L`OSSERVATORE ROMANO

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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLV n. 54 (46.892)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
sabato 7 marzo 2015
.
Il Pontefice al cammino neocatecumenale
Il rapporto tra il vescovo e i suoi preti
Svegliate la fede
Per servire
il popolo di Dio
di GUALTIERO BASSETTI
e cronache raccontano non di
rado storie di preti dissidenti
e disobbedienti verso l’autorità religiosa, principalmente verso
il proprio vescovo. Ci sono certo
molti luoghi comuni che hanno
prodotto, nel tempo, immagini stereotipate di largo consumo che si
ritrovano nei media. Ma non si
tratta solo di una questione giornalistica. Il rapporto tra i vescovi e i
sacerdoti rappresenta, infatti, una
questione di estrema importanza
per la Chiesa perché si riferisce al
cuore della vita cristiana, anzi, alla
spina dorsale su cui si regge la comunità ecclesiale. Se si dovesse incrinare questo rapporto tutto il corpo ne risulterebbe indebolito. E lo
stesso messaggio finirebbe per affievolirsi.
Nel 1977, durante la sua prima
omelia da arcivescovo di Firenze, il
cardinale Giovanni Benelli delineò
con grande efficacia questo rapporto. Il vescovo, disse Benelli, è prima di tutto un «segno di unità»
per l’intera Chiesa ed è «padre e
guida» per i propri sacerdoti e per
tutta la comunità dei credenti. E a
me, giovane rettore del seminario
minore, disse confidenzialmente
che dal seminario non sarebbero
dovuti uscire «modellini» di preti
ma «uomini liberi» che, avendo incontrato Cristo, sarebbero poi stati
disposti a mettere con generosità a
servizio della Chiesa i doni ricevuti
dal Signore.
Queste parole, che richiamavano
con grande sapienza l’eredità del
concilio Vaticano II, assumono ancora oggi un grandissimo significato. Al binomio di carità e obbedienza che lega i sacerdoti al proprio vescovo, infatti, si associa il
dono della libertà responsabile.
La Chiesa vive e cammina solo
se esiste una relazione sincera tra il
vescovo e i suoi sacerdoti. Se è vero che il vescovo è l’apostolo mandato da Cristo a pascere il gregge,
è altrettanto certo, come insegna la
Lumen gentium, che i preti «costituiscono con il loro vescovo un
unico presbiterio». Questo significa
che non esiste vescovo senza il suo
L
Jean Guitton, «Incontro» (1971)
L’invito a “svegliare la fede” portando nuovamente l’annuncio evangelico tra i tanti che oggi a causa della secolarizzazione hanno dimenticato chi è
Gesù è stato rivolto da Papa Francesco alle migliaia di aderenti al cammino neocatecumenale
che hanno gremito l’aula Paolo VI nella mattina
di venerdì 6 marzo.
«Prima ancora che con la parola è con la vostra
testimonianza di vita che manifestate il cuore della rivelazione di Cristo» ha ricordato il Pontefice
rivolgendosi in particolare alle trentuno missio ad
gentes che stanno per partire alla volta di ventidue
Paesi. «Quanta solitudine, quanta sofferenza,
quanta lontananza da Dio — ha aggiunto — in
tante periferie dell’Europa e dell’America e in tante città dell’Asia! Quanto bisogno ha l’uomo di
oggi, in ogni latitudine, di sentire che Dio lo ama
e che l’amore è possibile!». Ed è proprio alle famiglie missionarie che è affidato «il compito essenziale di rendere visibile questo messaggio».
Papa Francesco non ha mancato di ribadire la
necessità «di passare da una pastorale di semplice
conservazione a una pastorale decisamente missionaria». E ha riconosciuto che molte volte «abbiamo Gesù dentro e non lo lasciamo uscire». Da
qui l’invito a cambiare mentalità e ad andare verso gli altri «se non vogliamo che le acque ristagnino nella Chiesa».
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In seguito agli scontri a Tikrit
Migliaia di profughi iracheni
BAGHDAD, 6. L’offensiva sferrata
dall’esercito iracheno contro le milizie del cosiddetto Stato islamico (Is)
nell’area di Tikrit, nella provincia di
Salahuddin, ha costretto alla fuga
decine di migliaia di persone. Un
comunicato dell’Onu citato dalla
Bbc parla di 28.000 nuovi sfollati.
Da parte sua, un portavoce del ministero della Difesa di Baghdad ha
detto che due campi per i rifugiati
sono già stati allestiti, uno vicino a
Samarra, cinquanta chilometri a Sud
di Tikrit, e l’altro nel distretto di
Sharqi, tra le due città. L’alto comitato iracheno per l’assistenza agli
sfollati ha detto che sono in corso
operazioni in collaborazione con
l’Onu per inviare aiuti alimentari e
medicinali ai rifugiati.
Nel frattempo, l’Is risponde alle
sconfitte subite sul piano militare in
Iraq e in Siria con una propaganda
fatta di minacce terroristiche, ma anche di distruzioni iconoclaste. È di
ieri la notizia che i miliziani jihadisti
hanno devastato con i bulldozer il
sito archeologico di Nimrud, l’antica
capitale assira, nei pressi della città
di Mosul.
Proprio su Mosul, come noto, si
sta preparando da tempo la principale offensiva contro l’Is delle forze
irachene appoggiate dalla coalizione
internazionale guidata dagli Stati
Uniti. Per la prima volta, ieri, anche
L’arcivescovo Gallagher
all’incontro con i consulenti giuridici
delle Conferenze episcopali
Un’Europa
fondata sulla dignità
della persona
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PAGINA 2
Per favorire i colloqui
L’esercito libico
annuncia
un cessate il fuoco
PAGINA 3
scontrata, oltre che con le forze governative, con gli altri gruppi ribelli,
compreso l’Is. Secondo quanto riferito sempre dalla Bbc, in un raid
dell’aviazione di Damasco a Salqin,
nella provincia di Iblid al confine
con la Turchia, sono stati uccisi il
leader del gruppo, Abu Humam alShami, e tre vicecomandanti.
Udienza al presidente
della Repubblica dell’Azerbaigian
Una famiglia fuggita da Tikrit (Ap)
la Turchia ha annunciato appoggio
all’iniziativa. Il primo ministro turco,
Ahmet Davutoğlu, ha comunque
precisato che tale appoggio non si
tradurrà in un intervento armato.
«Sosterremo l’offensiva a Mosul, ma
non prenderemo parte direttamente
al conflitto in Iraq o in Siria», ha
detto.
Dai fronti siriani, intanto, giunge
notizia di un duro colpo inferto dalle forze governative al Fronte Al
Nusra, l’altra formazione jihadista
attiva nel Paese e che spesso si è
Cordoglio del Papa
La morte del cardinale Egan
Il cardinale Edward Michael Egan,
arcivescovo emerito di New York, è
morto giovedì pomeriggio, 5 marzo.
Appresa la notizia il Papa ha inviato
al cardinale Timothy M. Dolan,
arcivescovo di New York,
il telegramma di cordoglio che
pubblichiamo in una nostra
traduzione dall’inglese.
Avendo appreso con tristezza della
morte del Cardinale Edward M.
Egan, Arcivescovo emerito di New
York, porgo sentite condoglianze a
lei e ai fedeli dell’Arcidiocesi. Mi
unisco a voi nell’affidare la nobile
anima del defunto Cardinale a
Dio, Padre di misericordia, con
gratitudine per gli anni di ministero episcopale tra il gregge di Cristo
a Bridgeport e a New York, per il
vita della Comunità cattolica nel
Paese ed alcune iniziative in ambito
culturale, rilevando il valore, nel
mondo contemporaneo, del dialogo
interculturale e interreligioso per favorire la pace.
Si è poi fatto riferimento all’attualità regionale e internazionale, ribadendo l’importanza del negoziato
nella risoluzione dei conflitti, nonché dell’educazione per promuovere
i presupposti di una convivenza pacifica tra le popolazioni e i diversi
gruppi religiosi.
Rinnovare la Chiesa
in un’epoca secolare
La possibilità
di scegliere
CHARLES TAYLOR
A PAGINA
5
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza:
Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale
Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione
per la Dottrina della Fede;
Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Fernando
Natalio Chomalí Garib, Arcivescovo di Concepción, Amministratore Apostolico “sede
vacante” di Osorno (Cile).
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza
Sua Eccellenza il Signor
Ilham Aliyev, Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian, con la Consorte, e Seguito.
Predica di Quaresima
suo eminente servizio alla Sede
Apostolica e per il suo esperto contributo alla revisione del diritto
della Chiesa negli anni successivi al
concilio Vaticano II. A tutte le persone riunite nella cattedrale di
Saint Patrick per la messa esequiale
cristiana e a tutti coloro che piangono il Cardinale Egan nella speranza certa della Risurrezione, imparto di cuore la mia Benedizione
Apostolica come pegno di consolazione e di pace nel Signore.
FRANCESCO
Nella mattinata di venerdì 6 marzo,
il presidente della Repubblica
dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, con
la consorte, è stato ricevuto in
udienza da Papa Francesco. Successivamente ha incontrato il segretario
di Stato, cardinale Pietro Parolin,
che era accompagnato dal sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati, monsignor Antoine Camilleri.
Nei cordiali colloqui si è espressa
soddisfazione per lo sviluppo dei
rapporti bilaterali. In particolare, ci
si è soffermati su temi riguardanti la
presbiterio e, a sua volta, il presbiterio è sempre cum episcopo.
Alla base di questa «comunione
gerarchica» descritta dal concilio,
non c’è però alcuna forma di potere o di autogratificazione personale
ma, all’opposto, uno spirito di totale abbandono e di servizio al popolo di Dio. Come ha sottolineato
Papa Francesco, infatti, un vescovo
non è mai «vescovo per se stesso»
ma è «per il popolo» così come
«un prete non è prete per se stesso» ma è sempre «per il popolo».
E l’esempio di amore incondizionato testimoniato da Gesù sulla croce
è l’unica vera regola di comportamento per i vescovi e i sacerdoti.
Si tratta, infatti, per entrambi, di
un identico servizio di presenza e
di vicinanza con il popolo cristiano
di cui condividono gioie e preoccupazioni. Il vescovo, in particolare,
è prima di tutto un padre nella fede, che vive in mezzo al suo gregge. Non è statico, non è fermo,
non aspetta i fedeli al chiuso delle
sue stanze, ma esce all’aperto e si
mette alla testa del suo gregge con
spirito di servizio. Perché il servizio
rimane la sua missione principale:
servire la Chiesa, servire il popolo
di Dio, come maestro e guida, senza pretendere nulla per se stesso se
non la ricerca della santità.
PP.
Analogo telegramma è stato inviato
dal cardinale Pietro Parolin,
segretario di Stato.
PAGINA 7
Questa mattina, nella Cappella «Redemptoris Mater»,
alla presenza del Santo Padre, il Predicatore della Casa
Pontificia, Padre Raniero
Cantalamessa, O.F.M. Cap., ha
tenuto la seconda predica di
Quaresima.
Nomina di Vescovo
Ausiliare
Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare di Roma il Reverendo Augusto
Paolo Lojudice, del clero romano, finora Parroco di San
Luca al Prenestino, assegnandogli la Sede titolare di Alba
Marittima.
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pagina 2
sabato 7 marzo 2015
L’arcivescovo Gallagher all’incontro con i consulenti giuridici delle conferenze episcopali
Per un’Europa fondata
sulla dignità della persona
Pubblichiamo la traduzione italiana
del discorso pronunciato venerdì 6
marzo a Bratislava dall’arcivescovo
Paul Richard Gallagher, segretario per
i Rapporti con gli Stati, durante l’incontro dei consulenti giuridici delle
Conferenze episcopali in Europa, organizzato dal Consiglio delle Conferenze
Episcopali d’Europa (Ccee). L’incontro, iniziato il 4 marzo, ha avuto come
tema la libertà.
Da lunedì la Bce avvierà l’acquisto dei titoli di Stato
D raghi
vede la ripresa
NICOSIA, 6. La Banca centrale europea (Bce) stima in arrivo una
svolta economica positiva per i Paesi dell’euro, grazie anche all’avvio,
previsto per lunedì prossimo, del
cosiddetto Quantitative Easing (Qe),
il suo programma di acquisto di titoli di Stato annunciato a gennaio.
Lo ha detto ieri il presidente della Bce, Mario Draghi, a Nicosia,
dove si è tenuta una delle due riunioni annuali dell’istituto fuori da
Francoforte. Draghi è anche intervenuto sulla questione dei prestiti
alla Grecia, ribadendo che non vi
saranno facilitazioni se il nuovo
Governo non accelererà le riforme.
«Cominciamo lunedì», ha detto
Draghi sul Qe, quando ci saranno
acquisti di titoli di Stato per sessanta miliardi di euro al mese almeno
fino a settembre 2016.
Secondo il presidente della Bce,
con il calo del prezzo del petrolio,
le esportazioni europee sostenute
dai tassi di cambio e il graduale miglioramento del credito, si profila
una decisa ripresa, dopo anni di
crisi economica europea. La crescita
per il 2015 è stimata all’1,5 per cento, all’1,9 per il 2016 e al 2,1 per
l’anno successivo. Nel 2017, inoltre,
l’inflazione
dovrebbe
attestarsi
all’1,8 per cento.
Draghi ha comunque confermato
che il Qe è solo uno dei fattori sul
quale si basano le previsioni, spiegando che «l’emergere di ulteriori
sviluppi favorevoli» si mostra evidente.
La Bce, in sostanza, vede la svolta, anche se Draghi non manca di
rilevare come i Governi troppo timidi sulle riforme possano frenare
la crescita. In questo senso, Draghi
ha parlato anche della questione
greca. «Siamo i primi a volere che
la Grecia riparta», ha premesso.
Tuttavia ha aggiunto che «certa comunicazione crea volatilità sui mercati, distrugge il collaterale, aumenta gli spread e minaccia la solvibilità. La comunicazione è assolutamente fondamentale».
Il riferimento è alle recenti dichiarazioni del ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, secondo il quale il suo Paese non può
ripagare per intero il debito estero.
«L’ultima cosa che si può dire è
che non sosteniamo la Grecia», ha
comunque sottolineato Draghi, visto che in due mesi la Bce ha raddoppiato l’esposizione verso il Paese, arrivando a cento miliardi di euro, pari al 68 per cento del prodotto interno lordo greco, cioè la quota più alta all’interno dell’eurozona.
Europa, la bella giovane dalla quale
ha preso il nome il nostro continente, proveniva dall’Asia. In questa
credenza mitologica degli antichi
greci si rispecchia una verità storica,
poiché di fatto la culla della cultura
europea è in Asia. Secondo la leggenda, la vergine Europa era figlia
di Agenore, re di un’importante città della costa fenicia. Agenore custodiva gelosamente la figlia, assicurandosi che nessuno potesse rapire la
bella giovane. E così Zeus, padre
degli dei, che si era innamorato di
Europa, dovette procedere con sotterfugi e astuzie. Si trasformò in un
mite toro bianco, mescolandosi tra i
buoi di Agenore, che pascolavano
vicino alla costa del Mediterraneo.
Europa e le sue amiche ben presto
notarono il mite toro che profumava
di fiori; era talmente gentile che tutte le ragazze andarono ad accarezzarlo. Europa ne accarezzò i fianchi,
arrampicandosi poi sul suo dorso. E
Zeus colse subito l’occasione per rapirla. Sempre sotto forma di toro,
fuggì verso le acque con la ragazza
sul dorso fino a scomparire dalla vista, poi sorvolò il mare fino a raggiungere Creta, vale a dire l’Europa!
