Autunno 2014 - #144 - International Myeloma Foundation

Volume 14 Numero 4
Autunno 2014
Il test MRD: abbiamo trovato il metodo che cercavamo?
Dopo oltre 10 anni di progressi compiuti nell’ambito del trattamento del mieloma e resi possibili
grazie all’introduzione di nuove terapie, oggigiorno i ricercatori mirano a scoprire metodi in grado
di eliminare del tutto le cellule mielomatose che persistono anche dopo la somministrazione delle
cure attualmente disponibili. Siamo a un passo dall’individuazione di un test che ci consentirà di
elaborare un piano efficace teso a garantire uno sradicamento totale della malattia residua.
Si tratta di un metodo basato sulla citometria a flusso, caratterizzato da livelli di sensibilità e
precisione estremamente elevati, sviluppato da ricercatori spagnoli grazie al contributo della Black
Swan Research Initiative® promossa dall’IMF. Il test che, a oggi, rappresenta lo strumento più
affidabile, sensibile e facilmente accessibile per la diagnosi della malattia minima residua (MRD),
ha riscosso un apprezzamento quasi unanime da parte dei ricercatori che hanno frequentato un
workshop sui metodi a flusso tenuto in collaborazione con l’IMF presso lo Zuckerman Research
Center all’interno del Memorial Sloan Kettering Cancer Center (MSKCC) nella città di New York
dal 18 al 19 luglio 2014.
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Il ruolo del trapianto come terapia di recupero nel mieloma
Il dott. Sergio Giralt, responsabile dell’Adult Bone Marrow Transplantation Servicee titolare
della Melvin Berlin Family Chair in Multiple Myeloma presso il Memorial Sloan Kettering Cancer Center a New York, sarà uno dei principali relatori nel corso del workshop internazionale
organizzato dall’IMF e dalla BMT CTN intitolato “Trapianto di cellule staminali come terapia
di recupero per il trattamento del mieloma multiplo”, che si terrà il 28 ottobre a Minneapolis, in
Minnesota. Tra i partecipanti saranno presenti i rappresentanti di quattro principali organizzazioni: la Blood and Marrow Transplant Clinical Trials Network (BMT CTN), l’International
Myeloma Foundation (IMF), l’American Society of Blood and Marrow Transplant (ASBMT) e
Be The Match.
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Gestione degli effetti collaterali del panobinostat
Il dott. Shaji Kumar, docente di medicina presso la Mayo Clinic di Rochester, in Minnesota, lavora
presso un laboratorio specializzato nello sviluppo di nuovi farmaci per il trattamento del mieloma
e nello studio degli aspetti biologici meno conosciuti di questa malattia. L’esperto, che ha pubblicato oltre 275 articoli medici, è attualmente impegnato in uno studio incentrato sull’aggiornamento dei criteri di risposta elaborati dall’International Myeloma Working Group (IMWG). ( Il dott.
Kumar è il ricercatore principale di numerose sperimentazioni cliniche nelle prime fasi basate
sull’utilizzo di nuovi agenti antimieloma, compreso il panobinostat, che verrà presto sottoposto
all’approvazione della Food and Drug Administration (FDA) statunitense.
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www.myeloma.org
Autunno 2014
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Il test MRD: abbiamo trovato il metodo che cercavamo?
Autore: dott. Brian G.M. Durie, MD
(de gauche à droite) MM. Ola Landgren, Bruno Paiva, Alberto Orfao, Brian GM Durie
Dopo oltre 10 anni di progressi compiuti nell’ambito del trattamento
del mieloma e resi possibili grazie all’introduzione di nuove terapie,
oggigiorno i ricercatori mirano a scoprire metodi in grado di eliminare
del tutto le cellule mielomatose che persistono anche dopo la somministrazione delle cure attualmente disponibili. Siamo a un passo dall’individuazione di un test che ci consentirà di elaborare un piano efficace
teso a garantire uno sradicamento totale della malattia residua.
Si tratta di un metodo basato sulla citometria a flusso, caratterizzato
da livelli di sensibilità e precisione estremamente elevati, sviluppato da
ricercatori spagnoli grazie al contributo della Black Swan Research Initiative® promossa dall’IMF. Il test che, a oggi, rappresenta lo strumento
più affidabile, sensibile e facilmente accessibile per la diagnosi della
malattia minima residua (MRD), ha riscosso un apprezzamento quasi
unanime da parte dei ricercatori che hanno frequentato un workshop
sui metodi a flusso tenuto in collaborazione con l’IMF presso lo Zuckerman Research Center all’interno del Memorial Sloan Kettering Cancer Center (MSKCC) nella città di New York dal 18 al 19 luglio 2014.
