Giuseppe PALMA © LA DITTATURA DELL’EUROPA E DELL’EURO Viaggio breve nel tessuto dell’Eurocrazia Seconda Edizione aggiornata, ampliata e corretta: giugno 2014 – ulteriormente aggiornata e corretta nel mese di agosto 2014. La prima edizione del presente saggio è intitolata: “Eurocrazia. La dittatura dell’Europa e dell’Euro. Saggio breve di natura giuridicoeconomica”, Editrice GDS - marzo 2014. Editrice GDS di Iolanda Massa Via Giacomo Matteotti n. 23, Vaprio d’Adda (MI) Tel. e Fax. 02-9094203; Partita Iva: 07638380969 E-mail: edizionigds@hotmail.it; iolanda1976@hotmail.it Codice ISBN 978-88-6782-292-8 L’immagine riportata sulla copertina anteriore raffigura il dipinto di Francisco Goya: “Il 3 maggio 1808: fucilazione alla montagna del Principe Pio”, Madrid – Museo del Prado, 1814. 2 Giuseppe PALMA LA DITTATURA DELL’EUROPA E DELL’EURO Viaggio breve nel tessuto dell’Eurocrazia Edizione aggiornata e corretta EDITRICE GDS 3 4 A mia figlia Giulia «L’Euro farà finire la democrazia in Europa» Margaret Thatcher Primo Ministro britannico dal 1979 al 1990 «Invece di darci l’Euro autentico, ci hanno dato un Euro falso. Incredibile, ma vero» Prof. Giuseppe Guarino Giurista italiano 5 6 LETTERA AGLI ITALIANI a firma dell’Autore Cari concittadini, inizio col dire che sono un europeista sincero e in buona fede, ma questa Europa - così com’è - non va affatto bene; è una dittatura ben peggiore di quelle che l’Umanità ha già sofferto in passato, e il motivo è molto semplice: si sta combattendo una guerra con le armi del profitto e della speculazione finanziaria, e non si conosce esattamente la consistenza materiale del nemico contro cui bisogna combattere! È bene quindi mettere in chiaro sin da ora un concetto fondamentale: frustrazione, povertà, disoccupazione e disperazione provocano gli stessi morti delle bombe! Siamo soldati indifesi di una Terza Guerra Mondiale, un conflitto globale che non si combatte né con i fucili né con i bombardamenti, bensì con le speculazioni finanziarie, lo spread e con una moneta straniera (l’euro) che ha reso il debito pubblico un problema enorme per gli Stati che l’hanno adottata, il tutto contornato dall’incosciente arrivismo sfrenato tra poveri! Lì dove non sono riusciti nazismo e comunismo – contornati dalle tipiche vesti sia della dittatura formale che di quella sostanziale -, vi sta riuscendo questa Unione Europea, la quale, a differenza delle dittature del passato, è vestita con abiti di amicizia, fratellanza e solidarietà, ma nella sostanza esercita un potere dittatoriale che - a differenza di quanto era avvenuto per le dittature del Novecento - non promana dalla volontà popolare bensì dai banchieri, dalla massoneria, dalle multinazionali, dalle lobby e da chi – potendo spostare ingenti somme di capitale – decide il destino di intere Nazioni. Solo le libere coscienze e le menti indipendenti – semmai ancora ce ne fossero - possono individuare la strada maestra affinché interi popoli tornino ad essere concretamente liberi e sovrani. Con il presente saggio breve – giunto alla Seconda Edizione aggiornata, ampliata e corretta (ed ulteriormente aggiornata e corretta) - ho voluto raccogliere alcuni miei articoli pubblicati negli ultimi due anni, insieme a frammenti tratti dai miei libri e a taluni riferimenti scientifici liberamente estrapolati dal contenuto di interviste, 7 testi, articoli, appelli o convegni di alcune tra le personalità italiane e straniere maggiormente competenti in materia economica e/o giuridica, attraverso i quali cerco di dimostrare come - ormai da diversi anni - l’Italia e gli italiani (ma più in generale tutti i cittadini europei) sono vittime di una nuova forma di dittatura imposta dal falso “sogno” dell’Europa unita, un’Europa dolosamente costruita su fondamenta anti-democratiche e assolutistiche. Quello che fu un progetto nobile si è ormai trasformato in una sorta di dittatura dei banchieri, della finanza speculativa, della massoneria, delle multinazionali e dei grigi tecnocrati facenti parte dell’establishment aristocraticofinanziario (o da questo assoldati). Quella che abbiamo visto sinora non è quindi l’Europa dei Popoli così come ci era stata promessa, è solo una cattiva riproposizione - con forme, vesti e strumenti raffinatisi nei Secoli - della parte peggiore di quella tirannia del Vecchio sistema ante Rivoluzione francese; una sorta di nuovo Ancien Régime europeo ben peggiore dell’assolutismo monarchico Settecentesco. Se prima della Rivoluzione francese - in un sistema rigidamente gerarchico - chiunque poteva rivolgersi al re per ottenere un titolo, un riconoscimento o la soddisfazione di una qualsiasi esigenza (e il re poteva tutto in quanto su di esso si concentravano tutti i poteri dello Stato per via dell’investitura divina), oggi siamo uccisi da un livellamento orizzontale costruito da un’idea sbagliata di uguaglianza e di democrazia, le quali, usate in modo truffaldino per scopi di controllo e non per garantire a tutti pari opportunità a parità di condizioni, non fanno altro che rendere invisibili ed impercettibili gli organismi di potere deputati a fornire risposte concrete alle reali esigenze dei cittadini. E con una buona dose di “sapiente persuasione” operata dai falsi Europeisti (nostrani e stranieri), eccoci ridotti in schiavitù. Alcuni esempi: a) frettolosa introduzione della moneta unica senza passare da una democratica e condivisa unione politica che avrebbe dovuto assumersi la responsabilità di adottare le misure necessarie sulla moneta e sul debito pubblico di ciascuno Stato membro dell’Eurozona, con l’aggravante che abbiamo un’unica moneta per tutti gli Stati e più debiti pubblici tanti quanti sono gli Stati; b) rigidi controlli e forti limitazioni sulla capacità di spesa di ciascuno Stato appartenente 8 all’Unione monetaria (una Nazione che non ha sovranità decisionale sulla spesa e sulla moneta non può in alcun modo adempiere alla sua funzione sussidiaria, propria dell’essere Stato); c) sottoscrizione di Trattati internazionali (vedesi ad esempio il Trattato di Maastricht oppure il cosiddetto Fiscal Compact) contenenti norme forcaiole che prevedono, tra le altre cose, l’obbligo per ciascuno Stato firmatario di rispettare un rigido tetto nel rapporto deficit/PIL (limite che né gli Stati Uniti d’America né il Giappone hanno) ovvero di recepire nei propri ordinamenti giuridici nazionali vincoli assurdi quali ad esempio il pareggio di bilancio e la riduzione sistematica - a ritmi criminali - della spesa pubblica, veri e propri limiti capestro di matrice anti-democratica capaci di massacrare sia lo Stato sociale che i fattori produttivi. Lo Stato, per il sol fatto di essere Stato, non dovrebbe mai sottostare a regole che gli impongano di rispettare rigidamente determinati limiti di spesa o di bilancio; d) gli Stati che hanno firmato la loro condanna a morte e che pertanto si trovano costretti a rispettare il contenuto dei Trattati, hanno introdotto nei propri ordinamenti giuridici nazionali (in primis l’Italia) strumenti altamente invasivi di accertamento fiscale, con la diretta conseguenza che - sull’onda del Terrore generato da tali misure - si è prodotta sia una riduzione del gettito derivante dalla lotta all’evasione fiscale sia lo spostamento all’estero della circolazione monetaria e della ricchezza. E medesimo discorso dicasi in merito alla rigida previsione di un limite all’utilizzo del denaro contante e all’introduzione di un sistema forzoso di utilizzo della moneta elettronica, misure che hanno generato e che continueranno a determinare - per effetto della Paura - sia una drastica riduzione dei consumi sia una costante diminuzione del gettito sopra specificato. E, ciononostante, i nostri politici continuano ad orientarsi nell’orbita di queste misure (vedesi ad esempio l’obbligatorietà del POS); e) introduzione di limiti assurdi - che addirittura lambiscono il ridicolo – come ad esempio quello sul tasso di acidità dell’olio extravergine d’oliva e sulla composizione alimentare della pizza margherita. Alla luce del fatto che in Puglia, in Calabria, in Liguria e in Toscana si produce il miglior olio del mondo e che a Napoli fanno la pizza più buona dell’intero Universo, non si comprende per quale motivo l’Unione Europea ponga appositi vincoli stringenti e tassativi; f) folle regolamentazione - che rasenta 9 anch’essa il ridicolo - sulle dimensioni dei frutti della terra (banane, cicorie, meloni etc…), in modo tale da massacrare la produzione e gli scambi commerciali dei piccoli produttori a vantaggio sia della produzione industriale mascherata da produzione biologica sia della grande distribuzione; oltre a tante altre scempiaggini imposte da soggetti che nessuno conosce e che rispondono unicamente alle volontà del nuovo Ancien Régime europeo (o, come lo definisce Paolo Barnard, NeoFeudalesimo). E i nostri politici (che è bene ricordare sono stati nominati e non eletti), anch’essi vergognosamente immischiati nella “rete globale” dell’establishment aristocratico-finanziario, continuano ad andare in televisione a lavarsi la bocca con parole come Costituzione, lavoro, democrazia, libertà, diritti civili, etc, etc… Si vergognino! E stesso discorso andrebbe fatto altresì nei riguardi dell’Ordine giudiziario (l’unica casta veramente intoccabile del nostro Paese), il quale - ergendosi illegittimamente a Terzo potere dello Stato - è anch’esso parte attiva delle “logiche globali” e di perseguimento delle finalità politiche ad esse strumentali. E che dire della totale scomparsa di autorevolezza della politica? Essa è ingrediente indispensabile per poter fornire risposte concrete alle legittime e sacrosante aspettative del popolo sovrano, ma i politici italiani, invece di difendere con autorevolezza i loro cittadini di fronte alle assurde ed anti-democratiche decisioni assunte al tavolo europeo, si sono vergognosamente nascosti dietro la patina dell’ipocrisia chinandosi - ad esempio - di fronte alla redditività mediatica rappresentata dal terrore/imbroglio dello spread. Attraverso questo comportamento ipocrita ed altamente meschino il Parlamento italiano, con “la pistola della speculazione finanziaria puntata alla tempia”, ha ratificato Trattati internazionali che sostanzialmente sospendono (o quanto meno limitano fortemente) la democrazia nel nostro Paese (il Fiscal Compact e il MES ne sono esempi evidenti!). Ma come è potuto succedere tutto questo? Mi limito a rispondere soltanto che non è un caso, infatti, che gli ultimi tre Presidenti del Consiglio italiani non sono passati dal voto popolare. E non è neppure un caso che, a partire dagli inizi degli anni Novanta, la Politica abbia gradualmente ceduto il primato all’Economia e alla Finanza. Che orrore! Ciò detto, le scelte economico-fiscali dei governi italiani 10 degli ultimi anni non rispondono – come dovrebbe essere – alle reali esigenze del popolo sovrano (vergognosamente tradito e svenduto dai suoi rappresentanti), bensì ai diktat della Troika economica (Banca Centrale Europea + Fondo Monetario Internazionale + Commissione Europea)1, alle valutazioni criminali delle Agenzie di rating (che fanno gli interessi delle “logiche globali” e non di certo quelli del popolo) e quindi ai continui e martellanti rimproveri stranieri sulla riduzione del debito pubblico e sul non sforamento del tetto del 3% nel rapporto deficit/PIL. Visto che la Francia e la Germania - già da diversi anni - fanno i loro comodi senza che nessuno dica nulla, se avessimo una maggiore consapevolezza delle nostre potenzialità (e della nostra Bellezza) non dovremmo fare altro che affermare con maggiore determinazione la nostra autorità e prenderci – anche forzando di parecchio la mano se necessario - tutto quello che ci spetta! Se poi penso alle continue direttive ed ammonizioni che alcuni tecnocrati europei rivolgono con imbarazzante frequenza al nostro Paese, mi viene l’orticaria. Ma non esiste un politico italiano che risponda a questi grigi burocrati e dica loro di stare zitti? L’Italia è il Paese più bello del mondo; senza gli italiani non esisterebbero il diritto, la pittura, la scultura, la musica, l’aereo, il computer, la pila, l’architettura, la radio, le banche, la poesia, il pianoforte, la pizza e mille altre cose… ciononostante, questa Europa si permette il lusso di fare da padrona in casa nostra e di venirci a dettare regole assurde e non condivise (e noi glielo consentiamo accettando ogni sopruso)! Diceva Giovanni Giolitti: «[…] le leggi devono tener conto anche dei difetti e delle manchevolezze di un Paese… Un sarto che deve tagliare un abito per un gobbo, deve fare la gobba anche all'abito». Questa Unione Europea, invece, cuce e confeziona “abiti” tutti uguali per persone con “taglie” e caratteristiche completamente diverse, in aperto contrasto con il sacrosanto principio costituzionale di “Ragionevolezza” secondo il quale debbono aversi trattamenti uguali per casi uguali e trattamenti diversi per casi diversi. Come si 1 I soggetti che compongono la Troika economica non solo sono quasi del tutto sconosciuti ai cittadini europei, ma addirittura esercitano un potere che non promana – neppure indirettamente - dalla volontà popolare! 11 può pretendere che una medesima regolamentazione comune – sulle più svariate materie– possa andar bene a circa quattrocento milioni di persone che, per ragioni storiche e non solo, sono completamente diverse tra loro? Ciò premesso, appare quindi sufficientemente chiaro che la struttura giuridica di questa Unione Europea si fonda su un imbarazzante criterio di “Irragionevolezza”! È dunque giunta l’ora che il popolo si svegli! Ricordiamoci che la libertà non la si toglie mai tutta d’un botto, la si esautora volta per volta (attraverso una pianificata sistematicità di atti) e spesso con l’incosciente benestare delle vittime. Cosa aspettiamo dunque ad indignarci? Non possiamo più continuare ad assistere inermi alla costante e progettata ramificazione del “Pensiero Unico Dominante”! Abbiamo abbandonato la ricchezza della povertà per fare spazio alla povertà della falsa ricchezza e dei falsi miti del progresso e della globalizzazione. Il tesoro italiano non è rappresentato dalla nostra riserva aurea (sulla quale gli “amici” europei hanno già messo le mani), bensì dai vicoli incontaminati dei borghi medievali umbri e marchigiani, dai castelli che dominano l’Appennino (lì dove non vi sono state poste vicino anche le pale eoliche), dagli affreschi che troviamo nelle migliaia di chiese sparse per l’intera penisola e che vengono lasciati ammuffire con la scusa che non ci sono soldi a sufficienza per il restauro (mentre vengono spesi milioni di euro per costruire palazzi moderni che fanno schifo), dal paesaggio multicolore delle colline pugliesi e marchigiane (sempre che non siano deturpate dai pannelli color metallo del fotovoltaico), dalle casette medievali imbiancate con la calce del centro storico di Ostuni e dai muretti a secco delle sue campagne costruiti con una meravigliosa imperfezione, dalle Poesie del Leopardi, dalle canzoni di De Andrè, dalle spremute di limone o d’arancia della Sicilia, dagli arancini calabresi, dalle orecchiette pugliesi, dalla macchia mediterranea, dall’architettura millenaria che va dai tempi di Roma antica fino al 1959, oltre che da migliaia di altre bellezze; tutte meraviglie generate dal passato, dalle tradizioni e dalla povertà. 12 Se gli scempi, le ingiustizie e le assurdità dei giorni nostri rappresentano la tanto “coccolata” globalizzazione, per favore ridateci il nostro passato! Ciò premesso, i nostri politici e governanti - di fronte alla falcidiante crisi economica (siamo ancora in recessione) e di sistema -, invece di adottare misure totalmente contrarie a quelle che hanno determinato la situazione in essere, ci propinano riforme economiche (come ad esempio le privatizzazioni, la dichiarazione dei redditi precompilata, la fatturazione elettronica, l’obbligo delle transazioni di denaro attraverso sistemi elettronici etc…) talmente dannose che possono essere utili soltanto al disegno eurocratico. Siamo il Paese dell’Arte e della Bellezza, la terra madre di un patrimonio culturale, artistico e paesaggistico che non ha eguali nel mondo e che tutti ci ammirano con immenso stupore: non possiamo continuare ad accettare di dover perire sotto i colpi mortali inflitti dagli interessi dei banchieri, della finanza speculativa e delle multinazionali che sfruttano (o peggio hanno a libro paga) una certa politica ipocrita e arrogante che ha consentito, e continua ad alimentare con criminale coscienza, l’instaurarsi di una dittatura globale appositamente costruita per sottomettere - non con le armi ma con la pianificata ramificazione del “Pensiero Unico Dominante” - milioni di persone! Italia, destati! Giuseppe Palma 13 14 I EUROCRAZIA: la dittatura dell’Europa e dell’Euro. Soluzioni alla crisi economica e Manifesto culturale contro il nuovo Ancien Régime europeo2 «Quanta speranza negli occhi di noi ragazzi del 78’ che, nel settembre del 1992, iniziavamo il primo anno di scuola superiore! Quanta speranza nelle parole Europa e Popoli! Quanti pomeriggi sottratti ai giri in motorino per partecipare ai progetti scolastici europei! Ma oggi, trascorsi poco più di vent’anni dal Trattato di Maastricht, quella speranza si è trasformata in un giogo d’acciaio posto attorno al collo della libertà! I parametri forcaioli che qualche politico nostrano (fin troppo consapevole) ha accettato di sottoscrivere perché il nostro Paese facesse parte sin da subito di un progetto europeo senza testa e con tante code, rappresentano oggi la condanna a morte dell’Italia - il Paese più bello del mondo -, ridotto dai ciechi ed ipocriti “Europeisti a tutti i costi” a svendere le proprie meraviglie e i frutti di una vita alle multinazionali straniere! Penso agli italiani del nord nati prima della fine della guerra, che con appena la quinta elementare hanno creato dal 2 Articolo che ho scritto tra la fine di gennaio e la prima settimana di febbraio 2014, pubblicato in data 11 febbraio 2014 sulla Rivista elettronica denominata FanPage.it (sezione Diritto e Diritti): http://www.fanpage.it/leurocrazia-e-le-soluzioni-alla-crisi-economica/; largamente aggiornato, ampliato e corretto per la presente pubblicazione. Ciò detto, l’articolo riportato nel presente saggio (da pag. 15 a pag. 44), benché ulteriormente aggiornato e corretto, è stato pubblicato sulla medesima rivista sopra indicata in data 12 maggio 2014: http://www.fanpage.it/le-imposizioni-dell-europae-dell-euro/, con il titolo: “Le imposizioni dell’Europa e dell’Euro […]”. 15 nulla - con la sola meravigliosa forza della fantasia - officine e piccole botteghe familiari successivamente trasformatesi in fabbriche vere e proprie, spina dorsale di un intero Paese che hanno dato lavoro a milioni di persone! Penso ai contadini del sud nati nei primi decenni del Secolo scorso, che con appena la seconda elementare (chi aveva la quinta era considerato un “uomo di lettere”) facevano sacrifici indicibili per mandare i propri figli più capaci all’Università: in quel modo avrebbero evitato a questi una vita di stenti come quella che avevano fatto loro… ma all’epoca la laurea valeva molto! Un laureato - oltre a godere del rispetto dell’intera comunità - un lavoro dignitoso lo trovava comunque! E questo i contadini lo sapevano bene… quella era la loro Repubblica! Poi sono arrivati i “dottorini”, i “professoroni”, gli “europeisti” e i “tecnici”, quelli che hanno tre lauree, cinque Master, che insegnano all’Università, che parlano l’inglese alla perfezione e che hanno fatto esperienza all’estero, i quali ci hanno convinto che un’unione monetaria – accompagnata da graduali cessioni di sovranità da parte degli Stati membri in favore degli organismi comunitari - ci avrebbe fatto diventare più ricchi e che la povertà nel Vecchio Continente sarebbe stata definitivamente debellata, che saremmo stati tutti insieme come in una sorta di Paradiso economico eterno! E se qualche scettico si opponeva a questo progetto di unificazione, ecco pronti gli ipocriti e gli assoldati a reagire con la solita arma: la denigrazione morale, culturale ed intellettuale di coloro che la pensano diversamente! Ricordo che, fino a pochissimo tempo fa, chi si permetteva di mettere in discussione sia l’euro che l’Unione Europea veniva immediatamente additato come un “fascista” ignorante, come un soggetto pericoloso addirittura per la democrazia! Poi è iniziata la più grande crisi economica degli ultimi ottant’anni, e tutti i limiti del progetto europeo sono venuti alla luce! Ciononostante, ancora oggi, quegli stessi ipocriti che appartengono all’Intellighenzia europeista continuano a ghettizzare culturalmente chi critica questa Europa e questo euro così come finora concepiti! Ma come siamo arrivati a questo punto? Partiamo dall’inizio. Recita l’art. 11 della Costituzione: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di 16 risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. La chiave di lettura è nella parte della disposizione costituzionale che dice: “[…] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. L’Unione Europea trova pertanto il proprio fondamento giuridico (per quanto riguarda ovviamente la posizione del nostro Paese) in quest’ultimo frammento della disposizione costituzionale di cui all’art. 11, ma, come il lettore potrà rendersi conto, tali limitazioni alla sovranità nazionale sono fortemente circoscritte a due rigidi requisiti: 1) le condizioni di parità con gli altri Stati; 2) la necessità di assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni3. In merito alle condizioni di parità con gli altri Stati preferirei stendere un velo pietoso perché ogni commento sarebbe superfluo: quasi tutti i nostri Presidenti del Consiglio che si sono succeduti dal 1992 in poi, sono andati in Europa vestendo i panni del soldato Oreste Jacovacci ne La Grande Guerra di Mario Monicelli4. In merito, inveL’art. 11 della Costituzione fa riferimento a limitazioni di sovranità e non, come qualcuno ha tentato di propinare, a cessioni. La differenza, sia nella forma che nella sostanza, è abissale. 4 La Grande Guerra (Italia-Francia 1959), regia di Mario Monicelli con Vittorio Gassman e Alberto Sordi. Verso la fine del film c’è una scena molto simpatica nella quale i soldati, mentre attendono la distribuzione del pasto ritardata per un’improvvisa visita del generale, si lamentano tra di loro delle ridotte quantità e della scarsa qualità del rancio. A quel punto i militari manifestano l’esigenza di portare direttamente le loro lamentele al cospetto del graduato, e viene scelto il soldato Oreste Jacovacci (Alberto Sordi) quale rappresentante per tutti. All’arrivo dell’ufficiale (che ha anche la gentilezza di comunicare di essere in visita amichevole), questo ordina che venga distribuito il rancio, e chiede al soldato Jacovacci di dirgli cosa ne pensa del suo pasto. Come se nulla fosse successo e spaventato di un’eventuale ritorsione, Jacovacci risponde battendo i tacchi: «Ottimo e abbondante signor generale!»; «Invece è uno schifo […]» gli risponde deciso l’ufficiale, che riprende la visita ordinando che si provveda a risolvere il 3 17 ce, alla necessità di assicurare pace e giustizia fra le Nazioni, è doveroso sottolineare che il progetto europeo ha garantito – per la prima volta nella Storia del Vecchio Continente – che in Europa non si spari più un solo colpo di fucile da circa settant’anni, tuttavia (come ho già evidenziato nella mia Lettera agli Italiani) le guerre del nuovo mondo si combattono “semplicemente” con l’arma del profitto, della speculazione finanziaria e dell’impoverimento! E i morti che ne derivano sono sullo stesso piano dei morti da bombardamento, anche se fanno meno clamore e sono maggiormente assorbibili dall’indignazione generale! Nell’attuazione della disposizione costituzionale di cui all’art. 11 inizialmente interpretata in favore di organizzazioni internazionali che avessero la mera finalità di garantire la pace e la giustizia fra le Nazioni e non per uno specifico progetto europeo, quindi, solo successivamente servita quale trampolino di lancio della Comunità/Unione Europea – qualcosa, da un punto di vista strutturale, non ha funzionato. E la responsabilità non è certo dei Padri Costituenti! Gli ipocriti “Europeisti a tutti i costi”, sfruttando la loro sedicente credibilità internazionale (è facile essere credibili tra chi la pensa alla stessa maniera), hanno pertanto dato vita ad un’unione monetaria senza passare dalla necessaria e condivisa unione politica e bancaria, e ciò ha generato una falla mortale all’interno della struttura europea: se fino a qualche decennio fa ciascuno Stato nazionale - dotato problema. Di fronte allo sfottò degli altri commilitoni, Jacovacci esclama: «L’ho fatto apposta, pé vedé che diceva, magari ce provava a dì che era bono!». Allo stesso modo si sono comportati, con tutti i limiti cui ovviamente si presta il paragone, la maggior parte dei nostri Presidenti del Consiglio degli ultimi ventidue anni! Tuttavia, alla fine del film, il soldato Jacovacci si riscatterà facendosi fucilare (insieme al suo compagno d’armi il soldato Giovanni Busacca, interpretato da Vittorio Gassman) per non aver svelato al nemico austro-ungarico la postazione del ponte di barche italiano. I nostri governanti e la maggioranza dei nostri parlamentari, invece, continuano imperterriti ad obbedire ai diktat stranieri cercando inoltre di convincerci che per uscire dalla crisi ci vuole più Europa. Pura follia o chiaro tradimento? Non ai posteri, ma a noi, l’ardua sentenza. 