Mensile di aggiornamento e approfondimento in materia di immobili, ambiente, edilizia e urbanistica Numero 13 – settembre 2014 n. 13 – chiuso in redazione il 5 settembre 2014 Sommario Pagina NEWS Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili 5 RASSEGNA DI NORMATIVA Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione 16 RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili 18 APPROFONDIMENTI Immobili DI PORTIERATO E RECENTI SENTENZE DELLA CASSAZIONE RAPPORTO Il rapporto di portierato rappresenta in parte un rapporto particolare nel mondo del lavoro soprattutto per due aspetti: uno legato alla possibile prestazione accessoria della concessione di un immobile per uso abitativo e l’altro relativo alle connessioni con le regole condominiali. Pietro Gremigni, Consulente Immobiliare 15 settembre, n. 959 21 Immobili e fisco VENDITA DI UN IMMOBILE ALL'ASTA - DETERMINAZIONE DELLA BASE IMPONIBILE L'art. 44, co. 1, D.P.R. 26.4.1986, n. 131, stabilisce che, per la vendita di beni mobili e immobili fatta in sede di espropriazione forzata ovvero all'asta pubblica e per i contratti stipulati o aggiudicati in seguito a pubblico incanto la base imponibile è costituita dal prezzo di aggiudicazione, diminuito, nell'ipotesi di inadempienza dell'aggiudicatario (art. 587, c.p.c.), della parte già assoggettata all'imposta. Servidio Salvatore, La Settimana Fiscale, 3 settembre 2014, n. 32 24 Immobili ed innovazioni LE INNOVAZIONI (ORDINARIE, "AGEVOLATE" E VIETATE) L’art. 1120 cod. civ. riguardante la fattispecie delle “innovazioni”, vale a dire la realizzazione, in forza di una deliberazione assembleare a maggioranza (con spese ripartite tra i condomini), di una “opera nuova” (bene/impianto) prima non esistente nel condominio, è stato oggetto di un intervento di sostanziale integrazione. Il Sole 24 Ore - Consulente Immobiliare – Quaderno, 31 agosto 2014, n. 2 28 Immobili e condominio L'AMMINISTRATORE PAGA I DANNI Alla carica di amministratore di condominio sono legate tutta una serie di possibili conseguenze, sia in ambito di responsabilità civile (verso terzi o verso gli stessi condomini) che in ambito di responsabilità penale. Morello Enrico, Il Sole 24 Ore - 2 settembre 2014 FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 2 34 L’ESPERTO RISPONDE 36 Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 3 Proprietario ed Editore: Il Sole 24 Ore S.p.A. Sede legale e amministrazione: Via Monte Rosa 91- 20149 Milano Redazione: Edilizia e PA, Il Sole 24 ORE e-mail: redazione.ediliziaeambiente@ilsole24ore.com © 2014 Il Sole 24 ORE S.p.a. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi strumento. 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Del secondo gruppo fanno parte le tavole riferite alla componente residenziale (da 1.1 a 1.16), mentre del terzo quelle della componente non residenziale (da 2.1 a 2.12). I risultati presentati sono relativi ai nuovi fabbricati e agli ampliamenti di volume dei fabbricati preesistenti. In ciascun gruppo, le tavole sui nuovi fabbricati precedono quelle sugli ampliamenti. Oltre ai dati nazionali, l'analisi territoriale è disponibile fino al livello provinciale per le principali variabili relative alle due componenti. Per i dati dettagliati relativi agli anni precedenti, si vedano i volumi: Statistiche sui permessi di costruire. Anni 2000-2002, Statistiche sui permessi di costruire. Anni 2003-2004, consultabili sul catalogo on line, le tavole di dati relative ai singoli anni dal 2005 al 2011 e le tavole di dati Statistiche sui permessi di costruire Anni 1995-2006. Da gennaio 2010 il processo di raccolta delle informazioni sui permessi di costruire è stato completamente rinnovato introducendo due nuovi modelli: l'Istat/Pdc/Re per la raccolta dei dati relativi all'edilizia residenziale e l'IstatT/Pdc/Nre per l'edilizia non residenziale, che sostituiscono il modello utilizzato dal 2000 al 2009. Da luglio 2010 è attivo il sito https://indata.istat.it/pdc che permette di effettuare la rilevazione on-line nei comuni che hanno optato per tale sistema di raccolta dei dati; resta comunque garantita la possibilità di rispondere alla rilevazione tramite modelli cartacei. L'adozione dei nuovi modelli di rilevazione rende disponibili molte informazioni sulle caratteristiche della nuova edilizia. Le tavole statistiche associate a questa nota sono solo una parte di quelle previste per i dati dell'anno 2012. In particolare, questa uscita contiene le sole tavole coerenti con i contenuti di quelle già diffuse annualmente dall'anno 2000. Il set delle nuove tavole sarà oggetto di una successiva diffusione. Tutti i dati riferiti agli anni dal 2005 al 2012, contenuti nelle tavole e nelle pubblicazioni citate, non sono confrontabili con quelli riportati nei volumi delle Statistiche dell'attività edilizia pubblicati fino al 2004. (Fonte: ISTAT) (Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 7 agosto 2014) Immobili Amianto in condominio: il degrado obbliga alla bonifica L'amianto piaceva: le sue peculiari proprietà fonoassorbenti e termoisolanti e il basso costo hanno spinto al suo utilizzo per decenni anche negli edifici condominiali. Ma, dopo aver scoperto la sua pericolosità, dato che Comune e Asl non sono tenuti a effettuare sopralluoghi negli edifici privati, l'onere grava totalmente sul condominio e, quindi, sull'amministratore. I doveri dell'amministratore Va precisato che l'amianto è stato applicato in due forme diverse: l'amianto compatto e quello friabile. FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 5 La differenza è rilevante anche dal punto di vista giuridico e degli obblighi dell'amministratore. Il comma 5 dell'articolo 12 della legge 257/92 stabilisce che «presso le unità sanitarie locali è istituito un registro nel quale è indicata la localizzazione dell'amianto floccato o in matrice friabile presente negli edifici». I proprietari (quindi l'amministratore in caso di condomìni) devono comunicare alle Asl i dati relativi alla presenza di materiali. In caso di omessa comunicazione la legge 257 stabilisce la sanzione amministrativa da 2.582 a 5.164 euro I lavori da eseguire Per i materiali edilizi in cemento amianto presenti in forma compatta in edifici privati e in condomìni, qualora essi siano in buono stato, non è previsto alcun obbligo né di comunicazione alla Asl né di rimozione. Se però il manufatto compatto manifesta condizioni di degrado l'amministratore deve far effettuare un'accurata ispezione e una valutazione del rischio rivolgendosi a un tecnico o a un'impresa abilitati e accuratamente selezionati, oppure far eseguire le analisi da un laboratorio in possesso dei requisiti previsti dall'allegato 5 del Dm del 14 maggio 1996. Sono poi necessari controlli periodici dopo il primo intervento. Ma che succede se l'analisi accerta la necessità di intervenire sull'amianto? In tal caso è obbligatorio rivolgersi a una ditta specializzata iscritta all'albo nazionale gestori ambientali alla categoria 10 sub categoria 10A o 10 B (articolo 26 del Dlgs 81/2008). Sull'amministratore incombono anche responsabilità nei confronti di chi lavora nei condomìni: gli articoli da 246 al 261 del Tu sulla sicurezza regolamentano la protezione dai rischi connessi all'esposizione all'amianto. Spese e maggioranze La spesa va ripartita tra i condòmini (articolo 12, comma 3, della legge 257/1992), con possibilità di rivalersi nei confronti della ditta costruttrice solo se l'amianto sia stato installato successivamente alla data in cui la legge ne ha vietato l'uso. Quanto alle maggioranze assembleari per deliberare gli interventi relativi all'amianto, dato che dovrebbero qualificarsi come manutenzione ordinaria poiché l'intervento è imposto dalla legge, sarebbe sufficiente la maggioranza prevista dal terzo comma dell'articolo 1136 del Codice civile (la maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresenti almeno 1/3 dei millesimi e dei condòmini). Invece, quando l'opera di bonifica è di rilevante entità, soprattutto economica, si ricade nella manutenzione straordinaria e quindi si applica la maggioranza prevista dal secondo comma dell'articolo 1136 del Codice civile (maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno 500 millesimi). In sintesi LA PROCEDURA L'amministratore del condominio deve comunicare alla Asl competente per territorio i dati sulla presenza di materiali, altrimenti scatta la sanzione, che può andare da 2.582 a 5.164 euro. COSA FARE Se il manufatto è degradato l'amministratore deve far eseguire un'ispezione con valutazione del rischio o analisi da un laboratorio, poi affidare i lavori a una ditta specializzata (Il Sole 24 ORE – 27 agosto 2014) Casa umida: I proprietari devono risarcire il danno biologico se la malattia della portiera si aggrava a causa delle condizioni insalubri dell'alloggio Se il condominio non destina al proprio portiere un alloggio salubre, e il dipendente si ammala o si aggrava una malattia che già aveva, i proprietari dovranno risarcire il danno biologico. Secondo la sentenza n° 18247 del 26 agosto 2014, la Corte di Cassazione riconosce al portiere di uno stabile, il diritto al risarcimento del danno biologico, anche se l’illecito contestatogli non sia all’origine della patologia lamentata dal lavoratore, ma vada soltanto ad aggravare una malattia dovuta a cause estranee al servizio. Per tali motivi se i condomini destinano al portiere un alloggio insalubre (nella fattispecie un seminterrato umido), e quest’ultimo si ammala o si aggrava di una malattia che già aveva, i proprietari dovranno risarcire il danno biologico. FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 6 Il caso. In primo e secondo grado i giudici non avevano ravvisato un legame tra la malattia e le condizioni insalubri dell'appartamento ed avevano negato il risarcimento, nonostante dalle perizie si era evidenziato come l'umidità potesse essere una causa integrante ed addizionale dell'aggravamento dell'artrosi. La patologia si sarebbe sicuramente evoluta più lentamente, nel corso degli anni, se alla ricorrente gli fosse stata assegnata una abitazione più confortevole. Il nesso causale. In merito alla interpretazione della perizia il ctu si limita a stabilire che se il microclima del seminterrato non può essere ritenuto la causa esclusiva della patologia che affligge la portiera, che nelle more è invecchiata, è anche vero che l’umidità dell’alloggio può avere svolto «un ruolo di aggravamento del sintomo dolore e sulle reazioni antalgiche». Quindi anche se la malattia lamentata dalla dipendente ha un’eziologia diversa dalle cause di servizio e il dolore alle articolazioni sarebbe comunque venuto fuori anche se alla lavoratrice fosse stato assegnato un alloggio «confortevole», però la quota di invalidità da ricondursi all’umidità, aggiuntiva rispetto a quella che sarebbe derivata dalla sola patologia principale, si pone in diretto rapporto causale con i fattori che hanno determinato l’aggravamento. La decisione. Per tali motivi, la Corte di Cassazione non condivide la decisione emessa dai giudici di merito in quanto vi è un “un nesso causale o concausale tra le condizioni insalubri dell'appartamento e la patologia” della portiera. L'aggravamento dello stato di dolore fisico e della menomazione funzionale legata ad una patologia già esistente “integra una menomazione ulteriore in diretto rapporto causale con i fattori che tale aggravamento hanno determinato”. (Ivan Meo, Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 1 settembre 2014) Conto corrente, trasparenza indiretta Ogni condomino può accedere al conto corrente condominiale e verificare di persona la gestione contabile delle spese. Ma lo può fare solo per il tramite dell'amministratore, che a sua volta non può in alcun modo sottrarsi dal compito. A stabilirlo è innanzitutto la legge di riforma del condominio (220/2012), che ha posto l'obbligo per ogni amministratore di aprire un conto corrente, postale o bancario, per la gestione delle spese condominiali. Il nuovo comma 7 dell'articolo 1129 del Codice civile prescrive che «ciascun condomino, per il tramite dell'amministratore, può chiedere di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica». Ma già nell'anno precedente alla riforma si è discusso a lungo sulla possibilità, per il singolo condomino, di accedere direttamente al conto corrente condominiale. L'Arbitro bancario finanziario (Abf), con la decisione n. 1282 del 6 marzo 2013, aveva accolto le istanze di alcuni condomini, che chiedevano alla banca, senza ottenerle, le fotocopie dell'estratto conto condominiale. Rifacendosi alla sentenza del Tribunale di Salerno del 30 luglio 2007. Tuttavia, con l'entrata in vigore della riforma del condominio (18 giugno 2013), è stato evidenziato il ruolo di "intermediario" dell'amministratore, l'unico a poter ottenere l'estratto conto bancario. Lo stesso Arbitro bancario, con la decisione n. 400 del 22 gennaio 2014, ha rivisto la propria vecchia posizione, negando l'accesso diretto al singolo condomino e introducendo il "tramite" dell'amministratore. Sulla questione si è espresso anche il Garante della privacy, che il 31 marzo 2014 ha risposto con una nota a un'istanza presentata da Confedilizia. «Nonostante il conto sia intestato al condominio, i singoli condòmini sono ora titolari di una posizione giuridica che consente loro di verificare la destinazione dei propri esborsi e l'operato dell'amministratore, mediante l'accesso in forma integrale, per il tramite dell'amministratore, ai relativi estratti conto bancari o postali». Un principio già sancito dal Garante nelle «Linee guida in ambito bancario», dove si riconosce il diritto ad ottenere «copia di atti o documenti bancari» senza alcuna limitazione, neanche nelle forme di un parziale oscuramento, anche se contengono dati personali di terzi. (Silvio Rezzonico, Maria Chiara Voci, Il Sole 24 ORE, 26 agosto 2014) Catasto Nuove rendite da motivare bene La Cassazione ha mutato il suo orientamento, in tema di estimo catastale, in senso più garantista per i contribuenti che si vedono modificata la rendita senza che siano indicati in FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 7 dettaglio i motivi. L'agenzia delle Entrate dovrà confrontarsi con le nuove posizioni delle Suprema Corte. L'aggiornamento del catasto, strumentale all'adeguamento delle entrate fiscali collegate al patrimonio immobiliare, ha comportato l'instaurazione di numerosi procedimenti di revisione del classamento, che hanno condotto all'attribuzione alle unità immobiliari interessate di una nuova classificazione e/o di una nuova rendita catastale. I riferimenti normativi principali sono costituiti dal comma 58 dell'articolo 3 della legge 662/96 e dai commi 335 e 336 dell'articolo 1 della legge 311/2004, che attribuiscono ai Comuni il potere d'iniziativa qualora il classamento dell'immobile risulti non aggiornato o palesemente incongruo rispetto a fabbricati similari e aventi le medesime caratteristiche (comma 58), qualora vi sia stata una revisione dei parametri catastali della microzona in cui l'immobile è situato, giustificata dal significativo scostamento del rapporto tra valore di mercato e valore catastale di questa rispetto all'analogo rapporto nell'insieme delle microzone comunali (comma 335), qualora l'unità immobiliare abbia subito trasformazioni edilizie (comma 336). Il nuovo orientamento Secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, la motivazione dell'atto di revisione del classamento catastale non può limitarsi a contenere l'indicazione della consistenza, della categoria e della classe attribuita dall'agenzia del Territorio (ora accorpata in quella delle Entrate) ma deve specificare, a pena di nullità, sia le ragioni giuridiche sia i presupposti di fatto della modifica. L'Amministrazione è tenuta, quindi, a precisare dettagliatamente se il mutamento è giustificato dal mancato aggiornamento catastale o dall'incongruenza del valore rispetto ai fabbricati similari (individuando detti edifici, il loro classamento e le caratteristiche che li rendono analoghi a quello in oggetto), o dall'esecuzione di lavori particolari nell'immobile, da menzionare analiticamente, o, infine, da una risistemazione dei parametri della microzona di collocazione, da esplicitare in modo chiaro con l'indicazione del rapporto tra valore di mercato e valore catastale dell'area e delle altre comunali, così che emerga il significativo divario (tra le tante, le sentenze della sezione tributaria 17320/2014, 17322/2014 e 9629/2012; e quelle della sezione 6-5, 16643/2013, 10489/2013, 5784/2013; 19820/2012; 13174/2012. L'onere di motivazione può, tuttavia, essere assolto, riguardo all'indicazione degli immobili di riferimento, aventi caratteristiche similari a quello oggetto della variazione catastale, anche mediante la riproduzione o l'allegazione di un altro atto, come, ad esempio, la nota del Comune la cui iniziativa ha attivato il procedimento, a condizione che abbia un contenuto completo (si veda la sentenza della Cassazione, Sezione tributaria, n. 17322/2014 e 21532/2013). Lo statuto del contribuente Si tratta di una posizione che garantisce maggiormente il contribuente rispetto a quella precedente, secondo cui, in tema di estimo catastale, la motivazione dell'atto di riclassamento può limitarsi a contenere l'indicazione della consistenza, della categoria e della classe attribuita dall'Ufficio, trattandosi di dati sufficienti a permettere al destinatario dell'atto di difendersi e avendo l'eventuale successivo giudizio a oggetto non l'idoneità della motivazione, ma il merito della controversia (in questo senso, tra le altre, Corte di cassazione, Sezione tributaria, sentenze 1937/2012, 14379/2011, 22313/2010 e 12068/2004). Il fondamento normativo del revirement