Sussidio per riscoprire la bellezza del celebrare

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La prima parte del Sinodo dei giovani – chiamata “fase di verifica” – ha dato la
parola ai giovani impegnati in parrocchia, coinvolti in qualche forma di servizio.
Al termine di questo primo tratto di strada ci siamo chiesti: quale volto di Chiesa
esprimono le nostre comunità cristiane? Che percezione hanno della propria
comunità e quale esperienza reale di Chiesa vivono i giovani che partecipano
più attivamente alla vita della parrocchia?
È interessante e ci fa riflettere il quadro emerso dalle osservazioni raccolte e dalle
discussioni fatte. Le parrocchie presentano ancora una certa vivacità perché non
mancano persone generose che si impegnano. Prevale però la dimensione del
“fare”: un calendario carico di attività, iniziative, appuntamenti e… “tante cose
da fare”. Tutta questa vivacità rischia però di soffocare altre dimensioni della
vita ecclesiale: in particolare la cura dell’interiorità e la qualità delle relazioni
umane tra le persone, i gruppi, le associazioni.
E proprio il centro della vita comunitaria, l’appuntamento più importante per
ogni comunità cristiana – la celebrazione dell’Eucarestia nel Giorno del Signore
– rimane una questione aperta e in gran parte problematica per il mondo
giovanile. Viene considerata spesso come un momento poco sentito e poco
compreso; parole, segni e gesti non comunicano, sembrano lontani dalla vita
delle persone.
D’altro canto, questa prima fase del Sinodo ci ha permesso di monitorare la
situazione delle nostre comunità; un dato interessante è la capillare diffusione
di cori giovanili che animano la Messa. Sembra sia proprio questa la forma più
diffusa di partecipazione e di servizio da parte dei giovani alla vita della comunità
cristiana: anche laddove non ci sono gruppi giovanili, non manca generalmente
la presenza di un coro dove i giovani cantano e suonano.
Questo ingrediente dà sapore alle celebrazioni, purché il servizio liturgico sia
curato bene, secondo certi criteri: canti significativi nel testo e nella musica, che
aiutino ad entrare nel mistero che si sta celebrando, che mettano al centro la
Parola di Dio; nessuna forma di esibizionismo, ma orientare gli sguardi verso
il Signore, accompagnare l’assemblea perché i fratelli lodino insieme il Padre, il
Figlio, lo Spirito.
Da qualche anno, inoltre, i cori giovanili avvertono l’esigenza di rinnovare e
arricchire il repertorio dei canti.
Tutti questi elementi hanno portato la pastorale giovanile e l’ufficio liturgico
a condividere percorsi e proposte. In particolare si è pensato di mettere a
disposizione delle comunità parrocchiali, dei gruppi giovanili e dei cori che
animano le liturgie due materiali:
1. Una raccolta di canti per l’eucarestia e altre
celebrazioni legate all’iniziazione cristiana;
2. Alcune schede per approfondire in gruppo i
significati antropologici e spirituali delle varie parti
della Messa.
Per ulteriori informazioni contattare
l’ufficio diocesano per i giovani (0444-226566; giovani@vicenza.chiesacattolica.it)
Sarà possibile avere anche i contatti con alcune persone preparate, in grado di
accompagnare i gruppi in eventuali percorsi formativi, per riscoprire la bellezza
di celebrare e testimoniare insieme l’amore del Signore.
L’equipe diocesana per il Sinodo dei giovani
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SCHEDA 1
CELEBRARE
Il senso cristiano del celebrare
CERCHIAMO INSIEME
1. TIPI DI CELEBRAZIONI
 Facciamo un elenco di diversi tipi di celebrazioni (non religiose) che conosciamo:
2. COME E’ COSTRUITA UNA CELEBRAZIONE
 Che cosa avviene quando celebriamo ...(descrivere una o due celebrazioni)
 Troviamo degli elementi comuni in queste celebrazioni?
3. CELEBRAZIONI DELLA VITA QUOTIDIANA
E CELEBRAZIONI RELIGIOSE
 Confrontiamo le celebrazioni della vita di ogni giorno o civili e quelle
religiose cristiane: ci sono diversità? quali?
4. PERCHÉ CELEBRARE?
 Alcuni dicono che non ha alcun senso celebrare, è tempo sprecato.
Proviamo a chiederci: perché celebriamo? Può una persona vivere senza
celebrare?
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SCHEDA 1
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SCHEDA 1
1. CELEBRARE
La celebrazione
 Perché quella stretta di mano, quel pranzo particolare, quel brindisi gioioso?
Perché quella riunione, quella manifestazione di folla, quel corteo per le strade?
Qualcosa di importante sta avvenendo: è una celebrazione.
Bere un bicchierino da solo al bar o fare un brindisi con un amico non è
la stessa cosa: questa è una piccola celebrazione.
 Se riflettiamo sulla nostra esperienza, anche coloro che aborriscono le
cerimonie, celebrano: salutano, al bar con gli amici fanno “cin cin”,
festeggiano il compleanno, ... Ci accorgiamo che, sovente e volentieri,
consacriamo del tempo a ciò che è più importante nella vita e lo facciamo
celebrando.
Tanti sono gli avvenimenti che formano il tessuto dell’esistenza
quotidiana; tra questi, ve ne sono alcuni che sembrano condensare
tutto ciò che di grande e di importante ci portiamo dentro. Si tratta di
eventi che richiedono di potersi esprimere in un modo tutto particolare:
esigono di essere “celebrati”.
 Nell’uomo la tendenza a celebrare si manifesta come un bisogno insopprimibile.
Vita, morte, amore, gioie, dolori, conquiste, speranze, libertà, patria,
Dio... tutto questo sentiamo di doverlo celebrare.
Celebriamo ciò che è importante per noi personalmente: compleanno,
laurea, matrimonio...; celebriamo ciò è importante per noi tutti insieme:
la liberazione, il raggiungimento di una meta (entrata nell’Euro), l’unità
della nazione....
 Ma che cos’è una celebrazione?
Proviamo a descriverla.
 è un'azione visibile
Quando si celebra si compiono dei gesti (nel compleanno si
spengono le candeline, nel fare le congratulazioni ci si abbraccia, bacia),
si fanno canti (“Tanti auguri a te...”), movimenti, (battere delle mani,
danzare,). La celebrazione è un’azione, sia pur particolare; non esclude
il pensiero, il cuore, ma non si consuma nella mente o nell’intimità del
nostro cuore; esige di manifestarsi attraverso tutta la persona in azioni
concrete, visibili.
 è un'azione comunitaria
 Quando si celebra ci si riunisce. Da soli non si può celebrare. Il giorno
del mio compleanno non mi chiudo in camera per mangiarmi la torta; il 25
aprile non stiamo a casa cantando Fratelli d’Italia. Per celebrare bisogna
mettersi insieme. La celebrazione è un’azione comunitaria. E’ sempre un
gruppo di persone o un popolo che compie una celebrazione.
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SCHEDA 1
 Questo mettersi insieme per celebrare è importante, perché aiuta a rinsaldare
il vincolo di appartenenza al gruppo, consente di sentirci e di manifestarci come
famiglia, gruppo di amici, comunità, nazione. Celebrare è dire a tutti che ciò che
è avvenuto non è importante solo per me, per noi, ma lo è anche per gli altri; è
chiamare a condividere ciò che sto vivendo o che viviamo. E’ stabilire dei legami, far
emergere una profonda solidarietà.
 è un'azione fuori dell’ordinario, del feriale
 Quando celebriamo si dispone il luogo in un determinato modo (addobbi,
luci, fiori...). Non utilizziamo gli oggetti soliti, ma diversi: la tovaglia e i bicchieri sono
quelli belli...... Ci vestiamo ... “da festa”, “da cerimonia”.
Non ci si preoccupiamo del tempo, di finire in fretta. Usiamo delle frasi o parole non
abituali come i convenevoli (proprie del “con-venire”).
 Tutto questo significa rottura con lo svolgimento abituale dell’esistenza, una
irruzione del diverso e del nuovo nella storia personale o comunitaria. La celebrazione
comporta una parentesi nella vita ordinaria: è un’azione fuori dell’ordinario, del
feriale. Non è dettata dall’interesse, non è finalizzata al produrre, è qualcosa che si
compie all’insegna del gratuito, del disinteresse, del non produttivo.
 porta a vivere qualcosa che tocca le zone profonde della vita umana
Non celebriamo ogni giorno impiegato a costruire la casa, ma quando si giunge al
tetto. Non si celebra una banalità, bensì un valore che ci costituisce come uomini e
ci aiuta a essere più uomini. La celebrazione è sempre provocata da qualcosa che
attinge al senso ultimo della vita e della storia.
Quando si celebra un matrimonio, lo si fa per esprimere il valore che assume l’amore
tra due persone, il valore della fecondità, la speranza che ci protende verso il futuro.
Quando si celebra il lavoro si esaltano la laboriosità, la solidarietà, le conquiste in
campo sociale, la prospettiva d’un futuro migliore. E’, dunque, sempre un valore che
tocca la vita del singolo e della comunità a venire celebrato. La celebrazione porta a
vivere qualcosa che tocca le zone profonde della vita umana.
 produce un'esistenza trasformata
Dopo una celebrazione non siamo più quelli di prima, ci sentiamo diversi. La
celebrazione cambia profondamente la vita degli uomini, è uno di quei momenti
che obbligano a “voltare pagina”.
Se la celebrazione è vissuta con verità, si assisterà a una trasformazione nella qualità
di vita dei partecipanti. Essi ritorneranno alla quotidianità rinfrancati e ricaricati,
come gente che ha riscoperto un senso da vivere.
 è una festa
 Quando si celebra si fa festa. Celebrazione e festa si richiamano a vicenda
come due poli di un’unica realtà, come l’anima e il corpo di un unico organismo.
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 La festa di compleanno è fatta di tanti elementi: al centro ci sono sempre la
torta con le candeline, il canto, gli auguri che danno a tutta la festa il carattere
di una celebrazione. La celebrazione è il centro della festa, il principio ispiratore di
tutte le sue componenti.
SCHEDA 1
2. COME NASCE UNA CELEBRAZIONE
La celebrazione nasce dalla vita e ad essa conduce.
 La celebrazione nasce dalla vita
Per comprendere la celebrazione nella sua genesi potremo distinguere tre momenti,
che ritroviamo anche seguendo l’itinerario fatto dai discepoli di Emmaus
 Il momento dell’avvenimento
I discepoli di Emmaus si scontrano con ciò che non avevano previsto: la morte del
Signore. Non riescono a darsi ragione del fatto, non capiscono come mai sia potuto
accadere un fatto del genere a Gesù. L’avvenimento è così improvviso, forte, che
essi non ricordano quanto il Maestro aveva loro detto: “Dovrò soffrire molto e
morire, ma il terzo giorno risorgerò”. Quando si allontanano da Gerusalemme, la
città del fallimento e delle deluse speranze, essi sono immersi nella notte dei
“non capisco”: “Speravamo che fosse lui a liberare Israele”.
Ogni avvenimento, che sta alla base della celebrazione, all’inizio è sempre qualcosa
di improvviso, di caotico, di indecifrabile. Quando un ragazzo e una ragazza si
incontrano e scatta quel che chiamiamo innamoramento, avviene qualcosa di
rivoluzionario che attende di essere decifrato, chiarito nella sua portata. Può
essere un sentimento passeggero, e allora tutto finirà lì; se invece risulta essere
qualcosa che vuole un cambio di vita, allora si arriverà alla celebrazione; all’inizio
però non lo sappiamo ancora, c’è bisogno di tempo.
 Il momento del riflettere
Dopo il primo impatto, viene il momento in cui riflettiamo su quello che è
avvenuto, ne parliamo con qualcuno, raccontiamo ciò che ci capitato, magari
ripetutamente. E’ il momento in cui cerchiamo di capire, di decifrare: ricostruiamo
l’avvenimento, ci distacchiamo da esso, ne cerchiamo il senso per noi.
Per i discepoli di Emmaus tutto questo avvenne durante il cammino con Gesù . In
un primo momento essi parlano tra di loro, raccontano l’uno all’altro l’evento; fra
loro è come un gioco di specchi: l’uno e l’altro altrettanto tristi e delusi, a vicenda
rinnovano il loro scoraggiamento! Si avvicina Gesù, raccontano nuovamente gli
avvenimenti e arriva il capovolgimento: Gesù spezza lo specchio, introducendo
elementi dimenticati o taciuti; l’avvenimento acquista un nuovo volto, il cuore
comincia a pulsare diversamente. Si fa chiarezza su tutti i fatti, proprio ricorrendo
ad altre “parole”, quelle dei salmi, della legge, dei profeti.
Il ragazzo e la ragazza che si sono innamorati, dopo il primo momento del “colpo
di fulmine”, incominciano a frequentarsi, si parlano a lungo, fino a scoprire che
sono fatti l’uno per l’altro e che la loro vita deve cambiare: è bella se vissuta
insieme.
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SCHEDA 1
Il momento della celebrazione
Dall’avvenimento e dalla riflessione si passa al celebrare. Nell’episodio di
Emmaus, dopo il colloquio con Gesù i discepoli si mettono a cena. Il periodo del
fidanzamento porta alla celebrazione delle nozze.
Dopo la nascita di un figlio, si chiamano gli amici a celebrare: esposizione del
fiocco, brindisi, pranzi... Dopo il ritorno del figliol prodigo, chiarito anche con il
figlio maggiore il senso del ritorno, il Padre invita tutti a far festa...
Questo celebrare è ritrovarsi dentro nell’evento ricostruito dalla parola in modo
nuovo, viverlo nel suo significato ultimo ed impegnativo. La celebrazione
s’innesta sul problema del senso, ultimo e definitivo.
Nella celebrazione i discepoli di Emmaus scoprono il senso del tutto e lo vivono,
vi partecipano e sentono impellente il bisogno di “essere insieme” agli altri
discepoli per dirsi e vivere la nuova situazione. I fidanzati arrivano a dirsi che
bisogna porre un atto - cioè la celebrazione delle nozze - che sia espressione
definitiva del loro donarsi.
 La celebrazione conduce alla vita
 La celebrazione del matrimonio è il momento culmine di un itinerario; pone
fine ad una situazione ma insieme ne inaugura un’altra, quella che si esprimerà
nella vita insieme. La celebrazione è un punto di arrivo ma anche di partenza,
anticipa quello che avverrà. La celebrazione porta ad abbandonare ciò che si era.
Solo a questo prezzo si delinea un nuovo orizzonte, l’avvenire si apre a nuove
possibilità sia sul piano fisico che su quello psicologico, sociale e spirituale.
In Egitto gli Ebrei hanno prima celebrato la loro liberazione nei riti della pasqua
(agnello) e poi l’hanno vissuta come realtà storica. La celebrazione della
liberazione “ha dato la stura” alla liberazione storicamente databile, è stata il
momento iniziale e fondante di tutte le successive liberazioni.
La vita di Gesù è stata tutto un donarsi che ha trovato il suo punto culmine
nell’ultima Cena: nei simboli di un convito, del pane e del vino donati, Gesù offre
la sua vita. Questa celebrazione, a sua volta, ha anticipato la donazione che poi
verrà fatta sul Calvario.
 Anche tutte le celebrazioni cristiane sono momenti culmine e di partenza;
il Concilio Vaticano II parla della celebrazione come “culmine e fonte” di tutta la
vita. La benedizione con cui si conclude ogni celebrazione, - l’ “Andate” alla fine
della messa - , sono parole e gesti che aprono alla vita quotidiana in cui l’evento
celebrato sarà vissuto nelle trame della storia.
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SCHEDA 1
3. CHE COSA CELEBRIAMO?
Da quanto abbiamo detto appare chiaro che la celebrazione ha alla base un
avvenimento: nel compleanno celebriamo la nascita, nel matrimonio si celebra
l’evento della vita a due che incomincia; un popolo celebra l’evento della liberazione
o della nascita della nazione. Nelle sue feste Israele celebra le “le cose meravigliose”
compiute da Dio a favore del suo popolo.
Ogni celebrazione si ricollega ad un avvenimento raccontandolo, ricordandolo,
facendone memoria. Non c’è celebrazione senza un racconto base, un ricordo.
 I cristiani celebrano gli avvenimenti (il racconto) della
loro salvezza
 Quando celebrano, anche i cristiani raccontano. Il loro racconto - il grande
racconto contenuto nella Bibbia - è costituito di tante azioni o gesti compiuti da
Dio per la salvezza dell’uomo; al centro ci sono i racconti di ciò che ha fatto Gesù,
specialmente la sua passione, morte e risurrezione, cioè con la sua Pasqua.
 Tutte queste azioni salvifiche, questi eventi, vengono anche detti “misteri” o
“sacramenti”: ogni singolo evento (quello del Natale, della Pasqua...) è un “mistero”
o “sacramento”, tanto che si dice: mistero del Natale, della Pasqua...; tutti insieme
costituiscono come un grande racconto, l’evento o “mistero della salvezza”.
 Siamo così in grado di capire che cosa vuole dire la frase che dice il sacerdote
all’inizio della messa: “Fratelli, prima di celebrare i santi misteri (cioè, le gesta
compiute da Dio per la nostra salvezza), riconosciamo i nostri peccati”, oppure
“Mistero della fede” (cioè, l’avvenimento della passione morte e risurrezione di
Gesù).
 Per comprendere ancor meglio, analizziamo i “misteri” o “sacramenti” che
formano l’oggetto della celebrazione cristiana. Schematicamente possiamo dire
che ogni celebrazione cristiana
- fa riferimento ad un particolare avvenimento, lo proclama e ricorda,
- lo fa passare al presente,
- vi fa partecipare,
- rimanda ad un successivo compimento finale.
 La celebrazione cristiana
 parte da un racconto
Ogni celebrazione incomincia con la“liturgia della parola”, cioè con la proclamazione
di un racconto tratto dal grande e più complesso racconto della Bibbia. Questo
racconto dice che cosa noi celebriamo in un determinato giorno, ciò che ricordiamo:
ad esempio, a Natale c’è il racconto di Natale per cui diciamo che celebriamo il
Natale, il “mistero del Natale”. Tra tutti i racconti, quello principale e che in un certo
senso li riassume tutti, è quello della Pasqua di Gesù.
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SCHEDA 1
 fa passare al presente quel racconto
- Una storia può essere raccontata in tanti modi.
Quando però i cristiani raccontano la storia della salvezza nella celebrazione, lo
fanno in modo che i singoli avvenimenti siano “in qualche modo presenti” (così si
esprime il Concilio Vaticano II). Essi non sono solo presenti nella nostra mente e
nella nostra immaginazione, ma “stanno” davanti a noi.
Ecco perché si dice: oggi è Natale, oggi è Pasqua. Ciò che sentiamo dire dagli
angeli nel giorno di Natale (“Oggi è nato per voi un salvatore”) o a Pasqua
(“Cristo è risorto) è una vera bella notizia per noi: nel nostro oggi Cristo nasce,
Cristo risorge.
- I vescovi riuniti nel grande Concilio Vaticano II, ci hanno insegnato che dopo
Pentecoste gli apostoli, e con essi la Chiesa, sono inviati nel mondo perché tutti
gli uomini possano venire a contatto con quello che ha detto e fatto Gesù.
“Come il Cristo fu inviato dal Padre, così anch’egli ha inviato gli apostoli, pieni
di Spirito Santo, non solo perché, predicando il Vangelo ad ogni creatura,
annunziassero che il Figlio di Dio con la sua morte e risurrezione ci ha liberati dal
potere di satana e dalla morte e ci ha trasferiti nel regno del Padre, ma anche perché
attuassero, per mezzo del sacrificio e dei sacramenti sui quali s’impernia tutta la
vita liturgica, l’opera della salvezza che annunziavano (= il grande racconto della
salvezza) ....
Da allora (Pentecoste), la chiesa mai tralasciò di riunirsi in assemblea per celebrare
il mistero pasquale: con la lettura di quanto “in tutte le scritture si riferiva a lui”
(Lc 24,27), con la celebrazione dell’eucaristia, nella quale “vengono ripresentati la
vittoria e il trionfo della sua morte”, e con l’azione di grazie “a Dio per il suo dono
ineffabile” (2 Cor 9,15) nel Cristo Gesù, “in lode della sua gloria” (Ef 1,12), per virtù
dello Spirito Santo. (Costituzione Liturgica n.6)
- Ma come è possibile che un avvenimento accaduto tanti anni fa e in un luogo
lontano da noi possa essere “oggi”? Forse che si ripete quell’avvenimento?
- Per comprendere ci spieghiamo con un esempio.
Ogni individuo ha una voce particolare, tutta sua. Le parole che pronuncia si
diffondono per onde nell’aria all’infinito finché non si possono più cogliere, con
i soli orecchi o con gli strumenti oggi a disposizione; sono come disperse o
vaganti nell’etere. Pensiamo allora che uno scienziato costruisca uno strumento
sensibilissimo che riesca a captare tutte le varie voci e parole pronunciate e
disperse, a selezionarle... Col suo strumento riuscirà a udire perfino come
parlavano gli egiziani, gli etruschi..., le parole dette Socrate o da uno dei grandi
della storia..: a questo punto è come se essi gli fossero presenti.
Qualcosa di simile capita in liturgia. Lo “strumento sensibilissimo” che fa in
modo che gli avvenimenti della salvezza siano “oggi” davanti a noi, ciò che ci
mette in comunicazione con essi, si chiama “celebrazione”. Ogni celebrazione
cristiana, (lo strumento costruito con parole, cose, gesti, riti simbolici...) fa in
modo che ciò che è passato, lontano nel tempo, sia oggi, ci raggiunga e noi lo
raggiungiamo.
L’esempio che abbiamo portato ci aiuta a capire solo in parte. Col suo strumento
lo scienziato riesce a raggiungere solo la voce e non la persona e i fatti; nella
celebrazione invece noi riusciamo a metterci in comunicazione anche con la
persona e gli avvenimenti narrati. La celebrazione ha questo potere: renderli
presenti liberandoli da tutto ciò che li lega ad un tempo per farli essere oggi.
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SCHEDA 1
Una ulteriore domanda:
chi aziona questo strumento? Chi fa in modo che ciò che è avvenuto ieri sia oggi?
E’ lo Spirito Santo. Egli ha fatto sì che “Colui che era fuori del tempo” (la seconda
Persona della SS. Trinità) entrasse nel tempo. Infatti nel credo diciamo: Gesù fu
concepito per opera dello Spirito Santo.
Lo Spirito Santo, attraverso la celebrazione, fa sì che non solo “quelli di allora”, ma
anche noi possiamo essere presenti e prendere parte agli avvenimenti. Egli attualizza
tutti i gesti compiuti da Gesù. Per mezzo di lui niente di ciò che Gesù ha fatto e detto
resta lontano, passato, ma tutto è attuale, vivo, per noi e per tutti gli uomini di tutti i
tempi e di tutti i luoghi.
- A questo punto siamo in grado di comprendere l’espressione che abbiamo detto
sopra: gli avvenimenti della salvezza “sono in qualche modo presenti”. Essi sono
ripresentati attraverso la celebrazione per opera dello Spirito Santo.
Non diciamo che si ripetono: Gesù non rinasce un’altra volta nella notte di Natale.
Egli è nato, come è morto e risorto, una volta per tutte: la celebrazione fa sì che noi
possiamo comunicare con l’unico avvenimento del Natale, della Pasqua....
- Possiamo anche comprendere l’altra espressione:
fare memoria, celebrare il memoriale.
Quando noi diciamo che, celebrando, facciamo memoria degli avvenimenti della
salvezza, non vogliano dire che li rendiamo presenti nella nostra mente, ma che
essi, attraverso il modo particolare di ricordare della celebrazione, ci stanno davanti
indipendentemente dalla nostra mente. Essi non sono creati dalla nostra mente,
ma con la nostra fede li scorgiamo presenti. Questo modo particolare di ricordare si
dice anche “celebrare il memoriale”, “fare memoria”.
 fa partecipare a quel racconto
- Gli eventi della nostra salvezza “stanno davanti” a noi non come su di uno schermo;
essi sono ripresentati perché riusciamo ad entrarvi, a prendervi parte. La
celebrazione della Pasqua ripresenta la passione, morte e risurrezione di Gesù, il
suo passare da questo mondo al Padre, ma attende che anche noi entriamo in
questo avvenimento, per passare noi pure da morte a vita. Lo Spirito Santo agisce
nella celebrazione perché avvenga questo congiungimento, e i singoli eventi che
riguardano inizialmente Cristo divengano anche nostri.
- Nella celebrazione non si può restare passivi; dobbiamo lasciarci coinvolgere,
diventare attori “con” e “in” Cristo, parteciparvi.
Nella celebrazione Gesù ci parla, ci vuole guarire, vuol prenderci con sé nella lotta contro
il male...; vuole farci fare la sua esperienza di Figlio, di uomo nuovo. La celebrazione ci
mette in relazione con lui, in comunione con lui. Il racconto della salvezza attende che
noi rispondiamo positivamente e ne entriamo a fare parte come attori.
 rimanda ad una “finale”
- Proprio perché il grande racconto della salvezza vuole coinvolgere noi e tutti gli
uomini di oggi e di domani, non può dirsi ancora finito, attende una finale.
Certo ormai Gesù ha già impresso una svolta alla storia, vi ha immesso una energia
di vita (lo Spirito) che è all’opera; tutto però si svolge quasi nel nascondimento: il
regno è già qui, ma se ne attende la completa manifestazione.
- Ogni celebrazione è presenza e nascondimento di ciò che ancora deve venire, lo
anticipa e insieme lo vela, annuncia che l’evento della salvezza è già qui ma non
ancora svelato. Nella celebrazione il nostro sguardo si volge a futuro: annunciamo e
viviamo oggi la morte e la risurrezione di Gesù in attesa che Egli venga.
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SCHEDA 1
4. CHI CELEBRA
 Chi celebra è una comunità
 La celebrazione non è mai opera di un singolo. Anche per celebrare un fatto
personalissimo come il compleanno, non ci si chiude in camera mangiandosi da
solo la torta; c’è bisogno di farlo insieme a più persone; parimenti gli italiani non
festeggiano la liberazione chiudendosi ciascuno in casa propria cantando l’inno
nazionale.
 Il presidente della Repubblica non può celebrare da solo la festa della
nascita della Repubblica, ma insieme con il concorso di tante gente, ciascuno
con un proprio ruolo. In ogni celebrazione intervengono più persone, e ciascuna
compie una funzione: uno presiede, alcuni cantano, altri compiono dei gesti
simbolici o raccontano...
 Chi celebra è l'assemblea
 Anche la celebrazione cristiana esige la presenza di più persone tra loro
legate dal vincolo della fede, e ciascuna operante secondo un suo particolare
ufficio o carisma.
 Fino a non tanto tempo fa si diceva: “E ‘il sacerdote che celebra”. Del resto
continuiamo a chiamarlo “il celebrante”, la persona che “dice la messa”, cioè la
“sua” messa, come se si trattasse di una sua personalissima proprietà. Sappiamo
come nel corso della storia il sacerdote è arrivato a monopolizzare tutti i ruoli.
Il Concilio Vaticano II ci ha ricordato, superando questa inflazione del ruolo del
sacerdote, che la Chiesa tutta intera esercita quel “culto pubblico integrale” che è
la liturgia cristiana.
 D’altra parte la stessa parola “liturgia” vuol dire “azione del popolo”. Come la
“metall-urgia” è l’attività mediante la quale si ottiene un metallo, così la “lit-urgia”
(“leiton” =popolo + “ergon”=popolo) è l’attività mediante la quale si costituisce
un popolo, il popolo di Dio.
 Chi celebra è perciò
- la chiesa: popolo “convocato”, riunito insieme (“ecclesia”)
- l’assemblea: popolo che sta “insieme” (da “ensemble”).
La chiesa che si manifesta concretamente in una assemblea è il soggetto di ogni
celebrazione.
