Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLV n. 55 (46.893) Città del Vaticano domenica 8 marzo 2015 . Il Papa ricorda don Giussani e la sua teologia dell’incontro con Cristo Nuove strategie dell’Organizzazione mondiale della sanità Come il fiore del mandorlo Salute femminile priorità internazionale E invita Comunione e liberazione a essere protagonista di una Chiesa in uscita Come il mandorlo che fiorisce per primo e annuncia la primavera: ricorre a questa immagine Papa Francesco per ricordare che Gesù «ci precede sempre» — ci primerea, dice ripetendo un termine a lui caro — «e quando noi arriviamo, lui ci stava già aspettando». In questo modo il Pontefice ha riproposto lo spirito dell’incontro dell’uomo con Cristo, richiamando l’idea centrale del pensiero di don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e liberazione, i cui appartenenti si sono ritrovati numerosissimi sabato mattina, 7 marzo, in piazza San Pietro, per ricordarlo a dieci anni dalla morte e a sessanta dalla nascita del movimento. «Tutto, nella nostra vita, oggi come al tempo di Gesù, incomincia con un incontro» ha ribadito. «E — ha aggiunto — non si può capire questa dinamica dell’incontro che suscita lo stupore e l’adesione senza la misericordia». Solo infatti «chi è stato accarezzato dalla tenerezza della misericordia conosce veramente il Signore. Il luogo privilegiato dell’incontro è la carezza della misericordia di Gesù Cristo verso il mio peccato». Riferendosi alle origini del movimento, il Papa ha parlato di un carisma «che non ha perso la sua freschezza e vitalità». Ma ha ricordato che «tutti i carismi nella Chiesa devono essere “decentrati”» perché «al Vincent Van Gogh, «Ramo di mandorlo in fiore» (1890) centro c’è solo il Signore». Inoltre ha invitato a non “pietrificare” l’eredità lasciata dal fondatore facendone «un museo di ricordi» e a respingere la tentazione dell’autoreferenzialità che alimenta una «spiritualità di etichetta». Solo rimanendo «centrati in Cristo e nel Vangelo», ha concluso, «voi potete essere braccia, mani, piedi, mente e cuore di una Chiesa in uscita», che va «a cercare i lontani nelle periferie, a servire Gesù in ogni persona emarginata, abbandonata, senza fede, delusa dalla Chiesa, prigioniera del proprio egoismo». PAGINA 8 NEW DELHI, 7. Concentrarsi sulle donne — oltre che su neonati, bambini e adolescenti — che vivono in condizioni di fragilità è il punto chiave per raggiungere gli obiettivi della nuova Global Strategy for Women’s, Children’s and Adolescent’s Health, messa a punto dall’O rganizzazione mondiale della sanità (Oms). Lo scopo è mettere fine a tutte le morti evitabili di donne, bambini e adolescenti entro il 2030 e migliorare la salute e il benessere globali. L’impegno è stato illustrato a New Delhi nelle stesse ore nelle quali l’Oms ricordava, in vista dell’8 marzo, come ragazze e adolescenti dei Paesi poveri siano le principali vittime di questa situazione da sanare. In particolare, proprio nei Paesi cosiddetti in via di sviluppo si concentrano il 95 per cento dei parti di ragazze minori, con la mortalità materna che rappresenta la seconda causa di morte fra le ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni. I contenuti della nuova strategia dell’Oms saranno delineati in una prima bozza che sarà condivisa con tutti gli attori interessati alla sua 68ª assemblea mondiale, per essere poi lanciata alla nuova sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che incomincerà il prossimo settembre a New York. Questo percorso, oltre alla necessità di concentrarsi sui gruppi più Una donna alla periferia di Islamabad (Ap) Negli Stati Uniti non si allenta la tensione razziale L’Unione europea non cede ad allarmismi per il flusso di migranti e profughi A cinquant’anni dalla marcia di Selma Quella in Mediterraneo è un’emergenza umanitaria RIGA, 7. L’emergenza provocata dal sempre più massiccio flusso di profughi e migranti nel Mediterraneo è soprattutto umanitaria e su questo piano i responsabili delle dipolomazie europee si dicono decisi ad affrontarla, pur senza nascondere le questioni di sicurezza che essa comporta. In questo senso, secondo quanto dichiarato dall’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea, Federica Mogherini, la questione è stata affrontata nel consiglio informale che i ministri degli Esteri dei 28 Paesi dell’Ue stessa hanno tenuto ieri a Riga, la capitale della Lettonia. «Sappiamo benissimo che il flusso di migranti e di richiedenti asilo non si fermerà finché non risolveremo i problemi all’origine di questo flusso, le crisi, i conflitti, la povertà, ma anche finché non risolveremo la situazione in Libia», ha detto Mogherini, che ha rifiutato di commentare le previsioni sui prossimi arrivi diffuse da Frontex, la missione dell’Unione europea subentrata a quella italiana Mare nostrum, con compiti diversi. Frontex, secondo i cui responsabili ci sarebbero un milione di persone pronte a tentare la traversata in Mediterraneo, ha infatti compiti soprattutto di controllo delle frontiere e opera in un raggio di trenta miglia dalle coste europee. Mare nostrum aveva come priorità i soccorsi in mare e operava in tutto il Mediterraneo meridionale. «È fondamentale adesso — ha osservato ancora Mogherini — avere in Libia delle autorità che possano essere un punto di riferimento per fare molte cose, innanzitutto controllare le frontiere, gestire i flussi migratori nel pieno rispetto dei diritti umani ma in modo razionale e ordinato». A questo scopo, ha aggiunto, «è cruciale aver un esito positivo del dialogo che si sta tenendo a Rabat», la capitale del Marocco dove con la Ottimista il negoziatore dell’Onu Bernardino León Passi avanti nel dialogo sulla crisi libica Il ponte della marcia per i diritti civili (Afp) y(7HA3J1*QSSKKM( +,!z!%!"!{! deboli della popolazione mondiale, punta a realizzare meccanismi di resistenza e flessibilità nei sistemi sanitari, a migliorare la qualità e l’equità della copertura sanitaria, e a lavorare per favorire il coinvolgimento delle donne nei progetti legati all’educazione, alla nutrizione, all’accesso all’acqua e ai sistemi igienici. WASHINGTON, 7. Il presidente Barack Obama partecipa a Selma, in Alabama, alla marcia che si svolgerà oggi per ricordare quella del 7 marzo 1965, quando cinquecento attivisti, guidati da Martin Luther King, furono attaccati dalla polizia locale e dello Stato con manganelli e lacrimogeni mentre attraversavano l’Edmund Pettus Bridge. Al fianco di Obama, che verrà accompagnato dalla moglie e dalle figlie, sfilerà oggi a Selma anche l’ex presidente statunitense, George W. Bush. Sarà presente alla marcia anche una folta delegazione del Congresso, con esponenti democratici e repubblicani. Ma in alcune zone degli Stati Uniti non si attenua la tensione razziale. Nel Wisconsin un poliziotto intervenuto per sedare una lite ha avuto una colluttazione con un ragazzo di colore di 19 anni disarmato e gli ha sparato, uccidendolo. Lo ha reso noto questa mattina la polizia locale, spiegando che il giovane era sospettato per una recente aggressione. Il sindaco di Madison, Paul Soglin, ha parlato di «indescrivibile tragedia» e ha promesso un’inchiesta approfondita come previsto dalle nuove leggi. Alla notizia della morte del ragazzo, decine di persone sono scese in piazza per manifestare contro le forze dell’ordine e ora l’episodio, che giunge in una fase delicata per il susseguirsi di episodi in cui la polizia è stata accusata di uso eccessivo e discriminatorio della forza, rischia di riaccendere le tensioni proprio nel giorno che ricorda la marcia di Selma. La storia delle suore del Cottolengo «Alla religiosa sta bene il rosario ma non il giornale» SILVIA GUSMANO A PAGINA 5 RABAT, 7. L’Europa da Riga, dove si svolge il vertice informale dei ministri degli Esteri, guarda a Rabat, in Marocco, e spera che «entro pochi giorni» dal negoziato tra i Parlamenti rivali di Tobruk e Tripoli nasca quel Governo di unità nazionale che permetterebbe di cominciare a stabilizzare la Libia. Inizia oggi la terza giornata di discussioni e sembra esserci già un accordo di massima per un cessate il fuoco, lo scioglimento delle milizie e la creazione di un corpo che garantisca la sicurezza in tutto il Paese. E mentre l’inviato dell’Onu, Bernardino León, si dice ottimista anche se riconosce che il processo è complicato ed estremamente difficile, nel consiglio Esteri in Lettonia, l’Ue — che già sta finanziando i tentativi di dialogo, pagando tutte le spese — si prepara ad «assistere in ogni possibile modo» il Governo di unità nazionale che nascerà. L’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, Federica Mogherini, sottolinea che l’espressione «in ogni possibile modo» include «anche una missione civile o militare» per il con- trollo delle frontiere e per la protezione delle infrastrutture strategiche del Paese. Federica Mogherini, che ha voluto simbolicamente mettere il tema della Libia al primo punto della riunione di Riga scandisce che «i libici possono contare su di noi». Nel frattempo, però, miliziani armati hanno attaccato ieri un’area petrolifera ad Al Ghani, uccidendo un- dici guardie, di cui alcune con la decapitazione. Le forze dell’ordine hanno poi ripreso il controllo della situazione. Lo si apprende da fonti della sicurezza. Secondo l’edizione in inglese di «Awasat» gli aggressori hanno portato via nove stranieri: un austriaco, un ceco, un ghanese, quattro filippini e due bengalesi. mediazione dell’inviato dell’O nu, Bernardino León, si stanno tenendo negoziati tra il Governo libico internazionalmente riconosciuto e che ha sede a Tobruk e quello islamista di Tripoli. NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza l’Eminentissimo Cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi. In data 6 marzo, il Santo Padre ha accettato la rinuncia all’ufficio di Ausiliare di Roma (Italia), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Paolino Schiavon, Vescovo titolare di Trevi, in conformità ai canoni 411 e 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi di Fort-deFrance, in Martinica, nelle Antille Francesi, presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Michel Méranville, in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo di Fort-de-France, in Martinica, nelle Antille Francesi, il Reverendo Padre David Macaire, O.P., Priore del Convento dei Domenicani di «La Sainte-Baume», Tolone (Francia). L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 domenica 8 marzo 2015 Accordo tra Mosca e Kiev per raddoppiare gli osservatori dell’O sce Sostanzialmente rispettata la tregua in Ucraina RIGA, 7. Il cessate il fuoco nelle regioni orientali ucraine «nel complesso è rispettato». Lo ha detto ieri il capo dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), Lamberto Zannier. «Ci sono delle violazioni — ha aggiunto — ma si tratta di colpi di mortaio o co- L’eurogruppo attende risposte concrete da Atene BRUXELLES, 7. La Grecia va avanti ma il suo cammino non incrocia ancora quello dell’Europa che non si accontenta dei dettagli delle prime riforme annunciate dal Governo, tra cui il reclutamento di studenti, turisti e governanti come ispettori del fisco “sotto copertura”. Mentre Atene vuole un negoziato politico, sollecitato dallo stesso premier greco, Alexis Tsipras in diverse telefonate con il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, Bruxelles intende restare sul tavolo tecnico, come da accordi presi nell’ultimo eurogruppo. La nuova riunione dei ministri dell’eurozona di lunedì non potrà quindi fare progressi sullo sblocco degli aiuti perché i tecnici della ex troika, che devono valutare le riforme, sono ancora fermi per volere del Governo ellenico. Senza curarsi troppo delle indicazioni dell’Ue, Atene prosegue sulla sua strada e in vista di lunedì il ministro Yanis Varoufakis ha inviato al presidente dell’eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, una lettera con i dettagli delle prime sette riforme su cui il Governo vuole essere giudicato. E che ritiene sufficienti per sbloccare almeno una parte della prossima tranche di aiuti che ammonta in totale a sette miliardi di euro, in modo da recuperare qualche miliardo che la metta al sicuro dalle scadenze di marzo. Con il rischio di non riuscire a onorare le scadenze, il Governo si tiene pronto a tutto e ha chiesto ai fondi pensionistici e altre istituzioni pubbliche di mettere a disposizioni i propri depositi. Nessun rischio invece per i depositi bancari: la liquidità è assicurata, ha detto il governatore della Banca centrale ellenica. munque di armi di piccolo calibro». Zannier ha sottolineato, cioè, che non c’è stato impiego di artiglieria pesante, aggiundo che anzi di quest’ultima è stato confermato lo spostamento dai fronti di battaglia di queste settimane, come previsto dall’intesa sul cessate il fuoco. Zannier ha anche commentato positivamente l’accordo raggiunto tra Kiev e Mosca per raddoppiare il numero degli osservatori internazionali, sottolineando però che il problema al momento non è il loro numero ma la possibilità di svolgere il loro compito: «Se avessero maggiore accesso, potrei ottenere di più da loro. Questa è la mia sfida», ha detto. In precedenza anche i ministri degli Esteri russo e tedesco, Serghiei Lavrov e Frank-Walter Steinmeier, in un colloquio telefonico del quale ha dato notizia una nota di Mosca, si erano detti d’accordo sulla necessità di aumentare fino a mille il numero degli osservatori dell’Osce in Ucraina. Sempre in materia di controlli, Zannier ha anche auspicato di poter disporre di piccoli droni da aggiun- gere ai tre grandi aerei senza pilota già usati dall’Osce per monitorare il cessate il fuoco. La missione scadrà il 21 marzo, ma il capo dell’Osce ritiene probabile che sarà prorogata di un anno. Nel frattempo, l’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, Federica Mogherini, ha ribadito che le sanzioni europee contro la Russia continuano a essere uno strumento flessibile: da un lato, non saranno ridotte finché non ci sarà un’evoluzione davvero positiva della situazione, dall’altro, «possiamo sempre aumentare la pressione in futuro se necessario», ha detto Mogherini, al termine del consiglio informale tenuto dai ministri degli Esteri a Riga. Quello lettone Edgars Rinkēvičs, che ha ospitato l’incontro, ha ricordato da parte sua che perché questo avvenga occorre riscontrare «un grave deterioramento della