IN-DEPTH ANALYSIS 23 settembre 2014 IFI Advisory, società di intelligence ed analisi internazionale, propone le “In-depth Analysis” per entrare in profondità nelle logiche di eventi di rilevanza globale che, tuttavia, non trovano spazio nella prima pagina della cronaca internazionale: analisi che rispondono a un ricerca mirata in grado di offrire un prodotto dinamico e facilmente consultabile. “In-depth Analysis” è un servizio usufruibile sia dal settore pubblico sia da quelle società e aziende private che mirano ad informarsi maggiormente sulle tematiche internazionali e sui relativi risvolti economici. Le analisi esposte sono frutto di ricerche precise e dati verificati: le opinioni espresse dagli analisti sono tuttavia strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni di IFI S.r.l. Le pubblicazioni online di IFI S.r.l sono opere inedite e frutto di studio approfondito. Si diffida pertanto dal riutilizzo del materiale pubblicato senza l’autorizzazione di IFI S.r.l. IN-DEPTH ANALYSIS Security Issues In-Depth Analysis 23 settembre Indice 1) L’ombra dello Stato islamico nel Sud Ribelli Houthi in Yemen. Fonte: Businessweek Est asiatico. MAIN SECURITY ISSUES 2) Nigeria: Boko Haram alla conquista del Nord Est. 3) La Turchia rifiuta il gas israeliano. 4) Al Shabaab: una minaccia ancora credibile per i paesi della regione. 5) Corea del Nord: fuga di un funzionario di banca con dollari e segreti YEMEN, 21 settembre: i ribelli houthi, dopo aver preso il controllo di uffici governativi, radio e tv pubblica nella capitale Sana'a, hanno raggiunto un accordo con il governo ed i militanti sunniti. L'accordo è stato mediato dalle Nazioni Unite. MALI ,18 settembre: Cinque Caschi Blu delle Nazioni Unite muoiono nei pressi di Aguelhok, a causa dell’esplosione di una bomba. KENYA, 21 settembre: Il coprifuoco in vigore nella Contea di Lamu è prorogato fino al 22 ottobre, per permettere alle forze di polizia di portare a termine le operazioni di sicurezza nell'area. CINA, 22 settembre: Due persone restano uccise da una serie di esplosioni nella Contea di Luntai, nella Regione Autonoma dello Xinjiang RUSSIA, 23 settembre: Russia e India conducono l’esercitazione tattica comune, Indra 2014, presso Prudboy, nelle vicinanze di Volgograd. L’OMBRA DELLO STATO ISLAMICO SUL SUD EST ASIATICO Luigi De Martino La partecipazione di cittadini originari del sud est asiatico ai conflitti in Medio Oriente sotto la bandiera dello Stato Islamico rappresenta una minaccia per i paesi della regione. Il cosiddetto “terrorismo di ritorno” potrebbe vanificare gli sforzi degli apparati di sicurezza creando situazioni di instabilità, I governi hanno tuttavia dimostrato in questi anni maggiori capacità di risposta alle sfide lanciate dai gruppi terroristici. guida sciita e i loro alleati. Sinora, era opinione largamente condivisa che il SI perseguisse solo un’agenda regionale, Cittadini provenienti dall’Asia sud orientale tra le fila dello Stato Islamico Indonesiani Stime ufficiali 60 Fonti intelligence: più di Il 18 giugno 2014, alcuni giovani indonesiani, con due video ed utilizzando un mix di lingua bahasa e araba, hanno chiamato i propri compatrioti a unirsi allo Stato Islamico (SI) per combattere lo jihad in Siria ed Iraq1. La notizia, nonostante il numero ad oggi limitato di cittadini della regione tra le fila del SI, ha avuto grande risalto, mettendo in allerta le forze di sicurezza preoccupate per la possibilità di un aumento delle adesioni di giovani indonesiani al gruppo terroristico guidato da al-Baghdadi. Il SI attualmente sembra avere, tra le masse sunnite e gli ambienti salafiti, una maggiore capacità di attrazione rispetto ad al Qaeda (AQ), in primo luogo grazie alla sua abilità nell’utilizzare i social media e, elemento estremamente importante, al fatto di condurre una guerra contro regimi a 200 Malesi Stime ufficiali: più di 100 Filippini 200 Stime ufficiali: tra 100 e Tra i “foreign fighters” dello Stato limitata essenzialmente alla creazione di Islamico sono presenti anche alcuni uno stato comprendente sottratti singaporiani e almeno uni territori cambogiano a Damasco e a Baghdad. Tuttavia, i recenti sviluppi hanno mostrato che il gruppo ha ambizioni globali, che abbracciano tutto il mondo musulmano e non solo, e in questo è molto più simile ad AQ di quanto si pensava in precedenza. Di conseguenza, l’Agenzia Nazionale Indonesiana di Contro-terrorismo, così come numerosi esperti di terrorismo, considerano il SI una possibile minaccia futura per i