18 della necessaria sovranità monetaria -, attraverso la facoltà di poter stampare nuova carta moneta e di non dover rispettare parametri forcaioli si faceva garante sia del debito pubblico sia delle condizioni sociali dei propri cittadini, dall’entrata in vigore della moneta unica qualcosa non ha più funzionato! La totale perdita di sovranità monetaria nazionale e la mancata possibilità sia di stampare nuova carta moneta sia di sfruttare la leva della svalutazione monetaria nei periodi recessivi, abbinate alla tenaglia del parametro del 3% nel rapporto deficit-PIL, hanno posto gli Stati nazionali con maggiori difficoltà nel dover fare i conti con una situazione insostenibile. Con il cocktail esplosivo rappresentato da un debito pubblico altissimo (che non costituisce un problema per gli Stati dotati di sovranità monetaria) e da una situazione recessiva pesantissima (il PIL di parecchi Paesi è sceso per più anni sotto lo zero), alcuni Stati - tra cui l’Italia , non potendo sforare il tetto del 3% nel rapporto deficit-PIL (e non potendo né stampare nuova carta moneta né utilizzare la leva della svalutazione monetaria), si sono trovati costretti a non poter assumere decisioni choc per far ripartire l’economia reale (le quali avrebbero sicuramente avuto un costo notevole ma necessario) perché altrimenti si sarebbero sforati i parametri sopra citati. E, come se ciò non fosse già di per sé sufficiente a rovinare una Nazione, il 2 marzo 2012 venticinque Stati dell’Unione Europea (compresa l’Italia e ad eccezione sia della Repubblica Ceca che - guarda caso - del Regno Unito, il cui ex Primo Ministro Margaret Thatcher aveva compreso già nel 1990 che l’unione monetaria sarebbe stata un disastro) hanno sottoscritto il cosiddetto Fiscal Compact (Patto di bilancio europeo o Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria), un Trattato internazionale folle e dannoso che prevede - tra le altre cose - l’obbligo per gli Stati firmatari di recepire nei propri ordinamenti nazionali i seguenti vincoli: 1) significativa riduzione del rapporto fra debito pubblico e PIL al ritmo di un ventesimo all'anno (5%), fino al raggiungimento del rapporto del 60% sul PIL nell'arco di vent’anni; 2) obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio; 3) obbligo di non superamento della soglia di deficit strutturale superiore allo 0,5% del PIL (e superiore all'1% per i paesi con debito pubblico inferiore al 60% del PIL). 19 Tre misure che hanno condannato a morte soprattutto l’Italia! Ma i nostri politici (in quel caso “tecnici” e “professoroni”), riempiendosi la bocca con parole come credibilità e stabilità, sono stati tra i primi a firmare la condanna a morte dei loro cittadini. E con una rapidità quasi miracolosa (praticamente nell’arco di qualche settimana), il Parlamento italiano - sordo e schiavo - ha inserito in Costituzione il vincolo del pareggio di bilancio (art. 81 Cost.). Nulla di più folle… I nostri deputati e senatori, parecchi dei quali consapevolmente, hanno quindi condannato a povertà certa almeno due generazioni. Sempre in merito al Fiscal Compact, sul sito web dell’enciclopedia libera Wikipedia è riportata la seguente critica: «I premi Nobel per l'economia Kenneth Arrow, Peter Diamond, William Sharpe, Eric Maskin e Robert Solow, in un appello rivolto al Presidente Obama, hanno affermato che "Inserire nella Costituzione il vincolo di pareggio del bilancio rappresenterebbe una scelta politica estremamente improvvida. Aggiungere ulteriori restrizioni, quale un tetto rigido della spesa pubblica, non farebbe che peggiorare le cose"; soprattutto questo "avrebbe effetti perversi in caso di recessione. Nei momenti di difficoltà diminuisce infatti il gettito fiscale (per concomitante diminuzione del PIL) e aumentano alcune spese pubbliche tra cui i sussidi di disoccupazione. Questi ammortizzatori sociali fanno dunque aumentare il deficit pubblico, ma limitano la contrazione del reddito disponibile e quindi del potere di acquisto (che influiscono sul consumo o domanda di beni o servizi)". Nell'attuale fase dell'economia, continuano, "è pericoloso tentare di riportare il bilancio in pareggio troppo rapidamente. I grossi tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione fiscale necessari per raggiungere questo scopo, danneggerebbero una ripresa economica già di per sé debole". Nell'appello si afferma che "anche nei periodi di espansione dell'economia, un tetto rigido di spesa potrebbe danneggiare la crescita economica, perché gli incrementi degli investimenti a elevata remunerazione - anche quelli interamente finanziati dall'aumento del gettito - sarebbero ritenuti incostituzionali se non controbilanciati da riduzioni della spesa di pari importo". Infine si afferma che "un tetto vincolante di spesa comporterebbe la necessità, in caso di spese di emergenza (per esempio in caso di disastri naturali), di tagliare altri capitoli del bilancio mettendo in pericolo il finanziamen20 to dei programmi non di emergenza". Critico anche l'economista e premio Nobel Paul Krugman, il quale ritiene che l'inserimento in costituzione del vincolo di pareggio del bilancio possa portare alla dissoluzione dello stato sociale»5. Ma dov’erano i nostri politici e i nostri tecnici quando i Premi Nobel argomentavano così chiaramente le loro critiche contro gli scellerati vincoli che abbiamo visto sinora? In una situazione di grave crisi economica come quella che ancora oggi attanaglia il nostro meraviglioso Paese, sarebbe invece stato necessario che l’Italia avesse assunto decisioni choc che mirassero a far ripartire l’economia reale, quindi il lavoro, i consumi delle famiglie, gli investimenti privati e le esportazioni; e ciò è ancora possibile - a mio modesto parere - attraverso gli strumenti che qui di seguito vado, seppur sommariamente, ad argomentare: A) L’allentamento (con un accordo comune sottoscritto da tutti i Paesi dell’Unione Europea firmatari dei Trattati) della morsa dei parametri di Maastricht, prevedendo esplicitamente la possibilità per gli Stati che si trovino in maggiori difficoltà economiche e/o in recessione di sforare ampiamente l’attuale parametro deficit-PIL. E medesima necessità di allentamento si renderebbe inoltre necessaria anche in merito ai parametri forcaioli previsti dal Fiscal Compact, i quali, sempre a mio parere, andrebbero integralmente abrogati! Tuttavia, da un punto di vista giuridico - trattandosi di Trattati internazionali e quindi nel rispetto del principio pacta sunt servanda -, sarebbe altresì necessario l’accordo tra tutti gli Stati firmatari in deroga a quanto precedentemente stipulato. Tuttavia, è bene precisare che l’allentamento della morsa dei parametri come sopra specificato potrebbe realizzarsi anche senza passare necessariamente dalla modifica dei Trattati ma attraverso una deroga pro tempore concessa dall’Unione Europea agli Stati con maggiori ed evidenti difficoltà (possibilità già attualmente prevista ma sinora mai accordata al nostro Paese). Forse il lettore non lo sa, ma il tetto del 3% quale para5 Il passaggio in corsivo è tratto integralmente dal seguente sito internet: http://it.wikipedia.org/wiki/Patto_di_bilancio_europeo#Critiche 21 metro del rapporto deficit/PIL trova la sua origine non su fondamenta economiche e/o matematiche (poteva infatti essere stabilito un tetto del 4, del 5 o del 7 per cento); il numero 3 pare sia stato indicato dall’ex Presidente della Repubblica francese François Mitterrand quale presunto riferimento – si dice – alla Trinità. Fosse vero, dovremmo preoccuparci un tantino di più! Con tutto il rispetto per la Trinità! Tutto ciò premesso, l’Italia avrebbe quindi bisogno che l’U.E. le concedesse una moratoria sia in merito all’attuale parametro del rapporto deficit/PIL sia in ordine ai vincoli del Fiscal Compact. La soluzione di cui al presente punto costituisce, tuttavia, soltanto un rimedio momentaneo e di efficacia non del tutto risolutiva. B) La violazione dei Trattati internazionali, quindi lo sforamento arbitrario e non autorizzato del parametro deficit-PIL e il non rispetto dei vincoli stabiliti dal Fiscal Compact. Qualora si adottasse quest’ultima soluzione ci sarebbero comunque pesanti sanzioni inflitte dai burocrati di Bruxelles ma, di fronte alla gravissima situazione come quella in cui versa attualmente l’Italia, meglio violare i patti che far morire la propria gente e le proprie eccellenze… Del resto, ed è bene sottolinearlo, nessuno potrà mai cacciare l’Italia dall’Unione Europea, in quanto: 1) l’Italia, oltre ad essere uno dei Paesi fondatori della Comunità Europea, è – nei suoi fondamentali una delle più forti economie mondiali; 2) senza l’Italia verrebbero meno sia l’intero progetto di integrazione europea sia lo sviluppo del progetto medesimo. Sarebbe come fare la pasta alla carbonara senza uova e senza guanciale; 3) come potrebbe continuare ad esistere un’Europa senza Dante, senza Leonardo e senza Piero della Francesca? Ricordo inoltre al lettore che sia la Germania che la Francia, nei primi anni dello scorso decennio, sforarono arbitrariamente il parametro del 3% nel rapporto deficit/PIL senza che nessuno battesse ciglio (la Francia, ancora oggi, viaggia attorno al 4%). E, una volta sistematisi i loro problemi, si sono pure permessi di fare i “sorrisini”! Da questo punto di vista, mi duole ricordarlo, l’Italia non ha avuto e non ha - politici all’altezza di far pesare concretamente il ruolo del nostro Paese in ambito comunitario. Anche la soluzione di cui al 22 presente punto costituisce, a mio modesto parere, un rimedio privo di prospettive future concrete e risolutive6. C) Ridiscutere e riscrivere integralmente – attraverso un accordo comune - il contenuto dei Trattati e riformare interamente l’impianto e la struttura della moneta unica, quindi le funzioni della BCE: si inizi anzitutto da una riforma dei parametri di Maastricht e dei vincoli fissati dal Fiscal Compact, stabilendo ad esempio una soglia molto più alta del rapporto deficit-PIL7 ed eliminando i vincoli fissati dal Patto di bilancio europeo con l’abrogazione delle norme riguardanti sia l’obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio sia l’obbligo di riduzione sistematica della spesa pubblica. Oltre a quanto premesso, sarebbe inoltre necessario: a) attribuire alla BCE la concreta (e non solo teorica) funzione di poter stampare nuova carta moneta (esautorando, ad esempio, eventuali veti posti da questa o quella Nazione), attribuendo altresì alle Banche Centrali di ciascuno Stato (sotto il controllo dei Governi e dei Parlamenti nazionali) la vigilanza sugli Istituti di Credito affinché la maggiore liquidità a disposizione venga utilizzata soprattutto nel credito a famiglie e imprese8. L’immissione in circolo di nuova carta moneta causerebbe con ogni probabilità un aumento dell’inflazione, ma comporteIn merito alla questione inerente i Trattati europei, si ritiene che questi – quanto meno sotto alcuni aspetti - siano incompatibili con la Costituzione italiana. Sull’argomento si legga: Luciano Barra Caracciolo, “Euro e (o?) democrazia costituzionale. La convivenza impossibile tra Costituzione e Trattati europei”, Dike Giuridica Editrice, Roma 2013. 7 Per maggiore chiarezza – e a scanso di equivoci - è bene chiarire che quando entrerà in vigore il Fiscal Compact, il parametro che l’Italia dovrà rispettare nel rapporto deficit/PIL non sarà più del 3% (come previsto dal Trattato di Maastricht) bensì dello 0,5%. Ciononostante, i nostri politici fanno finta di nulla e continuano a parlare del 3%! Pensi il lettore a quali conseguenze economico-sociali condurrà tale ulteriore restrizione. 8 E’ tuttavia opportuno precisare che la BCE, per l’intero 2012, ha in effetti provveduto a stampare moneta, ma con la particolarità che neppure un euro è circolato nell’economia reale, infatti la maggiore liquidità è stata destinata esclusivamente alla banche, le quali, a loro volta, non hanno impiegato queste risorse per prestarlo a famiglie e imprese. 6 23 rebbe anche una svalutazione competitiva dell’euro soprattutto nei confronti del dollaro con effetti positivi sulle esportazioni, quindi sull’occupazione e sul PIL dei Paesi dell’Eurozona; b) attribuire alla BCE l’ulteriore funzione di rendersi effettivamente e concretamente garante del debito pubblico di ciascuno dei 18 Stati dell’Eurozona (ad esempio attraverso l’acquisto da parte della BCE dei titoli di Stato dei Paesi che versano in maggiori difficoltà di finanza pubblica). I predetti Stati, per effetto di tale intervento a garanzia da parte della Banca Centrale Europea, impiegherebbero le proprie risorse per fare gli interessi concreti del loro popolo e della loro economia reale (lavoro, tassazione etc…) e non per restituire ai grandi mercati di capitali quanto da questi prestato (più gli interessi), andando a prendere il denaro dalle tasche dei cittadini. È ovvio che l’intervento della BCE non può e non deve avvenire attraverso criteri cravattari o sospensioni di democrazia, altrimenti non si risolve assolutamente nulla (sarebbe pertanto necessaria una garanzia concreta e senza condizioni). In altre parole occorre una profonda, seria e condivisa riforma della BCE, la quale – a seguito di quanto sinora rilevato alle lettere a) e b) - dovrebbe fungere da prestatore di ultima istanza; c) escludere dal calcolo del rapporto deficit/PIL alcuni capitoli di spesa come ad esempio quelli per far fronte alle calamità naturali, quelli necessari per la realizzazione e l’attuazione delle riforme strutturali e quelli per lo sviluppo, la tutela e la conservazione del paesaggio, del turismo e dei beni artistici e culturali. Con l’insieme di tali misure di cui al presente punto, ciascuno Stato in un periodo di grave crisi economica come quella attuale - potrebbe far leva sulla spesa pubblica al fine di intervenire direttamente nell’economia (concedendo ad esempio forti agevolazioni fiscali alle aziende che assumono a tempo indeterminato oppure ai giovani che vogliono aprire un’attività, ovvero prevedere la possibilità per imprese, professionisti e artigiani di detrarre integralmente tutte le spese sostenute senza eccezione alcuna, od anche ridurre drasticamente il cuneo fiscale e realizzare un piano di piena occupazione) e quindi far ripartire il lavoro, i consumi delle famiglie e gli investimenti, sconfiggendo di conseguenza le pesanti difficoltà che stanno massacrando il ceto medio. 24 Se si intende pertanto mantenere la moneta unica e continuare a tenere seriamente in piedi il progetto europeo, si rende necessario - ora più che mai - adottare la soluzione di cui alla lettera C) sinora brevemente argomentata. Con la predetta soluzione ciascuno Stato potrebbe porre in essere sia un progetto di sviluppo economico che un piano di piena occupazione che risolverebbero la gran parte delle problematiche economico-sociali, il tutto perché, potendo far leva sulla spesa pubblica (sia per via del fatto che non si rispetterebbero né i parametri di Maastricht né quelli del Fiscal Compact, sia perché vi sarebbe maggiore liquidità dovuta sia all’immissione in circolo di nuova carta moneta sia al fatto che la BCE si farebbe garante del debito pubblico di tutti gli Stati dell’Eurozona) ciascun Paese si troverebbe nelle condizioni di poter esercitare la sua funzionalità sussidiaria, propria dell’essere Stato. Togliendo invece allo Stato la possibilità di spendere, viene meno l’essenza stessa di essere Stato. Chi ha voluto l’euro così come lo è stato sinora, ha commesso errori gravissimi: abbiamo un’unica moneta per più Stati e una molteplicità di debiti pubblici tanti quanti sono gli Stati, e per di più l’Unione Europea ha una banca che di “centrale” ha solo il nome, infatti la BCE – così com’è – non può né decidere autonomamente di stampare nuova carta moneta né rendersi concretamente garante del debito pubblico di ciascuno Stato che ha aderito all’unione monetaria. Si è costruita una moneta unica per Paesi completamente diversi, con inflazione, debito pubblico, deficit e struttura produttiva totalmente differenti. Ciò comporterà inevitabilmente, prima o poi, l’implosione dell’euro! Di fronte a tale scenario, si rende necessario (prima che sia troppo tardi) riconsegnare lo scettro a ciascuno degli Stati nazionali oppure ridiscutere e riscrivere integralmente sia il contenuto dei Trattati sia l’intera struttura e funzionalità della moneta unica e della BCE! Per dirla con parole più semplici, bisogna rifare tutto daccapo! Inoltre, qualunque fosse la soluzione adottata per uscire dalla crisi economica, ritengo sia altresì indispensabile – in ogni caso – che l’Italia, al fine di far “girare” nuovamente la propria economia, provveda all’abrogazione sia degli strumenti troppo invasivi di accertamento fiscale che degli attuali limiti all’utilizzo e alla circolazione del denaro contante, misure vergognose introdotte in questi ultimi anni e che solo apparentemente servono a recuperare denaro 25 dall’evasione fiscale ma che, nella sostanza, non fanno altro che devastare un’economia già a pezzi favorendo non solo una maggiore evasione, ma soprattutto una fuga della ricchezza verso mete più garantiste. Tra l’altro, ed è bene dirlo, quando lo Stato italiano cerca di recuperare denaro dall’evasione fiscale lo fa sempre martellando i “pesci piccoli” (commercianti, artigiani, professionisti e piccolemedio imprese) e lasciando stare gli “squali” (multinazionali, banche e grandi gruppi finanziari), generando in tal modo un’ulteriore e insopportabile ingiustizia! Ma i politici nostrani, nonostante l’evidenza di quanto appena premesso, continuano a muoversi nell’orbita di proposte giacobine come ad esempio quella di ridurre ulteriormente l’utilizzo del contante (è stata infatti introdotta l’obbligatorietà per tutti gli esercenti di attività di scambio di beni e servizi di dotarsi del POS) e quella di inasprire maggiormente i sistemi di accertamento fiscale (Redditometro, Spesometro e controllo integrale dei conti correnti ne sono strumenti evidenti). Tali misure hanno prodotto – e continueranno a produrre – il massacro di alcune categorie di lavoratori autonomi, oltre che l’inevitabile aumento dell’evasione fiscale (più lo Stato mi controlla ed assume nei miei confronti un atteggiamento inquisitore, più mi sento spinto a nascondere quanto ho guadagnato per paura di subire conseguenze di matrice giacobina) e l’emigrazione della ricchezza verso l’estero (più lo Stato vuole sapere quanti soldi ho e come li spendo, più sono invogliato a spendere o investire i miei soldi in Paesi maggiormente garantisti). Bisogna ammettere, tuttavia, che l’attuazione delle misure di cui al presente punto avrebbe probabilmente un’incidenza considerevole sia sulla spesa pubblica che sull’inflazione, ma gli effetti positivi sarebbero sicuramente maggiori: 1) ripresa dell’occupazione e, di conseguenza, dei consumi delle famiglie e degli investimenti privati, con effetti positivi sul PIL; 2) aumento delle entrate per le casse dello Stato; 3) maggiore fiducia nel futuro e voglia di investire; 4) diminuzione della spesa pubblica per gli ammortizzatori sociali. Questa terza soluzione fin qui prospettata, benché rappresenti una delle strade possibili per poter salvare contemporaneamente sia l’euro che le economie degli Stati dell’Eurozona, presuppone una tale volontà di cambiamento che - ad oggi – è quasi del tutto inesi26 stente sia da parte dell’Unione Europea sia da parte dei governi dei 18 Stati che hanno aderito alla moneta unica. “Strano”, ma vero! D) Abbandonare la moneta unica, quindi riappropriarsi della sovranità monetaria nazionale. Denunciare i Trattati: l’uscita dall’euro e il ritorno alla sovranità monetaria produrrebbe molto probabilmente una svalutazione della moneta nazionale che si calcola attorno al 20-30% circa, ma sortirebbe tuttavia alcuni importanti effetti positivi come ad esempio quello che lo Stato, riappropriandosi della sovranità monetaria, assumerebbe su se stesso sia la responsabilità di garantire il debito pubblico (garanzia del tutto sicura in quanto, essendo lo Stato stesso che emette moneta, non potrebbe non onorare o non garantire il proprio debito9), sia la responsabilità di prendere decisioni choc di carattere economico-fiscale tali da far ripartire il lavoro, quindi i consumi e gli investimenti (sostanzialmente l’economia reale). Tuttavia, la soluzione di riappropriarsi della sovranità monetaria nazionale non è di per sé sufficiente perché si risolvano i problemi economici del nostro Paese, infatti si ritiene sia Sull’argomento consiglio la lettura del saggio di Paolo Barnard: “Il più grande crimine (Ecco cos’è accaduto veramente alla democrazia e alla ricchezza comune. E a vantaggio di chi)”, Edizioni Andromeda, Roma 2012. Pur consigliando la lettura dell’intero pamphlet, cito un passo molto importante (pag. 34) in cui Barnard è chiarissimo: “I 17 Paesi dell’Eurozona sono incredibilmente costretti a cercarsi i denari per la spesa pubblica in due modi: o tassando i cittadini, oppure chiedendo finanziamenti ai mercati privati dei capitali che detteranno i tassi d’interesse mettendoci in gara gli uni con gli altri, e ciò PRIMA di spendere. A questo punto purtroppo i nostri debiti come Nazioni sono divenuti veramente un problema, perché li dobbiamo ripagare ai privati da cui abbiamo preso in prestito gli euro, mentre uno Stato a moneta sovrana è indebitato unicamente con se stesso (e NON deve tassare i cittadini per poter spendere). E soprattutto è evidente che non potendo più noi emettere moneta a piacimento con cui tranquillamente onorare quei debiti […], veniamo considerati a rischio di insolvenza dai grandi mercati di capitali, che perdono la fiducia in noi, ci declassano e ci spediscono dritti in un tunnel soffocante da cui noi nazioni dell’euro non usciremo più […]”. 9 27 altresì necessario provvedere alla denuncia dei Trattati10, liberandoci in tal modo dalle norme forcaiole e dai vincoli capestro in essi contenute (dal parametro del rapporto deficit/PIL ai vincoli fissati dal Fiscal Compact). Inoltre, attraverso un ritorno alla sovranità monetaria nazionale, si potrebbe pianificare e realizzare un piano di piena occupazione - accompagnato dalla necessaria riduzione delle tasse e dall’abrogazione sia degli strumenti troppo invasivi di accertamento fiscale che dei limiti all’utilizzo del denaro contante - che produrrebbe l’effetto di “far girare” l’economia reale con una ripresa dei consumi e degli investimenti delle famiglie, oltre che una maggiore fiducia nel futuro. Quanto premesso causerebbe, sì, un significativo aumento della spesa pubblica (e del debito pubblico), ma ciò non deve affatto allarmare! Di fronte ad un rapporto debito pubblico/PIL molto alto (quello del Giappone è del 236%, degli U.S.A. del 260%, della Cina del 251%, mentre quello italiano è “appena” del 133%11) ma con una totale sovranità monetaria (quindi potendo sfruttare sia la facoltà di poter stampare nuova carta moneta sia la leva della svalutazione monetaria) e con la realizzazione sia di un progetto di piena occupazione che di un piano di riduzione delle tasse, si raggiungerebbero di conseguenza obiettivi fondamentali, quali ad esempio: 1) ripresa dei consumi delle famiglie e degli investimenti privati; 2) aumento delle esportazioni grazie alla diminuzione dei prezzi (e ciò comporterebbe un aumento delle vendite e della produzione da parte delle aziende italiane che – di conseguenza – assumerebbero più personale oppure non licenzierebbero i collaboratori precedentemente assunti ovvero non sarebbero costrette a ridurre i salari o le ore di lavoro ); 3) crescita del PIL sia per effetto dell’aumento del numero di coloro che percepiscono un reddito che per effetto dell’aumento della spesa pubblica, dei consumi delle famiglie e degli investimenti privati; 4) maggiori introiti fiscali per le casse dello Stato dovuti all’abbassamento della tassazione (meno si paga e più soggetti pagaIn breve, la denuncia dei Trattati consiste nell’atto unilaterale di uno Stato che manifesta la volontà di recedere da un Trattato internazionale di cui è parte. 