rassegna stampa - Organismo Unitario dell`Avvocatura Italiana

ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
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Rassegna
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3 marzo 2015
Responsabile: Claudio Rao (tel. 06/32.21.805 – email: claudio.rao@oua.it)
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ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
SOMMARIO
PAG. 3 PROFESSIONI: Professionisti italiani poco produttivi al mattino
(La Repubblica – Affari e Finanza)
PAG. 4 PROFESSIONI: Specializzazioni mediche, slitta ancora l'accesso (Italia Oggi)
PAG. 6 PROFESSIONI: Ingegneri, crediti bloccati (Italia Oggi)
PAG. 8 PROFESSIONI: Cemento armato fuori uso (Italia Oggi)
PAG. 9 MEDIAZIONE: Mediatori, serve più concorrenza (Italia Oggi)
PAG.10 LIBERALIZZAZIONI: D’Errico (notai): “Cosa rischia l’Italia”
(La Repubblica – Affari e Finanza)
PAG.12 LIBERALIZZAZIONI: Liberalizzare? Aiuto, moriremo tutti! (Il Foglio)
PAG.14 MAGISTRATI: La trappola che impedisce di incastrare le toghe sulla
responsabilità civile (Il Giornale)
PAG.16 FALSO IN BILANCIO: Falso in bilancio, marcia indietro (La Repubblica)
PAG.18 L’INTERVENTO: Falso in bilancio senza doppio binario
di Alessandro Bernasconi (Il Sole 24 Ore)
PAG.20 LA LETTERA: I magistrati e l’interpretazione della riforma (La Repubblica)
PAG.22 CORRUZIONE Criminalità, sindaci sempre più sotto tiro (Il Messaggero)
PAG.24 LAVORO: Così il Job Act cambierà la vita degli avvocati giuslavoristi
(La Repubblica – Affari e Finanza)
PAG.26 LAVORO: Alla firma il decreto sulle tutele crescenti (Il Sole 24 Ore)
PAG.27 FISCO: Il segreto bancario cade anche a Montecarlo (La Repubblica)
PAG.29 FISCO: Anche Monaco apre gli archivi al Fisco (Il Sole 24 Ore)
PAG.31 FISCO: Polizze assicurative al rientro (Il Sole 24 Ore)
PAG.32 FISCO: Tfr in busta, opzione in stand by (Il Sole 24 Ore)
PAG.34 FISCO: Certificati solo i compensi pagati (Il Sole 24 Ore)
PAG.36 FISCO: I consulenti: difficile estendere le polizze (Il Sole 24 Ore)
PAG.37 ESECUZIONE: Banche dati, accesso (quasi) off limits (Il Sole 24 Ore)
PAG.39 MINISTERO GIUSTIZIA: Alla Giustizia 1.031 ingressi da altre Pa (Il Sole 24 Ore)
PAG.40 CONDOMINIO: Nomina a rischio senza l’attestato (Il Sole 24 Ore)
PAG.43 CONDOMINIO: Assemblea richiesta anche da un solo condomino (Il Sole 24 Ore)
PAG.45 CONDOMINIO: Libretti di caldaia integrabili entro dicembre (Il Sole 24 Ore)
PAG.47 CASSAZIONE: Sfratti, fisco agevolato (Italia Oggi)
PAG.48 CASSAZIONE: Imposta sostitutiva con sconto Ires (Il Sole 24 Ore)
PAG.50 CASSAZIONE: La resistenza esclude l’induzione (Il Sole 24 Ore)
PAG.52 CASSAZIONE: Cassazione in breve (Il Sole 24 Ore)
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LA REPUBBLICA – Affari e Finanza
Professionisti italiani poco produttivi al mattino
Le ore del mattino hanno l'oro in bocca. Per tutti, ma non per gli italiani.
Questo quanto emerge da una ricerca di Regus, fornitore di spazi di lavoro
flessibili, condotta su un campione di 22.000 manager e professionisti in oltre
100 paesi.
Nel nostro Paese, solo il 35% dei professionisti ha dichiarato di essere
maggiormente produttivo nelle prime ore del mattino: una percentuale
sensibilmente Inferiore sia rispetto alla media globale (che supera il 40%) sia
rispetto ai principali Paesi europei, dove in pole position spicca la Spagna
(50%), seguita a stretto giro dal Regno Unito (49%). In terza e quarta
posizione si collocano, poi, la Francia (44%) e la Germania (39%).
In Italia, a differenza quindi degli altri Stati, il 48% dei professionisti è invece
ancora legato al tradizionale orario d'ufficio.
In generale, sta cambiando 'rapidamente l'approccio al lavoro. Lo sviluppo
massiccio di smartphone e tablet consente infatti di essere sempre operativi,
comportando una crescente integrazione tra vita privata e attività
professionale. (s. pesc.)
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ITALIA OGGI
Con le modifiche al regolamento cambiano modi e tempi
Specializzazioni mediche, slitta ancora l'accesso
L'accesso alle scuole di specializzazione medica resta nel limbo. Due le
modifiche al nuovo regolamento per la formazione post-universitaria dei
camici bianchi che costringono il ministero a fare retromarcia su modi e
tempi previsti per i test di accesso (il bando era atteso per lo scorso 28
febbraio). Seppure, infatti, il regolamento, come spiega il ministero
dell'Istruzione, dell'università e della ricerca Stefania Giannini, è stato inviato
al Consiglio di stato, per i test di ingresso ci sarà da aspettare ancora un bel
po', visto che, precisa il ministero, le prove si svolgeranno il 31 luglio. Uno
slittamento che manda su tutte le furie le rappresentanze dei giovani camici
bianchi (Sigm) che parlano di un «ennesimo rinvio» e che restano perplessi
anche per le nuove inaspettate modifiche.
Dopo il caos della prima edizione della prima prova, quella del 2014, che
aveva visto scambi di domande e quindi quesiti annullati da parte dello stesso
dicastero, il ministro Giannini ha deciso di semplificare i test di accesso per
sveltire, spiega in un comunicato, le procedure di scorrimento delle
graduatorie finali.
Due le modifiche. La prima prevede che ogni candidato possa concorrere per
un massimo di tre tipologie di scuola da indicare in ordine di preferenza e non
per sei. La seconda, invece, stabilisce che i 70 quesiti della parte generale della
prova di selezione facciano riferimento alla formazione clinica del percorso di
laurea, per improntare le prove «a una maggiore caratterizzazione praticoapplicativa nella porzione comune dei quiz». I punti chiave del regolamento,
che dopo il Cds dovrà passare alla Presidenza del consiglio e poi alla Corte dei
conti, sono di una riduzione delle scuole che ora afferiscono a tre grandi
macro aree (medica, chirurgica e servizi clinici), riducendole dalle 56 attuali
alle circa 50 future, e poi di accorciare la durata dei corsi portando le
specialità chirurgiche da sei a cinque anni e quelle mediche da cinque a
quattro anni, con l'obiettivo di riallinearle agli standard europei. Nella
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formazione, poi, sarà garantito un maggiore spazio alla didattica nelle
strutture sanitarie e sarà prevista una revisione delle attività
professionalizzanti da riconoscere nella pratica medica svolta dagli
specializzandi. Ma il ritardo non va giù alle associazioni sindacali. «Ancora
una volta», dice il Segretariato giovani medici specializzazioni, «migliaia di
giovani medici aspiranti specializzandi vengono condannati al limbo
dell'incertezza. Ci auguriamo che ciò non sia funzionale alla necessità di
coprire l'ennesima defaillance burocratico-organizzativa del Miur ovvero a un
problema di copertura per il finanziamento di un numero congruo di contratti
di formazione specialistica». Un altro punto che lascia perplessi i giovani
medici è quello relativo ai tempi per la pubblicazione del bando che secondo il
Miur sarà emanato il 31 aprile, quando «è noto che i tempi per gli organi di
controllo sono generalmente più lunghi». Benedetta Pacelli
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ITALIA OGGI
Sos Cni: i compensi della p.a. ai professionisti tecnici in conto capitale
Ingegneri, crediti bloccati
Le banche negano la cessione pro soluto
Sblocca crediti con il contagocce per i professionisti che vantano crediti verso
la p.a. L'allarme arriva dal Consiglio nazionale degli ingegneri, che in una
nota diffusa ieri ha evidenziato come molto spesso i propri iscritti si vedano
negare dalle banche l'ok alla c.d. cessione «pro soluto». Il problema è legato
ad un ostacolo normativo-contabile, per la cui rimozione si chiede l'intervento
del Ministero dell'economia e delle finanze.
L'art. 37 del dl 66/2014 (legge 89/2014) ha consentito a chi vanta verso la p.a.
crediti per somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali di
cederli a un istituto di credito. La cessione opera «pro soluto», nel senso che
dal momento del suo perfezionamento libera il creditore originario dalle
conseguenze dell'eventuale inadempimento del debitore. Essa, inoltre, può
contare su una garanzia statale che dovrebbe consentire al cedente di
spuntare condizioni particolarmente vantaggiose rispetto a quelle di mercato:
le banche, infatti, possono applicare una percentuale di sconto (comprensiva
di ogni onere e commissione) non superiore all' 1,90% in ragione d'anno per
importi ceduti sino a 50 mila euro, ovvero all'1,60% in ragione d'anno per
importi eccedenti i 50 mila euro.
Ma per i professionisti, tale meccanismo il più delle volte si inceppa. Il
problema è che esso, per espressa previsione normativa, si applica
esclusivamente ai crediti commerciali di parte corrente maturati al 31
dicembre 2013 (purché certificati dall'amministrazione debitrice). In base alle
norme della contabilità pubblica, tuttavia, le spese sostenute dalla pa per
incarichi quali le progettazioni o le consulenze assegnate a professionisti
esterni, quando sono direttamente collegabili con un'opera pubblica, devono
essere allocate fra quelle in conto capitale.
Da qui il «non possumus» delle banche, che di fatto taglia fuori la maggior
parte dei professionisti. In pratica, solo le spese per prestazioni professionali
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non direttamente riferibili a investimenti, quali ad esempio le consulenze di
natura giuridica, economico-aziendale, fiscali, sulla sicurezza e salute dei
lavori, sono classificate come spese correnti e quindi rientrano nel perimetro
della cessione pro soluto.
Gli ingegneri non contestano il modus procedendi degli istituti bancari, ma
chiedono una revisione normativa o una circolare che consenta di considerare
l'effettiva natura delle spese (di fatto correnti, anche se contabilizzate nel
conto capitale), anche per evitare disparità di trattamento
«Il Cni», afferma il presidente Armando Zambiano, «si sta muovendo
affinché il Ministero dell'economia e delle finanze si adoperi molto
rapidamente per un chiarimento ed eventualmente per una modifica del
comma 1 dell'art 37 del dl 66, che determina, nei fatti, l'esclusione di molti
liberi professionisti dalla possibilità di cessione pro soluto dei propri crediti
vantati nei confronti della p.a. Chiediamo, pertanto, che tutte le prestazioni
professionali siano considerate esattamente per quello che sono, ovvero spese
di parte corrente, mettendo un punto finale su una vicenda, quella dei debiti
contratti dal p.a., mai pagati, che non fa onore a questo paese». Matteo
Barbero
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ITALIA OGGI
Geometri
Cemento armato fuori uso
I geometri non possono progettare edifici in cemento armato. E, a meno che
non si tratti di «piccole costruzioni accessorie nell'ambito di edifici rurali o
destinate alle industrie agricole», la competenza rimane di ingegneri e
architetti. È una sentenza (n. 883/15) del Consiglio di stato, questa volta, a
fissare un altro tassello nella ripartizione delle competenze tra i professionisti
di area tecnica in materia di cemento armato. Oggetto del contendere una
delibera del comune di Torri del Benaco secondo la quale i geometri possono
progettare e dirigere i lavori di modeste costruzioni fino a 1.500 metri cubi sia
pur «con la presenza di cemento armato». La disposizione comunale però non
era piaciuta all'ordine degli ingegneri della zona che aveva presentato ricorso
al Tar chiedendone l'annullamento. Nulla da fare perché secondo il tribunale
amministrativo la normativa vigente (rd 2229/39) non esclude
completamente la competenza dei geometri in materia di progettazione delle
costruzioni civili. L'Ordine degli ingegneri aveva quindi fatto appello al
Consiglio di stato che, con questa sentenza, ha rovesciato il disposto del
giudice di primo grado, specificando che la progettazione delle strutture in
cemento armato sia di competenza esclusiva di ingegneri e architetti iscritti
all'albo. Fanno eccezione le piccole costruzioni accessorie nell'ambito di
edifici rurali e destinati a industrie agricole che, dice il Cds, «non richiedano
particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non comportino
pericolo per le persone». In particolare in materia di competenze i giudici di
palazzo Spada fanno riferimento a una precedente sentenza (n. 2537 del 28
aprile 2011) secondo la quale «esula dalla competenza dei geometri la
progettazione di costruzioni civili con strutture in cemento armato», le
«piccole costruzioni accessorie» rientrano, invece, nella loro competenza
giacché in questo caso «è ininfluente che il calcolo del cemento armato sia
stato affidato a un ingegnere o ad un architetto». Benedetta Pacelli
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ITALIA OGGI
Mediatori, serve più concorrenza
L’Antitrust chiede una apertura alla concorrenza dell’attività di mediatore e lo
fa segnalando la situazione alle autorità politiche, in primis al premier Renzi
visto che è appena stato licenziato dal Cdm il nuovo ddl sulla concorrenza.