paesi della regione qualora V.A.D. Busyra, The Jakarta Globe, “ISIS-Trained Indonesians ring alarm bells”, 20-06-2014 1 3 non fosse contrastato efficacemente oggi. Il problema principale è rappresentato dai jihadisti di ritorno, che una volta finita l’esperienza sul campo di battaglia in Siria ed Iraq, rientrano nei loro paesi d’origine con capacità, esperienze, motivazioni e una rete di conoscenze che potrebbero mettere a disposizione della causa jihadista. Questo fenomeno ripropone una dinamica già vissuta in passato nella regione. Durante gli anni novanta, circa 120-150 estremisti musulmani (malesi, indonesiani, filippini e thailandesi pattaya) avevano partecipato a diversi conflitti in Medio Oriente e in Asia meridionale. Molti di questi, una volta rientrati in patria avevano creato madrasse (scuole coraniche) e svolto attività di indottrinamento, creando una nuova generazione di jihadisti pronti in futuro ad assumere la guida di organizzazioni militanti nella regione. Occorre ricordare, in particolare, Jemaah Islamiyah, Lashkar Jihad, Fronte Moro di Liberazione Islamica, Abu Sayyaf e il Movimento dei Mujahidin Islamici di Pattani. Al riguardo va sottolineato che in 12 anni, le forze di sicurezza indonesiane hanno arrestato 907 sospetti terroristi e portato davanti alla giustizi 644 persone. Tuttavia, nei prossimi 2 anni circa 200 tra questi individui lasceranno le prigioni aumentando i rischi per la sicurezza. In Indonesia, secondo fonti intelligence, numerosi gruppi radicali locali hanno dichiarato il loro appoggio al SI a Giacarta, a Solo (Giava Centrale) e a Bima nella provincia di Nusa Tengaara Occidentale. L’11 agosto 2014, il Densus 88 (forze speciali antiterrorismo indonesiane) ha arrestato Afif Abdul Majid, leader di Jemmah Anshorut Tauhid, gruppo aggiunto nel corso del 2013 alla US’ Global Terrorist List. Majid, tornato di recente dalla Siria, aveva dichiarato il suo sostegno al SI. La sua affiliazione seguiva quella di Abu Bakar Bashir, esponente clericale indonesiano e leader spirituale di Jemaah Islamiyah, che dalla sua cella aveva invitato i suoi seguaci ad appoggiare il SI2. Abu Bakar Bashir è uno dei pochi membri della dirigenza di AQ che hanno abbandonata la rete fondata da Osama bin Laden schierandosi con alBaghdadi. Tuttavia, la minaccia non riguarda solo l’Indonesia. In Malaysia, il 18 luglio, le autorità hanno annunciato che era stato sventato un progetto terroristico pianificato da un gruppo i cui membri avevano cercato di recarsi in Siria attraverso la Turchia. Questa formazione intende promuovere un network regionale capace di creare uno califfato comprendente Malaysia, Indonesia, Singapore, Tailandia e Filippine. Proprio nelle Filippine, il 30 agosto l’Ambasciata statunitense ha consigliato ai propri connazionali di evitare viaggi nella provincia di Sulu e nel Mindanao ove è alto il rischio di attacchi da parte di gruppi legati al SI come Abu Sayyaf che, insieme ad alcuni membri del Combattenti 2 R.A.Witular, The Jakarta Post, “Indonesian terrorist convict Abu Bakar Ba’syir calls on followers to support ISIS”, 14-07-14 4 Islamici per la Libertà del Bangsamoro, hanno giurato fedeltà ad al-Baghdadi Attualmente, tuttavia, per la maggior parte di questi gruppi l’affiliazione a SI risponde soprattutto ad esigenze di visibilità e alla ricerca di nuovo slancio per le loro attività più che alla reale aspirazione di instaurare un califfato in questa parte del mondo. Esistono anche altri fattori che potrebbero limitare la capacità del SI di espandersi nel sud est asiatico. Attualmente niente fa pensare che il numero di affiliati all’organizzazione provenienti da questa regione possa aumentare, grazie anche agli sforzi dei governi locali per impedire la partenza di volontari e monitorare i rientri. Inoltre, organizzazioni musulmane come Nahdlatul Ulama (NU) e Muhamadiya hanno condannato il SI e la sua idea di instaurare un califfato con la violenza. Infine le forze di sicurezza, grazie all’esperienza maturata a partire dal 2002, sono molto più consapevoli della minaccia rispetto al passato e si stanno organizzando per contrastarla. Infatti, i paesi interessati dal fenomeno già hanno iniziato a prendere misure capaci di limitare una escalation di violenza nell’area. Il governo indonesiano appare determinato a combattere tutti i gruppi e i movimenti la cui ideologia non rispetta il principio di diversità su cui si basa lo stato. Inoltre, i leader musulmani del paese hanno pubblicamente condannato l’organizzazione