L`OSSERVATORE ROMANO

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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLV n. 55 (46.893)
Città del Vaticano
domenica 8 marzo 2015
.
Il Papa ricorda don Giussani e la sua teologia dell’incontro con Cristo
Nuove strategie dell’Organizzazione mondiale della sanità
Come il fiore del mandorlo
Salute femminile
priorità internazionale
E invita Comunione e liberazione a essere protagonista di una Chiesa in uscita
Come il mandorlo che fiorisce per
primo e annuncia la primavera: ricorre a questa immagine Papa Francesco per ricordare che Gesù «ci
precede sempre» — ci primerea, dice
ripetendo un termine a lui caro — «e
quando noi arriviamo, lui ci stava
già aspettando». In questo modo il
Pontefice ha riproposto lo spirito
dell’incontro dell’uomo con Cristo,
richiamando l’idea centrale del pensiero di don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e liberazione, i
cui appartenenti si sono ritrovati numerosissimi sabato mattina, 7 marzo,
in piazza San Pietro, per ricordarlo
a dieci anni dalla morte e a sessanta
dalla nascita del movimento.
«Tutto, nella nostra vita, oggi come al tempo di Gesù, incomincia
con un incontro» ha ribadito. «E —
ha aggiunto — non si può capire
questa dinamica dell’incontro che
suscita lo stupore e l’adesione senza
la misericordia». Solo infatti «chi è
stato accarezzato dalla tenerezza
della misericordia conosce veramente il Signore. Il luogo privilegiato
dell’incontro è la carezza della misericordia di Gesù Cristo verso il mio
peccato».
Riferendosi alle origini del movimento, il Papa ha parlato di un carisma «che non ha perso la sua freschezza e vitalità». Ma ha ricordato
che «tutti i carismi nella Chiesa devono essere “decentrati”» perché «al
Vincent Van Gogh, «Ramo di mandorlo in fiore» (1890)
centro c’è solo il Signore». Inoltre
ha invitato a non “pietrificare” l’eredità lasciata dal fondatore facendone
«un museo di ricordi» e a respingere la tentazione dell’autoreferenzialità che alimenta una «spiritualità di
etichetta». Solo rimanendo «centrati
in Cristo e nel Vangelo», ha concluso, «voi potete essere braccia, mani,
piedi, mente e cuore di una Chiesa
in uscita», che va «a cercare i lontani nelle periferie, a servire Gesù in
ogni persona emarginata, abbandonata, senza fede, delusa dalla Chiesa, prigioniera del proprio egoismo».
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NEW DELHI, 7. Concentrarsi sulle
donne — oltre che su neonati, bambini e adolescenti — che vivono in
condizioni di fragilità è il punto
chiave per raggiungere gli obiettivi
della nuova Global Strategy for Women’s, Children’s and Adolescent’s
Health, messa a punto dall’O rganizzazione mondiale della sanità
(Oms). Lo scopo è mettere fine a
tutte le morti evitabili di donne,
bambini e adolescenti entro il 2030
e migliorare la salute e il benessere
globali.
L’impegno è stato illustrato a
New Delhi nelle stesse ore nelle
quali l’Oms ricordava, in vista
dell’8 marzo, come ragazze e adolescenti dei Paesi poveri siano le
principali vittime di questa situazione da sanare. In particolare, proprio nei Paesi cosiddetti in via di
sviluppo si concentrano il 95 per
cento dei parti di ragazze minori,
con la mortalità materna che rappresenta la seconda causa di morte
fra le ragazze di età compresa tra i
15 e i 19 anni.
I contenuti della nuova strategia
dell’Oms saranno delineati in una
prima bozza che sarà condivisa con
tutti gli attori interessati alla sua
68ª assemblea mondiale, per essere
poi lanciata alla nuova sessione
dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che incomincerà il prossimo settembre a New York.
Questo percorso, oltre alla necessità di concentrarsi sui gruppi più
Una donna alla periferia di Islamabad (Ap)
Negli Stati Uniti non si allenta la tensione razziale
L’Unione europea non cede ad allarmismi per il flusso di migranti e profughi
A cinquant’anni
dalla marcia di Selma
Quella in Mediterraneo è un’emergenza umanitaria
RIGA, 7. L’emergenza provocata dal
sempre più massiccio flusso di profughi e migranti nel Mediterraneo è
soprattutto umanitaria e su questo
piano i responsabili delle dipolomazie europee si dicono decisi ad affrontarla, pur senza nascondere le
questioni di sicurezza che essa comporta. In questo senso, secondo
quanto dichiarato dall’alto rappresentante per la Politica estera e di
sicurezza comune dell’Unione europea, Federica Mogherini, la questione è stata affrontata nel consiglio informale che i ministri degli Esteri
dei 28 Paesi dell’Ue stessa hanno tenuto ieri a Riga, la capitale della
Lettonia.
«Sappiamo benissimo che il flusso di migranti e di richiedenti asilo
non si fermerà finché non risolveremo i problemi all’origine di questo
flusso, le crisi, i conflitti, la povertà,
ma anche finché non risolveremo la
situazione in Libia», ha detto Mogherini, che ha rifiutato di commentare le previsioni sui prossimi arrivi
diffuse da Frontex, la missione
dell’Unione europea subentrata a
quella italiana Mare nostrum, con
compiti diversi.
Frontex, secondo i cui responsabili ci sarebbero un milione di persone
pronte a tentare la traversata in Mediterraneo, ha infatti compiti soprattutto di controllo delle frontiere e
opera in un raggio di trenta miglia
dalle coste europee. Mare nostrum
aveva come priorità i soccorsi in mare e operava in tutto il Mediterraneo
meridionale.
«È fondamentale adesso — ha
osservato ancora Mogherini — avere
in Libia delle autorità che possano
essere un punto di riferimento per
fare molte cose, innanzitutto controllare le frontiere, gestire i flussi
migratori nel pieno rispetto dei diritti umani ma in modo razionale e
ordinato».
A questo scopo, ha aggiunto, «è
cruciale aver un esito positivo del
dialogo che si sta tenendo a Rabat»,
la capitale del Marocco dove con la
Ottimista il negoziatore dell’Onu Bernardino León
Passi avanti nel dialogo sulla crisi libica
Il ponte della marcia per i diritti civili (Afp)
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deboli della popolazione mondiale,
punta a realizzare meccanismi di resistenza e flessibilità nei sistemi sanitari, a migliorare la qualità e
l’equità della copertura sanitaria, e
a lavorare per favorire il coinvolgimento delle donne nei progetti legati all’educazione, alla nutrizione,
all’accesso all’acqua e ai sistemi
igienici.
WASHINGTON, 7. Il presidente Barack Obama partecipa a Selma, in
Alabama, alla marcia che si svolgerà oggi per ricordare quella del 7
marzo 1965, quando cinquecento attivisti, guidati da Martin Luther
King, furono attaccati dalla polizia
locale e dello Stato con manganelli
e lacrimogeni mentre attraversavano
l’Edmund Pettus Bridge. Al fianco
di Obama, che verrà accompagnato
dalla moglie e dalle figlie, sfilerà
oggi a Selma anche l’ex presidente
statunitense, George W. Bush. Sarà
presente alla marcia anche una folta
delegazione del Congresso, con
esponenti democratici e repubblicani.
Ma in alcune zone degli Stati
Uniti non si attenua la tensione
razziale. Nel Wisconsin un poliziotto intervenuto per sedare una lite
ha avuto una colluttazione con un
ragazzo di colore di 19 anni disarmato e gli ha sparato, uccidendolo.
Lo ha reso noto questa mattina la
polizia locale, spiegando che il giovane era sospettato per una recente
aggressione. Il sindaco di Madison,
Paul Soglin, ha parlato di «indescrivibile tragedia» e ha promesso
un’inchiesta approfondita come
previsto dalle nuove leggi. Alla notizia della morte del ragazzo, decine di persone sono scese in piazza
per manifestare contro le forze
dell’ordine e ora l’episodio, che
giunge in una fase delicata per il
susseguirsi di episodi in cui la polizia è stata accusata di uso eccessivo
e discriminatorio della forza, rischia
di riaccendere le tensioni proprio
nel giorno che ricorda la marcia di
Selma.
La storia delle suore del Cottolengo
«Alla religiosa
sta bene il rosario
ma non il giornale»
SILVIA GUSMANO
A PAGINA
5
RABAT, 7. L’Europa da Riga, dove si
svolge il vertice informale dei ministri degli Esteri, guarda a Rabat, in
Marocco, e spera che «entro pochi
giorni» dal negoziato tra i Parlamenti rivali di Tobruk e Tripoli nasca quel Governo di unità nazionale
che permetterebbe di cominciare a
stabilizzare la Libia. Inizia oggi la
terza giornata di discussioni e sembra esserci già un accordo di massima per un cessate il fuoco, lo scioglimento delle milizie e la creazione
di un corpo che garantisca la sicurezza in tutto il Paese.
E mentre l’inviato dell’Onu, Bernardino León, si dice ottimista anche se riconosce che il processo è
complicato ed estremamente difficile, nel consiglio Esteri in Lettonia,
l’Ue — che già sta finanziando i tentativi di dialogo, pagando tutte le
spese — si prepara ad «assistere in
ogni possibile modo» il Governo di
unità nazionale che nascerà.
L’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune
dell’Ue, Federica Mogherini, sottolinea che l’espressione «in ogni possibile modo» include «anche una missione civile o militare» per il con-
trollo delle frontiere e per la protezione delle infrastrutture strategiche
del Paese. Federica Mogherini, che
ha voluto simbolicamente mettere il
tema della Libia al primo punto della riunione di Riga scandisce che «i
libici possono contare su di noi».
Nel frattempo, però, miliziani armati hanno attaccato ieri un’area petrolifera ad Al Ghani, uccidendo un-
dici guardie, di cui alcune con la decapitazione.
Le forze dell’ordine hanno poi ripreso il controllo della situazione.
Lo si apprende da fonti della sicurezza. Secondo l’edizione in inglese
di «Awasat» gli aggressori hanno
portato via nove stranieri: un austriaco, un ceco, un ghanese, quattro
filippini e due bengalesi.
mediazione dell’inviato dell’O nu,
Bernardino León, si stanno tenendo
negoziati tra il Governo libico internazionalmente riconosciuto e che ha
sede a Tobruk e quello islamista di
Tripoli.
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza
l’Eminentissimo
Cardinale
Marc Ouellet, Prefetto della
Congregazione per i Vescovi.
In data 6 marzo, il Santo
Padre ha accettato la rinuncia
all’ufficio di Ausiliare di Roma (Italia), presentata da Sua
Eccellenza
Reverendissima
Monsignor Paolino Schiavon,
Vescovo titolare di Trevi, in
conformità ai canoni 411 e 401
§ 1 del Codice di Diritto Canonico.
Il Santo Padre ha accettato
la rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi di Fort-deFrance, in Martinica, nelle
Antille Francesi, presentata da
Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Michel Méranville, in conformità al canone
401 § 1 del Codice di Diritto
Canonico.
Provvista di Chiesa
Il Santo Padre ha nominato
Arcivescovo di Fort-de-France,
in Martinica, nelle Antille
Francesi, il Reverendo Padre
David Macaire, O.P., Priore
del Convento dei Domenicani
di «La Sainte-Baume», Tolone
(Francia).
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domenica 8 marzo 2015
Accordo tra Mosca e Kiev per raddoppiare gli osservatori dell’O sce
Sostanzialmente rispettata
la tregua in Ucraina
RIGA, 7. Il cessate il fuoco nelle regioni orientali ucraine «nel complesso è rispettato». Lo ha detto ieri il
capo dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa
(Osce), Lamberto Zannier. «Ci sono
delle violazioni — ha aggiunto — ma
si tratta di colpi di mortaio o co-
L’eurogruppo
attende
risposte concrete
da Atene
BRUXELLES, 7. La Grecia va avanti ma il suo cammino non incrocia ancora quello dell’Europa che
non si accontenta dei dettagli delle prime riforme annunciate dal
Governo, tra cui il reclutamento
di studenti, turisti e governanti
come ispettori del fisco “sotto copertura”. Mentre Atene vuole un
negoziato politico, sollecitato dallo stesso premier greco, Alexis
Tsipras in diverse telefonate con il
presidente della Commissione Ue,
Jean-Claude Juncker, Bruxelles
intende restare sul tavolo tecnico,
come da accordi presi nell’ultimo
eurogruppo.
La nuova riunione dei ministri
dell’eurozona di lunedì non potrà
quindi fare progressi sullo sblocco
degli aiuti perché i tecnici della
ex troika, che devono valutare le
riforme, sono ancora fermi per
volere del Governo ellenico. Senza curarsi troppo delle indicazioni
dell’Ue, Atene prosegue sulla sua
strada e in vista di lunedì il ministro Yanis Varoufakis ha inviato al
presidente dell’eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, una lettera
con i dettagli delle prime sette riforme su cui il Governo vuole essere giudicato. E che ritiene sufficienti per sbloccare almeno una
parte della prossima tranche di
aiuti che ammonta in totale a sette miliardi di euro, in modo da
recuperare qualche miliardo che
la metta al sicuro dalle scadenze
di marzo. Con il rischio di non
riuscire a onorare le scadenze, il
Governo si tiene pronto a tutto e
ha chiesto ai fondi pensionistici e
altre istituzioni pubbliche di mettere a disposizioni i propri depositi. Nessun rischio invece per i
depositi bancari: la liquidità è assicurata, ha detto il governatore
della Banca centrale ellenica.
munque di armi di piccolo calibro».
Zannier ha sottolineato, cioè, che
non c’è stato impiego di artiglieria
pesante, aggiundo che anzi di quest’ultima è stato confermato lo spostamento dai fronti di battaglia di
queste settimane, come previsto
dall’intesa sul cessate il fuoco.
Zannier ha anche commentato positivamente l’accordo raggiunto tra
Kiev e Mosca per raddoppiare il numero degli osservatori internazionali,
sottolineando però che il problema
al momento non è il loro numero
ma la possibilità di svolgere il loro
compito: «Se avessero maggiore accesso, potrei ottenere di più da loro.
Questa è la mia sfida», ha detto. In
precedenza anche i ministri degli
Esteri russo e tedesco, Serghiei Lavrov e Frank-Walter Steinmeier, in
un colloquio telefonico del quale ha
dato notizia una nota di Mosca, si
erano detti d’accordo sulla necessità
di aumentare fino a mille il numero
degli osservatori dell’Osce in Ucraina. Sempre in materia di controlli,
Zannier ha anche auspicato di poter
disporre di piccoli droni da aggiun-
gere ai tre grandi aerei senza pilota
già usati dall’Osce per monitorare il
cessate il fuoco. La missione scadrà
il 21 marzo, ma il capo dell’Osce ritiene probabile che sarà prorogata di
un anno.
Nel frattempo, l’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, Federica Mogherini, ha ribadito che le sanzioni
europee contro la Russia continuano
a essere uno strumento flessibile: da
un lato, non saranno ridotte finché
non ci sarà un’evoluzione davvero
positiva della situazione, dall’altro,
«possiamo sempre aumentare la
pressione in futuro se necessario»,
ha detto Mogherini, al termine del
consiglio informale tenuto dai ministri degli Esteri a Riga. Quello lettone Edgars Rinkēvičs, che ha ospitato
l’incontro, ha ricordato da parte sua
che perché questo avvenga occorre
riscontrare «un grave deterioramento
della situazione» nell’Ucraina orientale.
