1 2 La prima parte del Sinodo dei giovani – chiamata “fase di verifica” – ha dato la parola ai giovani impegnati in parrocchia, coinvolti in qualche forma di servizio. Al termine di questo primo tratto di strada ci siamo chiesti: quale volto di Chiesa esprimono le nostre comunità cristiane? Che percezione hanno della propria comunità e quale esperienza reale di Chiesa vivono i giovani che partecipano più attivamente alla vita della parrocchia? È interessante e ci fa riflettere il quadro emerso dalle osservazioni raccolte e dalle discussioni fatte. Le parrocchie presentano ancora una certa vivacità perché non mancano persone generose che si impegnano. Prevale però la dimensione del “fare”: un calendario carico di attività, iniziative, appuntamenti e… “tante cose da fare”. Tutta questa vivacità rischia però di soffocare altre dimensioni della vita ecclesiale: in particolare la cura dell’interiorità e la qualità delle relazioni umane tra le persone, i gruppi, le associazioni. E proprio il centro della vita comunitaria, l’appuntamento più importante per ogni comunità cristiana – la celebrazione dell’Eucarestia nel Giorno del Signore – rimane una questione aperta e in gran parte problematica per il mondo giovanile. Viene considerata spesso come un momento poco sentito e poco compreso; parole, segni e gesti non comunicano, sembrano lontani dalla vita delle persone. D’altro canto, questa prima fase del Sinodo ci ha permesso di monitorare la situazione delle nostre comunità; un dato interessante è la capillare diffusione di cori giovanili che animano la Messa. Sembra sia proprio questa la forma più diffusa di partecipazione e di servizio da parte dei giovani alla vita della comunità cristiana: anche laddove non ci sono gruppi giovanili, non manca generalmente la presenza di un coro dove i giovani cantano e suonano. Questo ingrediente dà sapore alle celebrazioni, purché il servizio liturgico sia curato bene, secondo certi criteri: canti significativi nel testo e nella musica, che aiutino ad entrare nel mistero che si sta celebrando, che mettano al centro la Parola di Dio; nessuna forma di esibizionismo, ma orientare gli sguardi verso il Signore, accompagnare l’assemblea perché i fratelli lodino insieme il Padre, il Figlio, lo Spirito. Da qualche anno, inoltre, i cori giovanili avvertono l’esigenza di rinnovare e arricchire il repertorio dei canti. Tutti questi elementi hanno portato la pastorale giovanile e l’ufficio liturgico a condividere percorsi e proposte. In particolare si è pensato di mettere a disposizione delle comunità parrocchiali, dei gruppi giovanili e dei cori che animano le liturgie due materiali: 1. Una raccolta di canti per l’eucarestia e altre celebrazioni legate all’iniziazione cristiana; 2. Alcune schede per approfondire in gruppo i significati antropologici e spirituali delle varie parti della Messa. Per ulteriori informazioni contattare l’ufficio diocesano per i giovani (0444-226566; giovani@vicenza.chiesacattolica.it) Sarà possibile avere anche i contatti con alcune persone preparate, in grado di accompagnare i gruppi in eventuali percorsi formativi, per riscoprire la bellezza di celebrare e testimoniare insieme l’amore del Signore. L’equipe diocesana per il Sinodo dei giovani 3 4 SCHEDA 1 CELEBRARE Il senso cristiano del celebrare CERCHIAMO INSIEME 1. TIPI DI CELEBRAZIONI Facciamo un elenco di diversi tipi di celebrazioni (non religiose) che conosciamo: 2. COME E’ COSTRUITA UNA CELEBRAZIONE Che cosa avviene quando celebriamo ...(descrivere una o due celebrazioni) Troviamo degli elementi comuni in queste celebrazioni? 3. CELEBRAZIONI DELLA VITA QUOTIDIANA E CELEBRAZIONI RELIGIOSE Confrontiamo le celebrazioni della vita di ogni giorno o civili e quelle religiose cristiane: ci sono diversità? quali? 4. PERCHÉ CELEBRARE? Alcuni dicono che non ha alcun senso celebrare, è tempo sprecato. Proviamo a chiederci: perché celebriamo? Può una persona vivere senza celebrare? 5 6 SCHEDA 1 SCHEDA 1 1. CELEBRARE La celebrazione Perché quella stretta di mano, quel pranzo particolare, quel brindisi gioioso? Perché quella riunione, quella manifestazione di folla, quel corteo per le strade? Qualcosa di importante sta avvenendo: è una celebrazione. Bere un bicchierino da solo al bar o fare un brindisi con un amico non è la stessa cosa: questa è una piccola celebrazione. Se riflettiamo sulla nostra esperienza, anche coloro che aborriscono le cerimonie, celebrano: salutano, al bar con gli amici fanno “cin cin”, festeggiano il compleanno, ... Ci accorgiamo che, sovente e volentieri, consacriamo del tempo a ciò che è più importante nella vita e lo facciamo celebrando. Tanti sono gli avvenimenti che formano il tessuto dell’esistenza quotidiana; tra questi, ve ne sono alcuni che sembrano condensare tutto ciò che di grande e di importante ci portiamo dentro. Si tratta di eventi che richiedono di potersi esprimere in un modo tutto particolare: esigono di essere “celebrati”. Nell’uomo la tendenza a celebrare si manifesta come un bisogno insopprimibile. Vita, morte, amore, gioie, dolori, conquiste, speranze, libertà, patria, Dio... tutto questo sentiamo di doverlo celebrare. Celebriamo ciò che è importante per noi personalmente: compleanno, laurea, matrimonio...; celebriamo ciò è importante per noi tutti insieme: la liberazione, il raggiungimento di una meta (entrata nell’Euro), l’unità della nazione.... Ma che cos’è una celebrazione? Proviamo a descriverla. è un'azione visibile Quando si celebra si compiono dei gesti (nel compleanno si spengono le candeline, nel fare le congratulazioni ci si abbraccia, bacia), si fanno canti (“Tanti auguri a te...”), movimenti, (battere delle mani, danzare,). La celebrazione è un’azione, sia pur particolare; non esclude il pensiero, il cuore, ma non si consuma nella mente o nell’intimità del nostro cuore; esige di manifestarsi attraverso tutta la persona in azioni concrete, visibili. è un'azione comunitaria Quando si celebra ci si riunisce. Da soli non si può celebrare. Il giorno del mio compleanno non mi chiudo in camera per mangiarmi la torta; il 25 aprile non stiamo a casa cantando Fratelli d’Italia. Per celebrare bisogna mettersi insieme. La celebrazione è un’azione comunitaria. E’ sempre un gruppo di persone o un popolo che compie una celebrazione. 7 SCHEDA 1 Questo mettersi insieme per celebrare è importante, perché aiuta a rinsaldare il vincolo di appartenenza al gruppo, consente di sentirci e di manifestarci come famiglia, gruppo di amici, comunità, nazione. Celebrare è dire a tutti che ciò che è avvenuto non è importante solo per me, per noi, ma lo è anche per gli altri; è chiamare a condividere ciò che sto vivendo o che viviamo. E’ stabilire dei legami, far emergere una profonda solidarietà. è un'azione fuori dell’ordinario, del feriale Quando celebriamo si dispone il luogo in un determinato modo (addobbi, luci, fiori...). Non utilizziamo gli oggetti soliti, ma diversi: la tovaglia e i bicchieri sono quelli belli...... Ci vestiamo ... “da festa”, “da cerimonia”. Non ci si preoccupiamo del tempo, di finire in fretta. Usiamo delle frasi o parole non abituali come i convenevoli (proprie del “con-venire”). Tutto questo significa rottura con lo svolgimento abituale dell’esistenza, una irruzione del diverso e del nuovo nella storia personale o comunitaria. La celebrazione comporta una parentesi nella vita ordinaria: è un’azione fuori dell’ordinario, del feriale. Non è dettata dall’interesse, non è finalizzata al produrre, è qualcosa che si compie all’insegna del gratuito, del disinteresse, del non produttivo. porta a vivere qualcosa che tocca le zone profonde della vita umana Non celebriamo ogni giorno impiegato a costruire la casa, ma quando si giunge al tetto. Non si celebra una banalità, bensì un valore che ci costituisce come uomini e ci aiuta a essere più uomini. La celebrazione è sempre provocata da qualcosa che attinge al senso ultimo della vita e della storia. Quando si celebra un matrimonio, lo si fa per esprimere il valore che assume l’amore tra due persone, il valore della fecondità, la speranza che ci protende verso il futuro. Quando si celebra il lavoro si esaltano la laboriosità, la solidarietà, le conquiste in campo sociale, la prospettiva d’un futuro migliore. E’, dunque, sempre un valore che tocca la vita del singolo e della comunità a venire celebrato. La celebrazione porta a vivere qualcosa che tocca le zone profonde della vita umana. produce un'esistenza trasformata Dopo una celebrazione non siamo più quelli di prima, ci sentiamo diversi. La celebrazione cambia profondamente la vita degli uomini, è uno di quei momenti che obbligano a “voltare pagina”. Se la celebrazione è vissuta con verità, si assisterà a una trasformazione nella qualità di vita dei partecipanti. Essi ritorneranno alla quotidianità rinfrancati e ricaricati, come gente che ha riscoperto un senso da vivere. è una festa Quando si celebra si fa festa. Celebrazione e festa si richiamano a vicenda come due poli di un’unica realtà, come l’anima e il corpo di un unico organismo. 8 La festa di compleanno è fatta di tanti elementi: al centro ci sono sempre la torta con le candeline, il canto, gli auguri che danno a tutta la festa il carattere di una celebrazione. La celebrazione è il centro della festa, il principio ispiratore di tutte le sue componenti. SCHEDA 1 2. COME NASCE UNA CELEBRAZIONE La celebrazione nasce dalla vita e ad essa conduce. La celebrazione nasce dalla vita Per comprendere la celebrazione nella sua genesi potremo distinguere tre momenti, che ritroviamo anche seguendo l’itinerario fatto dai discepoli di Emmaus Il momento dell’avvenimento I discepoli di Emmaus si scontrano con ciò che non avevano previsto: la morte del Signore. Non riescono a darsi ragione del fatto, non capiscono come mai sia potuto accadere un fatto del genere a Gesù. L’avvenimento è così improvviso, forte, che essi non ricordano quanto il Maestro aveva loro detto: “Dovrò soffrire molto e morire, ma il terzo giorno risorgerò”. Quando si allontanano da Gerusalemme, la città del fallimento e delle deluse speranze, essi sono immersi nella notte dei “non capisco”: “Speravamo che fosse lui a liberare Israele”. Ogni avvenimento, che sta alla base della celebrazione, all’inizio è sempre qualcosa di improvviso, di caotico, di indecifrabile. Quando un ragazzo e una ragazza si incontrano e scatta quel che chiamiamo innamoramento, avviene qualcosa di rivoluzionario che attende di essere decifrato, chiarito nella sua portata. Può essere un sentimento passeggero, e allora tutto finirà lì; se invece risulta essere qualcosa che vuole un cambio di vita, allora si arriverà alla celebrazione; all’inizio però non lo sappiamo ancora, c’è bisogno di tempo. Il momento del riflettere Dopo il primo impatto, viene il momento in cui riflettiamo su quello che è avvenuto, ne parliamo con qualcuno, raccontiamo ciò che ci capitato, magari ripetutamente. E’ il momento in cui cerchiamo di capire, di decifrare: ricostruiamo l’avvenimento, ci distacchiamo da esso, ne cerchiamo il senso per noi. Per i discepoli di Emmaus tutto questo avvenne durante il cammino con Gesù . In un primo momento essi parlano tra di loro, raccontano l’uno all’altro l’evento; fra loro è come un gioco di specchi: l’uno e l’altro altrettanto tristi e delusi, a vicenda rinnovano il loro scoraggiamento! Si avvicina Gesù, raccontano nuovamente gli avvenimenti e arriva il capovolgimento: Gesù spezza lo specchio, introducendo elementi dimenticati o taciuti; l’avvenimento acquista un nuovo volto, il cuore comincia a pulsare diversamente. Si fa chiarezza su tutti i fatti, proprio ricorrendo ad altre “parole”, quelle dei salmi, della legge, dei profeti. Il ragazzo e la ragazza che si sono innamorati, dopo il primo momento del “colpo di fulmine”, incominciano a frequentarsi, si parlano a lungo, fino a scoprire che sono fatti l’uno per l’altro e che la loro vita deve cambiare: è bella se vissuta insieme. 9 SCHEDA 1 Il momento della celebrazione Dall’avvenimento e dalla riflessione si passa al celebrare. Nell’episodio di Emmaus, dopo il colloquio con Gesù i discepoli si mettono a cena. Il periodo del fidanzamento porta alla celebrazione delle nozze. Dopo la nascita di un figlio, si chiamano gli amici a celebrare: esposizione del fiocco, brindisi, pranzi... Dopo il ritorno del figliol prodigo, chiarito anche con il figlio maggiore il senso del ritorno, il Padre invita tutti a far festa... Questo celebrare è ritrovarsi dentro nell’evento ricostruito dalla parola in modo nuovo, viverlo nel suo significato ultimo ed impegnativo. La celebrazione s’innesta sul problema del senso, ultimo e definitivo. Nella celebrazione i discepoli di Emmaus scoprono il senso del tutto e lo vivono, vi partecipano e sentono impellente il bisogno di “essere insieme” agli altri discepoli per dirsi e vivere la nuova situazione. I fidanzati arrivano a dirsi che bisogna porre un atto - cioè la celebrazione delle nozze - che sia espressione definitiva del loro donarsi. La celebrazione conduce alla vita La celebrazione del matrimonio è il momento culmine di un itinerario; pone fine ad una situazione ma insieme ne inaugura un’altra, quella che si esprimerà nella vita insieme. La celebrazione è un punto di arrivo ma anche di partenza, anticipa quello che avverrà. La celebrazione porta ad abbandonare ciò che si era. Solo a questo prezzo si delinea un nuovo orizzonte, l’avvenire si apre a nuove possibilità sia sul piano fisico che su quello psicologico, sociale e spirituale. In Egitto gli Ebrei hanno prima celebrato la loro liberazione nei riti della pasqua (agnello) e poi l’hanno vissuta come realtà storica. La celebrazione della liberazione “ha dato la stura” alla liberazione storicamente databile, è stata il momento iniziale e fondante di tutte le successive liberazioni. La vita di Gesù è stata tutto un donarsi che ha trovato il suo punto culmine nell’ultima Cena: nei simboli di un convito, del pane e del vino donati, Gesù offre la sua vita. Questa celebrazione, a sua volta, ha anticipato la donazione che poi verrà fatta sul Calvario. Anche tutte le celebrazioni cristiane sono momenti culmine e di partenza; il Concilio Vaticano II parla della celebrazione come “culmine e fonte” di tutta la vita. La benedizione con cui si conclude ogni celebrazione, - l’ “Andate” alla fine della messa - , sono parole e gesti che aprono alla vita quotidiana in cui l’evento celebrato sarà vissuto nelle trame della storia. 10 SCHEDA 1 3. CHE COSA CELEBRIAMO? Da quanto abbiamo detto appare chiaro che la celebrazione ha alla base un avvenimento: nel compleanno celebriamo la nascita, nel matrimonio si celebra l’evento della vita a due che incomincia; un popolo celebra l’evento della liberazione o della nascita della nazione. Nelle sue feste Israele celebra le “le cose meravigliose” compiute da Dio a favore del suo popolo. Ogni celebrazione si ricollega ad un avvenimento raccontandolo, ricordandolo, facendone memoria. Non c’è celebrazione senza un racconto base, un ricordo. I cristiani celebrano gli avvenimenti (il racconto) della loro salvezza Quando celebrano, anche i cristiani raccontano. Il loro racconto - il grande racconto contenuto nella Bibbia - è costituito di tante azioni o gesti compiuti da Dio per la salvezza dell’uomo; al centro ci sono i racconti di ciò che ha fatto Gesù, specialmente la sua passione, morte e risurrezione, cioè con la sua Pasqua. Tutte queste azioni salvifiche, questi eventi, vengono anche detti “misteri” o “sacramenti”: ogni singolo evento (quello del Natale, della Pasqua...) è un “mistero” o “sacramento”, tanto che si dice: mistero del Natale, della Pasqua...; tutti insieme costituiscono come un grande racconto, l’evento o “mistero della salvezza”. Siamo così in grado di capire che cosa vuole dire la frase che dice il sacerdote all’inizio della messa: “Fratelli, prima di celebrare i santi misteri (cioè, le gesta compiute da Dio per la nostra salvezza), riconosciamo i nostri peccati”, oppure “Mistero della fede” (cioè, l’avvenimento della passione morte e risurrezione di Gesù). Per comprendere ancor meglio, analizziamo i “misteri” o “sacramenti” che formano l’oggetto della celebrazione cristiana. Schematicamente possiamo dire che ogni celebrazione cristiana - fa riferimento ad un particolare avvenimento, lo proclama e ricorda, - lo fa passare al presente, - vi fa partecipare, - rimanda ad un successivo compimento finale. La celebrazione cristiana parte da un racconto Ogni celebrazione incomincia con la“liturgia della parola”, cioè con la proclamazione di un racconto tratto dal grande e più complesso racconto della Bibbia. Questo racconto dice che cosa noi celebriamo in un determinato giorno, ciò che ricordiamo: ad esempio, a Natale c’è il racconto di Natale per cui diciamo che celebriamo il Natale, il “mistero del Natale”. Tra tutti i racconti, quello principale e che in un certo senso li riassume tutti, è quello della Pasqua di Gesù. 11 SCHEDA 1 fa passare al presente quel racconto - Una storia può essere raccontata in tanti modi. Quando però i cristiani raccontano la storia della salvezza nella celebrazione, lo fanno in modo che i singoli avvenimenti siano “in qualche modo presenti” (così si esprime il Concilio Vaticano II). Essi non sono solo presenti nella nostra mente e nella nostra immaginazione, ma “stanno” davanti a noi. Ecco perché si dice: oggi è Natale, oggi è Pasqua. Ciò che sentiamo dire dagli angeli nel giorno di Natale (“Oggi è nato per voi un salvatore”) o a Pasqua (“Cristo è risorto) è una vera bella notizia per noi: nel nostro oggi Cristo nasce, Cristo risorge. - I vescovi riuniti nel grande Concilio Vaticano II, ci hanno insegnato che dopo Pentecoste gli apostoli, e con essi la Chiesa, sono inviati nel mondo perché tutti gli uomini possano venire a contatto con quello che ha detto e fatto Gesù. “Come il Cristo fu inviato dal Padre, così anch’egli ha inviato gli apostoli, pieni di Spirito Santo, non solo perché, predicando il Vangelo ad ogni creatura, annunziassero che il Figlio di Dio con la sua morte e risurrezione ci ha liberati dal potere di satana e dalla morte e ci ha trasferiti nel regno del Padre, ma anche perché attuassero, per mezzo del sacrificio e dei sacramenti sui quali s’impernia tutta la vita liturgica, l’opera della salvezza che annunziavano (= il grande racconto della salvezza) .... Da allora (Pentecoste), la chiesa mai tralasciò di riunirsi in assemblea per celebrare il mistero pasquale: con la lettura di quanto “in tutte le scritture si riferiva a lui” (Lc 24,27), con la celebrazione dell’eucaristia, nella quale “vengono ripresentati la vittoria e il trionfo della sua morte”, e con l’azione di grazie “a Dio per il suo dono ineffabile” (2 Cor 9,15) nel Cristo Gesù, “in lode della sua gloria” (Ef 1,12), per virtù dello Spirito Santo. (Costituzione Liturgica n.6) - Ma come è possibile che un avvenimento accaduto tanti anni fa e in un luogo lontano da noi possa essere “oggi”? Forse che si ripete quell’avvenimento? - Per comprendere ci spieghiamo con un esempio. Ogni individuo ha una voce particolare, tutta sua. Le parole che pronuncia si diffondono per onde nell’aria all’infinito finché non si possono più cogliere, con i soli orecchi o con gli strumenti oggi a disposizione; sono come disperse o vaganti nell’etere. Pensiamo allora che uno scienziato costruisca uno strumento sensibilissimo che riesca a captare tutte le varie voci e parole pronunciate e disperse, a selezionarle... Col suo strumento riuscirà a udire perfino come parlavano gli egiziani, gli etruschi..., le parole dette Socrate o da uno dei grandi della storia..: a questo punto è come se essi gli fossero presenti. Qualcosa di simile capita in liturgia. Lo “strumento sensibilissimo” che fa in modo che gli avvenimenti della salvezza siano “oggi” davanti a noi, ciò che ci mette in comunicazione con essi, si chiama “celebrazione”. Ogni celebrazione cristiana, (lo strumento costruito con parole, cose, gesti, riti simbolici...) fa in modo che ciò che è passato, lontano nel tempo, sia oggi, ci raggiunga e noi lo raggiungiamo. L’esempio che abbiamo portato ci aiuta a capire solo in parte. Col suo strumento lo scienziato riesce a raggiungere solo la voce e non la persona e i fatti; nella celebrazione invece noi riusciamo a metterci in comunicazione anche con la persona e gli avvenimenti narrati. La celebrazione ha questo potere: renderli presenti liberandoli da tutto ciò che li lega ad un tempo per farli essere oggi. 12 SCHEDA 1 Una ulteriore domanda: chi aziona questo strumento? Chi fa in modo che ciò che è avvenuto ieri sia oggi? E’ lo Spirito Santo. Egli ha fatto sì che “Colui che era fuori del tempo” (la seconda Persona della SS. Trinità) entrasse nel tempo. Infatti nel credo diciamo: Gesù fu concepito per opera dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo, attraverso la celebrazione, fa sì che non solo “quelli di allora”, ma anche noi possiamo essere presenti e prendere parte agli avvenimenti. Egli attualizza tutti i gesti compiuti da Gesù. Per mezzo di lui niente di ciò che Gesù ha fatto e detto resta lontano, passato, ma tutto è attuale, vivo, per noi e per tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi. - A questo punto siamo in grado di comprendere l’espressione che abbiamo detto sopra: gli avvenimenti della salvezza “sono in qualche modo presenti”. Essi sono ripresentati attraverso la celebrazione per opera dello Spirito Santo. Non diciamo che si ripetono: Gesù non rinasce un’altra volta nella notte di Natale. Egli è nato, come è morto e risorto, una volta per tutte: la celebrazione fa sì che noi possiamo comunicare con l’unico avvenimento del Natale, della Pasqua.... - Possiamo anche comprendere l’altra espressione: fare memoria, celebrare il memoriale. Quando noi diciamo che, celebrando, facciamo memoria degli avvenimenti della salvezza, non vogliano dire che li rendiamo presenti nella nostra mente, ma che essi, attraverso il modo particolare di ricordare della celebrazione, ci stanno davanti indipendentemente dalla nostra mente. Essi non sono creati dalla nostra mente, ma con la nostra fede li scorgiamo presenti. Questo modo particolare di ricordare si dice anche “celebrare il memoriale”, “fare memoria”. fa partecipare a quel racconto - Gli eventi della nostra salvezza “stanno davanti” a noi non come su di uno schermo; essi sono ripresentati perché riusciamo ad entrarvi, a prendervi parte. La celebrazione della Pasqua ripresenta la passione, morte e risurrezione di Gesù, il suo passare da questo mondo al Padre, ma attende che anche noi entriamo in questo avvenimento, per passare noi pure da morte a vita. Lo Spirito Santo agisce nella celebrazione perché avvenga questo congiungimento, e i singoli eventi che riguardano inizialmente Cristo divengano anche nostri. - Nella celebrazione non si può restare passivi; dobbiamo lasciarci coinvolgere, diventare attori “con” e “in” Cristo, parteciparvi. Nella celebrazione Gesù ci parla, ci vuole guarire, vuol prenderci con sé nella lotta contro il male...; vuole farci fare la sua esperienza di Figlio, di uomo nuovo. La celebrazione ci mette in relazione con lui, in comunione con lui. Il racconto della salvezza attende che noi rispondiamo positivamente e ne entriamo a fare parte come attori. rimanda ad una “finale” - Proprio perché il grande racconto della salvezza vuole coinvolgere noi e tutti gli uomini di oggi e di domani, non può dirsi ancora finito, attende una finale. Certo ormai Gesù ha già impresso una svolta alla storia, vi ha immesso una energia di vita (lo Spirito) che è all’opera; tutto però si svolge quasi nel nascondimento: il regno è già qui, ma se ne attende la completa manifestazione. - Ogni celebrazione è presenza e nascondimento di ciò che ancora deve venire, lo anticipa e insieme lo vela, annuncia che l’evento della salvezza è già qui ma non ancora svelato. Nella celebrazione il nostro sguardo si volge a futuro: annunciamo e viviamo oggi la morte e la risurrezione di Gesù in attesa che Egli venga. 13 SCHEDA 1 4. CHI CELEBRA Chi celebra è una comunità La celebrazione non è mai opera di un singolo. Anche per celebrare un fatto personalissimo come il compleanno, non ci si chiude in camera mangiandosi da solo la torta; c’è bisogno di farlo insieme a più persone; parimenti gli italiani non festeggiano la liberazione chiudendosi ciascuno in casa propria cantando l’inno nazionale. Il presidente della Repubblica non può celebrare da solo la festa della nascita della Repubblica, ma insieme con il concorso di tante gente, ciascuno con un proprio ruolo. In ogni celebrazione intervengono più persone, e ciascuna compie una funzione: uno presiede, alcuni cantano, altri compiono dei gesti simbolici o raccontano... Chi celebra è l'assemblea Anche la celebrazione cristiana esige la presenza di più persone tra loro legate dal vincolo della fede, e ciascuna operante secondo un suo particolare ufficio o carisma. Fino a non tanto tempo fa si diceva: “E ‘il sacerdote che celebra”. Del resto continuiamo a chiamarlo “il celebrante”, la persona che “dice la messa”, cioè la “sua” messa, come se si trattasse di una sua personalissima proprietà. Sappiamo come nel corso della storia il sacerdote è arrivato a monopolizzare tutti i ruoli. Il Concilio Vaticano II ci ha ricordato, superando questa inflazione del ruolo del sacerdote, che la Chiesa tutta intera esercita quel “culto pubblico integrale” che è la liturgia cristiana. D’altra parte la stessa parola “liturgia” vuol dire “azione del popolo”. Come la “metall-urgia” è l’attività mediante la quale si ottiene un metallo, così la “lit-urgia” (“leiton” =popolo + “ergon”=popolo) è l’attività mediante la quale si costituisce un popolo, il popolo di Dio. Chi celebra è perciò - la chiesa: popolo “convocato”, riunito insieme (“ecclesia”) - l’assemblea: popolo che sta “insieme” (da “ensemble”). La chiesa che si manifesta concretamente in una assemblea è il soggetto di ogni celebrazione. 