11 Nel 2014 il rapporto debito pubblico/PIL dell’Italia potrebbe superare il 135%, un dato che in ogni caso è di gran lunga inferiore a quello degli U.S.A., del Giappone e della Cina. 10 28 no) e all’abrogazione sia degli strumenti eccessivamente invasivi di accertamento fiscale che del tetto attualmente previsto per l’utilizzo del denaro contante (meno lo Stato mi controlla e più sono incentivato a spendere ed investire i miei soldi in Italia, pagando di conseguenza le tasse); 5) consistente diminuzione della spesa pubblica per gli ammortizzatori sociali; 6) maggiore fiducia ad investire i capitali in Italia e quindi una minore delocalizzazione. Il tutto, come si è visto, con effetti molto positivi sull’economia reale e senza alcun problema di default, anzi, tutt’altro! È tuttavia importante ammettere che, affinché le misure sopra individuate producano gli effetti sperati, sarebbe altresì indispensabile - almeno per quel che riguarda il nostro Paese - procedere ad una serie di riforme strutturali come ad esempio quella della Parte Seconda della Costituzione (che superi quanto meno il bicameralismo perfetto e quindi produca effetti apprezzabili sulla celerità delle decisioni della Politica) e quella della Pubblica Amministrazione in generale, quindi soprattutto del sistema giustizia e dell’intero apparato burocratico! Inoltre, per evitare di ricadere nuovamente nei medesimi errori del passato, sarebbe altresì indispensabile una riforma dell’intero sistema bancario tale da consentire allo Stato di esercitare un effettivo controllo sulle banche affinché queste tornino a prestare denaro a famiglie e imprese, e non a fare speculazione finanziaria con i soldi dei risparmiatori. Ma perché ciò avvenga occorre soprattutto una precisa volontà politica in tal senso. Inoltre, ed è un fatto da non sottovalutare, ricordiamoci che l’Italia dispone di una riserva aurea tra le più consistenti d’Europa (circa 110 miliardi di euro): facciamo attenzione che i nostri governanti non la sciupino per fare gli interessi della piramide aristocratico-finanziaria! Inoltre, in considerazione di quanto sinora premesso in merito all’uscita dell’Italia dall’euro, va altresì evidenziato un ulteriore elemento che zittisce gli euro-sostenitori: il debito pubblico non è mai un problema per gli Stati che hanno sovranità monetaria mentre lo è – e parecchio – per gli Stati che non godono di medesima sovranità (i 18 Paesi dell’Eurozona). Uno Stato dotato di sovranità monetaria (es. gli Stati Uniti d’America, la Cina, il Giappone e la Gran Bretagna), nel momento in cui deve pagare il capitale più gli interessi all’investitore X che dieci anni fa ha acquistato un pezzo di carta 29 con su scritto “titolo di Stato”, può benissimo rinnovarglielo per altri 10 anni (quindi zero costi per lo Stato) oppure, se l’investitore X intende legittimamente riscuotere quanto gli è dovuto, vende un altro pezzo di carta con su scritto “titolo di Stato” ad un altro investitore (Y) e, con il denaro con il quale Y ha acquistato quel pezzo di carta, paga l’investitore X (nuovamente zero costi per lo Stato). E gli interessi? Nessun problema! Lo Stato con moneta sovrana li paga pigiando semplicemente il tasto di un computer che crea denaro dal nulla (Banca Centrale o Tesoro), generando solo un po’ più di debito che - come si è visto - non costituisce alcun problema, anzi, crea ricchezza che influisce positivamente sul PIL, quindi – di conseguenza – si hanno maggiori entrate per le casse dello Stato e minore deficit! Ciò premesso, per uno Stato con sovranità monetaria il debito pubblico non è un problema perché, essendo lo Stato stesso produttore di moneta e non restituendo mai di tasca propria il denaro preso in prestito, non può non essere affidabile in quanto non potrebbe non onorare i propri debiti. Gli Stati che invece non hanno sovranità monetaria (es. l’Italia, la Francia, la Germania, la Spagna, la Grecia etc…), per ogni soldo che spendono devono prima andarselo a prendere in prestito da soggetti privati (il cosiddetto mercato dei capitali, cioè banche, assicurazioni, istituti finanziari, fondi pensione, governi stranieri, singoli investitori etc…) che decidono i tassi d’interesse in base al grado di affidabilità che ciascuno Stato ha nella capacità finanziaria di restituire quel denaro (ricorda il lettore le valutazioni delle Agenzie di rating che fanno tremare i governi?). Ciò detto, nel momento in cui bisogna restituire ai privati il denaro preso in prestito, non essendoci una Banca Centrale o un governo che crea denaro pigiando la tastiera di un computer (come invece accade per i Paesi a sovranità monetaria), lo Stato va a prenderlo dai suoi cittadini attraverso le tasse, i tagli al welfare (ospedali, scuole, pensioni, università etc…) e introducendo sistemi di fiscalità e di accertamento indegni per Paesi che pretendono di definirsi civili12. Con questo sistema criminale non si genera alcun tipo di ricchezza collettiva (il cittadi12 Le argomentazioni sinora svolte in tema di rapporto tra Stati con o senza sovranità monetaria e debito pubblico, sono state elaborate sulla base delle analisi svolte da Paolo Barnard (opera citata). 30 no, al netto, non ci guadagna nulla) e il debito pubblico costituisce un enorme problema perché lo Stato deve materialmente restituire il denaro (gravato dagli interessi) a chi glielo ha prestato. Per fornire al lettore un esempio concreto, si pensi all’immediata riforma pensionistica (votata anche dal PD) realizzata dal governo Monti nel dicembre 2011, cioè quella che ha creato gli esodati e che ha posticipato di parecchio l’età pensionabile degli italiani. Bene, che cos’è quella riforma se non uno strumento violento adottato dallo Stato al fine di reperire risorse economiche (denaro vero e proprio) che costituissero un’immediata garanzia reale per i mercati? Oppure si pensi al limite, posto sempre dal governo Monti (nel 2012), all’utilizzo del denaro contante in qualsiasi tipo di transazione: ponendo il tetto massimo di utilizzo a 999,99 euro, lo Stato tentò (e tenta, visto che il limite c’è ancora) di reperire maggiori entrate da una giacobina lotta all’evasione fiscale che servissero (e servano) a garantire – in soldoni – la capacità di far fronte al pagamento del debito pubblico. Questa, in breve, la cronaca di un crimine chiamato euro! Infine, sempre in merito alla soluzione di abbandonare la moneta unica e riappropriarsi della sovranità monetaria nazionale, parecchi politici e professoroni fanno continuamente “terrorismo” mediatico affermando, ad esempio, che tornare alla lira produrrebbe una svalutazione della moneta nazionale di circa il 50% e che i risparmi dei correntisti non varrebbero più nulla, al pari delle proprietà immobiliari. È falso! Innanzi tutto va chiarito che un ritorno alla moneta nazionale non significa tornare alla “vecchia lira” così come l’abbiamo conosciuta noi, e che riappropriarsi della sovranità monetaria significa avere una propria moneta nazionale (qualunque sia il nome che le si voglia dare, quindi ad esempio fiorino, scudo, euro-lira oppure anche semplicemente lira) e godere della facoltà di disporre di tutti gli strumenti indipendenti di politica monetaria13. 13 La lira del passato era una moneta debole ed anche la nuova moneta nazionale sarebbe debole, ma l’Italia - probabilmente – ha bisogno di una moneta che possa essere stampata e svalutata. Stampare moneta, infatti, permette (almeno in teoria) di poter avere fondi governativi sempre disponibili, coprire potenzialmente il debito senza emetterne di nuovo e, tramite la svalutazione, far ripartire l’economia reale favorendo le esportazioni dei nostri prodotti grazie all’abbassamento dei prezzi che ciò comporterebbe 31 Ciò premesso, qualora l’Italia tornasse ad avere propria sovranità monetaria, dovrebbe convertire anzitutto la nuova moneta nazionale con l’euro (alcuni economisti sostengono che sarebbe preferibile avere un rapporto 1 a 1, vale a dire ad esempio 1 “lira” = 1 euro, in tal modo si eviterebbe un aumento dei prezzi dovuto ad eventuali “aggiustamenti” a rialzo dei decimali), quindi il mercato stabilirà il valore della nuova moneta nazionale rispetto alle altre monete (il cosiddetto cambio)14. È probabile, tuttavia, che un ritorno alla sovranità monetaria causi sia una svalutazione di circa il 20-30% della nuova moneta nazionale (da non confondere la svalutazione con l’inflazione, sono due cose diverse) sia una flessione del valore delle proprietà immobiliari, oltre al fatto che ci troveremmo nella difficile situazione di dover importare le materie prime non in euro ma con una nuova moneta svalutata. Ciò detto, la svalutazione della moneta non è da considerare come un fatto negativo, anzi, potrebbe sicuramente rappresentare un’opportunità: è bene ricordare che la leva della svalutazione monetaria è stata una delle misure attuate nelle fasi economiche recessive del passato che favoriva le esportazioni grazie all’abbassamento dei prezzi, mentre l’euro a gestione Merkel impedisce - di fatto l’adozione di misure idonee a consentire una svalutazione competitiva della moneta unica soprattutto nei confronti del dollaro. L’Italia, nei momenti di crisi del passato, ha utilizzato più volte la leva della (Lorenzo Nannetti, Senior Analyst e Responsabile Scientifico dell’associazione culturale denominata Il Caffè Geopolitico). Bisogna comunque ammettere, per completezza di esposizione, che l’eventuale ritorno ad una moneta nazionale produrrebbe molto probabilmente una perdita del potere di acquisto dei salari e dei risparmi. Tuttavia, anche l’euro – per diverse cause – ha generato la medesima perdita di potere d’acquisto, quindi bisogna essere molto cauti a “criminalizzare” un eventuale ritorno alla sovranità monetaria nazionale. 14 Ricordo inoltre al lettore che l’Italia, nonostante la crisi economica, conserva ancora posizioni importanti in taluni settori produttivi quali il manifatturiero, l’agro-alimentare ed il turismo, pertanto un’eventuale uscita del Bel Paese dalla moneta unica andrebbe valutata anche sulla base di quanto premesso, evitando di fare paragoni poco opportuni con altre situazioni o altri Paesi che non hanno i nostri stessi fondamentali. 32 svalutazione monetaria al fine di rilanciare l’economia, la quale ha sempre ripreso a correre. Non c’è mai stato nulla di male, infatti, ad “aggiustare” i cambi in situazioni di recessione. Oggi - con questo euro - il cosiddetto “aggiustamento” alle situazioni recessive, non avvenendo tramite la leva della svalutazione monetaria avviene, purtroppo, attraverso il calo dell’occupazione e la riduzione dei salari (in pratica, non essendo possibile svalutare la moneta, si svaluta il lavoro). Le aziende, infatti, considerato che le merci prodotte non vengono più acquistate, sono costrette a produrre di meno (o a chiudere) e a licenziare i propri dipendenti ovvero a ridurre gli stipendi e/o le ore di lavoro. Ciò premesso, se l’Italia uscisse dall’euro potrebbe trovare giovamento da una svalutazione competitiva della nuova moneta nazionale che consentirebbe una ripresa delle esportazioni grazie alla riduzione dei prezzi, quindi le aziende – in considerazione del fatto che le proprie merci verrebbero nuovamente acquistate – sarebbero conseguentemente spinte a produrre di più e ad assumere altro personale o, quanto meno, a non licenziare i dipendenti già assunti e a non ridurre i salari15. Stesso discorso dicasi in merito al valore degli immobili: un ritorno alla sovranità monetaria potrebbe causarne una flessione, ma ciò non deve rappresentare una conseguenza del tutto negativa, bensì un’ulteriore opportunità, infatti un numero maggiore di persone avrebbe la concreta possibilità di vedersi riconoscere effettivamente – e senza condizioni forcaiole ultratrentennali – il diritto all’acquisto di una casa. A tal proposito sarebbe onesto se gli euro-sostenitori (e quindi coloro che prevedono scenari apocalittici nel caso di un’uscita dell’Italia dalla moneta unica) ammettessero la circostanza che se un appartamento di 80 mq acquistato nel 2000 costava circa 180 milioni di lire (pressappoco circa 90 mila euro), dopo appena sei anni il prezzo è più che raddoppiato, arrivando addirittura a superare i 200 mila euro, ossia poco meno di 400 milioni di lire! Ciò detto, se un ritorno alla sovranità monetaria nazionale generasse l’abbassamento dei prezzi degli immobili (come del resto ha già causato la crisi economica in essere), di certo sarebbe un fatto positivo Ricordo al lettore che l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro (art. 1 co. I della Costituzione) e non sulla stabilità monetaria. 15 33 per tutti coloro che una casa non ce l’hanno perché non se la sono potuti permettere a causa dello sproporzionato aumento del costo del mattone (accompagnato da una forte speculazione) avutosi nel periodo 2002-2008. Ma l’aumento dei prezzi che si è avuto durante i primi anni dell’euro non ha riguardato solo il valore degli immobili, bensì tutti gli scambi di beni e servizi. Un esempio banale – ma efficace - è dato dal costo di un cono gelato: nel 2001 costava in media 2.000 lire (circa 1 euro), dopo appena sei anni il prezzo è praticamente triplicato (circa 3 euro, vale a dire quasi 6.000 lire!). E che dire del costo degli affitti degli appartamenti?! Il costo relativo all’affitto di una stanza a Milano, nel 2001, era di circa 500 mila lire (pari al 25% di uno stipendio medio di 2 milioni di lire), ma dopo appena tre/quattro anni è schizzato a 500 euro (quasi 1 milione di lire!), pari a circa il 40% di uno stipendio medio di 1.300 euro. Tali situazioni, a differenza di quanto invece avveniva in passato, non hanno visto un parallelo ed adeguato aumento degli stipendi, e ciò ha determinato – tra le altre cause - l’impoverimento del ceto medio! In pratica si è lasciata strada libera al mercato senza affiancarvi un’adeguata presenza dello Stato; in altre parole liberismo selvaggio e totale assenza dello Stato! Inoltre, il fatto che si possa tornare alla sovranità monetaria nazionale – e quindi avere una nuova moneta svalutata - non deve affatto preoccupare anche in ordine ad un ulteriore motivo: chi ritiene che l’uscita dall’euro produca l’effetto di andare a fare la spesa con la cariola piena di neo-lirette non fa altro che “terrorismo” informativo, infatti molti di noi ricordano che quando l’Italia aveva la Lira, questa era giunta ad una svalutazione tale che per 1 dollaro americano occorrevano ben circa 2.000 lire italiane, cioè per avere una sola moneta americana (dollari 1) occorrevano ben duemila monete italiane (lire 2.000). Nonostante ciò, nessuno andava in giro con la cariola, anzi, v’era un medio benessere generale e si viveva sempre meglio di anno in anno. Tutto ciò premesso, chi fa previsioni catastrofiche nell’ipotesi in cui l’Italia uscisse dall’euro e si riappropriasse della sovranità moneta- 34 ria, non fa altro che puro “terrorismo” mediatico a scapito di una serena analisi del problema16. La presente soluzione – cioè quella di cui alla lettera D) – è a mio modesto parere, anche in considerazione del comportamento rigido e sordo dell’intero apparato eurocratico, l’unica strada percorribile in questo momento perché il nostro Paese non muoia definitivamente. E bisogna fare presto: ogni giorno decine di migliaia di persone perdono il posto di lavoro e milioni di giovani non ricevono neppure una risposta all’invio dei propri curriculum, tant’è che ogni anno chiudono sempre più negozi, aziende, officine, laboratori di artigiani, studi professionali etc… *** A dimostrazione della bontà delle soluzioni ut supra esposte [soprattutto quelle di cui alle lettere C) e D)], occorre anzitutto ricordare (seppur sommariamente e parzialmente) il pensiero di John Maynard Keynes, grande economista inglese della prima metà del Secolo scorso: se il PIL e l’occupazione dipendono dalla domanda, per aumentarli occorrerà incrementare la domanda aggregata (la domanda dell’intera Nazione). Ciò detto, per uscire da una crisi economica è pertanto necessario spendere di più in modo da assorbire la produzione in eccesso ed eventualmente indurre le imprese a produrre di più. È ovvio che, perché si spenda di più, è altrettanto indispensabile che un numero sempre maggiore di persone percepiscano un reddito (meglio se da lavoro) e, di conseguenza, spendano gran parte di questo reddito per i consumi e gli investimenti. E tale necessità a “spendere di più” non vale solo per i privati ma anche per lo Stato, infatti 16 Un altro tema che meriterebbe maggiore approfondimento, ma nel quale non è mia intenzione addentrami in questa sede, è quello che i cittadini italiani non sono mai stati chiamati ad esprimersi in merito all’adesione del nostro Paese all’unione monetaria (euro). Considerato che non è possibile indire un referendum abrogativo per effetto della disposizione costituzionale di cui all’art. 75 co. II, ritengo sia comunque giusto individuare un’altra forma di espressione democratica (magari di natura consultiva) che consenta ai cittadini di poter liberamente esprimere il proprio parere in merito al fatto che l’Italia continui o meno a mantenere la moneta unica. 35 in talune circostanze la domanda aggregata è insufficiente a garantire la piena occupazione, e di qui nasce la necessità di un intervento pubblico a sostegno della domanda, nella consapevolezza che diversamente si avrebbe un’eccessiva disoccupazione e che nei periodi di crisi, quando la domanda diminuisce, è probabile che le reazioni degli operatori economici al calo della domanda producano le condizioni per ulteriori diminuzioni della domanda aggregata. Da qui la necessità di un intervento da parte dello Stato per incrementare la domanda globale anche a condizioni di deficit pubblico, che a sua volta determina un aumento dei consumi, degli investimenti e dell’occupazione17. Ciò detto, la domanda aggregata (AD, Aggregate Demand) si può riassumere con la seguente formula: AD = C (Consumi privati) + I (Investimenti privati) + G (Spesa Governativa, cioè Spesa Pubblica) + EX (Esportazioni) – IM (Importazioni). Se le proposte fin qui sommariamente esposte di cui alle lettere C) e D) fossero per davvero le giuste soluzioni per uscire dalla crisi, perché l’Europa ha sinora intrapreso una strada del tutto differente? La risposta è da ricercare, a mio modesto parere, sia nelle logiche egoistiche ed anti-democratiche della finanza speculativa, delle multinazionali e dei detentori del capitale (che di fatto governano il Vecchio Continente e tutti protetti dall’apparato eurocratico), sia nel terrore che ha la Germania per il fenomeno inflattivo, timore che ha ragioni storiche fondate (almeno per quel che concerne il punto di vista tedesco) e risalenti al periodo della repubblica di Weimar. È pertanto pacifico che, per poter dare attuazione anche ad una sola delle soluzioni ut supra succintamente argomentate [soprattutto quelle di cui alle lettere C) e D)], è necessario disporre di uomini di governo capaci e che amino per davvero il loro Paese, sicuramente con meno lauree, meno master e meno incarichi universitari, ma sicuramente con più coraggio e con maggiore consapevolezza della realtà. Purtroppo, come si è visto finora, i governanti italiani - adottando pesanti misure di austerity, stipulando Trattati internazionali forcaioli, introducendo nuove tasse, inasprendo fortemente gli strumenti di accertamento fiscale, ponendo un tetto alla circolazione del 17 Economia keynesiana. 36 denaro contante e “abbassandosi i pantaloni” di fronte al rigore della Cancelliera tedesca Angela Merkel (che sa far bene gli interessi del suo popolo) - non hanno fatto altro che peggiorare una situazione economica già pesantemente compromessa: il tutto a scapito di quel rapporto di fiducia Stato-cittadino costato milioni di vite umane… altro che uomini di Stato! Ma la cosa ancor più grave è che l’eccessivo rigore lacrime e sangue impostoci dal novembre 2011 in poi, accompagnato dalla martellante volontà espressa dai nostri rappresentanti di continuare a cedere porzioni di sovranità in favore degli organismi comunitari, non solo non sono serviti ad uscire dalla crisi economica, ma non sono serviti neppure a ridurre il nostro rapporto debito pubblico/PIL, salito – dal 2011 al 2014 – di oltre dieci punti percentuali. Delle due l’una: o qui siamo tutti scemi e incapaci oppure qualcuno ci ha traditi e svenduti, altrimenti non si spiega come mai, trascorsi più di cinque anni dall’inizio della crisi, non ne vediamo ancora via d’uscita! La grande crisi economica del 1929, ben peggiore di questa e che toccò l’Italia solo parzialmente grazie anche a fortunate politiche economiche dell’allora Governo Mussolini, fu risolta negli USA (e successivamente nella maggior parte degli altri Paesi che ne furono colpiti) grazie alle Teorie Keynesiane. In merito alle soluzioni che ho fin qui sommariamente prospettato [soprattutto quelle di cui ai punti C) e D)], si chieda il lettore cosa ha fatto il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama (d’accordo con l’allora Presidente della Federal Reserve Ben Bernanke) perché il suo Paese uscisse dalla crisi economica. Disponendo dell’indispensabile sovranità politica e monetaria ha, dal 2009, immesso in circolo liquidità superiore a 3.000 miliardi di dollari (tramite la Fed) al fine di dare ossigeno ad un’economia a pezzi e senza preoccuparsi di stare all’interno di un tetto nel rapporto deficit/PIL, il quale è salito addirittura al 12% (in Europa è rigidamente posto al 3%). Inoltre, una delle conseguenze positive della politica monetaria espansiva è stata quella di una svalutazione competitiva del dollaro che sta ridando competitività all’industria americana. Ciò detto, nel giro di qualche anno l’America è riuscita ad imboccare la strada giusta per uscire dalla crisi e, per il 2014, è prevista una crescita del suo PIL di circa il 3%! E per di più il tasso di disoccupa37 zione negli Stati Uniti è sceso dal 12% al 6,3%18, mentre nei Paesi dell’Eurozona è in media dell’11,8%, e in Italia ha raggiunto il 12,7%19 con la disoccupazione giovanile che è schizzata al 42,7%20. Imparino i nostri “professoroni” e i nostri “tecnici”, e tornino a studiare Keynes! Per mera precisazione statistica, occorre altresì evidenziare che nel novembre 2011 - quando l’Intellighenzia nostrana plaudiva al golpe italo-europeo ai danni del governo Berlusconi IV (il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi era stato democraticamente eletto alle elezioni politiche del 2008) -, a parte l’imbroglio rappresentato dal terrore dello spread, i dati sull’economia italiana non erano affatto drammatici: la disoccupazione era all’8,8% (quella giovanile poco sotto il 30%), il PIL a + 0,4% e il rapporto debito pubblico/PIL al 120,8%. Ma ormai l’apparato eurocratico, ben appoggiato dall’ “interno”, aveva deciso che Berlusconi doveva cadere! Un grande quotidiano economico nazionale titolò: “Fate Presto!”. E presto fecero! Il prof. Mario Monti, nominato non si sa per quali meriti senatore a vita, divenne Presidente del Consiglio dei Ministri di un governo sostenuto da una maggioranza parlamentare bi-partisan che più di una volta – sotto il ricatto/imbroglio dello spread – votò misure che non avrebbero mai dovuto trovare asilo in una Repubblica democratica che, per Costituzione, è fondata sul lavoro. Da allora il nostro Paese ha avuto ben tre Presidenti del Consiglio non eletti dal popolo, e i cittadini sono ormai “rassegnati” a vivere lunghi periodi di recessione (PIL 2012: -2,4%; PIL 2013: -1,9%; i dati sul PIL 2014 sono in ribasso rispetto alle stime troppo ottimistiche del governo), con i dati sulla disoccupazione che abbiamo già visto e con un rapporto debito Il lettore che volesse approfondire questo aspetto, potrà leggere l’articolo dell’economista italiano Elido Fazi, intitolato: “Perché l’Italia è tra i grandi Paesi occidentali il Paese più penalizzato dalla crisi? E come ne usciamo?”, pubblicato in data 17 gennaio 2014 sulla Rivista elettronica denominata One Euro – the italian economist, reperibile sul sito internet: http://www.oneeuro.it/2014/01/17 19 Secondo i dati Istat diffusi nel giugno 2014, il tasso di disoccupazione relativo al primo trimestre 2014 è balzato addirittura al 13,6%. 20 Fonte: Eurostat. 