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SCHEDA 1
 Chi celebra Cristo presente nell’assemblea
 Bisogna però comprendere bene quando si dice che il soggetto della
celebrazione è l’assemblea. Essa è il segno visibile del vero attore invisibile: Cristo
e il suo Spirito. La Costituzione liturgica ci dice:
“Per realizzare un’opera così grande, Cristo è sempre presente nella sua chiesa,
specialmente nelle azioni liturgiche. E’ presente nel sacrificio della messa sia nella
persona del ministro, “egli che, offertosi una volta sulla croce, offre ancora se
stesso per il ministero dei sacerdoti”, sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. E’
presente con la sua potenza nei sacramenti, di modo che quando uno battezza è
Cristo stesso che battezza.
E’ presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella chiesa si legge la
sacra Scrittura. E’ presente, infine, quando la chiesa prega e salmeggia, lui che ha
promesso: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt
18,20). (SC n.7).
 Ciò che noi vediamo con gli occhi fisici è un’insieme di persone riunite
insieme che compiono tutti i gesti propri di una celebrazione. Però agli occhi
della fede chi compie quelle azioni e dà loro valore di salvezza è Cristo. Per
opera dello Spirito Santo in tutti quei gesti è presente Gesù, che parla oggi a noi,
battezza, perdona... salva.
 Soggetto visibile della celebrazione è l’assemblea, ma il soggetto
invisibile è Cristo.
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SCHEDA 1
5. COME CELEBRARE
(il linguaggio della celebrazione)
 Celebrare non è solo riflettere, ma agire. E tale agire avviene tramite
- gesti (alzare le mani, camminare...), che si ripetono ogni qualvolta si compie
“quella” celebrazione; gesti che rappresentano quasi una parola d’ordine per il
gruppo, creando un linguaggio caratteristico che consente a tutti di ritrovarsi
entro un quadro di riferimento ben preciso.
- cose e oggetti simbolici attraverso cui esprimiamo un atteggiamento interiore.
- parole: esplicitano il senso profondo della celebrazione, mentre invitano
e aiutano i partecipanti a entrare dentro di essa per viverla con totalità di
partecipazione.
 Gesti, cose, parole, disposti in una cerca maniera, in una sequenza (vedi il
film) formano il rito, rito simbolico.
La celebrazione si sviluppa usando il linguaggio rituale. Il rito ci spinge più lontano,
spalanca in mezzo a noi gli spazi del mistero, della gratuità, dell’inesprimibile,
quegli spazi nei quali incessantemente cerchiamo di approfondire il problema
del senso della vita, dell’amore, della morte, e dove ci mettiamo ad ascoltare una
realtà più grande di noi, che parla in noi e che noi comprendiamo male.
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SCHEDA 1
6. CHE COSA PRODUCE LA CELEBRAZIONE
 Ogni celebrazione, con il linguaggio che le è proprio e con gli elementi di
cui è costituita, compie un’opera di annuncio. Ha sempre un valore catechistico
 Ma questo non è la sua finalità principale. La celebrazione cristiana opera
nell’intimo dell’intimo dell’uomo portando alla conversione, al cambiamento
interiore, alla vita nuova in Cristo.
 Da questo aspetto fondamentale ne discendono altri. La celebrazione crea
comunione fra i partecipanti, sigilla l’alleanza, fa la chiesa; essa poi impegna
come per esempio nei voti battesimali e nel matrimonio.
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SCHEDA 1
Piste per proseguire la ricerca e il dialogo
1. PER CAPIRE MEGLIO CHE COSA VUOL DIRE CELEBRARE
 Perché celebrare: si elenchino i motivi per cui si va a messa o si celebra un
sacramento (battesimo, matrimonio..) e si veda se essi sono quelli che
dovrebbero presiedere alla celebrazione.
 Chi celebra: quali conseguenze ne derivano dal fatto che soggetto della
celebrazione è l’assemblea? che è il Cristo?
 Che cosa celebrare: Durante la celebrazione si percepisce l’accostamento a
realtà che non sembra possibile attingere altrove: come si avverte questa
sensazione? che relazione ha con il nostro passato e il nostro futuro?
 Come celebrare: quali difficoltà incontriamo nella comprensione del
linguaggio rituale? Come riuscire a superarle?
 Che cosa produce: Dopo una celebrazione [ma anche durante il suo
svolgimento) l’atteggiamento verso gli altri tende a mutare: come e perché?
Perché i momenti più decisivi della vita sociale si caratterizzano per una
accentuata propensione al celebrativo, al rituale?
2. PER EVIDENZIARE IL RAPPORTO TRA CELEBRAZIONE
E VITA DI OGNI GIORNO
 Quotidiano, festa, celebrazione: quali rapporti intercorrono tra queste tre
realtà?
 La partecipazione a momenti celebrativi è esperienza frequente: da che cosa
nasce e come si percepisce la sensazione di soddisfazione o di delusione,
il convincimento di impiegare bene o di sprecare il tempo dedicato a una
celebrazione?
 Proviamo a descrivere e motivare l'attrazione che ogni essere umano avverte
per la celebrazione delle cose importanti della sua vita. Che cosa si rinnova
in noi, quali valori personali profondi si rivivono e a quali condizioni? con
quali risultati?
18
SCHEDA 2
CELEBRARE L’INCONTRO
Diventare l’assemblea del Signore
Incontrerò i figli d’Israele in questo luogo
consacrato dalla mia gloria (Es 29,43).
CERCHIAMO INSIEME
Cerchiamo di scoprire il senso umano e cristiano di tre atteggiamenti fondamentali
1. INCONTRARE . INCONTRARSI
 ci sono diversi tipi di incontro....
 quando due persone si incontrano avviene che... (descrivere ciò che avviene)
 incontrarsi comporta che ... (descrivere gli elementi che caratterizzano un
incontro umano)
 quando i cristiani si incontrano avviene che ...
2. RIUNIRE - RIUNIRSI
 ci sono diversi tipi di riunioni o assemblee....
 quando ci si riunisce in una assemblea avviene che (descrivere ciò che avviene)
 riunirsi comporta che ... (descrivere gli elementi che caratterizzano l’inizio di
una riunione)
 quando i cristiani si riuniscono avviene che...
3. ACCOGLIERE-ACCOGLIERSI
 ci sono diversi tipi di accoglienza....
 quando si accoglie una persona o un gruppo in casa o in una assemblea
avviene che (descrivere ciò che avviene)
 accogliere comporta che ... (descrivere gli elementi che caratterizzano
l’accoglienza)
 quando i cristiani accolgono avviene che...
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20
SCHEDA 2
SCHEDA 2
1. GLI ATTEGGIAMENTI FONDAMENTALI
 Ci lamentiamo che la celebrazione dice poco, è risultata fredda, formale,
esteriore, poco coinvolgente...
Probabilmente la causa è da ricercare nella mancanza di alcuni gli atteggiamenti
di fondo, di disposizioni interiori che sono propri di ogni celebrazione e di ogni
suo momento.
La disposizione fondamentale è quella della fede, ma accanto ad essa ce ne
sono altre che sono esigite dalle singole parti delle celebrazione, da quelle che
possiamo chiamare sequenze rituale.
 Prendendo in esame la sequenza dei riti d’inizio della messa potremo dire
che è importante che i cristiani
- sappiano dar vita ad un vero incontro umano che sviluppi tutte le caratteristiche
dell’incontro autentico tra fratelli di fede,
- si riuniscano, formino una unità per esperimentare e manifestare così la presenza
di Cristo nella sua chiesa,
- siano capaci di accoglienza, che, con la sua dinamica, le sue forme, i suoi ministeri,
tende a realizzare la verità del raduno umano e cristiano.
 SAPER INCONTRARE - INCONTRARSI
 Incontri
 La nostra vita è popolata di incontri d’ogni genere.
 Ci sono incontri banali, logorati dall’abitudine, misurati col metro
dell’efficienza e dell’utilità, strumentalizzati dall’interesse e dall’egoismo;
incontri frettolosi all’insegna del non c’è tempo; incontri che vorremmo
rimuovere dalla memoria perché responsabili di aver soffocato possibilità di
crescita o di aver infranto qualche progetto.
 Ma ci sono anche, incontri preparati con cura, attesi; incontri qualificati
dalle persone con cui si entra in relazione (personaggi..), dall’affetto che ci
lega, dagli motivi che li determinano...
 Ci sono infine incontri incisi nel ricordo, incontri ai quali pensiamo con
meraviglia e gratitudine perché hanno determinato una svolta decisiva
nella vita. L’ingresso di una persona nell’orizzonte della nostra attesa può
aver suscitato prospettive nuove, scelte impegnative di amore e donazione.
Improvvisamente abbiamo compreso che l’incontro è l’abbraccio di due desideri,
di due persone; è la fine della ricerca, dell’attesa o della lontananza.
Ed è subito festa, nel profondo del nostro intimo.
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 Incontro di Dio con l’uomo
SCHEDA 2
 C’è un incontro che segna definitivamente la vita; finché non si realizza,
la nostra vita rimane sempre attesa, ricerca: l’incontro con Dio.
Non è che noi ci muoviamo incontro a lui. Come nel giardino del paradiso
terrestre, noi fuggiamo e lui ci cerca, ci viene incontro.
Sempre! Come sulla via di Emmaus.
 L’incontro è divenuto una persona: Gesù, Dio-fatto-Uomo.
Egli è l’incontro stupendo e unico di Dio e dell’uomo.
Il Verbo si è fatto carne
e ha piantato la sua tenda tra noi,
e noi abbiamo visto la sua gloria (Gv 1,14).
Fin dalla sua nascita, Dio ci viene incontro in Gesù e noi incontriamo Dio in Gesù.
 In ogni celebrazione Dio ci viene incontro.
 Incontro dell’uomo con Dio
 Raggiunti dall’iniziativa di Dio che ci dice: Alzati e cammina!, l’uomo
diventa capace di camminare in libertà e gioia incontro a Dio.
Un esempio lo abbiano nella festa del 2 febbraio, (Presentazione del Signore
al tempio), detta Festa dell’incontro: Dio viene incontro al suo popolo che
l’attende nella fede e noi andiamo incontro al Cristo nella casa di Dio dove lo
troviamo e lo riconosciamo allo spezzare del pane; gli andiamo incontro con
le nostre lampade accese, come ad una festa di nozze.
 Ogni volta che ci rechiamo ad una celebrazione, Dio ci viene incontro e
noi ci muoviamo verso di lui per incontrarlo.
 Incontrare Dio nell’uomo
 L’incontro con Dio non si esaurisce nella sola dimensione verticale. Dio
è venuto incontro all’uomo condividendone la condizione, mettendovisi
dentro, incarnandosi; da allora condividendo le vicende dei fratelli possiamo
incontrare Dio e testimoniare vicendevolmente la sua vicinanza a ogni
uomo.
 Nel passato si andava alla Messa per incontrare Dio; cioè si privilegiava
quasi esclusivamente il rapporto individuale con Dio. Oggi abbiamo capito
meglio che nella celebrazione incontriamo Dio nell’altro, che l’altro ci fa
incontrare Dio, che mettendoci insieme incontriamo Dio.
Ciascuno di noi testimonia all’altro il Dio che gli si fa incontro; rifiutando l’altro
noi determiniamo l’assenza di Dio.
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 SAPER RIUNIRSI
 Riunirsi
SCHEDA 2
 Conosciamo molti tipi di riunioni o assemblee: quelle politiche, sindacali,
religiose...
Alcune sono numerose, altre più piccole; alcune sono complesse, altre semplici
come quelle di amici; alcune rigide, programmate, altre più spontanee,
occasionali.
Ad alcune si è obbligati, altre sono libere...
 Riunirsi comporta che...
Ogni riunirsi comporta che si mettano in atto alcuni gesti e atteggiamenti
senza dei quali non si può dire che ci sia una riunione.
 Riunirsi comporta che qualcuno prenda l’iniziativa ed inviti, chiami. Per
questo si parla di “con-vocare” (= chiamare ad essere con...), convocazione.
L’iniziativa del riunirci per la celebrazione dell’Eucaristia non è del prete o
di un gruppo di persone: essi sono il tramite, ma chi convoca è il Signore.
 Il riunirsi comporta che più persone “con-vengano” in un sol luogo.
La presenza fisica in un solo luogo è necessaria, è l’elemento minino
(vedi riunione su un tram) ma non basta; ciò che più conta è essere uniti
spiritualmente.
Delle prime riunioni cristiane è detto che tutti coloro che erano venuti alle
fede avevano “un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32).
 Ciò che fa l’unità di ogni riunione, oltre al luogo, è il movente che sta alla
base: affari, amicizia, festa, religione....
Ciò che, come cristiani, ci muove a riunirci non è primariamente l’amicizia
o altro movente umano; riunendoci rispondiamo a Dio che ci convoca per
celebrare e rivivere ciò che Gesù ha fatto per noi.
 Ci sono riunioni in cui siamo piuttosto passivi, spettatori, come quando si
va al cinema o a teatro; altre in cui si partecipa, anzi si vuole la partecipazione,
come in una riunione di amici o di affari.
Noi cristiani non ci riuniamo per assistere alla messa, ma per parteciparvi. Non
si tratta di una partecipazione solo visibile (ai canti, ai gesti..), ma interiore:
esprimere la fede, offrire e offrirsi, ringraziare....
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 SAPER ACCOGLIERE
SCHEDA 2
 Accogliere
 Ci sono vari modi di accogliere: freddamente, formalmente,
calorosamente, sinceramente...
 Anche l’accoglienza che avviene in una celebrazione può essere fredda,
formale, calorosa, sincera
 Accogliere comporta che..
 In ogni riunione o incontro c’è sempre un servizio di accoglienza. L’arrivo di
un capo di stato incomincia con un insieme di gesti che indicano accoglienza;
l’invitato ad una festa è accolto da persone che cercano di metterlo a suo agio,
gli presentano gli altri invitati...
Quando un cristiano arriva per la messa è accolto dagli altri e accoglie gli altri.
In alcune chiese c’è un servizio di accoglienza: persone incaricate di dare il
benvenuto, dare informazioni, portare al posto, consegnare il libretto... Tra di
loro ci può essere anche chi presiede quale padrone di casa.
E’ importante però che anche tra tutti coloro che prendono parte alla
celebrazioni pongano dei gesti che dicono accoglienza reciproca: saluto,
stretta di mano...
In tutti questi gesti - sia dei partecipanti alla celebrazione che del suo
presidente - si rende visibile e concreta l’accoglienza di Dio: come è il Signore
che invita è anche lui che accoglie.
 Perché l’accoglienza sia autentica è necessario avere alcuni atteggiamenti
interiori: aprirsi all’altro, fare spazio all’altro, far attenzione all’altro, alla sua
situazione, fare conoscenza dell’altro, non escludere nessuno...
Se questo lo si dice per ogni autentica riunione umana, tanto più deve avvenire
nell’assemblea cristiana. Il motivo è dato dal fatto che chi accoglie è il Signore,
il quale davvero si apre a noi, ci fa spazio, fa attenzione a noi, ci conosce, non
esclude nessuno. Tutto questo si realizza attraverso la testimonianza delle
nostre persone.
 Accogliere per diventare assemblea, chiesa...
 Se riusciamo a mettere in atto l’accoglienza reciproca diventiamo
- una assemblea cioè popolo che sta insieme,
- la più vera manifestazione della Chiesa cioè di popolo accolto da Dio e
accogliente.
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2. CELEBRARE L’INCONTRO IL RIUNIRSI - L’ACCOGLIENZA
SCHEDA 2
gesti e parole (i riti di introduzione)
 Quando ci incontriamo, ci riuniamo, o accogliamo una
persona avviene che...
 Quando degli amici si incontrano o si riuniscono
- si scambiano delle parole di saluto, esprimendosi reciprocamente
fiducia, gioia;
- compiono dei gesti (strette di mano, baci...) che vogliono tradurre
l’amicizia e la felicità dell’incontrarsi, del trovarsi insieme
- dicono il movente per cui ci si riunisce, si desidera stare insieme;
- eventualmente si chiedono scusa se c’è qualcosa che non va.
- se si tratta di cose di un certo rilievo, c’è chi prepara tutto il necessario.
 Qualcosa di simile avviene per noi cristiani quando, accogliendo l’invito
di Dio, ci incontriamo per celebrare. Attraverso parole e gesti facciamo il rito:
dell’incontro, del riunirci, dell’accoglienza nel quale Dio incontra e accoglie noi
e noi Lui, e ciascuno di noi incontra, accoglie l’altro e Dio nell’altro; attraverso
i nostri gesti diamo vita ad una riunione che si chiama “assemblea”.
 Prendiamo in esame i singoli momenti.
 Prepararsi
 Incontri o riunioni di una certa importanza esigono un tempo di preparazione.
Una preparazione personale innanzitutto. Ci si veste in un modo adatto al
tipo di riunione o incontro: vestito da festa, abito da cerimonia, da lutto.. Si
preparano le cose da dire (gli auguri, i discorsi, i convenevoli) o da fare (gesti,
i regali..). I bambini ripassano la loro poesia, i gesti che faranno...
Si preparano l’ambiente e le cose necessarie per il buon esito dell’incontro, per
rendere gradevole la partecipazione, per coinvolgere.
Prepararsi e preparare le cose è molto importante: fa già intravedere quanto ci
teniamo all’incontro, quanto sono graditi gli ospiti.
Non c’è festa senza preparazione. Prepararla è quasi un assaporarne in
anticipo la gioia, un costruirla nel cuore. Ogni preparazione ravviva il desiderio
e chiarisce l’attesa. Preparare è già celebrare.
 Perché anche la messa risulti incisiva e lasci tracce profonde in noi è
necessario che ognuno si prepari esteriormente e interiormente e, insieme,
predisponiamo ogni cosa (l’ambiente, i libri, i canti...) che sono necessari.
25
SCHEDA 2
L’improvvisazione o il pressappochismo, il giocare al minimo indispensabile
possono portare ad una celebrazione asettica e poco significativa.
Tutto quello che si facciamo è rispondere all’invito
- di Giovanni Battista: “Preparate le strada al Signore che viene” (Lc 3,2-6);
- o all’invito di Gesù: “Andate a preparare per noi la Pasqua, perché possiamo
mangiare” (Lc 22,8).
 L’invito e la convocazione
 Prima di ogni riunione o festa (compleanno, festa di laurea, riunione di
affari) c’è sempre qualcuno che manda un invito a parteciparvi, che convoca (=
“chiama ad essere con”).
Oggi si conoscono molti modi per convocare la gente: a voce, per telefono,
per lettera (le partecipazioni), per mail, sms, per altoparlante, con manifesti,
con spot...
L’invito ci comunica che siamo attesi, che la nostra presenza è gradita.
E’ una chiamata ad essere insieme, ad ascoltare insieme, a fare e dire insieme.
 Per invitare la comunità cristiana alla messa o ad altra celebrazione
vengono suonate le campane oppure vengono affissi dei manifesti con
l’indicazione dell’ora.
Attraverso questi e molti altri modi, chi invita alla messa è il Signore: è lui che
ci attende, ci fa capire come è gradita la nostra presenza, ci vuole insieme per
un’esperienza unica. Egli è il re di cui parla la parabola che manda i suoi servi
a chiamare gli invitati; il suo invito è esteso anche a quelli che prima ne erano
esclusi (Mt 22,1-14; Lc 14,15-24).
 Muoversi verso un unico luogo
(riunirsi, processione di ingresso)
 Per poter incontrare qualcuno o per partecipare ad una riunione, per
rispondere ad un invito, bisogna muoversi dal proprio posto e andare al luogo
convenuto, al “con-vegno”, all’ “assemblea” (essere ‘ensemble’, insieme) .
Questo movimento implica sempre un “uscire” e un “andare verso”, un “entrare”:
è la struttura fondamentale del rito dell’incontro.
Perché ci sia un reale incontro è necessario che ciò che avviene fisicamente
si compia anche interiormente, nel nostro cuore: aprirci, uscire da noi stessi,
andare verso l’altro, disporci ad entrare nel suo mondo.
 Durante il periodo del deserto, su invito di Mosè o dei sacerdoti, gli
Ebrei muovevano dalle loro tende per andare alla tenda del convegno, la
tenda dell’incontro.
Anche noi ogni domenica partiamo dalle nostre case, conveniamo insieme, ci
incontriamo tra noi e con Dio.
Entrando in chiesa facciamo il segno della croce usando l’acqua benedetta: in
questo modo ci riconosciamo come i salvati dall’acqua, i battezzati.
26
Il gesto di incontrarci viene riassunto e simboleggiato in un rito, quello della
processione iniziale del sacerdote con alcuni ministri (chierichetti, diacono...).
In quel piccolo gruppo siamo tutti noi, invitati da Dio, che andiamo incontro
al Signore.
SCHEDA 2
Con la processione iniziale noi dimostriamo che
- siamo un popolo pellegrinante, che va verso l’unità, che fa l’esodo‑pasqua;
‑ siamo un popolo non fermo sul passato, ma che va verso il futuro;
‑ siamo la sposa che va incontro al suo Signore per le nozze eterne, va a sigillare
la nuova ed eterna alleanza nel banchetto di nozze preparato dal Padre;
- la nostra direzione è verso oriente, cioè la luce, la vita (per quanto possibile
le chiese erano orientate verso est, per cui chi, dalla porta centrale, si muove
verso l’altare, percorre un cammino verso oriente).
 C’è anche un altro significato: il sacerdote, oltre che rappresentare tutti
noi, è anche il Signore che viene incontro a noi, sua chiesa; è lo sposo che viene
per le nozze; per questo lo accogliamo in piedi cantando.
 Cantare
(canto di ingresso)
 Quando ci si incontra tra amici si tirano fuori le canzoni tante volte
ripetute e che esprimono qualcosa della nostra vita e manifestano la gioia del
ritrovarsi insieme.
 Anche i cristiani , quando si ritrovano alla domenica, cantano.
E’ un rito molto antico. Un pagano, Plinio il Giovane, scrivendo all’imperatore
Marco Aurelio, descriveva i cristiani come coloro che sono soliti riunirsi in un
determinato giorno e cantare un inno a Cristo: i cristiani sono gente che non
solo dicono ma anche cantano la loro fede.
“I fedeli che si radunano nell’attesa della venuta del loro Signore, sono esortati dall’apostolo
Paolo a cantare insieme salmi, inni e cantici spirituali (cf. Col 3, 16). Infatti il canto è segno
della gioia del cuore (cf. At 2, 46). Perciò dice molto bene sant’Agostino: Il cantare è proprio di
chi ama, e già dall’antichità si formò il detto: Chi canta bene, prega due volte”. (Ordinamento
Generale del Messale Romano = OGMR, n. 39).
 Ci sono vari momenti di canto:
- il canto di ingresso: è di avvio all’incontro
- il canto penitenziale del Signore pietà
- il canto del Gloria: esprime tutta la gamma dei sentimenti dell’incontro
(gioia, grazie a Dio, domanda di perdono..)
 Salutare
(bacio dell’altare, dialogo iniziale)
 Incontrandosi ci si saluta: strette di mani, abbracci, baci, accompagnati
da alcune parole che esprimono gioia, accoglienza, rispetto...: sono le parole e
gesti del “con-venire”, i “con-venevoli”. All’inizio di una riunione c’è sempre chi
saluta l’assemblea.
Se necessario si dice il perché ci si riunisce.
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 Qualcosa di simile avviene anche quando si incontrano i cristiani. Con
gesti e parole noi esprimiamo ciò che crediamo in quel momento: ci riuniamo
per incontrarci con Cristo, a lui manifestiamo la nostra venerazione, da lui
accogliamo la prima parola di saluto.
SCHEDA 2
Innanzitutto quando arriviamo salutiamo i vicini con gesti semplici ( uno
sguardo, un gesto con la mano)...; poi ci sentiamo coinvolti in quello che fa il
sacerdote.
Il sacerdote compie un gesto tipico del salutare, dell’incontrarsi: il bacio
all’altare. Di solito il gesto del bacio viene scambiato tra persone; se lo si compie
verso una “cosa” è perché l’altare finisce di essere una pietra ma è riconosciuto
o scoperto come un simbolo: è Cristo, lo sposo, la pietra fondamentale della
costruzione Chiesa, l’altare vivo del vero sacrificio.
- Si bacia una persona quando esiste una profonda relazione con lei e si è
coinvolti in una storia di vita. Tanti sono i tipi di bacio: dell’amico beneficiato
al benefattore, del fratello grato al fratello che lo ha aiutato, del figlio
riconoscente al genitore che lo ha allevato, della sposa che in esso esprime la
donazione fedele allo sposo e si dispone a essere feconda di lui, del servitore
al suo signore come impegno di servizio fedele e operoso... Tutti questi sensi,
e altri ancora, vuole esprimere il bacio all’altare, non solo del presidente ma,
tramite questi, di tutta l’assemblea.
- E poiché Cristo, simboleggiato dall’altare, è il Capo, il bacio dato a lui finisce
per raggiungere anche tutto il suo Corpo. Nel bacio all’altare il presidente
accoglie con affetto tutti i fedeli presenti e si pone al loro servizio.
 Il dialogo incomincia:
- con il segno di Croce manifestiamo la nostra fede di essere un popolo riunito
dalla croce di Cristo, nel nome‑realtà della Trinità.
- nel saluto del sacerdote (Il Signore sia con voi; La grazia e la pace di Dio nostro
Padre...): è Cristo che saluta il suo popolo; per questo si usano le parole della
Scrittura e non il semplice ‘buongiorno’.
Con la nostra risposta riconosciamo la presenza di Gesù (vedi per questo la
candela accesa, segno della presenza di Gesù Luce).
- nelle parole che seguono (monizione iniziale) dette dal sacerdote o da una
persona guida della celebrazione viene esplicitato con poche parole il movente
o significato dell’incontro, della celebrazione.
 Domandare scusa
(atto penitenziale)
 Capita talora che anche tra amici sorgano malintesi o addirittura ci
si offenda. Se c’è la volontà di continuare nell’amicizia, non si vede l’ora di
incontrarsi per chiarire, per chiedersi scusa.
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 Anche noi, all’inizio della celebrazione, sentiamo la povertà del
nostro amore; non abbiano corrisposto all’amore di Dio e disatteso quello
del prossimo; la Parola di vita che il Signore ci aveva donato nell’incontro
precedente, è rimasta inefficace in noi: lo confessiamo a Dio, ai santi, e a voi
fratelli, sicuri di trovare in tutti l’aiuto per migliorare.
SCHEDA 2
 Ci sono vari modi di farlo: dopo l’invito del sacerdote e alcuni momenti
di silenzio,
- l’assemblea dice una preghiera di confessione (Confesso a Dio...)
- o fa alcune invocazioni a Cristo, concluse da una preghiera del sacerdote. Le
invocazioni sono talora cantate.
- Qualche volta al posto del gesto penitenziale, c’è il rito dell’aspersione: è in
ricordo del nostro battesimo.
 In questo modo l’assemblea‑chiesa mette l’abito nuziale della festa per
partecipare al banchetto delle nozze.
 Manifestare le attese che portiamo dentro
(preghiera detta colletta)
 Gli incontri più belli sono quelli desiderati, quelli in cui possiamo
esprimere le attese che portiamo dentro, ed esse sono accolte e condivise.
 Quando nella messa il sacerdote dice “preghiamo” e vi sono alcuni
momenti di silenzio, noi rientriamo in noi stessi, guardiamo che cosa portiamo
dentro di delusioni e di speranze, i motivi per cui ci troviamo lì, chi è colui che
ci ha invitati....: è come risvegliare le nostre attese e la fiducia in Dio.
 Il sacerdote, interpretando e raccogliendo tutto questo in una preghiera
(detta colletta, cioè “raccolta” di preghiere) esprime con Gesù tutto questo al
Padre.
Tutti noi rispondiamo: Amen, cioè “è proprio così!”, “è questa la nostra fede”.
29
SCHEDA 2
3. DIVENIRE CHIESA
CHE ASCOLTA E FA L’EUCARISTIA
 Nelle spiegazioni poste all’inizio del Messale troviamo questa frase:
“Le parti che precedono la liturgia della parola... hanno un carattere di inizio, di
introduzione e di preparazione.