14 SCHEDA 1 Chi celebra Cristo presente nell’assemblea Bisogna però comprendere bene quando si dice che il soggetto della celebrazione è l’assemblea. Essa è il segno visibile del vero attore invisibile: Cristo e il suo Spirito. La Costituzione liturgica ci dice: “Per realizzare un’opera così grande, Cristo è sempre presente nella sua chiesa, specialmente nelle azioni liturgiche. E’ presente nel sacrificio della messa sia nella persona del ministro, “egli che, offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso per il ministero dei sacerdoti”, sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. E’ presente con la sua potenza nei sacramenti, di modo che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. E’ presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella chiesa si legge la sacra Scrittura. E’ presente, infine, quando la chiesa prega e salmeggia, lui che ha promesso: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). (SC n.7). Ciò che noi vediamo con gli occhi fisici è un’insieme di persone riunite insieme che compiono tutti i gesti propri di una celebrazione. Però agli occhi della fede chi compie quelle azioni e dà loro valore di salvezza è Cristo. Per opera dello Spirito Santo in tutti quei gesti è presente Gesù, che parla oggi a noi, battezza, perdona... salva. Soggetto visibile della celebrazione è l’assemblea, ma il soggetto invisibile è Cristo. 15 SCHEDA 1 5. COME CELEBRARE (il linguaggio della celebrazione) Celebrare non è solo riflettere, ma agire. E tale agire avviene tramite - gesti (alzare le mani, camminare...), che si ripetono ogni qualvolta si compie “quella” celebrazione; gesti che rappresentano quasi una parola d’ordine per il gruppo, creando un linguaggio caratteristico che consente a tutti di ritrovarsi entro un quadro di riferimento ben preciso. - cose e oggetti simbolici attraverso cui esprimiamo un atteggiamento interiore. - parole: esplicitano il senso profondo della celebrazione, mentre invitano e aiutano i partecipanti a entrare dentro di essa per viverla con totalità di partecipazione. Gesti, cose, parole, disposti in una cerca maniera, in una sequenza (vedi il film) formano il rito, rito simbolico. La celebrazione si sviluppa usando il linguaggio rituale. Il rito ci spinge più lontano, spalanca in mezzo a noi gli spazi del mistero, della gratuità, dell’inesprimibile, quegli spazi nei quali incessantemente cerchiamo di approfondire il problema del senso della vita, dell’amore, della morte, e dove ci mettiamo ad ascoltare una realtà più grande di noi, che parla in noi e che noi comprendiamo male. 16 SCHEDA 1 6. CHE COSA PRODUCE LA CELEBRAZIONE Ogni celebrazione, con il linguaggio che le è proprio e con gli elementi di cui è costituita, compie un’opera di annuncio. Ha sempre un valore catechistico Ma questo non è la sua finalità principale. La celebrazione cristiana opera nell’intimo dell’intimo dell’uomo portando alla conversione, al cambiamento interiore, alla vita nuova in Cristo. Da questo aspetto fondamentale ne discendono altri. La celebrazione crea comunione fra i partecipanti, sigilla l’alleanza, fa la chiesa; essa poi impegna come per esempio nei voti battesimali e nel matrimonio. 17 SCHEDA 1 Piste per proseguire la ricerca e il dialogo 1. PER CAPIRE MEGLIO CHE COSA VUOL DIRE CELEBRARE Perché celebrare: si elenchino i motivi per cui si va a messa o si celebra un sacramento (battesimo, matrimonio..) e si veda se essi sono quelli che dovrebbero presiedere alla celebrazione. Chi celebra: quali conseguenze ne derivano dal fatto che soggetto della celebrazione è l’assemblea? che è il Cristo? Che cosa celebrare: Durante la celebrazione si percepisce l’accostamento a realtà che non sembra possibile attingere altrove: come si avverte questa sensazione? che relazione ha con il nostro passato e il nostro futuro? Come celebrare: quali difficoltà incontriamo nella comprensione del linguaggio rituale? Come riuscire a superarle? Che cosa produce: Dopo una celebrazione [ma anche durante il suo svolgimento) l’atteggiamento verso gli altri tende a mutare: come e perché? Perché i momenti più decisivi della vita sociale si caratterizzano per una accentuata propensione al celebrativo, al rituale? 2. PER EVIDENZIARE IL RAPPORTO TRA CELEBRAZIONE E VITA DI OGNI GIORNO Quotidiano, festa, celebrazione: quali rapporti intercorrono tra queste tre realtà? La partecipazione a momenti celebrativi è esperienza frequente: da che cosa nasce e come si percepisce la sensazione di soddisfazione o di delusione, il convincimento di impiegare bene o di sprecare il tempo dedicato a una celebrazione? Proviamo a descrivere e motivare l'attrazione che ogni essere umano avverte per la celebrazione delle cose importanti della sua vita. Che cosa si rinnova in noi, quali valori personali profondi si rivivono e a quali condizioni? con quali risultati? 18 SCHEDA 2 CELEBRARE L’INCONTRO Diventare l’assemblea del Signore Incontrerò i figli d’Israele in questo luogo consacrato dalla mia gloria (Es 29,43). CERCHIAMO INSIEME Cerchiamo di scoprire il senso umano e cristiano di tre atteggiamenti fondamentali 1. INCONTRARE . INCONTRARSI ci sono diversi tipi di incontro.... quando due persone si incontrano avviene che... (descrivere ciò che avviene) incontrarsi comporta che ... (descrivere gli elementi che caratterizzano un incontro umano) quando i cristiani si incontrano avviene che ... 2. RIUNIRE - RIUNIRSI ci sono diversi tipi di riunioni o assemblee.... quando ci si riunisce in una assemblea avviene che (descrivere ciò che avviene) riunirsi comporta che ... (descrivere gli elementi che caratterizzano l’inizio di una riunione) quando i cristiani si riuniscono avviene che... 3. ACCOGLIERE-ACCOGLIERSI ci sono diversi tipi di accoglienza.... quando si accoglie una persona o un gruppo in casa o in una assemblea avviene che (descrivere ciò che avviene) accogliere comporta che ... (descrivere gli elementi che caratterizzano l’accoglienza) quando i cristiani accolgono avviene che... 19 20 SCHEDA 2 SCHEDA 2 1. GLI ATTEGGIAMENTI FONDAMENTALI Ci lamentiamo che la celebrazione dice poco, è risultata fredda, formale, esteriore, poco coinvolgente... Probabilmente la causa è da ricercare nella mancanza di alcuni gli atteggiamenti di fondo, di disposizioni interiori che sono propri di ogni celebrazione e di ogni suo momento. La disposizione fondamentale è quella della fede, ma accanto ad essa ce ne sono altre che sono esigite dalle singole parti delle celebrazione, da quelle che possiamo chiamare sequenze rituale. Prendendo in esame la sequenza dei riti d’inizio della messa potremo dire che è importante che i cristiani - sappiano dar vita ad un vero incontro umano che sviluppi tutte le caratteristiche dell’incontro autentico tra fratelli di fede, - si riuniscano, formino una unità per esperimentare e manifestare così la presenza di Cristo nella sua chiesa, - siano capaci di accoglienza, che, con la sua dinamica, le sue forme, i suoi ministeri, tende a realizzare la verità del raduno umano e cristiano. SAPER INCONTRARE - INCONTRARSI Incontri La nostra vita è popolata di incontri d’ogni genere. Ci sono incontri banali, logorati dall’abitudine, misurati col metro dell’efficienza e dell’utilità, strumentalizzati dall’interesse e dall’egoismo; incontri frettolosi all’insegna del non c’è tempo; incontri che vorremmo rimuovere dalla memoria perché responsabili di aver soffocato possibilità di crescita o di aver infranto qualche progetto. Ma ci sono anche, incontri preparati con cura, attesi; incontri qualificati dalle persone con cui si entra in relazione (personaggi..), dall’affetto che ci lega, dagli motivi che li determinano... Ci sono infine incontri incisi nel ricordo, incontri ai quali pensiamo con meraviglia e gratitudine perché hanno determinato una svolta decisiva nella vita. L’ingresso di una persona nell’orizzonte della nostra attesa può aver suscitato prospettive nuove, scelte impegnative di amore e donazione. Improvvisamente abbiamo compreso che l’incontro è l’abbraccio di due desideri, di due persone; è la fine della ricerca, dell’attesa o della lontananza. Ed è subito festa, nel profondo del nostro intimo. 21 Incontro di Dio con l’uomo SCHEDA 2 C’è un incontro che segna definitivamente la vita; finché non si realizza, la nostra vita rimane sempre attesa, ricerca: l’incontro con Dio. Non è che noi ci muoviamo incontro a lui. Come nel giardino del paradiso terrestre, noi fuggiamo e lui ci cerca, ci viene incontro. Sempre! Come sulla via di Emmaus. L’incontro è divenuto una persona: Gesù, Dio-fatto-Uomo. Egli è l’incontro stupendo e unico di Dio e dell’uomo. Il Verbo si è fatto carne e ha piantato la sua tenda tra noi, e noi abbiamo visto la sua gloria (Gv 1,14). Fin dalla sua nascita, Dio ci viene incontro in Gesù e noi incontriamo Dio in Gesù. In ogni celebrazione Dio ci viene incontro. Incontro dell’uomo con Dio Raggiunti dall’iniziativa di Dio che ci dice: Alzati e cammina!, l’uomo diventa capace di camminare in libertà e gioia incontro a Dio. Un esempio lo abbiano nella festa del 2 febbraio, (Presentazione del Signore al tempio), detta Festa dell’incontro: Dio viene incontro al suo popolo che l’attende nella fede e noi andiamo incontro al Cristo nella casa di Dio dove lo troviamo e lo riconosciamo allo spezzare del pane; gli andiamo incontro con le nostre lampade accese, come ad una festa di nozze. Ogni volta che ci rechiamo ad una celebrazione, Dio ci viene incontro e noi ci muoviamo verso di lui per incontrarlo. Incontrare Dio nell’uomo L’incontro con Dio non si esaurisce nella sola dimensione verticale. Dio è venuto incontro all’uomo condividendone la condizione, mettendovisi dentro, incarnandosi; da allora condividendo le vicende dei fratelli possiamo incontrare Dio e testimoniare vicendevolmente la sua vicinanza a ogni uomo. Nel passato si andava alla Messa per incontrare Dio; cioè si privilegiava quasi esclusivamente il rapporto individuale con Dio. Oggi abbiamo capito meglio che nella celebrazione incontriamo Dio nell’altro, che l’altro ci fa incontrare Dio, che mettendoci insieme incontriamo Dio. Ciascuno di noi testimonia all’altro il Dio che gli si fa incontro; rifiutando l’altro noi determiniamo l’assenza di Dio. 22 SAPER RIUNIRSI Riunirsi SCHEDA 2 Conosciamo molti tipi di riunioni o assemblee: quelle politiche, sindacali, religiose... Alcune sono numerose, altre più piccole; alcune sono complesse, altre semplici come quelle di amici; alcune rigide, programmate, altre più spontanee, occasionali. Ad alcune si è obbligati, altre sono libere... Riunirsi comporta che... Ogni riunirsi comporta che si mettano in atto alcuni gesti e atteggiamenti senza dei quali non si può dire che ci sia una riunione. Riunirsi comporta che qualcuno prenda l’iniziativa ed inviti, chiami. Per questo si parla di “con-vocare” (= chiamare ad essere con...), convocazione. L’iniziativa del riunirci per la celebrazione dell’Eucaristia non è del prete o di un gruppo di persone: essi sono il tramite, ma chi convoca è il Signore. Il riunirsi comporta che più persone “con-vengano” in un sol luogo. La presenza fisica in un solo luogo è necessaria, è l’elemento minino (vedi riunione su un tram) ma non basta; ciò che più conta è essere uniti spiritualmente. Delle prime riunioni cristiane è detto che tutti coloro che erano venuti alle fede avevano “un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32). Ciò che fa l’unità di ogni riunione, oltre al luogo, è il movente che sta alla base: affari, amicizia, festa, religione.... Ciò che, come cristiani, ci muove a riunirci non è primariamente l’amicizia o altro movente umano; riunendoci rispondiamo a Dio che ci convoca per celebrare e rivivere ciò che Gesù ha fatto per noi. Ci sono riunioni in cui siamo piuttosto passivi, spettatori, come quando si va al cinema o a teatro; altre in cui si partecipa, anzi si vuole la partecipazione, come in una riunione di amici o di affari. Noi cristiani non ci riuniamo per assistere alla messa, ma per parteciparvi. Non si tratta di una partecipazione solo visibile (ai canti, ai gesti..), ma interiore: esprimere la fede, offrire e offrirsi, ringraziare.... 23 SAPER ACCOGLIERE SCHEDA 2 Accogliere Ci sono vari modi di accogliere: freddamente, formalmente, calorosamente, sinceramente... Anche l’accoglienza che avviene in una celebrazione può essere fredda, formale, calorosa, sincera Accogliere comporta che.. In ogni riunione o incontro c’è sempre un servizio di accoglienza. L’arrivo di un capo di stato incomincia con un insieme di gesti che indicano accoglienza; l’invitato ad una festa è accolto da persone che cercano di metterlo a suo agio, gli presentano gli altri invitati... Quando un cristiano arriva per la messa è accolto dagli altri e accoglie gli altri. In alcune chiese c’è un servizio di accoglienza: persone incaricate di dare il benvenuto, dare informazioni, portare al posto, consegnare il libretto... Tra di loro ci può essere anche chi presiede quale padrone di casa. E’ importante però che anche tra tutti coloro che prendono parte alla celebrazioni pongano dei gesti che dicono accoglienza reciproca: saluto, stretta di mano... In tutti questi gesti - sia dei partecipanti alla celebrazione che del suo presidente - si rende visibile e concreta l’accoglienza di Dio: come è il Signore che invita è anche lui che accoglie. Perché l’accoglienza sia autentica è necessario avere alcuni atteggiamenti interiori: aprirsi all’altro, fare spazio all’altro, far attenzione all’altro, alla sua situazione, fare conoscenza dell’altro, non escludere nessuno... Se questo lo si dice per ogni autentica riunione umana, tanto più deve avvenire nell’assemblea cristiana. Il motivo è dato dal fatto che chi accoglie è il Signore, il quale davvero si apre a noi, ci fa spazio, fa attenzione a noi, ci conosce, non esclude nessuno. Tutto questo si realizza attraverso la testimonianza delle nostre persone. Accogliere per diventare assemblea, chiesa... Se riusciamo a mettere in atto l’accoglienza reciproca diventiamo - una assemblea cioè popolo che sta insieme, - la più vera manifestazione della Chiesa cioè di popolo accolto da Dio e accogliente. 24 2. CELEBRARE L’INCONTRO IL RIUNIRSI - L’ACCOGLIENZA SCHEDA 2 gesti e parole (i riti di introduzione) Quando ci incontriamo, ci riuniamo, o accogliamo una persona avviene che... Quando degli amici si incontrano o si riuniscono - si scambiano delle parole di saluto, esprimendosi reciprocamente fiducia, gioia; - compiono dei gesti (strette di mano, baci...) che vogliono tradurre l’amicizia e la felicità dell’incontrarsi, del trovarsi insieme - dicono il movente per cui ci si riunisce, si desidera stare insieme; - eventualmente si chiedono scusa se c’è qualcosa che non va. - se si tratta di cose di un certo rilievo, c’è chi prepara tutto il necessario. Qualcosa di simile avviene per noi cristiani quando, accogliendo l’invito di Dio, ci incontriamo per celebrare. Attraverso parole e gesti facciamo il rito: dell’incontro, del riunirci, dell’accoglienza nel quale Dio incontra e accoglie noi e noi Lui, e ciascuno di noi incontra, accoglie l’altro e Dio nell’altro; attraverso i nostri gesti diamo vita ad una riunione che si chiama “assemblea”. Prendiamo in esame i singoli momenti. Prepararsi Incontri o riunioni di una certa importanza esigono un tempo di preparazione. Una preparazione personale innanzitutto. Ci si veste in un modo adatto al tipo di riunione o incontro: vestito da festa, abito da cerimonia, da lutto.. Si preparano le cose da dire (gli auguri, i discorsi, i convenevoli) o da fare (gesti, i regali..). I bambini ripassano la loro poesia, i gesti che faranno... Si preparano l’ambiente e le cose necessarie per il buon esito dell’incontro, per rendere gradevole la partecipazione, per coinvolgere. Prepararsi e preparare le cose è molto importante: fa già intravedere quanto ci teniamo all’incontro, quanto sono graditi gli ospiti. Non c’è festa senza preparazione. Prepararla è quasi un assaporarne in anticipo la gioia, un costruirla nel cuore. Ogni preparazione ravviva il desiderio e chiarisce l’attesa. Preparare è già celebrare. Perché anche la messa risulti incisiva e lasci tracce profonde in noi è necessario che ognuno si prepari esteriormente e interiormente e, insieme, predisponiamo ogni cosa (l’ambiente, i libri, i canti...) che sono necessari. 25 SCHEDA 2 L’improvvisazione o il pressappochismo, il giocare al minimo indispensabile possono portare ad una celebrazione asettica e poco significativa. Tutto quello che si facciamo è rispondere all’invito - di Giovanni Battista: “Preparate le strada al Signore che viene” (Lc 3,2-6); - o all’invito di Gesù: “Andate a preparare per noi la Pasqua, perché possiamo mangiare” (Lc 22,8). L’invito e la convocazione Prima di ogni riunione o festa (compleanno, festa di laurea, riunione di affari) c’è sempre qualcuno che manda un invito a parteciparvi, che convoca (= “chiama ad essere con”). Oggi si conoscono molti modi per convocare la gente: a voce, per telefono, per lettera (le partecipazioni), per mail, sms, per altoparlante, con manifesti, con spot... L’invito ci comunica che siamo attesi, che la nostra presenza è gradita. E’ una chiamata ad essere insieme, ad ascoltare insieme, a fare e dire insieme. Per invitare la comunità cristiana alla messa o ad altra celebrazione vengono suonate le campane oppure vengono affissi dei manifesti con l’indicazione dell’ora. Attraverso questi e molti altri modi, chi invita alla messa è il Signore: è lui che ci attende, ci fa capire come è gradita la nostra presenza, ci vuole insieme per un’esperienza unica. Egli è il re di cui parla la parabola che manda i suoi servi a chiamare gli invitati; il suo invito è esteso anche a quelli che prima ne erano esclusi (Mt 22,1-14; Lc 14,15-24). Muoversi verso un unico luogo (riunirsi, processione di ingresso) Per poter incontrare qualcuno o per partecipare ad una riunione, per rispondere ad un invito, bisogna muoversi dal proprio posto e andare al luogo convenuto, al “con-vegno”, all’ “assemblea” (essere ‘ensemble’, insieme) . Questo movimento implica sempre un “uscire” e un “andare verso”, un “entrare”: è la struttura fondamentale del rito dell’incontro. Perché ci sia un reale incontro è necessario che ciò che avviene fisicamente si compia anche interiormente, nel nostro cuore: aprirci, uscire da noi stessi, andare verso l’altro, disporci ad entrare nel suo mondo. Durante il periodo del deserto, su invito di Mosè o dei sacerdoti, gli Ebrei muovevano dalle loro tende per andare alla tenda del convegno, la tenda dell’incontro. Anche noi ogni domenica partiamo dalle nostre case, conveniamo insieme, ci incontriamo tra noi e con Dio. Entrando in chiesa facciamo il segno della croce usando l’acqua benedetta: in questo modo ci riconosciamo come i salvati dall’acqua, i battezzati. 26 Il gesto di incontrarci viene riassunto e simboleggiato in un rito, quello della processione iniziale del sacerdote con alcuni ministri (chierichetti, diacono...). In quel piccolo gruppo siamo tutti noi, invitati da Dio, che andiamo incontro al Signore. SCHEDA 2 Con la processione iniziale noi dimostriamo che - siamo un popolo pellegrinante, che va verso l’unità, che fa l’esodo‑pasqua; ‑ siamo un popolo non fermo sul passato, ma che va verso il futuro; ‑ siamo la sposa che va incontro al suo Signore per le nozze eterne, va a sigillare la nuova ed eterna alleanza nel banchetto di nozze preparato dal Padre; - la nostra direzione è verso oriente, cioè la luce, la vita (per quanto possibile le chiese erano orientate verso est, per cui chi, dalla porta centrale, si muove verso l’altare, percorre un cammino verso oriente). C’è anche un altro significato: il sacerdote, oltre che rappresentare tutti noi, è anche il Signore che viene incontro a noi, sua chiesa; è lo sposo che viene per le nozze; per questo lo accogliamo in piedi cantando. Cantare (canto di ingresso) Quando ci si incontra tra amici si tirano fuori le canzoni tante volte ripetute e che esprimono qualcosa della nostra vita e manifestano la gioia del ritrovarsi insieme. Anche i cristiani , quando si ritrovano alla domenica, cantano. E’ un rito molto antico. Un pagano, Plinio il Giovane, scrivendo all’imperatore Marco Aurelio, descriveva i cristiani come coloro che sono soliti riunirsi in un determinato giorno e cantare un inno a Cristo: i cristiani sono gente che non solo dicono ma anche cantano la loro fede. “I fedeli che si radunano nell’attesa della venuta del loro Signore, sono esortati dall’apostolo Paolo a cantare insieme salmi, inni e cantici spirituali (cf. Col 3, 16). Infatti il canto è segno della gioia del cuore (cf. At 2, 46). Perciò dice molto bene sant’Agostino: Il cantare è proprio di chi ama, e già dall’antichità si formò il detto: Chi canta bene, prega due volte”. (Ordinamento Generale del Messale Romano = OGMR, n. 39). Ci sono vari momenti di canto: - il canto di ingresso: è di avvio all’incontro - il canto penitenziale del Signore pietà - il canto del Gloria: esprime tutta la gamma dei sentimenti dell’incontro (gioia, grazie a Dio, domanda di perdono..) Salutare (bacio dell’altare, dialogo iniziale) Incontrandosi ci si saluta: strette di mani, abbracci, baci, accompagnati da alcune parole che esprimono gioia, accoglienza, rispetto...: sono le parole e gesti del “con-venire”, i “con-venevoli”. All’inizio di una riunione c’è sempre chi saluta l’assemblea. Se necessario si dice il perché ci si riunisce. 27 Qualcosa di simile avviene anche quando si incontrano i cristiani. Con gesti e parole noi esprimiamo ciò che crediamo in quel momento: ci riuniamo per incontrarci con Cristo, a lui manifestiamo la nostra venerazione, da lui accogliamo la prima parola di saluto. SCHEDA 2 Innanzitutto quando arriviamo salutiamo i vicini con gesti semplici ( uno sguardo, un gesto con la mano)...; poi ci sentiamo coinvolti in quello che fa il sacerdote. Il sacerdote compie un gesto tipico del salutare, dell’incontrarsi: il bacio all’altare. Di solito il gesto del bacio viene scambiato tra persone; se lo si compie verso una “cosa” è perché l’altare finisce di essere una pietra ma è riconosciuto o scoperto come un simbolo: è Cristo, lo sposo, la pietra fondamentale della costruzione Chiesa, l’altare vivo del vero sacrificio. - Si bacia una persona quando esiste una profonda relazione con lei e si è coinvolti in una storia di vita. Tanti sono i tipi di bacio: dell’amico beneficiato al benefattore, del fratello grato al fratello che lo ha aiutato, del figlio riconoscente al genitore che lo ha allevato, della sposa che in esso esprime la donazione fedele allo sposo e si dispone a essere feconda di lui, del servitore al suo signore come impegno di servizio fedele e operoso... Tutti questi sensi, e altri ancora, vuole esprimere il bacio all’altare, non solo del presidente ma, tramite questi, di tutta l’assemblea. - E poiché Cristo, simboleggiato dall’altare, è il Capo, il bacio dato a lui finisce per raggiungere anche tutto il suo Corpo. Nel bacio all’altare il presidente accoglie con affetto tutti i fedeli presenti e si pone al loro servizio. Il dialogo incomincia: - con il segno di Croce manifestiamo la nostra fede di essere un popolo riunito dalla croce di Cristo, nel nome‑realtà della Trinità. - nel saluto del sacerdote (Il Signore sia con voi; La grazia e la pace di Dio nostro Padre...): è Cristo che saluta il suo popolo; per questo si usano le parole della Scrittura e non il semplice ‘buongiorno’. Con la nostra risposta riconosciamo la presenza di Gesù (vedi per questo la candela accesa, segno della presenza di Gesù Luce). - nelle parole che seguono (monizione iniziale) dette dal sacerdote o da una persona guida della celebrazione viene esplicitato con poche parole il movente o significato dell’incontro, della celebrazione. Domandare scusa (atto penitenziale) Capita talora che anche tra amici sorgano malintesi o addirittura ci si offenda. Se c’è la volontà di continuare nell’amicizia, non si vede l’ora di incontrarsi per chiarire, per chiedersi scusa. 28 Anche noi, all’inizio della celebrazione, sentiamo la povertà del nostro amore; non abbiano corrisposto all’amore di Dio e disatteso quello del prossimo; la Parola di vita che il Signore ci aveva donato nell’incontro precedente, è rimasta inefficace in noi: lo confessiamo a Dio, ai santi, e a voi fratelli, sicuri di trovare in tutti l’aiuto per migliorare. SCHEDA 2 Ci sono vari modi di farlo: dopo l’invito del sacerdote e alcuni momenti di silenzio, - l’assemblea dice una preghiera di confessione (Confesso a Dio...) - o fa alcune invocazioni a Cristo, concluse da una preghiera del sacerdote. Le invocazioni sono talora cantate. - Qualche volta al posto del gesto penitenziale, c’è il rito dell’aspersione: è in ricordo del nostro battesimo. In questo modo l’assemblea‑chiesa mette l’abito nuziale della festa per partecipare al banchetto delle nozze. Manifestare le attese che portiamo dentro (preghiera detta colletta) Gli incontri più belli sono quelli desiderati, quelli in cui possiamo esprimere le attese che portiamo dentro, ed esse sono accolte e condivise. Quando nella messa il sacerdote dice “preghiamo” e vi sono alcuni momenti di silenzio, noi rientriamo in noi stessi, guardiamo che cosa portiamo dentro di delusioni e di speranze, i motivi per cui ci troviamo lì, chi è colui che ci ha invitati....: è come risvegliare le nostre attese e la fiducia in Dio. Il sacerdote, interpretando e raccogliendo tutto questo in una preghiera (detta colletta, cioè “raccolta” di preghiere) esprime con Gesù tutto questo al Padre. Tutti noi rispondiamo: Amen, cioè “è proprio così!”, “è questa la nostra fede”. 