situazione» nell’Ucraina orientale. La riunione a Riga, ha aggiunto, si è incentrata soprattutto su come l’Unione europea può aiutare l’at- Per rilanciare il dialogo tra Governo e opposizione Diritti delle donne cruciali per lo sviluppo Missione sudamericana in Venezuela ROMA, 7. Il rispetto e l’affermazione dei diritti delle donne resta un punto cruciale per lo sviluppo e proprio le donne costituiscono una risorsa preziosa della lotta alla fame e alla miseria e per la costruzione di un mondo più rispettoso della persona umana. Intorno a queste convinzioni si stanno tenendo in queste ore in moltissimi Paesi iniziative per celebrare la ricorrenza dell’8 marzo, Giornata internazionale delle donne. L’edizione 2015 è dedicata al rapporto speciale che esiste, fin dagli albori della civiltà umana, tra le donne, la natura e la terra, come ha ricordato, aprendo questa mattina al Quirinale le celebrazioni in Italia, il presidente Sergio Mattarella. Le donne uniscono tutela dell’ambiente e sviluppo e sono «il volto prevalente della solidarietà e della coesione sociale», ha detto Mattarella. Le donne, infatti, «sono più capaci di produrre senza distruggere, sanno costruire e innovare, tutelando e salvaguardando». A conferma di una convinzione che va oltre il contesto italiano, il presidente ha concluso citando un detto dei nativi americani Ojibwej: «La donna è la radice sulla quale le Nazioni sono costruite». POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano ornet@ossrom.va www.osservatoreromano.va CARACAS, 7. L’Unione delle Nazioni sudamericane (Unasur) ha confermato che una delegazione di ministri degli Esteri dell’organismo regionale, con il suo segretario generale, Ernesto Samper, incontrerà oggi a Caracas il presidente venezuelano, Nicolás Maduro. Scopo della riunione, «è esaminare la situazione nel Paese», secondo una nota ufficiale dell’Unasur ripresa dalle agenzie di stampa locali, che annuncia anche una serie di contatti e colloqui con diversi dirigenti politici e sociali, pur senza specificare quali. Oltre a Samper, prendono parte alla missione, su invito di Maduro, i ministri degli Esteri del Brasile, Mauro Vieira, della Colombia, Maria Angelo Holguín, e dell’Ecuador, Ricardo Patiño. La nota dell’Unasur non fornisce altri particolari. Prima di imbarcarsi per Caracas, Holguín — parlando con i giornalisti all’aeroporto — aveva comunicato che la delegazione intende promuovere il dialogo tra l’Esecutivo e l’opposizione, in un momento di rinnovata e forte tensione fra le parti. «Andiamo affinché il Governo e l’opposizione possano procedere per fermare questa escalation, ciò che cerchiamo è la stabilità in Venezuela. Quello che l’Unasur ha sempre vo- luto è che i venezuelani risolvano la situazione tra di loro», ha detto l’esponente del Governo di Bogotá. Maduro ha pubblicamente apprezzato gli sforzi del blocco regionale. Da alcuni mesi, il Venezuela è alle prese con gravi tensioni politico-istituzionali e pesanti difficoltà economiche, aggravate, oltre che dalla caduta dei prezzi del petrolio, anche dall’alta inflazione (quasi al 70 per cento) e dalla crescente carenza di merci e di generi di prima necessità nei mercati. Ma a pesare sulla fragile economia venezuelana è l’andamento del prezzo del petrolio. Se nel 2013 un barile di greggio aveva raggiunto una media di quasi 100 dollari (circa 90 euro), attualmente ha invece un valore di 48,82 dollari. Sempre due anni fa l’economia è cresciuta del 5,6 per cento, mentre l’anno scorso è scesa del 2,4 per cento. Si allarga in Brasile lo scandalo Petrobras BRASILIA, 7. Si allarga in Brasile lo scandalo Petrobras. La Corte Suprema del Brasile dà il via libera alle indagini su oltre cinquanta politici, inclusi i presidenti di Camera e Senato, rispettivamente Eduardo Cunha e Renan Calheiros. Nella lista degli indagati anche l’ex capo dello staff della presidente Dilma Rousseff, Gleisi Hoffman; il suo ex ministro dell’Energia Edison Lobão; e Antonio Palocci, ex ministro Incendi e inondazioni in Argentina LONDRA, 7. È in arrivo un nuovo giro di vite sui benefit dei membri del Parlamento britannico, sia della Camera dei Comuni sia di quella dei Lords. Chi sarà eletto nella prossima legislatura non potrà chiedere all’amministrazione di Westminster il rimborso di cene o pranzi di lavoro, né dell’abbonamento alla televisione, né del costo del taxi in caso di sedute d’aula e di commissione che si protraggano oltre le 23. Il taglio, deciso dall’autorità indipendente per gli standard parlamentari, entrerà inderogabilmente in vigore dall’inizio della prossima legislatura. I parlamentari britannici negli ultimi anni hanno già subito considerevoli riduzioni ai loro stipendi, ma soprattutto ai benefit dei quali godevano. GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Ritiro delle truppe ucraine dal Donbass (Afp) Le celebrazioni per la giornata internazionale dell’8 marzo Tagli ai benefit dei parlamentari britannici L’OSSERVATORE ROMANO tuazione dell’accordo di Minsk. I partecipati hanno preso atto con soddisfazione dei risultati della riunione trilaterale di Bruxelles dei ministri dell’Energia di Kiev e Mosca sulle forniture di gas e hanno auspicato di «continuare a lavorare in questo modo sia sulle questioni energetiche che su quelle di commercio». Nel frattempo, sarebbe dovuto scattare entro la fine del mese, ma per il momento rimarrà invece congelato il programma statunitense di addestramento dei riservisti della guardia nazionale ucraina. Lo ha annunciato ieri con una nota ufficiale il Comando di Usareur, le forze americane in Europa, secondo cui l’iniziativa è «attualmente sospesa» in quanto l’Amministrazione di Washington intende prima attendere la piena attuazione del recente accordo di Minsk, che prevede tra l’altro un cessate il fuoco tra governativi e ribelli filorussi. Il piano per ora sospeso era stato annunciato già nell’agosto 2014. Fiori di mimosa davanti al Quirinale (Ansa) GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Servizio vaticano: vaticano@ossrom.va Servizio internazionale: internazionale@ossrom.va Servizio culturale: cultura@ossrom.va Servizio religioso: religione@ossrom.va caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 photo@ossrom.va www.photo.va BUENOS AIRES, 7. Incendi e inondazioni hanno colpito in questi giorni l’Argentina in diversi punti del Paese. Pesante il bilancio: almeno dodici morti e migliaia di persone fatte sgomberare. La regione più colpita dalle piogge torrenziali è quella di Córdoba, al centro del Paese, ma conseguenze pesanti si sono registrate anche in quelle di Santa Fé, Santiago del Estero e Catamarca. Il governatore di Córdoba, José Manuel de la Sota, ha detto che sia nella sua regione sia in altre aree vicine quella di questi giorni è «la peggiore catastrofe climatica degli ultimi cinquant’anni». A renderla Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 segreteria@ossrom.va Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale tale sono stati gli straripamenti dei fiumi, che hanno provocato almeno dieci morti proprio a Córdoba e due a Santiago del Estero. Se le inondazioni hanno devastato il centro del Paese, è stato invece il fuoco a sconvolgerne la parte più meridionale, la Patagonia, dove gli incendi hanno divorato intere superfici di terra. La regione più colpita dalle fiamme è quella di Chubut. Qui, fra l’altro, ci sono forti sospetti sull’origine dolosa degli incendi. La magistratura locale ha aperto un’inchiesta su quelli in un’area ai piedi della cordigliera delle Ande. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, info@ossrom.va diffusione@ossrom.va Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 delle Finanze sotto il presidente Luiz Inácio Lula da Silva. Lo scandalo che ha colpito la compagnia petrolifera brasiliana prende le mosse dalle rivelazioni di alcuni ex manager, che hanno ammesso di aver collaborato con politici per ricevere tangenti da contractor del settore privato. La diffusione dei nomi degli indagati giunge in un momento delicato per il Brasile, con la presidente Rousseff alle prese con una difficile congiuntura economica. L’inflazione è ai massimi da dieci anni e il real è notevolmente sceso nei confronti del dollaro. A giudizio di diversi analisti, le indagini sembrano destinate ad alimentare polemiche, oltre che con l’opposizione, tra la formazione di Rousseff e il suo alleato Partito del movimento democratico brasiliano, al quale appartengono i presidenti di Camera e Senato. Intanto, il Supremo tribunale federale ha estinto la pena dell’ex presidente del Partito dei lavoratori, José Genoino, condannato per corruzione nel processo sul mensalão, lo scandalo scoppiato nel 2005 durante l’Amministrazione di Lula. La decisione è stata presa sulla base del decreto di indulto natalizio concesso lo scorso dicembre da Rousseff. In carcere dal 2012, Genoino stava già scontando ai domiciliari i previsti quattro anni e otto mesi di detenzione. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 segreteriadirezionesystem@ilsole24ore.com Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO domenica 8 marzo 2015 pagina 3 Una donna all’esterno della sua abitazione distrutta dal fuoco in una baraccopoli di Manila (Epa) L’esercito iracheno avanza nella provincia di Al Anbar Un’altra città strappata all’Is BAGHDAD, 7. Le forze governative irachene, appoggiate da milizie tribali, hanno strappato la città di Al Baghdadi, nella provincia di Al Anbar, al cosiddetto Stato islamico (Is) obbligando i suoi combattenti a ritirarsi e assumendo il controllo di tre ponti sull’Eufrate strategicamente cruciali, oltre che di sette villaggi Scuole pakistane intitolate agli studenti uccisi a Peshawar ISLAMABAD, 7. Centosette scuole del Pakistan cambieranno nome e assumeranno quello di una delle altrettante vittime del massacro di studenti provocato nel dicembre scorso a Peshawar da un commando di militanti del gruppo terroristico Tehrek-e-Taliban Pakistan (Ttp). Lo riferisce oggi il quotidiano «The Express Tribune» di Islamabad. La decisione è stata assunta dal Governo della provincia nord-occidentale di Khyber Pakhtunkhwa e intende così onorare le giovani vittime della Army Public School, la scuola di figli di militari assaltata dai terroristi il 16 dicembre dello scorso anno. In generale, riferisce il giornale, la decisione è stata accolta positivamente dai genitori degli studenti deceduti, anche se alcuni si sono chiesti perché questa iniziativa ha riguardato solo centosette dei centotrentadue giovani che hanno perso la vita nella tremenda operazione terroristica. Si deve ricordare che l’assalto alla scuola di Peshawar — il peggiore massacro nella storia pakistana, con centoquarantotto morti, di cui centotrentadue bambini, e oltre centoventi feriti — ha costituito un punto di svolta nella lotta al terrorismo in Pakistan. Subito dopo, infatti, sono state intensificate le operazioni militari contro le postazioni dei militanti e revocata la moratoria sulle condanne a morte riguardanti gli atti di terrorismo. L’attacco sferrato dai talebani del Ttp, organizzazione che raccoglie diversi gruppi di miliziani islamisti attivi nelle aree tribali del nord-ovest, lungo il confine tra Afghanistan e Pakistan, venne condannato dai talebani afghani, che lo definirono un «atto contro l’Islam». Nella rivendicazione, un portavoce del Tehrek-e-Taliban Pakistan parlò di «una rappresaglia» per le continue operazioni militari contro i talebani nella zona tribale del Nord Waziristan, non lontano da Peshawar. sulla strada tra Al Baghdadi e Haditha. Con questi sviluppi sembra essere stata respinta anche la minaccia che nelle scorse settimane l’Is aveva portato alla base aerea di Ein Al Asad, dove gli Stati Uniti hanno di recente irrobustito la propria presenza militare. Le posizioni dei jihadisti nella zona erano state bombardate per giorni dagli aerei della coalizione internazionale guidata appunto dagli Stati Uniti. È invece la sola aviazione irachena ad appoggiare le operazioni dell’esercito nell’area di Tikrit, nella provincia di Salahuddin, dove l’Is è segnalata in ritirata. Anche in questo caso a fianco delle forze governative operano milizie tribali tanto sunnite quanto sciite. Proprio queste ultime hanno rivendicato ieri la riconquista dell’intera area di Al Dour, venticinque chilometri a sud di Tikrit. In questo modo è stato preso il controllo dell’autostrada che collega la stessa Al Dour con Kirkuk, tagliando così una delle vie di rifornimento dell’Is. La notizia è stata confermata dal governatore Per la crescita dei prezzi e le conseguenze del tifone Haiyan Aumentano i poveri nelle Filippine MANILA, 7. Aumento dei prezzi di generi essenziali, ma anche le conseguenze della catastrofe provocata dal tifone Haiyan (8 novembre 2013) sarebbero le ragioni dell’incremento della povertà registrato ufficialmente nella prima metà dello scorso anno nelle Filippine. I dati diffusi ieri dal segretario alla Pianificazione socioeconomica, Arsenio Balisacan, segnalano che la popolazione considerata povera secondo gli standard nazionali è salita al 25,8 per cento, con un incremento dell’1,2 per cento sui dodici mesi precedenti. Balisacan ha indicato le cause della situazione nel costante aumento di prezzi dei generi alimentari (a partire dal riso, che risente della politica che limita fortemente le importazioni di prodotto a prezzi più bassi per favorire l’agricoltura locale) e nel drenaggio delle già scarse risorse nazionali dovuto agli interventi dell’emergenza per la prima ricostruzione nelle aree centrali dell’arcipelago asiatico — a propensione agricola, ittica e turistica — devastate dal tifone Haiyan. Tutte situazioni che, secondo il Governo, hanno cancellato i benefici di una crescita tra le più consistenti in Asia, seconda solo a quella cinese, attestatasi lo scorso anno al 6,1 per cento. Nei prossimi quindici anni si triplicherà il numero delle persone colpite da inondazioni Previsto un intervento del premier indiano in Parlamento Sull’Asia l’incubo dei disastri climatici Modi in visita nello Sri Lanka BANGKOK, 7. Nei prossimi quindici anni, il numero delle persone colpite in tutto il mondo dalle inondazioni e dall’innalzamento del livello del mare, frutto dei cambiamenti climatici, potrebbe quasi triplicare. L’incubo di una simile prospettiva pesa soprattutto sull’Asia, secondo i dati diffusi dal World Resources Institute (Wri), un think-tank ambientale