Febbraio 2014 - Affari di Gola

febbraio 2014
Ortaggi, l’esotico
mette radici
anche a Bergamo
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Supplemento al n. 6 de “La Rassegna” del 13 febbraio 2014 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. - via Borgo Palazzo 137, Bergamo
Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - ? 2,60
IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO
IN CUCINA
IL PRODOTTO
L'INIZIATIVA
PENNA ALL'ARRABBIATA
La nuova
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SOMMARIO
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PENNA ALL’ARRABBIATA
Bambini al ristorante,
facciamo un bell'esame ai genitori
TENDENZE
Ortaggi, l’esotico cresce anche a Bergamo
10 IL PRODOTTO
Quella cinquina fedele
alla Scarola dei Colli
14 LA SCOMMESSA
Il "Polpo d'occhio" delle cuoche volanti
18 IL CASO
Sommelier, il sapore amaro della polemica
22
20 IL CORSO
Polpette alla riscossa
24 LA TRADIZIONE
Nosécc, una delizia passata
indenne tra i secoli
26 FACECOOK
«Agli americani ho fatto amare
anche cassoeula e polenta»
32 IL PREZZO FISSO
Una grigliata “Da Leone”
36 LA CLASSIFICA
Pasta, gli italiani la preferiscono così
Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giuseppe Mazzini, 24 - 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile:
Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Opinionista: Pier Carlo Capozzi - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Giuseppe Mazzini, 24 - 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - info@larassegna.it - Abbonamenti: www.larassegna.
it - tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 dicembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi
Locatelli, Leonardo Bloch, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani,
Rosanna Scardi, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Impaginazione: Videocomp, Bg - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg
febbraio 2014
Invece di crocifiggere
il ristoratore facciamo
un bell'esame ai genitori
di Pier Carlo Capozzi
L
a notizia, ormai non più recentissima, ha comunque
sollevato un polverone d’inferno. Succede che a Ba
gnolo Mella, nel bresciano, il ristorante Sirani decida
di non accettare più i bambini sotto i dieci anni a cena dopo
le 21. E quella che a noi sembra perfino una scelta di buon
senso viene invece bollata da mail diffamatorie e post intinti nel curaro. In cosa risieda il buon senso? Nel fatto che genitori avveduti si dovrebbero guardare dall’arrivare in pizzeria dopo quell’orario, chessò con un pargolo di cinque/sei
anni. Che, più che legittimamente, dopo mezzora frignerebbe di sonno. Da Sirani ragionano così da sette anni, quindi
non si capisce il motivo di tale putiferio solo adesso, e oltretutto sostengono che la loro clientela sia assolutamente
soddisfatta per questa presa di posizione.
Ciò non è bastato per impedire che cadessero sulla loro
insegna vagoni di contumelie e ragionamenti border line.
Per esempio: “Adesso, magari, cominceranno a lasciar fuori anche i biondi…” e poi “Ma perché
questi segni di intolleranza provengono sempre da quelle latitudini ?” e ancora “Però potrei portare il cane. Non
ne ho uno, magari me lo faccio prestare e se permettono addirittura l'ingresso ai disabili in carrozzina, di quelli che
faticano a mangiare composti per intenderci, una pizza margherita in due
ce la potrei ordinare”.
E, naturalmente, vige tra chi protesta il
pensiero comune che, essendo un locale pubblico, non possa permettersi di decidere regole in
casa sua, ma debba sottostare alla mercè degli avventori e
dei loro qualsivoglia desiderata.
Che si tratti di un falso problema l’abbiamo già capito, che
si stia affrontando la questione dal lato decisamente sbagliato, cercheremo di argomentarlo.
Permettetecelo, parliamo con un briciolo di cognizione di
causa essendo di qua e di là del bancone, avendo cioè vissuto esperienze come esercente e come cliente. E, soprattutto, avendo un figlio che, ahinoi troppo tempo addietro,
aveva festeggiato le dieci primavere.
Ebbene mio figlio, al ristorante, da solo o in compagnia di
altri pargoli, non ha mai rotto gli zebedei ad alcuno. E se
questo è merito esclusivamente suo, è doveroso aggiungere che, nel caso avesse travalicato i suoi diritti di bambino, sua madre o suo padre glielo avrebbero fatto presente.
Per dire che il problema non sono i pargoli, ma eventualmente alcuni genitori.
Fateci caso: in cortile come al supermercato, al ristorante
come dal parrucchiere, ci sono piccole pesti che si sentono
autorizzate a fare quello che meglio credono, senza che il
babbo (quasi sempre assente) o mammà ritengano di dover intervenire.
Anni or sono eravamo a pranzo sul terrazzo della Colombina, in Borgo Canale. Di fronte a noi una tavolata numerosa
con prole al seguito. Ad un tratto focalizziamo che un bimbo
e una bimba, nella totale incuria dei genitori, avevano sradicato un rampicante che, oltre a fare bella mostra di sé,
doveva aver impiegato un sacco di tempo per abbarbicarsi
alla colonna. Richiamai l’attenzione dei camerieri, ma ormai lo scempio era consumato. Inutile aggiungere che dai
genitori non arrivò né un adeguato rimbrotto ai due piccoli
barbari né, tantomeno, delle efficaci scuse al locale.
È una semplice questione di viver civile,
di educazione. La stessa che dovrebbe
impedire, nei ristoranti, lo squillo continuo dei telefonini, il parlare a voce alta, il fumare troppo anche nelle salette con l’apposito ricambio d’aria. Si è
perso il senso della misura e si vuole
crocefiggere un ristoratore che cerca di
salvaguardare la tranquillità dei propri
clienti. Perché ci sarà pure stata una
serie di episodi che ha portato i responsabili di quella pizzeria a comportarsi
così, non credete?
Giovanna Favro, su La Stampa.it, dichiara invece il suo dissenso: “Addio, Bagnolo Mella. Separiamoci. Tenetevi i vostri locali no kids. Sceglierò d’ora in poi con cura maniacale
i locali pubblici per evitare che anche un solo mio centesimo finisca in tasca al gestore sbagliato”.
Ahilei, però, il Corriere della Sera.it ha lanciato sul tema
un sondaggio e, in più di tremila risposte, il ristoratore bresciano è stato premiato col 72,2 delle condivisioni al suo
operato.
Devo assolutamente tornare alla Colombina. Per la loro cucina deliziosa e per vedere se il rampicante è tornato gagliardo come un tempo.
PENNA ALL’ARRABBIATA
Bambini al ristorante
piercapozzi@libero.it
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TENDENZE
Ortaggi, l’esotico
cresce anche a Bergamo
Dopo i ristoranti e i market, sono arrivati gli “agricoltori etnici”, con prodotti freschi
e locali anche per chi ha consuetidini alimentari distanti da quelle europee.
All’ortomercato della Celadina presenti tre aziende.
De Fabritiis: «In Lombardia un mercato potenziale di 750mila consumatori»
di Anna Facci
I
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n fondo anche il mais proprio nostrano non è. E nemmeno
patate e pomodori. L’agricoltura e la tavola vivono di contaminazioni e la presenza ormai stabile nella popolazione di
cittadini extraeuropei non poteva che portare qualche novità anche nei campi. Così, dopo i ristoranti e i market, sono
arrivati gli “agricoltori etnici”, imprenditori che hanno scelto di puntare sull’esotico a chilometro zero per offrire prodotti freschi e locali anche a chi ha consuetidini alimentari
distanti dalla tradizione lombarda e italiana. Il fenomeno è
circoscritto, ma non trascurabile, considerando i numeri dei
potenziali consumatori e l’evoluzione della società. Ed anche Bergamo può già annoverare qualche esperienza: ebbene sì, nelle nostre campagne crescono coriandolo, okra,
peperoncini, korola e altri “strani” ortaggi tutti da scoprire.
Ad offrire una prima ricognizione è il progetto Nutrire la Città
che Cambia – promosso da Ases, Associazione Solidarietà
e Sviluppo, cofinanziato dalla Cia di Milano, Lodi e Monza
Brianza, patrocinato da Comune di Milano ed Expo 2015 e
sostenuto da Fondazione Cariplo –, un percorso triennale di
sperimentazione colturale di varietà esotiche che ha avuto
come punto di partenza un’indagine sullo stato dell’arte.
Emerge innanzitutto un aumento progressivo di aziende
agricole individuali condotte da titolari extracomunitari: in
Lombardia sono passate dalle 265 nel 2009 alle 327 del
2012. In Bergamasca da 33 a 40 nello stesso quadriennio,
valore assoluto secondo solo a Brescia che, con 73 aziende (dalle 54 del 2009), risulta la provincia con la maggiore
presenza. La provenienza prevalente è dall’Europa centro
orientale (149 imprenditori), seguita da Asia (83), America
centrale e meridionale (46), Africa (42) e Canada, Usa, Au-
Fabrizio De Fabritiis ha curato l’indagine su produttori e
prodotti agricoli non comunitari in Lombardia
febbraio 2014
stralia (7). I titolari sono maschi nel 57% dei casi e la fascia di età più ampia è quella dai 30 ai 49 anni. Le imprese sono nate per lo più nel periodo 2000-2009 (49%), il
33% è stato avviato dal 2010, mentre il 18% dal 1990
al 1999.
L’origine degli imprenditori non dice però del tipo di colture realizzate. Un’idea in più l’hanno fornita le rilevazioni dirette nei mercati generali. In quello di Bergamo, ad
esempio, si possono trovare tre aziende, due condotte
da pakistani e una da un agricoltore cinese, che producono ortaggi ed erbe aromatiche etnici e vendono direttamente al pubblico il sabato mattina. La presenza in
certi casi non è fissa, ma legata alla disponiblità delle
produzioni, che sono per lo più primaverili ed estive. Al
mercato di Milano le aziende censite sono 7, in quello
di Brescia 11. Le realtà più grosse provengono anche da
fuori regione. Le produzioni principali sono korola (71%,
una sorta di cetriolo dal sapore amaro) zucche asiatiche
(65%), coriandolo (59%), okra (53%, frutto commestibile
di una pianta tropicale dal gusto delicato), ma la lista è
molto più ampia e, a parte peperoncini e cavoli cinesi, ha
bisogno di un manuale di botanica per essere decifrata,
tanto varietà e nomi sono insoliti. Anche l’aspetto in certi casi è spiazzante, le melanzane tropicali, ad esempio,
esternamente sono in tutto simili a dei pomodori!
«Le varietà coltivate sono soprattutto legate all’origine
dei titolari – rileva Fabrizio De Fabritiis, amministratore
di Beni Pubblici, società di consulenza che ha curato l’indagine -, riferite perciò all’area asiatica. Cinesi, pakistani e bengalesi sono infatti la maggioranza dei produttori
di ortaggi non comunitari, spesso favoriti nel mettersi in
proprio da un’esperienza e una tradizione agricola portate con sé dal Paese di origine. Non abbiamo invece trovato nei mercati operatori sudamericani o africani, che,
probabilemente, una volta giunti in Italia si specializzano in altri settori. Mancano perciò all’appello prodotti già
apprezzati sulle nostre tavole come la quinoa, che pure
potrebbe trovare condizioni adatte per crescere, o un’erba interessantissima come lo huacatay, profumatissima
e ideale per insaporire».
Tutte le aziende agricole intervistate distribuiscono nei
mercati generali, il 41% fornisce anche commercianti,
il 12% ristoranti e il 24% effettua la vendita diretta. La
maggior parte opera su terreni da uno a tre ettari, segue
la dimensione fino a un ettaro, ma non mancano realtà
più grandi, da 3 a 5 ettari e oltre. L’affitto è la forma prevalente (67%). Il boom si è verificato dopo il 2009 (per
il 53% l’avvio della produzione è avvenuto in questo periodo) e la motivazione più significativa è la volontà di rispondere alle richieste di comunità di immigrati (74%,
mentre il 10% è dato dalle richieste dei ristoratori). Per
le sementi, acquisto in Italia e importazione occupano la
medesima quota (36%), mentre il 20% del campione ricorre all’autoproduzione. Alla richiesta di guardare al futuro, il 47% degli intervistati ha detto di prevedere una
crescita di questo mercato, il 24% pensa invece che resterà costante.
«La coltivazione di ortaggi non comunitari è ancora marginale – ribadisce De Fabritiis -. Abbiamo stimato che nei
VERDE ORIENTALE
A Cenate Sotto
la “specialità”
è il coriandolo
Mohammad Iqbal è un tipico esempio di ritorno alla terra
per costruire una nuova prospettiva di lavoro. Pakistano
del Punjab, è arrivato in Italia nel 1990. Abita ad Albano,
ha lavorato all’Iper di Seriate, poi ha aperto un negozio di
alimentari a Montello, dal 2004 si è dato all’agricoltura,
prima in società e dal 2010 con il nipote Waseem Arif, titolare di “Verde Orientale”, con terreni a Cenate Sotto (22
serre) e a Telgate. La produzione è incentrata sul coriandolo, erba aromatica utilizzata da numerose comunità straniere, dal Nord Africa al Sud America, dall’India alla Cina
alla Thailandia, e per questo molto richiesta. Viene venduto al mercato ortofrutticolo di Bergamo il sabato mattina e
consegnato nei negozi etnici di città e provincia. Il prezzo
del mazzetto da 70 grammi è 50 centesimi al dettaglio e
25 centesimi all’ingrosso. «In inverno la disponibilità è limitata – racconta il figlio diciassettenne Ednan, non senza
qualche inflessione bergamasca -, abbiamo qualcosa che
cresce in serra, mentre dalla primavera il banco è tutto pieno. Abbiamo anche un po’ di korola, che noi però chiamiamo Karela, e dei peperoncini verdi piccanti che chiamiamo
chilly. D’estate abbiamo anche l’okra, insomma cerchiamo
di coltivare ciò che i clienti possono chiederci anche se la
nostra “specialità” resta il coriandolo». «In Pakistan – aggiunge il padre – facevo già l’agricoltore ed ho pensato che
potesse essere interessante coltivare prodotti per gli stranieri che abitano qui». Non che abbia scoperto chissà quale business. «Il lavoro agricolo è tanto, richiede fatica, ha
dei costi ed il guadagno non è molto – sottolinea – e poi nei
mesi invernali siamo praticamente fermi. Facciamo quello
che riusciamo». Oltre a lui, l’azienda ha un altro dipendente, Sajid Kazmi, che si occupa delle consegne sin dall’avvio dell’attività. È approdato a Bergamo nel 2010, dopo
una lunga serie di trasferimenti che l’hanno visto passare
da Dubhai a Como e a Milano.
7
TENDENZE
SOCIETÀ AGRICOLA CORBARI / Cernusco sul Naviglio
«Senape rossa e
mercati generali della Lombardia ne siano intermediate
circa 250 tonnellate l’anno (a fronte di scambi totali pari
a circa 930.000 tonnellate ndr.), i produttori sono piuttosto piccoli, ma non mancano realtà più strutturate e le
prospettive sono particolarmente interessanti. In Lombardia, infatti, le persone regolarmente residenti provenienti da Asia, Africa e America centro meridionale, quindi potenzialmente interessate a questa offerta, sono circa 750mila: è un mercato».
Pensato in chiave Expo, il progetto “Nutrire la Città che
Cambia” vuole proprio verificare se l’agricoltura lombarda possa essere in parte indirizzata su questo versante,
in modo da ottenere una migliore qualità dei prodotti e
minori costi ambientali legati al trasporto. Coinvolge sei
aziende agricole "italiane" (quattro in provincia di Milano
e due nel pavese) in una sperimentazione di sei varietà
(i “cereali” alternativi amaranto e quinoa, l’okra, le “insalate” mizuna e pak choi, il teff, antico cerale etiope, e il
coriandolo). «Non si tratta – tengono a precisare i promotori – di introdurre piante che possano rappresentare un
pericolo per dinamiche di infestazione di difficile controllo, sono invece state scelte tra quelle che richiedono di
essere valorizzate attraverso la definizione di un disciplinare di produzione e commercializzazione».
Nato da intuizioni dei singoli imprenditori, il settore vive
infatti ancora una fase del tutto pionieristica e come tale priva di precisi indirizzi. «Al momento manca ancora
l’attenzione da parte delle associazioni di categoria –
evidenzia il consulente –, così come quella dei mercati
generali a registrare le quantità, talvolta non c’è nemmeno chiarezza sui nomi dei prodotti. Indubbiamente la
conoscenza non può che aumentare la trasparenza e la
sicurezza e far crescere quindi in maniera più organica e
regolata il mercato». Il progetto triennale prevede in una
fase successiva di coinvolgere gruppi di produttori extracomunitari ed offrire assistenza tecnica per le colture,
«ma un ruolo determinante per fare uscire questi nuovi
prodotti dalla loro nicchia – prosegue – lo possono recitare la distribuzione, oggi ancora poco coinvolta, la ristorazione e l’informazione. Negozianti che selezionano e
propongono ortaggi, cereali e aromi, riviste che ne parlano, scuole alberghiere che sperimentano piatti e accostamenti possono fare crescere la curiosità anche da
parte dei consumatori italiani. Quando, del resto, queste
verdure arrivano a portata di mano il riscontro non manca. A Milano, ad esempio, nel mercato rionale di via Benedetto Marcello sono presenti bancarelle di venditori
extracomunitari accanto a quelle dei prodotti locali. Si è
creata una commistione e non è raro che nella borsa della spesa finiscano prodotti etnici e tradizionali insieme».