18 38 pubblico/PIL che è schizzato al 133% ed è destinato a crescere ulteriormente. “Grazie” Unione Europea! “Grazie” euro! E che dire della decisione assunta in passato di privatizzare le banche? Quei “politici” che l’attuarono hanno sulla coscienza la funesta conseguenza che gli Istituti di Credito, invece di limitarsi ad adempiere alla loro missione naturale (prestare denaro ai cittadini e alle imprese ed amministrarlo secondo le leggi), hanno iniziato a speculare senza limiti utilizzando la gran parte del denaro dei loro risparmiatori (vedesi il caso del Monte dei Paschi di Siena sul quale è caduto un silenzio assordante). È ovvio che, senza alcun controllo da parte dello Stato (che sarebbe dovuto avvenire tramite la Banca d’Italia, anch’essa - di fatto - in mano a quelle banche che avrebbero dovuto essere a loro volta da questa vigilate), chi è naturalmente preposto a prestare denaro ad aziende e famiglie in difficoltà “chiude i rubinetti” rifugiandosi in logiche del tutto confliggenti con le legittime necessità dell’economia reale. E medesima culpa grave in vigilando ce l’ha anche la BCE, un’Istituzione che - così com’è stata concepita sinora - è quasi del tutto inutile se non per gli interessi della grande finanza speculativa! Ma la cosa più sconvolgente è che quegli stessi ipocriti che commisero questi errori (che ancora oggi fanno fatica a scomparire dalla scena pubblica), continuano imperterriti a lavarsi la bocca con parole come Costituzione e lavoro! Inoltre, senza andare alla ricerca chissà di quale soluzione, uno dei maggiori problemi italiani è quello del cosiddetto sistema delle “porte girevoli”, il quale rende praticamente impossibile l’uscita del nostro Paese dalla drammatica situazione in cui si trova! Se chi ci governa è uomo di fiducia dell’Europa finanziaria, dei banchieri e del Bilderberg, una volta terminati gli incarichi di governo rientra immediatamente nel “sistema” attraverso la propria appartenenza all’establishment europeista, quindi è ovvio che - quando è al governo - non può che fare gli interessi del “Club”! E stesso discorso dicasi per quegli uomini che si accingono in futuro a ricoprire incarichi governativi: debbono purtroppo godere del gradimento di quello stesso establishment settario che è a capo di questa piramide antidemocratica e assolutistica! E, nonostante quanto premesso sia ormai sotto gli occhi di tutti, i nostri politici - riempiendosi ripetutamente 39 la bocca con parole come Europa, stabilità e credibilità - continuano a far finta di nulla deviando l’attenzione popolare verso problemi che non esistono o che non necessitano di un celere intervento. Spesso - e negli ultimi due anni non si parla di altro - le pagine dei giornali e le trasmissioni televisive sono inondate di continue ed ipocrite crociate contro i costi della politica (stipendi dei parlamentari e dei consiglieri regionali, pensioni d’oro percepite da deputati e senatori dopo pochissimi anni di legislatura, costi dei cosiddetti Palazzi del potere, buone uscite per i parlamentari che non vengono rieletti, rimborsi spese e rimborsi elettorali, auto blu etc, etc…), i quali, senza ombra di dubbio, sono giunti ad un livello vergognoso ed altamente indecente. Tuttavia, tanto per essere seri, bisogna ammettere che i costi della politica non c’entrano assolutamente nulla – se non unicamente da un punto di vista morale e di buon senso – con la situazione di crisi economica in cui versa l’Italia, infatti essi non possono rappresentare in alcun modo una soluzione ai problemi economici del nostro Paese, tant’è che incidono sulla spesa pubblica molto meno di quanto incide ad esempio un punto percentuale di I.V.A. Ciononostante, per aggraziarsi il consenso popolare, alcuni politici cercano di illudere la gente con la favoletta che diminuendo il numero dei rappresentanti del popolo o eliminando addirittura alcune Istituzioni repubblicane si risolvono magicamente i problemi del nostro Paese. È falso! Con questo non voglio affatto dire che le cose vanno bene così come lo sono state fino ad ora (e ci mancherebbe altro), infatti la riforma della politica, delle Istituzioni e della Pubblica Amministrazione sono temi importantissimi che meritano di essere affrontati con la massima urgenza, ma prendere in giro un’intera popolazione sul fatto che la riduzione dei costi della politica possa produrre effetti positivi sull’economia reale di una Nazione come l’Italia è del tutto privo di fondamento! Ammettiamo, per assurdo, che si giungesse alla totale soppressione dei costi della politica e quindi della maggior parte delle più importanti Istituzioni repubblicane (es. Camera dei deputati, Senato della repubblica, Consigli regionali, provinciali e comunali). L’effetto sarebbe quello di avere, oltre al sacrificio della democrazia, un risparmio di circa 2,5 miliardi di euro, quindi l’unico vantaggio reale che ne deriverebbe sarebbe 40 quello – ad esempio – di poter ridurre l’aliquota I.V.A. di un punto percentuale (dal 22% al 21%), e non sarebbe neppure possibile farlo subito, infatti i 2,5 miliardi sarebbero comunque inferiori alla copertura necessaria e sufficiente (circa 4 miliardi). Non si avrebbe pertanto nessun altro beneficio se non quello che ho predetto nell’esempio: riduzione o eliminazione dei costi della politica = zero posti di lavoro in più. Inoltre, e lo dico a quei politici privi di coscienza critica e di onestà intellettuale, sarebbe opportuno fare molta attenzione a cavalcare l’onda populista dell’eliminazione – ad esempio - dei costi dovuti ai rimborsi elettorali che spettano ai partiti: benché vadano notevolmente ridotti, è bene ammettere che senza i predetti rimborsi la politica sarebbe ancor maggiormente condizionata dagli interessi dei banchieri, delle multinazionali e delle grandi lobby, il tutto a scapito della libertà e della democrazia e ad esclusivo vantaggio sia di coloro che dispongono di capienti risorse finanziarie (e che quindi possono permettersi di “fare politica” contrariamente a coloro che, anche se capaci e portatori di buone proposte, non dispongono delle risorse necessarie per supportare gli esorbitanti costi delle campagne elettorali) sia degli “squali”! Medesimo discorso fatto per i costi della politica andrebbe fatto anche in merito al problema della corruzione, fenomeno ipocritamente utilizzato dai partiti (soprattutto in campagna elettorale) quale causa di tutti i mali e madre di tutte le soluzioni: pur essendo un reato gravissimo che lo Stato deve sicuramente contrastare con il massimo impegno, resta – appunto - solo un reato, infatti non c’entra assolutamente nulla né con la crisi economica né con gli eventuali strumenti da adottare perché si risolvano seriamente i problemi economici del nostro Paese. Anche in questo caso, l’equazione è la stessa: lotta alla corruzione = zero posti di lavoro in più. E tutto questo i cittadini lo devono sapere! L’Italia ha bisogno, prima che di politici onesti, soprattutto di politici capaci e sensibili sia alle reali esigenze dei cittadini che alle bellezze artistiche e culturali del nostro meraviglioso Paese. Personalmente sono convinto (e non è un “crimine” pensarlo) che il politico – prima di essere onesto - deve anzitutto essere capace; diceva infatti Benedetto Croce che il vero politico onesto è il politico capace! *** 41 A conclusione di questo mio articolo/manifesto, non posso non osservare come, trascorsi circa due Secoli di guerre, morti e distruzioni (dal 1789 al 1945) - fatte per donare alle generazioni future libertà, democrazia, solidarietà e rappresentatività della volontà popolare –, il principio democratico sta cedendo il posto (se non l’ha già ceduto) ad una nuova forma di Aristocrazia europea anti-democratica e criminale: nessuno si rende conto che - tramite una sontuosa cornice di ipocrisia sostenuta da soggetti fiduciari dell’establishment aristocratico/finanziario - il sistema che regge il vero potere in Europa è ben peggiore (da un punto di vista democratico e quindi sotto l’aspetto del deficit di rappresentanza) sia dell’Ancien Régime ante Rivoluzione francese sia delle dittature del Secolo scorso. I dittatori del Novecento - qualunque sia, nel bene o nel male, il giudizio della Storia - basarono comunque il loro consenso politico sulla volontà popolare, talvolta addirittura plebiscitaria. L’Unione Europea, invece, è retta da circa venti grigi tecnocrati non eletti da nessuno (quindi senza alcun rapporto, neppure indiretto, con i cittadini), i quali - governando circa quattrocento milioni di persone e decidendone i destini rispondono unicamente agli interessi degli speculatori finanziari, dei banchieri, delle multinazionali, della massoneria e - quindi - della nuova Aristocrazia europea: tutti tasselli di un unico mosaico del nuovo Ancien Régime assolutistico del Terzo Millennio21! E proprio quegli stessi mascalzoni che ci hanno ridotto in braghe di tela continuano - nonostante l’evidente disastro che hanno causato con il loro “progetto criminoso” - a lavarsi la bocca con parole come Europa, libertà, democrazia, credibilità, integrazione e diritti civili! Si vergognino! Il popolo è stato - e lo è ancora - vittima di spauracchi costruiti ad arte come lo spread22 ovvero di ricatti morali del tipo: «Ce lo chiede Il lettore che volesse approfondire l’argomento, potrà leggere la mia pubblicazione storico-giuridica intitolata: “La Rivoluzione francese e i giorni nostri. Dall’Ancien Régime alla nuova Aristocrazia europea […]”, Editrice GDS (versione cartacea ottobre 2013; versione e-book novembre 2013). 22 Lo spread BTP-BUND (sul quale è stato appositamente costruito un vero e proprio “terrore finanziario” che ha messo sotto ricatto il nostro Paese sin dal giugno 2011) è il differenziale tra il rendimento dei titoli di Stato italiani 21 42 l’Europa!». Quale Europa poi? Quella delle banche, dei tecnocrati e delle multinazionali? Purtroppo ci siamo fatti fregare proprio da questi! Ma la cosa più importante di cui avremmo dovuto ricordarci ma che siamo ancora in tempo a fare - è quella che, piaccia o no, la sovranità appartiene solo al popolo23! Non tirino troppo la corda i burocrati e i politici nostrani perché con il popolo, prima o poi, si finisce per sbattere il grugno. E da italiano che ama il suo Paese dico loro: “Non vedete che tutta si scote, / Dal Cenisio alla balza di Scilla? / Non sentite che infida vacilla / Sotto il peso de’ barbari piè?”24. Grazie all’ipocrisia degli “Europeisti a tutti i costi”, che appartengono a quel mondo radical chic con la puzza sotto il naso e con il vizio di ghettizzare coloro che la pensano diversamente, il nostro amato Paese – con tutte le sue bellezze artistiche, culturali, industriali, artigianali, intellettuali e di capacità dei singoli – è ormai in svendita a prezzi stracciati! Di fronte a tanta delusione mi tornano di nuovo a mente i versi di Alessandro Manzoni: “Oggi, o forti, sui volti baleni / Il furor delle menti segrete: / Per l’Italia si pugna, vincete! / Il suo fato sui brandi vi sta. / O risorta per voi la vedremo / Al convito dei popoli assisa, / O più serva, più vil, più derisa / Sotto l’orrida verga starà” 25. e il rendimento dei titoli di Stato tedeschi. Importante: lo spread si forma sul mercato finanziario secondario, quindi in relazione ai titoli già in circolazione (cioè transazioni tra privati che non influiscono direttamente sulla finanza pubblica) e non a quelli oggetto delle aste mensili indette dal Tesoro (mercato finanziario primario). Sull’imbroglio dello spread è stato volutamente costruito una sorta di terrorismo finanziario e mediatico di proporzioni gigantesche, tant’è che in nome dello spread sono stati sacrificati Governi nazionali eletti democraticamente, sostituiti con Governi tecnici voluti – o addirittura imposti - dai grandi interessi sovranazionali. 23 Art. 1 co. II della Costituzione: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. 24 Alessandro Manzoni, Marzo 1821, vv. 45-48. 25 Alessandro Manzoni, Marzo 1821, vv. 89-96. 43 “Grazie” Europa! “Grazie” politici! “Grazie” professoroni! Avete dalla vostra la forza micidiale di rubarci il futuro, ma non potrete appropriarvi della nostra sconfinata libertà di pensiero! Quella non l’avrete mai! Se il vostro “progetto criminale” rappresenta il duro destino che mi spetta e che attende anche le sorti di mia figlia, io voglio restare profondamente italiano… a tutti i costi! Viva la Libertà!». 44 II Il Fiscal Compact, il MES e l’ERF. Forse non tutti sanno che…26 «Forse non tutti sanno cos’è esattamente il Fiscal Compact, e sicuramente in pochissimi sanno che – a partire dal 201527 – segnerà per almeno due decenni le sorti delle famiglie italiane. Da un punto di vista prettamente giuridico è un Trattato internazionale denominato “Patto di bilancio europeo” o “Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria”, sottoscritto da venticinque Stati membri dell’Unione Europea il 2 marzo 2012 (ad eccezione del Regno Unito e della Repubblica Ceca). Il nostro Parlamento, con una rapidità che non viene utilizzata per le necessarie riforme istituzionali, lo ha ratificato definitivamente nel luglio del 2012 (appena quattro mesi dopo la sua sottoscrizione) ed ha inserito in Costituzione il principio del pareggio di bilancio (art. 81 Cost). Ritengo, a mio modesto parere, che se uno Stato sovrano deve garantire il pareggio di bilancio non può in alcun modo esercitare la sua indispensabile funzione sociale e sussidiaria, propria dell’essere Sta- 26 Articolo che ho scritto tra la fine di marzo e gli inizi di aprile 2014 e pubblicato in data 10 aprile 2014 sulla rivista giuridica elettronica Diritto & Diritti – sezione Diritto Internazionale. Il titolo è stato brevemente modificato per la presente pubblicazione aggiornata e corretta. 27 In realtà il Fiscal Compact dovrebbe spiegare i suoi effetti dopo quattro anni (alcuni sostengono tre) dall’uscita di un Paese dalla “sorveglianza speciale” dell’U.E. all’interno della procedura di disavanzo eccessivo, vale a dire quando ha portato il proprio rapporto deficit/PIL entro il parametro del 3% (l’Italia è uscita dalla predetta procedura nel giugno 2013), quindi la regola del 5% (o dell’1/20 che si voglia dire) dovrebbe trovare attuazione nel nostro Paese non prima del 2016/2017. 45 to! A cosa serve uno Stato se non può esercitare la sua funzione naturale, che è quella di garantire – anche ad un prezzo particolarmente alto – l’eliminazione delle disuguaglianze sociali? Ma per quale motivo questo Trattato internazionale, passato in secondo piano su tutti i media nazionali e nei più accreditati talk-show di approfondimento politico, muterà la vita dei cittadini italiani (e non solo) per i prossimi vent’anni? Più nello specifico, il Fiscal Compact prevede principalmente queste tre misure alle quali tutti gli Stati firmatari dovranno adeguarsi: 1) significativa riduzione del rapporto fra debito pubblico e PIL al ritmo di un ventesimo all'anno (5%), fino al raggiungimento del rapporto del 60% sul PIL nell'arco di vent’anni; 2) obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio; 3) obbligo di non superamento della soglia di deficit strutturale superiore allo 0,5% del PIL (e superiore all'1% per i paesi con debito pubblico inferiore al 60% del PIL). L’impatto di tali misure sull’economia reale del nostro Paese (ma anche su quella di Paesi come la Grecia, la Spagna, il Portogallo e in parte la Francia) sarà – ovviamente – devastante. Prendiamo ad esempio l’Italia, la quale ha attualmente un rapporto debito pubblico/PIL del 133% ed una spesa pubblica pari a circa 800 miliardi di euro. Ridurre il rapporto del nostro debito pubblico/PIL dall’attuale 133% al 60 % in vent’anni, significa porre in essere una riduzione della spesa pubblica di circa 40-50 miliardi l’anno, quindi (come anche il lettore meno accorto potrà rendersi conto) i vari Governi che si succederanno dovranno necessariamente effettuare sistematici tagli alla spesa pubblica che non ha precedenti nella Storia. È pur vero che, nell’effettuare questi tagli, si dovrà tener conto del PIL e quindi del tasso di crescita, ma solo uno sprovveduto può pensare che con l’attuale sistema monetario e per come è stata sinora concepita l’Unione Europea ci potrà essere una crescita tale da rendere indolore – o quanto meno sopportabile da un punto di vista sociale – tutti i tagli che si andranno a fare. 46 Al fine di rendere maggiormente comprensibile la reale portata del problema, si pensi al mancato reperimento – da parte del Governo Letta - di appena 4 miliardi di euro che sarebbero dovuti servire ad evitare (nell’ottobre del 2013) l’aumento dell’I.V.A. di un punto percentuale, e che l’esecutivo non è riuscito a trovare (tant’è che l’I.V.A. è aumentata dal 21% al 22%). Ma se i Governi della Repubblica non sono in grado di reperire neppure 4 miliardi di euro da una spesa pubblica di circa 800, come faranno a tagliare 40-50 miliardi di euro l’anno (o poco meno, a seconda del tasso di crescita economica) per vent’anni sino al raggiungimento del 60% del rapporto debito pubblico/PIL? Le risposte sono, oltre che sorprendentemente semplici, anche particolarmente preoccupanti: a) aumentando le tasse e/o inasprendo maggiormente i sistemi di accertamento fiscale; b) limitando ulteriormente la circolazione del denaro contante e introducendo un meccanismo forzoso di utilizzo della moneta elettronica; c) bloccando o limitando fortemente le assunzioni di pubblici dipendenti, con conseguenze drammatiche sia sull’efficienza della Pubblica Amministrazione che sul necessario turnover occupazionale e generazionale; d) eliminando o riducendo i benefici fiscali a vantaggio di aziende, giovani artigiani e professionisti; e) intensificando gli accertamenti fiscali - attraverso l’Agenzia delle Entrate – nei confronti delle piccole imprese, dei piccoli commercianti e dei professionisti; f) riducendo la spesa per gli ammortizzatori sociali e tagliando le pensioni; g) aumentando l’età pensionabile già oggi particolarmente alta, con la conseguenza che le nuove generazioni resteranno per più tempo fuori dal mercato del lavoro (con l’ulteriore effetto che intere generazioni avranno serie difficoltà – un domani – a percepire una pensione dignitosa); h) tagliando le voci di spesa pubblica più sensibili quali la sanità, la sicurezza pubblica, la giustizia, la scuola e la cultura, con conseguenze negative di facile intuizione. 47 Ciò premesso, mi auguro che – per evitare che i Governi nazionali adottino le soluzioni e gli strumenti come sopra brevemente elencati -, l’Europa muti radicalmente rotta per il bene comune di circa quattrocento milioni di persone». §§§ Alle conseguenze sommariamente elencate nell’articolo, il prof. Claudio Borghi mi ha consigliato su twitter di aggiungere che – di fronte alle drastiche ed illiberali misure ut supra evidenziate - si avrebbero ulteriori effetti drammatici per l’economia reale quali, ad esempio, una forte e costante riduzione dei consumi, un persistente stato di disoccupazione (soprattutto giovanile) ed una preoccupante flessione del PIL, quindi un lungo ed ulteriore periodo di recessione… altro che crescita! Ciononostante, un certo tipo di politica nostrana continua a propinarci una serie di argomentazioni e di soluzioni che nulla hanno a che vedere con l’assoluta urgenza di far ripartire l’economia reale. Si fa continuamente un gran polverone contro la corruzione e contro l’evasione fiscale (per carità, reati gravissimi), ma anche i bambini sanno ormai che se anche si recuperassero tutte le somme derivanti dalla lotta a tali reati, l’Italia non risolverebbe comunque né il problema della disoccupazione né le sue ulteriori ed altrettanto gravi problematiche strutturali. Si continua a parlare, parlare e ancora parlare, ma alla fine, nella sostanza, nessuno dimostra di essere in grado di assumersi le responsabilità di fronte ai problemi di un popolo che sta morendo. La più grande sconfitta di uno Stato è quella di vedere i propri figli migliori partire per l’estero e non tornare più. Dov’è finita la repubblica? Dov’è finito il lavoro? Dove sono finiti i diritti? Se si continua a far finta di nulla, questo nostro meraviglioso Paese sarà destinato a morte certa. Se poi si considera che l’apparato eurocratico vuole introdurre un ulteriore meccanismo forcaiolo denominato ERF (European Redemption Fund, ossia Fondo Europeo di Redenzione), la situazione dell’Eurozona si fa ancora più preoccupante. Tale nuovo meccanismo di “strozzinaggio” legalizzato, ben peggiore sia del Fiscal 48 Compact che del MES28, prevede che ciascuno Stato dell’Eurozona faccia confluire la parte eccedente il 60% del proprio rapporto debito 28 MES: Meccanismo Europeo di Stabilità (o altrimenti detto Fondo salvaStati). Istituito nel marzo 2011 dalle modifiche al Trattato di Lisbona, nasce come fondo finanziario europeo per la stabilità finanziaria della zona euro. La sua entrata in vigore, prevista inizialmente per la metà del 2013, fu anticipata dal Consiglio Europeo del 9 dicembre 2011 al luglio 2012. Il fondo è stato creato sia per emettere prestiti sia per acquistare titoli sul mercato finanziario primario (ma anche su quello secondario) in favore dei Paesi che si trovino in maggiori difficoltà, con il fine di assicurare loro assistenza finanziaria. Il tutto a condizioni severissime e forcaiole tali da esautorare quasi del tutto la sovranità degli Stati che ne facessero richiesta. In pratica un pesantissimo strumento di “strozzinaggio” legalizzato. Tale meccanismo chiede agli Stati membri di versare un anticipo complessivo di 80 miliardi di euro, partecipandovi ciascuno in base alla propria quota parte. La nostra è del 17,91% e quindi l’anticipo richiesto, da saldare in cinque tranche, è di ben 14,32 miliardi. Tuttavia, con grande velocità (che non viene altrimenti utilizzata per pagare i debiti della Pubblica Amministrazione) l’Italia ne ha già pagati 10. Il MES ha un capitale autorizzato di 700 miliardi di euro di cui solo 80 sono versati – a titolo di anticipo - dagli Stati membri: i rimanenti 620 miliardi saranno raccolti (se necessario) attraverso apposite emissioni di obbligazioni sul mercato. A tal proposito, ed è bene ricordarlo, l’Italia partecipa al MES con una sottoscrizione di capitale pari ad euro 125.395.900.000,00. Il Trattato istitutivo del MES prevedeva che il pagamento dell’anticipo del capitale (per noi 14,32 miliardi di euro) sarebbe dovuto avvenire in 5 rate annuali, ma l'eurogruppo - nella riunione del 30 marzo 2012 - decise che il pagamento deve essere completato entro la metà del 2014. Ricorda il lettore la semi-finale del Campionato Europeo di calcio 2012 tra Italia e Germania? Bene, si ricorderà quindi anche i titoloni dei principali quotidiani nazionali e gli elogi che non si risparmiavano nei più accreditati talk-show televisivi per i due “super-Mario” nazionali, ossia Mario Balotelli per aver segnato due goal alla Germania e Mario Monti, all’epoca Presidente del Consiglio dei ministri, per aver “ottenuto” al tavolo europeo che i fondi salva-Stati (e più nello specifico proprio il MES che andava a regime a luglio 2012 con una dotazione di 500 miliardi di euro) venissero utilizzati per ricapitalizzare le banche spagnole, inguaiate dallo scoppio della bolla immobiliare, e per sostenere i titoli di Stato sia italiani che spagnoli. Bene, gli elogi dei nostri giornalisti per “superMario Monti” erano proprio per i “brillanti” risultati di cui sopra, pecca49 to che in troppi si dimenticarono di evidenziare che l’allora nostro Presidente del Consiglio aveva promesso misure per la riduzione degli spread correnti, mentre riuscì ad ottenere soltanto che gli interventi si sarebbero potuti attivare solo in caso di peggioramento; inoltre, in parecchi omisero di dire anche che la procedura era (ed è) attivabile solo su richiesta dello Stato che ne avesse (ne abbia) eventualmente bisogno e non in modo automatico, quindi sarebbe stato (ed è) in ogni caso necessario sottostare a cosiddetti “memorandum d’intesa”, vale a dire a condizioni forcaiole ed anti-democratiche che possono giungere addirittura anche a sospensioni di democrazia mascherate da interventi salvifici. Non è un caso, infatti, che l’Italia – nonostante avesse in quel periodo uno spread traballante al rialzo – sia sempre stata lontana dal farne richiesta, tant’è che il differenziale tra BTP e BUND (per motivi del tutto diversi dai meriti troppo generosamente e frettolosamente attribuiti al prof. Monti) si è ugualmente ridotto. Del resto - perché i cittadini sappiano cos’è questa Europa, chi sono coloro che agiscono per essa e quali obiettivi questo nuovo ordine globale cerca di perseguire - le azioni che i Governi italiani stanno ponendo in essere da circa tre anni vanno proprio nella direzione di svuotare l’Italia delle ultime porzioni di sovranità nazionale che le sono rimaste; a tal proposito proprio l’ex Presidente del Consiglio dei ministri Mario Monti (in carica dal 16 novembre 2011 al 27 aprile 2013), ha esplicitamente ammesso che «non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi - e di gravi crisi - per fare passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono, per definizione, cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario. È chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini a una collettività nazionale, possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico del non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è una crisi in atto visibile e conclamata […]» (http://www.youtube.com/watch?v=tIUqi9yVV_A). Lascio al lettore ogni libero commento. Ad ulteriore argomentazione in merito alla questione dello spread, vorrei nuovamente sottolineare che il famigerato differenziale BTP-BUND si forma sul mercato secondario, quindi lo spread non porta a quantificare l’onere che lo Stato sostiene per il servizio del debito: quest’ultimo, infatti, si forma esclusivamente sul mercato primario, quello determinato dalle aste mensili indette dal Tesoro. Alla luce di quanto predetto, considerato il “terrorismo” mediatico fatto su una questione che meritava sicuramente maggiori approfondimenti, ritengo che tutta la vicenda legata allo spread sia stata un vero e proprio 50 pubblico/PIL in un apposito fondo, l’ERF. In pratica, leggendola così, sembrerebbe una mano dal cielo (infatti l’Italia si vedrebbe liberata di oltre il 70% del proprio rapporto debito pubblico/PIL), ma l’inganno è dietro l’angolo. Per quali motivi filantropici qualcuno dovrebbe garantire debiti pubblici altrui? E soprattutto, come farebbe l’ERF a garantire cifre così alte? Attraverso un intervento della BCE? Macché! Sarà sempre il popolo a pagare, e cerco di spiegare in che modo: ciascuno Stato dovrebbe garantire la propria parte di debito versata nel Fondo sia attraverso i propri asset pubblici sia tramite una percentuale di tasse riscosse a livello nazionale. Tale Fondo, successivamente, emetterebbe bonds europei a scadenza ventennale, massimo 25 anni. In questo lasso di tempo tutti gli Stati aderenti avrebbero comunque l’obbligo di ridurre il proprio rapporto debito pubblico/PIL al 60%, quindi – usando una terminologia più semplice – ciascuno Stato, nell’arco di 20-25 anni, dovrebbe restituire al Fondo quanto in precedenza dal Fondo stesso garantito (si fa per dire, visto che le garanzie sarebbero comunque fornite dagli Stati stessi sia attraverso i propri “gioielli di famiglia” che tramite una parte delle tasse prelevate ai cittadini). Quindi, qualora non fosse ancora chiaro il meccanismo dell’ERF, cercherò di essere più esplicito: l’Italia (ma anche altri Paesi soprattutto del sud Europa) si troverebbe costretta non solo a dare in pegno il proprio tesoro pubblico, ma addirittura a far confluire in questo Fondo comune una parte degli introiti derivanti dalla tassazione, con la conseguenza che – nell’ipotesi in cui non riuscissimo a ridurre il nostro rapporto debito pubblico/PIL in 20-25 anni dall’attuale 133% (dato comunque destinato a crescere) al 60%, ecco che l’ERF (ma in realtà chi ha deciso di acquistarci a prezzi stracciati) potrà prendersi gratuitamente i nostri pezzi migliori, dopo che magari si è già preso anche una parte consistente delle tasse che i cittadini hanno faticosamente pagato non per ricevere in cambio un servizio ma per compiacere, e garantire, gli interessi della nuova dittatura europea. ricatto-imbroglio, infatti nel nome di tale “truffa” si sono sacrificate sia la sovranità nazionale che la democrazia! 