Oggi, il toro, come animale mitologico, difficilmente ci ricorda il rapimento di Europa. Piuttosto, nel
mondo moderno delle finanze è diventato simbolo di ricchezza economica. Basta guardare le due figure
in bronzo davanti alla borsa di New
York: l’orso schiaccia con la sua
zampa i prezzi delle azioni — segno
di recessione economica — mentre il
toro li spinge verso l’alto con le corna, promettendo ricchi profitti. Tali
Vertice informale dei ministri degli Esteri a Riga
Impegno dell’Ue per la tregua in Ucraina
RIGA, 6. La valutazione a oggi
sull’effettiva applicazione dell’accordo di Minsk nelle regioni
orientali dell’Ucraina «non è totalmente positiva, ma neanche totalmente negativa». Come ha
spiegato l’alto rappresentante per
la Politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea, Federica Mogherini, «alcune violazioni
del cessate il fuoco ci sono e il ritiro delle armi pesanti non è ancora osservabile».
Secondo il capo della diplomazia Ue, l’Europa «non deve solo
aspettare che l’accordo sia rispettato, ma fare il possibile per agevolarne il rispetto», a esempio
«rafforzando la missione degli osservatori dell’Organizzazione per
la sicurezza e la cooperazione in
Europa» in loco. Questo è uno
degli argomenti al centro del consiglio Esteri in programma oggi e
domani a Riga, ovvero a pochi
chilometri dalla frontiera con la
Russia. Il presidente ucraino Poroshenko, ha avuto ieri un colloquio telefonico con Federica Mogherini. Sul tappeto la situazione
nel Donbass e l’attuazione degli
accordi di Minsk. Poroshenko e
Mogherini hanno concordato sulla
necessità di ampliare il mandato
dell’Osce, che deve monitorare il
cessate il fuoco e il ritiro delle armi. Il presidente ucraino ha chiesto anch un contingente di peacekeepers nel Donbass.
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Un militare ucraino nei pressi di Mariupol (Afp)
Serbia e Albania
rilanciano il dialogo
TIRANA, 6. La comune volontà di
rafforzare la collaborazione, soprattutto in campo economico e commerciale, è stata sottolineata ieri da
Albania e Serbia. Le buone relazioni sono fondamentali per la stabilità nell’intera regione balcanica, ha
detto la presidente del Parlamento
serbo, Maja Gojković, durante un
vertice con il primo ministro alba-
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
nese, Edi Rama. Gojković ha poi
sottolineato l’importanza dell’integrazione europea della Serbia e
dell’Albania. «L’Ue — ha infatti dichiarato alla stampa — sarà completa solo quando i Balcani occidentali saranno integrati nell’Unione».
Infrastrutture e turismo sono tra i
settori più promettenti per la futura
collaborazione.
Servizio vaticano: vaticano@ossrom.va
Servizio internazionale: internazionale@ossrom.va
Servizio culturale: cultura@ossrom.va
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caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
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immagini mi sono venute in mente
mentre preparavo questo intervento
sui discorsi di Papa Francesco al
Parlamento Europeo e all’Assemblea
parlamentare del Consiglio d’Europa dello scorso 25 novembre.
Ancora oggi la vergine Europa
può essere sedotta e rapita dal toro
perché — ed è questa una delle
preoccupazioni centrali del Papa —
il denaro sembra essere diventato
più importante delle persone, specialmente di quelle povere e vulnerabili. Al centro delle due istituzioni
europee visitate dal Papa c’è però di
fatto la dignità umana, poiché esse
professano di difendere i diritti fondamentali di tutti e di promuovere
la coesione sociale.
Invece di parlare a Bruxelles ai soli membri del Parlamento Europeo, il Santo Padre ha deciso, in modo significativo, di
parlare a Strasburgo, il che gli
ha permesso di rivolgersi al
Consiglio d’Europa, nel quale
sono rappresentate tutte le
nazioni europee, comprese la
Russia e l’Ucraina, nonché
l’Armenia e l’Azerbaigian,
tanto per citare due esempi di
aree esterne all’Unione europea (ma interne all’Europa)
dove sono in atto gravi e costanti conflitti. Papa Francesco voleva chiarire che il nostro continente è più grande
dell’Unione europea. Come
spesso in passato, intendeva
attirare l’attenzione sulle “periferie” per impegnare attivamente gli Stati e i popoli, anche ai
margini geografici del nostro continente.
Si potrebbe dire che la vera capitale dell’Europa sia Strasburgo, che,
dopo una storia tumultuosa, è diventata un simbolo autentico della
riconciliazione franco-tedesca. Certamente è un segno di speranza per
tutti noi il fatto che questa amicizia
riscoperta colleghi tutte le nazioni
europee. Papa Francesco lo ha detto
espressamente: «Il progetto dei Padri fondatori era quello di ricostruire
l’Europa in uno spirito di mutuo
servizio, che ancora oggi, in un
mondo più incline a rivendicare che
a servire, deve costituire la chiave di
volta della missione del Consiglio
d’Europa, a favore della pace, della
libertà e della dignità umana» (discorso al Consiglio d’Europa, Strasburgo, Francia, 25 novembre 2014).
Al centro delle riflessioni del Papa
a Strasburgo c’era la sua affermazione della dignità della persona umana. La dottrina sociale della Chiesa
è incentrata sul riconoscimento del
valore di ogni individuo, la cui protezione precede tutte le leggi positive, che dovrebbero essere volte a
realizzare proprio ciò. I diritti umani devono essere rispettati ovunque,
non perché i politici ammettono la
«preziosità, unicità e irripetibilità di
ogni singola persona umana», ma
piuttosto perché sono incisi nel cuore di ogni essere umano. È su questa
base che in ogni Stato le leggi positive devono sostenere i diritti inalienabili degli individui. Questi devono essere fissati nelle leggi positive
di ogni Stato, protetti dalle autorità
e rispettati da tutti. «Occorre però
prestare attenzione per non cadere
in alcuni equivoci che possono nascere da un fraintendimento del
concetto di diritti umani e da un loro paradossale abuso. Vi è infatti
oggi la tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti
individuali — sono tentato di dire
individualistici — che cela una concezione di persona umana staccata
da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una “monade”
(...), sempre più insensibile alle altre
“monadi” intorno a sé. Al concetto
di diritto non sembra più associato
quello altrettanto essenziale e complementare di dovere, così che si finisce per affermare i diritti del singolo senza tenere conto che ogni essere umano è legato a un contesto
sociale, in cui i suoi diritti e doveri
Segreteria di redazione
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
sono connessi a quelli degli altri e al
bene comune della società stessa»
(discorso al Parlamento europeo,
Strasburgo, 25 novembre 2014).
Il pensiero cristiano, che ha forgiato in modo sostanziale la storia e
la cultura dell’Europa, ha sempre
promosso la dignità dell’individuo e
il bene comune di tutti. Su questo
sfondo, il Papa ci ricorda le radici
cristiane del nostro continente, al fine di portare i frutti che ci si può
ragionevolmente attendere dal dare
valore alla persona. Il cristianesimo
non è solo il nostro passato, ma anche il nostro «presente e il nostro
futuro», poiché l’oggi riguarda la
centralità della persona. Oggi, la dignità della persona umana è a rischio; l’Europa può trarre grande
beneficio dalla luce della morale cristiana. Il Santo Padre esorta i membri del Parlamento europeo poiché
«è giunta l’ora di costruire insieme
l’Europa che ruota non intorno
all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori
inalienabili; l’Europa che abbraccia
con coraggio il suo passato e guarda
con fiducia il futuro per vivere pienamente e con speranza il suo presente. È giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su se stessa per suscitare e promuovere l’Europa protagonista, portatrice di scienza, di arte, di musica, di valori umani e anche di fede» (ibidem).
Le parole di Papa Francesco sono
coraggiose e fanno eco al monito di
san Giovanni Paolo II in Ecclesia in
Europa, secondo cui il continente
che si separa dalle sue radici cristiane cadrà in una «apostasia silenziosa» (n. 9). Laddove gli interessi economici sono volti solo al profitto e
al mercato, il toro dell’Europa — per
utilizzare l’immagine iniziale — diventa un vitello d’oro, un idolo di
falsi valori e aspirazioni.
Secondo il Papa dobbiamo costruire nuovamente una «Europa che
contempla il cielo e persegue degli
ideali; l’Europa che guarda e difende
e tutela l’uomo; l’Europa che cammina sulla terra sicura e salda, prezioso
punto di riferimento per tutta l’umanità!». Potrebbe sembrare paradossale, ma più le persone che hanno responsabilità negli ambiti della politica, dell’economia, della cultura e del
benessere guarderanno verso gli uomini e le donne nelle periferie della
nostra società, più porranno la dignità dell’individuo al centro delle loro
attività, promovendo in tal modo il
bene comune di tutti. Più guarderanno verso il cielo, vale a dire verso alti
ideali, senza permettere ai valori di
mercato di dominare il loro lavoro,
più sarà grande l’unità tra rappresentanti e quanti prendono le decisioni e
più sarà grande anche la capacità di
risolvere i problemi che minacciano
le nostre società. Il guardare alla periferia e al cielo non distoglie dall’essenziale; al contrario, ordina le nostre
azioni nel modo giusto, così che possano davvero proteggere i diritti
umani. Il cristianesimo insegna a
guardare a entrambi: ai margini e
verso il cielo.
Da questa prospettiva il Papa parla dei problemi concreti e delle sfide
dell’Europa, specialmente le preoc-
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cupanti condizioni dei migranti che
cercano nel nostro continente protezione per la loro vita e per la loro
famiglia: «Non si può tollerare che
il Mar Mediterraneo diventi un
grande cimitero! Sui barconi che
giungono quotidianamente sulle coste europee ci sono uomini e donne
che necessitano di accoglienza e di
aiuto. L’assenza di un sostegno reciproco all’interno dell’Unione europea rischia di incentivare soluzioni
particolaristiche al problema, che
non tengono conto della dignità
umana degli immigrati, favorendo il
lavoro schiavo e continue tensioni
sociali. L’Europa sarà in grado di
far fronte alle problematiche connesse all’immigrazione se saprà proporre con chiarezza la propria identità
culturale» — e vorrei aggiungere che
questa cultura europea è profondamente cristiana — «e mettere in atto
legislazioni adeguate che sappiano
allo stesso tempo tutelare i diritti
dei cittadini europei e garantire l’accoglienza dei migranti» (discorso al
Consiglio d’Europa, Strasburgo, 25
novembre 2014).
Non è compito della Chiesa perseguire politiche quotidiane concrete e
attribuirsi competenze che non ha.
Non conosciamo le misure concrete
che potrebbero essere necessarie, per
esempio, per assicurare la sicurezza e
la libertà a tutti i migranti che cercano il nostro aiuto. Piuttosto si tratta
di invitare i politici, talvolta anche di
ammonirli, ad alzare lo sguardo e a
guardare oltre le soluzioni a breve
termine. Come ha detto Papa Benedetto XVI durante la sua visita a
Londra nel 2010: «La religione, in
altre parole, per i legislatori non è
un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale
al dibattito pubblico nella Nazione.
In tale contesto, non posso che
esprimere la mia preoccupazione di
fronte alla crescente marginalizzazione della religione, in particolare del
Cristianesimo, che sta prendendo
piede in alcuni ambienti, anche in
nazioni che attribuiscono alla tolleranza un grande valore» (Westminster Hall, 17 settembre 2010). In
considerazione delle forze crescenti
che cercano di relegare il cristianesimo all’ambito privato, eliminandolo
dal discorso pubblico, è significativo
che dopo il discorso del Papa a
Strasburgo — e forse addirittura grazie ad esso — l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa abbia
adottato una risoluzione che contrasta la discriminazione nei confronti
dei cristiani in Europa.
Il Papa “dalla fine del mondo” ha
mostrato il suo amore e la sua
preoccupazione per il nostro continente dinanzi al Consiglio d’Europa
e al Parlamento europeo. La giovane
vergine Europa è cresciuta diventando una donna matura che non ha
più l’impeto della gioventù, ma che
è sempre bella e affascinante. Nei
prossimi anni e decenni sarà importante per l’Europa che le sue nazioni
e i suoi popoli continuino il processo d’unità liberi dai vincoli del falso
egalitarismo e dell’eccessiva burocrazia, al fine di assicurare una pace
duratura. Non potrà mai più esserci
guerra in Europa! Questo alto obiettivo può però essere raggiunto solo
se la fiducia e la fratellanza — la vera unità — cresceranno e si consolideranno nell’accettazione delle differenze culturali. Il cristianesimo deve
compiere la sua missione in Europa
a tale riguardo, e la Chiesa cattolica,
in particolare, nella quale l’unità
delle differenze culturali esiste, può
offrire un aiuto tangibile per unire e
rafforzare la famiglia nazionale
dell’Europa. È questo il nostro carisma particolare, mentre assistiamo la
Santa Sede e le Chiese locali con le
nostre capacità e competenze: illuminati dalla fede, possiamo promuovere un’Europa fondata sulla dignità
della persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio.
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L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 7 marzo 2015
pagina 3
Per favorire i colloqui tra Tripoli e Tobruk
L’esercito libico annuncia
un cessate il fuoco
Nuova strage
di Boko Haram
in un villaggio
nigeriano
ABUJA, 6. Decine di persone sono
state uccise in un ennesimo attacco di Boko Haram nel nord-est
della Nigeria, del quale è stata data notizia ieri. L’incursione è avvenuta martedì nel villaggio di Njaba, nello Stato del Borno, che del
gruppo jihadista è considerato la
principale roccaforte. Secondo
quanto riferito dal sito di informazione Sahara Reporters, sulla base
di testimonianze di sopravvissuti, i
miliziani di Boko Haram avrebbero ucciso sessantotto tra uomini,
ragazzi e anche bambini. Altri testimoni citati dal quotidiano
«Vanguard» parlano di un numero di vittime più alto, specificando
che a Njaba sarebbero stati trucidati settantaquattro uomini e venti
tra ragazzi e bambini che avevano
rifiutato di unirsi al gruppo jihadista. Non c’è nessuna conferma
ufficiale dell’attacco, ma fonti della sicurezza hanno affermato che
le testimonianze sono credibili.
Njaba si trova ad alcune decine
di chilometri a ovest di Gwoza, la
città che Boko Haram ha eretto a
capitale del suo cosiddetto califfato proclamato lo scorso anno. Secondo alcune fonti di stampa, gli
islamisti si starebbero concentrando in questa località in previsione
di nuovi combattimenti con i reparti militari della Nigeria e del
Ciad. Quest’ultimo Paese, come
noto, fornisce i contingenti più
numerosi e meglio armati alla forza africana intervenuta in Nigeria
contro Boko Haram e alla quale
partecipano anche Benin, Camerun e Niger.
Sempre ieri, intanto, è giunta
conferma che la giovane donna
linciata e poi bruciata da una folla
inferocita in un mercato di Bauchi
non era una un’attentatrice suicida. La polizia e i familiari della
giovane, che si chiamava Thabita
Haruna, hanno raccontato che
soffriva di problemi mentali e non
aveva nulla a che fare con il terrorismo. Fino al 2007 lavorava a una
bancarella al mercato. Proprio lì si
era diretta la settimana scorsa,
quando il suo rifiuto di farsi perquisire prima di entrare nel mercato era stato ritenuto dalla folla
una prova sufficiente del fatto che
si accingesse a compiere un’attentato, così come due bottiglie che
portava con sé sono state considerate due bombe.