8
Tra i primi ad imboccare la strada del biologico e a divulgarlo, Antonio Corbari è stato anche un precursore nella
coltivazione di ortaggi “stranieri”. Già cinque o sei anni
fa nella sua azienda di Cernusco sul Naviglio, attiva dal
1978, cominciava a far crescere l’okra, nell’ambito di
un progetto in collaborazione con la Provincia di Milano,
seguita poi da insalate orientali come senape rossa,
mizuna, mibuna, pak choi, tatsoi e ancora cavolo cinese
e coriandolo. L’apertura al nuovo, la voglia di condividere
le proprie conoscenze e la propensione a mettersi in gioco
è stata raccolta dai tre giovani - in ordine di età, Daniele
Fedeli (31 anni) e due bergamaschi Silvio Minconetti (32)
e Luigi Lazzarini (33) - che hanno rilevato l’attività lo scorso anno dando vita alla Società agricola Corbari. Per loro è
stato naturale prendere parte al progetto “Nutrire la città
che cambia”, al quale, anzi, hanno contribuito portando le
proprie esperienze di prima mano. «È un percorso molto
interessante – afferma Daniele - per il marcato concetto
di sostenibilità ambientale e di integrazione sociale che lo
sorregge. Si tratta di individuare buone pratiche e moda-
febbraio 2014
tatsoi hanno conquistato gli italiani»
lità concrete per rispondere ai bisogni
dei nuovi abitanti immigrati». «Con noi
lavorano da tempo persone straniere
e la nostra è una realtà aperta a nuove
colture e culture, in una visione che
però – tiene a precisare – è di integrazione e non sostituzione delle produzio-
Luigi Lazzarini e Daniele Fedeli raccolgono
la senape rossa (foto ediesse.net)
ni tradizionali». Nelle varietà esotiche
l’azienda non individua quindi un filone
al quale convertirsi, ma un elemento
«che rende particolare il nostro modo di
lavorare». «Abbiamo a disposizione tre
ettari e mezzo – evidenzia –. Effettuiamo prevalentemente forniture ai gruppi
di acquisto e alla ristorazione, ma anche
vendita diretta e ci piace offrire degli
stimoli ai nostri clienti». E se l’okra è
richiesta soprattutto dagli africani (che
arrivando in azienda si avvicinano però
alla cultura agricola locale), tatsoi e
senape rossa sono acquistate tutte
dagli italiani. «Sono delle brassiche dal
sapore molto riconoscibile – spiega
l’agricoltore -, la senape rossa è particolarmente saporita e può essere utilizzata nella misticanza o anche cotta,
il tatsoi assomiglia più allo spinacio, a
una bieta piccola e morbida». Anche la
ristorazione non è estranea al fascino
di questi ortaggi. La chef Alice Delcourt,
ad esempio, del ristorante con orto Erba
Brusca, sui Navigli, «è stata felice di trovare vicino casa l’okra, che mette sotto
aceto e cucina in una pastella di farina
di mais», rivela Daniele.
Tutte le colture di cui si parla, è bene
ricordarlo, sono state scelte perché
adatte al clima e ai terreni. Tra quelle
che l’azienda sperimenterà nell’ambito
del progetto in vista di Expo c’è anche
la quinoa. «Non abbiamo appezzamenti
tali da farne una coltivazione significativa – evidenzia Fedeli – e in ogni caso
crediamo che diffondere la quinoa nei
nostri territori darebbe luogo ad un
paradosso, si andrebbe a fare concorrenza ai Paesi che oggi sono i maggiori
produttori e trovano in queste produzioni una via allo sviluppo ».
ANCHE LE SEMENTI
SI COMPRANO QUI
Il nuovo fenomeno dell’“agricoltura esotica” si legge anche
dal lato delle sementi. «In effetti sono in crescita – evidenzia
Gianluca Gorno, dell’ufficio tecnico della Franchi Sementi a
Grassobbio – gli agricoltori extracomunitari che si rivolgono a
noi. Si tratta soprattutto di piccoli orticoltori, che arrivano da
tutta la Lombardia portati prevalentemente dal passaparola.
Comunque è un “giro” che si sta gradualmente ampliando».
Possono trovare coriandolo, che la storica azienda bergamasca produce per altri
mercati europei come Portogallo, Spagna e Germania, e okra, la cui coltivazione
è già presente in Italia, soprattutto al sud, e cavolo cinese. «Per il resto cercano di
adattarsi individuando nei prodotti europei qualcosa che somigli a quelli della loro
tradizione – dice il tecnico -. Chiedono ad esempio rape lunghe e, in genere, ortaggi
di dimensioni più grandi, che il nostro mercato invece non vuole più perché preferisce pezzature ridotte. Non sempre è facile assicurare che sia esattamente ciò vogliono, anche perché esistono varietà diverse dello stesso prodotto ed anche i nomi
cambiano. Per ovviare a questo consigliamo loro di fare delle prove».
Questa nuova domanda non ha però portato l’azienda – che vende in oltre 50 Paesi in tutto il mondo – a sviluppare il settore delle “orientali”. «Sono numeri troppo
piccoli e non si sono stabilizzati – rileva Gorno –, senza dimenticare che le varietà
che si possono vendere e seminare devono essere riconosciute a livello europeo e
inserite negli appositi registri».
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IL PRODOTTO
di Lara Abrati
Nel cuore di Bergamo alta,
in via Borgo Canale, sono rimasti
pochi i produttori della celebre
Indivia. I margini si sono
assottigliati sempre più
e le mutate abitudini alimentari
hanno complicato ulteriormente
il quadro. E così c’è chi allarga
la produzione ad altri ortaggi
Quella cinquina fedele
alla Scarola dei Colli
A
10
lle pendici di Città alta, c’era una zona suddivisa in piccoli
appezzamenti, dove erano molti gli ortolani che quotidianamente lavoravano la terra. Coltivavano numerose tipologie di primizie, dalle insalate ai rapanelli, attirando compratori anche da fuori provincia, come sostiene Angelo Viscardi, uno dei pochi coltivatori rimasti: “Venivano anche
da Como e da Lecco per comprare le nostre verdure. Probabilmente il microclima della zona, unito alla presenza di un
terreno con molti sassi, ha sempre permesso una buona e
fruttuosa coltivazione”.
Qui, lo scettro se lo sono passati di generazione in generazione. Ma, con il passare degli anni, c’è chi ha scelto altre
strade e questi piccoli appezzamenti appena fuori le mura
di Città alta sono coltivati da sempre meno persone. Attualmente, come racconta il portavoce dei produttori della Scarola dei Colli di Bergamo Franco Viscardi, i coltivatori attivi
sono cinque, ognuno con una propria storia, ma con in comune il faticoso e quotidiano lavoro di campagna. Perché
sui terrazzamenti non ci si va facilmente con i mezzi meccanici a motore. Quindi il lavoro è prevalentemente manuale, come evidenzia Vittorio Gamba, uno dei cinque ortolani:
“Lavoro la terra quasi tutta a mano, con l’ausilio di piccoli motocoltivatori e altre attrezzature leggere. Anche il trasporto del prodotto raccolto è manuale”.
La coltivazione dei terreni collinari attorno a Città alta è segnata da un prodotto di punta e molto apprezzato: la Scarola dei Colli di Bergamo.
È un’insalata Indivia, molto simile a quelle coltivate in centro e sud Italia, ma solo per tipologia. La grande differenza
quale è? Il processo di imbiancamento, che ne trasforma
la consistenza rendendola croccante e poco erbacea. Per
questo è un’Indivia Scarola che si presta molto ad essere
consumata cruda, diversamente da altre scarole che vengono prevalentemente, e in alcuni casi necessariamente,
consumate cotte in accompagnamento alla carne di maiale oppure, come in Campania, sulla famosa e amata pizza.
“Consiglio di mangiare la nostra scarola cruda. Il processo
di imbiancamento serve a renderla consumabile appunto
anche senza la necessità di cuocerla” afferma orgogliosamente Viscardi. Come spiega Martino Bonacina, “la pratica dell’imbiancamento può durare anche 10-12 giorni. Più
fa freddo, più si allunga, e viceversa. C’è chi lo fa in campo,
estirpando la scarola e coprendola con dei teli, e chi in cantina, in base alle proprie possibilità e scelte”.
È un prodotto invernale, presente sul mercato da settembre a marzo, che risente delle condizioni climatiche. Già,
perché è importante che la scarola “prenda il gelo - precisa
Michele Bonacina - attraverso la sua esposizione a un freddo preferibilmente asciutto. Al contrario ci sarebbero rischi
per lo sviluppo di marcescenza”. E negli ultimi anni questo
è stato uno dei problemi di questo prodotto, insieme a difficoltà di natura diversa.
Le altre difficoltà, sostengono all’unanimità i produttori, riguardano il cambiamento degli stili di vita delle persone,
alla ricerca sempre più di velocità e comodità, sia nel fare
la spesa che nel preparare i pasti. La piccola produzione di
scarola non ha i “numeri” per entrare nel circuito della Gdo.
Essendo anche una produzione non meccanizzabile, il
prezzo corrisposto al produttore non andrebbe a coprire le
spese, risultando quindi una produzione economicamente insostenibile. Inoltre, la scelta del consumatore odierno
ricade sempre più sui prodotti di IV gamma, pronti all’uso,
nonostante il loro elevato prezzo al chilo.
Gli ortolani di Borgo Canale hanno quindi necessariamen-
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te orientato la propria produzione
alle piccole nicchie di consumatori
attenti e curiosi, proponendo non
solo la Scarola dei Colli di Bergamo, ma anche delle primizie ormai
considerate locali, come alcune
varietà di fagiolino, di cavolfiore o
di cicoria. Il seme della scarola è
stato selezionato da un’azienda
sementiera locale, proteggendolo dalle naturali ibridazioni a cui
nel corso degli anni sarebbe andato incontro. In quanto alla specifica cultivar, Michele Bonacina
afferma che “noi tutti gli anni acquistiamo semi di Scarola Gigante
dei Colli di Bergamo. Mio padre e molti anziani della zona,
insistono nel chiamarla Romana, un tempo era riconosciuta così, anche se non conosco la motivazione di questo appellativo”.
La produzione resiste, la richiesta c’è ed è anche in corso
la procedura per farla diventare Presidio Slow Food. È importante conoscere e preservare queste piccole nicchie
produttive, in difesa di saperi, sapori e biodiversità. Uno di
quei prodotti che, come una volta, per assaggiarlo ci si doveva recare necessariamente a Bergamo.
La Scarola dei Colli di Bergamo viene venduta dai produttori stessi tutte le mattine da settembre a marzo al mercato
ortofrutticolo di Bergamo, suscitando l’interesse di dettaglianti e fruttivendoli ambulanti. La si può in effetti acquistare da quasi tutti i piccoli fruttivendoli presenti in città.
Questi produttori conservano e mantengono viva la sapienza contadina della città, adattandosi a produrre come una
volta, senza l’estrema meccanizzazione e industrializzazione della produzione. Oltre alla sapienza, danno speranza a
un’idea diversa di agricoltura, rispettosa dei cicli naturali e
della naturale biodiversità.
ANGELO VISCARDI
Ortolano da generazioni
Ortolano da generazioni, Angelo Viscardi è un orgoglioso
e simpatico cinquantenne che crede fermamente nel proprio lavoro. “Questa zona - dice - la chiamavano la conca
d’oro perché crescevano abbondanti e gustose primizie,
dalle insalate ai rapanelli e molto altro”. Sui Colli coltiva
quasi esclusivamente la Scarola, lavorando poco meno di
1 ettaro di terra. Più in basso possiede altri appezzamenti dove coltiva, in maniera convenzionale, altre verdure.
Se gli si chiede il motivo della coltivazione della Scarola
proprio in quegli appezzamenti dice: “Questa Scarola la
si coltiva bene senza teli. Di notte, nei periodi freddi gela e il calore della giornata poi la disgela. Il freddo secco
e la bassa umidità ci protegge parzialmente dalle marcescenze”. L’imbiancamento avviene in cantina. Angelo in
azienda coltiva anche un particolare cavolfiore, ormai ibridato nel corso degli anni, che lui chiama il cavolfiore “ruspante”, assolutamente da assaggiare, ma anche una
varietà di verza che produce molte foglie rotondeggianti ottime per preparare i famosi “capù”.
Angelo Viscardi
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IL PRODOTTO
FRANCO VISCARDI
La forza
della tradizione secolare
MICHELE BONACINA
“Sempre più dura
guadagnare”
Il più giovane degli ortolani di Borgo Canale è Michele Bonacina. Grande appassionato di mountain bike, consiglia
di apprezzare la sua Scarola “senza condimenti e fritture.
La croccantezza e l’imbiancamento la rendono tenera al
cuore, permettendone il consumo da cruda”. Ha 40 anni e
ha ereditato la professione dal padre Giuseppe, di 86 anni,
e dal nonno. Anche lui conduce l’imbiancamento in un magazzino al coperto. Se gli si chiede se è soddisfatto e giustamente remunerato rispetto al suo lavoro dice “una volta, se
facevi una buona stagione invernale con la Scarola eri più
o meno a posto, diciamo che in proporzione ti ci potevi comperare un’auto, ora, forse, ti ci compri le quattro ruote”. Emblema, questo, della situazione che stanno vivendo i piccoli
produttori di qualità, rispetto al passato. Diverse le colture
coltivate in azienda, da alcune insalate a cespo sotto serra ad altri prodotti che “gli altri, in pianura, non riescono a
produrre, ma che sono articoli di nicchia che ci permettono
di sopravvivere. Per esempio alcune varietà locali di fagiolini o i fiori di zucchina, prodotti molto ricercati e gustosi”.
Nessuna parentela con Angelo, Franco Viscardi da generazioni
coltiva la Scarola dei Colli di Bergamo. “Nel 1935 il parroco locale, amico di mio padre, gli disse che i Viscardi coltivavano la terra, o meglio, quel pezzo di terra, da almeno 500 anni”, sostiene
. Lui pratica l’imbiancamento nello scantinato, proteggendo il
proprio raccolto. È il portavoce dei produttori di Scarola cittadini
e coltiva circa 5.000 metri quadrati di proprietà e altri appezzamenti in affitto. “Prima producevo molte tipologie di ortaggi e di
frutta, ora mi dedico quasi esclusivamente alla Scarola, nostro
cavallo di battaglia”.
Franco Viscardi
MARTINO BONACINA
Tappa mattutina
al mercato ortofrutticolo
Martino Bonacina, cugino di Michele, coltiva la Scarola col fratello Giancarlo. “Il periodo dell’imbiancamento - sostiene - dura
circa 8/9 giorni, periodo che si allunga se più fa freddo”. Martino fa delle considerazioni economiche rispetto all’andamento
degli ultimi 4-5 anni rivelando che “rispetto agli anni precedenti,
guadagniamo circa 10-15 centesimi di euro in meno nella vendita”. Comunque sia, come tutti gli altri ortolani, i due fratelli vendono la verdura al mercato ortofrutticolo tutte le mattine.
VITTORIO GAMBA
L’ex operaio convertito
alla terra
Michele Bonacina
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Vittorio Gamba ha una storia diversa rispetto agli altri produttori. È l’unico che non porta avanti l’attività di famiglia, bensì
lavora terreni in affitto. “Facevo l’operaio - dice Vittorio - alla Tenaris Dalmine, ma all’età di 35 anni ho smesso e ho iniziato a
fare l’ortolano con mio suocero”. Ora, sessantenne, è in pensione, ma comunque lavora circa 7.500 mq di terreno. Fa l’imbiancamento in campo, ammucchiandolo se fa troppo freddo.
Alla domanda relativa alla motivazione per cui la Scarola dei
Colli di Bergamo è un prodotto pregiato e di nicchia, risponde:
“Il terreno in Città alta drena molto bene, quindi l’insalata non
marcisce e non appaiono le macchie che ne determinerebbero
l’abbassamento di qualità”. La Scarola, dopo l’imbiancamento,
viene comunque pulita prima di essere messa in commercio.
febbraio 2014
L'INIZIATIVA
Dal 24 febbraio torna la rassegna dedicata
alla gastronomia venatoria coordinata dall’Ascom.
In tutta la provincia sarà possibile trovare
menù e piatti a tema
In 50 ristoranti
è “stagione di caccia”
L
a stagione è quella giusta per concedersi succulenti piatti di
cacciagione e dal 24 febbraio gli appassionati che cercano
un locale dove gustarli non hanno che l’imbarazzo della scelta. Torna infatti “Caccia in Cucina”, la rassegna dedicata alla
valorizzazione della tradizione culinaria a base di selvaggina
organizzata in tutta la Lombardia da Anuu Migratoristi con la
collaborazione delle associazioni provinciali dei ristoratori e
i patrocini delle Province e della Regione. In Bergamasca l’iniziativa è coordinata dall’Ascom, che ha raccolto, anche in
questa edizione – la dodicesima – una folta schiera di adesioni. Cinquanta tonde, dalla città (presente con sette insegne)
alle montagne, ai laghi, a comporre un variegato panorama
di proposte che coniugano una tradizione fortemente radicata nel territorio con le personali interpretazioni degli chef.