guidata da al-Baghdadi. In Malesia, la polizia monitora attentamente i social media per bloccare messaggi e video propagandistici. A Singapore, i militanti di ritorno di teatri di guerra medio-orientali vengono arrestati e, nelle Filippine, le forze di sicurezza sono molto attente al fenomeno. Giacarta, manifestazione di attivisti islamici in sostegno dello Stato Islamico fonte Abu Al Bawi 5 NIGERIA: BOKO HARAM ALLA CONQUISTA DEL NORD-EST Andrea Carbonari Boko Haram, gruppo terrorista nigeriano di ispirazione islamica, da fenomeno endogeno si è trasformato negli ultimi anni in una minaccia per la sicurezza dei paesi dell’area. Approfittando delle debolezze e degli errori delle istituzioni, nel 2014 è riuscito ad occupare militarmente diverse aree del Nord Est della Nigeria. L’obbiettivo è quello di creare un nuovo stato governato secondo la sua interpretazione dell’islam. Le autorità nigeriane, e quelle delle nazioni vicine, sono intervenute per contrastare la minaccia, ma al momento senza successo. Le ragioni dei successi ottenuti da Boko Haram (nome che può essere tradotto come “L’educazione occidentale è peccaminosa”) sono varie e talvolta complesse. Fra queste, vi è l’oggettiva difficoltà per le forze di sicurezza nigeriane di controllare territori vasti e in molti punti impervi3. Il solo stato del Borno, che costituisce il principale teatro di operazioni per il gruppo, è grande circa 71.000 km2 (più di Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia e Veneto messi assieme). In secondo luogo, la complessa realtà etnica, religiosa e sociale di quei territori permette all’ideologia del gruppo di raccogliere consensi tra la popolazione. Boko Haram ha ottenuto appoggi sia a livello locale (anche da parte di politici interessati a usarlo come arma contro gli avversari) sia a livello internazionale (da altri gruppi estremisti4 e da finanziatori del jihad globale). Vi è poi la debolezza delle istituzioni, dovuta in primo luogo alla corruzione, che ha reso incerta, tardiva e poco efficace la risposta dello stato centrale e delle amministrazioni locali alle sfide che Boko Haram pone non solo sul piano militare ma anche su quelli politico, economico e sociale. Al riguardo è da sottolineare che le forze di sicurezza, limitate nella loro azione dalla mancanza di mezzi, si sono rese responsabili di gravi violazioni dei diritti umani nei confronti della popolazione. Questo ha fatto sì che essa assumesse un atteggiamento di sostanziale equidistanza tra i due fronti, 3 4 Dall’inizio dell’estate 2014, il gruppo estremista islamico Boko Haram, da anni impegnato in una guerriglia contro il governo nigeriano, ha preso il controllo di diverse città del Nord Est del paese (fra le quali Gwoza, Gamboru Ngala, Marte, Dikwa, Bama, Banki, Damboa, Buni Yadi, Michika), negli stati del Borno, di Yobe e dell’Adamawa. Tale formazione non è più una minaccia solo per la Nigeria, ma per l’intera regione, visto che i suoi militanti hanno da tempo esteso le loro attività anche oltre confine. “Boko Haram claims territory in Northeastern Nigeria”, Stratfor, 12 settembre 2014, http://www.stratfor.com/sample/analysis/bokoharam-claims-territory-northeastern-nigeria Remi Carayol, “Nigeria: Shekau, le fleau de Dieu”, Jeune Afrique, 8 settembre 2014, http://www.jeuneafrique.com/Article/JA2799p026.xm l0/ 6 facendo mancare all’esercito e alla polizia quel sostegno che è indispensabile per la vittoria. Da un punto di vista politico ed economico, le località di cui Boko Haram si è finora impadronito non hanno in realtà una grande importanza (salvo alcune eccezioni). Il loro valore è quindi soprattutto simbolico, poiché sono la prova che il gruppo sta sconfiggendo il governo e può creare una entità statale BOKO HARAM Nome ufficiale: Jama'atu Ahlis Sunna Lidda'Awati WalJihad (Fratellanza impegnata nella propaganda degli insegnamenti del Profeta e nel Jihad) Affiliati: 6.000/8.000 Collegamenti: Al Qaeda nel Maghreb Islamico, Al-Shabaab Attività principali: operazioni di tipo militare, azioni di guerriglia, attacchi terroristici, omicidi, rapimenti. autonoma o indipendente, amministrata secondo i principi della sharia, nella sua interpretazione più rigida. Il 24 agosto, il leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, ha proclamato un califfato islamico nella città di Gwoza, dando maggiore 5 Adrian Kriesch, “Boko Haram has taken over a whole region”, DW, 11 settembre 2014, http://www.dw.de/boko-haram-has-taken-over-awhole-region/a-17913936 6 Thomas