Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLV n. 54 (46.892) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano sabato 7 marzo 2015 . Il Pontefice al cammino neocatecumenale Il rapporto tra il vescovo e i suoi preti Svegliate la fede Per servire il popolo di Dio di GUALTIERO BASSETTI e cronache raccontano non di rado storie di preti dissidenti e disobbedienti verso l’autorità religiosa, principalmente verso il proprio vescovo. Ci sono certo molti luoghi comuni che hanno prodotto, nel tempo, immagini stereotipate di largo consumo che si ritrovano nei media. Ma non si tratta solo di una questione giornalistica. Il rapporto tra i vescovi e i sacerdoti rappresenta, infatti, una questione di estrema importanza per la Chiesa perché si riferisce al cuore della vita cristiana, anzi, alla spina dorsale su cui si regge la comunità ecclesiale. Se si dovesse incrinare questo rapporto tutto il corpo ne risulterebbe indebolito. E lo stesso messaggio finirebbe per affievolirsi. Nel 1977, durante la sua prima omelia da arcivescovo di Firenze, il cardinale Giovanni Benelli delineò con grande efficacia questo rapporto. Il vescovo, disse Benelli, è prima di tutto un «segno di unità» per l’intera Chiesa ed è «padre e guida» per i propri sacerdoti e per tutta la comunità dei credenti. E a me, giovane rettore del seminario minore, disse confidenzialmente che dal seminario non sarebbero dovuti uscire «modellini» di preti ma «uomini liberi» che, avendo incontrato Cristo, sarebbero poi stati disposti a mettere con generosità a servizio della Chiesa i doni ricevuti dal Signore. Queste parole, che richiamavano con grande sapienza l’eredità del concilio Vaticano II, assumono ancora oggi un grandissimo significato. Al binomio di carità e obbedienza che lega i sacerdoti al proprio vescovo, infatti, si associa il dono della libertà responsabile. La Chiesa vive e cammina solo se esiste una relazione sincera tra il vescovo e i suoi sacerdoti. Se è vero che il vescovo è l’apostolo mandato da Cristo a pascere il gregge, è altrettanto certo, come insegna la Lumen gentium, che i preti «costituiscono con il loro vescovo un unico presbiterio». Questo significa che non esiste vescovo senza il suo L Jean Guitton, «Incontro» (1971) L’invito a “svegliare la fede” portando nuovamente l’annuncio evangelico tra i tanti che oggi a causa della secolarizzazione hanno dimenticato chi è Gesù è stato rivolto da Papa Francesco alle migliaia di aderenti al cammino neocatecumenale che hanno gremito l’aula Paolo VI nella mattina di venerdì 6 marzo. «Prima ancora che con la parola è con la vostra testimonianza di vita che manifestate il cuore della rivelazione di Cristo» ha ricordato il Pontefice rivolgendosi in particolare alle trentuno missio ad gentes che stanno per partire alla volta di ventidue Paesi. «Quanta solitudine, quanta sofferenza, quanta lontananza da Dio — ha aggiunto — in tante periferie dell’Europa e dell’America e in tante città dell’Asia! Quanto bisogno ha l’uomo di oggi, in ogni latitudine, di sentire che Dio lo ama e che l’amore è possibile!». Ed è proprio alle famiglie missionarie che è affidato «il compito essenziale di rendere visibile questo messaggio». Papa Francesco non ha mancato di ribadire la necessità «di passare da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria». E ha riconosciuto che molte volte «abbiamo Gesù dentro e non lo lasciamo uscire». Da qui l’invito a cambiare mentalità e ad andare verso gli altri «se non vogliamo che le acque ristagnino nella Chiesa». PAGINA 8 In seguito agli scontri a Tikrit Migliaia di profughi iracheni BAGHDAD, 6. L’offensiva sferrata dall’esercito iracheno contro le milizie del cosiddetto Stato islamico (Is) nell’area di Tikrit, nella provincia di Salahuddin, ha costretto alla fuga decine di migliaia di persone. Un comunicato dell’Onu citato dalla Bbc parla di 28.000 nuovi sfollati. Da parte sua, un portavoce del ministero della Difesa di Baghdad ha detto che due campi per i rifugiati sono già stati allestiti, uno vicino a Samarra, cinquanta chilometri a Sud di Tikrit, e l’altro nel distretto di Sharqi, tra le due città. L’alto comitato iracheno per l’assistenza agli sfollati ha detto che sono in corso operazioni in collaborazione con l’Onu per inviare aiuti alimentari e medicinali ai rifugiati. Nel frattempo, l’Is risponde alle sconfitte subite sul piano militare in Iraq e in Siria con una propaganda fatta di minacce terroristiche, ma anche di distruzioni iconoclaste. È di ieri la notizia che i miliziani jihadisti hanno devastato con i bulldozer il sito archeologico di Nimrud, l’antica capitale assira, nei pressi della città di Mosul. Proprio su Mosul, come noto, si sta preparando da tempo la principale offensiva contro l’Is delle forze irachene appoggiate dalla coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Per la prima volta, ieri, anche L’arcivescovo Gallagher all’incontro con i consulenti giuridici delle Conferenze episcopali Un’Europa fondata sulla dignità della persona y(7HA3J1*QSSKKM( +,!"!@!z!/! PAGINA 2 Per favorire i colloqui L’esercito libico annuncia un cessate il fuoco PAGINA 3 scontrata, oltre che con le forze governative, con gli altri gruppi ribelli, compreso l’Is. Secondo quanto riferito sempre dalla Bbc, in un raid dell’aviazione di Damasco a Salqin, nella provincia di Iblid al confine con la Turchia, sono stati uccisi il leader del gruppo, Abu Humam alShami, e tre vicecomandanti. Udienza al presidente della Repubblica dell’Azerbaigian Una famiglia fuggita da Tikrit (Ap) la Turchia ha annunciato appoggio all’iniziativa. Il primo ministro turco, Ahmet Davutoğlu, ha comunque precisato che tale appoggio non si tradurrà in un intervento armato. «Sosterremo l’offensiva a Mosul, ma non prenderemo parte direttamente al conflitto in Iraq o in Siria», ha detto. Dai fronti siriani, intanto, giunge notizia di un duro colpo inferto dalle forze governative al Fronte Al Nusra, l’altra formazione jihadista attiva nel Paese e che spesso si è Cordoglio del Papa La morte del cardinale Egan Il cardinale Edward Michael Egan, arcivescovo emerito di New York, è morto giovedì pomeriggio, 5 marzo. Appresa la notizia il Papa ha inviato al cardinale Timothy M. Dolan, arcivescovo di New York, il telegramma di cordoglio che pubblichiamo in una nostra traduzione dall’inglese. Avendo appreso con tristezza della morte del Cardinale Edward M. Egan, Arcivescovo emerito di New York, porgo sentite condoglianze a lei e ai fedeli dell’Arcidiocesi. Mi unisco a voi nell’affidare la nobile anima del defunto Cardinale a Dio, Padre di misericordia, con gratitudine per gli anni di ministero episcopale tra il gregge di Cristo a Bridgeport e a New York, per il vita della Comunità cattolica nel Paese ed alcune iniziative in ambito culturale, rilevando il valore, nel mondo contemporaneo, del dialogo interculturale e interreligioso per favorire la pace. Si è poi fatto riferimento all’attualità regionale e internazionale, ribadendo l’importanza del negoziato nella risoluzione dei conflitti, nonché dell’educazione per promuovere i presupposti di una convivenza pacifica tra le popolazioni e i diversi gruppi religiosi. Rinnovare la Chiesa in un’epoca secolare La possibilità di scegliere CHARLES TAYLOR A PAGINA 5 NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza: Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Fernando Natalio Chomalí Garib, Arcivescovo di Concepción, Amministratore Apostolico “sede vacante” di Osorno (Cile). Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Ilham Aliyev, Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian, con la Consorte, e Seguito. Predica di Quaresima suo eminente servizio alla Sede Apostolica e per il suo esperto contributo alla revisione del diritto della Chiesa negli anni successivi al concilio Vaticano II. A tutte le persone riunite nella cattedrale di Saint Patrick per la messa esequiale cristiana e a tutti coloro che piangono il Cardinale Egan nella speranza certa della Risurrezione, imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica come pegno di consolazione e di pace nel Signore. FRANCESCO Nella mattinata di venerdì 6 marzo, il presidente della Repubblica dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, con la consorte, è stato ricevuto in udienza da Papa Francesco. Successivamente ha incontrato il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, che era accompagnato dal sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati, monsignor Antoine Camilleri. Nei cordiali colloqui si è espressa soddisfazione per lo sviluppo dei rapporti bilaterali. In particolare, ci si è soffermati su temi riguardanti la presbiterio e, a sua volta, il presbiterio è sempre cum episcopo. Alla base di questa «comunione gerarchica» descritta dal concilio, non c’è però alcuna forma di potere o di autogratificazione personale ma, all’opposto, uno spirito di totale abbandono e di servizio al popolo di Dio. Come ha sottolineato Papa Francesco, infatti, un vescovo non è mai «vescovo per se stesso» ma è «per il popolo» così come «un prete non è prete per se stesso» ma è sempre «per il popolo». E l’esempio di amore incondizionato testimoniato da Gesù sulla croce è l’unica vera regola di comportamento per i vescovi e i sacerdoti. Si tratta, infatti, per entrambi, di un identico servizio di presenza e di vicinanza con il popolo cristiano di cui condividono gioie e preoccupazioni. Il vescovo, in particolare, è prima di tutto un padre nella fede, che vive in mezzo al suo gregge. Non è statico, non è fermo, non aspetta i fedeli al chiuso delle sue stanze, ma esce all’aperto e si mette alla testa del suo gregge con spirito di servizio. Perché il servizio rimane la sua missione principale: servire la Chiesa, servire il popolo di Dio, come maestro e guida, senza pretendere nulla per se stesso se non la ricerca della santità. PP. Analogo telegramma è stato inviato dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato. PAGINA 7 Questa mattina, nella Cappella «Redemptoris Mater», alla presenza del Santo Padre, il Predicatore della Casa Pontificia, Padre Raniero Cantalamessa, O.F.M. Cap., ha tenuto la seconda predica di Quaresima. Nomina di Vescovo Ausiliare Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare di Roma il Reverendo Augusto Paolo Lojudice, del clero romano, finora Parroco di San Luca al Prenestino, assegnandogli la Sede titolare di Alba Marittima. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 sabato 7 marzo 2015 L’arcivescovo Gallagher all’incontro con i consulenti giuridici delle conferenze episcopali Per un’Europa fondata sulla dignità della persona Pubblichiamo la traduzione italiana del discorso pronunciato venerdì 6 marzo a Bratislava dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, durante l’incontro dei consulenti giuridici delle Conferenze episcopali in Europa, organizzato dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (Ccee). L’incontro, iniziato il 4 marzo, ha avuto come tema la libertà. Da lunedì la Bce avvierà l’acquisto dei titoli di Stato D raghi vede la ripresa NICOSIA, 6. La Banca centrale europea (Bce) stima in arrivo una svolta economica positiva per i Paesi dell’euro, grazie anche all’avvio, previsto per lunedì prossimo, del cosiddetto Quantitative Easing (Qe), il suo programma di acquisto di titoli di Stato annunciato a gennaio. Lo ha detto ieri il presidente della Bce, Mario Draghi, a Nicosia, dove si è tenuta una delle due riunioni annuali dell’istituto fuori da Francoforte. Draghi è anche intervenuto sulla questione dei prestiti alla Grecia, ribadendo che non vi saranno facilitazioni se il nuovo Governo non accelererà le riforme. «Cominciamo lunedì», ha detto Draghi sul Qe, quando ci saranno acquisti di titoli di Stato per sessanta miliardi di euro al mese almeno fino a settembre 2016. Secondo il presidente della Bce, con il calo del prezzo del petrolio, le esportazioni europee sostenute dai tassi di cambio e il graduale miglioramento del credito, si profila una decisa ripresa, dopo anni di crisi economica europea. La crescita per il 2015 è stimata all’1,5 per cento, all’1,9 per il 2016 e al 2,1 per l’anno successivo. Nel 2017, inoltre, l’inflazione dovrebbe attestarsi all’1,8 per cento. Draghi ha comunque confermato che il Qe è solo uno dei fattori sul quale si basano le previsioni, spiegando che «l’emergere di ulteriori sviluppi favorevoli» si mostra evidente. La Bce, in sostanza, vede la svolta, anche se Draghi non manca di rilevare come i Governi troppo timidi sulle riforme possano frenare la crescita. In questo senso, Draghi ha parlato anche della questione greca. «Siamo i primi a volere che la Grecia riparta», ha premesso. Tuttavia ha aggiunto che «certa comunicazione crea volatilità sui mercati, distrugge il collaterale, aumenta gli spread e minaccia la solvibilità. La comunicazione è assolutamente fondamentale». Il riferimento è alle recenti dichiarazioni del ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, secondo il quale il suo Paese non può ripagare per intero il debito estero. «L’ultima cosa che si può dire è che non sosteniamo la Grecia», ha comunque sottolineato Draghi, visto che in due mesi la Bce ha raddoppiato l’esposizione verso il Paese, arrivando a cento miliardi di euro, pari al 68 per cento del prodotto interno lordo greco, cioè la quota più alta all’interno dell’eurozona. Europa, la bella giovane dalla quale ha preso il nome il nostro continente, proveniva dall’Asia. In questa credenza mitologica degli antichi greci si rispecchia una verità storica, poiché di fatto la culla della cultura europea è in Asia. Secondo la leggenda, la vergine Europa era figlia di Agenore, re di un’importante città della costa fenicia. Agenore custodiva gelosamente la figlia, assicurandosi che nessuno potesse rapire la bella giovane. E così Zeus, padre degli dei, che si era innamorato di Europa, dovette procedere con sotterfugi e astuzie. Si trasformò in un mite toro bianco, mescolandosi tra i buoi di Agenore, che pascolavano vicino alla costa del Mediterraneo. Europa e le sue amiche ben presto notarono il mite toro che profumava di fiori; era talmente gentile che tutte le ragazze andarono ad accarezzarlo. Europa ne accarezzò i fianchi, arrampicandosi poi sul suo dorso. E Zeus colse subito l’occasione per rapirla. Sempre sotto forma di toro, fuggì verso le acque con la ragazza sul dorso fino a scomparire dalla vista, poi sorvolò il mare fino a raggiungere Creta, vale a dire l’Europa! Oggi, il toro, come animale mitologico, difficilmente ci ricorda il rapimento di Europa. Piuttosto, nel mondo moderno delle finanze è diventato simbolo di ricchezza economica. Basta guardare le due figure in bronzo davanti alla borsa di New York: l’orso schiaccia con la sua zampa i prezzi delle azioni — segno di recessione economica — mentre il toro li spinge verso l’alto con le corna, promettendo ricchi profitti. Tali Vertice informale dei ministri degli Esteri a Riga Impegno dell’Ue per la tregua in Ucraina RIGA, 6. La valutazione a oggi sull’effettiva applicazione dell’accordo di Minsk nelle regioni orientali dell’Ucraina «non è totalmente positiva, ma neanche totalmente negativa». Come ha spiegato l’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea, Federica Mogherini, «alcune violazioni del cessate il fuoco ci sono e il ritiro delle armi pesanti non è ancora osservabile». Secondo il capo della diplomazia Ue, l’Europa «non deve solo aspettare che l’accordo sia rispettato, ma fare il possibile per agevolarne il rispetto», a esempio «rafforzando la missione degli osservatori dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa» in loco. Questo è uno degli argomenti al centro del consiglio Esteri in programma oggi e domani a Riga, ovvero a pochi chilometri dalla frontiera con la Russia. Il presidente ucraino Poroshenko, ha avuto ieri un colloquio telefonico con Federica Mogherini. Sul tappeto la situazione nel Donbass e l’attuazione degli accordi di Minsk. Poroshenko e Mogherini hanno concordato sulla necessità di ampliare il mandato dell’Osce, che deve monitorare il cessate il fuoco e il ritiro delle armi. Il presidente ucraino ha chiesto anch un contingente di peacekeepers nel Donbass. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano ornet@ossrom.va www.osservatoreromano.va Un militare ucraino nei pressi di Mariupol (Afp) Serbia e Albania rilanciano il dialogo TIRANA, 6. La comune volontà di rafforzare la collaborazione, soprattutto in campo economico e commerciale, è stata sottolineata ieri da Albania e Serbia. Le buone relazioni sono fondamentali per la stabilità nell’intera regione balcanica, ha detto la presidente del Parlamento serbo, Maja Gojković, durante un vertice con il primo ministro alba- GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio nese, Edi Rama. Gojković ha poi sottolineato l’importanza dell’integrazione europea della Serbia e dell’Albania. «L’Ue — ha infatti dichiarato alla stampa — sarà completa solo quando i Balcani occidentali saranno integrati nell’Unione». Infrastrutture e turismo sono tra i settori più promettenti per la futura collaborazione. Servizio vaticano: vaticano@ossrom.va Servizio internazionale: internazionale@ossrom.va Servizio culturale: cultura@ossrom.va Servizio religioso: religione@ossrom.va caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 photo@ossrom.va www.photo.va immagini mi sono venute in mente mentre preparavo questo intervento sui discorsi di Papa Francesco al Parlamento Europeo e all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa dello scorso 25 novembre. Ancora oggi la vergine Europa può essere sedotta e rapita dal toro perché — ed è questa una delle preoccupazioni centrali del Papa — il denaro sembra essere diventato più importante delle persone, specialmente di quelle povere e vulnerabili. Al centro delle due istituzioni europee visitate dal Papa c’è però di fatto la dignità umana, poiché esse professano di difendere i diritti fondamentali di tutti e di promuovere la coesione sociale. Invece di parlare a Bruxelles ai soli membri del Parlamento Europeo, il Santo Padre ha deciso, in modo significativo, di parlare a Strasburgo, il che gli ha permesso di rivolgersi al Consiglio d’Europa, nel quale sono rappresentate tutte le nazioni europee, comprese la Russia e l’Ucraina, nonché l’Armenia e l’Azerbaigian, tanto per citare due esempi di aree esterne all’Unione europea (ma interne all’Europa) dove sono in atto gravi e costanti conflitti. Papa Francesco voleva chiarire che il nostro continente è più grande dell’Unione europea. Come spesso in passato, intendeva attirare l’attenzione sulle “periferie” per impegnare attivamente gli Stati e i popoli, anche ai margini geografici del nostro continente. Si potrebbe dire che la vera capitale dell’Europa sia Strasburgo, che, dopo una storia tumultuosa, è diventata un simbolo autentico della riconciliazione franco-tedesca. Certamente è un segno di speranza per tutti noi il fatto che questa amicizia riscoperta colleghi tutte le nazioni europee. Papa Francesco lo ha detto espressamente: «Il progetto dei Padri fondatori era quello di ricostruire l’Europa in uno spirito di mutuo servizio, che ancora oggi, in un mondo più incline a rivendicare che a servire, deve costituire la chiave di volta della missione del Consiglio d’Europa, a favore della pace, della libertà e della dignità umana» (discorso al Consiglio d’Europa, Strasburgo, Francia, 25 novembre 2014). Al centro delle riflessioni del Papa a Strasburgo c’era la sua affermazione della dignità della persona umana. La dottrina sociale della Chiesa è incentrata sul riconoscimento del valore di ogni individuo, la cui protezione precede tutte le leggi positive, che dovrebbero essere volte a realizzare proprio ciò. I diritti umani devono essere rispettati ovunque, non perché i politici ammettono la «preziosità, unicità e irripetibilità di ogni singola persona umana», ma piuttosto perché sono incisi nel cuore di ogni essere umano. È su questa base che in ogni Stato le leggi positive devono sostenere i diritti inalienabili degli individui. Questi devono essere fissati nelle leggi positive di ogni Stato, protetti dalle autorità e rispettati da tutti. «Occorre però prestare attenzione per non cadere in alcuni equivoci che possono nascere da un fraintendimento del concetto di diritti umani e da un loro paradossale abuso. Vi è infatti oggi la tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali — sono tentato di dire individualistici — che cela una concezione di persona umana staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una “monade” (...), sempre più insensibile alle altre “monadi” intorno a sé. Al concetto di diritto non sembra più associato quello altrettanto essenziale e complementare di dovere, così che si finisce per affermare i diritti del singolo senza tenere conto che ogni essere umano è legato a un contesto sociale, in cui i suoi diritti e doveri Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 segreteria@ossrom.va Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale sono connessi a quelli degli altri e al bene comune della società stessa» (discorso al Parlamento europeo, Strasburgo, 25 novembre 2014). Il pensiero cristiano, che ha forgiato in modo sostanziale la storia e la cultura dell’Europa, ha sempre promosso la dignità dell’individuo e il bene comune di tutti. Su questo sfondo, il Papa ci ricorda le radici cristiane del nostro continente, al fine di portare i frutti che ci si può ragionevolmente attendere dal dare valore alla persona. Il cristianesimo non è solo il nostro passato, ma anche il nostro «presente e il nostro futuro», poiché l’oggi riguarda la centralità della persona. Oggi, la dignità della persona umana è a rischio; l’Europa può trarre grande beneficio dalla luce della morale cristiana. Il Santo Padre esorta i membri del Parlamento europeo poiché «è giunta l’ora di costruire insieme l’Europa che ruota non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili; l’Europa che abbraccia con coraggio il suo passato e guarda con fiducia il futuro per vivere pienamente e con speranza il suo presente. È giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su se stessa per suscitare e promuovere l’Europa protagonista, portatrice di scienza, di arte, di musica, di valori umani e anche di fede» (ibidem). Le parole di Papa Francesco sono coraggiose e fanno eco al monito di san Giovanni Paolo II in Ecclesia in Europa, secondo cui il continente che si separa dalle sue radici cristiane cadrà in una «apostasia silenziosa» (n. 9). Laddove gli interessi economici sono volti solo al profitto e al mercato, il toro dell’Europa — per utilizzare l’immagine iniziale — diventa un vitello d’oro, un idolo di falsi valori e aspirazioni. Secondo il Papa dobbiamo costruire nuovamente una «Europa che contempla il cielo e persegue degli ideali; l’Europa che guarda e difende e tutela l’uomo; l’Europa che cammina sulla terra sicura e salda, prezioso punto di riferimento per tutta l’umanità!». Potrebbe sembrare paradossale, ma più le persone che hanno responsabilità negli ambiti della politica, dell’economia, della cultura e del benessere guarderanno verso gli uomini e le donne nelle periferie della nostra società, più porranno la dignità dell’individuo al centro delle loro attività, promovendo in tal modo il bene comune di tutti. Più guarderanno verso il cielo, vale a dire verso alti ideali, senza permettere ai valori di mercato di dominare il loro lavoro, più sarà grande l’unità tra rappresentanti e quanti prendono le decisioni e più sarà grande anche la capacità di risolvere i problemi che minacciano le nostre società. Il guardare alla periferia e al cielo non distoglie dall’essenziale; al contrario, ordina le nostre azioni nel modo giusto, così che possano davvero proteggere i diritti umani. Il cristianesimo insegna a guardare a entrambi: ai margini e verso il cielo. Da questa prospettiva il Papa parla dei problemi concreti e delle sfide dell’Europa, specialmente le preoc- Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, info@ossrom.va diffusione@ossrom.va Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 cupanti condizioni dei migranti che cercano nel nostro continente protezione per la loro vita e per la loro famiglia: «Non si può tollerare che il Mar Mediterraneo diventi un grande cimitero! Sui barconi che giungono quotidianamente sulle coste europee ci sono uomini e donne che necessitano di accoglienza e di aiuto. L’assenza di un sostegno reciproco all’interno dell’Unione europea rischia di incentivare soluzioni particolaristiche al problema, che non tengono conto della dignità umana degli immigrati, favorendo il lavoro schiavo e continue tensioni sociali. L’Europa sarà in grado di far fronte alle problematiche connesse all’immigrazione se saprà proporre con chiarezza la propria identità culturale» — e vorrei aggiungere che questa cultura europea è profondamente cristiana — «e mettere in atto legislazioni adeguate che sappiano allo stesso tempo tutelare i diritti dei cittadini europei e garantire l’accoglienza dei migranti» (discorso al Consiglio d’Europa, Strasburgo, 25 novembre 2014). Non è compito della Chiesa perseguire politiche quotidiane concrete e attribuirsi competenze che non ha. Non conosciamo le misure concrete che potrebbero essere necessarie, per esempio, per assicurare la sicurezza e la libertà a tutti i migranti che cercano il nostro aiuto. Piuttosto si tratta di invitare i politici, talvolta anche di ammonirli, ad alzare lo sguardo e a guardare oltre le soluzioni a breve termine. Come ha detto Papa Benedetto XVI durante la sua visita a Londra nel 2010: «La religione, in altre parole, per i legislatori non è un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico nella Nazione. In tale contesto, non posso che esprimere la mia preoccupazione di fronte alla crescente marginalizzazione della religione, in particolare del Cristianesimo, che sta prendendo piede in alcuni ambienti, anche in nazioni che attribuiscono alla tolleranza un grande valore» (Westminster Hall, 17 settembre 2010). In considerazione delle forze crescenti che cercano di relegare il cristianesimo all’ambito privato, eliminandolo dal discorso pubblico, è significativo che dopo il discorso del Papa a Strasburgo — e forse addirittura grazie ad esso — l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa abbia adottato una risoluzione che contrasta la discriminazione nei confronti dei cristiani in Europa. Il Papa “dalla fine del mondo” ha mostrato il suo amore e la sua preoccupazione per il nostro continente dinanzi al Consiglio d’Europa e al Parlamento europeo. La giovane vergine Europa è cresciuta diventando una donna matura che non ha più l’impeto della gioventù, ma che è sempre bella e affascinante. Nei prossimi anni e decenni sarà importante per l’Europa che le sue nazioni e i suoi popoli continuino il processo d’unità liberi dai vincoli del falso egalitarismo e dell’eccessiva burocrazia, al fine di assicurare una pace duratura. Non potrà mai più esserci guerra in Europa! Questo alto obiettivo può però essere raggiunto solo se la fiducia e la fratellanza — la vera unità — cresceranno e si consolideranno nell’accettazione delle differenze culturali. Il cristianesimo deve compiere la sua missione in Europa a tale riguardo, e la Chiesa cattolica, in particolare, nella quale l’unità delle differenze culturali esiste, può offrire un aiuto tangibile per unire e rafforzare la famiglia nazionale dell’Europa. È questo il nostro carisma particolare, mentre assistiamo la Santa Sede e le Chiese locali con le nostre capacità e competenze: illuminati dalla fede, possiamo promuovere un’Europa fondata sulla dignità della persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 segreteriadirezionesystem@ilsole24ore.com Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO sabato 7 marzo 2015 pagina 3 Per favorire i colloqui tra Tripoli e Tobruk L’esercito libico annuncia un cessate il fuoco Nuova strage di Boko Haram in un villaggio nigeriano ABUJA, 6. Decine di persone sono state uccise in un ennesimo attacco di Boko Haram nel nord-est della Nigeria, del quale è stata data notizia ieri. L’incursione è avvenuta martedì nel villaggio di Njaba, nello Stato del Borno, che del gruppo jihadista è considerato la principale roccaforte. Secondo quanto riferito dal sito di informazione Sahara Reporters, sulla base di testimonianze di sopravvissuti, i miliziani di Boko Haram avrebbero ucciso sessantotto tra uomini, ragazzi e anche bambini. Altri testimoni citati dal quotidiano «Vanguard» parlano di un numero di vittime più alto, specificando che a Njaba sarebbero stati trucidati settantaquattro uomini e venti tra ragazzi e bambini che avevano rifiutato di unirsi al gruppo jihadista. Non c’è nessuna conferma ufficiale dell’attacco, ma fonti della sicurezza hanno affermato che le testimonianze sono credibili. Njaba si trova ad alcune decine di chilometri a ovest di Gwoza, la città che Boko Haram ha eretto a capitale del suo cosiddetto califfato proclamato lo scorso anno. Secondo alcune fonti di stampa, gli islamisti si starebbero concentrando in questa località in previsione di nuovi combattimenti con i reparti militari della Nigeria e del Ciad. Quest’ultimo Paese, come noto, fornisce i contingenti più numerosi e meglio armati alla forza africana intervenuta in Nigeria contro Boko Haram e alla quale partecipano anche Benin, Camerun e Niger. Sempre ieri, intanto, è giunta conferma che la giovane donna linciata e poi bruciata da una folla inferocita in un mercato di Bauchi non era una un’attentatrice suicida. La polizia e i familiari della giovane, che si chiamava Thabita Haruna, hanno raccontato che soffriva di problemi mentali e non aveva nulla a che fare con il terrorismo. Fino al 2007 lavorava a una bancarella al mercato. Proprio lì si era diretta la settimana scorsa, quando il suo rifiuto