’ambiente
esterno e all’inquinamento di acqua e cibo.
Queste preoccupazioni rispecchiano abbastanza fedelmente quelle emerse da un
report pubblicato poco tempo fa
dall’ISTAT sulla base di una rilevazione
effettuata nel 2012 [11]. Secondo questa
analisi infatti le preoccupazioni della popo-
lazione italiana si indirizzano soprattutto
verso l’inquinamento atmosferico (indicato
dal 52% dei cittadini), la produzione e lo
smaltimento dei rifiuti e i cambiamenti climatici (entrambi 47%), e l’inquinamento
delle acque (38%).
Da questo rapporto emerge anche che più
di otto cittadini su dieci si informano sull’ambiente tramite TV e radio, ma oltre la
metà della popolazione (51 cittadini su
100) si mostra critica nei confronti dell’informazione veicolata dai mass media,
giudicandola “poco” o “per niente” adeguata.
Riteniamo che la figura del medico possa e
debba rappresentare per i genitori un riferimento importante anche su questi temi, e
che i pediatri italiani possano assumere un
atteggiamento più propositivo, stimolando
direttamente i genitori in modo da intercettare questo bisogno di informazioni. Per
fare questo sarà ovviamente necessario che
acquisiscano maggiori conoscenze specifiche e competenze di counseling per poter
guidare le scelte dei genitori verso un
ambiente più sostenibile e salubre. u
Bibliografia
[1] Latzin P, Frey U, Armann J, et al. Exposure to
moderate air pollution during late pregnancy and cord
blood cytokine secretion in healthy neonates. PLoS
One 2011;6(8):e23130. doi: 10.1371/journal.pone.
0023130.
[2] Gauderman WJ, Vora H, McConnel R, et al. Effect
of exposure to traffic on lung development from 10 to
18 of age: a cohort study. Lancet 2007;369(9561):
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[3] http://www.iarc.fr/en/publications/books/sp161/
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[4] Joss-Moore LA, Lane RH. The developmental origins of adult disease. Curr Opin Pediatr 2009;21(2):
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[5] Bergman A, Heindel J, Jobling S, et al. State of the
science of endocrine disrupting chemicals-2012: an
assessment of the state of the science of endocrine disruptors prepared by a group of experts for the United
Nations Environment Programme and World Health
Organization. WHO, 2013.
[6] Vinson F, Merhi M, Baldi I, et al. Exposure to pesticides and risk of childhood cancer: a meta-analysis
of recent epidemiological studies. Occup Environ
Med 2011;68(9):694-702. doi: 10.1136/oemed-2011100082.
[7] Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento Ambiente e connessa prevenzione primaria. http://
www.iss.it/ampp/.
[8] http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_3_ambiente.html/.
[9] http://www.epicentro.iss.it/ambiente/.
[10] Toffol G. Inquinamento ambientale e salute dei
bambini. Conoscenze e bisogni dei pediatri italiani.
Quaderni acp 2008;15(4):147-9.
[11] ISTAT 2014. Popolazione e ambiente: comportamenti, valutazioni e opinioni. http://www.istat.it/it/archivio/117583.
farm
Quaderni acp 2014; 21(6): 279
Psicofarmaci e bambini:
la distanza tra ricerca e pratica clinica
Qualche riflessione dopo alcune letture (critiche) estive
Daniele Piovani, Antonio Clavenna
Laboratorio per la Salute Materno-Infantile, IRCCS - Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, Milano
Negli ultimi anni l’attenzione sui disturbi mentali in età evolutiva è cresciuta
notevolmente, grazie anche a un aumento delle evidenze disponibili sugli interventi diagnostici e terapeutici (farmacologici e non). I risultati dei numerosi
studi clinici randomizzati (RCT) pediatrici riguardanti il trattamento di disturbi
psichiatrici (in particolare ADHD, disturbi depressivi, disturbi d’ansia, disturbi
dello spettro autistico) non sono però
facilmente trasferibili nelle decisioni
terapeutiche del medico, che si collocano
in un contesto differente da quello della
sperimentazione. Non soltanto per la
diversità del paziente “reale” da quello
incluso nei trials, che ha caratteristiche e
livelli di comorbidità diversi, ma anche
perché l’intervento sul paziente nella
pratica clinica implica una presa in carico a lungo termine, spesso con un
approccio multidisciplinare, con interventi che si adattano nel tempo al paziente e al modificarsi del quadro clinico, e
dipende da fattori legati al contesto
socio-culturale e familiare e alla possibilità di accesso ai diversi servizi. Al contrario, gli studi clinici in ambito di disturbi mentali nell’infanzia e adolescenza
sono generalmente a breve termine, si
concentrano principalmente su una singola patologia e misura di esito (per
esempio la riduzione dei sintomi misurati attraverso scale di valutazione) e spesso confrontano un solo farmaco attivo
contro il placebo.
Questo divario tra le evidenze raccolte
prima della commercializzazione del farmaco e la pratica clinica quotidiana è ben
evidenziato in una revisione condotta da
Florence Burgeois e colleghi sugli studi
preregistrativi dei farmaci per l’ADHD
pubblicata a luglio su PLOS One [1].
Negli Stati Uniti sono stati approvati
dalla Food and Drug Administration 10
principi attivi e 20 specialità medicinali,
sulla base di un totale di 32 studi condotti prima della commercializzazione. La
mediana del numero di minori inclusi
negli studi per ciascun principio attivo
era di 75, e 2 bambini su 3 sono stati
monitorati per meno di sei mesi. Quattro
farmaci sono stati approvati con studi
che avevano coinvolto un totale di meno
di 100 pazienti. La mediana della durata
degli studi pre-registrativi di efficacia era
di quattro settimane (8 settimane considerando solo i farmaci approvati negli
ultimi dieci anni) [1].
Le evidenze su efficacia e sicurezza a
lungo termine continuano a scarseggiare
anche dopo la commercializzazione. Una
revisione degli studi pubblicati nella letteratura biomedica ha identificato solo 6
studi prospettici sulla valutazione della
sicurezza a lungo termine dei farmaci per
l’ADHD, con una durata del follow-up
variabile tra uno e quattro anni [2].
Sebbene gli eventi avversi più frequentemente riportati negli studi siano simili a
quelli osservati negli RCT (per esempio
diminuzione dell’appetito, insonnia,
cefalea), le differenze tra studi nella
modalità di riportare i dati rendono difficile un confronto tra farmaci e una valutazione conclusiva sull’efficacia a lungo
termine [2].
I limiti osservati per quanto riguarda il
trattamento dell’ADHD sono validi
anche per la sperimentazione in altri
ambiti, per esempio nel caso dei disturbi
depressivi: i 14 RCT pubblicati che
hanno valutato l’efficacia degli inibitori
della ricaptazione della serotonina
(SSRI) in età pediatrica hanno una durata massima di dodici settimane, e per 10
la durata non superava le otto settimane.
Tra gli SSRI la fluoxetina è risultata l’unico farmaco con sufficienti evidenze di
efficacia in età pediatrica [3].
Oltre al divario tra ricerca scientifica e
pratica clinica, esiste ancor prima un
divario tra evidenze disponibili e registrazione del farmaco (la cosiddetta
“licenza d’uso” o autorizzazione all’immissione in commercio).
Lorberg e colleghi in uno studio pubblicato su JACAAP sottolineano come per
gli antipsicotici in commercio negli Stati
Uniti la qualità delle evidenze vari a
seconda del farmaco, con una qualità
minore per quelli di vecchia generazione
[4]. Nel caso di tioridazina e proclorperazina non sono disponibili studi clinici
pediatrici, nonostante siano approvati per
i bambini di età ≥ 2 anni. Situazione tipica non solo degli Stati Uniti: in Italia, ad
esempio l’antipsicotico periciazina può
essere prescritto ai bambini indipendentemente dalla loro età, nonostante sia disponibile un solo studio condotto in
15 bambini di età compresa tra 6 e 13
anni. Al contrario, esistono farmaci per
cui sono disponibili evidenze, ma l’impiego risulta off-label: in Europa il risperidone non è stato registrato per il trattamento dell’irritabilità nei disturbi per lo
spettro autistico, nonostante l’efficacia (a
breve termine) sia adeguatamente documentata.
Gli studi clinici e la scheda tecnica del
farmaco forniscono quindi solo indicazioni parziali sull’efficacia e la sicurezza
degli psicofarmaci. Queste considerazioni valgono anche per altre classi di medicinali, ma i disturbi neuropsichiatrici in
età evolutiva rappresentano un’area con
maggiori incertezze, che richiede al
medico maggiore attenzione e sensibilità
e ai ricercatori studi clinici più aderenti
alla complessità della pratica clinica
quotidiana. u
Bibliografia
[1] Bourgeois FT, Kim JM, Mandl KD. Premarket
safety and efficacy studies for ADHD medications
in children. PLoS One 2014;9(7):e102249. doi:
10.1371/journal.pone.0102249.
[2] Clavenna A, Bonati M. Safety of medicines
used for ADHD in children: a review of published
prospective clinical trials. Arch Dis Child 2014;
99(9):866-72. doi: 10.1136/archdischild-2013304170.
[3] Gordon M, Melvin GA. Prescribing for depressed adolescents: office decision-making in the
face of limited research evidence. J Paediatr
Child Health 2014;50(7):498-503. doi: 10.1111/
jpc. 12517.
[4] Lorberg B, Robb A, Pavuluri M, et al. Pediatric
psychopharmacology: food and drug administration approval through the evidence lens. J Am Acad
Child Adolesc Psychiatry 2014;53(7):716-9. doi:
10.1016/j.jaac.2014.04.015.