Fessy, “Niger hit by Nigeria’s Boko Haram fallout”, BBC, 22 aprile 2014, http://www.bbc.com/news/world-africa-27111884 concretezza alle voci di contatti crescenti tra il gruppo nigeriano e lo Stato Islamico di al-Baghdadi. Ma solo con l’eventuale conquista di Maiduguri, capitale del Borno, il califfato di Abubakar Shekau avrebbe una dimensione politicamente rilevante Secondo fonti locali, alcuni militanti avrebbero annunciato un attacco contro la città per il 27 settembre5. La struttura interna di Boko Haram è al momento difficile da ricostruire. Gli analisti ipotizzano che esso sia diviso in vari sottogruppi (da quattro a sei), guidati da capi locali che hanno una notevole autonomia rispetto a Abubakar Shekau. Ai militanti che costituiscono il nucleo centrale di Boko Haram, andrebbero aggiunti, oltre che i volontari provenienti da formazioni estere alleate, anche mercenari originari in particolare di Niger6 e Camerun7 e coloro che sono stati arruolati a forza. Secondo alcune stime, Boko Haram potrebbe contare complessivamente su 6.000 - 8.000 membri, anche se qualcuno parla di 10.000 (il solo esercito nigeriano ha 67.000 effettivi). Se nel Nord Est del paese Boko Haram agisce ormai come un esercito convenzionale (compiendo vere e proprie operazioni militari), in altre aree si comporta come un gruppo terroristico, con attentati e attacchi contro obiettivi istituzionali e popolazione civile, per seminare il terrore8. 7 Aminu Abubakar, “Boko Haram under scrutiny over foreign fighters claim”, AFP, 11 settembre 2014, http://news.yahoo.com/boko-haram-under-scrutinyover-foreign-fighters-claim-150350774.html 8 Nigeria Security Network, “North-East Nigeria on the brink”, 2 settembre 2014, 7 Sul piano regionale, gli attacchi di Boko Haram si sono concentrati soprattutto nelle zone nord-occidentali del Camerun e in particolare nella provincia dell’Extreme Nord. Inizialmente, quest’area è stata utilizzata come rifugio o zona di raccolta per organizzare altri attacchi contro le forze nigeriane, ma successivamente Boko Haram ha cominciato a compiere attacchi contro obiettivi civili e militari del Camerun. Sono stati soprattutto alcuni rapimenti di cittadini stranieri e di personalità di alto profilo istituzionale (compiuti tra il 2013 e il 2014) che hanno spinto le autorità di Yaoundé a potenziare il dispositivo di sicurezza schierato lungo il confine e a condurre operazioni di contro-terrorismo. Ciò ha permesso di ottenere alcuni successi, ma la minaccia non è stata affatto eliminata. Dopo il rapimento da parte di Boko Haram di 276 studentesse di una scuola di Chibok (nel Borno), avvenuto il 14 aprile scorso, diversi governi occidentali (in primo luogo gli USA) si sono impegnati a sostenere le forze nigeriane nell’azione di contrasto al terrorismo. Gli aiuti hanno riguardato principalmente i settori intelligence e logistico. Tuttavia, le criticità indicate in precedenza continuano a rendere inefficace la risposta delle forze di sicurezza di Abuja. Alcuni esponenti politici e della società civile nigeriani propongono di trattare con Boko Haram per risolvere la questione o, quantomeno, per ridurre il livello di violenza. Ma la leadership del paese rifiuta al momento tale soluzione, anche perché teme di perdere credibilità di fronte all’opinione pubblica, non solo quella degli stati centro-meridionali abitati in prevalenza da cristiani, ma anche quella di orientamento moderata che vice stati prevalentemente musulmani del centro-nord. Boko Haram è intenzionato quindi a proseguire nel proprio progetto di formazione di uno stato islamico. Solo una profonda riforma delle istituzioni nigeriane potrà consentire di sconfiggere tale nemico. BBC, 2014 (la parte evidenziata in scuro è quella sotto il controllo di Boko Haram) https://nigeriasecuritynetwork.files.wordpress.com/2 014/09/ne-on-the-brink-special-report.pdf 8 LA TURCHIA RIFIUTA IL GAS ISRAELIANO Umberto Profazio A causa della difficile situazione irachena e dell’interruzione delle forniture di gas dall’Egitto dovuta all’instabilità nel Sinai, si sono aggravate le crisi energetiche di molti paesi della regione mediorientale. La scoperta dei giacimenti offshore israeliani potrebbe consentire di superare tali difficoltà, ma antiche diffidenze ed ostilità di natura politica impediscono la conclusione di accordi economici che potrebbero contribuire a rendere più stabile l’intera regione. GIACIMENTI OFFSHORE ISRAELIANI Il 10 settembre 2014, il Ministro dell’energia turco Tane Yildiz ha dichiarato alla