di farsi perquisire prima di entrare nel mercato era stato ritenuto dalla folla una prova sufficiente del fatto che si accingesse a compiere un’attentato, così come due bottiglie che portava con sé sono state considerate due bombe. RABAT, 6. I colloqui tra le fazioni libiche procedono positivamente e proseguiranno anche oggi. Lo riferiscono media libici citando fonti ufficiali. Il primo giorno di dialogo svoltosi a Skhirat, vicino Rabat, è stato positivo e migliore del precedente, ha detto l’inviato speciale dell’Onu per la Libia, Bernardino León, precisando che i rappresentanti di Tripoli e Tobruk — pur presenti nello stesso centro congressi — si trovavano in sale diverse e hanno dialogato attraverso la delegazione delle Nazioni Unite. Le due fazioni libiche stanno trattando per la formazione di un Governo di unità nazionale che consenta di unire le forze nella lotta contro i jihadisti. soltanto del Governo di Tobruk ma anche di quello auto-proclamato a Tripoli. Oltre a delegati dei due Governi contrapposti, alla sessione in corso partecipano rappresentanti delle tribù libiche, organismi che giocano un ruolo fondamentale nella crisi politica. Un altro round di consultazioni si terrà la settimana prossima in Algeria. Il Consiglio di sicurezza dell’O nu ha intanto deciso ieri di prorogare la missione di supporto Unsmil in Libia. Con una risoluzione adottata all’unanimità, i Quindici hanno esteso il mandato di Unsmil, in scadenza il 13, fino al 31 marzo. E la Russia può avere un «ruolo decisivo» per risolvere la crisi libica: è la convinzione espressa dal presidente del Consiglio dei ministri italiano, Matteo Renzi, dopo un colloquio ieri di più di tre ore al Cremlino con Vladimir Putin, il quale ha rilevato come, nonostante il conflitto ucraino e le sanzioni, l’Italia rimanga «uno dei partner privilegiati» di Mosca, «sia in Europa che nel mondo». L’inviato dell’Onu in Libia Bernardino León (Ansa) Bonificato più dell’ottanta per cento del territorio Sminamento afghano Sostituiti otto ministri Rimpasto nel Governo egiziano IL CAIRO, 6. L’Egitto avvia un rimpasto di Governo, sostituendo otto ministri fra cui quello dell’Interno Mohamed Ibrahim, al cui posto andrà il generale Madgi Abdel Ghaffar. Lo ha confermato ieri in una conferenza stampa il premier Ibrahim Mahlab. Il rimpasto ha riguardato anche i ministeri dell’Educazione, Cultura, Turismo, Agricoltura e Telecomunicazioni. I nuovi capi dicastero hanno giurato davanti al presidente Abdel Fattah Al Sissi. Ibrahim è stato quindi nominato consigliere del premier per gli Affari di sicurezza, secondo quanto riferisce il quotidiano del Cairo «Al Ahram». L’ex ministro dell’In- Trenta Paesi a rischio ebola FREETOWN, 6. Sono quasi trenta i Paesi a rischio ebola e il futuro di milioni di bambini è in pericolo. L’allarme è stato lanciato dall’organizzazione umanitaria Save the Children in un nuovo rapporto, che intende fare luce sull’attuale situazione in cui versano i sistemi sanitari dei Paesi più poveri del mondo. L’organizzazione ricorda che l’epidemia di ebola in Liberia, Sierra Leone e Guinea ha già ucciso novemila persone. «Un sistema sanitario solido avrebbe potuto fermare il virus», si legge nel rapporto. «E senza operatori sanitari qualificati e senza un sistema sanitario funzionante sul posto — prosegue il testo — è più probabile che un’epidemia possa diffondersi attraverso i confini internazionali». Sono infatti una trentina i Paesi al mondo che hanno sistemi sanitari ancora più a rischio di quello della Liberia. Secondo la ricerca, In un gesto di sostegno allo sforzo negoziale condotto dall’O nu, l’esercito libico — quello che risponde all’Esecutivo del Parlamento eletto e riconosciuto dalla comunità internazionale costretto per motivi di sicurezza a riunirsi a Tobruk — ha annunciato un cessate il fuoco di tre giorni per «dare una chance al dialogo». E per il momento ha posto fine allo scambio di raid aerei ingaggiato con l’aviazione delle milizie islamiste al potere a Tripoli. La sessione dei negoziati indiretti in Marocco segue precedenti incontri iniziati a settembre a Ghadames. L’11 febbraio scorso nella stessa località libica i colloqui avevano visto la partecipazione di rappresentanti non due elementi fondamentali vanno tenuti in considerazione nel rischio di nuove epidemie: la popolazione mondiale è sempre meno stanziale e sempre più in movimento e questo intensifica la minaccia di epidemie; a questo si deve aggiungere la nascita ogni anno di due nuove malattie che possono essere trasmesse dagli animali all’uomo. La classifica tiene conto di una serie di fattori caratterizzanti per un sistema sanitario, come il numero di operatori sanitari, la quantità di spesa pubblica dedicata alla salute e il tasso di mortalità. In questa classifica la Somalia ha il punteggio più basso, seguita da Ciad, Nigeria, Afghanistan, Haiti, Etiopia, Repubblica Centroafricana, Guinea, Niger e Mali. In Afghanistan, ad esempio, la spesa pubblica per la sanità è solo di 10,71 dollari a persona all’anno, rispetto ai 3.099 dollari della Gran Bretagna. terno aveva avuto un ruolo chiave durante gli eventi che, nel giugno del 2013, portarono alla destituzione del presidente Mohammed Mursi. Nel frattempo, mentre quattro ordigni artigianali sono esplosi stamattina al Cairo senza causare vittime — come ha riferito la televisione di Stato — una corte egiziana ha aperto ieri un processo contro 213 militanti islamisti, fra cui diversi membri dell’esercito e della polizia, accusati di aver pianificato e attuato decine di attentati, fra cui il tentativo di uccidere appunto l’allora ministro dell’Interno Ibrahim. Dei 213 imputati 143 sono attualmente in carcere. KABUL, 6. L’ottanta per cento del territorio dell’Afghanistan è stato liberato dalle mine ma resta ancora un’area di circa 520 chilometri quadrati che deve essere bonificata. Lo ha riferito ieri Tolo Tv. Sulla base delle informazioni fornite da varie compagnie specializzate nello sminamento del territorio, per terminare completamente questo lavoro saranno necessari ancora otto anni. Un portavoce del Centro per la localizzazione delle mine (Mdc) ha precisato che dal 1989, quando varie compagnie hanno cominciato l’opera di bonifica, circa 2,1 milioni di mine sono state scoperte e distrutte. A rimanere colpita dalle mine antiuomo è per la maggior parte la popolazione civile, per lo più nelle aree del sottosviluppo. La maggior parte muore per mancanza di soccorsi. Le mine antiuomo sono un’arma di distruzione di massa ad azione ritardata. A differenza di altre armi, questi ordigni non hanno un bersaglio. Nascoste nel terreno come sentinelle eterne, non riconoscono tregue o cessate il fuoco. Possono restare attive per oltre 50 anni, dunque continuano a seminare terrore e paralizzare la vita di intere società ben oltre la fine di un conflitto. Inoltre, la loro presenza rende impossibile l’accesso a vaste zone coltivabili, ostacola il rimpatrio dei profughi, rallenta o impedisce le campagne di vaccinazione e la distribuzione di aiuti umanitari. Le mine antiuomo inter- Khartoum riconosce i diritti dei lavoratori sudsudanesi KHARTOUM, 6. Sembra avviata a soluzione la questione delle centinaia di migliaia di persone originarie del Sud Sudan che hanno scelto di restare in Sudan dopo la secessione da Khartoum proclamata a Juba nel luglio del 2011. Queste persone stanno infatti per ricevere carte di identità che consentiranno loro di restare senza bisogno di permessi di lavoro e di soggiorno. Ne danno notizia responsabili della missione dell’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) citati dall’agenzia Misna. La consegna dei documenti, prevista da un accordo appena entrato in vigore, è già partita nell’area di Khartoum e in seguito si estenderà nelle altre regioni del Paese. «Resteranno sudsudanesi, ma avranno i diritti dei sudanesi», ha spiegato alla Misna Mohamed Elnaiem, coordinatore dell’Unhcr a Khartoum, aggiungendo che le persone registrate potranno accedere ai servizi sanitari e sarà loro riconosciuto il diritto allo studio. La questione dei diritti dei sudsudanesi rimasti al nord era una di quelle lasciate irrisolte nei diversi negoziati che avevano preceduto e seguito la separazione tra i due Paesi. Nel ricordarlo, peraltro, Elnaiem ha sottolineato che l’intesa raggiunta tra Unhcr e Khartoum va anche oltre questo aspetto. I documenti saranno consegnati infatti sia ai circa trecentocinquantamila sudsudanesi rimasti in Sudan dopo la nascita del nuovo Stato, sia agli oltre centoventimila che si sono rifugiati a nord dopo che in Sud Sudan nel dicembre 2013 è divampato il conflitto civile tra le forze fedeli al presidente Salva Kiir Mayardit e i ribelli guidati dal suo ex vice Rijek Machar. dicono lo sviluppo di un popolo, mutilano la pace di un Paese. Il dramma delle decine di civili mutilati e uccisi ogni settimana in Afghanistan pone però l’accento sull’opera di bonifica che ancora deve essere effettuata con l’aiuto della comunità internazionale. Negli ultimi anni si è registrato un aumento nel numero di Paesi che hanno dichiarato di aver avviato attività di bonifiche organizzate. Una mina può costare meno di tre dollari, ma ne occorrono centinaia per rimuoverla dal terreno. Lo sminamento è dunque un’operazione costosa. Rimuovere questi ordigni è anche pericoloso: in media, uno sminatore muore e due restano feriti ogni 5.000 mine antiuomo rinvenute. Si è registrato un aumento del livello dei finanziamenti per le attività di mine action da parte di decine di Paesi. Quattro i principali donatori in termini assoluti: Stati Uniti, Gran Bretagna, Svezia e Danimarca. L’Afghanistan, negli ultimi tempi, è la Nazione che ha avuto maggiori finanziamenti, pari a due terzi dell’incremento totale dei fondi. Leader dell’opposizione tadjika ucciso a Istanbul ISTANBUL, 6. Il leader di uno dei movimenti di opposizione tadjika, Umarali Kuvvatov, è rimasto ucciso in un agguato a Istanbul giovedì notte: lo riferisce l’agenzia di notizie privata turca, Dogan. La ricostruzione della dinamica dell’omicidio dell’oppositore tadjiko — leader del movimento Gruppo 24 — resta ancora confusa. Secondo i media turchi il presunto assassino non è stato ucciso dalla polizia, come indicato in un primo tempo, ma è riuscito a fuggire. Fonti turche riportano poi che è irreperibile un amico di Kuvvatov, con il quale aveva cenato poco prima. I due erano usciti insieme per una passeggiata. L’amico è considerato ora il principale sospettato. Secondo altre fonti invece l’assassinio — avvenuto nel quartiere europeo di Fatih — sarebbe opera di un terzo uomo. Oppositore del presidente tadjiko, Emomali Rakhmon, al potere ininterrottamente dal 1992, Kuvva- tov aveva lasciato il Tadjikistan nel 2012 e aveva chiesto l’asilo politico in Turchia. Nel dicembre scorso era stato arrestato dalla polizia turca per presunte irregolarità nella richiesta di asilo per poi essere rimesso in libertà. Lo scorso ottobre, il suo movimento Gruppo 24 era stato dichiarato “organizzazione terroristica” dalla Corte Suprema tadjika. Ricercato per vari reati, anche economici, e accusato di fondamentalismo, si era rifugiato in Turchia, dove il Governo di Ankara si era rifiutato di estradarlo; ma prima di stabilirsi a Istanbul, aveva vissuto per diverso tempo negli Stati Uniti e a Dubai. Nelle ultime elezioni del 2013 l’opposizione non era riuscita a presentare Oynihol Bobonazarova, avvocato e attivista dei diritti umani, non riuscendo a raccogliere le 210.000 firme necessarie per essere ammessa come candidata. Le presidenziali erano state vinte ancora una volta da Emomali Rakhmon. La protesta degli studenti del Myanmar NAYPYIDAW, 6. Un folto gruppo di rappresentanti del movimento studentesco del Myanmar sono stati invitati a partecipare a una riunione governativa per la nuova legge sull’istruzione, in discussione presso la Camera alta del Parlamento. Ma poco dopo hanno abbandonato il vertice, precisando che torneranno a sedersi al tavolo delle trattative con il Governo solo dopo che saranno state accolte le loro condizioni. Le autorità di Naypyidaw si sono impegnate ad aumentare l’importo speso per l’istruzione al 5,9 per cento del bilancio nazionale per l’anno fiscale 2014-15 e ridurre l’importo speso per la difesa al 12-13 per cento. Eppure, nonostante le promesse, l’attuale bilancio — informano fonti locali — assegna 2,4 miliardi di dollari per la difesa contro i 110 milioni di dollari per l’istruzione. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 sabato 7 marzo 2015 La visita del nunzio in Baviera al campo di prigionia il 20 settembre 1918 «Non dimentichiamoci che la scienza naturale è iniziata nel Cinquecento mentre la Scolastica è rimasta in vigore per settecento anni» soleva dire Robert Musil Chesterton e l’Aquinate San Tommaso e il tram La visita di Eugenio Pacelli a Cellelager nei diari di Carlo Emilio Gadda Con un ombrello da prete di campagna di FABIO PIERANGELI uando è catturato, Gadda ha ventiquattro anni: con la fine della vita di soldati (di bravi soldati) terminano i sogni sublimi del sistema alto e dolce della vita, le speranze più generose dell’infanzia: con la visione della patria straziata, con la vergogna dei vinti, inizia il calvario della prigionia, della fame, dei maltrattamenti, del sudiciume. Gadda arriva a Cellelager il 29 marzo 1918 e vi rimarrà fino al I° gennaio 1919. Tra i rari eventi che scuotono la miserevole monotonia della fame, dell’attesa di notizie dal fronte e dalla famiglia (con i relativi pacchi viveri), di spettacoli musicali e teatrali, la visita a Cellelager di Eugenio Pacelli, futuro Papa Pio XII, il 20 settembre 1918, si rivela occasione per tornare sulla meditazione appena considerata. Fin dall’anno della neutralità dell’Italia, il Papa Benedetto XV, subentrato ai primi di settembre a Pio X, creava l’Ufficio prigionieri «con il compito di raccogliere, indipendentemente da nazionalità o religione, notizie sui soldati dei quali non si conosceva la sorte, di informare le fa- Q Il saggio Pubblichiamo uno stralcio dal saggio «I “destini glaciali” e la voce della pietà. Gadda, il Nunzio Pacelli e altri testimoni da Cellelager, campo di prigionia della Grande Guerra», pubblicato sulla rivista «Studium» di gennaio-febbraio 2015. miglie sui loro cari prigionieri e di stabilire i collegamenti possibili». Il Papa della pace, dell’appello dell’agosto 1917 contro l’inutile strage, affianca ai suoi tentativi diplomatici concrete iniziative umanitarie, facendo pubblicare dalla Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari alla fine del 1914 un decreto destinato a tutti i vescovi dei Paesi in guerra «nella quale si prescriveva di assumere nella loro cura pastorale, sotto il profilo religioso e anche materiale, i prigionieri concentrati nei campi presenti nella loro diocesi». Era preoccupazione del Papa Benedetto XV che tali sacerdoti dovessero cercare con tutto il loro zelo il bene spirituale e anche Le condizioni dei