Per corrispondenza:
Antonio Clavenna
e-mail: antonio.clavenna@marionegri.it
279
vaccin
Quaderni acp 2014; 21(6): 280
Il vaccino antirotavirus
Rosario Cavallo
Pediatra di famiglia, Salice Salentino (Lecce); Gruppo ACP prevenzione malattie infettive
Oggi, in Italia, esiste una grande varietà nelle forme di offerta del vaccino antirotavirus,
con differenze rilevanti anche tra regioni o
addirittura province limitrofe.
Il Rotavirus attualmente è ritenuto essere la
più frequente causa di diarrea grave nei
bambini < 5 anni. Si calcola che ogni anno
causi il decesso di 5-600.000 bambini nel
mondo, quasi esclusivamente nei Paesi in
via di sviluppo; in Europa è responsabile di
un enorme numero di gastroenteriti (da 3 a
6 milioni/anno nei bambini < 5 anni, con
almeno 700.000 visite ambulatoriali, oltre
87.000 ricoveri e 231 decessi) [1]. Non è
dato sapere con certezza se questi decessi
siano a carico prevalentemente o esclusivamente di soggetti “a rischio” come nomadi,
senza tetto, immigrati; alcuni dati USA indicherebbero l’importanza di questi fattori
socio-economici [2].
In Italia i ricoveri per gastroenterite sono
frequentissimi (circa 10.000/anno, anche se
non sempre appropriati) e i decessi stimati
sono 11; nella fase viremica iniziale della
malattia è possibile che si sviluppi una encefalite [3].
La malattia da Rotavirus quindi è molto rilevante per la sua frequenza, per l’impatto e il
costo sanitario che si unisce a esso e al costo
sopportato dalle famiglie, dovuto principalmente alla perdita di giorni lavorativi. Né va
dimenticata la possibilità delle complicanze
gravi (encefaliti) e dei rari ma possibili
decessi.
Il vaccino è stato raccomandato dalla World
Health Organization (WHO) nel 2009 mentre la raccomandazione di vaccinazione per
tutti i bimbi USA da parte della Advisory
Committee on Immunization Practices
(ACIP) risale al 2006; Paesi come Australia,
Brasile, Messico hanno disposto da diversi
anni la vaccinazione universale [4-5].
Nel 2008 ci sono state per l’Europa le raccomandazioni da parte dell’European Society
for Paediatric Gastroenterology, Hepatology
and Nutrition (ESPGAHN) e dell’European
Society for Paediatric Infectious Diseases
(ESPID), ma la situazione attuale è molto
variegata, con Paesi che hanno coperture
> 90%, come Austria, Belgio e Finlandia;
Paesi con coperture tra 20 e 40%, come
Grecia, Spagna e Germania (dove però ci
sono differenze notevoli nei vari Land); e
infine Paesi con coperture < 10% come Polonia, Francia, Croazia e Italia, dove attualmente sono 5 le Regioni (col 24% della intePer corrispondenza:
Rosario Cavallo
e-mail: rosario.cavallo.2qkp@alice.it
280
ra popolazione) che hanno introdotto il vaccino nel loro calendario, ma con tre differenti sistemi: co-payment per Lazio e Toscana,
gratuito per prematuri e soggetti a rischio
per Basilicata e Piemonte, a richiesta del
pediatra per i bambini che frequentano il
Nido per la Puglia [6].
Gran Bretagna, Norvegia, Svezia dovrebbero introdurre la vaccinazione nel 2014,
mentre Bosnia, Cipro, Malta, i Paesi baltici
o non hanno ancora introdotto il vaccino in
calendario o per ragioni economiche non ne
hanno ancora implementato l’uso [7].
Alla base delle decisioni prese per questo
vaccino ci sono valutazioni fondamentalmente di carattere economico, con interpretazioni variabili del rapporto costo/beneficio che fanno propendere per il sì o per il
no a seconda dei casi.
Nei Paesi che hanno introdotto la vaccinazione si è registrato un netto calo del numero di ospedalizzazioni, anche quando la
copertura vaccinale non era molto alta, confermando una protezione indiretta attraverso
un valido effetto “di gregge”; gli altri elementi considerati sono i costi indiretti per la
famiglia e la società, rapportati all’alto costo
del vaccino e la possibilità di un intasamento invernale delle strutture sanitarie a causa
della coincidenza temporale con influenza e
VRS.
Le preoccupazioni sulla sicurezza riguardano soprattutto il rischio di invaginazione,
che negli studi pre-licenza è risultato inesistente ma che si è riproposto negli studi post
marketing, anche se con frequenza non elevata, tanto che lo stesso foglietto illustrativo
riporta testualmente: it is estimated that approximately 1 to 3 additional cases of intussusception hospitalizations would occur per
100,000 vaccinated infants in the US within
7 days following the first dose of ROTARIX;
è questa preoccupazione che ha determinato
la ristrettezza della finestra temporale in cui
è proponibile il vaccino, dato che nelle età
successive si teme un maggior numero di
questi effetti avversi [8].
Ancora in tema di sicurezza va ricordata la
controindicazione assoluta che riguarda la
Severe Combined Immunodeficiency Disease (SCID), dato che la somministrazione
accidentale in un soggetto con questa deficienza immunitaria potrebbe causare conseguenze molto gravi [9]. L’incidenza della
malattia è bassa, calcolata nei termini di
1 caso ogni 40-100.000 nati vivi (quindi circa 6-14 nuovi casi/anno in Italia); è molto
difficile però che la diagnosi di SCID sia già
stata formulata nell’età di indicazione del
vaccino, e in Italia è molto basso anche il
rischio di decesso da Rotavirus.
Alcune considerazioni conclusive:
1. Non ci piacciono le decisioni di politica
vaccinale prese per valutazioni di carattere economico e comunque crediamo che,
se l’obiettivo della vaccinazione dovesse
essere quello della farmacoeconomia, la
cosa dovrebbe essere chiaramente spiegata ai genitori.
2. La malattia da Rotavirus vede secondo i
dati più recenti una mortalità in Italia che
per la fascia di età < 5 anni è comunque
alta se rapportata ad altre malattie contro
cui si è deciso di proporre la vaccinazione (HIB, Meningococco, Pneumococco).
3. Gli effetti avversi sono rari ma potenzialmente gravi; la controindicazione riguardante la SCID potrebbe coinvolgere un
numero di bambini dello stesso ordine di
grandezza rispetto a quanti potrebbero
evitare, con la vaccinazione, effetti gravi
di malattia.
La scelta quindi non è facile e gli aspetti da
considerare sono tanti e di difficile valutazione, ma non siamo di fronte a una emergenza sanitaria che potrebbe motivare scelte
frettolose; il nostro desiderio (non possiamo
rassegnarci a considerarlo una utopia) è
quello di una valutazione approfondita ma
fatta in tempi accettabili, se non rapidi, da
parte dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e
che possa valere per tutti, perché di frammentazione della Sanità (e delle vaccinazioni) non ne possiamo più! u
Bibliografia
[1] Soriano-Gabarró M, Mrukowicz J, Vesikari T,
Verstraeten T. Burden of rotavirus disease in European
Union countries. Pediatr Infect Dis J 2006;25:S7-S11.
[2] Kilgore PE, Holman RC, Clarke MJ, Glass RI.
Trends of diarrhoeal disease-associated mortality in US
children, 1968 through 1991. JAMA 1995;274:1143-8.
[3] Guarino A, Ansaldi F, Ugazio A, et al. Documento
di consenso sulla vaccinazione anti-rotavirus. Minerva
Pediatrica 2008;60(1):3-16.
[4] WHO. Rotavirus vaccines: an update. Wkly
Epidemiol Rec 2009;84(50):533-40.
[5] Cortese MM, Parashar UD, Centers for Disease
Control and Prevention. Prevention of rotavirus gastroenteritis among infants and children: recommendations of the Advisory Committee on Immunization
Practices (ACIP). MMWR Recomm Rep 2009;58:1-25.
[6] Vesikari T, Van Damme P, Giaquinto C, et al. European Society for Paediatric Infectious Diseases/European Society for Paediatric Gastroenterology, Hepatology, and Nutrition evidence-based recommendations for rotavirus vaccination in Europe. J Pediatr
Gastroenterol Nutr 2008;46(2):S38-S48.
[7] Parez N, Giaquinto C, Du Roure C, et al. Rotavirus
vaccination in Europe: drivers and barriers. Lancet
Infect Dis 2014;14(5):416-25. doi: 10.1016/S14733099(14)70035-0.
[8] RCP Rotarix, rivisitata settembre 2012.
[9] Centers for Disease Control and Prevention (CDC).
Addition of Severe Combined Immunodeficiency as a
Contraindication for Administration of Rotavirus Vaccine. MMWR 2010;59(22):687-8.
Quaderni acp 2014; 21(6): 281
ragazzi
I nostri ragazzi. La speranza
di non doverci mai dare una risposta
Italo Spada
Comitato cinematografico dei ragazzi, Roma
Rimini: “Clochard bruciato vivo. Ignoti
gli hanno prima versato addosso una
tanica di benzina, poi gli hanno dato
fuoco mentre dormiva su una panchina di
via Flaminia”. Padova: “Ex musicista,
poi clochard, ha trovato la morte in modo
violento: prima picchiato selvaggiamente alla testa con una spranga o un’ascia,
poi dato alle fiamme dentro un camper”.
Anzio: “Immigrato picchiato e bruciato.
Tre ragazzi dopo una notte di sballi, di
alcol e droga si sono procurati una tanica
e sono andati in giro alla ricerca di un
barbone. I tre, durante l’interrogatorio,
hanno detto di aver voluto compiere un
gesto eclatante per provare una forte
emozione”.