Il workshop sui metodi a flusso organizzato a New York
Il workshop ha visto la partecipazione di 24 centri medici sparsi
sul territorio degli Stati Uniti, nonché di rappresentanti del National
Cancer Institute (NCI) e della Food and Drug Administration(FDA)
tatunitense. Il pubblico era composto da illustri esperti nello studio del
mieloma provenienti dai vari centri, oltre che dal personale tecnico addetto alla gestione dei laboratori specializzati in citometria a flusso. Tra
i medici statunitensi specializzati nel mieloma presenti all’iniziativa, è
possibile annoverare: Vincent Rajkumar, Shaji Kumar, Ola Landgren,
Ken Anderson, Saad Usmani, Suzanne Lentzsch, Jonathan Kaufman,
Phillip McCarthy, and Andrzej Jakubowiak. Il workshop, al quale è
stato conferito un taglio didattico, mirava a fornire ai partecipanti
informazioni sul ruolo del test MRD e sulle procedure attualmente
disponibili. L’attenzione degli esperti è stata rivolta al nuovo metodo di
citometria a flusso, automatizzato e altamente sensibile, sviluppato dal
team spagnolo ai fini del rilevamento standardizzato della MRD nel
mieloma.
La creazione di un test MRD affidabile rappresenta un primo passo
importante che la Black Swan Research Initiative si prefigge di compiere. Questo approccio, incentrato sull’utilizzo del test MRD più
efficace ai fini del monitoraggio dei livelli minimi del mieloma, mira
a fornire una base per le decisioni relative ai trattamenti per l’individuazione di una cura. È stato pertanto molto interessante accogliere
in sala i più eminenti esperti di citometria a flusso, che hanno potuto
esprimere la propria opinione relativamente al valore del nuovo test
per la MRD.
Nel corso del workshop, il dott. Bruno Paiva (Università di Navarra,
Pamplona, Spagna) ha illustrato brevemente l’importanza di questo
metodo nell’ambito della valutazione dei risultati relativi ai trattamenti
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(come già aveva fatto nel marzo 2014 davanti a una platea di 70 esperti dal profilo internazionale durante il workshop sui metodi a flusso
organizzato a Salamanca, in Spagna). In seguito all’incontro tenutosi in
Spagna, gli esperti di citometria a flusso hanno ideato la nuova tecnica
presso laboratori collocati in un territorio compreso tra la Germania e
l’Australia. E negli USA?
Il secondo relatore del workshop di New York era il dott. Alberto
Orfao (Università di Salamanca, Salamanca, Spagna), vale a dire lo sviluppatore del nuovo test MRD basato sulla citometria a flusso. L’esperto
ha illustrato nel dettaglio la scoperta, per la quale ha lavorato per anni
insieme al suo team nell’ambito di un progetto che ha ricevuto il contributo dell’IMF e che rappresentava uno dei punti chiave della Black
Swan Research Initiative.
Il dott. Brent Wood (Università di Washington, Seattle, Washington), uno dei relatori del workshop, ha posto alla platea il seguente
interrogativo: “Qual è il nostro principale obiettivo? Lavorare in modo
autonomo oppure collaborare al fine di trovare un metodo di standardizzazione che possa giovare ai nostri pazienti?”. I partecipanti hanno
espresso il loro consenso unanime sulla necessità di creare un metodo
di standardizzazione. “Sì, ma come?” Segue un elenco delle principali
domande e delle preoccupazioni di carattere pratico espresse durante i
lavori:
• È necessario che i campioni vengano trattati nell’arco delle 24 ore?
• Qual è il momento migliore per l’ottenimento dei campioni ai fini
della valutazione delle risposte?
• In che modo è possibile, all’interno di un laboratorio estremamente
congestionato, trovare il tempo per mettere a punto un nuovo metodo?
• A quanto ammonterebbero i costi?
• Abbiamo stipulato dei contratti per i vecchi anticorpi: come bisogna comportarsi con i nuovi?
• Quali sono gli aspetti da considerare relativamente al nuovo software per la standardizzazione delle analisi e dei risultati?
Il software utilizzato per l’esecuzione di questo test all’avanguardia
rappresenta uno strumento estremamente importante in virtù del fatto
che il citometro utilizza otto colori e che i risultati consistono in una
serie di cluster visualizzati in otto dimensioni. Un metodo, quindi, che
a parole - ma in realtà anche nei fatti - è piuttosto complesso. L’utilizzo
di un software sofisticato è necessario per poter ordinare o “isolare” accuratamente le cellule allo scopo di distinguere quelle di natura mielomatosa da quelle sane. Il nuovo metodo a flusso è pertanto in grado di
rispondere alle seguenti domande: Sono presenti cellule mielomatose
residue? E POI, I RISULTATI OTTENUTI SONO SICURI AL 100%?
Tutti coloro che hanno partecipato al workshop sui metodi a flusso
erano entusiasti di avere a disposizione gli strumenti giusti per rispondere a questa domanda. Veniva in tal modo lasciata in sospeso
la questione relativa all’effettiva possibilità di risolvere i problemi di
natura pratica correlati alla messa a punto del nuovo metodo a flusso in laboratorio in vista del successivo utilizzo. Su tale questione, i
partecipanti hanno richiesto l’intervento del team IMF. È stato raccolto
un consenso immediato sul fatto che sarebbe stato fatto il possibile per
aiutare i laboratori desiderosi di avviare il nuovo metodo, ma costretti
a confrontarsi con numerosi ostacoli.