51 52 III La Rivoluzione francese e i giorni nostri: dall’Ancien Régime alla nuova Aristocrazia europea29 «[…] Se si continuano a sacrificare il lavoro e i diritti ad esso connessi - conquistati dai nostri Padri all’altissimo prezzo del sangue -, si tornerà nuovamente indietro di centinaia di anni… come se la Rivoluzione francese non fosse mai esistita. È questo ciò che vogliamo? Se a scuola si insegnano solo l’Informatica, l’Inglese e le logiche d’Impresa (le tre I), trascurando quasi del tutto la Letteratura, la Storia, la Filosofia e in alcuni casi anche il Diritto, è chiaro che il mondo di domani avrà una classe dirigente con tre lauree, venti master o sette lingue straniere conosciute, appositamente indottrinata di “infallibili” teorie finanziarie ma senza alcun contatto con la realtà, capace di rovinare quei diritti per i quali milioni di persone si sono fatte ammazzare al fine di donare alle generazioni future un mondo più equo e più giusto. Ecco perché, e lo dico fiero, la Storia è una delle più grandi e sagge maestre di vita. Non sciupiamola! È la più grande scuola di libertà e di verità che abbiamo a nostra completa e vasta disposizione. Non facciamoci prendere in giro dagli intransigenti e rampanti sostenitori del mercato e del rigore moralfinanziario che vogliono consegnare il nostro futuro, e quello dei nostri figli, all’egoismo di pochi. Il lavoro, la ricchezza e i diritti appartengono a tutti! La Rivoluzione francese tutto questo ce lo ha - seppur attraverso mille forzature, contraddizioni, teste mozzate e cannonate - insegnato molto chiaramente. Cogliamone gli aspetti positiFrammento tratto dal mio libro intitolato: “La Rivoluzione francese e i giorni nostri. Dall’Ancien Régime alla nuova Aristocrazia europea […]”, Editrice GDS (versione cartacea ottobre 2013; versione e-book novembre 2013). 29 53 vi e facciamone tesoro! La libertà non è primeggiare sugli altri; libertà è - come cantava Giorgio Gaber - partecipazione, quindi possibilità per tutti di godere di pari opportunità: dalla garanzia di un lavoro tendenzialmente stabile, alla possibilità di acquistare una casa senza mutui forcaioli ultratrentennali; dalla libertà di mettersi in proprio senza fare la guerra in una logica di spietata globalizzazione, alla possibilità di poter trovare un lavoro per il quale si è studiato senza l’obbligo di dover necessariamente conoscere perfettamente l’inglese o di dover frequentare ripetutamente inutili e costosi corsi formativi; dal potersi vedere riconosciute - senza raccomandazioni o “doveri” di appartenenza politica - le proprie capacità in una logica meritocratica, al poter effettivamente sperare in un futuro scèvro dalla pazzia dell’emulazione del vicino; dalla concretizzazione della volontà di dar vita ad una famiglia, alla realizzazione dei piccoli sogni nel cassetto… questa è la libertà! Se così non fosse, per che cosa è morto Goffredo Mameli durante il Risorgimento? Per quale motivo si fecero ammazzare sul Piave i ragazzi del 99’? Che cos’è la repubblica democratica fondata sul lavoro se non la libertà di vivere liberi dal bisogno? Se fino a qualche decennio fa la nostra cara Italia si fondava per davvero sul lavoro - o quanto meno questo ne rappresentava l’aspetto principale -, oggi si fonda sulle assurde regole imposteci dagli uomini dell’Europa finanziaria, dai banchieri e dai “cechi rigoristi” che non hanno alcun contatto con la realtà. Non ci rendiamo neppure conto che una “mano visibile” sta togliendo al popolo la più grande prerogativa che gli appartiene: la sovranità. Da qualche anno, infatti, sovrani sono i mercati, i tecnocrati dell’Europa e lo spread, e non il popolo. Ogni decisione politica - ma anche una semplice espressione del proprio libero pensiero - viene presa o espressa solo se non produce effetti negativi per il famigerato spread, e quindi per l’andamento dei mercati finanziari. Il popolo non conta più nulla! Un Governo o una maggioranza politica non derivano più dalla sacrosanta - anche se in alcuni casi sbagliata e riprovevole - volontà degli elettori, ma dall’orientamento dei mercati. Che orrore! Quando sento dire che la nostra composizione parlamentare o governativa (determinata tendenzialmente da libere elezioni) potrebbe non essere gradita all’Europa e ai mercati, mi viene l’orticaria! Non dimentichiamoci che, piaccia o no, sovrano è il po54 polo, e non i mercati! Siamo passati dal vivere in uno Stato di Diritto - costato milioni di vite umane - al morire in uno Stato di Mercato e di Polizia Tributaria! A cosa sono serviti tutti questi “professoroni” in grado di far quadrare i conti (si fa per dire!) ma altrettanto capaci di fare macelleria sociale? Il nostro meraviglioso Paese si è sempre retto sulle piccole-medio imprese, sui piccoli commercianti e i piccoli artigiani, sulla libertà dei professionisti autonomi, dei liberi pensatori e sullo straordinario lavoro degli insegnanti e degli operai. Il nuovo tipo di politica che ha preso piede in Italia già da qualche anno sta letteralmente massacrando proprio questo sistema a vantaggio - come sempre - dei più forti. Ed ecco come, trascorsi poco più di due Secoli dall’esperienza della Rivoluzione francese, l’Italia e l’Europa stanno tornando vertiginosamente indietro verso un Ancien Régime di nuovi barbari che, pensando di essere superiori e più capaci degli altri, chiamano gli ingenui lavoratori per nome di battesimo convincendoli di essere “alla pari”, e in tal modo sostituiscono - con l’incosciente benestare del lavoratore stesso - i diritti più elementari delle persone con alcune logiche della finanza del tutto configgenti con il rispetto della dignità umana. Basti vedere cosa accade ai lavoratori dei supermercati, dei centri commerciali o dei call center: “criceti frustati” dalle inique logiche di vendita selvaggia che lavorano dalle 12 alle 14 ore al giorno - se non di più - per soddisfare le nascoste logiche della nuova Aristocrazia europea e, nuovamente, a vantaggio dei più forti. In questa situazione, che posto ha la famiglia nella vita di una persona? Quanto tempo può passare con i figli una madre che lavora in queste condizioni? Sento sempre più spesso che si vuole liberalizzare il commercio consentendo, ad esempio, l’apertura dei negozi 24 ore su 24. Conosce il lettore le conseguenze di tutto questo? Una piccola attività commerciale che dovrà combattere la concorrenza, ma che allo stesso tempo non potrà permettersi la copertura su tre turni di 8 ore in quanto non in grado di assumere - e pagare - un numero equivalente di lavoratori, sfrutterà i dipendenti di cui può permettersi l’assunzione per turni massacranti che andranno dalle 12 alle 18 ore al giorno, così come avviene in Cina o nei cosiddetti Paesi sottosviluppati! Ed ecco come la Rivoluzione francese, e più in generale le lotte di civiltà, ritornano di grande attualità. Ci hanno presentato i 55 “sapienti professoroni” come gli unici in grado di poter risolvere i problemi della finanza statale ma, invece di farci uscire dalla crisi con l’incentivazione - ad esempio - del lavoro a tempo indeterminato (unica vera garanzia di cui l’uomo ha bisogno per costruirsi un futuro), questi “sapientoni” hanno vertiginosamente aumentato le tasse e inasprito i criteri di accertamento fiscale peggiorando la situazione economica già pesantemente recessiva e, con un colpo di spugna, sono addirittura giunti a “cancellare” anche l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, il quale, benché non applicabile ad un gran numero di lavoratori italiani, quanto meno fungeva da validissimo deterrente contro eventuali soprusi. Ciò premesso, sono giunto alla conclusione di dover pensare che dietro l’apparente problematica economico-finanziaria si celi un “disegno criminale” di sfruttamento degli uomini liberi. L’Aristocrazia dell’Ancien Régime - pur mutando pelle, abiti e volto - è quindi tornata più forte di prima affinando le sue strumentazioni: confondendosi con il popolo, prolifica il suo disegno di sfruttamento rendendo apparentemente sfruttatori gli sfruttati stessi, in modo tale che, tra sfruttati, non ci si senta tali! È questo il nuovo sistema che governa il mondo. […] È forse libertà questa? È forse questa l’Italia che sognavano Mazzini, Garibaldi e Cavour? È forse questa l’Europa che sognava De Gasperi? Conosce il lettore quanti uomini e donne si sono fatti ammazzare durante la Rivoluzione francese, durante le guerre napoleoniche, durante il Risorgimento italiano, ovvero durante le due guerre mondiali perché una sola disposizione legislativa prevedesse – ad esempio - che l’onere della prova, in ogni caso e in ogni situazione, debba spettare sempre a chi accusa e non a chi si difende? Conosce il lettore quanto sono costate ad esempio, in termini di vite umane, le disposizioni di cui agli articoli 24, 25 e 27 della nostra Costituzione? Dandosi le risposte a queste domande, chi legge saprà sicuramente comprende il messaggio di chi scrive […]». 56 IV La dittatura fiscale in Italia quale conseguenza dei diktat europei. La Legge dei Sospetti del 1793 e il Redditometro 2013: comparazioni giuridiche. Il ripetersi nella Storia delle medesime aberrazioni giuridico-processuali. Profili di incostituzionalità del nuovo Redditometro30 Per poter dare una risposta concreta sia agli impegni assunti con Bruxelles e Francoforte che ai diktat rivoltici dai loro tecnocrati, e dovendo inoltre rispettare quanto previsto da alcuni Trattati (che non mi stancherò mai di definire forcaioli), i governanti italiani (non a caso proprio quelli che non sono passati dall’esame del voto popolare) hanno iniziato ad introdurre sistemi di accertamento fiscale che non hanno nulla da invidiare ai metodi utilizzati (per altri motivi) dal governo giacobino durante il periodo del Terrore. Per questo, spinto da una sorta di ribellione morale e culturale, nel gennaio 2013 scrissi il seguente articolo: «Già da diversi mesi gli italiani sono costantemente martellati da un sistema di Terrore fiscale che fa invidia alla più tremenda cultura del sospetto, la quale è stata inesorabilmente condannata dalla Storia come ceca, ottusa e fallimentare. 30 Articolo che ho scritto tra il 15 ed il 22 gennaio 2013, pubblicato in data 23 gennaio 2013 sulla Rivista elettronica denominata FanPage.it (sezione Diritto e Diritti): http://www.fanpage.it/la-legge-dei-sospetti-del-1793-e-ilredditometro-2013-comparazioni-giuridiche/ 57 Nella mia duplice veste di avvocato e di studioso della Storia della Rivoluzione francese, ho svolto un lavoro di comparazione giuridica tra la Legge dei Sospetti di giacobina memoria e il nuovo Redditometro che entrerà in vigore nel nostro Paese tra poco più di un mese31. A parte gli aspetti intrinseci in esso contenuti di quella che è la più errata cultura del sospetto, il nuovo sistema di accertamento fiscale che si affaccia nel panorama giuridico italiano ha in sé parecchi aspetti comuni a quella che fu la legge che diede avvio al Terrore giacobino durante la Rivoluzione francese. Leggendo la Legge dei Sospetti approvata dalla Convenzione Nazionale il 17 settembre 1793, si comprende come - nonostante siano trascorsi appena due secoli da allora - la politica continui imperterrita a produrre le medesime aberranti norme giuridiche del passato, come se questi duecento anni non fossero mai trascorsi. È assolutamente condivisibile, e ci mancherebbe altro, che lo Stato intraprenda una seria lotta contro l’evasione fiscale, ma è del tutto inaccettabile che questa venga compiuta trasformando uno Stato di Diritto in uno Stato di Polizia Tributaria! Se sotto la lente di ingrandimento debbono finire sempre gli stessi - vale a dire i poveri artigiani, commercianti, professionisti e piccole imprese che evadono qualche centinaia di euro per dar da mangiare alla propria famiglia -, allora consentitemi di esprimere tutto il mio personale disappunto! Se bisogna rinunciare ad iscriversi a circoli culturali o addirittura in palestra perché altrimenti si corre il rischio di finire sotto la mannaia dell’accertamento fiscale, allora vuol dire che siamo governati da persone che non hanno alcun contatto con la realtà! Questa tanto sponsorizzata fedeltà fiscale somiglia, mi si consenta il paragone, alla pretesa fedeltà nei confronti del Comitato di Salute Pubblica reclamata - pena la traduzione dinanzi al Tribunale rivoluzionario - da Robespierre e Saint-Just! Oggi non si viene più condotti davanti al Tribunale rivoluzionario ma si finisce dinanzi all’Agenzia delle Entrate e - successivamente - tra le “fauci giacobine” di Equitalia, quindi pur mutando nomi, forme e strumenti, la ratio di alcuni provvedimenti legislativi è sempre la stessa! L’entrata in vigore del Redditometro è stata successivamente posticipata al 01 agosto 2013. 31 58 Altra aberrazione giuridica, sempre a proposito di similitudini tra Legge dei Sospetti e Redditometro, si ha nell’ambito del principio dell’onere della prova. Così come la Legge dei Sospetti prevedeva l’inversione di tale onere a carico dell’imputato, anche il nuovo Redditometro prevede che la prova di “fedeltà fiscale” non venga fornita dall’organo accertatore - come previsto dalla nostra Costituzione -, ma dal contribuente inerme. Ed ecco come - benché trascorrano i secoli - la Storia si ripete sempre, seppur con forme e mezzi modificatisi nel tempo. Ma entriamo nello specifico: La Legge dei Sospetti, che aprì il cosiddetto periodo del Terrore giacobino, è uno dei provvedimenti legislativi più discussi dell’intera esperienza rivoluzionaria francese. Ribaltando alcuni princìpi fondamentali sanciti nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, questa legge sospendeva la garanzia in favore dell’imputato in ordine al sacrosanto principio della presunzione di non colpevolezza. Con l’entrata in vigore di siffatto provvedimento, fu possibile trarre in arresto migliaia di persone solo sulla base di generici sospetti, senza che vi fossero riscontri oggettivi di presunta colpevolezza, e quando i poveri sventurati venivano condotti dinanzi al Tribunale rivoluzionario dovevano - essi stessi - dimostrare la propria innocenza. Svolgendo una comparazione di carattere giuridico e processuale con i giorni nostri, non si può far finta di niente - ad esempio sull’attivazione del numero verde della Guardia di Finanza (117) per segnalare “presunti evasori” o per quel che riguarda la procedura “di difesa” prevista dal nuovo Redditometro 2013. Nel primo caso si ha una vera e propria legittimazione della più infima cultura del sospetto che consente, come avveniva in passato, di essere denunciati dal vicino di casa al quale siamo antipatici; nel secondo caso, quindi nel procedimento difensivo contro un accertamento fiscale posto in essere con il sistema previsto dal nuovo Redditometro, non è più l’organo accertatore a dover provare i fatti o gli elementi di colpevolezza contestati al contribuente presunto evasore, ma sarà quest’ultimo a dover dimostrare e giustificare - per tabulas - le proprie “spesucole” quotidiane, esattamente come previsto dalla Legge 59 dei Sospetti del 1793 secondo la quale non era più la Pubblica Accusa a dover provare la colpevolezza dell’imputato, bensì era quest’ultimo a dover dimostrare con prova certa la propria innocenza. Tale situazione produce una realtà paradossale: se Tizio nel 2009 ha ricevuto quindicimila euro in contanti da una vecchia zia per far fronte alle spese di matrimonio, a seguito di un accertamento fiscale basato sui criteri fondativi del nuovo Redditometro, Tizio è senz’altro un evasore da punire! Ma il Redditometro non è un provvedimento isolato: pensi il lettore, ad esempio, a quello che accade nell’ambito della procedura disciplinare prevista in sede di giustizia sportiva dove non è la Procura Federale a dover dimostrare l’illecito eventualmente commesso dal tesserato, ma è quest’ultimo a dover provare - senza neppure la possibilità di servirsi dei più elementari mezzi processuali di difesa - la propria innocenza. È forse democrazia questa? È forse questa la tanto sospirata libertà? Se il lettore sapesse quanti milioni di ragazzi sono morti perché la nostra Costituzione prevedesse l’onere della prova a carico dell’ organo accusatore (o accertatore come viene definito nel sistema fiscale), impallidirebbe dalla Paura. Se per scrivere l’art. 27 della Costituzione milioni di giovani hanno accettato di farsi ammazzare con il sogno di donare ai propri figli un mondo più giusto, il nuovo millennio sta vergognosamente tradendo i più elementari principi di civiltà giuridica e giudiziaria. Nell’ordinamento costituzionale italiano l’onere della prova spetta sempre e in ogni caso - all’organo che predispone l’accusa, quindi nel caso di accertamento fiscale all’organo accertatore che contesta al cittadino una presunta violazione delle norme fiscali. Per rendere effettivo il principio dell’onere della prova a carico dell’organo accusatore (qualunque esso sia), non a caso la nostra Costituzione (giustamente definita la più bella del mondo) garantisce al cittadino il riconoscimento sia del principio della presunzione di innocenza (art. 27 Cost.), sia quello del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento (art. 24 Cost.), arrivando addirittura a definire quest’ultimo come inviolabile. Con l’inversione dell’onere della prova a carico del cittadino contribuente, il nuovo Redditometro ha dunque assunto le vesti di una neo60 fita Legge dei sospetti, pertanto - considerato tutto quanto sopra premesso - ritengo poter affermare che il nuovo Redditometro presenti gravissimi profili di incostituzionalità per evidenti contrasti con gli artt. 24 e 27 della Costituzione; ma l’aspetto più sconcertante è un altro: se la Storia ha lo scopo principale di evitare alle generazioni future di ripetere gli errori del passato, per quale motivo l’umanità finisce quasi sempre per commettere le medesime asinerie? Ai posteri l’ardua sentenza!». 61 62 V L’Unione Europea quale simbolo di una modernità Restauratrice. Brevi osservazioni giuridiche e costituzionali sulla mancanza di democraticità nel processo di formazione degli atti legislativi comunitari. Comparazioni con le Costituzioni nazionali32 «In merito alla dittatura europea di cui mi sono occupato quest’anno con la pubblicazione di diversi articoli e di una breve monografia, non posso non evidenziare alcuni aspetti critici concernenti gli atti legislativi dell’Unione Europea. Prendiamo ad esempio i Regolamenti: questi hanno portata generale e sono obbligatori in tutti i loro elementi, quindi direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri (obbligatorietà integrale, vale a dire senza deroghe o modifiche da parte dei Parlamenti nazionali). In pratica, per dirla con parole povere, sono vere e proprie “leggi europee” adottate dagli organismi comunitari e giuridicamente vincolanti in ciascuno degli Stati membri dell’U.E., senza che ciò avvenga attraverso una procedura di ratifica da parte dei Parlamenti nazionali come invece avviene per i Trattati. I Regolamenti comunitari sono pertanto detti “self-executing” in quanto, a differenza delle Direttive, non necessitano di alcun atto di recepimento o di attuazione. 32 Articolo che ho scritto agli inizi di giugno 2014, pubblicato in data 06 giugno 2014 sulla Rivista elettronica denominata FanPage.it (sezione Diritto e Diritti): http://www.fanpage.it/il-procedimento-di-formazione-degliatti-legislativi-comunitari/, successivamente corretto. 