che si occupa di trovare un modo pratico per proteggere la terra. Ai dati del Wri si aggiungono quelli della Croce rossa. In una nota, l’0rganizzazione umanitaria afferma, infatti, che la metà dei disastri naturali dello scorso anno sono stati provocati da inondazioni. Proprio dall’Asia — dove le calamità naturali nel decennio 2004-2014 hanno causato oltre settecentomila morti ed enormi perdite economiche — alcuni analisti sostengono ora che è meglio non combattere contro la forza della natura, ma lavorare a soluzioni di adattamento. Ed è così che a Bangkok si sta organizzando, per la fine di agosto, la prima conferenza internazionale sull’architettura definita non a caso “anfibia”. In pratica, si tratta di progettare costruzioni che si rifacciano ai metodi tradizionali — strutture rialzate o su chiatte o zattere — usati da popolazioni da sempre abituate ad affrontare le inondazioni. Attacco terroristico nella capitale del Mali BAMAKO, 7. È di cinque morti, tra cui un francese e un belga, e otto feriti il bilancio della strage in un ristorante di Bamako, capitale del Mali. Il francese è stato ucciso nel corso di una sparatoria nel ristorante che ospita anche un locale notturno, mentre il belga in una strada vicina, quando gli aggressori in fuga hanno lanciato una bomba a mano contro la sua auto. Tra le vittime dell’attentato figurano anche un agente di polizia e una guardia privata maliani, mentre non è chiara la nazionalità della quinta vittima, che secondo alcune fonti sarebbe a sua volta un europeo. La polizia ha arrestato due persone per quello che appare come un attacco terroristico di matrice islamista. Lo confermerebbe secondo gli investigatori anche il fatto che gli assassini hanno scelto un locale, La Terrasse, che si trova nel provinciale, Raid Ibrahim, mentre il portavoce del ministero dell’Interno iracheno, Saad Maan, ha annunciato che l’offensiva sta proseguendo oggi nella limitrofa area di Al Alam. Nel frattempo, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha condannato ieri duramente la distruzione da parte dell’Is del sito archeologico di Nimrud, l’antica capitale assira, che si trova a circa quaranta chilometri da Mosul, seconda città irachena e principale roccaforte dell’Is. «La distruzione intenzionale del patrimonio culturale comune è un crimine di guerra e un attacco contro l’umanità», ha detto Ban Kimoon. Sui fronti siriani, intanto, potrebbe essere avviata a una conclusione positiva la vicenda degli oltre duecento cristiani assiri sequestrati all’inizio della scorsa settimana dall’Is nella provincia orientale di Hasaka. Della liberazione di tutti gli ostaggi hanno parlato ieri fonti dell’opposizione siriana, ma non ci sono ancora conferme. quartiere dell’Hippodrome molto frequentato dagli occidentali. Si tratta del primo attentato da molti anni a Bamako, nel sud, mentre nel nord di Mali proseguono le violenze dei separatisti tuareg e delle milizie qaediste. Il presidente francese, François Hollande, ha condannato «nel modo più duro il vile attentato». Dal canto suo, il primo ministro, Manuel Valls, ha affermato di essere «inorridito davanti allo spregevole attacco terrorista compiuto questa notte a Bamako». Valls ha poi espresso sostegno al presidente maliano, Ibrahim Boubacar Keïta, sottolineando che la Francia non cederà mai al terrorismo. Analoga condanna dell’attentato a Bamako ha espresso il capo della diplomazia belga, Didier Reynders, che ha parlato di «un’azione vile e orribile». Del resto, in Asia circa due miliardi di persone vivono in città e Paesi in rapida crescita collocati in zone costiere considerate fortemente vul- Aiuti dalla Banca mondiale al Mozambico MAPUTO, 7. Consistente iniezione di liquidità al bilancio del Mozambico da parte della Banca mondiale. L’istituto di Washington ha annunciato che garantirà il bilancio pubblico del Paese africano nel 2015 con un finanziamento pari a 200 milioni di dollari. La buona notizia è arrivata a conclusione di una missione del direttore esecutivo della Banca mondiale, Louis Larose, che ha spiegato che l’istituto garantirà anche 300 milioni di dollari per progetti specifici nel campo dell’agricoltura, salute, educazione, trasporti e gestione delle risorse idriche. Anche l’Unione europea finanzierà la ricostruzione del Mozambico devastato dalle recenti alluvioni con risorse fino a 10 milioni di euro. nerabili, lungo i delta dei fiumi o in aree più povere ed emarginate. Proprio quest’ultime sono quelle più esposte alle inondazioni. COLOMBO, 7. C’è grande attesa nello Sri Lanka per la visita, la prossima settimana, del primo ministro indiano, Narendra Modi. Il capo dell’Esecutivo di New Delhi sarà il quarto premier indiano — dopo Jawaharlal Nehru, Indira Gandhi e Morarji Desai — a intervenire al Parlamento di Colombo. Oltre alla capitale, la visita prevede tappe a Jaffna, nel nord, e nella città di Anuradhapura. Gli analisti ritengono la visita di Modi come un preciso segnale di cambiamento nella politica estera di Colombo rispetto alla precedente amministrazione. I legami tra i due Paesi avevano segnato il passo durante il Governo dell’ex presidente Rajapaksa, durante il quale erano stati raggiunti accordi con la Cina per la costruzione di porti, autostrade e altre infrastrutture. E l’annuncio del viaggio arriva dopo la decisione del Governo di sospendere i lavori di costruzione di un controverso progetto cinese di 1,5 miliardi di dollari per un nuovo porto vicino a Jaffna. Durante la visita, il premier indiano dovrebbe discutere di cooperazione di difesa e di sicurezza e spingere per ulteriori accordi energetici, tra i quali l’approvazione di una grande centrale termica da costruire a Trincomalee, città portuale sulla costa orientale. L’ultima visita nello Sri Lanka da parte di un pri- mo ministro indiano fu nel 1987, quando Rajiv Gandhi si recò a Colombo per firmare l’accordo di pace indo-srilankese con l’allora presidente, J.R. Jayewardene. Ferma in Nepal l’amnistia sui diritti umani KATHMANDU, 7. Piena soddisfazione è stata espressa ieri dall’Onu dopo che la Corte suprema del Nepal ha negato validità a una clausola che avrebbe dato alla Commissione per la pace e la riconciliazione il potere di chiedere l’amnistia per una serie di gravi violazioni dei diritti umani commesse durante il conflitto interno tra il 1996 e il 2006. Si calcola che almeno quattordicimila persone siano morte durante il confronto armato che oppose guerriglieri maoisti e truppe governative, un conflitto caratterizzato da efferate violenze e, appunto, da palesi violazioni dei diritti umani. Migliaia di persone in fuga dai combattimenti in Nigeria tra forze africane e Boko Haram Emergenza profughi in Camerun YAOUNDÉ, 7. Il Camerun, impegnato con altri Paesi africani nei combattimenti contro Boko Haram in Nigeria, sta fronteggiando anche un’emergenza umanitaria per l’arrivo di migliaia di nuovi profughi da oltre confine in seguito all’intensificarsi di tali operazioni militari. Secondo quanto riferito all’agenzia Misna da fonti locali impegnate nell’assistenza umanitaria, all’inizio di questa settimana sono arrivate oltre diecimila persone, per metà bambini, nella sola località camerunense di Fotokol, alla frontiera con lo Stato nordorientale del Borno, principale roccaforte di Boko Haram e teatro in questi giorni dei combattimenti più intensi. Si tratta di profughi dall’area di Dikwa, la cittadina nigeriana frontaliera sottratta a febbraio a Boko Haram da un’offensiva del contingente ciadia- no, il più numeroso della forza africana alla quale forniscono truppe, oltre alla Nigeria, anche Benin, Niger e lo stesso Camerun. Nell’area di Fotokol già tra settembre e ottobre erano giunti almeno quarantamila rifugiati nigeriani, quindicimila dei quali in seguito erano rientrati in patria o erano stati trasferiti in un campo profughi allestito duecentocinquanta chilometri più a sud della frontiera. I nuovi arrivi accrescono la drammaticità di una situazione che vede sia estreme difficoltà di fornire loro aiuti alimentari sia il pericolo di insorgere di epidemie. In Nigeria, nel frattempo, è stata rilasciata Phyllis Sortor, la settantunenne insegnante statunitense sequestrata lo scorso 23 febbraio da un gruppo di uomini armati che avevano fatto irruzione sul suo luo- go di lavoro, la Hope Academy di Emimoro, nello Stato centrale di Kogi, una struttura della Free Methodist Church. La notizia del rilascio, data ieri dal sito di quest’ultima, è stata confermata dalla polizia locale. Non sono stati riferiti ulteriori particolari. All’indomani del sequestro gli autori avevano chiesto un riscatto di trecentomila dollari, ma si ignora se sia stato pagato o meno. Sempre in Nigeria, intanto, ha suscitato scalpore l’attacco sferrato da uomini armati al pullman della squadra di calcio dei Kano Pillars, campione nazionale, che stava portando i giocatori a disputare una partita a Owerri. Gli aggressori hanno aperto il fuoco ferendo cinque giocatori, tre in modo grave, prima di fuggire portando via denaro e oggetti di valore. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 domenica 8 marzo 2015 È uno dei libri più preziosi conservati nella Biblioteca Civica Gambalunghiana di Rimini Contiene le tre cantiche mutile in più punti trascritte fra gli ultimi anni del Trecento e i primi del Quattrocento Il declino dell’Europa Pubblicato in facsimile il Dante Gradenighiano Una vecchia acida che sgrida i bimbi dei vicini Quando ridono le carte di ANTONIO PAOLUCCI l Dante Gradenighiano (Sc-Ms.1162) è uno dei libri più preziosi conservati nella Biblioteca Civica Gambalunghiana di Rimini e la sua duplicazione facsimilare prodotta dalla Casa Editrice Imago (Rimini, 2015, pagine 252, 599 esemplari), è una grande opportunità per gli studiosi. Le tre cantiche della Divina commedia, mutile in più punti, sono state scritte e miniate fra gli ultimi anni del XIV e i primi anni del XV secolo. I Una delle miniature del manoscritto Giacomo Gradenigo, gentiluomo veneziano che fu in stretti rapporti con la famiglia dei Carraresi e tenne la podesteria di Padova in quegli anni (fra il 1392 e il 1400), era innamorato di Dante. Diplomatico, letterato e fine poeta cortigiano, copiò la Divina commedia, la corredò di un commento che ripropone in forma accresciuta e più organica quello di Jacopo della Lana e arricchì il libro di miniature. Chi sia l’autore (o gli autori) delle illustrazioni è questione ancora disputata nell’ambito degli specialisti (Giordana Mariani Canova e Milvia Bollati). È indubbia tuttavia la presenza di una cultura figurativa improntata al naturalismo padano di matrice bolognese. Le Divine commedie illustrate con miniature che si conservano nelle biblioteche pubbliche d’Europa e d’America, si contano a molte decine. Si capisce perché. Nessun libro — soltanto la Bibbia in misura superiore — ha sollecitato più della Divina commedia, la traduzione figurativa. Il percorso dei tre regni con le situazioni, i personaggi, gli scenari che si moltiplicano l’uno dopo l’altro in sequenza incessante, la formidabile capacità descrittiva ed evocativa della lingua poetica di Dante chiedono anzi esigono di essere messi in figura. Da ciò la successione dei capolavori delle arti figurative a illustrare la Commedia: da Giovanni di Paolo a Federico Zuccari, a Gustave Dorè a Salvatore Dalì. Ma quale era l’atteggiamento di Dante nei confronti delle arti figurative e della miniatura in particolare? Lui intellettuale, uomo dei libri che conosceva e frequentava le grandi biblioteche universitarie e monastiche d’Europa: Bologna, Padova, Parigi, Coira, San Gallo. Noi lo sappiamo grazie al canto XI del Purgatorio; è un canto di vasta desolazione, austero, malinconico, colore di piombo e di cenere. È il girone dei superbi, quelli che in vita hanno avuto un’alta opinione di se stessi; che sono stati supponenti, sprezzanti nei confronti del prossimo. Per contrappasso ora scontano la loro colpa portando un peso sulle spalle. Loro che sempre in vita erano stati a testa alta, autorevoli autoritari e superbi, ora devono chinare il capo curvi sotto il peso. Camminano in lenta processione salmodiando il Pater noster. È una delle parafrasi in volgare del Padre nostro fra le più belle di quante sono state scritte: il Padre nostro, parole di obbedien- za e di sottomissione a Dio e insieme paroLuca Signorelli, «Dante e Virgilio entrano nel Purgatorio» (1499–1502) le di fraternità e di misericordia verso il prossimo: «Padre nostro che nei cieli stai / Non circunscritto ma per più amore / Ch’ai primi effetti di la sù tu hai / Laudato sia ‘l tuo nome e ‘l tuo valore / da ogni creatura retta. La risposta del superbo Oderisi che versitari che parlano di patristica comparacom’è degno / di render grazie al tuo dolce sconta in Purgatorio la sua pena è: «Frate ta, di procedura penale, di diritto canonipiù ridon le carte / che pennelleggia Fran- co? Eppure le carte “ridono” e quel verso ci vapore». Fra i superbi Dante scorge una persona co Bolognese / l’onore è tutto or suo, e restituisce l’immagine del fiammeggiante un tempo conosciuta. È Oderisi da Gub- mio in parte». Anche questa è una notazio- splendore della miniatura gotica, il dilagare bio, un grande miniatore umbro della gene- ne storica di straordinaria attualità. In effet- dell’oro, del rosso cinabro, dell’azzurro di razione precedente. Dante, uomo di libri, ti negli anni in cui Dante scrive si stava af- lapislazzuli, il rampicare delle foglie e dei non poteva non conoscerlo. E ora lo ferma fermando, nell’altra grande capitale univer- fiori, le droleries, le scene buffe e mostruose come facciamo noi quando, casualmente, sitaria d’Europa, a Bologna, un’interpreta- che popolano le pagine miniate. Roberto per la strada ci imbattiamo in una persona zione molto elegante, molto raffinata e al Longhi diceva che la moderna critica d’arte amica che non vedevamo da molti anni. Lo tempo stesso intensamente naturalistica, del nasce da questo «ridono le carte» di Dante riconosce, lo trattiene e gli chiede in tono gotico francese grazie a pittori e a miniatu- Alighieri. Ciò che colpisce nella Commedia della colloquiale, quasi affettuoso: «Non se’ tu risti che si chiamavano Vitale da Bologna, O derisi / l’onor d’Agobbio e l’onor di Dalmasio, il cosiddetto Illustratore, e quel Biblioteca di Rimini è la componente natuquell’arte / ch’alluminar chiamata è in Franco Bolognese che ancora non è stato ralistica molto forte. Prendiamo