è costituito dall'articolo 7, comma 1, dello Statuto del contribuente, ai sensi del quale gli atti dell'amministrazione finanziaria sono motivati, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione. Dal punto di vista sostanziale, solo una motivazione effettiva e, quindi, esaustiva garantisce il diritto di difesa del contribuente, in quanto, da un lato, gli consente di valutare, in modo consapevole, se impugnare l'atto di revisione catastale, in base agli articoli 2 e 19 del Dlgs 546/92, dinanzi alle Commissioni tributarie, e, dall'altro lato, impedisce all'Amministrazione, nel quadro di un rapporto di leale collaborazione, di addurre, in un eventuale successivo contenzioso, ragioni diverse rispetto a quelle specificamente enunciate nell'atto. Il « Docfa» Vi è, a questo punto, da chiedersi se si registrerà un'evoluzione giurisprudenziale anche con riferimento all'attribuzione della rendita catastale all'esito della procedura " Docfa", (articolo 2 del Dl 16/93 e Dm 701/94), che si instaura su iniziativa dei proprietari di unità immobiliari di FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 8 nuova costruzione o che hanno subito variazioni edilizie e che prevede una stima diretta da parte dell'ufficio. La Suprema Corte continua, difatti, a ritenere che in tale ipotesi l'obbligo della motivazione dell'avviso di classamento dell'immobile sia adempiuto mediante la semplice indicazione dei dati oggettivi acclarati dall'ufficio e della classe conseguentemente attribuita, in quanto la stima eseguita, che costituisce il fondamento dell'atto, in ragione della struttura fortememente partecipativa del procedimento, anche se non riprodotta o allegata, è conosciuta o comunque facilmente conoscibile per il contribuente, il quale, mediante il raffronto con i dati indicati nella propria dichiarazione, può comprendere le ragioni della classificazione e tutelarsi mediante ricorso alle commissioni tributarie (così la Corte di cassazione, Sezione tributaria, sentenze 2268/2014 e 16824/2006). L'atto a prova di annullamento NIENTE ABBREVIAZIONI L'amministrazione non può limitarsi ad indicare la nuova consistenza, categoria e classe attribuita all'immobile QUANDO PUÒ CAMBIARE LA RENDITA La motivazione dell'atto deve specificare a quale causa è riconducibile la variazione catastale e, quindi, se al comma 58 dell'art. 3 della legge n. 662 del 1996 o ai commi 335 e 336 dell'art. 1 della legge n. 311 del 2004 (omesso aggiornamento, manifesta incongruenza tra il precedente classamento ed il classamento di fabbricati similari aventi caratteristiche analoghe; risistemazione dei parametri relativi alla microzona in cui è collocato l'immobile; trasformazioni edilizie subite dall'unità immobiliare) I PRESUPPOSTI DI FATTO La motivazione dell'atto deve, inoltre, indicare i concreti presupposti di fatto della modifica apportata e, pertanto, individuare in modo analitico e dettagliato gli immobili di riferimento e le caratteristiche che li rendono analoghi a quello interessato, gli eventuali lavori eseguiti nell'immobile, il rapporto tra valore catastale e di mercato della microzona di collocazione e delle altre microzone comunali ed il significativo scostamento LE CARATTERISTICHE SIMILARI L'onere di motivazione può essere assolto, riguardo all'indicazione degli immobili di riferimento, aventi caratteristiche similari a quello oggetto della variazione catastale, anche mediante la riproduzione o allegazione di un altro atto, come, ad esempio, la nota del Comune, che abbia un contenuto completo In sintesi LE LEGGI DA CITARE L'atto va motivato in base a precise norme: il comma 336 dell'articolo 1 della legge 311/2004, in ragione di trasformazioni edilizie subite dall'unità immobiliare, con l'analitica indicazione di queste trasformazioni; oppure il comma 335 della stessa legge nell'ambito di una revisione dei parametri catastali della microzona in cui l'immobile è situato, giustificata dal significativo scostamento del rapporto tra valore di mercato e valore catastale in questa microzona rispetto all'analogo rapporto nell'insieme delle microzone comunali; o, ancora, il comma 58 dell'articolo 3 della legge 662/96, per constatata manifesta incongruenza tra il precedente classamento dell'unità immobiliare e il classamento di fabbricati similari con caratteristiche analoghe, individuando tali fabbricati, il loro classamento e le caratteristiche analoghe che li renderebbero similari all'unità immobiliare oggetto di riclassamento. RAPPORTO LEALE Queste specificazioni sono necessarie per dare al contribuente la possibilità di conoscere i presupposti del riclassamento, valutare l'opportunità di fare o meno acquiescenza al provvedimento e approntare le proprie difese con piena cognizione di causa, nonché impedire all'amministrazione, nel quadro di un rapporto di leale collaborazione, di addurre, in un eventuale successivo contenzioso, ragioni diverse rispetto a quelle enunciate (come ha chiarito la Cassazione con la sentenza 16643/2013) (Federica Picardi, Il Sole 24ORE, 30 agosto 2014) FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 9 Immobili e agevolazioni Lo sconto del Fisco con bonifico tracciato Il fotovoltaico può accedere alla detrazione fiscale sulle ristrutturazioni edili, che copre gli interventi di risparmio energetico realizzati anche in assenza di opere edilizie propriamente dette. La detrazione Irpef vale il 50% delle spese (progettazione, materiali, lavori, oneri) sostenute entro il prossimo 31 dicembre; se non interverranno proroghe o modifiche, scenderà al 40% nel 2015 e al 36% a regime, dal 1° gennaio 2016. Non conta la data in cui vengono eseguiti i lavori o rilasciata la fattura, ma solo quella in cui si effettua il pagamento. La detrazione, divisa in dieci quote annuali di pari importo (nell'anno in cui è sostenuta la spesa e in quelli successivi), spetta non solo al proprietario, ma anche al titolare di diritti reali e personali di godimento sull'immobile (ad esempio usufruttuario o comodatario) oppure al familiare convivente del possessore o detentore. L'essenziale è che ne sostenga le spese e gli siano intestati bonifici e fatture. Per ottenere l'agevolazione, rimane infatti necessario pagare con bonifico bancario o postale dedicato, da cui risultino: causale del versamento, con riferimento alla norma (articolo 16-bis del Dpr 917/1986), codice fiscale di chi paga, codice fiscale o numero di partita Iva del beneficiario. Quando a sostenere la spesa sono più contribuenti e tutti vogliono fruire della detrazione (che andrà suddivisa), si deve riportare il codice fiscale di ognuno. Per gli interventi condominiali, oltre al codice fiscale del condominio, bisogna indicare anche quello dell'amministratore o del condomino che effettua il pagamento, pena la perdita dell'agevolazione. Stessa cosa se, a richiesta degli uffici, non vengono esibite le fatture o le ricevute fiscali che dimostrano le spese. Oltre a questi documenti, bisogna essere in possesso di: - ricevute di pagamento dell'imposta comunale (Ici-Imu), se dovuta; - abilitazione amministrativa richiesta (di solito la comunicazione di inizio lavori ma è sempre bene verificare il regolamento edilizio comunale); - dichiarazione di consenso da parte del possessore dell'immobile, per gli interventi fatti dal detentore; - delibera assembleare di approvazione dei lavori riguardanti parti comuni degli edifici residenziali, con la tabella millesimale di ripartizione delle spese. La detrazione spetta infatti al singolo condòmino nel limite della quota a lui imputabile. Nella dichiarazione è poi sufficiente indicare i dati catastali identificativi dell'immobile; e se i lavori sono effettuati dal detentore, gli estremi di registrazione dell'atto che ne costituisce titolo e gli altri dati richiesti per il controllo della detrazione. Il bonus riduce l'Irpef dovuta per l'anno d'imposta fino alla capienza della stessa imposta. Se però l'imposta dovuta è inferiore alla quota di detrazione, la parte in eccesso va persa. (Dario Aquario, Il Sole 24 ORE – Guida pratica, 26 agosto 2014) Con il conto termico il rimborso è più veloce I pannelli solari termici possono sfruttare in alternativa alla detrazione fiscale gli incentivi del conto termico: in questo caso, propriamente, si parla di collettori solari anche abbinati a tecnologia di solar cooling. Significa che – a differenza del bonus fiscale del 65% – non si favorisce questo sistema solo per la produzione di acqua calda sanitaria, ma anche per riscaldamento e raffrescamento (cooling). Il sistema deve comunque possedere determinati requisiti di conformità (norme Uni En 12975 o 12976) e rendimento. All'utente è dunque concessa facoltà di scegliere tra due incentivi molto diversi. Rispetto all'eco-bonus, il conto termico non offre una detrazione fiscale, ma tramite il Gestore dei servizi energetici (Gse) eroga sul conto corrente un contributo diretto in cinque o due rate annuali, a seconda che la taglia dell'impianto solare superi o no i 50 metri quadri. L'incentivo è calcolato sulla base della superficie captante del pannello stesso, secondo una specifica tabella: se ipotizziamo un impianto di 5 mq, si ricevono 1.700 euro in due anni. Il conto termico non premia solo l'installazione di collettori solari, ma anche la sostituzione di impianti di climatizzazione invernale esistenti con altri dotati di pompe di calore, elettriche o a gas, o di generatori alimentati a biomassa; e la sostituzione di scaldacqua elettrici con quelli a pompa di calore. I rimborsi sono nell'ordine del 40% dei costi sostenuti, ma in alcuni casi FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 10 possono rivelarsi più bassi: per gli impianti di riscaldamento, ad esempio, la percentuale dipende dalle spese di installazione, dalla taglia e dalla zona climatica. Se il contributo è quindi inferiore a quello della detrazione del 65% (che il Governo punta a stabilizzare), è d'altra parte più rapido e soprattutto slegato dalla situazione fiscale: non va a pesare la capienza d'imposta e – specie se si portano in detrazione altre somme – può risultare preferibile a un eco-bonus che altrimenti si rischia di non monetizzare, anche solo in parte. La richiesta di accesso ai contributi va presentata sul portale Gse da chi sostiene le spese (o da un delegato) entro 60 giorni dalla fine dei lavori. Se la domanda viene accolta, entro 60 giorni si riceve la lettera di avvio e si può accettare la scheda-contratto. Si possono presentare, in momenti successivi, ulteriori richieste relative allo stesso edificio e per la stessa tipologia di intervento, ma sempre nei limiti di potenza o estensione previsti (per i pannelli solari il massimo è mille metri quadri). La liquidazione annua avviene via bonifico e gli importi sono al netto di un corrispettivo per i costi tecnico-amministrativi, pari all'1% del contributo totale riconosciuto. Contributo che per i privati attinge da un plafond annuo di 700 milioni di euro, finora poco utilizzato proprio perché sconta la concorrenza delle detrazioni fiscali. (Dario Aquario, Il Sole 24 ORE – Guida pratica, 26 agosto 2014) Edilizia e Urbanistica Terrazza a livello come il lastrico Nonostante le sostanziali differenze strutturali che caratterizzano il lastrico solare e la terrazza a livello, per i giudici di legittimità la diversità tra i due manufatti continua a restare puramente teorica e astratta. Il che significa che tutti i condomini devono comunque concorrere con il proprietario della terrazza a livello nel pagamento delle spese necessarie per la riparazione o la ricostruzione della terrazza stessa, quand'anche il suo deterioramento trovi causa nella mancata manutenzione ovvero in difetti ricollegabili alle sue caratteristiche costruttive. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 18164 del 25 agosto 2014, affermando che all'obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini in concorso con il proprietario superficiario. Questo obbligo trova infatti fondamento non già nel diritto di proprietà della terrazza medesima, ma nel principio in base al quale i condomini sono tenuti a contribuire alle spese in ragione dell'utilità che la cosa da riparare o da ricostruire è destinata a dare ai singoli appartamenti sottostanti. Era successo che il proprietario dell'appartamento sottostante il terrazzo a livello che serviva anche da copertura dell'edificio condominiale aveva citato in giudizio il proprietario esclusivo del terrazzo per ottenere il ristoro dei danni che si erano verificati nel suo immobile a seguito, a suo dire, di negligente omissione da parte di costui nell'esecuzione di opere atte a eliminare la fonte dei danni stessi, dovuta non già a vetustà o a difetto di manutenzione, bensì a vizi originari delle opere realizzate. Il giudizio di primo grado si era concluso in suo favore, ma i giudici supremi hanno capovolto la prima sentenza sul presupposto che in ogni caso il condominio continua a mantenere l'onere della custodia e risponde quindi, ex articolo 2051 del Codice civile, dei danni provocati negli appartamenti sottostanti al terrazzo a livello a seguito di infiltrazioni d'acqua conseguenti a difetti di manutenzione, sempre che tali danni non derivino da fatto imputabile soltanto al proprietario o a colui che ne fa uso esclusivo. Sotto questo profilo è stata peraltro negata valenza probatoria alla perizia stragiudiziale prodotta dal danneggiato che, per quanto "giurata", costituisce un atto di parte anche in ordine ai fatti che il consulente asserisce di avere direttamente accertato. Quanto al concetto di "terrazza a livello", si intende tale una superficie scoperta posta al sommo di alcuni vani e, nel contempo, sullo stesso piano di altri, dei quali costituisce parte integrante strutturalmente e funzionalmente, talché deve ritenersi, per il modo in cui è stata realizzata, che sia destinata non solo e non tanto a coprire una parte del fabbricato, ma soprattutto a dare possibilità di espansione e di ulteriore comodità all'appartamento del quale è contigua, costituendo di esso una proiezione all'aperto. FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 11 È consolidato il principio per cui la spesa per la riparazione o la ricostruzione della terrazza a livello, al pari del lastrico solare, va sopportata dai condomini secondo il criterio di cui all'articolo 1126 del Codice civile, talché i due terzi restano a carico dei proprietari delle unità immobiliari a essa sottostanti, limitatamente alle porzioni di queste a cui la terrazza serve da copertura (Cassazione 16583/12). Il che comporta che non solo bisogna separare i condomini che hanno l'uso esclusivo della terrazza (o del lastrico) per addebitare l'onere di un terzo della spesa per la riparazione o la ristrutturazione, ma nell'abito dei rimanenti condomini va fatta un'ulteriore distinzione fra chi ha o no l'appartamento nella zona dell'edificio coperta dalla terrazza o dal lastrico. (Augusto Cirla, Il Sole 24 ORE, 26 agosto 2014) Semplificazione delle procedure edilizie: interventi di ristrutturazione, permessi di costruire e contributi di costruzione Prosegue la via della sburocratizzazione e della semplificazione delle procedure in edilizia: applicazione degli artt. 149 e 167 del D. Lgs. 42/2004 dopo l’entrata in vigore della legge 98/2013; costruzione di una copertura a falde di un fabbricato sito in area d’interesse paesaggistico, di cui all’art. 146 del D. Lgs. 42/2004 e s.m.i.; variazione delle altezze delle falde in corso di costruzione con creazione di un sottotetto non autonomamente utilizzabile al servizio delle unità immobiliari sottostanti, di già previsto nel progetto approvato. 1. I lavori di copertura a falde con creazione di un sottotetto non autonomamente utilizzabile al servizio delle unità immobiliari sottostanti possono essere classificati come ampliamento senza aumento di carico urbanistico in quanto non aumenta il numero di unità immobiliari presenti nel fabbricato ed è funzionale all’unità immobiliare esistente e non fruibile autonomamente. Pertanto per l’esecuzione di detti lavori non necessita il rispetto del lotto minimo eventualmente previsto dalle N.T.A. allegate allo Strumento Urbanistico vigente per la zona omogenea d’interesse; 2. Con l’entrata in vigore dell’art. 30 del Decreto Legge del 21 giugno 2013, n. 69, convertito in legge n. 98/2013 gli interventi di ristrutturazione edilizia nonché le varianti minori ai permessi di costruire anche con modifica della sagoma (comma 1, lett. c , e) sono realizzabili son SCIA. Sono esclusi solo gli immobili (fabbricati) sottoposti a vincolo ai sensi del D. Lgs. 42/2004. Sono invece inclusi gli immobili non sottoposti a vincolo ai sensi del D. Lgs. 42/2004 ma che ricadono in aree di interesse paesaggistico di cui agli artt. 142 e 146 del D. Lgs. 42/2004. (N.B.: L’art. 146 del D. Lgs. 42/2004 si applica a immobili ed aree di interesse paesaggistico, mentre l’art. 30 della legge n. 98/2013) specifica che l’esclusione di cui sopra riguarda i soli immobili sottoposti a vincolo ai sensi del D. Lgs. 42/2004 e non anche le aree di interesse paesaggistico). Pertanto le modifiche al progetto approvato con permesso di costruire, poiché rientrano tra le varianti minori in quanto non sono né varianti sostanziali né varianti totali, sono oggetto di una o più SCIA che costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell'intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori, per come previsto dall’art. 22 comma 2 del D.P.R. 380/2001, per come modificato dalla legge n. 98/2013. 