63 Ciò detto, i cittadini italiani, spagnoli, francesi, tedeschi, inglesi, portoghesi, greci etc sono tenuti ad osservare – come se si trattasse di una vera e propria legge nazionale di rango ordinario – il contenuto dei Regolamenti, i quali, ovviamente, producono effetti giuridici nella sfera pubblica o privata di ciascun cittadino, impresa, associazione, attività professionale e quant’altro. Fin qui nulla di male, almeno in linea teorica. Se però si svolgono alcune considerazioni di carattere giuridico- costituzionale che andrò subito ad argomentare, si resta senza parole. La nostra Costituzione repubblicana, nata dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale e dopo quasi ventuno anni di dittatura fascista, prevede che per la formazione delle leggi ordinarie siano osservate specifiche procedure democratiche appositamente sancite nella Carta medesima, procedure che garantiscono sia il più ampio coinvolgimento delle forze politiche presenti in Parlamento, sia i diritti delle minoranze (vedesi gli articoli 72, 73 e 74 della Costituzione). In breve e molto semplicemente (quindi senza precisare tutti gli aspetti tecnici), un progetto di legge inizia il suo iter di formazione nella commissione competente per materia (ciascun ramo del Parlamento italiano ha proprie commissioni), la quale – composta in misura proporzionale da tutte le forze politiche presenti in Parlamento – elabora e licenzia collegialmente un testo che approda in uno dei due rami del Parlamento medesimo. A questo punto la Camera dei deputati o il Senato della repubblica (a seconda di dove il testo è partito) discute, presenta e vota emendamenti ed infine licenzia il testo finale che passa all’altro ramo del Parlamento che può a sua volta discuterlo ed emendarlo sino all’approvazione di un nuovo testo che ritorna alla camera di provenienza per l’approvazione definitiva nel medesimo contenuto, e questa “staffetta” dura fino a quando il testo di legge non viene approvato nel medesimo contenuto da entrambe le camere. Una volta esauritosi l’iter di formazione legislativa, il testo è sottoposto entro un mese dalla sua approvazione definitiva alla promulgazione da parte del Presidente della repubblica, il quale può rifiutarsi di promulgarlo e quindi rimandarlo alle Camere per una nuova deliberazione (art. 74 Cost.). Se invece il Capo dello Stato promulga la legge, questa viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 64 ed entra in vigore il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione medesima. Questo iter, benché descritto in maniera fin troppo semplice e sintetica, è sicuramente molto lungo e farraginoso, quindi merita senz’altro di essere riformato; tuttavia, da un punto di vista giuridico-costituzionale, garantisce ampiamente le esigenze di democrazia e di rappresentanza popolare, tutelando soprattutto le minoranze e le diverse esigenze manifestate dai partiti, i quali, al di là di tutte le considerazioni critiche, sono i principali portatori dei molteplici interessi dei cittadini. A questo punto è opportuno sottolineare che coloro i quali si lavano la bocca con parole come Costituzione, Giustizia, Europa ed Integrazione, se non ammettono che i cittadini italiani (ma più in generale tutti i cittadini europei) sono destinatari - oltre che delle leggi ordinarie approvate dal Parlamento nazionale - anche di atti legislativi provenienti da organismi comunitari non eletti e che non rispettano alcuna procedura democratica nell’adozione degli atti medesimi, commettono una mancanza non giustificabile. Se per scrivere gli articoli 72, 73 e 74 della nostra Costituzione sono morti milioni di giovani e meno giovani, è altresì opportuno precisare che negli ultimi decenni è stato concepito e realizzato un sistema comunitario – sia istituzionale che di produzione giuridica - tendenzialmente dittatoriale che sottomette tutti i cittadini europei a norme giuridiche adottate senza alcun rispetto di procedure democratiche e di garanzia, le quali, anche per motivi di carattere storico, sono presenti in tutte le Costituzioni nazionali dei Paesi membri dell’Unione. Ciò detto, per quel che concerne il processo di formazione dei Regolamenti dell’Unione Europea33, questi vengono adottati dal Consiglio dell’U.E. - o altrimenti detto Consiglio dei Ministri, composto dai ministri di ciascuno Stato competenti in ordine alle materie da trattare (da non confondere con il Consiglio europeo) -, un organismo comunitario non eletto ma che esercita addirittura la funzione legi33 Ricordo nuovamente al lettore che i Regolamenti comunitari producono effetti giuridici in ciascuno degli Stati membri senza che questi possano esercitare neppure un controllo postumo come avviene, ad esempio, per i Trattati. 65 slativa, escludendo di fatto il Parlamento europeo (l’unica Istituzione comunitaria eletta dai cittadini a suffragio universale e diretto) dal processo decisionale in merito alla formazione dell’atto legislativo medesimo. Ma v’è di più: dal punto di vista del rapporto gerarchico tra le Fonti del Diritto, il Regolamento comunitario è posto su un livello superiore rispetto alla legge ordinaria di ciascuno Stato membro, con la conseguenza che se una norma dello Stato non è conforme alla norma comunitaria, il giudice nazionale deve disapplicare la norma nazionale! Alla faccia della democrazia! Ciò premesso, appare quindi evidente come – attraverso un meccanismo del tutto anti-democratico e “truffaldino” – le forme dittatoriali del passato trovano nuovamente spazio anche nei giorni nostri, benché vestite con un abito blu contornato di stelle e – permettetemi di dirlo - di ipocrisia. Le dittature del Secolo scorso erano facilmente individuabili in quanto avevano tutte le caratteristiche – formali e sostanziali – della tirannide; la nuova dittatura, invece, è rappresentata da un’Unione Europea presentataci come occasione di maggiore libertà, sviluppo, pace e democrazia, ma che invece nella sostanza – e sotto alcuni aspetti anche nella forma – esercita il potere attraverso strumentazioni che non differiscono di molto da quelle utilizzate dalle tirannie del passato. Alla luce di quanto premesso, a cosa servono ormai le sacrosante garanzie procedurali previste dalle Costituzioni nazionali per la formazione degli atti legislativi, se altri atti dotati di medesima forza ed efficacia vengono ugualmente adottati da organismi comunitari non eletti e senza il rispetto di procedure democratiche nell’adozione degli stessi? A cosa sono serviti i milioni di morti del passato? A cosa è servito il sangue versato durante il Risorgimento, oppure durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale? A cosa è servita la lotta partigiana contro il nazi-fascismo? A cosa è servita la lotta fratricida tra fascisti e partigiani durante la guerra civile? A cosa sono servite le lotte sociali? La cosa che più mi lascia sconvolto è quella che, proprio quegli stessi personaggi che in televisione si lavano la bocca con la parola Co66 stituzione, sono gli stessi che hanno consentito – e continuano a permettere – irragionevoli e sproporzionate cessioni di sovranità nazionale in favore di organismi comunitari non eletti che, nell’esercizio dei loro poteri e facoltà, non sono tenuti ad osservare alcun criterio che possa definirsi democratico. E’ quindi evidente che, con la scusa dell’integrazione europea e con una giusta dose di “miele avvelenato” rappresentato da concetti astratti come Europa e Popoli, è stato costruito un meccanismo sovranazionale di produzione legislativa che non solo non ha nulla da invidiare – da un punto di vista giuridico e democratico - alle dittature del Secolo scorso, ma che arriva addirittura a sottomette ben quattrocento milioni di cittadini senza che questi siano stati dotati di efficaci strumenti di controllo nei confronti di quelle stesse Istituzioni europee che esercitano – nella sostanza - il vero potere decisionale nell’adozione degli atti legislativi comunitari. L’unico organismo europeo eletto direttamente dai cittadini è, come ho già evidenziato, il Parlamento, il quale – tuttavia – è stato appositamente esautorato, sin dalla sua istituzione, delle facoltà, dei poteri e delle prerogative che sono tipici dei Parlamenti nazionali, assemblee nate dalle lotte e dalle Rivoluzioni che hanno infiammato l’Europa dal 1789 in poi. Inoltre, per fare in modo che gli organi dotati di potere decisionale a livello comunitario siano immuni dagli eventuali scossoni derivanti dal processo elettorale, chi ha costruito la struttura costituzionale dell’Unione Europea ha pensato “bene” di affidare l’esercizio della funzione legislativa al Consiglio dell’U.E. e l’esercizio della funzione esecutiva alla Commissione, due organi composti da soggetti che quasi nessuno conosce e che non hanno mai ricevuto alcuna legittimazione democratica. Ben due Secoli di Storia sono stati appositamente sacrificati sull’altare di una modernità europea Restauratrice! Non ai posteri, ma a noi, l’ardua Sentenza!». 67 68 VI I danni economico-finanziari causati dalla pressione fiscale troppo alta: la Curva di Laffer Si narra che nel 1980 l’economista americano Arthur Laffer (classe 1940), incontrando per caso in un ristorante l’allora candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti Ronald Reagan, gli avesse consigliato - attraverso una dimostrazione grafica scarabocchiata su un foglietto – di adottare una politica di riduzione delle imposte dirette. Con questa “curva a campana” l’economista sosteneva che quando la tassazione supera una certa soglia provoca non un aumento bensì una diminuzione del gettito per le casse dello Stato. Laffer sosteneva che esiste un livello del prelievo fiscale oltre il quale l’attività economica non è più conveniente e il gettito è destinato a diminuire, fino ad azzerarsi nell’ipotesi in cui il prelievo raggiunga il 69 100% del reddito. Un giornalista presente all’incontro chiamò quella curva come, appunto, CURVA DI LAFFER34. Dato un sistema di assi cartesiani, se indichiamo sull’asse delle ascisse la pressione fiscale (PF) e su quello delle ordinate il gettito (G), spostandoci verso destra si nota come, all’aumentare della pressione fiscale (PF1), il gettito cresce (G1) fino ad un livello massimo (GMAX con pressione fiscale PF*), ma successivamente, all’aumentare della pressione fiscale (PF3), il gettito inizia a decrescere (da GMAX torna a G1) fino al suo azzeramento (PFMAX = Gettito zero). L’obiettivo del grafico è quindi quello di dimostrare che esiste un livello di tassazione che genera il massimo del gettito (ossia PF* = GMAX) oltre il quale l’attività economica non è più conveniente, pertanto qualora lo Stato aumenti la pressione fiscale oltre detto limite (cioè quando la pressione fiscale passa da PF* a PF3) si ha la conseguenza di un minore gettito (da GMAX a G1), ossia minori entrate fiscali per le casse dell’erario, fino al suo azzeramento (PFMAX = Gettito zero). In parole semplici, quando le tasse sono troppo alte e superano una determinata soglia entro la quale è conveniente svolgere l’attività economica, i soggetti economici troveranno conveniente cessare o ridurre l’attività economica (con conseguenze negative non solo sul gettito ma anche sul PIL e sull’occupazione) oppure dar vita a comportamenti quali l’evasione fiscale e l’elusione, con la diretta conseguenza – in ogni caso - che le entrate fiscali per le casse dello Stato diminuiranno considerevolmente. Ciò detto, appare quindi evidente che l’alta pressione fiscale e l’eccessivo rigore cui l’Italia è “abituata” a sopportare sin dal novembre 2011, hanno iniziato a produrre - e continueranno purtroppo a generare - una convenienza per i soggetti economici a cessare o a ridurre l’attività economica in Italia (trovando conveniente produrre in Paesi che hanno una pressione fiscale più bassa) ovvero ad evadere o eludere il fisco, provocando in ogni caso la conseguenza di una diminuzione del gettito… Chi vuol intendere, intenda! L’immagine raffigurante la Curva di Laffer riprodotta a pag. 69 è stata reperita dall’Autore dal sito internet www.ilradar.com. 34 70 VII Frammenti di testi, articoli, interviste, convegni, lettere e appelli raccolti dall’Autore tra le personalità più competenti in materia economico-giuridica Milton Friedman - Economista statunitense e Premio Nobel per l’Economia nel 1976 (deceduto nel 2006), già nel 1998 argomentava che la moneta unica è un Soviet e che Bruxelles e Francoforte prenderanno il posto del mercato: Niente di sbagliato, in generale, a volere un’unione monetaria. Ma in Europa c’è già ed è quella esistente di fatto tra Germania, Austria e Paesi del Benelux. Niente vieta che, se ci tiene, l’Italia aderisca a quella. Il resto è una costruzione non democratica. Più che unire, la moneta unica crea problemi e divide. Sposta in politica anche quelle che sono questioni economiche. La conseguenza più seria, però, è che l’euro costituisce un passo per un sempre maggiore ruolo di regolazione da parte di Bruxelles. Una centralizzazione burocratica sempre più accentuata. Le motivazioni profonde di chi guida questo progetto e pensa che lo guiderà in futuro vanno in questa direzione dirigista… Ma non vedo la flessibilità dell’economia e dei salari e l’omogeneità necessaria tra i diversi Paesi perché sia un successo. Se l’Europa sarà fortunata e per un lungo periodo non subirà shock esterni, se sarà fortunata e i cittadini si adatteranno alla nuova realtà, se sarà fortunata e l’economia diventerà flessibile e deregolata, allora tra 15 o 20 anni raccoglieremo i frutti dati dalla bendizione di un fatto positivo. Altrimenti sarà una fonte di guai. Cosa prevede succederà? Una riduzione della libertà di mercato. A Francoforte siederà un 71 gruppo di banchieri centrali che deciderà i tassi d’interesse centralmente. Finora, le economie, come quella italiana, avevano una serie di libertà, fino a quella di lasciar muovere il tasso di cambio della moneta. Ora, non avranno più quell’opzione. L’unica opzione che resta è quella di fare pressione sulla Ue a Bruxelles perché fornisca assistenza di bilancio e sulla Banca centrale europea a Francoforte perché faccia una politica monetaria favorevole. Aumenta cioè il peso dei governi e delle burocrazie e diminuisce quello del mercato. Sarebbe meglio fare come alla fine del secolo scorso, quando, col Gold Standard, l’Europa aveva già una moneta unica, l’oro: col vantaggio che non aveva bisogno di una banca centrale… Quello che c’è da dire sul mercato unico, piuttosto, è che è reso più complicato proprio dall’Unione monetaria che rende più difficili le reazioni delle economie, toglie loro strumenti e le rende più dipendenti dalle burocrazie35. Amartya Kumar Sen - Economista indiano e Premio Nobel per l’Economia nel 1998: Mi preoccupa molto di più quello che succede in Europa, l’effetto della moneta unica. Era nata con lo scopo di unire il continente, ha finito per dividerlo. L’euro è stato un’idea orribile. Lo penso da tempo. Un errore che ha messo l’economia europea sulla strada sbagliata. Una moneta unica non è un buon modo per iniziare a unire l’Europa. I punti deboli economici portano animosità invece che rafforzare i motivi per stare assieme. Hanno un effetto-rottura invece che di legame. Le tensioni che si sono create sono l’ultima cosa di cui ha bisogno l’Europa… Quando tra i diversi Paesi hai differenziali di crescita e di produttività, servono aggiustamenti dei tassi di cambio. Non potendo farli, si è dovuto seguire la via degli aggiustamenti nell’economia, cioè più disoccupazione, la rottura dei sindacati, il taglio dei servizi sociali. Costi molto pesanti che spingono verso 35 Frammento tratto dal sito internet: http://scenarieconomici.it/4-preminobel-paul-krugman-milton-friedman-joseph-stigliz-amartya-sen-leuro-euna-patacca/ 72 un declino progressivo. È successo che a quell’errore è stata data la risposta più facile e più sbagliata, si sono fatte politiche di austerità. L’Europa ha bisogno di riforme: pensioni, tempo di lavoro, eccetera. E quelle vanno fatte, soprattutto in Grecia, Portogallo, Spagna, Italia. Ma non hanno niente a che fare con l’austerità. È come se avessi bisogno di un’aspirina ma il medico decide di darmela solo abbinata a una dose di veleno: o quella o niente. No, le riforme si fanno meglio senza austerità, le due cose vanno separate. La Germania ha sicuramente beneficiato della moneta unica. Oggi abbiamo un euro-marco sottovalutato e un euro-dracma sopravvalutata, se così si può dire. Ma non credo che ci sia uno spirito del male tedesco. Non ci sono malvagi in questa cosa terribile che sta succedendo. È che hanno sbagliato anche i tedeschi. E si è finiti con la Germania denigrata...36. Joseph Eugene Stiglitz - Economista statunitense e Premio Nobel per l’Economia nel 2001: Il progetto europeo, per quanto idealista, è sempre stato un impegno dall’alto verso il basso. Ma incoraggiare i tecnocrati a guidare i vari paesi è tutta un’altra questione, che sembra eludere il processo democratico, imponendo politiche che portano ad un contesto di povertà sempre più diffuso. Mentre i leader europei si nascondono al mondo, la realtà è che gran parte dell’Unione Europea è in depressione. La perdita di produzione in Italia dall’inizio della crisi è pari a quella registrata negli anni ’30… La realtà tuttavia è che la cura non sta funzionando e non c’è alcuna speranza che funzioni; o meglio che funzioni senza comportare danni peggiori di quelli causati dalla malattia… L’Europa ha bisogno di un maggiore federalismo fiscale e non solo di un sistema di supervisione centralizzato dei budget nazionali… È poi necessaria un’unione bancaria, ma deve essere una vera unione con un unico 36 Frammento tratto dal sito internet: http://scenarieconomici.it/4-preminobel-paul-krugman-milton-friedman-joseph-stigliz-amartya-sen-leuro-euna-patacca/ 73 sistema di assicurazione dei depositi, delle procedure risolutive ed un sistema di supervisione comune. Inoltre, sarebbero necessari gli Eurobond o uno strumento simile. I leader europei riconoscono che senza la crescita il peso del debito continuerà a crescere e che le sole politiche di austerità sono una strategia anti-crescita. Ciò nonostante, sono passati diversi anni e non è stata ancora presentata alcuna proposta di una strategia per la crescita sebbene le sue componenti siano già ben note, ovvero delle politiche in grado di gestire gli squilibri interni dell’Europa e l’enorme surplus esterno tedesco che è ormai pari a quello della Cina (e più alto del doppio rispetto al PIL). In termini concreti, ciò implica un aumento degli stipendi in Germania e politiche industriali in grado di promuovere le esportazioni e la produttività nelle economie periferiche dell’Europa. Quello che non può funzionare, almeno per gran parte dei paesi dell’Eurozona, è una politica di svalutazione interna (ovvero una riduzione degli stipendi e dei prezzi) in quanto una simile politica aumenterebbe il peso del debito sui nuclei familiari, le aziende ed il governo (che detiene un debito prevalentemente denominato in euro). I leader europei continuano a promettere di fare tutto il necessario per salvare l’euro. La promessa del Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, di fare “tutto il necessario” ha garantito un periodo di tregua temporaneo. Ma la Germania si è opposta a qualsiasi politica in grado di fornire una soluzione a lungo termine tanto da far pensare che sia sì disposta a fare tutto tranne quello che è necessario. È vero, l’Europa ha bisogno di riforme strutturali come insiste chi sostiene le politiche di austerità. Ma sono le riforme strutturali delle disposizioni istituzionali dell’Eurozona e non le riforme all’interno dei singoli paesi che avranno l’impatto maggiore. Se l’Europa non si decide a voler fare queste riforme, dovrà probabilmente lasciar morire l’euro per salvarsi. L’Unione monetaria ed economica dell’UE è stata concepita come uno strumento per arrivare ad un fine non un fine in sé stesso. L’elettorato europeo sembra aver capito che, con le attuali disposizioni, l’euro sta mettendo a rischio gli stessi scopi per cui è stato in teoria creato37. 37 Frammento tratto dal sito internet: http://scenarieconomici.it/4-preminobel-paul-krugman-milton-friedman-joseph-stigliz-amartya-sen-leuro-e74 Paul Robin Krugman - Economista statunitense e Premio Nobel per l’Economia nel 2008: I leader europei sono decisi a portare il continente al suicidio. Invece di ammettere che si sono sbagliati sembrano decisi a buttare la loro economia e la loro società giù da un burrone. Un tempo i medici credevano che cavar sangue servisse a purgare il corpo dagli umori maligni: molti responsabili di politica economica la pensano ancora così…38 […]. Penso che l’euro fosse un’idea sentimentale, un bel simbolo di unità politica. Ma una volta abbandonate le valute nazionali avete perso moltissimo in flessibilità. Non è facile rimediare alla perdita di margini di manovra. In caso di crisi circoscritta esistono due rimedi: la mobilità della manodopera per compensare la perdita di attività e soprattutto l’integrazione fiscale per ripianare la perdita di entrate. Da questa prospettiva, l’Europa era molto meno adatta alla moneta unica rispetto agli Stati Uniti. Florida e Spagna hanno avuto una stessa bolla immobiliare e uno stesso crollo. Ma la popolazione della Florida ha potuto cercare lavoro in altri stati meno colpiti dalla crisi. Ovunque l’assistenza sociale, le assicurazioni mediche, le spese federali e le garanzie bancarie nazionali sono di competenza di Washington, mentre in Europa non è così… Io suggerisco ai Paesi che ancora possono scegliere di non ricorrere alle politiche di austerity…39. - Paolo Barnard – Saggista, giornalista ed economista italiano: L’Europa dell’euro sta esplodendo, e i prossimi a finire sotto le macerie saremo noi italiani, i portoghesi e gli spagnoli. Poi verranno i francesi e i tedeschi. Perché? Perché abbiamo tutti adottato una mouna-patacca/ 38 Frammento tratto dal sito internet: http://www.quieuropa.it/la-riflessionedel-nobel-paul-krugman-e-la-fine-delleuro/ 39 Frammento di un’intervista a Paul Krugman tratto dal sito internet: http://www.presseurop.eu/it/content/article/2648351-paul-krugman-l-euroe-campato-aria 75 neta, l’euro, che è sospesa nel nulla, non ha cioè uno Stato sovrano che la regoli, non si sa di chi sia, e soprattutto noi Stati europei la possiamo solo USARE, non possedere. È tutto qui il disastro, e vi spiego. Ho già scritto che se la Grecia fosse ancora uno Stato che emette moneta sovrana non avrebbe nessun problema, perché potrebbe fare quello che fecero gli USA con un indebitamento assai peggiore (deficit di bilancio al 25% del PIL) 60 anni fa: emettere moneta, pagare parti del debito e rilanciare l’economia senza quasi limite. È esattamente quello che fa il Giappone da decenni. Osservate: oltre agli Stati Uniti che sono indebitatissimi (deficit di bilancio 1.400 miliardi di dollari e in crescita prevista fino a 2.900 fra 3 anni), il Giappone ha oggi un rapporto debito-Prodotto Interno Lordo del 200% circa (che in Europa sarebbe considerato l’inferno in terra), la Gran Bretagna ha in pratica lo stesso deficit di bilancio della Grecia e dovrà prendere in prestito 500 miliardi di sterline nei prossimi 5 anni. Ma avete sentito da qualche parte che vi sia un allarme catastrofico su USA, Giappone e Gran Bretagna? C’è qualcuno che sta infliggendo a quei tre Paesi le sevizie di spesa pubblica che saranno inflitte ai greci? No! Perché? Perché Stati Uniti, Giappone e Gran Bretagna sono possessori di una loro moneta non convertibile e non agganciata ad altre monete forti, e questo significa che i loro governi possono emettere moneta nel Paese per risanarsi come detto sopra. E attenzione: possono farlo prendendola in prestito da se stessi, che a sua volta significa che se si indebitano fino al collo possono poi rifinanziarsi il debito all’infinito. È come se un marito fosse indebitato con la moglie... cosa succede? Nulla, sono lo stesso nucleo. Noi Stati europei invece dobbiamo, prima di spendere, prendere in prestito gli euro dai mercati di capitali, e quindi per noi i debiti sono un problema, perché li dobbiamo restituire a qualcun altro, non più solo a noi stessi. Noi siamo il marito e la moglie indebitati con gli usurai, ben altra storia. Ribadisco: uno Stato con moneta sovrana, come appunto Stati Uniti, Giappone o Gran Bretagna, può emettere debito sovrano senza problemi, e finanziarlo praticamente all’infinito con l’emissione di altra moneta, e questo, al contrario di quello che tutti vi raccontano, non è un problema (i dettagli tecnici in un mio studio futuro). Quanto ho appena scritto, è stato confermato pochi mesi fa, fra gli altri, dall’ex presidente della Federal Reserve 76 (banca centrale) americana, Alan Greenspan, che ha detto “un governo non potrà mai fare bancarotta coi debiti emessi nella propria moneta sovrana”. Infatti USA, Gran Bretagna e Giappone, che emettono debiti immensi, non sono al collasso come la povera Grecia e nessuno li sta crocifiggendo […]. Infine, ricordo chi ha così fortemente voluto in Italia l’unione monetaria europea: Romano Prodi e Giuliano Amato in primis, che non sono stupidi e sapevano benissimo dove ci avrebbero portati. Alla faccia di chi ancora demonizza il centrodestra, che di peccati ne ha, ma confronto a questo sono cosucce da ridere. Qui stiamo parlando della svendita della speranza, per generazioni di cittadini, di poter avere controllo sull’economia, che è tutto, è libertà e democrazia, perché da cassintegrati/precari e senza più uno Stato sociale decente si è a tutti gli effetti degli schiavi. La crisi dell’Europa, il calvario della Grecia e il nostro prossimo calvario, sono tutta una montatura costruita dall’inganno dell’unione monetaria, dall’inganno dell'inesistente dovere di risanare i debiti degli Stati, che non sono mai un problema se quegli Stati sono monetariamente sovrani. Un inganno ordito dai soliti noti di cui sopra. Uscire dall’unione monetaria subito! Ritornare Stati europei con moneta sovrana e non convertibile, ora! Hanno ragione i greci, e faccio eco al loro grido scritto sulle pendici dell’acropoli: “Popoli d’Europa, sollevatevi”40. - Alberto Bagnai - Docente universitario, saggista ed economista italiano: L’euro è insostenibile. Chi parla di salvarlo con “più Europa” vaneggia. In tutti i paesi membri, dall’Italia, alla Germania, all’Olanda, si stanno mettendo in discussione i meccanismi di trasferimento di reddito fra regioni che hanno finora garantito la coesione territoriale. In Italia c’è la Lega Nord, in Germania ci sono i politici bavaresi. E voi pensate che un bavarese, che è stufo di pagare per un sassone, voglia invece farlo per un calabrese?! Voi pensate che chi vuole Scritto dall’economista Paolo Barnard e tratto dal suo sito internet: http://paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=181 40 77 “meno Germania” voglia “più Europa”? Potete scordarvelo! Jacques Sapir ha calcolato che per tenere insieme i paesi dell’Eurozona occorrerebbero, in aggiunta ai trasferimenti già previsti dal bilancio della Commissione, almeno altri 257 