I partecipanti hanno lasciato il workshop adeguatamente formati e
motivati sulla messa a punto di un nuovo metodo a flusso MRD, caratterizzato da elevati livelli di sensibilità. Gli animi sono stati pervasi
da un forte senso di ottimismo relativamente alla creazione di un test
MRD affidabile che sarà ben presto disponibile per i pazienti statunitensi.
Dalla Francia arrivano novità entusiasmanti
Un recente studio illustra l’utilità del test MRD con citometria a flusso ai fini della previsione di risultati eccellenti con nuove terapie combinate altamente attive. Uno studio di fase II condotto dall’Intergroupe
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Francophone du Myelome (IFM) fungeva da protocollo pilota per lo
studio di fase II avviato nel 2009 dall’IFM e dal Dana-Farber Cancer
Institute e attualmente in corso, per la valutazione del trattamento
di prima linea con lenalidomide (Revlimid®), bortezomib (Velcade®)
e desametasone con o senza trapianto autologo di cellule staminali
(ASCT). Come si legge nel numero 31 del Journal of Clinical Oncology,
tutti i pazienti con nuova diagnosi di mieloma sintomatico sono stati
sottoposti a terapia con RVD, seguita da ASCT, terapia di consolidamento RVD e un anno di terapia di mantenimento a base di Revlimid.
I risultati ottenuti grazie a questo protocollo si sono rivelati estremamente positivi. È stata ottenuta una risposta parziale molto
buona (VGPR) o superiore nel 58%, 70% e 87% dei pazienti sottoposti
rispettivamente a terapia di induzione RVD, ASCT e terapia di consolidamento RVD. Il dato decisamente interessante consiste nel fatto
che il 68% dei pazienti raggiungeva uno stato di negatività per MRD
determinata con citometria a flusso, che rappresenta una categoria di
test una tantummisurato nel punto di massima risposta estremamente
utile. Se la negatività per MRD viene confermata dalla successiva
esecuzione di test seriali (vale a dire, negatività per MRD sostenuta) e
di test aggiuntivi, tra cui PET/TAC negativa e test Hevylite® normale,
è possibile utilizzare il trattamento MRD-Zero come nuova categoria
indicativa di uno stato di cura potenziale.
Con un follow-up medio di oltre 3 anni (39 mesi), i pazienti che
hanno raggiunto uno stato di negatività per MRD determinata con
citometria a flusso sono ancora in fase di remissione. Dopo oltre 3
anni, la sopravvivenza globale (OS) corrisponde ovviamente al 100%.
Di conseguenza, in attesa dei risultati dello studio comparativo di fase
III, l’impatto dell’induzione, dell’ASCT, della terapia di consolidamento
e della terapia di mantenimento è decisamente significativo, specialmente per quel che concerne lo stato di negatività per MRD e lo stato
di remissione stabile dei pazienti.
Queste scoperte convalidano in modo determinante il principio chiave alla base della Black Swan Research Initiative. Il monitoraggio della
malattia attraverso test MRD sensibili a livelli estremamente bassi consente, da un lato, di prevedere risultati decisamente positivi e, dall’altro,
di creare le basi per ulteriori decisioni in termini di trattamento, tese
al raggiungimento delle risposte approfondite e sostenute di cui sopra
che, a loro volta, potrebbero tradursi in una cura.
È importante sottolineare che questi nuovi dati confermano gli
straordinari risultati ottenuti in precedenza. Il vantaggio clinico
derivante dal raggiungimento di uno stato di negatività per MRD,
documentato attraverso l’utilizzo del metodo a flusso concepito dai
ricercatori spagnoli, è stato riconosciuto per oltre 10 anni. Due studi
condotti uno di seguito all’altro dal team spagnolo, rispettivamente nel
2008 e nel 2012, e uno dal team del Regno Unito hanno dimostrato che
i pazienti che raggiungono uno stato di negatività per MRD determinata con citometria a flusso presentano tempi di remissione e di OS più
lunghi. L’aspetto sorprendente relativo ai nuovi dati consiste nel valore
sostenuto delle risposte approfondite ottenute nella sperimentazione
condotta dall’IFM, che si traduce nell’assenza di recidive dopo più di 3
anni.
Di conseguenza, con il nuovo metodo di citometria a flusso attualmente disponibile, ancora più sensibile e standardizzato, e l’utilizzo di
nuove combinazioni di terapie sempre più efficaci, è possibile ottenere
in modo più immediato previsioni affidabili di risultati insolitamente
positivi e definire una popolazione di pazienti potenzialmente curabili
con trattamenti di prima linea completi. Questo nuovo studio condotto
dall’IFM mira a concepire metodi su misura che integrano il test MRD
basato sulla citometria a flusso allo scopo di ottenere risultati ottimali
dalla terapia durante l’intero corso della malattia.