La riunione a Riga, ha aggiunto,
si è incentrata soprattutto su come
l’Unione europea può aiutare l’at-
Per rilanciare il dialogo tra Governo e opposizione
Diritti delle donne
cruciali per lo sviluppo
Missione sudamericana
in Venezuela
ROMA, 7. Il rispetto e l’affermazione dei diritti delle donne resta un
punto cruciale per lo sviluppo e
proprio le donne costituiscono una
risorsa preziosa della lotta alla fame e alla miseria e per la costruzione di un mondo più rispettoso della persona umana. Intorno a queste
convinzioni si stanno tenendo in
queste ore in moltissimi Paesi iniziative per celebrare la ricorrenza
dell’8 marzo, Giornata internazionale delle donne.
L’edizione 2015 è dedicata al
rapporto speciale che esiste, fin dagli albori della civiltà umana, tra le
donne, la natura e la terra, come
ha ricordato, aprendo questa mattina al Quirinale le celebrazioni in
Italia, il presidente Sergio Mattarella. Le donne uniscono tutela
dell’ambiente e sviluppo e sono «il
volto prevalente della solidarietà e
della coesione sociale», ha detto
Mattarella. Le donne, infatti, «sono più capaci di produrre senza distruggere, sanno costruire e innovare, tutelando e salvaguardando». A
conferma di una convinzione che
va oltre il contesto italiano, il presidente ha concluso citando un detto
dei nativi americani Ojibwej: «La
donna è la radice sulla quale le
Nazioni sono costruite».
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CARACAS, 7. L’Unione delle Nazioni
sudamericane (Unasur) ha confermato che una delegazione di ministri degli Esteri dell’organismo regionale, con il suo segretario generale,
Ernesto Samper, incontrerà oggi a
Caracas il presidente venezuelano,
Nicolás Maduro. Scopo della riunione, «è esaminare la situazione nel
Paese», secondo una nota ufficiale
dell’Unasur ripresa dalle agenzie di
stampa locali, che annuncia anche
una serie di contatti e colloqui con
diversi dirigenti politici e sociali, pur
senza specificare quali.
Oltre a Samper, prendono parte
alla missione, su invito di Maduro, i
ministri degli Esteri del Brasile,
Mauro Vieira, della Colombia, Maria Angelo Holguín, e dell’Ecuador,
Ricardo Patiño. La nota dell’Unasur
non fornisce altri particolari.
Prima di imbarcarsi per Caracas,
Holguín — parlando con i giornalisti
all’aeroporto — aveva comunicato
che la delegazione intende promuovere il dialogo tra l’Esecutivo e l’opposizione, in un momento di rinnovata e forte tensione fra le parti.
«Andiamo affinché il Governo e
l’opposizione possano procedere per
fermare questa escalation, ciò che
cerchiamo è la stabilità in Venezuela.
Quello che l’Unasur ha sempre vo-
luto è che i venezuelani risolvano la
situazione tra di loro», ha detto
l’esponente del Governo di Bogotá.
Maduro ha pubblicamente apprezzato gli sforzi del blocco regionale.
Da alcuni mesi, il Venezuela è alle
prese con gravi tensioni politico-istituzionali e pesanti difficoltà economiche, aggravate, oltre che dalla caduta dei prezzi del petrolio, anche
dall’alta inflazione (quasi al 70 per
cento) e dalla crescente carenza di
merci e di generi di prima necessità
nei mercati. Ma a pesare sulla fragile
economia venezuelana è l’andamento del prezzo del petrolio.
Se nel 2013 un barile di greggio
aveva raggiunto una media di quasi
100 dollari (circa 90 euro), attualmente ha invece un valore di 48,82
dollari. Sempre due anni fa l’economia è cresciuta del 5,6 per cento,
mentre l’anno scorso è scesa del 2,4
per cento.
Si allarga in Brasile
lo scandalo Petrobras
BRASILIA, 7. Si allarga in Brasile lo
scandalo Petrobras. La Corte Suprema del Brasile dà il via libera
alle indagini su oltre cinquanta politici, inclusi i presidenti di Camera
e Senato, rispettivamente Eduardo
Cunha e Renan Calheiros. Nella lista degli indagati anche l’ex capo
dello staff della presidente Dilma
Rousseff, Gleisi Hoffman; il suo ex
ministro dell’Energia Edison Lobão; e Antonio Palocci, ex ministro
Incendi e inondazioni
in Argentina
LONDRA, 7. È in arrivo un nuovo
giro di vite sui benefit dei membri del Parlamento britannico, sia
della Camera dei Comuni sia di
quella dei Lords. Chi sarà eletto
nella prossima legislatura non potrà chiedere all’amministrazione
di Westminster il rimborso di cene o pranzi di lavoro, né dell’abbonamento alla televisione, né del
costo del taxi in caso di sedute
d’aula e di commissione che si
protraggano oltre le 23. Il taglio,
deciso dall’autorità indipendente
per gli standard parlamentari, entrerà inderogabilmente in vigore
dall’inizio della prossima legislatura. I parlamentari britannici negli ultimi anni hanno già subito
considerevoli riduzioni ai loro stipendi, ma soprattutto ai benefit
dei quali godevano.
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Ritiro delle truppe ucraine dal Donbass (Afp)
Le celebrazioni per la giornata internazionale dell’8 marzo
Tagli ai benefit
dei parlamentari
britannici
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tuazione dell’accordo di Minsk. I
partecipati hanno preso atto con
soddisfazione dei risultati della riunione trilaterale di Bruxelles dei ministri dell’Energia di Kiev e Mosca
sulle forniture di gas e hanno auspicato di «continuare a lavorare in
questo modo sia sulle questioni
energetiche che su quelle di commercio».
Nel frattempo, sarebbe dovuto
scattare entro la fine del mese, ma
per il momento rimarrà invece congelato il programma statunitense di
addestramento dei riservisti della
guardia nazionale ucraina. Lo ha annunciato ieri con una nota ufficiale
il Comando di Usareur, le forze
americane in Europa, secondo cui
l’iniziativa è «attualmente sospesa»
in quanto l’Amministrazione di Washington intende prima attendere la
piena attuazione del recente accordo
di Minsk, che prevede tra l’altro un
cessate il fuoco tra governativi e ribelli filorussi. Il piano per ora sospeso era stato annunciato già
nell’agosto 2014.
Fiori di mimosa davanti al Quirinale (Ansa)
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
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BUENOS AIRES, 7. Incendi e inondazioni hanno colpito in questi giorni
l’Argentina in diversi punti del Paese. Pesante il bilancio: almeno dodici morti e migliaia di persone fatte
sgomberare. La regione più colpita
dalle piogge torrenziali è quella di
Córdoba, al centro del Paese, ma
conseguenze pesanti si sono registrate anche in quelle di Santa Fé,
Santiago del Estero e Catamarca. Il
governatore di Córdoba, José Manuel de la Sota, ha detto che sia
nella sua regione sia in altre aree vicine quella di questi giorni è «la
peggiore catastrofe climatica degli
ultimi cinquant’anni». A renderla
Segreteria di redazione
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
tale sono stati gli straripamenti dei
fiumi, che hanno provocato almeno
dieci morti proprio a Córdoba e
due a Santiago del Estero.
Se le inondazioni hanno devastato il centro del Paese, è stato invece
il fuoco a sconvolgerne la parte più
meridionale, la Patagonia, dove gli
incendi hanno divorato intere superfici di terra. La regione più colpita dalle fiamme è quella di Chubut. Qui, fra l’altro, ci sono forti sospetti sull’origine dolosa degli incendi. La magistratura locale ha
aperto un’inchiesta su quelli in
un’area ai piedi della cordigliera
delle Ande.
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Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
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delle Finanze sotto il presidente
Luiz Inácio Lula da Silva.
Lo scandalo che ha colpito la
compagnia petrolifera brasiliana
prende le mosse dalle rivelazioni di
alcuni ex manager, che hanno ammesso di aver collaborato con politici per ricevere tangenti da contractor del settore privato. La diffusione dei nomi degli indagati giunge in un momento delicato per il
Brasile, con la presidente Rousseff
alle prese con una difficile congiuntura economica. L’inflazione è
ai massimi da dieci anni e il real è
notevolmente sceso nei confronti
del dollaro.
A giudizio di diversi analisti, le
indagini sembrano destinate ad alimentare polemiche, oltre che con
l’opposizione, tra la formazione di
Rousseff e il suo alleato Partito del
movimento democratico brasiliano,
al quale appartengono i presidenti
di Camera e Senato.
Intanto, il Supremo tribunale federale ha estinto la pena dell’ex
presidente del Partito dei lavoratori, José Genoino, condannato per
corruzione nel processo sul mensalão, lo scandalo scoppiato nel 2005
durante l’Amministrazione di Lula.
La decisione è stata presa sulla base del decreto di indulto natalizio
concesso lo scorso dicembre da
Rousseff. In carcere dal 2012, Genoino stava già scontando ai domiciliari i previsti quattro anni e otto
mesi di detenzione.
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Credito Valtellinese
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domenica 8 marzo 2015
pagina 3
Una donna all’esterno della sua abitazione
distrutta dal fuoco
in una baraccopoli di Manila (Epa)
L’esercito iracheno avanza nella provincia di Al Anbar
Un’altra città
strappata all’Is
BAGHDAD, 7. Le forze governative
irachene, appoggiate da milizie tribali, hanno strappato la città di Al
Baghdadi, nella provincia di Al Anbar, al cosiddetto Stato islamico (Is)
obbligando i suoi combattenti a ritirarsi e assumendo il controllo di tre
ponti sull’Eufrate strategicamente
cruciali, oltre che di sette villaggi
Scuole pakistane
intitolate
agli studenti
uccisi a Peshawar
ISLAMABAD, 7. Centosette scuole
del Pakistan cambieranno nome e
assumeranno quello di una delle
altrettante vittime del massacro
di studenti provocato nel dicembre scorso a Peshawar da un
commando di militanti del gruppo terroristico Tehrek-e-Taliban
Pakistan (Ttp). Lo riferisce oggi
il quotidiano «The Express Tribune» di Islamabad.
La decisione è stata assunta
dal Governo della provincia
nord-occidentale di Khyber Pakhtunkhwa e intende così onorare le giovani vittime della Army
Public School, la scuola di figli
di militari assaltata dai terroristi
il 16 dicembre dello scorso anno.
In generale, riferisce il giornale, la decisione è stata accolta positivamente dai genitori degli studenti deceduti, anche se alcuni si
sono chiesti perché questa iniziativa ha riguardato solo centosette
dei centotrentadue giovani che
hanno perso la vita nella tremenda operazione terroristica.
Si deve ricordare che l’assalto
alla scuola di Peshawar — il peggiore massacro nella storia pakistana, con centoquarantotto morti, di cui centotrentadue bambini,
e oltre centoventi feriti — ha costituito un punto di svolta nella
lotta al terrorismo in Pakistan.
Subito dopo, infatti, sono state
intensificate le operazioni militari
contro le postazioni dei militanti
e revocata la moratoria sulle condanne a morte riguardanti gli atti
di terrorismo.
L’attacco sferrato dai talebani
del Ttp, organizzazione che raccoglie diversi gruppi di miliziani
islamisti attivi nelle aree tribali
del nord-ovest, lungo il confine
tra Afghanistan e Pakistan, venne
condannato dai talebani afghani,
che lo definirono un «atto contro
l’Islam». Nella rivendicazione,
un portavoce del Tehrek-e-Taliban Pakistan parlò di «una rappresaglia» per le continue operazioni militari contro i talebani
nella zona tribale del Nord Waziristan, non lontano da Peshawar.
sulla strada tra Al Baghdadi e Haditha. Con questi sviluppi sembra essere stata respinta anche la minaccia
che nelle scorse settimane l’Is aveva
portato alla base aerea di Ein Al
Asad, dove gli Stati Uniti hanno di
recente irrobustito la propria presenza militare. Le posizioni dei jihadisti
nella zona erano state bombardate
per giorni dagli aerei della coalizione internazionale guidata appunto
dagli Stati Uniti.
È invece la sola aviazione irachena ad appoggiare le operazioni
dell’esercito nell’area di Tikrit, nella
provincia di Salahuddin, dove l’Is è
segnalata in ritirata. Anche in questo caso a fianco delle forze governative operano milizie tribali tanto
sunnite quanto sciite. Proprio queste ultime hanno rivendicato ieri la
riconquista dell’intera area di Al
Dour, venticinque chilometri a sud
di Tikrit. In questo modo è stato
preso il controllo dell’autostrada che
collega la stessa Al Dour con Kirkuk, tagliando così una delle vie di
rifornimento dell’Is. La notizia è
stata confermata dal governatore
Per la crescita dei prezzi e le conseguenze del tifone Haiyan
Aumentano i poveri nelle Filippine
MANILA, 7. Aumento dei prezzi di generi essenziali, ma
anche le conseguenze della catastrofe provocata dal tifone Haiyan (8 novembre 2013) sarebbero le ragioni
dell’incremento della povertà registrato ufficialmente
nella prima metà dello scorso anno nelle Filippine. I
dati diffusi ieri dal segretario alla Pianificazione socioeconomica, Arsenio Balisacan, segnalano che la popolazione considerata povera secondo gli standard nazionali
è salita al 25,8 per cento, con un incremento dell’1,2 per
cento sui dodici mesi precedenti. Balisacan ha indicato
le cause della situazione nel costante aumento di prezzi
dei generi alimentari (a partire dal riso, che risente della
politica che limita fortemente le importazioni di prodotto a prezzi più bassi per favorire l’agricoltura locale) e
nel drenaggio delle già scarse risorse nazionali dovuto
agli interventi dell’emergenza per la prima ricostruzione
nelle aree centrali dell’arcipelago asiatico — a propensione agricola, ittica e turistica — devastate dal tifone
Haiyan. Tutte situazioni che, secondo il Governo, hanno cancellato i benefici di una crescita tra le più consistenti in Asia, seconda solo a quella cinese, attestatasi lo
scorso anno al 6,1 per cento.
Nei prossimi quindici anni si triplicherà il numero delle persone colpite da inondazioni
Previsto un intervento del premier indiano in Parlamento
Sull’Asia l’incubo
dei disastri climatici
Modi in visita
nello Sri Lanka
BANGKOK, 7. Nei prossimi quindici
anni, il numero delle persone colpite
in tutto il mondo dalle inondazioni
e dall’innalzamento del livello del
mare, frutto dei cambiamenti climatici, potrebbe quasi triplicare.
L’incubo di una simile prospettiva
pesa soprattutto sull’Asia, secondo i
dati diffusi dal World Resources Institute (Wri), un think-tank ambientale che si occupa di trovare un modo pratico per proteggere la terra.
Ai dati del Wri si aggiungono quelli
della Croce rossa. In una nota,
l’0rganizzazione umanitaria afferma,
infatti, che la metà dei disastri naturali dello scorso anno sono stati provocati da inondazioni.
Proprio dall’Asia — dove le calamità naturali nel decennio 2004-2014
hanno causato oltre settecentomila
morti ed enormi perdite economiche
— alcuni analisti sostengono ora che
è meglio non combattere contro la
forza della natura, ma lavorare a soluzioni di adattamento. Ed è così
che a Bangkok si sta organizzando,
per la fine di agosto, la prima conferenza internazionale sull’architettura
definita non a caso “anfibia”.