Se è accaduto, può accadere di nuovo. E
non è detto che faccia sempre da sfondo
una città lontana da noi e che Quei bravi
ragazzi siano solo emuli dei gangster di
Martin Scorsese. A volte, e purtroppo,
sono “figli di papà” che abitano nel
nostro stesso condominio, borghesucci
con scarpe e jeans alla moda, coccolati
dai genitori, con la loro stanzetta arredata da TV e PC, con il cellulare di ultima
generazione. E il cinema, che prevede e
mette sull’avviso, registra e denuncia,
non si lascia scappare l’occasione per
ricordarcelo. Non se la lascia scappare
Ivano De Matteo, attento osservatore
della fragilità della famiglia borghese,
che ha presentato alla 71ª Mostra
Internazionale d’arte cinematografica di
Venezia nella sezione “Venice-Days Giornate degli autori” I nostri ragazzi,
ispirato al libro La cena di Herman
Koch. Con una variante non secondaria:
questa volta, a differenza di quanto accadeva ne La bella gente (2009) e ne Gli
equilibristi (2012), il nemico, il pericolo
e il marcio sono annidati all’interno del
nucleo familiare. Due fratelli – il chirurgo pediatra Paolo (Luigi Lo Cascio) e
l’avvocato Massimo (Alessandro Gassmann) – hanno caratteri opposti e, nonostante la poca reciproca simpatia delle
rispettive mogli (Giovanna Mezzogiorno
e Barbara Bobulova), ripetono con scarso entusiasmo il rito mensile di inconPer corrispondenza:
Italo Spada
e-mail: italospada@alice.it
trarsi a cena. Il caso vuole che i due si
ritrovino coinvolti, ciascuno a suo modo,
in un episodio di ordinaria follia: un litigio tra due automobilisti che finisce con
un morto e un bambino gravemente ferito. E se il chirurgo Paolo si dovrà occupare della salute del bambino, l’avvocato
Massimo sarà chiamato a difendere e a
fare scagionare l’uomo accusato di omicidio. L’incontrollata violenza di questo
episodio di cronaca resterebbe estranea
alle due famiglie se i rispettivi figli adolescenti – Michele (Jacopo Olmo
Antinori) e Benedetta (Rosabell Laurenti
Sellers) – rientrando a casa dopo una
serata di alcol e spinelli, non si rendessero protagonisti di una balorda e gratuita
aggressione a una mendicante che finisce
in coma. È notte inoltrata, la strada è
deserta e i due ragazzi credono di averla
fatta franca. Non hanno fatto i conti con
una telecamera di sicurezza che li riprende, con la trasmissione televisiva Chi
l’ha visto? che manda in onda le immagini e con Chiara, la madre di Michele,
che sviene quando crede di individuare
in quei mostri il suo bambino e la cuginetta. I diretti interessati negano, confessano, ritrattano; i genitori temono, si
disperano, discutono, non capiscono
dove e perché hanno fallito, cercano una
soluzione, sono di opposti pareri, sono
coscienti che, comunque vada, le loro
vite e quelle dei loro figli sono rovinate,
scoprono la verità, compiono inaspettati
e drammatici gesti. Il buio arriva fulmineo, sullo schermo e in sala, ma solo per
aprire una serie di domande. La prima
delle quali non può che essere “e se fosse
capitato a me?”. Che sia difficile fare il
genitore lo sapevamo già, ma in casi del
genere il compito diventa drammatico
perché impone scelte dolorose. Coprire o
denunciare? Rendersi complici o inflessibili giudici? De Matteo confessa:
“Sono partito da queste domande e dalla
speranza di non dovermi mai dare una
risposta”. Michele e Benedetta sono colpevoli e non possono scaricare la loro
colpa sulla società, sul degrado, sulla
scuola. “Il film – dice ancora De Matteo
– è una provocazione e analizza soprattutto il punto di vista dei genitori, ma
lancia anche un grido di allarme sulla
dipendenza che abbiamo sviluppato da
internet. I miei giovanissimi protagonisti
finiscono per confondere la vita con il
mondo virtuale: il loro terribile atto
somiglia a un videogame e si illudono di
poter resettare la realtà con un semplice
clic. Internet è l’ultima droga, è l’eroina
dei nostri giorni: ti chiude in casa dandoti un’illusione di libertà, mentre smorza
qualunque tua capacità reattiva”.
“L’affetto dei genitori per i figli e dei
figli per i genitori può essere una delle
più grandi fonti di felicità, ma in realtà al
giorno d’oggi i rapporti tra figli e genitori sono, in nove casi su dieci, una fonte di
infelicità per ambo le parti”. Correva
l’anno 1930 quando Bertrand Russel, ne
La conquista della felicità, scrisse questa
frase. Tre anni prima il cinema, con Il
cantante di jazz diretto da Alan Crosland,
aveva iniziato l’avventura del sonoro.
Narrava di un ragazzo ebreo che entrava
in urto con il padre, lasciava la casa e se
ne andava per la sua strada. Non ammazzava nessuno. Si dipingeva la faccia di
nero e cantava Blue Skies. E i cieli,
ottant’anni prima dei fatti di Rimini,
Padova e Anzio, erano ancora blu.
I nostri ragazzi
Regia: Ivano De Matteo
Con: L. Lo Cascio, G. Mezzogiorno, A.
Gassmann, B. Bobulova, R. Laurenti
Sellers, J. Olmo Antinori.
Italia 2014
Durata: 92’, colore
281
Quaderni acp 2014; 21(6): 282
Rubrica a cura di Federica Zanetto
controluce
Il rapporto di “African Medical
and Research Foundation” (AMREF)
I sistemi sanitari in Africa sono ancora
molto fragili, come ha dimostrato l’epidemia di Ebola che ha colpito alcuni
Paesi dell’Africa occidentale. Ci sono,
però, anche segnali positivi: dal 2000,
anno in cui le Nazioni Unite hanno indicato gli obiettivi del Millennio (MDGs)
c’è stato un miglioramento apprezzabile
nella riduzione della mortalità infantile,
nell’accesso alle cure e nella riduzione
della trasmissione della malaria e
dell’AIDS. Ma ancora oggi poco più
della metà della popolazione dell’Africa
sub-sahariana ha accesso all’acqua potabile e solo 4 persone su 10 hanno accesso a servizi igienici adeguati.
I sistemi sanitari sono sotto finanziati e la
spesa pro capite è molto al di sotto dei
40 dollari/anno raccomandati dalla
OMS. Solo sei Paesi hanno raggiunto
l’obiettivo del 15% del bilancio nazionale stanziato per la sanità. In Africa c’è un
medico ogni 30.000 abitanti mentre la
media nei Paesi occidentali è di un medico ogni 450 abitanti. Ogni anno, nel
mondo, muoiono per malaria 630.000
persone, principalmente bambini sotto
i 5 anni; di questi il 90% in Africa subsahariana. Alla malaria si aggiungono,
ancora, malattie come diarree, colera,
tifo, che diventano letali dove mancano
acqua potabile e servizi igienici.
Oggi in alcuni Paesi si è sviluppata l’epidemia di Ebola che, rapidamente, è
diventata una pandemia per l’arretratezza dei sistemi sanitari: Liberia, Sierra
Leone, Guinea sono i Paesi che hanno
investito meno sulla salute e sul rafforzamento dei sistemi sanitari; i medici, per
esempio, in questi Paesi, non sono più di
2 ogni 100.000 abitanti.
La Fondazione African Medical and
Research Foundation (AMREF) ha presentato a Roma, in un Convegno tenutosi l’8 maggio 2014, i risultati di una indagine sulla conoscenza e la diffusione dei
“Princìpi Guida (PG) della Cooperazione
sulla salute globale”, a cinque anni dal
loro lancio avvenuto nel luglio 2009.
In estrema sintesi questi sono i sette
princìpi:
1. Alleviare la povertà e le disuguaglianze attraverso azioni sui determinanti
282
sociali, economici, ambientali. Questo
richiede programmi intersettoriali
integrati a partire dall’alimentazione,
dall’istruzione e dalla tutela e igiene
ambientali.
2. L’approccio integrato di cure primarie
(PHC) è indicato quale strategia chiave per raggiungere l’accesso universale ai servizi sanitari coniugato alla
protezione sociale, per garantire le
fasce più vulnerabili della popolazione.
3. Il rafforzamento dei sistemi sanitari è
precondizione essenziale per migliorare lo stato di salute delle popolazioni. Ciò va perseguito attraverso riforme orientate alla equità, alla solidarietà e all’inclusione sociale.
4. La partecipazione della comunità e
l’empowerment delle donne in particolare sono ritenuti fondamentali per
la promozione della salute, la prevenzione delle malattie, la programmazione e la valutazione delle performance dei servizi sanitari.
5. Il partenariato internazionale tra istituzioni e attori omologhi o portatori di
saperi diversi è visto come architrave
per promuovere la ricerca scientifica e
la formazione.
6. Sul tema dei disastri naturali o prodotti dall’uomo sono previsti interventi
per rafforzare le capacità locali di
allerta, preparazione e capacità di
risposta alle popolazioni colpite dalle
emergenze.
7. Infine, la sfida cruciale dell’efficacia
dell’aiuto per la salute globale.
Vengono raccomandati, naturalmente,
una sempre maggiore coerenza tra le
politiche che producono effetti sullo sviluppo dei Paesi partner, il coordinamento
degli interventi in sanità tra i vari attori
della Cooperazione, nonché l’adozione
di procedure di monitoraggio e valutazione dei programmi di cooperazione
sanitaria in accordo con i princìpi
dell’OCSE-DAC.
È stato un momento di analisi e di giudizio che credo possa interessare anche
un’Associazione come l’ACP da sempre
impegnata a trovare risposte ai bisogni di
salute dei bambini adeguate, razionali,
controllabili e non inutilmente dispendiose. Lo slogan “Fare meglio con
meno” ha caratterizzato il nostro lavoro
da tanti anni.
I “PG della Cooperazione italiana per il
settore sanitario” sono stati il frutto di un
ampio lavoro cui hanno partecipato esperti autorevoli provenienti da Università, Ospedali, Centri studi, ONG,
ISS, Direzione Generale della Cooperazione allo Sviluppo. I risultati contenuti
nel Rapporto presentato da AMREF evidenziano che si tratta di uno strumento
conosciuto da una larga maggioranza
degli stakeholders, che la metà del campione interpellato applica le Linee Guida, che se ne auspica una maggiore diffusione e che molti ne propongono un
aggiornamento attraverso un’ampia partecipazione dei molti attori implicati.