I locali aderenti assicurano nel periodo della manifestazione
la presenza in carta di un piatto o un menù completo a base
di selvaggina, che potrà essere abbinato ai vini più adatti e
accompagnato ad altri prodotti locali e della tradizione rurale. Obiettivo della rassegna è infatti sollecitare positivamente
l’attenzione nei confronti del territorio, dell’ambiente e dell’attività venatoria tramite gli elementi unificatori della buona tavola e della convivialità. La chiusura ufficiale è fissata domenica 2 marzo ma sono numerose le attività che hanno scelto
di protrarre l’iniziativa almeno di una settimana per dare più
opportunità ai clienti.
Ecco chi partecipa
In città: Agnello d’Oro, Al Vecchio Tagliere, Balicco, Il
Circolino, I Sapori di Terra e Mare, Ol Giopì e la Margì, Da Ornella.
In provinicia: Isola Zio Bruno (Albino), Locanda della Corte (Alzano Lombardo), Trattoria Visconti (Ambivere), Villa Cavour (Bottanuco), Genzianella (Bracca), La Tavernetta (Bracca), Corona (Branzi), La Trota (Brembilla - fraz. Laxolo), Da Mualdo (Capriate
San Gervasio – fraz. Crespi), La Teglia (Castione
della Presolana), Vecchi Ricordi da Gimbo (Cene),
Ambra (Clusone), La Vecchia Cantoniera (Colere –
Passo della Presolana), Al Sorriso (Curno), Al Portico Braceria (Endine Gaiano), Garden Hotel (Fino
del Monte), Il Platano da Gira (Foresto Sparso), K2
(Gaverina), Hotel Ristorante Gromo (Gromo), Le Ciel
(Madone), Trattoria Bolognini (Mapello), Ristorante
Alessandro (Mozzo), Coq d’Or (Nembro), Ol-Fa (Osio
Sotto), Albergo Ristorante Piazzatorre (Piazzatorre),
Da Tandy (Ponteranica), Trattoria Del Moro (Ponteranica), Parco dei Colli (Ponteranica), Bellavista (Riva di Solto), Poggio d’Oro (Riva di Solto), Al Vecchio
Tagliere (Scanzorosciate), San Marco (Schilpario),
Da Pacio (Spinone al Lago), Don Luis (Torre Boldone), Della Torre (Trescore Balneario), Quadrifoglio
(Urgnano – fraz. Basella), Gioan (Valbondione - fraz.
Lizzola), Centauri (Vertova), Il Tagliere (Villa d’Adda),
Ca’ dell’Orto (Villa d’Almé – Bruntino), Cadei (Villongo), Al Vecchio Tagliere (Zanica), Da Gianni (Zogno).
I dettagli sul sito dell’Ascom di Bergamo:
www.ascombg.it
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LA SCOMMESSA
di Rosanna Scardi
Il "Polpo d'occhio"
delle cuoche volanti
Sono due amiche, Chiara di Zanica ed Elena
di Torre de' Roveri, e hanno deciso di unire le loro passioni
e competenze dando vita al sodalizio nel campo
dell'home cooking. "La nostra è una cucina informale,
adatta per una cenetta romantica o in famiglia,
ma anche per gruppi numerosi o cerimonie"
Chiara Bellelli
C'
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era una volta la nonna che sapeva risolvere ogni emergenza
in cucina con le sue preziose ricette, i sughi e i piatti elaborati,
buoni anche il giorno dopo. Oggi per far fronte alla mancanza
di tempo a disposizione e alla poca dimestichezza delle donne
con i fornelli è nata e si sta diffondendo la figura del cuoco a domicilio. A fare propria l'idea dell'home cooking nella Bergamasca sono anche due amiche, Chiara Bellelli, 27anni di Zanica, e
Elena De Bellis, 31 anni, romana di origine ma residente a Torre
de' Roveri, dove è arrivata tre anni fa per amore. Oggi sono conosciute come “cuoche volanti”, basta una telefonata e si organizzano per risolvere ogni problema culinario. Il nome della loro
nuova attività doveva essere simpatico. Così tra “A polpo d'occhio” e “La divina polpetta” ha avuto la meglio il primo. Anche il
logo è accattivante, una piovra sorridente con coltello e forchetta nei tentacoli, su uno sfondo rosa a righe con una pioggia di
pois. La cucina è su misura, rustica, sana e colorata, ma soprattutto per ogni occasione e per tutte le tasche. Il sodalizio culinario è nato un paio di mesi fa.
“Conoscevo Elena e sapevo quanto fosse brava a cucinare, così
il giorno del mio matrimonio, l'anno scorso, le ho chiesto di aiutarmi per la cena delle mie nozze - racconta Chiara -. Abbiamo
preparato un buffet per cento invitati ed è stato un vero successo”. Nessuna improvvisazione per le due ragazze, che possono
già vantare anni di esperienza sul campo. “La cucina è sempre
stata il mio destino, ovunque mi trovassi sono finita a spadellare - racconta Elena -. Tutto è cominciato quando sono stata a
Berlino per fare la fotografa, professione per cui avevo studiato.
Lassù sono finita a lavorare in un ristorante italiano e la stessa
sorte m'è capitata nella mia città, Roma, poi a Grosseto, in Maremma, dove ho vissuto qualche anno, e quindi qui nella Berga-
Elena De Bellis
masca, dove collaboro in una mensa scolastica”. Ma le ore di
lavoro per Elena, a Torre de' Roveri, sono troppo poche, le chiamate come cuoca o aiuto cuoca saltuarie, la voglia di mettersi in
gioco tanta. “Ci siamo dette: proviamoci. In fondo, non ci costa
nulla, abbiamo tutto il tempo per crescere”, ammette Chiara. Le
prime occasioni per mettersi in luce sono state le cene di Natale, poi le feste di compleanno. La grande vetrina, a fine gennaio,
con le due serate organizzate per celebrare il ventesimo anniversario del Clock Tower pub, a Treviglio, dove il loro buffet ha
sfamato 400 persone. Due i menù preparati per non scontentare nessuno: uno a base di carne e uno vegetariano. La loro cucina a domicilio può essere informale o conviviale, varia da un numero minimo di poche persone, come una cenetta romantica o
di famiglia, aperitivi tra amici, a buffet per ricorrenze importanti
come lauree, battesimi, comunioni, cresime, o semplicemente
feste di compleanno per tutte le età. In questo caso, il servizio è
assimilabile a un catering. Sono disponibili pacchetti personalizzati per tutte le necessità. "Possiamo cucinare laddove esiste
l'attrezzatura necessaria ma con assoluta discrezione anche al
domicilio del cliente. Tutto dipende dal numero di persone, dunque dalla mole di lavoro. Se ci sono 50 invitati, e il pranzo è par-
febbraio 2014
ticolarmente elaborato, non possiamo occupare una cucina
per tre giorni, ma impastiamo a casa nostra”, spiega Chiara.
Il costo è abbordabile: per una cena a casa, tra amici, il prezzo si aggira sui 20 euro a ospite, sale se le persone sono solo
due. Nel caso di grandi buffet, il costo viene stabilito facendo un preventivo che stabilisca l'ammontare della spesa per
avere a disposizione tutti gli ingredienti e le ore di lavoro. Se,
per esempio, gli invitati sono 200 e la preparazione delle pietanze richiede una settimana di fatica, si può ipotizzare una
spesa di 500 euro. In caso di buffet e cestini di compleanno,
è prevista anche la sola consegna delle pietanze.
Come una perfetta squadra, le due cuoche si dividono i compiti. Elena cura la parte salata. La sua cucina è quella più contaminata. Dalle tradizioni laziale e toscana ha appreso i sapori decisi, di quella orobica apprezza i formaggi che definisce
insuperabili. “Ho portato una mattonella di taleggio a un'amica che vive a Panama”, sorride. L'amica la chiama la “maga
delle frattaglie”, lei sostiene che il suo punto di forza sono i
piatti sostanziosi, timballi di pasta, verdure ripiene, crostate
di polenta. Per le cene più importanti predilige faraona e punta ripiena. Chiara cura la parte dolce, essendo stata allevata
tra torte e Pan di Spagna. La famiglia gestisce, infatti, la pasticceria-gelateria “Verde Rosa” in via Battisti a Bergamo. Le
sue specialità sono le monoporzioni di dolci, come il cioccolato con il caramello salato, il semifreddo morbidone, il panettone al luppolo con crema al mascarpone, i muffin, i plumcake. Siccome anche l'occhio vuole la sua parte, per questo si
fanno ammirare per la loro bellezza, oltre che bontà, i frollini
a forma di bottone o bustina da tè, che vengono forniti impachettati e possono durare nella dispensa fino a venti giorni. I
segreti dell'arte culinaria di Chiara e Elena si riassumono in
tre parole: fantasia, pianificazione e privacy. “Avere estro è
fondamentale, ma anche sapersi dividere i compiti, collaborare, e poi la privacy sui nostri clienti è d'obbligo”, è la loro ricetta professionale. Il pensiero corre a quelle signore che vogliono fare bella figura con il marito seguendo l'antico motto
che la via del cuore passa per lo stomaco e che magari non
sono capaci o semplicemente non hanno voglia o tempo per
cimentarsi in piatti complicati. “Certo capitano anche queste
situazioni e noi corriamo in soccorso della poveretta, ma non
solo: impiattiamo le portate, come gli antipasti e, se richiesto,
diamo suggerimenti sugli abbinamenti dei vini”. Così il palato è soddisfatto, grazie alle due personal chef bergamasche.
A Polpo d'occhio
Chiara 346 - 3520042
Elena 339 - 2947993
apolpodocchio@libero.it
L'EVENTO
N
Veronelli, una grande
mostra alla "Triennale"
in vista dell'Expo
el corso dell’evento “Il vino è il canto della terra”, al Teatro sociale di Bergamo, lo
scorso 2 febbraio, il Comitato decennale
Luigi Veronelli, recentemente costituito
e presieduto da Gian Arturo Rota, ha annunciato l’avvio dei lavori per la realizzazione della grande mostra Camminare
la Terra dedicata al pensiero e all’opera
di Gino Veronelli, che sarà prodotta dalla
Triennale di Milano a gennaio 2015. Curatela di Aldo Colonetti (vice presidente
del Comitato), dello stesso Rota e Alberto Capatti (direttore scientifico), progetto
espositivo Studio Origoni Steiner.
È camminando la terra che Veronelli ha
incontrato le donne e gli uomini, amato i
loro prodotti e scoperto gli strumenti utili per il lavoro e per il consumo. Da qui la
decisione del Comitato, nato per valorizzare l’opera e il pensiero del grande intellettuale, di intitolare la mostra Cammi-
INGRUPPO
LO RICORDA
CON UNA
BOTTIGLIA SPECIALE
Lo scorso 2 febbraio, in occasione dell'ottantesimo anniversario della nascita, InGruppo ha
voluto ricordare la figura di Veronelli omaggiando i clienti con una speciale bottiglia di Valcalepio rosso 2011 offerta dal Consorzio di Tutela.
Sono state distribuite 3.500 bottiglie, che per
l'occasione hanno riportato un’etichetta commemorativa (nella foto). Il migliore modo per
ricordare il cantore delle vigne e dei vignaioli
con il rituale millenario di alzare le coppe del
nettare divino. I 15 ristoratori di InGruppo sono:
A'Anteprima, Al Rustico, Al Vigneto, Antica Osteria dei Camelì, Colleoni&dell'Angelo, Collina,
Da Vittorio, Frosio, Il Saraceno, La Caprese, Lio
Pellegrini, LoRo, Osteria della Brughiera, Posta,
Roof Garden.
16
nare la Terra, con un motto che è manifesto, testamento, invito e che fu, di Veronelli, profezia. La mostra sarà di prologo
a Expo Milano 2015 e al suo grande tema “Nutrire il pianeta”, che sarà celebrato da Triennale con la mostra semestrale
di Germano Celant “Art&Food”.
Camminare la Terra indagherà il metodo di lavoro, la formazione eclettica e le
tracce che indicano il percorso verso un
futuro auspicabile e necessario, rimettendo al centro di tutto la terra e la cultura materiale. Il lavoro in corso da parte del Comitato sull’immenso archivio,
messo a disposizione dalla famiglia e finora mai indagato in modo sistematico,
vuole tracciare un profilo più preciso della poliedricità di Veronelli e, al contempo,
fa riemergere altre grandi personalità
come ad esempio Luigi Carnacina, che
con Veronelli intrattenne una fitta corri-
spondenza epistolare, Gianni Brera, Silvio Coppola, il suo designer e molti altri
ancora. Il cuore della mostra sarà simbolicamente rappresentato da una trasposizione della sua grande cantina, in un
percorso sinestetico utile ad avvicinare
una personalità tanto complessa.
E BERGAMO
GLI DEDICA
UNA PIAZZA
Nel decimo anno dalla scomparsa, anche
Bergamo commemora Gino Veronelli, indimenticato enologo, gastronomo e scrittore
“dissidente” - come amava definirsi - dedicandogli una piazza tra via Bartolomeo Bono e via Andrea Moretti, nel cuore del nuovo
complesso “Quarto Verde”. Il via libera all’intitolazione è arrivato dalla Giunta il 28 agosto scorso dopo il placet della Commissione
Consultiva per la Toponomastica cittadina riunitasi l’11 aprile scorso. La proposta è stata
accolta senza alcuna riserva e ha rinsaldato
il legame tra Veronelli e la città dove ha vissuto per 34 anni e che forse ha più amato, come sottolinea la biografia con articoli e aneddoti inediti “La vita è troppo corta per bere
vini cattivi”.
IL PERSONAGGIO
febbraio 2014
di Rosanna Scardi
Coltivava piccoli frutti, oggi sta portando in giro
per la Penisola la commedia “Facciamo un sogno”
con Nathalie Caldonazzo. E quando non è in tournée
Manuel Signorelli di San Paolo d’Argon torna
alle sue piante e all’oliveto
Manuel Signorelli sul campo...
D
Manuel, «la mia vita tra
mirtilli e palcoscenico»
ietro a un astro nascente del teatro c'è
un esperto agricoltore. Il suo nome è
Manuel Signorelli, 41enne di San Paolo d'Argon. Ha esordito, per gioco, nella
compagnia dialettale “Franco Barcella”. Poi, dopo la gavetta, il debutto con
Marina Occhiena, la bionda dei Ricchi e
Poveri, in “Coppie scoppiate”. Ora porta in giro per la Penisola la commedia
“Facciamo un sogno” di Sacha Guitry
insieme a Nathalie Caldonazzo, Giorgio Caprile e Alessandro Marrapodi. Dal
2 al 13 aprile sarà al Teatro dei Satiri,
il primo fondato da Pompeo a Roma,
dove a vent'anni ha esordito Roberto
Benigni. Quando non è in tournée, Manuel si dedica alla produzione di mirtilli
e olio d'oliva. Una passione per la terra tramandata da nonno Giacomo che
possedeva un vigneto. «Fin da quando
avevo 14 anni lo aiutavo nella potatura
e nel preparare le fascine per le stufe a
legna – racconta -. Quando ha iniziato
ad avere problemi di salute, dinanzi alla prospettiva di mandare tutto all'aria,
ho deciso di imparare l'abc per coltivare i frutti di bosco e mi sono trasferito
in Trentino». Lì Manuel impara le regole
per far crescere lamponi, ribes, more e
l'arbusto più complesso, il mirtillo. «Necessita di un terreno con pH inferiore
a 5, deve essere concimato con acidi
e innaffiato con acqua piovana. Anche
la potatura non è semplice, se eccessiva, si rischia di avere, l'anno dopo, una
grande vegetazione, ma poco frutto».
Nel 1997 l'avvio della sua azienda agricola, non senza batoste. La prima si
chiama oziorrinco, un insetto che si ciba di foglie di acidofile e le cui larve intaccano le radici di sostentamento. A
insidiare le fragoline di bosco, poste in
due serre, è invece un acaro rosso che
si nasconde nella parte inferiore delle
foglioline. Per un decennio Manuel conferisce la merce al mercato ortofrutticolo di Bergamo. «Lavoravamo, io, i miei
genitori e mia moglie, 15 ore al giorno,
con una media di due chili raccolti all'ora. Ma è stato impossibile competere
con la concorrenza dall'Est». Proprio
da Romania, Ucraina, Polonia e Serbia
provenivano i frutti di bosco congelati, ritirati qualche mese fa dal mercato
perché contaminati dall'epatite A: «Esistono – spiega - virus e batteri di origine
fungina che si sviluppano perché le serre sono mal sterilizzate, se non si va sotto una certa temperatura proliferano».