In pratica, si tratta di progettare
costruzioni che si rifacciano ai metodi tradizionali — strutture rialzate o
su chiatte o zattere — usati da popolazioni da sempre abituate ad affrontare le inondazioni.
Attacco terroristico
nella capitale del Mali
BAMAKO, 7. È di cinque morti, tra
cui un francese e un belga, e otto
feriti il bilancio della strage in un
ristorante di Bamako, capitale del
Mali. Il francese è stato ucciso nel
corso di una sparatoria nel ristorante che ospita anche un locale notturno, mentre il belga in una strada
vicina, quando gli aggressori in fuga hanno lanciato una bomba a
mano contro la sua auto. Tra le vittime dell’attentato figurano anche
un agente di polizia e una guardia
privata maliani, mentre non è chiara la nazionalità della quinta vittima, che secondo alcune fonti sarebbe a sua volta un europeo.
La polizia ha arrestato due persone per quello che appare come
un attacco terroristico di matrice
islamista. Lo confermerebbe secondo gli investigatori anche il fatto
che gli assassini hanno scelto un locale, La Terrasse, che si trova nel
provinciale, Raid Ibrahim, mentre il
portavoce del ministero dell’Interno
iracheno, Saad Maan, ha annunciato che l’offensiva sta proseguendo
oggi nella limitrofa area di Al Alam.
Nel frattempo, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha
condannato ieri duramente la distruzione da parte dell’Is del sito archeologico di Nimrud, l’antica capitale assira, che si trova a circa quaranta chilometri da Mosul, seconda
città irachena e principale roccaforte
dell’Is. «La distruzione intenzionale
del patrimonio culturale comune è
un crimine di guerra e un attacco
contro l’umanità», ha detto Ban Kimoon.
Sui fronti siriani, intanto, potrebbe essere avviata a una conclusione
positiva la vicenda degli oltre duecento cristiani assiri sequestrati
all’inizio della scorsa settimana
dall’Is nella provincia orientale di
Hasaka. Della liberazione di tutti
gli ostaggi hanno parlato ieri fonti
dell’opposizione siriana, ma non ci
sono ancora conferme.
quartiere dell’Hippodrome molto
frequentato dagli occidentali.
Si tratta del primo attentato da
molti anni a Bamako, nel sud, mentre nel nord di Mali proseguono le
violenze dei separatisti tuareg e delle milizie qaediste.
Il presidente francese, François
Hollande, ha condannato «nel modo più duro il vile attentato». Dal
canto suo, il primo ministro, Manuel Valls, ha affermato di essere
«inorridito davanti allo spregevole
attacco terrorista compiuto questa
notte a Bamako». Valls ha poi
espresso sostegno al presidente maliano, Ibrahim Boubacar Keïta, sottolineando che la Francia non cederà mai al terrorismo.
Analoga condanna dell’attentato
a Bamako ha espresso il capo della
diplomazia belga, Didier Reynders,
che ha parlato di «un’azione vile e
orribile».
Del resto, in Asia circa due miliardi di persone vivono in città e Paesi
in rapida crescita collocati in zone
costiere considerate fortemente vul-
Aiuti dalla Banca
mondiale
al Mozambico
MAPUTO, 7. Consistente iniezione
di liquidità al bilancio del Mozambico da parte della Banca
mondiale. L’istituto di Washington ha annunciato che garantirà
il bilancio pubblico del Paese africano nel 2015 con un finanziamento pari a 200 milioni di dollari. La
buona notizia è arrivata a conclusione di una missione del direttore
esecutivo della Banca mondiale,
Louis Larose, che ha spiegato che
l’istituto garantirà anche 300 milioni di dollari per progetti specifici nel campo dell’agricoltura, salute, educazione, trasporti e gestione delle risorse idriche. Anche
l’Unione europea finanzierà la ricostruzione del Mozambico devastato dalle recenti alluvioni con risorse fino a 10 milioni di euro.
nerabili, lungo i delta dei fiumi o in
aree più povere ed emarginate. Proprio quest’ultime sono quelle più
esposte alle inondazioni.
COLOMBO, 7. C’è grande attesa nello Sri Lanka per la visita, la prossima settimana, del primo ministro
indiano, Narendra Modi. Il capo
dell’Esecutivo di New Delhi sarà il
quarto premier indiano — dopo
Jawaharlal Nehru, Indira Gandhi e
Morarji Desai — a intervenire al
Parlamento di Colombo.
Oltre alla capitale, la visita prevede tappe a Jaffna, nel nord, e nella
città di Anuradhapura. Gli analisti
ritengono la visita di Modi come
un preciso segnale di cambiamento
nella politica estera di Colombo rispetto alla precedente amministrazione. I legami tra i due Paesi avevano segnato il passo durante il
Governo dell’ex presidente Rajapaksa, durante il quale erano stati
raggiunti accordi con la Cina per la
costruzione di porti, autostrade e
altre infrastrutture. E l’annuncio del
viaggio arriva dopo la decisione del
Governo di sospendere i lavori di
costruzione di un controverso progetto cinese di 1,5 miliardi di dollari
per un nuovo porto vicino a Jaffna.
Durante la visita, il premier indiano dovrebbe discutere di cooperazione di difesa e di sicurezza e
spingere per ulteriori accordi energetici, tra i quali l’approvazione di
una grande centrale termica da costruire a Trincomalee, città portuale
sulla costa orientale. L’ultima visita
nello Sri Lanka da parte di un pri-
mo ministro indiano fu nel 1987,
quando Rajiv Gandhi si recò a Colombo per firmare l’accordo di pace
indo-srilankese con l’allora presidente, J.R. Jayewardene.
Ferma in Nepal
l’amnistia
sui diritti umani
KATHMANDU, 7. Piena soddisfazione è stata espressa ieri
dall’Onu dopo che la Corte suprema del Nepal ha negato validità a una clausola che avrebbe
dato alla Commissione per la pace e la riconciliazione il potere di
chiedere l’amnistia per una serie
di gravi violazioni dei diritti
umani commesse durante il conflitto interno tra il 1996 e il 2006.
Si calcola che almeno quattordicimila persone siano morte durante il confronto armato che
oppose guerriglieri maoisti e
truppe governative, un conflitto
caratterizzato da efferate violenze e, appunto, da palesi violazioni dei diritti umani.
Migliaia di persone in fuga dai combattimenti in Nigeria tra forze africane e Boko Haram
Emergenza profughi in Camerun
YAOUNDÉ, 7. Il Camerun, impegnato con altri Paesi africani nei combattimenti contro Boko Haram in
Nigeria, sta fronteggiando anche
un’emergenza umanitaria per l’arrivo di migliaia di nuovi profughi da
oltre confine in seguito all’intensificarsi di tali operazioni militari.
Secondo quanto riferito all’agenzia Misna da fonti locali impegnate
nell’assistenza umanitaria, all’inizio
di questa settimana sono arrivate oltre diecimila persone, per metà
bambini, nella sola località camerunense di Fotokol, alla frontiera con
lo Stato nordorientale del Borno,
principale roccaforte di Boko Haram e teatro in questi giorni dei
combattimenti più intensi. Si tratta
di profughi dall’area di Dikwa, la
cittadina nigeriana frontaliera sottratta a febbraio a Boko Haram da
un’offensiva del contingente ciadia-
no, il più numeroso della forza africana alla quale forniscono truppe,
oltre alla Nigeria, anche Benin, Niger e lo stesso Camerun.
Nell’area di Fotokol già tra settembre e ottobre erano giunti almeno quarantamila rifugiati nigeriani,
quindicimila dei quali in seguito
erano rientrati in patria o erano stati
trasferiti in un campo profughi allestito duecentocinquanta chilometri
più a sud della frontiera. I nuovi arrivi accrescono la drammaticità di
una situazione che vede sia estreme
difficoltà di fornire loro aiuti alimentari sia il pericolo di insorgere
di epidemie.
In Nigeria, nel frattempo, è stata
rilasciata Phyllis Sortor, la settantunenne insegnante statunitense sequestrata lo scorso 23 febbraio da
un gruppo di uomini armati che
avevano fatto irruzione sul suo luo-
go di lavoro, la Hope Academy di
Emimoro, nello Stato centrale di
Kogi, una struttura della Free Methodist Church. La notizia del rilascio, data ieri dal sito di quest’ultima, è stata confermata dalla polizia
locale. Non sono stati riferiti ulteriori particolari. All’indomani del
sequestro gli autori avevano chiesto
un riscatto di trecentomila dollari,
ma si ignora se sia stato pagato o
meno.
Sempre in Nigeria, intanto, ha
suscitato scalpore l’attacco sferrato
da uomini armati al pullman della
squadra di calcio dei Kano Pillars,
campione nazionale, che stava portando i giocatori a disputare una
partita a Owerri. Gli aggressori
hanno aperto il fuoco ferendo cinque giocatori, tre in modo grave,
prima di fuggire portando via denaro e oggetti di valore.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
domenica 8 marzo 2015
È uno dei libri più preziosi conservati
nella Biblioteca Civica Gambalunghiana di Rimini
Contiene le tre cantiche mutile in più punti
trascritte fra gli ultimi anni del Trecento
e i primi del Quattrocento
Il declino dell’Europa
Pubblicato in facsimile il Dante Gradenighiano
Una vecchia acida
che sgrida
i bimbi dei vicini
Quando
ridono le carte
di ANTONIO PAOLUCCI
l Dante Gradenighiano (Sc-Ms.1162)
è uno dei libri più preziosi conservati nella Biblioteca Civica Gambalunghiana di Rimini e la sua duplicazione facsimilare prodotta dalla
Casa Editrice Imago (Rimini, 2015, pagine
252, 599 esemplari), è una grande opportunità per gli studiosi. Le tre cantiche della
Divina commedia, mutile in più punti, sono
state scritte e miniate fra gli ultimi anni del
XIV e i primi anni del XV secolo.
I
Una delle miniature del manoscritto
Giacomo Gradenigo, gentiluomo veneziano che fu in stretti rapporti con la famiglia dei Carraresi e tenne la podesteria di
Padova in quegli anni (fra il 1392 e il 1400),
era innamorato di Dante. Diplomatico, letterato e fine poeta cortigiano, copiò la Divina commedia, la corredò di un commento
che ripropone in forma accresciuta e più
organica quello di Jacopo della Lana e arricchì il libro di miniature. Chi sia l’autore
(o gli autori) delle illustrazioni è questione
ancora disputata nell’ambito degli specialisti (Giordana Mariani Canova e Milvia
Bollati). È indubbia tuttavia la presenza di
una cultura figurativa improntata al naturalismo padano di matrice bolognese.
Le Divine commedie illustrate con miniature che si conservano nelle biblioteche
pubbliche d’Europa e d’America, si contano a molte decine. Si capisce perché. Nessun libro — soltanto la Bibbia in misura superiore — ha sollecitato più della Divina
commedia, la traduzione figurativa. Il percorso dei tre regni con le situazioni, i personaggi, gli scenari che si moltiplicano
l’uno dopo l’altro in sequenza incessante, la
formidabile capacità descrittiva ed evocativa della lingua poetica di Dante chiedono
anzi esigono di essere messi in figura. Da
ciò la successione dei capolavori delle arti
figurative a illustrare la Commedia: da Giovanni di Paolo a Federico Zuccari, a Gustave Dorè a Salvatore Dalì.
Ma quale era l’atteggiamento di Dante
nei confronti delle arti figurative e della miniatura in particolare? Lui intellettuale, uomo dei libri che conosceva e frequentava le
grandi biblioteche universitarie e monastiche d’Europa: Bologna, Padova, Parigi,
Coira, San Gallo.
Noi lo sappiamo grazie al canto XI del
Purgatorio; è un canto di vasta desolazione,
austero, malinconico, colore di piombo e di
cenere.
È il girone dei superbi, quelli che in vita
hanno avuto un’alta opinione di se stessi;
che sono stati supponenti, sprezzanti nei
confronti del prossimo. Per contrappasso
ora scontano la loro colpa portando un peso sulle spalle. Loro che sempre in vita erano stati a testa alta, autorevoli autoritari e
superbi, ora devono chinare il capo curvi
sotto il peso. Camminano in lenta processione salmodiando il Pater noster.
È una delle parafrasi in volgare del Padre
nostro fra le più belle di quante sono state
scritte: il Padre nostro, parole di obbedien-
za e di sottomissione a Dio e insieme paroLuca Signorelli, «Dante e Virgilio entrano nel Purgatorio» (1499–1502)
le di fraternità e di misericordia verso il
prossimo: «Padre nostro che nei cieli stai /
Non circunscritto ma per più amore / Ch’ai
primi effetti di la sù tu hai / Laudato sia ‘l
tuo nome e ‘l tuo valore / da ogni creatura retta. La risposta del superbo Oderisi che versitari che parlano di patristica comparacom’è degno / di render grazie al tuo dolce sconta in Purgatorio la sua pena è: «Frate ta, di procedura penale, di diritto canonipiù ridon le carte / che pennelleggia Fran- co? Eppure le carte “ridono” e quel verso ci
vapore».
Fra i superbi Dante scorge una persona co Bolognese / l’onore è tutto or suo, e restituisce l’immagine del fiammeggiante
un tempo conosciuta. È Oderisi da Gub- mio in parte». Anche questa è una notazio- splendore della miniatura gotica, il dilagare
bio, un grande miniatore umbro della gene- ne storica di straordinaria attualità. In effet- dell’oro, del rosso cinabro, dell’azzurro di
razione precedente. Dante, uomo di libri, ti negli anni in cui Dante scrive si stava af- lapislazzuli, il rampicare delle foglie e dei
non poteva non conoscerlo. E ora lo ferma fermando, nell’altra grande capitale univer- fiori, le droleries, le scene buffe e mostruose
come facciamo noi quando, casualmente, sitaria d’Europa, a Bologna, un’interpreta- che popolano le pagine miniate. Roberto
per la strada ci imbattiamo in una persona zione molto elegante, molto raffinata e al Longhi diceva che la moderna critica d’arte
amica che non vedevamo da molti anni. Lo tempo stesso intensamente naturalistica, del nasce da questo «ridono le carte» di Dante
riconosce, lo trattiene e gli chiede in tono gotico francese grazie a pittori e a miniatu- Alighieri.
Ciò che colpisce nella Commedia della
colloquiale, quasi affettuoso: «Non se’ tu risti che si chiamavano Vitale da Bologna,
O derisi / l’onor d’Agobbio e l’onor di Dalmasio, il cosiddetto Illustratore, e quel Biblioteca di Rimini è la componente natuquell’arte / ch’alluminar chiamata è in Franco Bolognese che ancora non è stato ralistica molto forte. Prendiamo la miniatura forse più bella del libro, quella che deidentificato in opere certe.
Parisi?».