RABAT, 6. I colloqui tra le fazioni libiche procedono positivamente e
proseguiranno anche oggi. Lo riferiscono media libici citando fonti ufficiali. Il primo giorno di dialogo
svoltosi a Skhirat, vicino Rabat, è
stato positivo e migliore del precedente, ha detto l’inviato speciale
dell’Onu per la Libia, Bernardino
León, precisando che i rappresentanti di Tripoli e Tobruk — pur presenti
nello stesso centro congressi — si trovavano in sale diverse e hanno dialogato attraverso la delegazione delle
Nazioni Unite. Le due fazioni libiche stanno trattando per la formazione di un Governo di unità nazionale che consenta di unire le forze
nella lotta contro i jihadisti.
soltanto del Governo di Tobruk ma
anche di quello auto-proclamato a
Tripoli. Oltre a delegati dei due Governi contrapposti, alla sessione in
corso partecipano rappresentanti
delle tribù libiche, organismi che
giocano un ruolo fondamentale nella
crisi politica. Un altro round di consultazioni si terrà la settimana prossima in Algeria.
Il Consiglio di sicurezza dell’O nu
ha intanto deciso ieri di prorogare la
missione di supporto Unsmil in Libia. Con una risoluzione adottata
all’unanimità, i Quindici hanno esteso il mandato di Unsmil, in scadenza il 13, fino al 31 marzo.
E la Russia può avere un «ruolo
decisivo» per risolvere la crisi libica:
è la convinzione espressa dal presidente del Consiglio dei ministri italiano, Matteo Renzi, dopo un colloquio ieri di più di tre ore al Cremlino con Vladimir Putin, il quale ha
rilevato come, nonostante il conflitto
ucraino e le sanzioni, l’Italia rimanga «uno dei partner privilegiati» di
Mosca, «sia in Europa che nel
mondo».
L’inviato dell’Onu in Libia Bernardino León (Ansa)
Bonificato più dell’ottanta per cento del territorio
Sminamento afghano
Sostituiti otto ministri
Rimpasto
nel Governo egiziano
IL CAIRO, 6. L’Egitto avvia un rimpasto di Governo, sostituendo otto
ministri fra cui quello dell’Interno
Mohamed Ibrahim, al cui posto
andrà il generale Madgi Abdel
Ghaffar. Lo ha confermato ieri in
una conferenza stampa il premier
Ibrahim Mahlab. Il rimpasto ha riguardato
anche
i
ministeri
dell’Educazione, Cultura, Turismo,
Agricoltura e Telecomunicazioni. I
nuovi capi dicastero hanno giurato
davanti al presidente Abdel Fattah
Al Sissi.
Ibrahim è stato quindi nominato
consigliere del premier per gli Affari di sicurezza, secondo quanto
riferisce il quotidiano del Cairo
«Al Ahram». L’ex ministro dell’In-
Trenta Paesi
a rischio ebola
FREETOWN, 6. Sono quasi trenta i
Paesi a rischio ebola e il futuro di
milioni di bambini è in pericolo.
L’allarme è stato lanciato dall’organizzazione umanitaria Save the Children in un nuovo rapporto, che intende fare luce sull’attuale situazione
in cui versano i sistemi sanitari dei
Paesi più poveri del mondo.
L’organizzazione ricorda che l’epidemia di ebola in Liberia, Sierra
Leone e Guinea ha già ucciso novemila persone. «Un sistema sanitario
solido avrebbe potuto fermare il virus», si legge nel rapporto. «E senza
operatori sanitari qualificati e senza
un sistema sanitario funzionante sul
posto — prosegue il testo — è più
probabile che un’epidemia possa diffondersi attraverso i confini internazionali». Sono infatti una trentina i
Paesi al mondo che hanno sistemi
sanitari ancora più a rischio di quello della Liberia. Secondo la ricerca,
In un gesto di sostegno allo sforzo negoziale condotto dall’O nu,
l’esercito libico — quello che risponde all’Esecutivo del Parlamento eletto e riconosciuto dalla comunità internazionale costretto per motivi di
sicurezza a riunirsi a Tobruk — ha
annunciato un cessate il fuoco di tre
giorni per «dare una chance al dialogo». E per il momento ha posto
fine allo scambio di raid aerei ingaggiato con l’aviazione delle milizie
islamiste al potere a Tripoli.
La sessione dei negoziati indiretti
in Marocco segue precedenti incontri iniziati a settembre a Ghadames.
L’11 febbraio scorso nella stessa località libica i colloqui avevano visto la
partecipazione di rappresentanti non
due elementi fondamentali vanno tenuti in considerazione nel rischio di
nuove epidemie: la popolazione
mondiale è sempre meno stanziale e
sempre più in movimento e questo
intensifica la minaccia di epidemie; a
questo si deve aggiungere la nascita
ogni anno di due nuove malattie che
possono essere trasmesse dagli animali all’uomo. La classifica tiene
conto di una serie di fattori caratterizzanti per un sistema sanitario, come il numero di operatori sanitari, la
quantità di spesa pubblica dedicata
alla salute e il tasso di mortalità. In
questa classifica la Somalia ha il
punteggio più basso, seguita da
Ciad, Nigeria, Afghanistan, Haiti,
Etiopia, Repubblica Centroafricana,
Guinea, Niger e Mali. In Afghanistan, ad esempio, la spesa pubblica
per la sanità è solo di 10,71 dollari a
persona all’anno, rispetto ai 3.099
dollari della Gran Bretagna.
terno aveva avuto un ruolo chiave
durante gli eventi che, nel giugno
del 2013, portarono alla destituzione del presidente Mohammed
Mursi.
Nel frattempo, mentre quattro
ordigni artigianali sono esplosi stamattina al Cairo senza causare vittime — come ha riferito la televisione di Stato — una corte egiziana ha
aperto ieri un processo contro 213
militanti islamisti, fra cui diversi
membri dell’esercito e della polizia,
accusati di aver pianificato e attuato decine di attentati, fra cui il tentativo di uccidere appunto l’allora
ministro dell’Interno Ibrahim. Dei
213 imputati 143 sono attualmente
in carcere.
KABUL, 6. L’ottanta per cento del
territorio dell’Afghanistan è stato liberato dalle mine ma resta ancora
un’area di circa 520 chilometri quadrati che deve essere bonificata. Lo
ha riferito ieri Tolo Tv. Sulla base
delle informazioni fornite da varie
compagnie specializzate nello sminamento del territorio, per terminare
completamente questo lavoro saranno necessari ancora otto anni. Un
portavoce del Centro per la localizzazione delle mine (Mdc) ha precisato che dal 1989, quando varie
compagnie hanno cominciato l’opera
di bonifica, circa 2,1 milioni di mine
sono state scoperte e distrutte.
A rimanere colpita dalle mine antiuomo è per la maggior parte la popolazione civile, per lo più nelle
aree del sottosviluppo. La maggior
parte muore per mancanza di soccorsi. Le mine antiuomo sono un’arma di distruzione di massa ad azione ritardata. A differenza di altre armi, questi ordigni non hanno un
bersaglio.
Nascoste nel terreno come sentinelle eterne, non riconoscono tregue
o cessate il fuoco. Possono restare
attive per oltre 50 anni, dunque continuano a seminare terrore e paralizzare la vita di intere società ben oltre la fine di un conflitto. Inoltre, la
loro presenza rende impossibile l’accesso a vaste zone coltivabili, ostacola il rimpatrio dei profughi, rallenta
o impedisce le campagne di vaccinazione e la distribuzione di aiuti
umanitari. Le mine antiuomo inter-
Khartoum riconosce i diritti
dei lavoratori sudsudanesi
KHARTOUM, 6. Sembra avviata a
soluzione la questione delle centinaia di migliaia di persone originarie del Sud Sudan che hanno scelto di restare in Sudan dopo la secessione da Khartoum proclamata
a Juba nel luglio del 2011. Queste
persone stanno infatti per ricevere
carte di identità che consentiranno
loro di restare senza bisogno di
permessi di lavoro e di soggiorno.
Ne danno notizia responsabili della missione dell’alto commissariato
dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) citati dall’agenzia Misna.
La consegna dei documenti, prevista da un accordo appena entrato in vigore, è già partita nell’area
di Khartoum e in seguito si estenderà nelle altre regioni del Paese.
«Resteranno
sudsudanesi,
ma
avranno i diritti dei sudanesi», ha
spiegato alla Misna Mohamed Elnaiem, coordinatore dell’Unhcr a
Khartoum, aggiungendo che le
persone registrate potranno accedere ai servizi sanitari e sarà loro
riconosciuto il diritto allo studio.
La questione dei diritti dei sudsudanesi rimasti al nord era una di
quelle lasciate irrisolte nei diversi
negoziati che avevano preceduto e
seguito la separazione tra i due
Paesi. Nel ricordarlo, peraltro, Elnaiem ha sottolineato che l’intesa
raggiunta tra Unhcr e Khartoum
va anche oltre questo aspetto. I
documenti saranno consegnati infatti sia ai circa trecentocinquantamila sudsudanesi rimasti in Sudan
dopo la nascita del nuovo Stato,
sia agli oltre centoventimila che si
sono rifugiati a nord dopo che in
Sud Sudan nel dicembre 2013 è divampato il conflitto civile tra le
forze fedeli al presidente Salva
Kiir Mayardit e i ribelli guidati dal
suo ex vice Rijek Machar.
dicono lo sviluppo di un popolo,
mutilano la pace di un Paese.
Il dramma delle decine di civili
mutilati e uccisi ogni settimana in
Afghanistan pone però l’accento
sull’opera di bonifica che ancora deve essere effettuata con l’aiuto della
comunità internazionale. Negli ultimi anni si è registrato un aumento
nel numero di Paesi che hanno dichiarato di aver avviato attività di
bonifiche organizzate. Una mina
può costare meno di tre dollari, ma
ne occorrono centinaia per rimuoverla dal terreno. Lo sminamento è
dunque un’operazione costosa. Rimuovere questi ordigni è anche pericoloso: in media, uno sminatore
muore e due restano feriti ogni
5.000 mine antiuomo rinvenute.
Si è registrato un aumento del livello dei finanziamenti per le attività
di mine action da parte di decine di
Paesi. Quattro i principali donatori
in termini assoluti: Stati Uniti, Gran
Bretagna, Svezia e Danimarca. L’Afghanistan, negli ultimi tempi, è la
Nazione che ha avuto maggiori finanziamenti, pari a due terzi dell’incremento totale dei fondi.
Leader dell’opposizione tadjika
ucciso a Istanbul
ISTANBUL, 6. Il leader di uno dei
movimenti di opposizione tadjika,
Umarali Kuvvatov, è rimasto ucciso in un agguato a Istanbul giovedì notte: lo riferisce l’agenzia di
notizie privata turca, Dogan.
La ricostruzione della dinamica
dell’omicidio dell’oppositore tadjiko — leader del movimento Gruppo 24 — resta ancora confusa. Secondo i media turchi il presunto
assassino non è stato ucciso dalla
polizia, come indicato in un primo
tempo, ma è riuscito a fuggire.
Fonti turche riportano poi che è irreperibile un amico di Kuvvatov,
con il quale aveva cenato poco prima. I due erano usciti insieme per
una passeggiata. L’amico è considerato ora il principale sospettato.
Secondo altre fonti invece l’assassinio — avvenuto nel quartiere europeo di Fatih — sarebbe opera di un
terzo uomo.
Oppositore del presidente tadjiko, Emomali Rakhmon, al potere
ininterrottamente dal 1992, Kuvva-
tov aveva lasciato il Tadjikistan nel
2012 e aveva chiesto l’asilo politico
in Turchia. Nel dicembre scorso
era stato arrestato dalla polizia turca per presunte irregolarità nella richiesta di asilo per poi essere rimesso in libertà. Lo scorso ottobre,
il suo movimento Gruppo 24 era
stato dichiarato “organizzazione
terroristica” dalla Corte Suprema
tadjika. Ricercato per vari reati, anche economici, e accusato di fondamentalismo, si era rifugiato in
Turchia, dove il Governo di Ankara si era rifiutato di estradarlo; ma
prima di stabilirsi a Istanbul, aveva
vissuto per diverso tempo negli
Stati Uniti e a Dubai.
Nelle ultime elezioni del 2013
l’opposizione non era riuscita a
presentare Oynihol Bobonazarova,
avvocato e attivista dei diritti umani, non riuscendo a raccogliere le
210.000 firme necessarie per essere
ammessa come candidata. Le presidenziali erano state vinte ancora
una volta da Emomali Rakhmon.
La protesta
degli studenti del Myanmar
NAYPYIDAW, 6. Un folto gruppo di
rappresentanti del movimento studentesco del Myanmar sono stati
invitati a partecipare a una riunione governativa per la nuova legge
sull’istruzione, in discussione presso la Camera alta del Parlamento.
Ma poco dopo hanno abbandonato il vertice, precisando che torneranno a sedersi al tavolo delle trattative con il Governo solo dopo
che saranno state accolte le loro
condizioni. Le autorità di Naypyidaw si sono impegnate ad aumentare l’importo speso per l’istruzione
al 5,9 per cento del bilancio nazionale per l’anno fiscale 2014-15 e ridurre l’importo speso per la difesa
al 12-13 per cento. Eppure, nonostante le promesse, l’attuale bilancio — informano fonti locali — assegna 2,4 miliardi di dollari per la
difesa contro i 110 milioni di dollari
per l’istruzione.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
sabato 7 marzo 2015
La visita del nunzio in Baviera
al campo di prigionia
il 20 settembre 1918
«Non dimentichiamoci
che la scienza naturale
è iniziata nel Cinquecento
mentre la Scolastica
è rimasta in vigore
per settecento anni»
soleva dire Robert Musil
Chesterton e l’Aquinate
San Tommaso
e il tram
La visita di Eugenio Pacelli a Cellelager nei diari di Carlo Emilio Gadda
Con un ombrello
da prete di campagna
di FABIO PIERANGELI
uando è catturato,
Gadda ha ventiquattro anni: con
la fine della vita di
soldati (di bravi
soldati) terminano
i sogni sublimi del sistema alto e
dolce della vita, le speranze più
generose dell’infanzia: con la visione della patria straziata, con la
vergogna dei vinti, inizia il calvario della prigionia, della fame, dei
maltrattamenti, del sudiciume.
Gadda arriva a Cellelager il 29
marzo 1918 e vi rimarrà fino al I°
gennaio 1919. Tra i rari eventi che
scuotono la miserevole monotonia della fame, dell’attesa di notizie dal fronte e dalla famiglia
(con i relativi pacchi viveri), di
spettacoli musicali e teatrali, la
visita a Cellelager di Eugenio Pacelli, futuro Papa Pio XII, il 20
settembre 1918, si rivela occasione
per tornare sulla meditazione appena considerata. Fin dall’anno
della neutralità dell’Italia, il Papa
Benedetto XV, subentrato ai primi
di settembre a Pio X, creava l’Ufficio prigionieri «con il compito
di raccogliere, indipendentemente
da nazionalità o religione, notizie
sui soldati dei quali non si conosceva la sorte, di informare le fa-
Q
Il saggio
Pubblichiamo uno
stralcio dal saggio
«I “destini glaciali”
e la voce della
pietà. Gadda, il
Nunzio Pacelli e
altri testimoni da
Cellelager, campo
di prigionia della
Grande Guerra»,
pubblicato sulla
rivista «Studium»
di gennaio-febbraio
2015.
miglie sui loro cari prigionieri e
di stabilire i collegamenti possibili».
Il Papa della pace, dell’appello
dell’agosto 1917 contro l’inutile
strage, affianca ai suoi tentativi
diplomatici concrete iniziative
umanitarie, facendo pubblicare
dalla Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari alla fine del 1914 un decreto destinato a
tutti i vescovi dei Paesi in guerra
«nella quale si prescriveva di assumere nella loro cura pastorale,
sotto il profilo religioso e anche
materiale, i prigionieri concentrati
nei campi presenti nella loro diocesi».