prigionieri sono disumane Decine di morti ogni giorno per il freddo, i maltrattamenti e i lavori durissimi materiale dei prigionieri. Il decreto era firmato proprio da Eugenio Pacelli, Segretario della Congregazione, stretto collaboratore del cardinal Segretario di Stato Vaticano cardinal Gasparri, nominato successivamente nunzio in Baviera dal maggio 1917, succedendo, dopo la morte improvvisa, a monsignor Aversa. Tramontati i tentativi di mediazione per la Pace, a cui Pacelli immediatamente si dedica, per la sua parte in Germania, l’azione umanitaria costituisce l’obiettivo specifico della politica di Benedetto e del suo nunzio. Nell’ottobre del 1917, Pacelli inaugura le sue visite pastorali nei campi di prigionia a Pucheim. Colpito dalle sofferenze morali e materiali dei prigionieri, ne scrisse una accorata relazione alla Santa Sede. Giungono a Pacelli notizie delle disumane condizioni dei prigionieri, con decine di morti ogni giorno: esposti al freddo per intere giornate, maltrattati, costretti a lavori durissimi. La situazione drammatica della alimentazione stigmatizzata dalla corrispondenza Gasparri-Pacelli e da altri documenti dell’Archivio Segreto Vaticano, nel fascicolo prima guerra mondiale e in quello Germania, collima con le descrizioni umilianti di Gadda, con gli ufficiali che si privavano di ogni cosa non indispensabile per un tozzo di pane o una mela. Della visita a Cellelager e agli altri campi tedeschi e austriaci, Pacelli riferisce alla Segreteria di Stato il 29 settembre, descrivendo minuziosamente le condizioni dei prigionieri italiani, abbandonati dalla patria. Il 20 settembre 1918 è, dunque, un giorno speciale per i prigionieri italiani di Cellelager: tra festeggiamenti laici ed epifania del sacro, si confrontano, idealmente, acerrimi nemici, la Santa Sede e lo Stato italiano. Si ricorda l’anniversario della breccia di Porta Pia e proprio quel giorno, scrive Gadda, «l’insieme della cerimonia fu complicato dall’atteso arrivo di monsignor Pacelli, Nunzio Apostolico presso la corte di Monaco, il primo italiano non prigioniero che mette piede in Cellelager». Gadda riserva al duplice evento un’attenzione particolare, affidando la minuta cronaca degli eventi a una riflessione ulteriore, scrivendone ampiamente, tre giorni dopo, il 23 settembre, in due riprese successive. Nel bigio della giornata orrenda, mentre alcuni compagni di prigionia allestiscono il pranzo e la festa, Gadda non può fare a meno di notare, come nella maggioranza delle testimonianze arrivateci da Cellelager, l’ipocrita pagliacciata dei tedeschi che avevano cercato di rendere un’immagi- di SABINO CARONIA elle pagine iniziali de L’uomo senza qualità, è descritta una strana fantasia del protagonista: «Immaginò che il grande filosofo e teologo Tommaso d’Aquino, morto nel 1274, dopo aver con immensa fatica messo ordine nel pensiero del suo secolo, avesse ancora continuato a perfezionare quel suo lavoro e solo ora ne fosse giunto al termine; ed ecco che, rimasto giovane per eccezionale favore, usciva adesso dal portale romanico di casa sua e un tram elettrico gli passava di carriera davanti al naso. L’attonito stupore del doctor universalis, come gli antichi chiamavano il grande Tommaso, gli mosse il riso». E in L’uomo tedesco come sintomo lo stesso Musil, sottolineando già allora, come poi in L’uomo senza qualità, il dramma per cui l’uomo non c’è più, ne rimangono soltanto i sintomi, osserva: «Così alla svolta fra il XVI e XVII secolo ebbe inizio la scienza naturale. Non si dimentichi che ha solo tre secoli di vita, mentre la Scolastica restò in vigore per ben sette secoli fino alla sintesi di Alberto Magno e Tommaso d’Aquino». Scrive Gilbert Keith Chesterton nel suo saggio dedicato al doctor universalis: «Ogni generazione cerca il proprio santo per istinto; e questi non è quello che la gente vuole ma piuttosto quello di cui la gente ha bisogno». Poi aggiunge il consueto paradosso: «Ogni generazione viene convertita dal santo che maggiormente la contraddice». E conclude: «Il XX secolo si sta aggrappando alla teologia razionale tomistica perché ha messo da parte la ragione»; un tema ampiamente citato nella miscellanea di saggi a breve in libreria Quando io ti chiamo (Genova, Marietti, 2015, pagine 152, euro 10). Tommaso sosteneva che se non possiamo sapere ciò che Dio è possiamo conoscere ciò che Dio non è, cioè partire dalla razionalità e, non a caso, un eminente studioso come John Finnis in proposito ha osservato che sul dialogo tra culture e religioni avrebbe detto le stesse cose di Benedetto XVI a Ratisbona: «Non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio». Quel che chiaramente risulta dalla vita del santo è il senso religioso del mistero, del limite della conoscenza umana, il presentimento di un’immensa zona di realtà e di verità che sfugge all’intelligenza umana e verso la quale tuttavia è diretta una segreta aspirazione dell’uomo, come nel capitolo 48 del libro IIIdella Summa contra gentiles, nel quale si afferma che la suprema felicità dell’uomo è oltre questa vita, con quella osservazione finale sull’angustia sofferta dai praeclara ingenia dei filosofi che non avevano a sostenerli la fede nella rivelazione, che non può non far pensare ai noti versi del terzo canto del Purgatorio dantesco: «“State contenti, umana gente, al quia; / ché, se potuto aveste veder tutto, / mestier non era parturir Maria, / e disïar vedeste sanza frutto / tai che sarebbe lor disio quetato, / ch’etternalmente è dato lor per lutto: / io dico d’Aristotile e di Plato / e di molt’altri”; e qui chinò la fronte, / e più non disse, e rimase turbato». Durante la seconda metà del mese di febbraio del 1274, a Quaresima già iniziata — la Pasqua quell’anno cadeva il primo aprile — N ne meno squallida del campo piantando lungo il viale e presso l’entrata della chiesetta dei pini nani e dei piccoli abeti. Nella pioggia rada e fredda, si consuma l’attesa del nunzio. Appare al cancello, tra la folla. Gadda, già con la precisione e la sintesi del futuro grande scrittore, scrutatore di volti e d’anime, lo isola dal contesto, lo ritrae mentre apre l’ombrello da prete di campagna: «È alto, lungo, con occhiali. Ha un cappello da prete di feltro liscio, ma più piccolo e tondo dei soliti, ornato d’un cordone verde e oro; occhiali; naso affilato e adunco, tunica nera». Pacelli non ha alcun seguito ecclesiastico e questo deve piacere a Gadda, cammina velocemente, si dirige deciso verso la chiesetta. I prigionieri, conclude Gadda nella prima parte della cronaca della giornata, hanno il desiderio di percepire qualcosa da «quel nato in terra italiana». Il minuzioso seguito del racconto, redatto il 23 settembre sera, mantiene una lente chiaroscurale che passa dai fatti esterni alla sofferenza individuale, senza soluzione di continuità. Il carattere religioso della funzione mantiene le vestigia del sacro e Gadda nota lo sforzo di Pacelli di mantenersi equanime, al di sopra dell’appartenenza nazionale e della stessa religione, eppure di accordare i suoi sentimenti più cordiali agli italiani. Benedetto XV elargisce la sua benedizione e la sua carità concreta — pacchi di indumenti portati con sé per i più poveri, quelli di viveri promessi, la successiva distribuzione di denaro — non conosce distinzioni. Secondo Gadda, le azioni del Nunzio hanno una patina di preparato e di diplomatico, il suo tono gli risulta addirittura untuoso, eppure suonò «in esso, o mi parve, la voce della pietà e della religione e il mio spirito facile alla visione entusiastica delle cose ne rimase commosso». I Pertti Kurikan Nimipäivät rappresenteranno la Finlandia al prossimo Eurovision Song Contest La sindrome del punk «I membri della nostra band sono quattro persone di mezza età con disabilità mentale. La musica è, naturalmente, punk finlandese» spiega Sami Helle, il bassista dei Pertti Kurikan Nimipäivät, o, più brevemente, Pkn. La Finlandia ha scelto i Pkn per rappresentare il Paese durante il prossimo Eurovision Song Contest, che si svolgerà a Vienna a maggio. Pertti Kurikka, Kari Aalto, Sami Helle e Toni Välitalo si sono incontrati durante un corso per persone affette da sindrome di Down e altre disabilità nel 2009. Dopo aver formato il gruppo, hanno avuto subito successo e si sono esibiti in Inghilterra, Germania, Norvegia e Stati Uniti. Sulla band è stato realizzato anche un documentario, The Punk Syndrome. «Non vogliamo che la gente voti noi per pietà, non siamo così diversi dagli altri, solo persone normali con un handicap mentale», ha dichiarato Helle ai giornali. Tommaso, in viaggio verso Lione, è costretto a fermarsi nel castello di Maenza, ospite della nipote Francesca, andata sposa al signore del luogo, Annibaldo di Ceccano e poi, come da lui richiesto, per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, è condotto, a cavallo di un mulo, nel vicino monastero cistercense di Fossanova. Gli viene assegnata la migliore stanza della foresteria. In quella stanza, la stanza del transito, trasformata in cappella nel Seicento dal cardinale Francesco Barberini che la fece decorare di un bassorilievo raffigurante Tommaso sul letto di morte mentre sta spiegando ai religiosi il Cantico dei Cantici, Tommaso passa a miglior vita hora mattinali, come scrive il biografo Guglielmo di Tocco, cioè sul crepuscolo dell’alba di mercoledì 7 marzo 1274. Continua Chesterton nel libro dedicato all’Aquinate: «Qualcosa di grandioso pare aleggi intorno a lui. Coloro che lo attorniano hanno la sensazione che un’intelligenza poderosa lavori in mezzo a loro come Tommaso in una vetrata della cattedrale di Saint-Rombouts, Mechelen (Belgio) un gigantesco mulino, e che l’interno del monastero sia ben più vasto di tutto ciò che è oltre le sue mura». Chi oggi visita l’abbazia può avere la sensazione di afferrare qualche eco che viene da lontano, dal coro dei monaci, dai campi di lavoro, forse dalla stessa cella di Tommaso, quasi un flebile sospiro o una preghiera. Pur pervasi da un profondo senso di malinconia al pensiero che si tratta di un mondo lontano, in alcuni momenti sembra quasi di essere ancora a quei tempi, di sentire risuonare ancora quel responsorio che è proprio della liturgia non solo domenicana al termine della Compieta nel tempo di Quaresima: «Media vita in morte sumus / quem quaerimus adjutorem nisi te, Domine, / qui pro peccatis nostris jus irasceris / sancte Deus, sancte fortis, / sancte et misericors Salvator / amarae morti ne tradas nos». Guglielmo di Tocco narra che san Tommaso, specie negli ultimi tempi, nel sentir cantare quella invocazione che richiama le parole del salmo 71, si commuoveva fino alle lacrime (ne proicias nos in tempore senectutis) nella incrollabile fede che — come scrive Chesterton — «in questa vita non c’è che un solo scopo, ed è quello che è al di là di questa vita». L’OSSERVATORE ROMANO sabato 7 marzo 2015 pagina 5 L’idea che le persone di un’altra fede siano strane moralmente deficienti o tragicamente cieche diventa sempre meno credibile Rinnovare la Chiesa in un’epoca secolare La possibilità di scegliere di CHARLES TAYLOR laube als Option: la fede come opzione. È questa la descrizione che Hans Joas propone per la situazione contemporanea della vita spirituale/religiosa in Occidente. Opzione qui ha un significato diverso da scelta. Le questioni di fede e non-fede non si risolvono con leggerezza, come se si scegliesse da un menù. Quando si adotta una fede o la si abbandona ci si sente “chiamati”. Quanti l’abbandonano forse non si esprimerebbero così, ma sentono che, in tutta onestà, non hanno altra scelta che respingere la fede. Opzione significa qualcosa di diverso: significa che per un numero crescente di persone in Occidente o nella società del Nord Atlantico, come anche di altre parti del mondo, c’è una comprensione di base della propria vita di fede/non-fede: conoscono altre persone, intelligenti o percettive quanto o più di loro, che vivono un’altra opzione. L’idea che le persone che vivono all’interno di un’altra fede siano strane, moralmente deficienti o tragicamente cieche diventa sempre meno credibile. Alcune di esse magari sono mie amiche, altre forse miei parenti stretti. È questo ciò che significa vedere la fede come un’opzione. Come si è giunti a ciò? Disincanto. La prima forma si è prodotta in un tempo piuttosto lungo, nei secoli, di fatto. Nel 1500 i nostri antenati in Europa vivevano in un mondo “incantato” (verzaubert); un mondo pieno di spiriti e di forze morali, alcuni pericolosi (spiriti dei boschi), alcuni benevoli (reliquie, magia bianca). Negli ultimi secoli la maggior parte di noi ha smesso di vedere o — ancora più importante — di sperimentare il mondo in quel modo. Siamo impermeabili a questa dimensione delle cose. Siamo “personalità tamponate”. È questo uno dei cambiamenti (quello principale) che Weber definisce Entzauberung. Il secondo cambiamento è più recente, essendosi realizzato solo nell’ultimo secolo circa. Vorrei parlare di “slegamento” facendo riferimento a due modi in cui la vita religiosa in passato ha legato insieme alcuni aspetti della nostra vita (legamento), che ultimamente si sono separati. G Caravaggio, «Il sacrificio di Isacco» (1601-1602) Il primo è il seguente: negli ultimi due secoli molte società europee sono state società confessionali. La gente che apparteneva alla Chiesa nazionale condivideva anche tante altre forme di appartenenza: famiglia, parrocchia e nazione. Appartenere a una di esse significava, di norma, appartenere a tutte. Le appartenenze erano “legate”. Ma negli ultimi decenni questo intreccio di appartenenze si è sciolto. Le persone con le quali condivido la cittadinanza, o i miei familiari, o i vicini nel Paese in cui vivo, non sono necessariamente le stesse con le quali condivido la mia opzione di fede. All’interno delle Chiese, inoltre, nella nostra civiltà c’era una straordinaria varietà di attività spirituali e di altro genere. La liturgia, ovviamente, ma anche la celebrazione delle festività; la solennizzazione dei riti di passaggio, ma anche devozioni speciali, novene, pellegrinaggi, preghiere alla Vergine; e poi le diverse organizzazioni caritative e le forme di aiuto reciproco; infine, più devozioni private. Persone diverse si dedicavano in maniera differenziata a queste attività, ma erano tutte viste come parte della vita della Chiesa. Nella società contemporanea queste attività spesso si dividono in enti specifici separati. Posso appartenere a una Chiesa, e poi anche a Medici senza frontiere, e poi praticare una qualche forma di meditazione e così via. Tutto in contesti od organizzazioni differenti. Cosa ha motivato questi slegamenti? In parte la maggiore mobilità sociale, geografica e internazionale della vita moderna; l’allentarsi di legami precedenti che ciò comporta, le nuove forme di individualismo che favorisce. Ma anche quella forma particolare che noi definiamo “etica La conferenza internazionale Si è svolta dal 4 al 5 marzo alla Pontificia università