Come tutti sanno, l’incontro di Dante scrive l’incontro di Dante con le tre fiere
Notate i concetti che questi due versi
esprimono: uno di merito e uno storico. con Oderisi si conclude con la famosa com- simboliche: la pantera, la lupa, il leone. Nel
mezzo della foresta scura Dante le incontra
Quello di merito, prima di tute così le descrive: il leone che gli viene into. Dante il poeta, il letterato,
contro «con la test’alta e con rabbiosa fal’uomo di libri, riconosce che
me», la lupa «che di tutta brame sembiava
Diplomatico, letterato e poeta
la miniatura non è un mestiere
carca ne la sua magrezza» e la pantera infiartigiano, ma è un arte, un’arte
il gentiluomo veneziano Giacomo Gradenigo
ne «una lonza leggiera e presta molto che
che dà onore a chi la pratica a
copiò la Commedia
di pel macolato era coverta». Sono dodici
livello di eccellenza. L’altro
parole che ci restituiscono l’elastico passo
concetto è storico, è l’esatta
la corredò di un commento
danzante della belva e il fulvo splendore
definizione del carattere e dele arricchì il libro di miniature
giallo oro del suo mantello picchiettato di
la geografia della miniatura
nero.
europea in quegli anni.
Viene in mente l’apologo di Borges che
Siamo circa nel 1310 quando
Dante scrive questo canto del Purgatorio. parazione Cimabue-Giotto, una compara- parla di un leopardo che, prigioniero in un
Dante riconosce il primato francese nell’ar- zione sulla quale si regge ancora oggi l’in- serraglio, piangeva la sua prigionia. Lui,
te della miniatura, ai suoi giorni. Non per terpretazione critica della pittura delle ori- abituato agli spazi immensi della savana, al
nulla, con straordinaria finezza filologica, gini: «Credette Cimabue ne la pittura / te- vento caldo dell’Africa, all’odore delle antiusa il verbo francese enluminer per indicare ner lo campo, e ora ha Giotto il grido, / sì lopi e delle gazzelle, è costretto ora a vivere
in pochi metri quadrati, circondato da sbarla pittura su carta, non l’italiano “miniare”. che la fama di colui è scura».
Ma il cuore poetico di questo incontro di re di ferro, girando in tondo, incessantePerché questo? Perché il cuore, il laboratorio e la vetrina della grande miniatura euro- Dante con Oderisi sta in quel verso straor- mente. «Perché ho meritato questo castigo,
pea di fine 1200 inizio 1300 era Parigi, dove dinario, una metafora per indicare l’arte quale peccato ho commesso?», si chiedeva
editori e miniatori servivano i professori e della miniatura che è quasi un ossimoro: il leopardo. Una notte il dio dei leopardi
gli studenti della più grande Università del- «Frate più ridon le carte / che pennelleggia gli apparve in sogno e gli disse: «non inula Cristianità, la Sorbona. Questo Dante lo Franco Bolognese». Ma come fanno a ride- tilmente tu soffri prigionia perché sei stato
sapeva bene e lo sapeva per esperienza di- re miniature che illustrano severi testi uni- destinato a dare un verso al poema».
Un libro intervista dedicato all’italianista Ezio Raimondi scomparso un anno fa
Il Manzoni di Thomas Mann
di SILVIA GUIDI
«Molte delle conversazioni che Raimondi ha intrattenuto con noi sono avvenute
camminando. Il riserbo gentile con il
quale proponeva “Mi accompagna...”
implicava subito un procedere affiancati
al suo passo» scrivono Alberto Bertoni e
Giorgio Zanetti nella postfazione al libro
Camminare nel tempo (Bologna, il Mulino, 2015, pagine 205, euro 15) dedicato al
grande filologo, saggista e critico letterario scomparso il 18 marzo di un anno fa.
Una volta paragonò se stesso
all’anziano lama amico di Kim
nel romanzo di Kipling
Un compagno di strada più esperto
che cammina insieme ai giovani
Una volta Ezio Raimondi paragonò se
stesso all’anziano lama amico di Kim, il
protagonista del romanzo di Kipling: un
compagno di strada più esperto che ha
esplorato prima certi territori e che fa da
guida, compiendo con gli amici più giovani un tratto di cammino insieme, con
la sola autorità della propria esperienza
e nel rispetto assoluto dei modi di vedere e delle prospettive individuali. Per
questo il dono più prezioso lasciato ai
suoi sono i ricordi più personali, mai appunti di gossip letterario, ma sempre testimonianze capaci di restituire il sapore
e l’atmosfera di un’epoca. E di aprire finestre su mondi scomparsi.
«Mi trovavo a un convegno che si teneva al Teatro Comunale di Bologna,
dedicato a Oberto conte di San Bonifacio, il primo melodramma verdiano —
racconta Raimondi ai suoi ex allievi in
una delle conversazioni raccolte sotto il
titolo «Figure della modernità: Serra,
Manzoni, Céline» — e l’unico argomento
che sentivo di poter toccare erano certi
rapporti tra Manzoni e Verdi. Ora, uno
dei presenti, un ragguardevole direttore
d’orchestra ungherese, Zoltan Peskó, mi
raccontò di aver saputo da Luigi Dallapiccola — il grande musicista che era stato maestro di pianoforte della figlia di
Thomas Mann — che uno dei pochi libri
che il vecchio Mann continuava a rileggere erano proprio I promessi sposi».
Di questo esisteva anche un riscontro
testuale, continua Raimondi con il consueto understatement «di cui avrei dovuto
accorgermi subito, alla prima lettura; riscopersi invece solo più tardi (ma il
mondo della letteratura non è fatto di
letture e riletture?) che nel Doctor Faustus, il romanzo in cui si riverbera l’apocalissi della Germania nazista, a un certo
punto si evoca proprio Manzoni: nella
serie di autori che costituiscono la biblioteca del giovane Adrian Leverkühn,
questo musicista d’avanguardia radicalmente antiumanista e antiborghese, insieme con Shelley e Keats, Hölderlin e
Novalis, Goethe e Schopenhauer, figura
anche l’autore dei Promessi sposi».
Che il mondo manzoniano incrociasse
sia pure per un istante l’eroe mefistofeli-
co e ribelle del romanzo di Mann, segnato oltretutto da una «dannata inclinazione» alla parodia — continua il filologo — è un’altra riprova di un testo
molto più radicale e intenso di quanto
solitamente non si sia avvertito nella tradizione italiana, che ha sempre letto
l’autore milanese in termini riduttivi,
tranne poche luminose eccezioni, come
Carlo Emilio Gadda.
La prosa del Manzoni è un «testo
straordinariamente astuto — spiega Raimondi, sapendo di stupire l’interlocutore
— prismatico, pluriprospettico, di cui si
doveva captare il respiro mobilissimo, fra
rallentamenti e scatti fulminei, così come
lievita entro le parole sospingendole
quasi l’una nell’altra. Più procedevo su
questa strada e più sentivo la funzione
moderna del discorso manzoniano, alla
quale anche Gadda forniva elementi di
straordinaria novità e di straordinaria intensità. E a questo punto maturava, sempre più forte, la concezione che proprio
dentro il linguaggio si dovesse operare il
riconoscimento di quella che a me appare l’indiscutibile genialità manzoniana».
Vale anche per Manzoni, ribadisce
l’italianista bolognese, ciò che aveva detto Friedrich Schlegel: la scena di un
buon romanzo è il linguaggio in cui viene scritto, è nel dramma delle parole che
si gioca e si misura l'invenzione.
Una parola intensa da esplorare nelle
sue sfaccettature e implicazioni multiple,
come la superficie di un’acqua profonda,
avrebbe detto Wittgenstein, che invita
l’interprete a mettersi in gara con la profondità che è nella superficie del testo.
«Visto dall’altra parte
dell’Atlantico, dove la grande
recessione è stata in gran parte
superata, il Vecchio continente
assomiglia sempre più a
un’anziana signora che è scivolata
e fatica a rialzarsi». È questa la
metafora usata da Arthur Brooks,
presidente del Washington
American Enterprise Institute —
intervistato da Elena Molinari su
«Avvenire» del 7 marzo — per
descrivere l’Europa degli anni
Dieci del Duemila. L’immagine
non è affatto rassicurante: secondo
Brooks, infatti, non si tratta di una
nonnina indifesa che tende la
mano, «quanto di una vecchietta
acida che agita il bastone e urla ai
bambini dei vicini di non
calpestarle le aiuole». Un’analogia
non del tutto dissimile da quella
sollevata anche da Papa Francesco
nel suo discorso al Parlamento
europeo lo scorso novembre. In
quell’occasione il Papa ha
paragonato l’Europa a una donna
anziana non più vitale e non più
fertile, sempre più stanca e
disorientata.
La sorella di Virginia Woolf
Così vicine
così diverse
Anche attraverso lo scandaglio
della personalità della sorella
Vanessa è possibile fare luce sulla
tormentata personalità della
scrittrice inglese Virginia Woolf:
sicura di sé l’una, angustiata dal
dubbio l’altra. Da questo divario
trae forza il libro Vanessa and Her
sister di Prya Parmar (New York,
Ballantine Books, 2014, pagine
348, dollari 26). Raramente,
sottolinea «The New York Times»,
si incontra una donna capace di
suscitare tanta ammirazione, come
nel caso di Vanessa, apprezzata
pittrice e uno dei membri di
maggior spicco del celebre
Gruppo di Bloomsbury. A tesserne
gli elogi è la stessa Virginia, che in
qualche modo ne invidia la
capacità di «fissare saldi gli
ormeggi» nel mare della vita. Non
a caso uno dei romanzi più noti
La pittrice Vanessa Stephen Bell
della scrittrice s’intitola Le onde: i
personaggi parlano, attraverso
soliloqui assai tormentati, dei
concetti dell’io e della comunità,
nel segno di un disagio
esistenziale che stenta a trovare
conforto. Virginia usava tenere un
diario, concepito come una sorta
di salda ancora in mare aperto; i
carteggi di Vanessa invece, che
avevano per principali destinatari
le maggiori figure letterarie del
tempo, trattano solo di temi
letterari e sociali. (gabriele nicolò)
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 8 marzo 2015
pagina 5
I dati dell’Ufficio personale
Più donne in Vaticano
Il numero delle donne che lavorano in
Vaticano è cresciuto costantemente negli ultimi
anni. Se nel 2004 quasi il 13 per cento del
personale al servizio del Papa nella Città del
Vaticano era composto da donne, nel 2014
questa percentuale è salita a più del 19. La
crescita maggiore, secondo i dati forniti
dall’Ufficio del personale della Santa Sede, è
avvenuta al Governatorato, dove sono quasi
raddoppiate negli ultimi dieci anni, passando
da 195 a 371. Del tutto simile l’andamento
presso il personale che fa riferimento all’Apsa,
l’Amministrazione del Patrimonio della Sede
Apostolica: nel 2014 lavoravano tra gli
impiegati della Curia e degli enti collegati,
come ad esempio L’Osservatore Romano, 391
donne, oltre il 18 per cento del personale.
Quattro anni fa, nel 2011, erano invece
impiegate 288 donne, che rappresentavano il 17
per cento del totale. La crescita delle
assunzioni di personale femminile è stata più
consistente di quella del personale maschile.
Le suore Luigine a Viù con le bambine loro affidate
La storia delle suore del Cottolengo
«Alla religiosa sta bene il rosario
ma non il giornale»
di SILVIA GUSMANO
e Le sorelle dei poveri –
Storia delle suore del
Cottolengo: un modello
femminile di carità (Milano, Rizzoli, 2014, pagine 319, euro 18), Giuliana Galli restituisce alle donne della Piccola Casa di Torino il ruolo di indiscusse,
seppur silenziose, protagoniste di
una straordinaria opera di fede e servizio. L’avventura raccontata, infatti,
è quella di un variegato esercito femminile — oltre tredicimila suore in
quasi due secoli — che ha diffuso in
Italia e nel mondo l’insegnamento di
Giuseppe Benedetto Cottolengo e
ha lasciato ai pochi uomini che le
hanno guidate il privilegio di essere
ricordati e omaggiati dalla storia.
A rendere la lettura avvincente è il
carattere paradigmatico dell’esperienza di queste suore, che nella loro
paziente subordinazione, ben rappresentano la parabola storica della
donna tra Otto e Novecento, dentro
e fuori la Chiesa. E, al contempo,
l’intraprendenza e la genialità di
quante, generazione dopo generazione, hanno allargato la sfera di autonomia delle cottolenghine.
La prima sorpresa sta nello scoprire fino a che punto la co-fondatrice
della Piccola Casa della Divina
Provvidenza, Marianna Pullini vedova Nasi, ebbe un ruolo decisivo al
fianco di Cottolengo. «Le due grandi personalità — scrive suor Giuliana
— condividevano le responsabilità
nei confronti delle figlie (…). Modelli spirituali, modelli pratici, entrambi insegnarono un cammino che
fu raccolto con entusiasmo». Purtroppo però la figura di questa prima “madre”, quotidianamente legittimata dal santo di Bra non fu da lui
istituzionalizzata. Alla morte dei due
N
speciali di sorvegliante e guardarobiera «non potendo neppure esse —
recitano le Regole — spedire o ricevere lettere senza che queste sieno
state prima viste dal superiore».
A pagare le conseguenze più pesanti di quest’applicazione rigida del
principio di autorità, le prime suore
missionarie, costrette a seguire in
Kenya, in condizioni di vita e di lavoro estreme, regole stabilite sulla
carta a mille miglia di distanza. Emblematico e rivelatore l’atteggiamento contrariato del loro superiore alla
notizia di alcune modifiche apportate per necessità all’abito sacro e la
pretesa di limitare i cambiamenti a
una stoffa più leggera e a scarpe più
alte per attraversare la giungla.
Dunque a fronte di una pratica religiosa sempre più intraprendente e
sempre più femminile — l’O ttocento
è «il secolo in cui Dio cambia genere», secondo la definizione di Jules
Michelet — gli uomini si arroccano
sulla difesa delle gerarchie. Nella
Piccola Casa, come quasi ovunque, i
grandi cambiamenti in atto si accompagnano «a un governo sempre
e comunque di sesso maschile». Gli
L’avventura di un esercito femminile
che ha diffuso in Italia e nel mondo
l’insegnamento di Cottolengo
E che ha lasciato ai pochi uomini
il privilegio di essere ricordati
fondatori, i “padri” che si successero
accentrarono il potere decisionale
nelle proprie mani, sino a raggiungere il paradosso: «Via via che le suore
diventavano sempre più il cuore pulsante di tutta l’opera (…), perdevano progressivamente voce in capitolo
nelle decisioni importanti, nell’autonomia di azione».
Le suore aumentano, diversificano
le proprie missioni e si spingono
sempre più lontano dalla Piccola
Casa per aiutare malati, bambini, disabili, «giovani pericolanti», madri
in difficoltà. Si assumono, talvolta
giovanissime, sole in luoghi sconosciuti, enormi responsabilità e mosse
solo da amore e dedizione rivelano
«una verità sull’umanità che generalmente è tenuta nascosta agli occhi
del mondo: la verità del sacrificio
della vita in cambio di altra vita».
Per i loro padri tuttavia sono sempre figlie sprovvedute da controllare
e redarguire, mentre alla madre vengono lasciate le uniche mansioni
uomini hanno paura. Paura di essere
scavalcati e di perdere il controllo e
anche le guide più illuminate vivono
la modernizzazione con grande ambiguità.