Oggi l'attore-agricoltore produce mirtilli per privati. Possiede un centinaio di
piantine, che appartengono alla cultivar Berkeley, dal frutto gigante. «C'è chi
arriva da fuori e acquista casse intere
per fare marmellate, torte, macedonie,
anche se forse è uno spreco». I frutti si
raccolgono tra fine giugno e i primi di
luglio. Per un mese e mezzo se ne producono tre quintali, tre chili a piantina.
Al mirtilleto ha affiancato, dal 2009, un
uliveto da 70 piante. Un'antica tradizione racconta che i monaci del monaste-
ro benedettino di San Paolo d’Argon,
costruito nel XI secolo, fossero abili nel
produrre olio. «A novembre ho portato
le olive al frantoio, in meno di 24 ore
dalla raccolta, solo così qualità e fragranza rimangono intatte. Il risultato
sono 400 litri di un olio dal sapore forte,
piccante, fruttato».
La tournée porta Manuel fuori casa per
mesi. Ma come riesce a sopportare la
lontananza? «Amo la mia seconda vita
di attore, certo mi mancano la famiglia,
il paese. All'inizio, da ragazzino, aiutare
mio nonno era un dovere, però poi la
terra mi ha preso il cuore».
... e in scena
17
IL CASO
di Giordana Talamona
Con la nascita della Fis, Franco Maria Ricci, editore
di Bibenda, si è posto in alternativa alla storica Ais,
mettendo in tensione la categoria e separando
il destino di Bibenda dall'Associazione. Lo scontro
è tutt'altro che chiuso e ha registrato la discesa
in campo anche degli avvocati
Franco Maria Ricci
I
18
Sommelier,
il sapore amaro
della polemica
l divorzio che ha messo sotto pressione Ais, la più importante
associazione della sommellerie del Belpaese, è giunto al capitolo finale. Almeno così sembrerebbe, nonostante qualcuno
tema che prima di vedere scorrere la parola “fine” sui titoli di
coda di questa “Guerra dei Roses”, possano esserci ulteriori
colpi di scena. D’altra parte l’ultima comunicazione arrivata ai
soci dal presidente nazionale, Antonello Maietta, con la quale si smentivano disparità di trattamento tra le delegazioni del
Lazio e quelle delle altre regioni, trae spunto proprio da un’email della Bibenda Editore, società gestita da Franco Maria
Ricci. Una battaglia a suon di comunicazioni ufficiali, che lascia intravvedere ulteriori sviluppi.
Dalla separazione al divorzio. Dopo il commissariamento della delegazione del Lazio, avvenuta nel dicembre scorso, e la ricostituzione
della nuova compagine regionale ad interim,
l’associazione può guardare avanti con la consapevolezza che, parafrasando le parole di
Maietta, l’incubo sia davvero finito. La motivazione che ha portato ufficialmente alla rottura
del consolidato rapporto tra Ais e Franco Maria Ricci, editore di Bibenda e presidente del
Lazio, è il mancato rinnovo del contratto per
la rivista e l’omonima guida. Un affare da oltre 800mila euro
all’anno, che di fatto metteva al sicuro Ricci e la sua società, la
Bibenda Editore Srl.
“Che l’aria fosse cambiata l’avevo nitidamente percepito durante il Congresso Ais a Firenze - ha spiegato Maietta nel suo
editoriale del dicembre scorso - quando la mia relazione all’Assemblea Generale dei Soci è stata interrotta più volte dagli applausi, soprattutto quando ho detto che “l’Ais non è mai stata
e mai vorrà essere un’Associazione elitaria” e, quasi al termine, quando ho annunciato che “l’orientamento del Consiglio
Nazionale va verso l’emancipazione della componente edito-
riale”. "C’è qualcosa di male quando un’Associazione ipotizza
di camminare con le proprie gambe senza ricorrere a costose
stampelle nient’affatto disinteressate? Eppure quest’annuncio ha aperto una frattura, presumo studiata da tempo, vista
la rapida tempistica con cui si è palesata, con l’uscita dall’Ais
della costola periferica della capitale”.
Di fatto, il rinnovo del contratto con Bibenda avrebbe vincolato
l’associazione per tre anni, rinnovabili automaticamente per
altri tre. Un impegno economico che i vertici dell’associazione, il cui mandato scade nel prossimo giugno, hanno deciso di
non accollare ad Ais e alla prossima giunta, proponendo all’editore un contratto provvisorio di un anno,
vincolato al ripristino dell’analisi organolettica dei vini all’interno della guida Bibenda,
descrizione scomparsa nell’edizione 2014.
Che la guida ufficiale di Ais non contenesse più la descrizione sensoriale dei prodotti
degustati, informazioni che la distinguevano da qualunque altra guida di settore, era
sembrato a molti un paradosso.
Apriti cielo, perché la richiesta del reintegro
Antonello Maietta delle note di degustazione e la proposta di
un contratto provvisorio di un anno sono state, ufficialmente, il casus belli di questa guerra fratricida che
ha definitivamente sancito la fine dei rapporti con Ricci e con
tutto il suo entourage di Roma.
La Fis. La prima controffensiva di Ricci è stata la scissione
della delegazione di Roma da Ais e la successiva nascita della “Fondazione Italiana Sommelier”, presentata ai soci in una
lettera. Pare, infatti, che prima della comunicazione ufficiale,
nessuno del Consiglio nazionale avesse subodorato una fine
così rapida dei rapporti con Ricci.“Carissimi, il percorso che
abbiamo compiuto in questi 23 anni qui nel Lazio come Associazione Italiana Sommelier Roma è diventato un fenomeno
febbraio 2014
epocale - questa la comunicazione di Ricci di cui riportiamo alcuni
stralci - premiando così gli sforzi di chi ha voluto fermamente professionalità e qualità nella comunicazione efficace del Vino (…). Si sono così realizzati più di 200 corsi per sommelier con oltre 20.000
Allievi, oggi Sommelier, raggiungendo circa un milione e mezzo di
presenze tra le varie attività di degustazione. (…) Tutto ciò ci ha fatto recepire un’implicita richiesta di continuare il nostro lavoro in una
veste sempre più Istituzionale, sempre più disponibile a rappresentare questo meraviglioso Made in Italy che è il nostro vino. Per
questo motivo e con la consapevolezza dell’importanza del lavoro
svolto insieme in questi anni, dal 9 dicembre 2013
l'Associazione Italiana Sommelier Roma aderisce alla Fondazione Italiana Sommelier,
ente appositamente costituito per elevare ancora di più lo spessore del nostro lavoro di divulgatori della cultura del vino e
dell’olio di qualità. La Fondazione Italiana
Sommelier avrà il riconoscimento giuridico dello
Stato e l’accredito presso la presidenza del Consiglio dei
ministri, nonché presso i ministeri della Cultura, degli Esteri e delle
Politiche Agricole. La Fondazione, con Associazione Italiana Sommelier Roma, realizzerà il Corso di qualificazione professionale per
sommelier con il riconoscimento giuridico dello Stato, unico corso
per sommelier in Europa a possedere tale importante requisito. La
quota di Rinnovo all’Iscrizione scende dagli attuali 130 euro a 100
euro l’anno, pur continuando a garantire al Socio l’acquisizione di
Sommelier Notizie per la partecipazione a tutte le Attività a Roma e
nel Lazio per sé e per due suoi amici, di Bibenda la rivista nata per
rendere più seducenti la cultura e l’immagine del vino e Bibenda, la
guida ai migliori vini e ristoranti d’Italia".
La risposta di Antonello Maietta, che ha cercato di fare chiarezza
sullo stato giuridico dell’iscrizione ad Ais dei soci di Roma, non si è
fatta attendere. La questione rilevante, che ha scatenato una bagarre nella delegazione capitolina, non riguarda tanto la nascita di
una nuova associazione, quanto la qualifica dei nuovi sommelier,
la quota associativa già pagata per il 2014 e il passaggio diretto di
tutti i soci romani alla Fis. “Gentilissimi colleghi presidenti regionali
e consiglieri nazionali, vi prego di leggere con
attenzione le due comunicazioni allegate dalle quali si percepisce che da oggi, 9 dicembre
2013, è stata costituita la Fondazione Italiana Sommelier alla quale ha prontamente
aderito l’Ais Roma (e Lazio!?) - comunica Maietta ai soci - (…). A brevissimo faremo partire
una comunicazione a tutti i soci del Lazio per
spiegare l’incompatibilità delle due situazioni. Vi voglio comunque tranquillizzare perché
la situazione è già passata nelle mani dei nostri legali per la tutela del nome, del marchio
e dell’onorabilità dell’Associazione Italiana
Sommelier. Mi impegnerò al massimo per dare tempestività ed efficacia alla nostra azione e di questo sarete tenuti costantemente
aggiornati. Ho già indetto una riunione con lo
staff dei nostri avvocati per giovedì 12, il 17
dicembre sono all'ordine del giorno provvedimenti urgenti da assumere, entro la prima
metà di gennaio sarà convocato il Consiglio
Nazionale”.
Ais Lazio. Gli oltre settecento soci che hanno partecipato alla riunione Ais di Roma, nel gennaio scorso, hanno visto scomparire le
nubi che si adombravano sulla delegazione commissariata dal 17
dicembre. Non che tutti i dubbi siano stati fugati, tutt’altro. Che fine abbia fatto la quota associativa versata dai soci alla delegazione
di Roma, per esempio, è tuttora un mistero su cui faranno chiarezza i legali di Ais. Dal canto loro, Maietta e i membri presenti hanno
rassicurato i soci romani che non chiederanno il pagamento della
quota associativa, purché in grado di comprovarne il versamento, e
che tutti i corsi e le qualifiche ottenute saranno riconosciute retroattivamente.
La guida e il giornale di Ais. Che sia arrivato
il capitolo finale di questo scontro, non vi
è certezza alcuna, visti gli ultimi sviluppi
che fanno temere rigurgiti di battaglia
tra Ais e Fis. È di pochi giorni fa la comunicazione inviata ai soci Ais da Bibenda
Editore, che ha creato non pochi equivoci sulla
disparità di trattamento tra i soci del Lazio e quelli delle
altre regioni.
Bibenda. La Rivista e Bibenda 2015 la Guida ai Vini e Ristoranti d’Italia non saranno più distribuite ai soci Ais Italia, mentre i soci del
Lazio continueranno a riceverle. Se desideri continuare il percorso
di qualità delle tue letture sul vino abbiamo preparato, solo per te,
un favorevole abbonamento”.
Maietta ha chiarito nuovamente la posizione di Ais, dando in anteprima una notizia che finalmente cancella un’anomalia nel Dna
dell’associazione, da sempre costretta ad affidare ad un editore
esterno la redazione della propria guida e rivista. Non si sa molto
sui due nuovi prodotti editoriali, presentati ufficialmente al prossimo Vinitaly. I rumors dei beninformati parlano una guida nazionale
realizzata col supporto dei degustatori Ais di ciascuna regione che,
di fatto, si opporrà nelle vendite a quella di Bibenda. Una zampata
di Ais che non potrà lasciare indifferente Franco Ricci.
“Il 1° aprile è ancora molto distante, tuttavia parecchi tra gli iscritti
stanno ricevendo, tramite l’utilizzo arbitrario di un database fornito
per altri scopi, un invito ad abbonarsi alle pubblicazioni di Bibenda
Editore, cosa quest’ultima assolutamente legittima - spiega Maietta -. Il riferimento a una
disparità di trattamento tra i soci dell’Associazione Italiana Sommelier e quelli del Lazio,
senza specificare che, nel caso di questi ultimi, si tratta di soci di altra associazione che
nulla ha a che fare con Ais, ha indubbiamente
generato parecchi equivoci. Per questo motivo ho ritenuto doveroso informare che, come
da tempo è correttamente riportato sul sito
ufficiale dell'Associazione Italiana Sommelier, tutti i soci Ais indistintamente continueranno a ricevere sia la rivista che la guida.
L'unica differenza rispetto al passato è legata
al fatto che, scaduto il contratto con Bibenda
Editore, l'Associazione Italiana Sommelier ha
deciso di realizzare autonomamente al proprio interno, con il contributo di competenza e
professionalità dei propri soci, una nuova Rivista e una nuova Guida. La presentazione di
entrambi i prodotti editoriali saranno presentati ufficialmente al prossimo Vinitaly”.
19
IL CORSO
Polpette
alla riscossa
Guardate con diffidenza fuori casa, must di ogni mamma, i prelibati
"bocconcini" stanno vivendo una nuova stagione grazie a locali dedicati
(a Milano ci sono il Ciccilla e “The Meatball Family”) e a libri che li celebrano.
E l'Accademia del Gusto riserva una lezione il 17 marzo
di Laura Bernardi Locatelli
L
20
a diffidenza verso la ricetta principe del riciclo ne ha
fatto l’orfanella della cucina italiana e allo scetticismo di fronte alla resurrezione degli avanzi si sono
aggiunti ieri l’incubo mucca pazza e l’altro ieri l’allarme carne di cavallo. Eppure
la rassicurante polpetta,
comfort food per eccellenza, sta uscendo dalle pareti domestiche in cui è sempre stata esaltata da ogni
mamma, per conquistarsi
la ribalta e fare addirittura
tendenza da vera “Pop star”
della cucina.
A Londra hanno aperto da
tempo Meatball Shop e Restaurant e a Milano sono
nate “Ciccilla”, una polpetteria che è anche una cooperativa sociale, e “The Meatball Family” - Diego Abatantuono è tra i soci - con
menù a base di polpette declinate in oltre quaranta varianti (dalla Sashball a base
di sashimi alla Salentina e
Lombarda) e abbinamenti
addirittura con lo Champagne, che fanno molto “miseria e nobiltà”. Più che
eloquente e ironicamente
altisonante fin nel titolo “Una polpetta ci salverà”
– il nuovo libro e ricettario
di Anna Scafuri e Giancarlo
Roversi, edito da Giunti, che
vede in questa sfera imperfetta il futuro della cucina
italiana. Una tradizione tutta da riscoprire che ci porta
alle radici della nostra storia, ma che ci fa anche abbattere ogni barriera culinaria, abbracciando il mondo
intero, dove la ricetta rimbalza in ogni luogo e tempo. “La crisi ha puntato di
nuovo i riflettori su una delle ricette principe del riciclo
presente ad ogni latitudine
e in ogni tradizione da quella libanese a quella indiana
- sottolinea Mirko Ronzoni,
docente all’Accademia del
Gusto del corso “Piovono
polpette” e chef del Braciere del Convento dei Neveri
di Bariano -. È un piatto globale che si presta ad ogni
ricetta perché non c’è davvero nulla che non possa
essere tritato e forgiato in
palline golose”. Carni, verdure, pesce e legumi vengono trasformati in pietanze
che rifuggono una collocazione tra i rigidi schemi delle portate, prestandosi ad
essere secondo piatto, finger food, amouse bouche,
piatto unico. Le polpette parenti strette dell’hamburger - sono il risultato di incontri, esperienze e suggestioni. Le golosissime sfere rappresentano il piatto
“glocale” per antonomasia,
presente in ogni tradizione gastronomica da Oriente ad Occidente, da Nord
a Sud, in infinite varianti.
Lihapullat, kibbeh, bakso,
frikadeller, acarajè, faggot,
albondigas, chiftele, keftedes sono solo alcune delle
ricette presenti in giro per il
mondo e non mancano Paesi che hanno dato alle polpette dignità di piatto nazionale, come la Svezia con i
“kottbullar” e l’Afghanistan
che ne ha fatto la ricetta tradizionale affiancata da zuppe casalinghe. Le polpette
si cucinano ovunque e sono
una ricetta alla portata di
tutti, come del resto sottolineava già con una punta d’ironia Pellegrino Artusi, scrivendo di “un piatto che tutti
lo sanno fare cominciando
dal ciuco, il quale forse fu il
primo a darne il modello al
genere umano”.
“La polpetta non richiede
una grande manualità, anzi riporta alla memoria gesti e movimenti che siamo
abituati a fare sin da bambini - continua Mirko Ronzoni -. Il segreto è quello di
bilanciare con cura gli in-
febbraio 2014
gredienti e di optare per una cottura
dolce che non rischi
di asciugarle troppo
perché devono risultare morbide dentro e croccanti all’esterno”. Dolcezza,
semplicità, eleganza
e salute sono i capisaldi per Gualtiero
Marchesi della “polpetta gentile”, “materica e materna”,
dalla “forma rassicurante e ancestrale”. Anche se per il
Maestro della cucina italiana l’abbinamento ideale consiste in una semplice
insalata e in un bicchiere di rosso fresco, non c’è che l’imbarazzo della scelta
nelle salse d’accompagnamento: “Verdura o frutta ben si
prestano al contrasto con polpette di
carne o pesce - continua Ronzoni -. Le
salse riescono a dare carattere e una
marcia in più alle solite polpette, conquistando anche l’occhio, con una mise
en place elegante.
Poi ci sono le classiche polpette con il
pomodoro, base anche di spaghetti with
meatballs, che però
è davvero distante
dal nostro gusto e
per noi italiani resta
sempre, in fondo,
un’americanata”.