stampa che è altamente improbabile che il governo di Ankara firmi un accordo per l’importazione di gas da Israele9. Il Ministro ha indicato nella recente operazione militare israeliana a Gaza una delle ragioni del mancato accordo. L’operazione “Protective Edge” (8 luglio – 26 agosto 2014), avviata dall’esercito israeliano a seguito del lanci di razzi dalla Striscia di Gaza, ha provocato più di 2.000 vittime tra i palestinesi, causando forti proteste da parte di Ankara. I rapporti tra Turchia ed Israele avevano raggiunto il punto più basso a seguito della rottura delle relazioni 9 I due governi erano in trattativa per la costruzione di un gasdotto sottomarino dal giacimento offshore israeliano Leviathan alla Turchia. La condotta avrebbe avuto una portata di 10 miliardi di metri cubi e sarebbe costato 2,2 miliardi di dollari. Turkey snubs energy deals with Israel over Gaza op, Ynet News, 10/09/14, Tamar Scoperta: 2009 Consistenza: 220 miliardi di metri cubi di gas Leviathan Scoperta: 2010 Consistenza: 540 miliardi di metri cubi di gas Attuali acquirenti Giordania, ANP Possibili acquirenti Turchia, Egitto diplomatiche avvenuta nel 201110. La prima visita in Israele del Presidente americano Barack Obama (marzo 2013) aveva contribuito ad un riavvicinamento tra le parti, consentendo la ripresa dei rapporti diplomatici bilaterali. La successiva crisi di Gaza ha nuovamente fatto precipitare la situazione, mettendo in rotta di collisione le politiche dei due Paesi. L’aumento delle tensioni ha avuto le sue conseguenze più dirette nel campo energetico, impedendo temporaneamente http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L4569287,00.html . 10 La ragione principale è stata la nota vicenda della Mavi Marmara, la nave di attivisti turca abbordata da un commando israeliano il 31 maggio 2010 mentre cercava di raggiungere Gaza. Gli scontri a bordo tra attivisti e militari causarono 9 morti. 9 il raggiungimento di un accordo di importanza cruciale per entrambi i paesi. questo caso per un valore di 500 milioni di dollari). Dopo la scoperta nel 2009 del giacimento di Tamar (situato a circa 90 km ad ovest di Haifa e contenente secondo alcune stime almeno 220 miliardi di metri cubi di gas), l’ulteriore scoperta del giacimento Leviathan (2010) ha migliorato ancor di più le prospettive energetiche israeliane. Situato a circa 130 km ad ovest di Haifa, il Leviathan dovrebbero contenere più del doppio del gas del Tamar (circa 540 miliardi di metri cubi)11. La scoperta dei due giacimenti12 consentirà ad Israele di passare da importatore ad esportatore netto di gas. Il governo di Gerusalemme sta quindi cercando di sfruttare le risorse energetiche tramite accordi con diversi paesi della regione. Un altro accordo era stato firmato con l’Autorità Nazionale Palestinese (1,2 miliardi di dollari per 20 anni), mentre continuano le trattative per includere anche l’Egitto nella politica energetica israeliana. Tra maggio e giugno 2014 sono stati firmati due accordi: uno preliminare per la fornitura dell’impianto di gas snaturale liquefatto (gnl) della compagnia inglese BG proprio in Egitto; e una lettera d’intenti per rifornire un altro impianto di gnl operato da una joint venture formata dalla spagnola Gas Natural e dall’ENI14. Sono infatti parecchi quelli interessati ad acquistare il gas israeliano: 7 giorni prima della dichiarazione di Yildiz (3 settembre), il governo di Netanyahu ha firmato un memorandum of understanding con la Giordania per un valore di 15 miliardi di dollari per 15 anni13. L’accordo prevede la fornitura ad Amman del gas proveniente dal giacimento Leviathan e fa seguito ad un precedente accordo del febbraio 2014 per la fornitura di gas, questa volta proveniente dal giacimento Tamar (in 11 Tuttavia per il Leviathan occorrerà attendere il 2016 per iniziare lo sfruttamento, mentre la produzione del Tamar è cominciata nel marzo 2013. 