Gregoriana la conferenza internazionale «Rinnovare la Chiesa in un’epoca secolare: dialogo olistico e visione kenotica», tenuta sotto l’alto patronato del Pontificio Consiglio della cultura, come parte del progetto di The Council for Research in Values and Philosophy a cinquant’anni dalla chiusura del concilio Vaticano II. Pubblichiamo l’intervento conclusivo del filosofo canadese autore del celebre A Secular Age (Harvard University Press, 2007). di autenticità”: l’idea che ogni essere umano ha la propria forma di essere umano e che dovrebbe trovare la propria forma di vita e realizzarla. Nella società occidentale del XX secolo osserviamo un costante allentarsi di legami più stretti con comunità “legate” e il corrispondente desiderio da parte dei più giovani di andare nella società più vasta e trovare il proprio cammino. Ciò che per un po’ controbilancia questo processo sono i grandi gruppi di persone immigrate, che possono sopravvivere solo rimanendo unite alle loro comunità legate. Ma i loro figli spesso cercano di trovare la propria strada nella società più ampia. Il disincanto e lo slegamento hanno prodotto un paesaggio spirituale diverso. Per esempio, possiamo vedere nella laicizzazione dei rituali di vita una conseguenza di questi due cambiamenti che operano insieme. La gente vorrà sempre fare ricorso a riti di passaggio per segnare le fasi importanti nella vita umana: nascita, matrimonio, morte di persone care. Ma nel XX secolo in molte società occidentali le persone hanno spesso finito col sostituire i sacramenti della Chiesa con rituali da loro stessi ideati. È una cosa assai frequente per i matrimoni e, molto meno evidente, quando si tratta di funerali. La morte è circondata da misteri che un mondo piuttosto secolarizzato ha difficoltà a domare. Oppure, talvolta ai riti della Chiesa è stata data un’interpretazione piuttosto “immanente” da molte persone che vi hanno partecipato. Si tratta di un fenomeno in evidenza nelle società scandinave, dove l’appartenenza nazionale ed ecclesiale è ancora abbastanza slegata. Ma il significato dell’appartenenza alla Chiesa cambia. È questo il fenomeno che Grace Davie definisce «appartenere senza credere». A controbilanciare ciò, c’è il fenomeno che lei stessa chiama «credere senza appartenere», osservato tra l’altro in Inghilterra. La gente abbandona la partecipazione attiva alla Chiesa nazionale, tuttavia è felice di sapere che c’è, fornendo riti all’occasione, ma anche semplicemente assicurando la presenza costante della fede nella società. Tale relazione esile, che tuttavia esiste, costituisce una sorta di “religione vicaria”. Lorenzo Bartolini, «La fiducia in Dio» (1836) Questo fenomeno significa che talvolta esageriamo il grado di “secolarizzazione”, nel senso di abbandono della religione, in alcune società, misurandolo semplicemente in base al calo dalla presenza regolare in chiesa. Spesso, questa distanza dalla Chiesa rispecchia ambivalenza, incertezza o perfino qualcosa di più positivo invece che abbandono della fede. José Casanova indica la misura in cui in Europa la secolarizzazione in questo senso è un rivestimento, una sorta di storia ufficiale generalmente riconosciuta su ciò che si suppone stia accadendo piuttosto che un’accurata descrizione dei fatti. Un effetto collaterale divertente di questo è che la gente in Europa, rispondendo alle indagini, tende a sminuire il proprio rapporto con la Chiesa, mentre in America sono più quelli che affermano di andare in chiesa di quelli che effettivamente ci vanno. Questi americani cercano di conformarsi alla loro storia ufficiale. E, naturalmente, la storia ufficiale più antica della sociologia, secondo cui la modernizzazione porta ineluttabilmente alla secolarizzazione, è chiaramente smentita dal caso americano. Si potrebbe affermare che questa differenza può essere in parte spiegata con il fatto che lo slegamento è iniziato prima in America che nelle società dominate da una Chiesa nazionale, comuni in Europa (e in Québec). La differenza non deriva tanto dal fatto che negli Stati Uniti c’è competizione religiosa, piuttosto è probabilmente dovuta al fatto che l’impatto dell’età di autenticità, dove i cercatori tentano di trovare il proprio cammino spirituale, è diverso nelle società in cui l’opzione religiosa è dominata da un ente ufficiale che esige conformità rispetto alle società in cui la fede già da due secoli è irrimediabilmente plurale. Nel primo contesto, la “religione” è macchiata dalla sua associazione con il potere e l’autorità non guadagnata, nel secondo è priva di questa connotazione negativa. Presenze femminili nella prima comunità cristiana Il grembo di Rachele di ISABELLA FARINELLI William Dyce, «Jacob and Rachel» (1853) «Essendo donna sono consapevole, come dice san Paolo, che alle donne in chiesa conviene il silenzio». Così scriveva nel 1872 una nobile signora al vescovo Gioacchino Pecci, postillando una sua proposta iconografica per la pala d’altare che intendeva finanziare. Si trattava in realtà di «un silenzio tutt’altro che muto», per usare una delle icastiche espressioni di Marinella Perroni nel suo recente saggio Le donne di Galilea. Presenze femminili nella prima comunità cristiana (Bologna, Edizioni Dehoniane, 2015, pagine 96, euro 9,50). La benefattrice di Pecci, pur dichiarandosi pronta all’anonimato, era sottilmente consapevole del futuro della sua proposta, cui annetteva un forte valore emblematico: il quadro, raffigurante san Pietro liberato dal carcere, fu in effetti eseguito e si trova ancora in una delle tante chiese ricostruite dal futuro Leone XIII nel territorio perugino. Marinella Perroni, dal canto suo, spinge uno sguardo analitico alla radice bimillenaria del ruolo femminile nella Chiesa, tra l’itineranza alla sequela di Gesù e le comunità protocristiane, dove occorre farsi spazio tra edulcoranti luoghi comuni e silenzi storiografici, questi sì, pesanti a tal punto da rivelarsi, a loro volta, fonti da indagare. La docente ed esegeta parte da un interrogativo apparentemente “maschilista”: se sia realistico pensare che, nella Palestina del 1 secolo, delle donne si unissero a un profeta e al suo gruppo di discepoli uomini. «Anche se la società dell’epoca non era del tutto estranea a fenomeni di itineranza femminile e il movimento di Gesù era più vicino a Giovanni il Battista che a gruppi discepolari rabbinici, gli indizi sono molto pochi». La questione da reimpostare «non riguarda tanto la sequela post-pasquale delle donne, ma il loro discepolato al seguito del Gesù terreno». Confrontando le tradizioni sinottiche a livello storico-letterario oltre che storico-sociale, la studiosa mette in luce gli indizi di una possibile continuità tra discepolato gesuano e cristianesimo nascente anche e proprio in absentia. La distanza — che, su tale argomento, separa Marco (e Matteo) da Luca — aiuterebbe «almeno in parte a rendere ragione del progressivo processo di marginalizzazione delle donne dall’esercizio di ruoli e funzioni ecclesiali che segna il passaggio dalla prima alla seconda generazione cristiana». In Marco, è evidente anche linguisticamente — le forme verbali pongono l’accento sulla continuità — che «le donne presenti sotto la croce hanno fatto parte del seguito di Gesù e lo hanno servito per tutto il tempo che egli ha operato in Galilea», annunciando in ciò il kerygma di sequela di croce e, successivamente, di Resurrezione. Luca «trasforma la ricca e ben strutturata informazione marciana in una generica notazione narrativa di scarsa portata teologica»; per l’autrice, la maggior genericità di questo evangelista sul ruolo delle donne, in particolare nell’annuncio pasquale, non è né puramente letteraria né casuale. Quanto al quarto Vangelo, proprio le narrazioni sulle donne «confermano il carattere peculiare dell’impostazione ecclesiologica giovannea e contribuiscono anche a rafforzarne, forse, il carattere alternativo», rinviando «a un modello ecclesiologico fondamentalmente inclusivo». Quattro donne nel Vangelo di Giovanni — la samaritana, Marta, Maria di Magdala, Maria di Betania — intervengono dialetticamente nello sviluppo di rivelazioni dottrinali decisive. Per contro, nelle lettere giovannee e nell’Apocalisse, il silenzio sulle donne, in un contesto esterno potenzialmente ereticale, induce la studiosa a chiedersi se i loro ruoli vengano ormai piegati al rafforzarsi di un ordinamento patriarcale. All’incrocio delle numerose coordinate di rilettura dell’intera questione, la “presenza” delle donne come snodo decisivo, kerygmatico della Occorre spesso farsi spazio tra edulcoranti luoghi comuni e silenzi storiografici Assenza di informazioni tanto pesante da rivelarsi come fonte da indagare Resurrezione trova modulazioni ancora più profonde, veterotestamentarie, nel riconoscimento del rapporto particolarissimo, femminile ovvero viscerale tra la morte e la vita, anche nel brutale rovesciamento prefigurato da Rachele. Per Matteo, alle soglie dell’era messianica, sarà ancora una volta il ricordo di Rachele che piange i suoi figli a fare da spartiacque tra il vecchio e il nuovo eone. «Né è un caso», prosegue Perroni in una nota, «che i rabbini assimilino il grembo di Rachele alle tombe da cui avrà inizio la Risurrezione». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 sabato 7 marzo 2015 Donne e religioni alla vigilia dell’8 marzo Capite quello che ho fatto per voi? Il dialogo ecumenico riparte così Dalle Bahamas l’invito per la giornata mondiale di preghiera Appello delle Chiese cristiane in Italia di D ONATELLA COALOVA La giornata mondiale di preghiera di venerdì 6 marzo invita con forza a camminare sulle orme di Gesù e a servire il prossimo con amore incondizionato. Nella circostanza il sussidio è stato preparato da un gruppo femminile interconfessionale delle Bahamas e diffuso in più di 170 Paesi tramite una rete di comitati. La pubblicazione s’intitola «Capite quello che ho fatto per voi?», con riferimento alla frase di Cristo pronunciata al termine della lavanda dei piedi (Giovanni, 13, 117). Immerse nella bellezza della loro terra circondata da acque cristalline, le donne delle Bahamas esclamano: «Signore dello stupore, il tuo amore profondo è forte come il sole, la tua misericordia è senza limiti come la sabbia, e la tua grazia ci circonda come le distese marine». Ancora più grande è la meraviglia davanti a Cristo, il Dio in ginocchio, che si piega con tenerezza a lavare i piedi dei discepoli, assumendo il ruolo di uno schiavo. Dalla contemplazione di questa scena sgorga una preghiera che ricorda la storia di un popolo segnato in passato dalla schiavitù nelle piantagioni di cotone: «Nostro Redentore e Liberatore, hai spezzato le catene della tirannia e dell’oppressione. Gesù nostro fratello che ami gli esclusi e i poveri, crocifisso e risorto, tu sei nostro profeta, sacerdote e re. Siamo stupiti per il tuo grande amore, profondo e incondizionato». Il tema dell’amore incondizionato a cui Cristo ci invita col suo esempio è il leitmotiv che risuona nel materiale preparato dal gruppo delle Bahamas. Guardando la realtà del Paese, vengono individuati alcuni ambiti prioritari in cui i cristiani sono chiamati a vivere l’amore che Dio ci dona. Innanzitutto, si parla della lotta alla povertà. Si ricordano le vittime della violenza domestica, i bambini che hanno subito violenze sessuali e verbali, le spose abbandonate, violentate, che si sentono in colpa per i maltrattamenti subiti e hanno timore di chiedere aiuto. Riecheggia il grido di dolore dei rifugiati, dei migranti, degli “immigrati irregolari” che vivono con incertezza e paura nel centro di detenzione dell’isola di New Providence, l’angoscia dei malati di tumore e Aids. Davanti a questo mare di dolore, la giornata invita i cristiani a scuotersi dal torpore e dall’indifferenza, ad avere occhi e mani pieni di misericordia, cuori accesi dall’amore incondizionato di Cristo, nella consapevolezza che il Signore è vicino † La Segreteria di Stato comunica che è deceduto il Signor LUDWIG FEULNER Padre di Monsignor Rüdiger Feulner, Segretario della Nunziatura Apostolica in Belgio. I Superiori e i Colleghi partecipano al dolore di Monsignor Feulner e dei suoi familiari, assicurando la vicinanza nell’amicizia e nella preghiera. a chi s’impegna per la costruzione di legami di fraternità e giustizia, e per la salvaguardia del creato. Il logo della giornata, un suggestivo dipinto intitolato Blessed (Benedetti) ricorda la presenza silenziosa e potente di Dio nella creazione e nella storia. Raffigura i fenicotteri rosa delle Bahamas, mentre si inchinano ai piedi di Cristo, là dove regnano perdono, pace, amore. La storia di queste isole attesta la forza della speranza, l’ansia di libertà che alberga nell’animo umano. I primi europei vi giunsero nel 1492 con Cristoforo Colombo. Gli autoctoni in parte furono sterminati dalle malattie, in parte schiavizzati e deportati nelle miniere d'oro di Hispaniola. Nel 1647 vi giunsero i puritani che fondarono Eleuthera, con l’intento di creare una colonia in cui praticare la propria religione. Successivamente, i pirati scelsero le Bahamas come loro rifugio. Le isole restarono quasi disabitate finché non furono ripopolate dagli schiavi africani deportati nelle piantagioni. Alla fine della guerra d’indipendenza degli Stati Uniti, nel 1783, la popolazione fu incrementata dai lealisti americani e dagli schiavi. L’abolizione della schiavitù avvenne nel 1838. Attualmente, i discendenti degli schiavi africani costituiscono l’85 per cento della popolazione. Il cristianesimo è la religione dominante: vi sono battisti (32 per cento), anglicani (20 per cento), cattolici (19 per cento), metodisti (6 per cento). La celebrazione di quest’anno si è svolta in tutte le isole, coinvolgendo i giovani. Il servizio postale delle Bahamas ha emesso tre francobolli commemorativi. Da tutto il mondo sono giunte adesioni e anticipazioni. Nora Carmi, responsabile dell’iniziativa in Medio oriente, ha deciso di integrare il sussidio con una preghiera accorata per la sua terra, ferita da tante tragedie. Lo stesso ha fatto Neijon Edwards, dalle isole Marshall, ricordando tutte le persone che nel suo Paese sono state colpite dalle radiazioni nucleari. Il pastore Soren Johansson ha organizzato la giornata in Svezia insieme agli immigrati siriani. Rosangela Oliveira, dagli Stati Uniti, si è unita al grido di giustizia delle madri nere di New York. Così la Giornata mondiale di preghiera continua a creare legami di solidarietà, come è sempre avvenuto. Sorta nell’America di fine otto- cento, in un contesto drammaticamente segnato dagli strascichi della guerra di secessione e dall’immigrazione incalzante, l’iniziativa è stata fedele al motto Informed prayer, prayerful action (Informarsi per pregare, pregare per agire). Fiorita fra donne di diverse denominazioni protestanti, nel 1969 ha visto l’ap- ROMA, 6. «Una chiamata a contrastare la violenza sulle donne, in tutte le sue forme, a partire dalla cultura che la