la miniatura forse più bella del libro, quella che deidentificato in opere certe. Parisi?». Come tutti sanno, l’incontro di Dante scrive l’incontro di Dante con le tre fiere Notate i concetti che questi due versi esprimono: uno di merito e uno storico. con Oderisi si conclude con la famosa com- simboliche: la pantera, la lupa, il leone. Nel mezzo della foresta scura Dante le incontra Quello di merito, prima di tute così le descrive: il leone che gli viene into. Dante il poeta, il letterato, contro «con la test’alta e con rabbiosa fal’uomo di libri, riconosce che me», la lupa «che di tutta brame sembiava Diplomatico, letterato e poeta la miniatura non è un mestiere carca ne la sua magrezza» e la pantera infiartigiano, ma è un arte, un’arte il gentiluomo veneziano Giacomo Gradenigo ne «una lonza leggiera e presta molto che che dà onore a chi la pratica a copiò la Commedia di pel macolato era coverta». Sono dodici livello di eccellenza. L’altro parole che ci restituiscono l’elastico passo concetto è storico, è l’esatta la corredò di un commento danzante della belva e il fulvo splendore definizione del carattere e dele arricchì il libro di miniature giallo oro del suo mantello picchiettato di la geografia della miniatura nero. europea in quegli anni. Viene in mente l’apologo di Borges che Siamo circa nel 1310 quando Dante scrive questo canto del Purgatorio. parazione Cimabue-Giotto, una compara- parla di un leopardo che, prigioniero in un Dante riconosce il primato francese nell’ar- zione sulla quale si regge ancora oggi l’in- serraglio, piangeva la sua prigionia. Lui, te della miniatura, ai suoi giorni. Non per terpretazione critica della pittura delle ori- abituato agli spazi immensi della savana, al nulla, con straordinaria finezza filologica, gini: «Credette Cimabue ne la pittura / te- vento caldo dell’Africa, all’odore delle antiusa il verbo francese enluminer per indicare ner lo campo, e ora ha Giotto il grido, / sì lopi e delle gazzelle, è costretto ora a vivere in pochi metri quadrati, circondato da sbarla pittura su carta, non l’italiano “miniare”. che la fama di colui è scura». Ma il cuore poetico di questo incontro di re di ferro, girando in tondo, incessantePerché questo? Perché il cuore, il laboratorio e la vetrina della grande miniatura euro- Dante con Oderisi sta in quel verso straor- mente. «Perché ho meritato questo castigo, pea di fine 1200 inizio 1300 era Parigi, dove dinario, una metafora per indicare l’arte quale peccato ho commesso?», si chiedeva editori e miniatori servivano i professori e della miniatura che è quasi un ossimoro: il leopardo. Una notte il dio dei leopardi gli studenti della più grande Università del- «Frate più ridon le carte / che pennelleggia gli apparve in sogno e gli disse: «non inula Cristianità, la Sorbona. Questo Dante lo Franco Bolognese». Ma come fanno a ride- tilmente tu soffri prigionia perché sei stato sapeva bene e lo sapeva per esperienza di- re miniature che illustrano severi testi uni- destinato a dare un verso al poema». Un libro intervista dedicato all’italianista Ezio Raimondi scomparso un anno fa Il Manzoni di Thomas Mann di SILVIA GUIDI «Molte delle conversazioni che Raimondi ha intrattenuto con noi sono avvenute camminando. Il riserbo gentile con il quale proponeva “Mi accompagna...” implicava subito un procedere affiancati al suo passo» scrivono Alberto Bertoni e Giorgio Zanetti nella postfazione al libro Camminare nel tempo (Bologna, il Mulino, 2015, pagine 205, euro 15) dedicato al grande filologo, saggista e critico letterario scomparso il 18 marzo di un anno fa. Una volta paragonò se stesso all’anziano lama amico di Kim nel romanzo di Kipling Un compagno di strada più esperto che cammina insieme ai giovani Una volta Ezio Raimondi paragonò se stesso all’anziano lama amico di Kim, il protagonista del romanzo di Kipling: un compagno di strada più esperto che ha esplorato prima certi territori e che fa da guida, compiendo con gli amici più giovani un tratto di cammino insieme, con la sola autorità della propria esperienza e nel rispetto assoluto dei modi di vedere e delle prospettive individuali. Per questo il dono più prezioso lasciato ai suoi sono i ricordi più personali, mai appunti di gossip letterario, ma sempre testimonianze capaci di restituire il sapore e l’atmosfera di un’epoca. E di aprire finestre su mondi scomparsi. «Mi trovavo a un convegno che si teneva al Teatro Comunale di Bologna, dedicato a Oberto conte di San Bonifacio, il primo melodramma verdiano — racconta Raimondi ai suoi ex allievi in una delle conversazioni raccolte sotto il titolo «Figure della modernità: Serra, Manzoni, Céline» — e l’unico argomento che sentivo di poter toccare erano certi rapporti tra Manzoni e Verdi. Ora, uno dei presenti, un ragguardevole direttore d’orchestra ungherese, Zoltan Peskó, mi raccontò di aver saputo da Luigi Dallapiccola — il grande musicista che era stato maestro di pianoforte della figlia di Thomas Mann — che uno dei pochi libri che il vecchio Mann continuava a rileggere erano proprio I promessi sposi». Di questo esisteva anche un riscontro testuale, continua Raimondi con il consueto understatement «di cui avrei dovuto accorgermi subito, alla prima lettura; riscopersi invece solo più tardi (ma il mondo della letteratura non è fatto di letture e riletture?) che nel Doctor Faustus, il romanzo in cui si riverbera l’apocalissi della Germania nazista, a un certo punto si evoca proprio Manzoni: nella serie di autori che costituiscono la biblioteca del giovane Adrian Leverkühn, questo musicista d’avanguardia radicalmente antiumanista e antiborghese, insieme con Shelley e Keats, Hölderlin e Novalis, Goethe e Schopenhauer, figura anche l’autore dei Promessi sposi». Che il mondo manzoniano incrociasse sia pure per un istante l’eroe mefistofeli- co e ribelle del romanzo di Mann, segnato oltretutto da una «dannata inclinazione» alla parodia — continua il filologo — è un’altra riprova di un testo molto più radicale e intenso di quanto solitamente non si sia avvertito nella tradizione italiana, che ha sempre letto l’autore milanese in termini riduttivi, tranne poche luminose eccezioni, come Carlo Emilio Gadda. La prosa del Manzoni è un «testo straordinariamente astuto — spiega Raimondi, sapendo di stupire l’interlocutore — prismatico, pluriprospettico, di cui si doveva captare il respiro mobilissimo, fra rallentamenti e scatti fulminei, così come lievita entro le parole sospingendole quasi l’una nell’altra. Più procedevo su questa strada e più sentivo la funzione moderna del discorso manzoniano, alla quale anche Gadda forniva elementi di straordinaria novità e di straordinaria intensità. E a questo punto maturava, sempre più forte, la concezione che proprio dentro il linguaggio si dovesse operare il riconoscimento di quella che a me appare l’indiscutibile genialità manzoniana». Vale anche per Manzoni, ribadisce l’italianista bolognese, ciò che aveva detto Friedrich Schlegel: la scena di un buon romanzo è il linguaggio in cui viene scritto, è nel dramma delle parole che si gioca e si misura l'invenzione. Una parola intensa da esplorare nelle sue sfaccettature e implicazioni multiple, come la superficie di un’acqua profonda, avrebbe detto Wittgenstein, che invita l’interprete a mettersi in gara con la profondità che è nella superficie del testo. «Visto dall’altra parte dell’Atlantico, dove la grande recessione è stata in gran parte superata, il Vecchio continente assomiglia sempre più a un’anziana signora che è scivolata e fatica a rialzarsi». È questa la metafora usata da Arthur Brooks, presidente del Washington American Enterprise Institute — intervistato da Elena Molinari su «Avvenire» del 7 marzo — per descrivere l’Europa degli anni Dieci del Duemila. L’immagine non è affatto rassicurante: secondo Brooks, infatti, non si tratta di una nonnina indifesa che tende la mano, «quanto di una vecchietta acida che agita il bastone e urla ai bambini dei vicini di non calpestarle le aiuole». Un’analogia non del tutto dissimile da quella sollevata anche da Papa Francesco nel suo discorso al Parlamento europeo lo scorso novembre. In quell’occasione il Papa ha paragonato l’Europa a una donna anziana non più vitale e non più fertile, sempre più stanca e disorientata. La sorella di Virginia Woolf Così vicine così diverse Anche attraverso lo scandaglio della personalità della sorella Vanessa è possibile fare luce sulla tormentata personalità della scrittrice inglese Virginia Woolf: sicura di sé l’una, angustiata dal dubbio l’altra. Da questo divario trae forza il libro Vanessa and Her sister di Prya Parmar (New York, Ballantine Books, 2014, pagine 348, dollari 26). Raramente, sottolinea «The New York Times», si incontra una donna capace di suscitare tanta ammirazione, come nel caso di Vanessa, apprezzata pittrice e uno dei membri di maggior spicco del celebre Gruppo di Bloomsbury. A tesserne gli elogi è la stessa Virginia, che in qualche modo ne invidia la capacità di «fissare saldi gli ormeggi» nel mare della vita. Non a caso uno dei romanzi più noti La pittrice Vanessa Stephen Bell della scrittrice s’intitola Le onde: i personaggi parlano, attraverso soliloqui assai tormentati, dei concetti dell’io e della comunità, nel segno di un disagio esistenziale che stenta a trovare conforto. Virginia usava tenere un diario, concepito come una sorta di salda ancora in mare aperto; i carteggi di Vanessa invece, che avevano per principali destinatari le maggiori figure letterarie del tempo, trattano solo di temi letterari e sociali. (gabriele nicolò) L’OSSERVATORE ROMANO domenica 8 marzo 2015 pagina 5 I dati dell’Ufficio personale Più donne in Vaticano Il numero delle donne che lavorano in Vaticano è cresciuto costantemente negli ultimi anni. Se nel 2004 quasi il 13 per cento del personale al servizio del Papa nella Città del Vaticano era composto da donne, nel 2014 questa percentuale è salita a più del 19. La crescita maggiore, secondo i dati forniti dall’Ufficio del personale della Santa Sede, è avvenuta al Governatorato, dove sono quasi raddoppiate negli ultimi dieci anni, passando da 195 a 371. Del tutto simile l’andamento presso il personale che fa riferimento all’Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica: nel 2014 lavoravano tra gli impiegati della Curia e degli enti collegati, come ad esempio L’Osservatore Romano, 391 donne, oltre il 18 per cento del personale. Quattro anni fa, nel 2011, erano invece impiegate 288 donne, che rappresentavano il 17 per cento del totale. La crescita delle assunzioni di personale femminile è stata più consistente di quella del personale maschile. Le suore Luigine a Viù con le bambine loro affidate La storia delle suore del Cottolengo «Alla religiosa sta bene il rosario ma non il giornale» di SILVIA GUSMANO e Le sorelle dei poveri – Storia delle suore del Cottolengo: un modello femminile di carità (Milano, Rizzoli, 2014, pagine 319, euro 18), Giuliana Galli restituisce alle donne della Piccola Casa di Torino il ruolo di indiscusse, seppur silenziose, protagoniste di una straordinaria opera di fede e servizio. L’avventura raccontata, infatti, è quella di un variegato esercito femminile — oltre tredicimila suore in quasi due secoli — che ha diffuso in Italia e nel mondo l’insegnamento di Giuseppe Benedetto Cottolengo e ha lasciato ai pochi uomini che le hanno guidate il privilegio di essere ricordati e omaggiati dalla storia. A rendere la lettura avvincente è il carattere paradigmatico dell’esperienza di queste suore, che nella loro paziente subordinazione, ben rappresentano la parabola storica della donna tra Otto e Novecento, dentro e fuori la Chiesa. E, al contempo, l’intraprendenza e la genialità di quante, generazione dopo generazione, hanno allargato la sfera di autonomia delle cottolenghine. La prima sorpresa sta nello scoprire fino a che punto la co-fondatrice della Piccola Casa della Divina Provvidenza, Marianna Pullini vedova Nasi, ebbe un ruolo decisivo al fianco di Cottolengo. «Le due grandi personalità — scrive suor Giuliana — condividevano le responsabilità nei confronti delle figlie (…). Modelli spirituali, modelli pratici, entrambi insegnarono un cammino che fu raccolto con entusiasmo». Purtroppo però la figura di questa prima “madre”, quotidianamente legittimata dal santo di Bra non fu da lui istituzionalizzata. Alla morte dei due N speciali di sorvegliante e guardarobiera «non potendo neppure esse — recitano le Regole — spedire o ricevere lettere senza che queste sieno state prima viste dal superiore». A pagare le conseguenze più pesanti di quest’applicazione rigida del principio di autorità, le prime suore missionarie, costrette a seguire in Kenya, in condizioni di vita e di lavoro estreme, regole stabilite sulla carta a mille miglia di distanza. Emblematico e rivelatore l’atteggiamento contrariato del loro superiore alla notizia di alcune modifiche apportate per necessità all’abito sacro e la pretesa di limitare i cambiamenti a una stoffa più leggera e a scarpe più alte per attraversare la giungla. Dunque a fronte di una pratica religiosa sempre più intraprendente e sempre più femminile — l’O ttocento è «il secolo in cui Dio cambia genere», secondo la definizione di Jules Michelet — gli uomini si arroccano sulla difesa delle gerarchie. Nella Piccola Casa, come quasi ovunque, i grandi cambiamenti in atto si accompagnano «a un governo sempre e comunque di sesso maschile». Gli L’avventura di un esercito femminile che ha diffuso in Italia e nel mondo l’insegnamento di Cottolengo E che ha lasciato ai pochi uomini il privilegio di essere ricordati fondatori, i “padri” che si successero accentrarono il potere decisionale nelle proprie mani, sino a raggiungere il paradosso: «Via via che le suore diventavano sempre più il cuore pulsante di tutta l’opera (…), perdevano progressivamente voce in capitolo nelle decisioni importanti, nell’autonomia di azione». Le suore aumentano, diversificano le proprie missioni e si spingono sempre più lontano dalla Piccola Casa per aiutare malati, bambini, disabili, «giovani pericolanti», madri in difficoltà. Si assumono, talvolta giovanissime, sole in luoghi sconosciuti, enormi responsabilità e mosse solo da amore e dedizione rivelano «una verità sull’umanità che generalmente è tenuta nascosta agli occhi del mondo: la verità del sacrificio della vita in cambio di altra vita». Per i loro padri tuttavia sono sempre figlie