12 Per il Tamar i principali investitori sono la Noble Energy, la Isramco e la Delek Drilling; per il Leviathan sempre la Noble Energy, la Delek Drilling e la Avner Oil & Gas. 13 Marissa Newman, Israel signs $15 billion gas deal with Jordan, Times of Israel, 03/09/14, Nonostante un’economia in piena espansione, la decisione di Ankara di rinunciare al gas estratto da Israele potrebbe avere riflessi negativi per la Turchia. Ad un’analisi più attenta, tuttavia, essa risulta controproducente anche per Israele, che si vede negato l’accesso al promettente mercato turco. Ankara infatti sta facendo affidamento sulla sua posizione centrale nel contesto energetico regionale. Luogo di passaggio necessario per le condutture provenienti dal Mar Caspio e dal Medio Oriente verso l’Europa, la Turchia importa ingenti quantità di gas dai Paesi confinanti15 che gli consentono, http://www.timesofisrael.com/israel-signs-15-billiongas-deal-with-jordan/ 14 John Reed, Israel to supply up to $15 bn of natural gas to Jordan, Financial Times, 3/09/14, http://www.ft.com/intl/cms/s/0/7744200c-336d11e4-9607-00144feabdc0.html#axzz3DeL9umx6 15 Secondo i dati dell’EIA, nel 2012 erano 45 miliardi di metri cubi di gas, il 56% dei quali provenienti dalla Russia, il 18% dall’Iran ed il resto da Azerbaijian e 10 quindi, per il momento di declinare le offerte israeliane massimizzando, al contempo, i benefici della sua ostilità al governo Netanyahu presso l’opinione pubblica araba. Fonte: LNG World News Algeria. http://www.eia.gov/countries/cab.cfm?fips=tu 11 AL-SHABAAB: UNA MINACCIA ANCORA CREDIBILE PER I PAESI DELLA REGIONE Giulia Lodi Il 1° settembre Ahmed Abdi Godane, emiro del gruppo terroristico somalo al-Shabaab, è rimasto ucciso durante un raid delle forze americane. Insieme a lui sono rimasti uccisi diversi esponenti al vertice di Al Shabaab. L’operazione militare statunitense ha sicuramente inferto un duro colpo all’organizzazione, già indebolita dalle sconfitte e dai dissensi interni. Tuttavia alShabaab rimane ancora una minaccia credibile, capace di riorganizzarsi e superare le attuali difficoltà. Nel vuoto politico della Somalia, alShabaab (La Gioventù) ha ricoperto un ruolo primario nel contrastare l’autorità delle forze governative somale e delle missioni internazionali attive nel paese. Gli obiettivi delle azioni del gruppo sono sempre soprattutto le istituzioni politiche e militari di Mogadiscio, i contingenti stranieri intervenuti per riportare la pace e la stabilità nel paese, le organizzazioni non governative. Nel corso degli anni, sotto la pressione delle truppe della missione dell’Unione Africana (AMISOM) e di quelle di altri paesi, al-Shabaab ha progressivamente perso il controllo di molti centri strategici. Il rifiuto di autorizzare la distribuzione di aiuti umanitari durante la carestia che ha colpito il paese nel 2011, inoltre, gli è Appena ricevuta la nomina di emiro, nel 2008, aveva dichiarato fedeltà al Al Qaeda e al suo leader, Osama Bin Laden. 16 Al Shabaab (Harakat al Shabaab al Mujahidin) nasce come ala dell’Unione delle Corti Islamiche che controllava l’area centromeridionale della Somalia. Nel 2009 Al Shabaab era già un movimento indipendente che controllava Mogadiscio e la città portuale di Kismayo. costato il supporto della popolazione locale che inizialmente lo sosteneva. Ripercussioni molto più pesanti potrebbero venire dalla perdita del suo leader, Ahmed Abdi Godane (Mukhtar Abu al-Zubayr), ucciso in un raid statunitense il 1° settembre 2014. Nominato emiro di al-Shabaab nel 2007, Godane ha cercato di cambiare il profilo e l’organizzazione del gruppo. Sotto la sua guida, al-Shabaab ha aderito formalmente ad Al Qaeda nel 2012.16 Con questa affiliazione, che peraltro non ha mai portato a risultati concreti, Godane ha voluto dare una dimensione “internazionale” al gruppo aderendo a una strategia transnazionale che mirava, da un lato, a imporre la Sharia non solo in Somalia ma in tutta la regione e, dall’altro, a rafforzare la collaborazione con gruppi http://www.longwarjournal.org/archives/2012/ 02/shabaab_formally_joi.php 12 che agiscono su Scacchieri molto lontani (quali Boko Haram in Nigeria). Tuttavia, la brutalità delle sue azioni e l’eliminazione dei suoi oppositori hanno alimentato il dissenso alienando l’appoggio della popolazione. L’uccisione di Godane potrebbe aggravare la crisi di un’organizzazione che mostrava già segnali di debolezza, determinati dalla frammentazione interna e dalle sconfitte militari. La perdita di territori sotto il suo controllo rende anche più difficile l’opera di autofinanziamento. Tuttavia, alShabaab continua a rappresentare una minaccia per i paesi del Corno d’Africa. Il 6 settembre il gruppo ha annunciato la nomina del nuovo emiro, Ahmad Umar Abu Ubaidah, che ha prontamente ribadito la fedeltà ad al-Qaeda. Nello stesso annuncio non è mancata la promessa di ritorsioni, in primis contro gli Stati Uniti. Gli attentati che sono seguiti all’uccisione di Godane hanno suscitato allarme tra le autorità somale e quelle dei paesi limitrofi. In Somalia, il 7 settembre, è stato sostituito il Direttore