29 SCHEDA 2 3. DIVENIRE CHIESA CHE ASCOLTA E FA L’EUCARISTIA Nelle spiegazioni poste all’inizio del Messale troviamo questa frase: “Le parti che precedono la liturgia della parola... hanno un carattere di inizio, di introduzione e di preparazione. Scopo di questi riti è che i fedeli, riuniti insieme, - formino una comunità, - e si dispongano ad ascoltare con fede la parola di Dio - e a celebrare degnamente l’eucaristia” (OGMR 46). Tutti i riti di inizio (parole, gesti, canti..) hanno uno scopo preciso: - far divenire assemblea, chiesa, coloro che hanno accolto l’invito e si sono resi presenti; - farci scoprire la presenza di Gesù che vuole renderci partecipi della sua storia. - disporci ad ascoltare Dio che ci parla e ad accogliere il dono del Pane della vita eterna. Diventare chiesa Quanto si compie all’inizio della celebrazione tende a far in modo che tutti i presenti si riconoscano tra di loro come fratelli nella fede, manifestino di credere in Gesù e diventino una sola cosa in lui: cioè diventino assemblea, chiesa. Non è cosa da poco. Per riuscirci si esige che fin dall’inizio cerchiamo di entrare nel dinamismo della celebrazione. Scoprire la presenza di Cristo Tutto tende a farci scoprire che nel nostro incontrarci, nel nostro diventare uno, si rende presente Gesù. Il Concilio Vaticano II dice nella Costituzione liturgica: 30 Cristo è sempre presente nella sua chiesa, in modo speciale nelle azioni liturgiche. É presente nel sacrificio della messa sia nella persona del ministro, egli che, offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso per il ministero dei sacerdoti, sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. É presente con la sua virtù nei sacramenti, di modo che quando uno battezza è Cristo che battezza. É presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella chiesa si legge la sacra Scrittura. É presente, infine, quando la chiesa prega e loda, lui che ha promesso: Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro (Mt 18, 20) (SC 7). Cerchiamo di comprendere quello che ci dice il Concilio. Ogni assemblea ha SCHEDA 2 - un aspetto visibile: - persone riunite - che compiono determinati gesti (parlare, cantare, battezzare...) - e un aspetto invisibile: - in quel essere uniti di più persone che hanno risposto all’invito di Gesù si rende presente Gesù stesso: l’assemblea è il corpo di Cristo oggi, diventa chiesa - nell’insieme dei gesti che si compiono è Gesù stesso che agisce e opera la nostra salvezza (è lui che parla, battezza....) In altre parole. Con il nostro occhio noi vediamo un gruppo di persone che celebrano. Con l’occhio della fede noi scorgiamo un’unica persona che le riunisce tutte: Cristo. Pensiamo ad un procedimento cinematografico di dissolvenza: in un primo momento vediamo tanti volti, poi, gradualmente questi scompaiono e appare un solo volto, quello di Gesù. L’assemblea è costituita da Gesù e da noi uniti insieme dallo Spirito. Disporci ad ascoltare e fare l’eucaristia Prima di entrare in campo un giocatore si scalda, compie cioè dei brevi allenamenti che lo dispongono a giocare immediatamente. Tutto quello che facciamo all’inizio della messa hanno il compito di risvegliare in noi tutte quelle attitudini che sono necessarie per celebrare con piena consapevolezza: ascoltare, pregare, offrire.... 31 SCHEDA 2 Piste per proseguire la ricerca e il dialogo 1. PER CELEBRARE MEGLIO Esaminiamo tutti i vari elementi che costituiscono i riti iniziali: - sono compresi nel loro significato? - come sono messi in atto? sono gesti e parole vivi oppure sanno di stanca ripetitività? Esaminiamo le persone ( assemblea, coro, ministri, ....) che entrano nei riti iniziali: ciascuna fa il suo ruolo? come? Esaminiamo in particolare: - il silenzio alcuni si lamentano che all’inizio non si fa più silenzio, c’è tutto un chiaccherare, non si può raccogliersi in preghiera. D’altra parte per incontrarsi, c’è bisogno almeno di salutarsi. Come è possibile favorire “l’incontro tra le persone” e creare un clima che faciliti “l’incontro con Dio”? - la disposizione dei banchi e delle sedie I banchi o le sedie solitamente sono disposte per file e guardano verso l’altare. In questo modo facilitano la relazione dei partecipanti con chi presiede, con il Signore (relazione verticale) ma non facilitano quella con le persone; basta pensare alla difficoltà del segno di pace: come riuscire ad armonizzare queste due relazioni? - i gruppi Si formano dei gruppi spontanei - spesso di amici - che occupano il solito posto fisso: impediscono o favoriscono l’unità dell’assemblea? 2. PER EVIDENZIARE IL RAPPORTO CON L’INTERA CELEBRAZIONE I riti di introduzione hanno il compito di aprire la celebrazione. Come fare perché “aprano” realmente a “questa” celebrazione di oggi e non ad una qualsiasi? Dove e come si può intervenire per operare gli opportuni adattamenti? 3. PER STABILIRE UNA UNITA’ TRA LA CELEBRAZIONE E LA VITA QUOTIDIANA Quando andiamo a celebrare l’eucaristia - siamo capaci di incontrarci o rimaniamo estranei gli uni agli altri?Perché? - Che cosa fare per favorire un vero incontro? - siamo capaci di accogliere Dio che ci viene incontro? 32 Quando ci riuniamo diventiamo una cosa sola, un’assemblea? - Quali sono gli ostacoli? - Come riuscire a creare l’assemblea? SCHEDA 3 CELEBRARE LA PAROLA Ascoltare Dio e rispondergli - Esdra... portò il libro davanti all’assemblea, .... lesse .... - Tutti ascoltavano con attenzione... - tutti alzarono le mani e risposero: “Amen, Amen!”. CERCHIAMO INSIEME 1. LA LEZIONE DELLA SEGRETERIA TELEFONICA Partiamo da una esperienza: telefono ad una persona e mi risponde la segreteria telefonica: - che cosa provo? - come reagisco? quali sono le possibili reazioni? - perché? 2. IL PERCORSO DELLA PAROLA Cerchiamo di delineare il percorso completo della parola, gli stadi o tappe attraverso cui passa.... 3. IL PERCORSO DELLA PAROLA NELLA PRIMA PARTE DELLA MESSA Leggiamo il brano di Neemia (8,1-12): Nel settimo mese tutti gli abitanti della Giudea partirono dalle loro città e si radunarono tutti a Gerusalemme nella piazza davanti alla porta delle Acque. Esdra, esperto nella legge data agli Israeliti dal Signore, fu incaricato di portare il libro della legge di Mosè. Il sacerdote Esdra lo portò davanti all’assemblea, composta di uomini, donne e bambini in grado di capire. Era il primo giorno del settimo mese. Dall’alba fino a mezzogiorno Esdra lesse il libro davanti a quella folla nella piazza della porta delle Acque. Tutti ascoltavano con attenzione. Esdra, l’esperto nella legge, stava su una pedana di legno costruita per l’occasione. Quando Esdra, che era ben visibile da tutti, aprì il libro, il popolo si alzò in piedi. Esdra lodò il Signore, il grande Dio, e tutti alzarono le mani e risposero: “Amen, Amen!”. Si inchinarono fino a terra per adorare il Signore. Poi si rialzarono e alcuni leviti spiegarono al popolo la legge..... I leviti leggevano alcuni brani della legge di Dio, li traducevano e li spiegavano 33 SCHEDA 3 per farli comprendere a tutti. La gente sentì quel che la legge richiedeva e si mise a piangere. Allora intervennero il governatore Neemia, il sacerdote Esdra, esperto nella legge, e i leviti che davano le spiegazioni. Essi dissero al popolo: “Questo è un giorno santo, è il giorno del Signore vostro Dio, non dovete essere tristi e piangere”. Esdra aggiunse: “Dovete far festa, preparate un pranzo con buone carni e buon vino e mandate una porzione a chi non ne ha. Oggi è un giorno consacrato al Signore. Non dovete essere tristi, perché la gioia che viene dal Signore vi darà forza”. Anche i leviti incoraggiarono il popolo: “Non siate preoccupati: oggi è un giorno santo, non dovete essere tristi”. Tutti allora andarono a mangiare e condivisero quello che avevano. Fecero una grande festa perché avevano capito il senso delle parole ascoltate. - riusciamo ad individuare il percorso della parola? - che cosa troviamo di simile nella nostra liturgia della parola? Nell’attuale liturgia della parola è rispettato il percorso della Parola o ci troviamo di fronte ad una “segreteria telefonica”? 4. LE TAPPE O MOMENTI DELLA PAROLA Riprendendo i singoli momenti: - che cosa vuol dire parlare? come avviene la produzione di una parola? - che cosa vuol dire ascoltare? che operazione bisogna fare? quali condizioni bisogna creare? quali atteggiamenti avere? - che cosa vuol dire rispondere? come si risponde? 34 1. IL CIRCUITO DELLA PAROLA nella comunicazione umana SCHEDA 3 Parlare significa dire qualcosa a qualcuno, mandare dei messaggi; è il primo momento del comunicare; ma per mettere in comunicazione tra loro persone o gruppi, è necessario che il messaggio “passi”, che venga trasmesso, capito, che possa suscitare una risposta; altrimenti non varrebbe la pena di parlare, sarebbe soltanto “fare molto rumore” per nulla. Perché ci sia comunicazione è necessario perciò che la parola compia un duplice movimento: * movimento di andata: - il messaggio che voglio trasmettere ad una persona è concepito nel mio cuore, nella mia mente; è il momento della nascita, in cui il messaggio viene formulato in “parole”, frasi... - le parole vengono pronunciate, espresse dalla bocca (o scritte su un foglio ) e raggiungono il mio destinatario; - questi le coglie, le sente con l’orecchio, le accoglie e le fa scendere nel suo cuore, le ascolta, le medita. * movimento di ritorno: - le parole vengono rielaborate nel cuore dell’altro; - ritornano sulle sue labbra, sotto forma di risposta; - giungono al mio orecchio, le sento, entrano nel mio cuore, le ascolto. Il movimento può essere riassunto in tre immagini: cuore, labbra, orecchio: sono i luoghi attraverso cui passa la parola e si genera la comunicazione: - parlare (bocca) - sentire - ascoltare (orecchio-cuore) - rispondere (bocca...) Per tracciare il percorso della parola, possiamo servirci del grafico seguente in cui appare chiaramente la centralità del cuore per una vera comunicazione: cuore PARLARE bocca orecchio SENTIRE cuore ASCOLTARE cuore orecchio SENTIRE bocca RISPONDERE cuore SCOLTARE cuore bocca PARLARE ....... 35 nella comunicazione di Dio con l’uomo Anche nella comunicazione tra Dio e noi c’è questo movimento di andata e ritorno. Dio parla a noi in molti modi; la sua Parola giunge ai nostri orecchi, scende nel nostro cuore. Dal nostro cuore viene la risposta, che sale a Dio sotto forma di preghiera o di azione. SCHEDA 3 Nel libro di Isaia leggiamo: “La mia parola è come la pioggia e la neve che cadono dal cielo e non tornano indietro senza avere irrigato la terra e senza averla resa fertile. Fanno germogliare il grano, procurano i semi e il cibo. Così è anche dalla parola che esce dalla mia bocca: non ritorna a me senza produrre effetto, senza realizzare quel che voglio o senza raggiungere lo scopo per il quale l’ho mandata”. (Is 55,10‑11) 36 2. GLI ATTEGGIAMENTI FONDAMENTALI PER COMUNICARE Esaminiamo dapprima singolarmente i vari passaggi della comunicazione: parlare - ascoltare -rispondere. Li possiamo chiamare atteggiamenti o capacità fondamentali perché l’uomo comunichi con il suo simile. SCHEDA 3 Anche Dio, volendo comunicare con l’uomo, segue normalmente le leggi della comunicazione. Certo Lui non è legato solo a questi schemi, usa anche altri mezzi, perché lo “Spirito”, il grande comunicatore, è come il vento che lo senti ma non sai da dove viene e dove va” (Gv 3,8). In un secondo momento esamineremo se e come tutto questo avviene anche nella Liturgia della Parola. SAPER PARLARE Saper parlare comporta che... Parlare è uno dei bisogni fondamentali dell’uomo, un segno distintivo dell’essere uomini. Parlare comporta che noi ci rendiamo presenti agli altri, usciamo da noi stessi, entriamo in contatto con gli altri, offriamo loro qualcosa di noi stessi, stabiliamo un “dialogo”, una “com-unicazione”. Per parlare ci occorre: - renderci presenti a coloro con cui vogliamo comunicare: è fondamentale, è il primo “segno” che possiamo dare di voler comunicare. Per entrare in dialogo con chi ci è assente usiamo la parola scritta: lo scritto è un modo per renderci presenti, e compiere tutte quelle funzioni che fa la parola orale. - avere qualcosa da dire (un messaggio da trasmettere). In caso contrario si fa silenzio. Si prova disagio quando uno parla perché ha la lingua ma non dice nulla. - volerlo dire. Se noi non vogliamo manifestare qualcosa, la comunicazione non può avviarsi, i rapporti restano rotti. Nel volere risiede la capacità di nascondere alcune cose o addirittura inviare volutamente messaggi non veri. - essere capaci e avere i mezzi per dirlo, utilizzando dei mezzi espressivi che possano essere compresi dai nostri interlocutori (codificare il messaggio). Per parlare con un cinese dobbiamo usare la sua lingua, o lui la nostra. La parola però non è l’unico mezzo per comunicare: ci sono i gesti, le cose... L’artista comunica il suo mondo con i colori e le immagini, l’architetto con i volumi, il musico con i suoni... 37 - avere qualcuno a cui indirizzarci (destinatario). Se ci blocchiamo davanti ad una segreteria telefonica è proprio perché intuiamo che non possiamo raggiungere immediatamente il destinatario del nostro messaggio. E’ molto triste avere qualcosa da dire e non avere nessuno con cui dirlo; allora sembra che quello che abbiamo dentro si dilati senza misura e ci soffochi. Ma non basta: è necessario che questo qualcuno sia disposto ad ascoltare (non metta giù il telefono o volti le spalle). SCHEDA 3 - stabilire delle relazioni. Quando riusciamo a parlare veramente con una persona, finiamo per “unirci” in qualche modo a lei e lei a noi: si realizza una “com-unicazione”, una “unione con” lei. Dio sa parlare. Il Dio dei cristiani è un Dio che parla. Già nell’Antica Alleanza Israele sa di distinguersi dagli altri popoli perché il suo Dio non è come gli altri dei che “hanno bocca e non parlano, orecchie e non odono”; “nel suo grande amore egli parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi”. Per parlare con noi Dio: - si rende presente in molti modi, soprattutto in Gesù, la Parola fattasi uomo. Si rende presente anche con uno scritto (la Bibbia) e con una “lettera” (2 Cor 3,3) particolare che è la comunità cristiana. - vuole comunicare con noi. Non è come gli dei dell’Olimpo greco che se ne stanno a chiacchierare tra loro: è sua gioia stare con noi, parlarci da innamorato a innamorata. - ci trasmette un messaggio importante: chi è lui, le intenzioni che ha da tanto tempo (già prima della creazione del mondo: Ef 1,4) nei nostri confronti, chi siamo noi per lui, per noi stessi e per gli altri.... - è capace di parlare utilizzando tutti i mezzi espressivi. L’evento di Pentecoste ci dice che lui vince le barriere della incomunicabilità e può parlare tutte le nostre lingue; ci parla “con eventi e parole intimamente connessi” indicandoci così che egli comunica con noi in molti modi e che le sue parole non sono vuote come spesso sono le nostre. - ha come destinatario ciascuno di noi e noi tutti insieme, nessuno escluso. Anche il Signore però si trova spesso a dover parlare come davanti ad un muro, a “segreterie telefoniche”, a “cuori di pietra”, a gente non disposta ad ascoltare, volutamente sorda: è questo il lamento dei profeti. - entra in relazione con noi; se noi accogliamo la sua parola, entriamo in comunione con lui e tra di noi (1 Gv 1,3). 38 Possiamo riassumere tutto questo con le parole del Concilio Vaticano II°: “Dio invisibile (cfr. Col 1,15;1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14‑15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3, 38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, sia di Dio sia della salvezza degli uomini, per mezzo di questa rivelazione risplende a noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la rivelazione” (Costituzione sulla Divina rivelazione, n. 2). SCHEDA 3 SAPER ASCOLTARE Pensiamo che ascoltare sia un atteggiamento passivo, un semplice ricevere; è invece un atteggiamento eminentemente attivo perché richiede un’attenta presenza di sé a sé ed un investimento di tutte le nostre energie in ciò che stiamo compiendo. Per averne un’idea pensiamo ad un calcolatore: l’ascolto è paragonabile al momento in cui esso riceve tutti i dati, dà loro una forma secondo il suo programma, e poi li elabora. In sintesi, posso dire di essere capace di ascoltare - se sento, percepisco bene la parola, senza disturbi; (non sono sordo) - se decido di aprirmi, accogliere il messaggio, farvi attenzione (non faccio il sordo) - se lo interiorizzo, lo faccio mio. Saper ascoltare comporta... Ascoltare comporta per prima cosa sentire. Nel sentire il suono giunge fino me e mi tocca; ma si ferma, per così dire, alla soglia, si annuncia semplicemente; si accontenta di farsi sentire; è importante che non ci siano disturbi. Però sentire non è ancora propriamente ascoltare. E’ diverso infatti dire: “ho sentito che suonavi la chitarra” da “Ti ho ascoltato suonare la chitarra”; dire: “Ma sì, non alzare la voce; ti ho sentito” da: “continua, ti ascolto”. Nel sentire lascio che il suono o le parole scivolino via; non faccio loro spazio; né le fermo né mi fermo; mi sfiorano. Ascoltare comporta saper aprirsi ed essere disponibili a ricevere la parola, il messaggio, tutti i dati senza escluderne alcuni. E’ offrire ospitalità; è accogliere in me, in un certo senso, colui che parla con la sua interiorità e viverla insieme almeno per un poco. Il sentirsi ascoltati lascia appunto l’impressione di vivere in un altro o, meglio, di avere qualcuno in cui vivere. Per ascoltare è necessario fare attenzione. Posso sentire tante voci insieme come, per esempio, in una discussione, in un corteo, allo stadio; ma l’attenzione mi porta a selezionare, a cogliere solo una voce, a escludere gli altri suoni. L’attenzione è sempre un atto intenzionale; è operare una scelta, è un voler stabilire un contatto. Per riuscire ad essere attenti è necessario che io faccia tacere me stesso, e dia la precedenza all’altro: mi liberi di me stesso e faccia spazio all’altro dentro di me; dica a colui che mi chiede di ascoltarlo: “Eccomi! Sono qui, a tua disposizione. 39 Sono libero; per te. Questo mio tempo è tuo. Te lo regalo. Puoi occupare la mia mente e il mio animo con ciò che mi vuoi dire”. Ascoltare è un gesto difficile, un gesto d’amore, un dono. SCHEDA 3 Ascoltare comporta essere capaci di elaborare ciò che si riceve: comprenderlo, interpretarlo, tradurlo nel mio codice. Se ricevo un messaggio in cinese devo cogliere tutto quello che mi viene detto ed essere in grado di tradurlo in italiano. Ma non basta; devo metterlo a confronto con altri dati presenti nel mio elaboratore (il mio cuore, la mia mente), cioè rielaborarli: l’ascolto è il momento della elaborazione che prepara la risposta. Con altre parole meno tecniche, è il tempo di conservare e meditare ciò che mi è stato donato, come Maria che conservava tutto nel suo cuore e lo meditava. L’ascolto è un fatto di risonanza; per questo è eminentemente personale; non ci sono due persone che ascoltino allo stesso modo perché non ci sono due persone che abbiano la stessa interiorità. Dio sa ascoltare Il nostro Dio sente; non è sordo come gli idoli che “hanno orecchi e non sentono” (Sal 113b,6): “Chi ha formato l’orecchio forse non sente?” (Sal 93,9), dice il salmista. Siamo sicuri che il nostro grido giunge ai suoi orecchi (2 Sam 22,7; Sal 17,7). In particolare egli sente le grida dei poveri, le loro proteste (Gc 5,4). Ma soprattutto Dio sa ascoltare. Israele ha fatto l’esperienza (Dt 26,7) che Dio non prende sonno (Sal 120,4), è sempre pronto ad ascoltare, attento al grido dell’uomo. Giobbe ne resta stupito: “Che è quest’uomo che a lui rivolge la tua attenzione? (Gb 7,17). Anche Dio conserva nel suo cuore ciò che noi gli diciamo. La Bibbia lo esprime con il vocabolo “ricordare”: Dio è colui che ricorda (Sal 110,5). Ciò che non ricorda è il peccato di chi si converte a lui (Sal 24,7; Ger 31,34). Saper ascoltare Dio Il cristiano è chiamato ad essere un uomo in ascolto di Dio, ad essere come Maria che sceglie di stare seduta ai piedi di Gesù e ascoltarlo (Lc 10,38-42). L’ascolto mi porta alla fede, a fondare tutta l’esistenza sulla Parola; il discorso della montagna finisce descrivendo l’uomo che ascoltando Gesù, costruisce la sua casa sulla roccia (Mt 7,24-27). Per ascoltare l’uomo ha bisogno di sentire Dio che gli parla. Spesso però l’uomo pur udendo i suoi passi sulla terra, non vuole sentire (Gn 3,) è sordo, oppure si tura le orecchie per non sentire, fa il sordo (Sal 57,5), ha orecchie ma non ode (Ger 5,21). Gesù si presenta come colui apre le orecchie in modo che l’uomo possa udire (Mc 7,33). Non basta udire, bisogna anche fare attenzione alla Parola come la sposa del Cantico è attenta alla voce dello sposo (Ct 2,8), accoglierla con gioia (Mt 13,20; Gc 1,21), farla abitare o dimorare in noi (Col 3,16) e custodirla e conservarla (Sal 118, 9.11) meditandola nel cuore (Sal 118,148; Lc 2,19). Lo Spirito che abita nel cristiano guida a comprendere la parola. 40 SAPER RISPONDERE Rispondere comporta che... La comunicazione si interrompe e non compie il suo circuito completo se non si arriva alla risposta; anzi possiamo dire senza risposta non c’è comunicazione. Per rispondere è necessario aver capito e interiorizzato il messaggio ricevuto, volere rispondere e stimare l’altro degno della mia risposta, dare forma al proprio pensiero e ai propri sentimenti e usare tutti i mezzi espressivi di cui si dispone. SCHEDA 3 Rispondere comporta per prima cosa aver capito quanto il mio interlocutore mi ha detto, averlo fatto mio, meditato. Le risposte più sensate e personali sono quelle che sono frutto di un ripensamento, quelle che nascono dal “cuore”: qui prendono forma le parole e i gesti. In certi casi rispondiamo senza troppo pensarci, istintivamente; diamo risposte improvvisate. Rispondere comporta voler rispondere. Se penso che l’altro non merita una risposta resto in silenzio, non faccio alcun gesto. Certamente anche il silenzio è una forma di risposta, ma indica solo che io non voglio comunicare, stabilire una relazione: Il mio stare muto manifesta un giudizio negativo sulla comunicazione che dovrebbe avviarsi e la interrompe sul nascere. Davanti ad Erode (Lc 23,9) a Pilato (Mt 27,14) e al sinedrio (Mt 26,63) che lo interrogano Gesù rimane in silenzio: egli manifesta in questo modo che non c’è da parte degli interlocutori una vera volontà di ricerca, di dialogo. Rispondere comporta avere la capacità di rispondere. A volte, pur volendo rispondere non ci si riesce perché non si è capaci o mancano i mezzi. Possiamo rispondere con parole, con canti, con gesti, con azioni, con tutta la persona. A volte si trova che le parole non sono sufficienti, e si ricorre a gesti o semplicemente rendendosi presenti e vicini. Dio sa rispondere Israele ha fatto l’esperienza fondamentale di un Dio che sa rispondere; alla base della sua storia stanno le parole dette da Dio a Mosé: “...ho udito il grido del mio popolo a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo...” (Es 3,7-8). Dio è colui che capisce e risponde non tanto a parole ma con i fatti, salvando. L’ultima risposta al grido di salvezza che sale dall’uomo è la persona e l’opera di Gesù. Tuttavia spesso facciamo l’esperienza - almeno così ci pare - di un Dio che non risponde e con i salmisti diciamo continuamente “Rispondimi, Signore” (Sal 12,4). Egli però continua a ripeterci: “Invocami e io ti risponderò” (Ger 33,3). Alla fine, guardando la propria vita e l’intera storia ogni uomo di fede può dire, pieno di stupore: “Con i prodigi della tua giustizia tu ci rispondi, o Dio, nostra salvezza” (Sal 64,6). A volte volutamente Dio sta in silenzio e non risponde (1 Sam 28,6.15; Mi 3,4): è una situazione dolorosa che aspetta di avere i cuori disposti ad accogliere la risposta. 41 Saper rispondere a Dio Quando Dio ci parla dobbiamo cercare di comprendere e meditare ciò che egli ci dice accogliendo e chiedendo l’azione illuminante dello Spirito; ma non basta, bisogna avere il cuore disposto a rispondergli; senza questa disposizione, questa disponibilità e volontà di risposta, l’iniziativa di Dio viene vanificata. SCHEDA 3 Noi manifestiamo di saper rispondere - pregando: preghiera di meditazione, di lode, di ringraziamento, di professione di fede, di intercessione, di pentimento, di offerta.... - cantando - mettendoci all’opera: secondo l’insegnamento di Gesù: “Non chi dice “Signore Signore” entrerà nel regno dei cieli ma chi fa la volontà del Padre mio” (Mt 7,21) - assumendo un determinato atteggiamento corporeo (prostrarsi, inginocchiarsi, alzare o congiungere le mani... ) e compiendo dei gesti simbolici, dei riti. 42 3. CELEBRARE DIO CHE PARLA AL SUO POPOLO liturgia della Parola IL CIRCUITO DELLA PAROLA DI DIO NELLA CELEBRAZIONE Struttura della liturgia della Parola SCHEDA 3 Perché ci sia una vera comunicazione, anche nella celebrazione la parola deve compiere un duplice movimento di andata e di ritorno. Questo circuito lo riscontriamo già in una delle grandi liturgie descritte nel libro di Neemia (8,1-12). Eccone lo schema fondamentale: - “Esdra... portò il libro davanti all’assemblea, .... lesse ....”: proclamazione - labbra - Tutti ascoltavano con attenzione...”: ascoltare - orecchio-cuore - tutti alzarono le mani e risposero: “Amen, Amen!”