3. Per quanto attiene l’applicazione del vincolo paesaggistico riguardante la sola area e non l’immobile, le modifiche apportate al progetto approvato rientrano tra gli interventi di cui all’art. 149 del D. Lgs. 42/2004 che non sono soggetti ad autorizzazione. Infatti l’art. 149 prevede che: “…. non è comunque richiesta l’autorizzazione prescritta dall’articolo 146 … per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici.” A tal proposito è opportuno ricordare quanto costantemente ribadito in sentenze sia dei Tar che del CdS e contenuto nella sentenza n. 776/2012 della Prima sezione del TAR Abruzzo ed in particolare “che l’alterazione FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 12 rilevante per l’art. 146 D.lgs. 42/204 è solo quella che induce la “percepibilità della modificazione dell’aspetto esteriore del bene” e tale percepibilità si verifica allorché vi sia effettiva compromissione dell’aspetto fisico del bene tutelato con innovazioni estetiche che alterino il valore o il decoro architettonico del fabbricato ovvero le sue caratteristiche esteriori.” Si evidenzia che nel caso in esame il bene tutelato non è il fabbricato di cui si realizza la copertura a falde, ma l’area su cui ricade che è classificata di “interesse paesaggistico”. Pertanto è necessario verificare se le modifiche apportate al progetto approvato, consistenti nell’aumento di alcuni centimetri dell’altezza di parte della copertura a falde in corso di costruzione, hanno apportato una effettiva compromissione dell’aspetto del paesaggio (bene tutelato). Si ritiene che le modifiche apportate non compromettono l’aspetto del paesaggio (bene tutelato), in quanto fra l’altro, per come ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione, sezione terza penale con sentenza n. 28227/2011, un “intervento assume rilevanza sotto il profilo paesaggistico, verificando se abbia caratteristiche e consistenza tale da configurare, quantomeno, una modifica dell’aspetto esteriore dell’area ovvero un’utilizzazione della stessa non conforme all’originaria destinazione.” Nel caso in esame tutto ciò non avviene. A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 149 del D. Lgs. 42/2014, alcuni Comuni come quello di Sesto Fiorentino (FI), che normalmente sono più attenti di altri alla salvaguardia del territorio, hanno diramato delle note semplificative come quella che di seguito si riporta: APPLICAZIONE DELL’ART. 149 DEL D. Lgs. 42/2004. A seguito dell’entrata in vigore del D.P.R. 09/07/2010 n. 139 “Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, a norma dell’art. 146, c.9 del D. Lgs. 42/2004 e successive modificazioni”, vengono modificate le procedure per il rilascio dell’Autorizzazione Paesaggistica con la previsione di due diversi procedimenti: ordinario e semplificato. La procedura semplificata prevede che, così come confermato anche dall’art.4 dello stesso DPR 139/2010, la verifica dell’esclusione degli interventi previsti dall’Autorizzazione Paesaggistica ai sensi dell’art. 149 del D.Lgs. 42/2004, debba essere effettuata preliminarmente all’eventuale attivazione del procedimento della semplificata. L'applicazione dell'articolo 149, comma 1 deve essere sempre effettuata dal Comune. Si fornisce comunque una esemplificazione di alcuni interventi che, non rientrando sicuramente nell’elenco dell’Allegato I del DPR 139/2010, possono essere valutati tali da NON ALTERARE lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici. L’elenco sotto riportato non può, comunque, essere ritenuto esaustivo di tutta la casistica che si potrebbe prospettare con la presentazione delle pratiche. Elenco esemplificativo di interventi ricadenti nell’art.. 149 c.1 del D. Lgs. 42/2004. 1. Opere INTERNE o COMPLETAMENTE INTERRATE prive, pure in astratto, di una oggettiva possibilità di impatto sul paesaggio; 2. Tutte le opere rientranti nella manutenzione ordinaria. 3. Varianti ad Autorizzazioni Paesaggistiche rilasciate che comportino lievi modifiche ad interventi già autorizzati. Modifiche resesi necessarie sulla base dei giusti posizionamenti rilevati in corso di esecuzione dell’opere, mantenendo comunque le stesse caratteristiche tipologiche e di finitura; 4. Varianti ad Autorizzazioni Paesaggistiche rilasciate che comportino la MANCATA realizzazione di opere autorizzate e che non interferiscono con le altre opere in progetto e già autorizzate; 5. 6. 7. 8. a. Modifiche di lastrici solari o terrazze a tasca di piccole dimensioni; Modifiche di canne fumarie o comignoli; Modifiche di abbaini o elementi consimili; Interventi puntuali nelle aree di pertinenza di edifici esistenti, quali: pavimentazioni, FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 13 b. accessi pedonali e carrabili di larghezza non superiore a 4 m, c. modellazioni del suolo, d. rampe o arredi fissi; 9. Collocazione di tende da sole sulle facciate degli edifici per locali NON destinati ad attività commerciali e pubblici esercizi; 1 Esemplificazione degli interventi definiti di manutenzione ordinaria: · il riordino del manto di copertura, anche con sostituzione di parti deteriorate della piccola orditura del tetto, la riparazione di comignoli, la riparazione di grondaie e pluviali, nonché la loro sostituzione con utilizzo degli stessi materiali, la riparazione o il rifacimento di manti impermeabili senza modifiche estetiche, la coibentazione del manto di copertura. · la pulitura di facciate, il ripristino parziale della tinteggiatura, di intonaci e di rivestimenti, la riparazione e il ripristino di infissi e ringhiere, la riparazione e il rifacimento di pavimentazioni interne e di quelle esterne (terrazzi, cortili), purché per queste ultime vengano usati materiali con le stesse caratteristiche e colori dei preesistenti. · la riparazione e sostituzione parziale dell'orditura secondaria del tetto, con mantenimento dei caratteri originari. · la sostituzione di infissi e serramenti esterni, portoni, cancelli, vetrine di negozi, balaustrate e ringhiere con altri in tutto identici agli esistenti. · la tinteggiatura delle facciate. · la sostituzione di serramenti interni. · la sostituzione di pavimenti, di rivestimenti e dei sanitari; · la posa o sostituzione di controsoffittature leggere ed isolanti termoacustici interni. · la realizzazione o rifacimento delle reti o degli apparecchi degli impianti tecnologici, idrici, igienico-sanitari, elettrici, termici, ecc., utilizzando locali già aventi apposita destinazione, senza modificarne la superficie e le aperture. · la sostituzione del solo generatore di calore di impianto termico, senza altre modifiche all'impianto; · la modifica degli impianti termico, idrico o elettrico esistenti. · i rappezzi e ancoraggi di parti pericolanti nella facciata. 10. Interventi puntuali di adeguamento della viabilità esistente quali modifiche di banchine e marciapiedi; 11. Interventi di allaccio alle infrastrutture a rete NON comportanti la realizzazione di opere in soprasuolo ovvero che non emergano dal piano di campagna; 12. Interventi puntuali di arredo urbano comportanti modifiche di manufatti e componenti esistenti; 13. Modifica di lievi entità di impianti tecnologici esterni per uso domestico autonomo, quali condizionatori e impianti di climatizzazione dotati di unità esterna, caldaie, parabole, antenne; 14. Inserimento in facciata di fori e griglie, di modesta dimensione, necessarie al corretto funzionamento degli impianti interni, purché di colore analogo a quello della facciata dell’edificio; 15. Posa in opera di manufatti completamente interrati (serbatoi, cisterne, fosse biologiche, pozzetti di ispezione, etc.), che NON comportino la modifica della morfologia del terreno e la realizzazione di opere in soprasuolo, ovvero che non emergano dal piano di campagna; 16. Pozzi, opere di presa e prelievo da falda per uso domestico, preventivamente assentiti dalle Amministrazioni competenti, NON comportanti la realizzazione di manufatti in soprasuolo, FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 14 ovvero che non emergano dal piano di campagna; 17. Occupazione temporanea di suolo privato, pubblico, o di uso pubblico, con strutture mobili, chioschi e simili, per un periodo NON superiore a 120 giorni; 18. Installazione dei sistemi anticaduta di tipo permanente sulla copertura degli edifici (quali linee vita, ganci e pali) necessari al rispetto delle Misure preventive di cui al DPGR 62/R del 23/11/2005 e degli impianti parafulmine. Si sottolinea come, nei casi individuati come “puntuali”, si debba sempre far riferimento sia alla modestia degli interventi, ma anche alla loro conformità a quelle norme puntuali, dettate dal RU, e motivate da logiche derivanti dalla rilevanza dell’oggetto nel paesaggio. Si ricorda che, presupposto fondamentale di questa esemplificazione, rimane la conformità ed il rispetto delle norme urbanistiche ed edilizie vigenti. 4. E’ opportuno verificare se per le modifiche di che trattasi possa o debba richiedersi la compatibilità paesaggistica di cui all’art. 167 comma 1-quater, che testualmente recita: “Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi di cui al comma 1-ter presenta apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni.” In caso di risposta affermativa, deve applicarsi il comma 1-ter del citato art. 167, che prevede: “Ferma restando l'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all'articolo 167, qualora l'autorità amministrativa competente accerti la compatibilità paesaggistica secondo le procedure di cui al comma 1-quater, la disposizione di cui al comma 1 non si applica: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica; c) per i lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.” I lavori in esame rientrano pertanto tra quelli di cui alla lett. a), in quanto varia di alcuni centimetri l’altezza delle falde rispetto al progetto per il quale è stato rilasciato parere favorevole dal punto di vista paesaggistico ambientale da parte dell’Ente competente, per i quali, quindi non si applicano “le pene previste dall'articolo 44, lettera c), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380”, ma neanche le sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’art. 167 in quanto realizzabili mediante SCIA, che costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell'intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori, per come previsto dall’art. 22 comma 2 del D.P.R. 380/2001, per come modificato dalla legge n. 98/2013. (Il Sole24 ORE – Tecnci24, 3 settembre 2014) FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 15 Legge e prassi (G.U. n. 206 del 5 settembre 2014) Economia e fisco MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 17 giugno 2014 Ulteriore incremento della dotazione finanziaria per la concessione di agevolazioni in favore di programmi di investimento finalizzati al perseguimento di specifici obiettivi di innovazione, miglioramento competitivo e tutela ambientale nelle regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, di cui al decreto 29 luglio 2013. (G.U. 8 agosto 2014, n. 183) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 4 agosto 2014 Modalita' di trasmissione telematica della dichiarazione IMU, TASI, ENC, ai sensi del comma 719 dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (G.U. 11 agosto 2014, n. 185) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 1 luglio 2014 Criteri e modalita' per assicurare la gestione del programma di agevolazioni a favore delle micro, piccole e medie imprese italiane per la valorizzazione economica dei disegni e modelli industriali. (G.U. 14 agosto 2014, n. 188) LEGGE 11 AGOSTO 2014, N. 116 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, recante disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonche' per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea. (G.U. 20 agosto 2014, n. 192 – S.O.) Ambiente LEGGE 22 luglio 2014, n. 110 Modifica al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in materia di professionisti dei beni culturali, e istituzione di elenchi nazionali dei suddetti professionisti. (G.U. 8 agosto 2014, n. 183) FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 16 MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE Decreto 3 giugno 2014, n. 120 Regolamento per la definizione delle attribuzioni e delle modalita' di organizzazione dell'Albo nazionale dei gestori ambientali, dei requisiti tecnici e finanziari delle imprese e dei responsabili tecnici, dei termini e delle modalita' di iscrizione e dei relativi diritti annuali. (G.U. 23 agosto 2014, n. 195) FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 17 Giurisprudenza Immobili CORTE DI CASSAZIONE – Sezione Terza - Sentenza n. 13665 del 16 giugno 2014 Occupazione abusiva di immobile altrui: per la prova del danno ammissibile il ricorso ai criteri presuntivi In caso di abusiva occupazione di un immobile, ai fini della dimostrazione dell’esistenza di un danno risarcibile, è ammissibile il ricorso alla prova presuntiva. Lo ha ribadito la Corte di cassazione nella sentenza sez. III civile del 16/06/2014 n. 13665. Il danno derivante dall’abusiva occupazione di un immobile, essendo pur sempre un dannoconseguenza, non può ritenersi sussistente “in re ipsa” e coincidente con l’evento, ma deve essere provato dal danneggiato, il quale è tenuto a dimostrare di aver subito una effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto concedere in locazione o comunque utilizzare, l’immobile stesso, ovvero per aver perso l’occasione di venderlo ad un prezzo conveniente o per altri pregiudizi in concreto sofferti. Tuttavia, ciò non impedisce che si faccia ricorso, ai fini della dimostrazione del danno, ai criteri presuntivi, stante la piena dignità di prova riconosciuta alle presunzioni, proprio ai fini della dimostrazione dell’esistenza di un danno risarcibile. Tali principi, già espressi dal giudice di legittimità, sono stati ribaditi in una recente pronuncia (Cass. civ., Sent. 16 giugno 2014, n. 13665, Pres. Russo, Rel. Cirillo, P.M. Fresa). Nel caso in esame, in primo grado, il tribunale, subentrato al pretore, aveva accolto la domanda proposta da una amministrazione comunale e volta ad ottenere sia il rilascio di un immobile occupato da due convenuti “sine titulo” che il risarcimento liquidato in una ingente somma dalla quale era stato poi detratto l’importo dovuto dall’attrice a titolo di interventi straordinari effettuati sul predetto bene. Proposta impugnazione da parte dei soccombenti, la corte del merito aveva rigettato tanto l’appello principale quanto quello incidentale. Nella fattispecie, precisa la Cassazione, pur non facendo riferimento in modo esplicito alla prova presuntiva, la corte d’appello ha applicato in concreto una presunzione non esplicitata, ossia quella che si trae dal valore locativo di un immobile sul mercato; e da questo elemento, richiamando l’art. 1591 cod. civ., ha tratto la conclusione che il danno poteva essere calcolato assumendo come parametro l’equo canone. A tal proposito, conclude la sentenza in esame, non si può non sottolineare che gli odierni ricorrenti – per come risulta chiaramente dalla sentenza impugnata – in sede di merito non hanno avanzato alcuna contestazione sulla correttezza della linea assunta dalla corte territoriale, davanti alla quale, anzi, costoro si sono limitati alla contestazione relativa al concreto classamento dell’immobile (A/7 ovvero A/8), in tal modo sostanzialmente riconoscendo la legittimità del criterio seguito dal c.t.u., poi recepito dalla sentenza impugnata. In virtù di quanto affermato, quest’ultima è stata confermata dalla Suprema Corte con rigetto del ricorso e condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. (Federico Ciaccafava, Il Sole24 ORE - Tecnici24, 6 agosto 2014) Tribunale di Trento - Sentenza 1 aprile 2014 n. 417 Copertura dei box: pagano i proprietari e il condominio Le spese necessarie per la manutenzione e il rifacimento dell'area condominiale adibita a parcheggio che svolge anche la funzione di copertura dei box sottostanti vanno sostenute in parti uguali dal condominio e dai proprietari delle sottostanti proprietà esclusive. Lo ha ribadito FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 18 il tribunale di Trento con la sentenza 417 dell'1 aprile 2014, che ha respinto l'impugnazione proposta da un condomino contro la delibera di riparto delle spese assunta dall'assemblea. Per il giudice, infatti, allo stato di degrado dell'area in questione avevano contribuito due fattori: il traffico dei veicoli e l'omessa manutenzione da parte dei condomini. Nella determinazione del criterio di riparto delle spese è inoltre necessario considerare l'utilità derivante dal bene comune; se è vero che l'area di transito è utilizzata da tutti i condomini per accedere o per recedere oppure per parcheggiare, è anche innegabile che nel contempo essa riveste l'importante funzione di riparo e copertura dei locali che stanno al di sotto. Tenuto peraltro conto che, nel caso esaminato, gli interventi non hanno riguardato solo la pavimentazione dell'area a parcheggio, ma soprattutto l'impermeabilizzazione della soletta, il giudice, peraltro aderendo a precedenti giurisprudenziali (come la sentenza 15841/2011 della Cassazione), ha applicato in via analogica l'articolo 1125 del Codice civile, secondo cui le spese per la manutenzione e ricostruzione di volte e solai sono sostenute in parti uguali dai proprietari dei due piani uno all'altro sovrastanti. Nel caso esaminato dal tribunale di Trento, non si ha una utilizzazione particolare del solaio di copertura da parte di un condomino rispetto agli altri, ma una utilizzazione conforme alla destinazione tipica, anche se non esclusiva, di tale manufatto da parte di tutti i condomini. L'area è infatti utilizzata da questi ultimi sia come parcheggio, sia per andare alle proprie unità immobiliari, ma riveste contemporaneamente la funzione di riparo e copertura del l'autorimessa. Con questi presupposti, non può essere accolta la tesi del condomino