genera e la permette. Una chiamata rivolta alla società, certamente, ma soprattutto alle Chiese e ai cristiani che a esse appartengono». Così la pastora valdese Maria Bonafede, spiega il senso dell’appel- va, è anche specificato, vede l’adesione di altre confessioni cristiane presenti sul territorio nazionale. Oltre a cattolici e protestanti, il documento verrà firmato anche da rappresentanti ortodossi, copti, armeni apostolici, anglicani. Per la pastora Bonafede, responsabile dei rapporti ecumenici del porto, in forma ufficiale, delle donne cattoliche. Nel documento La dimensione ecumenica nella formazione di chi si dedica al ministero pastorale, uscito nel 1995, il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani cita espressamente la giornata mondiale di preghiera fra i momenti significativi nell’ambito dell’ecumenismo spirituale. Nel 1998 nasce in Italia il comitato nazionale interconfessionale con la presenza di una cattolica (Annamaria Raimondi, del movimento dei Focolari) accanto a donne protestanti. Dal 2013 nel comitato italiano è presente Elisabetta Kalampouka della Chiesa ortodossa del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. lo contro la violenza sulle donne che, in occasione della giornata dell’8 marzo, verrà lanciato dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e dall’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso dell’episcopato italiano. La firma congiunta — rende noto un comunicato — avrà luogo lunedì 9 marzo presso il Senato, alla presenza della presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini. L’iniziati- Consiglio della Federazione delle Chiese evangeliche, «l’appello non è semplicemente una dichiarazione di principio dei cristiani a una sola voce contro una violenza che è stata definita un’emergenza nazionale, ma intende impegnare le Chiese cristiane italiane, a livello nazionale e locale, a promuovere iniziative in campo educativo, pastorale e di testimonianza evangelica per promuovere la dignità della donna e per Contro discriminazione e violenza In marcia per le strade di Brasília BRASÍLIA, 6. Riaffermare l’impegno per il dialogo, la promozione di una cultura di pace e, soprattutto, attirare l’attenzione sugli alti tassi di violenza contro le donne che si verificano in Brasile. Questo l’intento della marcia che ieri, giovedì 5, ha unito per le vie di Brasília donne appartenenti a diverse fedi religiose. Tema della manifestazione «Le religioni per i diritti delle donne». La marcuia, svoltasi nell’imminenza della giornata dell’8 marzo, è stata promossa dal Consiglio nazionale delle Chiese cristiane (Conic) e da altre realtà, tra cui la Conferenza dei religiosi del Brasile (Crb). «Dobbiamo unirci per i diritti delle donne, per conquistare sempre più spazi nella società», sottolinea all’agenzia Fides la presidente della Crb, madre Mariaines Vieira Ribeiro. In Brasile, così come in molte altre regioni del mondo, le donne sono ancora pesantemente vittime della discriminazione: «Siamo ancora lontani da un percorso di uguaglianza e rispetto». Le donne consacrate, spiega ancora la presidente della Crb, sono state coinvolte in questa iniziativa in quanto sono viste come soggetti attivi nella storia, perché svolgono lavori impegnativi senza paura di andare alle periferie dell’esistenza umana. «Sono protagoniste — sottolinea Vieira Ribeiro — di questa azione di difesa delle donne in situazioni di sfruttamento, come è evidente nel traffico di esseri umani, nel lavoro degli schiavi, nella prostituzione minorile e femminile. Indipendentemente dal sostegno o dal riconoscimento del loro operato, le donne consacrate cercano di occupare il proprio spazio nella Chiesa e nella società. Dobbiamo quindi sostenere un evento come questo». Tra le motivazioni della marcia, come detto, anche la sensibilizzazione riguardo la violenza sulle donne. «Ogni anno molte donne vengono uccise nel nostro Paese. Molte muoiono a causa del loro impegno sociale, come per esempio suor Dorothy», si legge in un comunicato del Conic, in cui si fa riferimento alla religiosa statunitense naturalizzata brasiliana — suor Dorothy Stang — assassinata il 12 febbraio di dieci anni fa. La religiosa, settantatreenne, era da anni impegnata nella difesa delle popolazioni dell’Amazzonia, denunciando l’azione violenta di fazendeiros e grileiros. coinvolgere gli uomini nella riflessione su questo tipo di violenza». In sostanza, ha spiegato sempre la pastora valdese all’agenzia Nev, «l’appello chiama le Chiese a un’attenzione particolare su questo tema in ciò che è loro specifico: nella predicazione, nella spiegazione del Vangelo, nella catechesi e, in generale, in tutte le attività di formazione che le competono, anche, per esempio, negli incontri per le coppie di sposi». Non è quindi solo una condanna dei cristiani italiani contro la violenza sulle donne. In tale prospettiva, ha aggiunto, «è davvero significativo riscontrare una sostanziale convergenza da parte di Chiese che hanno tradizioni diverse, e che hanno probabilmente approcci ai temi familiari molto differenti, su un tema tanto importante e anche problematico, perché le violenze non avvengono soltanto nelle famiglie non cristiane, ma coinvolgono anche persone e famiglie che appartengono alle diverse Chiese cristiane». In questo senso, tale collaborazione ecumenica «ha costituito un nuovo inizio». Era infatti dal 2000, viene rilevato, cioè dalla stesura definitiva del testo sui matrimoni misti e interconfessionali, che non si segnalava una collaborazione così significativa. Infatti, «si può dire che ci sia stato un metodo di lavoro comune che spero si possa estendere in futuro ad altri temi». Anzi, «penso che sarebbe molto bello se anche in Italia potesse nascere un Consiglio nazionale che radunasse attorno a un tavolo le Chiese cristiane». Per don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso dell’episcopato italiano, «la firma congiunta di questo appello porta con sé un ulteriore appello alle Chiese cristiane firmatarie e anche a chi per varie ragioni non si è unito a questa firma a più mani: l’appello a cercare e a trovare ulteriori occasioni per una fraternità concreta tra le credenti e i credenti in Cristo, per una comunione che sia sempre meno formale e sempre più sostanziale». Da una cooperativa in Bosnia ed Erzegovina Semi di speranza al femminile SARAJEVO, 6. Si chiama Insieme ed è una cooperativa femminile, che unisce più di 500 persone, sorta quasi 15 anni fa a Bratunac, nella Bosnia ed Erzegovina. Qui, dove cresce giorno dopo giorno l’attesa per la visita del Papa il prossimo 6 giugno a Sarajevo, le donne serbobosniache e bosniaco-musulmane lavorano nella produzione di more, lamponi, mirtilli e altri frutti della terra. Bratunac è ancora oggi un luogo difficile, dove si vive un forte nazionalismo e forti contrapposizioni, dove è difficile anche parlarsi. Ed è in questo contesto che sono germogliati i semi della speranza. Speranza che ha il volto delle tante donne di Insieme. Ma perché un nome italiano? «Abbiamo deciso di chiamarla così — spiega Rada Zarkovic, presidente della cooperativa, all’agenzia Sir — per evitare che coloro che erano al potere, appartenenti ai partiti che hanno fatto la guerra, riluttanti al dialogo tra diverse etnie, ci ostacolassero. Abbiamo cercato di mettere d’accordo tutti. L’obiettivo era creare le condizioni per il ritorno dei profughi, in particolare donne sole che nel corso del conflitto erano scappate o avevano perso figli e mariti». Un processo tutt’altro che semplice: a Bratunac si possono ancora incontrare per strada, impuniti, gli stessi criminali che si erano resi re- sponsabili dei delitti più efferati. «Abbiamo pensato a un’attività che potesse aiutarle a vivere attraverso un lavoro in grado di creare nuovi rapporti tra persone e, soprattutto, favorendo un dialogo vero e sincero». E così è successo che lavorando l’una accanto all’altra, serbe e musulmane insieme, queste donne hanno iniziato a parlarsi prima sul luogo di lavoro e poi a costruire un terreno comune di relazioni anche fuori. «Sono le donne — afferma Rada — che hanno deciso di risollevare questa terra riallacciando i fili del dialogo. Volevamo fare qualcosa che durasse nel tempo e fosse radicato nel territorio. Qualcosa che andasse oltre i progetti delle agenzie umanitarie internazionali». Rada, insieme ad altre donne, ha reintrodotto la coltivazione dei piccoli frutti che ha permesso di rilanciare una tradizione più che trentennale. Inoltre, questo tipo di produzione è alla portata di tutti e che si prestava perfettamente a essere ricoperta da donne. La cooperativa ha unito donne che altrimenti difficilmente si sarebbero interessate le une alle altre. «All’inizio non è stato facile rompere il muro di silenzio. Non si parlavano, al massimo si salutavano ma non c’era dialogo. Abbiamo offerto a queste donne un lavoro e attraverso questo — conclude la presidente della cooperativa — abbiamo creato uno spazio dove loro si sono inserite e hanno mostrato volontà di andare avanti in un cammino di dialogo e reciprocità. È un processo meraviglioso perché rinnovando il tessuto economico si è rinnovato anche quello sociale e politico». L’OSSERVATORE ROMANO sabato 7 marzo 2015 pagina 7 A colloquio con il reggente della Penitenzieria apostolica Era stato arcivescovo di New York dal 2000 al 2009 Esperienza di misericordia La morte del cardinale Egan Il cardinale Edward Michael Egan, arcivescovo emerito di New York, è morto giovedì pomeriggio, 5 marzo, all’ospedale universitario Langone Medical Center. Tra meno di un mese avrebbe compiuto 83 anni, essendo nato il 2 aprile 1932 a Oak Park, nell’arcidiocesi di Chicago. Ordinato sacerdote il 15 dicembre 1957, era stato eletto vescovo titolare di Allegheny il 1° aprile 1985 e nominato ausiliare di New York. Il 22 maggio aveva ricevuto l’ordinazione episcopale. Nominato vescovo di Bridgeport il 5 novembre 1988, era divenuto arcivescovo di New York l’11 maggio 2000. Rinunciò al governo pastorale dell’arcidiocesi il 23 febbraio 2009. Nel concistoro del 21 febbraio 2001 era stato creato e pubblicato cardinale, del titolo dei Santi Giovanni e Paolo. delle sfide che caratterizzano il nostro tempo. di GIANLUCA BICCINI La corretta amministrazione del sacramento della penitenza, i suoi aspetti canonici, morali e liturgicopastorali, ma anche i doveri e diritti dei penitenti, etica e genetica. Sono alcuni dei temi che saranno affrontati durante il XXVI corso sul Foro interno promosso dalla Penitenzieria apostolica, che si svolge da lunedì 9 a venerdì 13 marzo al Palazzo della Cancelleria. In questa intervista, il reggente, monsignor Krzysztof Nykiel, illustra al nostro giornale il senso e le finalità dell’iniziativa. Perché ogni anno organizzate il corso sul Foro interno? La Penitenzieria, che è il tribunale apostolico della misericordia, annualmente, durante il periodo quaresimale, che è propriamente il tempo liturgico della conversione e del ritorno sincero a Dio, Padre ricco di misericordia, offre ai novelli sacerdoti, ai diaconi e ai seminaristi di prossima ordinazione il corso, perché imparino ad amministrare rettamente il sacramento della confessione. Quali sono gli obiettivi? La valorizzazione della penitenza, che dipende molto dai sacerdoti e dalla loro consapevolezza di essere depositari di un ministero prezioso e insostituibile. I preti sono principalmente gli strumenti della divina misericordia. È Dio stesso, infatti, che perdona la colpa quando il confessore assolve il fedele che con animo sinceramente contrito si accosta al confessionale. Ma non dimentichiamo che ogni confessore è anche “educatore di misericordia” perché deve essere capace di aiutare i penitenti a fare una concreta esperienza della misericordia di Dio. Il corso sul Foro interno si prefigge dunque anche questo obiettivo: aiutare i sacerdoti a essere buoni educatori di misericordia, pedagoghi che conducono a Cristo. Educare alla misericordia è uno degli aspetti più significativi della vita cristiana che si inserisce nell’orizzonte più ampio, non solo della pastorale della Chiesa, ma In che modo il sacramento della confessione diventa scuola di misericordia? Viviamo in un contesto culturale complesso, plurale, fortemente secolarizzato e, per alcuni tratti, non definibile; una società che ha smarrito il senso di Dio e, di conseguenza, ha perduto la tensione verso il soprannaturale. In questo panorama socio-culturale, con tutto ciò che si porta dietro, l’uomo non sa più chi sia, da dove viene e verso dove è diretto. Perduta la bussola che lo orienta verso Dio, riferimento primo e ultimo dell’uomo, del creato e della stessa storia, vive in riferimento a se stesso, alle proprie sensazioni, in un disagio che lo presenta come un esistente senza una vocazione al trascendente. Il sacramento della penitenza richiama al ritorno a Dio che sempre per primo cerca l’uomo e che non si stanca mai di perdonarlo e di salvarlo. Anche quando l’uomo esclude Dio dal suo cuore? Certamente. Perché Dio non esclude mai l’uomo dal suo cuore di Padre misericordioso. Come ci ricorda Papa Francesco: Dio non si stanca mai di perdonarci. Il confessore deve favorire quelle condizioni affinché il penitente s’incontri con lo sguardo amorevole di Gesù che legge, tocca e converte; il luogo in cui il penitente avverte le medesime sensazioni che avvertirono Zaccheo e Paolo quando la loro vita fu raggiunta dalla luce della grazia di Dio. Così la celebrazione del sacramento diventa luogo nel quale si impara, si scopre e si vive sulla propria pelle, la grandezza dell’amore di Dio che scuote il nostro cuore dal peso del peccato, lo rende cosciente e lo indirizza sempre più alla gioia del vangelo. La confessione deve almeno provocare l’incontro con Cristo misericordioso, un incontro vivo e vero. Dall’incontro vissuto scaturisce l’inizio di una vita rinnovata e riconciliata. Il sacramento acquisisce così un significato di fede esistenziale, poiché il segno della riconciliazione Safet Zec, «L’abbraccio» non è in dissonanza con la quotidianità del credente. In che modo l’incontro con Cristo rinnova la vita? L’esperienza della misericordia fiorisce in noi come opera di misericordia: «Noi amiamo, perché egli ci ha amato per primo», afferma l’evangelista Giovanni. In questo amore nasce e si sviluppa la vita cristiana. Il fedele che nel confessionale ha realmente sperimentato l’amore misericordioso di Dio non può che essere, a sua volta, testimone e portatore della divina misericordia: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia». Come si riflette tutto questo nell’evangelizzazione? L’opera dell’evangelizzazione non comporta soltanto proporre una dottrina o annunciare la verità del Vangelo. Evangelizzare è soprattutto testimoniare, proprio mediante la gioia di una vita pacificata con Dio, la buona notizia evangelica che Dio ci ama in Cristo Gesù e che il suo amore misericordioso non conosce limiti. Sarebbe davvero una meravigliosa