L’Autorità punta il dito contro l’art. 18 della legge 57/2001, che riguarda il
regime di incompatibilità nell’esercizio dell’attività di mediatore. In
particolare, tale disposizione prevede che: «L’esercizio dell’attività di
mediazione è incompatibile: a) con l’attività svolta in qualità di dipende da
persone, società o enti, privati e pubblici, ad esclusione delle imprese di
mediazione; b) con l’esercizio di attività imprenditoriali e professionali,
escluse quelle di mediazione comunque esercitate». Tale norma ha introdotto
limitazioni all’esercizio dell’attività di mediazione. Infatti, la caratteristica
«tipica ed essenziale del contratto di mediazione è quella dell’imparzialità del
mediatore, che può assumere tale qualità solo se opera su un piano di
indipendenza rispetto alle parti a favore delle quali esplica l’attività di
intermediazione, in particolare, non essendo vincolato con alcuno dei futuri
contraenti da rapporti di collaborazione, di dipendenza, o di rappresentanza».
Lorenzo Allegrucci
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LA REPUBBLICA – Affari e Finanza
D’Errico (notai): “Cosa rischia l’Italia”
PARLA IL PRESIDENTE DELIA CATEGORIA: "LE ULTIME NORME SULLA
LIBERALIZZAZIONEAPRONO LA STRADA A POSSIBILI ABUSI MA SOPRATTUTTO
VIENE MENO LA SICUREZZA NAZIONALE PER L'IMMOBILIARE E PER LE
SOCIETÀ"
«Inutile girarci attorno. Le nuove norme sull'attività notarile che ha voluto il
governo aprono un grande problema di sicurezza nazi0nale. Negli atti noi
esercitiamo un controllo di legalità che ora verrà meno per le compravendite
di immobili non abitativi fino a 100 mila euro. Ma i rischi, in prospettiva, sono
superiori a quello che le stesse norme possano oggi far supporre .
Maurizio D Errico, presidente del Consiglio nazionale del notariato, è molto
preoccupato per l'ultima "lenzuolata" di liberalizzazioni.
Notaio D'Errico, sin dalla prima lenzuolata dell'ex ministro
Bersani i notai non hanno mai preso bene le liberalizzazioni che li
toccano. È così anche stavolta? «No. Chi ha stilato queste norme aveva
certo l'intenzione di rendere il paese più competitivo ma è andato ben oltre,
incidendo su certezza e affidabilità dei registri pubblici, poiché viene meno la
verifica anticipata di legalità».
Perché? «Quel che è stato fatto non ha alcuna connessione, ad esempio, con
le raccomandazioni dell'Ocse, che consigliavano soltanto di rivedere il
rapporto tra numero di notai e abitanti e l'ambito territoriale di competenza.
Cosa che è stata fatta perché i notai adesso potranno competere su base
regionale. Perché però consentire agli avvocati di fare atti per
importi inferiori a 100 mila euro su Immobili non abitativi? I casi sono due: o
gli avvocati si dotano di un apparato tecnico e informatico come il nostro
(facendo grossi investimenti), e allora i prezzi non saranno così diversi dai
nostri; o alla fine ci saranno minori controlli. Comunque la sintesi è che si
vogliono far fare a soggetti con preparazione e regole diverse il lavoro per cui i
notai sono nati».
Vi
viene
tolta
anche
la
riserva
sulla
costituzione
di
srl
semplificate
e
società
semplici.
Qui
basterà
una scrittura privata. «Ma noi l'srls la facciamo già gratuitamente. Le
scritture private allargano le maglie dei controlli. Se qualcuno mette un
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oggetto sociale non conforme alle regole chi lo controllerà? L'Ocse e la World
Bank hanno parlato di rischi di abusi sulle società. Non dimentichi che i notai
inviano il 91 per cento delle segnalazioni antiriciclaggio fatte da tutti i
professionisti all'Unità di Informazione Finanziaria per l'Italia (UIF) istituita
presso la Banca d'Italia. In generale, mancherà un percorso di verifica
anticipata di legalità e controlli al quale il notariato è sottoposto dal Ministro
della Giustizia a tutela dei cittadini. Grazie al nostro lavoro, secondo la
classifica mondiale "Doingbusiness" l'Italia ha guadagnato posizioni sia
nell'immobiliare che nel societario".
Parliamo degli atti su immobili non abitativi (box, uffici, negozi,
ecc.) fino a 100 mila euro. In fondo sono una piccola percentuale
del totale. «Non è così. 100 mila euro è il valore catastale, quindi parliamo
di immobili che realmente valgono anche 4-5 volte in più. Inoltre, si potrebbe
aggirare il sistema spezzettando l'atto in quote da 100 mila euro. Per non
parlare di ciò che potrebbe accadere con le donazioni, anch' esse slegate dall'
obbligo di un atto pubblico».
Che accadrebbe? «Noi facciamo l'atto pubblico con due testimoni e
accertiamo la reale volontà del donante. Pensi cosa potrebbe accadere con
una semplice autentica di firma con qualche ricco vecchietto ... ». (a. bon.)
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IL FOGLIO
Liberalizzare? Aiuto, moriremo tutti!
Mettete in fila tutti gli altolà delle varie corporazioni italiane di fronte al ddl
Concorrenza del governo. Avrete paura, ma tanta
II liberismo contribuisce ai focolai d'ebola nei paesi poveri (copyright: il
presidente della Camera, Laura Boldrini), e vabbe'. Ma anche le
liberalizzazioni nei paesi ricchi arrivano sotto gli auspici della vecchia signora
con la falce. Basta guardare le reazioni al ddl Guidi sulla concorrenza e
prenderle per un attimo (ma solo per un attimo) sul serio.
Per dire, i rischi si annidano ovunque. Anche in una cosa apparentemente
innocua, come l'obbligo per le assicurazioni di concedere sconti ai clienti che
(volontariamente) accettano di farsi riparare la macchina nelle officine
convenzionate. Tutto bene? No! Infatti avremo "auto riparate male e in fretta,
e con gravissimo pregiudizio dei diritti degli automobilisti. Questi ultimi non
potranno più scegliere liberamente di rivolgersi al carrozziere di fiducia. Con
effetti devastanti per la sicurezza stradale" (Federcarrozzieri). Morti come se
piovesse, insomma.
Non va meglio con la liberalizzazione del recapito degli atti giudiziari che
potrebbe mettere a repentaglio la certezza della consegna. O il superamento
della maggior tutela nei mercali di elettricità e gas, con le nonnine di
tutt'Italia o messe sotto schiaffo da conguagli milionari, oppure lasciale al
buio. E chi la darà più la mancetta al nipotino precario (colpa del Jobs Act, ça
va sans dire).
Ma il peggio arriva col capitolo delle professioni. Mettere in discussione
l'esclusiva notarile sulla redazione di atti quali le compravendile di garage e la
costituzione di start up con modesto capitale sociale scatenerà l'iradiddio: non
solo il ddl Concorrenza "consegna il mercato dei servizi professionali alle
lobby delle banche e delle assicurazioni", ma addirittura espone l'intero paese
"a forti rischi di criminalità, abusi e frodi", senza contare la "rarefazione delle
verifiche antiriciclaggio" (Consiglio nazionale del notariato). Del resto, con
l'ingresso di soci di capitale negli studi legali e nelle farmacie si favorisce "il
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gravissimo fenomeno del riciclaggio di capitali di origine tull'altro che
limpida" (Federazione degli ordini dei farmacisti). E' solo grazie all'eroica
resistenza delle forze della conservazione se le cose non sono andate del tutto
a rotoli. Per esempio, le prime bozze del ddl contenevano interventi in
materia portuale, come la liberalizzazione dei servizi tecnico-nautici e del
lavoro temporaneo portuale: se ci si fosse mossi in quella direzione, si
sarebbero cancellale "le regole che garantiscono la sicurezza", lasciando piede
libero alla "deregolamentazione, alle cooperative spurie, alle infiltrazioni della
criminalità organizzata" (Uilt). La vera strage è stata scongiurata grazie allo
stop alla liberalizzazione dei farmaci di fascia C: l'allargamento dei canali
distributivi, a dispetto dell'obbligo di ricetta, favorirebbe l'abuso di farmaci
"responsabile negli Stati Uniti di oltre 100.000 morti l'anno" (Aifa). E
fortunatamente, avendo impedito la riforma degli autisli Ncc che avrebbe
sgomberato il terreno per i servizi di Uber e delle altre piattaforme, si è pure
prevenuta una deriva incontenibile di illegalità e soprusi, "come in India, dove
un driver Uber ha stuprato una passeggera".
La realtà è persino più grave, perché le disgrazie liberalizzatorie non vengono
mai da sole. Vanno viste nel complesso. E allora: quali è quanti atti inconsulti
potrebbe mai compiere un carrozziere taglieggiato dalla convenzione,
disperato in quanto ospite di un'officina venduta a sua insaputa dalla camorra
per mezzo di avvocati compiacenti, in mano agli strozzini per pagare la luce
che nel frattempo gli hanno tagliato, stremato per il lavoro notturno in una
cooperativa del porto, impasticcato di farmaci di fascia C, e pure ricercato per
non aver pagato una multa smarrita dal portalettere privato? Per fortuna
queste cose (ancora) non possono succedere in Italia, paese ameno di
farmacisti rurali, avvocati di rione, notai di fiducia, carrozzieri aumma
aumma e postini che sbadigliano sempre due volle.
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IL GIORNALE
La trappola che impedisce di incastrare le toghe sulla
responsabilità civile
I tre anni per il risarcimento si calcolano dall`arresto: così richieste
impossibili
Una legge sbandierata dal governo Renzi come una pagina di civiltà. Ma una
dose di robusto scetticismo è d`obbligo dopo aver letto gli articoli della nuova
nonna sulla responsabilità civile dei magistrati, appena approvata dopo
interminabili polemiche dento e fuorii1Palazzo. Scintille, scenari apocalittici,
previsioni nefaste sul futuro delle toghe italiane.
E invece trabocchetti e trappole ci sono ancora. Una in particolare: il termine
entro cui si può fare causa è ancora troppo stretto per chi sia finito negli
ingranaggi di una giustizia ingiusta.
Il termine infatti aumenta, e questo è meritorio, da due a tre anni. Ma il
triennio viene calcolato nello stesso modo in cui si conteggiava con la legge
Vassalli: in pratica a partire dalla fase cautelare, delle manette. E non dopo il
verdetto di assoluzione.
Dunque, troppo presto, in una fase delicata e drammatica del procedimento
in cui la causa al magistrato che abbia sbagliato è l’ultimo pensiero per
l`inquisito che sta combattendo. E vuole solo dimostrare la propria
innocenza: di conseguenza tiene un profilo basso, immaginando che una
conto denuncia conto chilo accusa possa diventare un boomerang.
L` articolo chiave è il 4: «L`azione di risarcimento del danno contro lo Stato
può essere esercitata soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di
impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimento cautelari
o sommari». Qualche riga dopo il legislatore aggiunge: «la domanda
dev`essere effettuata a pena di decadenza entro te anni».