della Sicurezza Nazionale, che era stato nominato solo due mesi prima. Le autorità hanno precisato che tale decisione risponde alla necessità di rendere più efficace il sistema di sicurezza a fronte dell’elevata possibilità di attacchi diffusi da parte del gruppo terroristico17. Le forze armate sono state messe in stato di allerta. Non è stato possibile, tuttavia, prevenire un attacco suicida contro i militari dell’Unione Africana, che ha provocato 12 vittime18, e l’uccisione di un ufficiale dell’esercito somalo. Il Kenya, già obiettivo di un attentato di alto profilo nel 2013 (quello contro il Westgate Mall di Nairobi, il 21 settembre, in cui vennero uccise 67 persone), ha adottato tempestivamente ulteriori misure di sicurezza19. L’Uganda, che fornisce il maggior contributo alla missione AMISOM, il 13 settembre ha dichiarato di aver scoperto una cellula di Al Shabaab e ha incrementato le misure di sicurezza, soprattutto intorno agli obiettivi strategici della capitale20. A questa notizia è seguito il warning rivolto dall’Ambasciata americana in Uganda ai propri connazionali residenti nel paese. Anche Gibuti, dove recentemente sono stati compiuti diversi attacchi attribuiti ad al-Shabaab, teme possibili ritorsioni in quanto partecipa alla missione dell’Unione Africana. Sul futuro di al-Shabaab influiranno diversi fattori, quali: la progressiva perdita di influenza a causa delle sconfitte subite; la diminuzione delle risorse a disposizione; l’insufficiente compattezza del gruppo dirigente; l’erosione di militanti attratti dal richiamo dello Stato Islamico21. Il colpo subito con l’uccisione di Godane certamente avrà delle conseguenze. Tuttavia, è da escludere almeno per il momento una netta diminuzione dell’attività del gruppo, che rimarrà 17http://www.reuters.com/article/2014/09/07/u 20http://www.theguardian.com/world/2014/sep s-somalia-security-idUSKBN0H20H02014090 18 http://mobile.nation.co.ke/news//1950946/2445522/-/format/xhtml/-/nio75f//index.html 19http://www.reuters.com/article/2014/09/13/u s-somalia-blast-idUSKBN0H80CO20140913 /13/us-embassy-uganda-warns-citizens-shelterterror 21 http://www.voanews.com/content/reu-africamilitants-may-be-inspired-by-islamic-stateofficials-told/2431373.html 13 ancora a lungo una minaccia credibile per i paesi della regione. Ne sono prova i provvedimenti che questi hanno preso per prevenire possibili ritorsioni. The Economist 14 COREA DEL NORD: FUGA DI UN FUNZIONARIO DI BANCA CON DOLLARI E SEGRETI Stefano Lupo La Corea del Nord sta affrontando una complessa fase di rinnovamento e trasformazione delle sue istituzioni politiche ed economiche. Questo processo non coinvolge le strutture governative incaricate della gestione delle finanze della famiglia di Kim Jong-un, che proteggono l’élite al potere dalla durezza delle condizioni di vita del resto della popolazione. Il 29 agosto 2014, il giornale sudcoreano Joonggang Ilbo, considerato altamente affidabile, ha diffuso la notizia della presunta fuga in Russia, con 5 milioni di dollari, di Yun Tae Hyong, nordcoreano, funzionario di una banca di Pyongyang, “Daesong Bank”. Si presume che abbia chiesto asilo alle autorità di Mosca ma che intenda poi stabilirsi in un altro paese, probabilmente la Corea del Sud.22 La comunità degli analisti si è interrogata sulle motivazioni della fuga di Yun Tae e, soprattutto, sulle rivelazioni che potrebbe fornire circa il complesso sistema di finanziamento sotterraneo della Repubblica Popolare Democratica di Corea. Occorre subito affermare che Yun Tae Hyong non è un dirigente di alto livello ma un direttore d’area (estremo oriente russo), come altri cinque nella stessa regione, e che la sua fuga da Nakhodkar, dove risiedeva, in Russia, Numero cittadini nordcoreani fuggiti nella Corea del Sud, per anno 1990: 9 1995: 41 1999: 148 2005: 1.383 2009: 2.952 provocherebbe dei problemi che in ogni caso potrebbero essere gestita con relativa facilità dal regime di Kim Jong-un, vista anche l’estrema compartimentazione dei settori governativi nordcoreani. Al più, si pensa, Yun Tae potrebbe fornire chiarimenti sull’organizzazione del Partito dei Lavoratori di Corea e dei dipartimenti finanziari e, forse, sui meccanismi di elusione dei controlli sull’export clandestino condotto da Pyongyang per sopravvivere e mantenere l’alto tenore di vita del’establishment intorno alla famiglia Kim. Al netto di queste considerazioni, la fuga di Yun Tae può risultare un valido specchio dei sommovimenti negli ingranaggi più nascosti del regime. 