LE RICETTE
DI MIRKO RONZONI
Polpette al curry
e latte di cocco
Ingredienti
1 piccola cipolla, sbucciata e tagliata a brunoise
1 spicchio d'aglio, sbucciato e tritato
1 cucchiaino di peperoncino essiccato
500 g di carne macinata
75 g di mollica di pane fresco
3-4 cucchiai di latte
olio d'oliva, per friggere
Sale e pepe nero appena macinato
Per la salsa
2 cucchiaini di coriandolo fresco
4 semi di cardamomo
1 cucchiaino di curcuma
½ cucchiaino di cannella in polvere
1 cucchiaino di peperoncino essiccato
2 lemongrass
5 centimetri di radice di zenzero fresco,
sbucciato e affettato
400 ml Brodo di pollo
400 ml latte di cocco
1 lime
Procedimento
Ecco alcune ricette per portare in tavola tradizione e innovazione, a prova di vegetariani e amanti di gusti
esotici, ma sempre con gusto italiano. All’arte di sminuzzare, amalgamare e dosare, l’Accademia del Gusto
(piazzetta don Gandossi, Osio Sotto,
035.4185706/707 www.ascomformazione.it) dedica il corso “Piovono polpette” in omaggio al cartoon - in programma il 17 marzo.
Soffriggere la cipolla e l'aglio in padella con un
po' di olio per circa 5 minuti, aggiungere il peperoncino. Mettere il trito di carne in una grande ciotola e aggiungere il condimento. Mettere
la mollica di pane in un’altra ciotola e bagnare
con il latte. Aggiungere il condimento, quindi mescolare il pane e il composto di cipolla nel trito.
Con le mani bagnate formare le palline delle dimensioni di una pallina da golf. Trasferire in un
vassoio e raffreddare per 30 minuti in frigorifero.
Far rosolare le polpette in un tegame con un filo
di olio per 4-5 minuti, girando spesso finché risultano ben dorate. Aggiungere il coriandolo tritato,
cardamomo frullato, curcuma, cannella, peperoncino, lemongrass tritato e zenzero. Mescolare finchè tutte le spezie si scaldano e fuoriescono tutti i loro aromi, aggiungere il brodo e il latte
di cocco e portare a cottura a fuoco lento. Assaggiare e regolare il condimento se necessario. Fare bollire per 8-12 minuti fino a portare a cottura
le polpette e addensare la salsa. Aggiungere la
scorza di lime e il suo succo e servire caldo.
21
IL CORSO
Polpette tradizionali
con dressing senapato
allo yogurt
Ingredienti
500 g di macinato di bovino (tipo scamone
o filetto)
250 g di pane raffermo
50 g di parmigiano reggiano
2 uova
prezzemolo e erba cipollina tritata qb
sale
olio per friggere
Per la salsa
1 yogurt greco
senape piccante di Digione
olio extravergine
sale e pepe
Procedimento
Preparare la salsa: aggiungere allo yogurt, la senape, mescolare e aggiungere l’olio a filo continuando
a mescolare con una frusta fino quando il composto avrà raggiunto una consistenza abbastanza fluida. In una ciotola condire la carne con sale e olio,
aggiungere il prezzemolo e l'erba cipollina tritati.
Ammollare il pane nel latte, fino a che non sarà del
tutto zuppo, strizzarlo e aggiungerlo al macinato.
Mescolare insieme alle due uova e al formaggio.
Formare delle polpettine della misura desiderata,
scaldare l'olio in padella e cuocerle da un lato e poi
dall'altro schiacciandole leggermente per circa 10
minuti coprendo con un coperchio. Scolare le polpette su carta assorbente e servirle con il dressing.
Veggy Polpette
Ingredienti
4 carote
100 g di zucca
2 zucchine
100 g ricotta salata
60 g prezzemolo tritato
60 g sedano tritato
qb sale e pepe
qb pane grattato
Procedimento
Grattugiare grossolanamente tutte le verdure in una
bowl, strizzarle delicatamente per rimuovere l'acqua
di vegetazione che farebbe perdere la croccantezza
in cottura. Grattugiare la ricotta salata ed aggiungerla all'impasto con il sedano, il prezzemolo e una cucchiaiata di pan grattato. Dare forma alle polpette e
cuocerle in padella antiaderente con un filo d’olio.
Si possono abbinare su un gazpacho di pomodori e
tabasco.
22
febbraio 2014
Fino alla fine di giugno la speciale proposta di 42 locali bergamaschi
35 euro, nei ristoranti
il prezzo diventa amico
È
il prefisso telefonico di Bergamo e provincia,
ma ora è anche l’identificativo sotto il quale si
sono riuniti 42 ristoranti di qualità per promuoversi. Lo fanno con un prezzo fisso e tutto compreso, di 35 euro appunto, per menù appositamente creati per la rassegna. Una risposta
alla crisi, un modo per invogliare ad uscire e a
scoprire lo stile delle diverse insegne e per intercettare anche i giovani grazie ad un’offerta
chiara e dettagliata, ad un prezzo accessibile
e competitivo per questo tipo di accoglienza e
cucina. I locali coinvolti sono attività affermate
o novità interessanti, si va dai capisaldi della
ristorazione del centro e di Città alta agli indirizzi sicuri in provincia, spaziando tra i territori, le specialità e le esperienze di ogni chef. La
promozione, partita il 14 gennaio, si concluderà il 30 giugno. Sul sito www.trentacinqueuro.it
basta cliccare sul nome di ciascun partecipante per visionare il menù, che nell’arco del periodo può variare. La prenotazione è obbligatoria contattando direttamente il locale scelto; i
posti dedicati all’iniziativa sono limitati. Sono
compresi coperto, servizio e bevande, con il limite di una bottiglia di vino ogni due persone.
Le insegne aderenti
A Bergamo: Arti, Balicco, Baretto di San Vigilio, Benigni, Cece e Simo,
Enoteca Zanini, I Sapori di Terra e Mare, Il Gourmet, Il Pianone, Lalimentari, La Marianna, La Tana, Mimì-La Casa dei Sapori, Monnalisa, M1lle,
Osteria al Gigianca, Taverna Valtellinese, Trattoria Sant'Ambroeus
In provincia: Binomio (Dalmine), Cantina Lemine (Almenno San Salvatore), Casanova (Curno), Colletto Agribiorelais (Adrara San Martino), Cucina Cereda (Ponte San Pietro), Don Luis (Torre Boldone), Fatur (Cisano
Bergamasco), Giordano (Cavernago), Il Becco Fino (Albino), La Corte del
Noce (Villa d'Adda), Le Ciel (Madone), Mariet (Romano di Lombardia),
One Restaurant Chicco Coria (Dalmine), Opera Restaurant (Mozzo),
Osteria MarcoRossi (Paladina), Pampero (Ranzanico), Ponte di Briolo
(Valbrembo), Ravecca (Romano di Lombardia), Della Torre (Trescore),
Stockholm (Castelli Calepio), Trattoria del Sole (Fiorano al Serio),
Trattoria del Tone (Curno), Trattoria Visconti (Ambivere), Zu (Riva di
Solto).
Iniziativa nazionale analoga a quella già proposta a Bergamo
“CENE STELLATE”, LA FORMULA DI INGRUPPO FA SCUOLA
Chissà se l’esempio è stato
preso da InGruppo, l’iniziativa
alla seconda edizione che propone (fino al 30 aprile) menù
completi nei ristoranti stellati e
di fascia alta della Bergamasca
al costo di 99 euro per due persone. È comunque la conferma della bontà dell’intuizione
il fatto che una formula simile
venga ora adottata su tutto il
territorio nazionale. Si chiama
“Cene Stellate” ed promossa
dalla guida on line ai ristoranti
DiningCity Italia, sulla scorta di
analoghe esperienze già realizzate, con successo, in Europa. Dal 21 al 30 marzo, i risto-
ranti stellati che aderiranno al
progetto (la lista è in costante
aggiornamento) proporranno
un menù di cinque portate a
prezzi “calmierati e graduati”:
55 euro nei ristoranti 1 stella
Michelin, 70 euro nei ristoranti 2 stelle Michelin e 80 euro
nei ristoranti 3 stelle Michelin.
L’occasione è ghiotta per gli appassionati e promettente per i
locali, in Olanda, ad esempio,
ha coinvolto 70 ristoranti, visitati da 14.945 persone, ossia
più 200 a ristorante in una sola
settimana.
Info: www.diningcity.com
23
LA TRADIZIONE
L' involtino di verza col ripieno
di carne di maiale è ancora oggi
un piatto apprezzato nella Bergamasca.
Nel tempo la ricetta ha subito
diversi aggiustamenti
di Leonardo Bloch
S
24
Nosécc, una delizia
passata indenne
tra i secoli
e v’è un ricettario di cucina la cui lettura merita di essere affrontata dal
gourmet bergamasco con addirittura
triplice deferenza, questo è indiscutibilmente la cinquecentesca
”Opera di Bartolomeo Scappi,
Mastro dell’arte del cucinare”. La
prima razione d’ossequio spetta
per motivazioni, per così definirle, di mera ordinanza. Il monumentale trattato del cuciniere
rinascimentale - personal chef
dei pontefici Pio IV e Pio V - rappresenta infatti per le discipline gastronomiche ciò che il
quasi coevo “Sidereus Nuncius” di Galileo Galilei ha significato per la cosmologia,
tracciando una delle frontiere che nella storia del sapere
umano scindono l’antico dal
moderno.
Una seconda e più territoriale ragione di reverenza
risiede nell’autorevole attestato di considerazione per
il nostro vernacolo che si
cela tra le pieghe dell’imponente testo. Nel quarto libro
dell’Opera, tra i resoconti dei più memorabili banchetti romani organizzati
a cura dello Scappi, ha rilievo la “Colatione fatta all’ultimo di Febraro a Montecavallo (l’attuale Quirinale, nda),
nella sala dell’illustrissimo e reverendissimo Cardinal Bellaia, a un’hora di
notte, dopo che fu recitata una comedia in lingua Francese, Bergamasca,
Venetiana
et Spagnola”. La lista
delle vivande proposte nell’occasione è assai più nutrita di quella che ai
giorni nostri si converrebbe per uno
spuntino del dopoteatro: ben 65 por-
tate ripartite in quattro servizi, tra
cui spiccano preparazioni iperbolicamente barocche quali le “teste di
rufalotto (cinghialetto, nda) cotte in
vino, servite fredde con orpelle adornate e fiori sopra e fuoco
profumato artificioso in
bocca”. Ma di tale convivio risaltano soprattutto le
sfaccettature storico-letterarie: il padrone di casa ovverosia il Cardinal Bellaia
- altri non è che l’arcivescovo di Parigi Jean du Bellay,
il cui attendente culturale
risponde nientemeno che al
nome di François Rabelais. Il
padre dei leggendari Gargantua e Pantagruel ha dunque
avuto voce in capitolo nell’allestimento di una pièce teatrale - forse opera del veneziano
Andrea Calmo, commediografo
dalla vena singolarmente poliglotta - che innalza al rango di
lingua l’idioma degli Zanni e dei
facchini bergamaschi, equiparandolo per giunta al francese ed
allo spagnolo.
L’ultima ma non meno significativa dose di osservanza è da tributarsi
allorché, tra le centinaia di ricette codificate nel trattato, ci si imbatte nel
prototipo di una delle preparazioni più
febbraio 2014
Villa d'Almé
classiche della tradizione culinaria bergamasca: “Per empire foglie di cauli d’una compositione detti nosetti”, progenitori degli involtini di verza a noi più familiari sotto la
dizione dialettale di nosécc.
Nelle indicazioni dello Scappi
la farcia dei fagottini si componeva di noci e mandorle
sminuzzate, mollica di pane
ammollata, cacio grattugiato ed un trito di aglio ed erbe
aromatiche - menta, maggiorana e prezzemolo -. Avvolti
nelle falde della brassicacea, gli arcaici tortelli andavano
sobbolliti in brodo grasso assieme a delle cervellate (antiche salsicce tipiche dell’area
padana, nda), ed in accompagnamento a queste ultime
venivano serviti. La misurata
speziatura - a base di soli pepe, cannella e zafferano - e la
mancata previsione dell’allora immancabile spolverata finale di zucchero sono chiaro
indice di aderenza ai rustici
natali del piatto.
Ovviamente i manicaretti di
cui si dà conto nell’Opera
non sono sola farina del sacco dello Scappi: in letteratura
gastronomica è reperibile un
ancor più antico riferimento
ai noxetti nel quattrocentesco Libro de arte coquinaria
del Maestro Martino da Como - a sua volta cuoco secre-
to del Patriarca di Aquileia dal quale si ricavano le origini
medievali della pietanza ed il
collegamento del suo etimo
alla presenza delle noci nella farcia.
Con il trascorrere dei secoli
l’impianto della preparazione è stato semplificato accorpando il pesto delle salsicce
al ripieno, dal quale si sono
eliminate noci e mandorle,
e sfrondando il bouquet aromatico da erbe e spezie ridondanti. Una più incisiva
cottura in umido ha inoltre
soppiantato l’originaria sbollentatura. A dispetto delle
modifiche intervenute, la ricetta dei nosécc cui ai giorni
nostri ci atteniamo è sorprendentemente fedele a quella
tramandataci dai trattati di
Bartolomeo Scappi e di Martino da Como, e va di diritto
iscritta nell’elenco delle rare vivande che sono passate
pressoché indenni attraverso
il tritacarne delle ere moderna e contemporanea. Ed ancor oggi, a distanza di cinquecento anni, in essa si avvertono le fragranze di un’epoca nella quale il Bergamasco
aveva dignità di lingua letteraria ed al desco pontificio si
servivano involtini di verza, a
riprova di quanto effimero sia
ogni discrimine tra miseria e
nobiltà.
SONO IN CARTA IN QUESTI RISTORANTI
• Giubì dal 1884
Almenno San Bartolomeo
• Trattoria Visconti
Ambivere
• La Colombina
Bergamo Alta
• Antica Osteria il Forno
Brembilla
• La Conca Verde
Trescore Balneario
Il salumificio
Edoardo Gamba
premiato
dal Gambero Rosso
Nella recente prima edizione della guida ai Grandi Salumi edita dal Gambero Rosso, il salumificio
Gamba di Villa d’Almè entra a fare parte delle principali eccellenze dell’arte salumiera italiana.
Non solo è citato nella guida, ma ha ricevuto un
premio per ognuno dei tre campioni presentati.
“La scorsa primavera - spiega Claudia Gamba, titolare del salumificio con il fratello - ci hanno contattato e richiesto la campionatura di tre prodotti. Gli
abbiamo inviato i salumi che secondo noi presentavano il corretto grado di stagionatura e in quel
momento erano la salsiccia piccante biologica, la
slinzega di suino e quella di manzo”. Rispettivamente, la prima si è aggiudicata il premio speciale
“I migliori salumi biologici”, le altre si sono piazzate tra le 29 migliori eccellenze italiane.
“Noi - spiega ancora Claudia Gamba - puntiamo
molto sulla qualità e artiginalità, a partire dalla
scelta delle materie prime, per poi passare al rispetto dei tempi di stagionatura, ma non solo: abbiamo una linea di prodotti biologici per la cui produzione utilizziamo solo carne, sale e spezie naturali, eliminando completamente nitrati e nitriti".
Grande soddisfazione quindi in casa Gamba. Molte le ambizioni per il futuro e la voglia di guardare
lontano che li spinge a credere che quella intrapresa possa essere la strada giusta.
l.abr.
25
FACECOOK
ALLA SCOPERTA DEI SOCIAL-CHEF
Il bergamasco Marco Morosini
gestisce dal 2008 un locale
in Alabama, in cui i piatti italiani
si affiancano a quelli più tipici
della ristorazione a stelle e strisce.
La specialità lombarda segnalata
dalla guida ai ristoranti della città.
Per le lasagne i maggiori
apprezzamenti della rete
di Laura Ceresoli
U
«Agli americani ho fatto
amare anche
cassoeula e polenta»
n’enorme Cassoeula fumante adagiata su un letto di verze e accompagnata
da una morbida polenta bergamasca:
è questa la foto più ghiotta che nelle ultime settimane è apparsa in primo piano sulla pagina Facebook del Silvertron
Café, il ristorante gestito da Marco Morosini. Fin qui tutto normale, se non fosse che questa prelibatezza lombarda è
al momento il piatto di punta di uno dei
più noti locali di Birmingham, in Alabama. Un altro bergamasco è così riuscito
nell’ardua impresa di esportare le tradizioni del nord Italia oltre i confini nazionali. Un esperimento tutt’altro che
scontato visto che questa popolare pietanza è stata inserita all’interno di un
menù che di nostrano ha ben poco. E la
Cassoeula di Marco è così speciale che
è stata annoverata tra i 50 migliori piat-
ti recensiti dal giornalista Jan Walsh sul
sito www.birminghamrestaurants.com.
Classe 1973, Morosini dopo aver studiato ragioneria all’istituto Belotti di
Bergamo e aver tentato la fortuna in diversi Paesi stranieri partendo come la-
«DAL WEB UN RISCONTRO IMMEDIATO
SULLE NUOVE PROPOSTE»
Come ha iniziato ad appassionarsi di cucina?