Eccoci al punto infiammato. È vero, gli anni non sono più due ma tre, e però
l`ostacolo, che nessuno pare aver visto in Parlamento, è lì a bloccare il
passaggio: il countdown comincia quando l`inchiesta è ancora in pieno
svolgimento.
Quando l`inquisito è ancora in carcere o ai domiciliari e magari dev` essere
ancora rinviato a giudizio. Il linguaggio è tecnico e poco comprensibile per il
profano, ma il senso è chiaro: il conto alla rovescia inizia nel momento in cui
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il provvedimento cautelare si cristallizza. Che vuol dire? Poniamo che
l`indagato sia in carcere e continui a professarsi innocente. L`avvocato ha
giocato la carta della scarcerazione prima al tribunale del riesame, poi in
Cassazione. Ecco, la linea di partenza viene stabilita sul calendario il giorno in
cui la suprema corte si è pronunciata su quel punto. Prima
dell`eventuale condanna di primo grado.
E dei successivi gradi di giudizio.
Tutte queste fasi arriveranno nel tempo ma sappiamo come sia lenta, a volte
quasi immobile, la nostra giustizia. E allora il legislatore, vecchio o nuovo fa
poca differenza, detta una partitura che pare essere obiettivamente
poco realistica. Perché costringe a venire allo scoperto nel momento meno
opportuno.
Spiega l`avvocato Francesco Murgia, storico difensore di Vittorio Emanuele
di Savoia: «Ma io come faccio a iniziare un`azione di responsabilità civile
contro un magistrato se sono ancora sotto scacco? Se il mio procedimento è
ancora in corso e le accuse non sono cadute?». Un` osservazione semplice, di
buonsenso, che però pare essere sparita nelle curve di un dibattimento
appassionato. La nuova legge ha abolito, e non è poco, il filtro che prima
bloccava gran parte dei procedimenti, e ha ritoccato alcuni punti, ma ha
trascurato questo elemento. Prosegue Murgia: «Per intraprendere la causa
contro il pm Henry John Woodcock e il gip Alberto Iannuzzi abbiamo dovuto
attendere che il principale capo d`imputazione, l`associazione a delinquere,
si afflosciasse. Purtroppo abbiamo dovuto pazientare a lungo, per anni e
anni». Il testo in carta bollata è stato presentato il 9 dicembre 2011. Troppo
tardi. Puntuale come un orologio svizzero è scattatala ghigliottina: «L`
azione- scrivono i giudici di Catanzaro - è inammissibile perché non
tempestiva con riguardo alla richiesta di applicazione della misura
emanata da Woodcocki il 9 maggio 2006 e all`ordinanza emanata dal gip
Iannuzzi il 15 giugno 2006.Iltermine biennale decorre quando non sia più
possibile la rimozione dell` ordinanza del gip che ha disposto la misura
cautelare». Oggi il termine è triennale ma il nocciolo del problema
è ancora lì. La giustizia va di corsa. E non aspetta. Il principe dovrà
accontentarsi dei 39mila euro incassati dopo la vittoria in un altro processo:
quello per l`ingiusta detenzione. La responsabilità civile rischia di restare nel
cassetto in cui è chiusa da quasi trent` anni. Stefano Zurlo
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LA REPUBBLICA
Falso in bilancio, marcia indietro
L`ultima ipotesi del governo: la pena massima scende da 6 anni a5 perle
imprese
non quotate in Borsa. Così non potranno essere autorizzate le intercettazioni
telefoniche
ROMA. È già marcia indietro sul falso in bilancio. Oggi il governo - il
Guardasigilli Andrea Orlando - presenta in commissione Giustizia al Senato
l`ultimo emendamento partorito in via Arenula, frutto delle estenuanti
mediazioni con il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi e con i
tecnici del Mef, ìl ministero dell`Economia. I risultati si vedono. Se sarà
confermata l`ultima bozza che ieri sera i tecnici hanno messo sulla scrivania
del ministro della Giustizia, il falso in bilancio già vede calare la pena dagli
iniziali 2-6 anni a 1-5 anni per le imprese non quotate in borsa,
che ovviamente sono la stragrande maggioranza.
L`effetto della diminuzione di pena, che piace a Ncd e soprattutto a Forza
Italia, non è affatto di poco conto. Il falso in bilancio non potrà più essere un
reato intercettatile, perché su questo il codice di procedura penate è chiaro.
All`articolo 266 infatti stabilisce che il presupposto ineludibile per ottenere
gli ascolti è che il reato preveda una «superiore nel massimo a 5 anni». La
pena «fino» a 5 anni quindi non è sufficiente. Anche oggi, grazie alla "cura”
di Berlusconi che risale ormai al 2001-2002, il falso in bilancio, punito fino a
2 anni dai 5 originari, non permette ai pm di chiedere le microspie.
Proprio questa è stata, dai tempi della riforma, una delle principali critiche
dei magistrati impegnati nelle indagini sui reati finanziari.
Ci sono decine e decine di dichiarazioni, interviste, saggi su riviste giuridiche
che discettano sulla necessità di poter mettere sotto controllo i telefoni di
chi viene beccato a falsare i bilanci. A chi sostiene che questo non è necessario
perché il reato è documentale, le toghe obiettano che gli ascolti possono far
scoprire l`intenzionalità del falso. Ma su questo reato si è scatenata ormai una
vera e propria guerra. Non si contano più nuove versioni e rifacimenti
rispetto alla versione approvata in consiglio dei ministri il 29 agosto.
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Nel testo di quel giorno non c`erano le soglie di non punibilità, dell`1 e del
5%, che poi sono state reintrodotte, giusto le stesse del "falso" in versione
Berlusconi; c`era la pena da 3 a 8 anni per le società quotate, che è rimasta;
c`era quella da 2 a 6 anni per le non quotate, che si è ristretta a 1-5 anni, dopo
l`ultima riunione di tecnici - Giustizia, Mise, Mef - che si è tenuta venerdì
scorso. Ma non basta ancora. Ecco, per "salvare" le piccole imprese,
un`ulteriore mini-punibilità, 1-3 anni, che dovrebbe restare, ma spesa solo
come una sorta di attenuante.
L`ennesima aggiunta riguarda la legge sulla tenuità del fatto, espressamente
citata nel testo per evitare che qualcuno possa dimenticarsi che esista.
La legge che sarebbe dovuta servire per i casuali furti di mele adesso si dovrà
applicare ai falsi in bilancio visto che copre reati «fino a 5 anni». Già, questo
spiega la diminuzione della pena originaria, quei 2-6 anni che adesso
diventano 1-5 anni. Tutti i falsi in bilancio delle società non quotate
potrebbero rientrare nella legge sulla tenuità e quindi non dar luogo ad alcun
processo. Orlando aveva ipotizzato di presentare l`emendamento in
aula, dove il ddl anti-corruzione Grasso dovrebbe approdare già da giovedì.
Ma l`ostruzionismo di Forza Italia lo sta bloccando in commissione Giustizia,
anche per via delle carte ancora coperte sul falso in bilancio. Il rischio è che
non si esca dalla commissione, o peggio che il testo vada in aula senza
l`attuale relatore, l` avvocato Nico D`Ascola di Ncd, ma "portato" dal
presidente della commissione, il forzista Nitto Palma. Per questo Orlando
presenta l`emendamento che, per la sua natura, dovrebbe tranquillizzare
almeno i berlusconiani. Vedremo come reagirà la sinistra del Pd. LIANA
MILELLA
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IL SOLE 24 ORE
Falso in bilancio senza doppio binario
di Alessandro Bernasconi
La riforma del falso in bilancio di cui si sta discutendo in questi giorni pone
sul tappeto una serie di questioni che riguardano i contenuti della ventilata
nuova fattispecie, il perimetro della sua applicazione nonché la portata
sanzionatoria della medesima. Occorre comprendere quale sia lo stato
dell’arte in materia prima di addentrarci nel ginepraio delle opzioni che oggi
si stanno vagliando.
Il legislatore del 2002 aveva disatteso le istanze di tutela dai reati commessi
all’interno delle società commerciali, rivolgendo l’incriminazione alla sfera
meramente patrimoniale; era passata così in secondo piano la protezione di
rilevanti interessi diffusi, quali l’informazione e la trasparenza societaria. La
manovra selezionò i beni giuridici penalmente rilevanti con un approccio - di
fatto - depenalizzante: di conseguenza, il falso in bilancio è “evaporato” dalle
aule dei tribunali. I profili della fattispecie (articolo 2621 Codice civile) a
favore di questo risultato erano sostanzialmente tre: il primo concerneva lo
svilimento del delitto di false comunicazioni sociali a semplice
contravvenzione - punita con l’arresto fino a due anni - suscettibile di andare
prescritta in tempi assai brevi; il secondo riguardava l’introduzione di plurime
forme di dolo - intenzionale per l’inganno ai destinatari, specifico per il
requisito dell’ingiusto profitto - con tutte le intuibili difficoltà di accertamento
dell’elemento soggettivo connesse a tale scelta; l’ultimo contemplava le (tanto
contestate) soglie di rilevanza del falso, di natura sia qualitativa che
quantitativa. A completare il disegno si introducevano, nell’ambito del dlgs
231/2001 sulla responsabilità degli enti, sanzioni pecuniarie per i reati
societari di cui l’ente medesimo si fosse avvantaggiato. Le sanzioni
interdittive, di gran lunga più incisive, risultavano, invece, pretermesse: così
facendo, la riforma relegava definitivamente le false comunicazioni sociali nel
limbo delle norme inefficaci.
In base al complicato meccanismo di soglie percentuali, la punibilità risulta
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oggi esclusa se i falsi determinano una variazione del risultato economico di
esercizio non superiore al 5%, o una variazione del patrimonio netto non
superiore all’1% oppure - se l’illecito deriva da valutazioni estimative - quando
tali apprezzamenti, considerati singolarmente, si discostano in misura non
superiore al 10% da quella corretta. Da considerare, inoltre, che la punibilità
risulta esclusa se le falsità o le omissioni non siano tali da alterare, in modo
sensibile, la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o
finanziaria della società. Gli interpreti si sono quindi scontrati con
innumerevoli problemi, tra i quali l’inafferrabilità del concetto di alterazione
sensibile e i complessi rapporti tra quest’ultima e le soglie quantitative.
Alla luce di ciò, riclassificare la fattispecie incriminatrice come delitto di mero
pericolo - spostando così l’asse della tutela verso la trasparenza e l’affidabilità
delle informazioni societarie, cioè i “veri” beni da proteggere - costituisce una
premessa ineludibile. Analoga valutazione per il ripristino della procedibilità
d’ufficio nei riguardi delle false comunicazioni in danno di società, soci e
creditori (articolo 2622 del Codice civile): ci si accomiaterebbe, in tal modo,
da quella “privatizzazione” della giustizia che è connessa alla necessità della
querela della parte offesa. Discutibile appare essere, invece, l’ipotesi di
calibrare l’afflittività della sanzione alla dimensione dell’impresa; se obiettivo
primario è salvaguardare la correttezza delle informazioni sociali, non appare
congrua l’adombrata - e più mite - diversificazione a favore delle imprese di
ridotte dimensioni. Non appare procrastinabile, in ultima analisi,
l’introduzione di sanzioni interdittive per i reati societari che costituiscono
altrettanti presupposti della responsabilità “amministrativa” degli enti.
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LA REPUBBLICA
LA LETTERA
I magistrati e l’interpretazione della riforma
Caro direttore,
domenica ho letto l`editoriale di Scalfari.
Ne apprezzo gli spunti di riflessione ma non posso condividere il giudizio
sulla buona qualità della riforma della responsabilità civile dei magistrati.