Abbiamo trovato il metodo che cercavamo?
Nel corso del workshop sui metodi a flusso tenutosi a luglio presso il
MSKCC, un membro del pubblico ha rivolto la seguente domanda: “È
possibile modificare o potenziare uno dei pigmenti fluorescenti (fluorocromi) utilizzati nell’ambito del test a flusso MRD?”.
A questo interrogativo il dott. Alberto Orfao ha risposto come segue:
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(de gauche à droite) MM Brian GM Durie, Bruno Paiva
“Naturalmente, probabilmente sì!”, aggiungendo, tuttavia, che questi
tipi di modifiche possono essere infiniti. Alla domanda del partecipante: “Attualmente, disponiamo di un test veramente efficace?”, il dott.
Orfao ha fornito la seguente risposta: “SÌ. Si tratta di un metodo standardizzato, affidabile e sufficientemente sensibile al livello di 10–5. Non
abbiamo bisogno d’altro. Basta, quindi, “ritoccare”! È giunto il momento di passare alla fase successiva della convalida completa del metodo
durante le sperimentazioni sui pazienti.
Alcuni membri della comunità di esperti specializzati in mieloma
sostengono la necessità di un test di sequenziamento [molecolare] del
DNA per la MRD nel midollo osseo, il cui principale vantaggio potenziale, a loro parere, consiste in un maggior livello di sensibilità rispetto al metodo basato sulla citometria a flusso. Tuttavia, attualmente,
quest’ultima tecnica presenta livelli di sensibilità equivalenti e offre
eccellenti capacità di previsione di risultati estremamente positivi sui
pazienti. Aggiungerei inoltre che un test più sensibile potrebbe incoraggiare l’esecuzione di trattamenti eccessivamente aggressivi e non
necessari che farebbero più male che bene!
Certamente, è necessario condurre attenti confronti tra i test molecolari e i test incentrati sui flussi. Ad ogni modo, dopo aver analizzato
tutti i pro e i contro di ciascun metodo, il team Black Swan Research
Initiative ha scelto il test a flusso MRD come metodo di rilevamento
principale della malattia minima residua, nonché come termine di
paragone per le altre tecniche.
Un vantaggio importante del nuovo metodo basato sul flusso consiste nel fatto che tale tecnica utilizza un database informatico in cui
sono archiviati tutti i possibili cloni o subcloni mielomatosi che consentono di eseguire raffronti e classificazioni immediati e che possono
essere identificati mediante metodologia a flusso in qualsiasi momento
nel corso dello sviluppo della malattia. Al contrario, l’approccio basato
sul “clone dominante” nel DNA rischia di tralasciare subcloni minori
che potrebbero subentrare in una fase successiva della malattia. In caso
di identificazione di subcloni residui, il metodo di citometria a flusso
consentirebbe di eseguire una caratterizzazione e un ordinamento per
ciascuno di essi, i cui dati verrebbero analizzati nell’ambito di studi
dettagliati, compreso il sequenziamento completo del DNA. L’utilizzo della tecnologia basata sul DNA in un metodo combinato, ovvero
incentrato su tecniche a flusso e molecolari, rappresenta una soluzione
semplice, nonché una preziosa fonte di informazioni.
Il nuovo metodo di citometria a flusso garantisce un’attenta misurazione del mieloma ai livelli minimi della malattia, necessaria ai fini
della previsione di risultati eccellenti e del potenziamento del trattamento per alcuni pazienti nell’ottica del raggiungimento di uno stato di
negatività per MRD.
Dal momento che la citometria a flusso rappresenta un test stan-
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dardizzato, ampiamente disponibile ed economico, non è più necessario ricorrere ad altri metodi, tra cui ad esempio il test molecolare,
che presentano numerosi svantaggi. Uno dei limiti di questa tecnica
consiste nella necessità di utilizzare il midollo osseo a partire dal
momento della diagnosi (o di una nuova recidiva) ai fini dell’identificazione del “clone dominante o principale” che verrà impiegato
nell’ambito di attività di monitoraggio future. A mio parere, il metodo molecolare presenta ulteriori limiti, tra cui un prezzo più elevato
(si stima che il costo di questa tecnica oscilli tra 750 e 1000 $, contro
i 100-150 $ del nuovo test basato sulla citometria a flusso) e l’impossibilità di eseguirlo presso centri locali. Chi promuove l’utilizzo di
una tecnica combinata, dovrebbe riflettere su un importante aspetto
pratico, ovvero il fatto che la “suddivisione” dei campioni di midollo
osseo in due parti (una per il test di citometria a flusso e l’altra per il
test molecolare) non rappresenta una condizione ideale. Infatti, per
ottenere risultati estremamente accurati e ottimali, è necessario che il
test di citometria a flusso utilizzi il maggior numero di cellule mielomatose ricavate dal “primo prelievo” ottenuto dall’aspirazione del
campione di midollo osseo.