Scopo di questi riti è che i fedeli, riuniti insieme,
- formino una comunità,
- e si dispongano ad ascoltare con fede la parola di Dio
- e a celebrare degnamente l’eucaristia” (OGMR 46).
 Tutti i riti di inizio (parole, gesti, canti..) hanno uno scopo preciso:
- far divenire assemblea, chiesa, coloro che hanno accolto l’invito e si
sono resi presenti;
- farci scoprire la presenza di Gesù che vuole renderci partecipi della
sua storia.
- disporci ad ascoltare Dio che ci parla e ad accogliere il dono del Pane
della vita eterna.
 Diventare chiesa
 Quanto si compie all’inizio della celebrazione tende a far in modo che tutti i
presenti si riconoscano tra di loro come fratelli nella fede, manifestino di credere
in Gesù e diventino una sola cosa in lui: cioè diventino assemblea, chiesa.
Non è cosa da poco. Per riuscirci si esige che fin dall’inizio cerchiamo di entrare
nel dinamismo della celebrazione.
 Scoprire la presenza di Cristo
 Tutto tende a farci scoprire che nel nostro incontrarci, nel nostro diventare
uno, si rende presente Gesù. Il Concilio Vaticano II dice nella Costituzione
liturgica:
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Cristo è sempre presente nella sua chiesa, in modo speciale nelle azioni liturgiche.
É presente nel sacrificio della messa sia nella persona del ministro, egli che,
offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso per il ministero dei sacerdoti,
sia soprattutto sotto le specie eucaristiche.
É presente con la sua virtù nei sacramenti, di modo che quando uno battezza è
Cristo che battezza.
É presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella chiesa si legge la
sacra Scrittura.
É presente, infine, quando la chiesa prega e loda, lui che ha promesso: Dove sono
due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro (Mt 18, 20) (SC 7).
 Cerchiamo di comprendere quello che ci dice il Concilio.
Ogni assemblea ha
SCHEDA 2
- un aspetto visibile:
- persone riunite
- che compiono determinati gesti (parlare, cantare, battezzare...)
- e un aspetto invisibile:
- in quel essere uniti di più persone che hanno risposto all’invito di
Gesù si rende presente Gesù stesso: l’assemblea è il corpo di Cristo
oggi, diventa chiesa
- nell’insieme dei gesti che si compiono è Gesù stesso che agisce e
opera la nostra salvezza (è lui che parla, battezza....)
In altre parole.
Con il nostro occhio noi vediamo un gruppo di persone che celebrano.
Con l’occhio della fede noi scorgiamo un’unica persona che le riunisce tutte:
Cristo.
Pensiamo ad un procedimento cinematografico di dissolvenza: in un primo
momento vediamo tanti volti, poi, gradualmente questi scompaiono e appare
un solo volto, quello di Gesù.
L’assemblea è costituita da Gesù e da noi uniti insieme dallo Spirito.
 Disporci ad ascoltare e fare l’eucaristia
 Prima di entrare in campo un giocatore si scalda, compie cioè dei brevi
allenamenti che lo dispongono a giocare immediatamente.
Tutto quello che facciamo all’inizio della messa hanno il compito di risvegliare
in noi tutte quelle attitudini che sono necessarie per celebrare con piena
consapevolezza: ascoltare, pregare, offrire....
31
SCHEDA 2
Piste per proseguire la ricerca e il dialogo
1. PER CELEBRARE MEGLIO
 Esaminiamo tutti i vari elementi che costituiscono i riti iniziali:
- sono compresi nel loro significato?
- come sono messi in atto? sono gesti e parole vivi oppure sanno di stanca
ripetitività?
 Esaminiamo le persone ( assemblea, coro, ministri, ....) che entrano nei riti
iniziali: ciascuna fa il suo ruolo? come?
 Esaminiamo in particolare:
- il silenzio
alcuni si lamentano che all’inizio non si fa più silenzio, c’è tutto un chiaccherare,
non si può raccogliersi in preghiera. D’altra parte per incontrarsi, c’è bisogno
almeno di salutarsi. Come è possibile favorire “l’incontro tra le persone” e
creare un clima che faciliti “l’incontro con Dio”?
- la disposizione dei banchi e delle sedie
I banchi o le sedie solitamente sono disposte per file e guardano verso
l’altare. In questo modo facilitano la relazione dei partecipanti con chi
presiede, con il Signore (relazione verticale) ma non facilitano quella con
le persone; basta pensare alla difficoltà del segno di pace: come riuscire ad
armonizzare queste due relazioni?
- i gruppi
Si formano dei gruppi spontanei - spesso di amici - che occupano il solito
posto fisso: impediscono o favoriscono l’unità dell’assemblea?
2. PER EVIDENZIARE IL RAPPORTO CON L’INTERA
CELEBRAZIONE
I riti di introduzione hanno il compito di aprire la celebrazione. Come fare perché
“aprano” realmente a “questa” celebrazione di oggi e non ad una qualsiasi? Dove
e come si può intervenire per operare gli opportuni adattamenti?
3. PER STABILIRE UNA UNITA’ TRA LA CELEBRAZIONE E
LA VITA QUOTIDIANA
 Quando andiamo a celebrare l’eucaristia
- siamo capaci di incontrarci o rimaniamo estranei gli uni agli altri?Perché?
- Che cosa fare per favorire un vero incontro?
- siamo capaci di accogliere Dio che ci viene incontro?
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 Quando ci riuniamo diventiamo una cosa sola, un’assemblea?
- Quali sono gli ostacoli?
- Come riuscire a creare l’assemblea?
SCHEDA 3
CELEBRARE LA PAROLA
Ascoltare Dio e rispondergli
- Esdra... portò il libro davanti
all’assemblea, .... lesse ....
- Tutti ascoltavano con attenzione...
- tutti alzarono le mani e risposero:
“Amen, Amen!”.
CERCHIAMO INSIEME
1. LA LEZIONE DELLA SEGRETERIA TELEFONICA
 Partiamo da una esperienza: telefono ad una persona e mi risponde la
segreteria telefonica:
- che cosa provo?
- come reagisco? quali sono le possibili reazioni?
- perché?
2. IL PERCORSO DELLA PAROLA
 Cerchiamo di delineare il percorso completo della parola, gli stadi o
tappe attraverso cui passa....
3. IL PERCORSO DELLA PAROLA NELLA PRIMA
PARTE DELLA MESSA
 Leggiamo il brano di Neemia (8,1-12):
Nel settimo mese tutti gli abitanti della Giudea partirono dalle loro città e si
radunarono tutti a Gerusalemme nella piazza davanti alla porta delle Acque.
Esdra, esperto nella legge data agli Israeliti dal Signore, fu incaricato di portare il
libro della legge di Mosè.
Il sacerdote Esdra lo portò davanti all’assemblea, composta di uomini, donne
e bambini in grado di capire. Era il primo giorno del settimo mese. Dall’alba
fino a mezzogiorno Esdra lesse il libro davanti a quella folla nella piazza della
porta delle Acque. Tutti ascoltavano con attenzione. Esdra, l’esperto nella legge,
stava su una pedana di legno costruita per l’occasione. Quando Esdra, che era
ben visibile da tutti, aprì il libro, il popolo si alzò in piedi. Esdra lodò il Signore, il
grande Dio, e tutti alzarono le mani e risposero: “Amen, Amen!”. Si inchinarono
fino a terra per adorare il Signore. Poi si rialzarono e alcuni leviti spiegarono al
popolo la legge.....
I leviti leggevano alcuni brani della legge di Dio, li traducevano e li spiegavano
33
SCHEDA 3
per farli comprendere a tutti. La gente sentì quel che la legge richiedeva e si
mise a piangere. Allora intervennero il governatore Neemia, il sacerdote Esdra,
esperto nella legge, e i leviti che davano le spiegazioni. Essi dissero al popolo:
“Questo è un giorno santo, è il giorno del Signore vostro Dio, non dovete essere
tristi e piangere”. Esdra aggiunse: “Dovete far festa, preparate un pranzo con
buone carni e buon vino e mandate una porzione a chi non ne ha. Oggi è un
giorno consacrato al Signore. Non dovete essere tristi, perché la gioia che viene
dal Signore vi darà forza”.
Anche i leviti incoraggiarono il popolo: “Non siate preoccupati: oggi è un giorno
santo, non dovete essere tristi”. Tutti allora andarono a mangiare e condivisero
quello che avevano. Fecero una grande festa perché avevano capito il senso
delle parole ascoltate.
- riusciamo ad individuare il percorso della parola?
- che cosa troviamo di simile nella nostra liturgia della parola?
 Nell’attuale liturgia della parola è rispettato il percorso della Parola o ci
troviamo di fronte ad una “segreteria telefonica”?
4. LE TAPPE O MOMENTI DELLA PAROLA
 Riprendendo i singoli momenti:
- che cosa vuol dire parlare? come avviene la produzione di una parola?
- che cosa vuol dire ascoltare? che operazione bisogna fare? quali condizioni
bisogna creare? quali atteggiamenti avere?
- che cosa vuol dire rispondere? come si risponde?
34
1. IL CIRCUITO DELLA PAROLA
 nella comunicazione umana
SCHEDA 3
 Parlare significa dire qualcosa a qualcuno, mandare dei messaggi; è il primo
momento del comunicare; ma per mettere in comunicazione tra loro persone o
gruppi, è necessario che il messaggio “passi”, che venga trasmesso, capito, che
possa suscitare una risposta; altrimenti non varrebbe la pena di parlare, sarebbe
soltanto “fare molto rumore” per nulla.
 Perché ci sia comunicazione è necessario perciò che la parola compia un
duplice movimento:
* movimento di andata:
- il messaggio che voglio trasmettere ad una persona è concepito
nel mio cuore, nella mia mente; è il momento della nascita, in cui il
messaggio viene formulato in “parole”, frasi...
- le parole vengono pronunciate, espresse dalla bocca (o scritte su un
foglio ) e raggiungono il mio destinatario;
- questi le coglie, le sente con l’orecchio, le accoglie e le fa scendere
nel suo cuore, le ascolta, le medita.
* movimento di ritorno:
- le parole vengono rielaborate nel cuore dell’altro;
- ritornano sulle sue labbra, sotto forma di risposta;
- giungono al mio orecchio, le sento, entrano nel mio cuore, le
ascolto.
 Il movimento può essere riassunto in tre immagini: cuore, labbra, orecchio:
sono i luoghi attraverso cui passa la parola e si genera la comunicazione:
- parlare (bocca)
- sentire - ascoltare (orecchio-cuore)
- rispondere (bocca...)
Per tracciare il percorso della parola, possiamo servirci del grafico seguente
in cui appare chiaramente la centralità del cuore per una vera comunicazione:
cuore
PARLARE
bocca
orecchio
SENTIRE
cuore
ASCOLTARE
cuore
orecchio SENTIRE
bocca
RISPONDERE
cuore
SCOLTARE
cuore
bocca
PARLARE .......
35
 nella comunicazione di Dio con l’uomo
 Anche nella comunicazione tra Dio e noi c’è questo movimento di andata e
ritorno.
Dio parla a noi in molti modi; la sua Parola giunge ai nostri orecchi, scende
nel nostro cuore. Dal nostro cuore viene la risposta, che sale a Dio sotto
forma di preghiera o di azione.
SCHEDA 3
 Nel libro di Isaia leggiamo:
“La mia parola è come la pioggia e la neve che cadono dal cielo e non tornano
indietro senza avere irrigato la terra e senza averla resa fertile. Fanno germogliare
il grano, procurano i semi e il cibo. Così è anche dalla parola che esce dalla mia
bocca: non ritorna a me senza produrre effetto, senza realizzare quel che voglio o
senza raggiungere lo scopo per il quale l’ho mandata”. (Is 55,10‑11)
36
2. GLI ATTEGGIAMENTI
FONDAMENTALI PER COMUNICARE
 Esaminiamo dapprima singolarmente i vari passaggi della comunicazione:
parlare - ascoltare -rispondere. Li possiamo chiamare atteggiamenti o capacità
fondamentali perché l’uomo comunichi con il suo simile.
SCHEDA 3
Anche Dio, volendo comunicare con l’uomo, segue normalmente le leggi della
comunicazione. Certo Lui non è legato solo a questi schemi, usa anche altri mezzi,
perché lo “Spirito”, il grande comunicatore, è come il vento che lo senti ma non
sai da dove viene e dove va” (Gv 3,8).
 In un secondo momento esamineremo se e come tutto questo avviene
anche nella Liturgia della Parola.
 SAPER PARLARE
 Saper parlare comporta che...
 Parlare è uno dei bisogni fondamentali dell’uomo, un segno distintivo
dell’essere uomini.
Parlare comporta che noi ci rendiamo presenti agli altri, usciamo da noi
stessi, entriamo in contatto con gli altri, offriamo loro qualcosa di noi stessi,
stabiliamo un “dialogo”, una “com-unicazione”.
 Per parlare ci occorre:
- renderci presenti a coloro con cui vogliamo comunicare: è fondamentale,
è il primo “segno” che possiamo dare di voler comunicare. Per entrare
in dialogo con chi ci è assente usiamo la parola scritta: lo scritto è un
modo per renderci presenti, e compiere tutte quelle funzioni che fa
la parola orale.
- avere qualcosa da dire (un messaggio da trasmettere). In caso contrario
si fa silenzio. Si prova disagio quando uno parla perché ha la lingua
ma non dice nulla.
- volerlo dire. Se noi non vogliamo manifestare qualcosa, la comunicazione
non può avviarsi, i rapporti restano rotti. Nel volere risiede la capacità
di nascondere alcune cose o addirittura inviare volutamente messaggi
non veri.
- essere capaci e avere i mezzi per dirlo, utilizzando dei mezzi espressivi
che possano essere compresi dai nostri interlocutori (codificare il
messaggio). Per parlare con un cinese dobbiamo usare la sua lingua,
o lui la nostra. La parola però non è l’unico mezzo per comunicare: ci
sono i gesti, le cose... L’artista comunica il suo mondo con i colori e le
immagini, l’architetto con i volumi, il musico con i suoni...
37
- avere qualcuno a cui indirizzarci (destinatario). Se ci blocchiamo
davanti ad una segreteria telefonica è proprio perché intuiamo
che non possiamo raggiungere immediatamente il destinatario del
nostro messaggio. E’ molto triste avere qualcosa da dire e non avere
nessuno con cui dirlo; allora sembra che quello che abbiamo dentro
si dilati senza misura e ci soffochi. Ma non basta: è necessario che
questo qualcuno sia disposto ad ascoltare (non metta giù il telefono
o volti le spalle).
SCHEDA 3
- stabilire delle relazioni. Quando riusciamo a parlare veramente con
una persona, finiamo per “unirci” in qualche modo a lei e lei a noi: si
realizza una “com-unicazione”, una “unione con” lei.
 Dio sa parlare.
 Il Dio dei cristiani è un Dio che parla. Già nell’Antica Alleanza Israele sa di
distinguersi dagli altri popoli perché il suo Dio non è come gli altri dei che “hanno
bocca e non parlano, orecchie e non odono”; “nel suo grande amore egli parla
agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi”.
 Per parlare con noi Dio:
- si rende presente in molti modi, soprattutto in Gesù, la Parola fattasi
uomo. Si rende presente anche con uno scritto (la Bibbia) e con una
“lettera” (2 Cor 3,3) particolare che è la comunità cristiana.
- vuole comunicare con noi. Non è come gli dei dell’Olimpo greco che se
ne stanno a chiacchierare tra loro: è sua gioia stare con noi, parlarci
da innamorato a innamorata.
- ci trasmette un messaggio importante: chi è lui, le intenzioni che ha da
tanto tempo (già prima della creazione del mondo: Ef 1,4) nei nostri
confronti, chi siamo noi per lui, per noi stessi e per gli altri....
- è capace di parlare utilizzando tutti i mezzi espressivi. L’evento di
Pentecoste ci dice che lui vince le barriere della incomunicabilità
e può parlare tutte le nostre lingue; ci parla “con eventi e parole
intimamente connessi” indicandoci così che egli comunica con noi
in molti modi e che le sue parole non sono vuote come spesso sono
le nostre.
- ha come destinatario ciascuno di noi e noi tutti insieme, nessuno
escluso. Anche il Signore però si trova spesso a dover parlare come
davanti ad un muro, a “segreterie telefoniche”, a “cuori di pietra”, a
gente non disposta ad ascoltare, volutamente sorda: è questo il
lamento dei profeti.
- entra in relazione con noi; se noi accogliamo la sua parola, entriamo in
comunione con lui e tra di noi (1 Gv 1,3).
38
 Possiamo riassumere tutto questo con le parole del Concilio Vaticano II°:
“Dio invisibile (cfr. Col 1,15;1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come
ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14‑15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3, 38), per invitarli
e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della rivelazione avviene con
eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella
storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle
parole, e le parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto. La
profonda verità, poi, sia di Dio sia della salvezza degli uomini, per mezzo di questa
rivelazione risplende a noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di
tutta intera la rivelazione” (Costituzione sulla Divina rivelazione, n. 2).
SCHEDA 3
 SAPER ASCOLTARE
 Pensiamo che ascoltare sia un atteggiamento passivo, un semplice ricevere;
è invece un atteggiamento eminentemente attivo perché richiede un’attenta
presenza di sé a sé ed un investimento di tutte le nostre energie in ciò che
stiamo compiendo. Per averne un’idea pensiamo ad un calcolatore: l’ascolto è
paragonabile al momento in cui esso riceve tutti i dati, dà loro una forma secondo
il suo programma, e poi li elabora.
 In sintesi, posso dire di essere capace di ascoltare
- se sento, percepisco bene la parola, senza disturbi; (non sono sordo)
- se decido di aprirmi, accogliere il messaggio, farvi attenzione
(non faccio il sordo)
- se lo interiorizzo, lo faccio mio.
 Saper ascoltare comporta...
 Ascoltare comporta per prima cosa sentire. Nel sentire il suono giunge fino
me e mi tocca; ma si ferma, per così dire, alla soglia, si annuncia semplicemente;
si accontenta di farsi sentire; è importante che non ci siano disturbi. Però sentire
non è ancora propriamente ascoltare. E’ diverso infatti dire: “ho sentito che
suonavi la chitarra” da “Ti ho ascoltato suonare la chitarra”; dire: “Ma sì, non alzare
la voce; ti ho sentito” da: “continua, ti ascolto”.
Nel sentire lascio che il suono o le parole scivolino via; non faccio loro spazio; né
le fermo né mi fermo; mi sfiorano.
 Ascoltare comporta saper aprirsi ed essere disponibili a ricevere la parola, il
messaggio, tutti i dati senza escluderne alcuni. E’ offrire ospitalità; è accogliere
in me, in un certo senso, colui che parla con la sua interiorità e viverla insieme
almeno per un poco. Il sentirsi ascoltati lascia appunto l’impressione di vivere in
un altro o, meglio, di avere qualcuno in cui vivere.
 Per ascoltare è necessario fare attenzione. Posso sentire tante voci insieme
come, per esempio, in una discussione, in un corteo, allo stadio; ma l’attenzione
mi porta a selezionare, a cogliere solo una voce, a escludere gli altri suoni.
L’attenzione è sempre un atto intenzionale; è operare una scelta, è un voler
stabilire un contatto.
Per riuscire ad essere attenti è necessario che io faccia tacere me stesso, e dia la
precedenza all’altro: mi liberi di me stesso e faccia spazio all’altro dentro di me;
dica a colui che mi chiede di ascoltarlo: “Eccomi! Sono qui, a tua disposizione.
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Sono libero; per te. Questo mio tempo è tuo. Te lo regalo. Puoi occupare la mia
mente e il mio animo con ciò che mi vuoi dire”.
Ascoltare è un gesto difficile, un gesto d’amore, un dono.
SCHEDA 3
 Ascoltare comporta essere capaci di elaborare ciò che si riceve: comprenderlo,
interpretarlo, tradurlo nel mio codice. Se ricevo un messaggio in cinese devo
cogliere tutto quello che mi viene detto ed essere in grado di tradurlo in
italiano. Ma non basta; devo metterlo a confronto con altri dati presenti nel mio
elaboratore (il mio cuore, la mia mente), cioè rielaborarli: l’ascolto è il momento
della elaborazione che prepara la risposta.
Con altre parole meno tecniche, è il tempo di conservare e meditare ciò che mi
è stato donato, come Maria che conservava tutto nel suo cuore e lo meditava.
L’ascolto è un fatto di risonanza; per questo è eminentemente personale; non
ci sono due persone che ascoltino allo stesso modo perché non ci sono due
persone che abbiano la stessa interiorità.
 Dio sa ascoltare
 Il nostro Dio sente; non è sordo come gli idoli che “hanno orecchi e non
sentono” (Sal 113b,6): “Chi ha formato l’orecchio forse non sente?” (Sal 93,9), dice
il salmista. Siamo sicuri che il nostro grido giunge ai suoi orecchi (2 Sam 22,7; Sal
17,7). In particolare egli sente le grida dei poveri, le loro proteste (Gc 5,4).
 Ma soprattutto Dio sa ascoltare. Israele ha fatto l’esperienza (Dt 26,7) che
Dio non prende sonno (Sal 120,4), è sempre pronto ad ascoltare, attento al grido
dell’uomo. Giobbe ne resta stupito: “Che è quest’uomo che a lui rivolge la tua
attenzione? (Gb 7,17).
 Anche Dio conserva nel suo cuore ciò che noi gli diciamo. La Bibbia lo
esprime con il vocabolo “ricordare”: Dio è colui che ricorda (Sal 110,5). Ciò che
non ricorda è il peccato di chi si converte a lui (Sal 24,7; Ger 31,34).
 Saper ascoltare Dio
 Il cristiano è chiamato ad essere un uomo in ascolto di Dio, ad essere come
Maria che sceglie di stare seduta ai piedi di Gesù e ascoltarlo (Lc 10,38-42).
L’ascolto mi porta alla fede, a fondare tutta l’esistenza sulla Parola; il discorso
della montagna finisce descrivendo l’uomo che ascoltando Gesù, costruisce la
sua casa sulla roccia (Mt 7,24-27).
 Per ascoltare l’uomo ha bisogno di sentire Dio che gli parla. Spesso però
l’uomo pur udendo i suoi passi sulla terra, non vuole sentire (Gn 3,) è sordo,
oppure si tura le orecchie per non sentire, fa il sordo (Sal 57,5), ha orecchie ma
non ode (Ger 5,21). Gesù si presenta come colui apre le orecchie in modo che
l’uomo possa udire (Mc 7,33).
 Non basta udire, bisogna anche fare attenzione alla Parola come la sposa del
Cantico è attenta alla voce dello sposo (Ct 2,8), accoglierla con gioia (Mt 13,20; Gc
1,21), farla abitare o dimorare in noi (Col 3,16) e custodirla e conservarla (Sal 118,
9.11) meditandola nel cuore (Sal 118,148; Lc 2,19).
 Lo Spirito che abita nel cristiano guida a comprendere la parola.
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 SAPER RISPONDERE
 Rispondere comporta che...
 La comunicazione si interrompe e non compie il suo circuito completo se non
si arriva alla risposta; anzi possiamo dire senza risposta non c’è comunicazione.
Per rispondere è necessario aver capito e interiorizzato il messaggio ricevuto,
volere rispondere e stimare l’altro degno della mia risposta, dare forma al proprio
pensiero e ai propri sentimenti e usare tutti i mezzi espressivi di cui si dispone.
SCHEDA 3
 Rispondere comporta per prima cosa aver capito quanto il mio interlocutore
mi ha detto, averlo fatto mio, meditato. Le risposte più sensate e personali sono
quelle che sono frutto di un ripensamento, quelle che nascono dal “cuore”:
qui prendono forma le parole e i gesti. In certi casi rispondiamo senza troppo
pensarci, istintivamente; diamo risposte improvvisate.
 Rispondere comporta voler rispondere. Se penso che l’altro non merita una
risposta resto in silenzio, non faccio alcun gesto. Certamente anche il silenzio è
una forma di risposta, ma indica solo che io non voglio comunicare, stabilire una
relazione: Il mio stare muto manifesta un giudizio negativo sulla comunicazione
che dovrebbe avviarsi e la interrompe sul nascere. Davanti ad Erode (Lc 23,9)
a Pilato (Mt 27,14) e al sinedrio (Mt 26,63) che lo interrogano Gesù rimane in
silenzio: egli manifesta in questo modo che non c’è da parte degli interlocutori
una vera volontà di ricerca, di dialogo.
 Rispondere comporta avere la capacità di rispondere. A volte, pur volendo
rispondere non ci si riesce perché non si è capaci o mancano i mezzi. Possiamo
rispondere con parole, con canti, con gesti, con azioni, con tutta la persona. A volte
si trova che le parole non sono sufficienti, e si ricorre a gesti o semplicemente
rendendosi presenti e vicini.
 Dio sa rispondere
 Israele ha fatto l’esperienza fondamentale di un Dio che sa rispondere; alla
base della sua storia stanno le parole dette da Dio a Mosé: “...ho udito il grido
del mio popolo a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze.
Sono sceso per liberarlo...” (Es 3,7-8). Dio è colui che capisce e risponde non tanto
a parole ma con i fatti, salvando. L’ultima risposta al grido di salvezza che sale
dall’uomo è la persona e l’opera di Gesù.
 Tuttavia spesso facciamo l’esperienza - almeno così ci pare - di un Dio che
non risponde e con i salmisti diciamo continuamente “Rispondimi, Signore” (Sal
12,4). Egli però continua a ripeterci: “Invocami e io ti risponderò” (Ger 33,3). Alla
fine, guardando la propria vita e l’intera storia ogni uomo di fede può dire, pieno
di stupore: “Con i prodigi della tua giustizia tu ci rispondi, o Dio, nostra salvezza”
(Sal 64,6).
A volte volutamente Dio sta in silenzio e non risponde (1 Sam 28,6.15; Mi 3,4):
è una situazione dolorosa che aspetta di avere i cuori disposti ad accogliere la
risposta.
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 Saper rispondere a Dio
 Quando Dio ci parla dobbiamo cercare di comprendere e meditare ciò che
egli ci dice accogliendo e chiedendo l’azione illuminante dello Spirito; ma non
basta, bisogna avere il cuore disposto a rispondergli; senza questa disposizione,
questa disponibilità e volontà di risposta, l’iniziativa di Dio viene vanificata.
SCHEDA 3
 Noi manifestiamo di saper rispondere
- pregando: preghiera di meditazione, di lode, di ringraziamento, di
professione di fede, di intercessione, di pentimento, di offerta....
- cantando
- mettendoci all’opera: secondo l’insegnamento di Gesù: “Non chi dice
“Signore Signore” entrerà nel regno dei cieli ma chi fa la volontà del
Padre mio” (Mt 7,21)
- assumendo un determinato atteggiamento corporeo (prostrarsi,
inginocchiarsi, alzare o congiungere le mani... ) e compiendo dei gesti
simbolici, dei riti.
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3. CELEBRARE DIO CHE PARLA
AL SUO POPOLO
liturgia della Parola
 IL CIRCUITO DELLA PAROLA DI DIO NELLA CELEBRAZIONE
Struttura della liturgia della Parola
SCHEDA 3
 Perché ci sia una vera comunicazione, anche nella celebrazione la parola
deve compiere un duplice movimento di andata e di ritorno.