.: rispondere - labbra La Liturgia della Parola attuale ripete e adatta quella struttura squisitamente dialogica: - prima lettura (proclamazione) - salmo di risposta (risposta dell’assemblea) - seconda lettura (proclamazione) - alleluia (acclamazione a Cristo presente nel Vangelo) - Vangelo (proclamazione) - professione di fede - preghiera dei fedeli (risposta dell’assemblea) Prendiamo in esame i vari momenti, partendo dalla preparazione o introduzione alla liturgia della parola IL MOMENTO DI PREPARARSI A PROCLAMARE E ASCOLTARE LA PAROLA Disporre il luogo e la luce Il luogo della proclamazione della Parola è l’ambone. Se non avviene la processione con il libro, il Lezionario dovrebbe trovarsi sul leggio, aperto alla pagina da leggere. E’ bene che l’ambone sia ornato con fiori o, meglio piante verdi, a simboleggiare il giardino in cui fu sepolto e risorse Gesù. A questo momento il leggio viene illuminato: la Parola che viene annunciata è luce per il cammino del popolo di Dio. I ceri che accompagnano la processione del libro sottolineano questa simbologia. 43 Disporsi a parlare e ascoltare Quando si inizia una conversazione o una conferenza si cerca di predisporre tutte le cose in modo che la comunicazione possa avvenire nel migliore dei modi. In particolare si cerca di creare un clima di silenzio che favorisca il percorso della parola. Si tratta di una preparazione che coinvolge - i due interlocutori: posizione che faciliti l’invio e la ricezione dei messaggi; atteggiamento interiore di volere comunicare e accogliere; - i mezzi di trasmissione dei messaggi. SCHEDA 3 La liturgia della parola inizia con il lettore che si dispone alla proclamazione della Parola di Dio e l’assemblea che si prepara ad accoglierla. Il lettore si dispone a proclamare le letture quale Parola di Dio Terminati i riti che hanno costruito l’assemblea, il lettore si dispone a parlare: - si muove dal suo posto, fa l’inchino verso il centro (altare, presidente) e si reca all’ambone - oppure, se il Lezionario è stato posto sull’altare al termine della processione d’ingresso, va all’altare, fa l’inchino, prende il libro e lo porta all’ambone - il diacono, prima di recarsi a proclamare il vangelo, domanda la benedizione al presidente della celebrazione; nel rito ambrosiano anche il lettore delle prime letture si volge dall’ambone al presidente per ricevere la benedizione. - in alcune occasioni al momento del Vangelo si fa la processione del Vangelo: il diacono o il sacerdote prende dall’altare l’Evangeliario e, accompagnato da ministranti che portano dei ceri accesi e l’incenso, va all’ambone dove, prima di iniziare, incensa il libro; sono manifestazioni della fede: la parola che sta per essere proclamata è luce ed è in grado di riempire e trasformare l’aria che respiriamo e tutta la vita in un profumo, in un sacrificio piacevole a Dio. - quando c’è il vescovo, egli si dispone all’ascolto del vangelo prendendo in mano il pastorale, segno della sua disponibilità a camminare come pastore e guida del popolo sulla via che indica la parola di Gesù. Tutti questi gesti vogliono attirare l’attenzione dell’assemblea e farle presentire che ciò che sta avvenendo è importante; invitano ad andare oltre il visibile per cogliere l’evento misterioso di un Dio che parla al suo popolo e disporsi ad ascoltarlo. Proprio per questi gesti il lettore stesso diventa un “segnopersona”, un simbolo del Signore che fa visita ai suoi discepoli riuniti insieme e oggi parla loro perché lo ascoltino con cuore libero; grazie al lettore la parola scritta diventa parola viva del Signore. 44 L’assemblea si dispone ad accogliere la Parola di Dio con il silenzio In ogni assemblea prima di incominciare a parlare è necessario creare un clima di silenzio. Così anche nella liturgia della parola: si può iniziare quando sono finiti i rumori e tutta l’assemblea si è disposta all’ascolto. SCHEDA 3 Ma non basta un silenzio esteriore; è importante quello interiore del cuore. Se il cuore è occupato in altri pensieri e sentimenti, la fantasia sta navigando per altri spazi, è impossibile riuscire a percepire ciò che il Signore ci dice oggi. La parola sarà sempre come una pioggia; in questo caso non irriga perché cade su una pietra e non su un terreno capace di assorbirla. con il corpo Non ci si prepara solo con il cuore, ma anche con il corpo: tutta la persona si prepara all’ascolto. Perciò con molta naturalezza, all’inizio della celebrazione della parola, l’assemblea assume l’atteggiamento proprio dell’ascolto: seduti oppure in piedi, a seconda di quello che vogliamo esprimere con quel gesto. Si tratta infatti di gesti simbolici: - seduti (prime due letture), come discepoli attorno a Gesù nel discorso della montagna, come Maria che a Betania lascia stare tutto e siede ad ascoltare Gesù; - in piedi (al vangelo) come i risorti, davanti a un messaggio o persona importante, pronti a partire, a “fare” la parola, a celebrare la Pasqua. Chi ascolta non può non partire, non diventare diverso: risorto. acclamando e cantando Quando una persona importante fa il suo ingresso in una assemblea, tutti si alzano in piedi e acclamano, gridano “Evviva!”, battano le mani... Similmente quando si arriva il momento della proclamazione del vangelo o si fa la processione con il libro, tutti si alzano in piedi e acclamano, cantando l’Alleluia a Gesù che viene a parlare nuovamente. “Alleluia” è una parola ebraica difficile da tradurre, che vuol dire “lode-gloriaevviva a Dio”. Dato il suo significato, l’Alleluia va cantato; non ha senso dirlo; se non lo si canta o non c’è il rito della processione, andrebbe omesso (OGMR 63§c). L’Alleluia può essere ripreso dopo la proclamazione del vangelo come un grido della fede, un battere delle mani a Cristo che ha parlato. 45 Il MOMENTO DEL PROCLAMARE LA PAROLA Dio si rende presente... SCHEDA 3 E’ molto importante sapere chi parla; se per caso non lo conoscessi, io mi rivolgo al vicino e domando: “chi è colui che sta parlando?”. Per questo nelle riunioni c’è sempre chi presenta l’oratore all’assemblea. Nella liturgia della Parola chi proclama la lettura è il lettore, ma non è molto importante chi egli sia, come si chiami; egli è un “ministro” che non parla di propria iniziativa e non comunica il suo pensiero; egli rende presente qualcun altro. Il concilio Vaticano II ci dice che “il Signore è presente nella sua parola, giacché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura” Ci siamo detti che per avviare una comunicazione la prima condizione è rendersi presenti; ebbene, Dio per comunicare oggi con noi nella liturgia, si rende presente nel lettore; egli è il “segno” della presenza di Gesù; attraverso il timbro della sua voce, Gesù parla ancora alla sua gente come un tempo alle folle. Perciò alla fine il lettore dice: “Parola di Dio” indicando così da chi è quella Parola. ci comunica ciò che ha fatto e va facendo nella nostra storia Nella liturgia della parola ci sono varie letture tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento, fatte da diversi lettori. Solitamente si stabilisce un rapporto dall’Antico al Nuovo Testamento, un certo parallelismo. Se le esaminiamo a fondo, noteremo che le letture sono disposte in modo da risultare una breve storia che ha nell’Antico Testamento il suo inizio e nel vangelo il suo più profondo compimento: Dio ci narra quanto lui ha fatto. Il fatto centrale di questa storia è la morte e la risurrezione di Gesù. Per questo anticamente il luogo dove avveniva la proclamazione della parola era disposto in modo da suggerire che il lettore era come l’angelo che, sulla pietra ribaltata del sepolcro, annuncia la risurrezione di Gesù. Questo luogo della lettura è detto “ambone”, cioè un posto alto dove bisogna “salire”. ... si rivolge a noi personalmente e come popolo di Dio La storia proclamata attraverso le letture non finisce lì; Dio ce la narra perché vuole che quella storia continui: vuole gettare una luce sulla nostra storia attuale, interpretarla; il suo intento è realizzare anche tra di noi le “meraviglie” compiute allora, ciò che avviene nella seconda parte della messa. ... vuole entrare in comunione con noi 46 Chi parla vuole entrare in relazione con l’altro. Dio ci parla perché vuole entrare in intimità con noi. Il suo è un parlare di un amico all’amico, di un padre al figlio; è uno svelare progetti, da realizzare insieme. Il Concilio ci dice che “nel suo grande amore Dio parla agli uomini come ad amici (Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (Bar 3,38) per invitarli e ammetterli alla comunione con sé”. Con l’omelia chi presiede ci aiuta a comprendere e attualizzare la parola di Dio SCHEDA 3 Dopo le letture c’è l’omelia. Chi presiede ha ascoltato anche lui la Parola e interviene in forza di un particolare mandato per - farci capire il senso che quella parola aveva per gli uomini di allora e per noi oggi; - annunciare che il Signore ha in animo di introdurci in quella storia di salvezza attraverso i vari riti della messa e farci dono di tutta la grazia presente in quegli avvenimenti. IL MOMENTO DELL’ASCOLTARE parola dalle orecchie al cuore Per ascoltare è necessario che noi - apriamo gli orecchi: “chi ha orecchi cerchi di capire!” (Lc 8,8); - facciamo attenzione: “Fate bene attenzione, dunque, a come ascoltate...” (Lc 8,18); - accogliamo e conserviamo nel cuore la parola L’ascolto ci porta a far parte del popolo dei beati:“Beati quelli che ascoltano...”(Lc 11,28). Ascoltare comporta ... ... rimuovere ciò che ostacola l’ascolto L’ascolto può essere disturbato da mezzi inadeguati messi in atto nella proclamazione: il lettore legge male, i microfoni non funzionano... Bisogna fare di tutto per rendere fisicamente possibile l’ascolto. Le vere difficoltà però non sono quelle tecniche, esteriori; la difficoltà più radicale viene dal cuore dell’uomo, perché si chiude in sé stesso, non vede che se stesso; ciò che impedisce l’ascolto è l’impurità del cuore. Accingendosi alla proclamazione del vangelo il diacono dice: “Purifica il mio cuore e le mie labbra, Dio onnipotente, perché possa annunziare degnamente il tuo vangelo”. Alla fine, baciando il libro, soggiunge: “La parola del vangelo cancelli i nostri peccati” Ciò che impedisce l’ascolto è anche una certa pigrizia e stanchezza, la disattenzione e la distrazione, il pregiudizio di saper già tutto..., cioè una certa indifferenza. Guarire un cuore dall’incapacità di ascoltare è un miracolo, cioè un’opera possibile solo a Dio, un miracolo che è realizzato con Gesù: “i sordi riacquistano l’udito...” (Is 29,18 e Mt 11,5). Oggi è lo Spirito Santo che ci libera dalla sordità e ci porta a comprendere quanto Gesù ci dice nel vangelo e in tutta la Scrittura. 47 ... amare chi mi parla Dopo aver proclamato la lettura, il diacono o il sacerdote bacia il libro: è il gesto dell’amore; ascolta chi sa amare. SCHEDA 3 C’è una immagine che ricorre spesso nelle antiche rappresentazioni egiziane: il re (il Nilo) è seduto in trono e ai suoi piedi sta seduta la regina (la terra); il re versa l’acqua da una coppa e la regina l’accoglie. Questa immagine traduce bene l’atteggiamento dell’assemblea cristiana che è seduta mentre dall’ambone viene proclamata la Parola; è la terra assetata che accoglie l’acqua che la feconda. Si dice spesso di una persona: “pende dalle labbra di chi gli parla”, “beve ogni parola”; è l’atteggiamento spirituale di chi ama. Maria, seduta ai piedi di Gesù, aveva questo atteggiamento di ascolto perché amava. dare tempo all’ascolto Per ascoltare però c’è bisogno di tempo: - durante la celebrazione: ecco perché il tempo di silenzio dopo la lettura o l’omelia. - dopo la celebrazione: la parola accolta viene conservata e meditata lungo la giornata, la settimana. Il vero senso spesso lo scopriremo a contatto con altre parole e altri fatti della vita quotidiana. conservare e meditare la parola... L’ascolto non è il momento passivo della liturgia della parola, ma quello eminentemente attivo dedicato a conservare e meditare la parola. Nell’ascolto tutta l’assemblea viene coinvolta, partecipa. Il tempo dell’ascolto ci permette di fare un’opera di sintesi tra le varie letture e di inserirci nel racconto fino a trovarci coinvolti come attori, partecipi degli eventi narrati. Le letture, all’atto della proclamazione, appaiono come tanti segmenti di un racconto, ma chi le accoglie, le conserva e medita nel suo cuore nel tempo dell’ascolto arriva a comprenderle come un unico racconto, parti di un unico progetto. I due discepoli di Emmaus, con l’aiuto di Gesù, ascoltandolo con amore, sono arrivati a fare una sintesi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Prendiamo ad esempio le letture della prima domenica di Quaresima: il racconto della tentazione e della caduta di Adamo ed Eva (prima lettura) si unisce a quello delle tentazioni di Gesù e della sua vittoria (vangelo): là dove Adamo è stato sconfitto perché non ha voluto ascoltare, Cristo, il nuovo Adamo, che non vive solo di pane ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio, vince il grande tentatore. I due racconti diventano due momenti di un’unica storia e la seconda lettura ne dà il senso complessivo. Ma non basta. La meditazione ci porta a vederci dentro il racconto, sentirci parte attiva; nel nostro caso, ci sentiamo protagonisti come Adamo e Gesù; scopriamo che anche per noi la via della vittoria è quella percorsa da Gesù; seguendo lui faremo l’esperienza che dove c’è il peccato può sovrabbondare la grazia (seconda lettura). 48 Il MOMENTO DEL RISPONDERE (parola sulla bocca) SCHEDA 3 Se siamo riusciti a dare ascolto a Dio che ci parla, noi siamo in grado di rispondere - acclamando, dicendo grazie, lodando - facendo risuonare in noi la parola (preghiera di meditazione: il salmo responsoriale) - dicendo: “Amen”, “Noi crediamo” (professione di fede: il credo) - dicendo: “Noi ti preghiamo” (preghiera di intercessione: la preghiera dei fedeli) - dicendo: “Ti rendiamo grazie”, narrando, facendo memoria - dicendo: “Eccomi.. noi lo faremo” acclamando, dicendo grazie, lodando Quando in una assemblea una persona ha finito di parlare, tutti applaudono in forma di assenso. A Dio che ci ha rivelato il suo amore, la volontà di farci partecipe di una bella storia, noi rispondiamo manifestandogli il nostro grazie, la nostra gioia, talora gridandoglielo. Alla fine della lettura, quando il lettore proclama o canta: “Parola di Dio”, “Parola del Signore”; noi rispondiamo dicendo o cantando: “Rendiamo grazie a Dio”, “Lode a te, o Cristo”. Nella seconda parte della messa sviluppiamo questo atteggiamento nella grande preghiera detta “eucaristica”, cioè di ringraziamento e di lode. facendo risuonare in noi la parola (preghiera di meditazione: il salmo responsoriale) A Dio che parla noi rispondiamo con il salmo responsoriale. E’ formato da alcuni versetti di un salmo i quali vengono cantati o proclamati dal “salmista”. Essi fanno risuonare in noi la parola ascoltata, ripetendo o sviluppando temi, dando il calore e l’intuizione propria della poesia, suggerendo la preghiera. l salmo è Parola di Dio: perché allora nel rispondere a Dio utilizziamo ancora la Bibbia? Dobbiamo riconoscere che non è facile rispondere a Dio che parla. Allora lui stesso ci viene in aiuto; attraverso lo Spirito che parla nei salmi si fa accanto come ad un bambino ai suoi primi passi e ci insegna a parlare, a pregare, ci introduce nella risposta. dicendo: “Amen”, “Noi crediamo” (professione di fede: il Credo) Quando nella grande assemblea del tempo di Neemia fu letto il libro della legge, tutto il popolo rispose: “Amen Amen”. In questo modo essi manifestarono sinteticamente la loro fede nel Signore e nella sua parola. Anche noi rispondiamo a Dio con un atto di fede: crediamo che lui ci ha parlato e accogliamo quanto ci ha detto. Il Credo che pronunciamo è una piccola sintesi 49 di quello che Dio ha fatto per noi, cioè di tutto quello che c’è scritto nella Bibbia e viene proclamato nelle varie domeniche dell’anno liturgico. Ma non è solo con il credo che diciamo la nostra fede; ad esso bisogna aggiungere anche la preghiera eucaristica e tutti i gesti che si fanno nella messa. dicendo: “noi ti preghiamo” (preghiera di intercessione: la preghiera dei fedeli) SCHEDA 3 Dopo il credo o l’omelia facciamo la “preghiera dei fedeli” o “preghiera universale”. E’ una preghiera di intercessione che parte dalla parola di Dio ascoltata: è detta “dei fedeli” perché nasce dall’assemblea dei credenti nutrita dalla parola; è “universale” perché esprime il cuore della chiesa che tiene presente tutti gli uomini. Preghiamo per la Chiesa universale ( il papa, i vescovi...), per le autorità civili, per la chiesa locale, per particolari necessità. Con questa preghiera noi domandiamo a Dio l’aiuto per tradurre in pratica la parola ascoltata, per essere fedeli ad essa; allarghiamo il nostro orizzonte e chiediamo che questa parola ispiri l’azione di tutti gli uomini, senza esclusione di alcuno; che tutti arrivino alla conoscenza della verità e siano salvi. narrando, facendo memoria La nostra riposta non si conclude con la preghiera dei fedeli; la risposta più completa la diamo nella seconda parte della messa, celebrando, cioè. - rinarrando quanto abbiamo ascoltato, facendo memoria, - rendendo grazie a Dio per quanto ha fatto, - compiendo dei gesti attraverso cui gli eventi della salvezza narrati e compiuti “allora” manifestino tutta la loro potenza anche per noi oggi. dicendo: “Eccomi.. noi lo faremo” Quando Dio parlava i giusti dell’Antico Testamento rispondevano: “Eccomi!” (1 Sam 3,1-10). Così anche la Madonna all’annuncio dell’angelo. Quando Dio parlò nel deserto, il popolo d’Israele rispose: “Noi lo faremo”. Possiamo dire di rispondere a Dio, se, con il suo aiuto, faremo ciò che egli ci dice, se riusciremo a tradurre la parola ascoltata in una vita conforme ad essa. 50 Piste per proseguire la ricerca e il dialogo 1. PER CELEBRARE MEGLIO Comprensione della Parola di Dio. SCHEDA 3 La Bibbia è un libro difficile, scritto in un linguaggio diverso dall’attuale. I fedeli trovano delle difficoltà. Allora, che cosa si può fare perché la Parola di Dio sia trasmessa fedelmente, in modo comprensibile anche ai non addetti ai lavori? La traduzione che usiamo è adeguata a questo compito? Celebrazione della Parola di Dio. La prima parte di un’azione liturgica è sempre una “celebrazione della parola”. Che cosa manca in concreto perché anche nella nostra situazione si possa parlare di una vera celebrazione? Liturgia della Parola e catechesi. Che differenza c’è tra liturgia della parola e catechesi? Per la maggior parte dei cristiani l’assemblea domenicale è l’unica occasione che hanno di essere catechizzati: come viene valorizzata tutta la potenzialità della Parola di Dio per il nutrimento dei fedeli? 2. PER EVIDENZIARE IL RAPPORTO TRA LA LITURGIA DELLA PAROLA E QUELLA EUCARISTICA Unità fra Parola e Sacramento. Si è capito nella nostra comunità il legame che esiste fra la liturgia della Parola e quella sacramentale? Che cosa fare per evidenziare questa unità? 3. PER STABILIRE UNA UNITA’ TRA LA CELEBRAZIONE E LA VITA QUOTIDIANA Ascolto della Parola e impegno. Ascolto della parola e impegno Dopo aver ascoltato la Parola di Dio e la predica, si sente dire: “Tutto vero, le cose dovrebbero essere così, ... ma la vita è un’altra cosa”. Come fare perché la parola di Dio non rimanga chiusa nelle celebrazioni, ma guidi le scelte della vita familiare, sociale, scientifica, politica...? Dio parla per liberare l’uomo: la nostra messa ci porta a trovarci là dove gli uomini faticano per vincere le varie forme di schiavitù. Ascolto prolungato Per essere compresa e portare il suo frutto la parola di Dio va “conservata” e “meditata” lungo tutto la settimana. Cosa vuol dire “conservare”, “meditare”? Come fare? 51 52 SCHEDA 4 SCHEDA 4 CELEBRARE L’OFFERTA La presentazione dei doni “Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore” (Lc 2,22) CERCHIAMO INSIEME 1. IL CIRCUITO DELL’OFFRIRE Descriviamo il percorso della presentazione di un dono: c’è un movimento di andata e uno di ritorno come avviene con la parola? 2. L’OFFRIRE UMANO Pensiamo che cosa avviene quando noi offriamo qualcosa a qualcuno, facendoci alcune domande: - chi offre - come si offre (gesti si fanno..), - che cosa si offre... - quando si offre... - per quali motivi si offre... - a chi si offre.... 3. L’OFFRIRE DI DIO Rifacciamoci le stesse domande quando ad offrire è Dio: - Che cosa offre - Perché offre. - A chi offre 4. L’OFFRIRE DELL’UOMO A DIO Che cosa avviene quando gli uomini offrono doni a Dio? - Come offrono - Che cosa offrono - Quando offrono - Perché offrono 5. L’OFFRIRE NELLA MESSA Quando alla domenica ci riuniamo, avviene che - i cristiani offrono... - Dio offre... 53 1. IL CIRCUITO DELL’OFFRIRE Il movimento dell’offerta Quando offro qualcosa a una persona io esco dalla mia solitudine ed entro in relazione con lei. Offrire perciò è stabilire relazioni, mettere in atto una comunicazione. Offrire implica sempre due agenti: una persona che prende l’iniziativa dell’offrire e l’altra che riceve il dono e risponde con un gesto di gradimento o di rifiuto. SCHEDA 4 Anche la liturgia eucaristica è costituita di un movimento di andata - la presentazione dei doni da parte dell’assemblea - e uno di ritorno, al momento della comunione, quando i doni ritornano all’assemblea. In questo movimento si stabilisce la più profonda relazione tra Dio e noi Il primo passo: dall’ “avere per sé” all’ “offrire all’altro-Altro” Per avviare questo movimento è necessario che incominciamo a decentrarci, ci sbilanciamo verso gli altri, passiamo dal “volere per noi”, dal possedere, al dare gratuito. Non è facile oggi. Siamo inseriti in un mondo che ha moltiplicato le risorse materiali e noi rischiamo di avere come fine il possedere un numero sempre maggiore di beni materiali. Presi dentro questo meccanismo ci chiudiamo dentro il cerchio del nostro egoismo. La vita incomincia quando decidiamo di uscirne e, anziché cercare di avere, ci sforziamo di donare, di divenire “ministri dell’offerta”. La liturgia eucaristica è tutta pervasa dall’inizio alla fine da preghiere, riti e atteggiamenti che esprimono l’offrire, in un crescendo continuo; essa ci educa progressivamente ad essere come Gesù, a passare con lui dall’ “avere per sé” all’ “offrire all’altro-Altro”. Approfondiamo che cosa vuol dire offrire. 54 2. L’OFFRIRE UMANO: quando gli uomini si offrono doni avviene che... Per capire che cosa avviene nella messa incominciamo a vedere che cosa capita quando una persona fa un dono ad un’altra; mettiamoci da vari punti di vista cercando di rispondere a queste domande: chi offre, come si offre (gesti che si fanno..), che cosa si offre, quando si offre, per quali motivi si offre, a chi si offre... Sintetizzando, potremo dire: SCHEDA 4 Chi offre può essere un amico, un superiore o un suddito, uno che fa il mestiere dell’offrire (venditore) La relazione che viene a stabilirsi può essere - disinteressata, nel segno della gratuità, gioia, festa; - di sudditanza o superiorità, di paura...; - di interesse; Quando offriamo qualcosa cerchiamo di farlo nel migliore dei modi. Lo sa il venditore, ma un po’ tutti: quando facciamo un regalo, cerchiamo di abbellirlo, di impreziosirlo, quasi che il regalo, per essere all’altezza esiga di vestirsi a festa, essere una cosa bella. Cerchiamo anche di farlo in un determinato stile, con una certa gestualità (biglietto, lettura del biglietto...), non sciattamente: offrire vuole essere un’azione bella. Possiamo offrire con gioia, per paura, perché costretti...: a seconda di questi sentimenti i gesti risultano liberi, spontanei, oppure rigidi, compassati, formali. Alla scuola di Gesù impariamo a dare “gratuitamente” (Mt 10,8), con semplicità (Rm 12,8), con prontezza (1 Tm 6,18). Possiamo offrire cose: utili, superflue, che fanno piacere, che servono per la persona, per il suo lavoro o per i suoi hobby. A volte la cosa che offriamo acquista un valore più grande del suo prezzo commerciale, per le circostanze in cui è il dono è fatto o la persona che lo fa, cioè acquisisce un significato di “segno”, è un “simbolo”. Spesso, anche senza farcene accorgere, offriamo non cose che si possono acquistare ma qualcosa di strettamente personale, che solo noi possiamo fare senza delegare altri: il nostro tempo, la nostra parola, l’ascolto, l’amicizia...., qualche parte del nostro corpo (il sangue, un rene...) Ci sono occasioni in cui non possiamo offrire nemmeno la parola, perché ci sembra inadeguata o inopportuna, come nel caso dei funerali: sentiamo che le parole sono insufficienti, basta la presenza, la vicinanza. L’espressione più alta dell’offerta è dare vita. La storia è piena di questi gesti; la mamma dà la sua vita per la nascita del figlio. Ogni momento è buono per offrire e offrirci; alcuni sono prevedibili: feste, ricorrenze... Ci sono momenti imprevisti. Il samaritano incontra improvvisamente il malcapitato; per lui quello è il momento di offrirgli il suo aiuto e pagargli l’albergo. 