Nella survey sono stati coinvolti oltre 70
tra esperti, medici, cooperanti, istituzioni
nazionali e locali; da questi è stato poi
selezionato un campione di 37 risultati
comparabili.
Il 47% degli intervistati ritiene che vi sia
poca coerenza tra i PG e le Linee Guida
triennali di programmazione della Cooperazione Italiana allo Sviluppo. La maggioranza (62%) ha riferito che il proprio
Ente di appartenenza (tra cui 8 ONG,
4 Aziende sanitarie e 2 Ordini professionali) utilizza i PG per selezionare i progetti da intraprendere. Quasi all’unanimità gli intervistati si sono espressi a
favore dell’opportunità di diffondere questi PG a livello internazionale. Il 53%
degli intervistati ritiene utile un aggiornamento attraverso un processo molto partecipativo. Il rapporto AMREF ha evidenziato inoltre la necessità di rinforzare i PG
con markers che misurino l’efficacia delle
iniziative. In sostanza si può affermare
che i PG sono stati uno strumento formativo abbastanza condiviso per la definizione di programmi-paese nell’ambito
sanitario.
La sfida è ora di far sì che i PG diventino uno strumento formativo condiviso
dall’intero sistema della cooperazione
allo sviluppo dell’Italia.
Arturo Alberti
Quaderni acp 2014; 21(6): 283-284
specializzando
La formazione alla comunicazione-relazione
nella Scuola di Specializzazione in Pediatria:
l’esperienza dell’Università Cattolica di Roma
Michele Gangemi*, Patrizia Papacci**
*Formatore al counselling sistemico, Verona; **Terapia Intensiva Neonatale, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Università
Cattolica del Sacro Cuore, Roma
L’esperienza
Durante l’anno accademico 2013-2014 si
sono tenuti due seminari (otto ore ciascuno) presso la Scuola di Specializzazione
in Pediatria dell’Università Cattolica di
Roma, rivolti agli specializzandi dell’ultimo triennio. Dopo una prima giornata
molto interattiva con videostimolazioni e
lavori in piccolo gruppo, a partire da colloqui audioregistrati in vari ambiti pediatrici, è stato chiesto ai partecipanti di
audioregistrare colloqui nella loro realtà
e con la specificità del loro ruolo.
Non sempre è stato facile ottenere il permesso per le audioregistrazioni, ma sono
stati forniti otto colloqui svoltisi sia in
Terapia Intensiva Neonatale (TIN) che in
reparto pediatrico. Quattro colloqui, ritenuti particolarmente adatti dal punto di
vista didattico, sono stati usati per il
lavoro in piccolo gruppo con partecipazione attiva di tutti gli specializzandi.
Per approfondire le metodiche di insegnamento del counselling si rimanda al
manuale scaturito dall’esperienza di
tutoraggio con i medici di medicina
generale all’Università di Modena [1].
Il commento degli specializzandi a
fine corso
– “Mi sarebbe piaciuto molto confrontarmi in merito a molti argomenti affrontati
durante il discorso con personale medico
strutturato. Sarebbe interessante e stimolante creare gruppi di lavoro misto (strutturati/specializzandi) in occasioni future.
Mi sarebbe inoltre piaciuto che alla fine
del corso ci fosse stata una prova pratica
(comunicazione di una modifica terapeutica/di diagnosi di uno stato del paziente
ecc.) per valutare la messa in campo dei
concetti appresi”.
– “Molto interessante. Da ripetere, soprattutto la parte pratica per la quale è necessario il consenso da parte degli strutturati”.
– “Esperienza tutto sommato positiva.
Manca una vera e propria ‘prova pratica’
per capire i propri limiti nella comunicazione con il paziente, ma probabilmente
Per corrispondenza:
Michele Gangemi
e-mail: migangem@tin.it
è una cosa poco realizzabile. Potrebbe
essere svolto con più regolarità per dar
modo di imparare a comunicare in
maniera corretta; forse due lezioni tendono troppo a comprimere in poco tempo i
tanti aspetti su cui sarebbe opportuno
soffermarsi. Quel che manca totalmente
è una trattazione sull’argomento della
comunicazione intrasistemica, a mio
parere importante tanto quanto la comunicazione con i pazienti”.
– “Il corso di counselling che abbiamo
effettuato è stato per me un momento di
crescita professionale e umana molto
importante. Ho avuto la fortuna di avere
a disposizione una figura preparata e
competente, capace di orientarmi e sostenermi nella valutazione degli aspetti che
rendono un medico completo da tutti i
punti di vista. Inoltre ho avuto la possibilità di confrontarmi con i miei colleghi e
di chiarire i tanti dubbi nell’approccio a
pazienti più problematici e all’interazione con le loro famiglie. Sono stata spronata a essere una persona e un medico
migliore, con le competenze più qualificate per accogliere i pazienti e le loro
famiglie e per prendermi cura di loro”.
– “L’esperienza mi era già sembrata utile
durante il corso stesso, perché aveva
messo in luce parecchie criticità che mi
ero trovato ad affrontare in passato. L’utilità si è confermata nei mesi a seguire:
mi sono reso conto di aver applicato
molti degli strumenti che il corso mi ha
offerto e molti dei suggerimenti per
migliorare il mio approccio alla comunicazione con i genitori”.
– “Il corso di counselling è stato molto
interessante e profondamente utile. Solitamente le scuole di specializzazione offrono esclusivamente lezioni e approfondimenti di natura scientifica. Credo che
l’integrazione dell’insegnamento medico-scientifico con corsi di counselling
sia fondamentale per una formazione
completa degli specialisti di domani”.
– “Ho trovato il corso utile al fine di
avere migliori strumenti per comunicare
con i nostri genitori al meglio. Sarebbe
utile approfondire con la parte delle
simulazioni”.
– “Ho trovato il corso molto interessante
e utile nella nostra pratica assistenziale;
molte volte quotidianamente non abbiamo nemmeno il tempo di fermarci a
riflettere su come la nostra comunicazione spesso dettata dai tempi ristretti e caotici dei nostri reparti sia così importante
per i genitori. Sicuramente sarebbero
utili la parte pratica di affiancamento e
una maggiore continuità e assiduità di
incontri”.
– “Importante momento di condivisione
e di approfondimento su come affrontare
al meglio il relazionarsi, nel nostro lavoro, non solo con i pazienti (o genitori dei
pazienti) ma anche con i colleghi (mi
piacerebbe, infatti, approfondire questo
aspetto). Il docente ha trovato modi incisivi, interessanti e non noiosi (video,
film, improvvisazione) per illustrarci al
meglio le tecniche di counselling. Sarebbe opportuno ripetere periodicamente
questo corso, al fine di potersi confrontare e avere un corretto approccio nella
gestione quotidiana del nostro lavoro”.
– “Ritengo che l’esperienza effettuata sia
stata molto utile, soprattutto in considerazione del fatto che siamo medici in formazione specialistica. Credo che la
comunicazione sia un campo da esplorare e approfondire e che faccia parte integrante della professione medica al pari di
quella clinica e scientifica: possedere
strumenti adeguati in tal campo può facilitare l’operato medico. Abbiamo avuto
l’opportunità di approfondire gli strumenti basilari della comunicazione e
counselling. Sarebbe utile organizzare il
corso in una maniera più strutturata che
preveda una continuità temporale maggiore e che magari si costituisca di due
parti, organizzate in anni diversi, e rappresentate da comunicazione medicopaziente e comunicazione intrasistemica.
Quest’ultimo di importanza fondamentale, soprattutto nei reparti ad alta intensità
di cure, dove la comunicazione e la condivisione rappresentano già da anni argomenti di interesse e ricerca. Mi complimento con il docente per la scelta delle
modalità didattiche e la capacità di coinvolgimento riuscendo in tal modo a fornire, nonostante i tempi contenuti, strumenti base che sicuramente torneranno
utili nella pratica clinica di ogni giorno”.
– “Per me è stata un’esperienza utilissima. Quando si comunica una diagnosi a
283
lo specializzando
una famiglia, maggiore è la gravità e più
bisogna usare attenzione al linguaggio e
alle parole da utilizzare. Io penso che i
volti e le parole che i genitori vedono e
sentono quando viene loro data una diagnosi di patologia, in particolare oncologica o più in generale che preveda gravi
sequele e quindi condizionerà tutta la
loro vita futura, rimangano impressi per
sempre nei loro ricordi. Quei momenti
pertanto meritano da parte nostra la massima attenzione e preparazione ad affrontarli. Non dobbiamo pensare che le
cicatrici siano solo quelle che si lasciano
dopo una ferita chirurgica; molto spesso
sono molto più profonde quelle psicologiche in quanto poco visibili e più difficili da trattare perché basta poco per farle
riemergere e servono degli sforzi notevoli per conviverci e superarle. Dedicare
durante la fase di formazione uno spazio
didattico alla comunicazione è a mio
parere fondamentale; inoltre costituisce
già di per sé uno stimolo a pensare a queste fasi della diagnosi e a fare autocritica
su un aspetto della nostra pratica
clinica e di noi stessi che credo siamo
realmente in pochi a considerare e ancora meno ad autovalutare. Auspico pertanto che tali corsi possano diventare una
pratica comune nelle scuole di specializzazione e ancora prima nel corso di laurea in medicina, per dare la giusta importanza a un aspetto della diagnosi quale
quello della comunicazione che riguarda
la cura del paziente allo stesso modo
della terapia medica. Ribadisco pertanto
che tali corsi siano utili e fondamentali
nella formazione di ‘giovani’ medici e
non solo”.