Questo circuito lo riscontriamo già in una delle grandi liturgie descritte nel libro
di Neemia (8,1-12). Eccone lo schema fondamentale:
- “Esdra... portò il libro davanti all’assemblea, .... lesse ....”:
proclamazione - labbra
- Tutti ascoltavano con attenzione...”: ascoltare - orecchio-cuore
- tutti alzarono le mani e risposero: “Amen, Amen!”.: rispondere - labbra
 La Liturgia della Parola attuale ripete e adatta quella struttura squisitamente
dialogica:
- prima lettura (proclamazione)
- salmo di risposta (risposta dell’assemblea)
- seconda lettura (proclamazione)
- alleluia (acclamazione a Cristo presente nel Vangelo)
- Vangelo (proclamazione)
- professione di fede - preghiera dei fedeli (risposta dell’assemblea)
 Prendiamo in esame i vari momenti, partendo dalla preparazione o
introduzione alla liturgia della parola
 IL MOMENTO DI PREPARARSI A PROCLAMARE E
ASCOLTARE LA PAROLA
 Disporre il luogo e la luce
 Il luogo della proclamazione della Parola è l’ambone. Se non avviene la
processione con il libro, il Lezionario dovrebbe trovarsi sul leggio, aperto alla
pagina da leggere. E’ bene che l’ambone sia ornato con fiori o, meglio piante
verdi, a simboleggiare il giardino in cui fu sepolto e risorse Gesù.
 A questo momento il leggio viene illuminato: la Parola che viene annunciata
è luce per il cammino del popolo di Dio. I ceri che accompagnano la processione
del libro sottolineano questa simbologia.
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 Disporsi a parlare e ascoltare
 Quando si inizia una conversazione o una conferenza si cerca di predisporre
tutte le cose in modo che la comunicazione possa avvenire nel migliore dei modi.
In particolare si cerca di creare un clima di silenzio che favorisca il percorso della
parola.
Si tratta di una preparazione che coinvolge
- i due interlocutori: posizione che faciliti l’invio e la ricezione dei messaggi;
atteggiamento interiore di volere comunicare e accogliere;
- i mezzi di trasmissione dei messaggi.
SCHEDA 3
 La liturgia della parola inizia con il lettore che si dispone alla proclamazione
della Parola di Dio e l’assemblea che si prepara ad accoglierla.
 Il lettore si dispone a proclamare le letture quale
Parola di Dio
 Terminati i riti che hanno costruito l’assemblea, il lettore si dispone a parlare:
- si muove dal suo posto, fa l’inchino verso il centro (altare, presidente) e
si reca all’ambone
- oppure, se il Lezionario è stato posto sull’altare al termine della
processione d’ingresso, va all’altare, fa l’inchino, prende il libro e lo porta
all’ambone
- il diacono, prima di recarsi a proclamare il vangelo, domanda la
benedizione al presidente della celebrazione; nel rito ambrosiano anche
il lettore delle prime letture si volge dall’ambone al presidente per
ricevere la benedizione.
- in alcune occasioni al momento del Vangelo si fa la processione del
Vangelo: il diacono o il sacerdote prende dall’altare l’Evangeliario e,
accompagnato da ministranti che portano dei ceri accesi e l’incenso, va
all’ambone dove, prima di iniziare, incensa il libro; sono manifestazioni
della fede: la parola che sta per essere proclamata è luce ed è in grado di
riempire e trasformare l’aria che respiriamo e tutta la vita in un profumo,
in un sacrificio piacevole a Dio.
- quando c’è il vescovo, egli si dispone all’ascolto del vangelo prendendo
in mano il pastorale, segno della sua disponibilità a camminare come
pastore e guida del popolo sulla via che indica la parola di Gesù.
 Tutti questi gesti vogliono attirare l’attenzione dell’assemblea e farle
presentire che ciò che sta avvenendo è importante; invitano ad andare oltre
il visibile per cogliere l’evento misterioso di un Dio che parla al suo popolo e
disporsi ad ascoltarlo. Proprio per questi gesti il lettore stesso diventa un “segnopersona”, un simbolo del Signore che fa visita ai suoi discepoli riuniti insieme e
oggi parla loro perché lo ascoltino con cuore libero; grazie al lettore la parola
scritta diventa parola viva del Signore.
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 L’assemblea si dispone ad accogliere la Parola di Dio
 con il silenzio
In ogni assemblea prima di incominciare a parlare è necessario creare un clima
di silenzio.
Così anche nella liturgia della parola: si può iniziare quando sono finiti i rumori e
tutta l’assemblea si è disposta all’ascolto.
SCHEDA 3
Ma non basta un silenzio esteriore; è importante quello interiore del cuore. Se il
cuore è occupato in altri pensieri e sentimenti, la fantasia sta navigando per altri
spazi, è impossibile riuscire a percepire ciò che il Signore ci dice oggi. La parola
sarà sempre come una pioggia; in questo caso non irriga perché cade su una
pietra e non su un terreno capace di assorbirla.
 con il corpo
Non ci si prepara solo con il cuore, ma anche con il corpo: tutta la persona si
prepara all’ascolto. Perciò con molta naturalezza, all’inizio della celebrazione
della parola, l’assemblea assume l’atteggiamento proprio dell’ascolto: seduti
oppure in piedi, a seconda di quello che vogliamo esprimere con quel gesto. Si
tratta infatti di gesti simbolici:
- seduti (prime due letture), come discepoli attorno a Gesù nel discorso
della montagna, come Maria che a Betania lascia stare tutto e siede
ad ascoltare Gesù;
- in piedi (al vangelo) come i risorti, davanti a un messaggio o persona
importante, pronti a partire, a “fare” la parola, a celebrare la Pasqua.
Chi ascolta non può non partire, non diventare diverso: risorto.
 acclamando e cantando
Quando una persona importante fa il suo ingresso in una assemblea, tutti si
alzano in piedi e acclamano, gridano “Evviva!”, battano le mani...
Similmente quando si arriva il momento della proclamazione del vangelo o si fa
la processione con il libro, tutti si alzano in piedi e acclamano, cantando l’Alleluia
a Gesù che viene a parlare nuovamente.
“Alleluia” è una parola ebraica difficile da tradurre, che vuol dire “lode-gloriaevviva a Dio”.
Dato il suo significato, l’Alleluia va cantato; non ha senso dirlo; se non lo si canta
o non c’è il rito della processione, andrebbe omesso (OGMR 63§c).
L’Alleluia può essere ripreso dopo la proclamazione del vangelo come un grido
della fede, un battere delle mani a Cristo che ha parlato.
45
 Il MOMENTO DEL PROCLAMARE LA PAROLA
 Dio si rende presente...
SCHEDA 3
 E’ molto importante sapere chi parla; se per caso non lo conoscessi, io mi
rivolgo al vicino e domando: “chi è colui che sta parlando?”. Per questo nelle
riunioni c’è sempre chi presenta l’oratore all’assemblea.
Nella liturgia della Parola chi proclama la lettura è il lettore, ma non è molto
importante chi egli sia, come si chiami; egli è un “ministro” che non parla di propria
iniziativa e non comunica il suo pensiero; egli rende presente qualcun altro. Il
concilio Vaticano II ci dice che “il Signore è presente nella sua parola, giacché è Lui
che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura”
 Ci siamo detti che per avviare una comunicazione la prima condizione è
rendersi presenti; ebbene, Dio per comunicare oggi con noi nella liturgia, si rende
presente nel lettore; egli è il “segno” della presenza di Gesù; attraverso il timbro
della sua voce, Gesù parla ancora alla sua gente come un tempo alle folle. Perciò
alla fine il lettore dice: “Parola di Dio” indicando così da chi è quella Parola.
 ci comunica ciò che ha fatto e va facendo nella nostra storia
 Nella liturgia della parola ci sono varie letture tratte dall’Antico e dal
Nuovo Testamento, fatte da diversi lettori. Solitamente si stabilisce un rapporto
dall’Antico al Nuovo Testamento, un certo parallelismo. Se le esaminiamo a
fondo, noteremo che le letture sono disposte in modo da risultare una breve
storia che ha nell’Antico Testamento il suo inizio e nel vangelo il suo più profondo
compimento: Dio ci narra quanto lui ha fatto.
 Il fatto centrale di questa storia è la morte e la risurrezione di Gesù. Per
questo anticamente il luogo dove avveniva la proclamazione della parola era
disposto in modo da suggerire che il lettore era come l’angelo che, sulla pietra
ribaltata del sepolcro, annuncia la risurrezione di Gesù. Questo luogo della lettura
è detto “ambone”, cioè un posto alto dove bisogna “salire”.
 ... si rivolge a noi personalmente e come popolo di Dio
 La storia proclamata attraverso le letture non finisce lì; Dio ce la narra
perché vuole che quella storia continui: vuole gettare una luce sulla nostra storia
attuale, interpretarla; il suo intento è realizzare anche tra di noi le “meraviglie”
compiute allora, ciò che avviene nella seconda parte della messa.
 ... vuole entrare in comunione con noi
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 Chi parla vuole entrare in relazione con l’altro. Dio ci parla perché vuole
entrare in intimità con noi. Il suo è un parlare di un amico all’amico, di un padre al
figlio; è uno svelare progetti, da realizzare insieme. Il Concilio ci dice che “nel suo
grande amore Dio parla agli uomini come ad amici (Es 33,11; Gv 15,14-15) e si
intrattiene con essi (Bar 3,38) per invitarli e ammetterli alla comunione con sé”.
 Con l’omelia chi presiede ci aiuta a comprendere e
attualizzare la parola di Dio
SCHEDA 3
 Dopo le letture c’è l’omelia. Chi presiede ha ascoltato anche lui la Parola e
interviene in forza di un particolare mandato per
- farci capire il senso che quella parola aveva per gli uomini di allora e
per noi oggi;
- annunciare che il Signore ha in animo di introdurci in quella storia di
salvezza attraverso i vari riti della messa e farci dono di tutta la grazia
presente in quegli avvenimenti.
 IL MOMENTO DELL’ASCOLTARE
parola dalle orecchie al cuore
 Per ascoltare è necessario che noi
- apriamo gli orecchi: “chi ha orecchi cerchi di capire!” (Lc 8,8);
- facciamo attenzione: “Fate bene attenzione, dunque, a come ascoltate...” (Lc 8,18);
- accogliamo e conserviamo nel cuore la parola
L’ascolto ci porta a far parte del popolo dei beati:“Beati quelli che ascoltano...”(Lc 11,28).
Ascoltare comporta ...
 ... rimuovere ciò che ostacola l’ascolto
 L’ascolto può essere disturbato da mezzi inadeguati messi in atto nella
proclamazione: il lettore legge male, i microfoni non funzionano... Bisogna fare
di tutto per rendere fisicamente possibile l’ascolto.
 Le vere difficoltà però non sono quelle tecniche, esteriori; la difficoltà più
radicale viene dal cuore dell’uomo, perché si chiude in sé stesso, non vede che
se stesso; ciò che impedisce l’ascolto è l’impurità del cuore. Accingendosi alla
proclamazione del vangelo il diacono dice: “Purifica il mio cuore e le mie labbra,
Dio onnipotente, perché possa annunziare degnamente il tuo vangelo”. Alla fine,
baciando il libro, soggiunge: “La parola del vangelo cancelli i nostri peccati”
Ciò che impedisce l’ascolto è anche una certa pigrizia e stanchezza, la
disattenzione e la distrazione, il pregiudizio di saper già tutto..., cioè una certa
indifferenza.
 Guarire un cuore dall’incapacità di ascoltare è un miracolo, cioè un’opera
possibile solo a Dio, un miracolo che è realizzato con Gesù: “i sordi riacquistano
l’udito...” (Is 29,18 e Mt 11,5). Oggi è lo Spirito Santo che ci libera dalla sordità e ci
porta a comprendere quanto Gesù ci dice nel vangelo e in tutta la Scrittura.
47
 ... amare chi mi parla
 Dopo aver proclamato la lettura, il diacono o il sacerdote bacia il libro: è il
gesto dell’amore; ascolta chi sa amare.
SCHEDA 3
 C’è una immagine che ricorre spesso nelle antiche rappresentazioni
egiziane: il re (il Nilo) è seduto in trono e ai suoi piedi sta seduta la regina (la terra);
il re versa l’acqua da una coppa e la regina l’accoglie. Questa immagine traduce
bene l’atteggiamento dell’assemblea cristiana che è seduta mentre dall’ambone
viene proclamata la Parola; è la terra assetata che accoglie l’acqua che la feconda.
Si dice spesso di una persona: “pende dalle labbra di chi gli parla”, “beve ogni
parola”; è l’atteggiamento spirituale di chi ama. Maria, seduta ai piedi di Gesù,
aveva questo atteggiamento di ascolto perché amava.
 dare tempo all’ascolto
 Per ascoltare però c’è bisogno di tempo:
- durante la celebrazione: ecco perché il tempo di silenzio dopo la lettura o l’omelia.
- dopo la celebrazione: la parola accolta viene conservata e meditata lungo la
giornata, la settimana. Il vero senso spesso lo scopriremo a contatto con altre
parole e altri fatti della vita quotidiana.
 conservare e meditare la parola...
L’ascolto non è il momento passivo della liturgia della parola, ma quello
eminentemente attivo dedicato a conservare e meditare la parola. Nell’ascolto
tutta l’assemblea viene coinvolta, partecipa.
Il tempo dell’ascolto ci permette di fare un’opera di sintesi tra le varie letture e di
inserirci nel racconto fino a trovarci coinvolti come attori, partecipi degli eventi
narrati.
Le letture, all’atto della proclamazione, appaiono come tanti segmenti di un
racconto, ma chi le accoglie, le conserva e medita nel suo cuore nel tempo
dell’ascolto arriva a comprenderle come un unico racconto, parti di un unico
progetto. I due discepoli di Emmaus, con l’aiuto di Gesù, ascoltandolo con amore,
sono arrivati a fare una sintesi dell’Antico e del Nuovo Testamento.
Prendiamo ad esempio le letture della prima domenica di Quaresima: il racconto
della tentazione e della caduta di Adamo ed Eva (prima lettura) si unisce a
quello delle tentazioni di Gesù e della sua vittoria (vangelo): là dove Adamo è
stato sconfitto perché non ha voluto ascoltare, Cristo, il nuovo Adamo, che non
vive solo di pane ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio, vince il grande
tentatore. I due racconti diventano due momenti di un’unica storia e la seconda
lettura ne dà il senso complessivo.
Ma non basta. La meditazione ci porta a vederci dentro il racconto, sentirci parte
attiva; nel nostro caso, ci sentiamo protagonisti come Adamo e Gesù; scopriamo
che anche per noi la via della vittoria è quella percorsa da Gesù; seguendo lui
faremo l’esperienza che dove c’è il peccato può sovrabbondare la grazia (seconda
lettura).
48
 Il MOMENTO DEL RISPONDERE
(parola sulla bocca)
SCHEDA 3
Se siamo riusciti a dare ascolto a Dio che ci parla, noi siamo in grado di
rispondere
- acclamando, dicendo grazie, lodando
- facendo risuonare in noi la parola (preghiera di meditazione: il salmo
responsoriale)
- dicendo: “Amen”, “Noi crediamo” (professione di fede: il credo)
- dicendo: “Noi ti preghiamo” (preghiera di intercessione: la preghiera
dei fedeli)
- dicendo: “Ti rendiamo grazie”, narrando, facendo memoria
- dicendo: “Eccomi.. noi lo faremo”
 acclamando, dicendo grazie, lodando
 Quando in una assemblea una persona ha finito di parlare, tutti applaudono
in forma di assenso. A Dio che ci ha rivelato il suo amore, la volontà di farci
partecipe di una bella storia, noi rispondiamo manifestandogli il nostro grazie, la
nostra gioia, talora gridandoglielo.
 Alla fine della lettura, quando il lettore proclama o canta: “Parola di Dio”,
“Parola del Signore”; noi rispondiamo dicendo o cantando: “Rendiamo grazie a
Dio”, “Lode a te, o Cristo”.
Nella seconda parte della messa sviluppiamo questo atteggiamento nella grande
preghiera detta “eucaristica”, cioè di ringraziamento e di lode.
 facendo risuonare in noi la parola
(preghiera di meditazione: il salmo responsoriale)
 A Dio che parla noi rispondiamo con il salmo responsoriale. E’ formato da
alcuni versetti di un salmo i quali vengono cantati o proclamati dal “salmista”. Essi
fanno risuonare in noi la parola ascoltata, ripetendo o sviluppando temi, dando il
calore e l’intuizione propria della poesia, suggerendo la preghiera.
 l salmo è Parola di Dio: perché allora nel rispondere a Dio utilizziamo ancora
la Bibbia?
Dobbiamo riconoscere che non è facile rispondere a Dio che parla. Allora lui
stesso ci viene in aiuto; attraverso lo Spirito che parla nei salmi si fa accanto come
ad un bambino ai suoi primi passi e ci insegna a parlare, a pregare, ci introduce
nella risposta.
 dicendo: “Amen”, “Noi crediamo”
(professione di fede: il Credo)
 Quando nella grande assemblea del tempo di Neemia fu letto il libro della
legge, tutto il popolo rispose: “Amen Amen”. In questo modo essi manifestarono
sinteticamente la loro fede nel Signore e nella sua parola.
Anche noi rispondiamo a Dio con un atto di fede: crediamo che lui ci ha parlato
e accogliamo quanto ci ha detto. Il Credo che pronunciamo è una piccola sintesi
49
di quello che Dio ha fatto per noi, cioè di tutto quello che c’è scritto nella Bibbia
e viene proclamato nelle varie domeniche dell’anno liturgico.
 Ma non è solo con il credo che diciamo la nostra fede; ad esso bisogna
aggiungere anche la preghiera eucaristica e tutti i gesti che si fanno nella
messa.
 dicendo: “noi ti preghiamo”
(preghiera di intercessione: la preghiera dei fedeli)
SCHEDA 3
 Dopo il credo o l’omelia facciamo la “preghiera dei fedeli” o “preghiera
universale”. E’ una preghiera di intercessione che parte dalla parola di Dio
ascoltata: è detta “dei fedeli” perché nasce dall’assemblea dei credenti nutrita
dalla parola; è “universale” perché esprime il cuore della chiesa che tiene presente
tutti gli uomini.
 Preghiamo per la Chiesa universale ( il papa, i vescovi...), per le autorità
civili, per la chiesa locale, per particolari necessità. Con questa preghiera noi
domandiamo a Dio l’aiuto per tradurre in pratica la parola ascoltata, per essere
fedeli ad essa; allarghiamo il nostro orizzonte e chiediamo che questa parola
ispiri l’azione di tutti gli uomini, senza esclusione di alcuno; che tutti arrivino alla
conoscenza della verità e siano salvi.
 narrando, facendo memoria
 La nostra riposta non si conclude con la preghiera dei fedeli; la risposta più
completa la diamo nella seconda parte della messa, celebrando, cioè.
- rinarrando quanto abbiamo ascoltato, facendo memoria,
- rendendo grazie a Dio per quanto ha fatto,
- compiendo dei gesti attraverso cui gli eventi della salvezza narrati e
compiuti “allora” manifestino tutta la loro potenza anche per noi oggi.
 dicendo: “Eccomi.. noi lo faremo”
 Quando Dio parlava i giusti dell’Antico Testamento rispondevano: “Eccomi!”
(1 Sam 3,1-10). Così anche la Madonna all’annuncio dell’angelo.
Quando Dio parlò nel deserto, il popolo d’Israele rispose: “Noi lo faremo”.
 Possiamo dire di rispondere a Dio, se, con il suo aiuto, faremo ciò che egli
ci dice, se riusciremo a tradurre la parola ascoltata in una vita conforme ad
essa.
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Piste per proseguire la ricerca e il dialogo
1. PER CELEBRARE MEGLIO
 Comprensione della Parola di Dio.
SCHEDA 3
La Bibbia è un libro difficile, scritto in un linguaggio diverso dall’attuale. I
fedeli trovano delle difficoltà. Allora, che cosa si può fare perché la Parola di
Dio sia trasmessa fedelmente, in modo comprensibile anche ai non addetti
ai lavori? La traduzione che usiamo è adeguata a questo compito?
 Celebrazione della Parola di Dio.
La prima parte di un’azione liturgica è sempre una “celebrazione della parola”.
Che cosa manca in concreto perché anche nella nostra situazione si possa
parlare di una vera celebrazione?
 Liturgia della Parola e catechesi.
Che differenza c’è tra liturgia della parola e catechesi?
Per la maggior parte dei cristiani l’assemblea domenicale è l’unica occasione
che hanno di essere catechizzati: come viene valorizzata tutta la potenzialità
della Parola di Dio per il nutrimento dei fedeli?
2. PER EVIDENZIARE IL RAPPORTO TRA LA LITURGIA
DELLA PAROLA E QUELLA EUCARISTICA
 Unità fra Parola e Sacramento.
Si è capito nella nostra comunità il legame che esiste fra la liturgia della
Parola e quella sacramentale? Che cosa fare per evidenziare questa unità?
3. PER STABILIRE UNA UNITA’ TRA LA CELEBRAZIONE E
LA VITA QUOTIDIANA
 Ascolto della Parola e impegno.
Ascolto della parola e impegno
Dopo aver ascoltato la Parola di Dio e la predica, si sente dire: “Tutto vero, le
cose dovrebbero essere così, ... ma la vita è un’altra cosa”. Come fare perché la
parola di Dio non rimanga chiusa nelle celebrazioni, ma guidi le scelte della vita
familiare, sociale, scientifica, politica...?
Dio parla per liberare l’uomo: la nostra messa ci porta a trovarci là dove gli uomini
faticano per vincere le varie forme di schiavitù.
Ascolto prolungato
Per essere compresa e portare il suo frutto la parola di Dio va “conservata” e
“meditata” lungo tutto la settimana. Cosa vuol dire “conservare”, “meditare”?
Come fare?
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52
SCHEDA 4
SCHEDA 4
CELEBRARE L’OFFERTA
La presentazione dei doni
“Quando venne il tempo della loro
purificazione secondo la Legge di Mosè,
portarono il bambino a Gerusalemme per
offrirlo al Signore” (Lc 2,22)
CERCHIAMO INSIEME
1. IL CIRCUITO DELL’OFFRIRE
 Descriviamo il percorso della presentazione di un dono: c’è un movimento
di andata e uno di ritorno come avviene con la parola?
2. L’OFFRIRE UMANO
 Pensiamo che cosa avviene quando noi offriamo qualcosa a qualcuno,
facendoci alcune domande:
- chi offre
- come si offre (gesti si fanno..),
- che cosa si offre...
- quando si offre...
- per quali motivi si offre...
- a chi si offre....
3. L’OFFRIRE DI DIO
 Rifacciamoci le stesse domande quando ad offrire è Dio:
- Che cosa offre
- Perché offre.
- A chi offre
4. L’OFFRIRE DELL’UOMO A DIO
 Che cosa avviene quando gli uomini offrono doni a Dio?
- Come offrono
- Che cosa offrono
- Quando offrono
- Perché offrono
5. L’OFFRIRE NELLA MESSA
 Quando alla domenica ci riuniamo, avviene che
- i cristiani offrono...
- Dio offre...
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1. IL CIRCUITO DELL’OFFRIRE
 Il movimento dell’offerta
 Quando offro qualcosa a una persona io esco dalla mia solitudine ed
entro in relazione con lei. Offrire perciò è stabilire relazioni, mettere in atto una
comunicazione.
Offrire implica sempre due agenti: una persona che prende l’iniziativa dell’offrire
e l’altra che riceve il dono e risponde con un gesto di gradimento o di rifiuto.
SCHEDA 4
 Anche la liturgia eucaristica è costituita di un movimento di andata - la
presentazione dei doni da parte dell’assemblea - e uno di ritorno, al momento
della comunione, quando i doni ritornano all’assemblea. In questo movimento si
stabilisce la più profonda relazione tra Dio e noi
 Il primo passo: dall’ “avere per sé”
all’ “offrire all’altro-Altro”
 Per avviare questo movimento è necessario che incominciamo a decentrarci,
ci sbilanciamo verso gli altri, passiamo dal “volere per noi”, dal possedere, al dare
gratuito.
Non è facile oggi. Siamo inseriti in un mondo che ha moltiplicato le risorse
materiali e noi rischiamo di avere come fine il possedere un numero sempre
maggiore di beni materiali. Presi dentro questo meccanismo ci chiudiamo dentro
il cerchio del nostro egoismo.
La vita incomincia quando decidiamo di uscirne e, anziché cercare di avere, ci
sforziamo di donare, di divenire “ministri dell’offerta”.
 La liturgia eucaristica è tutta pervasa dall’inizio alla fine da preghiere, riti e
atteggiamenti che esprimono l’offrire, in un crescendo continuo; essa ci educa
progressivamente ad essere come Gesù, a passare con lui dall’ “avere per sé” all’
“offrire all’altro-Altro”. Approfondiamo che cosa vuol dire offrire.
54
2. L’OFFRIRE UMANO:
quando gli uomini si offrono doni avviene che...
Per capire che cosa avviene nella messa incominciamo a vedere che cosa capita
quando una persona fa un dono ad un’altra; mettiamoci da vari punti di vista
cercando di rispondere a queste domande: chi offre, come si offre (gesti che si
fanno..), che cosa si offre, quando si offre, per quali motivi si offre, a chi si offre...
Sintetizzando, potremo dire:
SCHEDA 4
 Chi offre può essere un amico, un superiore o un suddito, uno che fa il
mestiere dell’offrire (venditore)
La relazione che viene a stabilirsi può essere
- disinteressata, nel segno della gratuità, gioia, festa;
- di sudditanza o superiorità, di paura...;
- di interesse;
 Quando offriamo qualcosa cerchiamo di farlo nel migliore dei modi. Lo sa
il venditore, ma un po’ tutti: quando facciamo un regalo, cerchiamo di abbellirlo,
di impreziosirlo, quasi che il regalo, per essere all’altezza esiga di vestirsi a festa,
essere una cosa bella.
Cerchiamo anche di farlo in un determinato stile, con una certa gestualità
(biglietto, lettura del biglietto...), non sciattamente: offrire vuole essere un’azione
bella.
Possiamo offrire con gioia, per paura, perché costretti...: a seconda di questi
sentimenti i gesti risultano liberi, spontanei, oppure rigidi, compassati, formali.
Alla scuola di Gesù impariamo a dare “gratuitamente” (Mt 10,8), con semplicità
(Rm 12,8), con prontezza (1 Tm 6,18).
Possiamo offrire cose: utili, superflue, che fanno piacere, che servono per la
persona, per il suo lavoro o per i suoi hobby.
A volte la cosa che offriamo acquista un valore più grande del suo prezzo
commerciale, per le circostanze in cui è il dono è fatto o la persona che lo fa, cioè
acquisisce un significato di “segno”, è un “simbolo”.
Spesso, anche senza farcene accorgere, offriamo non cose che si possono
acquistare ma qualcosa di strettamente personale, che solo noi possiamo fare
senza delegare altri: il nostro tempo, la nostra parola, l’ascolto, l’amicizia....,
qualche parte del nostro corpo (il sangue, un rene...)
Ci sono occasioni in cui non possiamo offrire nemmeno la parola, perché ci
sembra inadeguata o inopportuna, come nel caso dei funerali: sentiamo che le
parole sono insufficienti, basta la presenza, la vicinanza.
L’espressione più alta dell’offerta è dare vita. La storia è piena di questi gesti; la
mamma dà la sua vita per la nascita del figlio.
 Ogni momento è buono per offrire e offrirci; alcuni sono prevedibili: feste,
ricorrenze...
Ci sono momenti imprevisti. Il samaritano incontra improvvisamente il
malcapitato; per lui quello è il momento di offrirgli il suo aiuto e pagargli
l’albergo.
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Ciò che determina il “tempo giusto” sono le particolari esigenze della persona, i
suoi ritmi di crescita, le sue tappe, le circostanze della vita.
 Fare un regalo può essere dettato dalle più disparate motivazioni; in generale
si possono ricondurre a due: una in cui l’offerta è apparente, l’altra reale.
E’ apparente l’offerta che faccio per interesse, per essere ricambiato, perché
costretto, per opportunità... In questi casi io non faccio un dono: il destinatario
del dono non è l’altro, ma ancora me stesso.
E’ reale quella che faccio gratuitamente, senza attendere nulla in cambio, quando
il dono è davvero per l’altro, per lui solo, per sempre.