Era preoccupazione del Papa
Benedetto XV che tali sacerdoti
dovessero cercare con tutto il loro
zelo il bene spirituale e anche
Le condizioni dei prigionieri
sono disumane
Decine di morti ogni giorno
per il freddo, i maltrattamenti
e i lavori durissimi
materiale dei prigionieri. Il decreto era firmato proprio da Eugenio Pacelli, Segretario della Congregazione, stretto collaboratore
del cardinal Segretario di Stato
Vaticano cardinal Gasparri, nominato successivamente nunzio in
Baviera dal maggio 1917, succedendo, dopo la morte improvvisa,
a monsignor Aversa. Tramontati i
tentativi di mediazione per la Pace, a cui Pacelli immediatamente
si dedica, per la sua parte in Germania, l’azione umanitaria costituisce l’obiettivo specifico della
politica di Benedetto e del suo
nunzio.
Nell’ottobre del 1917, Pacelli
inaugura le sue visite pastorali
nei campi di prigionia a Pucheim. Colpito dalle sofferenze
morali e materiali dei prigionieri,
ne scrisse una accorata relazione
alla Santa Sede.
Giungono a Pacelli notizie delle disumane condizioni dei prigionieri, con decine di morti ogni
giorno: esposti al freddo per intere giornate, maltrattati, costretti a
lavori durissimi. La situazione
drammatica della alimentazione
stigmatizzata dalla corrispondenza Gasparri-Pacelli e da altri documenti dell’Archivio Segreto Vaticano, nel fascicolo prima guerra
mondiale e in quello Germania,
collima con le descrizioni umilianti di Gadda, con gli ufficiali
che si privavano di ogni cosa non
indispensabile per un tozzo di
pane o una mela.
Della visita a Cellelager e agli
altri campi tedeschi e austriaci,
Pacelli riferisce alla Segreteria di
Stato il 29 settembre, descrivendo
minuziosamente le condizioni dei
prigionieri italiani, abbandonati dalla patria.
Il 20 settembre 1918 è,
dunque, un giorno speciale per i prigionieri
italiani di Cellelager:
tra festeggiamenti laici
ed epifania del sacro, si
confrontano, idealmente, acerrimi nemici, la
Santa Sede e lo Stato
italiano. Si ricorda l’anniversario della breccia di Porta
Pia e proprio quel giorno, scrive
Gadda, «l’insieme della cerimonia fu complicato dall’atteso arrivo di monsignor Pacelli, Nunzio
Apostolico presso la corte di Monaco, il primo italiano non prigioniero che mette piede in Cellelager». Gadda riserva al duplice
evento un’attenzione particolare,
affidando la minuta cronaca degli
eventi a una riflessione ulteriore,
scrivendone
ampiamente,
tre
giorni dopo, il 23 settembre, in
due riprese successive.
Nel bigio della giornata orrenda, mentre alcuni compagni di
prigionia allestiscono il pranzo e
la festa, Gadda non può fare a
meno di notare, come nella maggioranza delle testimonianze arrivateci da Cellelager, l’ipocrita pagliacciata dei tedeschi che avevano cercato di rendere un’immagi-
di SABINO CARONIA
elle pagine iniziali de
L’uomo senza qualità, è
descritta una strana
fantasia del protagonista: «Immaginò che
il grande filosofo e teologo Tommaso d’Aquino, morto nel 1274, dopo
aver con immensa fatica messo ordine nel pensiero del suo secolo,
avesse ancora continuato a perfezionare quel suo lavoro e solo ora ne
fosse giunto al termine; ed ecco
che, rimasto giovane per eccezionale favore, usciva adesso dal portale
romanico di casa sua e un tram
elettrico gli passava di carriera davanti al naso. L’attonito stupore del
doctor universalis, come gli antichi
chiamavano il grande Tommaso, gli
mosse il riso».
E in L’uomo tedesco come sintomo
lo stesso Musil, sottolineando già
allora, come poi in L’uomo senza
qualità, il dramma per cui l’uomo
non c’è più, ne rimangono soltanto
i sintomi, osserva: «Così alla svolta
fra il XVI e XVII secolo ebbe inizio
la scienza naturale. Non si dimentichi che ha solo tre secoli di vita,
mentre la Scolastica restò in vigore
per ben sette secoli fino alla sintesi
di Alberto Magno e Tommaso
d’Aquino».
Scrive Gilbert Keith Chesterton
nel suo saggio dedicato al doctor
universalis: «Ogni generazione cerca
il proprio santo per istinto; e questi
non è quello che la gente vuole ma
piuttosto quello di cui la gente ha
bisogno». Poi aggiunge il consueto
paradosso: «Ogni generazione viene convertita dal santo che maggiormente la contraddice». E conclude: «Il XX secolo si sta aggrappando alla teologia razionale tomistica perché ha messo da parte la
ragione»; un tema ampiamente citato nella miscellanea di saggi a breve
in libreria Quando io ti chiamo (Genova, Marietti, 2015, pagine 152, euro 10).
Tommaso sosteneva che se non
possiamo sapere ciò che Dio è possiamo conoscere ciò che Dio non è,
cioè partire dalla razionalità e, non
a caso, un eminente studioso come
John Finnis in proposito ha osservato che sul dialogo tra culture e
religioni avrebbe detto le stesse cose di Benedetto XVI a Ratisbona:
«Non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio».
Quel che chiaramente risulta dalla vita del santo è il senso religioso
del mistero, del limite della conoscenza umana, il presentimento di
un’immensa zona di realtà e di verità che sfugge all’intelligenza umana
e verso la quale tuttavia è diretta
una segreta aspirazione dell’uomo,
come nel capitolo 48 del libro IIIdella Summa contra gentiles, nel quale si afferma che la suprema felicità
dell’uomo è oltre questa vita, con
quella osservazione finale sull’angustia sofferta dai praeclara ingenia dei
filosofi che non avevano a sostenerli la fede nella rivelazione, che non
può non far pensare ai noti versi
del terzo canto del Purgatorio dantesco: «“State contenti, umana gente, al quia; / ché, se potuto aveste
veder tutto, / mestier non era parturir Maria, / e disïar vedeste sanza
frutto / tai che sarebbe lor disio
quetato, / ch’etternalmente è dato
lor per lutto: / io dico d’Aristotile e
di Plato / e di molt’altri”; e qui chinò la fronte, / e più non disse, e rimase turbato».
Durante la seconda metà del mese di febbraio del 1274, a Quaresima già iniziata — la Pasqua
quell’anno cadeva il primo aprile —
N
ne meno squallida del campo
piantando lungo il viale e presso
l’entrata della chiesetta dei pini
nani e dei piccoli abeti.
Nella pioggia rada e fredda, si
consuma l’attesa del nunzio. Appare al cancello, tra la folla. Gadda, già con la precisione e la sintesi del futuro grande scrittore,
scrutatore di volti e d’anime, lo
isola dal contesto, lo ritrae mentre apre l’ombrello da prete di
campagna: «È alto, lungo, con
occhiali. Ha un cappello da prete
di feltro liscio, ma più piccolo e
tondo dei soliti, ornato d’un cordone verde e oro; occhiali; naso
affilato e adunco, tunica nera».
Pacelli non ha alcun seguito ecclesiastico e questo deve piacere a
Gadda, cammina velocemente, si
dirige deciso verso la chiesetta. I
prigionieri, conclude Gadda nella
prima parte della cronaca della
giornata, hanno il desiderio di
percepire qualcosa da «quel nato
in terra italiana».
Il minuzioso seguito del racconto, redatto il 23 settembre sera, mantiene una lente chiaroscurale che passa dai fatti esterni alla
sofferenza individuale, senza soluzione di continuità.
Il carattere religioso della funzione mantiene le vestigia del sacro e Gadda nota lo sforzo di Pacelli di mantenersi equanime, al
di sopra dell’appartenenza nazionale e della stessa religione, eppure di accordare i suoi sentimenti più cordiali agli italiani.
Benedetto XV elargisce la sua benedizione e la sua carità concreta
— pacchi di indumenti portati
con sé per i più poveri, quelli di
viveri promessi, la successiva distribuzione di denaro — non conosce distinzioni.
Secondo Gadda, le azioni del
Nunzio hanno una patina di preparato e di diplomatico, il suo tono gli risulta addirittura untuoso,
eppure suonò «in esso, o mi parve, la voce della pietà e della religione e il mio spirito facile alla
visione entusiastica delle cose ne
rimase commosso».
I Pertti Kurikan Nimipäivät rappresenteranno la Finlandia al prossimo Eurovision Song Contest
La sindrome del punk
«I membri della nostra band sono quattro persone di mezza
età con disabilità mentale. La musica è, naturalmente, punk
finlandese» spiega Sami Helle, il bassista dei Pertti Kurikan
Nimipäivät, o, più brevemente, Pkn. La Finlandia ha scelto i
Pkn per rappresentare il Paese durante il prossimo Eurovision
Song Contest, che si svolgerà a Vienna a maggio. Pertti
Kurikka, Kari Aalto, Sami Helle e Toni Välitalo si sono
incontrati durante un corso per persone affette da sindrome di
Down e altre disabilità nel 2009. Dopo aver formato il
gruppo, hanno avuto subito successo e si sono esibiti in
Inghilterra, Germania, Norvegia e Stati Uniti. Sulla band è
stato realizzato anche un documentario, The Punk Syndrome.
«Non vogliamo che la gente voti noi per pietà, non siamo
così diversi dagli altri, solo persone normali con un
handicap mentale», ha dichiarato Helle ai giornali.
Tommaso, in viaggio verso Lione, è
costretto a fermarsi nel castello di
Maenza, ospite della nipote Francesca, andata sposa al signore del
luogo, Annibaldo di Ceccano e poi,
come da lui richiesto, per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute,
è condotto, a cavallo di un mulo,
nel vicino monastero cistercense di
Fossanova. Gli viene assegnata la
migliore stanza della foresteria.
In quella stanza, la stanza del
transito, trasformata in cappella nel
Seicento dal cardinale Francesco
Barberini che la fece decorare di un
bassorilievo raffigurante Tommaso
sul letto di morte mentre sta spiegando ai religiosi il Cantico dei
Cantici, Tommaso passa a miglior
vita hora mattinali, come scrive il
biografo Guglielmo di Tocco, cioè
sul crepuscolo dell’alba di mercoledì 7 marzo 1274.
Continua Chesterton nel libro
dedicato all’Aquinate: «Qualcosa di
grandioso pare aleggi intorno a lui.
Coloro che lo attorniano hanno la
sensazione che un’intelligenza poderosa lavori in mezzo a loro come
Tommaso in una vetrata della cattedrale
di Saint-Rombouts, Mechelen (Belgio)
un gigantesco mulino, e che l’interno del monastero sia ben più vasto
di tutto ciò che è oltre le sue mura». Chi oggi visita l’abbazia può
avere la sensazione di afferrare
qualche eco che viene da lontano,
dal coro dei monaci, dai campi di
lavoro, forse dalla stessa cella di
Tommaso, quasi un flebile sospiro o
una preghiera.
Pur pervasi da un profondo senso di malinconia al pensiero che si
tratta di un mondo lontano, in alcuni momenti sembra quasi di essere ancora a quei tempi, di sentire risuonare ancora quel responsorio
che è proprio della liturgia non solo
domenicana al termine della Compieta nel tempo di Quaresima:
«Media vita in morte sumus / quem
quaerimus adjutorem nisi te, Domine,
/ qui pro peccatis nostris jus irasceris
/ sancte Deus, sancte fortis, / sancte
et misericors Salvator / amarae morti
ne tradas nos».
Guglielmo di Tocco narra che
san Tommaso, specie negli ultimi
tempi, nel sentir cantare quella invocazione che richiama le parole
del salmo 71, si commuoveva fino
alle lacrime (ne proicias nos in tempore senectutis) nella incrollabile fede
che — come scrive Chesterton — «in
questa vita non c’è che un solo scopo, ed è quello che è al di là di
questa vita».
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 7 marzo 2015
pagina 5
L’idea che le persone
di un’altra fede siano strane
moralmente deficienti
o tragicamente cieche
diventa sempre meno credibile
Rinnovare la Chiesa in un’epoca secolare
La possibilità
di scegliere
di CHARLES TAYLOR
laube als Option: la fede come opzione. È
questa la descrizione
che Hans Joas propone
per la situazione contemporanea della vita spirituale/religiosa in Occidente. Opzione qui ha
un significato diverso da scelta. Le
questioni di fede e non-fede non si
risolvono con leggerezza, come se si
scegliesse da un menù. Quando si
adotta una fede o la si abbandona ci
si sente “chiamati”. Quanti l’abbandonano forse non si esprimerebbero
così, ma sentono che, in tutta onestà, non hanno altra scelta che respingere la fede.
Opzione significa qualcosa di diverso: significa che per un numero
crescente di persone in Occidente o
nella società del Nord Atlantico, come anche di altre parti del mondo,
c’è una comprensione di base della
propria vita di fede/non-fede: conoscono altre persone, intelligenti o
percettive quanto o più di loro, che
vivono un’altra opzione. L’idea che
le persone che vivono all’interno di
un’altra fede siano strane, moralmente deficienti o tragicamente cieche diventa sempre meno credibile.
Alcune di esse magari sono mie amiche, altre forse miei parenti stretti. È
questo ciò che significa vedere la fede come un’opzione.
Come si è giunti a ciò?
Disincanto. La prima forma si è
prodotta in un tempo piuttosto lungo, nei secoli, di fatto. Nel 1500 i
nostri antenati in Europa vivevano
in un mondo “incantato” (verzaubert); un mondo pieno di spiriti e di
forze morali, alcuni pericolosi (spiriti
dei boschi), alcuni benevoli (reliquie, magia bianca). Negli ultimi secoli la maggior parte di noi ha smesso di vedere o — ancora più importante — di sperimentare il mondo in
quel modo. Siamo impermeabili a
questa dimensione delle cose. Siamo
“personalità tamponate”. È questo
uno dei cambiamenti (quello principale) che Weber definisce Entzauberung.
Il secondo cambiamento è più recente, essendosi realizzato solo
nell’ultimo secolo circa. Vorrei parlare di “slegamento” facendo riferimento a due modi in cui la vita religiosa in passato ha legato insieme
alcuni aspetti della nostra vita (legamento), che ultimamente si sono separati.
G
Caravaggio, «Il sacrificio di Isacco» (1601-1602)
Il primo è il seguente: negli ultimi
due secoli molte società europee sono state società confessionali. La
gente che apparteneva alla Chiesa
nazionale condivideva anche tante
altre forme di appartenenza: famiglia, parrocchia e nazione. Appartenere a una di esse significava, di
norma, appartenere a tutte. Le appartenenze erano “legate”. Ma negli
ultimi decenni questo intreccio di
appartenenze si è sciolto. Le persone
con le quali condivido la cittadinanza, o i miei familiari, o i vicini nel
Paese in cui vivo, non sono necessariamente le stesse con le quali condivido la mia opzione di fede.
All’interno delle Chiese, inoltre,
nella nostra civiltà c’era una straordinaria varietà di attività spirituali e
di altro genere. La liturgia, ovviamente, ma anche la celebrazione delle festività; la solennizzazione dei riti
di passaggio, ma anche devozioni
speciali, novene, pellegrinaggi, preghiere alla Vergine; e poi le diverse
organizzazioni caritative e le forme
di aiuto reciproco; infine, più devozioni private. Persone diverse si dedicavano in maniera differenziata a
queste attività, ma erano tutte viste
come parte della vita della Chiesa.
Nella società contemporanea queste attività spesso si dividono in enti
specifici separati. Posso appartenere
a una Chiesa, e poi anche a Medici
senza frontiere, e poi praticare una
qualche forma di meditazione e così
via. Tutto in contesti od organizzazioni differenti.