– “Il corso è stato molto interessante e mi
ha dato l’opportunità di riflettere su un
aspetto del nostro lavoro davvero importante che sinora non avevo mai analizzato con attenzione e sistematicità. Spero
di poter partecipare ad altri incontri
così da poter discutere ancora con il dottor Gangemi e con gli altri colleghi delle
tante situazioni che ci troviamo ad affrontare quotidianamente senza avere
spesso la preparazione giusta per farlo”.
– “Ho trovato il corso molto stimolante.
Mi ha permesso di approfondire aspetti
della mia professione su cui finora non
mi ero adeguatamente soffermata. Ottima e immediata la modalità con cui sono
state svolte le lezioni. Avrei voluto ap284
Quaderni acp 2014; 21(6)
profondire il tema della comunicazione
intrasistemica, e avrei voluto eseguire
delle prove pratiche, momento in cui mi
sarei potuta mettere alla prova”.
– “‘Quel che vedi dipende dal tuo punto
di vista. Per riuscire a vedere il tuo punto
di vista, devi cambiare il punto di vista’.
Queste due intense giornate di counselling con il docente sono state momenti
importanti di crescita e confronto, per
noi piccoli medici ‘in-formazione’, per
noi che siamo ancora in tempo a salvaguardare lo spirito del giuramento di
Ippocrate e a rendere merito alla nostra
missione di medici. Saper ascoltare il
dolore, non semplicemente sentire, comunicare col cuore. Sensazioni e sentimenti che guidano scienza e sapere.
Sarebbe importante (diritto e dovere)
per tutti i medici avere la possibilità
di partecipare a un corso di counselling, da riproporre di tanto in tanto, come
per l’aggiornamento scientifico”.
Il commento del Direttore
della Scuola
La formazione specialistica pediatrica
nel nostro Paese è organizzata in modo
da garantire l’acquisizione di competenze adeguate relativamente alle attività
che si realizzano in ambito ospedaliero,
incluse le competenze di Terapia Intensiva Neonatale e Pediatrica (TINP) e di
Pronto Soccorso (PS) e sul territorio
(grazie alla collaborazione dei pediatri di
famiglia).
La formazione alla comunicazione è certamente una delle attività più carenti nei
percorsi formativi in pediatria, mentre la
comunicazione con i piccoli pazienti e i
loro genitori rappresenta una parte integrante dei percorsi di cura. Senza considerare che spesso contenziosi di tipo
legale hanno la loro base in carenze di
comunicazione.
La capacità di interagire con pazienti e
genitori non può essere affidata solo al
buon senso e alle doti comunicative dei
singoli. Anche in ambito pediatrico essa
necessita di competenze che solo una
formazione specifica può fornire in
modo adeguato.
Di qui la decisione di organizzare presso
la Scuola di Specializzazione in Pediatria
dell’UCSC di Roma incontri finalizzati
alla formazione alla comunicazione di
qualità, rivelatisi utilissimi nell’ambito
del percorso didattico rivolto ai nostri
aspiranti pediatri.
Costantino Romagnoli
Direttore della Scuola
di Specializzazione in Pediatria,
Università Cattolica “Sacro Cuore”, Roma
Proposte per il futuro
La conoscenza del sé è necessaria per
formare un professionista riflessivo che
sappia imparare dall’azione, riflettendo
su quanto accade nel rapporto con l’altro
a partire dalle proprie emozioni [2].
La Scuola di Specialità ha il compito di
formare un futuro pediatra che, indipendentemente dalla sede in cui eserciterà il
proprio lavoro, sappia riconoscere e
gestire le proprie emozioni.
L’ambito pediatrico presenta l’ulteriore
criticità dell’interlocutore indiretto e presuppone la capacità di comunicare non
solo con i genitori, ma anche con i bambini. Questa abilità risulta ancora carente
nei colloqui registrati.
Gli specializzandi segnalano anche difficoltà nel lavoro di équipe nel rispetto dei
ruoli e delle specifiche competenze.
Questa tematica, anche nell’ottica della
riorganizzazione delle cure primarie,
sarà sempre più all’ordine del giorno e
deve trovare risposta nella capacità di
lavoro in équipe.
È giunto il tempo in cui la formazione
alla comunicazione/relazione debba essere presente in tutte le Scuole di Specialità in Pediatria con modalità formative da discutere insieme e perfezionare.
Si ringraziano gli Specializzandi che
hanno partecipato al corso: “Comunicazione e counselling in Pediatria”:
3º anno di Scuola di Specializzazione:
Barone Giovanni, Buonsenso Danilo,
Catenazzi Piero, Cerchiara Giuseppe,
De Nisco Alessia, Sani Ilaria; 4º anno di
Scuola di Specializzazione: Aurilia
Claudia, Bersani Giulia, Cardiello Valentina, Filoni Simona, Priolo Francesca, Russo Ida; 5º anno di Scuola di Specializzazione: Alighieri Giovanni, Fioretti Maria, Focarelli Benedetta, Gatto
Antonio, Leoni Chiara, Tirone Chiara. u
Bibliografia
[1] Padula MS, Aggazzotti G. Imparare a insegnare
la medicina generale. Unimore, 2013.
[2] Schon DA. Il professionista riflessivo. Dedalo,
1993.
Quaderni acp 2014; 21(6): 285-286
a Qacp
Sul codice etico
di autoregolamentazione
ACP
Vorrei fare alcune considerazioni dopo
aver letto l’editoriale sull’approvazione
del nostro codice etico di autoregolamentazione. Ho contribuito al dibattito
che ne ha preceduto la stesura e non
nascondo che lo avrei voluto ancora più
elastico perché finalmente ho imparato
che il meglio è spesso il peggior nemico
del bene e che a mio parere è molto
meglio riuscire a fare benino per tanti
bambini che non perfettamente bene per
pochissimi.
Io credo che tutti quelli che si pongono il
problema di un comportamento etico
nella professione il problema lo hanno in
pratica già risolto, perché dimostrano di
essere sensibili allo stesso e stanno attenti a non farsi condizionare: quelli che si
pongono il problema (e quindi anche io)
vorrebbero un sistema che funzionasse in
modo da rendere le discussioni scientifiche totalmente indipendenti (anche da un
punto di vista formale) dal mondo degli
interessi commerciali; ma purtroppo la
realtà non è questa e bisogna tenerne
conto.
La parte di gran lunga maggioritaria del
mondo pediatrico (e medico in generale)
il problema semplicemente non se lo
pone. Nel mondo reale in cui operiamo
succede che un pediatra qualunque
(come potrei essere io) cerca di fare del
suo meglio per i suoi pazienti, ma riesce
a incidere molto marginalmente sulla
realtà che lo circonda perché “ovviamente” e anche a causa delle proprie limitate
capacità (anch’esse parte del mondo
reale) non riesce a modificare la cultura
sanitaria imperante, fatta da chi il problema semplicemente non se lo pone. Ma
come si arriva (fermo restando il sistema
attuale) a essere convincenti per una platea così vasta e spesso così ostile se si
rifiutano i mezzi per raggiungerla?
Indiscutibilmente Quaderni e i nostri
congressi sono formativi per noi acpini,
ma a quanti non acpini riusciamo a far
cambiare parere o almeno a instillare un
qualche dubbio?
Rifiutare del tutto il sistema ci impedisce
di entrare in contatto col resto del mondo
pediatrico che ne rappresenta la maggio-
ranza; lasciare in mano a chi non si pone
problemi etici tutti i mezzi per diffondere una cultura pediatrica farà sì che la
vedremo sempre più allontanarsi dai
nostri parametri, con danno evidente per
i bambini. Concludo con una frase fatta
(che dimostra la scarsa originalità di questa riflessione post-ferragostana): omnia
munda mundis.
Fondamentale riuscire anche a far vedere una estraneità rispetto a ogni interesse,
ma ricordiamoci che in ogni caso è la
sostanza il primo e più importante frutto
da cogliere.
Il codice lo prevede: permette di ricevere
collaborazioni dalle aziende nel rispetto
della trasparenza (tutto deve svolgersi
alla luce del sole) e dei contenuti scientifici (non certo di quelli ludico-vacanzieri); a noi dare sostanza concreta e giusta
alle dichiarazioni di principio salvaguardando i princìpi etici nei contenuti scientifici, la selezione avverrà automaticamente: omnia munda mundis.
Daremo così un segnale di vitalità dall’interno della comunità pediatrica e non
saremo ancora e sempre indicati come
quelli che “stanno sull’Aventino” (o nel
mondo dei sogni secondo i punti di
vista); potremo riuscire a contaminare
coi nostri princìpi a cui non vogliamo
rinunciare i tanti che al sentire nominare
ACP alzano le spalle con fastidio; potremo dare, allo stesso mondo delle aziende, un riferimento utile e alternativo
rispetto a quello finora dominante. È solo
un parere personale.
Rosario Cavallo
Egregio Direttore,
Rosario Cavallo ha il merito di sollecitare spesso pensieri e dibattiti su temi attuali e importanti riguardanti la nostra
professione, l’ACP e la salute dei bambini.
Cominciamo quindi col ricordare che
l’impegno non è una novità nella vita
dell’ACP, perché la prima versione fu
approvata dall’assemblea quindici anni
fa. Tutti i soci pertanto, sia vecchi che
nuovi (e Rosario non è certamente nuovo), erano tenuti a conoscerla e contestualmente erano invitati a cercare di
uniformare il proprio comportamento ai
suoi princìpi. La presente versione è un
aggiornamento della precedente, adottata «per tener conto dell’evoluzione del
pensiero riguardante il conflitto d’interessi, per chiarire alcuni aspetti che
potevano apparire contraddittori e per
precisare ancora meglio le attività che
ne rappresentano l’ambito di applicazione, nella considerazione che alcuni comportamenti sono ormai regolati per legge
e, come tali, non costituiscono più l’oggetto di una autoregolamentazione».