sprovvedute da controllare e redarguire, mentre alla madre vengono lasciate le uniche mansioni uomini hanno paura. Paura di essere scavalcati e di perdere il controllo e anche le guide più illuminate vivono la modernizzazione con grande ambiguità. Così padre Roetti se da una parte incentiva la preparazione professionale delle suore, dall’altra afferma: la religiosa che «per necessità deve parlare, oppure trattare con un sacerdote, deve sempre tremare». Il suo successore padre Ferrero, ricordato con gratitudine per aver portato acqua corrente e luce alla Piccola Casa, mette in guardia invece le sue figlie dalla lettura dei quotidiani: «Alla religiosa — ricorda — sta bene in mano il Rosario (…), ma non il giornale». A fare le spese di questa ambiguità, madre Marianna Scalvino, superiora di particolare spessore che, precorrendo i tempi, assume il ruolo di guida e formatrice delle sue sorelle. «La sua figura decisamente carismatica — scrive Galli — cominciava a provocare tra i membri più anziani e tradizionalisti del clero cottolenghino un disagio profondo» e così da un giorno all’altro, nel 1894, viene mandata in provincia di Trevi- so, dove rimane quasi in isolamento sino alla morte, nel 1911. Sono gli anni in cui madre Francesca Cabrini percorre in lungo e in largo gli Stati Uniti e le cottolenghine, che sempre più numerose continuano a dedicare la propria vita al prossimo, conquistano una certa autonomia solo lontano dalla casa madre. Maria Gesuina Castigliano, «eccellente organizzatrice, abile nell’economia gestionale», in un anno di lavoro con altre venti suore, trasforma gli Spedali Riuniti di Livorno in una struttura altamente efficiente, in grado di affrontare le peggiori emergenze: il colera, la grande guerra, la spagnola. E la guida sino al 1954, ottenendo numerosi e importanti riconoscimenti dalle autorità civili. Sulla stessa scia, nel drammatico frangente della guerra di resistenza, suor Delfina che mette ripetutamente a rischio la propria vita, con altre sorelle, per curare e assistere tutti i feriti che bussano alla porta dell’ospedale di Giaveno, vicino Torino: fascisti e partigiani, italiani e tedeschi. «I ragazzi della Repubblica — racconta una volontaria — li mettevamo in corsia, mentre i Ceccotti osserva da vicino la realtà ragazzi della montagna, i partigiani, delle suore Rosminiane e matura la li avevamo nascosti». Sopravvissuta convinzione che anche per le sue soa un ordine di fucilazione (revocato relle sia giunto il momento di voltaall’ultimo istante) e a numerose per- re pagina. quisizioni, la coraggiosa figlia di Scrive suor Lucia: «Non bastava Cottolengo è oggi ricordata a Giave- leggere ed essere convinte della neno dalla via a lei intitolata: Via Suor cessità di aprirci (…), non bastava neanche pregare soltanto. Il Signore Delfina, mamma dei partigiani. Altrettanto sorprendenti le gesta chiedeva qualcosa in più, chiedeva il di quante, numerose, nello stesso pe- coraggio di parlare, di convincere e riodo offrono rifugio agli ebrei. Nel di spiegare». Il suo coraggio, accolto manicomio di Racconigi, la signora e assecondato sia dalla madre geneSegre e sua figlia vengono prima in- rale che da padre Bernardo Chiara, ternate in stretto isolamento al fine segna l’inizio di una nuova stagione di confonderle con i pazienti e poi, per la Piccola Casa, in concomitanza durante una perquisizione, nascoste nel padiglione della clausura con indosso gli A lungo i padri hanno avuto paura abiti sacri. Finita la guerra, tuttavia, di essere scavalcati anche nella casa madre, le Anche le guide più illuminate suore tornano a essere artefici del proprio destino. La hanno vissuto la modernizzazione strada era stata aperta negli con grande ambiguità anni Trenta da suor Scolastica Piano, «donna autonoma, dotata di grande spirito di iniziativa, libera e idealista» con l’approvazione ecclesiastica della ed era proseguita nella fase della ri- Congregazione (1959). Da allora le costruzione con suor Teresa Guasco, Suore di San Giuseppe Cottolengo, una contadina con la passione per lo non hanno mai smesso di cogliere i studio cui era stato impedito di lau- segni del tempo, intervenendo con rearsi dal suo assistente spirituale. intelligenza e spirito di carità anche Una volta divenuta madre genera- in tanti nuovi contesti di emarginale, suor Teresa offre alle sue novizie zione, ignoranza e miseria. Oggi sola possibilità di una formazione no presenti nel mondo con oltre 160 completa, laurea compresa. Ed è comunità, al fianco di quanti, in raproprio nell’ambito di un corso pro- gione della loro fragilità, considerafessionale che nel 1954 suor Lucia no fratelli da accudire. Maria Gaetana Agnesi e Laura Bassi Pioniere della scienza di FLAVIA MARCACCI Donne che collaborano con uomini, come è ovvio che sia, perché non sanno solo emozionarsi ma anche pensare. Negli ambienti di lavoro ma anche in casa una donna pensa e progetta, come quando organizza la famiglia, soprattutto se numerosa. Proprio come le donne del libro dei Proverbi che amministrano bene l’economia domestica e sanno anche impegnarsi negli affari dell’agricoltura: per questo «in lei confida il cuore del marito» (31, 11). Donne che nel loro modo di pensare mettono ovviamente una attitudine da donne. Ma senza indugiare troppo su cosa sia questa attitudine o, volendo provarci, sapendo fare tutte le distinzioni necessarie. Perché non ci sono donne in astratto, come idee disincarnate dalla storia. Ci sono invece donne concrete che hanno scritto la storia: sia la storia di generazioni di famiglie, sia, non appena è stata loro concessa una minima possibilità, la storia del loro tempo. Oggi le donne sono più partecipi alla vita pubblica, sebbene con grandi sacrifici umani: in particolare se hanno una famiglia perché né la maternità né ancor meno la paternità sono riconosciuti come valori collettivi, perché solo un uomo e una donna insieme fanno la pienezza della relazione genitoriale. In ogni caso, quel poco o tanto che oggi viviamo come donne è grazie alle pioniere di ieri. E nella scienza italiana proprio due donne cattoliche sono state vere e pioniere nel Settecento italiano che cercava di aprirsi alla scienza sperimentale: una laica, Maria Gaetana Agnesi, e una sposa, Laura Bassi. Infatti dopo la vittoria di Newton su Descartes, definitiva solo dopo che Maupertuis partì all’avventura in Lapponia (1736) per calcolare la lunghezza di un grado di meridiano e stabilire la vera forma della Terra (un geoide, come un pallone schiacciato ai poli), la fisica newtoniana si diffonde in tut- ta Europa. In Italia queste due donne hanno avuto un ruolo speciale. Maria Gaetana Agnesi (1718-1799) è così famosa che Google lo scorso anno le dedicò un doodle nell’anniversario della nascita: fu il padre che ne comprese le particolari doti, volendo che Maria Gaetana studiasse, contro la mentalità che escludeva le donne da tali occupazioni. Così la ragazza studiò matematica, calcolo infinitesimale e in generale la scienza del tempo, tanto da scrivere una introduzione ai lavori di Eulero che ebbe grande fortuna. Inventò una curva nota agli inglesi come Witch of Agnesi, confondendo il nome dato dalla donna alla sua invenzione: “versiera”. La versiera è una sorta di campana, simile a una curva di Gauss, ottenuta Maria Gaetana Agnesi (1718-1799) componendo opportunamente una circonferenza e un fascio proprio di rette. Agnesi ci parla anche di uno stile cristiano attento ai bisogni sociali: vocata alla vita monacale restò ad accudire il padre, ed era molto conosciuta per il costante esercizio della carità che la portò a fondare un piccolo ospedale. Studiò la Sacra Scrittura e meritò grande fama: «Lustro al nome di lei, all’Italia e gloria cristiana» recita una iscrizione a lei dedicata. Laura Bassi (1711-1778), sollecitata e particolarmente sostenuta dal cardinale Lambertini poi Benedetto XIV, fu la prima donna ad avere incarichi scientifici in accademie e addirittura prima donna al mondo a ricoprire una cattedra universitaria, prima in filosofia e poi in fisica sperimentale. La grandezza della sua figura è stata oggetto di un raffinato volume curato da due famose studiose, Luisa Cifarelli e Raffaella Simili (Laura Bassi. Emblema e primato nella scienza del Settecento, Bologna, 2012). Bassi scrisse di calcolo infinitesimale e di meccanica. Simbolo di un cattolicesimo illuminato che fece grande proselitismo oltralpe, questa donna diffuse uno stile femminile cristiano in ambiti dove spesso giungeva soltanto l’Illuminismo ateo e dove era spesso l’unica donna. Laura Bassi ci parla anche di una modalità cristiana di vivere la famiglia in un tempo in cui ancora non si parlava di Vangelo della famiglia: con il marito Giuseppe Veratti ebbe otto figli e un laboratorio in casa dove impartire lezioni private di fisica sperimentale. Una comunione capace di promuovere la collaborazione e fare della coppia il punto di forza di ognuno dei due coniugi, al punto che il marito subentrò sulla sua cattedra dopo la morte della donna. Una comunione intellettuale nutrita della comunione di vita, uno stile di vita che oggi la Chiesa indica ai coniugi cristiani, ma non solo a loro. Queste donne scienziate e credenti, capaci di coniugare pensiero e carità, rigore e affet- Una pellegrina d’eccezione in Argentina Emma Morosini, 91 anni compiuti a gennaio, lombarda, sta percorrendo a piedi le strade dell’Argentina dall’estremo nord verso Buenos Aires, suscitando curiosità e ammirazione nei villaggi dove si ferma per passare la notte. Partita il 27 dicembre dalla provincia di Tucumán “la nonna pellegrina”, come viene chiamata dai media, intende arrivare il 17 marzo a Luján, cittadina non molto lontana da Buenos Aires dove si trova il celebre santuario mariano. La donna, che nel 2013 ha scritto un libro intitolato Pellegrina d’eccezione 1300 km a piedi (Castiglione delle Stiviere, PresentARTsì, pagine 160, euro 10), viaggia con un piccolo trolley e un giubbotto con l’immagine di Papa Francesco. ti, ci parlano infatti di una ricchezza che arricchisce il mondo perché pensata in scambio e interazione con il mondo maschile. Nel Settecento la peculiarità femminile non era accolta, e patirà a lungo molte chiusure. Queste donne trovarono una via cristiana per avere un loro spazio, fedeli alla libertà che solo il Vangelo può dare. La scienza dimostra che in natura tutto è interazione tra campi di forze; così nella vita delle società umane, tutto è reciprocità tra maschile e femminile, mai riducibile a schemi e funzioni bensì esercizio costante per pensare la differenza come ricchezza e come esperienza concreta di accoglienza verso ogni diversità. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 domenica 8 marzo 2015 I vescovi allarmati dalle divisioni politiche che minacciano l’unità del Paese L’egoismo schiaccia il popolo del Mozambico I fatebenefratelli tra i malati d’ebola in Africa occidentale Frontiere dell’ospitalità di JESÚS ETAYO ARROND O L’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio, conosciuto anche come fatebenefratelli, sta celebrando in tutto il mondo l’anno delle vocazioni all’ospitalità. Tradizione sempre attuale della nostra missione ospedaliera, l’ospitalità è il carisma del nostro fondatore, del quale l’8 marzo ricorre la memoria liturgica. Il capitolo generale dell’ordine, celebrato nel 2012 a Fátima, aveva dato la sua approvazione alla celebrazione di questo anno speciale, su proposta del gruppo dei giovani confratelli e collaboratori. Gli obiettivi sono da una parte celebrare e rivitalizzare l’ospitalità e dall’altra promuovere e incoraggiare la vocazione a questo carisma, come religiosi e come laici, nella Chiesa e in tutti i luoghi in cui il nostro ordine è presente: quasi quattrocento opere assistenziali e servizi in 53 nazioni. Un’immagine evangelica attuale che definisce l’ospitalità è la risposta data all’epidemia di ebola in vari Paesi dell’Africa occidentale. Quattro nostri confratelli, una religiosa delle missionarie dell’Immacolata e tredici nostri collaboratori sono morti dopo essere stati contagiati dal virus assistendo i malati negli ospedali gestiti dall’ordine in Liberia e Sierra Leone. Fedeli alla loro vocazione, i nostri confratelli e i collaboratori hanno preferito non abbandonare al proprio destino la popolazione colpita da questo virus mortale, e sono rimasti al loro posto. La radicalità della loro dedizione li ha portati a perdere la vita, mentre molti altri confratelli e collaboratori, pur affranti dal dolore, hanno continuato e continuano ancora a dare assistenza, come testimoni profetici e samaritani dell’ospitalità, e cioè come segni dell’amore e della presenza di Dio accanto alle persone che soffrono la durezza di questa tragedia. Nell’Anno delle vocazioni all’ospitalità ho registrato un videomessaggio in cui invito in particolare i confratelli a celebrare e a vivere con gioia e con convinzione piena la nostra vocazione di consacrati nell’ospitalità, specialmente quest’Anno della vita consacrata in cui la Chiesa ci chiama a vivere con maggior forza la nostra consacrazione religiosa. Nel contempo, invito tutti i collaboratori che fanno parte della famiglia di san Giovanni di Dio — operatori professionali, volontari e benefattori — a partecipare con impegno all’anno vocazionale. Il carisma dell’ospitalità è un dono che ci concede il Signore affinché sia vissuto in diversi modi e opzioni di vita, oltre a quella religiosa. In molti si sentono attratti dalla missione di ospitalità che realizza l’Ordine e con la quale si identificano, e che li fa appartenere a questa nostra famiglia religiosa. Nel rivolgermi ai giovani e a tutte le persone sensibili all’ospitalità, li invito ad aprire il loro cuore e ad ascoltare la voce dell’ospitalità. Il mio messaggio va, in particolare, a quanti, inquieti e anticonformisti, sono alla ricerca di una società diversa, e a quanti sono immersi nel Presenti in oltre cinquanta nazioni I fatebenefratelli contano oggi cinquanta centri in 52 nazioni. Il loro priore generale — del quale pubblichiamo in questa pagina un articolo — ha ricevuto a Bruxelles il «Premio del cittadino europeo» per l’anno 2014. Si tratta di un riconoscimento che il Parlamento europeo attribuisce annualmente a singoli individui o istituzioni che profondono un impegno eccezionale per favorire la convivenza e l’integrazione tra i popoli degli Stati membri, attraverso azioni quotidiane che mettono in pratica i