Pertanto, sebbene nell’ambito di specifiche sperimentazioni sia
importante confrontare i due metodi, sembra plausibile concludere
che il flusso è tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Contestualmente
all’avanzamento dei lavori, potrebbero essere eseguiti alcuni “perfezionamenti” che prevedono, ad esempio, l’aggiunta del test sul rapporto
Hevylite che sostituirebbe, da un punto di vista quantitativo, la tecnica di immunofissazione (IFE) e la PET/TAC total body ai fini di una
valutazione diretta del mieloma al di fuori del midollo osseo.
Vi consiglio pertanto di tenervi aggiornati sui rapidi progressi
compiuti dalla Black Swan Research Initiative nel campo del controllo e del trattamento di questa malattia cronica!
Il ruolo del trapianto come terapia di recupero nel mieloma
Myeloma Today intervista Sergio Giralt, MD
Il dott. Sergio Giralt, responsabile dell’Adult Bone Marrow Transplantation Servicee titolare della
Melvin Berlin Family Chair in Multiple Myeloma presso il Memorial Sloan Kettering Cancer Center a New York, sarà uno dei principali relatori nel corso del workshop internazionale organizzato
dall’IMF e dalla BMT CTN intitolato “Trapianto di cellule staminali come terapia di recupero per
il trattamento del mieloma multiplo”, che si terrà il 28 ottobre a Minneapolis, in Minnesota. Tra i
partecipanti saranno presenti i rappresentanti di quattro principali organizzazioni: la Blood and
Marrow Transplant Clinical Trials Network (BMT CTN), l’International Myeloma Foundation
(IMF), l’American Society of Blood and Marrow Transplant (ASBMT) e Be The Match.
Potrebbe illustrarci gli obiettivi perseguiti dall’imminente workshop organizzato congiuntamente dall’IMF e dalla BMT CTN?
Sono stati condotti numerosi studi retrospettivi (ovvero studi basati
sull’analisi di dati pregressi) dai quali è emerso un ruolo determinante
del trapianto basato sull’utilizzo di cellule autologhe come terapia di
recupero nell’induzione di remissioni a lungo termine nei pazienti colpiti
da recidiva in seguito a una remissione iniziale.
L’incontro di Minneapolis riunirà ricercatori dal profilo sia nazionale
che internazionale che studiano il ruolo dei trapianti - intesi sia come
trapianti autologhi di cellule staminali (ASCT), sia come trapianti allogenici o allotrapianti - come terapie di recupero nel mieloma. Il nostro
obiettivo consiste nel creare consenso su tale aspetto e nel pubblicare le
relative linee guida.
Durante il workshop, passeremo in rassegna gli studi retrospettivi
sui secondi ASCT, nonché sui secondi allotrapianti di cellule staminali
(SCT), attraverso l’analisi della situazione americana ed europea relativamente a queste due tecniche. Nel corso dei lavori, verranno inoltre
avviati dibattiti incentrati sulle sperimentazioni cliniche in corso e future. Nell’ambito di un lavoro di collaborazione con i gruppi cooperativi
e la Blood and Marrow Transplant Clinical Trials Network, stiamo già
provvedendo alla pianificazione e allo sviluppo di una sperimentazione
prospettiva nazionale basata sull’ASCT per i pazienti affetti da mieloma.
Il raggiungimento del consenso tra gli esperti di mieloma contribuirà,
in parte, a informare le assicurazioni sanitarie, come Medicare e Medicaid, sull’eventuale validità di queste procedure e, di conseguenza, sulla
possibilità di erogare coperture su tali prestazioni.
Qual è il ruolo del trapianto come terapia di recupero nel mieloma?
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La terapia di recupero consiste in una tipologia di trattamento in
grado di indurre remissione clinica in pazienti che non hanno risposto o
che smettono di rispondere alle cure iniziali. Vi sono, tuttavia, due facce
della medaglia: da un lato, il desiderio di offrire ai pazienti con recidive
multiple un’ampia gamma di trattamenti e, dall’altro, il tentativo di intervenire il meno possibile e di sviluppare trattamenti in grado di offrire
remissioni a lungo termine.
È da tempo consuetudine in molte zone degli USA raccogliere campioni soddisfacenti di cellule staminali da utilizzare per 2 trapianti e,
poiché è oramai comunemente accettato che, in caso di remissioni della
durata di 2 o 3 anni in seguito al primo trapianto, sia ragionevole tentare
nuovamente di attuare questa strategia al fine di raggiungere una simile
remissione a lungo termine, siamo del parere che sia necessario aumentare il numero di trapianti eseguiti come terapia di recupero.