Purtroppo, l`azione civile non sarà consentita solo all`esito della sentenza
definitiva ma sarà possibile anche incorso di giudizio, contro i
provvedimenti sommari e cautelari divenuti irrevocabili e contro
ogni provvedimento, una volta trascorsi tre anni. Dunque, potrà accadere che
l`azione civile si sviluppi parallelamente al processo, col rischio di causare
incompatibilità dei giudici e di prestarsi ( come già accaduto in passato) ad
abusi, che il filtro ha consentito, finora, di stroncare sul nascere. La sua
abolizione darà spazio invece ad ogni sorta di azione, la cui inammissibilità
potrà essere dichiarata solo all`esito del giudizio. Quanto alla tutela
dell`interpretazione, avere ampliato la responsabilità al `travisamento del
fatto o delle prove" apre un varco al sindacato sul merito del giudizio. Se per
"travisamento" deve intendersi soltanto il macroscopico e inescusabile
stravolgimento dei fatti, perché si è scelta invece una formula così ambigua?
In realtà, i rischi della riforma li avevamo segnalati sia alla Commissione
giustizia della Camera sia al ministero della Giustizia.
Se alcune previsioni del testo originario sono state eliminate, la volontà
politica è rimasta ferrea sul travisamento e sull`eliminazione del filtro.
Quanto alla richiesta di maggiori risorse - ma anche di migliori leggi civili,
penali e processuali - da sempre noi la rivolgiamo alla politica, senza grandi
risultati, finora. Che la riforma della responsabilità civile sia giunta
prima, dovrebbe far riflettere sul senso di tale scelta.
RODOLFO SABELLI - presidente dell`Anm
Ho piacere che queste obiezioni così lucide e sottili siano portate, tramite
il nostro giornale, a conoscenza della pubblica opinione. Il ministro della
Giustizia Andrea Orlando, con il quale ho avuto negli ultimi giorni vari
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contatti telefonici, credo conosca bene le vostre obiezioni e credo anche
che nei limiti delle sue possibilità ne abbia tenuto conto, modificando in
alcuni punti ancora più sensibili il testo iniziale della legge la quale passò al
Senato e più recentemente anche alla Camera.
Il medesimo ministro mi ha detto che proprio parlando con lei seppe che la
maggioranza della vostra Associazione voleva comunque che la legge passasse
per evitare che la rivalsa fosse direttamente effettuata sul magistrato
denunciato da un ricorso e non più dallo Stato nella persona del Presidente
del Consiglio, salvo rivalsa in alcuni casi e comunque nei limiti di metà dello
stipendio dal medesimo percepito.
Non credo, anzi escludo, che il ministro mi dicesse bugie. Lei, egregio
presidente, smentisce o conferma questa vostra pressione affinché comunque
la legge fosse approvata? Questo sarebbe interessante saperlo.
Quanto al resto delle sue obiezioni, penso che tocchi non certo a me ma al
ministro rispondere sul nostro giornale o in Parlamento o comunque
pubblicamente.
Eugenio Scalfari
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IL MESSAGGERO
Criminalità, sindaci sempre più sotto tiro
Amministratori locali minacciati, cresce la paura: nel 2013
ben 870 atti intimidatori. E in 40 anni ne sono stati uccisi 132
Il rapporto della commissione del Senato: fenomeno in aumento dal Sud al
Nord. Solo il 13,7% degli episodi è collegato alla mafia
LA RELAZIONE
ROMA Migliaia di atti intimidatori, 1265 da gennaio 2013 ad aprile
2014 buona parte dei quali (l’`86% ma nel Sud supera il 90) resta senza
autori. Auto incendiate, colpi d`arma da fuoco, lettere minatorie.
Una valanga di azioni, buona parte delle quali, circa il 60%, considerate
"lievi" ma che messe l`una di seguito all`altra finiscono per raccontare un
paese in cui gli amministratori locali sono molto spesso in prima linea. E soli.
E` il ritratto del paese che emerge dalla relazione della Commissione
d`inchiesta del Senato sul Fenomeno delle intimidazioni nei confronti
degli amministratori locali presieduto dalla senatrice pd Doris Lo
Moro. Il quadro è particolarmente grave al sud e nelle isole, dove «si
sono verificati il 97 per cento del totale degli episodi intimidatori
con l`utilizzo di armi da fuoco; il 94% con utilizzo dì ordigni esplosivi;
l`88 per cento dei casi di incendi di autovetture e il 78% delle intimidazioni
tramite incendi dolosi».
La mafia è solo una parte, ormai persino minoritaria del fenomeno
visto che solo «nel 13,7 per cento dei 673 casi per i quali le prefetture hanno
indicato una presumibile matrice collegata a a strategie criminali». Il resto
sono frutto di "disagio sociale", "proteste legate a questioni amministrative",
minacce relative a "rivalità politica".
L`amministrazione pubblica più vicina è anche la prima ad essere colpita. Dal
1974 ad oggi gli omicidi sono stati 132 e la Commissione ha voluto elencare i
nomi e le circostanze una per una.
I SINDACI
L`obiettivo prevalente nelle azioni intimidatorie sono i sindaci, cui
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sono rivolti il 35% del totale degli episodi (446 casi). Dai dati forniti
alla Commissione dalle prefetture, emerge che il 48% dei casi si è verificato in
Comuni di oltre 15mila abitanti mentre un episodio su quattro in un piccolo
comune (meno di 5.000 abitanti). La Commissione evidenzia inoltre «la vera
cifra oscura del fenomeno, quello delle dimissioni, che con maggiore facilità
sfuggono ad un accertamento cristallizzato: le dimissioni come effetto delle
intimidazioni, del
condizionamento
pieno
dell`attività politica
ed
amministrativa», e al riguardo non ci sono dati certi: ciò che è possibile
acquisire con certezza è il dato medio annuo dei Comuni italiani sciolti
anticipatamente a partire dal 1993 che è intorno al 2,5% con le punte
massime che riguardano la Puglia (7,4%), la Campania (6,3%) e la
Calabria (5,1%). Per intervenire sul fenomeno, la commissione presieduta da
Doris Lo Moro propone tra l`altro l`introduzione di un`aggravante per chi
colpisce gli amministratori locali. Sara Menafra
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LA REPUBBLICA – Affari e Finanza
Così il Job Act cambierà la vita degli avvocati giuslavoristi
"DOVREMO LITIGARE MENO: CI TOGLIEREMO LA TOGA E CI VESTIREMO DA
CONSULENTI», DICONO I LEGALI SPECIALIZZATI IN QUESTO SETTORE. DIMINUIRÀ IL
CONTENZIOSO TRA AZIENDE E DIPENDENTI MA SERVIRÀ COMUNQUE UN APPROCCIO NUOVO
Dovremo litigare meno: « togliere la toga e vestirci da consulenti». Lo
descrive come un cambio di abito Marcello Giustiniani, 51 anni, managing
partner dello studio Bonelli Ere de Pappalardo. E con lui concordano molti
legali specializzati in diritto del lavoro. Come da promesse, il Jobs Act
diminuirà il contenzioso tra aziende e collaboratori, quello che fino a oggi
ha intasato le aule di giustizia e dissuaso molte imprese straniere
dall'investire in Italia. Il demansionamento, grande fonte di litigi, diventa più
elastico. Nei licenziamenti, altro tradizionale oggetto di contesa, viene molto
limitata la discrezionalità del tribunale. Per gli studi, specie quelli che hanno
sempre puntato sul giudiziario, la prima conseguenza potrebbe essere una
diminuzione di attività e fatturato. Male grandi law firm ci vedono anche
un passo verso una nuova e più sofisticata giurisprudenza. E soprattutto
l'occasione di offrire alle aziende un servizio diverso e a maggiore valore
aggiunto: «Dobbiamo essere propositivi - spiega Giustiniani – aiutare
l'impresa a cogliere le opportunità che questa legge offre». Una norma «ben
scritta», secondo il 57enne Franco Toffoletto, presidente dello studio
Toffoletto De Luca Tamajo e soci, uno dei leader del settore. Sono due in
particolare, dice, le leve che permetteranno di ridurre il livello di litigiosità. D'
ora in poi le indennità per i licenziamenti illegittimi verranno determinate in
automatico, in relazione all'anzianità del lavoratore: «Fin dal momento del
recesso le parti sapranno quali sono le cifre in gioco. E questo restringerà in
modo notevole il potere discrezionale del giudice». Allo stesso tempo la
conciliazione stragiudiziale, finora mai decollata, viene incentivata dal punto
di vista fiscale: «L'azienda paga di meno, il dipendente riceve una cifra
uguale) perfino superiore, credo che funzionerà», commenta Toffoletto.
Anche perché chi fa causa non beneficerà più della corsia preferenziale creata
dalla riforma Fornero, ma dovrà seguire il rito ordinario. ben più lento.
Non converrà più, specie nei casi di licenziamento per giustificato motivo
oggettivo, quelli economici, che con l'abolizione dell'articolo 18 non
contemplano più la reintegrazione in azienda. «Ecco invece un contenzioso
che potrebbe aumentare, quello in cui si hanno ragionevoli aspettative di
recuperare il posto di lavoro", esordisce Luca Failla, 53 anni, founding partner
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dello studio Lablaw. Si cercherà di provare che il fatto, alla base di un
licenziamento disciplinare, come un furto o un'assenza ingiustificata, non
sussiste. O che la rescissione del con- tratto è il frutto di ritorsione o
discriminazione: «Mi aspetto che le cause vengono forzate in questo senso –
continua Failla - è una tendenza già vista dopo la riforma Fomero e destinata
ora a consolidarsi. A quel punto molto dipenderà dalla valutazione del
giudice, che potrebbero vedervi una strada per preservare la loro facoltà di
scelta, per non ridursi a semplici contabili di un indennizzo».
Dunque l'eccezione italiana è destinata, almeno in parte, a restare. Anche in
altri Paesi, come Austria o Grecia, la reintegrazione è prevista, ma di fatto non
viene mai applicata. Nel nostri tribunali è stata sempre la regola.
Eppure secondo il 46enne Massimiliano Biolchini, partner della law firm
Baker & Mckenzie, il Jobs Act porta il nostro ordinamento più vicino agli
standard internazionali: «L'indennizzo rapportato all' anzianità è ispirato al
modello spagnolo e scoraggerà il contenzioso temerario, lo stesso giudice
spingerà per la conciliazione». Di matrice anglosassone invece è l'importanza
riconosciuta alla discriminazione: «In questo campo vedremo cause più
sofisticate, legate alle forme più occulte di discriminazione come quelle per
età, sesso, o affiliazione sindacale», prevede Biolchini. «Nel medio e lungo
termine mi aspetto un aumento della qualità del contenzioso». Certo positiva
per gli studi legali. Per vedere le prime cause in regime di Jobs Act bisognerà
comunque aspettare qualche mese, almeno il tempo che quei lavoratori
vengano assunti. Per diversi anni, poi, le aziende dovranno destreggiarsi tra
due tipologie di contratti, pre e post riforma.
Ben più immediata, invece, è un'altra misura, quella che prevede la
trasformazione dei collaboratori in dipendenti: «Una grossa occasione per le
imprese, di fatto una sanatoria che chiude ogni contenzioso sia con il
lavoratore che con gli enti previdenziali», spiega Giustiniani. «In generale noi
avvocati dovremo sempre più suggerire alle aziende come cogliere queste
opportunità. anche creando dei protocolli che possano applicare in
autonomia». Quel lavoro di consulenza, su contratti, retribuzioni e
trasferimenti, che molti studi già fanno da tempo: «Per noi costituisce la metà
degli introiti», conferma Franco Toffoletto.
E che grazie alla riforma, aggiunge Biolchini, evolverà ancora: «Diventerà
quasi un'attività di formazione per l'impresa sui temi delle risorse umane, del
percorsi di carriera e della compliance. Una cultura nuova, non
distruttiva ma costruttiva. Filippo Santelli
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IL SOLE 24 ORE
Alla firma il decreto sulle tutele crescenti
La firma del Presidente della Repubblica ai primi due Dlgs attuativi del Jobs
act - che istituiscono il contratto a tutele crescenti e il nuovo ammortizzatore
Naspi - è attesa domani, dopo il rientro dal viaggio in Germania. Poi i due
provvedimenti saranno trasmessi alla Gazzetta Ufficiale per la pubblicazione,
per entrare in vigore dal giorno successivo. In leggero ritardo, dunque, sulla
tabella di marcia fissata dal premier Renzi, che aveva annunciato dal 1° marzo
le assunzioni con il nuovo contratto a tutele crescenti, che nel 2015
beneficiano dell’abbattimento contributivo annuo fino a 8.060 euro (di durata
triennale) previsto dalla legge di stabilità, in aggiunta al taglio del costo del
lavoro dalla base imponibile Irap già in vigore per tutti gli assunti a tempo
indeterminato.