valori della dignità umana, della solidarietà e della tolleranza. Valori che affondano le radici negli insegnamenti del fondatore, san Giovanni di Dio, la cui opera prosegue nell’impegno di oltre mille religiosi e circa centomila tra collaboratori e volontari. rumore e nella frenesia del virtuale e in un’infinità di esperienze che non riempiono la vita. A ciascuno di loro dico: unisciti all’ospitalità. Potrai scoprire Cristo che ti chiama e ti dice: «Sei importante per me, ti amo e conto su di te». Nella nostra famiglia potrai trovare ciò che stai cercando, dedicandoti generosamente al servizio delle persone più fragili della terra. L’ospitalità di san Giovanni di Dio è costruire il mondo servendo e amando, accogliendo e curando gli altri. Questa è la nostra missione, che oggi sta crescendo grazie anche alla recente fusione con la congregazione dei Piccoli fratelli del Buon Pastore (fondata nel 1961 da un nostro ex-confratello, fra Mathias Barret). La cerimonia ufficiale si è tenuta lo scorso gennaio ad Albuquerque, in New Mexico (Stati Uniti). Questa fusione è arrivata al termine di un processo durato più di tre anni, e ha ottenuto il permesso della Santa Sede. Nel corso della celebrazione, 25 religiosi dei Piccoli fratelli hanno professato il quarto voto, quello dell’ospitalità, ed è stata proclamata la costituzione di una nuova provincia, la provincia del Buon pastore in Nord America. La maggior parte delle comunità e dei centri della nuova provincia si trova in Canada e negli Stati Uniti, con una casa ad Haiti e un’altra a Londra. La fusione rappresenta per l’O rdine di San Giovanni di Dio un impulso e un motivo di speranza per il carisma e la missione di ospitalità che realizza ogni giorno. Al di là dei dati statistici, va sottolineato che si integrano nel nostro ordine diverse opere di tipo sociale e socio-sanitario molto importanti, che arricchiscono la risposta di ospitalità che oggi la Chiesa e il mondo ci chiedono. Esse ci aiuteranno a consolidare questa linea di missione, iniziata già da vari anni. La fusione ci apporta una grande ricchezza, e di questo non possiamo che rendere grazie al Signore. Accogliamo i nostri nuovi fratelli con ospitalità, la cosa più vera che abbiamo: essi sono già nostri confratelli, siamo tutti fratelli di san Giovanni di Dio, e assieme ai nostri collaboratori formiamo un’unica famiglia, la famiglia ospedaliera di san Giovanni di Dio. Testimonianza del presidente di Pax Christi Italia Quel desiderio di ricostruire Gaza GAZA, 7. «Sono senza parole; non avevo mai visto ciò che ho visto adesso, né mai ascoltato ciò che ho ascoltato ora»: comincia così il racconto all’agenzia Misna di monsignor Giovanni Ricchiuti, vescovo di Altamura - Gravina - Acquaviva delle Fonti e presidente di Pax Christi Italia, al ritorno da tre giorni trascorsi nella Striscia di Gaza. Scopo della visita è stato quello di manifestare sostegno alle attività dell’associazione Vento di terra, nel quadro della campagna «Ponti non muri» promossa da Pax Christi International. Un viaggio attraverso il dolore, ma anche in una regione dove, nonostante tutti i lutti e le distruzioni, la violenza non è riuscita a seppellire la speranza. I danni anche materiali dopo la guerra di luglio e agosto sono incalcolabili. L’Organizzazione non governativa Oxfam ha stimato addirittura che per ricostruire Gaza ci vorrà più di un secolo. Monsignor Ricchiuti riferisce comunque di un «panorama desolante. Sono stati rasi al suolo interi quartieri, le bombe hanno buttato giù interi palazzi, le pareti delle abitazioni sono state crivellate dai colpi di mitragliatrice esplosi durante l’invasione di terra dei soldati. Mi sono tornate alla mente le foto in bianco e nero delle città distrutte in Europa durante la seconda guerra mondiale». Nel suo viaggio, il presidente di Pax Christi Italia ha visitato dap- prima Gaza, all’indomani del decimo anniversario della costruzione del muro in Cisgiordania. Successivamente si è recato a Beit Hanoun e in diversi villaggi. «A Gaza City abbiamo visitato i quartieri distrutti, poi il porto. Abbiamo incontrato i pescatori e abbiamo chiesto loro cosa provassero per la guerra e i bombardamenti, se covassero un desiderio di vendetta verso Israele. Ci hanno risposto: “Non possiamo dimenticare, ma vogliamo ricostruire le nostre città, per i nostri figli”». Adesso, ha concluso monsignor Ricchiuti, «bisogna aiutare questo desiderio, porre fine all’embargo e far sì che Gaza non sia mai più una prigione a cielo aperto». MAPUTO, 7. «L’unità nazionale è minacciata dall’egoismo e dalle divisioni politiche». È quanto denunciano i vescovi del Mozambico in un messaggio pubblicato al termine della riunione del consiglio permanente della Conferenza episcopale, svoltasi nella capitale Maputo. I presuli sottolineano che «il consolidamento dell’unità nazionale, che è un bene prezioso per tutti, una ricchezza a cui non possiamo rinunciare, non può mai essere considerato come il monopolio esclusivo di alcuni gruppi chiusi in se stessi e ossessionati dalla cupidigia del potere politico ed economico». E manifestano tutta la loro preoccupazione: «Attualmente, a causa della politicizzazione della maggior parte delle istituzioni dello Stato, cresce vertiginosamente il numero delle persone escluse dal processo decisionale e l’attuale Governo risulta essere sempre meno in grado di realizzare gli obiettivi fondamentali sanciti dalla Costituzione». Nonostante la carta fondamentale preveda «la creazione di una società giusta e la realizzazione del benessere materiale e spirituale della nazione, la difesa e la promozione dei diritti umani e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge», nella realtà — ricordano i vescovi — «si assiste alla palese ingiustizia di una maggioranza di poveri schiacciata da una minoranza arricchitasi disonestamente, che vive nel lusso; alla mancanza di trasparenza nello sfruttamento delle risorse naturali e al disprezzo totale dell’ambiente; alla sottrazione della terra agli agricoltori locali per l’attuazione di megaprogetti che favoriscono solo le multinazionali straniere e una minoranza insignificante di cittadini mozambicani; all’ambizione eccessiva dei funzionari pubblici che fanno della corruzione, del saccheggio e del riciclaggio di denaro il loro modus vivendi; all’uso della forza, dell’arroganza e dell’intolleranza per imporre le proprie idee». «Tutto questo — aggiungono — rende la nostra “unità nazionale”, sempre più labile e ci impedisce di essere una vera famiglia, in cui ogni membro è preoccupato del benessere degli altri». I vescovi concludono auspicando un deciso cambiamento di rotta, al fine di «includere nel processo decisionale la maggioranza dei cittadini, per tenere conto delle esigenze di tutti, specialmente dei più poveri». I presuli raccomandano anche la promozione di «un’istruzione seria e di qualità che permetta a tutti i cittadini di trasformarsi in agenti dello sviluppo del Paese». L’OSSERVATORE ROMANO domenica 8 marzo 2015 pagina 7 Il memoriale dei martiri a Nagasaki Nomina episcopale in Martinica Nel centocinquantesimo anniversario della scoperta dei “cristiani nascosti” del Giappone Il cardinale Quevedo inviato del Pontefice a Nagasaki Com’è noto, lo scorso 18 gennaio è stata pubblicata la nomina del cardinale Orlando B. Quevedo, O.M.I., arcivescovo di Cotabato (Filippine), a inviato speciale del Papa alle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario della scoperta dei “cristiani nascosti” del Giappone, previste a Nagasaki dal 14 al 17 marzo. Il porporato sarà Venerabili Fratri Nostro ORLAND O BERTRAMO Cardinali QUEVED O, O.M.I. Archiepiscopo Metropolitae Cotabatensi S.R.E. Fideles dilectam terram Iaponiae incolentes sollemniter CL anniversariam memoriam celebrant inventionis christianorum qui secreto CCL annos spiritale iter assidue sunt prosecuti atque Domini verba studiose in corde conservaverunt, thesaurum fidei in progenies et progenies diligenter tradentes. Nosmet Ipsi illos in Audientia generali mense Ianuario praeteriti anni memoravimus, de vexationibus in Ecclesiam in Iaponia loquentes deque martyrum testimonio magni ponderis etiam pro hac nostra aetate. Quandoquidem illo tempore in Iaponia nullus mansit presbyter, Christifideles laici baptismi administraverunt sacramentum spiritum communitatis demonstrantes ac precibus et meditatione Sacrarum La nomina di oggi riguarda la Chiesa nelle Antille francesi. David Macaire arcivescovo di Fort-de-France accompagnato da una missione composta da don Peter Sakae Kojima, del clero di Nagasaki, vicario generale, membro del collegio dei consultori, parroco della cattedrale; e da padre Joseph Pasala, S.V.D., missionario indiano, vicario parrocchiale di Nishimachi. Pubblichiamo di seguito il testo della lettera pontificia di nomina. Scripturarum spiritalem vitam alentes. Cum missionales reversi sunt, multi christiani, quondam latentes, iterum se palam manifestaverunt singularem fidem, spem caritatemque demonstrantes. Occasione memorati anniversarii data, multa revera in Iaponia adimplentur incepta ut omnes, exemplum illorum fidelium recolentes, Salvatoris largitatem clare laudent atque incitamentum ad renovatam vitam experiantur sub Christi lumine assidue sequendam. Quapropter tum Venerabilis Frater Petrus Takeo Okada, Archiepiscopus Metropolita Tokiensis atque Praeses Conferentiae Episcopalis Iaponiae, tum Venerabilis Frater Ioseph Mitsuaki Takami, P.S.S., Archiepiscopus Metropolita Nagasakiensis, humanissimas Nobis epistulas scripserunt quibus Nosmet Ipsos ad celebrationem hanc invitaverunt. Grati omnino hac de invitatione, quam in corde Nostro tenemus, nunc aliquem eminentem Virum quaerimus qui Nostras vices Nagasakii gerat Nostramque erga Christi discipulos ibi commorantes dilectionem significet. Ad Te autem, Venerabilis Frater Noster, qui Metropolitanam Ecclesiam Cotabatensem prudenter moderaris, mentem Nostram vertimus Teque hisce Litteris Missum Extraordinarium Nostrum nominamus ad festivitates complendas quae in urbe Nagasakiensi a die XIV ad diem XVII proximi mensis Martii sollemni modo perficientur. Celebrationi praesidebis Eucharistiae atque memoratos Archiepiscopos aliosque sacros Praesules, sacerdotes, religiosos viros mulieresque, publicas auctoritates atque universos christifideles Nostro salutabis nomine. Omnes adstantes sermone tuo ad assiduam Christi vitae imitationem cohortaberis. Optamus denique ut cuncti, commoventem Ecclesiae in Iaponia historiam recolentes, nec non testimonium tot christianorum considerantes, novis viribus novoque studio peculiarem dilectionem erga Christi Ecclesiam et Evangelium demonstrent atque, beato Petro Kibe Kasui et CLXXXVII eius Sociis martyribus intercedentibus, fidei alacritate in cotidiana vita emineant. Nos autem Te, Venerabilis Frater Noster, in tua missione implenda precibus comitabimur. Denique Benedictionem Apostolicam libentes Tibi impertimur, signum Nostrae erga Te benevolentiae et caelestium donorum pignus, quam omnibus celebrationis participibus amabiliter transmittes. die XV Ex Aedibus Vaticanis, mensis Februarii, anno MMXV, Pontificatus Nostri secundo. Celebrazione della penitenza presieduta da Papa Francesco INDICAZIONI Venerdì 13 marzo 2015, alle ore 17, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco presiederà il Rito per la Riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione individuale. I Cardinali, i Vescovi, i Sacerdoti e i Religiosi che desiderano partecipare alla celebrazione, indossando l’abito corale loro proprio, sono pregati di trovarsi per le ore 16.30 presso l’Altare della Confessione per occupare il posto che verrà loro indicato. Città del Vaticano, 7 marzo 2015. Mons. GUID O MARINI Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie Nato a Hexagonale, in Francia, da genitori della Martinica il 20 ottobre 1969, la famiglia è rientrata nella terra d’origine quando lui aveva soltanto quattro mesi, ed egli ha trascorso l’infanzia e la prima giovinezza nelle Antille francesi. Dal 1972 al 1984 ha studiato a Morne-Rouge, presso il liceo cattolico retto dalle suore domenicane missionarie di Nostra Signora di La Délivrande. In seguito ha lavorato per sei anni alla direction départementale de l’équipement di Martinica. Ha anche fatto parte del movimento carismatico cattolico. All’età di ventuno anni ha cominciato a frequentare l’ordine dei predicatori. Dopo un anno di discernimento nel foyer vocazionale san Domenico Savio, in Martinica, ha deciso di entrare nella provincia domenicana di Tolosa, in Francia. Nel 1994 ha iniziato il noviziato a Marsiglia e il 17 settembre 1995 ha emesso la professione temporanea. Ha seguito la formazione filosofica a Bordeaux e quella teologica a Tolosa, conseguendo la licenza in teologia e in diritto canonico. Nel 1998 ha emesso la professione perpetua. Ordinato sacerdote il 23 giugno 2001, è stato cappellano di alcune scuole, docente di teologia presso il seminario maggiore di Bordeaux, consigliere spirituale dell’équipe Notre Dame e maestro dei fratelli studenti domenicani fino al 2006, poi dal 2007 al 2011 priore del convento dei domenicani nell’arcidiocesi di Bordeaux e membro del consiglio presbiterale della medesima Chiesa locale. Dal 2011 era priore del convento dei domenicani di La Sainte-Baume, Tolone, e membro del consiglio provinciale. Don Giussani secondo un sessantottino Pensiero unico e capacità di andare controcorrente di PIERO SANSONETTI È difficile per me parlare del libro e di don Giussani, perché parto da un punto di vista molto diverso dal suo: io credo di essere mortale, mentre lui pensava di vivere per l’eternità! È una differenza talmente grande che non è riconducibile ad altre. Qui stiamo parlando di due idee completamente diverse della persona. Questo libro però ti porta lì. Giussani e il libro ti portano alla questione di fondo. Io non solo non sono cristiano, sono ateo. È per questo, non per un’altra ragione, che posso sentirmi vicinissimo a questo libro, anche se sono un po’ intimidito perché mi trovo in posizione minoritaria, nel senso che c’è una bella differenza fra la vita mortale e la vita eterna. Ed è la differenza essenziale, perché non c’è una pagina di questo libro dalla quale non emerga il senso dello spirito. «La realtà è più grande della ragione» (p. 43 del libro). Domando: è un dubbio illegittimo chiedere se la realtà non sia più grande anche della religione? È interessantissimo il ragionamento