Così padre Roetti se da una parte
incentiva la preparazione professionale delle suore, dall’altra afferma: la
religiosa che «per necessità deve
parlare, oppure trattare con un sacerdote, deve sempre tremare». Il
suo successore padre Ferrero, ricordato con gratitudine per aver portato acqua corrente e luce alla Piccola
Casa, mette in guardia invece le sue
figlie dalla lettura dei quotidiani:
«Alla religiosa — ricorda — sta bene
in mano il Rosario (…), ma non il
giornale». A fare le spese di questa
ambiguità, madre Marianna Scalvino, superiora di particolare spessore
che, precorrendo i tempi, assume il
ruolo di guida e formatrice delle sue
sorelle. «La sua figura decisamente
carismatica — scrive Galli — cominciava a provocare tra i membri più
anziani e tradizionalisti del clero cottolenghino un disagio profondo» e
così da un giorno all’altro, nel 1894,
viene mandata in provincia di Trevi-
so, dove rimane quasi in isolamento
sino alla morte, nel 1911. Sono gli
anni in cui madre Francesca Cabrini
percorre in lungo e in largo gli Stati
Uniti e le cottolenghine, che sempre
più numerose continuano a dedicare
la propria vita al prossimo, conquistano una certa autonomia solo lontano dalla casa madre.
Maria Gesuina Castigliano, «eccellente
organizzatrice,
abile
nell’economia gestionale», in un anno di lavoro con altre venti suore,
trasforma gli Spedali Riuniti di Livorno in una struttura altamente efficiente, in grado di affrontare le
peggiori emergenze: il colera, la
grande guerra, la spagnola. E la guida sino al 1954, ottenendo numerosi
e importanti riconoscimenti dalle autorità civili. Sulla stessa scia, nel
drammatico frangente della guerra
di resistenza, suor Delfina che mette
ripetutamente a rischio la propria vita, con altre sorelle, per curare e assistere tutti i feriti che bussano alla
porta dell’ospedale di Giaveno, vicino Torino: fascisti e partigiani, italiani e tedeschi. «I ragazzi della Repubblica — racconta una volontaria
— li mettevamo in corsia, mentre i Ceccotti osserva da vicino la realtà
ragazzi della montagna, i partigiani, delle suore Rosminiane e matura la
li avevamo nascosti». Sopravvissuta convinzione che anche per le sue soa un ordine di fucilazione (revocato relle sia giunto il momento di voltaall’ultimo istante) e a numerose per- re pagina.
quisizioni, la coraggiosa figlia di
Scrive suor Lucia: «Non bastava
Cottolengo è oggi ricordata a Giave- leggere ed essere convinte della neno dalla via a lei intitolata: Via Suor cessità di aprirci (…), non bastava
neanche pregare soltanto. Il Signore
Delfina, mamma dei partigiani.
Altrettanto sorprendenti le gesta chiedeva qualcosa in più, chiedeva il
di quante, numerose, nello stesso pe- coraggio di parlare, di convincere e
riodo offrono rifugio agli ebrei. Nel di spiegare». Il suo coraggio, accolto
manicomio di Racconigi, la signora e assecondato sia dalla madre geneSegre e sua figlia vengono prima in- rale che da padre Bernardo Chiara,
ternate in stretto isolamento al fine segna l’inizio di una nuova stagione
di confonderle con i pazienti e poi, per la Piccola Casa, in concomitanza
durante una perquisizione,
nascoste nel padiglione della clausura con indosso gli
A lungo i padri hanno avuto paura
abiti sacri.
Finita la guerra, tuttavia,
di essere scavalcati
anche nella casa madre, le
Anche le guide più illuminate
suore tornano a essere artefici del proprio destino. La
hanno vissuto la modernizzazione
strada era stata aperta negli
con grande ambiguità
anni Trenta da suor Scolastica Piano, «donna autonoma, dotata di grande spirito di iniziativa, libera e idealista» con l’approvazione ecclesiastica della
ed era proseguita nella fase della ri- Congregazione (1959). Da allora le
costruzione con suor Teresa Guasco, Suore di San Giuseppe Cottolengo,
una contadina con la passione per lo non hanno mai smesso di cogliere i
studio cui era stato impedito di lau- segni del tempo, intervenendo con
rearsi dal suo assistente spirituale.
intelligenza e spirito di carità anche
Una volta divenuta madre genera- in tanti nuovi contesti di emarginale, suor Teresa offre alle sue novizie zione, ignoranza e miseria. Oggi sola possibilità di una formazione no presenti nel mondo con oltre 160
completa, laurea compresa. Ed è comunità, al fianco di quanti, in raproprio nell’ambito di un corso pro- gione della loro fragilità, considerafessionale che nel 1954 suor Lucia no fratelli da accudire.
Maria Gaetana Agnesi e Laura Bassi
Pioniere della scienza
di FLAVIA MARCACCI
Donne che collaborano con uomini, come è
ovvio che sia, perché non sanno solo emozionarsi ma anche pensare. Negli ambienti
di lavoro ma anche in casa una donna pensa
e progetta, come quando organizza la famiglia, soprattutto se numerosa. Proprio come
le donne del libro dei Proverbi che amministrano bene l’economia domestica e sanno
anche impegnarsi negli affari dell’agricoltura: per questo «in lei confida il cuore del
marito» (31, 11). Donne che nel loro modo
di pensare mettono ovviamente una attitudine da donne. Ma senza indugiare troppo su
cosa sia questa attitudine o, volendo provarci, sapendo fare tutte le distinzioni necessarie. Perché non ci sono donne in astratto,
come idee disincarnate dalla storia. Ci sono
invece donne concrete che hanno scritto la
storia: sia la storia di generazioni di famiglie, sia, non appena è stata loro concessa
una minima possibilità, la storia del loro
tempo.
Oggi le donne sono più partecipi alla vita
pubblica, sebbene con grandi sacrifici umani: in particolare se hanno una famiglia perché né la maternità né ancor meno la paternità sono riconosciuti come valori collettivi,
perché solo un uomo e una donna insieme
fanno la pienezza della relazione genitoriale.
In ogni caso, quel poco o tanto che oggi viviamo come donne è grazie alle pioniere di
ieri. E nella scienza italiana proprio due
donne cattoliche sono state vere e pioniere
nel Settecento italiano che cercava di aprirsi
alla scienza sperimentale: una laica, Maria
Gaetana Agnesi, e una sposa, Laura Bassi.
Infatti dopo la vittoria di Newton su Descartes, definitiva solo dopo che Maupertuis
partì all’avventura in Lapponia (1736) per
calcolare la lunghezza di un grado di meridiano e stabilire la vera forma della Terra
(un geoide, come un pallone schiacciato ai
poli), la fisica newtoniana si diffonde in tut-
ta Europa. In Italia queste due donne hanno avuto un ruolo speciale.
Maria Gaetana Agnesi (1718-1799) è così
famosa che Google lo scorso anno le dedicò
un doodle nell’anniversario della nascita: fu
il padre che ne comprese le particolari doti,
volendo che Maria Gaetana studiasse, contro la mentalità che escludeva le donne da
tali occupazioni. Così la ragazza studiò matematica, calcolo infinitesimale e in generale
la scienza del tempo, tanto da scrivere una
introduzione ai lavori di Eulero che ebbe
grande fortuna. Inventò una curva nota agli
inglesi come Witch of Agnesi, confondendo il
nome dato dalla donna alla sua invenzione:
“versiera”. La versiera è una sorta di campana, simile a una curva di Gauss, ottenuta
Maria Gaetana Agnesi (1718-1799)
componendo opportunamente una circonferenza e un fascio proprio di rette.
Agnesi ci parla anche di uno stile cristiano attento ai bisogni sociali: vocata alla vita
monacale restò ad accudire il padre, ed era
molto conosciuta per il costante esercizio
della carità che la portò a fondare un piccolo ospedale. Studiò la Sacra Scrittura e meritò grande fama: «Lustro al nome di lei,
all’Italia e gloria cristiana» recita una iscrizione a lei dedicata.
Laura Bassi (1711-1778), sollecitata e particolarmente sostenuta dal cardinale Lambertini poi Benedetto XIV, fu la prima donna ad
avere incarichi scientifici in accademie e addirittura prima donna al mondo a ricoprire
una cattedra universitaria, prima in filosofia
e poi in fisica sperimentale. La grandezza
della sua figura è stata oggetto di un raffinato volume curato da due famose studiose,
Luisa Cifarelli e Raffaella Simili (Laura
Bassi. Emblema e primato nella scienza del
Settecento, Bologna, 2012). Bassi scrisse di
calcolo infinitesimale e di meccanica. Simbolo di un cattolicesimo illuminato che fece
grande proselitismo oltralpe, questa donna
diffuse uno stile femminile cristiano in ambiti dove spesso giungeva soltanto l’Illuminismo ateo e dove era spesso l’unica donna.
Laura Bassi ci parla anche di una modalità cristiana di vivere la famiglia in un tempo
in cui ancora non si parlava di Vangelo della famiglia: con il marito Giuseppe Veratti
ebbe otto figli e un laboratorio in casa dove
impartire lezioni private di fisica sperimentale. Una comunione capace di promuovere
la collaborazione e fare della coppia il punto di forza di ognuno dei due coniugi, al
punto che il marito subentrò sulla sua cattedra dopo la morte della donna. Una comunione intellettuale nutrita della comunione
di vita, uno stile di vita che oggi la Chiesa
indica ai coniugi cristiani, ma non solo a
loro.
Queste donne scienziate e credenti, capaci
di coniugare pensiero e carità, rigore e affet-
Una pellegrina
d’eccezione
in Argentina
Emma Morosini, 91 anni compiuti
a gennaio, lombarda, sta
percorrendo a piedi le strade
dell’Argentina dall’estremo nord
verso Buenos Aires, suscitando
curiosità e ammirazione nei
villaggi dove si ferma per passare
la notte. Partita il 27 dicembre
dalla provincia di Tucumán “la
nonna pellegrina”, come viene
chiamata dai media, intende
arrivare il 17 marzo a Luján,
cittadina non molto lontana da
Buenos Aires dove si trova il
celebre santuario mariano. La
donna, che nel 2013 ha scritto un
libro intitolato Pellegrina
d’eccezione 1300 km a piedi
(Castiglione delle Stiviere,
PresentARTsì, pagine 160, euro
10), viaggia con un piccolo trolley
e un giubbotto con l’immagine di
Papa Francesco.
ti, ci parlano infatti di una ricchezza che arricchisce il mondo perché pensata in scambio e interazione con il mondo maschile.
Nel Settecento la peculiarità femminile
non era accolta, e patirà a lungo molte chiusure. Queste donne trovarono una via cristiana per avere un loro spazio, fedeli alla libertà che solo il Vangelo può dare. La
scienza dimostra che in natura tutto è interazione tra campi di forze; così nella vita
delle società umane, tutto è reciprocità tra
maschile e femminile, mai riducibile a schemi e funzioni bensì esercizio costante per
pensare la differenza come ricchezza e come
esperienza concreta di accoglienza verso
ogni diversità.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
domenica 8 marzo 2015
I vescovi allarmati dalle divisioni politiche che minacciano l’unità del Paese
L’egoismo schiaccia
il popolo del Mozambico
I fatebenefratelli tra i malati d’ebola in Africa occidentale
Frontiere dell’ospitalità
di JESÚS ETAYO ARROND O
L’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio, conosciuto anche come fatebenefratelli, sta celebrando
in tutto il mondo l’anno delle vocazioni all’ospitalità. Tradizione
sempre attuale della nostra missione ospedaliera, l’ospitalità è il carisma del nostro fondatore, del quale
l’8 marzo ricorre la memoria liturgica.
Il capitolo generale dell’ordine,
celebrato nel 2012 a Fátima, aveva
dato la sua approvazione alla celebrazione di questo anno speciale,
su proposta del gruppo dei giovani
confratelli e collaboratori. Gli
obiettivi sono da una parte celebrare e rivitalizzare l’ospitalità e
dall’altra promuovere e incoraggiare la vocazione a questo carisma,
come religiosi e come laici, nella
Chiesa e in tutti i luoghi in cui il
nostro ordine è presente: quasi
quattrocento opere assistenziali e
servizi in 53 nazioni.
Un’immagine evangelica attuale
che definisce l’ospitalità è la risposta data all’epidemia di ebola in
vari Paesi dell’Africa occidentale.
Quattro nostri confratelli, una religiosa delle missionarie dell’Immacolata e tredici nostri collaboratori
sono morti dopo essere stati contagiati dal virus assistendo i malati
negli ospedali gestiti dall’ordine in
Liberia e Sierra Leone.
Fedeli alla loro vocazione, i nostri confratelli e i collaboratori hanno preferito non abbandonare al
proprio destino la popolazione colpita da questo virus mortale, e sono rimasti al loro posto. La radicalità della loro dedizione li ha portati a perdere la vita, mentre molti
altri confratelli e collaboratori, pur
affranti dal dolore, hanno continuato e continuano ancora a dare
assistenza, come testimoni profetici
e samaritani dell’ospitalità, e cioè
come segni dell’amore e della presenza di Dio accanto alle persone
che soffrono la durezza di questa
tragedia.
Nell’Anno delle vocazioni all’ospitalità ho registrato un videomessaggio in cui invito in particolare i confratelli a celebrare e a vivere con gioia e con convinzione
piena la nostra vocazione di consacrati nell’ospitalità, specialmente
quest’Anno della vita consacrata in
cui la Chiesa ci chiama a vivere
con maggior forza la nostra consacrazione religiosa.
Nel contempo, invito tutti i collaboratori che fanno parte della famiglia di san Giovanni di Dio —
operatori professionali, volontari e
benefattori — a partecipare con impegno all’anno vocazionale. Il carisma dell’ospitalità è un dono che ci
concede il Signore affinché sia vissuto in diversi modi e opzioni di
vita, oltre a quella religiosa. In
molti si sentono attratti dalla missione di ospitalità che realizza
l’Ordine e con la quale si identificano, e che li fa appartenere a questa nostra famiglia religiosa.
Nel rivolgermi ai giovani e a tutte le persone sensibili all’ospitalità,
li invito ad aprire il loro cuore e ad
ascoltare la voce dell’ospitalità. Il
mio messaggio va, in particolare, a
quanti, inquieti e anticonformisti,
sono alla ricerca di una società diversa, e a quanti sono immersi nel
Presenti
in oltre cinquanta
nazioni
I fatebenefratelli contano oggi
cinquanta centri in 52 nazioni.
Il loro priore generale — del
quale pubblichiamo in questa
pagina un articolo — ha
ricevuto a Bruxelles il «Premio
del cittadino europeo» per
l’anno 2014. Si tratta di un
riconoscimento che
il Parlamento europeo
attribuisce annualmente a
singoli individui o istituzioni
che profondono un impegno
eccezionale per favorire la
convivenza e l’integrazione tra i
popoli degli Stati membri,
attraverso azioni quotidiane
che mettono in pratica i valori
della dignità umana, della
solidarietà e della tolleranza.
Valori che affondano le radici
negli insegnamenti del
fondatore, san Giovanni di
Dio, la cui opera prosegue
nell’impegno di oltre mille
religiosi e circa centomila tra
collaboratori e volontari.
rumore e nella frenesia del virtuale
e in un’infinità di esperienze che
non riempiono la vita. A ciascuno
di loro dico: unisciti all’ospitalità.
Potrai scoprire Cristo che ti chiama
e ti dice: «Sei importante per me,
ti amo e conto su di te». Nella nostra famiglia potrai trovare ciò che
stai cercando, dedicandoti generosamente al servizio delle persone
più fragili della terra.