22 “Kim Jong-un’s banker defects in Russia, say reports”, The Guardian, 29 agosto 2014, http://www.theguardian.com/world/2014/aug/29/ki m-jong-un-banker-defects-russia 15 Sembra che le autorità nordcoreane abbiano richiesto a quelle russe l’arresto di Yun Tae: se la notizia fosse confermata, ciò denoterebbe una certa agitazione da parte dell’élite governativa, ancora alle prese con la transizione da Kim Jong Il a Kim Jong-un, almeno per quanto concerne la ridefinizione degli equilibri di potere. Il lavoro di Yun Tae alla Daesong Bank, creata nel 1978 principalmente per gestire i pagamenti delle società commerciali, focalizzandosi in pratica sulle transazioni valutarie internazionali, rientra nel quadro d’azione del Daesong Group (Daesong General Trading Corporation), da molti considerato il braccio finanziario dell’Ufficio 39 (creato nel 1974 e inserito nel 2010 dal Dipartimento del tesoro americano nella blacklist del finanziamento al terrorismo).23 Il collegamento tra Yun Tae e l’Ufficio 39 è l’aspetto che rende rilevante la fuga del funzionario. La storia dell’Ufficio 39, che oramai si occupa quasi esclusivamente di assicurare l’alto livello di benessere della famiglia Kim, segue di stretto passo quella della Corea del Nord stessa, con un passato, soprattutto negli anni ‘90 (dopo il crollo dell’URSS), coincidente in gran parte con la gestione dei proventi della produzione e dell’esportazione di narcotici (anfetamine e metamfetamine) e, nel 23 Dipartimento del tesoro degli Stati Uniti d’America: 18 Novembre 2010, http://www.treasury.gov/presscenter/press-releases/Pages/tg962.aspx 24 Nel 2005 sono stati congelati dalle autorità internazionali 25 milioni di dollari a Macao, presso il Banco Delta Asia. 25 Andrei Lankov, “The Shadowy World of North Korea’s palace economy”, Aljazeera, 3 settembre periodo contemporaneo, con un approccio focalizzato soprattutto sulla speculazione bancaria e sui depositi offshore24. La gestione e l’acquisto di valuta forte da integrare nelle ingenti riserve monetarie amministrate, circa 6 miliardi di dollari, insieme al controllo della piramide di conglomerati commerciali riconducibili direttamente ai vertici del paese, rende prioritario il ruolo dell’Ufficio 39, così come la sua stabilità politica25. Occorre aggiungere che l’attività dell’Ufficio 39 si è molto diversificata negli ultimi anni, allargando il portafoglio di gestione anche alla vendita di materiale energetico e minerario così come al commercio di prodotti ittici e tabacchi lavorati e alla parafarmaceutica. Questa evoluzione è stata rilevata anche dall’Asia/Pacific Group on Money Laundering, che ha inserito la Corea del Nord tra i paesi osservatori26. Se la gestione illegale di alcuni settori è diminuita, di certo non è sparita del tutto e, anzi, mescolandosi con attività lecite, rende ancor più difficile l’individuazione degli asset critici, pur escludendo che l’Ufficio 39 si occupi di estendere il suo operato anche al finanziamento dei settori missilistico e nucleare. Rimane comunque il fatto che l’Ufficio 39 e tutte le sue diramazioni occupano una posizione di primaria grandezza per quanto concerne le strutture vitali più nascoste del regime, in pratica la catena di sostentamento. 2014, http://www.aljazeera.com/indepth/opinion/2014/09/ shadowy-world-north-korea-palac201493132727658119.html 26 North Korea joins OECD anti-money laundering group”, Korea Joongang Daily, 19 luglio 2014, http://koreajoongangdaily.joins.com/news/article/Arti cle.aspx?aid=2992228 16 Alcuni centri studi che si occupano di ricerca sulla Corea del Nord hanno sollevato il dubbio sul un possibile collegamento tra la fuga di Yun Tae e l’arresto (e conseguente uccisione), nel dicembre 2013 di Jang Song Taek, zio di Kim Jong-un ed elemento di spicco dell’Ufficio 39: pare addirittura che molti ufficiali e dirigenti dell’Ufficio siano coinvolti in un meccanismo di ampio rinnovamento e trasformazione delle strutture di potere e di controllo. Queste rimangono solo supposizioni, anche se l’imbarazzo mostrato dal regime nordcoreano nel gestire la fuga di Yun Tae denota una certa inesperienza nella gestione di crisi interne. In tale quadro, alcuni ipotizzano nuovi sconvolgimenti politico-militari che potrebbero anche mettere in pericolo la stabilità del regime di Pyongyang, qualora i vertici del potere statale divenissero la posta in palio tra il vecchio apparato e i nuovi leader del partito. The Wall Street Journal 17
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