impugnante per cui, trattandosi di interventi concernenti la praticabilità dell'area, le spese si sarebbero dovute porre a carico dei proprietari utilizzatori della stessa. Va escluso invece che possa trovare giustificazione una diversa misura di addebito tra i comproprietari in ragione di un terzo al condominio e due terzi ai proprietari dei locali sottostanti, come invece avevano in precedenza ritenuto alcune sentenze, applicando l'analogo principio dettato per i lastrici solari e andando in tal modo a penalizzare i proprietari dei box, spesso vittime incolpevoli di una cattiva manutenzione della sovrastante area comune e di una incuria nella gestione di essa. Non va peraltro dimenticato che il condominio è custode di tutti i beni comuni e quindi anche dell'area adibita a parcheggio. In tale veste risponde dei danni conseguenti a negligenza nella manutenzione o, in genere, di quelli per cui non abbia adottato tutte le necessarie misure per evitarli. La principale fonte di danni, in questi casi, è costituita dalle infiltrazioni d'acqua. La responsabilità per quelli causati alle unità immobiliari sottostanti all'area comune, se dovuti a mancanza di manutenzione e/o di ricostruzione, ha natura extracontrattuale e trova origine dalla violazione del dovere di custodia previsto dall'articolo 2051 del Codice civile. (Augusto Cirla, Il Sole 24 ORE – 25 agosto 2014) Compravendita immobiliare CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE 2 – Sentenza 13 giugno 2014, n. 13528 Compravendita immobiliare - Dichiarazione da parte del venditore che il prezzo è stato pagato - Nullità del contratto per mancanza del requisito essenziale del prezzo - Esclusione CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE 2 – Sentenza 11 giugno 2014, n. 13228 Compravendita immobiliare - Preliminare - Caparra - Risoluzione per inadempimento Risarcimento danno - Quantificazione - Limiti conseguenti alla domanda risolutoria CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE 2 – Ordinanza 4 luglio 2014, n. 15406 Edilizia agevolata - Edilizia economica-popolare - PEEP - Compravendita immobiliare Preliminare - Vincoli sull'immobile - Prezzo di cessione - Misura - Legge n. 865 del 197 Edilizia e urbanistica FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 19 CONSIGLIO DI STATO, sentenza 8 agosto 2014 n. 4226 Sulla costa piscina compatibile Una piscina realizzata vicino al mare, nella fascia di tutela, può essere ritenuta compatibile con il vincolo paesaggistico: lo sottolinea il Consiglio di Stato con la sentenza 8 agosto 2014 n. 4226, relativa ad un intervento nel Comune di Orbetello sulla riviera toscana. Il contrasto era sorto in quanto un Comune aveva respinto un'istanza di sanatoria in base alla legge 47 del 1985, facendo generico riferimento all'impatto visivo dell'opera; in particolare, si discuteva della visibilità della piscina da parte di chi guardasse verso il complesso edilizio percorrendo la costa. Per negare tale visibilità e quindi il presupposto stesso del diniego di compatibilità paesaggistica, il costruttore aver fornito una relazione tecnica con allegati grafici e fotografici dai quali risultava che la piscina era notevolmente arretrata rispetto alla linea di costa, e quindi non risultava visibile dal mare. Al più, dalla costa era possibile scorgere il belvedere con giardino prospicienti la piscina, ma solo ponendosi al livello di tali strutture, e non da quote inferiori (e, in particolare, dal livello della costa), l'intervento era effettivamente percepibile. Infine, si discuteva anche di una discesa a mare, che era stata realizzata con accorgimenti costruttivi idonei a mitigarne in modo rilevante l'impatto sul paesaggio circostante, ad esempio attraverso il ricorso alla pietra locale e alla copertura dei manufatti con essenze arboree e senza alterare l'andamento del naturale del terreno. Una parte rilevante della decisione del giudice amministrativo riguarda l'esame congiunto della documentazione fornita dal privato rispetto a quella dell'amministrazione: il privato si era immedesimato in un generico fruitore del paesaggio, illustrando la percepibilità dell'abuso nelle varie prospettive utilizzabili; l'amministrazione comunale, invece, aveva esibito unicamente fotografie aeree, nelle quali la piscina risultava particolarmente evidente, anche se in un'ottica non usuale proprio perché aerea. La vicenda esaminata appare rilevante anche per altri casi di realizzazione di piscine, poiché tali strutture, pur non avendo un impatto di tipo volumetrico, sono spesso di forte peso ambientale per la loro collocazione, i riverberi ed i colori fortemente invasivi sull'ambiente. Nel caso specifico, inoltre, si discuteva di un intervento oggetto di sanatoria dell'inizio degli anni 90 e di un provvedimento sfavorevole che derivava da norme sul condono edilizio, di dubbia applicabilità nei casi in cui sussista un vincolo di carattere paesaggistico, diverso dal vincolo di inedificabilità assoluta. Nell'ottica ambientale, il problema della percepibilità dell'abuso emerge anche in altri casi, ad esempio quando il manufatto è arretrato rispetto al fronte visibile, oppure quando è interrato o inglobato in una struttura preesistente che ne esclude l'invasività. In materia di pregiudizio causato da una piscina alla visuale e al paesaggio, si ricorda la sentenza del Consiglio di Stato 3853/2010, secondo la quale un'opera che non abbia uno sviluppo verticale difficilmente può avere rilevanza sotto il profilo paesaggistico, con la conseguenza che i vicini non possono lamentarsi dell'esecuzione piscina. Infine, qualora manchino vincoli ambientali, la realizzazione di questi impianti e agevolata secondo l'orientamento del Consiglio di Stato 1951/2014 che esaminando il caso di una piscina prefabbricata di dimensioni relativamente modeste in rapporto a un edificio a destinazione residenziale, sito in zona agricola, ha qualificato l'opera come una pertinenza, realizzabile (articolo 7, secondo comma, lettera a) del decreto legge 23 gennaio 1982, n. 9) con semplice autorizzazione gratuita, assieme ai vani per impianti tecnologici a servizio della piscina stessa. (Guglielmo Saporito, Il Sole 24 ORE, 28 agosto 2014) FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 20 Antincendio Immobili Rapporto di portierato e recenti sentenze della Cassazione Pietro Gremigni, Consulente Immobiliare - 15 settembre, n. 959 Il rapporto di portierato rappresenta in parte un rapporto particolare nel mondo del lavoro soprattutto per due aspetti: uno legato alla possibile prestazione accessoria della concessione di un immobile per uso abitativo e l’altro relativo alle connessioni con le regole condominiali. Vediamo alcune significative sentenze di questi ultimi mesi emesse a proposito dalla Corte di Cassazione. Instaurazione del rapporto di portierato L’assemblea dei condomini ha il potere di prestare direttamente il proprio consenso, anche per fatti concludenti, alla conclusione di un contratto con il portiere di fabbricati. Ne consegue che l’instaurazione del rapporto di lavoro subordinato può essere desunta, oltre che da delibere assembleari, anche dall’esplicazione dell’attività lavorativa, dall’occupazione, da parte del lavoratore, dell’appartamento condominiale assegnato e dall’accettazione della prestazione di lavoro da parte del condominio. Così si è espressa la Cassazione, con sent. n. 5297 del 6 marzo 2014, che parte dalla pretesa di due lavoratrici di vedersi riconosciuto un rapporto di lavoro subordinato di portierato conseguente a una delibera dell’assemblea dei condomini e dallo svolgimento di fatto della prestazione in ambito condominiale. La Corte stabilisce la valida instaurazione del rapporto, riconducibile ad attività subordinata di portiere di uno stabile condominiale, facendo leva sui seguenti punti: - i poteri dell’assemblea nel decidere le assunzioni; - la natura subordinata del rapporto caratterizzata dal rispetto delle direttive; - l’occupazione di un alloggio condominiale. Poteri dell’assemblea condominiale L’assemblea dei condomini, oltre ad avere il potere di delegare l’amministratore a concludere un determinato contratto, fissando i limiti precisi dell’attività negoziale da svolgere, ha anche il potere di prestare direttamente il proprio consenso alla conclusione di un contratto, non essendo previsto alcun divieto al riguardo nella disciplina del condominio e non sussistendo alcun impedimento tecnico-giuridico per un’efficace manifestazione di volontà negoziale da parte dell’assemblea (Cass., sent. n. 1994 del 25 marzo 1980 e sent. n. 1277 del 29 gennaio 2003). Instaurazione del rapporto Secondo la Cassazione con la sent. n. 5297/2014, l’instaurazione del rapporto subordinato di portierato può avvenire anche per fatti concludenti pure nei confronti di un soggetto giuridico non personificato, qual è il condominio. Inoltre la prestazione risulta sussistere in relazione alla continuativa esplicazione dell’attività lavorativa, all’occupazione dello stabile condominiale assegnato e all’accettazione della prestazione da parte del condominio. Subordinazione La subordinazione deve essere ravvisata nell’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro, esercitato anche mediante il controllo dei singoli condomini. Alloggio FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 21 La somministrazione dell’alloggio ubicato nell’edificio condominiale, qualora non risulti giustificata da un diverso titolo, deve presumersi effettuata, in favore del lavoratore che vi dimora, al fine di svolgervi il servizio di portierato, che implica l’attività di vigilanza e custodia, alla prestazione delle quali è finalizzata la suddetta somministrazione. Alloggio in comodato al portiere L’alloggio dato in comodato al portiere da parte del condominio non è a tempo indeterminato, ma è legato alla sussistenza del rapporto di lavoro. Se il condominio decide di sostituire il portiere risolvendo il rapporto di lavoro, il portiere sostituito non può avanzare una pretesa sul mantenimento dell’alloggio, che dovrà essere reso al condominio per poi essere concesso al nuovo portiere (così Cass., sent. n. 4658 del 26 febbraio 2014). I giudici hanno stabilito che, dall’interpretazione del contratto di comodato stipulato tra le parti, il comodato non fosse destinato alle esigenze abitative, con conseguente mancata previsione del termine e operatività del recesso. In sostanza si trattava di stabilire l’esito del contratto di comodato dell’alloggio dato al portiere in caso di cessazione del rapporto di lavoro. In mancanza di particolari prescrizioni di durata nel contratto di comodato, in mancanza cioè di elementi certi e oggettivi che consentano di prestabilire la durata, l’uso corrispondente alla generica destinazione dell’immobile si configura come indeterminato e continuativo, inidoneo a sorreggere un termine finale, con la conseguenza che, in tali ipotesi, la concessione deve intendersi a tempo indeterminato e cioè a titolo precario, con la possibile revocabilità ad nutum da parte del condominio comodante. La sentenza si innesta nel lungo filone di decisioni che affermano l’importante principio di diritto in questa materia e che cioè «l’utilizzazione dell’alloggio costituisce una prestazione accessoria del rapporto di portierato e, in quanto tale, lungi dall’integrare un autonomo rapporto di locazione, segue le sorti del contratto cui accede, essendo a questo funzionalmente collegata, con obbligo di rilascio al momento della cessazione del rapporto di lavoro». Tale accessorietà si estende evidentemente anche alla cauzione corrisposta in ragione dell’utilizzo dell’alloggio “di servizio” (Cass., sent. n. 18649/2012), cauzione che va quindi restituita al portiere. Modifiche al servizio di portierato La precedente sentenza ci porta a soffermarci sulla questione del licenziamento del portiere a seguito di una valida delibera assembleare che stabilisce o di eliminare il servizio o di sostituire la persona del portiere. Nel primo caso (soppressione del servizio), è pacifico che ciò possa avvenire per giustificato motivo oggettivo per soppressione del posto di lavoro, a seguito di motivazioni di opportunità economica che non sono sindacabili dal giudice. Il condominio deve però dare il preavviso contrattuale al portiere e, nel caso di cessazione immediata, pagare la relativa indennità sostitutiva. Va aggiunto che deve anche essere offerta una mansione equivalente anche inferiore (per esempio, il servizio di pulizie) prima di licenziarlo ai fini della validità del recesso, sempre che sia rintracciabile una mansione alternativa all’interno del condominio. L’altra ipotesi, più delicata, è quella della sostituzione. In questo caso, la semplice sostituzione con un altro lavoratore che ne prende il posto può legittimare il recesso solo se sussiste una giusta causa, ossia solo se il portiere da sostituire ha commesso adempimenti tali da violare il rapporto fiduciario con il condominio. Prima del licenziamento, occorre però rispettare la procedura disciplinare partendo dalla contestazione scritta degli addebiti, per passare poi al contradditorio tra le parti, che deve avvenire entro cinque giorni dalla contestazione e giungere infine al licenziamento in tronco senza preavviso. Se tutto ciò non si realizza, allora il licenziamento è impugnabile e scatterà di regola la sola tutela obbligatoria per il portiere, dato che il numero dei dipendenti di un condominio difficilmente supera la quota di 15: il giudice dichiarerà risolto il rapporto e condannerà il condominio a pagare un indennizzo da 2,5 a 6 mensilità. L’unica eccezione ammessa in giurisprudenza (Cass., sent. n. 88/2002) riguarda l’ipotesi di sostituzione del portiere persona fisica con un servizio di portierato basato su una ristrutturazione del servizio stesso e realizzata attraverso il conferimento dell’incarico a un’impresa appaltatrice. FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 22 Nel caso specifico deciso dalla sentenza citata del 2002, il nuovo servizio di portineria era stato istituito dopo la ristrutturazione dell’immobile con l’adozione di una diversa formula economicogiuridica del servizio di portierato. Il condominio può cioè decidere di non avvalersi più di una prestazione personale basata su rapporto fiduciario diretto, ma di ricorrere, risparmiando indubbiamente sui costi, a una offerta complessiva e più organizzata. L’impresa appaltatrice può cioè interscambiare le persone addette, prevedere la copertura del servizio 24 ore su 24 ore, magari affidare le ore notturne a personale specializzato in security e quelle diurne a esperti di pulizie o altro. Appalto del servizio di portierato L’argomento affrontato da ultimo nel paragrafo precedente ci porta a un’altra questione di rilevante attualità, ossia quella di offrire il servizio di portierato non a una persona fisica legata con rapporto di lavoro, ma a una specifica impresa o cooperativa appaltatrice specializzata. È chiaro che il presupposto che legittima l’operazione è che si tratti di un appalto vero e genuino e non di una modalità per mascherare un’interposizione illecita di manodopera. L’art. 29 del D.Lgs. 276/2003 prevede le condizioni di un appalto genuino (organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, assunzione da parte del medesimo appaltatore del rischio d’impresa), condizioni che devono essere rispettate anche dal condominio. Pertanto gli addetti non devono prendere direttive specifiche né dall’amministratore, né da singoli condomini. Inoltre l’appalto si basa su un servizio che, rispetto al rapporto di lavoro diretto col portiere, deve essere “polifunzionale”, deve assicurare cioè un’offerta organizzata, più assortita di quella garantita dal singolo portiere e specializzata. Inoltre vi deve essere un rischio di impresa e il Tribunale di Milano, in una recente sentenza (15 gennaio 2014), ha affermato che il compenso del contratto di appalto di servizio, quando concordato in una misura fissa, denota assunzione di un rischio da parte dell’appaltatore. Infatti, ciò comporta che ogni costo ulteriore sostenuto (anche eventualmente per sostituire i dipendenti in caso di assenza) è certamente affrontato dall’appaltatore, che quindi non rappresenta un semplice intermediario fittizio tra lavoratore e condominio, ma una realtà imprenditoriale che offre servizi di portierato. FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 23 Immobili e fisco Vendita di un immobile all'asta - Determinazione della base imponibile Servidio Salvatore, La Settimana Fiscale, 3 settembre 2014, n. 32 QUADRO NORMATIVO L'art. 44, co. 1, D.P.R. 26.4.1986, n. 131, stabilisce che, per la vendita di beni mobili e immobili fatta in sede di espropriazione forzata ovvero all'asta pubblica e per i contratti stipulati o aggiudicati in seguito a pubblico incanto la base imponibile è costituita dal prezzo di aggiudicazione, diminuito, nell'ipotesi di inadempienza dell'aggiudicatario (art. 587, c.p.c.), della parte già assoggettata all'imposta. L'art. 51, co. 2, D.P.R. 26.4.1986, n. 131, dispone che per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari e per quelli che hanno per oggetto aziende o diritti reali su di esse, per valore s'intende il valore venale in comune commercio. L'art. 52, co. 4 e 5, D.P.R. 26.4.1986, n. 131, prevede che non siano sottoposti a rettifica il valore o il corrispettivo degli immobili, iscritti in catasto con attribuzione di rendita, dichiarato in misura non inferiore, per i terreni, a 75 volte il reddito dominicale risultante in catasto e, per i fabbricati, a 100 volte il reddito risultante in catasto, aggiornati con i coefficienti stabiliti per le imposte sul reddito, né i valori o corrispettivi della nuda proprietà e dei diritti reali di