SCHEDA 4
 Destinatario del mio dono può essere un amico, un “superiore” o un “inferiore”.
L’identità del destinatario stabilisce una relazione diversa in base ai sentimenti
che l’accompagnano.
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3. L’OFFRIRE DI DIO:
quando Dio offre avviene che ...
Dio è per natura colui che offre e offrendo entra in relazione con l’uomo, stabilisce
relazioni, comunica con l’uomo
In questo caso chi offre - Dio - è certamente superiore, ma la relazione che
egli vuole realizzare non è quella tra padroni e sudditi, ma di amici (“non vi chiamo
servi ma amici”), di figli (Padre nostro): relazione disinteressata, nel segno della
gratuità, della gioia, della festa;
SCHEDA 4
 Dio ci offre l’intero creato, l’alleanza, la redenzione, con tutto ciò che queste
parole significano: sono tutti doni che promuovono l’uomo.
Ci offre il suo Figlio: “ci ha tanto amato da donarci il suo Figlio” (Gv 3,16)
In Gesù ci fa dono della sua presenza: “io sono con voi tutti i giorni” (Mt 28,20) è
l’ultima parola di Gesù.
In Gesù ci offre la sua vita.: leggiamo la parabola del buon pastore (Gv 10, 11‑18;
Mc 10,45).
Spesso i suoi doni ci vengono attraverso dei simboli: i sacramenti, specialmente
l’Eucaristia.
 Dio offre per amore, gratuitamente, per il nostro bene (per promuovere
la nostra persona, la libertà, ....la vita); non ritira mai i suoi doni, anche se noi
veniamo meno, li usiamo male. Non è mosso da interesse, non vuole suscitare
paura.
Dio offre a tutti, senza eccezioni o particolarismi.
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4. L’OFFRIRE DELL’UOMO A DIO
Dio è per natura colui che offre e offrendo entra in relazione con l’uomo, stabilice
relazioni, comunica con l’uomo.
Quando gli uomini offrono doni a Dio avviene che...
SCHEDA 4
Quando offriamo qualcosa a Dio entriamo in relazione con lui, comunichiamo con
lui. Questo è possibile perché lui per primo si è offerto a noi, ha comunicato con
noi. Il nostro offrire è una riposta a quello che lui ha fatto.
 Davanti a Dio siamo certamente delle creature, perciò a lui inferiori; eppure
il Signore vuole che noi ci poniamo davanti a lui nell’atteggiamento del figlio,
dell’amico, della sposa; cioè, in una relazione di amore: con questo spirito
facciamo la nostra offerta a Dio.
 Offriamo a Dio con gioia (Sir 35,8), riconciliati con lui e con i fratelli: “Se stai
per fare la tua offerta all’altare... va’ prima a riconciliarti”.(Mt 5,23)
 A Dio non possiamo offrire nulla che egli non abbia già. Tutto è suo, per
cui possiamo offrirgli solo le cose che ci ha donato e il frutto del nostro lavoro; gli
offriamo soprattutto il cuore, l’amore, il seguire le sue vie. Egli ci ripete:
“Ascolta, popolo mio, voglio parlare,
... Io sono Dio, il tuo Dio.
Non ti rimprovero per i tuoi sacrifici; i tuoi olocausti mi stanno sempre davanti.
Non prenderò giovenchi dalla tua casa, né capri dai tuoi recinti.
Sono mie tutte le bestie della foresta, animali a migliaia sui monti.
Conosco tutti gli uccelli del cielo, è mio ciò che si muove nella campagna.
Se avessi fame, a te non lo direi: mio è il mondo e quanto contiene.
Mangerò forse la carne dei tori, berrò forse il sangue dei capri?
Offri a Dio un sacrificio di lode e sciogli all’Altissimo i tuoi voti
e invocami nel giorno della sventura: ti salverò e tu mi darai gloria” (Sal 49,7‑15).
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Dobbiamo fare come Gesù (Gv 10,18; 5,2; Eb 7,27; 9,25) e offrire tutto noi stessi (Is
53,10; Rm 6,13; 12,1; 2 Cor 8,5).
Secondo quanto ci ha rivelato Gesù, qualunque cosa noi offriamo agli altri - anche
un bicchiere d’acqua (Mt 10,42) - è offerta a Dio. Consapevoli di questo i primi
cristiani deponevano i loro beni ai piedi degli apostoli (Atti 4,35).
A volte andiamo a Dio con cose simboliche (incenso, pane, vino...) che esprimono
tutto ciò che noi gli offriamo; pensiamo ai magi che manifestarono con l’oro,
l’incenso e la mirra la loro fede in quel Bambino appena nato (Mt 2,11) e gli
angeli che presentano a Dio con l’incenso la preghiera dei santi.
 Il tempo dell’offerta è la vita quotidiana: i vari avvenimenti in cui Dio si rende
presente nel “povero” e nell’”altro” che incontriamo.
Ci sono poi momenti particolari: la preghiera del mattino e della sera, la domenica...
La celebrazione dell’Eucaristia è il momento culmine, in cui Cristo ci unisce alla
sua offerta al Padre.
 Le motivazioni che ci portano a pregare, a fare dei sacrifici, dei voti..., sono
molto vari: per interesse (cioè per ottenere qualcosa), perché costretto, per paura
(dell’inferno...); è l’offrire dello schiavo, non piace a Dio e fa male all’uomo.
Il vero offrire a Dio è quello della fede, dell’amore gratuito, senza attendere nulla
in cambio.
SCHEDA 4
 Sull’esempio di Gesù e per opera dello Spirito anche noi uomini siamo
capaci di offrire tutto (la creazione,...noi stessi) a Dio e ai fratelli: diventiamo
“ministri dell’offerta”.
59
4. L’OFFRIRE NELLA MESSA:
quando alla domenica ci si riunisce avviene che ...
 Quattro gesti fondanti
SCHEDA 4
 Durante l’ultima cena fatta con i suoi discepoli, prima della sua morte e
risurrezione, Gesù volle dare un senso speciale ad alcuni gesti che di solito si fanno
durante un pranzo ordinario. Lo dimostra il suo comando: “fate questo in memoria
di me”. Si è venuta così a creare una tradizione che ci è riportata da s. Paolo (1
Cor 11,23-26) come anche dagli evangelisti Matteo, Marco e Luca. Il “questo” che
Gesù ha comandato di fare e che la chiesa ha capito di dover fare in memoria di
lui si può ricondurre tutto a quattro gesti significativi che Gesù fece nell’ultima
cena:
1. prese il pane e il vino
2. rese grazie a Dio suo Padre
3. spezzò il pane
4. diede ai discepoli il pane da mangiare e il calice da bere
 Queste quattro azioni formano l’ossatura di ogni eucaristia cristiana:
1. Preparazione dei doni simbolici del pane e vino
2. Preghiera eucaristica in cui i simboli vengono assunti nell’offerta di Gesù al Padre
3. Frazione del pane in cui i doni vengono preparati per essere offerti all’assemblea
4. Comunione: accoglimento dei doni da parte dell’assemblea
 Come nella liturgia della Parola c’è un doppio movimento - di andata e
ritorno - che manifesta il “mistero dell’offrire”, dello scambio:
- dall’assemblea all’altare, per le offerte;
- dall’altare all’assemblea, per la condivisione e la comunione
 Il loro significato: il mistero dell’offrire
La liturgia eucaristica è un momento riassuntivo di ogni offerta, sia di Dio a noi
che di noi a Dio, è il compiersi del “mistero dell’offerta”.
E’ costruita in un crescendo di “dare-ricevere”.
 Innanzitutto, noi prendiamo coscienza che tutto ciò che abbiamo e
riusciamo a fare è dono di Dio e lo presentiamo a lui nei segni del pane e del vino:
è una prima offerta, quella che chiamiamo presentazione dei doni.
 Per una particolare azione dello Spirito i nostri doni sono assunti dall’offerta
di Gesù al Padre nei simboli del pane e del vino; anche noi, come singoli e come
comunità, diventiamo corpo di Cristo, siamo offerti in lui come sacrificio gradito
a Dio Padre; il culmine dell’unica offerta avviene nell’elevazione conclusiva
della preghiera eucaristica, quando il sacerdote alza il pane e il vino consacrati
dicendo: “Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te Dio Padre onnipotente ogni onore
e gloria...”
 Dopo il gesto dello spezzare del pane, al momento della comunione, i doni
ritornano all’assemblea e al mondo: il Padre offre il corpo di Cristo, cioè Cristo
e tutti coloro che si sono offerti in lui. In questo modo il cerchio si chiude per
riprendere: dalla messa alla vita quotidiana e dalla vita quotidiana alla messa.
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 Prendiamo in esame il primo momento dell’offerta, riservando gli altri alle
schede successive.
5. IL PRIMO MOMENTO DI OFFERTA:
LA PRESENTAZIONE DEI DONI
 Preparazione della mensa
SCHEDA 4
 Quando arriva l’ora di mangiare, si prepara la tavola. Così nella messa.
Fino a questo momento della celebrazione, l'altare non ha attirato l'attenzione,
non è servito a nulla, è rimasto spoglio. Il centro dell'azione era l'assemblea:
parola, canti, preghiere. Ora l'assemblea si prepara alla cena:
- l’altare viene illuminato;
- si mette la tovaglia (è bene fare almeno qualche volta questo rito);
- si portano le candele e i fiori
- in certi luoghi o occasioni i partecipanti si raggruppano attorno
all'Altare.
 Questo gesto richiama i banchetti imbanditi preannunciati dai profeti,
annunciati nelle parabole e realizzati da Gesù; in particolare ci rifacciamo a quanto
è avvenuto per l’ultima cena, che ha dato compimento a tutti i banchetti.
“Venne il giorno della festa dei Pani non lievitati, nel quale si doveva uccidere
l’agnello pasquale. Gesù mandò avanti Pietro e Giovanni con questo incarico:
‑ Andate a preparare per tutti noi la cena di Pasqua.
Essi risposero: ‑ Dove vuoi che la prepariamo?
Gesù disse: ‑ Quando entrerete in città incontrerete un uomo che porta una brocca
d’acqua. Seguitelo fino alla casa dove entrerà. Poi direte al padrone di quella casa: Il
Maestro desidera fare la cena pasquale con i suoi discepoli e ti chiede la sala. Egli vi
mostrerà al piano superiore una sala grande con i tappeti. In quella sala preparate la
cena. Pietro e Giovanni andarono, trovarono tutto proprio come aveva detto Gesù
e prepararono la cena pasquale” (Lc 22,7‑13; vedi Mt 26,17‑19; Mc 14,12‑16).
 Processione delle offerte
 Quando la tavola è pronta, si portano le cose da mangiare. Similmente
nella messa, all’inizio della seconda parte, alcuni fedeli portano il pane e il vino.
Il Messale raccomanda l’uso di far portare dai fedeli il pane e il vino: “Sarà bene
che la partecipazione dei fedeli si manifesti con l’offerta sia del pane e del vino per la
celebrazione dell’Eucarestia, sia di altri doni per le necessità della Chiesa e dei poveri”
(OGMR 73).
In questo momento bisogna distinguere due generi di offerte:
- il pane e il vino: sono le vere offerte simboliche, le sole che vengono poste
sull’altare. Nel portarle i fedeli vengono dal fondo della chiesa e attraversano
l’assemblea, esprimendo così che si tratta di doni che simboleggiano le offerte
del popolo di Dio.
- i doni per i poveri, la questua: possono far parte dello stesso movimento, ma
non devono essere messe sull’altare per evidenziare che esse non sono le offerte
simboliche e hanno dei destinatari precisi (i poveri, le necessità della chiesa...).
 Con questa processione per la presentazione dei doni noi esprimiamo la
nostra realtà di comunità che nel suo camminare scopre come tutto ciò che essa
è e che la circonda è tutta e sola grazia.
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Andiamo a Dio per offrirgli
- le primizie della fecondità della terra, perché tali doni siano a loro volta il
luogo della fecondità eucaristica nel pane e nel vino,
- e altre offerte che divengono strumenti di comunione con i bisognosi della
comunità.
E’ un gesto importante che dà inizio al “mistero dell’offerta”, al sacrifico. L’eucaristia
è un mistero di scambio: per donarci la sua vita, Gesù prende dapprima del nostro
pane, “frutto della terra e del lavoro dell’uomo”
 Il simbolismo delle offerte del pane e del vino
Fermiamo la nostra attenzione sul pane e il vino: sono doni simbolici.
SCHEDA 4
 Sono dei “prodotti”, qualcosa che esce dalle mani dell’uomo: il pane è
fatto con la farina ottenuta da tanti grani di frumento macinati; è azzimo, cioè
senza lievito. Similmente il vino è formato da tanti grappoli pigiati e deve essere
puro. Sono entrambi la sintesi di un prodotto naturale e del lavoro umano. Come
frutti della terra (doni di Dio) e del lavoro dell’uomo (collaborazione dell’uomo)
racchiudono tutto ciò che Dio dà a noi e tutto ciò che noi siamo e possiamo fare
e offrire.
 Quando noi presentiamo il pane e il vino come frutti della terra, offriamo a
Dio tutta la creazione e ogni dono che egli ci ha fatto.
 Offrendoli come frutti del nostro lavoro noi presentiamo tutto ciò che siamo
e facciamo. Il Concilio Vaticano II, parlando delle offerte che i laici fanno a Dio,
dice:
“Tutte le loro (dei laici) attività, preghiere e iniziative apostoliche, la vita coniugale
e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e corporale, se sono compiute
nello Spirito, e le molestie della vita anche se sono sopportate con pazienza,
diventano offerte spirituali gradite a Dio attraverso Gesù Cristo (cfr. 1 Pt 2,5); nella
celebrazione dell’Eucaristia sono in tutta pietà presentate al Padre insieme
all’oblazione del Corpo del Signore” (LG 34).
Esplicitiamo brevemente il senso ampio e profondo di questo “nostro lavoro” di
cui il pane e il vino sono simbolicamente portatori.
* A Dio che ci parla, ci manifesta il suo progetto, noi diciamo il nostro:
“Sì, lo faremo”. Pane e vino sono il “sì” che Gesù ha detto per primo al
Padre e che ora anche noi diciamo: il sacrificio dei tempi nuovi è fare
la volontà di Dio, cioè prendere sul serio il vangelo ascoltato e tradurlo
nella pratica quotidiana.
* Il mangiare e il bere (pane e vino) sono gli elementi essenziali per il
vivere, sono la nostra vita. Offrendoli noi presentiamo tutta la nostra
vita, in tutti i suoi aspetti di gioie e di dolori.
* Il pane e il vino risultano da più grani e acini messi insieme; la loro
offerta sta a significare la nostra unità, fraternità, solidarietà.
62
* Pane e vino sono offerte “spirituali” non nel senso “dell’anima”, ma nel
senso che ormai come Gesù anche noi non presentiamo più a Dio cose
diverse da noi (ad esempio degli animali), ma noi stessi, corpo e anima,
tutto ciò che siamo e facciamo.
* Il pane e il vino sono doni-attesa cioè mentre portano a Dio noi stessi e
l’intera creazione, attendono di divenire rivelatori e portatori di salvezza.
Pur grandi nel loro significato, sono ancora poveri; essi sono aperti
all’azione dello Spirito santo per divenire “cibo che dà la vita eterna”,
“bevanda di salvezza”. Tutto è tensione a divenire una sola cosa in Cristo,
ad essere vera Chiesa.
 L’accoglienza dei doni e la “preghiera sulle offerte”
 Quando la processione giunge all’altare, i doni vengono accolti dal
presidente e posti sull’altare.
Chi presiede accompagna questo gesto con una benedizione in cui riconosce
che il pane e il vino hanno un valore simbolico: sono frutti della terra e del lavoro
dell’uomo, portatori di tutto noi stessi, primizia di altri doni che Dio sta per fare.
SCHEDA 4
 Dopo aver accolto i doni, il sacerdote invita a pregare. Con le sue parole egli
manifesta che
- i doni fanno parte di una azione sacrificale
“Pregate .... perché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio Padre onnipotente”
- è un’azione di tutta la famiglia cristiana, della chiesa pellegrinante:
“Pregate .... perché il sacrifico della Chiesa in questa sosta che la rinfranca nel suo cammino
verso la patria, sia gradito a Dio Padre onnipotente”
“Pregate .... perché questa nostra famiglia, radunata nel nome di Cristo, possa offrire il
sacrificio gradito a Dio Padre onnipotente”
- i doni simboleggiano “la gioia e la fatica di ogni giorno”, cioè tutti gli
aspetti della vita
“Pregate .... perché portando all’altare la gioia e la fatica di ogni giorno, ci disponiamo ad
offrire il sacrificio gradito a Dio Padre onnipotente”
All’invito del sacerdote noi rispondiamo pregando perché Dio accolga il
sacrificio, in modo da raggiungere due obiettivi tra loro legati:
- la lode e la gloria di Dio
- il bene nostro e di tutta la santa Chiesa
 Dopo la riposta all’invito del sacerdote, ci alziamo in piedi; con questo gesto
manifestiamo che la preghiera pronunciata dal sacerdote sulle offerte è la nostra
preghiera.
E’ una preghiera sempre diversa, a seconda del momento che noi viviamo.
 Con questa preghiera si conclude il primo momento del“mistero dell’offerta”:
troverà il suo compimento in quella di Gesù ad opera dello Spirito santo.
63
Piste per proseguire la ricerca e il dialogo
1. PER CELEBRARE MEGLIO
 Come celebriamo il rito della presentazione dei doni nella nostra parrocchia?
Che cosa fare per renderlo più significativo, più partecipato?
 Come evangelizzare la raccolta delle offerte nella messa, l’offerta per la
messa.?
SCHEDA 4
 I catechisti e gli animatori della liturgia che cosa potrebbero fare
- per rendere viva e cosciente la partecipazione alla presentazione dei doni?
- per educare ad avere una “spiritualità offerente”?
2. PER EVIDENZIARE IL RAPPORTO CON LA PRIMA PARTE
DELLA MESSA
 E’ chiaro il rapporto di questo momento con la liturgia della Parola?
Come fare ad esplicitare che la presentazione dei doni è una risposta alla
Parola ascoltata?
E’ chiaro che questo è solo il primo momento del “Mistero dell’offrire” che
culminerà con la grande preghiera eucaristica?
3. PER STABILIRE UNA UNITA’ TRA LA CELEBRAZIONE E
LA VITA QUOTIDIANA
 L’offrire liturgico è il punto culmine dell’offrire quotidiano; è vero ed autentico
solo nella misura in cui concretamente sappiamo offrirci a Dio e agli altri.
Che cosa possiamo prevedere per favorire l’atteggiamento dell’offrire (passare
dall’avere al dare) nella vita quotidiana
- come singoli
- come famiglia
- come chiesa
Quali gesti concreti fare? Quali momenti privilegiare?
64
SCHEDA 5
CELEBRARE IL GRAZIE A DIO
La preghiera eucaristica
“Gesù prese il pane e pronunziò la
benedizione,...
Poi prese il calice e rese grazie... (Mt 26,
26-27)
CERCHIAMO INSIEME
1. GLI UOMINI RINGRAZIANO
 QUANDO: facciamo un elenco di situazioni o momenti in cui ringraziamo...
 COME: facciamo un elenco di parole che diciamo e gesti che compiamo
quando ringraziamo...
 PERCHÉ: ricerchiamo i motivi che ci spingono a ringraziare o a non ringraziare...
2. GLI UOMINI RINGRAZIANO DIO
 QUANDO: facciamo un elenco di situazioni o momenti in cui ringraziamo Dio...
 COME: facciamo un elenco di parole che diciamo e gesti che compiamo
quando ringraziamo Dio...
 PERCHÉ: ricerchiamo i motivi che ci spingono a ringraziare o a non
ringraziare Dio...
3. LA PREGHIERA EUCARISTICA
 Che cosa sappiamo della preghiera eucaristica?
 Proviamo a fare un elenco di cose che si dicono e si fanno durante la
preghiera eucaristica: che senso hanno?
 E’ un momento importante: perché?
oppure è un momento in cui ci si stanca: perché?
65
1. GLI UOMINI SI DICONO GRAZIE
VICENDEVOLMENTE
 Grazie sì - grazie no
In famiglia si celebrano le feste del papà e della mamma: nonostante i loro
risvolti consumistici, esse mettono a fuoco un animo riconoscente. Non è raro
sentire il "grazie" di un orfano, di una vecchia, di un drogato. C’è chi si pone in
ricerca di chi l’ha salvato o aiutato in situazioni difficili per dirgli il proprio grazie. In
spazi sociali più ampi, civili o religiosi, si esprimono ringraziamenti e gratitudine
a persone singole e a gruppi.
Il grazie popola la nostra giornata.
SCHEDA 5
 Tuttavia non sembra che si sia realmente consapevoli del valore
della riconoscenza e che ci si impegni, in generale, in uno stile di autentica
riconoscenza.
Si può anche rilevare che il “grazie” che spesso diciamo, sa talora di ritualistico.
Sembra essere come una specie di etichetta che si deve tirare fuori al termine di
taluni momenti o una specie di francobollo che si deve incollare a chiusura di un
incontro o di un gesto.
 Ringraziare nel circuito dell’offrire
Ringraziare fa parte di un circuito, quello del “mistero dell’offerta”. C’è
- il momento di fare il dono, di offrire (v. scheda 4)
- momento di accogliere il dono, di accorgersi di aver ricevuto un dono;
è un momento importante, corrispondente dell’ascoltare nel circuito della
parola; senza di esso non ci può essere grazie. Il grazie nasce dal cuore.
- momento di rispondere esprimendo il grazie con parole e gesti.
 Cosa vuol dire “ringraziare”
66
 Ringraziare non è dire una parola; è
- fare la verità dentro di noi, accorgersi che non siamo degli assoluti,
che dipendiamo gli uni dagli altri;
- accorgersi di aver ricevuto un dono che non ci era dovuto; se ci fosse
dovuto non ringrazieremo;
- sentire il bisogno di metterci in contatto con chi ci ha fatto quel dono;
ringraziarlo
- sentirci felici del dono ricevuto;
- sentire che il dono non ci obbliga, non ci lega, ma ci lascia liberi. Un
dono che in qualche modo ci obbligasse ci priverebbe in qualche
modo della libertà. Il dono può provocare riconoscenza, sentimenti
di amore, ma sempre senza intaccare la nostra libertà;
- manifestare in vari modi la nostra riconoscenza.
 Il grazie ha tante facce: si parla di grazie sincero, sentito, freddo, falso a
seconda dello stato d’animo con cui lo si fa.
 Imparare a ringraziare
Sappiamo certamente ringraziare; tuttavia c’è bisogno di andare più a fondo,
saperci ringraziare vicendevolmente
 scoprendo quanto gli altri ci donano. Non possiamo ringraziare se pensiamo
che “tutto è dovuto”, se siano incapaci di comprendere che siamo fatti oggetto di
tanti doni, siamo immersi da un cumulo di doni. La prima opera da fare è quella
di avere una cognizione esatta di sé, degli altri, del mondo
 non avendo paura di dire grazie: chi ringrazia non si umilia, ma fa la verità e
“la verità fa liberi”
 scoprendo la felicità del dire grazie. Se sappiamo dire grazie ci troveremo
felici, non più soli.
SCHEDA 5
 evitando i formalismi del grazie.
67
2. DICIAMO GRAZIE A DIO
 L’ebreo, uomo del grazie
Fin dal primo momento del risveglio il pio ebreo non fa che ringraziare Dio ad
ogni gesto che compie: aprendo gli occhi, alzandosi in piedi, poggiando i piedi
per terra, vestendosi ...:
Benedetto tu sia, o Eterno nostro Dio, che apri gli occhi ai ciechi
Benedetto tu sia, o Eterno nostro Dio, che sciogli chi è legato...
Tutto, niente escluso, è visto come un dono di Dio; perciò tutta la vita è piena
della lode di Dio.
Quando si mette a tavola, prendendo in mano prima il pane o poi il bicchiere del
vino, prega:
SCHEDA 5
Benedetto sei tu, Signore Dio dell’universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo
pane frutto della terra e del lavoro dell’uomo
Benedetto sei tu, Signore Dio dell’universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo
vino frutto della vite e del lavoro dell’uomo
 Gesù, l’uomo del grazie
 Gesù - ha detto un grande studioso del vangelo - è nato “in questo popolo
che sa ringraziare”.
Egli loda il Padre per tutta la creazione e per ogni gesto che compie nella sua vita
terrena. Il suo grazie è riassunto in queste due preghiere riportate dal vangelo:
“Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra..” (Lc 10,21).
“Io ti ho glorificato sopra la terra compiendo l’opera che tu mi hai dato da fare” (Gv 12,4).
 Gesù domanda a coloro che credono in Lui, o che da Lui sono stati beneficati,
un atteggiamento di grazie.
Dei dieci lebbrosi guariti, dei quali uno solo ritorna indietro a ringraziarlo, dice:
“Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato
chi tornasse a rendere gloria a Dio all’infuori di questo straniero” (Lc 17,1).
 Il cristiano, uomo del grazie
Il Vangelo di Luca, che giustamente è stato definito il Vangelo dell'amore
misericordioso, è anche il Vangelo della lode e del ringraziamento.
Si apre con il servizio che Zaccaria offre a Dio nel tempio; prosegue con due inni
- quelli di Maria e di Zaccaria -, e si chiude con la lode che gli apostoli, benedetti
da Gesù risorto, continuano ad innalzare quotidianamente a Dio nel tempio.
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La prima generazione cristiana a cui san Paolo si rivolge nelle sue lettere è
invitata a rendere grazie a Dio in ogni tempo. Per lui “rendere grazie” è l’anima
dell’esistenza cristiana.
“Camminate nel Signore Gesù... abbondando nell’azione di grazie” (Col 2,7);
“Siate riconoscenti... cantate a Dio di cuore e con gratitudine” (Cf Col 3,14‑15);
“Perché la grazia... moltiplichi l’inno di lode alla gloria di Dio” (2 Cor 4,15).
I cristiani vivono come in una sovrabbondanza di riconoscenza verso Dio per la
salvezza da Lui compiuta in Cristo e per la vittoria che continua nello Spirito.
 San Paolo è l’esempio del cristiano tutto ringraziamento:
“Ringrazio il mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi” (Fil 1,3).
“Dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli, ed è ben giusto” (2 Ts 1,3);
“Noi rendiamo continuamente grazie a Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo, nelle
preghiere per voi, per le notizie ricevute della vostra fede...”(Col 1,3);
“Ringraziamo con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei
santi nella luce” (Col 1,12).
SCHEDA 5
 Al contrario dei cristiani sono pagani le persone che non sanno rendere
grazie a Dio: “Pur avendo conosciuto Dio, non gli hanno dato gloria, né gli hanno
reso grazie come a Dio” (Rm 1,21); sono “uomini ingrati e senza religione” (2 Tm
3,2).
 La prima comunità cristiana quando scelse il termine “eucaristia” (parola
greca che significa: “rendere grazie”), per designare la cena del Signore, aveva
compreso l’atteggiamento vitale di Gesù verso il Padre che doveva divenire
l’atteggiamento dei suoi discepoli; ebbe chiaro che la vita di Gesù come
auto‑donazione si svolse dal suo inizio fino alla fine nel “rendere grazie” al Padre;
così doveva essere la vita della chiesa e di ogni cristiano.
 Scoprire e sentire che tutto è dono
Abbiamo detto che il ringraziamento nasce dal cuore, dall’avere preso
coscienza che tutto viene da lui. Possiamo riassumere i doni e perciò i motivi di
ringraziamento attorno ai seguenti nuclei fondamentali:
 la vita con tutti i suoi doni
Come il pio Ebreo e come Gesù noi possiamo vivere in continuo ringraziamento
se consideriamo la vita e tutto ciò che l’accompagna come doni gratuiti di Dio.
Forse diciamo: tutto questo è chiaro.
Fino ad un certo punto.
Pensiamo all’affermazione: “Dio è amore”. Con questa frase, diciamo tutto di Dio,
ma rimane tutto da dire. Se ne può parlare nella misura in cui si comincia ad
amare e ci si lascia amare.