miliardi di euro all’anno sostanzialmente a carico della Germania. Questo è il costo economico del “più Europa”. Nessun politico può seriamente pensare di proporlo agli elettori. Paolo Manasse, economista ortodosso, giunge alle medesime conclusioni, perché non ce ne sono altre. Quindi, inutile girarci intorno: come decine di altre unioni monetarie nell’ultimo secolo, anche l’Eurozona dovrà sciogliersi. L’Italia, come paese sovrano (fino a prova contraria) non deve chiedere il permesso a nessuno, tanto più che, come ho ricordato, altri paesi hanno pesantemente violato i trattati europei, ponendo le basi di questa crisi. Gli studi che circolano evidenziano tutti, unanimemente, che l’Italia trarrebbe il massimo vantaggio (o il minimo danno) da uno scioglimento dell’Eurozona: i vostri lettori sicuramente conoscono lo studio di Bank of America che a luglio scorso ha portato questo risultato all’attenzione del grande pubblico. Il nostro problema è quello di essere in balìa di una classe politica che ha sistematicamente mentito sulla moneta unica, un vero Partito Unico Dell’Euro che dispone di tutti i mezzi di informazione e li usa in modo terroristico. In questo senso ripongo più fiducia nella Germania. Quando alla leadership tedesca sarà chiaro che sta segando il ramo dov’è seduta, le sarà facile tirarsi fuori dall’Eurozona: basterà continuare a mentire dicendo (come ha fatto per anni) che la crisi è colpa dei pigri del Sud (e non delle banche del Nord che hanno alimentato squilibri per sostenere le industrie del Nord). Gli elettori del Nord prima o poi reagiranno chiedendo la secessione. Il paradosso è che la secessione converrebbe di più agli elettori del Sud, ma a questi non viene nemmeno consentito di discuterne serenamente…!41 Frammento di un’intervista ad Alberto Bagnai tratto dal sito internet: http://scenarieconomici.it/esclusiva-lintervista-in-forma-integralealleconomista-alberto-bagnai-euro-e-crisi/ 41 78 Antonio Maria Rinaldi - Docente universitario, libero professionista ed economista italiano: Iniziamo subito a dire che io sono un europeista convinto, ma non mi identifico in questa Europa. Un conto è l’Unione Europea e un altro è l’Unione monetaria. Ultimamente troppi fanno voluta confusione nell’accomunare l’Europa con l’euro, prendendo pretestuosamente per anti-europeisti chi combatte l’euro. E proprio per ristabilire l’ordine delle cose, mi sento talmente europeista da poter affermare serenamente che per poter salvare l’Europa bisogna urgentemente liberarsi dall’euro. Gli attuali euro-sostenitori sono proprio quelli invece che faranno naufragare non solo la moneta unica nel peggiore dei modi, ma anche lo stesso concetto d’Europa. Se oggi in tutto il Continente europeo monta la protesta, è proprio a causa dell’appartenenza ad un’errata stessa area valutaria, nata con il pretesto di unire un mercato comune secondo l’assioma one market - one money, ma nella realtà per creare un subdolo sistema superiore di governo al fine di estraniare le democrazie dei Paesi membri dai processi decisionali. Il mercato comune si è rivelato essere una farsa: in ventidue anni di Maastricht non si è voluto uniformare neanche le aliquote I.V.A., conditio essenziale per l’effettiva libera circolazione di beni e servizi; invece è accaduto qualcosa di diverso: giorno dopo giorno i cittadini europei sono stati esautorati da qualsiasi diritto di rappresentanza; la maggioranza dei governi europei è stata completamente spogliata da qualsiasi strumento per poter contrastare la Commissione europea, e da tutti i meccanismi tecnici predisposti ad hoc al fine di affidare al sistema delle regole - sempre più rigide - la conduzione monetaria comune, attivando un vero e proprio “pilota automatico”. Si è completamente interrotto il collegamento democratico fra cittadinanza e Istituzioni, e il potere è stato assunto da euro-burocrati autoreferenziali non eletti, i quali perseguono interessi non condivisi e smaccatamente di parte, avendo preferito affidare il consenso ai mercati, e non ai cittadini, per la certificazione della correttezza delle scelte di politica economica a supporto della sopravvivenza dell’euro. Coloro i quali sostengono ingenuamente - o in modo complice - che i problemi dell’euro possano essere risolti con la 79 vulgata del “più Europa”, non comprendono - o non vogliono comprendere - che la via della revisione dei Trattati e dei Regolamenti non è perseguibile perché non produrrà alcun beneficio: che potere contrattuale hanno i nostri rappresentanti se non riescono neanche ad ottenere di sforare dello 0,1% il rapporto deficit/PIL, quando per anni altri hanno fatto i loro comodi, e la Francia viaggia attualmente oltre il 4% e la Spagna verso il 7%? Da Maastricht ad oggi le regole di convergenza si sono sempre più irrigidite, e la dimostrazione più evidente è l’adozione del Patto di stabilità e crescita e il meccanismo di tutela MES: essi certificano la volontà di estraniare sempre più la volontà popolare dai processi decisionali, affidandole al regime delle regole con un sistema punitivo che ricorda più i metodi usati nel Medioevo che nella società civile […]42. Claudio Borghi Aquilini - Docente universitario, editorialista ed economista italiano: - Una delle “eredità” più terribili di questa crisi è stata la caduta delle sicurezze. Dal posto di lavoro agli investimenti tradizionalmente considerati “sicuri”; tutto si è rivelato fragile e rischioso. Chi sta provando, invano, a vendere una casa subissato da tasse penso capisca bene cosa intendo. Persino i conti correnti sono stati minacciati come ci ha insegnato la vicenda di Cipro. È quindi una buona occasione per considerare una forma di investimento alternativa come quella in opere d’arte che, al contrario, sta rivelando insospettabili punti di forza […]. L’effetto distorsivo della moneta unica è stato pervasivo e molteplice. In alcuni paesi ha provocato un eccessivo afflusso di capitali con esplosione del debito privato. In altri ha depresso la competitività impedendo i riaggiustamenti del cambio a seguito degli squilibri della bilancia commerciale. In tutti ha impedito Frammento tratto dalla relazione “Schiariamoci le idee” di Antonio Maria Rinaldi, convegno del 16 dicembre 2013 “Europa ed Euro: opportunità o schiavitù?”, organizzato dall’On.Le Carlo Sibilia (deputato del M5S) presso la Camera dei deputati, il cui video è possibile reperire su you tube al seguente indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=dUtoq55DrYU 42 80 l’assorbimento di shock asimmetrici e, per completare il quadretto, nell’area euro ci si è “inventati” la mancata garanzia della Banca Centrale del debito sovrano. Un’abilità direi artistica nel congegnare un sistema tutto sbagliato […]. Un’unione monetaria priva di trasferimenti interni funziona solo se vi è perfetta identità fra le differenti economie e se non vi sono comportamenti non collaborativi. Anche con le riforme, quali che esse siano, Napoli non si trasforma magicamente in Monaco e meno che mai se la Germania imposta la sua politica alla concorrenza verso gli altri paesi dell’area euro. Chi pensa che con “le riforme” si possano fare 12 Germanie è un illuso: se tutti esportassero chi importerebbe? Il successo di Berlino ha trovato radici nel fallimento di Madrid, sono due facce della stessa medaglia. Noi abbiamo commesso una fila di errori lunga così e uno di essi riguarda proprio la miserevole considerazione e valorizzazione del nostro patrimonio artistico, tuttavia il fallimento di altri paesi che erano considerati dei modelli, come l’Irlanda e la Spagna ci fa capire che se anche avessimo giocato bene probabilmente la partita l’avremmo persa lo stesso […]. Non doveva entrare (in risposta alla domanda se l’Italia dovrebbe uscire dall’euro oppure non avrebbe dovuto entrarci - n.d.a.). Il peso leggero che sale sul ring contro il peso massimo è stupido, non coraggioso. Nel nostro caso poi la beffa è stata totale perché ci hanno fatto credere che il peso massimo che ci aspettava per menarci in realtà era “in squadra” con noi. Siamo entrati in un match di pugilato senza nemmeno sapere cosa stavamo facendo. Adesso che ce ne siamo accorti bisogna uscirne al più presto, finiremo all’ospedale ma se stiamo ancora sul ring continueremo a prendere pugni. E perché mai il pugile che ha vinto dovrebbe dividere il suo premio con lo sconfitto? In certi casi occorre ripassare la storia: consiglio il coro manzoniano dell’ “Adelchi”, leggetelo, è molto attuale. La Germania non pagherà mai un centesimo per noi e in fondo, anche se volesse farlo, non vedo perché dovremmo volerlo noi. Meglio liberi e con la nostra dignità, senza dover dipendere dalla ciotola del cibo del padrone. I nostri artisti futuristi immaginavano un uomo forte, dinamico, libero. Inorridirebbero nel vedere come ci siamo ridotti […]43. 43 Frammento di un’intervista all’economista Claudio Borghi tratto dal sito 81 Bruno Amoroso – Docente universitario, saggista ed economista italiano: L’euro è una moneta che è stata istituita non per ragioni economiche ma politiche, e contro il parere di numerosi economisti. Fu proposto dai francesi che preoccupati per la riunificazione tedesca pensavano di poterne controllare il peso e il ruolo con una moneta unica. Dal canto loro i tedeschi accettarono la moneta unica come forma di scambio per ottenere il consenso francese e degli altri paesi alla loro annessione della Germania Orientale dentro il sistema dell’Unione Europa. Quindi è stato attuato uno scambio politico, non altro. Poi i nodi di questa azzardata operazione, ossia una moneta senza uno Stato o istituzioni comuni adeguate al compito, sono venuti al pettine. L’insufficienza dell’euro rispetto alle speculazioni finanziarie dalle quali ci doveva proteggere è oggi evidente. La protezione si è trasformata in trappola e la speculazione, associata al potere economico assunto dalla Germania, che non è un partner cooperativo come immaginato dai padri dell’Europa, ma un soggetto competitivo e aggressivo, sta strangolando i Paesi dell'Europa del Sud e del Mediterraneo. La cosa, però, non poteva durare. Oggi le crisi finanziarie mettono a nudo l’insufficienza di uno strumento che è diventato un mezzo di controllo delle economie. Lo strangolamento dei Paesi del sud, non solo d'Europa, è sotto gli occhi di tutti. Quello che oggi si sta avverando è il compimento di un piano di “apartheid globale” messo in opera dal 1971 con l’avvio della Globalizzazione e del quale Mario Monti in Italia e Mario Draghi in Germania sono gli esecutori testamentari per le nostre economie. Quello a cui stiamo assistendo non è il fallimento della Globalizzazione, delle politiche neoliberiste e della finanza, bensì il loro realizzarsi nella forma più piena e più bieca. Anche le guerre in corso sono espressione di questo potere per disciplinare, oltre all'Europa e agli Stati Uniti, anche le economie asiatiche, africane e latinoamericane. Ma la vittoria in casa si scontra sempre di più con i fatti oggettivi e le resistenze fuori casa, internet: http://www.qelsi.it/2013/leconomista-claudio-borghi-ci-parla-delsuo-ultimo-libro-e-del-perche-bisogna-uscire-dalleuro/ 82 ed è l’espansione di queste aree e Paesi che possono far fallire questi nuovi piani di colonizzazione delle risorse mondiali […]. Non si vuole accettare il problema. Sembra non ci sia alternativa, si parla di aria fritta come il debito pubblico accumulato dagli italiani o dai greci, che vengono accusati di essere spendaccioni e altre sciocchezze. Le soluzioni, al contrario, esistono. A meno che non si voglia arrivare al disastro che si abbatterà sui nostri ceti medi, destinati all'ulteriore impoverimento, e al peggioramento delle condizioni di chi è già povero. L'esperienza insegna che quando i ceti medi si sentono aggrediti nella loro sopravvivenza, hanno una reazione violenta e si scatenano contro gli strati sociali più deboli come gli immigrati, il barista che non emette lo scontrino, i fannulloni. Una reazione alimentata dalle misure prese dal governo che fa della lotta all’evasione la caccia ai gruppi più deboli per sollevare il polverone che permette tranquillità ai ladri e ai veri speculatori, quelli della finanza e i loro portaborse della politica, invisibili […]. I veri potenti sono aiutati dai mass media nella gestione del caos politico ed economico. Federico Caffè, nel lontano 1972, in un piccolo saggio parlò di “strategia dell'allarmismo economico”. La crescente concentrazione finanziaria che stava nascendo negli Usa era evidente, lo stesso Caffè diceva che la concentrazione di potere sarebbe stata legittimata dall’allarmismo economico creato ad arte. Negli ultimi dieci anni i polveroni politici in Italia ci sono stati, alcuni hanno anche un fondo di verità, ma per il resto sono stati ingigantiti e sfruttati per nascondere e fare ben altro. Appare strano che dopo le gigantesche speculazioni e gli arricchimenti illeciti a cui abbiamo assistito, nessuno sia stato indagato. Il conflitto di interessi riguarda veramente solo Berlusconi? Certo, qualche reazione, anche se isolata, c`è stata, ma è poca cosa: un giudice di Trani, se ricordo bene, ha aperto un procedimento contro una società di rating, mentre il Tribunale di Pescara ha invece condannato per frode Mario Draghi in quanto dirigente della Goldman Sachs per l’Europa. Draghi, per la cronaca, ha patteggiato. A parte questi casi isolati, però, nessuno si è sognato e si sogna di toccare i veri responsabili di quello che accade. Le persone stanno già pagando di tasca propria una crisi di cui non hanno colpa. Quando nei prossimi mesi si manifesteranno evidenti le conseguenze economiche delle politiche che i governi stanno imponendo nei paesi 83 dell’Europa del sud saranno guai seri. Pensare poi di uscirne con la campagna mediatica contro la violenza e “tutti uniti in difesa dello Stato” è un azzardo che non ha mai funzionato. Per questo è bene agire subito riportando il buon senso nella politica e nella società e offrendo in modo non violento agli attuali ministri e banchieri la possibilità di espiare le loro colpe in qualche forma di lavoro socialmente utile44. Giuseppe Guarino – Giurista italiano classe 1922, è professore emerito di Istituzioni di Diritto Pubblico presso l’Università La Sapienza di Roma, già Ministro delle Finanze (dal 17.04.1987 al 28.07.1987), dell’Industria, Commercio e Artigianato oltre che delle Partecipazioni statali (dal 28.06.1992 al 28.04.1993): Il pareggio di bilancio previsto dal Fiscal Compact? Da gettare nella spazzatura della storia. Azzerare il debito pubblico non è solo insostenibile, è anche illegale: perché viola il Trattato di Lisbona, che il debito pubblico lo ammette eccome, anche se limitato al 3% del Pil secondo una teoria “cabalistica” che si vuole risalente a una semplice boutade dell’allora presidente francese Mitterrand: «Il numero 3 suonava bene, ed era perfetto per togliermi di torno i ministri che mi assediavano con le loro continue richieste di soldi». Fondato sul contenimento ossessivo della spesa pubblica, il regime finanziario europeo non deriva da alcuna scienza economica, ma solo dall’ideologia dominante che prescrive di colpire lo Stato per favorire i grandi monopoli economici privati. E persino nella sua applicazione formale le autorità europee stanno violando la legge. Lo sostiene un giurista di peso internazionale come il professor Giuseppe Guarino, già docente di Cossiga ed esaminatore di Napolitano e Draghi, nonché ministro democristiano (finanze e industria) dall’87 al ’93. “Il teorico dell’euro-caos”, lo ribattezza la versione tedesca del “Financial Times”. Il guaio, dice Guarino a Marco Valerio Lo Frammento di un’intervista all’economista Bruno Amoroso tratto dal sito internet: http://www.focus.it/community/cs/forums/thread/481587.aspx 44 84 Prete, che l’ha intervistato per il “Foglio”, è che nessuno, in Italia, osa neppure contraddirlo: semplicemente, i “malati” fingono di ignorare la diagnosi del “medico”. Il professor Guarino esibisce cifre imbarazzanti: l’Europa dell’Eurozona sta continuando a franare, fino a crollare. Un destino segnato in partenza: «Nel quarantennio che va dal 1950 al 1991, la media del tasso di crescita del Pil era stata del 3,86% in Francia, del 4,05 in Germania, del 4,36 in Italia». Le percentuali, dopo i primi sei anni del trattato dell’Unione Europea, sono invece impietose: «La Francia scese all’1,7%, la Germania all’1,4 e l’Italia passò all’ultimo posto». E i dati che vanno dal 1999 al 2011, aggiunge Guarino, sono addirittura drammatici: «La media per i tredici anni dell’euro è diminuita per la Francia all’1,61%, per la Germania all’1,32, per l’Italia allo 0,68. Un crollo verticale». La causa? Va ricercata nella disciplina giuridica dell’Eurozona e dell’Unione Europea in generale: «Non esiste precedente storico di Stati che, per perseguire obiettivi di crescita, si siano rigidamente vincolati al rispetto della parità di bilancio». Vincoli – insiste Guarino – imposti illegalmente. Fino all’incredibile Fiscal Compact, firmato nel marzo 2012 dopo esser stato negoziato nel dicembre 2011, cioè nel momento di massima tensione sui mercati per le sorti dell’Europa. Fiscal Compact che, all’articolo 3, introduce l’obbligo, per gli Stati, di mantenere «in pareggio o in avanzo» la posizione di bilancio della pubblica amministrazione. Norma suicida, avvertono gli economisti neo-keynesiani come Krugman e Stiglitz: tagliando la spesa pubblica, va a rotoli l’intero sistema economico, incluso il settore privato, come la realtà quotidiana si sta incaricando di dimostrare. In più, aggiunge Guarino, il Fiscal Compact è addirittura «inapplicabile», alla lettera, perché è scritto che può essere davvero applicato «soltanto finché compatibile “con i trattati su cui si fonda l’Unione Europea e con il diritto dell’Unione Europea”». Problema: pur molto restrittivi, i trattati costitutivi dell’Ue non arrivano a vietare la possibilità di indebitarsi. Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009 “fondendo” il trattato sull’Unione Europea e il trattato che istituisce la Comunità Europea, «fissa al 3% il limite che l’indebitamento non può superare», ricorda Guarino. «Il Fiscal Compact, invece, riduce il limite a zero punti». In altre parole, il Fiscal Compact «sopprime la sovranità fiscale degli Stati firmatari, in 85 violazione del Trattato di Lisbona al quale pure si richiama». Forse, osserva Guarino, il Fiscal Compact è stato una “scorciatoia”, visto che l’unanimità tra i 27 paesi membri necessaria a modificare il Trattato di Lisbona non sarebbe mai stata raggiunta. «Fatto sta che questo trattato rimane illegale: non ha la forza costituzionale per modificare il Trattato di Lisbona». Quell’obbrobrio giuridico, primo responsabile delle spietate politiche di rigore che stanno letteralmente piegando le economie del Sud Europa, è estraneo persino al diritto fondamentale europeo, perché «l’azzeramento del deficit non è previsto dal regolamento 1175 del 2011, vigente tuttora in materia di politica di bilancio». Per Guarino, l’aggiramento delle leggi grazie a normative varate sottobanco è un po’ il “vizietto” delle autorità europee: fino al 6 dicembre 2011, giorno d’entrata in vigore dell’attuale Regolamento numero 1175, era già stato applicato un altro regolamento «viziato da incompetenza assoluta», il numero 1466 del 1997. Quell’anno, proprio mentre si concludeva la fase transitoria che avrebbe dovuto rendere più omogenee tra loro le economie dell’Eurozona in vista dell’introduzione della moneta unica, «la Commissione si arbitrò di sostituire l’articolo 104 C del trattato dell’Unione Europea con due regolamenti, uno dei quali è appunto il 1466 del ‘97». In sintesi: il parametro dell’indebitamento al 3% – uno dei famosi “parametri di Maastricht” – veniva sostituito «con il parametro dello zero per cento, cioè il pareggio di bilancio», archiviando Maastricht e il parametro precedente, cioè un “sano” debito pubblico fino al 60% del Pil, su cui si fondò la crescita del benessere reale in tutta Europa, per decenni. «I ministri della Repubblica italiana continuavano a parlare di “parametri di Maastricht”», protesta Guarino, ma «in realtà operavano ottemperando a vincoli ancora più stringenti». Il pareggio di bilancio anticipato in modo semiclandestino dal regolamento del ’97? Fu «un attentato alla Costituzione europea», ad opera di membri della stessa Commissione, tra i quali oltretutto figuravano Mario Monti, “ministro” europeo per le regole sulla concorrenza, e la stessa Emma Bonino: incaricata di occuparsi di politica dei consumatori, pesca e addirittura aiuti umanitari, proprio mentre Bruxelles varava misure che avrebbero provocato la catastrofe umanitaria della Grecia e il tracollo socio-economico degli altri Piigs, causando l’incredibile retrocessione di una potenza 86 industriale come l’Italia. La motivazione di quella mossa? Forse doveva servire da “pungolo” per condizionare gli Stati meno rigorosi, in vista della convergenza verso l’adozione dell’euro: «Si trattò di consensi formalmente volontari ma sostanzialmente coatti», cioè estorti, e senza mai la necessaria trasparenza, né una vera validazione democratica, tantomeno referendaria. È lo stesso schema che oggi si ripete per il giro di vite finale, quello più drammatico, imposto da Fiscal Compact che condanna l’Italia a tagliare di tutto, dalle pensioni alla scuola, dagli enti locali alla sanità, precipitando il paese nell’abisso della povertà e dell’insicurezza sociale. Nel 1997, ribadisce Guarino, fu un semplice regolamento burocratico ad avere la pretesa di correggere le norme di un trattato che pure era legalmente sovraordinato, con la Commissione Europea che si arrogò il diritto di inserire l’obiettivo del bilancio in pareggio o addirittura in attivo. Nel 2012, firmato il Fiscal Compact sul rigore assoluto di bilancio, grazie alle fortissime pressioni della Germania guidata da Angela Merkel, Bruxelles «ha tradito le norme vigenti del Trattato di Lisbona e quelle appena stabilite nel Regolamento 1175 del 2011». Ma attenzione, lo strapotere tedesco è miope: «Negli anni 90, nel momento in cui tutto il mondo accelerava per avvantaggiarsi della rivoluzione informatica, la Germania ha scelto di autovincolarsi, di immobilizzarsi per fare da modello a tutti gli altri, ed ecco i risultati. Così sta forse acquistando la preminenza in Europa perdendo quella nel mondo, un errore in cui è già incappata altre volte nella storia. Il punto è che oggi è tutta l’Europa a rischiare l’irrilevanza». Secondo Guarino, si impone una svolta: per salvare l’economia, ma anche “in nome della legge”. Ovvero: «Il Fiscal Compact non si applica, se vogliamo rispettare i trattati europei. Né va portata avanti la sua trasposizione nella Costituzione italiana, con la riforma dell’articolo 81 sul pareggio di bilancio». Quanto alla possibile reazione dei “mercati”, cioè il potere di ricatto dello spread, Guarino parla di «grande imbroglio» e rivela che il differenziale tra Btp italiani e Bund tedeschi si può far salire e scendere semplicemente «muovendo una decina di miliardi di euro». Speculazione pura, manipolazione politica persino a buon mercato. Così, Guarino suggerisce la prima mossa da compiere, per un esecutivo davvero responsabile: «Esigere l’applicazione dei trattati vigenti, cioè del Trattato di 87 Lisbona firmato nel 2007 e in vigore dal 2009. Quel trattato garantisce la possibilità di un indebitamento annuo pari al 3% del Pil». Questo, in base alle attuali norme – che il Fiscal Compact calpesta. Senza contare che i rivolgimenti politici in corso, a partire dall’Italia, potrebbero costringere la Germania e tutta l’Unione Europea ad archiviare per sempre l’ideologia suicida del taglio della spesa pubblica, se si vuole davvero una “ripresa” dell’economia e dell’occupazione che scongiuri, per l’Europa, il ripetersi di scenari come quelli che portarono alla Seconda Guerra Mondiale45. Renato Brunetta – Deputato della repubblica, docente universitario ed economista italiano. Si riporta qui di seguito una lettera aperta di Renato Brunetta a Mario Monti: - “Ho inviato al presidente Monti le mie ultime analisi sullo spread e sui rendimenti dei nostri titoli del debito sovrano (dossier nn. 109; 217; 224; 230; 233 pubblicati su freenewsonline.it), da cui si evince con chiarezza che, come sostenuto dalla più qualificata letteratura internazionale, che il presidente Monti certamente conosce, il 70% del differenziale dei rendimenti dei titoli di Stato dei paesi dell’eurozona sotto attacco speculativo rispetto ai corrispondenti titoli del debito pubblico tedesco dipende dal rischio di implosione della moneta unica, e solo il restante 30% dipende dai fondamentali economici dei singoli paesi. Pertanto, se guardiamo l’andamento degli spread e lo decodifichiamo alla luce delle migliori