L’ospitalità di san Giovanni di
Dio è costruire il mondo servendo
e amando, accogliendo e curando
gli altri. Questa è la nostra missione, che oggi sta crescendo grazie
anche alla recente fusione con la
congregazione dei Piccoli fratelli
del Buon Pastore (fondata nel 1961
da un nostro ex-confratello, fra
Mathias Barret). La cerimonia ufficiale si è tenuta lo scorso gennaio
ad Albuquerque, in New Mexico
(Stati Uniti). Questa fusione è arrivata al termine di un processo durato più di tre anni, e ha ottenuto
il permesso della Santa Sede. Nel
corso della celebrazione, 25 religiosi dei Piccoli fratelli hanno professato il quarto voto, quello
dell’ospitalità, ed è stata proclamata la costituzione di una nuova
provincia, la provincia del Buon
pastore in Nord America. La maggior parte delle comunità e dei
centri della nuova provincia si trova in Canada e negli Stati Uniti,
con una casa ad Haiti e un’altra a
Londra.
La fusione rappresenta per l’O rdine di San Giovanni di Dio un
impulso e un motivo di speranza
per il carisma e la missione di ospitalità che realizza ogni giorno. Al
di là dei dati statistici, va sottolineato che si integrano nel nostro
ordine diverse opere di tipo sociale
e socio-sanitario molto importanti,
che arricchiscono la risposta di
ospitalità che oggi la Chiesa e il
mondo ci chiedono. Esse ci aiuteranno a consolidare questa linea di
missione, iniziata già da vari anni.
La fusione ci apporta una grande
ricchezza, e di questo non possiamo che rendere grazie al Signore.
Accogliamo i nostri nuovi fratelli
con ospitalità, la cosa più vera che
abbiamo: essi sono già nostri confratelli, siamo tutti fratelli di san
Giovanni di Dio, e assieme ai nostri collaboratori formiamo un’unica famiglia, la famiglia ospedaliera
di san Giovanni di Dio.
Testimonianza del presidente di Pax Christi Italia
Quel desiderio di ricostruire Gaza
GAZA, 7. «Sono senza parole; non
avevo mai visto ciò che ho visto
adesso, né mai ascoltato ciò che ho
ascoltato ora»: comincia così il racconto all’agenzia Misna di monsignor Giovanni Ricchiuti, vescovo
di Altamura - Gravina - Acquaviva
delle Fonti e presidente di Pax
Christi Italia, al ritorno da tre giorni trascorsi nella Striscia di Gaza.
Scopo della visita è stato quello
di manifestare sostegno alle attività
dell’associazione Vento di terra, nel
quadro della campagna «Ponti non
muri» promossa da Pax Christi International. Un viaggio attraverso
il dolore, ma anche in una regione
dove, nonostante tutti i lutti e le
distruzioni, la violenza non è riuscita a seppellire la speranza.
I danni anche materiali dopo la
guerra di luglio e agosto sono incalcolabili. L’Organizzazione non
governativa Oxfam ha stimato addirittura che per ricostruire Gaza ci
vorrà più di un secolo. Monsignor
Ricchiuti riferisce comunque di un
«panorama desolante. Sono stati
rasi al suolo interi quartieri, le
bombe hanno buttato giù interi
palazzi, le pareti delle abitazioni
sono state crivellate dai colpi di
mitragliatrice esplosi durante l’invasione di terra dei soldati. Mi sono tornate alla mente le foto in
bianco e nero delle città distrutte
in Europa durante la seconda guerra mondiale».
Nel suo viaggio, il presidente di
Pax Christi Italia ha visitato dap-
prima Gaza, all’indomani del decimo anniversario della costruzione
del muro in Cisgiordania. Successivamente si è recato a Beit Hanoun
e in diversi villaggi. «A Gaza City
abbiamo visitato i quartieri distrutti, poi il porto. Abbiamo incontrato i pescatori e abbiamo chiesto loro cosa provassero per la guerra e i
bombardamenti, se covassero un
desiderio di vendetta verso Israele.
Ci hanno risposto: “Non possiamo
dimenticare, ma vogliamo ricostruire le nostre città, per i nostri figli”».
Adesso, ha concluso monsignor
Ricchiuti, «bisogna aiutare questo
desiderio, porre fine all’embargo e
far sì che Gaza non sia mai più
una prigione a cielo aperto».
MAPUTO, 7. «L’unità nazionale è
minacciata dall’egoismo e dalle divisioni politiche». È quanto denunciano i vescovi del Mozambico in un
messaggio pubblicato al termine
della riunione del consiglio permanente della Conferenza episcopale,
svoltasi nella capitale Maputo.
I presuli sottolineano che «il consolidamento dell’unità nazionale,
che è un bene prezioso per tutti,
una ricchezza a cui non possiamo
rinunciare, non può mai essere considerato come il monopolio esclusivo di alcuni gruppi chiusi in se stessi e ossessionati dalla cupidigia del
potere politico ed economico». E
manifestano tutta la loro preoccupazione: «Attualmente, a causa della
politicizzazione della maggior parte
delle istituzioni dello Stato, cresce
vertiginosamente il numero delle
persone escluse dal processo decisionale e l’attuale Governo risulta
essere sempre meno in grado di realizzare gli obiettivi fondamentali
sanciti dalla Costituzione».
Nonostante la carta fondamentale
preveda «la creazione di una società
giusta e la realizzazione del benessere materiale e spirituale della nazione, la difesa e la promozione dei diritti umani e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge», nella realtà — ricordano i vescovi — «si assiste
alla palese ingiustizia di una maggioranza di poveri schiacciata da
una minoranza arricchitasi disonestamente, che vive nel lusso; alla
mancanza di trasparenza nello sfruttamento delle risorse naturali e al
disprezzo totale dell’ambiente; alla
sottrazione della terra agli agricoltori locali per l’attuazione di megaprogetti che favoriscono solo le
multinazionali straniere e una minoranza insignificante di cittadini mozambicani; all’ambizione eccessiva
dei funzionari pubblici che fanno
della corruzione, del saccheggio e
del riciclaggio di denaro il loro modus vivendi; all’uso della forza,
dell’arroganza e dell’intolleranza per
imporre le proprie idee».
«Tutto questo — aggiungono —
rende la nostra “unità nazionale”,
sempre più labile e ci impedisce di
essere una vera famiglia, in cui ogni
membro è preoccupato del benessere degli altri».
I vescovi concludono auspicando
un deciso cambiamento di rotta, al
fine di «includere nel processo decisionale la maggioranza dei cittadini,
per tenere conto delle esigenze di
tutti, specialmente dei più poveri».
I presuli raccomandano anche la
promozione di «un’istruzione seria e
di qualità che permetta a tutti i cittadini di trasformarsi in agenti dello
sviluppo del Paese».
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 8 marzo 2015
pagina 7
Il memoriale dei martiri
a Nagasaki
Nomina episcopale
in Martinica
Nel centocinquantesimo anniversario della scoperta dei “cristiani nascosti” del Giappone
Il cardinale Quevedo
inviato del Pontefice a Nagasaki
Com’è noto, lo scorso 18 gennaio è stata pubblicata la
nomina del cardinale Orlando B. Quevedo, O.M.I.,
arcivescovo di Cotabato (Filippine), a inviato speciale del
Papa alle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario
della scoperta dei “cristiani nascosti” del Giappone, previste
a Nagasaki dal 14 al 17 marzo. Il porporato sarà
Venerabili Fratri Nostro
ORLAND O BERTRAMO
Cardinali QUEVED O, O.M.I.
Archiepiscopo Metropolitae Cotabatensi
S.R.E.
Fideles dilectam terram Iaponiae incolentes
sollemniter CL anniversariam memoriam celebrant inventionis christianorum qui secreto
CCL annos spiritale iter assidue sunt prosecuti atque Domini verba studiose in corde conservaverunt, thesaurum fidei in progenies et
progenies diligenter tradentes. Nosmet Ipsi
illos in Audientia generali mense Ianuario
praeteriti anni memoravimus, de vexationibus in Ecclesiam in Iaponia loquentes deque
martyrum testimonio magni ponderis etiam
pro hac nostra aetate. Quandoquidem illo
tempore in Iaponia nullus mansit presbyter,
Christifideles laici baptismi administraverunt
sacramentum spiritum communitatis demonstrantes ac precibus et meditatione Sacrarum
La nomina di oggi riguarda la Chiesa
nelle Antille francesi.
David Macaire
arcivescovo di Fort-de-France
accompagnato da una missione composta da don Peter
Sakae Kojima, del clero di Nagasaki, vicario generale,
membro del collegio dei consultori, parroco della cattedrale;
e da padre Joseph Pasala, S.V.D., missionario indiano,
vicario parrocchiale di Nishimachi. Pubblichiamo di seguito
il testo della lettera pontificia di nomina.
Scripturarum spiritalem vitam alentes. Cum
missionales reversi sunt, multi christiani,
quondam latentes, iterum se palam manifestaverunt singularem fidem, spem caritatemque demonstrantes.
Occasione memorati anniversarii data,
multa revera in Iaponia adimplentur incepta
ut omnes, exemplum illorum fidelium recolentes, Salvatoris largitatem clare laudent atque incitamentum ad renovatam vitam experiantur sub Christi lumine assidue sequendam.
Quapropter tum Venerabilis Frater Petrus
Takeo Okada, Archiepiscopus Metropolita
Tokiensis atque Praeses Conferentiae Episcopalis Iaponiae, tum Venerabilis Frater Ioseph
Mitsuaki Takami, P.S.S., Archiepiscopus Metropolita Nagasakiensis, humanissimas Nobis
epistulas scripserunt quibus Nosmet Ipsos ad
celebrationem hanc invitaverunt. Grati omnino hac de invitatione, quam in corde Nostro
tenemus, nunc aliquem eminentem Virum
quaerimus qui Nostras vices Nagasakii gerat
Nostramque erga Christi discipulos ibi commorantes dilectionem significet.
Ad Te autem, Venerabilis Frater Noster,
qui Metropolitanam Ecclesiam Cotabatensem
prudenter moderaris, mentem Nostram vertimus Teque hisce Litteris Missum Extraordinarium Nostrum nominamus ad festivitates
complendas quae in urbe Nagasakiensi a die
XIV ad diem XVII proximi mensis Martii sollemni modo perficientur.
Celebrationi praesidebis Eucharistiae atque
memoratos Archiepiscopos aliosque sacros
Praesules, sacerdotes, religiosos viros mulieresque, publicas auctoritates atque universos
christifideles Nostro salutabis nomine. Omnes adstantes sermone tuo ad assiduam Christi vitae imitationem cohortaberis. Optamus
denique ut cuncti, commoventem Ecclesiae
in Iaponia historiam recolentes, nec non testimonium tot christianorum considerantes,
novis viribus novoque studio peculiarem dilectionem erga Christi Ecclesiam et Evangelium demonstrent atque, beato Petro Kibe
Kasui et CLXXXVII eius Sociis martyribus intercedentibus, fidei alacritate in cotidiana vita emineant.
Nos autem Te, Venerabilis Frater Noster,
in tua missione implenda precibus comitabimur. Denique Benedictionem Apostolicam libentes Tibi impertimur, signum Nostrae erga
Te benevolentiae et caelestium donorum pignus, quam omnibus celebrationis participibus amabiliter transmittes.
die
XV
Ex Aedibus Vaticanis,
mensis Februarii, anno MMXV,
Pontificatus Nostri secundo.
Celebrazione della penitenza
presieduta da Papa Francesco
INDICAZIONI
Venerdì 13 marzo 2015, alle ore 17, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco presiederà il Rito per la Riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione individuale.
I Cardinali, i Vescovi, i Sacerdoti e i Religiosi che desiderano partecipare alla celebrazione, indossando l’abito corale loro proprio, sono pregati di trovarsi per le ore 16.30 presso l’Altare della Confessione per occupare il posto che verrà loro indicato.
Città del Vaticano, 7 marzo 2015.
Mons. GUID O MARINI
Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie
Nato a Hexagonale, in Francia, da
genitori della Martinica il 20 ottobre
1969, la famiglia è rientrata nella terra
d’origine quando lui aveva soltanto
quattro mesi, ed egli ha trascorso l’infanzia e la prima giovinezza nelle Antille francesi. Dal 1972 al 1984 ha studiato
a Morne-Rouge, presso il liceo cattolico
retto dalle suore domenicane missionarie di Nostra Signora di La Délivrande.
In seguito ha lavorato per sei anni alla
direction départementale de l’équipement di Martinica. Ha anche fatto parte
del movimento carismatico cattolico.
All’età di ventuno anni ha cominciato a
frequentare l’ordine dei predicatori. Dopo un anno di discernimento nel foyer
vocazionale san Domenico Savio, in
Martinica, ha deciso di entrare nella
provincia domenicana di Tolosa, in
Francia. Nel 1994 ha iniziato il noviziato a Marsiglia e il 17 settembre 1995 ha
emesso la professione temporanea. Ha
seguito la formazione filosofica a Bordeaux e quella teologica a Tolosa, conseguendo la licenza in teologia e in diritto canonico. Nel 1998 ha emesso la
professione perpetua. Ordinato sacerdote il 23 giugno 2001, è stato cappellano
di alcune scuole, docente di teologia
presso il seminario maggiore di Bordeaux, consigliere spirituale dell’équipe
Notre Dame e maestro dei fratelli studenti domenicani fino al 2006, poi dal
2007 al 2011 priore del convento dei domenicani nell’arcidiocesi di Bordeaux e
membro del consiglio presbiterale della
medesima Chiesa locale. Dal 2011 era
priore del convento dei domenicani di
La Sainte-Baume, Tolone, e membro
del consiglio provinciale.
Don Giussani secondo un sessantottino
Pensiero unico e capacità di andare controcorrente
di PIERO SANSONETTI
È difficile per me parlare del libro e
di don Giussani, perché parto da un
punto di vista molto diverso dal suo:
io credo di essere mortale, mentre
lui pensava di vivere per l’eternità! È
una differenza talmente grande che
non è riconducibile ad altre. Qui
stiamo parlando di due idee completamente diverse della persona.
Questo libro però ti porta lì.
Giussani e il libro ti portano alla
questione di fondo. Io non solo non
sono cristiano, sono ateo. È per questo, non per un’altra ragione, che
posso sentirmi vicinissimo a questo
libro, anche se sono un po’ intimidito perché mi trovo in posizione minoritaria, nel senso che c’è una bella
differenza fra la vita mortale e la vita
eterna. Ed è la differenza essenziale,
perché non c’è una pagina di questo
libro dalla quale non emerga il senso
dello spirito.
«La realtà è più grande della ragione» (p. 43 del libro). Domando:
è un dubbio illegittimo chiedere se
la realtà non sia più grande anche
della religione? È interessantissimo il
ragionamento che nel libro viene
svolto da Giussani sul rapporto fra
ragione e religione, e la spiegazione
per la quale non sono in contrapposizione. Sarebbe sciocco contrapporre una ragione in grado di interpretare il mondo a una religione che
parte per la tangente, ma mi chiedo
se può uno spirito religioso, una
donna o un uomo di fede, pensare
che la realtà sia più complessa anche
della religione. Non è scontato che
la risposta sia negativa.