«Ho iniziato nella ristorazione quando avevo 17 anni e non mi
sono più fermato. Ho lavorato in diversi posti come cameriere,
barista, barman per poi trasferirmi all'estero».
Dove ha lavorato?
Ho cominciato in Francia. Sono partito dal basso e sono arrivato a lavorare come Chef-de-rang al Ledoyen, all'epoca uno dei
top 5 ristoranti di Parigi. Poi mi sono trasferito negli Stati Uniti
dove ho iniziato come semplice lavapiatti, ma nel giro di due
anni sono diventato assistente manager in un ristorante a San
Francisco. Ho sempre lavorato duro ma nella sala. Quando nel
2008 ho comprato il ristorante Silvertron a Birmingham, in
Alabama, mi sono scoperto sempre più amante della cucina.
26
Non mi ha insegnato
nessuno e ora cucino piatti italiani durante cene italiane a
tema, una volta ogni
tanto».
Marco Morosini
Come promuove la sua attività in Internet?
«Uso Facebook, Twitter e Instagram. Sono gratis, promuovi immediatamente e hai subito una buona idea dell’impatto che il
tuo ristorante ha sulle persone attraverso i commenti, i “likes”
o via dicendo. La pubblicità stampata non offre riscontri così
diretti, ma ha il suo peso nel promuovere il nome di un locale».
febbraio 2014
A Lariofiere
dal 16 al 19 febbraio
RISTOREXPO,
IN SCENA
I GRANDI CHEF
vapiatti e cameriere, oggi ha coronato il
suo sogno americano. Insieme alla moglie
Elan, addetta alla contabilità, è riuscito nel
giro di cinque anni a rilanciare il Silvertron
Cafè con una carta variegata dove i cibi
italiani ben si alternano a quelle specialità autoctone a cui gli statunitensi proprio
non riescono a rinunciare. Così, tra piccanti quesadillas e maxi hamburger di manzo
in stile tex-mex, si scorgono a sorpresa anche linguine alla marinara, ravioli al pesto,
bruschette al pomodoro e le ormai celeberrime lasagne di Marco. Non mancano poi
piatti della tradizione italiana rivisitati per
andare incontro ai palati internazionali. Il
menù è infatti ricco di paste condite con
ingredienti da noi poco indicati per una sana spaghettata, dal petto di pollo alla feta,
dalle noci Pecan al Cheddar. Positivi anche
i commenti su Tripadvisor dove il 78% dei
clienti consiglia di far visita al Silvertron
Cafè. Su 47 recensioni presenti, 21 hanno
giudicato questo locale eccellente, 16 molto buono e 6 nella media. Soltanto uno ha
azzardato uno “scarso” e in tre hanno dato
Qual è il suo rapporto con le recensioni di Tripadvisor?
«Beh, le devi prendere con un po' di filosofia. Io sono sempre al ristorante e
se abbiamo una serata storta me ne
accorgo. Quindi, se arrivano commenti
negativi, so già che il problema è dovuto a una serata nata col piede sbagliato
e non a un problema continuo. L'importante è non tralasciare mai di rispondere al cliente, il quale ha tutta la ragione
di esprimere la sua opinione e se si risponde che si è a conoscenza di quello
che è successo, si hanno più possibilità che poi ritorni. Essere sinceri, riconoscere il problema e risolverlo è un buon
metodo».
un voto “pessimo”. «Le porzioni erano fantastiche e le ricette erano molto originali –
scrive un cliente di Pittsburgh (Pennsylvania) –. Il cibo era molto saporito! Il cameriere che ci ha servito era tranquillo, educato
ed efficiente». Apprezzatissime sono poi le
lasagne di Marco, ormai un “must” per gli
habitué del ristorante: «Vale senz’altro la
pena visitare questo posto se volete un po’
di cibo locale di Birmingham – scrive un residente della zona – anche se probabilmente sono più famosi per le loro lasagne, fatte
in modo diverso ogni giorno, e per tutte le
paste che servono». E ancora: «Hummus e
lasagne vengono preparati giornalmente e
sono sempre buoni – scrive Katie B, di Birmingham –. I prezzi sono giusti, il personale
gentile e il cibo decisamente buono. Questo
è sicuramente uno dei migliori ristoranti di
Birmingham».
Il locale gestito da Morosini ha 120 coperti e può contare su un flusso di circa 2.300
clienti la settimana. Per saperne di più su
questo inconsueto angolo italiano in Alabama www.silvertroncafe.us.
Com'è cambiata la ristorazione e il
rapporto con i clienti grazie ai nuovi
media?
«Facciamo un esempio: creo un piatto
e lo fotografo alle 10.15, alle 10.16 tutti
sanno di quel piatto. Dalle risposte saprò
se sarà un successo o no. I social network sono un canale molto immediato
ed efficace».
Riesce a far conoscere la cucina bergamasca nel mondo? Con quali piatti?
«Cassoeula con la polenta, anche se è
più un piatto lombardo che bergamasco».
A quale piatto della cucina orobica è
più legato?
«Sinceramente? A tutti!».
Torna RistorExpo, l'evento fieristico dedicato alla ristorazione
professionale in programma a
Lariofiere (Erba) dal 16 al 19
febbraio. Attesi tra i 20 e i 25mila ingressi. Buona la presenza
bergamasca, che nelle scorse
edizioni ha fatto registrare una
percentuale, sul totale dei visitatori, che si aggira intorno al 20%.
Il tema dell'edizione 2014, "In
cibo veritas", è più che mai legato ai contenuti di Expo 2015
ed ha come obiettivo quello di
assicurare a chi si occupa di
ristorazione una significativa
crescita professionale, grazie al
contributo di numerosi personaggi che racconteranno le loro
esperienze ed i loro progetti con
i quali sono stati in grado di far
emergere i valori del cibo e della
cultura enogastronomica.
Gli chef dell’edizione 2014. Il
tema verrà affrontato con forum, interviste, stage di cucina
ed incontri con il contributo di
diverse figure importanti, volti
noti della scena gastronomica
italiana. Confermati gli stage
di cucina con gli chef Davide
Scabin, Viviana Varese e Sandra
Ciciriello, Christian e Manuel Costardi, Norbert Niederkofler, Pier
Giorgio Parini e Paolo Lopriore.
I vini della Valtellina. Si rinnova
anche per questa edizione la
collaborazione con i vini valtellinesi. Per tutta la durata di RistorExpo, lo stand del Consorzio
di Tutela presenterà al pubblico
un'ampia selezione di prodotti
delle aziende vitivinicole della
Valtellina. Sarà l'occasione non
solo di degustare ottimi prodotti,
ma anche per provare interessanti abbinamenti enogastronomici.
27
L’INTERVENTO
di Everisto*
Tipico atipico,
pressoché utopico
S
iamo già nell’era della post globalizzazione. Si sono da un bel po’ sostituite le vetrate di banche e McDonald’s
mandate in frantumi da militanti orfani di un sogno da coltivare. D’altro
canto è dura la vita del figlio di sessantottini e settantasettine. E così eccoci all’epilogo. Qualche protesta fatta più di stizza male indirizzata, che di
ideali e fantasia, qualche pacifista in
più, magari buddista e che si nutre di
tofu e licheni acquistati on line costituiscono la nuova eredità. La “generazione no global” può iniziare a fare
un primo inventario.
In questo decennio e mezzo si è ac-
cettato proprio tutto. Supinamente e
nel momento peggiore, si è digerita la
sentenza che senza banche non si vive, e neppure si può rinunciare al poco che danno e al molto che tolgono.
Abbiamo metabolizzato il nuovo modo di alimentarci, non senza reticenze certo, ma tutto è stato incamerato
nel serbatoio dell'“ineluttabilmente
così”, del “tanto il mondo va così e
non lo correggi certo tu coltivando
un orto”.
Questa premessa sembrerebbe aprire una dissertazione che richiede
puntate, ma non abbiate timore, ho
voluto partire “sparando a rosa lar-
ga”, ora però prendo la mira.
Quante volte, frequentando locali,
nelle più svariate situazioni abbiamo
letto la dicitura: “Tipico”? Confessatelo, innumerevoli volte, dappertutto
e a tutte le ore. Quante volte poi, ce
lo hanno detto con voce rassicurante. Ma andiamo in ordine verificando il senso del vocabolo in questione.
Spulciando alla ricerca del significato e senza fare riferimenti a questo o
a quel dizionario, nell’accezione che
interessa a noi leggiamo: “Che è proprio di un tipo; peculiare, caratteristico, particolare: segni, tratti tipici di
una persona; è un'espressione tipica
L'evento a Osio Sotto
"LA BERGAMASCA", FA CENTRO
LA CENA DEL NORCINO
Alan Sartirani, patron del ristorante “La Bergamasca” di Osio
Sotto, non si concede facilmente una pausa. Affiancato dalla
moglie Milena, da validi collaboratori in cucina e ragazze sveltissime in sala, è alla perenne ricerca di novità da offrire alla
sua clientela. L’ultima è stata la “Cena del Norcino”, una serata di fine gennaio, tutta in onore del maiale.
Alla presenza di una piccola esposizione di attrezzi del mestiere, hanno partecipato, dettagliando con maestria tutte le la-
28
vorazioni, il norcino (ol masader) Carlo Gerbelli, che affianca
Alan, l’insaccatore Raf “Ezio”Riva e sua moglie Vanna, che si
occupa della speziatura.
Tutta la lavorazione del maiale, che procura a “La Bergamasca” un autentico bendiddio, avviene alla Cascina Speranzina
di Cavernago, il regno di Cristiano Azzolin.
La serata, che ha gremito le sale, a chi sceglieva il menù degustazione, proponeva la Tavolozza di salumi, con il prosciutto
febbraio 2014
di questo scrittore; un piatto tipico della
cucina sarda”.
Bene!, aggiungo io. Dunque ci sarebbe da
stare tranquilli ogni qualvolta sentiamo
dire che quel che ci viene servito è tipico.
Peccato che questa parolina dal suono un
po’ spigoloso, a ben analizzarla sia più introduttiva che descrittiva. Si, introduttiva
di altre più precise e doverose informazioni, ma spesso…puff. Arrivati a questo
punto la spiegazione finisce d’incanto dissolvendosi come fumo di un toscanello in
una giornata di tramontana. Questo però
è alquanto strano, è come se un insegnante ad un colloquio ci dicesse: suo figlio si
comporta. Bada bene, senza puntini di sospensione, i quali prevedono un completamento della frase, o quantomeno una
sua prosecuzione. Niente, finita così. Oppure vediamo… come se un medico dal
fare solenne e severo con tanto di diagnosi, brandita come Nino Bixio imbracciava il
suo schioppo ci dicesse: la sua situazione
clinica è. Oddio, è come?
Certo sto spingendo la metafora ai limiti,
ma il concetto c’è. Così come c’è il problema. La nostra sgangherata Italia rimane
la nazione della biodiversità, dei formaggi differenti da valle a valle, dei vitigni che
quasi equivalgono per numero censito a
quelli di tutto il resto del mondo. Per non
parlare delle ricette che costituiscono il
confine tra provincia e provincia, spesso
tra comune e comune.
Che senso potrà mai esserci nel rompere
le vetrine dei fast food, inveire contro le
multinazionali, prendersela con la Esso o
con la Coca cola, se prima non abbiamo la
coscienza della nostra storia e l’orgoglio
per la nostra biodiversità. Se non abbiamo a cuore le piccole grandi diversità, che
dei colossi divoratori sono l’esatto contrario e il vero antagonista? Ē ora di difenderle con la consapevolezza, la storia e la
biodiversità.
E allora - santo cielo! - perché permettiamo che dei prodotti, non di rado giunti da
un’Europa che ci denigra ma nonostante
tutto ancora ci copia, siano definiti tipici?
Ma tipici di che?
Piuttosto non dirmi nulla. Taglia corto, che
tanto forse nemmeno ti chiedo altro, non
aggiungere la parolina magica, oramai
son seduto e li mangio lo stesso. Non dirmi che il salame che sto mangiando è tipico perché stavolta m’incazzo davvero e rischi grosso, rischi che io ti chieda: di puro
suino? Allevato dove? Allevato come? Macellato da chi? Impastato con quali aromi?
Realizzato in base a quale disciplinare?
Nel rispetto di quale tradizione? E i conservanti? Stagionato quanto? Che peso
aveva all’origine? Eccetera.
Io vieterei l’uso di questo odioso e subdolo nomignolo. Se non mi chiedi molti soldi
per un salame mediocre, ciò non ti legittima a confondermi le idee, dimmi piuttosto
con onestà che è industriale, e che male
c’è? Cosa ci sarà di male nell’essere chiari, trasparenti e sinceri una volta tanto?
Se non impariamo la lezione, un po’ ci sta
bene. Ci sta bene se di questo passo ci
considereranno importanti come la Mauritania alle olimpiadi invernali.
Se è questa la nostra predisposizione alla chiarezza, condizione indispensabile
per esigere rispetto, non lamentiamoci
se poi la Merkel, tra le nazioni europee ci
vorrebbe in squadra con la stessa bramosia con la quale da piccoli, alla partita del
pomeriggio sceglievamo il brocco cronico.
Quello che veniva sempre scelto per ultimo, che serviva a fare numero, a fare pari
le squadre, e giocava solo perché sennò
era escluso pure dal gruppo che stava costruendo il fortino di assi.
*Dietro questo pseudonimo si cela
un noto ristoratore bergamasco
cotto da Alan nel forno a legna, la bresaola, il salame tagliato a
punta di coltello, la pancetta, il lardo, il culatello e la giardiniera
fatta in casa, come il pane ed i grissini.
A seguire Tagliatelle di farina macinata a pietra al sugo fresco
di salame e Gnocchi di patate di Martinengo con blu di capra.
E poi assaggi di Loanghina, Fegato con cipolle e Casöla, con
accompagnamento di Polenta di mais rostrato di Rovetta. Si è
bevuto un Valcalepio biologico “Ca’ Verde”, terminando in gloria con un assaggio di buonissime torte casarecce.
Alan e Milena Sartirani, anche in questa serata, hanno mandato in onda la ricerca di materie prime d’eccellenza e, soprattutto, la loro grande passione. La gente apprezza e accorre numerosa.
Alan Sartirani alla Cena del Norcino.
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LA BOTTEGA
Lui ex consulente d'azienda,
lei appassionata di minestre: insieme
hanno dato vita alla zupperia
in piazza Pontida. Decine le proposte
in carta, dalla Ribollita
alla Vellutata di zucca fino
alla Pasta e fagioli. Imminente
il servizio di consegna a domicilio
di Leo Bartoli
Da "Sigi" non
è la solita zuppa
P
30
rendete un consulente d’azienda che combatte quotidianamente
all’arma bianca contro la crisi, aggiungete una moglie appassionata
delle più gloriose minestre della tradizione italiana e concludete la ricetta con un pizzico di follia: così è
nata, ormai un anno fa, la Zuppa di
Sigi, che si è già fatto un buon nome
nell’ormai affollata offerta targata
piazza Pontida (per l’esattezza in vicolo dei Dottori), tra locali partenopei
e angoli di Maghreb, tanto che a Bergamo ormai si dice che dopo la “pizzamania” e la “polentamania” sia
ormai scoppiata la “zuppamania”.
Un’idea che parte dalla passione per
le cose buone della proprietaria Simona, che insieme al marito Nereo
Bacci, ha affrontato quest’avventura arrivando da tutt’altre esperienze.
Ma il gusto estetico per la vita era già
forte in loro, lavorando entrambi, un
paio di lustri fa, nientemeno che per
il gruppo Versace. Dall’alta moda alla cucina, le due grandi eccellenze
del made in Italy: di esperienze ne
ha maturate la coppia prima di approdare nel localino nel cuore di Bergamo. “Anche solo tre o quattro anni fa, mai avrei pensato di lavorare
nell’agroalimentare - spiega Nereo -,
ma devo dire che passione e soddisfazioni sono anche maggiori rispetto alle nostre precedenti attività”. A
spingerli tra i fornelli dopo aver lavorato dietro le quinte delle sfilate non
è stata quindi l’impietosa recessione
economica, ma una passione sincera, che anziché attenuarsi col tempo,
continua a crescere. Tutto inizia nel
luglio del 2011, quando Nereo Bacci, dopo l’esperienza (area finanza)
nella maison mondiale con il simbolo della Medusa (e prima ancora in
Trussardi), era diventato consulente
gestionale e finanziario per una società di Bergamo: “Mi chiama al telefono Simona e mi racconta della sua
idea di aprire una zupperia in centro.
La cosa mi è piaciuta subito, perché
aveva il crisma dell’originalità e rispondeva ad un crescente bisogno
di alternative valide al solito panino o alla solita pizza per chi lavora e
all’attenzione diffusa, alla qualità e
alle proprietà nutrizionali di cosa si
mangia. E poi, pensavo, in quasi 15
anni di matrimonio Simona si è sbagliata ben di rado: la sua passione
per la cucina era nata proprio quando ci eravamo conosciuti lavorando
nella sede milanese di Versace: studiava in continuazione nuove ricette.