analisi scientifiche, possiamo vedere come le riduzioni dei differenziali che si sono verificate nell’ultimo anno sono dipese in gran parte dalle rispo- Articolo tratto integralmente dal sito internet “Libre – associazione di idee” (categoria: segnalazioni) e intitolato: “Fiscal Compact, Guarino: il pareggio di bilancio è illegale”, pubblicato in data 11.03.2013 su: http://www.libreidee.org/2013/03/fiscal-compact-guarino-il-pareggio-dibilancio-e-illegale/ 45 88 ste che la Banca Centrale Europea ha dato alla crisi dei debiti sovrani dei paesi ritenuti “fragili” dell’area euro e, in maniera solo residuale, dai provvedimenti varati dai singoli Stati nazionali. Ricordo al presidente Monti che la letteratura economica più accreditata sostiene che uno degli elementi determinanti per valutare la sostenibilità del debito pubblico per ciascun paese è il tasso di crescita e che, se si attuano politiche che bloccano la crescita, si finisce per ridurre la credibilità del paese, la sostenibilità di medio-lungo periodo del suo debito pubblico, e quindi il suo merito di credito. Nonché si finisce per bloccare la trasmissione della politica monetaria. Esattamente le politiche che Lei, presidente Monti, attuando la dottrina sangue, sudore e lacrime imposta da Angela Merkel, ha adottato nell’ultimo anno. Questa è la verità sul grande imbroglio dello spread, questa è la verità sulla nostra credibilità internazionale, questa è la verità sulla politica economica realizzata dal Suo governo tecnico in 13 mesi. Le analisi della Banca d’Italia, le riflessioni dei Nobel Paul Krugman e Joseph Stiglitz, gli studi di Paul de Grauwe, le analisi dei principali opinion leader europei, tra cui il vice-direttore del Financial Time, Wolfgang Munchau, le posizioni di banchieri centrali del calibro di Ben Bernanke e Mario Draghi suffragano questa tesi. Per quanto riguarda spread e ritrovata credibilità dell’Italia grazie al Suo governo, basta guardare il rendimento medio ponderato dei titoli decennali del debito pubblico italiano nei 5 mesi più “caldi” del governo Berlusconi e confrontarli con il rendimento medio degli stessi titoli in tutto il periodo del governo Monti per vedere che con il Suo governo esso è più alto dello 0,31% rispetto a Berlusconi. Infine, aspettiamo sempre di capire perché a fine anno 2011 lo Stato italiano, a Suo dire sull’orlo del baratro, non potesse pagare gli stipendi pubblici. È un’affermazione priva di senso, se solo si conosce la dimensione del bilancio pubblico del nostro paese e la dimensione della spesa per gli stipendi, e le si confrontano con il maggior onere che è derivato per lo Stato italiano dalla bufera degli spread nel 2011. È un’affermazione priva di riscontri scientifici, priva di validità contabile. Solo insopportabile strumentalizzazione mediatica a fini politici e di demonizzazione del governo precedente. Sì, è vero, presidente Monti, i cittadini non sono degli sprovveduti: hanno ben capito il grande imbroglio dello spread! E non è vero che l’Europa ci ha sal89 vato! Ha semplicemente salvato se stessa dai suoi errori, dalle sue miopie, dai suoi egoismi. Su questo dobbiamo solo dire grazie a Mario Draghi, presidente della BCE. Sono state le banche tedesche a innescare la speculazione contro di noi! E non dica, professor Monti, che alla crescita doveva pensare il governo precedente. È un’affermazione non degna della Sua serietà e della Sua autorevolezza scientifica. Pensi, piuttosto, che dopo 13 mesi di Sua politica economica, sostenuta da 47 nostre fiducie, quel tasso di crescita da +0,2% si è inabissato a -2,5% […]”46. Ida Magli - Antropologa italiana classe 1925, è autrice del libro intitolato: “La dittatura europea”, BUR – Biblioteca Univ. Rizzoli, 2010: Quali sono i lati oscuri che il progetto Europa nasconde? Quello che non è mai stato detto chiaramente da nessuno dei nostri politici: lo scopo finale della globalizzazione, il Governo unico mondiale. La riduzione all’uguaglianza di comportamento per tutti i popoli: una sola lingua, una sola religione, una sola moneta, una sola identità, una sola cultura, un solo Stato. La “guida” sottostante a quella dei governanti sembrerebbe massonica, in quanto questi sono fin dall’inizio gli ideali massonici, ma non ne esistono prove. Personalmente però io sono convinta che la globalizzazione non sia, non possa essere la meta finale, ma piuttosto lo strumento per uno scopo ulteriore di cui non so nulla. Il motivo per il quale ritengo che la globalizzazione non possa essere la meta finale, è presto detto: non è possibile mantenere miliardi di uomini immobili nella posizione raggiunta. La lingua, per esempio, si trasforma da sé senza che nessuno ne sia consapevole e lo voglia (pensiamo, per esempio, a quanto sia diverso l’italiano di oggi dall’italiano di Dante); i legami, gli affetti fra i gruppi territorialmente più vicini diventano necessariamente più forti (nell’affetto o nell’ostilità) che con i gruppi lontani, e così via. Insomma l’uguaglianza non perdura neanche per brevissimi periodi 46 Lettera aperta del prof. Renato Brunetta al prof. Mario Monti, tratta dal sito internet: http://www.wicomwebspace.com/avanti/?p=3915 ed integralmente riportata. 90 se non con la violenza di un potere dittatoriale (come è successo nel mondo sovietico) e, dopo il periodo della dittatura, sicuramente il governo mondiale non potrebbe sussistere […]. Quali danni ha prodotto l’euro all’economia nazionale? Talmente grandi che non è possibile calcolarli. Il passaggio alla moneta unica è stato chiamato “la rapina del secolo” ma in realtà soltanto cinque o sei banchieri, quelli che l’hanno progettata e che ne hanno incassato il frutto, sono in grado di fare un calcolo. È proprio su questo fatto, ossia che i popoli non avrebbero mai potuto avere un’idea esatta, matematica, di quello che stava succedendo, che i banchieri hanno contato nel compiere la rapina. Se ci atteniamo, del resto, anche soltanto a quello che abbiamo sotto gli occhi, non possiamo sbagliarci: con uno stipendio mensile di due milioni di lire un qualsiasi cittadino italiano viveva bene, con i corrispondenti mille euro non riesce a vivere. Ma è impossibile anche calcolare il danno prodotto dall’ansia di dover utilizzare una moneta sconosciuta, il timore di sbagliare perdendo quel poco che si possiede; inoltre il raddoppio generalizzato dei prezzi che è stato dovuto, non, come si è detto, alla disonestà dei commercianti ma alla inflazione volutamente inserita, per assorbirla all’insaputa dei cittadini, nel falso valore assegnato all’euro. Un’inflazione che continuiamo a scontare senza speranza di recupero, mentre la Bce ne dichiara a stento il 2%, e che ha portato sull’orlo del fallimento i Paesi in cui era più alta, Grecia, Portogallo, Spagna, Italia. Dobbiamo assolutamente uscire dall’euro se vogliamo salvarci47. Lettera/Appello dei Premi Nobel per l’Economia contro la norma costituzionale sul pareggio di bilancio48: - Cari presidente Obama, presidente Boehner, capogruppo della minoranza Pelosi, capogruppo della maggioranza Reid, capogruppo della minoranza al Senato McConnell, noi sottoscritti economisti solleciFrammento di un’intervista all’antropologa Ida Magli tratto dal sito internet: http://www.disinformazione.it/dittatura_europea.htm 48 Testo reperito dal sito internet: http://infoaltra.blogspot.it/2012/03/letteradei-premi-nobel-per-lecnomia.html 47 91 tiamo che venga respinta qualunque proposta volta ad emendare la Costituzione degli Stati Uniti inserendo un vincolo in materia di pareggio del bilancio. Vero è che il Paese è alle prese con gravi problemi sul fronte dei conti pubblici, problemi che vanno affrontati con misure che comincino a dispiegare i loro effetti una volta che l’economia sia forte abbastanza da poterle assorbire, ma inserire nella Costituzione il vincolo di pareggio del bilancio rappresenterebbe una scelta politica estremamente improvvida. Aggiungere ulteriori restrizioni, cosa che avverrebbe nel caso fosse approvato un emendamento sul pareggio del bilancio, quale un tetto rigido della spesa pubblica, non farebbe che peggiorare le cose. 1. Un emendamento sul pareggio di bilancio avrebbe effetti perversi in caso di recessione. Nei momenti di difficoltà economica diminuisce il gettito fiscale e aumentano alcune spese tra cui i sussidi di disoccupazione. Questi ammortizzatori sociali fanno aumentare il deficit, ma limitano la contrazione del reddito disponibile e del potere di acquisto. Chiudere ogni anno il bilancio in pareggio aggraverebbe le eventuali recessioni. 2. A differenza delle costituzioni di molti stati che consentono di ricorrere al credito per finanziare la spesa in conto capitale, il bilancio federale non prevede alcuna differenza tra investimenti e spesa corrente. Le aziende private e le famiglie ricorrono continuamente al credito per finanziare le loro spese. Un emendamento che introducesse il vincolo del pareggio di bilancio impedirebbe al governo federale di ricorrere al credito per finanziare il costo delle infrastrutture, dell’istruzione, della ricerca e sviluppo, della tutela dell’ambiente e di altri investimenti vitali per il futuro benessere della nazione. 3. Un emendamento che introducesse il vincolo del pareggio di bilancio incoraggerebbe il Congresso ad approvare provvedimenti privi di copertura finanziaria delegando gli stati, gli enti locali e le aziende private trovare le risorse finanziarie al posto del governo federale. Inoltre favorirebbe dubbie manovre finanziarie (quali la vendita di terreni demaniali e di altri beni pubblici contabilizzando i ricavi come introiti destinati alla riduzione del deficit) e altri espedien92 ti contabili. Le controversie derivanti dall’interpretazione del concetto di pareggio di bilancio finirebbero probabilmente dinanzi ai tribunali con il risultato di affidare alla magistratura il compito di decidere la politica economica. E altrettanto si verificherebbe in caso di controversie riguardanti il modo in cui rimettere in equilibrio un bilancio dissestato nei casi in cui il Congresso non disponesse dei voti necessari per approvare tagli dolorosi. 4. Quasi sempre le proposte di introduzione per via costituzionale del vincolo di pareggio di bilancio prevedono delle scappatoie, ma in tempo di pace sono necessarie in entrambi i rami del Congresso maggioranze molto ampie per approvare un bilancio non in ordine o per innalzare il tetto del debito. Sono disposizioni che tendono a paralizzare l’attività dell’esecutivo. 5. Un tetto di spesa, previsto da alcune delle proposte di emendamento, limiterebbe ulteriormente la capacità del Congresso di contrastare eventuali recessioni vuoi con gli ammortizzatori già previsti vuoi con apposite modifiche della politica in materia di bilancio. Anche nei periodi di espansione dell’economia, un tetto rigido di spesa potrebbe danneggiare la crescita economica perché gli incrementi degli investimenti ad elevata remunerazione - anche quelli interamente finanziati dall’aumento del gettito - sarebbero ritenuti incostituzionali se non controbilanciati da riduzioni della spesa di pari importo. Un tetto vincolante di spesa comporterebbe la necessità, in caso di spese di emergenza (per esempio in caso di disastri naturali), di tagliare altri capitoli del bilancio mettendo in pericolo il finanziamento dei programmi non di emergenza. 6. Per pareggiare il bilancio non è necessario un emendamento costituzionale. Il bilancio non solo si chiuse in pareggio, ma fece registrare un avanzo e una riduzione del debito per quattro anni consecutivi dopo l’approvazione da parte del Congresso negli anni ’90 di alcuni provvedimenti che riducevano la crescita della spesa pubblica e incrementavano le entrate. Lo si fece con l’attuale Costituzione e senza modificarla e lo si può fare ancora. Nessun altro Paese importante ostacola la propria economia con il vincolo di pareggio di bilancio. 93 Non c’è alcuna necessità di mettere al Paese una camicia di forza economica. Lasciamo che presidente e Congresso adottino le politiche monetarie, economiche e di bilancio idonee a far fronte ai bisogni e alle priorità, così come saggiamente previsto dai nostri padri costituenti. 7. Nell’attuale fase dell’economia è pericoloso tentare di riportare il bilancio in pareggio troppo rapidamente. I grossi tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione fiscale necessari per raggiungere questo scopo, danneggerebbero una ripresa già di per sé debole. Firmato: KENNETH ARROW, premio Nobel per l’economia 1972 PETER DIAMOND, premio Nobel per l’economia 2010 WILLIAM SHARPE, premio Nobel per l’economia 1990 CHARLES SCHULTZE, consigliere economico di J.F. Kennedy e Lindon Johnson, animatore della Great Society Agenda ALAN BLINDER, direttore del Centro per le ricerche economiche della Princeton University ERIC MASKIN, premio Nobel per l’economia 2007 ROBERT SOLOW, premio Nobel per l’economia 1987 LAURA TYSON, ex direttrice del National Economic Council. 94 APPENDICE A conclusione di questo pamphlet, al fine di dimostrare l’importanza del Lavoro (quello inteso come sviluppo sociale, materiale e culturale della persona – il quale non può che essere tendenzialmente a tempo indeterminato - e non quello che produce lo sfruttamento umano attraverso un persistente stato di precariato e di soggezione a condizioni vergognose pur di lavorare), è mio desiderio portare all’attenzione del lettore due mie Poesie; l’una intitolata: “La Solitudine di una generazione senza lavoro” – scritta nel 2011 -, e l’altra dal titolo: “Testamento dei precari della mia generazione”, scritta tra il 2011 ed il 2013. Personalmente ritengo che, anche se in questo periodo non va di moda pensarlo, il lavoro a tempo indeterminato sia un valore da ripristinare e tutelare e non un privilegio da eliminare. Ciononostante, per giustificare lo sfruttamento degli esseri umani, alcuni “criminali” vestiti di falsa credibilità prima affamano il popolo e poi lo costringono a tenersi in vita accettando forme di lavoro che spingono la persona a rinunciare a sognare. Il peggior crimine dell’Europa e dei suoi adepti è proprio questo: aver tolto ad un’intera generazione – e a quella successiva – il diritto di sognare. Qualsiasi tipo di forma contrattuale che non garantisca all’essere umano la stabilità del proprio rapporto lavorativo, produce effetti devastanti sulla vita stessa della persona e della sua famiglia: le situazioni di incertezza, qualunque esse siano, non fanno altro che privare l’Uomo di ogni mezzo di rifugio, non solo da un punto di vista economico ma – soprattutto - anche sotto l’aspetto psicologico e sociale. Con la scusa che il tasso di disoccupazione (principalmente quello giovanile) è ormai giunto a livelli inaccettabili per un Paese civile come l’Italia, e facendo quindi leva sullo stato di bisogno dei cittadini, una certa politica nostrana cerca di introdurre contratti di lavoro che non fanno altro che incentivare situazioni di precariato e di in- 95 certezza, rendendo gli esseri umani perennemente schiavi del ricatto lavorativo. E dire che la nostra Costituzione, all’art. 1, sancisce a chiare lettere che “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Indomiti, i Padri costituenti scrissero anche l’art. 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Spesso mi chiedo se chi ci governa, o chi ci rappresenta in Parlamento, conosce per davvero la Costituzione. Lascio al lettore la piena libertà di darsi la risposta! Le persone di buona volontà devono pertanto rimboccarsi le maniche e fare qualcosa perché l’Umanità non precipiti negli abissi. Con l’augurio che le mie due Poesie possano suscitare nel lettore una libera e serena riflessione. Auguro a tutti una buona lettura. 96 La Solitudine di una generazione senza lavoro La giovane pianta d’ulivo s’accascia sotto il peso d’un cielo di polvere e pece. Il vento avvicina le nuvole; il sole che la pianta e le foglie da decenni attendono, fugge senza promesse. Dai rami d’ulivo non cadono più foglie ingiallite, si perdono nell’aria soltanto foglie robuste che volano, volano nello spazio Infinito d’un cielo senza profumi e verso Illimitati orizzonti d’un futuro senza colore. Si muore a trent’anni senza morire. Si muore a trent’anni senza più sogni. Si muore a trent’anni vedendo il sole al Mattino. 97 Testamento dei precari della mia generazione Siamo per Voi granelli di sabbia spazzati dal mare briciole di pane scaraventate nella cenere gocce d’acqua salata putrefatta tra scogli foglie d’ulivo calpestate da Voi idioti meravigliose teste pensanti imprigionate nel silenzio della Vostra arroganza. Siamo invece per Dio lacrime di cielo seminate dal fuoco nudi baccelli germogliati ai raggi del sole fiori di mandorla schiusi dal vento cortecce di quercia resistenti alla scure della Vita anime d’aquila più forti delle Vostre facce di bronzo. 98 Breve Biografia dell’Autore Giuseppe Palma è nato ad Ostuni (BR) il 10 novembre 1978. Il 23 febbraio 2005 si laurea in Giurisprudenza (vecchio ordinamento) presso l’Università degli Studi di Lecce (Università del Salento) discutendo una tesi in Istituzioni di Diritto romano dal titolo “Aspetti patrimoniali del matrimonio a Roma” (relatrice prof.ssa Francesca Lamberti). Il 4 novembre 2008 supera presso la Corte d’Appello di Lecce l’esame di abilitazione all’esercizio della professione forense. Il 15 luglio 2006 consegue a Roma un Master post-laurea in Sviluppo delle Risorse Umane (Selezione del Personale e Formazione Formatori). Attualmente vive e lavora a Milano. Dal 20 gennaio 2009 è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Brindisi e ha stabilito a Milano un secondo studio professionale dove, da circa cinque anni, svolge con continuità la professione forense come collaboratore dello studio legale dell’avvocato Vetullio Mussolini. È stato inserito – per gli anni accademici 2013/2014 e 2014/2015 tra i Cultori della Materia in Area Pubblicistica (Diritto Costituzionale) presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi eCampus - Università telematica - di Novedrate (prov. CO). Studioso appassionato di molteplici discipline dello scibile umano, Palma ha sinora pubblicato numerosi libri ed articoli di Diritto, Storia del Diritto, Storia, Letteratura italiana e Poesia. Tra i Saggi letterari si ricordano Dante Alighieri e la cultura dell’amore […] e Sull’Infinito di Leopardi […], entrambi editi da GDS Edizioni nel luglio 2010; invece tra i saggi di natura storico-giuridica si menzionano Il Fiore e la Lama […] (giugno 2011) e La Rivoluzione francese e i giorni nostri. Dall’Ancien Règime alla nuova Aristocrazia europea. I danni causati dal giustizialismo, dalla cultura del sospetto e dall’uso improprio della giustizia: ieri come oggi (ottobre 2013). Nel 2012 ha pubblicato due saggi storici: Waterloo. Misteri, verità e leggende sull’ultima battaglia di Napoleone… E non solo (luglio) e L’Altro Duce. Benito Mussolini e Fascismo. Le verità nascoste, edito 99 da Il Cerchio Iniziative Editoriali (settembre). Nell’aprile 2013 ha pubblicato, con Editrice GDS, la monografia intitolata Progetto di riforma alla Parte Seconda della Costituzione italiana. Semipresidenzialismo e fine del bicameralismo, la quale è stata altresì pubblicata - in formato e-book - su Riviste giuridiche elettroniche di carattere scientifico (es. Astrid – pubblicazione integrale, e Diritto & Diritti - pubblicazione di un articolo sul medesimo argomento). Il libro Il Fiore e la Lama - prima edizione de La Rivoluzione francese e i giorni nostri […] - è stato presentato il 30 novembre 2011 presso l’Hotel Principe di Savoia di Milano dal giornalista Stefano Zurlo de Il Giornale. Ha scritto, per l’edizione italiana della rivista History della BBC, un articolo su Benito Mussolini e sull’era fascista intitolato Vita di un Dittatore (BBC History, speciale num. 5 - bimestrale - anno 2, 2013). Ha collaborato esternamente con lo scrittore/divulgatore storico Paolo Sidoni per la realizzazione di un articolo a firma di questo sulla morte di Benito Mussolini (BBC History, num. 17 – settembre 2012). Sta inoltre scrivendo un photo-libro sull’Italia nella Prima Guerra Mondiale, adatto per i ragazzi della scuola primaria e secondaria (uscita prevista per gli inizi del 2015). Numerose anche le sue pubblicazioni poetiche. Dal gennaio 2013 scrive articoli sia in materie giuridiche (principalmente in Diritto Costituzionale) che in materia storico-giuridica e giuridico-economica sulle Riviste elettroniche di rilevanza nazionale denominate FanPage.it, Diritto e Processo e Diritto & Diritti. Tra questi articoli (più di venti pubblicazioni sino ad oggi), oltre a quelli riportati nel presente saggio si segnalano, tra gli altri: a) un progetto di riforma della Parte Seconda della Costituzione italiana, riassuntivo della monografia precedentemente citata; b) un progetto di riforma del Senato della repubblica sommariamente elaborato sulla base degli accordi già raggiunti dai due principali leader politici del nostro Paese; c) un progetto di riforma della Legge elettorale; d) un breve ma efficace progetto di riforma del processo civile. E’ docente del corso trimestrale organizzato dalla Fondazione Humaniter (Società Umanitaria) di Milano, intitolato “La Costituzione italiana tra passato, presente e futuro”. 100 FONTI Nell’elencazione della bibliografia, l’Autore ha voluto indicare solo alcuni dei testi che ha liberamente consultato per la realizzazione del presente saggio: AA.VV. (DE VINCENTI Claudio, SALTARI Enrico, TILLI Riccardo), “Manuale di Economia Politica”, Carocci editore, Roma 2011 (nuova edizione - ristampa 2014); AA.VV. (CAMPA Giuseppe, DE BONIS Valeria), “Lezioni di Scienza delle Finanze”, Utet Università, 2013; AMOROSO Bruno, “Figli di Troika. Gli artefici della crisi economica”, Castelvecchi, Roma 2013; BAGNAI Alberto, “Il tramonto dell’euro. Come e perché la fine della moneta unica salverebbe democrazia e benessere in Europa”, Imprimatur editore, Reggio Emilia 2012; BARRA CARACCIOLO Luciano, “Euro e (o?) democrazia costituzionale. La convivenza impossibile tra Costituzione e Trattati europei”, Dike Giuridica Editrice, Roma 2013; BARNARD Paolo, “Il più grande crimine (Ecco cos’è accaduto veramente alla democrazia e alla ricchezza comune. E a vantaggio di chi)”, Edizioni Andromeda, Roma 2012; BORGHI AQUILINI Claudio, “Basta Euro. Come uscire dall’incubo. 31 domande – 31 risposte: la verità che nessuno ti dice”, Boniardi Grafiche, Milano 2014; BRUNETTA Renato, “Berlusconi deve cadere. Cronaca di un complotto”, Free Foundation, Roma 2014; FRIEDMAN Alan, “Ammazziamo il gattopardo”, Rizzoli, Milano 2014; RINALDI Antonio Maria, “Europa Kaputt. (S)venduti all’Euro”, Piscopo editore, Roma 2013. 101 In tema di dittatura europea, si consiglia inoltre l’ascolto dei video del filosofo italiano e docente universitario prof. Diego Fusaro, reperibili facilmente su you tube. 102 INDICE Pag. Lettera agli italiani – a firma dell’Autore 7 Capitolo I EUROCRAZIA: la dittatura dell’Europa e dell’Euro. Soluzioni alla crisi economica e Manifesto culturale contro il nuovo Ancien Régime europeo 15 Capitolo II Il Fiscal Compact, il MES e l’ERF. Forse non tutti sanno che… 45 Capitolo III La Rivoluzione francese e i giorni nostri: dall’Ancien Régime alla nuova Aristocrazia europea 53 Capitolo IV La dittatura fiscale in Italia quale conseguenza dei diktat europei. La Legge dei Sospetti del 1793 e il Redditometro 2013: comparazioni giuridiche. Il ripetersi nella Storia delle medesime aberrazioni giuridico-processuali. Profili di incostituzionalità del nuovo Redditometro 57 Capitolo V L’Unione Europea quale simbolo di una modernità Restauratrice. Brevi osservazioni giuridiche e costituzionali sulla mancanza di democraticità nel processo di formazione degli atti legislativi comunitari. Comparazioni con le Costituzioni nazionali 103 63 Capitolo VI I danni economico-finanziari causati dalla pressione fiscale troppo alta: la Curva di Laffer 69 Capitolo VII Frammenti di testi, articoli, interviste, convegni, lettere e appelli raccolti dall’Autore tra le personalità più competenti in materia economico-giuridica (Milton Friedman, Amartya Kumar Sen, Joseph Eugene Stiglitz, Paul Robin Krugman, Paolo Barnard, Alberto Bagnai, Antonio Maria Rinaldi, Claudio Borghi Aquilini, Bruno Amoroso, Giuseppe Guarino, Renato Brunetta, Ida Magli e lettera/appello dei Premi Nobel per l’Economia contro la norma costituzionale sul pareggio di bilancio) 71 APPENDICE 95 - La Solitudine di una generazione senza lavoro 97 - Testamento dei precari della mia generazione 98 Breve Biografia dell’Autore 99 FONTI 101 *** Finito di stampare nel mese di Giugno 2014 da Logo Srl – Borgoricco (PD) per conto di EDITRICE GDS, successivamente aggiornato e corretto nel mese di agosto 2014. Codice ISBN 978-88-6782-292-8 104 105
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