Seconda grandissima questione:
Cristo al centro della vita e della
cultura. Mi pare proprio il succo del
libro e di tutta la vita di don Giussani. E qui faccio di nuovo una domanda: Cristo è per voi o è anche
per me? Può un ateo porre Cristo al
centro della sua cultura e della sua
vita? O invece occorre un passaggio
religioso? E faccio un’altra domanda: in questa cultura che si centra su
Cristo può esserci la ribellione? La
ribellione di cui da studente ho letto
nel Vangelo, la posso ritrovare e la
posso riproporre nella mia vita pubblica come parte della cultura cristia-
na? Non sono un teologo, però
qualche frase del Vangelo la ricordo,
e pongo ad esempio l’episodio
dell’adultera e quindi il pezzo formidabile del Vangelo quando Gesù dice: «Chi è senza peccato scagli la
prima pietra»; e poi, seconda parte:
«Donna va’ e non peccare più»; non
c’è lì l’esclusione dell’autorità? Che
non vuol dire necessariamente anarchia; lo pongo dal punto di vista
culturale, non dal punto di vista dei
comportamenti. Rimanendo sulla
questione di Cristo al centro della
cultura e del rifiuto di qualunque
autorità che non sia l’autorità divina,
si può porre la questione del dio degli atei? È il massimo dell’ossimoro:
il dio degli atei in quanto antiautorità, in quanto ribaltamento dell’autorità, nel riconoscimento di una autorità che non è umana. Gesù era Dio
e lo diceva: «Io sono Dio». E allora,
dice Giussani, o mettiamo in discus-
Un’attrattiva
che muove
Da Paolo Mieli a Ezio
Mauro, dal cardinale Marc
Ouellet a Giuseppe De Rita,
da Luciano Violante ad
Antonio Polito, dal vescovo
Renato Corti a Ferruccio de
Bortoli: sono tanti, e di
rilievo, i contributi raccolti
nel volume Un’attrattiva che
muove. La proposta
inesauribile della vita di don
Giussani, a cura di Alberto
Savorana (Rizzoli, Milano,
2015, pagine 440, euro 12)
uscito in questi giorni
nell’ambito delle iniziative
per il decimo anniversario
della morte del fondatore di
Comunione e liberazione.
Dal libro pubblichiamo
alcuni stralci delle riflessioni
del direttore del quotidiano
“Cronache del Garantista”,
che dal 2004 al 2009 ha
diretto “Liberazione”.
sione questo principio, consideriamo
Gesù un pazzo, una persona spostata, squilibrata e quindi mettiamo in
discussione tutto il suo insegnamento, oppure, nel momento in cui diceva che era Dio, lo era realmente.
Formulo una domanda ancora
più provocatoria: Dio è Gesù
o Gesù è Dio? Non è un
gioco di parole. Posso dire:
per me Dio è solo Gesù,
cioè solo uomo? Posso
fermarmi al fatto che
Dio, facendosi uomo,
resta uomo, risorge come uomo,
entra nella storia come uomo
e io mi confronto con Lui solo
come uomo?
Giussani parla del progressivo «ridurre l’influenza della fede e della
Chiesa sulla propria azione sociopolitica ad un impulso estrinseco, ad
una semplice ispirazione». Per esempio, c’è chi dice che il Vangelo spinge a interessarsi ai poveri; questo è
certo, osserva Giussani, e subito dopo aggiunge: «Ma se uno si ferma
qui, allora il Vangelo tende ad essere
solo uno slancio etico, moralistico.
Invece il Vangelo ha qualcosa da dire anche sul modo, sulla struttura di
giudizio e di comportamento con i
quali uno affronta il tema della povertà».
Mi ha molto colpito il capitolo sul
Sessantotto. Il 1968 è l'anno in cui
io sono diventato grande, in cui ho
iniziato a far politica e in cui ho deciso tante cose. Mi ha sorpreso, da
una parte, come don Giussani abbia
vissuto drammaticamente il Sessantotto: come una messa in discussione
che lo ha costretto a rivedere molte
cose, soprattutto dal punto di vista
del rapporto con i giovani. Penso a
una vicenda specifica, che nel libro
viene raccontata, quella di don Enzo
Mazzi; forse i più giovani non lo conoscono, don Mazzi era un prete
(morto nel 2011) della Comunità
dell’Isolotto di Firenze, che rivolse
una critica molto forte alla gerarchia
ecclesiastica ed entrò in conflitto con
il Vescovo di Firenze, monsignor
Florit. Nel 1969 Giussani dice a una
ragazza del movimento di non an-
darci più (cfr. p. 411). Non credete
che la Chiesa abbia perso una grande occasione? In quella rivolta c’era
tanto di spirito cristiano, non è solo
maoismo, non è solo il liberalismo,
non è solo katanga (nome di una
provincia secessionista congolese: così venivano chiamati i membri del
servizio d’ordine del movimento studentesco presente a Milano dai primi anni Settanta). In ogni caso, avverto in Giussani una grande forza,
quella di misurarsi sempre con la
modernità a partire dalla sua fortissima posizione di fede. È la pretesa
della fede, che non posso avere, a tenermi lontano dal mondo cristiano,
ma in Giussani riconosco una fortissima aspirazione alla libertà e alla
modernità. Del movimento che ha
creato la cosa più bella, davvero bellissima, è il nome: forse non ce ne
rendiamo conto, ma Comunione e
Liberazione è un nome fantastico,
c’è tutto dentro, compreso il problema di oggi: l’assenza di comunità e
di libertà, di comunione e di liberazione. La forza del movimento di Cl
che io da ragazzino contrastai molto,
perché era su posizioni del tutto opposte a quelle dei movimenti nei
quali io militavo, fu essenzialmente
l’anticonformismo, e quando fai una
scelta anticonformista costringi tutti
a pensare.
Questa è la grandiosità che io ho
trovato in tutte le pagine del libro:
don Giussani pensa, non rinuncia
mai a pensare! Non chiede mai alle
persone sulle quali esprime il suo carisma: «Smetti di pensare!». L’attualità di Giussani è l’attualità di Cristo; per il cristianesimo non c’è
un’altra attualità. Qual è il motivo
che mi attrae? In fondo è molto
semplice: è l’esistenza come elemento determinante o no del potere; è
tutto lì. La domanda sulla gratuità
dell’amore, un’espressione cristiana
molto bella ma per me difficile da
avvicinare, non è lontanissima da
quello che sto dicendo: nei suoi momenti più alti la politica ha saputo
coniugare etica e potere. Mentre oggi pensa a come trasformare il mondo ma difficilmente pensa a come
vivere il mondo. Nell’esperienza di
Gesù Cristo vedo esattamente questa
grandezza: la capacità di esprimere
carisma senza potere, pensiero senza
potere, vita senza potere, insegnamento senza potere. A costo di apparire blasfemo, anziché sant’Agostino o san Paolo, cito Fabrizio De André e il verso più bello che io conosca di questo cantautore: «Guardate
la fine di quel nazareno / e un ladro
non muore di meno». Giussani e Cl,
grazie di essere andati controcorrente! La forza di Cl, che nei primi anni Settanta ha il coraggio di presentarsi in università e di andare controcorrente, la ricordo personalmente
perché in quegli anni c’ero anch’io, è
una forza straordinaria, che forse allora non capii bene. Non ha nessuna
importanza se un’operazione di questo genere spinge in avanti o indietro, se spinge a destra o a sinistra.
Comunque rompe, e non c’è nulla
di più terribile in una comunità o in
un Paese di un pensiero obbligatorio. Lì la rottura è grandiosa, perché
nessuno era in grado di realizzarla.
Esisteva il senso comune del Sessantotto che era anche il mio; esisteva la
politica ufficiale, che non riusciva ad
aggiungere nulla di nuovo, ed esisteva la reazione fascista; e fu grandioso l’intervento di Comunione e Liberazione che rompe, non ammette
nulla a priori e pone valori. Pone
valori, non pone moderazione.
Ero nel mio ufficio a lavorare
quando nella schermata del computer sono apparsi i lanci del discorso
di papa Francesco sulla giustizia.
Un discorso formidabile. Sono uscito dalla mia stanza, sono entrato in
redazione e ho detto: «Sapete dove
ci si iscrive per diventare chierichetti?»; io non ho tendenze a fare il
chierichetto, però nel papa trovo un
gigantesco leader morale (certo, io
non ci vedo il rappresentante di Cristo) che non vedo da nessun’altra
parte. Come vecchio comunista che
ha fatto politica tutta la vita, che ha
fatto l’intellettuale, che ha scritto sui
giornali, che ha diretto giornali, noto oggi un vuoto spaventoso in qualunque altro luogo della vita pubblica e invece provo un’attrazione formidabile per la guida della comunità
cristiana.
Sono uscito un istante dalla Vita
di Giussani per parlare di papa
Francesco, ma è difficile non arrivarci perché non riesco a parlare di cristianesimo e quindi anche di don
Giussani senza tenere conto di questo fenomeno che per me è eccezionale: l’irrompere di una figura come
quella di Francesco. E ancora, mi ha
appassionato il Sinodo, l’altezza di
quella discussione e anche l’assoluta
novità della sua trasparenza, di fronte all’aridità del dibattito pubblico
in Occidente, non solo in Italia, il
che mi costringe a riflettere sulla capacità del mondo cristiano e delle
sue gerarchie di porsi in relazione
con la modernità che non vedo nel
mondo laico: è questa la cosa che mi
sconvolge. E mi chiedo quanto tutto
questo c’entri con don Giussani,
perché in lui scopro come rovesciato
proprio il parametro del rapporto
con la modernità: mentre il mondo
laico riesce solo a guardare indietro,
ha gli occhi nella nuca, il mondo
cristiano guarda avanti, al secolo
d’oro. Di fronte a un mondo laico
terrorizzato dalla crisi dei tempi —
non ci vuole un genio a capire che
siamo a un passaggio d’epoca nella
storia dell’umanità, in cui sono cambiati tutti i parametri delle relazioni
umane — di fronte a questa crisi, avverto un mondo cristiano che sa affrontarla, badando alla modernità e
non preoccupandosi di difendere
l’esistente. E invece sono colpito da
un mondo cristiano che guarda
avanti.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
domenica 8 marzo 2015
Caravaggio, «Vocazione di san Matteo»
(1600, particolare)
Il Papa ricorda Giussani e la sua teologia dell’incontro con Cristo
Come il fiore del mandorlo
E invita Comunione e liberazione a essere protagonista di una Chiesa in uscita
A dieci anni dalla morte del fondatore don Luigi Giussani,
il movimento di Comunione e liberazione è stato ricevuto da
Francesco nella mattina di sabato 7 marzo in piazza San
Pietro. Riprendendo quanto don Giussani diceva sulla
centralità dell’incontro con Cristo, «incontro non con
un’idea, ma con una Persona», il Papa ha ricordato ai
Cari fratelli e sorelle,
buongiorno!
Do il benvenuto a tutti voi e vi ringrazio per il vostro affetto caloroso!
Rivolgo il mio cordiale saluto ai
Cardinali e ai Vescovi. Saluto Don
presenti che Gesù ci anticipa sempre: «Lui è come il fiore
del mandorlo: è quello che fiorisce per primo, e annuncia la
primavera». Il Pontefice ha poi invitato tutti a «respingere
l’autoreferenzialità» e a «essere braccia, mani, piedi, mente
e cuore di una Chiesa “in uscita”» per andare
«a cercare i lontani».
Julián Carrón, Presidente della vostra Fraternità, e lo ringrazio per le
parole che mi ha indirizzato a nome
di tutti; e La ringrazio anche, Don
Julián, per quella bella lettera che
Lei ha scritto a tutti, invitandoli a
venire. Grazie tante!
Il mio primo pensiero va al vostro
Fondatore, Mons. Luigi Giussani, ricordando il decimo anniversario della sua nascita al Cielo. Sono riconoscente a Don Giussani per varie ragioni. La prima, più personale, è il
bene che quest’uomo ha fatto a me e
Nella testimonianza di don Julián Carrón le ragioni del pellegrinaggio
Per ritrovare il primo amore
Con la veste del mendicante e del
pellegrino per chiedere al Papa
l’aiuto per ritrovare il primo amore,
cioè «la freschezza del carisma». È
con questo spirito che decine di migliaia di appartenenti a Comunione
e liberazione, provenienti da cinquanta Paesi, hanno riempito stamani piazza San Pietro e via della
Conciliazione. A presentarli a Francesco — che prima di dare inizio
all’udienza ha compiuto un lungo
giro fra la folla a bordo della jeep
bianca — è stato don Julián Carrón,
presidente della Fraternità del movimento, ricordando in particolare
la coincidenza con il sessantesimo
anniversario nella nascita del movimento e il decennale della morte
del fondatore don Luigi Giussani.
Don Carrón non ha mancato di
confidare la commozione di tornare
nella piazza dove, ha ricordato,
«abbiamo visto don Giussani manifestare, davanti a san Giovanni Paolo II, il suo stupore per il popolo di
Dio che aveva fatto nascere dalla
sua passione per Cristo come “strumento della missione dell’unico popolo di Dio”».
«Abbiamo più che mai viva nella
memoria — ha affermato — la sua
persona e la sua vita», attraverso
cui «egli ci ha trascinati a Cristo
nell’obbedienza e nella sequela alla
sua Chiesa. Più passa il tempo e
più ci rendiamo conto, seguendolo,
della portata della sua figura per
ciascuno di noi e per tutti». E proprio per non «lasciare inaridire la
freschezza del carisma che ci ha affascinato», oggi il movimento ha
voluto incontrare il Papa. «Siamo
venuti in pellegrinaggio per domandare la freschezza del carisma»
ha detto il presidente di Cl. Con la
consapevolezza delle fragilità e con
l’obiettivo di «vivere ogni giorno di
più rinnovando sempre il primo
amore».
Per incontrare Francesco, ha spiegato don Carrón, «ci siamo preparati domandando innanzitutto al
Signore, affinché sempre si rinnovi
in noi quella disposizione di cuore
dell’inizio, quella semplicità senza
la quale ci fisseremmo sulle forme
del passato, dimenticando l’essenziale
e
lasciando
indebolire
quell’impeto di vita che ci ha affascinato». Ma per ottenere «la freschezza del carisma» c’è bisogno
che «la grazia ricevuta rifiorisca
sempre nuova nelle nostre vite e
questo solo può accadere mantenendo il legame con Pietro, che
don Giussani ha inoculato nel nostro sangue». Così, ha aggiunto,
«per questo siamo venuti come
mendicanti, col desiderio di imparare, per essere aiutati a vivere con
sempre maggiore fedeltà e passione
il carisma ricevuto». Del resto, ha
concluso don Carrón, «solo così ra-
dicati in Cristo potremo renderlo
presente attraverso le nostre vite
nelle periferie esistenziali, in ogni
ambiente e in ogni circostanza in
cui ogni giorno si consuma il dramma dei nostri fratelli uomini, specialmente quelli più provati dalla
vita e assetati, anche inconsapevolmente, di incontrare lo sguardo misericordioso del Signore». E «noi,
come loro, abbiamo bisogno di
questo sguardo di misericordia di
cui lei ora è segno e strumento», ha
concluso rivolto al Papa: «Siamo
qui tutti tesi a vivere il rinnovarsi di
quell’avvenimento unico che, attraversando i secoli, ci raggiunge
oggi in questa piazza».