Possiamo dire di saper ringraziare quando, giorno dopo giorno, ci lasciamo
prendere dal pensiero che tutto è dono di Dio e gli diciamo continuamente
grazie.
69
 la creazione (mondo, tutte le cose) come un dono
Con la vita anche la creazione è dono di Dio; per essa noi ringraziamo Dio e diamo
voce al grazie di tutti gli esseri creati.
 l’opera di Dio nell’Antico e Nuovo Testamento,
la redenzione operata da Gesù
SCHEDA 5
Dopo la creazione, Dio ha continuato la sua opera, in un continuo donare, come
ci viene descritto nelle pagine della Bibbia.
Noi perciò rendiamo grazie ricordando quanto Dio ha fatto e continua a fare
lungo la storia per noi, per tutti, “per la nostra salvezza”.
70
3. DICIAMO GRAZIE A DIO CELEBRANDO
E’ difficile per noi saper dire grazie a Dio in modo giusto. Gesù ci è venuto incontro,
ci ha dato il suo stesso Spirito perché noi potessimo presentarci con lui al Padre.
Questo avviene durante la celebrazione della messa: attraverso le parole e i gesti
della preghiera eucaristica, cioè celebrando, Gesù ci coinvolge nel suo grande
grazie a Dio.
Ciò che non sapevamo fare o avremmo fatto malamente, lo possiamo compiere
in modo “degno e giusto” celebrando.
 La liturgia eucaristica
SCHEDA 5
 La liturgia eucaristica va dalla preparazione del banchetto (scheda 4) alla
sua consumazione (scheda 6) passando attraverso la proclamazione solenne
della preghiera eucaristica (scheda 5).
 La parte centrale è costituita da una lunga preghiera che il presidente recita
davanti all’assemblea e a nome di essa: la preghiera eucaristica. Essa è talmente
importante che ha finito col dare il nome a tutta la messa.
Questa preghiera ha il seguente il movimento:
- inizia come rendimento di grazie a Dio che sfocia nell’acclamazione collettiva
“Santo”, (prefazio)
- invoca lo Spirito Santo sui doni del pane e del vino (epiclesi)
- diventa narrazione dei gesti e delle parole di Gesù nella cena pasquale
(racconto dell’istituzione),
- fa memoria degli avvenimenti della Pasqua del Signore Gesù (memoriale),
- esprime l’offerta a Dio: di Gesù al Padre per noi, e di noi in lui (offerta),
- manifesta la comunione con tutta la Chiesa e intercede per tutte le sue
componenti (intercessioni)
- culmina nella glorificazione del Padre, per Gesù Cristo, nello Spirito Santo.
 La liturgia eucaristica risposta alla Parola di Dio
 Celebrando la cena della sua pasqua Gesù ha detto: “Fate questo in memoria
di me”. La liturgia eucaristica è perciò una risposta-obbedienza al suo comando.
 Non solo. Essa è risposta anche in un altro senso. Quando ci riuniamo, Dio ci
rivela ciò che ha fatto e sta facendo per noi (prima parte della messa); così egli ci
guida a prendere coscienza dei doni che abbiamo ricevuto, e noi rispondiamo:
- ringraziando per Cristo con Cristo e in Cristo, nel suo Spirito
- facendo memoria, narrando la storia della salvezza
- offrendoci con Cristo,
- sentendosi insieme a tutta la chiesa,
- intercedendo per i vivi e i defunti,
- con parole, canti e gesti, cioè celebrando.
71
Approfondiamo questi aspetti in cui, per opera dello Spirito, siamo coinvolti da
Gesù nella risposta al Padre.
 RINGRAZIAMO...
“Ti rendiamo grazie, Signore Dio, Padre onnipotente”
 Ringraziamo
I racconti dell’ultima Cena ci dicono che Gesù, prese il pane e il calice, benedisse e
rese grazie: è la prima preghiera eucaristica che fonda tutte le altre.
L’azione di grazie non è solo uno dei tanti aspetti della messa, ma il suo nucleo
centrale. Celebrando la messa, la Chiesa entra nella lode di Gesù che passa
da questo mondo al Padre e manifesta la salvezza di Dio che giunge a nuovo
compimento.
 ... per Cristo con Cristo e in Cristo
SCHEDA 5
 Nell’ultima cena Gesù pregò con le preghiere del suo popolo, lodò
personalmente con parole sue il Padre per la creazione e la salvezza compiuta, e
si offrì per noi.
Nella celebrazione eucaristica noi siamo la Chiesa che prolunga tutti i canti e
le preghiere di lode e di ringraziamento del popolo d’Israele, ma in particolare
riattualizziamo il grazie di Gesù nell’Ultima Cena pasquale.
 Il Signore Gesù è il vero presidente di ogni assemblea di fedeli riuniti nel
suo nome (il sacerdote ne è segno visibile), continua la sua eucaristia nelle
celebrazioni fatte dalla Chiesa nelle diverse comunità convocate per rinnovare
la nuova alleanza. E lo fa nella forma tradizionale di un rito, quello di una cena
pasquale, con la proclamazione delle opere salvifiche di Dio.
 ... elevando i nostri cuori (il dialogo iniziale)
Il dialogo che precede il prefazio e apre la preghiera eucaristica evidenzia il
primo atteggiamento, il primo senso del gesto: elevare, portare in alto. I cristiani
greci chiamano perciò questa preghiera “anafora”, azione di “portare verso
l’alto”.
72
 Il saluto‑augurio “Il Signore sia con voi”, che ha introdotto anche la
proclamazione del Vangelo, rammenta che ci troviamo in un momento solenne
e decisivo.
L’esortazione “In alto i nostri cuori” è un invito a superare il livello del visibile per
spingerci ad un livello superiore che si raggiunge solo con la fede.
Rispondendo “Sono rivolti al Signore” diciamo che ci rendiamo conto di quanto
ci è richiesto.
L’invito successivo “Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio” ci induce a entrare in
quel rendimento di grazie che costituisce l’inizio, ma anche la forma di tutta la
preghiera‑azione che segue.
Come assemblea riconosciamo che“è cosa buona e giusta”fare ciò, e ci accingiamo
a non lasciare solo chi presiede in questo compito.
 A questo momento perciò tutto sale, s’innalza; è come incominciare a salire
una montagna.
Si elevano le mani : è il gesto di colui che riconosce che Dio l’ha salvato dalla morte
e viene nell’assemblea per attestare davanti a tutti la grazia che ha ricevuto e per
la quale viene a “rendere grazie”.
Si alzano le voci nel canto.
Si elevano i cuori: “cuore” nel senso biblico designa lo spirito, il pensiero, la
memoria, l’intelligenza di cui c’è bisogno per “volgersi a Dio”, per passare,
attraverso la fede, dal visibile all’invisibile.
Più avanti, a conclusione della preghiera , si elevano il pane e il vino, quasi ad
indicare che tutto (chiesa e mondo) si “eleva”, “ascende”, passa da questo mondo
al Padre. Tutto avviene: “Per Cristo, con Cristo,..”.
 ... nel Spirito Santo (epiclesi)
SCHEDA 5
 La Cena fatta dal Signore è raccontata fra due preghiere che invocano lo
Spirito Santo perché intervenga sui doni presentati, pane e vino, e su quanti se
ne alimentano. Sono denominate epìclesi (dal greco epì-caleo = chiamo-sopra,
in-voco); rispettivamente “epiclesi sui doni” ed “epiclesi sui comunicandi”.
 La Chiesa Orientale dà molta importanza a queste preghiere: il pane e il
vino vengono consacrati per la discesa dello Spirito. La riforma liturgica ha dato
risalto nelle nuove preghiere eucaristiche a queste due invocazioni, che appaiono
strettamente legate al “memoriale”.
 Nella prima epiclesi il presidente chiede a nome dell’assemblea che il Padre
invii lo Spirito Santo perché i doni “diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù
Cristo” (Preghiera II).
La Preghiera eucaristica I° ha una formula equivalente: “Santifica, o Dio, questa
offerta con la potenza della tua benedizione... perché diventi per noi il corpo e il
sangue...”. Nel linguaggio biblico la benedizione potente di Dio esprime l’azione
del suo Spirito.
 La seconda epiclesi è sui comunicandi e chiede che lo Spirito Santo continui
l’azione, iniziata sui doni, sino a prendere dentro coloro che se ne cibano: “Ti
preghiamo umilmente: per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito
Santo ci riunisca in un solo corpo” (Preghiera II.). La Preghiera IV dice: “concedi che,
riuniti in un solo corpo dallo Spirito Santo, diventiamo offerta viva in Cristo”.
Questa duplice epiclesi, che precede e segue la narrazione della Cena, è
strettamente connessa con “il memoriale” che ora andiamo ad esaminare.
73
 ... NARRANDO, FACENDO MEMORIA, (memoriale, anamnesi)
“annunciamo la tua morte proclamiamo la tua risurrezione”
 La preghiera eucaristica è dapprima una proclamazione, un raccontare
le meraviglie operate da Dio per gli uomini: nella creazione e nella storia della
salvezza, ma soprattutto in Gesù, nato da Maria, morto e risorto, vivente e
operante tra i suoi fino al suo ritorno. Vale la pena di rileggere per questo la
Preghiera eucaristica IV°.
 E’ un racconto o memoria un po’ speciale, che prende il nome di “memoriale”,
o, con una parola greca “anàmnesi”. Si usano queste parole per indicare che non
si tratta di un semplice ricordo soggettivo, ma di un evocare gli eventi della
nostra salvezza, in modo che siano in qualche modo presenti e noi possiamo
diventarne partecipi; è come un “chiamarli fuori” (“e-vocare” = chiamar fuori) dal
loro passato, perché siano avvenimenti di oggi.
Vediamo come.
 Il memoriale
SCHEDA 5
 Nella liturgia di Israele il memoriale è un rito
- che ricorda un intervento di salvezza compiuto da Dio,
- nella consapevolezza che esso si opera tuttora nel presente,
- cosicché noi abbiamo la certezza di esserne oggi attori e beneficiari.
 Ad esempio, quando, dopo quattrocento anni, gli ebrei rinnovano l’alleanza
del Sinai possono dire che essi non fanno che partecipare dell’unica alleanza
compiuta allora, perché “il Signore nostro Dio ha stabilito con noi un’alleanza
sull’Oreb. Il Signore non ha stabilito questa alleanza con i nostri padri ma con noi
che siamo oggi tutti qui in vita” (Dt 5,2‑3).
 Quando Gesù celebrò l’ultima cena nel contesto della Pasqua ebraica ha
voluto che il suo rito avesse un valore di “memoriale”, non tanto della liberazione
dall’Egitto, ma della sua pasqua; perciò disse: “Fate questo in memoria di me”.
 Il memoriale della messa attualizza (rende presente)
Gesù e la sua pasqua di Gesù
 Ai cristiani di Corinto, che dimostrano di non capire bene il senso della cena
eucaristica, san Paolo richiama la tradizione della Cena del Signore scrivendo:
“ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunciate
la morte del Signore, fino a quando egli non ritornerà” (1 Cor 11,23‑26); ciò che
si è compiuto nell’ultima cena avviene oggi per le parole (“annunciate”) e i gesti
(“mangiate e bevete”) che si compiono in sua memoria.
74
 L’avvenimento della pasqua del Signore (passione, morte e risurrezione) è
talmente reale - è oggi - che il pane e il vino non sono più pane e vino, ma “segni”
o “simboli” della sua effettiva presenza. Si dice infatti che sotto le apparenze del
pane e del vino vi è “realmente, sostanzialmente, personalmente” il Signore che
si dona in cibo e bevanda ai suoi discepoli.
 ... attualizza tutta la vita di Gesù
Nel memoriale della pasqua non sono racchiuse solo la morte e la
risurrezione, ma anche tutta l’esistenza storica e celeste di Gesù. Nel gesto del
donare il pane e il calice, Gesù riassume il senso di tutta la sua vita e rivela il
significato della sua missione.
Noi celebriamo questo memoriale meditando su quanto è accaduto “in quel
tempo”, nel tempo di Gesù, ciò che lo ha preceduto e lo ha seguito. Il Risorto è
presente tra di noi come sulla via di Emmaus per spiegarci “i passi della Bibbia che
lo riguardano” (Lc 24,27), e perché la memoria di questi fatti sia viva, attuale.
 ... attualizza tutta la storia della salvezza
Anche le letture bibliche proclamate nella “liturgia della Parola” entrano a
far parte del memoriale.
SCHEDA 5
La lettura del Vangelo, quando all'inizio non vi è una chiara indicazione
cronologica, incomincia con "in quel tempo". Non è una datazione generica,
come il "c'era una volta" delle favole, bensì una precisa determinazione storica:
nel tempo privilegiato della vita storica di Gesù questo è avvenuto, questo è stato
detto. E quanto allora è accaduto viene proclamato adesso come evento‑parola
che ci coinvolge, dona senso al nostro esistere come cristiani e orienta il nostro
comportarci come discepoli del Signore.
Anche i testi dell'Antico Testamento divengono significativi per noi, poiché
le Scritture antiche si sono compiute in Gesù. Le letture apostoliche (Atti, Lettere,
Apocalisse) sono testimonianza di come le comunità primitive hanno vissuto e
pensato la loro fede in Gesù Cristo; esse stimolano tuttora le assemblee a fare
altrettanto nelle loro situazioni. La storia passata è rievocata e interpretata per
essere “fatta” nell'oggi, con la fiduciosa speranza che il Signore la conduca a
compimento definitivo.
 ... rende partecipi di tutta la storia della salvezza fino
al suo compimento finale
 Celebrare l'Eucaristia è, per noi, prendere parte a ciò di cui si fa memoria,
discendere come Gesù nella morte per risalire con Lui nella vita nuova: essere
inseriti nel punto di arrivo del suo cammino storico per vivere e operare oggi
nella realtà in cui Egli opera da risorto.
 La celebrazione dell’Eucaristia è anche il momento dove il passato della
storia di salvezza viene rivissuto, il futuro comincia già a trasformare tutte le cose
e a dirigerle verso il compimento finale: dall’eucaristia nasce la vita nuova della
comunità. Difatti il cambiamento del pane e del vino non è fine a se stesso ma
opera un cambiamento in noi che celebriamo l’eucaristia, facendoci divenire
offerta gradita a Dio, capaci di farci pane e vino per gli altri.
75
 ... impegna a vivere la pasqua di Gesù nel mondo
 Gesù ha celebrato l’ultima Cena pasquale come banchetto di commiato.
Questo rito attesta contemporaneamente ai discepoli che lui è presente, e
tuttavia non è visibile immediatamente se non nei segni, quello del pane e del
vino e quello dell’assemblea.
 L’assemblea riempie il vuoto che il Signore ha lasciato nel mondo con la sua
partenza . E’ questo il senso della seconda epiclesi: noi preghiamo lo Spirito Santo
perché noi che ci siamo riuniti in assemblea e prendiamo parte all’eucaristia,
diventiamo il “Corpo di Cristo” nella storia.
 Partecipando all’Eucaristia assumiamo il compito di rendere presente nella
storia Gesù crocifisso, rifiutato dagli uomini ma approvato da Dio; noi continuiamo
la sua missione sino alla fine dei tempi, “finché egli venga” (1 Cor 11,16).
 Tutto questo è possibile per l’azione dello Spirito Santo, che Gesù ha
promesso e inviato (Lc 24,25‑49).
 ...OFFRENDO
SCHEDA 5
“ti offriamo”
 Nel momento della presentazione del pane e del vino noi abbiamo risposto
all’invito di san Paolo: “Vi esorto, fratelli, a offrire voi stessi a Dio in sacrificio
vivente, a lui dedicato, a lui gradito. E’ questo il vero culto che gli dovete”.
 Nella preghiera eucaristica, Gesù ci fa partecipi della sua offerta al Padre.
In un primo momento, dopo aver annunciato la sua morte e risurrezione,
diciamo: “Ti offriamo il suo corpo e il suo sangue, sacrificio a te gradito, per la
salvezza del mondo”.
Poi chiediamo di entrare a far parte di questa offerta:
“Guarda con amore, o Dio, la vittima che tu stesso hai preparato per la tua
chiesa; e a tutti coloro che mangeranno di quest’unico pane e berranno di
quest’unico calice, concedi che, riuniti in un sol corpo dallo Spirito, diventino
offerta viva in Cristo, a lode della tua gloria.
 Potremo dire che Dio ci ha dato la possibilità di celebrare il memoriale
del sacrificio di Gesù perché, con gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi,
potessimo riunirci in assemblea, diventare corpo di Cristo ed essere offerti da lui
e con lui al Padre.
 ... SENTENDOCI IN COMUNIONE ...
 L’Eucaristia crea e rivela una comunione universale
76
 L’Eucaristia è un convito, è un mangiare e bere insieme; come il pane e il
vino vengono a far parte costitutiva di chi li assume, così noi, prendendo il corpo
e il sangue del Signore, entriamo in relazione-unione intima di fraternità e di
familiarità con tutto ciò che i doni eucaristici significano.
Perciò noi celebriamo l’Eucaristia “in comunione-unione”: allo Spirito Santo,
alla Chiesa terrestre (papa, vescovo), ai santi del cielo, a tutti i presenti, al corpo
e al sangue di Cristo.
 Fermiamo la nostra attenzione sull’unione che deve intercorrere fra i
presenti riuniti in assemblea e la Chiesa tutta, quella diffusa sulla terra e quella
gloriosa in cielo.
 La comunione con la Chiesa e nella Chiesa
 Noi ringraziamo Dio e facciamo il memoriale della Pasqua di Gesù uniti (“in
comunione”) con la Chiesa intera, quella presente dove siamo (diocesi) e quella
diffusa sulla terra; per questo vengono nominati il papa e i vescovo diocesano.
Assieme a loro, ricordiamo tutti gli altri vescovi (“il collegio episcopale”), i vari
ministri, presbiteri e diaconi (“il clero”), i presenti, gli offerenti, il popolo cristiano,
tutti gli uomini.
 Esprimiamo la nostra “comunione” in due modi:
SCHEDA 5
- pregando per la unità della chiesa, e chiedendo la pace e il rafforzamento
nella fede e nell’amore:
“Ricordati, Padre... della tua Chiesa, rendila perfetta nell’amore...”
(Preghiera II);
“Conferma nella fede e nell’amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra”
(Preghiera III);
- e offrendo il sacrificio eucaristico:
“Noi te l’offriamo anzitutto per la tua Chiesa santa e cattolica” (Preghiera I);
“Ora, ricordati di tutti quelli per i quali ti offriamo questo sacrificio: del tuo
servo e nostro papa, del nostro vescovo...” (Preghiera IV).
 La comunione con la Chiesa celeste
Celebriamo l’Eucaristia sulla terra, ma ci sentiamo in comunione con la chiesa
celeste.
Questa comunione ha un duplice aspetto:
 Quello che noi facciamo, - il nostro rendere grazie, ricordare, offrire..- lo
compiamo in unione con i santi del cielo: “In comunione con tutta la Chiesa,
ricordiamo e veneriamo anzitutto la gloriosa e sempre vergine Maria, Madre del
Dio e Salvatore Gesù Cristo... i santi apostoli e martiri... e tutti i santi”.
Per i cristiani orientali le icone che vengono venerate durante la celebrazione,
sono i segni della presenza dei santi alla nostra celebrazione; per loro non esiste
una liturgia del cielo e una sulla terra, ma un’unica “divina liturgia”.
E’ molto bello questo sentirci insieme, davvero familiari dei santi. Tra di essi ci
sono anche coloro che non sono più tra noi, che abbiamo conosciuto e amato,
fanno parte dei “salvati” dalla Pasqua di Cristo.
77
 Davanti ai santi noi ci sentiamo ancora esuli e pellegrini, vicini e insieme
lontani dalla “patria”. Perciò chiediamo di poterli raggiungere per cantare a Dio
l’unico ed eterno cantico di lode:
“Concedi, o Signore, di aver parte nella comunità dei tuoi santi apostoli
e martiri” (preghiera I)
“Donaci di aver parte alla vita eterna insieme con la beata Maria Vergine
e Madre di Dio, con gli apostoli e tutti i santi che in ogni tempo ti furono
graditi (Preghiera II).
“Concedi a noi, tuoi figli, di ottenere con la beata Maria, Vergine e Madre
di Dio, l’eredità del tuo regno dove con tutte le creature canteremo la
tua gloria” (Preghiera IV).
 INTERCEDENDO PER...
“ricordati di ...”
Nella preghiera eucaristica domandiamo a Dio di “ricordarsi” dei vivi e dei defunti,
dei presenti e dei lontani, di chi ha trovato Dio o è in ricerca.
SCHEDA 5
 Il verbo “ricordarsi” attribuito a Dio è di origine biblica. Nella Bibbia quando
Dio si ricorda di una persona, interviene sempre in suo favore, rende presente
oggi la promessa fatta nel passato; pensiamo al cantico di Zaccaria e al Magnificat
di Maria:
“si è ricordato della sua santa alleanza (Lc 1,72)
“ha soccorso Israele... ricordandosi della sua misericordia come aveva
promesso ad Abramo e alla sua discendenza” (Lc 1,54-55).
 Domandiamo a Dio di ricordarsi di tutti i fratelli nella fede:
“Ricordati, Signore dei tuoi fedeli...
Ricordati di tutti i presenti dei quali conosci la fede e la devozione..”
Per tutti chiediamo “redenzione, sicurezza di vita e salute” (Preghiera I°)
In particolari occasioni ricordiamo coloro che partecipano alla messa celebrando
un sacramento. Ad esempio per coloro che vengono battezzati, diciamo
“Ricordati anche dei nostri fratelli che oggi hai liberato dal peccato e
rigenerato dall’acqua e dallo Spirito Santo: tu che li hai inseriti come
membra vive nel corpo di Cristo, scrivi i loro nomi nel libro della vita”.
 Domandiamo anche di ricordarsi di tutti i fratelli “che ci hanno preceduti con
il segno della fede e dormono il sonno della pace”, “che si sono addormentati nella
speranza della risurrezione”.
Per loro chiediamo “la beatitudine, la luce e la pace”, che “siano ammessi a godere
della luce del volto di Dio”.
78
 Spingendoci fuori dei nostro cerchio di credenti, domandiamo a Dio
di ricordarsi anche di coloro che non sono ancora cristiani, siano essi viventi o
defunti.
Nella Preghiera eucaristica IV la nostra intercessione acquista il respiro del mondo:
“Ora, Padre, ricordati di tutti quelli per i quali ti offriamo questo sacrificio: ... dei
presenti, del tuo popolo e di tutti gli uomini che ti cercano con cuore sincero.
Ricordati anche dei nostri fratelli che sono morti nella pace del tuo Cristo, e di
tutti i defunti, dei quali tu solo hai conosciuto la fede”.
 CON PAROLE, GESTI, CANTI,... CIOÈ CELEBRANDO
 chi celebra: "noi e tutto il tuo popolo"
 La preghiera eucaristica è una preghiera presidenziale, ma non vuol
dire che sia del sacerdote; egli dà voce a tutta l’assemblea. La Prima preghiera
eucaristica esprime in più punti che tutto il popolo loda, fa memoria, offre, prega.
Le nuove preghiere eucaristiche dicono sempre “noi”.
 Per evidenziare che è una preghiera dell’assemblea riunita, sarebbe
opportuno che fossero previsti più interventi dell’assemblea. Nella liturgia
copta, la preghiera si sviluppa sotto forma di un dialogo quasi continuo tra il
sacerdote, il diacono, il coro e il popolo; nel solo racconto dell’istituzione ci sono
17 interventi dell’assemblea.
 come celebriamo
Diciamo il nostro grazie a Dio usando tutti i mezzi di cui disponiamo
 con parole
SCHEDA 5
Come Gesù nell’ultima cena, anche noi ringraziamo con preghiere. Molte di esse
traggono origine da quella cena e si sono poi sviluppate in tante forme.
Oggi noi abbiamo cinque preghiere eucaristiche, due preghiere eucaristiche per
la riconciliazione, e due preghiere eucaristiche.
 con gesti
Sempre nell’ultima Gesù ha tradotto a sua preghiera di ringraziamento e la sua
offerta in gesti. Uno dei più percepibili è stata la lavanda dei piedi.
Seguendo il suo esempio anche noi (sacerdote e fedeli) accompagniamo con
gesti le nostre preghiere.
Alziamo le mani, genuflettiamo, ci mettiamo in ginocchio, eleviamo le offerte,
incensiamo... Con la varietà di questi gesti esprimiamo i nostri atteggiamenti
interiori, di lode, di adorazione, di supplica, di fede.
"cantando l'inno della tua gloria"
Nell’ultima cena Gesù ha cantato il suo grazie al Padre, ha fatto memoria della
storia della salvezza cantando gli inni e le litanie del popolo. Il vangelo ci dice
che egli uscì dal cenacolo dopo aver cantato questi salmi dell’Alleluia pasquale
(Mc 14,26).
La forma più bella per ringraziare e fare memoria di quello che ha fatto Gesù
sarebbe quella di cantare la preghiera eucaristica.
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4. PASSARE DALL’EUCARISTIA
ALLA VITA DI GRAZIE
 Vivere eucaristicamente
 L’Eucaristia, presuppone un atteggiamento quotidiano di “rendere grazie”,
di “offrire se stessi”. Se, infatti, non viviamo rapportandoci agli altri in maniera da
saper dire grazie, se non siamo capaci di sentire la vita come dono che va donato,
come possiamo celebrare l’eucaristia culmine dell’azione di grazie, del “offrire la
vita”?
SCHEDA 5
 Tutti i catechismi lo insegnano:
- “Tra la messa e la vita non esiste separazione: tra i gesti quotidiani di ciascuno e
la morte e la risurrezione di Cristo esiste un rapporto vivo. Si deve fare come Lui:
donarci interamente con amore”.
- “Se viviamo la vita come donazione, comprendiamo meglio l’eucaristia e il
Sacramento diventa forza e cibo per la vita quotidiana; anzi diventa il programma
che i cristiani sono chiamati a realizzare”.
- “Ogni domenica celebriamo l’eucaristia perché tutta la nostra vita diventi come
una “eucaristia”, sacrificio di lode e di ringraziamento al Padre”.
 Un momento particolare del grazie:
la preghiera della mensa
 Gesù, come tutti gli ebrei, non prendeva nulla senza aver reso grazie al
Padre. Prima di moltiplicare il pane egli ringraziava il Padre pronunciando la
benedizione.
Nell’ultima cena egli prende spunto da questa benedizione e consacrò prima il
pane e poi il vino.
 Un modo semplice ma significativo per preparare l’Eucaristia è anche per
noi la preghiera all’inizio e alla fine del pasto; è un’occasione privilegiata per far
emergere la preghiera di ringraziamento.
Se riusciremo a fare questa preghiera, ciascuno nelle proprie case, ci sembrerà
più naturale quello che facciamo in chiesa quando ci raduniamo come grande
famiglia di Dio.
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Piste per proseguire la ricerca e il dialogo
1. PER CELEBRARE MEGLIO
 Come celebriamo la preghiera eucaristica nella nostra parrocchia? Che cosa
fare per renderla più significativa, più partecipata?
 Gli animatori della liturgia, i cantori, che cosa potrebbero fare
- per rendere viva e cosciente la partecipazione alla preghiera eucaristica?
- per educare ad avere una “spiritualità eucaristica”?
2. PER EVIDENZIARE IL RAPPORTO
CON LA PRIMA PARTE DELLA MESSA
SCHEDA 5
 E’ chiaro il rapporto di questo momento con la liturgia della Parola? Come
fare ad esplicitare che la preghiera eucaristica nasce dalla Parola ascoltata?
3. PER STABILIRE UNA UNITA’ TRA LA CELEBRAZIONE E
LA VITA QUOTIDIANA
 Le formule della messa che accompagnano la presentazione del pane e del
vino (“Benedetto sii tu...”) sono adattamenti di “benedizioni” giudaiche per i pasti
familiari. I pasti che noi consumiamo sono momenti per lodare Dio e ringraziarlo di
ciò che ci dona?