che nel libro viene svolto da Giussani sul rapporto fra ragione e religione, e la spiegazione per la quale non sono in contrapposizione. Sarebbe sciocco contrapporre una ragione in grado di interpretare il mondo a una religione che parte per la tangente, ma mi chiedo se può uno spirito religioso, una donna o un uomo di fede, pensare che la realtà sia più complessa anche della religione. Non è scontato che la risposta sia negativa. Seconda grandissima questione: Cristo al centro della vita e della cultura. Mi pare proprio il succo del libro e di tutta la vita di don Giussani. E qui faccio di nuovo una domanda: Cristo è per voi o è anche per me? Può un ateo porre Cristo al centro della sua cultura e della sua vita? O invece occorre un passaggio religioso? E faccio un’altra domanda: in questa cultura che si centra su Cristo può esserci la ribellione? La ribellione di cui da studente ho letto nel Vangelo, la posso ritrovare e la posso riproporre nella mia vita pubblica come parte della cultura cristia- na? Non sono un teologo, però qualche frase del Vangelo la ricordo, e pongo ad esempio l’episodio dell’adultera e quindi il pezzo formidabile del Vangelo quando Gesù dice: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra»; e poi, seconda parte: «Donna va’ e non peccare più»; non c’è lì l’esclusione dell’autorità? Che non vuol dire necessariamente anarchia; lo pongo dal punto di vista culturale, non dal punto di vista dei comportamenti. Rimanendo sulla questione di Cristo al centro della cultura e del rifiuto di qualunque autorità che non sia l’autorità divina, si può porre la questione del dio degli atei? È il massimo dell’ossimoro: il dio degli atei in quanto antiautorità, in quanto ribaltamento dell’autorità, nel riconoscimento di una autorità che non è umana. Gesù era Dio e lo diceva: «Io sono Dio». E allora, dice Giussani, o mettiamo in discus- Un’attrattiva che muove Da Paolo Mieli a Ezio Mauro, dal cardinale Marc Ouellet a Giuseppe De Rita, da Luciano Violante ad Antonio Polito, dal vescovo Renato Corti a Ferruccio de Bortoli: sono tanti, e di rilievo, i contributi raccolti nel volume Un’attrattiva che muove. La proposta inesauribile della vita di don Giussani, a cura di Alberto Savorana (Rizzoli, Milano, 2015, pagine 440, euro 12) uscito in questi giorni nell’ambito delle iniziative per il decimo anniversario della morte del fondatore di Comunione e liberazione. Dal libro pubblichiamo alcuni stralci delle riflessioni del direttore del quotidiano “Cronache del Garantista”, che dal 2004 al 2009 ha diretto “Liberazione”. sione questo principio, consideriamo Gesù un pazzo, una persona spostata, squilibrata e quindi mettiamo in discussione tutto il suo insegnamento, oppure, nel momento in cui diceva che era Dio, lo era realmente. Formulo una domanda ancora più provocatoria: Dio è Gesù o Gesù è Dio? Non è un gioco di parole. Posso dire: per me Dio è solo Gesù, cioè solo uomo? Posso fermarmi al fatto che Dio, facendosi uomo, resta uomo, risorge come uomo, entra nella storia come uomo e io mi confronto con Lui solo come uomo? Giussani parla del progressivo «ridurre l’influenza della fede e della Chiesa sulla propria azione sociopolitica ad un impulso estrinseco, ad una semplice ispirazione». Per esempio, c’è chi dice che il Vangelo spinge a interessarsi ai poveri; questo è certo, osserva Giussani, e subito dopo aggiunge: «Ma se uno si ferma qui, allora il Vangelo tende ad essere solo uno slancio etico, moralistico. Invece il Vangelo ha qualcosa da dire anche sul modo, sulla struttura di giudizio e di comportamento con i quali uno affronta il tema della povertà». Mi ha molto colpito il capitolo sul Sessantotto. Il 1968 è l'anno in cui io sono diventato grande, in cui ho iniziato a far politica e in cui ho deciso tante cose. Mi ha sorpreso, da una parte, come don Giussani abbia vissuto drammaticamente il Sessantotto: come una messa in discussione che lo ha costretto a rivedere molte cose, soprattutto dal punto di vista del rapporto con i giovani. Penso a una vicenda specifica, che nel libro viene raccontata, quella di don Enzo Mazzi; forse i più giovani non lo conoscono, don Mazzi era un prete (morto nel 2011) della Comunità dell’Isolotto di Firenze, che rivolse una critica molto forte alla gerarchia ecclesiastica ed entrò in conflitto con il Vescovo di Firenze, monsignor Florit. Nel 1969 Giussani dice a una ragazza del movimento di non an- darci più (cfr. p. 411). Non credete che la Chiesa abbia perso una grande occasione? In quella rivolta c’era tanto di spirito cristiano, non è solo maoismo, non è solo il liberalismo, non è solo katanga (nome di una provincia secessionista congolese: così venivano chiamati i membri del servizio d’ordine del movimento studentesco presente a Milano dai primi anni Settanta). In ogni caso, avverto in Giussani una grande forza, quella di misurarsi sempre con la modernità a partire dalla sua fortissima posizione di fede. È la pretesa della fede, che non posso avere, a tenermi lontano dal mondo cristiano, ma in Giussani riconosco una fortissima aspirazione alla libertà e alla modernità. Del movimento che ha creato la cosa più bella, davvero bellissima, è il nome: forse non ce ne rendiamo conto, ma Comunione e Liberazione è un nome fantastico, c’è tutto dentro, compreso il problema di oggi: l’assenza di comunità e di libertà, di comunione e di liberazione. La forza del movimento di Cl che io da ragazzino contrastai molto, perché era su posizioni del tutto opposte a quelle dei movimenti nei quali io militavo, fu essenzialmente l’anticonformismo, e quando fai una scelta anticonformista costringi tutti a pensare. Questa è la grandiosità che io ho trovato in tutte le pagine del libro: don Giussani pensa, non rinuncia mai a pensare! Non chiede mai alle persone sulle quali esprime il suo carisma: «Smetti di pensare!». L’attualità di Giussani è l’attualità di Cristo; per il cristianesimo non c’è un’altra attualità. Qual è il motivo che mi attrae? In fondo è molto semplice: è l’esistenza come elemento determinante o no del potere; è tutto lì. La domanda sulla gratuità dell’amore, un’espressione cristiana molto bella ma per me difficile da avvicinare, non è lontanissima da quello che sto dicendo: nei suoi momenti più alti la politica ha saputo coniugare etica e potere. Mentre oggi pensa a come trasformare il mondo ma difficilmente pensa a come vivere il mondo. Nell’esperienza di Gesù Cristo vedo esattamente questa grandezza: la capacità di esprimere carisma senza potere, pensiero senza potere, vita senza potere, insegnamento senza potere. A costo di apparire blasfemo, anziché sant’Agostino o san Paolo, cito Fabrizio De André e il verso più bello che io conosca di questo cantautore: «Guardate la fine di quel nazareno / e un ladro non muore di meno». Giussani e Cl, grazie di essere andati controcorrente! La forza di Cl, che nei primi anni Settanta ha il coraggio di presentarsi in università e di andare controcorrente, la ricordo personalmente perché in quegli anni c’ero anch’io, è una forza straordinaria, che forse allora non capii bene. Non ha nessuna importanza se un’operazione di questo genere spinge in avanti o indietro, se spinge a destra o a sinistra. Comunque rompe, e non c’è nulla di più terribile in una comunità o in un Paese di un pensiero obbligatorio. Lì la rottura è grandiosa, perché nessuno era in grado di realizzarla. Esisteva il senso comune del Sessantotto che era anche il mio; esisteva la politica ufficiale, che non riusciva ad aggiungere nulla di nuovo, ed esisteva la reazione fascista; e fu grandioso l’intervento di Comunione e Liberazione che rompe, non ammette nulla a priori e pone valori. Pone valori, non pone moderazione. Ero nel mio ufficio a lavorare quando nella schermata del computer sono apparsi i lanci del discorso di papa Francesco sulla giustizia. Un discorso formidabile. Sono uscito dalla mia stanza, sono entrato in redazione e ho detto: «Sapete dove ci si iscrive per diventare chierichetti?»; io non ho tendenze a fare il chierichetto, però nel papa trovo un gigantesco leader morale (certo, io non ci vedo il rappresentante di Cristo) che non vedo da nessun’altra parte. Come vecchio comunista che ha fatto politica tutta la vita, che ha fatto l’intellettuale, che ha scritto sui giornali, che ha diretto giornali, noto oggi un vuoto spaventoso in qualunque altro luogo della vita pubblica e invece provo un’attrazione formidabile per la guida della comunità cristiana. Sono uscito un istante dalla Vita di Giussani per parlare di papa Francesco, ma è difficile non arrivarci perché non riesco a parlare di cristianesimo e quindi anche di don Giussani senza tenere conto di questo fenomeno che per me è eccezionale: l’irrompere di una figura come quella di Francesco. E ancora, mi ha appassionato il Sinodo, l’altezza di quella discussione e anche l’assoluta novità della sua trasparenza, di fronte all’aridità del dibattito pubblico in Occidente, non solo in Italia, il che mi costringe a riflettere sulla capacità del mondo cristiano e delle sue gerarchie di porsi in relazione con la modernità che non vedo nel mondo laico: è questa la cosa che mi sconvolge. E mi chiedo quanto tutto questo c’entri con don Giussani, perché in lui scopro come rovesciato proprio il parametro del rapporto con la modernità: mentre il mondo laico riesce solo a guardare indietro, ha gli occhi nella nuca, il mondo cristiano guarda avanti, al secolo d’oro. Di fronte a un mondo laico terrorizzato dalla crisi dei tempi — non ci vuole un genio a capire che siamo a un passaggio d’epoca nella storia dell’umanità, in cui sono cambiati tutti i parametri delle relazioni umane — di fronte a questa crisi, avverto un mondo cristiano che sa affrontarla, badando alla modernità e non preoccupandosi di difendere l’esistente. E invece sono colpito da un mondo cristiano che guarda avanti. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 domenica 8 marzo 2015 Caravaggio, «Vocazione di san Matteo» (1600, particolare) Il Papa ricorda Giussani e la sua teologia dell’incontro con Cristo Come il fiore del mandorlo E invita Comunione e liberazione a essere protagonista di una Chiesa in uscita A dieci anni dalla morte del fondatore don Luigi Giussani, il movimento di Comunione e liberazione è stato ricevuto da Francesco nella mattina di sabato 7 marzo in piazza San Pietro. Riprendendo quanto don Giussani diceva sulla centralità dell’incontro con Cristo, «incontro non con un’idea, ma con una Persona», il Papa ha ricordato ai Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Do il benvenuto a tutti voi e vi ringrazio per il vostro affetto caloroso! Rivolgo il mio cordiale saluto ai Cardinali e ai Vescovi. Saluto Don presenti che Gesù ci anticipa sempre: «Lui è come il fiore del mandorlo: è quello che fiorisce per primo, e annuncia la primavera». Il Pontefice ha poi invitato tutti a «respingere l’autoreferenzialità» e a «essere braccia, mani, piedi, mente e cuore di una Chiesa “in uscita”» per andare «a cercare i lontani». Julián Carrón, Presidente della vostra Fraternità, e lo ringrazio per le parole che mi ha indirizzato a nome di tutti; e La ringrazio anche, Don Julián, per quella bella lettera che Lei ha scritto a tutti, invitandoli a venire. Grazie tante! Il mio primo pensiero va al vostro Fondatore, Mons. Luigi Giussani, ricordando il decimo anniversario della sua nascita al Cielo. Sono riconoscente a Don Giussani per varie ragioni. La prima, più personale, è il bene che quest’uomo ha fatto a me e Nella testimonianza di don Julián Carrón le ragioni del pellegrinaggio Per ritrovare il primo amore Con la veste del mendicante e del pellegrino per chiedere al Papa l’aiuto per ritrovare il primo amore, cioè «la freschezza del carisma». È con questo spirito che decine di migliaia di appartenenti a Comunione e liberazione, provenienti da cinquanta Paesi, hanno riempito stamani piazza San Pietro e via della Conciliazione. A presentarli a Francesco — che prima di dare inizio all’udienza ha compiuto un lungo giro fra la folla a bordo della jeep bianca — è stato don Julián Carrón, presidente della Fraternità del movimento, ricordando in particolare la coincidenza con il sessantesimo anniversario nella nascita del movimento e il decennale della morte del fondatore don Luigi Giussani. Don Carrón non ha mancato di confidare la commozione di tornare nella piazza dove, ha ricordato, «abbiamo visto don Giussani manifestare, davanti a san Giovanni Paolo II, il suo stupore per il popolo di Dio che aveva fatto nascere dalla sua passione per Cristo come “strumento della missione dell’unico popolo di Dio”». «Abbiamo più che mai viva nella memoria — ha affermato — la sua persona e la sua vita», attraverso cui «egli ci ha trascinati a Cristo nell’obbedienza e nella sequela alla sua Chiesa. Più passa il tempo e più ci rendiamo conto, seguendolo, della portata della sua figura per ciascuno di noi e per tutti». E proprio per non «lasciare inaridire la freschezza del carisma che ci ha affascinato», oggi il movimento ha voluto incontrare il Papa. «Siamo venuti in pellegrinaggio per domandare la freschezza del carisma» ha detto il presidente di Cl. Con la consapevolezza delle fragilità e con l’obiettivo di «vivere ogni giorno di più rinnovando sempre il primo amore». Per incontrare Francesco, ha spiegato don Carrón, «ci siamo preparati domandando innanzitutto al Signore, affinché sempre si rinnovi in noi quella disposizione di cuore dell’inizio, quella semplicità senza la quale ci fisseremmo sulle forme del passato, dimenticando l’essenziale e lasciando indebolire quell’impeto di vita che ci ha affascinato». Ma per ottenere «la freschezza del carisma» c’è bisogno che «la grazia ricevuta rifiorisca sempre nuova nelle nostre vite e questo solo può accadere mantenendo il legame con Pietro, che don Giussani ha inoculato nel nostro sangue». Così, ha aggiunto, «per questo siamo venuti come mendicanti, col desiderio di imparare, per essere aiutati a vivere con sempre maggiore fedeltà e passione il carisma ricevuto». Del resto, ha concluso don Carrón, «solo così ra- dicati in Cristo potremo renderlo presente attraverso le nostre vite nelle periferie esistenziali, in ogni ambiente e in ogni circostanza in cui ogni giorno si consuma il dramma dei nostri fratelli uomini, specialmente quelli più provati dalla vita e assetati, anche inconsapevolmente, di incontrare lo sguardo misericordioso del