All’incontro — caratterizzato
da momenti di preghiera con
letture, video e brani musicali,
compresa un’Ave Maria in cinese — erano presenti anche
cardinali, arcivescovi e vescovi,
oltre a esponenti di movimenti
e associazioni ecclesiali e rappresentanti anglicani, ortodossi
e musulmani. Particolarmente
significativa la partecipazione
di un gruppo di carcerati di
Como, Genova, Napoli, Padova e Perugia, accompagnati da
familiari e guardie carcerarie.
Con loro il Papa si è soffermato
a
lungo
al
termine
dell’udienza.
alla mia vita sacerdotale, attraverso
la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli. L’altra ragione è che il suo
pensiero è profondamente umano e
giunge fino al più intimo dell’anelito
dell’uomo. Voi sapete quanto importante fosse per Don Giussani l’esperienza dell’incontro: incontro non
con un’idea, ma con una Persona,
con Gesù Cristo. Così lui ha educato alla libertà, guidando all’incontro
con Cristo, perché Cristo ci dà la vera libertà. Parlando dell’incontro mi
viene in mente “La vocazione di
Matteo”, quel Caravaggio davanti al
quale mi fermavo a lungo in San
Luigi dei Francesi, ogni volta che
venivo a Roma. Nessuno di quelli
che stavano lì, compreso Matteo avido di denaro, poteva credere al messaggio di quel dito che lo indicava,
al messaggio di quegli occhi che lo
guardavano con misericordia e lo
sceglievano per la sequela. Sentiva
quello stupore dell’incontro. È così
l’incontro con Cristo che viene e ci
invita.
Tutto, nella nostra vita, oggi come
al tempo di Gesù, incomincia con
un incontro. Un incontro con quest’Uomo, il falegname di Nazaret,
un uomo come tutti e allo stesso
tempo diverso. Pensiamo al Vangelo
di Giovanni, là dove racconta del
primo incontro dei discepoli con
Gesù (cfr. 1, 35-42). Andrea, Giovanni, Simone: si sentirono guardati fin
nel profondo, conosciuti intimamente, e questo generò in loro una sorpresa, uno stupore che, immediatamente, li fece sentire legati a Lui...
O quando, dopo la Risurrezione,
Gesù chiede a Pietro: «Mi ami?»
(Gv 21, 15), e Pietro risponde: «Sì»;
quel sì non era l’esito di una forza
di volontà, non veniva solo dalla decisione dell’uomo Simone: veniva
prima ancora dalla Grazia, era quel
“primerear”, quel precedere della
Grazia. Questa fu la scoperta decisiva per san Paolo, per sant’Agostino,
e tanti altri santi: Gesù Cristo sempre è primo, ci primerea, ci aspetta,
Gesù Cristo ci precede sempre; e
quando noi arriviamo, Lui stava già
aspettando. Lui è come il fiore del
mandorlo: è quello che fiorisce per
primo, e annuncia la primavera.
E non si può capire questa dinamica dell’incontro che suscita lo stupore e l’adesione senza la misericordia. Solo chi è stato accarezzato dalla tenerezza della misericordia, conosce veramente il Signore. Il luogo
privilegiato dell’incontro è la carezza
della misericordia di Gesù Cristo
verso il mio peccato. E per questo,
alcune volte, voi mi avete sentito dire che il posto, il luogo privilegiato
dell’incontro con Gesù Cristo è il
mio peccato. È grazie a questo abbraccio di misericordia che viene voglia di rispondere e di cambiare, e
che può scaturire una vita diversa.
La morale cristiana non è lo sforzo
titanico, volontaristico, di chi decide
di essere coerente e ci riesce, una
sorta di sfida solitaria di fronte al
mondo. No. Questa non è la morale
cristiana, è un’altra cosa. La morale
cristiana è risposta, è la risposta
commossa di fronte a una misericordia sorprendente, imprevedibile, addirittura “ingiusta” secondo i criteri
umani, di Uno che mi conosce, conosce i miei tradimenti e mi vuole
bene lo stesso, mi stima, mi abbraccia, mi chiama di nuovo, spera in
me, attende da me. La morale cristiana non è non cadere mai, ma alzarsi sempre, grazie alla sua mano
che ci prende. E la strada della
Chiesa è anche questa: lasciare che
si manifesti la grande misericordia di
Dio. Dicevo, nei giorni scorsi, ai
nuovi Cardinali: «La strada della
Chiesa è quella di non condannare
eternamente nessuno; di effondere la
misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero; la strada della Chiesa è proprio
quella di uscire dal proprio recinto
per andare a cercare i lontani nelle
Domenica 8 marzo il Pontefice in visita alla parrocchia romana di Santa Maria del Redentore a Tor Bella Monaca
di GIANLUCA BICCINI
Famo rete: lo slogan di un progetto per i giovani, volutamente in romanesco per raggiungere direttamente i destinatari, sintetizza tutte
le attività della parrocchia di Santa Maria
Madre del Redentore a Tor Bella Monaca,
che Papa Francesco visita domenica pomeriggio, 8 marzo.
Il lavoro di squadra in questa borgata difficile della periferia est di Roma, troppo spesso
sinonimo di malessere sociale e di delinquenza, è infatti la caratteristica principale delle
iniziative pastorali e caritative della comunità.
Don Francesco De Franco, prete cinquantenne del clero romano che la guida da tre anni,
parla apertamente di «quartiere tra i più difficili della diocesi», nel quale quarantamila abitanti sono costretti ogni giorno a fare i conti
con molti disagi. «Si tratta — spiega — di novemila famiglie venute soprattutto dall’Italia
meridionale negli anni del boom economico;
mentre gli altri, che sono la maggior parte, vivono qui perché assegnatari di una casa popolare». E sempre più provengono dal sud
del mondo.
Ecco perché sin dalla sua fondazione, risalente al 1985, Santa Maria Madre del Redentore ha fatto dell’ascolto, dell’accoglienza e
del sostegno ai bisognosi le parole chiave della propria missione ormai trentennale. «Il tessuto sociale — dice ancora don Francesco —
non è tra i più sani»: spaccio e uso di droga,
anche tra i bambini e i ragazzi, violenza, prostituzione e tanta povertà fanno di Tor Bella
Monaca una delle realtà più rappresentative
del degrado di tante periferie urbane, nelle
quali la Chiesa è chiamata a svolgere un ruolo
primario nel mantenere viva la speranza. La
parrocchia qui lo fa attraverso una rete capillare che coinvolge il clero, le tre congregazioni religiose femminili presenti nel territorio e
numerosi laici. Anche perché ogni giorno
bussano alle porte di via Duilio Cambellotti
dalle venti alle trenta famiglie bisognose. «Distribuiamo mensilmente quattrocento pacchi
«Famo rete»
viveri — ricorda il parroco — e, grazie al contributo della Caritas italiana, aiutiamo i più
indigenti nel pagamento delle utenze, dei farmaci e delle visite mediche».
Sempre sul fronte della solidarietà, considerato che a “Torbella” ci sono almeno duecento persone agli arresti domiciliari e molte altre
sono state o sono in carcere, nei locali parrocchiali vengono ospitati ben due centri diurni
per bambini con gravi problemi familiari: sono quattordici alunni delle elementari e della
materna e dodici ragazzi delle medie, tutti figli di tossicodipendenti o detenuti. «Li prendiamo a scuola, li aiutiamo con i compiti, li
coinvolgiamo nelle attività catechetiche e ludico-ricreative, diamo loro la cena e poi li riaccompagniamo a casa», prosegue don Francesco. La squadra capitanata dal sacerdote è
formata da due giovani vicari e due collaboratori che risiedono a Roma per motivi di studio. Con loro, tredici religiose tra figlie di
Maria Ausiliatrice, suore della carità di santa
Giovanna Antida, e missionarie della carità
della beata Teresa di Calcutta. Le prime, oltre
che dei centri diurni, si occupano dell’oratorio e delle sue molteplici attività: scuola di
danza, calcetto, gruppi teatrali e musicali, doposcuola. Le seconde si prendono cura del
centro di ascolto Caritas, dei malati e di numerose attività con adulti e anziani. Infine le
suore con il sari bianco bordato di azzurro accolgono ragazze madri e animano un doposcuola per bimbi extracomunitari. Prezioso
anche il contributo di circa duecento laici impegnati in ambito catechetico, liturgico e caritativo. Tra i movimenti ci sono i neocatecumenali, con cinque comunità, un gruppo
scout, la Sant’Egidio con la scuola della pace
e i cavalieri di Malta con un consultorio medico-legale. «Per questo — commenta don De
Franco — la gente di Tor Bella Monaca ci
vuol bene. Per noi la sofferenza più grande è
il dover discernere le necessità e bilanciare i
fondi» per poter accontentare chi domanda
un sostegno: «È l'amarezza di un padre a cui
i figli chiedono un pezzo di pane e può dar
loro solo le briciole».
Una preoccupazione che riguarda soprattutto le famiglie dei detenuti. Donne e uomini senza prospettive quando avranno scontato
la pena; ragazzi, giovani, padri o madri di famiglia che per aver sbagliato magari una sola
volta rischiano di dover pagare per tutta la vita. Spesso l’unica possibilità è tornare a delinquere o a spacciare. Il traffico di stupefacenti
e le altre forme illecite di guadagno finiscono
con il diventare l’alternativa più semplice e
redditizia. Soprattutto se si considera che da
queste parti in appartamenti fatiscenti di non
più di 30 metri quadrati vivono ammassati interi nuclei familiari, il cui unico reddito è la
pensione sociale o di invalidità dell’anziano
di casa. E proprio quello della terza età è un
altro dei campi di azione privilegiati della
parrocchia. «Ci sono quelli che muoiono nella solitudine e vengono trovati dopo diversi
giorni», confida il parroco. Eppure 160 ammalati vengono visitati settimanalmente dai
ministri straordinari, suore e sacerdoti attivi in
questa grande rete di solidarietà. Infine un’ultima sfida pastorale riguarda l’altissimo numero di separati, conviventi e famiglie allargate.
«Anche chi chiede il battesimo per i bambini
ha situazioni irregolari e dopo la celebrazione
del sacramento è difficile poter continuare il
discorso», afferma don De Franco.
Ora però sta per arrivare il Papa e la speranza è che almeno per un giorno Tor Bella
Monaca dimentichi le sue difficoltà e viva un
pomeriggio all’insegna della gioia. «L’organizzazione della visita mi ha fatto toccare con
mano quanto sia davvero buona la gente —
conclude il parroco — e posso dire di avere
una buona task force per l’impegno sociale e
pastorale».
Nella chiesa di Ognissanti
il ricordo della prima messa in italiano
Nel pomeriggio di sabato 7 marzo Papa
Francesco celebra la messa nella parrocchia romana di Ognissanti: il Pontefice
torna, esattamente dopo cinquant’anni,
nella chiesa dove Paolo VI celebrò per la
prima volta in italiano secondo le rinnovate norme liturgiche stabilite dal concilio Vaticano II. La visita del Papa coincide anche con il settantacinquesimo anniversario (12 marzo 1940) della morte di
san Luigi Orione al quale Pio X nel
1908 affidò la parrocchia di via Appia.
“periferie” dell’esistenza; quella di
adottare integralmente la logica di
Dio», che è quella della misericordia
(Omelia, 15 febbraio 2015). Anche la
Chiesa deve sentire l’impulso gioioso
di diventare fiore di mandorlo, cioè
primavera come Gesù, per tutta
l’umanità.
Oggi voi ricordate anche i sessant’anni dell’inizio del vostro Movimento, «nato nella Chiesa — come vi
disse Benedetto XVI — non da una
volontà organizzativa della Gerarchia, ma originato da un incontro
rinnovato con Cristo e così, possiamo dire, da un impulso derivante ultimamente dallo Spirito Santo» (Discorso al pellegrinaggio di Comunione e Liberazione, 24 marzo 2007:
Insegnamenti III, 1 [2007], 557).
Dopo sessant’anni, il carisma originario non ha perso la sua freschezza e vitalità. Però, ricordate che il
centro non è il carisma, il centro è
uno solo, è Gesù, Gesù Cristo!
Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io
esco di strada. Tutta la spiritualità,
tutti i carismi nella Chiesa devono
essere “decentrati”: al centro c’è solo
il Signore! Per questo, quando Paolo
nella Prima Lettera ai Corinzi parla
dei carismi, di questa realtà così bella della Chiesa, del Corpo Mistico,
termina parlando dell’amore, cioè di
quello che viene da Dio, ciò che è
proprio di Dio, e che ci permette di
imitarlo. Non dimenticatevi mai di
questo, di essere decentrati!
E poi il carisma non si conserva in
una bottiglia di acqua distillata! Fedeltà al carisma non vuol dire “pietrificarlo” — è il diavolo quello che
“pietrifica”, non dimenticare! Fedeltà
al carisma non vuol dire scriverlo su
una pergamena e metterlo in un
quadro. Il riferimento all’eredità che
vi ha lasciato Don Giussani non può
ridursi a un museo di ricordi, di decisioni prese, di norme di condotta.
Comporta certamente fedeltà alla
tradizione, ma fedeltà alla tradizione
— diceva Mahler — “significa tenere
vivo il fuoco e non adorare le ceneri”. Don Giussani non vi perdonerebbe mai che perdeste la libertà e vi
trasformaste in guide da museo o
adoratori di ceneri. Tenete vivo il
fuoco della memoria di quel primo
incontro e siate liberi!
Così, centrati in Cristo e nel Vangelo, voi potete essere braccia, mani,
piedi, mente e cuore di una Chiesa
“in uscita”. La strada della Chiesa è
uscire per andare a cercare i lontani
nelle periferie, a servire Gesù in ogni
persona emarginata, abbandonata,
senza fede, delusa dalla Chiesa, prigioniera del proprio egoismo.
“Uscire” significa anche respingere
l’autoreferenzialità, in tutte le sue
forme, significa saper ascoltare chi
non è come noi, imparando da tutti,
con umiltà sincera. Quando siamo
schiavi dell’autoreferenzialità finiamo
per coltivare una “spiritualità di etichetta”: “Io sono CL”. Questa è l’etichetta. E poi cadiamo nelle mille
trappole che ci offre il compiacimento autoreferenziale, quel guardarci
allo specchio che ci porta a disorientarci e a trasformarci in meri impresari di una ONG.
Cari amici, vorrei finire con due
citazioni molto significative di Don
Giussani, una degli inizi e una della
fine della sua vita.
La prima: «Il cristianesimo non si
realizza mai nella storia come fissità
di posizioni da difendere, che si rapportino al nuovo come pura antitesi;
il cristianesimo è principio di redenzione, che assume il nuovo, salvandolo» (Porta la speranza. Primi scritti, Genova 1967, 119). Questa sarà intorno al 1967.
La seconda del 2004: «Non solo
non ho mai inteso “fondare” niente,
ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di
avere sentito l’urgenza di proclamare
la necessità di ritornare agli aspetti
elementari del cristianesimo, vale a
dire la passione del fatto cristiano
come tale nei suoi elementi originali,
e basta» (Lettera a Giovanni Paolo
II, 26 gennaio 2004, in occasione dei
50 anni di Comunione e Liberazione).
Che il Signore vi benedica e la
Madonna vi custodisca. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per
me! Grazie.