55 Ciò che determina il “tempo giusto” sono le particolari esigenze della persona, i suoi ritmi di crescita, le sue tappe, le circostanze della vita. Fare un regalo può essere dettato dalle più disparate motivazioni; in generale si possono ricondurre a due: una in cui l’offerta è apparente, l’altra reale. E’ apparente l’offerta che faccio per interesse, per essere ricambiato, perché costretto, per opportunità... In questi casi io non faccio un dono: il destinatario del dono non è l’altro, ma ancora me stesso. E’ reale quella che faccio gratuitamente, senza attendere nulla in cambio, quando il dono è davvero per l’altro, per lui solo, per sempre. SCHEDA 4 Destinatario del mio dono può essere un amico, un “superiore” o un “inferiore”. L’identità del destinatario stabilisce una relazione diversa in base ai sentimenti che l’accompagnano. 56 3. L’OFFRIRE DI DIO: quando Dio offre avviene che ... Dio è per natura colui che offre e offrendo entra in relazione con l’uomo, stabilisce relazioni, comunica con l’uomo In questo caso chi offre - Dio - è certamente superiore, ma la relazione che egli vuole realizzare non è quella tra padroni e sudditi, ma di amici (“non vi chiamo servi ma amici”), di figli (Padre nostro): relazione disinteressata, nel segno della gratuità, della gioia, della festa; SCHEDA 4 Dio ci offre l’intero creato, l’alleanza, la redenzione, con tutto ciò che queste parole significano: sono tutti doni che promuovono l’uomo. Ci offre il suo Figlio: “ci ha tanto amato da donarci il suo Figlio” (Gv 3,16) In Gesù ci fa dono della sua presenza: “io sono con voi tutti i giorni” (Mt 28,20) è l’ultima parola di Gesù. In Gesù ci offre la sua vita.: leggiamo la parabola del buon pastore (Gv 10, 11‑18; Mc 10,45). Spesso i suoi doni ci vengono attraverso dei simboli: i sacramenti, specialmente l’Eucaristia. Dio offre per amore, gratuitamente, per il nostro bene (per promuovere la nostra persona, la libertà, ....la vita); non ritira mai i suoi doni, anche se noi veniamo meno, li usiamo male. Non è mosso da interesse, non vuole suscitare paura. Dio offre a tutti, senza eccezioni o particolarismi. 57 4. L’OFFRIRE DELL’UOMO A DIO Dio è per natura colui che offre e offrendo entra in relazione con l’uomo, stabilice relazioni, comunica con l’uomo. Quando gli uomini offrono doni a Dio avviene che... SCHEDA 4 Quando offriamo qualcosa a Dio entriamo in relazione con lui, comunichiamo con lui. Questo è possibile perché lui per primo si è offerto a noi, ha comunicato con noi. Il nostro offrire è una riposta a quello che lui ha fatto. Davanti a Dio siamo certamente delle creature, perciò a lui inferiori; eppure il Signore vuole che noi ci poniamo davanti a lui nell’atteggiamento del figlio, dell’amico, della sposa; cioè, in una relazione di amore: con questo spirito facciamo la nostra offerta a Dio. Offriamo a Dio con gioia (Sir 35,8), riconciliati con lui e con i fratelli: “Se stai per fare la tua offerta all’altare... va’ prima a riconciliarti”.(Mt 5,23) A Dio non possiamo offrire nulla che egli non abbia già. Tutto è suo, per cui possiamo offrirgli solo le cose che ci ha donato e il frutto del nostro lavoro; gli offriamo soprattutto il cuore, l’amore, il seguire le sue vie. Egli ci ripete: “Ascolta, popolo mio, voglio parlare, ... Io sono Dio, il tuo Dio. Non ti rimprovero per i tuoi sacrifici; i tuoi olocausti mi stanno sempre davanti. Non prenderò giovenchi dalla tua casa, né capri dai tuoi recinti. Sono mie tutte le bestie della foresta, animali a migliaia sui monti. Conosco tutti gli uccelli del cielo, è mio ciò che si muove nella campagna. Se avessi fame, a te non lo direi: mio è il mondo e quanto contiene. Mangerò forse la carne dei tori, berrò forse il sangue dei capri? Offri a Dio un sacrificio di lode e sciogli all’Altissimo i tuoi voti e invocami nel giorno della sventura: ti salverò e tu mi darai gloria” (Sal 49,7‑15). 58 Dobbiamo fare come Gesù (Gv 10,18; 5,2; Eb 7,27; 9,25) e offrire tutto noi stessi (Is 53,10; Rm 6,13; 12,1; 2 Cor 8,5). Secondo quanto ci ha rivelato Gesù, qualunque cosa noi offriamo agli altri - anche un bicchiere d’acqua (Mt 10,42) - è offerta a Dio. Consapevoli di questo i primi cristiani deponevano i loro beni ai piedi degli apostoli (Atti 4,35). A volte andiamo a Dio con cose simboliche (incenso, pane, vino...) che esprimono tutto ciò che noi gli offriamo; pensiamo ai magi che manifestarono con l’oro, l’incenso e la mirra la loro fede in quel Bambino appena nato (Mt 2,11) e gli angeli che presentano a Dio con l’incenso la preghiera dei santi. Il tempo dell’offerta è la vita quotidiana: i vari avvenimenti in cui Dio si rende presente nel “povero” e nell’”altro” che incontriamo. Ci sono poi momenti particolari: la preghiera del mattino e della sera, la domenica... La celebrazione dell’Eucaristia è il momento culmine, in cui Cristo ci unisce alla sua offerta al Padre. Le motivazioni che ci portano a pregare, a fare dei sacrifici, dei voti..., sono molto vari: per interesse (cioè per ottenere qualcosa), perché costretto, per paura (dell’inferno...); è l’offrire dello schiavo, non piace a Dio e fa male all’uomo. Il vero offrire a Dio è quello della fede, dell’amore gratuito, senza attendere nulla in cambio. SCHEDA 4 Sull’esempio di Gesù e per opera dello Spirito anche noi uomini siamo capaci di offrire tutto (la creazione,...noi stessi) a Dio e ai fratelli: diventiamo “ministri dell’offerta”. 59 4. L’OFFRIRE NELLA MESSA: quando alla domenica ci si riunisce avviene che ... Quattro gesti fondanti SCHEDA 4 Durante l’ultima cena fatta con i suoi discepoli, prima della sua morte e risurrezione, Gesù volle dare un senso speciale ad alcuni gesti che di solito si fanno durante un pranzo ordinario. Lo dimostra il suo comando: “fate questo in memoria di me”. Si è venuta così a creare una tradizione che ci è riportata da s. Paolo (1 Cor 11,23-26) come anche dagli evangelisti Matteo, Marco e Luca. Il “questo” che Gesù ha comandato di fare e che la chiesa ha capito di dover fare in memoria di lui si può ricondurre tutto a quattro gesti significativi che Gesù fece nell’ultima cena: 1. prese il pane e il vino 2. rese grazie a Dio suo Padre 3. spezzò il pane 4. diede ai discepoli il pane da mangiare e il calice da bere Queste quattro azioni formano l’ossatura di ogni eucaristia cristiana: 1. Preparazione dei doni simbolici del pane e vino 2. Preghiera eucaristica in cui i simboli vengono assunti nell’offerta di Gesù al Padre 3. Frazione del pane in cui i doni vengono preparati per essere offerti all’assemblea 4. Comunione: accoglimento dei doni da parte dell’assemblea Come nella liturgia della Parola c’è un doppio movimento - di andata e ritorno - che manifesta il “mistero dell’offrire”, dello scambio: - dall’assemblea all’altare, per le offerte; - dall’altare all’assemblea, per la condivisione e la comunione Il loro significato: il mistero dell’offrire La liturgia eucaristica è un momento riassuntivo di ogni offerta, sia di Dio a noi che di noi a Dio, è il compiersi del “mistero dell’offerta”. E’ costruita in un crescendo di “dare-ricevere”. Innanzitutto, noi prendiamo coscienza che tutto ciò che abbiamo e riusciamo a fare è dono di Dio e lo presentiamo a lui nei segni del pane e del vino: è una prima offerta, quella che chiamiamo presentazione dei doni. Per una particolare azione dello Spirito i nostri doni sono assunti dall’offerta di Gesù al Padre nei simboli del pane e del vino; anche noi, come singoli e come comunità, diventiamo corpo di Cristo, siamo offerti in lui come sacrificio gradito a Dio Padre; il culmine dell’unica offerta avviene nell’elevazione conclusiva della preghiera eucaristica, quando il sacerdote alza il pane e il vino consacrati dicendo: “Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te Dio Padre onnipotente ogni onore e gloria...” Dopo il gesto dello spezzare del pane, al momento della comunione, i doni ritornano all’assemblea e al mondo: il Padre offre il corpo di Cristo, cioè Cristo e tutti coloro che si sono offerti in lui. In questo modo il cerchio si chiude per riprendere: dalla messa alla vita quotidiana e dalla vita quotidiana alla messa. 60 Prendiamo in esame il primo momento dell’offerta, riservando gli altri alle schede successive. 5. IL PRIMO MOMENTO DI OFFERTA: LA PRESENTAZIONE DEI DONI Preparazione della mensa SCHEDA 4 Quando arriva l’ora di mangiare, si prepara la tavola. Così nella messa. Fino a questo momento della celebrazione, l'altare non ha attirato l'attenzione, non è servito a nulla, è rimasto spoglio. Il centro dell'azione era l'assemblea: parola, canti, preghiere. Ora l'assemblea si prepara alla cena: - l’altare viene illuminato; - si mette la tovaglia (è bene fare almeno qualche volta questo rito); - si portano le candele e i fiori - in certi luoghi o occasioni i partecipanti si raggruppano attorno all'Altare. Questo gesto richiama i banchetti imbanditi preannunciati dai profeti, annunciati nelle parabole e realizzati da Gesù; in particolare ci rifacciamo a quanto è avvenuto per l’ultima cena, che ha dato compimento a tutti i banchetti. “Venne il giorno della festa dei Pani non lievitati, nel quale si doveva uccidere l’agnello pasquale. Gesù mandò avanti Pietro e Giovanni con questo incarico: ‑ Andate a preparare per tutti noi la cena di Pasqua. Essi risposero: ‑ Dove vuoi che la prepariamo? Gesù disse: ‑ Quando entrerete in città incontrerete un uomo che porta una brocca d’acqua. Seguitelo fino alla casa dove entrerà. Poi direte al padrone di quella casa: Il Maestro desidera fare la cena pasquale con i suoi discepoli e ti chiede la sala. Egli vi mostrerà al piano superiore una sala grande con i tappeti. In quella sala preparate la cena. Pietro e Giovanni andarono, trovarono tutto proprio come aveva detto Gesù e prepararono la cena pasquale” (Lc 22,7‑13; vedi Mt 26,17‑19; Mc 14,12‑16). Processione delle offerte Quando la tavola è pronta, si portano le cose da mangiare. Similmente nella messa, all’inizio della seconda parte, alcuni fedeli portano il pane e il vino. Il Messale raccomanda l’uso di far portare dai fedeli il pane e il vino: “Sarà bene che la partecipazione dei fedeli si manifesti con l’offerta sia del pane e del vino per la celebrazione dell’Eucarestia, sia di altri doni per le necessità della Chiesa e dei poveri” (OGMR 73). In questo momento bisogna distinguere due generi di offerte: - il pane e il vino: sono le vere offerte simboliche, le sole che vengono poste sull’altare. Nel portarle i fedeli vengono dal fondo della chiesa e attraversano l’assemblea, esprimendo così che si tratta di doni che simboleggiano le offerte del popolo di Dio. - i doni per i poveri, la questua: possono far parte dello stesso movimento, ma non devono essere messe sull’altare per evidenziare che esse non sono le offerte simboliche e hanno dei destinatari precisi (i poveri, le necessità della chiesa...). Con questa processione per la presentazione dei doni noi esprimiamo la nostra realtà di comunità che nel suo camminare scopre come tutto ciò che essa è e che la circonda è tutta e sola grazia. 61 Andiamo a Dio per offrirgli - le primizie della fecondità della terra, perché tali doni siano a loro volta il luogo della fecondità eucaristica nel pane e nel vino, - e altre offerte che divengono strumenti di comunione con i bisognosi della comunità. E’ un gesto importante che dà inizio al “mistero dell’offerta”, al sacrifico. L’eucaristia è un mistero di scambio: per donarci la sua vita, Gesù prende dapprima del nostro pane, “frutto della terra e del lavoro dell’uomo” Il simbolismo delle offerte del pane e del vino Fermiamo la nostra attenzione sul pane e il vino: sono doni simbolici. SCHEDA 4 Sono dei “prodotti”, qualcosa che esce dalle mani dell’uomo: il pane è fatto con la farina ottenuta da tanti grani di frumento macinati; è azzimo, cioè senza lievito. Similmente il vino è formato da tanti grappoli pigiati e deve essere puro. Sono entrambi la sintesi di un prodotto naturale e del lavoro umano. Come frutti della terra (doni di Dio) e del lavoro dell’uomo (collaborazione dell’uomo) racchiudono tutto ciò che Dio dà a noi e tutto ciò che noi siamo e possiamo fare e offrire. Quando noi presentiamo il pane e il vino come frutti della terra, offriamo a Dio tutta la creazione e ogni dono che egli ci ha fatto. Offrendoli come frutti del nostro lavoro noi presentiamo tutto ciò che siamo e facciamo. Il Concilio Vaticano II, parlando delle offerte che i laici fanno a Dio, dice: “Tutte le loro (dei laici) attività, preghiere e iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e corporale, se sono compiute nello Spirito, e le molestie della vita anche se sono sopportate con pazienza, diventano offerte spirituali gradite a Dio attraverso Gesù Cristo (cfr. 1 Pt 2,5); nella celebrazione dell’Eucaristia sono in tutta pietà presentate al Padre insieme all’oblazione del Corpo del Signore” (LG 34). Esplicitiamo brevemente il senso ampio e profondo di questo “nostro lavoro” di cui il pane e il vino sono simbolicamente portatori. * A Dio che ci parla, ci manifesta il suo progetto, noi diciamo il nostro: “Sì, lo faremo”. Pane e vino sono il “sì” che Gesù ha detto per primo al Padre e che ora anche noi diciamo: il sacrificio dei tempi nuovi è fare la volontà di Dio, cioè prendere sul serio il vangelo ascoltato e tradurlo nella pratica quotidiana. * Il mangiare e il bere (pane e vino) sono gli elementi essenziali per il vivere, sono la nostra vita. Offrendoli noi presentiamo tutta la nostra vita, in tutti i suoi aspetti di gioie e di dolori. * Il pane e il vino risultano da più grani e acini messi insieme; la loro offerta sta a significare la nostra unità, fraternità, solidarietà. 62 * Pane e vino sono offerte “spirituali” non nel senso “dell’anima”, ma nel senso che ormai come Gesù anche noi non presentiamo più a Dio cose diverse da noi (ad esempio degli animali), ma noi stessi, corpo e anima, tutto ciò che siamo e facciamo. * Il pane e il vino sono doni-attesa cioè mentre portano a Dio noi stessi e l’intera creazione, attendono di divenire rivelatori e portatori di salvezza. Pur grandi nel loro significato, sono ancora poveri; essi sono aperti all’azione dello Spirito santo per divenire “cibo che dà la vita eterna”, “bevanda di salvezza”. Tutto è tensione a divenire una sola cosa in Cristo, ad essere vera Chiesa. L’accoglienza dei doni e la “preghiera sulle offerte” Quando la processione giunge all’altare, i doni vengono accolti dal presidente e posti sull’altare. Chi presiede accompagna questo gesto con una benedizione in cui riconosce che il pane e il vino hanno un valore simbolico: sono frutti della terra e del lavoro dell’uomo, portatori di tutto noi stessi, primizia di altri doni che Dio sta per fare. SCHEDA 4 Dopo aver accolto i doni, il sacerdote invita a pregare. Con le sue parole egli manifesta che - i doni fanno parte di una azione sacrificale “Pregate .... perché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio Padre onnipotente” - è un’azione di tutta la famiglia cristiana, della chiesa pellegrinante: “Pregate .... perché il sacrifico della Chiesa in questa sosta che la rinfranca nel suo cammino verso la patria, sia gradito a Dio Padre onnipotente” “Pregate .... perché questa nostra famiglia, radunata nel nome di Cristo, possa offrire il sacrificio gradito a Dio Padre onnipotente” - i doni simboleggiano “la gioia e la fatica di ogni giorno”, cioè tutti gli aspetti della vita “Pregate .... perché portando all’altare la gioia e la fatica di ogni giorno, ci disponiamo ad offrire il sacrificio gradito a Dio Padre onnipotente” All’invito del sacerdote noi rispondiamo pregando perché Dio accolga il sacrificio, in modo da raggiungere due obiettivi tra loro legati: - la lode e la gloria di Dio - il bene nostro e di tutta la santa Chiesa Dopo la riposta all’invito del sacerdote, ci alziamo in piedi; con questo gesto manifestiamo che la preghiera pronunciata dal sacerdote sulle offerte è la nostra preghiera. E’ una preghiera sempre diversa, a seconda del momento che noi viviamo. Con questa preghiera si conclude il primo momento del“mistero dell’offerta”: troverà il suo compimento in quella di Gesù ad opera dello Spirito santo. 63 Piste per proseguire la ricerca e il dialogo 1. PER CELEBRARE MEGLIO Come celebriamo il rito della presentazione dei doni nella nostra parrocchia? Che cosa fare per renderlo più significativo, più partecipato? Come evangelizzare la raccolta delle offerte nella messa, l’offerta per la messa.? SCHEDA 4 I catechisti e gli animatori della liturgia che cosa potrebbero fare - per rendere viva e cosciente la partecipazione alla presentazione dei doni? - per educare ad avere una “spiritualità offerente”? 2. PER EVIDENZIARE IL RAPPORTO CON LA PRIMA PARTE DELLA MESSA E’ chiaro il rapporto di questo momento con la liturgia della Parola? Come fare ad esplicitare che la presentazione dei doni è una risposta alla Parola ascoltata? E’ chiaro che questo è solo il primo momento del “Mistero dell’offrire” che culminerà con la grande preghiera eucaristica? 3. PER STABILIRE UNA UNITA’ TRA LA CELEBRAZIONE E LA VITA QUOTIDIANA L’offrire liturgico è il punto culmine dell’offrire quotidiano; è vero ed autentico solo nella misura in cui concretamente sappiamo offrirci a Dio e agli altri. Che cosa possiamo prevedere per favorire l’atteggiamento dell’offrire (passare dall’avere al dare) nella vita quotidiana - come singoli - come famiglia - come chiesa Quali gesti concreti fare? Quali momenti privilegiare? 64 SCHEDA 5 CELEBRARE IL GRAZIE A DIO La preghiera eucaristica “Gesù prese il pane e pronunziò la benedizione,... Poi prese il calice e rese grazie... (Mt 26, 26-27) CERCHIAMO INSIEME 1. GLI UOMINI RINGRAZIANO QUANDO: facciamo un elenco di situazioni o momenti in cui ringraziamo... COME: facciamo un elenco di parole che diciamo e gesti che compiamo quando ringraziamo... PERCHÉ: ricerchiamo i motivi che ci spingono a ringraziare o a non ringraziare... 2. GLI UOMINI RINGRAZIANO DIO QUANDO: facciamo un elenco di situazioni o momenti in cui ringraziamo Dio... COME: facciamo un elenco di parole che diciamo e gesti che compiamo quando ringraziamo Dio... PERCHÉ: ricerchiamo i motivi che ci spingono a ringraziare o a non ringraziare Dio... 3. LA PREGHIERA EUCARISTICA Che cosa sappiamo della preghiera eucaristica? Proviamo a fare un elenco di cose che si dicono e si fanno durante la preghiera eucaristica: che senso hanno? E’ un momento importante: perché? oppure è un momento in cui ci si stanca: perché? 65 1. GLI UOMINI SI DICONO GRAZIE VICENDEVOLMENTE Grazie sì - grazie no In famiglia si celebrano le feste del papà e della mamma: nonostante i loro risvolti consumistici, esse mettono a fuoco un animo riconoscente. Non è raro sentire il "grazie" di un orfano, di una vecchia, di un drogato. C’è chi si pone in ricerca di chi l’ha salvato o aiutato in situazioni difficili per dirgli il proprio grazie. In spazi sociali più ampi, civili o religiosi, si esprimono ringraziamenti e gratitudine a persone singole e a gruppi. Il grazie popola la nostra giornata. SCHEDA 5 Tuttavia non sembra che si sia realmente consapevoli del valore della riconoscenza e che ci si impegni, in generale, in uno stile di autentica riconoscenza. Si può anche rilevare che il “grazie” che spesso diciamo, sa talora di ritualistico. Sembra essere come una specie di etichetta che si deve tirare fuori al termine di taluni momenti o una specie di francobollo che si deve incollare a chiusura di un incontro o di un gesto. Ringraziare nel circuito dell’offrire Ringraziare fa parte di un circuito, quello del “mistero dell’offerta”. C’è - il momento di fare il dono, di offrire (v. scheda 4) - momento di accogliere il dono, di accorgersi di aver ricevuto un dono; è un momento importante, corrispondente dell’ascoltare nel circuito della parola; senza di esso non ci può essere grazie. Il grazie nasce dal cuore. - momento di rispondere esprimendo il grazie con parole e gesti. Cosa vuol dire “ringraziare” 66 Ringraziare non è dire una parola; è - fare la verità dentro di noi, accorgersi che non siamo degli assoluti, che dipendiamo gli uni dagli altri; - accorgersi di aver ricevuto un dono che non ci era dovuto; se ci fosse dovuto non ringrazieremo; - sentire il bisogno di metterci in contatto con chi ci ha fatto quel dono; ringraziarlo - sentirci felici del dono ricevuto; - sentire che il dono non ci obbliga, non ci lega, ma ci lascia liberi. Un dono che in qualche modo ci obbligasse ci priverebbe in qualche modo della libertà. Il dono può provocare riconoscenza, sentimenti di amore, ma sempre senza intaccare la nostra libertà; - manifestare in vari modi la nostra riconoscenza. Il grazie ha tante facce: si parla di grazie sincero, sentito, freddo, falso a seconda dello stato d’animo con cui lo si fa. Imparare a ringraziare Sappiamo certamente ringraziare; tuttavia c’è bisogno di andare più a fondo, saperci ringraziare vicendevolmente scoprendo quanto gli altri ci donano. Non possiamo ringraziare se pensiamo che “tutto è dovuto”, se siano incapaci di comprendere che siamo fatti oggetto di tanti doni, siamo immersi da un cumulo di doni. La prima opera da fare è quella di avere una cognizione esatta di sé, degli altri, del mondo non avendo paura di dire grazie: chi ringrazia non si umilia, ma fa la verità e “la verità fa liberi” scoprendo la felicità del dire grazie. Se sappiamo dire grazie ci troveremo felici, non più soli. SCHEDA 5 evitando i formalismi del grazie. 67 2. DICIAMO GRAZIE A DIO L’ebreo, uomo del grazie Fin dal primo momento del risveglio il pio ebreo non fa che ringraziare Dio ad ogni gesto che compie: aprendo gli occhi, alzandosi in piedi, poggiando i piedi per terra, vestendosi ...: Benedetto tu sia, o Eterno nostro Dio, che apri gli occhi ai ciechi Benedetto tu sia, o Eterno nostro Dio, che sciogli chi è legato... Tutto, niente escluso, è visto come un dono di Dio; perciò tutta la vita è piena della lode di Dio. Quando si mette a tavola, prendendo in mano prima il pane o poi il bicchiere del vino, prega: SCHEDA 5 Benedetto sei tu, Signore Dio dell’universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane frutto della terra e del lavoro dell’uomo Benedetto sei tu, Signore Dio dell’universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo vino frutto della vite e del lavoro dell’uomo Gesù, l’uomo del grazie Gesù - ha detto un grande studioso del vangelo - è nato “in questo popolo che sa ringraziare”. Egli loda il Padre per tutta la creazione e per ogni gesto che compie nella sua vita terrena. Il suo grazie è riassunto in queste due preghiere riportate dal vangelo: “Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra..” (Lc 10,21). “Io ti ho glorificato sopra la terra compiendo l’opera che tu mi hai dato da fare” (Gv 12,4). Gesù domanda a coloro che credono in Lui, o che da Lui sono stati beneficati, un atteggiamento di grazie. Dei dieci lebbrosi guariti, dei quali uno solo ritorna indietro a ringraziarlo, dice: “Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a rendere gloria a Dio all’infuori di questo straniero” (Lc 17,1). Il cristiano, uomo del grazie Il Vangelo di Luca, che giustamente è stato definito il Vangelo dell'amore misericordioso, è anche il Vangelo della lode e del ringraziamento. Si apre con il servizio che Zaccaria offre a Dio nel tempio; prosegue con due inni - quelli di Maria e di Zaccaria -, e si chiude con la lode che gli apostoli, benedetti da Gesù risorto, continuano ad innalzare quotidianamente a Dio nel tempio. 68 La prima generazione cristiana a cui san Paolo si rivolge nelle sue lettere è invitata a rendere grazie a Dio in ogni tempo. Per lui “rendere grazie” è l’anima dell’esistenza cristiana. “Camminate nel Signore Gesù... abbondando nell’azione di grazie” (Col 2,7); “Siate riconoscenti... cantate a Dio di cuore e con gratitudine” (Cf Col 3,14‑15); “Perché la grazia... moltiplichi l’inno di lode alla gloria di Dio” (2 Cor 4,15). I cristiani vivono come in una sovrabbondanza di riconoscenza verso Dio per la salvezza da Lui compiuta in Cristo e per la vittoria che continua nello Spirito. San Paolo è l’esempio del cristiano tutto ringraziamento: “Ringrazio il mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi” (Fil 1,3). “Dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli, ed è ben giusto” (2 Ts 1,3); “Noi rendiamo continuamente grazie a Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo, nelle preghiere per voi, per le notizie ricevute della vostra fede...”(Col 1,3); “Ringraziamo con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce” (Col 1,12). SCHEDA 5 Al contrario dei cristiani sono pagani le persone che non sanno rendere grazie a Dio: “Pur avendo conosciuto Dio, non gli hanno dato gloria, né gli hanno reso grazie come a Dio” (Rm 1,21); sono “uomini ingrati e senza religione” (2 Tm 3,2). La prima comunità cristiana quando scelse il termine “eucaristia” (parola greca che significa: “rendere grazie”), per designare la cena del Signore, aveva compreso l’atteggiamento vitale di Gesù verso il Padre che doveva divenire l’atteggiamento dei suoi discepoli; ebbe chiaro che la vita di Gesù come auto‑donazione si svolse dal suo inizio fino alla fine nel “rendere grazie” al Padre; così doveva essere la vita della chiesa e di ogni cristiano. Scoprire e sentire che tutto è dono Abbiamo detto che il ringraziamento nasce dal cuore, dall’avere preso coscienza che tutto viene da lui. Possiamo riassumere i doni e perciò i motivi di ringraziamento attorno ai seguenti nuclei fondamentali: la vita con tutti i suoi doni Come il pio Ebreo e come Gesù noi possiamo vivere in continuo ringraziamento se consideriamo la vita e tutto ciò che l’accompagna come doni gratuiti di Dio. Forse diciamo: tutto questo è chiaro. Fino ad un certo punto. Pensiamo all’affermazione: “Dio è amore”. Con questa frase, diciamo tutto di Dio, ma rimane tutto da dire. Se ne può parlare nella misura in cui si comincia ad amare e ci si lascia amare. Possiamo dire di saper ringraziare quando, giorno dopo giorno, ci lasciamo prendere dal pensiero che tutto è dono di Dio e gli diciamo continuamente grazie. 