Nessuna novità, quindi.
Fatta questa precisazione, non capiamo
il desiderio di una maggiore elasticità.
“Più elastico” significa, infatti, che l’impegno viene considerato già elastico ma
non in maniera sufficiente. Occorre allora precisare che l’impegno non è affatto
elastico.
Esso infatti detta delle norme di comportamento dell’ACP nella sua veste istituzionale di associazione medica, nei confronti dell’industria e contestualmente
invita, ma non obbliga, i propri iscritti a
riconoscerne il fondamento e a cercare
di comportarsi di conseguenza. Le
norme derivano a loro volta dai princìpi
scaturiti dal dibattito più recente sui
conflitti d’interesse. La norma e il principio non possono essere elastici, perché
altrimenti chi stabilisce il punto fino a
cui l’elastico può essere teso? Non valgono in questo caso le attenuanti o le
aggravanti, né c’è un giudice che possa
valutarle.
Paolo Siani
Non crediamo, poi, che basti porsi il problema di un comportamento etico nella
professione per stare attenti a non farsi
condizionare. Sarebbe troppo facile. Il
problema infatti a livello individuale
potrebbe anche essere risolto, al contrario, considerando non riprovevole derogare a volte da un comportamento etico, con relativa autoassoluzione. D’altro
canto esiste un’ampia documentazione
che dimostra come in molte circostanze
non siano sufficienti il proprio autocontrollo e la propria consapevolezza per
evitare comportamenti non corretti, che
possono incrinare il patto di cittadinanza che ci lega ai nostri pazienti.
Nell’impegno è detto: «[…] le organizzazioni mediche rappresentano la faccia
285
lettere
Quaderni acp 2014; 21(6)
FINITA LA VICENDA
STAMINA. O NO?
pubblica della professione, e il loro agire
condiziona in gran parte il grado di fiducia e rispetto in esse riposto dai cittadini, dalla società e dall’opinione pubblica. Minare con i propri comportamenti
questa fiducia significa erodere le basi
della convivenza civile e dei rapporti tra
i cittadini, e quindi venir meno a un proprio dovere morale e professionale».
Significa anche ridurre la probabilità di
un risultato positivo del proprio impegno
professionale, anche quando questo è il
frutto di azioni e decisioni tecnicamente
ineccepibili. Come dovrebbe ben sapere
Rosario, che combatte una battaglia
durissima sul fronte della vaccinazione
MMR: una larga parte dei genitori che
rifiutano la vaccinazione per i figli lo fa
perché non si fida dei medici, credendoli
tutti in combutta con le multinazionali
del farmaco, dalle quali riceverebbero
favori e benefit di vario genere in cambio
di prescrizioni.
Il richiamo all’omnia munda mundis di
paolina e manzoniana memoria non ci
sembra appropriato. Il “mondo”, cioè il
puro nel cuore e nei comportamenti,
deve infatti essere realmente tale, diversamente il motto non si applica. Agnese e
Lucia lo erano, e pertanto non poteva
essere disdicevole che passassero la
notte in un convento di cappuccini.
Molto diverso dall’accettare un dono da
parte di chi (l’industria) non è disinteressato e ha come principale obiettivo
quello di realizzare un profitto e solo
come possibile interesse secondario
quello di contribuire alla salute delle
persone. Non vi è garanzia di essere
“mondi” in tutto questo.
Non si tratta di moralismo, né di ergersi
a giudice dei comportamenti delle persone, ma semplicemente di un richiamo
alla necessità di un sistema di regole.
Perché altrimenti ogni mezzo, compreso
quello dei rapporti non regolati e non
trasparenti con l’industria, potrebbe
essere considerato lecito per ottenere
uno scopo, per esempio per raggiungere
la platea di colleghi per i quali, per vari
motivi, il problema non esiste.
È pur vero che “a volte il meglio è nemico del bene” (non sempre!), ossia che
per cercare di far meglio si può perdere
anche quel bene che si era ottenuto.
286
L’aforisma però assume che il bene sia
stato già raggiunto, altrimenti non si
capirebbe come e perché questo bene
possa essere migliorato. Ma può il bene
derivare da rapporti inquinati, o anche
possibilmente tali, per mancanza di trasparenza e di regole?
I richiami al bisogno di legalità nel sistema sanitario sono sempre più frequenti,
anche nel nostro Paese. Ne ha parlato il
rapporto “Illuminiamo la salute”, cui
hanno contribuito, tra l’altro, l’Associazione Libera e il Gruppo Abele. E lo ha
richiamato nello scorso mese di settembre anche il direttore generale dell’Agenas.
È ovvio che presenza di un conflitto d’interessi non significa tout court illegalità,
e quindi reato. Il concetto di fondo è che
il conflitto di interessi non è un comportamento, ma una condizione, per il cui
verificarsi è sufficiente che esista un
legame in grado di compromettere l’indipendenza del medico: è sull’improprietà
dell’influenza esterna, e non sul risultato
che da quel rapporto deriva, che si misura il conflitto.
Infine, diversamente da quanto sostiene
Rosario, proprio l’aver stabilito e il
richiamarsi costantemente a regole
chiare e, insieme, la qualità delle
proposte e dell’attività dei propri soci
stanno funzionando da elementi di attrazione dell’interesse di altre società
pediatriche nei confronti dell’ACP. Sono
passati i tempi in cui si dava l’impressione di privilegiare uno splendido isolamento e di “stare sull’Aventino”, inducendo alzate di spalle da parte di altri
colleghi.
Siamo convinti che proprio l’adozione di
un sistema di regole induca rispetto,
attenzione e proposte di collaborazioni e
azioni congiunte. Ed è questa la strada
da seguire per cercare di influire sul
sistema e per modificare atteggiamenti e
azioni in senso virtuoso nella classe
pediatrica, senza compromessi e opportunismi. L’ACP l’ha seguita e dopo un
proficuo e partecipato dibattito tra tutte
le sue componenti ha approvato la nuova
versione dell’impegno nella sua assemblea plenaria.
Carlo Corchia, Paolo Siani
È finita la vicenda Stamina? O ci
sarà qualche giudice che farà inciampare il ministro che ha chiuso
la sperimentazione del protocollo di
Davide Vannoni, prendendo atto
delle conclusioni del nuovo comitato scientifico che si era espresso
negativamente?
La Presidente della Commissione
sanità del Senato sostiene che
secondo lei “Ha fatto bene il ministro della Salute a chiudere definitivamente, con il suo Decreto, qualsiasi possibilità di sperimentazione
del metodo Stamina già bocciato
dal comitato scientifico”.
Il parere negativo del nuovo Comitato scientifico è stato espresso all’unanimità. Afferma che nel metodo
non sussistono le condizioni per
l’avvio di una sperimentazione,
“con particolare riferimento alla
sicurezza del paziente”.
Ma Vannoni ribatte: “Ritorneremo
al Tar con i nuovi dati emersi e
attenderemo una nuova pronuncia
del tribunale. Le conclusioni del
comitato sono ridicole perché non
c’è alcuna valutazione scientifica e
non sono state rispettate le indicazioni date dal Tar stesso, dopo la
bocciatura del protocollo da parte
del primo Comitato”. Come si ricorderà quella del nuovo comitato è
stata la seconda bocciatura del protocollo Vannoni.
Il giudizio negativo del primo
Comitato venne fermato dal Tar che
mosse vari rilievi, a partire dalla
contestazione di non imparzialità
della Commissione.
Dopo quella pronuncia le infusioni,
secondo il metodo Stamina, sono
proseguite presso gli Spedali Civili
di Brescia, a seguito delle pronunce
favorevoli di diversi giudici sulla
base della cosiddetta legge Balduzzi che stabiliva la prosecuzione
del trattamento per quei pazienti
che lo avessero già iniziato.
Un altro stop agli Spedali Civili di
Brescia è però arrivato, lo scorso
agosto, con la decisione della magistratura di sequestrare cellule e
attrezzature del cosiddetto protocollo Stamina, sulla base della sussistenza di un pericolo per la salute
dei pazienti.
Il sequestro è stato confermato nelle
settimane successive dal Gup di
Torino. Prima del sequestro delle
cellule, erano una trentina i pazienti in trattamento a Brescia.
Salterà fuori di nuovo la riserva del
decreto Balduzzi? Il direttore generale degli Spedali civili di Brescia è
prudente: “Il Decreto del ministero è
un aspetto determinante, ma non
basta”.
Quaderni acp 2014; 21(6): indice
VOLUME 21
GENNAIO-DICEMBRE 2014
INDICE DELLE RUBRICHE
Aggiornamento avanzato
La rottura della tolleranza nella patologia autoimmune
e l’induzione della tolleranza
nella medicina trapiantologica
3 122
Leggo perché scrivo
6 267
Angolo della comunità (l’)
Differenze di salute in studenti
del quinto anno scolastico in differenti gruppi etnici
1 26
Prevalenza e rischio di violenza verso i bambini
con disabilità
2 69
In USA obbligatorio informare pubblicamente
sull’elargizione di denaro a ogni medico da parte
dell’industria. E in Italia?
5 228
Allattamento al seno e capacità cognitive, di linguaggio
e motorie all’età di 18 mesi
6 253
F. Barzaghi, R. Bacchetta
G. Biasini
Red
Red
Red
Red
Bambino e la legge (il)
I diritti del minore straniero: quadro normativo
e percorso giurisprudenziale
La riforma della filiazione
4 176
6 268
A. Tognoni
A. Tognoni
Caso che insegna (il)
Un decorso lento non sempre è benigno
Una diagnosi quasi per caso
3 124
6 271
B. Boscherini, P. del Balzo
P. Siani, et al.
Congressi controluce
Nuove politiche locali per l’infanzia e l’adolescenza
Il Rapporto AMREF
3 141
6 282
Red
Red
Documenti
Codice del Diritto del minore alla salute
e ai servizi sanitari
L’ACP per un Piano nazionale per l’infanzia
Due documenti dell’ACP
Un documento dell’ACP sulla carenza di ferro
1 42
1 45
3 139
5 239
Red
Red
Red
Red
1
1
2
2
3
3
G. Saggese
A.M. Falasconi
F. Benini, M. Gangemi
G. Biasini
P. Siani
M. Gangemi
Editoriale
La Scuola di Specializzazione in Pediatria:
quali cambiamenti?