Attualmente, sono disponibili tanti altri trattamenti attivi per il mieloma e sono stati condotti numerosi studi che hanno tentato di rispondere
alla seguente domanda: “Qual è il trattamento ottimale per i pazienti
che hanno evidenziato una recidiva in seguito alla terapia primaria?”. A
questo punto, ritengo sia necessario rivolgere la stessa domanda spostando però l’attenzione sulla terapia di consolidamento con melfalan
ad alto dosaggio. “Se la terapia up-front con melfalan ad alto dosaggio è
vantaggiosa, si potrebbe dire lo stesso per la terapia di consolidamento
ad alto dosaggio nei casi recidivanti?”. Questa domanda merita di essere
analizzata più da vicino.
E il trapianto allogenico?
Per quanto riguarda il donatore, sappiamo che il trapianto allogenico è
in grado di curare una parte di pazienti (inclusi quelli recidivanti). Molti
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di noi ritengono che si tratti dell’unica terapia per il trattamento dei
soggetti affetti da recidiva. Personalmente, sono del parere che si tratti
di un approccio iniziale valido ai fini dello studio del ruolo del trapianto
allogenico up-front nei pazienti affetti da mieloma ad alto rischio e in
quelli recidivanti, specialmente nel contesto di nuove potenziali strategie
di mantenimento. Tale aspetto sarà uno dei principali punti che verranno affrontati nel corso dell’incontro di Minneapolis.
A che punto è, a suo avviso, la terapia basata sull’associazione
trapianto-immunoterapia adottiva?
A livello locale, il dott. Guenther Koehne, del laboratorio specializzato in citoterapia del Memorial Sloan Kettering, sta ideando un nuovo
tipo di trapianto all’avanguardia basato su cellule staminali allogeniche
CD34 selezionate e seguito da terapie cellulari. Inizialmente, si trattava
di semplici infusioni di linfociti provenienti da un donatore. Tuttavia,
l’ultima versione del protocollo prevede l’utilizzo di linfociti del donatore modificati allo scopo di garantire una reazione principalmente
contro l’antigene WT-1 presente sulla superficie delle cellule mielomatose. Si tratta quindi di una forma di immunoterapia mirata contro il
mieloma.
Cosa si sentirebbe di dire ai nostri lettori a conclusione del suo
intervento?
Sebbene solitamente si affermi che le terapie attualmente disponibili
non consentono di curare definitivamente il mieloma, è importante
riconoscere che, in alcuni pazienti, la somministrazione di una terapia
combinata basata su induzione, trapianto autologo e mantenimento
ha garantito una remissione della durata di 10-15 anni senza recidive
anche prima dell’avvento degli IMiD (tra cui talidomide, lenalidomide
e pomalidomide) e degli inibitori del proteasoma (tra cui bortezomib
e carfilzomib). Il numero di pazienti nei quali è stata evidenziata una
remissione completa (CR) in seguito al trattamento era estremamente
ridotto (corrispondente forse solo a un terzo di essi).
Per tanti anni abbiamo considerato la CR, ovvero la condizione caratterizzata dalla completa assenza di segnali e sintomi della malattia mediante l’utilizzo di tecniche standard, un marcatore surrogato del controllo
a lungo termine della malattia. I trattamenti moderni garantiscono un
aumento sostanziale del numero di pazienti che raggiungono una CR,
nonché il mantenimento di questa condizione per almeno 10 anni in un
terzo dei soggetti. Il nostro obiettivo consiste nel garantire un aumento
significativo del numero di pazienti con una remissione a lungo termine.
Stiamo vivendo un momento estremamente entusiasmante.
Nota del redattore: per ulteriori informazioni sul workshop internazionale “Trapianto di cellule staminali come terapia di recupero per il trattamento del mieloma multiplo” organizzato dall’IMF e dalla BMT CTN e
sulle linee guida sul consenso che verranno pubblicate a breve, acquistate
i prossimi numeri di Myeloma Today, visitate il sito web dell’IMF myeloma.org e iscrivetevi alla newsletter Myeloma Minute.
Gestione degli effetti collaterali del panobinostat
Myeloma Today intervista Shaji Kumar, MD
Il dott. Shaji Kumar, docente di medicina presso la Mayo Clinic di Rochester, in Minnesota,
lavora presso un laboratorio specializzato nello sviluppo di nuovi farmaci per il trattamento del
mieloma e nello studio degli aspetti biologici meno conosciuti di questa malattia. L’esperto, che ha
pubblicato oltre 275 articoli medici, è attualmente impegnato in uno studio incentrato sull’aggiornamento dei criteri di risposta elaborati dall’International Myeloma Working Group (IMWG).
( Il dott. Kumar è il ricercatore principale di numerose sperimentazioni cliniche nelle prime fasi
basate sull’utilizzo di nuovi agenti antimieloma, compreso il panobinostat, che verrà presto sottoposto all’approvazione della Food and Drug Administration (FDA) statunitense.
Potrebbe parlarci della storia dello sviluppo del panobinostat?