Cosa ha motivato questi slegamenti? In parte la maggiore mobilità
sociale, geografica e internazionale
della vita moderna; l’allentarsi di legami precedenti che ciò comporta, le
nuove forme di individualismo che
favorisce. Ma anche quella forma
particolare che noi definiamo “etica
La conferenza internazionale
Si è svolta dal 4 al 5 marzo alla Pontificia università Gregoriana
la conferenza internazionale «Rinnovare la Chiesa in un’epoca
secolare: dialogo olistico e visione kenotica», tenuta sotto l’alto
patronato del Pontificio Consiglio della cultura, come parte del
progetto di The Council for Research in Values and Philosophy
a cinquant’anni dalla chiusura del concilio Vaticano II.
Pubblichiamo l’intervento conclusivo del filosofo canadese
autore del celebre A Secular Age (Harvard University Press,
2007).
di autenticità”: l’idea che ogni essere
umano ha la propria forma di essere
umano e che dovrebbe trovare la
propria forma di vita e realizzarla.
Nella società occidentale del XX
secolo osserviamo un costante allentarsi di legami più stretti con comunità “legate” e il corrispondente desiderio da parte dei più giovani di
andare nella società più vasta e trovare il proprio cammino. Ciò che
per un po’ controbilancia questo
processo sono i grandi gruppi di
persone immigrate, che possono sopravvivere solo rimanendo unite alle
loro comunità legate. Ma i loro figli
spesso cercano di trovare la propria
strada nella società più ampia.
Il disincanto e lo slegamento hanno prodotto un paesaggio spirituale
diverso. Per esempio, possiamo vedere nella laicizzazione dei rituali di
vita una conseguenza di questi due
cambiamenti che operano insieme.
La gente vorrà sempre fare ricorso a
riti di passaggio per segnare le fasi
importanti nella vita umana: nascita,
matrimonio, morte di persone care.
Ma nel XX secolo in molte società
occidentali le persone hanno spesso
finito col sostituire i sacramenti della
Chiesa con rituali da loro stessi ideati. È una cosa assai frequente per i
matrimoni e, molto meno evidente,
quando si tratta di funerali. La
morte è circondata da misteri che
un mondo piuttosto secolarizzato
ha difficoltà a domare.
Oppure, talvolta ai riti della
Chiesa è stata data un’interpretazione piuttosto “immanente” da
molte persone che vi hanno partecipato. Si tratta di un fenomeno
in evidenza nelle società scandinave,
dove l’appartenenza nazionale ed ecclesiale è ancora abbastanza slegata.
Ma il significato dell’appartenenza
alla Chiesa cambia. È questo il fenomeno che Grace Davie definisce
«appartenere senza credere».
A controbilanciare ciò, c’è il fenomeno che lei stessa chiama «credere
senza appartenere», osservato tra
l’altro in Inghilterra. La gente abbandona la partecipazione attiva alla
Chiesa nazionale, tuttavia è felice di
sapere che c’è, fornendo riti all’occasione, ma anche semplicemente assicurando la presenza costante della
fede nella società. Tale relazione esile, che tuttavia esiste, costituisce una
sorta di “religione vicaria”.
Lorenzo Bartolini, «La fiducia in Dio» (1836)
Questo fenomeno significa che
talvolta esageriamo il grado di “secolarizzazione”, nel senso di abbandono della religione, in alcune società,
misurandolo semplicemente in base
al calo dalla presenza regolare in
chiesa. Spesso, questa distanza dalla
Chiesa rispecchia ambivalenza, incertezza o perfino qualcosa di più
positivo invece che abbandono della
fede. José Casanova indica la misura
in cui in Europa la secolarizzazione
in questo senso è un rivestimento,
una sorta di storia ufficiale generalmente riconosciuta su ciò che si suppone stia accadendo piuttosto che
un’accurata descrizione dei fatti. Un
effetto collaterale divertente di questo è che la gente in Europa, rispondendo alle indagini, tende a sminuire il proprio rapporto con la Chiesa,
mentre in America sono più quelli
che affermano di andare in chiesa di
quelli che effettivamente ci vanno.
Questi americani cercano di conformarsi alla loro storia ufficiale.
E, naturalmente, la storia ufficiale
più antica della sociologia, secondo
cui la modernizzazione porta ineluttabilmente alla secolarizzazione, è
chiaramente smentita dal caso americano. Si potrebbe affermare che
questa differenza può essere in parte spiegata con il fatto che lo slegamento è iniziato prima in America che nelle società dominate da
una Chiesa nazionale, comuni in
Europa (e in Québec).
La differenza non deriva tanto
dal fatto che negli Stati Uniti c’è
competizione religiosa, piuttosto è
probabilmente dovuta al fatto
che l’impatto dell’età di autenticità, dove i cercatori tentano
di trovare il proprio cammino
spirituale, è diverso nelle società in cui l’opzione religiosa è
dominata da un ente ufficiale che
esige conformità rispetto alle società
in cui la fede già da due secoli è irrimediabilmente plurale.
Nel primo contesto, la “religione”
è macchiata dalla sua associazione
con il potere e l’autorità non guadagnata, nel secondo è priva di questa
connotazione negativa.
Presenze femminili nella prima comunità cristiana
Il grembo di Rachele
di ISABELLA FARINELLI
William Dyce, «Jacob and Rachel» (1853)
«Essendo donna sono consapevole, come dice
san Paolo, che alle donne in chiesa conviene il
silenzio». Così scriveva nel 1872 una nobile signora al vescovo Gioacchino Pecci, postillando
una sua proposta iconografica per la pala d’altare che intendeva finanziare. Si trattava in realtà di «un silenzio tutt’altro che muto», per usare una delle icastiche espressioni di Marinella
Perroni nel suo recente saggio Le donne di Galilea. Presenze femminili nella prima comunità cristiana (Bologna, Edizioni Dehoniane, 2015, pagine 96, euro 9,50).
La benefattrice di Pecci, pur dichiarandosi
pronta all’anonimato, era sottilmente consapevole del futuro della sua proposta, cui annetteva un forte valore emblematico: il quadro, raffigurante san Pietro liberato dal carcere, fu in effetti eseguito e si trova ancora in una delle tante chiese ricostruite dal futuro Leone XIII nel
territorio perugino. Marinella Perroni, dal canto
suo, spinge uno sguardo analitico alla radice bimillenaria del ruolo femminile nella Chiesa, tra
l’itineranza alla sequela di Gesù e le comunità
protocristiane, dove occorre farsi spazio tra
edulcoranti luoghi comuni e silenzi storiografici, questi sì, pesanti a tal punto da rivelarsi, a
loro volta, fonti da indagare.
La docente ed esegeta parte da un interrogativo apparentemente “maschilista”: se sia realistico pensare che, nella Palestina del 1 secolo,
delle donne si unissero a un profeta e al suo
gruppo di discepoli uomini. «Anche se la società dell’epoca non era del tutto estranea a fenomeni di itineranza femminile e il movimento di
Gesù era più vicino a Giovanni il Battista che a
gruppi discepolari rabbinici, gli indizi sono
molto pochi». La questione da reimpostare
«non riguarda tanto la sequela post-pasquale
delle donne, ma il loro discepolato al seguito
del Gesù terreno».
Confrontando le tradizioni sinottiche a livello
storico-letterario oltre che storico-sociale, la studiosa mette in luce gli indizi di una possibile
continuità tra discepolato gesuano e cristianesimo nascente anche e proprio in absentia. La distanza — che, su tale argomento, separa Marco
(e Matteo) da Luca — aiuterebbe «almeno in
parte a rendere ragione del progressivo processo
di marginalizzazione delle donne dall’esercizio
di ruoli e funzioni ecclesiali che segna il passaggio dalla prima alla seconda generazione
cristiana».
In Marco, è evidente anche linguisticamente
— le forme verbali pongono l’accento sulla continuità — che «le donne presenti sotto la croce
hanno fatto parte del seguito di Gesù e lo hanno servito per tutto il tempo che egli ha operato in Galilea», annunciando in ciò il kerygma
di sequela di croce e, successivamente, di Resurrezione. Luca «trasforma la ricca e ben strutturata informazione marciana in una generica
notazione narrativa di scarsa portata teologica»;
per l’autrice, la maggior genericità di questo
evangelista sul ruolo delle donne, in particolare
nell’annuncio pasquale, non è né puramente
letteraria né casuale.
Quanto al quarto Vangelo, proprio le narrazioni sulle donne «confermano il carattere peculiare dell’impostazione ecclesiologica giovannea e contribuiscono anche a rafforzarne, forse,
il carattere alternativo», rinviando «a un modello ecclesiologico fondamentalmente inclusivo».
Quattro donne nel Vangelo di Giovanni — la
samaritana, Marta, Maria di Magdala, Maria di
Betania — intervengono dialetticamente nello
sviluppo di rivelazioni dottrinali decisive. Per
contro, nelle lettere giovannee e nell’Apocalisse,
il silenzio sulle donne, in un contesto esterno
potenzialmente ereticale, induce la studiosa a
chiedersi se i loro ruoli vengano ormai piegati
al rafforzarsi di un ordinamento patriarcale.
All’incrocio delle numerose coordinate di rilettura dell’intera questione, la “presenza” delle
donne come snodo decisivo, kerygmatico della
Occorre spesso farsi spazio
tra edulcoranti luoghi comuni
e silenzi storiografici
Assenza di informazioni tanto pesante
da rivelarsi come fonte da indagare
Resurrezione trova modulazioni ancora più profonde, veterotestamentarie, nel riconoscimento
del rapporto particolarissimo, femminile ovvero
viscerale tra la morte e la vita, anche nel brutale
rovesciamento prefigurato da Rachele. Per Matteo, alle soglie dell’era messianica, sarà ancora
una volta il ricordo di Rachele che piange i
suoi figli a fare da spartiacque tra il vecchio e il
nuovo eone. «Né è un caso», prosegue Perroni
in una nota, «che i rabbini assimilino il grembo
di Rachele alle tombe da cui avrà inizio la Risurrezione».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
sabato 7 marzo 2015
Donne e religioni alla vigilia dell’8 marzo
Capite
quello che ho fatto per voi?
Il dialogo ecumenico
riparte così
Dalle Bahamas l’invito per la giornata mondiale di preghiera
Appello delle Chiese cristiane in Italia
di D ONATELLA COALOVA
La giornata mondiale di preghiera
di venerdì 6 marzo invita con forza
a camminare sulle orme di Gesù e
a servire il prossimo con amore incondizionato. Nella circostanza il
sussidio è stato preparato da un
gruppo femminile interconfessionale delle Bahamas e diffuso in più
di 170 Paesi tramite una rete di comitati. La pubblicazione s’intitola
«Capite quello che ho fatto per
voi?», con riferimento alla frase di
Cristo pronunciata al termine della
lavanda dei piedi (Giovanni, 13, 117). Immerse nella bellezza della
loro terra circondata da acque cristalline, le donne delle Bahamas
esclamano: «Signore dello stupore,
il tuo amore profondo è forte come
il sole, la tua misericordia è senza
limiti come la sabbia, e la tua grazia ci circonda come le distese marine».
Ancora più grande è la meraviglia davanti a Cristo, il Dio in ginocchio, che si piega con tenerezza
a lavare i piedi dei discepoli, assumendo il ruolo di uno schiavo.
Dalla contemplazione di questa
scena sgorga una preghiera che ricorda la storia di un popolo segnato in passato dalla schiavitù nelle
piantagioni di cotone: «Nostro Redentore e Liberatore, hai spezzato
le catene della tirannia e dell’oppressione. Gesù nostro fratello che
ami gli esclusi e i poveri, crocifisso
e risorto, tu sei nostro profeta, sacerdote e re. Siamo stupiti per il
tuo grande amore, profondo e incondizionato».
Il tema dell’amore incondizionato a cui Cristo ci invita col suo
esempio è il leitmotiv che risuona
nel materiale preparato dal gruppo
delle Bahamas. Guardando la realtà del Paese, vengono individuati
alcuni ambiti prioritari in cui i cristiani sono chiamati a vivere l’amore che Dio ci dona. Innanzitutto, si
parla della lotta alla povertà. Si ricordano le vittime della violenza
domestica, i bambini che hanno
subito violenze sessuali e verbali, le
spose abbandonate, violentate, che
si sentono in colpa per i maltrattamenti subiti e hanno timore di
chiedere aiuto. Riecheggia il grido
di dolore dei rifugiati, dei migranti,
degli “immigrati irregolari” che vivono con incertezza e paura nel
centro di detenzione dell’isola di
New Providence, l’angoscia dei
malati di tumore e Aids.
Davanti a questo mare di dolore,
la giornata invita i cristiani a scuotersi dal torpore e dall’indifferenza,
ad avere occhi e mani pieni di misericordia, cuori accesi dall’amore
incondizionato di Cristo, nella consapevolezza che il Signore è vicino
†
La Segreteria di Stato comunica che è
deceduto il
Signor
LUDWIG FEULNER
Padre di Monsignor Rüdiger Feulner,
Segretario della Nunziatura Apostolica
in Belgio.
I Superiori e i Colleghi partecipano al
dolore di Monsignor Feulner e dei suoi
familiari, assicurando la vicinanza nell’amicizia e nella preghiera.
a chi s’impegna per la costruzione
di legami di fraternità e giustizia, e
per la salvaguardia del creato.
Il logo della giornata, un suggestivo dipinto intitolato Blessed (Benedetti) ricorda la presenza silenziosa e potente di Dio nella creazione e nella storia. Raffigura i fenicotteri rosa delle Bahamas, mentre si inchinano ai piedi di Cristo,
là dove regnano perdono, pace,
amore. La storia di queste isole attesta la forza della speranza, l’ansia
di libertà che alberga nell’animo
umano. I primi europei vi giunsero
nel 1492 con Cristoforo Colombo.
Gli autoctoni in parte furono sterminati dalle malattie, in parte
schiavizzati e deportati nelle miniere d'oro di Hispaniola. Nel 1647 vi
giunsero i puritani che fondarono
Eleuthera, con l’intento di creare
una colonia in cui praticare la propria religione. Successivamente, i
pirati scelsero le Bahamas come loro rifugio. Le isole restarono quasi
disabitate finché non furono ripopolate dagli schiavi africani deportati nelle piantagioni. Alla fine della guerra d’indipendenza degli Stati Uniti, nel 1783, la popolazione fu
incrementata dai lealisti americani
e dagli schiavi. L’abolizione della
schiavitù avvenne nel 1838. Attualmente, i discendenti degli schiavi
africani costituiscono l’85 per cento
della popolazione. Il cristianesimo
è la religione dominante: vi sono
battisti (32 per cento), anglicani
(20 per cento), cattolici (19 per
cento), metodisti (6 per cento).
La celebrazione di quest’anno si
è svolta in tutte le isole, coinvolgendo i giovani. Il servizio postale
delle Bahamas ha emesso tre francobolli commemorativi. Da tutto il
mondo sono giunte adesioni e anticipazioni. Nora Carmi, responsabile dell’iniziativa in Medio oriente,
ha deciso di integrare il sussidio
con una preghiera accorata per la
sua terra, ferita da tante tragedie.
Lo stesso ha fatto Neijon Edwards,
dalle isole Marshall, ricordando
tutte le persone che nel suo Paese
sono state colpite dalle radiazioni
nucleari. Il pastore Soren Johansson ha organizzato la giornata in
Svezia insieme agli immigrati siriani. Rosangela Oliveira, dagli Stati
Uniti, si è unita al grido di giustizia delle madri nere di New York.