69 la creazione (mondo, tutte le cose) come un dono Con la vita anche la creazione è dono di Dio; per essa noi ringraziamo Dio e diamo voce al grazie di tutti gli esseri creati. l’opera di Dio nell’Antico e Nuovo Testamento, la redenzione operata da Gesù SCHEDA 5 Dopo la creazione, Dio ha continuato la sua opera, in un continuo donare, come ci viene descritto nelle pagine della Bibbia. Noi perciò rendiamo grazie ricordando quanto Dio ha fatto e continua a fare lungo la storia per noi, per tutti, “per la nostra salvezza”. 70 3. DICIAMO GRAZIE A DIO CELEBRANDO E’ difficile per noi saper dire grazie a Dio in modo giusto. Gesù ci è venuto incontro, ci ha dato il suo stesso Spirito perché noi potessimo presentarci con lui al Padre. Questo avviene durante la celebrazione della messa: attraverso le parole e i gesti della preghiera eucaristica, cioè celebrando, Gesù ci coinvolge nel suo grande grazie a Dio. Ciò che non sapevamo fare o avremmo fatto malamente, lo possiamo compiere in modo “degno e giusto” celebrando. La liturgia eucaristica SCHEDA 5 La liturgia eucaristica va dalla preparazione del banchetto (scheda 4) alla sua consumazione (scheda 6) passando attraverso la proclamazione solenne della preghiera eucaristica (scheda 5). La parte centrale è costituita da una lunga preghiera che il presidente recita davanti all’assemblea e a nome di essa: la preghiera eucaristica. Essa è talmente importante che ha finito col dare il nome a tutta la messa. Questa preghiera ha il seguente il movimento: - inizia come rendimento di grazie a Dio che sfocia nell’acclamazione collettiva “Santo”, (prefazio) - invoca lo Spirito Santo sui doni del pane e del vino (epiclesi) - diventa narrazione dei gesti e delle parole di Gesù nella cena pasquale (racconto dell’istituzione), - fa memoria degli avvenimenti della Pasqua del Signore Gesù (memoriale), - esprime l’offerta a Dio: di Gesù al Padre per noi, e di noi in lui (offerta), - manifesta la comunione con tutta la Chiesa e intercede per tutte le sue componenti (intercessioni) - culmina nella glorificazione del Padre, per Gesù Cristo, nello Spirito Santo. La liturgia eucaristica risposta alla Parola di Dio Celebrando la cena della sua pasqua Gesù ha detto: “Fate questo in memoria di me”. La liturgia eucaristica è perciò una risposta-obbedienza al suo comando. Non solo. Essa è risposta anche in un altro senso. Quando ci riuniamo, Dio ci rivela ciò che ha fatto e sta facendo per noi (prima parte della messa); così egli ci guida a prendere coscienza dei doni che abbiamo ricevuto, e noi rispondiamo: - ringraziando per Cristo con Cristo e in Cristo, nel suo Spirito - facendo memoria, narrando la storia della salvezza - offrendoci con Cristo, - sentendosi insieme a tutta la chiesa, - intercedendo per i vivi e i defunti, - con parole, canti e gesti, cioè celebrando. 71 Approfondiamo questi aspetti in cui, per opera dello Spirito, siamo coinvolti da Gesù nella risposta al Padre. RINGRAZIAMO... “Ti rendiamo grazie, Signore Dio, Padre onnipotente” Ringraziamo I racconti dell’ultima Cena ci dicono che Gesù, prese il pane e il calice, benedisse e rese grazie: è la prima preghiera eucaristica che fonda tutte le altre. L’azione di grazie non è solo uno dei tanti aspetti della messa, ma il suo nucleo centrale. Celebrando la messa, la Chiesa entra nella lode di Gesù che passa da questo mondo al Padre e manifesta la salvezza di Dio che giunge a nuovo compimento. ... per Cristo con Cristo e in Cristo SCHEDA 5 Nell’ultima cena Gesù pregò con le preghiere del suo popolo, lodò personalmente con parole sue il Padre per la creazione e la salvezza compiuta, e si offrì per noi. Nella celebrazione eucaristica noi siamo la Chiesa che prolunga tutti i canti e le preghiere di lode e di ringraziamento del popolo d’Israele, ma in particolare riattualizziamo il grazie di Gesù nell’Ultima Cena pasquale. Il Signore Gesù è il vero presidente di ogni assemblea di fedeli riuniti nel suo nome (il sacerdote ne è segno visibile), continua la sua eucaristia nelle celebrazioni fatte dalla Chiesa nelle diverse comunità convocate per rinnovare la nuova alleanza. E lo fa nella forma tradizionale di un rito, quello di una cena pasquale, con la proclamazione delle opere salvifiche di Dio. ... elevando i nostri cuori (il dialogo iniziale) Il dialogo che precede il prefazio e apre la preghiera eucaristica evidenzia il primo atteggiamento, il primo senso del gesto: elevare, portare in alto. I cristiani greci chiamano perciò questa preghiera “anafora”, azione di “portare verso l’alto”. 72 Il saluto‑augurio “Il Signore sia con voi”, che ha introdotto anche la proclamazione del Vangelo, rammenta che ci troviamo in un momento solenne e decisivo. L’esortazione “In alto i nostri cuori” è un invito a superare il livello del visibile per spingerci ad un livello superiore che si raggiunge solo con la fede. Rispondendo “Sono rivolti al Signore” diciamo che ci rendiamo conto di quanto ci è richiesto. L’invito successivo “Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio” ci induce a entrare in quel rendimento di grazie che costituisce l’inizio, ma anche la forma di tutta la preghiera‑azione che segue. Come assemblea riconosciamo che“è cosa buona e giusta”fare ciò, e ci accingiamo a non lasciare solo chi presiede in questo compito. A questo momento perciò tutto sale, s’innalza; è come incominciare a salire una montagna. Si elevano le mani : è il gesto di colui che riconosce che Dio l’ha salvato dalla morte e viene nell’assemblea per attestare davanti a tutti la grazia che ha ricevuto e per la quale viene a “rendere grazie”. Si alzano le voci nel canto. Si elevano i cuori: “cuore” nel senso biblico designa lo spirito, il pensiero, la memoria, l’intelligenza di cui c’è bisogno per “volgersi a Dio”, per passare, attraverso la fede, dal visibile all’invisibile. Più avanti, a conclusione della preghiera , si elevano il pane e il vino, quasi ad indicare che tutto (chiesa e mondo) si “eleva”, “ascende”, passa da questo mondo al Padre. Tutto avviene: “Per Cristo, con Cristo,..”. ... nel Spirito Santo (epiclesi) SCHEDA 5 La Cena fatta dal Signore è raccontata fra due preghiere che invocano lo Spirito Santo perché intervenga sui doni presentati, pane e vino, e su quanti se ne alimentano. Sono denominate epìclesi (dal greco epì-caleo = chiamo-sopra, in-voco); rispettivamente “epiclesi sui doni” ed “epiclesi sui comunicandi”. La Chiesa Orientale dà molta importanza a queste preghiere: il pane e il vino vengono consacrati per la discesa dello Spirito. La riforma liturgica ha dato risalto nelle nuove preghiere eucaristiche a queste due invocazioni, che appaiono strettamente legate al “memoriale”. Nella prima epiclesi il presidente chiede a nome dell’assemblea che il Padre invii lo Spirito Santo perché i doni “diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo” (Preghiera II). La Preghiera eucaristica I° ha una formula equivalente: “Santifica, o Dio, questa offerta con la potenza della tua benedizione... perché diventi per noi il corpo e il sangue...”. Nel linguaggio biblico la benedizione potente di Dio esprime l’azione del suo Spirito. La seconda epiclesi è sui comunicandi e chiede che lo Spirito Santo continui l’azione, iniziata sui doni, sino a prendere dentro coloro che se ne cibano: “Ti preghiamo umilmente: per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo” (Preghiera II.). La Preghiera IV dice: “concedi che, riuniti in un solo corpo dallo Spirito Santo, diventiamo offerta viva in Cristo”. Questa duplice epiclesi, che precede e segue la narrazione della Cena, è strettamente connessa con “il memoriale” che ora andiamo ad esaminare. 73 ... NARRANDO, FACENDO MEMORIA, (memoriale, anamnesi) “annunciamo la tua morte proclamiamo la tua risurrezione” La preghiera eucaristica è dapprima una proclamazione, un raccontare le meraviglie operate da Dio per gli uomini: nella creazione e nella storia della salvezza, ma soprattutto in Gesù, nato da Maria, morto e risorto, vivente e operante tra i suoi fino al suo ritorno. Vale la pena di rileggere per questo la Preghiera eucaristica IV°. E’ un racconto o memoria un po’ speciale, che prende il nome di “memoriale”, o, con una parola greca “anàmnesi”. Si usano queste parole per indicare che non si tratta di un semplice ricordo soggettivo, ma di un evocare gli eventi della nostra salvezza, in modo che siano in qualche modo presenti e noi possiamo diventarne partecipi; è come un “chiamarli fuori” (“e-vocare” = chiamar fuori) dal loro passato, perché siano avvenimenti di oggi. Vediamo come. Il memoriale SCHEDA 5 Nella liturgia di Israele il memoriale è un rito - che ricorda un intervento di salvezza compiuto da Dio, - nella consapevolezza che esso si opera tuttora nel presente, - cosicché noi abbiamo la certezza di esserne oggi attori e beneficiari. Ad esempio, quando, dopo quattrocento anni, gli ebrei rinnovano l’alleanza del Sinai possono dire che essi non fanno che partecipare dell’unica alleanza compiuta allora, perché “il Signore nostro Dio ha stabilito con noi un’alleanza sull’Oreb. Il Signore non ha stabilito questa alleanza con i nostri padri ma con noi che siamo oggi tutti qui in vita” (Dt 5,2‑3). Quando Gesù celebrò l’ultima cena nel contesto della Pasqua ebraica ha voluto che il suo rito avesse un valore di “memoriale”, non tanto della liberazione dall’Egitto, ma della sua pasqua; perciò disse: “Fate questo in memoria di me”. Il memoriale della messa attualizza (rende presente) Gesù e la sua pasqua di Gesù Ai cristiani di Corinto, che dimostrano di non capire bene il senso della cena eucaristica, san Paolo richiama la tradizione della Cena del Signore scrivendo: “ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunciate la morte del Signore, fino a quando egli non ritornerà” (1 Cor 11,23‑26); ciò che si è compiuto nell’ultima cena avviene oggi per le parole (“annunciate”) e i gesti (“mangiate e bevete”) che si compiono in sua memoria. 74 L’avvenimento della pasqua del Signore (passione, morte e risurrezione) è talmente reale - è oggi - che il pane e il vino non sono più pane e vino, ma “segni” o “simboli” della sua effettiva presenza. Si dice infatti che sotto le apparenze del pane e del vino vi è “realmente, sostanzialmente, personalmente” il Signore che si dona in cibo e bevanda ai suoi discepoli. ... attualizza tutta la vita di Gesù Nel memoriale della pasqua non sono racchiuse solo la morte e la risurrezione, ma anche tutta l’esistenza storica e celeste di Gesù. Nel gesto del donare il pane e il calice, Gesù riassume il senso di tutta la sua vita e rivela il significato della sua missione. Noi celebriamo questo memoriale meditando su quanto è accaduto “in quel tempo”, nel tempo di Gesù, ciò che lo ha preceduto e lo ha seguito. Il Risorto è presente tra di noi come sulla via di Emmaus per spiegarci “i passi della Bibbia che lo riguardano” (Lc 24,27), e perché la memoria di questi fatti sia viva, attuale. ... attualizza tutta la storia della salvezza Anche le letture bibliche proclamate nella “liturgia della Parola” entrano a far parte del memoriale. SCHEDA 5 La lettura del Vangelo, quando all'inizio non vi è una chiara indicazione cronologica, incomincia con "in quel tempo". Non è una datazione generica, come il "c'era una volta" delle favole, bensì una precisa determinazione storica: nel tempo privilegiato della vita storica di Gesù questo è avvenuto, questo è stato detto. E quanto allora è accaduto viene proclamato adesso come evento‑parola che ci coinvolge, dona senso al nostro esistere come cristiani e orienta il nostro comportarci come discepoli del Signore. Anche i testi dell'Antico Testamento divengono significativi per noi, poiché le Scritture antiche si sono compiute in Gesù. Le letture apostoliche (Atti, Lettere, Apocalisse) sono testimonianza di come le comunità primitive hanno vissuto e pensato la loro fede in Gesù Cristo; esse stimolano tuttora le assemblee a fare altrettanto nelle loro situazioni. La storia passata è rievocata e interpretata per essere “fatta” nell'oggi, con la fiduciosa speranza che il Signore la conduca a compimento definitivo. ... rende partecipi di tutta la storia della salvezza fino al suo compimento finale Celebrare l'Eucaristia è, per noi, prendere parte a ciò di cui si fa memoria, discendere come Gesù nella morte per risalire con Lui nella vita nuova: essere inseriti nel punto di arrivo del suo cammino storico per vivere e operare oggi nella realtà in cui Egli opera da risorto. La celebrazione dell’Eucaristia è anche il momento dove il passato della storia di salvezza viene rivissuto, il futuro comincia già a trasformare tutte le cose e a dirigerle verso il compimento finale: dall’eucaristia nasce la vita nuova della comunità. Difatti il cambiamento del pane e del vino non è fine a se stesso ma opera un cambiamento in noi che celebriamo l’eucaristia, facendoci divenire offerta gradita a Dio, capaci di farci pane e vino per gli altri. 75 ... impegna a vivere la pasqua di Gesù nel mondo Gesù ha celebrato l’ultima Cena pasquale come banchetto di commiato. Questo rito attesta contemporaneamente ai discepoli che lui è presente, e tuttavia non è visibile immediatamente se non nei segni, quello del pane e del vino e quello dell’assemblea. L’assemblea riempie il vuoto che il Signore ha lasciato nel mondo con la sua partenza . E’ questo il senso della seconda epiclesi: noi preghiamo lo Spirito Santo perché noi che ci siamo riuniti in assemblea e prendiamo parte all’eucaristia, diventiamo il “Corpo di Cristo” nella storia. Partecipando all’Eucaristia assumiamo il compito di rendere presente nella storia Gesù crocifisso, rifiutato dagli uomini ma approvato da Dio; noi continuiamo la sua missione sino alla fine dei tempi, “finché egli venga” (1 Cor 11,16). Tutto questo è possibile per l’azione dello Spirito Santo, che Gesù ha promesso e inviato (Lc 24,25‑49). ...OFFRENDO SCHEDA 5 “ti offriamo” Nel momento della presentazione del pane e del vino noi abbiamo risposto all’invito di san Paolo: “Vi esorto, fratelli, a offrire voi stessi a Dio in sacrificio vivente, a lui dedicato, a lui gradito. E’ questo il vero culto che gli dovete”. Nella preghiera eucaristica, Gesù ci fa partecipi della sua offerta al Padre. In un primo momento, dopo aver annunciato la sua morte e risurrezione, diciamo: “Ti offriamo il suo corpo e il suo sangue, sacrificio a te gradito, per la salvezza del mondo”. Poi chiediamo di entrare a far parte di questa offerta: “Guarda con amore, o Dio, la vittima che tu stesso hai preparato per la tua chiesa; e a tutti coloro che mangeranno di quest’unico pane e berranno di quest’unico calice, concedi che, riuniti in un sol corpo dallo Spirito, diventino offerta viva in Cristo, a lode della tua gloria. Potremo dire che Dio ci ha dato la possibilità di celebrare il memoriale del sacrificio di Gesù perché, con gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, potessimo riunirci in assemblea, diventare corpo di Cristo ed essere offerti da lui e con lui al Padre. ... SENTENDOCI IN COMUNIONE ... L’Eucaristia crea e rivela una comunione universale 76 L’Eucaristia è un convito, è un mangiare e bere insieme; come il pane e il vino vengono a far parte costitutiva di chi li assume, così noi, prendendo il corpo e il sangue del Signore, entriamo in relazione-unione intima di fraternità e di familiarità con tutto ciò che i doni eucaristici significano. Perciò noi celebriamo l’Eucaristia “in comunione-unione”: allo Spirito Santo, alla Chiesa terrestre (papa, vescovo), ai santi del cielo, a tutti i presenti, al corpo e al sangue di Cristo. Fermiamo la nostra attenzione sull’unione che deve intercorrere fra i presenti riuniti in assemblea e la Chiesa tutta, quella diffusa sulla terra e quella gloriosa in cielo. La comunione con la Chiesa e nella Chiesa Noi ringraziamo Dio e facciamo il memoriale della Pasqua di Gesù uniti (“in comunione”) con la Chiesa intera, quella presente dove siamo (diocesi) e quella diffusa sulla terra; per questo vengono nominati il papa e i vescovo diocesano. Assieme a loro, ricordiamo tutti gli altri vescovi (“il collegio episcopale”), i vari ministri, presbiteri e diaconi (“il clero”), i presenti, gli offerenti, il popolo cristiano, tutti gli uomini. Esprimiamo la nostra “comunione” in due modi: SCHEDA 5 - pregando per la unità della chiesa, e chiedendo la pace e il rafforzamento nella fede e nell’amore: “Ricordati, Padre... della tua Chiesa, rendila perfetta nell’amore...” (Preghiera II); “Conferma nella fede e nell’amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra” (Preghiera III); - e offrendo il sacrificio eucaristico: “Noi te l’offriamo anzitutto per la tua Chiesa santa e cattolica” (Preghiera I); “Ora, ricordati di tutti quelli per i quali ti offriamo questo sacrificio: del tuo servo e nostro papa, del nostro vescovo...” (Preghiera IV). La comunione con la Chiesa celeste Celebriamo l’Eucaristia sulla terra, ma ci sentiamo in comunione con la chiesa celeste. Questa comunione ha un duplice aspetto: Quello che noi facciamo, - il nostro rendere grazie, ricordare, offrire..- lo compiamo in unione con i santi del cielo: “In comunione con tutta la Chiesa, ricordiamo e veneriamo anzitutto la gloriosa e sempre vergine Maria, Madre del Dio e Salvatore Gesù Cristo... i santi apostoli e martiri... e tutti i santi”. Per i cristiani orientali le icone che vengono venerate durante la celebrazione, sono i segni della presenza dei santi alla nostra celebrazione; per loro non esiste una liturgia del cielo e una sulla terra, ma un’unica “divina liturgia”. E’ molto bello questo sentirci insieme, davvero familiari dei santi. Tra di essi ci sono anche coloro che non sono più tra noi, che abbiamo conosciuto e amato, fanno parte dei “salvati” dalla Pasqua di Cristo. 77 Davanti ai santi noi ci sentiamo ancora esuli e pellegrini, vicini e insieme lontani dalla “patria”. Perciò chiediamo di poterli raggiungere per cantare a Dio l’unico ed eterno cantico di lode: “Concedi, o Signore, di aver parte nella comunità dei tuoi santi apostoli e martiri” (preghiera I) “Donaci di aver parte alla vita eterna insieme con la beata Maria Vergine e Madre di Dio, con gli apostoli e tutti i santi che in ogni tempo ti furono graditi (Preghiera II). “Concedi a noi, tuoi figli, di ottenere con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, l’eredità del tuo regno dove con tutte le creature canteremo la tua gloria” (Preghiera IV). INTERCEDENDO PER... “ricordati di ...” Nella preghiera eucaristica domandiamo a Dio di “ricordarsi” dei vivi e dei defunti, dei presenti e dei lontani, di chi ha trovato Dio o è in ricerca. SCHEDA 5 Il verbo “ricordarsi” attribuito a Dio è di origine biblica. Nella Bibbia quando Dio si ricorda di una persona, interviene sempre in suo favore, rende presente oggi la promessa fatta nel passato; pensiamo al cantico di Zaccaria e al Magnificat di Maria: “si è ricordato della sua santa alleanza (Lc 1,72) “ha soccorso Israele... ricordandosi della sua misericordia come aveva promesso ad Abramo e alla sua discendenza” (Lc 1,54-55). Domandiamo a Dio di ricordarsi di tutti i fratelli nella fede: “Ricordati, Signore dei tuoi fedeli... Ricordati di tutti i presenti dei quali conosci la fede e la devozione..” Per tutti chiediamo “redenzione, sicurezza di vita e salute” (Preghiera I°) In particolari occasioni ricordiamo coloro che partecipano alla messa celebrando un sacramento. Ad esempio per coloro che vengono battezzati, diciamo “Ricordati anche dei nostri fratelli che oggi hai liberato dal peccato e rigenerato dall’acqua e dallo Spirito Santo: tu che li hai inseriti come membra vive nel corpo di Cristo, scrivi i loro nomi nel libro della vita”. Domandiamo anche di ricordarsi di tutti i fratelli “che ci hanno preceduti con il segno della fede e dormono il sonno della pace”, “che si sono addormentati nella speranza della risurrezione”. Per loro chiediamo “la beatitudine, la luce e la pace”, che “siano ammessi a godere della luce del volto di Dio”. 78 Spingendoci fuori dei nostro cerchio di credenti, domandiamo a Dio di ricordarsi anche di coloro che non sono ancora cristiani, siano essi viventi o defunti. Nella Preghiera eucaristica IV la nostra intercessione acquista il respiro del mondo: “Ora, Padre, ricordati di tutti quelli per i quali ti offriamo questo sacrificio: ... dei presenti, del tuo popolo e di tutti gli uomini che ti cercano con cuore sincero. Ricordati anche dei nostri fratelli che sono morti nella pace del tuo Cristo, e di tutti i defunti, dei quali tu solo hai conosciuto la fede”. CON PAROLE, GESTI, CANTI,... CIOÈ CELEBRANDO chi celebra: "noi e tutto il tuo popolo" La preghiera eucaristica è una preghiera presidenziale, ma non vuol dire che sia del sacerdote; egli dà voce a tutta l’assemblea. La Prima preghiera eucaristica esprime in più punti che tutto il popolo loda, fa memoria, offre, prega. Le nuove preghiere eucaristiche dicono sempre “noi”. Per evidenziare che è una preghiera dell’assemblea riunita, sarebbe opportuno che fossero previsti più interventi dell’assemblea. Nella liturgia copta, la preghiera si sviluppa sotto forma di un dialogo quasi continuo tra il sacerdote, il diacono, il coro e il popolo; nel solo racconto dell’istituzione ci sono 17 interventi dell’assemblea. come celebriamo Diciamo il nostro grazie a Dio usando tutti i mezzi di cui disponiamo con parole SCHEDA 5 Come Gesù nell’ultima cena, anche noi ringraziamo con preghiere. Molte di esse traggono origine da quella cena e si sono poi sviluppate in tante forme. Oggi noi abbiamo cinque preghiere eucaristiche, due preghiere eucaristiche per la riconciliazione, e due preghiere eucaristiche. con gesti Sempre nell’ultima Gesù ha tradotto a sua preghiera di ringraziamento e la sua offerta in gesti. Uno dei più percepibili è stata la lavanda dei piedi. Seguendo il suo esempio anche noi (sacerdote e fedeli) accompagniamo con gesti le nostre preghiere. Alziamo le mani, genuflettiamo, ci mettiamo in ginocchio, eleviamo le offerte, incensiamo... Con la varietà di questi gesti esprimiamo i nostri atteggiamenti interiori, di lode, di adorazione, di supplica, di fede. "cantando l'inno della tua gloria" Nell’ultima cena Gesù ha cantato il suo grazie al Padre, ha fatto memoria della storia della salvezza cantando gli inni e le litanie del popolo. Il vangelo ci dice che egli uscì dal cenacolo dopo aver cantato questi salmi dell’Alleluia pasquale (Mc 14,26). La forma più bella per ringraziare e fare memoria di quello che ha fatto Gesù sarebbe quella di cantare la preghiera eucaristica. 79 4. PASSARE DALL’EUCARISTIA ALLA VITA DI GRAZIE Vivere eucaristicamente L’Eucaristia, presuppone un atteggiamento quotidiano di “rendere grazie”, di “offrire se stessi”. Se, infatti, non viviamo rapportandoci agli altri in maniera da saper dire grazie, se non siamo capaci di sentire la vita come dono che va donato, come possiamo celebrare l’eucaristia culmine dell’azione di grazie, del “offrire la vita”? SCHEDA 5 Tutti i catechismi lo insegnano: - “Tra la messa e la vita non esiste separazione: tra i gesti quotidiani di ciascuno e la morte e la risurrezione di Cristo esiste un rapporto vivo. Si deve fare come Lui: donarci interamente con amore”. - “Se viviamo la vita come donazione, comprendiamo meglio l’eucaristia e il Sacramento diventa forza e cibo per la vita quotidiana; anzi diventa il programma che i cristiani sono chiamati a realizzare”. - “Ogni domenica celebriamo l’eucaristia perché tutta la nostra vita diventi come una “eucaristia”, sacrificio di lode e di ringraziamento al Padre”. Un momento particolare del grazie: la preghiera della mensa Gesù, come tutti gli ebrei, non prendeva nulla senza aver reso grazie al Padre. Prima di moltiplicare il pane egli ringraziava il Padre pronunciando la benedizione. Nell’ultima cena egli prende spunto da questa benedizione e consacrò prima il pane e poi il vino. Un modo semplice ma significativo per preparare l’Eucaristia è anche per noi la preghiera all’inizio e alla fine del pasto; è un’occasione privilegiata per far emergere la preghiera di ringraziamento. Se riusciremo a fare questa preghiera, ciascuno nelle proprie case, ci sembrerà più naturale quello che facciamo in chiesa quando ci raduniamo come grande famiglia di Dio. 80 Piste per proseguire la ricerca e il dialogo 1. PER CELEBRARE MEGLIO Come celebriamo la preghiera eucaristica nella nostra parrocchia? Che cosa fare per renderla più significativa, più partecipata? Gli animatori della liturgia, i cantori, che cosa potrebbero fare - per rendere viva e cosciente la partecipazione alla preghiera eucaristica? - per educare ad avere una “spiritualità eucaristica”? 2. PER EVIDENZIARE IL RAPPORTO CON LA PRIMA PARTE DELLA MESSA SCHEDA 5 E’ chiaro il rapporto di questo momento con la liturgia della Parola? Come fare ad esplicitare che la preghiera eucaristica nasce dalla Parola ascoltata? 