È probabile che molti imprenditori che abbiano in programma di assumere
siano in attesa che la nuova disciplina entri in vigore, visto che al forte
abbattimento del costo del lavoro (il contratto a tempo indeterminato a tutele
crescenti è meno costoso di una collaborazione), si somma la modifica delle
regole sui licenziamenti (l’indennizzo diventa la regola, al posto della
reintegra). Diventa subito operativa anche la Dis-coll, l’indennità di
disoccupazione destinata alle collaborazioni iscritte in via esclusiva alla
gestione separata che perdono il lavoro nel corso del 2015. Mentre dal 1°
maggio debutta la nuova assicurazione sociale per l’impiego (Naspi) destinata
ai lavoratori con rapporto subordinato che abbiano perso il lavoro. Intanto
ancora non sono stati trasmessi alle commissioni parlamentari i due schemi
di Dlgs sul riordino delle tipologie contrattuali-revisione disciplina delle
mansioni e sulla conciliazione di tempi di vita e di lavoro, approvati in via
preliminare dal consiglio dei ministri del 20 febbraio. G. Pog.
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LA REPUBBLICA
La fuga dalle tasse
Il segreto bancario cade anche a Montecarlo
L'accordo si aggiunge a quelli firmati con Svizzera a Liechtenstein: per
dichiarare i redditi c'è tempo fino al 30 settembre
Sportivi e uomini dello spettacolo, ecco i settemila italiani che hanno scelto di
portare la residenza nel principato
Monaco esce dalla black list: lo scambio di informazioni con l'Agenzia delle
entrate diventerà automatico
MILANO. Addio residenze—vere o fittizie—a Montecarlo: d'ora in poi non
servirà più cambiare indirizzo per sfuggire all'Agenzia delle entrate e cercare
di eludere (o evadere) il Fisco; né sarà possibile schermarsi dietro il segreto
bancario del Principato di Monaco.
Dopo gli accordi già conclusi con la Svizzera, il primo e forse il più
importante, e a seguire con il Liechtenstein, ieri è stato firmato anche con
Montecarlo l'accordo sullo scambio di informazioni a fini fiscali tra i due
paesi. Il Protocollo in materia di "richieste di gruppo" fa cadere anche per il
Principato il segreto bancario e disciplinale richieste in relazione a categorie
di comportamenti che fanno presupporre l'intenzione dei contribuenti di
nascondere al Fisco italiano patrimoni o attività detenute irregolarmente nel
Principato.
Con la firma di ieri, che riguarda in particolare un Accordo, un Protocollo e
una Dichiarazione congiunta, il Principato viene considerato non più un paese
da "black list" ai fini della Voluntary Disclosure, della dichiarazione volontaria
con cui i contribuenti possono regolarizzare la propria posizione
relativamente ai capitali all'estero. Con questo accordo si potrà accedere (c'è
tempo fino al 30 settembre) alle condizioni più favorevoli previste dalla legge
e cioè il pagamento per intero delle imposte dovute ma con sanzioni ridotte
(grazie all'inclusione nella white list ). Anche con il Principato ci sarà poi la
seconda fase, quella dello scambio automatico di informazioni secondo gli
standard globali Ocse.
E se la Svizzera è stata da sempre la meta preferita dei grandi capitali in cerca
di segretezza assoluta (fino alla firma dell'accordo di pochi giorni fa) anche
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Montecarlo ha avuto tradizionalmente il suo fascino sugli italiani (circa
settemila) che negli anni hanno trasferito la loro residenza nel Principato.
Uno degli ultimi finito sotto i riflettori è il conduttore tv e attore Ezio Greggio,
che ha appena raggiunto con il Fisco una mega transazione per sanare il
contenzioso.
Ma la residenza a Montecarlo negli anni è piaciuta a moltissimi uomini di
spettacolo ( tra gli altri Umberto Tozzi e Valerio Merola ) e dello sport, dal
pilota di Formula Uno Alessandro Giannini al campione di ciclismo Davide
Rebellin, al due volte campione del mondo di ciclismo Paolo Bettini, al
campione del mondo di motociclismo Max Biaggi o a Loris Capirossi mentre
l'ex pilota di Formula Uno Giancarlo Fisichella ha riportato la residenza in
Italia dopo aver r aggiunto un accordo con l'Agenzia delle Entrate. VITTORIA
PULEDDA
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IL SOLE 24 ORE
Anche Monaco apre gli archivi al Fisco
MILANO. Anche il Principato di Monaco si allinea ai tempi - e ai benefici della legge italiana sul rientro dei capitali (186/14). Poche ore prima delle
chiusura dei termini per l’emersione dalla black list finanziaria delle Entrate
(mezzanotte di ieri), a Montecarlo l’ambasciatore Antonio Morabito e il
ministro degli Esteri e della cooperazione monegasco Gilles Tonelli siglavano
l’Accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, accordo che chiude
per sempre il paradiso più amato e più comodo - insieme alla Svizzera - per i
contribuenti italiani.
Come per le intese con la Confederazione elvetica (23 febbraio a Milano) e con
il Liechtenstein (giovedì scorso 26), il patto fiscale tra Roma e Montecarlo
determinerà grandi benefici per i contribuenti che sceglieranno di aderire prima del 30 settembre prossimo - alla voluntary disclosure. Dal radar del
Fisco, grazie all’accordo di ieri, escono le annualità 2006/2009, anche sotto il
profilo del monitoraggio fiscale (e non solo delle - pesanti - tasse che si
sarebbero dovute pagare) restando scoperte solo quelle successive, cioè le
movimentazioni verso la Costa Azzurra fatte tra il 2010 e il 2014 e i
rendimenti riscossi nello stesso periodo.
L’accordo di Montecarlo - che verrà presentato giovedì nel Principato in un
incontro con Amaf, l’associazione delle Attività finanziarie - introduce i nuovi
standard Ocse sullo scambio di informazioni fiscali, o meglio, vara lo scambio
individuale e di gruppo - comunque bilaterale - in attesa del 2017, quando
debutterà in area Ocse lo scambio automatico.
Da ieri - anche se il trattato deve essere ancora ratificato dal Parlamento - le
Entrate possono indagare sui conti di italiani a Monaco per dare la caccia a
Irpef, Ires, Irap, imposta sulle successioni, imposta sulle donazioni e imposte
sostitutive. Montecarlo potrà chiedere, in modo del tutto simmetrico,
informazioni sui redditi commerciali delle persone fisiche, sugli utili di
società, successioni, donazioni, trasferimenti e accise riguardanti i propri
cittadini. Il catalogo delle imposte “indagabili” è peraltro automaticamente
aperto alle eventuali future modifiche legislative dei due Stati, e include anche
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le imposte (cioè gli enti) locali.
Lo scambio di informazioni su richiesta, individuale o di gruppo, è costruito
sull’articolo 26 del modello Ocse, esattamente come avvenuto per Svizzera e
Liechtenstein. Quindi Montecarlo potrà solo esigere che le Entrate sfruttino
tutte le vie interne prima di chiedere assistenza, ma da quel momento in poi
non è più opponibile alcun segreto. Stretti i tempi della collaborazione: entro
60 giorni bisogna segnalare alla controparte eventuali incompletezze, entro
90 vanno inviati i dati, o in alternativa è necessario spiegare la (reale e
motivata) impossibilità ad adempiere.
L’intesa prevede anche la possibilità di effettuare verifiche fiscali all’estero da
parte del personale dell’Agenzia. L’accordo sulla riservatezza vincola poi
l’utilizzo dei documenti, divulgabili solo per finalità e in sedi giurisdizionali.
Infine è prevista una dettagliata disciplina per determinare la residenza (ai
fini dell’imponibilità) nei casi dubbi o quando il soggetto non abbia la
cittadinanza di nessuno dei due stati, e anche l’euroritenuta già versata viene
considerata un credito d’imposta. Marco Bellinazzo Alessandro Galimberti
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IL SOLE 24 ORE
Voluntary. Sanabili anche i contratti sottoscritti con istituti non residenti
Polizze assicurative al rientro
Tra le attività finanziarie detenute all’estero in violazione degli obblighi
dichiarativi che possono essere regolarizzate con la voluntary disclosure vi
sono anche le polizze assicurative sottoscritte con istituti di credito non
residenti e senza l’intermediazione delle filiali italiane.
Anche per queste, infatti, sussisteva, per le annualità ad oggi ancora
accertabili, considerando anche il raddoppio dei termini (articolo 12 del Dl
78/2009) nei casi di Paesi black list, la compilazione del quadro RW. In
particolare, andava dichiarato fino al 2012 il premio versato e il valore ai fini
dell’Ivafe dal 2013 da parte del soggetto contraente. Nessun adempimento per
la parte assicurata e i beneficiari. In tal caso per la regolarizzazione si
renderanno dovute le sanzioni previste dall’articolo 5 del Dl 167/90, l’imposta
sostitutiva sulla fruttuosità (articolo 6), al 27%-20% se ricorrente e l’Irpef sul
premio versato in base alla presunzione di cui all’articolo 12 del Dl 78/09
(salvo che la polizza sia stata sottoscritta prima del 2004 o sia dimostrata
l’irrilevanza reddituale) oltre alle sanzioni dell’articolo 1 del Dlgs 471/97. Con
riferimento invece alle polizze assicurative che mascherano attività finanziarie
di altra natura, inquadrate cioè come tali al solo fine di evitare l'euroritenuta
sugli interessi, il quadro è ancora da definire.
Queste attività derivano da prodotti finanziari sottoscritti formalmente tra il
contraente residente in Italia e le filiali aventi sede in paradisi fiscali di istituti
di credito con sede nella Ue o in Stati che applicano misure equivalenti (tra
cui Svizzera, Usa, eccetera).
In queste ipotesi, fondamentale è il comportamento tenuto dal contraente in
pendenza della polizza. Se questi ha utilizzato le disponibilità estere con
prelievi e depositi si cela un conto corrente bancario e come tale dovrà essere
considerato anche ai fini della voluntary. Se invece il comportamento
sostanziale del contraente corrisponde a quello formale della polizza dovrebbe
essere quest’ultima l’oggetto della dichiarazione di regolarizzazione.
Nicola Cavalluzzo Alessandro Montinari
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Retribuzione. Scelta ancora impossibile poiché il decreto attuativo non è stato
pubblicato in Gazzetta
Tfr in busta, opzione in stand by
Da stabilire la decorrenza del versamento dalla data della domanda
La monetizzazione del trattamento di fine rapporto (Tfr) come quota
integrativa della retribuzione (Quir) non potrà decollare sinché il previsto
Dpcm non verrà pubblicato in Gazzetta Ufficiale e acquisirà efficacia
legislativa.
Questo quanto si evince dalla lettura del nuovo comma 756 bis dell’articolo 1
della legge 296/2006, inserito dalla legge di stabilità 2015. La nuova
disposizione introduce la possibilità di pagamento mensile del Tfr,
prevedendo che, per i periodi di paga decorrenti dal 1º marzo 2015 al 30
giugno 2018, i lavoratori dipendenti del settore privato (esclusi colf e agricoli)
con anzianità di servizio di almeno sei mesi, possono richiedere al datore di
lavoro, «entro i termini definiti con il Dpcm che stabilisce le modalità di
attuazione della disposizione[…]».
Secondo la legge, dunque, servono termini e modalità di attuazione della
previsione normativa. La stessa definisce i caratteri fondamentali del nuovo
istituto (la Quir) individuando il campo di operatività temporale, che potrà
riguardare poco più di 36 mesi.
Per rendere pienamente operativo il tutto, mancano alcuni elementi
fondamentali. Per esempio dovrà essere formalizzato lo standard di modulo
di domanda (si veda «Il Sole 24 Ore» del 1° marzo). La legge non stabilisce
l’efficacia della richiesta. Si potrebbe, per esempio, supporre che in caso
d’inoltro della stessa, il primo pagamento della Quir transiti nella busta paga
relativa al mese seguente ma non è escluso che l’estensore del decreto,
volendo dare più tempo al datore di lavoro per organizzarsi, individui un
termine di più ampio respiro.