Così la Giornata mondiale di preghiera continua a creare legami di
solidarietà, come è sempre avvenuto. Sorta nell’America di fine otto-
cento, in un contesto drammaticamente segnato dagli strascichi della
guerra di secessione e dall’immigrazione incalzante, l’iniziativa è stata
fedele al motto Informed prayer,
prayerful action (Informarsi per pregare, pregare per agire). Fiorita fra
donne di diverse denominazioni
protestanti, nel 1969 ha visto l’ap-
ROMA, 6. «Una chiamata a contrastare la violenza sulle donne, in tutte le sue forme, a partire dalla cultura che la genera e la permette. Una
chiamata rivolta alla società, certamente, ma soprattutto alle Chiese e
ai cristiani che a esse appartengono». Così la pastora valdese Maria
Bonafede, spiega il senso dell’appel-
va, è anche specificato, vede l’adesione di altre confessioni cristiane
presenti sul territorio nazionale. Oltre a cattolici e protestanti, il documento verrà firmato anche da rappresentanti ortodossi, copti, armeni
apostolici, anglicani.
Per la pastora Bonafede, responsabile dei rapporti ecumenici del
porto, in forma ufficiale, delle donne cattoliche. Nel documento La
dimensione ecumenica nella formazione di chi si dedica al ministero
pastorale, uscito nel 1995, il Pontificio Consiglio per la promozione
dell’unità dei cristiani cita espressamente la giornata mondiale di preghiera fra i momenti significativi
nell’ambito dell’ecumenismo spirituale. Nel 1998 nasce in Italia il comitato nazionale interconfessionale
con la presenza di una cattolica
(Annamaria Raimondi, del movimento dei Focolari) accanto a donne protestanti. Dal 2013 nel comitato italiano è presente Elisabetta
Kalampouka della Chiesa ortodossa del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli.
lo contro la violenza sulle donne
che, in occasione della giornata
dell’8 marzo, verrà lanciato dalla
Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e dall’Ufficio nazionale
per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso dell’episcopato italiano. La
firma congiunta — rende noto un
comunicato — avrà luogo lunedì 9
marzo presso il Senato, alla presenza della presidente della Camera dei
deputati, Laura Boldrini. L’iniziati-
Consiglio della Federazione delle
Chiese evangeliche, «l’appello non è
semplicemente una dichiarazione di
principio dei cristiani a una sola voce contro una violenza che è stata
definita un’emergenza nazionale, ma
intende impegnare le Chiese cristiane italiane, a livello nazionale e locale, a promuovere iniziative in
campo educativo, pastorale e di testimonianza evangelica per promuovere la dignità della donna e per
Contro discriminazione e violenza
In marcia
per le strade di Brasília
BRASÍLIA, 6. Riaffermare l’impegno per il dialogo, la promozione
di una cultura di pace e, soprattutto, attirare l’attenzione sugli alti tassi di violenza contro le donne che si verificano in Brasile.
Questo l’intento della marcia che
ieri, giovedì 5, ha unito per le vie
di Brasília donne appartenenti a
diverse fedi religiose. Tema della
manifestazione «Le religioni per i
diritti delle donne».
La marcuia, svoltasi nell’imminenza della giornata dell’8
marzo, è stata promossa dal Consiglio nazionale delle Chiese cristiane (Conic) e da altre realtà,
tra cui la Conferenza dei religiosi
del Brasile (Crb). «Dobbiamo
unirci per i diritti delle donne,
per conquistare sempre più spazi
nella società», sottolinea all’agenzia Fides la presidente della Crb,
madre Mariaines Vieira Ribeiro.
In Brasile, così come in molte altre regioni del mondo, le donne
sono ancora pesantemente vittime
della discriminazione: «Siamo ancora lontani da un percorso di
uguaglianza e rispetto».
Le donne consacrate, spiega
ancora la presidente della Crb,
sono state coinvolte in questa iniziativa in quanto sono viste come
soggetti attivi nella storia, perché
svolgono lavori impegnativi senza
paura di andare alle periferie
dell’esistenza umana. «Sono protagoniste — sottolinea Vieira Ribeiro — di questa azione di difesa
delle donne in situazioni di sfruttamento, come è evidente nel traffico di esseri umani, nel lavoro
degli schiavi, nella prostituzione
minorile e femminile. Indipendentemente dal sostegno o dal riconoscimento del loro operato, le
donne consacrate cercano di occupare il proprio spazio nella
Chiesa e nella società. Dobbiamo
quindi sostenere un evento come
questo».
Tra le motivazioni della marcia,
come detto, anche la sensibilizzazione riguardo la violenza sulle
donne. «Ogni anno molte donne
vengono uccise nel nostro Paese.
Molte muoiono a causa del loro
impegno sociale, come per esempio suor Dorothy», si legge in un
comunicato del Conic, in cui si fa
riferimento alla religiosa statunitense naturalizzata brasiliana —
suor Dorothy Stang — assassinata
il 12 febbraio di dieci anni fa. La
religiosa, settantatreenne, era da
anni impegnata nella difesa delle
popolazioni dell’Amazzonia, denunciando l’azione violenta di fazendeiros e grileiros.
coinvolgere gli uomini nella riflessione su questo tipo di violenza».
In sostanza, ha spiegato sempre la
pastora valdese all’agenzia Nev,
«l’appello chiama le Chiese a un’attenzione particolare su questo tema
in ciò che è loro specifico: nella predicazione, nella spiegazione del
Vangelo, nella catechesi e, in generale, in tutte le attività di formazione che le competono, anche, per
esempio, negli incontri per le coppie di sposi». Non è quindi solo
una condanna dei cristiani italiani
contro la violenza sulle donne. In
tale prospettiva, ha aggiunto, «è
davvero significativo riscontrare una
sostanziale convergenza da parte di
Chiese che hanno tradizioni diverse,
e che hanno probabilmente approcci
ai temi familiari molto differenti, su
un tema tanto importante e anche
problematico, perché le violenze
non avvengono soltanto nelle famiglie non cristiane, ma coinvolgono
anche persone e famiglie che appartengono alle diverse Chiese cristiane». In questo senso, tale collaborazione ecumenica «ha costituito un
nuovo inizio». Era infatti dal 2000,
viene rilevato, cioè dalla stesura definitiva del testo sui matrimoni misti
e interconfessionali, che non si segnalava una collaborazione così significativa. Infatti, «si può dire che
ci sia stato un metodo di lavoro comune che spero si possa estendere
in futuro ad altri temi». Anzi,
«penso che sarebbe molto bello se
anche in Italia potesse nascere un
Consiglio nazionale che radunasse
attorno a un tavolo le Chiese cristiane».
Per don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio per l’ecumenismo e
il dialogo interreligioso dell’episcopato italiano, «la firma congiunta di
questo appello porta con sé un ulteriore appello alle Chiese cristiane
firmatarie e anche a chi per varie ragioni non si è unito a questa firma a
più mani: l’appello a cercare e a trovare ulteriori occasioni per una fraternità concreta tra le credenti e i
credenti in Cristo, per una comunione che sia sempre meno formale
e sempre più sostanziale».
Da una cooperativa in Bosnia ed Erzegovina
Semi di speranza al femminile
SARAJEVO, 6. Si chiama Insieme ed
è una cooperativa femminile, che
unisce più di 500 persone, sorta
quasi 15 anni fa a Bratunac, nella
Bosnia ed Erzegovina. Qui, dove
cresce giorno dopo giorno l’attesa
per la visita del Papa il prossimo 6
giugno a Sarajevo, le donne serbobosniache e bosniaco-musulmane lavorano nella produzione di more,
lamponi, mirtilli e altri frutti della
terra.
Bratunac è ancora oggi un luogo
difficile, dove si vive un forte nazionalismo e forti contrapposizioni, dove è difficile anche parlarsi. Ed è in
questo contesto che sono germogliati i semi della speranza. Speranza
che ha il volto delle tante donne di
Insieme. Ma perché un nome italiano? «Abbiamo deciso di chiamarla
così — spiega Rada Zarkovic, presidente della cooperativa, all’agenzia
Sir — per evitare che coloro che erano al potere, appartenenti ai partiti
che hanno fatto la guerra, riluttanti
al dialogo tra diverse etnie, ci ostacolassero. Abbiamo cercato di mettere d’accordo tutti. L’obiettivo era
creare le condizioni per il ritorno
dei profughi, in particolare donne
sole che nel corso del conflitto erano scappate o avevano perso figli e
mariti».
Un processo tutt’altro che semplice: a Bratunac si possono ancora incontrare per strada, impuniti, gli
stessi criminali che si erano resi re-
sponsabili dei delitti più efferati.
«Abbiamo pensato a un’attività che
potesse aiutarle a vivere attraverso
un lavoro in grado di creare nuovi
rapporti tra persone e, soprattutto,
favorendo un dialogo vero e sincero». E così è successo che lavorando
l’una accanto all’altra, serbe e musulmane insieme, queste donne hanno iniziato a parlarsi prima sul luogo di lavoro e poi a costruire un terreno comune di relazioni anche fuori. «Sono le donne — afferma Rada
— che hanno deciso di risollevare
questa terra riallacciando i fili del
dialogo. Volevamo fare qualcosa che
durasse nel tempo e fosse radicato
nel territorio. Qualcosa che andasse
oltre i progetti delle agenzie umanitarie internazionali».
Rada, insieme ad altre donne, ha
reintrodotto la coltivazione dei piccoli frutti che ha permesso di rilanciare una tradizione più che trentennale. Inoltre, questo tipo di produzione è alla portata di tutti e che si
prestava perfettamente a essere ricoperta da donne.
La cooperativa ha unito donne
che altrimenti difficilmente si sarebbero interessate le une alle altre.
«All’inizio non è stato facile rompere il muro di silenzio. Non si parlavano, al massimo si salutavano ma
non c’era dialogo. Abbiamo offerto
a queste donne un lavoro e attraverso questo — conclude la presidente
della cooperativa — abbiamo creato
uno spazio dove loro si sono inserite e hanno mostrato volontà di andare avanti in un cammino di dialogo e reciprocità. È un processo meraviglioso perché rinnovando il tessuto economico si è rinnovato anche
quello sociale e politico».
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 7 marzo 2015
pagina 7
A colloquio con il reggente della Penitenzieria apostolica
Era stato arcivescovo di New York dal 2000 al 2009
Esperienza
di misericordia
La morte
del cardinale Egan
Il cardinale Edward Michael Egan, arcivescovo emerito di New York, è morto
giovedì pomeriggio, 5 marzo, all’ospedale universitario Langone Medical Center.
Tra meno di un mese avrebbe compiuto 83 anni, essendo nato il 2 aprile 1932
a Oak Park, nell’arcidiocesi di Chicago. Ordinato sacerdote il 15 dicembre 1957,
era stato eletto vescovo titolare di Allegheny il 1° aprile 1985 e nominato ausiliare di New York. Il 22 maggio aveva ricevuto l’ordinazione episcopale. Nominato vescovo di Bridgeport il 5 novembre 1988, era divenuto arcivescovo di New
York l’11 maggio 2000. Rinunciò al governo pastorale dell’arcidiocesi il 23 febbraio 2009. Nel concistoro del 21 febbraio 2001 era stato creato e pubblicato
cardinale, del titolo dei Santi Giovanni e Paolo.
delle sfide che caratterizzano il nostro tempo.
di GIANLUCA BICCINI
La corretta amministrazione del sacramento della penitenza, i suoi
aspetti canonici, morali e liturgicopastorali, ma anche i doveri e diritti
dei penitenti, etica e genetica. Sono
alcuni dei temi che saranno affrontati durante il XXVI corso sul Foro interno promosso dalla Penitenzieria
apostolica, che si svolge da lunedì 9
a venerdì 13 marzo al Palazzo della
Cancelleria. In questa intervista, il
reggente,
monsignor
Krzysztof
Nykiel, illustra al nostro giornale il
senso e le finalità dell’iniziativa.
Perché ogni anno organizzate il corso
sul Foro interno?
La Penitenzieria, che è il tribunale
apostolico della misericordia, annualmente, durante il periodo quaresimale, che è propriamente il tempo liturgico della conversione e del
ritorno sincero a Dio, Padre ricco di
misericordia, offre ai novelli sacerdoti, ai diaconi e ai seminaristi di prossima ordinazione il corso, perché
imparino ad amministrare rettamente il sacramento della confessione.
Quali sono gli obiettivi?
La valorizzazione della penitenza,
che dipende molto dai sacerdoti e
dalla loro consapevolezza di essere
depositari di un ministero prezioso e
insostituibile. I preti sono principalmente gli strumenti della divina misericordia. È Dio stesso, infatti, che
perdona la colpa quando il confessore assolve il fedele che con animo
sinceramente contrito si accosta al
confessionale. Ma non dimentichiamo che ogni confessore è anche
“educatore di misericordia” perché
deve essere capace di aiutare i penitenti a fare una concreta esperienza
della misericordia di Dio. Il corso
sul Foro interno si prefigge dunque
anche questo obiettivo: aiutare i sacerdoti a essere buoni educatori di
misericordia, pedagoghi che conducono a Cristo. Educare alla misericordia è uno degli aspetti più significativi della vita cristiana che si inserisce nell’orizzonte più ampio, non
solo della pastorale della Chiesa, ma
In che modo il sacramento della confessione diventa scuola di misericordia?
Viviamo in un contesto culturale
complesso, plurale, fortemente secolarizzato e, per alcuni tratti, non definibile; una società che ha smarrito
il senso di Dio e, di conseguenza,
ha perduto la tensione verso il soprannaturale. In questo panorama
socio-culturale, con tutto ciò che si
porta dietro, l’uomo non sa più chi
sia, da dove viene e verso dove è diretto. Perduta la bussola che lo
orienta verso Dio, riferimento primo
e ultimo dell’uomo, del creato e della stessa storia, vive in riferimento a
se stesso, alle proprie sensazioni, in
un disagio che lo presenta come un
esistente senza una vocazione al trascendente. Il sacramento della penitenza richiama al ritorno a Dio che
sempre per primo cerca l’uomo e
che non si stanca mai di perdonarlo
e di salvarlo.
Anche quando l’uomo esclude Dio dal
suo cuore?
Certamente. Perché Dio non
esclude mai l’uomo dal suo cuore di
Padre misericordioso. Come ci ricorda Papa Francesco: Dio non si stanca mai di perdonarci. Il confessore
deve favorire quelle condizioni affinché il penitente s’incontri con lo
sguardo amorevole di Gesù che legge, tocca e converte; il luogo in cui
il penitente avverte le medesime sensazioni che avvertirono Zaccheo e
Paolo quando la loro vita fu raggiunta dalla luce della grazia di Dio.
Così la celebrazione del sacramento
diventa luogo nel quale si impara, si
scopre e si vive sulla propria pelle,
la grandezza dell’amore di Dio che
scuote il nostro cuore dal peso del
peccato, lo rende cosciente e lo indirizza sempre più alla gioia del vangelo. La confessione deve almeno
provocare l’incontro con Cristo misericordioso, un incontro vivo e vero. Dall’incontro vissuto scaturisce
l’inizio di una vita rinnovata e riconciliata. Il sacramento acquisisce così
un significato di fede esistenziale,
poiché il segno della riconciliazione
Safet Zec, «L’abbraccio»
non è in dissonanza con la quotidianità del credente.
In che modo l’incontro con Cristo rinnova la vita?
L’esperienza della misericordia
fiorisce in noi come opera di misericordia: «Noi amiamo, perché egli ci
ha amato per primo», afferma
l’evangelista Giovanni. In questo
amore nasce e si sviluppa la vita cristiana. Il fedele che nel confessionale ha realmente sperimentato l’amore misericordioso di Dio non può
che essere, a sua volta, testimone e
portatore della divina misericordia:
«Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia».
Come si riflette tutto questo nell’evangelizzazione?