Diritti dei minori: un mare di carta?
Il dolore nel bambino: dove siamo?
Così disse un ineffabile ministro
Lo sai mamma?
Formare meglio a meno: la FAD di Quaderni acp
I pediatri italiani decidano se vogliono proteggere
l’allattamento
Quindici anni fa nasceva “Nati per Leggere”
Sott’acqua, ma sempre assetati
Stili di vita e tutela della salute: anche il Comitato
Nazionale di Bioetica ne parla. E i pediatri che fanno?
Il nuovo Codice deontologico: novità e riflessioni
Informazioni per genitori: il percorso continua
con qualche cambiamento
Lo scalone monumentale
della Stazione Centrale di Milano
La Carta dei diritti del bambino morente:
“Carta di Trieste”
Il domani che verrà
Farmacipì
Le priorità della ricerca in Pediatria non sono dettate
dai bisogni terapeutici
L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) promuove
l’uso sicuro dei farmaci in gravidanza e in pediatria
Psicofarmaci e bambini:
la distanza tra ricerca e pratica clinica
Film
Il vuoto dentro ne La prima neve di Andrea Segre
Il capitale umano e i suoi capitoli
La moltiplicazione dei rapporti familiari
nel secondo film di Francesco Bruni. Noi 4
Alabama Monroe. Una storia d’amore
Le meraviglie di Alice
1
2
49
50
97
98
3 99
4 145
5 193
5 194
5 195
5 196
5 197
S. Conti Nibali
G. Biasini
L. De Fiore
C. Corchia
P. Elli
S. Manetti
F. Zanetto
6 241
6 243
M. Orzalesi
P. Siani
2
A. Clavenna, et al.
81
4 179
A. Clavenna, et al.
6 279
D. Piovani, A. Clavenna
1
2
I. Spada
I. Spada
39
92
3 138
4 185
5 238
I. Spada
I. Spada
I. Spada
I nostri ragazzi. La speranza di non doverci mai
dare una risposta
6 281
Formazione a distanza (FAD)
Il bambino con dolore osteoarticolare
1
La colestasi nella prima infanzia
2
Le epilessie in età pediatrica: inquadramento diagnostico 3
Patologia tumorale e pseudotumorale dell’osso
nell’età pediatrica: un approccio clinico
4
Il maltrattamento fisico: quali conoscenze per il pediatra 5
OSAS in età pediatrica
6
Forum
La procreazione medicalmente assistita
Coppie infertili, procreazione medicalmente assistita
e salute infantile
La procreazione medicalmente assistita in Italia:
dove siamo e dove andiamo?
Un percorso uguale per tutti gli screenati? L’esempio
della fibrosi cistica (FC)
1
8
51
100
146
198
244
14
3 113
4 162
6 257
I. Spada
I. Marinelli, et al.
M. Fornaro, E. Valletta
G. Tricomi
C. Zoccali
C. Berardi
G.C. De Vincentiis, et al.
A. Tognoni
P. Mastroiacovo, C. Corchia
C. Corchia
S. Conti Nibali
Info
Diseguaglianza: avvio di un progetto
1
Pubblicità ingannevole per Uliveto e Rocchetta
1
Nuove Regole UE:
vietato idealizzare i latti di proseguimento
1
Danone non rispetta il Codice in Turchia
1
I latti di crescita
1
Influenza aviaria da H5N1 versus H7N9 in Cina
1
Porre fine all’ECM gratuita
1
Obblighi per le aziende negli USA
1
Buoni spesa per le mamme che allattano?
3
Riviste scientifiche: sì o no?
3
L’Ospedale “Meyer” nell’occhio del ciclone
3
Quanta strada per l’ortofrutta prima di arrivare a tavola! 3
Nuova revisione dell’EFSA
sulla composizione dei latti formulati
5
L’Antitrust sanziona tre ditte per immagini
su latte in polvere e biberon
5
L’OMS sbaglia direzione
5
Paradossi nella sponsorizzazione
di manifestazioni sportive
5
Medicina narrativa a Oristano
5
Nasce la “Rete Sostenibilità e Salute”
5
Latte con il trucco in Vietnam
6
Alluminio nei latti artificiali
6
Appello di Gimbe per salvare il Sistema Sanitario
Nazionale (SSN)
6
Nestlé non è sponsor gradito a una conferenza
sulla nutrizione
6
Integratori per l’infanzia. Antitrust multa Humana Italia
per claim salutistici
6
Finanziamenti di Big Pharma ai medici
6
275
275
Red
Red
Informazioni per genitori
Mio figlio ha l’artrite
Le tante sfumature della… cacca
Il bambino che soffre di epilessia
I dolori delle ossa
Un genitore positivo
Tonsille e adenoidi: “una coppia di fatto”
36
86
110
154
205
252
S. Manetti, et al.
S. Manetti, et al.
S. Manetti, et al.
S. Manetti, et al.
C. Panza, et al.
C. Panza, et al.
1
2
3
4
5
6
Lettere
La Chiesi ci scrive
1
Cosa ha significato per me ENBe
1
Diamo una chance al sacchetto per le urine
1
A proposito di FAD e possibili fruizioni
2
Dossier FAD 4/2013:
la porpora trombocitopenica immune
2
Omosessualità e disagio sociale adolescenziale:
una nuova emergenza per il pediatra del terzo millennio 2
Continua il dibattito sull’organizzazione disorganizzata
della Pediatria Italiana
2
Lettera di una mamma
2
18
18
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18
19
19
19
19
118
118
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119
224
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274
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95
96
Red
Red
Red
Red
Red
Red
Red
Red
Red
Red
Red
Red
Red
Red
Red
Red
Red
Red
Red
Red
Red
Red
A. Clavenna, M. Bonati
F. Zanetto
L. Peratoner
Red
M. Jankovic
Red
R. Cavallo
Red
287
Quaderni acp 2014; 21(6): indice
La FAD 2013: i vostri commenti
Sul codice etico di autoregolamentazione ACP
3 144
6 285
Red
Red
Libri
Su mirabili spiagge e balsamiche pinete
Decidere in Terapia
OMS e diritto alla salute: quale futuro
Come vincere la sfida della talassemia
Pediatri e bambini
Wonder
Vivere a spreco zero
Stamina Connection
Mamma, non mi sento tanto bene
Ducasse bebè
Stoner
Adolescenza e Autonomia: che fatica!
Giocare con i suoni
Caro amico ti scrivo
Il primo sguardo
Nati per vivere
L’utilità dell’inutile
La settimana bianca
L’aggancio
A che gioco giochiamo noi primati
Io mangio come voi
Morte di un uomo felice
Enrico Berlinguer, casa per casa, strada per strada
Che ti passa per la testa?
Vagabondi notturni
Mangiare per crescere
Il desiderio di essere come TUTTI
1
1
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276
276
276
277
277
G. Cerasoli, B. Garavini
G. Del Vecchio, L. Vettore
A. Cattaneo, N. Dentico
V. De Sanctis, et al.
G. Cerasoli, F. Ciotti
R.J. Palácio
A. Segrè
D. Minerva, L. Piana
A.R. Favretto, F. Zaltron
A. Ducasse, P. Neyrat
J. Williams
D. Corbella, et al.
S. Azzolin, E. Restiglian
AA.VV.
G. Falcicchio, et al.
AA.VV.
N. Ordine
E. Carrère
N. Gordimer
D. Maestripieri
AA.VV.
G. Fontana
P. Farina
S. Capogrossi Colognesi, S. Macrì
W. Jagielski
M. Destino, F. Marolla
F. Piccolo
Medicina e storia
L’amarcord di un vecchio neonatologo
1
37
D. Pedrotti
Nati per Leggere
NpL nella scuola di Specializzazione in Pediatria
“Nati per Leggere”: i primi 15 anni
Biblioteche per ragazzi: una storia avventurosa
2 93
4 188
4 189
S. Manetti
S. Manetti
L. Righetti
Occhio alla pelle
Si fa presto a dire verruche…
1
33
E. Sama, et al.
Offside
Parliamo di cibo. Riflessioni sul problema
dell’eccesso di peso
2
90
P. Cremonese, et al.
Organizzazione sanitaria
Alcuni motivi per cambiare, insieme
1
21
E. Valletta, M. Gangemi
2
64
S. Manetti
Osservatorio internazionale
Gli effetti collaterali delle guerre:
l’emergenza poliomielite in Siria
La salute a Cuba: un diritto per tutti,
un dovere per ciascuno
Unioni tra consanguinei: vantaggi di ieri,
svantaggi di oggi
L’epatite A nei Paesi in via di sviluppo: un problema
di transizione
Pediatri fra due mondi
Le mutilazioni genitali femminili:
basta una storia per svelare un mondo
Perunmondopossibile
La riduzione dell’inquinamento atmosferico
produce benefici per la salute
Inquinamento e salute dei bambini:
come sono cambiate le conoscenze dei pediatri
e cosa chiedono le famiglie
3 120
5 218
E. Valletta
6 265
E. Valletta
3 132
V. Venturi, et al.
2
L. Todesco, G. Toffol
79
6 278
Punto su (il)
Svezzamento: qual è il momento migliore per iniziare?
