“COMBAT IN HELL”, note sulla guerra nei centri urbani

 La Contro-­‐insurrezione in Ambiente Urbano «COMBAT IN HELL» NOTE S ULLA G UERRA N EI C ENTRI U RBANI N EL X XI S ECOLO Prof. Gastone Breccia Il tema del combattimento nei centri urbani è di grande attualità: durante alcuni dei conflitti più recenti (Cecenia, Iraq, Libano) le forze «regolari» hanno dovuto affrontare nemici inferiori per mezzi e risorse, ma abilissimi nell’utilizzare tattiche appropriate alla difesa di aree densamente edificate e popolate. Situazioni simili si ripeteranno con ogni probabilità anche nel prossimo futuro; uno dei più stimati analisti in attività, l’australiano David Kilcullen, ha dedicato il suo ultimo saggio (Out of the Mountains. The Coming Age of the Urban Guerrilla, London 2013) al cupo scenario di una «guerriglia globale» nelle metropoli e megalopoli del terzo mondo, specialmente nelle zone costiere… Il tema è vastissimo, e le sue implicazioni numerose – sociali, economiche, politiche. Ho scelto, considerando le mie competenze limitate, di concentrarmi su alcuni aspetti più specificamente militari delle battaglie nei centri abitati. Con una avvertenza preliminare: stiamo parlando di un fenomeno attualissimo, come ho detto, ma sorprendentemente uguale a se stesso nel tempo, addirittura attraverso i millenni. Un solo esempio: Pirro, il bellicoso re dell’Epiro, venne colpito da una tegola scagliata da una anziana donna di Argo nel momento in cui entrava in città alla testa delle sue truppe d’assalto; il colpo lo disorientò, e un soldato nemico riuscì a ferirlo a morte. Era il 272 a.C.: uno dei più abili condottieri dell’antichità cadde vittima della dimensione verticale della «battaglia urbana» – una dimensione alla quale non era preparato, come non lo sarebbero state più di ventidue secoli dopo le truppe di von Paulus a Stalingrado o i carristi russi a Grozny. Questo mi permette di introdurre il primo tema su cui vorrei richiamare la vostra attenzione… 1 Via Marcantonio Colonna, 23 -­‐ 00192 Roma – Tel/fax +39.06.3214879 / +39.06.3215145 (ext. 109) – cesma.mil@gmail.com -­‐ http://www.cesmamil.org La Contro-­‐insurrezione in Ambiente Urbano 1. SPAZIO/TEMPO Una delle caratteristiche peculiari degli scontri nei centri abitati è la dilatazione delle dimensioni di spazio e tempo. Lo spazio si moltiplica perché i difensori possono sfruttare più livelli sovrapposti, dagli scantinati ai piani alti delle case; il tempo perde i suoi contorni netti marcati dalla luce e dal buio, perché può essere necessario combattere in aree parzialmente o del tutto avvolte dall’oscurità anche durante il giorno. -­‐
spazio: la dimensione verticale della battaglia nei centri abitati è inconsueta. Molti reparti, a meno che non siano specificamente addestrati al combattimento urbano, si trovano in condizioni di inferiorità e subiscono perdite per la scarsa abitudine a considerare la presenza di tiratori nemici in postazioni sulla loro verticale, o prossime alla loro verticale, o nei seminterrati delle case. Come già accennato (la morte di Pirro ad Argo nel 272 a.C.) non bisogna credere che sia una caratteristica recente: ma le caratteristiche costruttive degli edifici contemporanei l’hanno ovviamente resa ancora più evidente, rendendo tra l’altro inefficaci alcune armi montate su mezzi blindati o corazzati non specificamente concepiti per l’uso a ridosso di edifici di una certa altezza. -­‐