L’istone deacetilasi (HDAC) è stato studiato per tanti anni. Ricerche
precliniche hanno rivelato che svariati inibitori dell’HDAC, utilizzati
congiuntamente agli inibitori del proteasoma, hanno prodotto risultati
eccellenti. Le sperimentazioni cliniche pubblicate due anni fa e incentrate sull’utilizzo di un altro inibitore dell’HDAC, ovvero il vorinostat,
hanno condotto a risultati deludenti, basati su un miglioramento appena
accennato della sopravvivenza libera da progressione (PFS) e sull’assenza
totale di miglioramenti in termini di sopravvivenza globale (OS). Tuttavia, il panobinostat presenta caratteristiche diverse dal vorinostat.
Il progressivo aumento dei tempi di sopravvivenza dei pazienti e la
refrattarietà ai gruppi di farmaci esistenti, tra cui gli inibitori del proteasoma, i farmaci immunomodulatori (IMiDs®) e gli agenti alchilanti, ci
spingono a ricercare agenti che presentano nuovi meccanismi di azione.
Lo sviluppo del panobinostat offre una nuova classe di farmaci, ovvero
gli inibitori dell’istone deacetilasi o HDAC, per il trattamento del mieloma.
Qual è, a suo parere, il ruolo del panobinostat nel trattamento del
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mieloma?
Nel corso di una prima sperimentazione che prevedeva la somministrazione di una terapia combinata basata su panobinostat e bortezomib
(Velcade®), svariati pazienti hanno evidenziato un andamento estremamente positivo nonostante una precedente refrattarietà al bortezomib.
Lo studio, che è stato pubblicato sulla rivista The Lancet, ha fornito prove
concrete del fatto che il panobinostat potrebbe “risvegliare” la sensibilità
di alcuni pazienti refrattari al bortezomib.
I dati ottenuti dalle attuali sperimentazioni cliniche suggeriscono
che la combinazione panobinostat-bortezomib migliora la PFS solo
rispetto al bortezomib nel giro di circa quattro mesi. Tuttavia, non sono
disponibili dati sufficienti per valutare i vantaggi in termini di OS. Ciononostante, siamo certi del fatto che il panobinostat potrebbe ancora
svolgere un ruolo importante sul piano del miglioramento delle condizioni dei pazienti, in virtù della sua capacità di migliorare la risposta
al bortezomib e di contrastare il mieloma. Il panobinostat offre un’alternativa ai pazienti sottoposti a pretrattamento pesante, come ad esempio
quelli arruolati nelle sperimentazioni cliniche, e soprattutto a coloro che
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presentano una doppia refrattarietà a entrambe le classi di farmaci esistenti e approvate (IMiD e inibitori del proteasoma).
La domanda che ci dobbiamo porre è: “Dove bisogna collocare questo
agente rispetto a tutti gli altri farmaci, compresi gli anticorpi monoclonali, per i quali sono attualmente in corso importanti progressi?”. Il panobinostat potrebbe essere somministrato, ad esempio, in quei pazienti
sottoposti, con scarsi risultati, a terapia con bortezomib, al fine di potenziarne la risposta oppure in pazienti divenuti refrattari al farmaco in
seguito a un primo periodo di risposta positiva. Il panobinostat potrebbe
inoltre essere impiegato in caso di pazienti non più in grado di rispondere ai IMiD. L’utilizzo di questo farmaco deve quindi tener conto non
solo degli effetti collaterali evidenziati nei pazienti, ma anche dei farmaci
rispetto ai quali si registrano risposte refrattarie.
Quali sono gli effetti collaterali più comuni del panobinostat?
Il panobinostat causa principalmente tre effetti collaterali: bassa conta
di piastrine, o trombocitopenia, che colpisce i 2/3 dei pazienti, diarrea,
riscontrata in circa un quarto dei pazienti, e affaticamento, anch’esso evidenziato in circa 1/4 dei pazienti. Quest’ultimo effetto collaterale registra
un impatto determinante soprattutto sulla qualità della vita dei soggetti
affetti da mieloma.
Quali sono i metodi più efficaci per gestire questi effetti collaterali?
Il panobinostat è un agente a somministrazione orale con dosaggi
variabili. In caso di approvazione da parte della FDA, non siamo ancora
al corrente né del dosaggio consentito né dei dosaggi delle varie formulazioni del farmaco (pillole o capsule). Nelle prime sperimentazioni
nelle quali sono stato coinvolto, il panobinostat veniva somministrato tre
volte a settimana ed era pertanto possibile ridurne la frequenza di somministrazione. Siamo certi del fatto che la riduzione dei dosaggi garantiva
enormi miglioramenti in termini di affaticamento nel corso delle sperimentazioni cliniche. Tuttavia, fino a quando non verranno divulgati i
dosaggi e i programmi approvati, non sono in grado di fornirvi ulteriori
ragguagli sulle riduzioni.