L’opera dell’evangelizzazione non
comporta soltanto proporre una dottrina o annunciare la verità del Vangelo. Evangelizzare è soprattutto testimoniare, proprio mediante la
gioia di una vita pacificata con Dio,
la buona notizia evangelica che Dio
ci ama in Cristo Gesù e che il suo
amore misericordioso non conosce
limiti. Sarebbe davvero una meravigliosa opera di carità se ogni penitente, uscito dal confessionale, diventasse nella vita di ogni giorno un
missionario della divina misericordia, portando altri fedeli a sperimentare la grandezza dell’amore di
Dio nel sacramento della riconciliazione. Questa sarebbe davvero
D all’8 al 14 marzo in Australia la Settimana delle scuole
Il ruolo dell’educazione cattolica
SYDNEY, 6. Centocinquanta scuole
primarie e secondarie cattoliche di
Sydney apriranno le loro porte la
prossima settimana per presentare
l’educazione basata sulla fede.
Giunta alla sua decima edizione, la
Settimana delle scuole cattoliche
(Catholic Schools Week) si svolgerà dall’8 al 14 marzo e non coinvolgerà soltanto le scuole dell’arcidiocesi, ma tutti i 615 istituti cattolici
del New South Wales e dell’Australian Capital Territory. Ideata e fortemente voluta per accrescere la
consapevolezza del carattere distintivo dell’educazione cattolica, la
settimana offrirà a famiglie e comunità l’opportunità di costruire legami con gli istituti presenti sul territorio.
Il tema di quest’anno è «Educare
per oggi e per domani»». Questo
significa — viene spiegato sul sito
dell’arcidiocesi di Sydney — anche
guardare con comprensione ai metodi moderni di insegnamento, dove gli studenti sono “cybersapienti”
con tablet e laptop che fanno parte
della loro esperienza di apprendimento. Ma quest’anno la settimana
sarà anche l’occasione per celebrare
il cinquantesimo anniversario della
dichiarazione del concilio Vaticano
II, Gravissimum educationis, che ha
ribadito la necessità per la Chiesa
cattolica di sostenere i genitori
nell’educazione dei loro figli.
In linea con la tradizione della
Chiesa, le rette delle scuole cattoliche in tutto il New South Wales
sono mantenute a livelli bassi per
dare a chiunque la possibilità di
potervi accedere. Secondo recenti
statistiche dell’Ufficio per l’educazione cattolica dell’arcidiocesi di
Sydney, le scuole cattoliche sono
frequentate da uno studente su cinque delle primarie e ben uno su tre
delle secondarie. Non solo, le domande di iscrizione, sia da parte di
famiglie cattoliche che di credo religioso differente continuano a crescere in tutto il territorio. Quest’anno in Australia hanno aperto quattordici nuove scuole cattoliche, con
l’arcidiocesi di Sydney che ha festeggiato l’apertura del centocinquantesimo istituto. E, per soddisfare le numerose domande di iscrizione, l’arcidiocesi prevede di aprire altri tre nuovi istituti entro il
2017. «Per sette giorni ogni anno —
afferma Dan White, direttore esecutivo delle scuole cattoliche
dell’arcidiocesi di Sydney — celebriamo le cose che rendono speciali
i nostri luoghi di apprendimento
con eventi che si svolgono in tutti
gli istituti del New South Wales e
dell’Australian Capital Territory ».
Secondo la dirigente scolastica
Margaret Hogan, «nel corso degli
anni, gli studenti australiani hanno
dimostrato ai loro genitori e all’intera comunità che le scuole cattoliche sono più di una buona educazione».
Nel messaggio della Cei per l’università del Sacro Cuore
Periferie al centro
ROMA, 6. «Giovani, periferie al centro» è il tema della novantunesima
Giornata per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, che si svolgerà domenica 19 aprile. Un tema che, scrive la presidenza della Conferenza
episcopale italiana nel suo messaggio, «sollecita a sviluppare una attenta riflessione e ad assumere con decisione iniziative che promuovano
una rinnovata centralità dei giovani, sottraendoli a quelle periferie spirituali, sociali e culturali in cui la società sembra volerli confinare». Infatti, «ciò che impressiona maggiormente — si legge nel testo — è il
prezzo altissimo che le nuove generazioni stanno pagando per il prolungarsi della crisi economica che colpisce in particolare i giovani, ritardando e, in alcuni casi, rendendo quasi impossibile l’inserimento lavorativo, la formazione di una famiglia, la messa a frutto delle doti e
delle competenze acquisite con lo studio, l’assunzione di responsabilità
sociali». Difficoltà che determinano «una collocazione sempre più periferica dei giovani nel sistema sociale e può generare sfiducia e scoraggiamento». In questo senso, viene sottolineato, «dobbiamo essere consapevoli che la crescente precarietà dei giovani rende incerto anche il
futuro dell’umanità».
un’opera di misericordia spirituale e
corporale. Chi sperimenta l’amore
misericordioso di Dio, è spinto alla
compassione per i poveri, gli ultimi
e per tutti coloro che ancora non
hanno accolto l’amore di Dio nella
propria vita. La misericordia di Dio
ci rende sempre più misericordiosi.
Il corso si conclude con la celebrazione
penitenziale presieduta dal Papa in
San Pietro. Che significato ha?
Durante il corso ai partecipanti è
offerta l’opportunità di approfondire
il sacramento della riconciliazione
dal punto di vista teologico, liturgico, morale, giuridico e pastorale,
mentre venerdì pomeriggio avranno
la gioia di sperimentare concretamente nella propria vita gli effetti
benefici e salutari della celebrazione
penitenziale, diventando essi stessi
penitenti che umilmente chiedono al
Signore il perdono e la riconciliazione. La celebrazione penitenziale presieduta dal Pontefice si terrà il 13
marzo, alle 17, nella basilica vaticana, e darà l’avvio all’iniziativa «24
ore per il Signore», che prevede per
tutta la notte la confessione e l’adorazione eucaristica in alcune chiese
del centro di Roma e che è stata
estesa a tutte le diocesi e le parrocchie del mondo perché dedicassero
momenti particolari per promuovere
il sacramento della riconciliazione.
New York sta tributando in queste
ore un omaggio sentito al pastore
che, ancor più dopo l’attentato alle
Torri gemelle dell’11 settembre 2001,
è stato la guida spirituale e il punto
di riferimento non soltanto per i
cattolici degli Stati Uniti. «Vorrei
essere ricordato come un sacerdote
che si è preso bene cura del popolo
di Dio, almeno per quanto poteva,
e come pastore, per aver trascorso
più tempo possibile nelle parrocchie», aveva detto. E non a caso,
anche da arcivescovo emerito, era
rimasto ad abitare a Manhattan,
proprio per continuare il suo rapporto diretto con la gente. In queste ore lo hanno ricordato, tra gli
altri, il cardinale Timothy Michael
Dolan, suo successore, e il sindaco
di New York, Bill de Blasio.
La sua attenzione concreta alle
persone, fatta di accoglienza e di
carità — in particolare verso poveri
e immigrati — nasceva da una fede
ricevuta sin da piccolo nella famiglia profondamente cattolica. Dopo
essersi diplomato in filosofia al
Saint Mary of the Lake seminary,
era stato inviato a Roma nel 1954
Che ruolo avrà la Penitenzieria apostolica?
Metterà a disposizione per l’amministrazione ben sessanta confessori, di cui la maggior parte sono i penitenzieri ordinari e straordinari delle basiliche papali dell’Urbe; a loro
si aggiungono lo stesso cardinale Penitenziere maggiore, il reggente e gli
officiali sacerdoti del dicastero. Sarà
un forte momento di grazia e
un’occasione favorevole per riflettere
la nostra chiamata alla conversione,
a cambiare vita e mettere l’amore di
Dio al centro del nostro cuore.
Torniamo al corso sul Foro interno.
Come sarà strutturato?
Esso prevede la partecipazione di
ben cinquecento iscritti e ha inizio
con la lectio magistralis dal cardinale Mauro Piacenza sul tema: «Il
grande tesoro: le indulgenze». Proseguirà con la trattazione di temi
morali e canonistici e offrirà un vasto aggiornamento sulla disciplina
penitenziale, sulla retta amministrazione del sacramento e sulle specifiche funzioni e competenze del tribunale della Penitenzieria. In particolare, saranno affrontate situazioni
di rilevante e attuale delicatezza che
interessano il ministero penitenziale,
e sarà privilegiata la parte relativa
alla retta amministrazione del sacramento della penitenza e alla risoluzione dei complessi e particolari casi
che vengono sottoposti al discernimento e alla misericordia della Chiesa. Con me si alterneranno nelle relazioni il vescovo Juan Ignacio Arrietta e il gesuita Ján Ďačok, rispettivamente prelato canonista e prelato
teologo della Penitenzieria, monsignor Guido Marini, maestro delle
celebrazioni liturgiche del Sommo
Pontefice, il francescano Maurizio
Faggioni, monsignor Giacomo Incitti e il salesiano Paolo Carlotti, prelati consiglieri della Penitenzieria, insieme ad altri officiali del dicastero.
A ogni relazione seguirà il dibattito,
nel corso del quale verranno proposti quesiti di chiarimento e risoluzioni di dubbi.
per completare gli studi al Pontificio Collegio americano del nord.
Nel 1958 si era laureato in teologia
alla Pontifica università Gregoriana.
Dopo l’ordinazione sacerdotale a
Roma, il 15 dicembre 1957, era tornato negli Stati Uniti dove, per un
breve periodo, era stato responsabile della Holy Name cathedral e segretario del cardinale Albert Gregory Meyer. Poi nel 1960 la nomina a
vice rettore della facoltà di teologia
e diritto canonico al Pontificio Collegio americano del nord.
Nel 1964, subito dopo essersi laureato in diritto canonico alla Pontificia università Gregoriana, aveva
fatto ritorno negli Stati Uniti, dove
gli era stato affidato l’incarico di segretario del cardinale John Cody.
In quel periodo era stato anche
protagonista nel dialogo ecumenico
e interreligioso, partecipando fra
l’altro alla conferenza di Chicago su
«religione e razza».
Nel 1971 era tornato a Roma come giudice del Tribunale della Rota
Romana, incarico che aveva mantenuto fino alla nomina ad ausiliare
di New York. Aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il 22 maggio
1985 dal cardinale Bernardin Gantin. In the holiness of truth (“Nella
santità della verità”) il motto da lui
scelto. A Roma aveva svolto anche
gli incarichi di professore di diritto
canonico alla Pontifica università
Gregoriana; professore di procedura
civile e penale allo Studium rotale,
la scuola di giurisprudenza della
Rota; membro della commissione
della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti;
consultore della Congregazione per
il clero. Inoltre era stato uno dei sei
canonisti incaricati della revisione
del Codice di diritto canonico promulgato nel 1983.
Come ausiliare di New York, aveva ricevuto dal cardinale arcivescovo John J. O’Connor il compito di
vicario per l’educazione. Trasferito
dopo tre anni e mezzo alla sede di
Bridgeport, vi aveva riorganizzato il
sistema scolastico degli istituti diocesani, promuovendo in particolare
l’apostolato tra gli ispanici e gli
haitiani. In quel periodo aveva anche svolto diversi incarichi nell’ambito della Conferenza episcopale
statunitense.
Con la stessa volontà di rilanciare la pastorale aveva iniziato, l’11
maggio 2000, il suo ministero di arcivescovo di New York. Il 21 febbraio dell’anno successivo era arrivata la porpora cardinalizia. A luglio Giovanni Paolo II lo aveva nominato relatore generale della decima assemblea generale ordinaria del
Sinodo dei Vescovi, in programma
dal 30 settembre al 27 ottobre sul
tema del vescovo «servitore del
Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo»; ma in seguito
all’attentato alle Torri gemelle, aveva preferito rientrare a New York
prima della conclusione del Sinodo
e il suo lavoro nell’ambito dell’assemblea era stato svolto dal cardinale Bergoglio, al quale il Papa
aveva affidato il 4 ottobre l’incarico
di relatore generale aggiunto.
Difensore dei diritti degli immigrati, durante l’episcopato newyorkese era stato artefice di numerose
iniziative nell’ambito della formazione, della carità, dell’educazione scolastica e sanitaria. Si era impegnato anche nel campo delle comunicazioni sociali, dando nuovo
slancio alla stampa diocesana e
all’apostolato attraverso la televisione.
Era stato inoltre membro del
Consiglio dei cardinali per lo studio e l’organizzazione dei problemi
economici della Santa Sede; del Supremo Tribunale della Segnatura
Apostolica; della Congregazione
per le Chiese Orientali; della Prefettura degli Affari economici della
Santa Sede; del Pontificio Consiglio per la Famiglia; della Commissione permanente per la protezione
del patrimonio storico e artistico
della Santa Sede.
Nomina
episcopale
Le nomina di oggi riguarda la
diocesi di Roma.
Augusto Paolo Lojudice
ausiliare di Roma
Nato a Roma il 1° luglio 1964,
dopo la maturità classica conseguita nel 1983 presso il liceo San
Benedetto da Norcia si è preparato al sacerdozio al Pontificio
seminario romano maggiore e ha
frequentato i corsi di filosofia e
teologia presso la Pontificia università Gregoriana dal 1983 al
1988. Ha conseguito la licenza in
teologia con specializzazione in
teologia fondamentale. Ordinato
presbitero il 6 maggio 1989 per
la diocesi di Roma, dove è incardinato e risiede, ha svolto i seguenti principali incarichi e ministeri: vicario della parrocchia
Santa Maria del Buon Consiglio
(1989-1992); vicario della parrocchia San Vigilio (1992-1997); parroco di Santa Maria Madre del
Redentore a Tor Bella Monaca
(1997-2005); padre spirituale al
Pontificio seminario romano
maggiore (2005-2014). Dal 2014
era parroco di San Luca al Prenestino.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
sabato 7 marzo 2015
Il Pontefice al cammino neocatecumenale
Svegliate la fede
L’invito a “svegliare la fede”
portando nuovamente l’annuncio
evangelico tra i tanti “non cristiani”
che oggi a causa della secolarizzazione
hanno dimenticato
chi è Gesù è stato rivolto
da Papa Francesco alle migliaia
di aderenti al cammino
neocatecumenale che hanno gremito
l’aula Paolo VI nella mattina
di venerdì 6 marzo.
Cari fratelli e sorelle,
buongiorno a tutti! E grazie, grazie
tante per essere venuti a questo incontro.
Il compito del Papa, il compito di
Pietro, è quello di confermare i fratelli nella fede. Così anche voi avete
voluto con questo gesto chiedere al
Successore di Pietro di confermare la
vostra chiamata, di sostenere la vostra missione, di benedire il vostro
carisma. E io oggi confermo la vostra chiamata, sostengo la vostra
missione e benedico il vostro carisma. Lo faccio non perché lui [indica Kiko] mi ha pagato, no! Lo faccio perché voglio farlo. Andrete in
nome di Cristo in tutto il mondo a
portare il suo Vangelo: Cristo vi pre-
Trentuno
nuove missioni
Con «la benedizione dei crocifissi», trentuno nuove missio ad gentes — duecento famiglie, tutte con
figli, per un totale di quasi mille
persone — inizieranno ora il loro
servizio in ventidue nazioni dove,
su richiesta dei vescovi locali, cercheranno di «testimoniare il Vangelo nei contesti più difficili». È
stato Kiko Argüello, iniziatore del
cammino neocatecumenale, a presentare a Papa Francesco questo
grande movimento di «invio missionario» che vede protagoniste
famiglie piene di entusiasmo e
che «rinnova l’esperienza della
Chiesa delle origini».
Con ogni nuova missio ad gentes, ha spiegato, sarà inviato anche un presbitero. E proprio a
ciascuno di questi sacerdoti Francesco ha personalmente consegnato il piccolo crocifisso che è il
simbolo stesso della missione.