 Prendere parte all’azione eucaristica richiede di compiere atti interiori
intensi nel breve tempo della recita di una preghiera eucaristica: rendimento
di grazie, invocazione dello Spirito Santo, attenzione al racconto della Cena
facendo la memoria della morte‑risurrezione di Gesù, offerta sacrificale, di
nuovo invocazione dello Spirito Santo sulla comunità, suppliche per la Chiesa...
Ciò è possibile solo se questi atteggiamenti interiori vengono vissuti anche in
altri momenti.
Come possiamo farli divenire atteggiamenti abituali? Durante la lettura orante della
Bibbia (lectio divina)? Nella silenziosa preghiera adorante davanti al tabernacolo?
 Gli atti elencati sono atteggiamenti di fede che presuppongono qualità
umane come la gratitudine, la consapevolezza lieta di dipendere da altri e di
aver bisogno di loro, il ricordo riconoscente di avvenimenti e persone che hanno
influito su di noi, la prontezza di rispondere sì a una richiesta che comporta un
sacrificio, il senso di solidarietà...
Come educarci a questo?
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SCHEDA 6
CELEBRARE LA CONDIVISIONE
Fare comunione
CERCHIAMO INSIEME
Approfondiamo insieme alcune parole chiave
1. BANCHETTO
 Quando partecipo ad un banchetto (mangio insieme a ...) avviene che ...
 Quale significato può avere la partecipazione ad un banchetto (esempio
di compleanno, di nozze, ...)
 Risulta chiaro che l’eucaristia è un banchetto?
2. RICEVERE
 Quando ricevo un dono avviene che....
Quali sono i sentimenti e i gesti che accompagnano il ricevere un dono?
 Quando ricevo una persona avviene che....
 Che cosa ricevo con l’eucaristia? come?
3. CONDIVIDERE...
 Condividere vuol dire....
(elenchiamo le forme e i modi di condivisione domandandoci anche il perché
di quel condividere, che cosa condividere, con chi condividere...)
 Nella messa avviene una reale condivisione: come? di che cosa?
4. ENTRARE IN COMUNIONE
 Quando “entro in comunione” con una persona avviene che ...
(proviamo a descrivere che cosa avviene quando una persona entra
in comunione profonda con un’altra; per essere facilitati nella ricerca
pensiamo all’amicizia, agli sposi...)
 Manifesto la mia comunione con una persona con questi gesti: ...
 Nell’Eucaristia entro in comunione con...? qual è il mio atteggiamento?
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1. IL BANCHETTO E I SUOI MOMENTI
 Il banchetto
 Mangiare è una necessità, serve alla sopravvivenza dell’uomo e della
comunità. Il poter mangiare è segno di vita.
 Mangiare da soli è diverso dal mangiare insieme: pensiamo ad una famiglia
in cui ciascuno mangia da solo, oppure ad un’altra che si riunisce alla stessa
mensa e consuma il pasto insieme.
Il mangiare insieme esprime accoglienza reciproca, condivisione, stringere rapporti
più saldi...
SCHEDA 6
 Gesù ha iniziato la sua vita pubblica con un banchetto a Cana e l’ha conclusa
con la cena pasquale; durante il tempo che intercorre tra l’uno e l’altra, egli
partecipa a tanti pranzi e cene, tanto da passare per un mangione e un beone;
moltiplica il pane per migliaia di persone allestendo così un dei banchetti più
straordinari; per rivelare le sue intenzioni ricorre sovente a parabole incentrate
su un banchetto.
Il mangiare insieme è per Gesù un gesto fondamentale; attraverso di esso egli
è ricevuto e ci riceve, condivide con noi ogni cosa, entra in comunione intima e
profonda con noi e noi con lui.
 momento per ricevere, ospitare
 Il mangiare insieme ha inizio con il ricevere l’ospite. Può essere utile ritornare
sulle riflessioni fatte circa il tema dell’accoglienza, alla scheda due.
 momento per condividere
 Non si mangia insieme se ciascuno porta il necessario e poi se lo mangia da
solo. Solitamente ciò che uno porta è condiviso con gli altri.
Il condividere il cibo instaura un nuovo rapporto tra i convitati; apre alla
condivisione dei valori, di progetti, della vita stessa. Mangiare insieme ha un
significato simbolico; non solo dice condivisione ma anche la crea.
 Nella moltiplicazione dei pani, Gesù prende i cinque pani e i due pesci
del ragazzo (Gv 6) e chiede agli apostoli di distribuirli; compiendo il gesto della
condivisione i pani e i pesci si moltiplicano.
San Paolo rimprovera la comunità di Corinto perché quando si raduna ognuno
mangia per conto suo, senza offrirne a chi ha meno possibilità: fare così è
contraddire il senso del mangiare insieme e perciò della cena del Signore.
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 momento per fare comunione, sigillare l’alleanza
 Quando uno è arrabbiato, rifiuta di mangiare insieme all’altro; quando si
vuol castigare un bambino, non lo si vuole a tavola. Non si mangia con il proprio
nemico, con chi si odia, cioè con chi non è in comunione con noi.
Il gesto più ripugnante che una persona può fare è mangiare insieme da amico,
fingere di essere in comunione, e avere nel cuore il proposito di tradirlo. In un
salmo leggiamo un lamento che diverrà anche il lamento di Gesù: “Anche l’amico
in cui confidavo, che mangiava il mio pane, ha levato contro di me il calcagno”
(Sal 41,10).
 Al contrario, quando ci si sposa si fa un banchetto con tutti i familiari,
esprimendo così l’unità delle due famiglie, del patto che viene sigillato. Il pasto
con un altro o con altri è segno e espressione di comunità, di comunione di
sentimenti e di idee. La pace, un patto, si concludono sempre con un pasto
insieme.
Per sigillare un patto con Dio, per riconciliarsi con lui, per dire che si entra in
comunione o amicizia con lui, si ricorre ad una pranzo rituale.
Sono tanti fatti che ci dicono come il mangiare insieme è espressione di una
comunione, è un modo per creare comunione, è un rito per sigillare un patto.
 I farisei non mangiavano insieme ai peccatori, perché avrebbe significato
diventare uno di loro. Gesù invece mangia e beve con loro: vuole entrare in
comunione con loro, stipulare un patto.
SCHEDA 6
 Quando Gesù raduna i suoi per l’ultima cena, comanda loro di perpetuare
questo gesto perché con esso vuole entrare in comunione con loro e con tutti
gli uomini, fare un’alleanza nuova con coloro che, pur peccatori, decidono di
seguirlo, di volersi bene, di mettersi al servizio gli uni degli altri.
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2. IL BANCHETTO DELL’EUCARISTIA
IL PROGRAMMA DELLA CELEBRAZIONE
 I momenti del convito eucaristico
Quando si conclude la preghiera eucaristica, si entra nei riti del banchetto. E’ un
insieme complesso che consta, per così dire, di tre momenti:
 momento della condivisione (“spezzò il pane”): prende avvio con il
Padre Nostro, e continua con il gesto di pace e la divisione del pane
 momento dell’invito a ricevere (“beati gli invitati”; “lo diede”): il
sacerdote proclama felici coloro che parteciperanno al banchetto preparato dal
Padre; gli invitati si muovono a ricevere i doni eucaristici.
 momento della comunione
Dopo aver ricevuto il Corpo e il Sangue del Signore, ciascuno si raccoglie nella
preghiera di comunione.
 Il senso globale del convito
SCHEDA 6
 Tutti i riti che seguono la preghiera eucaristica tendono a rafforzare
l’espressione del mistero di scambio di un bene dato e ricevuto, offerto e accolto,
spezzato e distribuito, in un’umile riconoscenza e gioiosa carità fraterna: preghiera
per il “pane di questo giorno”, gesto di pace e di riconciliazione, condivisione e
distribuzione, cammino processionale per un incontro, presentazione e ricezione,
canti di domanda e di gioia.
 Questi momenti della comunione costituiscono per ciascuno di noi un
momento di sommità: quello della propria partecipazione personale, al mistero
del Corpo. :
Attraverso il rito di un banchetto
- riceviamo il Corpo di Cristo, che è Cristo e la Chiesa
- entriamo in comunione con Dio e con i fratelli,
- condividiamo con loro tutto noi stessi.
 Gli atteggiamenti degli invitati
 In questo momento la chiesa ci guida a riconoscere la presenza del Signore:
“Ecco l’Agnello Di Dio”... “il Corpo di Cristo”.
 Noi rispondiamo prendendo coscienza del grande dono che Dio ci fa.
Come tutti coloro che scoprirono Gesù finirono per inginocchiarsi e adorarlo,
così anche noi in questo momento siamo portati ad adorarlo.
 Non solo. La santità di Dio fa nascere in noi il senso della nostra pochezza
e del nostro essere peccatori, per cui naturale chiedere perdono: “rimetti a noi,
come noi rimettiamo...”, “Liberaci da tutti i mali...”, “Agnello di Dio che togli i peccati
del mondo, abbi pietà di noi”, “Signore, non sono degno...”.
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 Non ci lasciamo però prendere dalla paura: il Dio che ci viene incontro in
Gesù ci apre alla fiducia, suscita gioia e riconoscenza, desiderio di rispondere
offrendo tutto noi stessi.
3. CONDIVIDERE: “spezzò il pane”
 La successione dei riti di condivisione
 In breve tempo si succedono preghiere e segni importanti;
- Padre nostro + Liberaci...
- segno della pace + frazione del pane.
 C’è il pericolo di un ingorgo e che finiscano per sovrapporsi: ad esempio
lo spezzare del pane si fa mentre l’assemblea si scambia il segno della pace; è
perciò necessario che noi mettiamo in rilievo ciò che è importante e li sappiamo
fare in modo che ci portino ad interiorizzare l’incontro sacramentale. Il gesto dello
spezzare il pane non deve sfumare tra tutto ciò che lo precede e la comunione
che lo segue.
 La preghiera del Signore: Padre nostro
SCHEDA 6
 Dopo un invito ad avere il “coraggio” di dire, - invito la cui formulazione
può essere variata, adattata in funzione delle circostanze ‑ tutti facciamo nostra
la “preghiera del Signore”. Non è una preghiera di chi presiede la celebrazione,
ma di tutta l’assemblea. Anche nel caso si decidesse di cantare, deve rimanere il
carattere comunitario (il Padre nostro non può essere cantato solo da un gruppo
di persone).
Nel dire questa preghiera teniamo preferibilmente le mani alzate, come figli che
si rivolgono con affetto al loro padre. In alcuni luoghi, specialmente nei gruppi,
si preferisce dire questa preghiera tenendosi per mano, per indicare l’unità e
l’appartenenza all’unica famiglia di Dio.
 Alla fine il sacerdote sviluppa l’ultima parte del Padre nostro chiedendo la
liberazione dal male (materiale e spirituale) e la venuta del regno.
Facciamo questa preghiera certi che la vittoria sarà di Dio: “perché suo è il regno,
sua la potenza...”: tutto appartiene a Dio, e la venuta del suo regno è nelle sue
mani.
 Con questa preghiera, insegnataci da Gesù, noi
‑ esprimiamo la nostra fede di essere figli del Padre,
- ci sentiamo “fratelli”,
- esprimiamo la nostra solidarietà: è una preghiera dove non esiste l’ “io”
ma il “noi”: sentiamo come nostri le necessità, i pericoli e anche i peccati
di tutti.
‑ domandiamo il pane del regno e il pane “quotidiano”: solo per quel giorno,
senza accaparramento, perché Dio è Padre provvidente;
‑ riconosciamo la nostra situazione: peccatori che hanno bisogno di
perdono, soggetti alla prova.
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 Il rito della pace
 Il gesto
Il sacerdote chiede la pace ricordando la promessa fatta da Gesù nella cena
pasquale e il dono avvenuto il giorno di Pasqua. Poi lui stesso o il diacono
invitano ad “offrirsi” reciprocamente la pace.
Lo si può fare con una stretta di mano, o con un bacio, o un abbraccio e
pronunciando un augurio come: “Pace a te”, “Pace e bene”.... Non è il momento
per un saluto profano come “piacere” o “ciao”.
Il gesto di pace ha una grande portata. Non dobbiamo deprezzarlo con
l’automatismo. In alcune assemblee, può essere opportuno riservarlo per certe
occasioni nelle quali questo rito è particolarmente eloquente.
 Il suo significato
La pace è
- dono del Risorto (da domandare)
- e impegno (da donare).
In particolare, anche se il gesto viene fatto con i vicini, è con tutti, vicini e lontani,
che ciascuno scambia il meglio di quell’amore insegnatoci dal Signore: “Amatevi
gli uni gli altri” (parole pronunciate nel rito bizantino per invitare i fedeli al bacio
della pace);
SCHEDA 6
In questo gesto, viene chiamata in causa non solo la mia relazione affettiva verso
colui al quale mi rivolgo, ma la mia relazione in Cristo. L’obiezione: “Non conosco
il mio vicino; non ho nulla da perdonargli” mostra che si riduce il gesto a una
relazione personale immediata, mentre si tratta già della comunione in Cristo.
Se era necessaria una riconciliazione personale con il mio vicino, essa avrebbe
dovuto essere fatta prima dell’eucaristia.
Il darsi la mano è un gesto di comunione: ciascuno riceve l’altro, il fratello; poi la
stessa mano riceverà l’altro “Fratello” maggiore, Gesù, nel segno del pane.
E’ anche un gesto di alleanza, di “sposalizio” (si pensi al rito del matrimonio) con i
fratelli; troverà il suo pieno compimento nell’alleanza e nello sposalizio con Gesù
al momento di ricevere nella mano il Corpo di Cristo.
 La frazione del pane
 Il gesto
Il sacerdote prende il pane e lo divide in varie parti; nelle grandi celebrazioni, lo
stesso avviene per il vino che dall’unico calice viene versato in altri calici.
88
E’ un rito importante che purtroppo rischia di scomparire come segno simbolico
nella quasi totalità delle nostre eucaristie parrocchiali. Capita che in meno di
tre secondi e con un gesto appena visibile il prete spezzi in due la “sua particola”,
durante il brusio dello scambio della pace o durante l’intonazione dell’Agnus Dei.
Poi lo consuma tutto da solo: come vedere la condivisione?
Per fare in modo che abbia tutto il suo rilievo è bene che il gesto venga compiuto
in un momento in cui può essere ben percepito dall’assemblea; di solito quando
il canto dell’Agnello di Dio è già iniziato.
Si presuppone che non ci siano solo particole già preconfezionate. Alcuni
ministri eventualmente aiutano nello spezzare il pane e distribuirlo nelle patene
e o pissidi.
Il gesto viene accompagnato dal canto dell’Agnello di Dio o “canto allo spezzare
del pane”.
 Il suo significato
Il gesto dello spezzare il pane e bere allo stesso calice è il rito costitutivo
dell’Eucaristia cristiana, e contiene un simbolo universale tra i più eloquenti e
sempre attuali.
E’ un rito che riprende tutti i significati umani del mangiare insieme
approfondendoli con quello che ha fatto Gesù. Ne abbiamo parlato all’inizio
di questa scheda.
E’ un gesto memoriale, che porta dentro la storia della salvezza: i banchetti antichi,
quelli preannunciati dai profeti, quelli raccontati da Gesù nelle parabole, quelli
compiuti da lui con la moltiplicazione dei pani, con la partecipazione ai banchetti
dei pubblicani, il primo avvenuto a Cana e l’ultimo nel Cenacolo.
SCHEDA 6
Tutti questi significati confluiscono nell’attuale frazione del pane. In particolare
essa significa
- unità e amore: è espresso dalla presenza dell’unico pane e calice (“tutti un
solo pane e calice”) e dall’essere riuniti.
- condivisione: lo rivela il gesto della divisione e della successiva
distribuzione.
‑ sacrificio e passione: è detto con il gesto dello spezzare.
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4. RICEVERE ED ENTRARE IN
COMUNIONE:
“diede il pane...il vino”
 La prima Alleanza al monte Sinai fu suggellata nel sangue e in un pasto
comunitario in cui gli Israeliti “mangiarono e bevvero” (Es 24,11).
 La nuova Alleanza è stata suggellata una volta per tutte sul monte Calvario
nel sangue della croce; da allora , tutti i battezzati di ogni luogo e di ogni tempo
entrano in questo patto mangiando e bevendo secondo il comando del Signore.
Il momento della comunione è per tutti noi quello di maggiore impegno, quello
in cui ognuno riceve il Corpo e del Sangue del Signore ed entra in comunione
con lui.
 Invito al banchetto
SCHEDA 6
 Facendo eco alla parabola degli invitati al banchetto delle nozze del
figlio del re: “Tutto è pronto, venite” (Mt 22,4) e riprendendo la beatitudine
dell'Apocalisse: “Beati gli invitati al banchetto di nozze dell'Agnello” (Ap 19,9), il
sacerdote ci mostra il pane eucaristico che sarà ricevuto nella comunione e ci
invita al banchetto di Cristo; tutti insieme esprimiamo come ci sentiamo davanti
a questo evento, servendoci delle parole pronunciate dal centurione romano:
“Signore , non sono degno...”
 Le parole che pronuncia il sacerdote sono del Padre: è lui che invita al
banchetto di nozze del Figlio, a un banchetto di festa, di vita.
L’invito è rivolto a tutti, specialmente a quanti sono in difficoltà e che potrebbero
essere esclusi: gli storpi, i ciechi..., i peccatori.
Tale invito ci trova indegni: siamo come il figliol prodigo che fa ritorno e per il
quale il padre ha preparato la festa; come lui e come il centurione manifestiamo
la nostra indegnità.
L’invito attuale anticipa l’invito ultimo, quello al banchetto del cielo.
 Processione di comunione
 Dopo l’invito, ci muoviamo processionalmente per ricevere i doni eucaristici.
E’ bene che sia data la possibilità di avvicinarsi il più possibile alla mensa per
legare la comunione al fatto della cena del Signore.
Una volta si faceva la comunione alla balaustra, sulla quale era stesa una tovaglia
ben ricamata, proprio per indicare la partecipazione al banchetto.
Oggi, in qualche chiesa, davanti al ministro o ai ministri che distribuiscono la
comunione, viene tesa una piccola lunga tovaglia tenuta da due ministranti per
indicare che si tratta di una mensa.
90
 La processione verso colui o coloro che distribuiscono i “santi doni” è carica
di significati:
- riceviamo i doni in un cammino: siamo pellegrini verso il Signore, per
passare con lui da questo mondo al Padre, dalla disgregazione all’unità,
dalla terra della schiavitù a quella dove scorre latte e miele
- ognuno si muove e tutti ci muoviamo: il cammino è personale e insieme
comunitario.
- l’attesa in fila, come medicanti, può significare la nostra situazione di
poveri (il povero Lazzaro)
- riceviamo i doni in un clima di festa di tutto un popolo.
 Ricevere il pane e il vino
 Il modo di ricevere i doni eucaristici
Il ministro presenta il Pane e il Vino eucaristici dicendo: “Il Corpo di Cristo... Il
Sangue di Cristo” e noi rispondiamo dicendo “Amen” ; li riceviamo in bocca o
nella mano.
- La tradizione più antica vuole che i doni eucaristici si ricevano nella mano.
Ascoltiamo al riguardo quanto insegnava san Cirillo a coloro che erano appena
stati battezzati:
SCHEDA 6
“Quando ti accosti (a ricevere la comunione), non avanzare con le palme delle
mani stese né con le dita aperte; ma fai della mano sinistra un trono per la mano
destra, perché essa deve ricevere il Re, e nel cavo della mano ricevi il corpo di Cristo,
dicendo: “Amen!” Allora con cura santifica i tuoi occhi con questo santo corpo; poi
prendilo e stai attento che non si perda nulla. Poiché ciò che perderesti, sarebbe
come se tu perdessi parte delle tue stesse membra. Dimmi, infatti: se ti avessero
dato delle pagliuzze d’oro, non le conserveresti forse con grandissima cura...? E non
vorresti vegliare con una cura ancora maggiore su un oggetto più prezioso dell’oro
e delle pietre preziose perché non se ne perda nemmeno una briciola? Quindi,
dopo aver comunicato al corpo di Cristo, accostati al calice del suo sangue. Non
allungare le mani, ma inchinati in un gesto di adorazione e di rispetto, dicendo:
“Amen!”, santificati assumendo così il sangue di Cristo. E, mentre le tue labbra sono
ancora umide, sfiorale con le tue mani e santifica gli occhi, la fronte e gli altri sensi.
Poi, mentre aspetti la preghiera, rendi grazie a Dio che ti ha giudicato degno di così
grandi misteri”. (Cirillo di Gerusalemme, Cat. mistag. V, 21‑22)
Prima di ricevere i doni eucaristici si fa un segno di rispetto e di adorazione, come
ad esempio un leggero inchino.
E’ auspicabile la partecipazione al calice. Non ci si dovrebbe rassegnare troppo
facilmente a ridurre il doppio segno del sacramento, così ricco di significato. In
ogni messa è richiamato in forma solenne un comando del Signore:: “Prendete
e bevete”.
91
 Il significato del ricevere i doni eucaristici
- Pane e vino sono doni; non si prendono da soli ma si ricevono dalla mano del
ministro.
- Il tendere la mano come fa il bambino o un povero è proprio del cristiano davanti
al Padre: per questo il gesto è stato preceduto dalla preghiera del Padre nostro.
- Ciò che riceviamo è il “Corpo di Cristo”, cioè Cristo e quel corpo che è la Chiesa:
in Gesù noi riceviamo tutti come fratelli. Da qui nasce l’accoglienza, l’ospitalità, la
condivisione: non è possibile fare la comunione e poi vivere da separati.
- Dicendo “Amen” noi manifestiamo di credere fermamente a tutto questo e
vogliamo operare in questa direzione
 Il mangiare il Pane e il Vino:
La comunione al Pane di vita e al Calice della salvezza
 Dopo aver ricevuto il pane nella mano, ci si sposta leggermente a lato e si
mangia la “parte” di pane ricevuta: da qui “particola”, piccola parte.
SCHEDA 6
 Il mangiare è un gesto di comunione. “Il calice della benedizione che noi
benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi
spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane,
noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo all’unico
pane (1 Cor 10,16‑19).
Per comprendere tutta la ricchezza del gesto e la profondità della comunione
che si attua, bisogna rifarsi alle ricche valenze simboliche che hanno il pane e
il vino. Distinguiamo vari livelli.
 Pensiamo da dove derivano il pane e i vino e come vengono fatti
PANE E VINO NATURALI
 Pane e vino sono frutti della terra e del lavoro dell’uomo, doni di Dio e fatica
dell’uomo.
 Pane e vino provengono dal grano macinato, dall’uva pigiata, cioè dal loro
“sacrificarsi”: sono simbolo di sacrificio.
 Nel pane i grani perdono la loro individualità, sono ridotti a farina e
impastati con l’acqua diventano pane; qualcosa di analogo avviene per gli
acini dell’uva che diventano vino: pane e vino sono simboli di unità., dei
“molti che diventano uno”.
 Il pane viene cotto, il vino è prodotto dalla “bollizione”; c’è un intervento
del fuoco.
92
PANE E VINO EUCARISTICI
 Prendendo i doni eucaristici noi entriamo in comunione con Dio, con tutti gli
esseri creati, con tutto il travaglio della creazione.
 Prendendo il pane e il vino consacrati noi diventiamo partecipi del sacrificio
di Cristo di Cristo e della chiesa
 Prendendo il Pane e del Vino consacrati esprimiamo e realizziamo l’unità
tra noi e con Cristo.
 Il sacrifico eucaristico si compie per opera di colui che è il fuoco di Dio, Spirito.
 Partiamo dalle funzioni naturali del pane e del vino per scoprire quelle
eucaristiche.
PANE E VINO
Il pane e il vino nutrono, mantengono in vita; perciò diventano simbolo di vita.
Il pane e il vino assunti dall’uomo, vengono trasformati, assimilati
 Il vino produce gioia, ebbrezza
SCHEDA 6
 Il vino viene utilizzato come medicina, è un disinfettante sulle ferite.
PANE E VINO EUCARISTICI
 Il pane e il vino eucaristici sono il vero cibo, danno la vita eterna, sono causa
della risurrezione (Gv 6)
 Il pane e i vino presentati dalla chiesa diventano il Corpo e il sangue di Gesù
e la nostra vita passa nella sfera divina.
 Nell’ultima cena Gesù ha preso il calice della “benedizione”, della gioia, per
darlo ai suoi.
 Nell’Eucaristia il vino ci è dato per la purificazione, per la “remissione dei
peccati”
 Il pane e il vino, utilizzati da Gesù nell’ultima cena, erano carichi di storia,
portatori di fatti memorabili; avevano assunto perciò dei significati particolari
e importanti per tutto il popolo.
Prendendoli per la sua ultima cena, Gesù ha voluto che non fossero portatori
solo di quella storia antica, ma di quello che quella storia preannunciava: i fatti
della sua vita.
Per capirlo analizziamo che cos’erano il pane il vino nella Pasqua ebraica.
93
IL PANE DELLA CENA PASQUALE EBRAICA
 Il pane utilizzato è azzimo, cioè non ha lievito, manca di fermenti che,
anticamente, provenivano da pasta lasciata fermentare, non ha niente di
vecchio, è veramente nuovo.
 E’ stato utilizzato la prima volta nella partenza dall’Egitto e perciò è un
pane-memoria dell’esodo-pasqua degli ebrei.
 E’ il pane-memoria del tempo della schiavitù, pane della miseria.
 E’ il pane-memoria della liberazione e del riscatto dall’Egitto.
 E’ il pane della peregrinazione che si prende “con i fianchi cinti e il bastone
in mano”; è la manna che accompagna il popolo lungo tutto il cammino nel
deserto (Es 16);
E’ il pane per il viaggio di Elia per giungere al mondo di Dio (1 Re 19,6);
 E’ il pane della primizia, dell’entrata nella terra promessa: quando gli ebrei
entrano nella terra promessa fanno per l’ultima volta le azzime con l’orzo
prodotto dalla terra promessa a loro da Dio.
IL PANE DELLA CENA DI GESÙ
 Chi mangia il pane di Gesù diventa “pane nuovo”, entra nel tempo nuovo..
SCHEDA 6
 Nell’ultima cena Gesù prende quel pane lo fa memoria del suo esodo:
“sapendo che era venuta l’ora di passare da questo mondo al Padre....: Fate
questo in memoria di me”; prendendo questo Pane anche noi passiamo con
lui da questo mondo al Padre.
 Gesù dando questo Pane ci fa prendere
coscienza della nostra misera situazione, delle nostre schiavitù.
 Gesù dà questo pane come sacrificio per una liberazione più profonda,
quella dal peccato.
 Gesù dà questo il suo Pane come “pane della via” (viatico); per questo noi lo
riceviamo lungo tutta la nostra vita, per poter giungere a veder Dio.
 Il Pane che dà Gesù è primizia e caparra del banchetto del cielo, dove
gusteremo i frutti della vera terra promessa.
94
IL VINO DELLA CENA PASQUALE EBRAICA
Quando Israele è infedele riceve da Dio il calice della maledizione,
dell’amarezza, del dolore. Quando è fedele Dio gli dà il calice della benedizione,
della gioia. Nella cena pasquale, Israele riceve il calice della benedizione.
 Il vino è simbolo del sangue dell’alleanza fatta al Sinai. In ogni Pasqua l’ebreo
entra “oggi” in questa alleanza.
IL VINO DELLA CENA DI GESÙ
 Nell’ultima sua cena pasquale Gesù pronuncia le sue parole sul calice
detto “il calice della Benedizione”. In questo modo egli dà a noi il calice della
benedizione, della gioia, della vita, e prende per sé (nell’orto degli ulivi) il calice
della maledizione e del dolore, dovuto a noi per i nostri peccati: Riceviamo
contemporaneamente il calice della benedizione e il calice per la remissione dei
peccati:
 Nella cena di Gesù il vino è il suo sangue, sangue del vero agnello che
sigilla la nuova ed eterna alleanza.