E l’amore più grande, naturalmente, è sempre stato legato alle zuppe della tradizione”. Così il 24 gennaio 2013 apre “La Zuppa di Sigi”,
dal soprannome dato a Simona da
piccola in famiglia. Un progetto che,
per l’alta specializzazione in un’unica tipologia di prodotto (allargata in
un secondo momento anche ai tortini di verdure e ad alcune torte dolci),
appare subito ad alto rischio, tanto
più se si considera che non era mai
stato sperimentato da altri, né a Bergamo, né altrove. Con quel viavai di
pony express che portano da un capo all’altro della città pizze calde, e
l’invasione in centro dei kebab, i due
ignorano quali margini di penetrazio-
febbraio 2014
FRANCIACORTA,
AUMENTA
LA QUOTA
DELL'EXPORT
Nereo Bacci
con la moglie Simona (a sinistra)
e l'aiutante Alice
ne possano esserci. “Ci confortava
l’idea che un po’ tutti eravamo legati a quei ricordi d’infanzia, con quelle
minestre fumanti che arrivavano nei
nostri piatti dai fornelli della mamma
o della nonna”. Questa reminiscenza
gastronomico-romantica del consumatore medio, unita all’esigenza di
un mangiare più sano, equilibrato e
meno ripetitivo, ha fatto sì che l’idea
decollasse. “Subito ci siamo concentrati sull’asporto - spiegano Simona
e Nereo -: pensando che sarebbero
state le zuppe ad andare dai clienti,
non tanto il contrario. Ma chi viene a
mangiarsi la zuppa nei nostri locali è
comunque il benvenuto”. Anche se
nel 2014 c’è la volontà di rilanciare il
take away, con la consegna delle zuppe a domicilio: “Mangiarsi a casa una
bella minestra portata dai “pony zuppa” di Sigi - aggiunge Nereo - è tutta
un’altra cosa”. Tra le decine di zuppe
in menù, che Simona crea nel laboratorio di Chiuduno e che Nereo, coadiuvato nella somministrazione da
Alice, propone in città alla clientela,
ne abbiamo scelto una cinquina, proponendo anche l’immancabile abbinamento enologico: la Ribollita, classico toscano cui abbinare un Chianti
generoso; la Zuppa di pesce, molto
ricca che sposa bene un Prosecco o
meglio ancora un Vermentino di Gallura; Pasta e fagioli, intensa, da abbinare a un corposo Dolcetto d’Alba.
Accanto a questi tre classici, due minestre più originali come la Vellutata
di zucca, amata dai giovani a cui consigliamo l’ardito abbinamento con un
Gewurztraminer e la saporitissima
Zuppa di fave e patate al timo, innaffiata con un Greco di Tufo d’annata.
“Ma al di là delle ricette più o meno
sfiziose, c’è un ingrediente che ormai
manca alla stragrande maggioranza
delle famiglie italiane e che noi mettiamo invece a disposizione - spiegano Nereo e Simona -: è il tempo.
Qui non parliamo di un piatto cotto
e mangiato o di una pizza che può
essere pronta in 3-4 minuti. Chi conosce un po’ la cucina, sa che per
una minestra fatta “a regola d’arte”
occorrono ore: noi mettiamo questa
variabile a disposizione della clientela abbinando gusto e genuinità alla
praticità di un packaging che consente di acquistare le zuppe e portarsele via, preparandole e riscaldandole
poi in 3 minuti a casa propria. È una
sfida che lanciamo a chi non si vuole arrendersi all’omologazione quotidiana del cibo, che è anche cultura
e amore per le tradizioni. Se infatti
i bergamaschi ritroveranno le zuppe dell’infanzia, il nostro menù è in
grado di accontentare appassionati
e gourmet dal Piemonte alla Sicilia,
dalla Toscana al Veneto, proponendo
zuppe di ogni angolo d’Italia”.
Un anno positivo per il Franciacorta,
che nel 2013 cresce lievemente nel
mercato interno mentre fa registrare
un incremento a doppia cifra della voce
export rispetto al 2012. Le bottiglie
commercializzate superano di poco i
14 milioni, di cui circa 1,3 milioni sono
state destinate all’estero (+14,3% sul
2012) con un’incidenza sul totale delle
bottiglie vendute salita al 9%.
Dall’elaborazione dei dati dall'Osservatorio economico, emerge che il Franciacorta ha avuto un buon incremento
nel numero di bottiglie vendute nel Sud
Italia, sebbene il Nord Italia mantenga il
primato delle vendite.
All’estero, il principale mercato per il
Franciacorta si conferma il Giappone; a
seguire Usa, Germania, Svizzera. Molto
interessanti i risultati ottenuti nel regno
Unito, dove nel 2014 proseguiranno le
attività di promozione e valorizzazione
del brand iniziate nel 2013.
“Quello appena passato è stato un
anno intenso che ci ha visti impegnati
su vari fronti, soprattutto all’estero, per
diffondere la cultura del Franciacorta."
- dichiara Maurizio Zanella, presidente
del Consorzio Franciacorta -. La crescita
nei volumi è stata coerente alle aspettative, anche in considerazione della
difficile congiuntura economica particolarmente grave in Italia, consentendo
di mantenere il prezzo medio di vendita
per bottiglia in linea con quello del
2012 - aggiunge Zanella -. Nel 2014 ci
attende ancora molta strada da fare per
conquistare nuovi consensi all’estero,
soprattutto in mercati che ci stanno seguendo con interesse come Usa, Regno
Unito, Giappone e Svizzera”.
31
IL PREZZO FISSO
Il locale di Vertova ha introdotto
uno scenografico camino dove
si cucinano a vista carne argentina,
texana, blue beef scozzese, angus,
romagnola e bisonte. Alla guida
da trent’anni Carlo Costa e la moglie
Nadia: «Abbiamo aggiunto un po’
di novità ai nostri classici»
Nadia Chioda e Carlo Costa
di Fulvio Facci
D
Una grigliata “Da Leone”
al leone al bisonte passa una bella differenza. Non è che trent’anni fa, nella vecchia trattoria “da
Leone”, con annessa balera, a
Vertova si cucinassero leoni, ben
s’intende. Solo che oggi una delle specialità del locale è il bisonte alla griglia, che diventa perciò una sorta di simbolo di come
tempi e proposte siano cambiati
nel tempo.
«Con mia moglie - racconta Carlo
Costa, chef e patron – abbiamo
rilevato il locale trent’anni fa apportando man mano delle modifiche per migliorarlo. L’anno scorso abbiamo aggiunto una grande
griglia a vista ed è su questa che
cuciniamo, appunto, tanti tipi di
carne come il bisonte del Canada, la carne argentina, la texana,
il blue beef scozzese, l’angus,
la romagnola, esposti in un vero e proprio banco come in macelleria. Tagliate, filetti e costate
hanno incontrato il gusto della
clientela. Abbiamo voluto così
aggiungere un po’ di novità ad
una cucina che si era ormai ben
attestata sui classici».
In effetti, far viaggiare un locale
di queste dimensioni, trecento
coperti distribuiti in più sale e
salette, tra le quali una per fumatori, non è impresa da poco.
Il menù a prezzo fisso di mezzogiorno e i banchetti sono tra gli
assi portanti e la clientela è soprattutto quella fidelizzata. Da
LA PROVA
“Specialisti” nel menù di mezzogiorno
Il menù a prezzo fisso di mezzogiorno è uno dei momenti
fondamentali per il ristorante pizzeria, ora anche grill, Da
Leone a Vertova: un locale che può ospitare sino 300 coperti. E di movimento, grazie anche all’ampio parcheggio,
ce n’è senz’altro.
Su ogni tavolo il menù del giorno stampato offre sempre la
scelta tra sei primi e sei secondi. Troviamo: farfalle al salmone, riso all’inglese, pasta al pomodoro, lasagne alla bolognese, gnocchi verdi del Tirolo e pasta e fagioli tra i primi.
Per i secondi invece la lista propone: bollito misto con salsa
32
verde, ossibuchi con piselli, palombo impanato, bocconcini
allo zola, uova e “scamuscì”, paillard di tacchino ai ferri. Il
contorno è a buffet, ampissimo, di verdure cotte e crude. Il
prezzo di dieci euro comprende primo, secondo, contorno,
acqua e vino a volontà, caffè, dessert (torta di mele o macedonia).
Lasagne alla bolognese, bollito misto (lingua, manzo e cotechino) con salsa verde e contorno di verdure cotte le nostre
scelte per un rapporto prezzo/qualità ottimo, con una nota
particolare per il servizio in sala veramente inappuntabile.
febbraio 2014
Leone è arredato con gusto
e “mise” di ottima qualità.
Oltre alla moglie, Nadia Chioda, ora ci sono le figlie Eva
e Veronica che danno più di
una mano, curando anche
l’immagine sui nuovi mezzi
di comunicazione.
«Facciamo anche pizzeria
– dice Nadia Chioda, che si
occupa prevalentemente del
servizio in sala – ma sentivamo la necessità di dare
un po’ una “scossa” ed abbiamo provato con la grande
griglia, che fa anche molta
scena. Tra le altre novità, abbiamo anche un menù fisso
di pesce a 35 euro, una vera
scorpacciata che è un’altra
alternativa alla nostra tradizione. I piatti di pasta sono
fatti tutti in casa e abbiamo
una serie di portate che bene si accompagnano con
la polenta taragna, un’altra
delle altre nostre specialità:
quindi selvaggina, stracotti
do. A mezzogiorno l’affluenza è alta e si tratta di persone
che spesso hanno fretta, bisogna “pedalare” ma le soddisfazioni non mancano. Le
figlie aiutano ed è un aspetto
che sottolinea la conduzione
famigliare nonostante la dimensione sia notevole».
In effetti, si può definire Da
Leone un bel locale dove nulla è lasciato al caso. Anche il
clima è cordiale. Lo chef Car-
e brasati sono all’ordine del
giorno».
La scelta è ampia e rodata
grazie alla lunga esperienza.
«Con 30 o 35 euro a seconda
di ciò che si beve (c’è anche
un piccola carta dei vini ben
assortita) – prosegue Nadia - si possono mangiare un
buon primo e un buon secon-
lo dopo le 22 di solito esce
dalla cucina a far quattro
battute con i clienti e questo
non è solo un momento di relax ma è anche l’occasione
per raccogliere le opinioni.
E in trent’anni di mestiere si
può ben dire che questo tandem affiatato ne abbia davvero fatto tesoro.
PROPOSTE IN VAL BREMBANA E VAL SERIANA
IN MONTAGNA
TRA CIASPOLATE
E BUONA TAVOLA
RISTORANTE DA LEONE
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chiuso il lunedì
Sono la versione invernale delle sane sgambate in montagna, ecco perché alle ciaspolate si abbinano con sempre
più frequenza ristoratori momenti gastronomici. Anche
nella Bergamasca non mancano occasioni per camminare tra la neve muniti delle speciali racchette (possono
essere indossate e utilizzate da tutti), vivere il fascino della natura e dei paesaggi e gratificarsi con prodotti tipici e
buona tavola.
“Emozioni in quota” è il programma di ciaspolate notturne
proposte dal ristorante Ristorobie ai Piani dell’Avaro di Cusio, in programma sabato 15 febbraio, 15 marzo e 12 aprile. Dopo una passeggiata nel silenzio della notte accompagnati dalla luna si è attesi da cena tipica nell’accogliente
ristorante in quota. Sempre ai Piani dell’Avaro, domenica
2 marzo, Kairos Brembo Emotion propone “Ciaspolando
con gusto”, un’escursione tra le baite d’alpeggio dove si
possono conoscere, gustare e acquistare, tappa dopo tappa, le tipicità della Valle Brembana proposte direttamente
dai produttori.
“Ciaspolate sotto le stelle” è l’iniziativa del Rifugio Trifoglio a Valtorta-Ceresola: sabato 22 febbraio, 15 marzo, 5
aprile. Oltre all’uscita e alla cena tipica, il rifugio propone
offerte di pernottamento con colazione e pranzo per il giorno successivo. A Valtorta il 15 febbraio va invece in scena
“Moon Rider – Serata di luna piena” con la cena al Rifugio
Lecco ai Piani di Bobbio. E se le date non combaciano con
i propri impegni, il Rifugio Monte Avaro a Cusio propone
Ciaspolata e cena tutti i venerdì e sabato, con possibilità di
noleggio e guida. (info: www.altobrembo.it).
La Val Seriana risponde con “Ciaspolate a Valcanale”, organizzate dall’albergo Concorde (ritrovo tutte le domeniche alle ore 8.45 al ristorante e ogni terzo sabato del mese alle ore 18) fino al 16 marzo, ma anche con le aperture
serali per ciaspolatori e scialpinisti del rifugio Vodala agli
Spiazzi di Gromo. Il 15 febbraio c’è la “Ciaspolata al chiaro
di luna” sul monte Farno, che comprende la degustazione
lungo il percorso di prodotti tipici a base di Mais Spinato
con salami e formaggi delle malghe. La luna piena ha ispirato nella stessa data la ciaspolata con cena a Schilpario
sul percorso Fondi-Madonnina dei Campelli,
mentre il 23 febbraio a
Oltressenda Alta c’è la
Ciaspolata alle baite del
Moschel con pranzo convenzionato
(info:
www.valseriana.eu).
33
APPUNTAMENTI
SINO A FINE MARZO
Valle dell’Oglio, menù
della tradizione
in 60 locali
DAL 23 AL 26 FEBBRAIO
ALIMENT: ALLA FIERA
DI MONTICHIARI STAND,
SEMINARI E CONCORSI
Taglia il traguardo della 27esima edizione Aliment,
la rassegna dedicata all’alimentare, alle attrezzature professionali per la ristorazione, l’hospitality e
i servizi alberghieri, in programma dal 23 al 26 febbraio al Centro Fiera di Montichiari (Bs). L’appuntamento si rivolge a bar, ristoranti, catering, food service e alle realtà produttive e distributive, offrendo,
oltre all’esposizione con un’ampia vetrina sul beverage e prestigiose cantine, una serie di eventi enogastronomici, sessioni di live cooking e seminari
formativi utili per l’aggiornamento. Numerose anche le competizioni, a cominciare dal Gran Trofeo
L’iniziativa è consolidata e le possibilità di scelta non
mancano. Sono infatti 60 i ristoranti, le locande, le osterie e gli agriturismo lungo il fiume Oglio che dallo scorso
novembre e sino a fine marzo propongono menù della
tradizione a prezzi speciali (la fascia va dai 20 ai 40 euro) nell’ambito de “Il percorso del gusto della Valle dell’Oglio”, che coinvolge, oltre alla Bergamasca, i territori di
Brescia, Cremona e Mantova. Il corso del fiume diventa la prospettiva di lettura della gastronomia e dei prodotti tipici, che cambiano con il procedere verso
valle. Dai casoncelli si passa ai tortelli di erbe o di zucca, dal coniglio ai bolliti, senza dimenticare i salumi e le diverse interpretazioni del pesce di acqua
dolce. La rassegna è promossa dai Parchi Oglio Nord e Oglio Sud. I menù ed i
prezzi sono riportati dettagliatamente nel volantino pubblicato on line (www.
parcoglionord.it).
In provincia di Bergamo partecipano 14 locali. A Sarnico Ristorante Bèla Eta,
Cascina Boneta, Ristorante Panorama, Agriturismo Cascina Oglio; a Villongo
Trattoria Zucchello; a Credaro Ristorante La Cascina, Trattoria da Mario, Agriturismo La Cascina dei Prati; a Palosco Ristorante Ponte Cherio; a Cividate al
Piano Ristorante Magetta, Ristorante LocoMotiv; a Pumenengo Osteria Finiletti; a Torre Pallavicina Ostello Molino di Basso, Trattoria dell’Angelo. Ma anche tutte le altre proposte sono a portata di mano: un’occasione, quindi,
scoprire sapori, posti e ristoranti. La prenotazione è vivamente consigliata.
IL PRIMO MARZO
BED AND BREAKFAST, PER LA GIORNATA
NAZIONALE UNA NOTTE È IN REGALO
d’Oro della Ristorazione Italiana, che coinvolge Istituti di formazione professionale turistica ed enogastronomica selezionati tra più di 250 scuole di tutto il territorio nazionale. Immancabili pure le finali
provinciali per Brescia e Bergamo del Campionato
italiano Baristi-Caffetteria, mentre la novità è la premiazione di “In… Pizzeria 2013”, il primo concorso
dedicato alle pizzerie bresciane. Sul fronte dolce,
lo spazio è per il “Concorso per il miglior gelato artigianale di qualità”, una gara-spettacolo che metterà a confronto maestri di gelateria da sette regioni
italiane nella preparazione del gusto “bacio”: per
i panificatori, invece, saranno proposte sessioni
tecniche, degustazioni e dimostrazioni a cura del
Sindacato Panificatori di Brescia e Provincia - Associazione Artigiani. Alla manifestazione si affianca Commercial Market Expò, il primo evento in Italia interamente dedicato al comparto automarket.