tempo: durante gli scontri in contesti urbani possono venir meno i confini usuali tra ore di luce e ore di buio, che nonostante tutto (visori notturni ormai ampiamente diffusi) continuano a caratterizzare i combattimenti in spazi aperti. I reduci ricordano spesso la difficoltà di passare in pochi istanti da zone illuminate a zone dove regna il buio assoluto – scantinati, o ambienti interni di edifici le cui porte e finestre siano state murate dai loro difensori. La battaglia può svilupparsi a lungo nella semioscurità anche durante le ore di luce, con effetti destabilizzanti per la resistenza psicologica e fisica dei combattenti. 2. ARMI LEGGERE/ARMI PESANTI Una delle più evidenti antinomie degli scontri nei centri urbani riguarda l’uso delle armi leggere e/o delle armi pesanti. Da un lato è evidente come le caratteristiche del combattimento ravvicinato richiedano l’uso quasi esclusivo di armi leggere; d’altro canto, la solidità delle postazioni difensive realizzate in contesto urbano può rendere necessario l’intervento di artiglieria o CAS. -­‐
armi leggere: l’operazione Phantom Fury (la seconda battaglia di Fallujah, 7 novembre – 23 dicembre 2004), fu essenzialmente condotta da truppe appiedate che «ripulirono casa per casa» i quartieri della città dove si erano trincerati gli insorti iracheni. In una delle più impressionanti testimonianze sulla guerra in Iraq, il sergente David Bellavia descrive con grande accuratezza e drammaticità la lotta all’interno delle case, con il nemico letteralmente nella stanza accanto, o una rampa di scale più in basso (House to House. An Epic Memoir of War, New York 2007). In situazioni simili soltanto le armi leggere individuali potevano essere utilizzate con efficacia: non solo quelle da fuoco, ma persino le armi bianche, in una serie di micro-­‐
imboscate in ambienti chiusi, bui e soffocanti. 2 Via Marcantonio Colonna, 23 -­‐ 00192 Roma – Tel/fax +39.06.3214879 / +39.06.3215145 (ext. 109) – cesma.mil@gmail.com -­‐ http://www.cesmamil.org La Contro-­‐insurrezione in Ambiente Urbano -­‐
armi pesanti: durante la stessa operazione Phantom Fury, tuttavia, si rivelò utilissimo l’impiego dei mezzi corazzati (in particolare dei carri M-­‐1 Abrams) in funzione di appoggio ravvicinato alle squadre di fanteria. E’ opinione comune che i mezzi pesanti nei centri abitati siano facile preda dei difensori: il loro campo di tiro è limitato (specialmente in verticale, come si è detto); la loro visuale, se viaggiano con i portelli chiusi, estremamente ristretta; la loro mobilità può essere ostacolata da crolli procurati più o meno intenzionalmente. Viene subito in mente non solo la battaglia di Stalingrado, ma la disfatta subita dai russi a Grozny (31 dicembre 1994)… Eppure l’azione dei corazzati a Fallujah si è rivelata preziosissima, seppure nel ruolo di base di fuoco fissa e ravvicinata, in contatto diretto (spesso visivo) con i fanti. Non va nemmeno sottovalutata la capacità intimidatoria dei corazzati, specie nei confronti di guerriglieri poco addestrati ad affrontarli. Diverso il discorso per il fuoco indiretto di artiglieria e il CAS: in questi casi è necessaria, ovviamente, una strettissima collaborazione con le truppe a terra, e una valutazione accurata del collateral damage. A Fallujah venne adottata una tattica «a fisarmonica»: la fanteria avanzava di un isolato, prendeva contatto, segnalava gli obiettivi, si ritirava di due isolati, attendeva l’incoming fire degli obici o dei mortai (o il supporto aereo tattico), avanzava di nuovo fino a riprendere contatto col nemico, e così via… 3. DISTRUZIONE/VITTORIA Ogni azione militare ha, o dovrebbe avere, una chiara finalità politica: se nell’immediato questa non può che essere spezzare la volontà di resistenza del nemico, in un’ottica più ampia – e tuttavia necessaria – non si può che tenere nella giusta considerazione il raggiungimento di condizioni accettabili per una pace duratura. Già il maestro cinese Sun Tzu, nel IV secolo a.C., diceva che è stolto il generale che distrugge ciò che conquista, mentre dimostra tutta la sua grandezza chi riesce a consegnare intatto, o quasi, il frutto della vittoria al suo sovrano. E’ una questione particolarmente delicata quando si affronta una battaglia in un centro urbano: le strutture cittadine, benché adatte alla difesa, sono estremamente fragili; o meglio, possono subire danni gravissimi, e in seguito costosissimi da riparare, mettendo in ginocchio una comunità civile di centinaia e centinaia di migliaia di persone – e avvelenando, dunque, proprio il «frutto della vittoria» e la possibilità di una pace duratura. -­‐