3. PER STABILIRE UNA UNITA’ TRA LA CELEBRAZIONE E LA VITA QUOTIDIANA Le formule della messa che accompagnano la presentazione del pane e del vino (“Benedetto sii tu...”) sono adattamenti di “benedizioni” giudaiche per i pasti familiari. I pasti che noi consumiamo sono momenti per lodare Dio e ringraziarlo di ciò che ci dona? Prendere parte all’azione eucaristica richiede di compiere atti interiori intensi nel breve tempo della recita di una preghiera eucaristica: rendimento di grazie, invocazione dello Spirito Santo, attenzione al racconto della Cena facendo la memoria della morte‑risurrezione di Gesù, offerta sacrificale, di nuovo invocazione dello Spirito Santo sulla comunità, suppliche per la Chiesa... Ciò è possibile solo se questi atteggiamenti interiori vengono vissuti anche in altri momenti. Come possiamo farli divenire atteggiamenti abituali? Durante la lettura orante della Bibbia (lectio divina)? Nella silenziosa preghiera adorante davanti al tabernacolo? Gli atti elencati sono atteggiamenti di fede che presuppongono qualità umane come la gratitudine, la consapevolezza lieta di dipendere da altri e di aver bisogno di loro, il ricordo riconoscente di avvenimenti e persone che hanno influito su di noi, la prontezza di rispondere sì a una richiesta che comporta un sacrificio, il senso di solidarietà... Come educarci a questo? 81 82 SCHEDA 6 CELEBRARE LA CONDIVISIONE Fare comunione CERCHIAMO INSIEME Approfondiamo insieme alcune parole chiave 1. BANCHETTO Quando partecipo ad un banchetto (mangio insieme a ...) avviene che ... Quale significato può avere la partecipazione ad un banchetto (esempio di compleanno, di nozze, ...) Risulta chiaro che l’eucaristia è un banchetto? 2. RICEVERE Quando ricevo un dono avviene che.... Quali sono i sentimenti e i gesti che accompagnano il ricevere un dono? Quando ricevo una persona avviene che.... Che cosa ricevo con l’eucaristia? come? 3. CONDIVIDERE... Condividere vuol dire.... (elenchiamo le forme e i modi di condivisione domandandoci anche il perché di quel condividere, che cosa condividere, con chi condividere...) Nella messa avviene una reale condivisione: come? di che cosa? 4. ENTRARE IN COMUNIONE Quando “entro in comunione” con una persona avviene che ... (proviamo a descrivere che cosa avviene quando una persona entra in comunione profonda con un’altra; per essere facilitati nella ricerca pensiamo all’amicizia, agli sposi...) Manifesto la mia comunione con una persona con questi gesti: ... Nell’Eucaristia entro in comunione con...? qual è il mio atteggiamento? 83 1. IL BANCHETTO E I SUOI MOMENTI Il banchetto Mangiare è una necessità, serve alla sopravvivenza dell’uomo e della comunità. Il poter mangiare è segno di vita. Mangiare da soli è diverso dal mangiare insieme: pensiamo ad una famiglia in cui ciascuno mangia da solo, oppure ad un’altra che si riunisce alla stessa mensa e consuma il pasto insieme. Il mangiare insieme esprime accoglienza reciproca, condivisione, stringere rapporti più saldi... SCHEDA 6 Gesù ha iniziato la sua vita pubblica con un banchetto a Cana e l’ha conclusa con la cena pasquale; durante il tempo che intercorre tra l’uno e l’altra, egli partecipa a tanti pranzi e cene, tanto da passare per un mangione e un beone; moltiplica il pane per migliaia di persone allestendo così un dei banchetti più straordinari; per rivelare le sue intenzioni ricorre sovente a parabole incentrate su un banchetto. Il mangiare insieme è per Gesù un gesto fondamentale; attraverso di esso egli è ricevuto e ci riceve, condivide con noi ogni cosa, entra in comunione intima e profonda con noi e noi con lui. momento per ricevere, ospitare Il mangiare insieme ha inizio con il ricevere l’ospite. Può essere utile ritornare sulle riflessioni fatte circa il tema dell’accoglienza, alla scheda due. momento per condividere Non si mangia insieme se ciascuno porta il necessario e poi se lo mangia da solo. Solitamente ciò che uno porta è condiviso con gli altri. Il condividere il cibo instaura un nuovo rapporto tra i convitati; apre alla condivisione dei valori, di progetti, della vita stessa. Mangiare insieme ha un significato simbolico; non solo dice condivisione ma anche la crea. Nella moltiplicazione dei pani, Gesù prende i cinque pani e i due pesci del ragazzo (Gv 6) e chiede agli apostoli di distribuirli; compiendo il gesto della condivisione i pani e i pesci si moltiplicano. San Paolo rimprovera la comunità di Corinto perché quando si raduna ognuno mangia per conto suo, senza offrirne a chi ha meno possibilità: fare così è contraddire il senso del mangiare insieme e perciò della cena del Signore. 84 momento per fare comunione, sigillare l’alleanza Quando uno è arrabbiato, rifiuta di mangiare insieme all’altro; quando si vuol castigare un bambino, non lo si vuole a tavola. Non si mangia con il proprio nemico, con chi si odia, cioè con chi non è in comunione con noi. Il gesto più ripugnante che una persona può fare è mangiare insieme da amico, fingere di essere in comunione, e avere nel cuore il proposito di tradirlo. In un salmo leggiamo un lamento che diverrà anche il lamento di Gesù: “Anche l’amico in cui confidavo, che mangiava il mio pane, ha levato contro di me il calcagno” (Sal 41,10). Al contrario, quando ci si sposa si fa un banchetto con tutti i familiari, esprimendo così l’unità delle due famiglie, del patto che viene sigillato. Il pasto con un altro o con altri è segno e espressione di comunità, di comunione di sentimenti e di idee. La pace, un patto, si concludono sempre con un pasto insieme. Per sigillare un patto con Dio, per riconciliarsi con lui, per dire che si entra in comunione o amicizia con lui, si ricorre ad una pranzo rituale. Sono tanti fatti che ci dicono come il mangiare insieme è espressione di una comunione, è un modo per creare comunione, è un rito per sigillare un patto. I farisei non mangiavano insieme ai peccatori, perché avrebbe significato diventare uno di loro. Gesù invece mangia e beve con loro: vuole entrare in comunione con loro, stipulare un patto. SCHEDA 6 Quando Gesù raduna i suoi per l’ultima cena, comanda loro di perpetuare questo gesto perché con esso vuole entrare in comunione con loro e con tutti gli uomini, fare un’alleanza nuova con coloro che, pur peccatori, decidono di seguirlo, di volersi bene, di mettersi al servizio gli uni degli altri. 85 2. IL BANCHETTO DELL’EUCARISTIA IL PROGRAMMA DELLA CELEBRAZIONE I momenti del convito eucaristico Quando si conclude la preghiera eucaristica, si entra nei riti del banchetto. E’ un insieme complesso che consta, per così dire, di tre momenti: momento della condivisione (“spezzò il pane”): prende avvio con il Padre Nostro, e continua con il gesto di pace e la divisione del pane momento dell’invito a ricevere (“beati gli invitati”; “lo diede”): il sacerdote proclama felici coloro che parteciperanno al banchetto preparato dal Padre; gli invitati si muovono a ricevere i doni eucaristici. momento della comunione Dopo aver ricevuto il Corpo e il Sangue del Signore, ciascuno si raccoglie nella preghiera di comunione. Il senso globale del convito SCHEDA 6 Tutti i riti che seguono la preghiera eucaristica tendono a rafforzare l’espressione del mistero di scambio di un bene dato e ricevuto, offerto e accolto, spezzato e distribuito, in un’umile riconoscenza e gioiosa carità fraterna: preghiera per il “pane di questo giorno”, gesto di pace e di riconciliazione, condivisione e distribuzione, cammino processionale per un incontro, presentazione e ricezione, canti di domanda e di gioia. Questi momenti della comunione costituiscono per ciascuno di noi un momento di sommità: quello della propria partecipazione personale, al mistero del Corpo. : Attraverso il rito di un banchetto - riceviamo il Corpo di Cristo, che è Cristo e la Chiesa - entriamo in comunione con Dio e con i fratelli, - condividiamo con loro tutto noi stessi. Gli atteggiamenti degli invitati In questo momento la chiesa ci guida a riconoscere la presenza del Signore: “Ecco l’Agnello Di Dio”... “il Corpo di Cristo”. Noi rispondiamo prendendo coscienza del grande dono che Dio ci fa. Come tutti coloro che scoprirono Gesù finirono per inginocchiarsi e adorarlo, così anche noi in questo momento siamo portati ad adorarlo. Non solo. La santità di Dio fa nascere in noi il senso della nostra pochezza e del nostro essere peccatori, per cui naturale chiedere perdono: “rimetti a noi, come noi rimettiamo...”, “Liberaci da tutti i mali...”, “Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi”, “Signore, non sono degno...”. 86 Non ci lasciamo però prendere dalla paura: il Dio che ci viene incontro in Gesù ci apre alla fiducia, suscita gioia e riconoscenza, desiderio di rispondere offrendo tutto noi stessi. 3. CONDIVIDERE: “spezzò il pane” La successione dei riti di condivisione In breve tempo si succedono preghiere e segni importanti; - Padre nostro + Liberaci... - segno della pace + frazione del pane. C’è il pericolo di un ingorgo e che finiscano per sovrapporsi: ad esempio lo spezzare del pane si fa mentre l’assemblea si scambia il segno della pace; è perciò necessario che noi mettiamo in rilievo ciò che è importante e li sappiamo fare in modo che ci portino ad interiorizzare l’incontro sacramentale. Il gesto dello spezzare il pane non deve sfumare tra tutto ciò che lo precede e la comunione che lo segue. La preghiera del Signore: Padre nostro SCHEDA 6 Dopo un invito ad avere il “coraggio” di dire, - invito la cui formulazione può essere variata, adattata in funzione delle circostanze ‑ tutti facciamo nostra la “preghiera del Signore”. Non è una preghiera di chi presiede la celebrazione, ma di tutta l’assemblea. Anche nel caso si decidesse di cantare, deve rimanere il carattere comunitario (il Padre nostro non può essere cantato solo da un gruppo di persone). Nel dire questa preghiera teniamo preferibilmente le mani alzate, come figli che si rivolgono con affetto al loro padre. In alcuni luoghi, specialmente nei gruppi, si preferisce dire questa preghiera tenendosi per mano, per indicare l’unità e l’appartenenza all’unica famiglia di Dio. Alla fine il sacerdote sviluppa l’ultima parte del Padre nostro chiedendo la liberazione dal male (materiale e spirituale) e la venuta del regno. Facciamo questa preghiera certi che la vittoria sarà di Dio: “perché suo è il regno, sua la potenza...”: tutto appartiene a Dio, e la venuta del suo regno è nelle sue mani. Con questa preghiera, insegnataci da Gesù, noi ‑ esprimiamo la nostra fede di essere figli del Padre, - ci sentiamo “fratelli”, - esprimiamo la nostra solidarietà: è una preghiera dove non esiste l’ “io” ma il “noi”: sentiamo come nostri le necessità, i pericoli e anche i peccati di tutti. ‑ domandiamo il pane del regno e il pane “quotidiano”: solo per quel giorno, senza accaparramento, perché Dio è Padre provvidente; ‑ riconosciamo la nostra situazione: peccatori che hanno bisogno di perdono, soggetti alla prova. 87 Il rito della pace Il gesto Il sacerdote chiede la pace ricordando la promessa fatta da Gesù nella cena pasquale e il dono avvenuto il giorno di Pasqua. Poi lui stesso o il diacono invitano ad “offrirsi” reciprocamente la pace. Lo si può fare con una stretta di mano, o con un bacio, o un abbraccio e pronunciando un augurio come: “Pace a te”, “Pace e bene”.... Non è il momento per un saluto profano come “piacere” o “ciao”. Il gesto di pace ha una grande portata. Non dobbiamo deprezzarlo con l’automatismo. In alcune assemblee, può essere opportuno riservarlo per certe occasioni nelle quali questo rito è particolarmente eloquente. Il suo significato La pace è - dono del Risorto (da domandare) - e impegno (da donare). In particolare, anche se il gesto viene fatto con i vicini, è con tutti, vicini e lontani, che ciascuno scambia il meglio di quell’amore insegnatoci dal Signore: “Amatevi gli uni gli altri” (parole pronunciate nel rito bizantino per invitare i fedeli al bacio della pace); SCHEDA 6 In questo gesto, viene chiamata in causa non solo la mia relazione affettiva verso colui al quale mi rivolgo, ma la mia relazione in Cristo. L’obiezione: “Non conosco il mio vicino; non ho nulla da perdonargli” mostra che si riduce il gesto a una relazione personale immediata, mentre si tratta già della comunione in Cristo. Se era necessaria una riconciliazione personale con il mio vicino, essa avrebbe dovuto essere fatta prima dell’eucaristia. Il darsi la mano è un gesto di comunione: ciascuno riceve l’altro, il fratello; poi la stessa mano riceverà l’altro “Fratello” maggiore, Gesù, nel segno del pane. E’ anche un gesto di alleanza, di “sposalizio” (si pensi al rito del matrimonio) con i fratelli; troverà il suo pieno compimento nell’alleanza e nello sposalizio con Gesù al momento di ricevere nella mano il Corpo di Cristo. La frazione del pane Il gesto Il sacerdote prende il pane e lo divide in varie parti; nelle grandi celebrazioni, lo stesso avviene per il vino che dall’unico calice viene versato in altri calici. 88 E’ un rito importante che purtroppo rischia di scomparire come segno simbolico nella quasi totalità delle nostre eucaristie parrocchiali. Capita che in meno di tre secondi e con un gesto appena visibile il prete spezzi in due la “sua particola”, durante il brusio dello scambio della pace o durante l’intonazione dell’Agnus Dei. Poi lo consuma tutto da solo: come vedere la condivisione? Per fare in modo che abbia tutto il suo rilievo è bene che il gesto venga compiuto in un momento in cui può essere ben percepito dall’assemblea; di solito quando il canto dell’Agnello di Dio è già iniziato. Si presuppone che non ci siano solo particole già preconfezionate. Alcuni ministri eventualmente aiutano nello spezzare il pane e distribuirlo nelle patene e o pissidi. Il gesto viene accompagnato dal canto dell’Agnello di Dio o “canto allo spezzare del pane”. Il suo significato Il gesto dello spezzare il pane e bere allo stesso calice è il rito costitutivo dell’Eucaristia cristiana, e contiene un simbolo universale tra i più eloquenti e sempre attuali. E’ un rito che riprende tutti i significati umani del mangiare insieme approfondendoli con quello che ha fatto Gesù. Ne abbiamo parlato all’inizio di questa scheda. E’ un gesto memoriale, che porta dentro la storia della salvezza: i banchetti antichi, quelli preannunciati dai profeti, quelli raccontati da Gesù nelle parabole, quelli compiuti da lui con la moltiplicazione dei pani, con la partecipazione ai banchetti dei pubblicani, il primo avvenuto a Cana e l’ultimo nel Cenacolo. SCHEDA 6 Tutti questi significati confluiscono nell’attuale frazione del pane. In particolare essa significa - unità e amore: è espresso dalla presenza dell’unico pane e calice (“tutti un solo pane e calice”) e dall’essere riuniti. - condivisione: lo rivela il gesto della divisione e della successiva distribuzione. ‑ sacrificio e passione: è detto con il gesto dello spezzare. 89 4. RICEVERE ED ENTRARE IN COMUNIONE: “diede il pane...il vino” La prima Alleanza al monte Sinai fu suggellata nel sangue e in un pasto comunitario in cui gli Israeliti “mangiarono e bevvero” (Es 24,11). La nuova Alleanza è stata suggellata una volta per tutte sul monte Calvario nel sangue della croce; da allora , tutti i battezzati di ogni luogo e di ogni tempo entrano in questo patto mangiando e bevendo secondo il comando del Signore. Il momento della comunione è per tutti noi quello di maggiore impegno, quello in cui ognuno riceve il Corpo e del Sangue del Signore ed entra in comunione con lui. Invito al banchetto SCHEDA 6 Facendo eco alla parabola degli invitati al banchetto delle nozze del figlio del re: “Tutto è pronto, venite” (Mt 22,4) e riprendendo la beatitudine dell'Apocalisse: “Beati gli invitati al banchetto di nozze dell'Agnello” (Ap 19,9), il sacerdote ci mostra il pane eucaristico che sarà ricevuto nella comunione e ci invita al banchetto di Cristo; tutti insieme esprimiamo come ci sentiamo davanti a questo evento, servendoci delle parole pronunciate dal centurione romano: “Signore , non sono degno...” Le parole che pronuncia il sacerdote sono del Padre: è lui che invita al banchetto di nozze del Figlio, a un banchetto di festa, di vita. L’invito è rivolto a tutti, specialmente a quanti sono in difficoltà e che potrebbero essere esclusi: gli storpi, i ciechi..., i peccatori. Tale invito ci trova indegni: siamo come il figliol prodigo che fa ritorno e per il quale il padre ha preparato la festa; come lui e come il centurione manifestiamo la nostra indegnità. L’invito attuale anticipa l’invito ultimo, quello al banchetto del cielo. Processione di comunione Dopo l’invito, ci muoviamo processionalmente per ricevere i doni eucaristici. E’ bene che sia data la possibilità di avvicinarsi il più possibile alla mensa per legare la comunione al fatto della cena del Signore. Una volta si faceva la comunione alla balaustra, sulla quale era stesa una tovaglia ben ricamata, proprio per indicare la partecipazione al banchetto. Oggi, in qualche chiesa, davanti al ministro o ai ministri che distribuiscono la comunione, viene tesa una piccola lunga tovaglia tenuta da due ministranti per indicare che si tratta di una mensa. 90 La processione verso colui o coloro che distribuiscono i “santi doni” è carica di significati: - riceviamo i doni in un cammino: siamo pellegrini verso il Signore, per passare con lui da questo mondo al Padre, dalla disgregazione all’unità, dalla terra della schiavitù a quella dove scorre latte e miele - ognuno si muove e tutti ci muoviamo: il cammino è personale e insieme comunitario. - l’attesa in fila, come medicanti, può significare la nostra situazione di poveri (il povero Lazzaro) - riceviamo i doni in un clima di festa di tutto un popolo. Ricevere il pane e il vino Il modo di ricevere i doni eucaristici Il ministro presenta il Pane e il Vino eucaristici dicendo: “Il Corpo di Cristo... Il Sangue di Cristo” e noi rispondiamo dicendo “Amen” ; li riceviamo in bocca o nella mano. - La tradizione più antica vuole che i doni eucaristici si ricevano nella mano. Ascoltiamo al riguardo quanto insegnava san Cirillo a coloro che erano appena stati battezzati: SCHEDA 6 “Quando ti accosti (a ricevere la comunione), non avanzare con le palme delle mani stese né con le dita aperte; ma fai della mano sinistra un trono per la mano destra, perché essa deve ricevere il Re, e nel cavo della mano ricevi il corpo di Cristo, dicendo: “Amen!” Allora con cura santifica i tuoi occhi con questo santo corpo; poi prendilo e stai attento che non si perda nulla. Poiché ciò che perderesti, sarebbe come se tu perdessi parte delle tue stesse membra. Dimmi, infatti: se ti avessero dato delle pagliuzze d’oro, non le conserveresti forse con grandissima cura...? E non vorresti vegliare con una cura ancora maggiore su un oggetto più prezioso dell’oro e delle pietre preziose perché non se ne perda nemmeno una briciola? Quindi, dopo aver comunicato al corpo di Cristo, accostati al calice del suo sangue. Non allungare le mani, ma inchinati in un gesto di adorazione e di rispetto, dicendo: “Amen!”, santificati assumendo così il sangue di Cristo. E, mentre le tue labbra sono ancora umide, sfiorale con le tue mani e santifica gli occhi, la fronte e gli altri sensi. Poi, mentre aspetti la preghiera, rendi grazie a Dio che ti ha giudicato degno di così grandi misteri”. (Cirillo di Gerusalemme, Cat. mistag. V, 21‑22) Prima di ricevere i doni eucaristici si fa un segno di rispetto e di adorazione, come ad esempio un leggero inchino. E’ auspicabile la partecipazione al calice. Non ci si dovrebbe rassegnare troppo facilmente a ridurre il doppio segno del sacramento, così ricco di significato. In ogni messa è richiamato in forma solenne un comando del Signore:: “Prendete e bevete”. 91 Il significato del ricevere i doni eucaristici - Pane e vino sono doni; non si prendono da soli ma si ricevono dalla mano del ministro. - Il tendere la mano come fa il bambino o un povero è proprio del cristiano davanti al Padre: per questo il gesto è stato preceduto dalla preghiera del Padre nostro. - Ciò che riceviamo è il “Corpo di Cristo”, cioè Cristo e quel corpo che è la Chiesa: in Gesù noi riceviamo tutti come fratelli. Da qui nasce l’accoglienza, l’ospitalità, la condivisione: non è possibile fare la comunione e poi vivere da separati. - Dicendo “Amen” noi manifestiamo di credere fermamente a tutto questo e vogliamo operare in questa direzione Il mangiare il Pane e il Vino: La comunione al Pane di vita e al Calice della salvezza Dopo aver ricevuto il pane nella mano, ci si sposta leggermente a lato e si mangia la “parte” di pane ricevuta: da qui “particola”, piccola parte. SCHEDA 6 Il mangiare è un gesto di comunione. “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane (1 Cor 10,16‑19). Per comprendere tutta la ricchezza del gesto e la profondità della comunione che si attua, bisogna rifarsi alle ricche valenze simboliche che hanno il pane e il vino. Distinguiamo vari livelli. Pensiamo da dove derivano il pane e i vino e come vengono fatti PANE E VINO NATURALI Pane e vino sono frutti della terra e del lavoro dell’uomo, doni di Dio e fatica dell’uomo. Pane e vino provengono dal grano macinato, dall’uva pigiata, cioè dal loro “sacrificarsi”: sono simbolo di sacrificio. Nel pane i grani perdono la loro individualità, sono ridotti a farina e impastati con l’acqua diventano pane; qualcosa di analogo avviene per gli acini dell’uva che diventano vino: pane e vino sono simboli di unità., dei “molti che diventano uno”. Il pane viene cotto, il vino è prodotto dalla “bollizione”; c’è un intervento del fuoco. 92 PANE E VINO EUCARISTICI Prendendo i doni eucaristici noi entriamo in comunione con Dio, con tutti gli esseri creati, con tutto il travaglio della creazione. Prendendo il pane e il vino consacrati noi diventiamo partecipi del sacrificio di Cristo di Cristo e della chiesa Prendendo il Pane e del Vino consacrati esprimiamo e realizziamo l’unità tra noi e con Cristo. Il sacrifico eucaristico si compie per opera di colui che è il fuoco di Dio, Spirito. Partiamo dalle funzioni naturali del pane e del vino per scoprire quelle eucaristiche. PANE E VINO Il pane e il vino nutrono, mantengono in vita; perciò diventano simbolo di vita. Il pane e il vino assunti dall’uomo, vengono trasformati, assimilati Il vino produce gioia, ebbrezza SCHEDA 6 Il vino viene utilizzato come medicina, è un disinfettante sulle ferite. PANE E VINO EUCARISTICI Il pane e il vino eucaristici sono il vero cibo, danno la vita eterna, sono causa della risurrezione (Gv 6) Il pane e i vino presentati dalla chiesa diventano il Corpo e il sangue di Gesù e la nostra vita passa nella sfera divina. Nell’ultima cena Gesù ha preso il calice della “benedizione”, della gioia, per darlo ai suoi. Nell’Eucaristia il vino ci è dato per la purificazione, per la “remissione dei peccati” Il pane e il vino, utilizzati da Gesù nell’ultima cena, erano carichi di storia, portatori di fatti memorabili; avevano assunto perciò dei significati particolari e importanti per tutto il popolo. Prendendoli per la sua ultima cena, Gesù ha voluto che non fossero portatori solo di quella storia antica, ma di quello che quella storia preannunciava: i fatti della sua vita. Per capirlo analizziamo che cos’erano il pane il vino nella Pasqua ebraica. 93 IL PANE DELLA CENA PASQUALE EBRAICA Il pane utilizzato è azzimo, cioè non ha lievito, manca di fermenti che, anticamente, provenivano da pasta lasciata fermentare, non ha niente di vecchio, è veramente nuovo. E’ stato utilizzato la prima volta nella partenza dall’Egitto e perciò è un pane-memoria dell’esodo-pasqua degli ebrei. E’ il pane-memoria del tempo della schiavitù, pane della miseria. E’ il pane-memoria della liberazione e del riscatto dall’Egitto. E’ il pane della peregrinazione che si prende “con i fianchi cinti e il bastone in mano”; è la manna che accompagna il popolo lungo tutto il cammino nel deserto (Es 16); E’ il pane per il viaggio di Elia per giungere al mondo di Dio (1 Re 19,6); E’ il pane della primizia, dell’entrata nella terra promessa: quando gli ebrei entrano nella terra promessa fanno per l’ultima volta le azzime con l’orzo prodotto dalla terra promessa a loro da Dio. IL PANE DELLA CENA DI GESÙ Chi mangia il pane di Gesù diventa “pane nuovo”, entra nel tempo nuovo.. SCHEDA 6 Nell’ultima cena Gesù prende quel pane lo fa memoria del suo esodo: “sapendo che era venuta l’ora di passare da questo mondo al Padre....: Fate questo in memoria di me”; prendendo questo Pane anche noi passiamo con lui da questo mondo al Padre. Gesù dando questo Pane ci fa prendere coscienza della nostra misera situazione, delle nostre schiavitù. Gesù dà questo pane come sacrificio per una liberazione più profonda, quella dal peccato. Gesù dà questo il suo Pane come “pane della via” (viatico); per questo noi lo riceviamo lungo tutta la nostra vita, per poter giungere a veder Dio. Il Pane che dà Gesù è primizia e caparra del banchetto del cielo, dove gusteremo i frutti della vera terra promessa. 