In particolare, quattro nuove
missio ad gentes saranno attive in
Francia; tre in Serbia; due in Cina, Giappone, Vietnam e Venezuela; una in India, Thailandia,
Cambogia, Moldova, Romania,
Ucraina, Estonia, Svezia, Islanda,
Italia, Belgio, Austria, Stati Uniti
d’America,
Giamaica,
Papua
Nuova Guinea e Australia. Con il
loro stile di vita, ha spiegato Argüello, porteranno il Vangelo ai
non cristiani e ai battezzati che si
sono allontanati da Cristo.
Inoltre al Pontefice sono state
presentate le équipe itineranti,
formate da circa novecento persone, che operano in centoventicinque Paesi. Con loro anche i rappresentanti delle sessantuno missio
ad gentes che da oltre nove anni
lavorano in Europa e delle trentotto inviate il 1° febbraio 2014 da
Francesco in Cina, Mongolia,
Vietnam e India.
Argüello ha inoltre illustrato al
Papa l’attività dei rettori dei centodue seminari Redemptoris Mater sparsi nel mondo, accompagnati nell’aula Paolo VI da ottocento presbiteri formati nei cinquanta seminari europei, e da numerosi seminaristi. Accanto a loro
anche alcuni parroci romani: le
comunità catecumenali nella diocesi del Papa sono cinquecento,
attive in centoquattro parrocchie
con il coinvolgimento diretto di
circa ottomila persone.
All’incontro, che si è concluso
con la recita di un’Ave Maria guidata dal Pontefice, erano presenti
anche numerosi cardinali, arcivescovi e vescovi, oltre a Carmen
Hernández e padre Mario Pezzi,
co-iniziatori del cammino neocatecumenale.
ceda, Cristo vi accompagni, Cristo
porti a compimento quella salvezza
di cui siete portatori!
Insieme con voi saluto tutti i Cardinali e i Vescovi che vi accompagnano oggi e che nelle loro diocesi
appoggiano la vostra missione. In
particolare saluto gli iniziatori del
Cammino Neocatecumenale, Kiko
Argüello e Carmen Hernández, insieme a Padre Mario Pezzi: anche a
loro esprimo il mio apprezzamento e
il mio incoraggiamento per quanto,
attraverso il Cammino, stanno facendo a beneficio della Chiesa. Io dico
sempre che il Cammino Neocatecumenale fa un grande bene nella
Chiesa.
Come ha detto Kiko, il nostro incontro odierno è un invio missionario,
in obbedienza a quanto Cristo ci ha
chiesto e abbiamo sentito nel Vangelo. E sono particolarmente contento
che questa vostra missione si svolga
grazie a famiglie cristiane che, riunite in una comunità, hanno la missione di dare i segni della fede che attirano gli uomini alla bellezza del
Vangelo, secondo le parole di Cristo:
«Amatevi come io vi ho amato; da
questo amore conosceranno che siete
miei discepoli» (cfr. Gv 13, 34), e
«siate una cosa sola e il mondo crederà» (cfr. Gv 17, 21). Queste comunità, chiamate dai Vescovi, sono formate da un presbitero e da quattro o
cinque famiglie, con figli anche
grandi, e costituiscono una “missio
ad gentes”, con un mandato per
evangelizzare i non cristiani. I non
cristiani che non hanno mai sentito
parlare di Gesù Cristo, e i tanti non
cristiani che hanno dimenticato chi
era Gesù Cristo, chi è Gesù Cristo:
non cristiani battezzati, ma ai quali
la secolarizzazione, la mondanità e
Affidate al vescovo Corti
tante altre cose hanno fatto dimenticare la fede. Svegliate quella fede!
Dunque, prima ancora che con la
parola, è con la vostra testimonianza
di vita che manifestate il cuore della
rivelazione di Cristo: che Dio ama
l’uomo fino a consegnarsi alla morte
per lui e che è stato risuscitato dal
Padre per darci la grazia di donare
la nostra vita agli altri. Di questo
grande messaggio il mondo di oggi
ha estremo bisogno. Quanta solitudine, quanta sofferenza, quanta lontananza da Dio in tante periferie
dell’Europa e dell’America e in tante
città dell’Asia! Quanto bisogno ha
l’uomo di oggi, in ogni latitudine, di
sentire che Dio lo ama e che l’amore
è possibile! Queste comunità cristiane, grazie a voi famiglie missionarie,
hanno il compito essenziale di rendere visibile questo messaggio. E
qual è il messaggio? «Cristo è risorto, Cristo vive! Cristo è vivo tra
noi!».
Voi avete ricevuto la forza di lasciare tutto e di partire per terre lontane grazie a un cammino di iniziazione cristiana, vissuto in piccole comunità, dove avete riscoperto le immense ricchezze del vostro Battesimo. Questo è il Cammino Neocatecumenale, un vero dono della Provvidenza alla Chiesa dei nostri tempi,
come hanno già affermato i miei
Predecessori; soprattutto san Giovanni Paolo II quando vi ha detto:
«Riconosco il Cammino Neocatecumenale come un itinerario di formazione cattolica, valido per la società
e per i tempi odierni» (Epist. Ogniqualvolta, 30 agosto 1990: AAS 82
[1990], 1515). Il Cammino poggia su
quelle tre dimensioni della Chiesa
che sono la Parola, la Liturgia e la
Comunità. Perciò l’ascolto obbediente e costante della Parola di Dio; la
Le meditazioni
per la Via crucis
del Papa
al Colosseo
celebrazione eucaristica in piccole
comunità dopo i primi vespri della
domenica, la celebrazione delle lodi
in famiglia nel giorno di domenica
con tutti i figli e la condivisione della propria fede con altri fratelli sono
all’origine dei tanti doni che il Signore ha elargito a voi, così come le
numerose vocazioni al presbiterato e
alla vita consacrata. Vedere tutto
questo è una consolazione, perché
conferma che lo Spirito di Dio è vivo e operante nella sua Chiesa, anche oggi, e che risponde ai bisogni
dell’uomo moderno.
In diverse occasioni ho insistito
sulla necessità che la Chiesa ha di
passare da una pastorale di semplice
conservazione a una pastorale decisamente missionaria (cfr. Esort. ap.
Evangelii gaudium, 15). Quante volte,
nella Chiesa, abbiamo Gesù dentro e
non lo lasciamo uscire... Quante volte! Questa è la cosa più importante
da fare se non vogliamo che le acque ristagnino nella Chiesa. Il Cammino da anni sta realizzando queste
missio ad gentes in mezzo ai non cristiani, per una implantatio Ecclesiae,
una nuova presenza di Chiesa, là
dove la Chiesa non esiste o non è
più in grado di raggiungere le persone. «Quanta gioia ci date con la vo-
Seconda predica di quaresima alla presenza di Papa Francesco
Un inno di silenzio
«Oriente e occidente di fronte al mistero della Trinità»
è stato il tema della seconda predica di Quaresima tenuta venerdì mattina, 6 marzo, dal predicatore della Casa
Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, nella cappella
Redemptoris Mater del Palazzo apostolico, alla presenza di Papa Francesco.
Il desiderio di «condividere in pienezza la comune fede dell’oriente cristiano e dell’occidente latino», rilanciato da Francesco, «non è nuovo: già il concilio Vaticano II, nella Unitatis redintegratio, esortava a una speciale
considerazione delle Chiese orientali e delle loro ricchezze». E anche Giovanni Paolo II — ha ricordato il
cappuccino — aveva insistito in proposito formulando
«un principio fondamentale per il cammino verso l’unità: mettere in comune le tante cose che ci uniscono e
che sono certamente di più di quelle che ci dividono». Infatti, ha fatto notare, «ortodossia e Chiesa cattolica condividono la stessa fede nella Trinità, nell’incarnazione del Verbo, in Gesù Cristo vero Dio e vero uomo in una sola persona, che è morto e risorto per la nostra salvezza, che ci ha donato lo Spirito Santo; crediamo che la Chiesa è il suo corpo animato dallo Spirito
Santo, che l’Eucaristia è “la fonte e il culmine della vita
cristiana”, che Maria è la Theotokos, la Madre di Dio,
«Trinità» (lezionario della santa cappella di Bourges, 1404-1416)
che abbiamo come destino la vita eterna». E «che cosa
vi può essere di più importante di questo? Le differenze
intervengono nel modo di intendere e di spiegare alcuni
di questi misteri, dunque sono secondarie, non primarie».
È tempo, ha suggerito il predicatore, di mettere da
parte ogni «tinta apologetica e polemica su ciò che distingue e che ognuno credeva di avere di diverso e di
più giusto dell’altro». In una parola, si deve smettere
«di insistere ossessivamente sulle differenze e mettere
invece insieme ciò che abbiamo in comune e ci unisce
in un’unica fede». Oltretutto «lo esige perentoriamente
il comune dovere di annunciare la fede a un mondo
profondamente cambiato, con domande e interessi diversi da quelli del tempo in cui sono nate le divergenze
e che, nella sua stragrande maggioranza, non comprende più neppure il senso di tante nostre sottili distinzioni
ed è anni luce distante da esse».
Finora, secondo padre Cantalamessa, «nello sforzo di
promuovere l’unità tra i cristiani ha prevalso la linea di
risolvere prima le differenze, per poi condividere ciò che
abbiamo in comune». Ora, invece, «la linea che si fa
sempre più strada negli ambienti ecumenici è: condividere ciò che abbiamo in comune per poi risolvere, con
pazienza e rispetto reciproco, le differenze». Così il risultato più sorprendente di questo cambiamento di prospettiva è che le stesse reali differenze dottrinali, anziché apparirci come un “errore” o una “eresia” dell’altro,
cominciano ad apparirci sempre più spesso come compatibili con la propria posizione e, spesso, addirittura
come un necessario correttivo e un arricchimento di essa». Del resto, ha aggiunto, «se ne è avuto un esempio
concreto, su un altro versante, con l’accordo del 1999 tra
la Chiesa cattolica e la Federazione mondiale delle
Chiese luterane, a proposito della giustificazione mediante la fede».
Il predicatore ha proposto, quindi, di «iniziare la scalata» di un tema così delicato affrontando appunto «il
mistero della Trinità, cioè la montagna più alta, l’Everest della fede». E invitando, dopo averle accuratamente
approfondite, a «tenere aperte e percorribili le due vie
al mistero trinitario». Va riconosciuto che la Chiesa ha
bisogno di accogliere «in pienezza l’approccio dell’ortodossia alla Trinità nella sua vita interna, cioè nella preghiera, nella contemplazione, nella liturgia, nella mistica»; ma ha anche «bisogno di tener presente l’approccio
latino nella sua missione evangelizzatrice ad extra».
In conclusione padre Cantalamessa ha indicato il
«punto in cui ci troviamo uniti e concordi, senza più alcuna differenziazione tra Oriente e Occidente: il dovere
e il bisogno di adorare la Trinità». E così insieme, secondo «uno stupendo ossimoro di san Gregorio Nazianzeno, elevare a essa “un inno di silenzio”».
stra presenza e con la vostra attività!» — vi ha detto il beato Papa Paolo VI nella prima udienza con voi (8
maggio 1974: Insegnamenti di Paolo
VI, XII [1974], 407). Anch’io faccio
mie queste parole e vi incoraggio ad
andare avanti, affidandovi alla Santa
Vergine Maria che ha ispirato il
Cammino Neocatecumenale. Lei intercede per voi davanti al suo Figlio
divino.
Carissimi, che il Signore vi accompagni. Andate, con la mia Benedizione!
Sarà monsignor Renato Corti, vescovo emerito di Novara, l’autore
dei testi delle meditazioni per la
Via crucis al Colosseo la sera del
Venerdì santo. Lo schema seguito
dal presule sarà quello classico
tradizionale con quattordici stazioni.
Dopo monsignor Giancarlo
Maria Bregantini, arcivescovo di
Campobasso-Boiano, autore delle
meditazioni dello scorso anno, la
scelta di Papa Francesco è caduta
per la seconda volta su un vescovo italiano. Tra l’altro monsignor
Corti esattamente dieci anni fa,
nel febbraio 2005, guidò gli esercizi spirituali per la Curia romana
negli ultimi giorni del pontificato
di Giovanni Paolo II.
La Pontificia accademia per la vita si interroga sulle cure palliative
Niente retorica
sulla vecchiaia
Il riconoscimento dell’anziano come persona e la comprensione delle
sue necessità di cura, alla luce della
natura bisognosa di ogni essere
umano: deve ruotare attorno a questi due perni ogni riflessione sulle
sfide dell’assistenza alla terza età. È
la convinzione ricorrente negli interventi di studiosi, scienziati e sacerdoti che venerdì 6 marzo si sono
riuniti in Vaticano per il workshop
organizzato dalla Pontificia accademia per la vita, in occasione della
ventunesima assemblea generale.
Nel corso di tre sessioni — due al
mattino e una pomeridiana — qualificati relatori si sono confrontati sul
tema dell’assistenza agli anziani e
delle cure palliative, approfondendone le prospettive etico-antropolo-
Angelo Piras, «Anziani di Castelsardo»
giche e quelle socio-culturali. Secondo il vescovo presidente Ignacio
Carrasco de Paula, «solo partendo
da uno sguardo che riconosce la
persona anziana come meritevole di
essere amata, è possibile parlare di
cura dell’anziano, anche al termine
della vita». Si tratta di una sfida,
ha aggiunto, che si rivolge a tutta
la società: dalla famiglia, alle istituzioni, allo Stato. Del resto, «tutti
abbiamo bisogno dell’altro». Specie
gli anziani, la cui assistenza non
può essere mai «ridotta a un atto di
beneficienza, o pensata come una
concessione per solidarietà o filantropia». Alla luce di ciò, ha concluso, «anche le cure palliative andranno ripensate, e intese non solo come “cura del dolore”, ma come manifestazione di amore; prendendosi
cura dell’altro, infatti, lo si restituisce a se stesso».
Per il secondo anno consecutivo
dunque la Pontificia accademia per
la vita ha posto l’invecchiamento al
centro della propria attività. Già
durante l’assemblea del 2014 aveva
affrontato il tema della cura dell’anziano che diventa disabile, non autosufficiente e bisognoso di aiuto.
In questo 2015 ha puntato sul fine
vita e sulle cure palliative: sia perché l’età avanzata è caratterizzata,
rispetto ad altre fasce da un più
elevato tasso di malattia (con più
patologie croniche, associate a un
decadimento del benessere fisico e
del livello di indipendenza); sia
perché le malattie degenerative
compromettono le capacità fisiche e
cognitive. Se si pensa, poi,
che l’invecchiamento della
popolazione è in aumento,
appare evidente come gli anziani necessitino non solo di
assistenza ma di un approccio globale specifico. In tale
contesto le cure palliative devono avere come obiettivo la
migliore qualità di vita possibile per i malati e per le loro
famiglie, per prevenire anche
la richiesta di eutanasia, che
nasce spesso da un rischio di
eccessiva
medicalizzazione,
da sentimenti di abbandono
o da una reale mancanza di
cure.
Significativo tra gli interventi quello del sacerdote
Armando Aufiero, dei silenziosi operai della Croce, che
ha approfondito gli aspetti
spirituali del tema dei lavori,
rileggendoli alla luce dell’esperienza del beato Luigi Novarese, fondatore del Centro volontari
della sofferenza. «La retorica sulla
vecchiaia che troviamo sui media —
ha detto — rivela tutta la sua inutile
inconsistenza. Anche la medicina
ha le sue responsabilità», perché
considera l’essere umano solo «un
corpo, un aggregato di molecole,
una macchina che reagisce a stimoli
fisici e farmacologici», escludendo
«qualsiasi discorso di empatia, di
calore umano, di ascolto e di incontro fra medico e paziente. Nella società del profitto che ha creato
l’ospedale azienda il malato è stato
ridotto a cliente, la salute a un prodotto da vendere per far quadrare
bilanci e compilare statistiche, l’anziano si trova condannato a morire
a poco a poco, per disinteresse,
apatia e solitudine».