C’è, poi, un altro aspetto riferito ai datori di lavoro che occupano sino a 49
addetti. Questi ultimi, secondo quanto previsto dalla legge, potranno (se
vorranno) fronteggiare le richieste di pagamento della Quir, ricorrendo allo
speciale finanziamento bancario assistito da garanzia. Si può ipotizzare che
l’istruttoria della pratica per ottenere il prestito richieda tempi di attuazione
più lunghi anche con riferimento alle certificazioni che l’Inps sarà chiamata a
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rilasciare ai datori di lavoro. Va, peraltro, osservato che sempre sul fronte
dell’intervento bancario, non si ha ancora notizia dell’accordo quadro che
deve essere sottoscritto tra i ministeri (Lavoro ed Economia) e l’Abi. La
pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale» del Dpcm era attesa per sabato scorso.
Di fatto, qualche giorno di ritardo nella sua entrata in vigore non ne
modificherà l’operatività. Vi è però da evidenziare la consueta problematica
costituita dalla necessità di aggiornare le procedure utilizzate dalle aziende e
dai consulenti per la redazione delle buste paga. Al momento le aziende di
software sono in stand by, attendendo di conoscere i contenuti del decreto
attuativo.
Recenti indagini di mercato hanno evidenziato che solo una percentuale
molto limitata di lavoratori (circa il 15%) sembrerebbe intenzionata a chiedere
il pagamento della Quir. Sono stati coinvolti nell’analisi, per lo più, dipendenti
di aziende che occupano sino a 49 addetti. Va valutata quindi l’incidenza delle
aziende di piccole dimensioni, che – appesantite dalla scelta dei lavoratori decideranno di ricorrere al finanziamento bancario di cui, al momento, si è in
attesa di conoscere le regole. L’unica cosa certa è che il costo dell’operazione
bancaria non potrà gravare sul datore di lavoro in misura maggiore
all’ammontare della rivalutazione a cui il Tfr detenuto in azienda sarebbe
stato soggetto. Vanno, comunque considerati gli ulteriori oneri che
graveranno sulle aziende derivanti dall’impossibilità di ricorrere ad alcune
misure compensative previdenziali e fiscali, nonché dal contributo (0,20%)
destinato a finanziare il nuovo fondo di garanzia che opererà presso l’Inps.
Potranno ottenere il pagamento mensile della Quir anche i lavoratori che
hanno deciso di destinare il Tfr alla previdenza complementare.
Antonino Cannioto Giuseppe Maccarone
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IL SOLE 24 ORE
Dichiarazioni 2015. Niente obbligo da parte del sostituto di rilasciare la
certificazione unica in caso di ricevute non onorate
Certificati solo i compensi pagati
Le ritenute d’acconto non versate possono essere sanate con il ravvedimento
operoso
Un nuovo modello di certificazione da compilare, tempi stretti, sanzioni
pesanti, anche penali, e una difficile situazione economica che non sempre
permette di pagare parcelle, stipendi, ritenute d’acconto. Differenze
sostanziali tra lavoratori autonomi e dipendenti da non sottovalutare. Questi i
problemi per i sostituti d’imposta e per i professionisti alle prese, in questi
giorni, con la certificazione unica.
Cominciamo dai lavoratori autonomi. L’articolo 25 del Dpr 600/1973 prevede
che i sostituti che pagano compensi per lavoro autonomo o assunzione di
obblighi di fare, non fare o permettere, devono operare una ritenuta d’acconto
del 20% (dell’imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti),
con obbligo di rivalsa. Regole similari detta l’articolo 25-bis per provvigioni e
indennità di agenti, mediatori e rappresentanti. Pagato il compenso, il
sostituto dovrà versare la ritenuta entro il 16 del mese successivo e inviare la
relativa certificazione unica (Cu ) al percipiente e telematicamente alle
Entrate, quest’ultima entro il 9 marzo.
Dunque, nessun obbligo di versamento né di rilascio di certificazione c’è in
caso di omesso pagamento della parcella del professionista, seppure
regolarmente fatturata, o per la ricevuta pervenuta dal lavoratore occasionale
ma non onorata. Viceversa, se la prestazione lavorativa è stata saldata nel
2014, il sostituto deve provvedere a entrambi gli adempimenti, con attenzione
alla scadenza di invio della Cu, pena sanzione di 100 euro per omessa, tardiva
o errata presentazione. Analogamente, nel caso in cui al percipiente fossero
remunerate solo alcune parcelle e altre no, ai fini degli adempimenti, si
considerano solo quelle pagate.
In caso di omesso versamento ritenute, invece, si potrebbe verificare se ci si
trova nei limiti dell’articolo 2 del Dpr 445/97 per il versamento cumulativo.
Una mera facoltà che può tornare utile. In sostanza, il sostituto d’imposta
senza dipendenti che nell’anno corrisponde compensi a non più di tre
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lavoratori autonomi ed effettua ritenute d’acconto non superiori a 1.032,91
euro, può versare tali ritenute in sede di pagamento del saldo delle imposte
dirette in unica soluzione. Dei limiti citati, va monitorato bene quello relativo
all’esclusiva erogazione di compensi di lavoro autonomo, e cioè l’assenza degli
altri tipi di ritenute alla fonte, quali ad esempio quelle dei lavoratori
dipendenti o quelle relative alle anzidette provvigioni.
Qualche dubbio può sorgere nel computare i pagamenti effettuati a cavallo di
anno, in particolare per discernere quelli avvenuti entro il 31 dicembre. Come
conferma la circolare 38/E/2010, rileva il momento in cui il committente
effettua il pagamento o in cui le somme sono uscite dalla propria
disponibilità.
Per i dipendenti e assimilati, invece del 31 dicembre, la data di confine è il 12
gennaio del periodo di imposta successivo a quello di competenza, vigendo il
principio di cassa allargata di cui all’articolo 51, comma 1, Tuir. Degno di nota
è il caso degli amministratori di società (collaboratori e non professionisti,
secondo le indicazioni della circolare 105/E/2001), ove il compenso
deliberato e imputato correttamente a bilancio per competenza non sia stato
pagato entro il 12 gennaio dell’anno dopo. In questi casi lo stesso andrà
fiscalmente ripreso a tassazione nell’Unico della società come variazione in
aumento e – sul versante Cu – considerato nell’anno di effettiva erogazione,
secondo la cassa allargata.
Maggiori complicazioni vi sono se il datore di lavoro ha difficoltà col
pagamento dei salari. In fase di compilazione della Cu, andranno considerate
come imponibili e soggette a ritenute fiscali le sole somme corrisposte al
lavoratore; mentre sul piano dei contributi previdenziali si dovranno indicare
tutti quelli effettivamente maturati a prescindere se gli stipendi siano stati
pagati o meno. Nel caso limite di nessun pagamento nel 2014 (o meglio, entro
il 12 gennaio 2015 per il 2014) si dovrà compilare la sola sezione
previdenziale.
Fanno eccezione i collaboratori per i quali si applica il principio di cassa
allargata anche per la parte contributiva (e non come appena visto la
competenza).
Le ritenute d’acconto non versate nei termini sono sanabili con il
ravvedimento operoso. Stefano Sirocchi
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Professionisti. Compagnie assicurative indisponibili
I consulenti: difficile estendere le polizze
Istruzioni complicate, rischio elevato di errori, scarsa semplificazione.
Secondo i consulenti del lavoro la comunicazione unica sta diventando «un
vero rompicapo». Due i problemi irrisolti a una settimana dalla scadenza per
consegnare il nuovo CU (lunedì 9 marzo, visto che il 7 marzo cade di sabato):
la mancanza di una norma che garantisca la legittimità dell’invio dei soli dati
utili alla precompilazione del modello 730 (con rinvio per quelli riferiti agli
autonomi o all’Inail) e l’impossibilità di estendere l’assicurazione
professionale per la responsabilità scaturente dall’inoltro della modulistica
reddituale con visto errato.
Sul primo punto, i consulenti fanno osservare che una norma che garantisca il
duplice invio non c’è ancora. Allo stato esiste solo un comunicato stampa delle
Entrate del 12 febbraio che mette in risalto questa possibilità. «L’Agenzia evidenzia Rosario De Luca, presidente della Fondazione studi consulenti del
lavoro - recepisceparte delle criticità segnalate dai consulenti del lavoro, ma
serve una norma che metta al riparo dalla sanzioni». Un clima d’incertezza
che spiega come mai ben il 76% dei consulenti intervistati nei giorni scorsi
dalla Fondazione segnali «difficoltà della procedura nell’inoltro».
Il 70% degli intervistati non ha, invece, ancora materialmente provveduto
all’estensione della copertura assicurativa. «L’ampliamento della polizza di
Rcd alla luce del nuovo rischio tributi scaturente dal 730 precompilato sta
diventando un serio problema - sottolinea Marina Calderone, presidente del
Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro -. Non si trovano
infatti assicurazioni disponibili ad accollarsi il rischio. Sul tema abbiamo
interessato l’Agenzia, dichiaratasi disponibile ad approfondire la tematica e
ad aprire a breve un confronto con gli intermediari telematici».
M. Piz.
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Esecuzione. Tribunali in dissenso sulla possibilità per il creditore di ottenere
informazioni sui beni pignorabili
Banche dati, accesso (quasi) off limits
I giudici rilevano la mancanza dei decreti attuativi del ministero
Milano. È caos sull’accesso diretto da parte del creditore alle banche dati
pubbliche per dare la caccia ai beni pignorabili del debitore. La possibilità,
che rappresenta uno degli snodi principali della parte della riforma della
giustizia civile dedicata alla fase esecutiva, sta trovando un’applicazione a
macchia di leopardo, dopo che a partire dallo scorso 11 dicembre la norma è
diventata operativa. Almeno sulla carta, perchè l’assenza dei decreti attuativi
del ministero della Giustizia che dovevano chiarire «i casi, i limiti e le
modalità di esercizio della facoltà di accesso alle banche dati di cui al secondo
comma dell’articolo 492 bis del Codice, nonchè le modalità di trattamento e
conservazione dei dati e le cautele a tutela della riservatezza dei creditori» sta
provocando una situazione abbastanza paradossale. Con orientamenti
diametralmente opposti anche nell’arco di pochi chilometri.
Assodato infatti che senza le misure attuative gli ufficiali giudiziari non
possono intervenire, resta da vedere se lo può fare direttamente il creditore,
dietro autorizzazione del presidente del tribunale. La norma infatti spiega che
«quando le strutture tecnologiche, necessarie a consentire l'accesso diretto da
parte dell’ufficiale giudiziario alle banche dati di cui all’articolo 492-bis del
Codice e a quelle individuate con il decreto di cui all’articolo 155-quater,
primo comma, non sono funzionanti, il creditore procedente, previa
autorizzazione a norma dell’articolo 492-bis, primo comma, del Codice, può
ottenere dai gestori delle banche dati previste dal predetto articolo e
dall’articolo 155-quater di queste disposizioni le informazioni nelle stesse
contenute».
Vediamo un esempio, allora. Già la scorsa settimana era stata data notizia
dell’orientamento contrario all’accesso diretto espresso dal tribunale di
Novara. Ora, da Pavia, arriva invece un provvedimento di segno contrario.
Con ordinanza datata 2 marzo, infatti, il creditore viene autorizzato a ottenere
dall’anagrafe tributaria, dall’archivio rapporti finanziari, dal pubblico registro
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automobilistico, dalle banche dati degli enti previdenziali, tutte le
informazioni rilevanti per l'individuazione di cose e crediti del debitore. Una
decisione presa dopo che il responsabile degli ufficiali giudiziari aveva
confermato di non essere in grado, sul piano tecnologico, di avere le
informazioni richieste. L’ordinanza ricorda, tra l’altro, che la ricerca dei beni è
in realtà preliminare al pignoramento e che quindi non è necessario averlo
avviato prima di presentare la richiesta di accesso alle banche dati.