I pazienti affetti da neuropatia periferica (PN), per i quali sappiamo che
tale effetto collaterale dipende dalla somministrazione del bortezomib, si
consiglia una somministrazione del farmaco per via sottocutanea (SQ)
[iniezione o puntura] una volta a settimana anziché due. La trombocitopenia è invece causata sia dal panobinostat che dal bortezomib. Il metodo più efficace per gestire tale situazione consiste nel ridurre il dosaggio
di ciascun farmaco in modo alternato, allo scopo di individuare quello
maggiormente responsabile di questo effetto collaterale e, di conseguenza, di ridurne il dosaggio. Per il trattamento della diarrea, si suggerisce la
somministrazione di Lomotil (farmaco prescrivibile) e Imodium (farmaco da banco). Le riduzioni dei dosaggi dei singoli farmaci (panobinostat
o bortezomib) dovranno essere eseguite solo in assenza di risposta ai suddetti farmaci antidiarroici. Anche in caso di fenomeni di nausea, prima
della riduzione dei dosaggi, è necessario ricorrere alla somministrazione
di farmaci indicati per il trattamento di tale sintomo. Nel corso delle sperimentazioni cliniche, le riduzioni dei dosaggi di panobinostat, bortezomib
e desametasone sono state eseguite in base a necessità.
Può raccontarci la sua esperienza personale in termini di gestione
degli effetti collaterali del panobinostat nei suoi pazienti?
La combinazione del panobinostat con altri farmaci mi ha fatto capire
che la gestione degli effetti collaterali varia da paziente a paziente.
Cosa vede nel futuro del panobinostat?
Il panobinostat è un altro agente potenziale, una nuova classe di farmaci che si presta a essere combinata con il bortezomib. In caso di risposta
positiva, consente di aumentare l’aspettativa di vita di un paziente fino al
momento in cui si rende necessaria la somministrazione di una nuova
terapia. Gli HDAC sono farmaci che avranno un ruolo determinante in
termini di trattamento, per i quali provvederemo a identificare il sottogruppo di pazienti che rispondono in modo più efficace rispetto ad altri.
I lavori futuri saranno incentrati su un utilizzo selettivo di tali farmaci
senza compromettere la qualità della vita dei pazienti.
Sono attualmente in corso sperimentazioni cliniche nelle prime fasi
basate su una combinazione del panobinostat con inibitori del proteasoma diversi dal bortezomib e che ci aiuteranno a trovare una risposta alla
seguente domanda: “Per garantire risultati efficaci nella cura del mieloma,
è davvero necessario che il panobinostat venga somministrato in combinazione con il bortezomib?”.
Cosa pensa delle prospettive relative al trattamento del mieloma
in generale?
Il panorama che abbiamo di fronte è promettente ed entusiasmante.
Nei prossimi due-tre anni verranno approvate tante nuove tipologie
di classi di farmaci, che si aggiungeranno agli IMiD, agli inibitori del
proteasoma e agli inibitori dell’HDAC esistenti. Nel prossimo decennio
si assisterà a una svolta cruciale nel trattamento del mieloma e, personalmente, prevedo che verranno scoperte dalle sei alle dieci nuove classi di
farmaci.
Aggiornamento medico: i pazienti affetti da MM dovrebbero sottoporsi
alla vaccinazione antinfluenzale?
L’autunno sancisce l’inizio della stagione influenzale, in cui è talvolta necessario eseguire la
vaccinazione. Trattandosi di un metodo preventivo sicuro per i pazienti affetti da mieloma,
l’IMF raccomanda una somministrazione annuale. Il National Institutes of Health’s Center for
Disease Control (CDC) raccomanda la vaccinazione antinfluenzale per i pazienti sottoposti
a trapianto di cellule staminali sei mesi dopo l’intervento. Il “vaccino antinfluenzale ad alto
dosaggio”, che può essere eseguito esclusivamente nei pazienti con un’età minima di 65 anni, è
stato realizzato partendo dal presupposto che le difese immunitarie dell’uomo tendono a indebolirsi col passare degli anni e che, di conseguenza, il rischio che gli anziani possano sviluppare
gravi effetti collaterali causati dall’influenza è destinato ad aumentare. La quantità di antigene
contenuto nel vaccino antinfluenzale ad alto dosaggio, che corrisponde a quattro volte quella del vaccino normale, consente di rafforzare la
risposta immunitaria nella popolazione suscettibile. Tuttavia, non bisogna sottovalutare il fatto che l’aumento del dosaggio determina un aumento dell’entità degli effetti collaterali. La precedente somministrazione del vaccino antinfluenzale normale senza complicazioni nei pazienti
dai 65 anni in su aumenta le probabilità che la somministrazione del vaccino ad alto dosaggio non causi effetti collaterali. Inoltre, nei pazienti
appartenenti a questa fascia d’età, la primissima somministrazione del vaccino antinfluenzale deve prevedere un dosaggio normale. Come
sempre, in ogni caso, vi consigliamo di rivolgervi al vostro medico di fiducia.
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Autunno 2014
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