Evidenze allergologiche e non…
1
Considerazioni sulla diagnosi di deficienza
idiopatica isolata di ormone della crescita
1
288
E. Valletta
27
31
G. Toffol
N. Sansotta, et al.
B. Boscherini, S. Cianfarani
Linee Guida nazionali per la promozione della salute
orale e la prevenzione delle patologie orali
in età evolutiva
HLA e celiachia: a ciascuno il proprio rischio
La psichiatria (anche infantile)
tra diagnosi e diagnosticismo
Research letters
Sessione Comunicazioni orali al XXV Congresso
Nazionale dell’Associazione Culturale Pediatri
Comunicazioni orali degli specializzandi
al Convegno di Tabiano 2014
Indagine sulle condizioni di vita dei bambini
di 18-30 mesi e delle loro famiglie
nelle Regioni italiane
Ricerca
I percorsi di assistenza ai bambini guariti da tumore:
l’esperienza dei Centri AIEOP
Late-preterm: un gruppo di neonati a rischio
per disturbi dello sviluppo cognitivo
Salute mentale
Quando Internet diventa una droga
“Nati per Leggere” quindici anni dopo
Problemi di salute mentale nell’infanzia
e nell’adolescenza: criticità nella pratica
e nella modalità di intervento
Nati per la Musica
2 74
3 127
3 129
F. Ciotti
3 111
Red
5 206
Red
6 254
G. Cirillo
1
L. Pomicino, G.A. Zanazzo
3
4 155
B. Caravale, et al.
1 20
4 172
A. Spataro, F. Tonioni
A. Spataro, S. Manetti
5 210
6 264
A. Spataro, R. Sangermani
A. Spataro, S. Gorini
Salute pubblica
La formazione sull’allattamento materno nell’ambito
del progetto BFHCI dell’OMS-UNICEF:
una riflessione critica
4 165
La nuova versione dell’impegno di autoregolamentazione
dell’ACP nei rapporti con l’industria
4 170
L’Équipe Multidisciplinare in ambito materno-infantile:
uno strumento di intervento socio-sanitario integrato
6 260
Saper fare
L’abuso sessuale: qualche appunto per il pediatra
delle cure primarie
Come si legge e cosa dice un emocromo
Scenari
Steatosi epatica non alcolica in un bambino:
c’è spazio per la terapia farmacologica?
Uno scenario clinico
Traumi del paziente pediatrico e profilassi
del tromboembolismo venoso. Uno scenario clinico
P. Siani, C. Corchia
A. Liverani, et al.
C. Panza
M. Jankovic
2
S. Amarri, C. Panza
65
5 220
2 82
4 180
Telescopio
Staffing infermieristico in Terapia Intensiva Neonatale:
di più è meglio?
2 60
Meta-analisi sulla legatura del PDA: gli studi disponibili
sono sufficienti a guidare la scelta clinica?
5 214
Vaccinacipì
A proposito di vaccinazione anti-Meningococco B…
A proposito di vaccini, priorità e linee di condotta
Quali vaccinazioni nel bambino
affetto da diabete mellito?
La scelta di vaccinare: uno sguardo dal ponte
Il vaccino antirotavirus
R. Prosperi Porta, M.A. Bosca
2 70
4 173
Specializzando (lo)
La formazione dello specializzando
nell’ambulatorio del pediatra di famiglia
3 143
Lo specializzando nell’ambulatorio del pediatra
di famiglia: il punto di vista di un direttore di specialità 5 240
La formazione alla comunicazione-relazione
nella Scuola di Specializzazione in Pediatria:
l’esperienza dell’Università Cattolica di Roma
6 283
Storie che insegnano
A scuola… con il diabete
Dottore, Alessandro ha sempre mal di pancia…
C. Berardi
E. Valletta
1
2
34
80
3 131
5 229
6 280
M. Marchesi
C. Gagliardo, et al.
A. Guarino, et al.
M. Gangemi, P. Papacci
A. Bobbio, et al.
S. Davico, et al.
R. Bellù
M. Condò
F. Giovanetti
R. Cavallo
F. Giovanetti
L. Speri, et al.
R. Cavallo
FaD 2015
ACP
La Sincope in età pediatrica
R. Paladini
Il sostegno dell'allattamento al seno: fisiologia e falsi miti
S. Conti Nibali
Le bronchiti asmatiche ricorrenti nel bambino in età prescolare
L. De Seta, M.S. Sabbatino, F. De Seta
Il diabete nel bambino: come riconoscerlo, come curarlo
A. Marsciani, T. Suprani, B. Mainetti, V. Graziani, A. Pedini
Approccio diagnostico al bambino con ipertransaminasemia
C. Mandato, M. Tripodi, P. Vajro
Il bambino neurologico: problematiche gastroenterologiche e
nutrizionali
A. Tedeschi
18
ECM*
Quaderni
acp
website: www.quaderniacp.it
novembre-dicembre 2014 vol 21 nº 6
Editoriale
241 La Carta dei diritti del bambino morente:
“Carta di Trieste”
Marcello Orzalesi
243 Il domani che verrà
Paolo Siani
Formazione a distanza
244 OSAS in età pediatrica
Giovanni Carlo De Vincentiis, Emanuela Sitzia,
Maria Laura Panatta
Informazioni per genitori
252 Tonsille e adenoidi: “una coppia di fatto”
Costantino Panza, Stefania Manetti
Antonella Brunelli
L’angolo della comunità
253 Allattamento al seno e capacità cognitive,
di linguaggio e motorie, all’età di 18 mesi
Red
Research letters
254 Indagine sulle condizioni di vita dei bambini
di 18-30 mesi e delle loro famiglie
nelle Regioni italiane
(gennaio 2014 - dicembre 2015)
Giuseppe Cirillo
Forum
257 Un percorso uguale per tutti gli screenati?
L’esempio della fibrosi cistica (FC)
Sergio Conti Nibali
Salute pubblica
260 L’Équipe Multidisciplinare
in ambito materno-infantile: uno strumento
di intervento socio-sanitario integrato
Antonella Liverani, Teresa Ilaria Ercolanese,
Enrico Valletta
Salute mentale
264 Nati per la Musica
Intervista di Angelo Spataro a Stefano Gorini
Osservatorio internazionale
265 L’epatite A nei Paesi in via di sviluppo:
un problema di transizione
Enrico Valletta, Martina Fornaro
Aggiornamento avanzato
267 Leggo perché scrivo
Giancarlo Biasini
Info
274 Latte con il trucco in Vietnam
274 Alluminio nei latti artificiali
274 Appello di Gimbe per salvare
il Servizio Sanitario Nazionale (SSN)
274 Nestlé non è sponsor gradito a una conferenza
sulla nutrizione
275 Integratori per l’infanzia, Antitrust multa Humana
Italia per claim salutistici
275 Finanziamenti di Big Pharma ai medici
Libri
276 Enrico Berlinguer, casa per casa, strada per strada
di Pierpaolo Farina (a cura di)
276 Che ti passa per la testa?
di Sara Capogrossi Colognesi, Simone Macrì
276 Vagabondi notturni
di Wojciech Jagielski
277 Mangiare per crescere
di Mauro Destino, Federico Marolla
277 Il desiderio di essere come TUTTI
di Francesco Piccolo
Perunmondopossibile
278 Inquinamento e salute dei bambini:
come sono cambiate le conoscenze dei pediatri
e cosa chiedono le famiglie
Giacomo Toffol
Farmacipì
279 Psicofarmaci e bambini: la distanza
tra ricerca e pratica clinica
Daniele Piovani, Antonio Clavenna
Vaccinacipì
280 Il vaccino antirotavirus
Rosario Cavallo
Film
281 I nostri ragazzi. La speranza di non doverci
mai dare una risposta
Italo Spada
Congressi controluce
282 Il Rapporto AMREF
Lo specializzando
283 La formazione alla comunicazione-relazione
nella Scuola di Specializzazione in Pediatria:
l’esperienza dell’Università Cattolica di Roma
Michele Gangemi, Patrizia Papacci
Il bambino e la legge
268 La riforma della filiazione
Augusta Tognoni
Il caso che insegna
271 Una diagnosi quasi per caso
Paolo Siani, Claudia Mandato,
Francesco Esposito, et al.
Lettere
285 Sul codice etico di autoregolamentazione ACP
287 Indice delle rubriche
Come iscriversi o rinnovare l’iscrizione all’ACP
La quota d’iscrizione per l’anno 2014 è di 100 euro per i medici, 10 euro per gli specializzandi, 30 euro per gli infermieri e per i non sanitari. Il versamento può essere
effettuato tramite il c/c postale n. 12109096 intestato a: - Associazione Culturale Pediatri, Via Montiferru, 6 - Narbolia (OR) (indicando nella causale l’anno a cui si riferisce la quota)
oppure attraverso una delle altre modalità indicate sul sito www.acp.it alla pagina “Iscrizione”. Se ci si iscrive per la prima volta occorre scaricare e compilare il modulo per la richiesta di adesione presente sul sito www.acp.it alla pagina “Iscrizione” e seguire le istruzioni in esso contenute oltre a effettuare il versamento della quota come sopra indicato. Gli iscritti all’ACP hanno diritto a ricevere la rivista bimestrale Quaderni acp, la Newsletter mensile Appunti di viaggio e la Newsletter quadrimestrale Fin da piccoli del Centro per la Salute
del Bambino richiedendola all’indirizzo info@csbonlus.org. Hanno anche diritto a uno sconto sulla iscrizione alla FAD dell’ACP alla quota agevolata di 50 euro anziché 150; sulla
quota di abbonamento a Medico e Bambino, indicata nel modulo di conto corrente postale della rivista e sulla quota di iscrizione al Congresso nazionale ACP. Gli iscritti possono usufruire di iniziative di aggiornamento, ricevere pacchetti formativi su argomenti quali la promozione della lettura ad alta voce, l’allattamento al seno, la ricerca e la sperimentazione e
altre materie dell’area pediatrica. Potranno partecipare a gruppi di lavoro su ambiente, vaccinazioni, EBM e altri. Per una informazione più completa visitare il sito www.acp.it.