E se Napoli Nord è in sintonia con l’orientamento di Pavia, Lecco e Cremona
si mettono nella scia di Novara. La linea di contrasto all’accesso, a leggere i
provvedimenti, mette l’accento sull’impossibilità di spalancare le porte delle
banche dati ai creditori in assenza dei decreti attuativi, soprattutto tenendo
conto della delicatezza della materia che deve prevedere la massima
salvaguardia sui dati personali. Giovanni Negri
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Alla Giustizia 1.031 ingressi da altre Pa
Il ministero della Giustizia ha avviato il bando per la copertura di 1.031 posti.
Il testo con modalità e procedure è stato pubblicato venerdì scorso sul sito del
ministero (www.giustizia.it) e il termine per la presentazione delle domande
scadrà il 30 marzo 2015. Si tratta di un «bando di mobilità volontaria
esterna», quindi una procedura rivolta a personale dipendente a tempo pieno
e indeterminato appartenente non solo al comparto ministeri, ma anche ad
altre amministrazioni pubbliche, con particolare attenzione al personale delle
province e delle città metropolitane.
Nel dettaglio, i posti vacanti più richiesti sono quelli di funzionario giudiziario
(area III) per 739 unità. Seguono poi 160 assistenti giudiziari ( area II), 88
direttori amministrativi (area III), 29 cancellieri (area II), 8 funzionari
contabili (area III) e 7 assistenti informatici (area II). I posti sono distribuiti
nei distretti di tutta la penisola, anche se le richieste maggiori sono
concentrate in quelli di Napoli (210 posti), Roma (146) e Milano (100). Dal
ministero di Viale Arenula specificano che si tratta di un «risultato storico
perché mai è stato avviato da questa amministrazione un bando di mobilità
extracompartimentale e le ultime immissioni di personale attraverso
procedure concorsuali risalgono a dodici anni fa».
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Amministratori. Il sottosegretario alla Giustizia Ferri risponde sull’obbligo di
formazione dei professionisti
Nomina a rischio senza l’attestato
Esame «de visu» anche per chi ha seguito corsi di aggiornamento online
Se l’amministratore non rispetta l’obbligo di formazione la delibera di nomina
è a rischio. Lo afferma il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, che ha
seguito il decreto sulla formazione obbligatoria degli amministratori
condominiali e i correttivi alla riforma e che risponde ai quesiti emersi dalle
associazioni professionali.
Sottosegretario Ferri, il responsabile scientifico dei corsi potrebbe
anche svolgere il ruolo di formatore? Ritengo di no. Infatti il decreto
disciplina le due figure prevedendo distinti requisiti, in tal modo mirando a
tenere separati i due ruoli allo scopo di evitare conflitti di interesse e di
realizzare il controllo interno e la vigilanza del responsabile scientifico sul
formatore.
Il direttore di un ente accreditato alla formazione può rientrare tra
le definizioni di “responsabile scientifico”, non essendo
attualmente contemplato dalle Regioni che attualmente gestiscono
la formazione? Certo, purché possegga i requisiti stabiliti dal decreto
140/2014.
Cosa si intende, relativamente alla figura del responsabile dei
corsi, con l’espressione «professionista dell’area tecnica»? Si
intende far riferimento essenzialmente a ingegneri, architetti, geometri, periti
industriali e agrari.
Come deve fare il formatore “anziano”(in base al Dm 140/2014,
articolo 3, comma 1, lettera e) per dimostrare di aver svolto la sua
attività per almeno sei anni prima dell’entrata in vigore del Dm
140/2014? Dovrà produrre una qualunque prova documentale idonea a
dimostrare o a contribuire a dimostrare anche in via indiziaria e induttiva lo
svolgimento di una simile attività. Ad esempio, potrà fornire le locandine e i
programmi dei corsi nei quali appaiano data e durata dei corsi e il suo
nominativo come docente, nonché copia dei pagamenti a suo favore per le
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attività esercitate.
Il controllo dei requisiti formali dei responsabili scientifici (operato
dai responsabili organizzativi dei corsi) e dei formatori (operato dal
responsabile scientifico) può avvenire solo con un riscontro
documentale o i documenti possono essere sostituiti da
un’autocertificazione? Ritengo che l’autocertificazione non sarebbe
sufficiente. L’istituto dell’autocertificazione è previsto solo per i rapporti tra
cittadino e pubblica amministrazione anche perché solo quest’ultima è in
grado di controllarne la veridicità. Nei rapporti tra privati, mancando una
norma che consenta di ricorrere a tale istituto, credo sia indispensabile la
produzione di appo siti certificati rilasciati dalla pubblica amministrazione.
Nei corsi di formazione periodica devono svolgersi lezioni sia
pratiche, sia teoriche come per i corsi di formazione iniziale?
Occorre premettere che il regolamento prevede tra le materie della
formazione periodica la risoluzione di casi teorico-pratici e, dunque, in linea
con la finalità di realizzare un percorso formativo completo, se ne deduce che
i corsi potrebbero essere sia di taglio teorico sia pratico. La normativa
condominiale, essendo improntata a disciplinare i rapporti di vicinato, i diritti
dei singoli e le connessioni tra questi e la cosa comune, deve integrarsi con
l’analisi di casi pratici e la fitta casistica giurisprudenziale formatasi sul tema.
Nei corsi di formazione periodica devono essere trattati tutti i temi
indicati per la formazione iniziale o solo quelli per i quali, a giudizio
dei responsabili scientifici, sono intervenute novità? Il punto di
partenza credo debba essere quello di garantire che all’interno del
condominio vi sia una figura preparata e aggiornata: questo l’obiettivo della
normativa. Per tale ragione risulta indispensabile trattare, all’interno dei
percorsi formativi, tanto i temi espressamente indicati dalla normativa
quanto le novità nel mentre sopravvenute.
Si possono dividere organizzativamente i corsi in più “pacchetti”
orari distanziati tra loro nel corso dell’anno? Non essendovi alcuno
specifico divieto sul punto, ritengo che, purché venga raggiunto il monte ore
di 72 ore per la formazione iniziale e di 15 per quella periodica, siano possibili
più sessioni all’interno del medesimo anno. Certo, un eccessivo
frazionamento andrebbe a discapito dell’efficacia del corso e della
preparazione di chi lo frequenta.
L’esame finale di un corso telematico deve svolgersi alla presenza
fisica del candidato? La presenza fisica del candidato all’esame finale è
richiesta dall’articolo 5, comma 5 , del regolamento.
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A fine corso (sia iniziale che periodico) l’esame finale deve essere
scritto od orale? Il regolamento non prevede la modalità di svolgimento
dell’esame. Tuttavia deve trattarsi di un esame idoneo a verificare
adeguatamente la preparazione raggiunta. Di conseguenza, considerato il tipo
di materie oggetto del corso, potrebbe rendersi necessario un esame sia
teorico che pratico.
Se non viene fornita la prova dell’attestato di frequenza e
superamento dei corsi, la delibera che proceda ugualmente alla
nomina dell’amministratore è nulla o annullabile? Trattandosi di
deliberazione contraria alla legge, sarebbe impugnabile con l’azione di
annullamento in base all’articolo 1137 del Codice civile da parte di ogni
condomino assente, dissenziente o astenuto. L’azione di annullamento
andrebbe esperita dinnanzi all’autorità giudiziaria e non sospenderebbe
l’esecuzione della delibera a meno che tale sospensione non fosse disposta
dall’autorità giudiziaria.
Sul punto è altresì vero che una parte della giurisprudenza si esprime nel
senso della nullità della delibera assembleare qualora la stessa risulti carente
degli elementi essenziali: ragion per cui, al di là del disposto normativo sopra
citato, qualora, in un caso specifico, si ravvisasse nel mancato superamento
del corso di formazione una ipotesi di carenza degli elementi essenziali, ne
potrebbe derivare la sanzione della nullità. Appare evidente comunque che, al
di là dei casi specifici, occorrerà far riferimento all’articolo 1137 del Codice
civile per verificare se questa sia la norma applicabile al singolo caso.
Cosa accade per le nomine avvenute tra il 18 giugno 2013 (giorno
di entrata in vigore della legge 220/2012), il 23 dicembre 2013
(entrata in vigore del Dl 145/2013) e il 9 ottobre 2014 (entrata in
vigore del Dm 140/2014)? Sappiamo che l’obbligo della formazione è
stato introdotto dalla legge 220/2012 e con il Dm 140/2014 sono stati,
successivamente, specificati i contenuti e le modalità dei corsi di formazione.
Ritengo quindi che possa sostenersi che, nel periodo tra l’entrata in vigore
della legge 220/12 e l’emanazione del Dm, mancando i presupposti normativi
in virtù dei quali poter adempiere al predetto obbligo, si presume che
l’adempimento non potesse essere esigibile.
Relativamente al 2014, il periodo annuale della formazione periodica
va computato a partire dal 9 ottobre 2014 (entrata in vigore del Dm
140/2014) a prescindere dall’anno solare (1° gennaio-31 dicembre)? Il
periodo annuale della formazione periodica va computato a decorrere dal 9
ottobre 2014, data di entrata in vigore del Dm. Saverio Fossati
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IL SOLE 24 ORE
Le decisioni. Tre le eccezioni disciplinate dalla riforma
Assemblea richiesta anche da un solo condomino
La legge di riforma del condominio (220/2012) ha ampliato la possibilità per
il singolo condomino di chiedere la convocazione di assemblea. Innanzi tutto
bisogna distinguere la richiesta di assemblea dalla convocazione della stessa.
La richiesta di convocazione di assemblea, sia ordinaria che straordinaria, in
base all’articolo 66, comma 1 delle disposizioni di attuazione del Codice civile,
qualora non vi provveda l’amministratore, è rimasta immutata ed è concessa
ad almeno due condòmini che rappresentino un sesto del valore dell’edificio.
E la possibilità per i richiedenti di convocare anche l’assemblea scatta,
quando, decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, l’amministratore non
la convochi.
Tre eccezioni sono poi state introdotte dalla legge di riforma, per cui
l’amministratore è tenuto a convocare l’assemblea su richiesta proveniente
anche da un solo condomino quando:
• sia interessato all’adozione di deliberazioni riguardanti le innovazioni che
mirano a opere e interventi «agevolati» previsti dall’articolo 1120, comma 2,
n.1, 2 e 3); la convocazione dovrà effettuarsi entro trenta giorni dalla richiesta
(articolo 1120, comma 2, Codice civile);
• siano emerse gravi irregolarità fiscali o l’amministratore non abbia aperto e
non abbia utilizzato il conto corrente postale o bancario intestato al
condominio. La convocazione dell’assemblea mira a far cessare la violazione e
revocare il mandato all’amministratore (articolo 1129, comma 11, Codice
civile);
• vuole fare cessare attività che violino e incidono negativamente e in modo
sostanziale sulle destinazioni d’uso delle parti comuni, anche mediante azioni
giudiziarie (articolo 1117 quater Codice civile).
Ricevuta la richiesta di assemblea, la convocazione è, in linea di principio, un
atto dovuto e riservato dell’amministratore (un’eccezione è prevista
dall’articolo 65 delle disposizioni di attuazione del Codice civile il quale
attribuisce al curatore speciale, nominato ex articolo 80 Codice procedura
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civile quando per qualsiasi causa manchi l’amministratore, il potere di
convocare l’assemblea su richiesta anche di un solo condòmino che intenda
iniziare o proseguire una lite contro i condomini, per avere istruzioni sulla
condotta di una lite).
Esiste poi il caso dell’assemblea per istruzioni su una lite in corso (articolo 65
delle disposizioni di attuazione), richiedibile anche da un solo condomino ma
che va convocata dal curatore speciale quando per qualsiasi causa manchi
l’amministratore).
L’assemblea, tanto ordinaria quanto straordinaria, può, infine,
eccezionalmente, essere convocata su iniziativa di ciascun condomino,
quando:
• manchi l’amministratore, per esempio perché deceduto, scomparso, o
quando i condòmini non sono più di 8 (articolo 66, comma 2 delle
disposizioni);
• l’amministratore sia cessato dall’incarico a seguito della perdita dei requisiti
indicati nelle lettere a) b) c) d) ed e) dell’articolo 71 bis delle disposizioni di
attuazione, richiesti per poter svolgere l’incarico di amministratore di
condominio. Attenzione: solo in quest’ultimo caso il singolo condomino ha la
speciale possibilità di procedere immediatamente alla convocazione «senza il
rispetto di alcuna formalità».