distruzione: tutte le descrizioni (e le immagini) dei combattimenti nei centri urbani concordano nel testimoniare la gravità dei danni inflitti alle strutture cittadine. Sono probabilmente inevitabili: come già accennato, la solidità delle strutture murarie e l’abilità dei difensori nell’«annidarsi» al riparo degli edifici costringe le forze attaccanti a far uso in gran quantità di proiettili ad alto esplosivo. Questa è certamente una delle questioni cruciali che si pongono oggi e dovranno essere risolte, in qualche misura almeno, nel prossimo futuro: specialmente se si pensa ad un conflitto fortemente asimmetrico – ovvero, a piccoli nuclei di bad guys che scelgano consapevolmente di agire e combattere sfruttando la protezione di una massa di popolazione civile neutrale – anche una quantità minima di collateral damage non sarà, ovviamente, accettabile, perché comporterà costi politici (oltre che morali) insostenibili. Soluzioni: prima di tutto, una eccellente HUMINT, capace di guidare su bersagli certi le ormai celebri «bombe intelligenti», che purtroppo in Afghanistan erano state ribattezzate not-­‐so-­‐smart-­‐bombs. Oppure dotare le squadre di fanteria di armi portatili in grado di demolire le difese nemiche con tiro ravvicinato diretto… 3 Via Marcantonio Colonna, 23 -­‐ 00192 Roma – Tel/fax +39.06.3214879 / +39.06.3215145 (ext. 109) – cesma.mil@gmail.com -­‐ http://www.cesmamil.org La Contro-­‐insurrezione in Ambiente Urbano -­‐
vittoria: cosa significa «vincere» una battaglia in un centro abitato? Certo non conquistare un cumulo di rovine, dopo aver reso ostile la sua popolazione superstite. Neppure colpire bersagli selezionati causando distruzioni limitate, ma inevitabilmente «arbitrarie», perché i bersagli avranno quasi sempre l’accortezza di mescolarsi ai civili più o meno ignari… Vittoria in città, oggi e nel prossimo futuro – in un contesto quindi di guerra «irregolare»: Fallujah o Gaza, non Stalingrado, ovviamente – può e deve significare soprattutto liberare la popolazione da una situazione di conflitto insostenibile, convincendola a distinguersi dagli insorti, al fine di restituirle prima possibile una possibilità di vita normale. I soldati non amano combattere in città. E’ comprensibile: ogni singola stanza di ogni singola casa può nascondere una postazione nemica; ogni incrocio può essere tenuto sotto tiro da dieci angolazioni diverse, dall’alto e dal basso, e se si trascura di ripulire un solo piano di une edificio ci si può trovare a dover combattere daccapo per un isolato intero. Non ci sono, a mio avviso, facili soluzioni all’orizzonte: o meglio, escludendo la distruzione indiscriminata di ampie zone edificate – come fecero i russi a Grozny, utilizzando lanciarazzi multipli e artiglieria pesante «a tappeto» – non si può far altro che migliorare l’addestramento dei reparti destinati a questo tipo di guerra. A corsaire, corsaire et demi, diceva Napoleone: per sconfiggere un irregolare, bisogna essere più irregolari di lui, più abili nell’operare a stretto contatto con la popolazione, capirne la lingua e le abitudini, conoscerne a menadito l’ambiente, gli itinerari, le scorciatoie, i passaggi nascosti… Sperando che non abbia del tutto ragione David Kilcullen, e che le giungle d’asfalto del XXI secolo non si trasformino davvero nei campi di battaglia perfetti per la nuova «guerriglia globale». Gastone Breccia gastone.breccia@unipv.it 4 Via Marcantonio Colonna, 23 -­‐ 00192 Roma – Tel/fax +39.06.3214879 / +39.06.3215145 (ext. 109) – cesma.mil@gmail.com -­‐ http://www.cesmamil.org