godimento sugli immobili stessi dichiarati in misura non inferiore a quella determinata su tale base a norma degli artt. 47 (Enfiteusi) e 48 (Valore della nuda proprietà dell'usufrutto, dell'uso e dell'abitazione). Ai sensi dell'art. 36, co. 2, D.Lgs. 31.12.1992, n. 546, la sentenza deve contenere, tra l'altro, la concisa narrativa dello svolgimento del processo e la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto. CASSAZIONE 15948/2014: con sentenza 11.7.2014, n. 15948, la Corte di Cassazione ha stabilito, in tema di imposta di registro, che in applicazione della previsione dell'art. 44, co. 1, D.P.R. 26.4.1986, n. 131 - per la vendita di beni mobili e immobili fatta all'incanto in sede di espropriazione forzata o comunque all'asta pubblica e per i contratti stipulati o aggiudicati a seguito di pubblico incanto - la base imponibile è costituita dal prezzo di aggiudicazione e non in relazione alla stima e ai parametri dell'Agenzia del Territorio. In particolare, a seguito di notifica di avviso di rettifica e liquidazione di maggior valore di registro relativo ad un atto di compravendita di un complesso immobiliare, le parti in causa proposero separati ricorsi davanti alla Commissione tributaria provinciale, contestando tale maggior valore in quanto accertato dall'Ufficio sulla base di una relazione di stima sommaria dell'Agenzia del Territorio, rispetto a quello dichiarato ai fini Invim, ricorsi che, previa riunione, vennero accolti, con analogo esito anche in appello. L'ente impositore adiva quindi il giudice di legittimità, lamentando nella sentenza impugnata insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, atteso che il giudice di appello non avrebbe dato contezza dell'iter logico seguito per ritenere incongruo l'accertamento del maggior valore venale del bene in questione, nonché per non avere esplicitato le ragioni della mancata valutazione della relazione stessa. ESITO del GIUDIZIO: nel decidere la vertenza, con la sentenza 15948/2014, la Suprema Corte rigetta il ricorso, affermando il principio che, in tema di imposta di registro, FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 24 l'accertamento da parte dell'Amministrazione finanziaria del "valore venale in comune commercio", di cui all'art. 51, co. 2, D.P.R. 131/1986, ai fini della determinazione della base imponibile di un contratto di compravendita immobiliare, deve tenere conto del prezzo effettivo pattuito dalle parti. Infatti, il richiamato art. 51, dopo avere disposto al co. 1 che per la determinazione della base imponibile nel tributo di registro si assume come valore dei beni o dei diritti, in genere, quello dichiarato dalle parti nell'atto e, in mancanza o se superiore, il corrispettivo pattuito per l'intera durata del contratto, al co. 2 aggiunge testualmente: "Per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari e per quelli che hanno per oggetto aziende o diritti reali su di esse, si intende per valore il valore venale in comune commercio". Al riguardo, sostiene innanzitutto il giudice di legittimità che nella fattispecie in esame l'operato del secondo giudice non si presta ad essere censurato per carenza di motivazione, perché conforme alle norme sul processo tributario, secondo cui la sentenza impugnata deve contenere, fra l'altro, la "concisa esposizione dello svolgimento del processo" e "la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto" (art. 36, D.Lgs. 31.12.1992, n. 546). Il provvedimento, contenendo l'esposizione dei fatti di causa e le relative motivazioni, rende possibile l'individuazione del "thema decidendum" e delle ragioni che stanno a fondamento del dispositivo sulla base di un giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità ed immune da censure logiche (cfr. Cass. Ord. 7.1.2014, n. 88). Salvaguardato così l'aspetto formale della decisione impugnata, anche dal punto di vista del merito la Suprema Corte ritiene che la Commissione tributaria regionale abbia dato sufficiente conto che il valore del bene risulta accertato sulla base di elementi di fatto acquisiti al processo e sufficientemente vagliati in entrambi i gradi del giudizio, come consistenza, ubicazione, pregio, destinazione commerciale, ai quali il Collegio di legittimità aggiunge ulteriori considerazioni quali la decisione di alienare l'immobile con la procedura di vendita all'incanto pubblicizzata sui maggiori quotidiani (il Tribunale, infatti, per dare notizia e pubblicizzare le aste, si serve del proprio albo, di quotidiani di informazione e siti specializzati, sui quali pubblicherà il cd. avviso di vendita), circostanza questa che rende del tutto imprevedibile il valore cui l'immobile verrà aggiudicato. Ciò vuol dire, diversamente, che il maggior valore venale del bene compravenduto, così come accertato dall'Agenzia delle Entrate sulla base della relazione di stima sommaria dell'Agenzia del Territorio, non coincide con il valore corrente di mercato che, considerate le modalità di vendita, è quello effettivo della cessione, cioè l'unico - spiega la Suprema Corte - al quale fare riferimento per la tassazione di registro e non quello determinato nell'avviso di accertamento sulla scorta di parametri avulsi dal contesto "storico" dei valori di concorrenza, come esattamente affermato dal giudice di appello (si ricorda che ai sensi dell'art. 8, Tariffa, Parte Prima, annessa al D.P.R. 131/1986 [CFF ? 2108], i provvedimenti atti dell'autorità giudiziaria di aggiudicazione e assegnazione recanti trasferimento o costituzione di diritti reali su beni immobili, scontano le stesse imposte stabilite per i corrispondenti atti dall'art. 1 della stessa Tariffa). CASSAZIONE 22141/2010: il principio sopra trascritto, valorizzato dalla sentenza 15948/2014, è peraltro conforme alla precedente pronuncia 29.10.2010, n. 22141, con la quale la Cassazione ha già affrontato l'analoga problematica dell'accertamento, ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, di immobili acquistati mediante aste giudiziarie e successivamente rivenduti, stabilendo che "in tema di imposta di registro si applica la previsione dell'art. 44, co. 1, D.P.R. 26.4.1986, n. 131, secondo cui "per la vendita di beni mobili e immobili fatta all'incanto in sede di espropriazione forzata o comunque all'asta pubblica e per i contratti stipulati o aggiudicati a seguito di pubblico incanto, la base imponibile è costituita dal prezzo di aggiudicazione"". In tale occasione, in relazione al contratto di compravendita di beni immobili, la cui proprietà sia pervenuta ai venditori per aggiudicazione nella procedura di espropriazione forzata, secondo il giudice di legittimità l'Ufficio può legittimamente rettificare i valori dichiarati nell'atto di vendita, se li ritiene non conformi a quelli venali dei beni in comune commercio, utilizzando il criterio più opportuno tra quelli consentiti dall'art. 51, D.P.R. 131/1986, purché ne indichi la motivazione. Nessuna norma di legge, infatti, impone all'Ufficio, in tal caso, di determinare il valore degli immobili tenendo conto esclusivamente del prezzo di aggiudicazione in esito alla procedura di FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 25 espropriazione forzata, anche se intervenuta nel triennio precedente alla compravendita soggetta a registrazione. La Cassazione ricorda che l'art. 44, D.P.R. 131/1986, dispone che, per la vendita di beni immobili avvenuta in sede di espropriazione forzata, la base imponibile è costituita dal prezzo di aggiudicazione; di conseguenza, l'Ufficio non può rettificare la base imponibile individuata dalle parti nel prezzo di aggiudicazione, in quanto l'art. 44 configura norma eccezionale che deroga ai normali principi in materia di accertamento immobiliare ai fini dell'imposta di registro. Tuttavia, l'art. 44 resta applicabile limitatamente ai casi di espropriazione forzata e non trova ingresso, invece, per le successive vendite cui l'immobile acquistato per aggiudicazione sia successivamente assoggettato. Infatti, tali atti costituiscono normali atti a titolo oneroso traslativi della proprietà e, in relazione ad essi, l'Amministrazione finanziaria dispone dei normali poteri di accertamento individuati dagli artt. 51 e 52, D.P.R. 131/1986. Alla luce di detti principi, nella fattispecie trattata dalla sentenza 22141/2010 e richiamata dalla sentenza 15948/2014 in esame, la Suprema Corte ha annullato la sentenza di merito, poiché ha attribuito rilevanza al valore di aggiudicazione sulla base del fatto che l'immobile fosse stato venduto poco dopo la procedura di espropriazione. In particolare - conclude la sentenza - ha errato il giudice del merito nel ritenere che, nel caso di specie, l'Ufficio non potesse applicare i criteri per l'accertamento individuati dagli artt. 51 e 52, D.P.R. 131/1986. ACCERTAMENTO su COMPRAVENDITE di IMMOBILI SOGGETTE ad IMPOSTA di REGISTRO: si è sopra accennato che, in via ordinaria, in caso di accertamento su compravendite di immobili soggette ad imposta di registro, qualora il valore di mercato sia più elevato del prezzo dichiarato, l'Ufficio può disconoscere la pretesa del contribuente di calcolare l'imposta di registro sul prezzo dichiarato e calcolarla, invece, sul valore di mercato del bene oggetto di trasferimento, ai sensi degli artt. 51 e 52, D.P.R. 131/1986 (valore venale in comune commercio), notoriamente molto inferiore a quello di mercato. Tuttavia, nel caso in cui sia possibile applicare il principio del cd. "prezzo-valore", in base a quanto previsto dall'art. 1, co. 497, L. 23.12.2005, n. 266, si prescinde sia dal prezzo pattuito sia dal valore corrente del bene, perché la base imponibile è rappresentata dalla rendita catastale moltiplicata (cd. moltiplicatori unici finali) per il coefficiente 115,5 (se trattasi di "prima casa" per l'aggiudicatario) ovvero per il coefficiente 126 (negli altri casi, tra cui le abitazioni diverse dalla "prima casa"): sul valore catastale così ottenuto, si applicano le inerenti imposte. Pertanto, nel caso di atti di compravendita assoggettati ad imposta di registro, l'Amministrazione finanziaria può accertare una maggiore imposta a patto che l'Ufficio dimostri che il valore dell'immobile ceduto sia superiore al prezzo dichiarato. DISCIPLINA del cd. "PREZZO-VALORE": il riferito art. 1, co. 497, L. 266/2005, stabilisce che in deroga alla disciplina di cui all'art. 43, D.P.R. 131/1986, e fatta salva l'applicazione dell'art. 39, D.P.R. 29.9.1973, n. 600, per le sole cessioni nei confronti di persone fisiche che non agiscano nell'esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, all'atto della cessione e su richiesta della parte acquirente resa al notaio, la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali è costituita dal valore dell'immobile determinato ai sensi dell'art. 52, co. 4 e 5, D.P.R. 131/1986, indipendentemente dal corrispettivo pattuito indicato nell'atto. Le parti hanno comunque l'obbligo di indicare nell'atto il corrispettivo pattuito. Con la richiamata disposizione, è stato stabilito, dunque, che in presenza di determinati requisiti di natura soggettiva ed oggettiva e di specifiche condizioni, la base imponibile per l'applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale per i trasferimenti di immobili abitativi, sia costituita dal "valore catastale", a prescindere dal corrispettivo concordato in atto (sistema del prezzo-valore). Tale disciplina concretizza in sostanza un sistema forfetario di determinazione della base imponibile. L'Amministrazione finanziaria (R.M. 17.5.2007, n. 102/E), in un primo momento ha chiarito che il sistema del "prezzo valore" non poteva trovare applicazione per i trasferimenti degli immobili ad uso abitativo avvenuti a seguito di espropriazione forzata e, in generale, per i trasferimenti coattivi di cui all'art. 44, D.P.R. 131/1986, in quanto per tali trasferimenti la base imponibile è determinata con riferimento al prezzo di aggiudicazione o all'indennizzo riconosciuto. FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 26 Il tema dell'applicabilità del sistema del prezzovalore ai trasferimenti posti in essere in sede di espropriazione forzata e di pubblici incanti ex art. 44, D.P.R. 131/1986, è stato oggetto di esame da parte della Corte Costituzionale, che con sentenza 15.1.2014, n. 6, ha stabilito che la previsione dell'art. 1, co. 497, L. 266/2005, è costituzionalmente illegittima "nella mancata previsione - a favore delle persone fisiche che acquistano a seguito di procedura espropriativa o di pubblico incanto - del diritto potestativo, al contrario riconosciuto all'acquirente in libero mercato, di far riferimento, ai fini della determinazione dell'imponibile di fabbricati ad uso abitativo in materia di imposte di registro, ipotecarie e catastali, al valore tabellare dell'immobile". La Corte rileva, infatti, che "la mera differenziazione del contesto acquisitivo del bene non è dunque sufficiente a giustificare la discriminazione di due fattispecie caratterizzate da una sostanziale omogeneità, in particolare, con riguardo, all'esclusività del diritto potestativo concesso all'acquirente in libero mercato". In considerazione della decisione 6/2014, il sistema di determinazione della base imponibile del prezzo-valore trova quindi applicazione, ricorrendone i presupposti, anche con riferimento ai trasferimenti di immobili ad uso abitativo e relative pertinenze acquisiti in sede di espropriazione forzata o a seguito di pubblico incanto ai sensi dell'art. 44, D.P.R. 131/1986. Con puntualità, con ordinanza 11.4.2014, n. 8623, la Corte di Cassazione ha stabilito che l'art. 1, co. 497, L. 266/2005, quale risultante dalla sentenza (additiva) della Corte Costituzionale 6/2014, attribuisce alle persone fisiche che non agiscano nell'esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali e che abbiano acquistato, in regime di libero mercato ovvero in sede di espropriazione forzata o a seguito di pubblico incanto, immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, la facoltà di chiedere che, in deroga all'art. 44, co. 1, D.P.R. 131/1986, la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali sia costituita dal valore dell'immobile determinato ai sensi dell'art. 52, co. 4 e 5, D.P.R. 131/1986, ossia di fare riferimento al valore "tabellare" (valore catastale) dell'immobile. FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 27 Immobili ed innovazioni Le innovazioni (ordinarie, "agevolate" e vietate) Il Sole 24 Ore - Consulente Immobiliare – Quaderno, 31 agosto 2014, n. 2 L’art. 1120 cod. civ. riguardante la fattispecie delle “innovazioni”, vale a dire la realizzazione, in forza di una deliberazione assembleare a maggioranza (con spese ripartite tra i condomini), di una “opera nuova” (bene/impianto) prima non esistente nel condominio, è stato oggetto di un intervento di sostanziale integrazione. Infatti, conservato il testo precedente (ora distribuito tra il primo e l’ultimo comma della norma), è stato inserito un secondo comma (del tutto nuovo) riguardante una specifica (e ulteriore) fattispecie di innovazioni (composta, invero, da numerose “sotto/fattispecie”) che potrebbero essere definite “agevolate”, in considerazione della previsione di un quorum ridotto per la relativa deliberazione. Vecchio testo Nuovo testo Art. 1120 cod. civ. - Innovazioni. Art. 1120 cod. civ. - Innovazioni. I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell’articolo 1136, possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni. I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell’articolo 1136, possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni. (1) I condomini, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell’articolo 1136, (2) possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto: 1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti; (3) 2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, (4) per il contenimento del consumo energetico degli edifici (5) e per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell’edificio, (6) nonché per la produzione di energia mediante l’utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune; (7) 3) l’installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 28 alla diramazione per le singole utenze, ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto. (8) L’amministratore è tenuto a convocare l’assemblea entro trenta giorni dalla richiesta anche di un solo condomino interessato all’adozione delle deliberazioni di cui al precedente comma. La richiesta deve contenere l’indicazione del contenuto specifico e delle modalità di esecuzione degli interventi proposti. In mancanza, l’amministratore deve invitare senza indugio il condomino proponente a fornire le necessarie integrazioni. (9) Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino. Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino. (10) (1) Nessun a modifica/integrazione per il comma 1 dell’art. 1120 cod. civ. che rimane con lo stesso testo, conservando intatta la disciplina per le “innovazioni” realizzabili nel condominio. Si conferma del tutto, quindi, il riferimento al concetto della cosiddetta “opera nuova” (bene/impianto prima non esistente), e, di conseguenza, anche tutta la giurisprudenza sul punto che lungamente - negli anni di interpretazione/applicazione del codice civile - si è incaricata di individuare il discrimine tra la semplice “miglioria” (deliberabile con le maggioranze ordinarie) e la vera e propria “innovazione”. Da porre attenzione alla modifica che la riforma ha apportato del comma 5 dell’art. 1136 cod. civ. (vedi in appresso nel commento della norma) che comporta un abbassamento del quorum deliberativo per “teste”, quindi anche nel caso della delibera che dispone l’effettuazione di un’innovazione. (2) Come preannunciato, la novella inserisce questo lungo comma 2 all’art. 1120 cod. civ., riguardante una nuova fattispecie (invero, una nutrita serie) di innovazioni. Tale ipotesi può ben denominarsi “agevolata” in quanto riguarda opere la cui realizzazione può essere deliberata dall’assemblea con il ridotto quorum previsto dal comma 2 dell’art. 1136 cod. civ. (e non del comma 5, come nel caso delle innovazioni “ordinarie”). Tuttavia, la novità è tale solo in parte in quanto si tratta, per lo più, di ipotesi già previste dalla legislazione “speciale” applicabile al condominio (si pensi all’abbattimento delle barriere architettoniche, alle opere per il contenimento del consumo energetico, e quant’altro). Assolutamente infelice, in almeno un caso (come in appresso si vedrà) il coordinamento dell’art. 1120 cod. civ. con detta legislazione speciale, della quale la vigenza è completamente conservata (nonostante l’intervento della riforma abbia sostanzialmente “replicato”, nella nostra norma, più d’una fattispecie). (3) La lunga serie di “nuove” tipologie di “innovazioni” è aperta dal par. 1 del comma 2 dell’art. 1120 cod. civ. riguardante le opere finalizzate a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti. La locuzione utilizzata non appare, quanto meno a prima vista, comportare un riferimento specifico a una determinata legislazione. In ogni caso, come per tutte le “voci” comprese in questo comma 2, sarà necessario che, in qualche modo, la deliberazione dell’assemblea che decide l’operazione dia conto espressamente delle necessarie caratteristiche tecniche. Come, infatti, ipotizzare l’applicazione del quorum agevolato del FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 29 comma 2 dell’art. 1136 cod. civ. se non a fronte di una qualche “certificazione” che comprovi che le opere sono davvero, per esempio, finalizzate a migliorare la sicurezza e la salubrità dell’edificio? (4) Rientrano nella lista di innovazioni “agevolate” anche gli interventi per l’abbattimento delle barriere architettoniche, per le quali il legislatore della riforma ha addirittura disposto, in maniera che da più parti è stata giudicata del tutto immotivata, un innalzamento dei quorum deliberativi. Infatti, per la deliberazione assembleare che dispone l’effettuazione di tali opere le maggioranze sono cambiate come segue: Precedente quorum Nuovo quorum della riforma Abbattimento barriere architettoniche Abbattimento barriere architettoniche Art. 1136 cod. civ. (comma 2) Art. 1136, cod. civ. (commi 2 e Maggioranza degli “intervenuti” ed almeno la metà del valore 3) dell’edificio (sia in 1a, sia in 2a convocazione). Quorum secondo l’ordine di convocazione. In 2a convocazione: 1/3 millesimi & 1/3 “teste”. Con identico intervento sul relativo testo, la novella ha modificato anche i quorum previsti nella legislazione “speciale”, ex art. 2 della legge 13 del 9 gennaio 1989 (si veda, più avanti, la correzione apportata dalla riforma su detto art. 2). (5) Un’altra categoria di innovazioni “agevolate” riguarda le opere dirette al contenimento del consumo energetico. Il riferimento è certamente alla legge 10/1991 e agli “interventi” previsti dal relativo art. 26 (quali, in particolare e infatti, quelli “ volti al contenimento del consumo energetico e all’utilizzazione delle fonti di energia di cui all’articolo 1 ” - comma 2 di detto art. 26 - nonché, probabilmente anche quelli aventi a oggetto l’adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione comma 5, stesso art. 26). La ricomprensione di tale “voce” nella fattispecie delle innovazioni “agevolate” di cui al “nuovo” comma 2 dell’art. 1120 cod. civ., tuttavia, confligge - quasi clamorosamente - con un’altra modifica introdotta dalla riforma (vedi in appresso) in base alla quale si va a mutare direttamente l’art. 26 della predetta legge 10/1991, modificando i quorum del comma 2 (che diventa, quindi, da “ la maggioranza semplice delle quote millesimali rappresentate dagli intervenuti in assemblea ” a “ la maggioranza degli intervenuti, con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio ”). In pratica, sembra proprio che la riforma abbia previsto due diverse maggioranze (quella del comma 2 dell’art. 1120 cod. civ. e quella del comma 2 dell’art. 26 della legge 10/1991) per la stessa tipologia di opere, a meno che non si voglia pensare che “ le opere e gli interventi… per il contenimento del consumo energetico… ” (di cui alla prima norma) e “ gli interventi… volti al contenimento del consumo energetico ” (di cui alla seconda norma) siano una cosa diversa. Secondo una diversa opinione interpretativa, dette opere sarebbero invece (proprio) differenti, in quanto, l’art. 1120 cod. civ. va riferito agli interventi che hanno carattere “innovativo” (cioè comportano la realizzazione nell’edificio di una vera e propria “opera nuova”, prima non esistente) ma non sono “certificati” dal punto di vista tecnico, mentre quelli di cui al predetto art. 26 (a prescindere dal loro carattere di innovazione, o meno) sono in ogni caso “certificati” attraverso la redazione di un “ un attestato di certificazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato ” e, quindi, possono essere deliberati con i previsti FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 30 quorum maggioritari particolarmente “privilegiati”. Da tale ultima impostazione consegue che, relativamente alle attività finalizzate al contenimento del consumo energetico, secondo la normativa attualmente vigente dovrebbero sussistere le seguenti ipotesi: a. “innovazioni” di cui al comma 2 dell’art. 1120 cod. civ.; b. “interventi” di cui al comma 2 dell’art. 26 della legge 10/1991; c. “innovazioni” relative all’adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore di cui al comma 5 dell’art. 26 della legge 10/1991. Pertanto, con riferimento ai relativi quorum maggioritari, ne deriva il seguente schema: Precedente quorum Nuovo quorum della riforma CONTENIMENTO ENERGETICO (comma 2, art. 1120 cod. civ.) “innovazioni” senza attestato/certificazione energetica [non previsto] CONTENIMENTO (comma 2, art. 1120 “innovazioni” senza attestato/certificazione CONTENIMENTO ENERGETICO (art. 26, comma 2, legge 10/1991) “interventi” con attestato/certificazione energetica “… maggioranza semplice delle quote millesimali rappresentate dagli intervenuti in assemblea…” CONTENIMENTO ENERGETICO (art. 26, comma 2, legge 10/1991) “interventi” con attestato/certificazione energetica “… maggioranza degli intervenuti, con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio…” ENERGETICO cod. civ.) energetica “…la maggioranza degli intervenuti e almeno la N.B.: in realtà si applicava comunque l’art. metà del valore dell’edificio.” 1120 c.c. relativo alle innovazioni “ordinarie” TERMOREGOLAZIONE CONTABILIZZAZIONE (art. 26, comma 5, “…a maggioranza…” legge e TERMOREGOLAZIONE e CONTABILIZZAZIONE (art. 26, comma 5, legge 10/1991) 10/1991) “…la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.” Sul punto, peraltro, desta una certa perplessità l’evidente (e recentissimo) “ dietro front ” operato dal legislatore il quale, in un primo tempo, col D.L. 145 del 23 dicembre 2013, cosiddetto “Destinazione Italia” (in G.U. 300 del 23 dicembre 2013) aveva ritenuto di sopprimere proprio le parole “ per il contenimento del consumo energetico degli edifici ”, per poi, in un secondo momento, ripensarci in sede di conversione con la legge 9 del 21 febbraio 2014 (in G.U . 43 del 21 febbraio 2014) che “sopprimeva la soppressione” (ritornando, così, al testo del comma 2 dell’art. 1120 cod. civ. introdotto ab origine dalla legge di riforma 220/2012). Non può negarsi che, dal punto di vista interpretativo, un qualche significato deve darsi a tale abortito tentativo di “riforma della riforma”, la cui ratio non poteva che essere “correttiva” della legge 220/2012. (6) Riguardo a “ le opere... per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell’edificio ”, sussiste un implicito riferimento alla legislazione speciale, vale a dire alla legge 122/1989, la quale, al comma 1 dell’art. 9 prescrive che « i proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti», prevedendo (al comma 3) anche che «le deliberazioni che hanno per oggetto le opere e gli interventi di cui al comma 1 sono approvate dalla assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con la maggioranza prevista dall’art. 1136, secondo comma, del codice civile». FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 31 A prima vista, il richiamo del comma 2 dell’art. 1136 cod. civ. è identico rispetto al passato, quindi sembrerebbe che la riforma, inserendo questa tipologia nel comma 2 dell’art. 1120 cod. civ. (che, a sua volta, richiama lo stesso comma 2 dell’art. 1136 cod. civ.) non ha fatto altro che confermare la relativa disciplina. Tuttavia, in conseguenza della modifica del comma 1 dell’art. 1136 cod. civ. (riguardante il quorum costitutivo della 1 a convocazione) probabilmente le maggioranze deliberative previste per tale riunione sono state modificate, con abbassamento del quorum per teste (cfr., più avanti, il commento a tale ultimo articolo). (7) Il par. 2 del comma 2 dell’art. 1120 cod. civ. si chiude con un riferimento a “ terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare… ” all’evidente fine di procedere all’installazione di “ impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili… ”. La norma sembra alludere alla possibilità che l’assemblea, con la maggioranza del comma 2 dell’art. 1136 cod. civ., non solo deliberi l’installazione diretta da parte del condominio di tali impianti, ma addirittura, come visto, costituisca a favore di terzi, un corrispondente diritto (reale o personale). Se così è, la “novità” introdotta dalla riforma costituisce un’evidente “rottura” con il sistema previgente che, da una parte, richiedeva l’unanimità dei consensi per la concessione a terzi di diritti reali sulle cose comuni, e dall’altra parte, sottoponeva a ben determinate e stringenti condizioni la locazione di una parte comune (compatibilmente con la possibilità di attuazione del diritto “soggettivo” di godimento spettante a tutti i partecipanti). (8) Per quanto attiene alla “ installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo ” l’inclusione nell’elenco di innovazioni “agevolate” previste dal comma 2 dell’art. 1120 cod. civ. comporta una sensibile “aggravamento” della maggioranza necessaria per la delibera. Il relativo quorum , infatti, passa da quello del “vecchio” comma 3 dell’art. 1136 cod. civ., a quello del “nuovo” comma 2 dell’art. 1120 cod. civ., cioè, nel concreto, a quello deliberativo della 1 a convocazione di cui al comma 2 dell’art. 1136 cod. civ. La prescrizione viene poi confermata da un intervento diretto della riforma (vedi in appresso, nel commento alla specifica norma) sulla relativa legislazione speciale, attuato mediante una corrispondente modifica dell’art. 2bis della legge 66/2001. Invero, tale legge appare finalizzata a regolare, più limitatamente, le “ tecnologie di radiodiffusione da satellite ”, non riguardando, almeno prima facie , anche i cennati “ flussi informativi ”. Il cambiamento dei quorum può essere così schematizzato: Precedente quorum Nuovo quorum della riforma IMPIANTI DI RICEZIONE Art. 1136 cod. civ. (comma 3): 1/3 millesimi & 1/3 “teste” IMPIANTI DI RICEZIONE Art. 1136 cod. civ. (comma 2) Maggioranza degli “intervenuti” ed almeno la metà del valore dell’edificio (sia in 1 a , sia in 2 a convocazione) (9) Il penultimo comma del novellato art. 1120 cod. civ. contiene alcune norme procedurali relative all’assemblea che dispone le innovazioni “agevolate” di cui al comma 2 della stessa norma. Viene prescritto che: - al fine della realizzazione delle predette innovazioni, un solo condomino può chiedere all’amministratore di convocare l’assemblea; - l’amministratore “ è tenuto ”, entro trenta giorni, a convocare l’assemblea. Secondo i principi generali, tale termine dovrebbe riferirsi all’attività di convocazione e non all’effettiva fissazione della riunione; FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 32 - la richiesta del condomino deve contenere le indicazioni necessarie per far comprendere la natura e la portata degli interventi innovativi; - se la richiesta è lacunosa, l’amministratore “ deve invitare senza indugio ” il richiedente a integrare le informazioni fornite. Qualche osservazione su tali ultime prescrizioni: - secondo il tenore della norma, la richiesta di convocazione non potrebbe pervenire dal “terzo” di cui al par. 2 del comma 2 dell’art. 1120 cod. civ. (cioè, dal soggetto che ha acquisito un diritto reale o personale sulle parti comuni); - la qualificazione come “interessato” del condomino richiedente è piuttosto ampia, e sembrerebbe riferirsi a soggetti che ricevono una qualche utilità dalla realizzazione dell’innovazione; - come in altre parti delle nuove norme, non è previsto alcun rimedio (quale, per esempio, la possibilità di convocazione “diretta” di cui all’art. 66 disp. att. cod. civ.) nel caso di inadempimento della richiesta di convocazione da parte dell’amministratore. (10) Opportuna la conservazione integrale dell’ultimo comma dell’art. 1120 cod. civ. contenente le prescrizioni in merito alle cosiddette innovazioni “vietate”. L’elenco dei pregiudizi inammissibili è rimasto intatto, applicandosi, probabilmente, anche alle “nuove” innovazioni “agevolate” di cui al comma 2 della norma (e ciò nonostante il par. 3 ne contenga di suoi propri). FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 33 Immobili e condominio L'amministratore paga i danni Morello Enrico, Il Sole 24 Ore - 2 settembre 2014 Alla carica di amministratore di condominio sono legate tutta una serie di possibili conseguenze, sia in ambito di responsabilità civile (verso terzi o verso gli stessi condomini) che in ambito di responsabilità penale. Tali possibili conseguenze sono via via cresciute nel tempo, di pari passo con il costante evolversi della figura dell'amministratore così come chiarito dalla Corte di cassazione con due successive decisioni: la prima (22840/2006) che nell'ammettere in via definitiva la possibilità di affidare l'amministrazione condominiale a persone giuridiche si è basata sulla constatazione che «da qualche tempo l'incarico viene conferito a professionisti esperti in materia di condominio e in grado di assolvere alle numerose e gravi responsabilità ascritte all'amministratore dalle leggi speciali», e la seconda (25251/2008) che ha fissato i canoni della responsabilità personale dell'amministratore nel modo che segue: « A tale figura il codice civile e le leggi speciali imputano doveri ed obblighi finalizzati ad impedire che il modo di essere dei beni condominiali provochi danni a terzi. In relazione a tali beni l'amministratore, in quanto ha poteri e doveri di controllo e poteri di influire sul loro modo di essere, si trova nella posizione di custode (...). Questi allora deve curare che i beni comuni non arrechino danni agli stessi condomini o a terzi, come del resto riconosciuto dalla giurisprudenza allorchè ha considerato l'amministratore del condominio responsabile dei danni cagionati dalla sua negligenza, dal cattivo uso dei suoi poteri e, in genere, di qualsiasi inadempimento dei suoi obblighi legali o regolamentari». Da tale nuovo inquadramento corrisponde ora un quadro in cui la fonte di responsabilità dell'amministratore nei confronti dei condòmini è il contratto di mandato conferito al momento dell'accettazione dell'incarico: qualora anche senza colpa grave (essendo l'incarico non gratuito) l'amministratore, nel venir meno ai propri obblighi contrattuali, causi un danno ai condòmini, ne dovrà rispondere personalmente. Per esempio, quando non abbia eseguito una delibera assembleare (Cassazione, sentenza 7103/2013), se da tale omissione sia derivato un danno ai condòmini, oppure per aver eseguito una delibera che non andava eseguita in quanto contraria alla legge. Per "salvarsi" da azioni personali di responsabilità che i condòmini gli possono rivolgere, in sostanza, l'amministratore deve esercitare il proprio mandato nel pieno rispetto delle norme di legge. Ponendo particolare attenzione nel rimuovere prontamente le situazioni pericolose, relative alle parti comuni dell'edificio, dalle quali potrebbe derivare un danno a terzi (o agli stessi condòmini). Si pensi alla domanda proposta dai genitori di un minore direttamente nei confronti dell'amministratore per la presenza nel cortile condominiale «all'altezza di un metro dal piano di calpestio, di vetri con la superficie tagliente che costituivano una pericolosissima insidia» (Cassazione, sentenza 24804/2008). Così, un amministratore condominiale è stato ritenuto personalmente responsabile, nei confronti del terzo danneggiato (Cassazione, sentenza 25251/2008) dai danni derivati «dalla negligente omissione delle necessarie riparazioni al lastrico solare decise in delibera assembleare e non attuate dall'amministratore». Da ultimo, il nostro Codice penale non prevede una figura di reato propria dell'amministratore di condominio: a lui tuttavia possono riferirsi una serie di fattispecie penali relative alla attività svolta. È il caso, per esempio del reato di ingiurie o di diffamazione, del quale è stato ritenuto colpevole l'amministratore che aveva inviato a tutti i condòmini una lettera ove veniva evidenziata la morosità di uno di loro. Altro reato nel quale può imbattersi l'amministratore, in quanto custode del bene condominiale, è quello previsto dall'articolo 677 del Codice penale, che sanziona il proprietario di un edifico o di una costruzione «ovvero chi per lui è obbligato alla conservazione o alla vigilanza» che «ometta di provvedere ai lavori necessari per rimuovere il pericolo». Come è FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 34 accaduto (Cassazione, sentenza 34147/2012) per una condanna per lesioni colpose gravi causate a un cliente della farmacia posta nello stabile condominiale dall'omesso livellamento della pavimentazione. Da ultimo, si segnala la recente sentenza della Cassazione 31192/2014 (si veda il Sole 24 Ore del 26 agosto scorso), che ha ritenuto penalmente responsabile l'amministratore di condominio che a incarico finito, nonostante l'ordine in tal senso del Tribunale, non aveva consegnato al nuovo amministratore i conti e le carte condominiali. In sintesi I CONDÒMINI Verso i condòmini l'amministratore può rispondere di inadempimento contrattuale qualora non svolga correttamente l'incarico attribuitogli dall'assemblea. Le richieste di risarcimento danni possono spesso riguardare un suo comportamento omissivo, per esempio quando non persegua nei tempi previsti i condòmini morosi vanificando la possibilità di recupero del credito RISCHI VERSO I TERZI I terzi che si trovano ad avere a che fare con il condominio non sono legati all'amministratore da un vincolo contrattuale: nei loro confronti pertanto l'amministratore può solo rispondere in via extra contrattuale. Normalmente le richieste di risarcimento danni riguarderanno danni subiti dai terzi a causa di insidie o pericoli derivanti da parti condominiali che l'amministratore aveva il dovere di rimuovere quale custode dello stabile I REATI Non esiste un reato proprio della attività di amministratore di condominio, esistono tuttavia fattispecie penali nelle quali più di frequente l'amministratore si può imbattere nello svolgimento del proprio mandato. In particolare, nel trattare dati personali dei condòmini dovrà prestare grande attenzione alla normativa in materia di privacy. Grande attenzione, inoltre, dovrà essere riservata ai danni che possono derivare a terzi (o ai condòmini) dal cattivo stato di manutenzione dell'edificio FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 35 Casi pratici Immobili e agevolazioni CONDOMINIO: ATTESTAZIONE PER PIÙ LAVORI ORDINARI D. Nel caso del bonus per le manutenzioni ordinarie nell'ambito del condominio (ad esempio, pulizia annuale delle condutture fognarie, pulizia annuale delle grondaie, imbiancatura/periodica di pareti e soffitti di corridoi cantine, sistemazioni dell'impianto citofonico, manutenzione di cancelli elettrici e portoni, manutenzione del verde, eccetera) l'amministratore lo può chiedere solo in modo separato per ciascun intervento, oppure è possibile cumulare tutti gli interventi in programma e presentarli con un'unica richiesta? In altri termini, ogni intervento deve essere oggetto di un richiesta separata di bonus oppure, con un'unica richiesta presentata dall'amministratore, i condòmini potranno ottenere - nel corso dei successivi 10 anni il rimborso fiscale (pro quota millesimale) risultante dalla somma dei versamenti F24 in base all'insieme delle fatture dei prestatori d'opera e fornitori? ----R. Tutti gli interventi descritti rientrano tra quelli cui si applica la detrazione del 50% su parti comuni condominiali anche se si tratta di interventi di manutenzione ordinaria (articolo 16-bis del Tuir, Dpr 917/1986, articolo 1, comma 139, della legge 147/2013, guida al 50% su www.agenziaentrate.it). L’amministratore può considerare anche l’intervento come unico, non necessitando di provvedimenti urbanistici abilitativi dei lavori. In tal modo l’amministratore potrà rilasciare una unica attestazione in merito alla quota di detrazione spettante a ciascun condomino sulla base della tabella millesimale di ripartizione della proprietà delle parti comuni. (Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 25 agosto 2014). LO SCONTO AL DONANTE SI INDICA NELL'ATTO D. In merito al trasferimento della detrazione fiscale per lavori di ristrutturazione sostenuti sugli immobili donati, le istruzioni stabiliscono che il beneficio viene trasferito al nuovo proprietario «salvo diversi accordi tra le parti». Come si realizza un accordo tra le parti? Ritengo con una clausola all'interno dell'atto della donazione. In mancanza di tale clausola, una "scrittura privata" si può considerare un accordo tra le parti? ---R. Dal 1° gennaio 2012, l’articolo-16 bis del Tuir, Dpr 917/1986 prevede che, in caso di vendita (o anche donazione) dell'unità immobiliare sulla quale sono stati realizzati gli interventi che fruiscono del 36%-50% (articolo 16-bis del Tuir, Dpr 917/1986, articolo 1, comma 139, della legge 147/2013, guida al 50% su www.agenziaentrate.it), la detrazione non utilizzata in tutto o in parte è trasferita per i rimanenti periodi di imposta, salvo diverso accordo delle parti, all'acquirente persona fisica dell'unità immobiliare. Pertanto, il donante, all’atto della donazione può optare, in sede di atto notarile di donazione per il mantenimento del diritto alla detrazione per le quote decennali residue. In caso di mancata opzione, il diritto si trasferisce in capo al donatario. Il mantenimento del diritto alla detrazione va esplicitato direttamente nell’atto di donazione o in atto anche successivo integrativo dello stesso, stipulato nello stesso modo (non in una scrittura semplice, guida al 50% su www.agenziaentrate.it). (Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE –Esperto Risponde, 25 agosto 2014) FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 36 LA TENDA DA SOLE NON DÀ DIRITTO AL BONUS MOBILI D. Ho effettuato nel corso del 2013 la ristrutturazione del bagno della mia abitazione fruendo, oltre che della detrazione di cui all’articolo 16-bis del Tuir, anche del bonus mobili di cui all’articolo 16, comma 2, del Dl 63/2013 per l’importo massimo consentito di 10.000 euro. Nel corso del 2014 ho in programma di effettuare ulteriori interventi di manutenzione straordinaria dell’immobile di proprietà, rientranti nelle previsioni di cui all’articolo 16-bis del Tuir. Posso fruire nuovamente del bonus mobili per l’esercizio in corso nel limite massimo di 10.000 euro? In sostanza, si chiede se l’importo di 10.000 euro è da intendere quali limite massimo per ciascun esercizio fiscale, oppure quale limite complessivo per l’intero periodo compreso tra il 6 giugno 2013 e il 31 dicembre 2014. Vorrei inoltre sapere se l’acquisto e l’installazione di una pergotenda (tenda da sole) rientra nelle previsioni di cui all’articolo 16-bis del Tuir oppure nel bonus mobili. ----R. Come precisato nella circolare 11/E del 2014, la detrazione Irpef del 50% per l’acquisto di mobili (articolo 1, comma 139 della legge 147/2013) si applica su un importo complessivo di 10.000 euro. Tale ammontare deve essere calcolato considerando tutte le spese sostenute (dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2014), anche nel caso siano stati eseguiti più interventi edilizi sulla stessa unità immobiliare, come nel caso di specie (anche se abilitati da differenti provvedimenti urbanistici). Viceversa, per la detrazione del 50% sugli interventi edili, il limite dei 96.000 euro va calcolato distintamente per ciascun degli interventi, anche se eseguiti sullo stesso immobile, ma in anni differenti (non nello stesso anno, articolo 16 bis Tuir 917/86 e articolo 1, comma 139, legge 147/2013, guida al 50% su www.agenziaentrate.it). Le spese di realizzazione della tenda da sole (anche pergotenda/cioè con tettoia-pergolato), comunque rimovibile, comprese le spese per la struttura, non fruiscono della detrazione del 50%. Nell’ipotesi in cui la tenda venga installata nell’ambito di un intervento di ristrutturazione edilizia e non fosse distintamente fatturata, sicuramente le spese sostenute potrebbero essere detratte, ma solo se l’installazione della tenda è strettamente accessoria all’intervento (ad esempio, realizzazione della tettoia aperta con annessa tenda di copertura). La realizzazione della pergotenda non consente nemmeno l’applicazione del bonus mobili (Marco Zandonà, Il Sole 24 Ore – L’Esperto Risponde, 18 agosto) COPERTURA DEL PERGOLATO SENZA AUMENTO DI VOLUMI D. Sto realizzando un pergolato sulla mia terrazza esclusiva e vorrei sapere se l’intervento gode delle detrazioni fiscali del 50%. È stata presentata e approvata dal Comune una Scia (segnalazione certificata di inizio attività) per manutenzione straordinaria sull’immobile. La copertura del terrazzo non dà aumento volumetrico perché realizzata con struttura portante in Pvc, chiusura orizzontale superiore (tetto) non fissa, con pannelli scorrevoli e chiusure verticali trasparenti. L’intervento in questione è stato preceduto, nel luglio 2013, da altri lavori di manutenzione straordinaria sull’immobile con relativa presentazione di una Cil (comunicazione di inizio lavori) al Comune. Segnalo altri interventi che mi paiono analoghi al mio, per i quali è espressamente prevista la detrazione del 50%; mi riferisco, ad esempio, alla trasformazione di balcone in veranda (guida agenzia Entrate); e alle risposte ai quesiti 1605 (« La copetura del terrazzo dà aumento di volumetria») e 1606 (« La costruzione del portico e gli arredi esterni») pubblicati sull'Esperto risponde 19/2014. ----R. Se effettivamente la copertura del terrazzo con la realizzazione del pergolato non comporta aumento di volumetria, la detrazione del 50% si applica senza problemi (articolo 16 bis del Tuir 917/86 e articolo 1, comma 139 della legge 147/2013, guida al 50% su www.agenziaentrate.it), valendo le stesse regole della veranda. Per ciò che concerne gli FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 37 interventi relativi alla copertura di terrazze o balconi, la detrazione del compete solo se con i lavori non si realizza un nuovo vano dell’abitazione ad aumento della cubatura della stessa (vedasi, in tal senso, la Guida dell’agenzia delle Entrate al 36% su www.agenziaentrate.it nella quale viene ammesso il beneficio per la trasformazione del balcone in veranda, quale intervento di ristrutturazione edilizia). Alle stesse conclusioni si giunge per la realizzazione del pergolato con pannelli scorrevoli e chiusure verticali trasparenti (si tratta comunque di strutture facilmente rimovibili). (Marco Zandonà, Il Sole 24 Ore – L’Esperto Risponde, 11 agosto) Locazione IL DIRITTO DI ABITAZIONE NON IMPEDISCE L'AFFITTO D. Sono proprietaria al 50% di un immobile. Tale quota è gravata da un diritto di abitazione a favore di mia nonna (come da atto notarile). L'altro 50% è di proprietà di mia nonna. Ora ci troviamo nella necessità di dover affittare per intero tale immobile, visto il ricovero della nonna in una casa di riposo per anziani. Può essere affittato l'immobile, anche se è gravato da un diritto di abitazione? A chi dovrà essere intestato il contratto? Da chi dovrà essere dichiarato il reddito relativo all'affitto percepito? Ai fini Imu, come dobbiamo comportarci? ---R. Il diritto di abitazione é disciplinato dall'articolo 1022 del Codice civile, che stabilisce che il titolare dello stesso può abitare la casa limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia, ma non può cederla o darla in locazione. Poiché la nonna della lettrice è ora in una casa di riposo e non fruisce più dell'abitazione, l'immobile può essere dato in locazione a terzi. La qualifica di locatore prescinde dalla proprietà del bene locato, per cui, indipendentemente dal fatto che il diritto di abitazione non sia formalmente venuto meno, la locazione conclusa dal nudo proprietario è valida nei confronti del conduttore. Il relativo contratto dovrà essere intestato ai due soggetti proprietari, che dovranno dichiararne il reddito per la quota percepita da loro. A fini Imu, soggetto passivo sarà, fino al venir meno del diritto di abitazione, la titolare del diritto stesso, che grava su tutto l'immobile: essa sarà, pertanto, tenuta ai relativi adempimenti. (Luca Stendardi, Il Sole 24 ORE –Esperto Risponde, 25 agosto 2014) RICONSEGNA DELL'ALLOGGIO A UNA DATA DA CONCORDARE D. Mia figlia sta lasciando l'appartamento preso in affitto con una compagna di studi. Abbiamo dato regolare disdetta anticipata via raccomandata, come da accordi contrattuali, e provveduto a ripulire e imbiancare. Mia figlia ha chiesto ai proprietari di accordarsi per la restituzione dell'immobile e del deposito cauzionale. La risposta è stata una scarna email, nella quale si parlava, tra l'altro, di fare un primo sopralluogo e poi, di fatto, di rimandare tutto all'inizio dell'autunno, cioè a scadenza del contratto abbondantemente trascorsa. «Per il deposito cauzionale - si leggeva ancora nel messaggio di posta elettronica - dobbiamo vedere lo stato dell'appartamento e detrarre l'imposta di registro». Aggiungo che i padroni di casa non hanno poi proceduto al sopralluogo, nonostante la nostra disponibilità, che è vigente il regime della cedolare secca e che l'agenzia immobiliare non ha notizie in proposito. Che cosa dobbiamo fare? A noi risulta che la restituzione dell'immobile è contestuale a quella del deposito. Esistono tempi di legge per il sopralluogo oltre data di riconsegna? Come procedere? ---R. Sarebbe stata cosa utile formalizzare con una comunicazione la disponibilità a restituire l'immobile entro la scadenza, o comunque entro una decina di giorni successivi. Quanto eventualmente dovuto è limitato al periodo di effettiva detenzione dell'alloggio fino alla sua messa a disposizione dei locatori. Il deposito cauzionale dev'essere restituito una volta visionato lo stato dei locali: sotto questo aspetto la pretesa dei locatori risulta fondata. È prassi che il deposito cauzionale venga restituito al momento della riconsegna; alcuni usi locali prevedono però la possibilità di restituire il deposito entro un limitato periodo di tempo dopo la FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 38 riconsegna stessa, perché possa essere verificato con maggiore cura lo stato dei locali e dei servizi. Forse sui tempi della restituzione del deposito qualcosa precisa il contratto di locazione sottoscritto a suo tempo. Per quanto riguarda la tassa di registro, se il contratto è giunto alla naturale scadenza nessun adempimento dev'essere eseguito; se invece è stato interrotto anticipatamente su richiesta del conduttore, questo deve rimborsare al locatore l'importo della tassa dovuta (67 euro) per comunicare all'agenzia delle Entrate l'anticipata cessazione del contratto. Per quanto riguarda la cedolare secca, tale agevolazione fiscale non ha riflesso sulla riconsegna dell'immobile, ma solo sul fatto che sia dovuta, o meno, la tassa di registro: per fruire di questa agevolazione, il locatore deve però prevederla nel contratto o comunicarla al conduttore con lettera raccomandata. A questo punto, si dovrà provvedere alla riconsegna dell'immobile nella data che andrà concordata nuovamente, facendo presenti le proprie ragioni per quanto riguarda la disponibilità alla restituzione, non avvenuta per impedimento da parte del locatore, ed effettuando una verifica dello stato dei locali con attenzione, soprattutto, a quanto riguarda gli impianti (idrico, elettrico, del gas). Se tutto è a posto, e il canone è stato pagato fino alla scadenza del contratto, il deposito cauzionale dev'essere restituito per intero, con i relativi interessi maturati. (Luca Stendardi, Il Sole 24 ORE –Esperto Risponde, 25 agosto 2014) SCHEDA DEL CONDIZIONATORE A CARICO DEL PROPRIETARIO D. In un appartamento in affitto, dotato di impianto di aria condizionata, si deve sostituire la scheda elettronica del condizionatore, forse danneggiata da un sovraccarico durante un temporale. È previsto un costo di 900 euro circa, a fronte di una spesa complessiva di 2.800 euro per l'acquisto, avvenuto nel 2009.La spesa spetta al locatario o al locatore? Si precisa che il contratto di affitto è quello standard dell'Uppi e non prevede alcunché al riguardo. ----R. Se nel contratto di locazione non esistono disposizioni specifiche per la ripartizione delle spese necessarie alla manutenzione dei locali e degli impianti, si devono applicare le norme del Codice civile. L'articolo 1576 sancisce che il locatore deve eseguire, durante la locazione, tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle di piccola manutenzione, che sono a carico del conduttore. Conseguentemente, ove la rottura della scheda elettronica dell'impianto di condizionamento non sia dovuta a cattivo uso dell'impianto stesso da parte del conduttore, l'onere di provvedere alla sua sostituzione grava sul locatore. (Luca Stendardi, Il Sole 24 Ore – L’Esperto Risponde, 25 agosto) DISDETTA SENZA MOTIVAZIONE AL TERMINE DEL «4 + 4» D. Per disdire un contratto di locazione di un appartamento con la formula "quattro anni più quattro", al termine degli 8 anni è indispensabile dare una motivazione? ----R. Al termine del secondo quadriennio, il contratto di locazione cosiddetto libero, di cui all’articolo 2, comma 1, della legge 431/98 (con durata di quattro anni + quattro), può essere disdettato senza alcuna motivazione, con lettera raccomandata inviata al conduttore (e da lui ricevuta) almeno sei mesi prima della scadenza. L’articolo 2, comma 1, della legge 431/1998 dispone infatti che, «...alla seconda scadenza del contratto, ciascuna delle parti ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto, comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all'altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. La parte interpellata deve rispondere a mezzo lettera raccomandata entro sessanta giorni dalla data di ricezione della raccomandata di cui al secondo periodo. In mancanza di risposta o di accordo il contratto si intenderà scaduto alla data di cessazione della locazione. In mancanza della comunicazione di cui al secondo periodo il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni». (Matteo Rezzonico, Il Sole 24 Ore – L’Esperto Risponde, 25 