Signore». E «noi, come loro, abbiamo bisogno di questo sguardo di misericordia di cui lei ora è segno e strumento», ha concluso rivolto al Papa: «Siamo qui tutti tesi a vivere il rinnovarsi di quell’avvenimento unico che, attraversando i secoli, ci raggiunge oggi in questa piazza». All’incontro — caratterizzato da momenti di preghiera con letture, video e brani musicali, compresa un’Ave Maria in cinese — erano presenti anche cardinali, arcivescovi e vescovi, oltre a esponenti di movimenti e associazioni ecclesiali e rappresentanti anglicani, ortodossi e musulmani. Particolarmente significativa la partecipazione di un gruppo di carcerati di Como, Genova, Napoli, Padova e Perugia, accompagnati da familiari e guardie carcerarie. Con loro il Papa si è soffermato a lungo al termine dell’udienza. alla mia vita sacerdotale, attraverso la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli. L’altra ragione è che il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo. Voi sapete quanto importante fosse per Don Giussani l’esperienza dell’incontro: incontro non con un’idea, ma con una Persona, con Gesù Cristo. Così lui ha educato alla libertà, guidando all’incontro con Cristo, perché Cristo ci dà la vera libertà. Parlando dell’incontro mi viene in mente “La vocazione di Matteo”, quel Caravaggio davanti al quale mi fermavo a lungo in San Luigi dei Francesi, ogni volta che venivo a Roma. Nessuno di quelli che stavano lì, compreso Matteo avido di denaro, poteva credere al messaggio di quel dito che lo indicava, al messaggio di quegli occhi che lo guardavano con misericordia e lo sceglievano per la sequela. Sentiva quello stupore dell’incontro. È così l’incontro con Cristo che viene e ci invita. Tutto, nella nostra vita, oggi come al tempo di Gesù, incomincia con un incontro. Un incontro con quest’Uomo, il falegname di Nazaret, un uomo come tutti e allo stesso tempo diverso. Pensiamo al Vangelo di Giovanni, là dove racconta del primo incontro dei discepoli con Gesù (cfr. 1, 35-42). Andrea, Giovanni, Simone: si sentirono guardati fin nel profondo, conosciuti intimamente, e questo generò in loro una sorpresa, uno stupore che, immediatamente, li fece sentire legati a Lui... O quando, dopo la Risurrezione, Gesù chiede a Pietro: «Mi ami?» (Gv 21, 15), e Pietro risponde: «Sì»; quel sì non era l’esito di una forza di volontà, non veniva solo dalla decisione dell’uomo Simone: veniva prima ancora dalla Grazia, era quel “primerear”, quel precedere della Grazia. Questa fu la scoperta decisiva per san Paolo, per sant’Agostino, e tanti altri santi: Gesù Cristo sempre è primo, ci primerea, ci aspetta, Gesù Cristo ci precede sempre; e quando noi arriviamo, Lui stava già aspettando. Lui è come il fiore del mandorlo: è quello che fiorisce per primo, e annuncia la primavera. E non si può capire questa dinamica dell’incontro che suscita lo stupore e l’adesione senza la misericordia. Solo chi è stato accarezzato dalla tenerezza della misericordia, conosce veramente il Signore. Il luogo privilegiato dell’incontro è la carezza della misericordia di Gesù Cristo verso il mio peccato. E per questo, alcune volte, voi mi avete sentito dire che il posto, il luogo privilegiato dell’incontro con Gesù Cristo è il mio peccato. È grazie a questo abbraccio di misericordia che viene voglia di rispondere e di cambiare, e che può scaturire una vita diversa. La morale cristiana non è lo sforzo titanico, volontaristico, di chi decide di essere coerente e ci riesce, una sorta di sfida solitaria di fronte al mondo. No. Questa non è la morale cristiana, è un’altra cosa. La morale cristiana è risposta, è la risposta commossa di fronte a una misericordia sorprendente, imprevedibile, addirittura “ingiusta” secondo i criteri umani, di Uno che mi conosce, conosce i miei tradimenti e mi vuole bene lo stesso, mi stima, mi abbraccia, mi chiama di nuovo, spera in me, attende da me. La morale cristiana non è non cadere mai, ma alzarsi sempre, grazie alla sua mano che ci prende. E la strada della Chiesa è anche questa: lasciare che si manifesti la grande misericordia di Dio. Dicevo, nei giorni scorsi, ai nuovi Cardinali: «La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero; la strada della Chiesa è proprio quella di uscire dal proprio recinto per andare a cercare i lontani nelle Domenica 8 marzo il Pontefice in visita alla parrocchia romana di Santa Maria del Redentore a Tor Bella Monaca di GIANLUCA BICCINI Famo rete: lo slogan di un progetto per i giovani, volutamente in romanesco per raggiungere direttamente i destinatari, sintetizza tutte le attività della parrocchia di Santa Maria Madre del Redentore a Tor Bella Monaca, che Papa Francesco visita domenica pomeriggio, 8 marzo. Il lavoro di squadra in questa borgata difficile della periferia est di Roma, troppo spesso sinonimo di malessere sociale e di delinquenza, è infatti la caratteristica principale delle iniziative pastorali e caritative della comunità. Don Francesco De Franco, prete cinquantenne del clero romano che la guida da tre anni, parla apertamente di «quartiere tra i più difficili della diocesi», nel quale quarantamila abitanti sono costretti ogni giorno a fare i conti con molti disagi. «Si tratta — spiega — di novemila famiglie venute soprattutto dall’Italia meridionale negli anni del boom economico; mentre gli altri, che sono la maggior parte, vivono qui perché assegnatari di una casa popolare». E sempre più provengono dal sud del mondo. Ecco perché sin dalla sua fondazione, risalente al 1985, Santa Maria Madre del Redentore ha fatto dell’ascolto, dell’accoglienza e del sostegno ai bisognosi le parole chiave della propria missione ormai trentennale. «Il tessuto sociale — dice ancora don Francesco — non è tra i più sani»: spaccio e uso di droga, anche tra i bambini e i ragazzi, violenza, prostituzione e tanta povertà fanno di Tor Bella Monaca una delle realtà più rappresentative del degrado di tante periferie urbane, nelle quali la Chiesa è chiamata a svolgere un ruolo primario nel mantenere viva la speranza. La parrocchia qui lo fa attraverso una rete capillare che coinvolge il clero, le tre congregazioni religiose femminili presenti nel territorio e numerosi laici. Anche perché ogni giorno bussano alle porte di via Duilio Cambellotti dalle venti alle trenta famiglie bisognose. «Distribuiamo mensilmente quattrocento pacchi «Famo rete» viveri — ricorda il parroco — e, grazie al contributo della Caritas italiana, aiutiamo i più indigenti nel pagamento delle utenze, dei farmaci e delle visite mediche». Sempre sul fronte della solidarietà, considerato che a “Torbella” ci sono almeno duecento persone agli arresti domiciliari e molte altre sono state o sono in carcere, nei locali parrocchiali vengono ospitati ben due centri diurni per bambini con gravi problemi familiari: sono quattordici alunni delle elementari e della materna e dodici ragazzi delle medie, tutti figli di tossicodipendenti o detenuti. «Li prendiamo a scuola, li aiutiamo con i compiti, li coinvolgiamo nelle attività catechetiche e ludico-ricreative, diamo loro la cena e poi li riaccompagniamo a casa», prosegue don Francesco. La squadra capitanata dal sacerdote è formata da due giovani vicari e due collaboratori che risiedono a Roma per motivi di studio. Con loro, tredici religiose tra figlie di Maria Ausiliatrice, suore della carità di santa Giovanna Antida, e missionarie della carità della beata Teresa di Calcutta. Le prime, oltre che dei centri diurni, si occupano dell’oratorio e delle sue molteplici attività: scuola di danza, calcetto, gruppi teatrali e musicali, doposcuola. Le seconde si prendono cura del centro di ascolto Caritas, dei malati e di numerose attività con adulti e anziani. Infine le suore con il sari bianco bordato di azzurro accolgono ragazze madri e animano un doposcuola per bimbi extracomunitari. Prezioso anche il contributo di circa duecento laici impegnati in ambito catechetico, liturgico e caritativo. Tra i movimenti ci sono i neocatecumenali, con cinque comunità, un gruppo scout, la Sant’Egidio con la scuola della pace e i cavalieri di Malta con un consultorio medico-legale. «Per questo — commenta don De Franco — la gente di Tor Bella Monaca ci vuol bene. Per noi la sofferenza più grande è il dover discernere le necessità e bilanciare i fondi» per poter accontentare chi domanda un sostegno: «È l'amarezza di un padre a cui i figli chiedono un pezzo di pane e può dar loro solo le briciole». Una preoccupazione che riguarda soprattutto le famiglie dei detenuti. Donne e uomini senza prospettive quando avranno scontato la pena; ragazzi, giovani, padri o madri di famiglia che per aver sbagliato magari una sola volta rischiano di dover pagare per tutta la vita. Spesso l’unica possibilità è tornare a delinquere o a spacciare. Il traffico di stupefacenti e le altre forme illecite di guadagno finiscono con il diventare l’alternativa più semplice e redditizia. Soprattutto se si considera che da queste parti in appartamenti fatiscenti di non più di 30 metri quadrati vivono ammassati interi nuclei familiari, il cui unico reddito è la pensione sociale o di invalidità dell’anziano di casa. E proprio quello della terza età è un altro dei campi di azione privilegiati della parrocchia. «Ci sono quelli che muoiono nella solitudine e vengono trovati dopo diversi giorni», confida il parroco. Eppure 160 ammalati vengono visitati settimanalmente dai ministri straordinari, suore e sacerdoti attivi in questa grande rete di solidarietà. Infine un’ultima sfida pastorale riguarda l’altissimo numero di separati, conviventi e famiglie allargate. «Anche chi chiede il battesimo per i bambini ha situazioni irregolari e dopo la celebrazione del sacramento è difficile poter continuare il discorso», afferma don De Franco. Ora però sta per arrivare il Papa e la speranza è che almeno per un giorno Tor Bella Monaca dimentichi le sue difficoltà e viva un pomeriggio all’insegna della gioia. «L’organizzazione della visita mi ha fatto toccare con mano quanto sia davvero buona la gente — conclude il parroco — e posso dire di avere una buona task force per l’impegno sociale e pastorale». Nella chiesa di Ognissanti il ricordo della prima messa in italiano Nel pomeriggio di sabato 7 marzo Papa Francesco celebra la messa nella parrocchia romana di Ognissanti: il Pontefice torna, esattamente dopo cinquant’anni, nella chiesa dove Paolo VI celebrò per la prima volta in italiano secondo le rinnovate norme liturgiche stabilite dal concilio Vaticano II. La visita del Papa coincide anche con il settantacinquesimo anniversario (12 marzo 1940) della morte di san Luigi Orione al quale Pio X nel 1908 affidò la parrocchia di via Appia. “periferie” dell’esistenza; quella di adottare integralmente la logica di Dio», che è quella della misericordia (Omelia, 15 febbraio 2015). Anche la Chiesa deve sentire l’impulso gioioso di diventare fiore di mandorlo, cioè primavera come Gesù, per tutta l’umanità. Oggi voi ricordate anche i sessant’anni dell’inizio del vostro Movimento, «nato nella Chiesa — come vi disse Benedetto XVI — non da una volontà organizzativa della Gerarchia, ma originato da un incontro rinnovato con Cristo e così, possiamo dire, da un impulso derivante ultimamente dallo Spirito Santo» (Discorso al pellegrinaggio di Comunione e Liberazione, 24 marzo 2007: Insegnamenti III, 1 [2007], 557). Dopo sessant’anni, il carisma originario non ha perso la sua freschezza e vitalità. Però, ricordate che il centro non è il carisma, il centro è uno solo, è Gesù, Gesù Cristo! Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io esco di strada. Tutta la spiritualità, tutti i carismi nella Chiesa devono essere “decentrati”: al centro c’è solo il Signore! Per questo, quando Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi parla dei carismi, di questa realtà così bella della Chiesa, del Corpo Mistico, termina parlando dell’amore, cioè di quello che viene da Dio, ciò che è proprio di Dio, e che ci permette di imitarlo. Non dimenticatevi mai di questo, di essere decentrati! E poi il carisma non si conserva in una bottiglia di acqua distillata! Fedeltà al carisma non vuol dire “pietrificarlo” — è il diavolo quello che “pietrifica”, non dimenticare! Fedeltà al carisma non vuol dire scriverlo su una pergamena e metterlo in un quadro. Il riferimento all’eredità che vi ha lasciato Don Giussani non può ridursi a un museo di ricordi, di decisioni prese, di norme di condotta. Comporta certamente fedeltà alla tradizione, ma fedeltà alla tradizione — diceva Mahler — “significa tenere vivo il fuoco e non adorare le ceneri”. Don Giussani non vi perdonerebbe mai che perdeste la libertà e vi trasformaste in guide da museo o adoratori di ceneri. Tenete vivo il fuoco della memoria di quel primo incontro e siate liberi! Così, centrati in Cristo e nel Vangelo, voi potete essere braccia, mani, piedi, mente e cuore di una Chiesa “in uscita”. La strada della Chiesa è uscire per andare a cercare i lontani nelle periferie, a servire Gesù in ogni persona emarginata, abbandonata, senza fede, delusa dalla Chiesa, prigioniera del proprio egoismo. “Uscire” significa anche respingere l’autoreferenzialità, in tutte le sue forme, significa saper ascoltare chi non è come noi, imparando da tutti, con umiltà sincera. Quando siamo schiavi dell’autoreferenzialità finiamo per coltivare una “spiritualità di etichetta”: “Io sono CL”. Questa è l’etichetta. E poi cadiamo nelle mille trappole che ci offre il compiacimento autoreferenziale, quel guardarci allo specchio che ci porta a disorientarci e a trasformarci in meri impresari di una ONG. Cari amici, vorrei finire con due citazioni molto significative di Don Giussani, una degli inizi e una della fine della sua vita. La prima: «Il cristianesimo non si realizza mai nella storia come fissità di posizioni da difendere, che si rapportino al nuovo come pura antitesi; il cristianesimo è principio di redenzione, che assume il nuovo, salvandolo» (Porta la speranza. Primi scritti, Genova 1967, 119). Questa sarà intorno al 1967. La seconda del 2004: «Non solo non ho mai inteso “fondare” niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l’urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta» (Lettera a Giovanni Paolo II, 26 gennaio 2004, in occasione dei 50 anni di Comunione e Liberazione). Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me! Grazie.
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