 In conclusione: prendendo i doni eucaristici noi entriamo in comunione Dio,
con i fratelli, con la creazione. Siamo immersi, inseriti, partecipi del divenire della
storia che va verso la pienezza della pasqua.
SCHEDA 6
Da quanto si è detto sul senso dei doni eucaristici, abbiamo percepito che ci è
difficile comprendere appieno che cosa vuol dire “fare la comunione”. Bisogna
non banalizzare, aver fretta di finire la messa. E’ bene fermarsi, fare silenzio,
cercare di non lasciare cadere niente, essere come la Madonna che “conservava
tutte queste cose meditandole nel suo cuore”.
 Il silenzio, l’inno e l’orazione
 Quando tutti si sono comunicati è bene restare in completo silenzio. A
questo punto il Messale dice:
“Ultimata la distribuzione della Comunione, il sacerdote e i fedeli, secondo
l’opportunità, pregano un po’ in silenzio. E’ anche ammesso, se lo si desidera, che
tutta l’assemblea esegua un inno, un salmo o un altro canto di lode”(OGMR 164).
A conclusione dell’eucaristia il sacerdote fa un’ultima preghiera. Noi facciamo
nostra l’orazione dicendo “Amen”.
Questo silenzio porta ad approfondire quanto è avvenuto. Il messale,
proponendo un’antifona tratta dal vangelo, ci suggerisce di vedere realizzarsi
oggi per noi quanto è stato proclamato nella liturgia della parola.
Da questo silenzio nasce il vero canto finale al canto e la preghiera conclusiva.
In questa preghiera chiediamo che l’eucaristia porti i suoi frutti nella vita presente
e ci guidi a raggiungere la “patria” celeste.
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Piste per proseguire la ricerca e il dialogo
1. PER CELEBRARE MEGLIO
 Le nostre celebrazioni riescono a far comprendere il grande significato di
questa parte della messa?
 Quali gesti restano ancora troppo nell’ombra (lo spezzare del pane,
partecipazione al calice....)
 Come viviamo questa parte della messa: in modo intimistico o comunitario?
2. PER EVIDENZIARE IL RAPPORTO TRA IL VANGELO
E LA COMUNIONE
SCHEDA 6
 Al momento della comunione il messale propone una antifona tratta dal
vangelo suggerendo così che con la comunione si realizza pienamente la
parola ascoltata. Come fare perché questo possa essere compreso da tutti:
3. PER STABILIRE UNA UNITA’ TRA LA CELEBRAZIONE
E LA VITA QUOTIDIANA
 In questa parte della messa ci sono tre parole chiave: condividere, ricevere,
entrare in comunione: come le viviamo nella vita quotidiana?
96
SCHEDA 7
CELEBRARE LA MISSIONE
Inviati in missione
CERCHIAMO INSIEME
E’ importante finire un incontro tra amici o una riunione nel modo giusto.
1. L’ESPERIENZA UMANA
Cerchiamo dapprima che cosa avviene
- quando due persone si lasciano (magari in modo definitivo, per un lungo
viaggio, o prima di morire) .... (Vedi il congedo dei Patriarchi...)
- quando una riunione finisce ...
2. L’ESPERIENZA BIBLICA
Cerchiamo che cosa avviene quando ci congediamo da Dio, o Dio si congeda da
noi
- quando finisco di pregare avviene che....
- quando Dio si congeda dall’uomo avviene che...
(leggiamo i brani seguenti della Bibbia)
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 24,50‑53)
Gesù condusse i suoi discepoli verso il villaggio di Betània. Alzò le mani
sopra di loro e li benedisse. Mentre li benediceva si separò da loro e fu
portato verso il cielo. I suoi discepoli lo adorarono. Poi tornarono verso
Gerusalemme, pieni di gioia. E stavano sempre nel tempio lodando e
ringraziando Dio.
Dal Vangelo secondo Marco (16,14‑20)
Alla fine Gesù apparve agli undici discepoli mentre erano a tavola. Li
rimproverò perché avevano avuto poca fede e si ostinavano a non credere
a quelli che lo avevano visto risuscitato. Poi disse: “Andate in tutto il mondo
e portate il messaggio del vangelo a tutti gli uomini. Chi crederà e sarà
battezzato sarà salvo; ma chi non crederà sarà condannato.
“E quelli che avranno fede faranno segni miracolosi: cacceranno i demoni
invocando il mio nome; parleranno lingue nuove; prenderanno in mano
serpenti e berranno veleni senza avere nessun male; poseranno le mani sui
malati e li guariranno”. Dopo quelle parole il Signore Gesù fu innalzato fino
al cielo e Dio gli diede potere accanto a sé. Allora i discepoli partirono per
andare a portare dappertutto il messaggio del vangelo. E il Signore agiva
insieme a loro e confermava le loro parole con segni miracolosi.
97
Dal Vangelo secondo Matteo (28,16‑20)
Gli undici discepoli andarono in Galilea, su quella collina che Gesù aveva
indicato. Quando lo videro, lo adorarono. Alcuni, però, avevano dei dubbi.
Gesù si avvicinò e disse: “A me è stato dato ogni potere in cielo e in terra.
Perciò andate, fate diventare miei discepoli tutti gli uomini del mondo;
battezzateli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; insegnate
loro a ubbidire a tutto ciò che io vi ho comandato. E sappiate che io sarò
sempre con voi, tutti i giorni, sino alla fine del mondo”.
Dagli Atti degli apostoli (1, 6‑11)
Allora quelli che si trovavano con Gesù gli domandarono:
‑Signore, è questo il momento nel quale tu devi ristabilire il regno d’Israele?
Gesù rispose:
‑ Non spetta a voi sapere quando esattamente ciò accadrà: solo il Padre
può deciderlo. Ma riceverete su di voi la forza dello Spirito Santo, che sta
per scendere. Allora diventerete miei testimoni in Gerusalemme, in tutta la
regione della Giudea e della Samarìa e in tutto il mondo.
Detto questo Gesù incominciò a salire in alto, mentre gli apostoli stavano
a guardare. Poi venne una nube, ed essi non lo videro più. Mentre avevano
ancora gli occhi fissi verso il cielo, dove Gesù era salito, due uomini, vestiti
di bianco, si avvicinarono loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché ve ne
state lì a guardare il cielo? Questo Gesù che vi ha lasciato per salire in cielo,
un giorno ritornerà come lo avete visto partire”.
SCHEDA 7
Dal libro della Genesi : Giacobbe lotta con un angelo (Gn 32,25-30)
Giacobbe rimase solo, e uno sconosciuto lottò con lui fino allo spuntar
dell’alba. Quando costui vide che non poteva vincere Giacobbe nella lotta,
lo colpì all’articolazione del femore, che si slogò, e disse:
- Lasciami andare perché già spunta l’alba. Giacobbe rispose:
- Non ti lascerò andare se prima non mi avrai benedetto.
Quello chiese:
- Come ti chiami?
- Giacobbe, - egli rispose.
L’altro disse:
- Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché tu hai lottato contro
Dio e contro gli uomini e hai vinto.
Giacobbe gli domandò:
- Dimmi, ti prego, qual è il tuo nome? L’altro gli rispose:
- Perché mi chiedi il mio nome? - e diede la sua benedizione a Giacobbe.
3. L’ESPERIENZA DELLA CELEBRAZIONE
- Consideriamo che cosa avviene quando finisce la messa: quali somiglianze
possiamo riscontrare tra i brani biblici e il congedo della messa
98
1. FINIRE UNA RIUNIONE - CONGEDARSI
 Congedarsi tra persone
 Quando arriva il momento di lasciarsi tra amici,
- pronunciamo parole e facciamo dei gesti di saluto: ringraziamenti, auguri,
strette di mano, abbracci..
- eventualmente fissiamo incontri successivi (quando, come, dove...)
 Se si tratta di una riunione, chi presiede
- ringrazia e saluta l’assemblea,
- fissa i nuovi appuntamenti e gli argomenti che verranno trattati, ricorda
gli impegni assunti,
- dichiara conclusa la riunione.
SCHEDA 7
 Quando si tratta di congedi di carattere definitivo o quasi (prima di un
viaggio dall’esito incerto, prima di morire, il congedo dei patriarchi biblici )
allora parole e gesti assumono un carattere particolare:
- viene affidato un messaggio; di solito si riferisce ad uno stile di vita:
“Comportati sempre da...”; “Fa onore...”).
- vengono dati degli oggetti-ricordo (medaglia, spilla...) o la proprietà di
beni (eredità).
- l’augurio assume il carattere di una benedizione e di una preghiera: “Il
Signore ti benedica, ti accompagni, faccia riuscire il tuo viaggio...”
- è dichiarato che, pur venendo a mancare la presenza fisica, si vuole
mantenersi sempre uniti, presenti in qualche modo: “Ti sentirò sempre
vicino”, “Non ti dimenticherò mai”.
 Anche la festa ha bisogno del rito di commiato. Non ci si lascia alla spicciolata.
Nel pranzo di nozze o di un compleanno, dove sembra che ad un certo punto
ciascuno se ne vada per conto suo, in realtà di solito si attende l’ultimo gesto
comune (ad esempio il caffè) e poi ciascuno va a salutare gli sposi e gli altri
invitati.
 Si sente la necessità di concludere con gesti e parole comuni, dedicando un
tempo apposito per questo: il congedo è sempre un fatto comunitario, anche se
alcuni gesti e parole sono lasciati al singolo.
99
 Il congedarsi di Gesù dai suoi
 L’ultima cena di Gesù è una celebrazione di commiato. In essa Gesù
- manifesta la sua ultima volontà: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati”.
- dona ai discepoli tutto ciò che ha ricevuto dal Padre: la parola, l’amore,
la gioia, la missione, la persecuzione..., lo Spirito Santo e tutta la sua vita
(corpo e sangue). Per questo si legga tutto il discorso dell’ultima cena
riportato da san Giovanni.
- dichiara che non li lascerà soli; anzi ritornerà e abiterà in loro.
SCHEDA 7
 Quando Gesù si congeda definitivamente il giorno dell’ascensione
- dà un appuntamento ai suoi;
- fa un ultimo dialogo: i discepoli interrogano e Gesù risponde;
- dona loro tutto ciò che ha ricevuto: “ogni potere in terra e in cielo”; in
particolare, affida loro la sua missione: “Andate... battezzate...”;
- assicura che sarà sempre presente: “Sarò sempre con voi tutti i giorni”;
- dà la sua benedizione;
- i discepoli fanno un ultimo gesto: adorano. Secondo alcuni adorare
letteralmente vuol dire: portare la mano alla bocca, baciarla e inviare i
bacio.
100
2. FINIRE LA MESSA - CONGEDARSI
 Alla fine della messa, con l'ultimo dialogo tra il presidente e l’assemblea,
avviene qualcosa di simile a quello che si fa quando ci si lascia tra amici, quando
si scioglie una riunione.
Ma soprattutto avviene il commiato di Gesù dai suoi nuovi discepoli. Esso ha tutte
le caratteristiche del primo commiato.
 Fermiamoci ad esaminarlo. E’ composto
‑ di un saluto, che afferma una presenza
‑ una benedizione del presidente (semplice o solenne)
‑ un commiato, proprio del diacono: "Andate in pace", a cui la comunità
risponde: "Rendiamo grazie a Dio".
 Proprio per il suo significato, saper concludere bene la messa, in modo
espressivo, non è solo una esigenza sociale o della festa, ma è rivivere il commiato
di Gesù.
 I lettori alla fine di una frase o della lettura hanno una “cadenza” che fa
percepire che si è alla fine del discorso. I films e le singole sequenze sono
costruite in modo che ci si accorge che si è alla fine: non si finisce bruscamente.
“I musicisti sanno che alla fine di un brano musicale si incontra, quasi sempre,
una successione armonica chiamata “cadenza”: può essere di vari tipi, ma la sua
funzione, in posizione finale, è una sola: serve a far capire che siamo alla fine, che
il discorso musicale, in modo più o meno drastico, è “concluso” (D. Gianotti).
 Anche nella messa c'è bisogno di una sorta di “cadenza liturgica”, qualcosa
che segni il punto conclusivo della celebrazione. Cadenza però non vuol dire
che deve scadere, ma che parole gesti e canti acquistano una forma rituale che,
richiama sinteticamente i precedenti e li chiude aprendoli alla vita. In quest’ottica
vanno visti tutti gli elementi che costruiscono il congedo.
SCHEDA 7
 La “cadenza liturgica”
 Il saluto
 Un incontro, una riunione ha sempre come ultimo atto un qualche forma
di saluto.
 Anche l’assemblea eucaristica si conclude come era incominciata, con un
ultimo dialogo‑saluto, con un richiamo alla presenza del Signore risorto:
"Il Signore sia con voi".
"E con il tuo spirito".
In questo modo esprimiamo ancora una volta che abbiamo vissuto l’Eucaristia,
dall’inizio alla fine, alla presenza del Signore. E’ lui che dà senso e valore a tutte le
parole dette, ai gesti compiuti, e, in concreto, alla benedizione finale.
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 In questo saluto sentiamo l’eco delle parole dell’Apocalisse: “E’ fatto. Io sono
l’Inizio e la Fine, il Primo e l’Ultimo”, “l’Origine e il Punto di arrivo”, “il Signore che
è che era e che viene, il dominatore dell’universo” (Ap 21, 6; 22,13;1,8)
Gesù è l’inizio e la fine della celebrazione come anche della nostra vita e di tutta
la storia. Tutto avviene alla sua presenza, tutto viene ricondotto a lui.
 La benedizione finale
 Quando stiamo per lasciare una persona a cui vogliamo bene, le facciamo
gli auguri. Se si tratta di un congedo molto importante (prima di una partenza
definitiva, prima di lasciare la casa, il posto di lavoro...) gli auguri che formuliamo
cercano di toccare le zone più profonde dello spirito e delle attese umane.
Talora questi auguri assumono lo stile di una preghiera a Dio perché conceda....
Invece di dire: “Buon viaggio”, diciamo: “Il Signore ti dia di fare un buon viaggio”:
si tratta di una benedizione.
 Quando il popolo d’Israele sta per lasciare il deserto per entrare nella nuova
realtà della terra promessa, Aronne benedice il popolo; la stessa benedizioneaugurio viene ripetuta all’inizio di ogni anno:
“Ti benedica il Signore e ti protegga.
Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio.
Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda la pace” (Nm 6,24-25)
 Gli antichi attribuivano una grande importanza alle benedizioni, soprattutto
a quelle prima della separazione e, in particolare, prima di lasciarsi definitivamente
per un paese lontano o di morire.
I patriarchi, prima di morire, invocavano sui loro figli le benedizioni divine. La
loro parola diveniva irrevocabile e impegnava Dio stesso (Gn 27, 33; 49; Dt 33).
SCHEDA 7
 La benedizione che avviene alla fine della Messa è l’augurio-preghiera che
il presidente fa all’assemblea prima che si sciolga.
Dopo il saluto, il presidente, cioè il Signore, benedice la sua comunità.
 Vi sono vari modi di dare la benedizione alla fine dell'Eucaristia:
‑ quello solito, con la semplice invocazione della Trinità e il segno della
croce.
‑ con una preghiera sul popolo: il sacerdote la pronunzia una preghiera con
le braccia stese sul popolo in ascolto e a capo chino. Si usa soprattutto in
Quaresima.
Esempio:
Benedici, Signore, il tuo popolo
che attende i doni della tua misericordia,
e porta compimento i desideri di bene
che tu stesso gli hai ispirato.
102
‑ con la benedizione più solenne, per i giorni di festa e le domeniche più
importanti dell’anno; normalmente è divisa in tre frasi, a cui ogni volta noi
rispondiamo “Amen”. Col nostro “amen” manifestiamo la nostra fede che
Dio ci sta rendendo realmente destinatari della sua benedizione per mezzo
del sacerdote.
Esempio:
Dio, sorgente e principio di ogni benedizione,
effonda su di voi la sua grazia
e vi conceda vita e salute. Amen.
Vi custodisca integri nella fede,
pazienti nella speranza,
perseveranti nella carità. Amen.
Disponga nella sua pace i vostri giorni,
accolga le vostre preghiere
e vi conduca alla felicità eterna. Amen.
 Il sacerdote pronuncia le parole di questa benedizione con lentezza, con
convinzione, tracciando espressivamente la croce sul popolo (o stendendo
prima le braccia su di esso, se si tratta di benedizione solenne). In lui è il Signore
che benedice.
 Dio è “onnipotente”, è fonte di ogni bene. Quando “bene‑dice”, pronuncia
una parola efficace, fa dono della sua grazia e della salvezza. Attraverso Cristo
ci ha colmato delle sue più preziose benedizioni (cf Ef 1,3). Ora, al termine
dell'Eucaristia, ancora una volta trasmette questa benedizione trinitaria al tutta
l'assemblea celebrante, come per riassumere tutto quello che è avvenuto nella
celebrazione.
Questa benedizione continua le grandi benedizioni della Bibbia e, in particolare,
rende attuale quella pronunciata da Gesù quando si congedò dai suoi il giorno
dell’Ascensione (Lc 24,50ss).
 "La messa è finita. Andate in pace"
 Qualcosa di analogo avviene quando è giunto il momento di sciogliere
l'assemblea.
Dopo la benedizione, il presidente, o il diacono se c'è, congeda il popolo con una
formula concisa: "La messa è finita. Andate in pace"
o altre espressioni simili:
‑ “La gioia del Signore sia la nostra forza. Andate in pace”.
‑ “Glorificate il Signore con la vostra vita. Andate in pace”.
‑ “Nel nome del Signore, andate in pace”.
‑ “Andate e portate a tutti la gioia del Signore risorto”.
Nella settimana di Pasqua il congedo e la risposta, possibilmente in canto, si
abbelliscono di un duplice gioioso alleluia:
“Andate in pace, alleluia alleluia”.
“Rendiamo. grazie a Dio, alleluia alleluia”.
 La frase, intesa nel senso più evidente, è un congedo.
Ma l’ “Andate in pace” richiama il concedo di Gesù dai suoi discepoli. Più che
indicare una fine è un invio in “missione”, un invito a divenire missionari: andate
alla vita, siete mandati a dare testimonianza con le vostre opere di quanto avete
qui celebrato.
SCHEDA 7
 Al termine di una riunione importante il presidente dichiara: "La seduta è
tolta". Nella pasqua ebraica il capofamiglia pronuncia una formula rituale che
certifica come tutto si è compiuto secondo il rito fissato.
103
Per questo una delle formule della lingua italiana dice:
“Glorificate il Signore con la vostra vita.”;
“Andate e portate a tutti la gioia del Signore risorto”.
L’assemblea si scioglie - dice il Messale - “perché ognuno ritorni alle sue
occupazioni lodando e benedicendo il Signore”. Siamo come i pastori che, dopo
avere incontrato il Messia, se ne tornarono al lavoro “lodando e benedicendo
Dio”.
"Rendiamo grazie a Dio" ("Deo gratias")
 La risposta della comunità al congedo è molto concisa ed espressiva:
“Rendiamo grazie a Dio”, in latino “Deo gratias”.
Se viene semplicemente detta è una finale un po’ povera: una bella riunione finisce
spesso con una grande e fragoroso applauso. Per questo un grande liturgista Crispino Valenziano - scrive: “Io immagino (che venga cantato) ‘come una voce
potente di una immensa folla, simile a fragore di grandi acque e a rombo di tuoni
possenti che gridano’ (Ap 19,1.6) al modo della liturgia celeste d'Apocalisse”.
 Anche se breve, è una risposta densa di significato.
Rendere grazie a Dio è stato l'atteggiamento fondamentale di tutta la messa. Alla
fine delle letture bibliche si dice: "Rendiamo grazie a Dio". All'inizio del prefazio il
presidente invita il popolo: "Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio".
 Questo l'atteggiamento deve passare nella vita quotidiana. Tutto viene da
Dio e di tutto gli rendiamo grazie. Buona abitudine, quella dei nostri vecchi, che
intercalavano con facilità: “Dio sia benedetto”, “Sia lodato Gesù Cristo”, “Grazie a
Dio”.
 Il bacio dell’altare
SCHEDA 7
 Dopo il saluto all’assemblea il sacerdote bacia l’altare simbolo di Cristo e
del sacrifico compiuto: è il saluto a Cristo.
 Non dovrebbe essere un gesto da compiere di sfuggita. Per comprenderne
bene il senso è utile richiamare il saluto famosissimo del rito siriaco e maronita:
“Rimani nella pace, altare santo del Signore.
Io non so se mi sarà dato di ritornare a te,
ma il Signore mi conceda di rivederti
nell'assemblea dei primogeniti scritti nei cieli (cf Eb 12,23);
poiché in quest'alleanza io ripongo la mia fiducia.
Rimani nella pace, altare santo e santificatore.
Il corpo e il sangue che ho ricevuto da te
mi ottengano la remissione dei peccati e la sicurezza
davanti al tremendo tribunale del nostro Signore e Dio, per sempre.
104
Rimani nella pace, altare santo di Dio, mensa della vita.
Intercedi per me perché io non lasci di pensare a te,
ora e nei secoli dei secoli. Amen” (M. Hayek, Liturgie Maronite, Paris 1963,
p. 292).
 Gli avvisi
 Se vi sono avvisi da dare ‑ a volte convenienti per informare e convocare
la comunità a determinate attività ‑ è bene darli con brevità e semplicità, prima
della benedizione e congedo.
Devono risultare in continuità con la celebrazione e la vita dell’assemblea.
 Si deve evitare di farli durante il silenzio della comunione o prima
dell’orazione finale, perché romperebbero lo stile celebrativo. Gli avvisi infatti
hanno una funzione che i linguisti direbbero “informativa” e verrebbero a
trovarsi in un contesto (preghiera personale e presidenziale) che ha piuttosto
una funzione “poetica”.
E’ bene affidare gran parte degli avvisi a un foglietto da portare a casa con tutte
le notizie e gli appuntamenti della settimana, magari stampati. con le letture
fatte durante la celebrazione.
 Gli avvisi sono un segno della vitalità di una parrocchia: Sono appuntamenti
ad attività proposte alla comunità per la preghiera, la sua cultura religiosa, per i
suoi impegni nel mondo o nella chiesa; costituiscono una chiamata a tradurre la
celebrazione in gesti concreti, nel quotidiano.
 Congedarsi tra fratelli
Finiti i riti di conclusione, ognuno riprende la via di casa. Prima però è opportuno
che, come all’inizio si è sentita la necessità di salutarci e di dimostrare la reciproca
accoglienza, ciascuno di noi compia personalmente alcuni gesti:
 compiere un gesto di venerazione o di adorazione al Santissimo. Spesso il
tabernacolo è al centro, dietro l’altare: il Signore è presente e ci ricorda che egli è
lì per essere il cibo anche per coloro che non hanno potuto venire.
SCHEDA 7
 salutare i vicini con una stretta di mano e con un’ultima parola di
ringraziamento; se possibile, si può anche salutare chi ha presieduto la
celebrazione;
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3. INVIATI A SERVIRE E TESTIMONIARE
 Una celebrazione che è un inizio
 Quando ebbe fine la celebrazione della prima pasqua, là in Egitto, gli ebrei
intrapresero il cammino della liberazione che li portava nel deserto e poi nella
terra promessa.
Quando Gesù ebbe finito la celebrazione della cena pasquale, uscì dal cenacolo
e diede inizio al cammino della sua passione attraverso cui egli dimostrava il suo
amore al Padre e a noi.
 Quando il sacerdote o il diacono dice “Andate in pace”, incominciamo anche
noi a vivere la messa, non più attraverso dei gesti rituali, ma attraverso quelli
della vita quotidiana.
Qui è il tempo e il luogo
- per “glorificare il Signore”,
- per divenire portatori della “pace del Signore”, quella che solo lui può dare,
- per dare testimonianza della “gioia del Signore", che viene da una fede sincera
in Cristo risorto, deve diventare "la nostra forza".
SCHEDA 7
 Una celebrazione che colora e trasforma la vita
quotidiana
La celebrazione dell’Eucaristia non è fine a se stessa: per noi è un punto di
riferimento per tutta la settimana: Non basta far le cose bene dal punto di
vista rituale; la cosa più importante è quella di esprimere nella vita ciò che
celebriamo nella liturgia. I singoli momenti della celebrazione sono stati come
una esercitazione di quello che con naturalezza e semplicità faremo nella vita
ordinaria.
 L’esperienza dell’incontro con Cristo e i fratelli getta la sua luce sugli incontri
di tutti i giorni e, per quanto ci è umanamente possibile, cercheremo di riprodurlo.
Certo non è facile, ma è la grande scommessa per noi che abbiamo celebrato la
“liturgia dell’incontro”
 La “liturgia della parola” orienta le nostre scelte e diventa per noi criterio e
guida di comportamento in ogni circostanza.
 La celebrazione del “mistero dell’offerta” ispira i nostri passi in modo che
passiamo concretamente da un atteggiamento di accaparramento a quello della
donazione gratuita e discreta.
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 La “liturgia del grazie” ci aiuta a vedere che Dio è ancora all’opera tra di noi e
trasforma la nostra preghiera, facendola essere un “ringraziare ricordando”.
 Il sacrificio di Cristo celebrato continua nella nostra quotidiana fedeltà alla
volontà del Padre, in un’obbedienza piena di amore e di fiducia.
 La comunione ricevuta ci porta a vivere in una permanente unione di
spirito con Cristo Gesù, per essere, come lui, sempre capaci di accoglienza, di
condivisione, di perdono, di attenzione, di concreto servizio gli uni verso gli
altri.
 Una celebrazione che porta a servire Dio nell’uomo e
a testimoniare la vita eterna
 “Andare in pace” non vuol dire quietismo, starsene a fare i propri comodi!
Non appena si entra nella logica della carità di Cristo, bisogna rinunciare all'ideale
della vita tranquilla. Nel Vangelo gli incontri con Gesù finiscono quasi sempre con
parole come: "Vieni; seguimi, andate!...". Nessuno incontra Gesù Cristo e rimane
tutto tranquillo come prima. L'unico che ha voluto incontrare Gesù, parlare con
lui e poi non cambiare niente nella sua vita, alla fine "se ne andò afflitto", perché
gli mancò il coraggio di rinunciare alla sicurezza dei suoi soldi (cf Mc 10,17‑22).
Chi ha incontrato Gesù è mandato a servirlo negli uomini, a fare memoria di lui
annunciando la sua morte e risurrezione.
SCHEDA 7
 Anche per noi, la messa della domenica è un incontro con Cristo. Come
l’abbiamo riconosciuto nei segni del pane e del vino e dell’assemblea riunita
nel suo nome, così lo riconosceremo in tutti gli altri segni: là dove due o più si
riuniscono nel suo nome (Mt 18,20), nei piccoli, nei sofferenti, ... in ogni uomo:
lì ci porremo in ascolto e proclameremo la sua parola, lì offriremo il frutto della
terra e del nostro lavoro, lì renderemo grazie, faremo comunione. Ogni giorno e
ogni momento è buono per fare memoria di lui in attesa della sua venuta.
Quella venuta che è oggi, che è nella prossima celebrazione, che è alla fine dei
tempi.
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Piste per proseguire la ricerca e il dialogo
1. PER CELEBRARE MEGLIO
 L’“Andate in pace” è compreso come solo come congedo o anche come “inizio
di una missione”?
 Come fare perché gli avvisi non appesantiscono la conclusione della messa?
2. PER EVIDENZIARE IL RAPPORTO CON TUTTA LA
MESSA
Il congedo non può risultare uguale per tutte le messe. Che cosa fare perché
ogni messa rispecchi brevemente il suo significato particolare?
3. PER STABILIRE UNA UNITA’ TRA LA CELEBRAZIONE E
LA VITA QUOTIDIANA
SCHEDA 7
 Come fare perché il congedo risulti un invio in missione?
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