agosto) FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 39 Professionisti IL COLLABORATORE EMETTE FATTURA AL PROFESSIONISTA D. Un professionista, che ha tenuto in tirocinio un praticante, ora iscritto al proprio albo con partita Iva, si avvale saltuariamente della sua collaborazione, passandogli qualche piccola pratica, come, ad esempio, comunicazioni di attività libera, rettifiche catastali, ispezioni o ricerche urbanistiche eccetera. Al momento della fattura, questa può essere emessa dal collaboratore che ha di fatto materialmente eseguito la pratica ma, ad esempio, non ha apposto la firma sulla comunicazione, oppure semplicemente ha scritto il nome dell'affidatario? Si potrebbe redigere, se del caso, una delega per la predisposizione e/o presentazione della pratica? ----R. La fattura dev'essere emessa dal professionista che ha ricevuto l’incarico dal cliente. Riguardo alla delega, non è chiaro il suo contenuto, ma in ogni caso, quand’anche fosse lecito farla, ciò non cambierebbe l’obbligo di emissione della fattura da parte del professionista direttamente scelto e incaricato dal cliente per lo svolgimento di una certa attività professionale, anche complessa. In genere, quindi, il collaboratore emette fattura al professionista con cui collabora, che fattura al cliente. (Alessandra Pacchioni, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 25 agosto 2014) Il CLIENTE PUO’ SEMPPRE PAGARE CON IL POS D. Sono un geometra e vorrei conoscere esattamente gli obblighi in materia di Pos e le sanzioni a cui andrei incontro se non dovessi dotarmi di questo strumento, previsto da norme recenti. Ho letto articoli in cui si sostiene che la norma non è vincolante. Se sono obbligato a possedere un Pos, che cosa succede nel caso io decida di non farlo? Siccome la banca a cui mi sono rivolto mi ha chiesto il pagamento di somme abbastanza importanti per la strumentazione Pos, i costi relativi posso addebitarli al cliente? Infine, perché, anziché semplificare l'attività dei lavoratori autonomi si rende ancora più difficile riscuotere quanto legittimamente dovuto per il loro lavoro? ----R. Tecnicamente quello di dotarsi del Pos non è un "obbligo", ma un "onere". Nella pratica, significa che il cliente può pretendere di pagare con il bancomat. Con diverse ricadute a livello operativo. Ma andiamo con ordine. Il 30 giugno 2014 – per effetto dell'articolo 9, comma 15-bis, del Dl Milleproroghe 150/2013 – è scattato l'obbligo per tutte le imprese e i professionisti di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito (Bancomat). La norma è contenuta nell'articolo 15, comma 4, del Dl 179/2012 (convertito dalla 221/2012) e si applica a tutti i pagamenti superiori a 30 euro, come previsto dall'articolo 3 del decreto del ministero dello Sviluppo economico del 24 gennaio 2014. Con questa previsione si attribuisce al pagamento effettuato tramite Pos (Point of sale) la stessa efficacia liberatoria del pagamento "in contanti" ex articolo 1277 del Codice civile, con la possibilità per il consumatore o l'utente di scegliere la tipologia di pagamento preferita. Per il destinatario del pagamento (professionista, artigiano o impresa), è sorto quindi l'obbligo di attrezzarsi, per garantire al cliente consumatore questa possibilità di scelta. Si tratta, cioè, di dotarsi di un terminale Pos che consenta di accettare il pagamento di beni e servizi con carte valide sui principali circuiti di debito. Un punto spesso lamentato dai professionisti nelle prime settimane di applicazione della norma è quello dei costi, e a proposito è stato attivato anche un monitoraggio ufficiale (si veda la scheda a lato). Peraltro, è possibile anche utilizzare recenti innovazioni tecnologiche che FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 40 trasformano uno smartphone in un lettore Pos. In genere si tratta di connettere allo smartphone un piccolo dispositivo con tastiera digitale, che permette così di effettuare i pagamenti da parte dei clienti ed emette una ricevuta email, oltre allo scontrino digitale, che può divenire anche cartaceo con una stampante wireless. Il vantaggio, per l'esercente, dovrebbe essere il risparmio che queste tecnologie garantiscono rispetto al terminale Pos tradizionale fornito dalle banche. Occorre, in ogni caso, valutare attentamente le varie offerte dal punto di vista del costo, delle garanzie, del supporto al cliente, per una scelte davvero consapevole dei pro e dei contro. È comunque possibile, in fase di definizione del prezzo del bene o servizio fornito, che il professionista e il cliente si accordino preventivamente e per iscritto, sulle alternative al pagamento tramite Pos, individuando altre modalità del pagamento (bonifico bancario, assegno o contanti fino alla soglia di 1.000 euro, come previsto dall'articolo 49 del Dlgs 231/2007). Questo è anche il consiglio fornito dal Consiglio nazionale degli ingegneri all'indomani dell'entrata in vigore della normativa in questione. Anche il Consiglio nazionale forense, con la circolare 10-C-2014, ha affermato la centralità della volontà della parti del contratto d'opera professionale (cliente e avvocato) per l'individuazione delle forme di pagamento, per cui, «ad esempio, i clienti che sono soliti effettuare i pagamenti tramite assegno o bonifico bancario potranno continuare a farlo». Nella stessa circolare si affronta poi un altro importante aspetto: quello della effettiva "obbligatorietà" o meno, per l'esercente, della strumentazione Pos. A questo proposito, sembra ormai accertato che non si possa parlare di obbligo ma di semplice onere. Questa è la posizione assunta per primo dal Consiglio nazionale forense e poi adottata dal ministero dell'Economia e delle finanze nella risposta all'interrogazione parlamentare 5-02936, che ha confermato tale interpretazione dell'articolo 15, comma 4, del Dl 179/2012. Essa si fonda sul fatto che, non essendo prevista dalla legge alcuna sanzione a carico dei professionisti che non dovessero adottare la strumentazione Pos, non si può parlare di un obbligo giuridico quanto piuttosto di un onere, che sorge solo nel caso in cui il cliente volesse pagare tramite carta di debito. Tale evenienza potrebbe essere evitata, appunto, tramite un accordo scritto, preventivo tra l'esercente e il cliente. In mancanza di ciò, e nel caso in cui l'esercente non sia in possesso del terminale necessario per il pagamento con carta di debito, cosa succede? Se il cliente chiede di pagare con il bancomat (e solo con il bancomat), la conseguenza per il professionista è la cosiddetta mora del creditore, in quanto l'offerta di adempimento a mezzo di moneta elettronica vale come seria manifestazione della volontà di corrispondere il compenso. In particolare, il cliente-debitore non sarà tenuto a versare gli interessi per il ritardo nel pagamento della somma da lui dovuta e potrà sempre chiedere il risarcimento di eventuali danni (naturalmente, i danni andranno sempre dimostrati, ed è piuttosto difficile pensare che l'impossibilità di saldare il conto possa dar luogo, di per sé, a un danno). Ad ogni modo, sarà opportuno che l'esercente invii la richiesta di pagamento al domicilio del cliente e che si concordino i termini di pagamento del suo credito. È evidente, in ogni caso, che le motivazioni sottostanti alla scelta del legislatore non sono solo quella di garantire al cliente/consumatore un maggiore ventaglio di strumenti di pagamento, ma anche di contrastare – sia pure in via indiretta – la diffusione dell'economia sommersa. È vero che in molti casi la tracciabilità è assicurata dalle metodologie di pagamento generalmente in uso negli studi professionali, dove l'uso del contante risulta di fatto abbandonato da tempo. Il fatto che la nuova disposizione si applichi anche ad artigiani e imprese, però, potrebbe restringere ulteriormente l'area del contante e – nel contempo – favorire una riduzione dei costi per il servizio praticati dagli istituti di credito. ATTENTI A COSTI FISSI E VARIABILI PER L'APPARECCHIATURA Secondo quanto emerso al termine delle prime due giornate di confronto avviate dal ministero dello Sviluppo economico, il costo fisso per i terminali più innovativi, il cui funzionamento è basato su un collegamento via internet o attraverso una rete mobile, si aggira in media intorno ai 2-5 euro mensili, mentre per le apparecchiature più tradizionali, collegate alle reti FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 41 interbancarie dedicate, la media è di 10-15 euro mensili. I costi variabili sono, invece, legati al numero e all'ammontare delle transazioni effettuate dalla clientela e dipendono dal tipo di circuito utilizzato (la stima comunicata dal ministero si aggira intorno al 1-1,5% rispetto all'entità delle transazioni). Spesso le due componenti di costo sono collegate: a costi fissi più alti possono essere associati costi variabili più bassi, e viceversa. Il quadro A CHI SI APPLICA Interessate le imprese e i professionisti Professionista, con o senza Albo, artigiano, imprenditore individuale o società, qualunque soggetto che esercita attività di vendita di prodotti e di prestazioni di servizi: a tutti costoro si applica la nuova normativa in tema di Pos per i pagamenti di importi superiori ai 30 euro. Il legislatore ha così voluto dare la possibilità al cliente-consumatore di utilizzare una carta di debito o di credito come mezzo di pagamento STRUMENTI POSSIBILI Quattro soluzioni tra cui scegliere Dal Pos fisso al Pos cordless, dal Pos Gsm/Gprs, che ha un terminale portatile, abilitato a una Sim di telefonia mobile, al Pos Mobile (con cui è possibile pagare tramite carte di credito/bancomat, connettendo il Pos direttamente a uno smartphone o a un tablet). Per le prime tre tipologie i costi fissi all'anno dovrebbero aggirarsi sui 120-180 euro, per l'ultima su 25-60 euro. I costi variabili sono, invece, legati al numero e all'ammontare delle transazioni effettuate NIENTE SANZIONI Rifiuto del professionista senza conseguenze Nessuna sanzione è prevista in caso di rifiuto di accettare il pagamento tramite Pos. Il Consiglio nazionale forense ha precisato che la normativa «non stabilisce affatto che tutti i professionisti debbano dotarsi di Pos... ma solo che, nel caso il cliente voglia pagare con una carta di debito, il professionista sia tenuto ad accettare tale forma di pagamento». Interpretazione avallata anche dal ministero dell'Economia CREDITORE «IN MORA» Il cliente non paga più gli interessi La richiesta del cliente di pagare con il Pos vale come esatto adempimento dell'obbligazione pecuniaria (e non come esecuzione di una «prestazione diversa»). Pertanto, se il professionista non possiede la strumentazione Pos si crea la mora del creditore: il cliente si libera dall'obbligo di pagare gli interessi, ma resta obbligato a pagare il corrispettivo base, mentre l'esercente è tenuto a risarcire il debitore da eventuali danni L'ACCORDO PREVENTIVO Quando manca il Pos è utile l'accordo in anticipo In mancanza del Pos è possibile (anzi, consigliabile) che l'esercente si accordi preventivamente con il cliente in merito alla modalità di pagamento. Tale pattuizione può avvenire anche oralmente, risultando però (chiaramente) più semplice provare i termini dell'accordo se è scritto. Ciò è quanto consigliano numerose organizzazioni professionali come il Consiglio nazionale degli ingegneri e la Cna CHI PAGA I COSTI Aumento del prezzo sempre possibile Per non subire i costi legati alla strumentazione Pos, l'esercente può legittimamente aumentare il prezzo del bene o servizio da lui offerto. Il problema, se mai, è di carattere economico e di opportunità. In una fase di crisi come quella attuale non è consigliabile aumentare il prezzo dei FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 42 servizi o delle prestazioni, anche per non rischiare di perdere i clienti. Viceversa, la presenza del Pos può essere pubblicizzata in chiave positiva IL LIMITE DI 1.000 € Nuovi obblighi in aggiunta a quelli del Dlgs 231/2007 Le previsioni in materia di Pos si aggiungono alle disposizioni del Dlgs 21 novembre 2007, n. 231, in tema di antiriciclaggio, cioè agli obblighi di verifica della clientela, di registrazione nonché di segnalazione di operazioni sospette (con sanzioni penali per chi non le rispetta), e al divieto di trasferire denaro contante o titoli al portatore per somme maggiori o uguali a 1.000 euro (in caso di violazione è prevista una sanzione amministrativa dall'uno al 40% della somma trasferita) (Alessandra Pacchioni, Il Sole 24 ORE – Esperto Risponde, 1 settembre 2014) Catasto VA DICHIARATA LA NUOVA PARETE IN CARTONGESSO D. In un alloggio, la zona cucina dell'ampio soggiorno è stata separata dal resto della stanza mediante un muro in cartongesso, lasciando aperte due porte laterali per accedervi, lato ingresso e lato soggiorno. Si precisa che il cucinotto così ricavato aveva già una porta finestra aperta su un balconcino di servizio. Si domanda se tale modifica, rispetto alla planimetria catastale, che mostra un'unica stanza, comporti un obbligo di variazione al catasto per la resa di conformità ai sensi del Dl 78/2010 in vista di una futura vendita dell'alloggio. ----R. La risposta è affermativa. La modifica della distribuzione degli spazi interni è una delle tipologie di variazione soggetta a dichiarazione in catasto in quanto può incidere sulla consistenza e, in definitiva, sulla rendita catastale (circolare 3/2010 dell’agenzia del Territorio). Di fatto, la consistenza delle unità immobiliari adibite ad abitazione, ad oggi, si misura ancora in vani utili, secondo specifiche regole, tra cui quella che prevede il conteggio della cucina come un vano, indipendentemente dalla superficie (sempre che sia dotata di areazione ed illuminazione), come nel caso in esame. La superficie sottratta al salone comporta una riduzione di rendita, che, di norma, è inferiore al vano. Per cui, in relazione, all’entità della superficie sottratta al salone, allo standard di ampiezza del vano utile (per la categoria catastale dell’unità immobiliare in esame nel Comune ove questa ricade) e al gioco dell’arrotondamento al mezzo vano, la consistenza dell’unità immobiliare potrebbe aumentare e, di conseguenza, anche la relativa rendita crescere, rispetto alla misura attuale. Per cui, la variazione in catasto è dovuta, non solo per la conformità ai fini dell'eventuale alienazione dell'unità immobiliare, ma anche per gli ordinari adempimenti fiscali e per non incorrere in sanzioni. (Antonio Iovine, Il Sole 24 ORE –Esperto Risponde, 25 agosto 2014) CASE DI LUSSO, I PARAMETRI DEL DM 2 AGOSTO 1969 D. Mia moglie e io siamo proprietari, ciascuno di uno dei due appartamenti sovrapposti che costituiscono un unico immobile isolato, appartamenti che misurano ciascuno 102 metri quadrati, per un totale di 204 metri quadrati, esclusi terrazzi e scantinati. Il terreno di pertinenza dell'immobile è di 500 metri quadrati. Poiché utilizziamo abitualmente ambedue gli appartamenti (pur avendo la residenza familiare in uno dei due), avremmo ipotizzato di riunire in un'unica unità immobiliare i due appartamenti. Il geometra che vorremmo incaricare di riunire il tutto mi suggerisce che così facendo la nuova unità immobiliare costituita dalla sommatoria dei due appartamenti diverrebbe casa di lusso ai sensi del decreto 2 agosto 1969.Da una mia verifica dei requisiti previsti dal decreto mi pare che non sia così. Potete FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 43 chiarirmi quali siano i requisiti da prendere in considerazione per l'immobile descritto sopra? ----R. Il Dm 2 agosto 1969 che indica le caratteristiche per la classificazione di lusso delle abitazioni, agli articoli da 1 a 7 reca alcune condizioni oggettive facilmente verificabili tali che, anche se una sola è ricorrente, l’abitazione è da considerare di lusso. Tra le varie restrizioni rientrano quelle che assumono a base di verifica il parametro superficie utile dell’abitazione. Affinchè l’abitazione (risultante dalla fusione) non sia considerata di lusso, la superficie utile deve essere inferiore a 200 mq., se si tratta di unico alloggio padronale, avente come pertinenza un'area scoperta della superficie di oltre sei volte l'area coperta. In tutti gli altri casi, il limite di superficie utile è 240 mq. (articolo 5 del Dm citato). Da tale superficie sono esclusi i muri, gli armadi a muro, i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine (ecco perché la superficie catastale non può essere assunta a riferimento). Nel calcolo della superficie utile occorre avere particolare attenzione ai locali adibiti a cantine e soffitte, da escludere effettivamente se sono suscettibili solo di tale uso per carenza di finestre, areazione, altezze modeste (inferiori a m 1,50 come previsto dal Dpr 138/98). A titolo di esempio, i seminterrati destinati a taverna e i sottotetti destinati a mansarde, se abitabili per la presenza di analoghe finiture dei vani principali ed a volte caratterizzate anche dalla presenza di bagni, rientrano nel conteggio della superficie utile complessiva. L’articolo 8 del decreto 2 agosto 1969, infine, prevede che sono altresì riconosciute di lusso le case e le singole unità immobiliari che abbiano oltre 4 caratteristiche tra quelle della tabella allegata al decreto. Anche questo filtro, molto oggettivo, è facilmente verificabile. In questo ultimo caso, il riconoscimento di lusso è indipendente dalla superficie utile, salvo il fatto che, se questa è superiore a mq. 160, scatta già una delle quattro caratteristiche che, se superate, comportano la classificazione di "lusso". (Antonio Iovine, Il Sole 24 ORE –Esperto Risponde, 25 agosto 2014) FIAIP News24, numero 13 - settembre 2014 44
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