94 IL VINO DELLA CENA PASQUALE EBRAICA Quando Israele è infedele riceve da Dio il calice della maledizione, dell’amarezza, del dolore. Quando è fedele Dio gli dà il calice della benedizione, della gioia. Nella cena pasquale, Israele riceve il calice della benedizione. Il vino è simbolo del sangue dell’alleanza fatta al Sinai. In ogni Pasqua l’ebreo entra “oggi” in questa alleanza. IL VINO DELLA CENA DI GESÙ Nell’ultima sua cena pasquale Gesù pronuncia le sue parole sul calice detto “il calice della Benedizione”. In questo modo egli dà a noi il calice della benedizione, della gioia, della vita, e prende per sé (nell’orto degli ulivi) il calice della maledizione e del dolore, dovuto a noi per i nostri peccati: Riceviamo contemporaneamente il calice della benedizione e il calice per la remissione dei peccati: Nella cena di Gesù il vino è il suo sangue, sangue del vero agnello che sigilla la nuova ed eterna alleanza. In conclusione: prendendo i doni eucaristici noi entriamo in comunione Dio, con i fratelli, con la creazione. Siamo immersi, inseriti, partecipi del divenire della storia che va verso la pienezza della pasqua. SCHEDA 6 Da quanto si è detto sul senso dei doni eucaristici, abbiamo percepito che ci è difficile comprendere appieno che cosa vuol dire “fare la comunione”. Bisogna non banalizzare, aver fretta di finire la messa. E’ bene fermarsi, fare silenzio, cercare di non lasciare cadere niente, essere come la Madonna che “conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”. Il silenzio, l’inno e l’orazione Quando tutti si sono comunicati è bene restare in completo silenzio. A questo punto il Messale dice: “Ultimata la distribuzione della Comunione, il sacerdote e i fedeli, secondo l’opportunità, pregano un po’ in silenzio. E’ anche ammesso, se lo si desidera, che tutta l’assemblea esegua un inno, un salmo o un altro canto di lode”(OGMR 164). A conclusione dell’eucaristia il sacerdote fa un’ultima preghiera. Noi facciamo nostra l’orazione dicendo “Amen”. Questo silenzio porta ad approfondire quanto è avvenuto. Il messale, proponendo un’antifona tratta dal vangelo, ci suggerisce di vedere realizzarsi oggi per noi quanto è stato proclamato nella liturgia della parola. Da questo silenzio nasce il vero canto finale al canto e la preghiera conclusiva. In questa preghiera chiediamo che l’eucaristia porti i suoi frutti nella vita presente e ci guidi a raggiungere la “patria” celeste. 95 Piste per proseguire la ricerca e il dialogo 1. PER CELEBRARE MEGLIO Le nostre celebrazioni riescono a far comprendere il grande significato di questa parte della messa? Quali gesti restano ancora troppo nell’ombra (lo spezzare del pane, partecipazione al calice....) Come viviamo questa parte della messa: in modo intimistico o comunitario? 2. PER EVIDENZIARE IL RAPPORTO TRA IL VANGELO E LA COMUNIONE SCHEDA 6 Al momento della comunione il messale propone una antifona tratta dal vangelo suggerendo così che con la comunione si realizza pienamente la parola ascoltata. Come fare perché questo possa essere compreso da tutti: 3. PER STABILIRE UNA UNITA’ TRA LA CELEBRAZIONE E LA VITA QUOTIDIANA In questa parte della messa ci sono tre parole chiave: condividere, ricevere, entrare in comunione: come le viviamo nella vita quotidiana? 96 SCHEDA 7 CELEBRARE LA MISSIONE Inviati in missione CERCHIAMO INSIEME E’ importante finire un incontro tra amici o una riunione nel modo giusto. 1. L’ESPERIENZA UMANA Cerchiamo dapprima che cosa avviene - quando due persone si lasciano (magari in modo definitivo, per un lungo viaggio, o prima di morire) .... (Vedi il congedo dei Patriarchi...) - quando una riunione finisce ... 2. L’ESPERIENZA BIBLICA Cerchiamo che cosa avviene quando ci congediamo da Dio, o Dio si congeda da noi - quando finisco di pregare avviene che.... - quando Dio si congeda dall’uomo avviene che... (leggiamo i brani seguenti della Bibbia) Dal Vangelo secondo Luca (Lc 24,50‑53) Gesù condusse i suoi discepoli verso il villaggio di Betània. Alzò le mani sopra di loro e li benedisse. Mentre li benediceva si separò da loro e fu portato verso il cielo. I suoi discepoli lo adorarono. Poi tornarono verso Gerusalemme, pieni di gioia. E stavano sempre nel tempio lodando e ringraziando Dio. Dal Vangelo secondo Marco (16,14‑20) Alla fine Gesù apparve agli undici discepoli mentre erano a tavola. Li rimproverò perché avevano avuto poca fede e si ostinavano a non credere a quelli che lo avevano visto risuscitato. Poi disse: “Andate in tutto il mondo e portate il messaggio del vangelo a tutti gli uomini. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo; ma chi non crederà sarà condannato. “E quelli che avranno fede faranno segni miracolosi: cacceranno i demoni invocando il mio nome; parleranno lingue nuove; prenderanno in mano serpenti e berranno veleni senza avere nessun male; poseranno le mani sui malati e li guariranno”. Dopo quelle parole il Signore Gesù fu innalzato fino al cielo e Dio gli diede potere accanto a sé. Allora i discepoli partirono per andare a portare dappertutto il messaggio del vangelo. E il Signore agiva insieme a loro e confermava le loro parole con segni miracolosi. 97 Dal Vangelo secondo Matteo (28,16‑20) Gli undici discepoli andarono in Galilea, su quella collina che Gesù aveva indicato. Quando lo videro, lo adorarono. Alcuni, però, avevano dei dubbi. Gesù si avvicinò e disse: “A me è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Perciò andate, fate diventare miei discepoli tutti gli uomini del mondo; battezzateli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; insegnate loro a ubbidire a tutto ciò che io vi ho comandato. E sappiate che io sarò sempre con voi, tutti i giorni, sino alla fine del mondo”. Dagli Atti degli apostoli (1, 6‑11) Allora quelli che si trovavano con Gesù gli domandarono: ‑Signore, è questo il momento nel quale tu devi ristabilire il regno d’Israele? Gesù rispose: ‑ Non spetta a voi sapere quando esattamente ciò accadrà: solo il Padre può deciderlo. Ma riceverete su di voi la forza dello Spirito Santo, che sta per scendere. Allora diventerete miei testimoni in Gerusalemme, in tutta la regione della Giudea e della Samarìa e in tutto il mondo. Detto questo Gesù incominciò a salire in alto, mentre gli apostoli stavano a guardare. Poi venne una nube, ed essi non lo videro più. Mentre avevano ancora gli occhi fissi verso il cielo, dove Gesù era salito, due uomini, vestiti di bianco, si avvicinarono loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché ve ne state lì a guardare il cielo? Questo Gesù che vi ha lasciato per salire in cielo, un giorno ritornerà come lo avete visto partire”. SCHEDA 7 Dal libro della Genesi : Giacobbe lotta con un angelo (Gn 32,25-30) Giacobbe rimase solo, e uno sconosciuto lottò con lui fino allo spuntar dell’alba. Quando costui vide che non poteva vincere Giacobbe nella lotta, lo colpì all’articolazione del femore, che si slogò, e disse: - Lasciami andare perché già spunta l’alba. Giacobbe rispose: - Non ti lascerò andare se prima non mi avrai benedetto. Quello chiese: - Come ti chiami? - Giacobbe, - egli rispose. L’altro disse: - Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché tu hai lottato contro Dio e contro gli uomini e hai vinto. Giacobbe gli domandò: - Dimmi, ti prego, qual è il tuo nome? L’altro gli rispose: - Perché mi chiedi il mio nome? - e diede la sua benedizione a Giacobbe. 3. L’ESPERIENZA DELLA CELEBRAZIONE - Consideriamo che cosa avviene quando finisce la messa: quali somiglianze possiamo riscontrare tra i brani biblici e il congedo della messa 98 1. FINIRE UNA RIUNIONE - CONGEDARSI Congedarsi tra persone Quando arriva il momento di lasciarsi tra amici, - pronunciamo parole e facciamo dei gesti di saluto: ringraziamenti, auguri, strette di mano, abbracci.. - eventualmente fissiamo incontri successivi (quando, come, dove...) Se si tratta di una riunione, chi presiede - ringrazia e saluta l’assemblea, - fissa i nuovi appuntamenti e gli argomenti che verranno trattati, ricorda gli impegni assunti, - dichiara conclusa la riunione. SCHEDA 7 Quando si tratta di congedi di carattere definitivo o quasi (prima di un viaggio dall’esito incerto, prima di morire, il congedo dei patriarchi biblici ) allora parole e gesti assumono un carattere particolare: - viene affidato un messaggio; di solito si riferisce ad uno stile di vita: “Comportati sempre da...”; “Fa onore...”). - vengono dati degli oggetti-ricordo (medaglia, spilla...) o la proprietà di beni (eredità). - l’augurio assume il carattere di una benedizione e di una preghiera: “Il Signore ti benedica, ti accompagni, faccia riuscire il tuo viaggio...” - è dichiarato che, pur venendo a mancare la presenza fisica, si vuole mantenersi sempre uniti, presenti in qualche modo: “Ti sentirò sempre vicino”, “Non ti dimenticherò mai”. Anche la festa ha bisogno del rito di commiato. Non ci si lascia alla spicciolata. Nel pranzo di nozze o di un compleanno, dove sembra che ad un certo punto ciascuno se ne vada per conto suo, in realtà di solito si attende l’ultimo gesto comune (ad esempio il caffè) e poi ciascuno va a salutare gli sposi e gli altri invitati. Si sente la necessità di concludere con gesti e parole comuni, dedicando un tempo apposito per questo: il congedo è sempre un fatto comunitario, anche se alcuni gesti e parole sono lasciati al singolo. 99 Il congedarsi di Gesù dai suoi L’ultima cena di Gesù è una celebrazione di commiato. In essa Gesù - manifesta la sua ultima volontà: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati”. - dona ai discepoli tutto ciò che ha ricevuto dal Padre: la parola, l’amore, la gioia, la missione, la persecuzione..., lo Spirito Santo e tutta la sua vita (corpo e sangue). Per questo si legga tutto il discorso dell’ultima cena riportato da san Giovanni. - dichiara che non li lascerà soli; anzi ritornerà e abiterà in loro. SCHEDA 7 Quando Gesù si congeda definitivamente il giorno dell’ascensione - dà un appuntamento ai suoi; - fa un ultimo dialogo: i discepoli interrogano e Gesù risponde; - dona loro tutto ciò che ha ricevuto: “ogni potere in terra e in cielo”; in particolare, affida loro la sua missione: “Andate... battezzate...”; - assicura che sarà sempre presente: “Sarò sempre con voi tutti i giorni”; - dà la sua benedizione; - i discepoli fanno un ultimo gesto: adorano. Secondo alcuni adorare letteralmente vuol dire: portare la mano alla bocca, baciarla e inviare i bacio. 100 2. FINIRE LA MESSA - CONGEDARSI Alla fine della messa, con l'ultimo dialogo tra il presidente e l’assemblea, avviene qualcosa di simile a quello che si fa quando ci si lascia tra amici, quando si scioglie una riunione. Ma soprattutto avviene il commiato di Gesù dai suoi nuovi discepoli. Esso ha tutte le caratteristiche del primo commiato. Fermiamoci ad esaminarlo. E’ composto ‑ di un saluto, che afferma una presenza ‑ una benedizione del presidente (semplice o solenne) ‑ un commiato, proprio del diacono: "Andate in pace", a cui la comunità risponde: "Rendiamo grazie a Dio". Proprio per il suo significato, saper concludere bene la messa, in modo espressivo, non è solo una esigenza sociale o della festa, ma è rivivere il commiato di Gesù. I lettori alla fine di una frase o della lettura hanno una “cadenza” che fa percepire che si è alla fine del discorso. I films e le singole sequenze sono costruite in modo che ci si accorge che si è alla fine: non si finisce bruscamente. “I musicisti sanno che alla fine di un brano musicale si incontra, quasi sempre, una successione armonica chiamata “cadenza”: può essere di vari tipi, ma la sua funzione, in posizione finale, è una sola: serve a far capire che siamo alla fine, che il discorso musicale, in modo più o meno drastico, è “concluso” (D. Gianotti). Anche nella messa c'è bisogno di una sorta di “cadenza liturgica”, qualcosa che segni il punto conclusivo della celebrazione. Cadenza però non vuol dire che deve scadere, ma che parole gesti e canti acquistano una forma rituale che, richiama sinteticamente i precedenti e li chiude aprendoli alla vita. In quest’ottica vanno visti tutti gli elementi che costruiscono il congedo. SCHEDA 7 La “cadenza liturgica” Il saluto Un incontro, una riunione ha sempre come ultimo atto un qualche forma di saluto. Anche l’assemblea eucaristica si conclude come era incominciata, con un ultimo dialogo‑saluto, con un richiamo alla presenza del Signore risorto: "Il Signore sia con voi". "E con il tuo spirito". In questo modo esprimiamo ancora una volta che abbiamo vissuto l’Eucaristia, dall’inizio alla fine, alla presenza del Signore. E’ lui che dà senso e valore a tutte le parole dette, ai gesti compiuti, e, in concreto, alla benedizione finale. 101 In questo saluto sentiamo l’eco delle parole dell’Apocalisse: “E’ fatto. Io sono l’Inizio e la Fine, il Primo e l’Ultimo”, “l’Origine e il Punto di arrivo”, “il Signore che è che era e che viene, il dominatore dell’universo” (Ap 21, 6; 22,13;1,8) Gesù è l’inizio e la fine della celebrazione come anche della nostra vita e di tutta la storia. Tutto avviene alla sua presenza, tutto viene ricondotto a lui. La benedizione finale Quando stiamo per lasciare una persona a cui vogliamo bene, le facciamo gli auguri. Se si tratta di un congedo molto importante (prima di una partenza definitiva, prima di lasciare la casa, il posto di lavoro...) gli auguri che formuliamo cercano di toccare le zone più profonde dello spirito e delle attese umane. Talora questi auguri assumono lo stile di una preghiera a Dio perché conceda.... Invece di dire: “Buon viaggio”, diciamo: “Il Signore ti dia di fare un buon viaggio”: si tratta di una benedizione. Quando il popolo d’Israele sta per lasciare il deserto per entrare nella nuova realtà della terra promessa, Aronne benedice il popolo; la stessa benedizioneaugurio viene ripetuta all’inizio di ogni anno: “Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda la pace” (Nm 6,24-25) Gli antichi attribuivano una grande importanza alle benedizioni, soprattutto a quelle prima della separazione e, in particolare, prima di lasciarsi definitivamente per un paese lontano o di morire. I patriarchi, prima di morire, invocavano sui loro figli le benedizioni divine. La loro parola diveniva irrevocabile e impegnava Dio stesso (Gn 27, 33; 49; Dt 33). SCHEDA 7 La benedizione che avviene alla fine della Messa è l’augurio-preghiera che il presidente fa all’assemblea prima che si sciolga. Dopo il saluto, il presidente, cioè il Signore, benedice la sua comunità. Vi sono vari modi di dare la benedizione alla fine dell'Eucaristia: ‑ quello solito, con la semplice invocazione della Trinità e il segno della croce. ‑ con una preghiera sul popolo: il sacerdote la pronunzia una preghiera con le braccia stese sul popolo in ascolto e a capo chino. Si usa soprattutto in Quaresima. Esempio: Benedici, Signore, il tuo popolo che attende i doni della tua misericordia, e porta compimento i desideri di bene che tu stesso gli hai ispirato. 102 ‑ con la benedizione più solenne, per i giorni di festa e le domeniche più importanti dell’anno; normalmente è divisa in tre frasi, a cui ogni volta noi rispondiamo “Amen”. Col nostro “amen” manifestiamo la nostra fede che Dio ci sta rendendo realmente destinatari della sua benedizione per mezzo del sacerdote. Esempio: Dio, sorgente e principio di ogni benedizione, effonda su di voi la sua grazia e vi conceda vita e salute. Amen. Vi custodisca integri nella fede, pazienti nella speranza, perseveranti nella carità. Amen. Disponga nella sua pace i vostri giorni, accolga le vostre preghiere e vi conduca alla felicità eterna. Amen. Il sacerdote pronuncia le parole di questa benedizione con lentezza, con convinzione, tracciando espressivamente la croce sul popolo (o stendendo prima le braccia su di esso, se si tratta di benedizione solenne). In lui è il Signore che benedice. Dio è “onnipotente”, è fonte di ogni bene. Quando “bene‑dice”, pronuncia una parola efficace, fa dono della sua grazia e della salvezza. Attraverso Cristo ci ha colmato delle sue più preziose benedizioni (cf Ef 1,3). Ora, al termine dell'Eucaristia, ancora una volta trasmette questa benedizione trinitaria al tutta l'assemblea celebrante, come per riassumere tutto quello che è avvenuto nella celebrazione. Questa benedizione continua le grandi benedizioni della Bibbia e, in particolare, rende attuale quella pronunciata da Gesù quando si congedò dai suoi il giorno dell’Ascensione (Lc 24,50ss). "La messa è finita. Andate in pace" Qualcosa di analogo avviene quando è giunto il momento di sciogliere l'assemblea. Dopo la benedizione, il presidente, o il diacono se c'è, congeda il popolo con una formula concisa: "La messa è finita. Andate in pace" o altre espressioni simili: ‑ “La gioia del Signore sia la nostra forza. Andate in pace”. ‑ “Glorificate il Signore con la vostra vita. Andate in pace”. ‑ “Nel nome del Signore, andate in pace”. ‑ “Andate e portate a tutti la gioia del Signore risorto”. Nella settimana di Pasqua il congedo e la risposta, possibilmente in canto, si abbelliscono di un duplice gioioso alleluia: “Andate in pace, alleluia alleluia”. “Rendiamo. grazie a Dio, alleluia alleluia”. La frase, intesa nel senso più evidente, è un congedo. Ma l’ “Andate in pace” richiama il concedo di Gesù dai suoi discepoli. Più che indicare una fine è un invio in “missione”, un invito a divenire missionari: andate alla vita, siete mandati a dare testimonianza con le vostre opere di quanto avete qui celebrato. SCHEDA 7 Al termine di una riunione importante il presidente dichiara: "La seduta è tolta". Nella pasqua ebraica il capofamiglia pronuncia una formula rituale che certifica come tutto si è compiuto secondo il rito fissato. 103 Per questo una delle formule della lingua italiana dice: “Glorificate il Signore con la vostra vita.”; “Andate e portate a tutti la gioia del Signore risorto”. L’assemblea si scioglie - dice il Messale - “perché ognuno ritorni alle sue occupazioni lodando e benedicendo il Signore”. Siamo come i pastori che, dopo avere incontrato il Messia, se ne tornarono al lavoro “lodando e benedicendo Dio”. "Rendiamo grazie a Dio" ("Deo gratias") La risposta della comunità al congedo è molto concisa ed espressiva: “Rendiamo grazie a Dio”, in latino “Deo gratias”. Se viene semplicemente detta è una finale un po’ povera: una bella riunione finisce spesso con una grande e fragoroso applauso. Per questo un grande liturgista Crispino Valenziano - scrive: “Io immagino (che venga cantato) ‘come una voce potente di una immensa folla, simile a fragore di grandi acque e a rombo di tuoni possenti che gridano’ (Ap 19,1.6) al modo della liturgia celeste d'Apocalisse”. Anche se breve, è una risposta densa di significato. Rendere grazie a Dio è stato l'atteggiamento fondamentale di tutta la messa. Alla fine delle letture bibliche si dice: "Rendiamo grazie a Dio". All'inizio del prefazio il presidente invita il popolo: "Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio". Questo l'atteggiamento deve passare nella vita quotidiana. Tutto viene da Dio e di tutto gli rendiamo grazie. Buona abitudine, quella dei nostri vecchi, che intercalavano con facilità: “Dio sia benedetto”, “Sia lodato Gesù Cristo”, “Grazie a Dio”. Il bacio dell’altare SCHEDA 7 Dopo il saluto all’assemblea il sacerdote bacia l’altare simbolo di Cristo e del sacrifico compiuto: è il saluto a Cristo. Non dovrebbe essere un gesto da compiere di sfuggita. Per comprenderne bene il senso è utile richiamare il saluto famosissimo del rito siriaco e maronita: “Rimani nella pace, altare santo del Signore. Io non so se mi sarà dato di ritornare a te, ma il Signore mi conceda di rivederti nell'assemblea dei primogeniti scritti nei cieli (cf Eb 12,23); poiché in quest'alleanza io ripongo la mia fiducia. Rimani nella pace, altare santo e santificatore. Il corpo e il sangue che ho ricevuto da te mi ottengano la remissione dei peccati e la sicurezza davanti al tremendo tribunale del nostro Signore e Dio, per sempre. 104 Rimani nella pace, altare santo di Dio, mensa della vita. Intercedi per me perché io non lasci di pensare a te, ora e nei secoli dei secoli. Amen” (M. Hayek, Liturgie Maronite, Paris 1963, p. 292). Gli avvisi Se vi sono avvisi da dare ‑ a volte convenienti per informare e convocare la comunità a determinate attività ‑ è bene darli con brevità e semplicità, prima della benedizione e congedo. Devono risultare in continuità con la celebrazione e la vita dell’assemblea. Si deve evitare di farli durante il silenzio della comunione o prima dell’orazione finale, perché romperebbero lo stile celebrativo. Gli avvisi infatti hanno una funzione che i linguisti direbbero “informativa” e verrebbero a trovarsi in un contesto (preghiera personale e presidenziale) che ha piuttosto una funzione “poetica”. E’ bene affidare gran parte degli avvisi a un foglietto da portare a casa con tutte le notizie e gli appuntamenti della settimana, magari stampati. con le letture fatte durante la celebrazione. Gli avvisi sono un segno della vitalità di una parrocchia: Sono appuntamenti ad attività proposte alla comunità per la preghiera, la sua cultura religiosa, per i suoi impegni nel mondo o nella chiesa; costituiscono una chiamata a tradurre la celebrazione in gesti concreti, nel quotidiano. Congedarsi tra fratelli Finiti i riti di conclusione, ognuno riprende la via di casa. Prima però è opportuno che, come all’inizio si è sentita la necessità di salutarci e di dimostrare la reciproca accoglienza, ciascuno di noi compia personalmente alcuni gesti: compiere un gesto di venerazione o di adorazione al Santissimo. Spesso il tabernacolo è al centro, dietro l’altare: il Signore è presente e ci ricorda che egli è lì per essere il cibo anche per coloro che non hanno potuto venire. SCHEDA 7 salutare i vicini con una stretta di mano e con un’ultima parola di ringraziamento; se possibile, si può anche salutare chi ha presieduto la celebrazione; 105 3. INVIATI A SERVIRE E TESTIMONIARE Una celebrazione che è un inizio Quando ebbe fine la celebrazione della prima pasqua, là in Egitto, gli ebrei intrapresero il cammino della liberazione che li portava nel deserto e poi nella terra promessa. Quando Gesù ebbe finito la celebrazione della cena pasquale, uscì dal cenacolo e diede inizio al cammino della sua passione attraverso cui egli dimostrava il suo amore al Padre e a noi. Quando il sacerdote o il diacono dice “Andate in pace”, incominciamo anche noi a vivere la messa, non più attraverso dei gesti rituali, ma attraverso quelli della vita quotidiana. Qui è il tempo e il luogo - per “glorificare il Signore”, - per divenire portatori della “pace del Signore”, quella che solo lui può dare, - per dare testimonianza della “gioia del Signore", che viene da una fede sincera in Cristo risorto, deve diventare "la nostra forza". SCHEDA 7 Una celebrazione che colora e trasforma la vita quotidiana La celebrazione dell’Eucaristia non è fine a se stessa: per noi è un punto di riferimento per tutta la settimana: Non basta far le cose bene dal punto di vista rituale; la cosa più importante è quella di esprimere nella vita ciò che celebriamo nella liturgia. I singoli momenti della celebrazione sono stati come una esercitazione di quello che con naturalezza e semplicità faremo nella vita ordinaria. L’esperienza dell’incontro con Cristo e i fratelli getta la sua luce sugli incontri di tutti i giorni e, per quanto ci è umanamente possibile, cercheremo di riprodurlo. Certo non è facile, ma è la grande scommessa per noi che abbiamo celebrato la “liturgia dell’incontro” La “liturgia della parola” orienta le nostre scelte e diventa per noi criterio e guida di comportamento in ogni circostanza. La celebrazione del “mistero dell’offerta” ispira i nostri passi in modo che passiamo concretamente da un atteggiamento di accaparramento a quello della donazione gratuita e discreta. 106 La “liturgia del grazie” ci aiuta a vedere che Dio è ancora all’opera tra di noi e trasforma la nostra preghiera, facendola essere un “ringraziare ricordando”. Il sacrificio di Cristo celebrato continua nella nostra quotidiana fedeltà alla volontà del Padre, in un’obbedienza piena di amore e di fiducia. La comunione ricevuta ci porta a vivere in una permanente unione di spirito con Cristo Gesù, per essere, come lui, sempre capaci di accoglienza, di condivisione, di perdono, di attenzione, di concreto servizio gli uni verso gli altri. Una celebrazione che porta a servire Dio nell’uomo e a testimoniare la vita eterna “Andare in pace” non vuol dire quietismo, starsene a fare i propri comodi! Non appena si entra nella logica della carità di Cristo, bisogna rinunciare all'ideale della vita tranquilla. Nel Vangelo gli incontri con Gesù finiscono quasi sempre con parole come: "Vieni; seguimi, andate!...". Nessuno incontra Gesù Cristo e rimane tutto tranquillo come prima. L'unico che ha voluto incontrare Gesù, parlare con lui e poi non cambiare niente nella sua vita, alla fine "se ne andò afflitto", perché gli mancò il coraggio di rinunciare alla sicurezza dei suoi soldi (cf Mc 10,17‑22). Chi ha incontrato Gesù è mandato a servirlo negli uomini, a fare memoria di lui annunciando la sua morte e risurrezione. SCHEDA 7 Anche per noi, la messa della domenica è un incontro con Cristo. Come l’abbiamo riconosciuto nei segni del pane e del vino e dell’assemblea riunita nel suo nome, così lo riconosceremo in tutti gli altri segni: là dove due o più si riuniscono nel suo nome (Mt 18,20), nei piccoli, nei sofferenti, ... in ogni uomo: lì ci porremo in ascolto e proclameremo la sua parola, lì offriremo il frutto della terra e del nostro lavoro, lì renderemo grazie, faremo comunione. Ogni giorno e ogni momento è buono per fare memoria di lui in attesa della sua venuta. Quella venuta che è oggi, che è nella prossima celebrazione, che è alla fine dei tempi. 107 Piste per proseguire la ricerca e il dialogo 1. PER CELEBRARE MEGLIO L’“Andate in pace” è compreso come solo come congedo o anche come “inizio di una missione”? Come fare perché gli avvisi non appesantiscono la conclusione della messa? 2. PER EVIDENZIARE IL RAPPORTO CON TUTTA LA MESSA Il congedo non può risultare uguale per tutte le messe. Che cosa fare perché ogni messa rispecchi brevemente il suo significato particolare? 3. PER STABILIRE UNA UNITA’ TRA LA CELEBRAZIONE E LA VITA QUOTIDIANA SCHEDA 7 Come fare perché il congedo risulti un invio in missione? 108 109 110
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