opera di carità se ogni penitente, uscito dal confessionale, diventasse nella vita di ogni giorno un missionario della divina misericordia, portando altri fedeli a sperimentare la grandezza dell’amore di Dio nel sacramento della riconciliazione. Questa sarebbe davvero D all’8 al 14 marzo in Australia la Settimana delle scuole Il ruolo dell’educazione cattolica SYDNEY, 6. Centocinquanta scuole primarie e secondarie cattoliche di Sydney apriranno le loro porte la prossima settimana per presentare l’educazione basata sulla fede. Giunta alla sua decima edizione, la Settimana delle scuole cattoliche (Catholic Schools Week) si svolgerà dall’8 al 14 marzo e non coinvolgerà soltanto le scuole dell’arcidiocesi, ma tutti i 615 istituti cattolici del New South Wales e dell’Australian Capital Territory. Ideata e fortemente voluta per accrescere la consapevolezza del carattere distintivo dell’educazione cattolica, la settimana offrirà a famiglie e comunità l’opportunità di costruire legami con gli istituti presenti sul territorio. Il tema di quest’anno è «Educare per oggi e per domani»». Questo significa — viene spiegato sul sito dell’arcidiocesi di Sydney — anche guardare con comprensione ai metodi moderni di insegnamento, dove gli studenti sono “cybersapienti” con tablet e laptop che fanno parte della loro esperienza di apprendimento. Ma quest’anno la settimana sarà anche l’occasione per celebrare il cinquantesimo anniversario della dichiarazione del concilio Vaticano II, Gravissimum educationis, che ha ribadito la necessità per la Chiesa cattolica di sostenere i genitori nell’educazione dei loro figli. In linea con la tradizione della Chiesa, le rette delle scuole cattoliche in tutto il New South Wales sono mantenute a livelli bassi per dare a chiunque la possibilità di potervi accedere. Secondo recenti statistiche dell’Ufficio per l’educazione cattolica dell’arcidiocesi di Sydney, le scuole cattoliche sono frequentate da uno studente su cinque delle primarie e ben uno su tre delle secondarie. Non solo, le domande di iscrizione, sia da parte di famiglie cattoliche che di credo religioso differente continuano a crescere in tutto il territorio. Quest’anno in Australia hanno aperto quattordici nuove scuole cattoliche, con l’arcidiocesi di Sydney che ha festeggiato l’apertura del centocinquantesimo istituto. E, per soddisfare le numerose domande di iscrizione, l’arcidiocesi prevede di aprire altri tre nuovi istituti entro il 2017. «Per sette giorni ogni anno — afferma Dan White, direttore esecutivo delle scuole cattoliche dell’arcidiocesi di Sydney — celebriamo le cose che rendono speciali i nostri luoghi di apprendimento con eventi che si svolgono in tutti gli istituti del New South Wales e dell’Australian Capital Territory ». Secondo la dirigente scolastica Margaret Hogan, «nel corso degli anni, gli studenti australiani hanno dimostrato ai loro genitori e all’intera comunità che le scuole cattoliche sono più di una buona educazione». Nel messaggio della Cei per l’università del Sacro Cuore Periferie al centro ROMA, 6. «Giovani, periferie al centro» è il tema della novantunesima Giornata per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, che si svolgerà domenica 19 aprile. Un tema che, scrive la presidenza della Conferenza episcopale italiana nel suo messaggio, «sollecita a sviluppare una attenta riflessione e ad assumere con decisione iniziative che promuovano una rinnovata centralità dei giovani, sottraendoli a quelle periferie spirituali, sociali e culturali in cui la società sembra volerli confinare». Infatti, «ciò che impressiona maggiormente — si legge nel testo — è il prezzo altissimo che le nuove generazioni stanno pagando per il prolungarsi della crisi economica che colpisce in particolare i giovani, ritardando e, in alcuni casi, rendendo quasi impossibile l’inserimento lavorativo, la formazione di una famiglia, la messa a frutto delle doti e delle competenze acquisite con lo studio, l’assunzione di responsabilità sociali». Difficoltà che determinano «una collocazione sempre più periferica dei giovani nel sistema sociale e può generare sfiducia e scoraggiamento». In questo senso, viene sottolineato, «dobbiamo essere consapevoli che la crescente precarietà dei giovani rende incerto anche il futuro dell’umanità». un’opera di misericordia spirituale e corporale. Chi sperimenta l’amore misericordioso di Dio, è spinto alla compassione per i poveri, gli ultimi e per tutti coloro che ancora non hanno accolto l’amore di Dio nella propria vita. La misericordia di Dio ci rende sempre più misericordiosi. Il corso si conclude con la celebrazione penitenziale presieduta dal Papa in San Pietro. Che significato ha? Durante il corso ai partecipanti è offerta l’opportunità di approfondire il sacramento della riconciliazione dal punto di vista teologico, liturgico, morale, giuridico e pastorale, mentre venerdì pomeriggio avranno la gioia di sperimentare concretamente nella propria vita gli effetti benefici e salutari della celebrazione penitenziale, diventando essi stessi penitenti che umilmente chiedono al Signore il perdono e la riconciliazione. La celebrazione penitenziale presieduta dal Pontefice si terrà il 13 marzo, alle 17, nella basilica vaticana, e darà l’avvio all’iniziativa «24 ore per il Signore», che prevede per tutta la notte la confessione e l’adorazione eucaristica in alcune chiese del centro di Roma e che è stata estesa a tutte le diocesi e le parrocchie del mondo perché dedicassero momenti particolari per promuovere il sacramento della riconciliazione. New York sta tributando in queste ore un omaggio sentito al pastore che, ancor più dopo l’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001, è stato la guida spirituale e il punto di riferimento non soltanto per i cattolici degli Stati Uniti. «Vorrei essere ricordato come un sacerdote che si è preso bene cura del popolo di Dio, almeno per quanto poteva, e come pastore, per aver trascorso più tempo possibile nelle parrocchie», aveva detto. E non a caso, anche da arcivescovo emerito, era rimasto ad abitare a Manhattan, proprio per continuare il suo rapporto diretto con la gente. In queste ore lo hanno ricordato, tra gli altri, il cardinale Timothy Michael Dolan, suo successore, e il sindaco di New York, Bill de Blasio. La sua attenzione concreta alle persone, fatta di accoglienza e di carità — in particolare verso poveri e immigrati — nasceva da una fede ricevuta sin da piccolo nella famiglia profondamente cattolica. Dopo essersi diplomato in filosofia al Saint Mary of the Lake seminary, era stato inviato a Roma nel 1954 Che ruolo avrà la Penitenzieria apostolica? Metterà a disposizione per l’amministrazione ben sessanta confessori, di cui la maggior parte sono i penitenzieri ordinari e straordinari delle basiliche papali dell’Urbe; a loro si aggiungono lo stesso cardinale Penitenziere maggiore, il reggente e gli officiali sacerdoti del dicastero. Sarà un forte momento di grazia e un’occasione favorevole per riflettere la nostra chiamata alla conversione, a cambiare vita e mettere l’amore di Dio al centro del nostro cuore. Torniamo al corso sul Foro interno. Come sarà strutturato? Esso prevede la partecipazione di ben cinquecento iscritti e ha inizio con la lectio magistralis dal cardinale Mauro Piacenza sul tema: «Il grande tesoro: le indulgenze». Proseguirà con la trattazione di temi morali e canonistici e offrirà un vasto aggiornamento sulla disciplina penitenziale, sulla retta amministrazione del sacramento e sulle specifiche funzioni e competenze del tribunale della Penitenzieria. In particolare, saranno affrontate situazioni di rilevante e attuale delicatezza che interessano il ministero penitenziale, e sarà privilegiata la parte relativa alla retta amministrazione del sacramento della penitenza e alla risoluzione dei complessi e particolari casi che vengono sottoposti al discernimento e alla misericordia della Chiesa. Con me si alterneranno nelle relazioni il vescovo Juan Ignacio Arrietta e il gesuita Ján Ďačok, rispettivamente prelato canonista e prelato teologo della Penitenzieria, monsignor Guido Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, il francescano Maurizio Faggioni, monsignor Giacomo Incitti e il salesiano Paolo Carlotti, prelati consiglieri della Penitenzieria, insieme ad altri officiali del dicastero. A ogni relazione seguirà il dibattito, nel corso del quale verranno proposti quesiti di chiarimento e risoluzioni di dubbi. per completare gli studi al Pontificio Collegio americano del nord. Nel 1958 si era laureato in teologia alla Pontifica università Gregoriana. Dopo l’ordinazione sacerdotale a Roma, il 15 dicembre 1957, era tornato negli Stati Uniti dove, per un breve periodo, era stato responsabile della Holy Name cathedral e segretario del cardinale Albert Gregory Meyer. Poi nel 1960 la nomina a vice rettore della facoltà di teologia e diritto canonico al Pontificio Collegio americano del nord. Nel 1964, subito dopo essersi laureato in diritto canonico alla Pontificia università Gregoriana, aveva fatto ritorno negli Stati Uniti, dove gli era stato affidato l’incarico di segretario del cardinale John Cody. In quel periodo era stato anche protagonista nel dialogo ecumenico e interreligioso, partecipando fra l’altro alla conferenza di Chicago su «religione e razza». Nel 1971 era tornato a Roma come giudice del Tribunale della Rota Romana, incarico che aveva mantenuto fino alla nomina ad ausiliare di New York. Aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il 22 maggio 1985 dal cardinale Bernardin Gantin. In the holiness of truth (“Nella santità della verità”) il motto da lui scelto. A Roma aveva svolto anche gli incarichi di professore di diritto canonico alla Pontifica università Gregoriana; professore di procedura civile e penale allo Studium rotale, la scuola di giurisprudenza della Rota; membro della commissione della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti; consultore della Congregazione per il clero. Inoltre era stato uno dei sei canonisti incaricati della revisione del Codice di diritto canonico promulgato nel 1983. Come ausiliare di New York, aveva ricevuto dal cardinale arcivescovo John J. O’Connor il compito di vicario per l’educazione. Trasferito dopo tre anni e mezzo alla sede di Bridgeport, vi aveva riorganizzato il sistema scolastico degli istituti diocesani, promuovendo in particolare l’apostolato tra gli ispanici e gli haitiani. In quel periodo aveva anche svolto diversi incarichi nell’ambito della Conferenza episcopale statunitense. Con la stessa volontà di rilanciare la pastorale aveva iniziato, l’11 maggio 2000, il suo ministero di arcivescovo di New York. Il 21 febbraio dell’anno successivo era arrivata la porpora cardinalizia. A luglio Giovanni Paolo II lo aveva nominato relatore generale della decima assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, in programma dal 30 settembre al 27 ottobre sul tema del vescovo «servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo»; ma in seguito all’attentato alle Torri gemelle, aveva preferito rientrare a New York prima della conclusione del Sinodo e il suo lavoro nell’ambito dell’assemblea era stato svolto dal cardinale Bergoglio, al quale il Papa aveva affidato il 4 ottobre l’incarico di relatore generale aggiunto. Difensore dei diritti degli immigrati, durante l’episcopato newyorkese era stato artefice di numerose iniziative nell’ambito della formazione, della carità, dell’educazione scolastica e sanitaria. Si era impegnato anche nel campo delle comunicazioni sociali, dando nuovo slancio alla stampa diocesana e all’apostolato attraverso la televisione. Era stato inoltre membro del Consiglio dei cardinali per lo studio e l’organizzazione dei problemi economici della Santa Sede; del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica; della Congregazione per le Chiese Orientali; della Prefettura degli Affari economici della Santa Sede; del Pontificio Consiglio per la Famiglia; della Commissione permanente per la protezione del patrimonio storico e artistico della Santa Sede. Nomina episcopale Le nomina di oggi riguarda la diocesi di Roma. Augusto Paolo Lojudice ausiliare di Roma Nato a Roma il 1° luglio 1964, dopo la maturità classica conseguita nel 1983 presso il liceo San Benedetto da Norcia si è preparato al sacerdozio al Pontificio seminario romano maggiore e ha frequentato i corsi di filosofia e teologia presso la Pontificia università Gregoriana dal 1983 al 1988. Ha conseguito la licenza in teologia con specializzazione in teologia fondamentale. Ordinato presbitero il 6 maggio 1989 per la diocesi di Roma, dove è incardinato e risiede, ha svolto i seguenti principali incarichi e ministeri: vicario della parrocchia Santa Maria del Buon Consiglio (1989-1992); vicario della parrocchia San Vigilio (1992-1997); parroco di Santa Maria Madre del Redentore a Tor Bella Monaca (1997-2005); padre spirituale al Pontificio seminario romano maggiore (2005-2014). Dal 2014 era parroco di San Luca al Prenestino. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 sabato 7 marzo 2015 Il Pontefice al cammino neocatecumenale Svegliate la fede L’invito a “svegliare la fede” portando nuovamente l’annuncio evangelico tra i tanti “non cristiani” che oggi a causa della secolarizzazione hanno dimenticato chi è Gesù è stato rivolto da Papa Francesco alle migliaia di aderenti al cammino neocatecumenale che hanno gremito l’aula Paolo VI nella mattina di venerdì 6 marzo. Cari fratelli e sorelle, buongiorno a tutti! E grazie, grazie tante per essere venuti a questo incontro. Il compito del Papa, il compito di Pietro, è quello di confermare i fratelli nella fede. Così anche voi avete voluto con questo gesto chiedere al Successore di Pietro di confermare la vostra chiamata, di sostenere la vostra missione, di benedire il vostro carisma. E io oggi confermo la vostra chiamata, sostengo la vostra missione e benedico il vostro carisma. Lo faccio non perché lui [indica Kiko] mi ha pagato, no! Lo faccio perché voglio farlo. Andrete in nome di Cristo in tutto il mondo a portare il suo Vangelo: Cristo vi pre- Trentuno nuove missioni Con «la benedizione dei crocifissi», trentuno nuove missio ad gentes — duecento famiglie, tutte con figli, per un totale di quasi mille persone — inizieranno ora il loro servizio in ventidue nazioni dove, su richiesta dei vescovi locali, cercheranno di «testimoniare il Vangelo nei contesti più difficili». È stato Kiko Argüello, iniziatore del cammino neocatecumenale, a presentare a Papa Francesco questo grande movimento di «invio missionario» che vede protagoniste famiglie piene di entusiasmo e che «rinnova l’esperienza della Chiesa delle origini». Con ogni nuova missio ad gentes, ha spiegato, sarà inviato anche un presbitero. E proprio a ciascuno di questi sacerdoti Francesco ha personalmente consegnato il piccolo crocifisso che è il simbolo stesso della missione. In particolare, quattro nuove missio ad gentes saranno attive in Francia; tre in Serbia; due in Cina, Giappone, Vietnam e Venezuela; una in India, Thailandia, Cambogia, Moldova, Romania, Ucraina, Estonia, Svezia, Islanda, Italia, Belgio, Austria, Stati Uniti d’America, Giamaica, Papua Nuova Guinea e Australia. Con il loro stile di vita, ha spiegato Argüello, porteranno il Vangelo ai non cristiani e ai battezzati che si sono allontanati da Cristo. Inoltre al Pontefice sono state presentate le équipe itineranti, formate da circa novecento persone, che operano in centoventicinque Paesi. Con loro anche i rappresentanti delle sessantuno missio ad gentes che da oltre nove anni lavorano in Europa e delle trentotto inviate il 1° febbraio 2014 da Francesco in Cina, Mongolia, Vietnam e India. Argüello ha inoltre illustrato al Papa l’attività dei rettori dei centodue seminari Redemptoris Mater sparsi nel mondo, accompagnati nell’aula Paolo VI da ottocento presbiteri formati nei cinquanta seminari europei, e da numerosi seminaristi. Accanto a loro anche alcuni parroci romani: le comunità catecumenali nella diocesi del Papa sono cinquecento, attive in centoquattro parrocchie con il coinvolgimento diretto di circa ottomila persone. All’incontro, che si è concluso con la recita di un’Ave Maria guidata dal Pontefice, erano presenti anche numerosi cardinali, arcivescovi e vescovi, oltre a Carmen Hernández e padre Mario Pezzi, co-iniziatori del cammino neocatecumenale. ceda, Cristo vi accompagni, Cristo porti a compimento quella salvezza di cui siete portatori! Insieme con voi saluto tutti i Cardinali e i Vescovi che vi accompagnano oggi e che nelle loro diocesi appoggiano la vostra missione. In particolare saluto gli iniziatori del Cammino Neocatecumenale, Kiko Argüello e Carmen Hernández, insieme a Padre Mario Pezzi: anche a loro esprimo il mio apprezzamento e il mio incoraggiamento per quanto, attraverso il Cammino, stanno facendo a beneficio della Chiesa. Io dico sempre che il Cammino Neocatecumenale fa un grande bene nella Chiesa. Come ha detto Kiko, il nostro incontro odierno è un invio missionario, in obbedienza a quanto Cristo ci ha chiesto e abbiamo sentito nel Vangelo. E sono particolarmente contento che questa vostra missione si svolga grazie a famiglie cristiane che, riunite in una comunità, hanno la missione di dare i segni della fede che attirano gli uomini alla bellezza del Vangelo, secondo le parole di Cristo: «Amatevi come io vi ho amato; da questo amore conosceranno che siete miei discepoli» (cfr. Gv 13, 34), e «siate una cosa sola e il mondo crederà» (cfr. Gv 17, 21). Queste comunità, chiamate dai Vescovi, sono formate da un presbitero e da quattro o cinque famiglie, con figli anche grandi, e costituiscono una “missio ad gentes”, con un mandato per evangelizzare i non cristiani. I non cristiani che non hanno mai sentito parlare di Gesù Cristo, e i tanti non cristiani che hanno dimenticato chi era Gesù Cristo, chi è Gesù Cristo: non cristiani battezzati, ma ai quali la secolarizzazione, la mondanità e Affidate al vescovo Corti tante altre cose hanno fatto dimenticare la fede. Svegliate quella fede! Dunque, prima ancora che con la parola, è con la vostra testimonianza di vita che manifestate il cuore della rivelazione di Cristo: che Dio ama l’uomo fino a consegnarsi alla morte per lui e che è stato risuscitato dal Padre per darci la grazia di donare la nostra vita agli altri. Di questo grande messaggio il mondo di oggi ha estremo bisogno. Quanta solitudine, quanta sofferenza, quanta lontananza da Dio in tante periferie dell’Europa e dell’America e in tante città dell’Asia! Quanto bisogno ha l’uomo di oggi, in ogni latitudine, di sentire che Dio lo ama e che l’amore è possibile! Queste comunità cristiane, grazie a voi famiglie missionarie, hanno il compito essenziale di rendere visibile questo messaggio. E qual è il messaggio? «Cristo è risorto, Cristo vive! Cristo è vivo tra noi!». Voi avete ricevuto la forza di lasciare tutto e di partire per terre lontane grazie a un cammino di iniziazione cristiana, vissuto in piccole comunità, dove avete riscoperto le immense ricchezze del vostro Battesimo. Questo è il Cammino Neocatecumenale, un vero dono della Provvidenza alla Chiesa dei nostri tempi, come hanno già affermato i miei Predecessori; soprattutto san Giovanni Paolo II quando vi ha detto: «Riconosco il Cammino Neocatecumenale come un itinerario di formazione cattolica, valido per la società e per i tempi odierni» (Epist. Ogniqualvolta, 30 agosto 1990: AAS 82 [1990], 1515). Il Cammino poggia su quelle tre dimensioni della Chiesa che sono la Parola, la Liturgia e la Comunità. Perciò l’ascolto obbediente e costante della Parola di Dio; la Le meditazioni per la Via crucis del Papa al Colosseo celebrazione eucaristica in piccole comunità dopo i primi vespri della domenica, la celebrazione delle lodi in famiglia nel giorno di domenica con tutti i figli e la condivisione della propria fede con altri fratelli sono all’origine dei tanti doni che il Signore ha elargito a voi, così come le numerose vocazioni al presbiterato e alla vita consacrata. Vedere tutto questo è una consolazione, perché conferma che lo Spirito di Dio è vivo e operante nella sua Chiesa, anche oggi, e che risponde ai bisogni dell’uomo moderno. In diverse occasioni ho insistito sulla necessità che la Chiesa ha di passare da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria (cfr. Esort. ap. Evangelii gaudium, 15). Quante volte, nella Chiesa, abbiamo Gesù dentro e non lo lasciamo uscire... Quante volte! Questa è la cosa più importante da fare se non vogliamo che le acque ristagnino nella Chiesa. Il Cammino da anni sta realizzando queste missio ad gentes in mezzo ai non cristiani, per una implantatio Ecclesiae, una nuova presenza di Chiesa, là dove la Chiesa non esiste o non è più in grado di raggiungere le persone. «Quanta gioia ci date con la vo- Seconda predica di quaresima alla presenza di Papa Francesco Un inno di silenzio «Oriente e occidente di fronte al mistero della Trinità» è stato il tema della seconda predica di Quaresima tenuta venerdì mattina, 6 marzo, dal predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, nella cappella Redemptoris Mater del Palazzo apostolico, alla presenza di Papa Francesco. Il desiderio di «condividere in pienezza la comune fede dell’oriente cristiano e dell’occidente latino», rilanciato da Francesco, «non è nuovo: già il concilio Vaticano II, nella Unitatis redintegratio, esortava a una speciale considerazione delle Chiese orientali e delle loro ricchezze». E anche Giovanni Paolo II — ha ricordato il cappuccino — aveva insistito in proposito formulando «un principio fondamentale per il cammino verso l’unità: mettere in comune le tante cose che ci uniscono e che sono certamente di più di quelle che ci dividono». Infatti, ha fatto notare, «ortodossia e Chiesa cattolica condividono la stessa fede nella Trinità, nell’incarnazione del Verbo, in Gesù Cristo vero Dio e vero uomo in una sola persona, che è morto e risorto per la nostra salvezza, che ci ha donato lo Spirito Santo; crediamo che la Chiesa è il suo corpo animato dallo Spirito Santo, che l’Eucaristia è “la fonte e il culmine della vita cristiana”, che Maria è la Theotokos, la Madre di Dio, «Trinità» (lezionario della santa cappella di Bourges, 1404-1416) che abbiamo come destino la vita eterna». E «che cosa vi può essere di più importante di questo? Le differenze intervengono nel modo di intendere e di spiegare alcuni di questi misteri, dunque sono secondarie, non primarie». È tempo, ha suggerito il predicatore, di mettere da parte ogni «tinta apologetica e polemica su ciò che distingue e che ognuno credeva di avere di diverso e di più giusto dell’altro». In una parola, si deve smettere «di insistere ossessivamente sulle differenze e mettere invece insieme ciò che abbiamo in comune e ci unisce in un’unica fede». Oltretutto «lo esige perentoriamente il comune dovere di annunciare la fede a un mondo profondamente cambiato, con domande e interessi diversi da quelli del tempo in cui sono nate le divergenze e che, nella sua stragrande maggioranza, non comprende più neppure il senso di tante nostre sottili distinzioni ed è anni luce distante da esse». Finora, secondo padre Cantalamessa, «nello sforzo di promuovere l’unità tra i cristiani ha prevalso la linea di risolvere prima le differenze, per poi condividere ciò che abbiamo in comune». Ora, invece, «la linea che si fa sempre più strada negli ambienti ecumenici è: condividere ciò che abbiamo in comune per poi risolvere, con pazienza e rispetto reciproco, le differenze». Così il risultato più sorprendente di questo cambiamento di prospettiva è che le stesse reali differenze dottrinali, anziché apparirci come un “errore” o una “eresia” dell’altro, cominciano ad apparirci sempre più spesso come compatibili con la propria posizione e, spesso, addirittura come un necessario correttivo e un arricchimento di essa». Del resto, ha aggiunto, «se ne è avuto un esempio concreto, su un altro versante, con l’accordo del 1999 tra la Chiesa cattolica e la Federazione mondiale delle Chiese luterane, a proposito della giustificazione mediante la fede». Il predicatore ha proposto, quindi, di «iniziare la scalata» di un tema così delicato affrontando appunto «il mistero della Trinità, cioè la montagna più alta, l’Everest della fede». E invitando, dopo averle accuratamente approfondite, a «tenere aperte e percorribili le due vie al mistero trinitario». Va riconosciuto che la Chiesa ha bisogno di accogliere «in pienezza l’approccio dell’ortodossia alla Trinità nella sua vita interna, cioè nella preghiera, nella contemplazione, nella liturgia, nella mistica»; ma ha anche «bisogno di tener presente l’approccio latino nella sua missione evangelizzatrice ad extra». In conclusione padre Cantalamessa ha indicato il «punto in cui ci troviamo uniti e concordi, senza più alcuna differenziazione tra Oriente e Occidente: il dovere e il bisogno di adorare la Trinità». E così insieme, secondo «uno stupendo ossimoro di san Gregorio Nazianzeno, elevare a essa “un inno di silenzio”». stra presenza e con la vostra attività!» — vi ha detto il beato Papa Paolo VI nella prima udienza con voi (8 maggio 1974: Insegnamenti di Paolo VI, XII [1974], 407). Anch’io faccio mie queste parole e vi incoraggio ad andare avanti, affidandovi alla Santa Vergine Maria che ha ispirato il Cammino Neocatecumenale. Lei intercede per voi davanti al suo Figlio divino. Carissimi, che il Signore vi accompagni. Andate, con la mia Benedizione! Sarà monsignor Renato Corti, vescovo emerito di Novara, l’autore dei testi delle meditazioni per la Via crucis al Colosseo la sera del Venerdì santo. Lo schema seguito dal presule sarà quello classico tradizionale con quattordici stazioni. Dopo monsignor Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Boiano, autore delle meditazioni dello scorso anno, la scelta di Papa Francesco è caduta per la seconda volta su un vescovo italiano. Tra l’altro monsignor Corti esattamente dieci anni fa, nel febbraio 2005, guidò gli esercizi spirituali per la Curia romana negli ultimi giorni del pontificato di Giovanni Paolo II. La Pontificia accademia per la vita si interroga sulle cure palliative Niente retorica sulla vecchiaia Il riconoscimento dell’anziano come persona e la comprensione delle sue necessità di cura, alla luce della natura bisognosa di ogni essere umano: deve ruotare attorno a questi due perni ogni riflessione sulle sfide dell’assistenza alla terza età. È la convinzione ricorrente negli interventi di studiosi, scienziati e sacerdoti che venerdì 6 marzo si sono riuniti in Vaticano per il workshop organizzato dalla Pontificia accademia per la vita, in occasione della ventunesima assemblea generale. Nel corso di tre sessioni — due al mattino e una pomeridiana — qualificati relatori si sono confrontati sul tema dell’assistenza agli anziani e delle cure palliative, approfondendone le prospettive etico-antropolo- Angelo Piras, «Anziani di Castelsardo» giche e quelle socio-culturali. Secondo il vescovo presidente Ignacio Carrasco de Paula, «solo partendo da uno sguardo che riconosce la persona anziana come meritevole di essere amata, è possibile parlare di cura dell’anziano, anche al termine della vita». Si tratta di una sfida, ha aggiunto, che si rivolge a tutta la società: dalla famiglia, alle istituzioni, allo Stato. Del resto, «tutti abbiamo bisogno dell’altro». Specie gli anziani, la cui assistenza non può essere mai «ridotta a un atto di beneficienza, o pensata come una concessione per solidarietà o filantropia». Alla luce di ciò, ha concluso, «anche le cure palliative andranno ripensate, e intese non solo come “cura del dolore”, ma come manifestazione di amore; prendendosi cura dell’altro, infatti, lo si restituisce a se stesso». Per il secondo anno consecutivo dunque la Pontificia accademia per la vita ha posto l’invecchiamento al centro della propria attività. Già durante l’assemblea del 2014 aveva affrontato il tema della cura dell’anziano che diventa disabile, non autosufficiente e bisognoso di aiuto. In questo 2015 ha puntato sul fine vita e sulle cure palliative: sia perché l’età avanzata è caratterizzata, rispetto ad altre fasce da un più elevato tasso di malattia (con più patologie croniche, associate a un decadimento del benessere fisico e del livello di indipendenza); sia perché le malattie degenerative compromettono le capacità fisiche e cognitive. Se si pensa, poi, che l’invecchiamento della popolazione è in aumento, appare evidente come gli anziani necessitino non solo di assistenza ma di un approccio globale specifico. In tale contesto le cure palliative devono avere come obiettivo la migliore qualità di vita possibile per i malati e per le loro famiglie, per prevenire anche la richiesta di eutanasia, che nasce spesso da un rischio di eccessiva medicalizzazione, da sentimenti di abbandono o da una reale mancanza di cure. Significativo tra gli interventi quello del sacerdote Armando Aufiero, dei silenziosi operai della Croce, che ha approfondito gli aspetti spirituali del tema dei lavori, rileggendoli alla luce dell’esperienza del beato Luigi Novarese, fondatore del Centro volontari della sofferenza. «La retorica sulla vecchiaia che troviamo sui media — ha detto — rivela tutta la sua inutile inconsistenza. Anche la medicina ha le sue responsabilità», perché considera l’essere umano solo «un corpo, un aggregato di molecole, una macchina che reagisce a stimoli fisici e farmacologici», escludendo «qualsiasi discorso di empatia, di calore umano, di ascolto e di incontro fra medico e paziente. Nella società del profitto che ha creato l’ospedale azienda il malato è stato ridotto a cliente, la salute a un prodotto da vendere per far quadrare bilanci e compilare statistiche, l’anziano si trova condannato a morire a poco a poco, per disinteresse, apatia e solitudine».
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