Info: www.centrofiera.it
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Se per carnevale ci si vuole regalare una fine settimana goloso alla
scoperta di qualche chicca gastronomica o per provare finalmente
quel ristorante di cui si è sentito tanto parlare, è bene segnarsi questa
opportunità. Sabato primo marzo si terrà l’ottava edizione della Giornata Nazionale del Bed and Breakfast, il “B&B Day”, grazie al quale
migliaia di strutture in tutta Italia offriranno gratis una notte a quanti
prenoteranno in quel weekend un soggiorno - di due o più giorni - all'insegna dell'ospitalità familiare. L’iniziativa è ideata da www.bed-andbreakfast.it, portale turistico specializzato nell'ospitalità extra alberghiera, che segnala come l'Italia sia diventata la patria del B&B scalzando, in termini di numeri, altri Paesi e individua nella diversificazione (charme e design,
dimore storiche, centri
storici, giardini e paesaggi, aree metropolitane) uno dei pilastri
del successo di questa
formula.
febbraio 2014
MARCA TREVIGIANA
GLI CHEF INTERPRETANO
IL RADICCHIO IN VERSIONE
“STREET FOOD”
DAL 16 AL 18 MARZO
VENEZIA, IN SCENA
TUTTE LE FORME DEL GUSTO
Tre eventi in concomitanza, questo è Gusto in Scena, manifestazione che torna a Venezia, nella Scuola Grande
San Giovanni Evangelista, dal 16 al 18 marzo.
Il primo “ingrediente” del trittico, ideato da Marcello Coronini, è "Chef in Concerto", congresso di alta cucina che ha
aperto la strada ad un nuovo approccio attento alla salute. Negli anni, il percorso ha sfidato gli chef relatori e i pasticceri a studiare piatti gustosi con ingredienti in grado di
sostituire, attraverso la ricerca e la creatività, prima i grassi, poi il sale e nell’edizione successiva lo zucchero. Il tema della “cucina del senza” viene riproposto quest’anno
attorno a tutti e tre questi elementi di cui spesso si abusa,
una scelta fatta anche in prospettiva dell’Expo che porta
in primo piano il tema della nutrizione.
Altro versante su cui si articola la tre giorni è “I magnifici
vini: vini di mare, montagna pianura e collina”, selezione
che propone cantine “cult” italiane e straniere e valorizza
aree poco conosciute e nuovi produttori e che si abbina
a “Seduzioni di gola: le eccellenze della gastronomia” focalizzata, in particolare, sui prodotti della dieta mediterranea. Completa il quadro Fuori di Gusto, che coinvolge
ristoranti, osterie e gli chef dei grandi alberghi veneziani.
Cocoradicchio è una rassegna nata nel 1988 con l’obiettivo di celebrare il Radicchio
di Treviso e il Variegato di Castelfranco Igp, due gemme del
territorio apprezzate in Italia e
all’estero. Per l’edizione 2014
il gruppo ristoratori Cocofungo e Cocoradicchio, aderenti al Gruppo Ristoratori della
Marca Trevigiana (UnascomConfcommercio), con la colla-
re delle serate che porteranno
in tavola la voglia di divertirsi
e sorprendere degli chef trevigiani. Il carattere spiritoso
ed ironico degli chef protagonisti è sottolineato anche dai
fumetti d’autore firmati Claudio Bandoli che caratterizzano tutta la comunicazione del
progetto, all’insegna della vivacità d’animo e del piacere di
vivere. Dopo la serata di aper-
borazione dei consorzi di tutela dei due prodotti, coinvolge
sei ristoranti in sette appuntamenti gustosi con un obiettivo
preciso, evidenziare la versatilità dell’ortaggio. È così che
per la prima volta la preziosa
cicoria si presenterà in versione “street food”, filo condutto-
tura a Monaco di Baviera, si
torna sul territorio con gli altri
sei appuntamenti, in programma il 14, 21, 26 e 28 febbraio e
il 4 e 5 marzo.
Info:
www.cocofungoradicchio.it
PROMOSSO DAL CFP
Treviglio, il concorso letterario che premia con pane e libri
Il Centro di Formazione professionale di Treviglio dell’Abf
(Azienda bergamasca formazione) non solo organizza corsi
per panificatori e pasticcieri, ha anche scelto di promuovere
una riflessione letteraria e culturale sul pane e la
panificazione varando il suo primo concorso letterario sul tema. L’invito è rivolto agli amanti della
scrittura di tutte le età, chiamati a cimentarsi in un
elaborato che ruoti attorno a questo prodotto, tanto antico e simbolico quanto semplice e quotidiano,
soffermandosi proprio sul consumo giornaliero e
la preparazione artigianale. L’iniziativa è realizzata
in collaborazione con l’Aspan, la cartoleria libreria
Rossetti di Treviglio, la Biblioteca Comunale e l’As-
sessorato alla Cultura della Città di Treviglio. Quattro le sezioni Bambini, Ragazzi, Giovani e Adulti - per ciascuna della quali sarà selezionato un vincitore. In palio non ci sono assegni o trofei,
ma dei buoni acquisto per dieci chili di pane e libri
per 75 euro, un riconoscimento schietto, concreto
e goloso per gli appassionati di parole e buon pane fresco. Ai gruppi-classe dei vincitori delle sezioni
Bambini e Ragazzi sarà inoltre offerta la possibilità
di seguire una lezione teorica e pratica di panetteria
nel laboratorio di panificazione del Cfp di Treviglio.
Il regolamento ed il moduli di partecipazione possono essere scaricati dai siti www.aspan.it e www.abf.
eu (sede di Treviglio/notizie)
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LA CLASSIFICA
Sono oltre trecento i formati prodotti
nel Bel Paese. I tre più amati
dagli italiani, secondo i dati Nielsen,
sono gli spaghetti, le penne rigate
e i fusilli. Nella top ten anche
tortiglioni e farfalle
Pasta, gli italiani
la preferiscono così
L
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a cucina italiana presenta un’enorme e
variegata scelta di ricette di regione in
regione. Il fattore comune che la caratterizza è la pasta: perfetta nella sua semplicità – composta solo da semola e acqua – è in grado di rinnovarsi ogni giorno, grazie agli abbinamenti realizzabili
tra i tantissimi formati e i vari condimenti. Ma tra gli oltre 300 formati prodotti in
Italia, come preferiscono la pasta gli italiani? Certo non la pasta col ketchup, come talvolta si mangia all’estero.
Academia Barilla svela i dieci formati di
pasta più venduti (riportando i dati Nielsen)e per ciascuno propone una ricetta
in grado di esaltarne le caratteristiche.
Nel nuovo libro di Academia, “I love pa-
sta”, i fratelli Barilla dichiarano inoltre
le loro preferenze: i fusilli per Guido, le
casarecce per Luca, gli spaghetti per
Paolo.
1) Il re indiscusso, lo spaghetto: di gran
lunga il più consumato (ha una quota
del 14,4% sui volumi totali venduti in
Italia), è il formato di pasta che maggiormente rappresenta la cultura alimentare italiana nel mondo. Il termine deriva da ‘piccolo spago’ ed è presente in
tutte le tradizioni culinarie regionali, da
Nord a Sud Italia. Sono molto versatili e
si sposano perfettamente con moltissimi condimenti: universalmente preferito
è lo spaghetto al pomodoro e basilico.
febbraio 2014
Una ricetta che ne esalta le caratteristiche è “la carbonara”: piatto classico
della cucina romana; ha tempi di preparazione molto ridotti (10/15 minuti) e i
pochi ingredienti selezionati – guanciale, uova, pecorino romano – sono la garanzia di un piatto gustoso e saporito.
2) Le penne rigate: molto diffuse in tutta Italia (8,5% dei volumi), devono il
proprio nome alla penna d’oca, anticamente utilizzata per scrivere, che era
tagliata in modo obliquo per ottenere
una punta dal tratto sottile. Le penne
sono uno dei rari formati la cui data di
nascita è certa: il 1865, anno in cui un
pastaio genovese brevettò una macchina in grado di tagliare in diagonale – a
forma di penna - la pasta fresca, senza
schiacciarla. Le penne rigate si sposano perfettamente con il sugo “all’arrabbiata”: piatto immancabile nei menù
dei ristoranti italiani di tutto il mondo. È
una ricetta tipica della cucina siciliana,
per realizzarla servono pomodori, aglio,
olio e l’ingrediente da cui deriva il nome
della ricetta: il peperoncino.
3) I fusilli: di derivazione araba, si sono
diffusi dapprima nelle regioni meridionali, da cui partì l’espansione musulmana nel Mediterraneo. Il fusillo - che
deriva dal termine ‘fuso’, strumento
di legno per la filatura a mano su cui
si avvolgeva lo
s p a g h et to p e r
ottenere un filo di
pasta serpentino - si
sposa con moltissimi
condimenti, dai più elaborati ai più semplici, come una dadolata di verdure dell’orto condite con un
filo d’olio extravergine d’oliva,
leggero e colorato (7% volumi).
4) I tortiglioni: specialità dell’Italia
del Sud - in particolare della Campania
– oggi sono presenti in tutte le regioni
italiane. Il nome deriva dal latino popolare tortillare, deformazione di torquere, ovvero girare. Le sue caratteristiche
sono esaltate da sughi saporiti e corposi come l’abbinamento con una fonduta di parmigiano e poche gocce di aceto balsamico (5,6% volumi).
5) Le mezze penne rigate: nella grande
famiglia delle penne, la differenza tra
le varie tipologie è data da spessore,
diametro e lunghezza. Le mezze penne
rigate sono le più corte, ma non le più
piccole: hanno infatti lo stesso diametro delle penne rigate. Molto versatili,
si sposano alla perfezione con sughi
di ogni tipo, e vengono anche utilizzate per insalate fredde di pasta e come
base per pasticci al forno. Per un primo
piatto originale, possono essere abbinate a vongole e ceci: una ricetta insolita e sfiziosa! (5,3%).
6) Gli spaghettini: variante dello spaghetto con il diametro più sottile, perfetti per sughi veloci, leggeri e poco
densi. Tradizionalmente si abbinano
ai sughi all'olio, che non ne appesantiscono la forma guizzante e sottile. Sono perfetti anche per la classica “aglio,
olio e peperoncino”, piatto popolare in
tutta Italia e facile da preparare in poco
tempo (5%).
7) Le bavette: formato antico di origine
ligure, forse già presente nel XIII secolo. La forma schiacciata offre una superficie maggiore per far aderire sughi
e pesti, esaltandone il gusto e il profumo. Sono tipicamente abbinate al pesto alla genovese, una delle più tipiche
salse regionali italiane (3,7%).
8) Le pennette rigate: di spessore più
sottile rispetto alle sorelle maggiori, si
tuffano nel sugo amalgamandosi alla
perfezione. Sono molto utilizzate per
la pasta alla norma, tipica ricetta della
cucina siciliana in cui si esaltano tre ingredienti tipici: pomodori, melanzane e
ricotta salata (2.7%).
9) Le farfalle: hanno molteplici varianti di nome: stricchetti (dal verbo stringere); galani (dal farfallino dello smoking); in Abruzzo e Puglia nocchette
(dalla voce meridionale ‘nocca’, usata
per definire un nastro annodato). Le
ampie ali riescono a trattenere il sugo;
la pinzatura centrale risulta diversamente consistente ed esalta ancora di
più il condimento. Diffuse in tutte le regioni, sono perfette sia per condimenti
robusti, tipici del periodo invernale, sia
per sughi più leggeri e tipicamente estivi, come tonno, pomodorini e olive taggiasche (2.6%).
10) I rigatoni: tipici dell’Italia centro/
meridionale, il nome deriva dalla rigatura presente sulla parte esterna ottenuta grazie all’incisione delle trafile
in bronzo, che permette di assorbire e
raccogliere il condimento. Protagonisti
di uno storico spot Barilla girato negli
anni 80 da Federico Fellini: di fronte a
un menù ricco di piatti dagli altisonanti
nomi francesi, una signora sofisticata
sorprende il cameriere ordinando semplicemente "Rigatoni!!!”. Perfetti per i
pasticci e i timballi al forno, sono adatti anche per sughi da mantecare, come
nella tipica ricetta laziale del cacio e
pepe (2%).
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L’ANGOLO
DEL SINGLE di Marco Bergamaschi
Ricette facili
e veloci per chi
vive da solo,
ma non rinuncia
alla buona cucina
Capita a tutti di vivere per un certo periodo di tempo da soli. E
spesso ciò coincide con la rinuncia ai piaceri della buona
tavola ed è sinonimo di cibo congelato, essiccato, imbustato. Ecco allora qualche idea per preparare ricette
“monodose” da mangiare seduti a tavola o rilassati sul
divano, a seconda dell’umore, per non sentirsi mai più
soli ai fornelli... perché anche mangiare da soli può essere
piacevole.
Ciambella classica
Semplice, ma gustosa
INGREDIENTI
150 g di burro
300 g di zucchero
300 g di farina
180 ml di latte
3 uova
1 bustina di lievito per dolci
un pizzico di sale
PREPARAZIONE
Mettete tutti gli ingredienti nel bicchiere del mixer, frullate per un minuto e versate l’impasto in uno stampo ad anello che precedentemente avete imburrato e infarinato. Fate cuocere a 180° per circa 30 minuti, quindi togliete il dolce dal forno e spolverizzatelo con zucchero a velo. Una volta raffreddata, potete decidere di tagliarla, stando attenti a non romperla, per farcirla con la
marmellata che più vi piace. Ma vi assicuro che è buona anche “al naturale”.
CURIOSITÀ
Di rado mi cimento nella preparazione dei dolci, un po’ perché
sono notoriamente pigro quando si tratta di tempo da dedicare ai fornelli e un po’ perché ritengo che il dessert acquistato in
pasticceria sia quasi sempre più buono e gustoso. Ma il “quasi” è d’obbligo, perché in alcuni casi il dolce fatto in casa non
ha nulla da invidiare a quelli venduti nelle migliori pasticcerie.
Questa ricetta ne è l’esempio lampante: rubata ad un’amica,
che è solita servirla ai tre figli per la merenda pomeridiana, è
molto facile e veloce da preparare e a dispetto della sua semplicità, è realmente buona. Io di solito la preparo quando qualche amico viene a trovarmi alla sera e la bella figura è sempre
assicurata; se poi avanza, la inzuppo nel latte o nel te alla mattina, in alternativa ai biscotti, ma spesso non arriva al giorno seguente. Tra l’altro non necessita di ingredienti particolari e sono pronto a scommettere che in tutte le dispense, anche quelle solitamente sguarnite, zucchero, farina, burro e latte sono
sempre presenti. Al massimo mancherà il lievito, ma sarà sufficiente fare una piccola scorta, per poter preparare questa ricetta ogni volta che arriverà l’ispirazione giusta. Se qualcuno poi è
particolarmente goloso, può tagliare la ciambella a metà e farcirla con la marmellata che più preferisce: va benissimo quella
biologica al gusto di fichi, ma anche il classico gusto di arance
amare ha il suo perché. Se intendete farlo, ricordate di tagliare
la ciambella solo dopo che si è completamente raffreddata. È
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un’operazione che faccio con il “taglia-torte”, un articolo economico venduto nei reparti casalinghi dei supermercati, simile
alle grucce porta abiti, alle cui estremità è legato un filo di acciaio inox. In questo modo l’operazione sarà precisa e la ciambella non rischierà di rompersi. In verità, quando non possedevo un taglia-torte (ho scoperto solo recentemente l’esistenza di
suddetto articolo), usavo la strategia del filo: dopo aver creato
una “traccia” con un coltello sul bordo della ciambella, (in corrispondenza del taglio da effettuare per intenderci), è sufficiente
passare il filo (tenendolo impugnato ai due estremi) sul “solco”
tracciato dal coltello e tirare per tutta la lunghezza della torta.
Unica accortezza, è di essere delicati e di farlo lentamente, per
evitare di spezzare il filo. E la ciambella sarà pronta per essere
riempita di marmellata o perché no, di una golosa crema alle
nocciole o al cioccolato.
Qualità
e convenienza
per mense e ristoranti
Consegne rapide e personalizzate.
Prodotti freschi, surgelati e biologici,
dall’antipasto al dessert
SEDE DI CURNO (BERGAMO)
Via Bergamo 46 - 24035 Curno (BG)
Tel. 035/462861 Fax 035/461151 - 035/618627
infobergamo@alimentarimoretti.it
FILIALE DI CILIVERGHE DI MAZZANO (BRESCIA)
Via Padana Superiore 86-88 - 25080 Ciliverghe di Mazzano (BS)
Tel. 030/2620217 - 030/2620820 - Fax 030/2120215
infobrescia@alimentarimoretti.it
www.alimentarimoretti.it
febbraio 2014
Ortaggi, l’esotico
mette radici
anche a Bergamo
9 771826 772006
40001
Supplemento al n. 6 de “La Rassegna” del 13 febbraio 2014 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. - via Borgo Palazzo 137, Bergamo
Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - ? 2,60
IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO
IN CUCINA
IL PRODOTTO
L'INIZIATIVA
PENNA ALL'ARRABBIATA
La nuova
stagione
della polpetta
Scarola dei Colli,
sono rimasti
in cinque a produrla
Il Polpo d'occhio
delle due
cuoche "volanti"
Bimbi chiassosi
al ristorante?
Occhio ai genitori