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IL SOLE 24 ORE
Riscaldamento. La misura nel milleproroghe
Libretti di caldaia integrabili entro dicembre
Per il nuovo libretto della caldaia c’è tempo sino a fine 2015. La legge 11/2015,
che ha convertito il Dl 192/2014 (il “milleproroghe“) ha differito al 31
dicembre 2015 il termine, scaduto il 25 dicembre 2014, per gli adempimenti
relativi all’integrazione dei libretto di centrale per gli impianti termici civili da
35 kW in su.
Il Dlgs 152/2006 (Codice dell’ambiente) prevede che gli impianti termici con
potenza nominale superiore o uguale al valore di soglia di 35 kW devono
essere muniti di un libretto di centrale. Questo deve essere conservato presso
l’edificio o l’unità immobiliare in cui è collocato l’impianto termico. La
compilazione per le verifiche periodiche dell’impianto è effettuata dal
responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto termico. In
caso di nomina del terzo responsabile e successiva rescissione contrattuale, il
terzo responsabile è tenuto a consegnare al proprietario o all’eventuale
subentrante, l’originale del libretto, ed eventuali allegati, il tutto debitamente
aggiornato.
L’articolo 284 comma 2 del Dlgs 152/2006 prevedeva, tra l’altro, che per gli
impianti termici civili di potenza termica nominale superiore al valore di
soglia (35 kW), il libretto di centrale avrebbe dovuto essere integrato, entro il
31 dicembre 2012, da un atto in cui si dichiara che l’impianto è conforme alle
caratteristiche tecniche (di cui all’articolo 285) ed è idoneo a rispettare i valori
limite di emissione (di cui all’articolo 286) previsti dallo stesso decreto.
L’articolo 11, comma 7, del Dl 91/2014 ha differito il termine precedente ,
consentendo di ottemperare agli adempimenti entro sei mesi dall’entrata in
vigore del medesimo decreto legge, quindi entro il 25 dicembre 2014. Il
differimento si era reso necessario perché tra gli adempimenti integrativi da
presentare, in base al comma 2 dell’articolo 284 del Codice dell’ambiente,
figura un atto in cui si dichiara che l’impianto è conforme alle caratteristiche
tecniche di cui all’articolo 285, caratteristiche che però erano scomparse, in
seguito all’entrata in vigore del comma 52 dell’articolo 34 del Dl 179/2012. Le
caratteristiche tecniche, però, sono state reinserite con l’articolo 11, comma 9
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del Dl 91/2014. Si era reso perciò necessario fissare il nuovo termine al 25
dicembre 2014. Il milleproroghe, al comma 2-bis dell’articolo 12, ha infine
differito il termine al 31 dicembre 2015.
Il libretto di centrale deve essere inoltre integrato con l’indicazione delle
manutenzioni ordinarie e straordinarie necessarie ad assicurare il rispetto dei
valori limite di cui all’articolo 286 del Codice dell’ambiente.
È punito con la sanzione amministrativa da 516 a 2.582 euro il responsabile
dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto che non redige, o redige in
modo incompleto questo documento con l’indicazione delle manutenzioni,
come descritto all’articolo 284, comma 2 del Dlgs 152/2006, o non lo
trasmette all’autorità competente. La stessa sanzione è prevista nel caso in cui
venga mantenuto in esercizio un impianto termico non conforme.
Edoardo Riccio
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ITALIA OGGI
Le opzioni a disposizione dei proprietari in caso di finita locazione
Sfratti, fisco agevolato
Sospensione, canoni percepiti non imponibili
Sfratto sospeso, fisco agevolato. In caso di finita locazione nel periodo di
sospensione i canoni percepiti dai proprietari interessati non saranno
imponibili ai fini delle imposte dirette (per i comuni di Torino, Milano,
Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli, Palermo, Messina,
Catania, Cagliari e Trieste, nonché ai Comuni ad alta tensione abitativa con
essi confinanti). Non solo. Del bonus fiscale non si terrà conto ai fini della
determinazione della misura dell'acconto dell'Irpef dovuto per l'anno 2016. A
illustrare le conseguenze derivanti dall'entrata in vigore della proroga degli
sfratti a seguito della pubblicazione in G.U. n. 49 del 28 febbraio scorso, della
legge 11/2015 (Milleproroghe), la Confedilizia. Nel dettaglio, l'Associazione ha
posto in evidenza come, relativamente agli sfratti per finita locazione
riguardanti immobili abitativi, il giudice dell'esecuzione, su richiesta della
parte interessata, potrà disporre la sospensione dell'esecuzione fino al 28
giugno 2015. A essere interessati, gli inquilini che hanno usufruito della
proroga nel blocco sfratti stabilito nel 2007. I soggetti, quindi, che dovevano
avere un reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro,
essere, o avere nel proprio nucleo familiare persone ultrasessantacinquenni,
malati terminali o portatori di handicap con invalidità superiore al 66% o non
essere in possesso di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella
regione di residenza. Qualche vantaggio in caso di sospensione dello sfratto,
però, sarà attribuito anche ai proprietari interessati alla misura. Nel periodo
di stand by, infatti, i canoni percepiti non potranno risultare imponibili ai fini
delle imposte dirette. E di questo beneficio, inoltre, non potrà essere tenuto
conto ai fini della determinazione della misura dell'acconto Irpef dovuto per
l'anno 2016.
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IL SOLE 24 ORE
Cassazione. Prestiti a medio-lungo termine
Imposta sostitutiva con sconto Ires
Sconto Ires sulla base delle imputazioni di bilancio per l’imposta sostitutiva
sui finanziamenti a medio e lungo termine addebitata dalle banche ai soggetti
che ricevono il finanziamento: è questa la conclusione cui è giunta la Corte di
cassazione con la sentenza n. 3770 del 25 febbraio 2015 (si veda Il Sole 24 Ore
del 26 febbraio).
Nel caso esaminato dalla Suprema corte una società aveva ottenuto due
rilevanti finanziamenti, con obbligo di rimborsare all’ente mutuante l’imposta
sostitutiva sui finanziamenti bancari a medio e a lungo termine, di cui
all’articolo 17, Dpr 601/73, dovuta in sostituzione dei tributi indiretti (imposte
di registro, di bollo, ipotecarie) che altrimenti graverebbero su tali operazioni.
La società aveva considerato pluriennale l’onere derivante dalla traslazione
dell'imposta sostitutiva, e lo aveva assoggettato ad ammortamento per quote
annuali. D’altronde, l’imposta sostitutiva, a seguito della traslazione sulla
società, era divenuta parte del corrispettivo dovuto per il finanziamento, con
conseguente asserita inapplicabilità dell’attuale articolo 99, Tuir (all’epoca
articolo 64, invocato dall’ufficio), che riguarda gli oneri fiscali, e che ne
dispone la deduzione per cassa, salvo che per le imposte sui redditi e quelle
per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, che sono indeducibili.
Secondo la Corte, in effetti, l’articolo 99, Tuir non trova applicazione, in
quanto le somme corrisposte dalla società all’istituto mutuante non sono
qualificabili come oneri fiscali. La clausola contrattuale che ne determina la
traslazione da un soggetto all’altro non implica, infatti, la corresponsione
dell’imposta al fisco da parte di un soggetto diverso da quello su cui essa grava
ex articolo 17, Dpr 601/73, né incide sul rapporto pubblicistico contribuentefisco, con la conseguenza che restano a carico del mutuante tutti i relativi
obblighi tributari. Tale clausola comporta un mero incremento dei proventi
imponibili del mutuante, in misura pari alla somma che questi deve all’erario.
Quindi ai costi pluriennali sostenuti dalla società, a seguito della traslazione
dell’imposta sostitutiva, si applica la disciplina degli oneri pluriennali, di cui
all’attuale articolo 108, comma 3, Tuir, che ne consente la deduzione in
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misura corrispondente alla quota imputabile a ciascun esercizio.
A tal proposito può essere utile ricordare che l’Oic 24 prevede che gli oneri
accessori sostenuti per ottenere finanziamenti, quali le spese di istruttoria,
l’imposta sostitutiva su finanziamenti a medio termine e tutti gli altri costi
iniziali, sono capitalizzati nella voce B.II.7 («Altre immobilizzazioni
immateriali»). L’ammortamento degli oneri accessori su finanziamenti così
capitalizzati, imputato nella voce B.10.a., è effettuato lungo la durata dei
relativi finanziamenti, in base a quote calcolate preferibilmente secondo
modalità finanziarie, oppure in base a quote costanti, se gli effetti risultanti
non divergono in modo significativo rispetto al metodo finanziario. Per
completezza merita precisare che se a seguito dell’istruttoria i finanziamenti
non vengono concessi, i costi iniziali sostenuti, che naturalmente non possono
comprendere l’imposta sostitutiva, sono imputati a costi dell’esercizio.
Si ritiene che la soluzione adottata vale, a maggior ragione, ai fini Irap, in base
al principio di derivazione; pertanto, per le imprese e le holding industriali è
deducibile ai fini del tributo regionale sia l'ammortamento
dell'immobilizzazione immateriale derivante dalla capitalizzazione delle
descritte spese, imputato nella voce B.10.a., sia l’onere interamente spesato,
perché di modesto ammontare, nella voce B14. Emanuele Reich Franco
Vernassa
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Cassazione. Il reato introdotto dalla legge Severino scatta solo se la persona
cede alle sollecitazioni
La resistenza esclude l’induzione
Roma. Niente induzione indebita se la persona dalla quale si cerca di ottenere
una promessa o una prestazione resiste alle sollecitazioni. La Cassazione, con
la sentenza 8625 del 26 febbraio , fa chiarezza sul reato previsto dall’articolo
319 quater del Codice penale. L’occasione arriva dall’esame di un ricorso della
pubblica accusa contro la decisione del giudice per le indagini preliminari di
affermare il non luogo a procedere nei confronti di una guardia carceraria.
L’agente di polizia penitenziaria era finito davanti al Gip, con l’accusa di
induzione indebita, perché aveva tentato di “imbucarsi” ad una festa danzante
alla quale non era stato invitato. Forte solo del suo tesserino si era presentato
davanti all’ingresso, presidiato da una guardia giurata, dichiarando di aver
diritto all’ingresso. Poi visto che le “chiacchiere” e il distintivo non bastavano
aveva tentato di spostare il vigilantes. Per il giudice territoriale la condotta
non era punibile sia per la desistenza volontaria dall’azione, sia perché il
comportamento, benché considerato risibile e inopportuno, non era
finalizzato a raggiungere una utilità o un’insistenza giuridicamente
significative sotto il profilo dell’induzione.
La Cassazione accoglie il ricorso del Pm censurando l’assenza di motivazioni
sulla quale il verdetto di non luogo a procedere si era basato e rinvia al
Tribunale chiamato a fare alcune valutazioni.
Se è vero che l’agente mirava a conseguire l’indebita utilità di entrare in
discoteca, resta da stabilire se la sua pretesa sia inquadrabile come un abuso
della funzione. Ma prima di tutto, avverte la Corte, è necessario tenere
presente che il reato ipotizzato prevede uno scambio, sia pure non paritario,
tra promesse e prestazioni che coinvolge anche la vittima delle pressioni,
creando così un distinguo rispetto al reato di concussione, tanto è vero che il
comma due dell’articolo 319-quater punisce anche chi si lascia “irretire”. Il
reato non è invece configurabile se l’estraneo resiste alle sollecitazioni e non
ha alcun interesse personale da soddisfare attraverso il rapporto instaurato
con l’agente pubblico.
Il test che il giudice del rinvio dovrà fare è chiedersi se era configurabile una
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responsabilità a carico della guardia giurata qualora invece di opporsi avesse
deciso di far entrare l’imputato.
Nel caso in cui entrambe le verifiche dovessero dare esito negativo il
Tribunale dovrà considerare altre due ipotesi di reato: il delitto tentato e la
violenza privata.
Ha sbagliato dunque il Gip a pronunciare il non luogo a procedere,
anticipando impropriamente un giudizio di merito, senza motivare, come
richiesto dal suo ruolo, le ragioni per le quali sarebbe stato inutile andare al
dibattimento. Patrizia Maciocchi
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Cassazione in breve
Stupefacenti
Niente reato con poca cannabis
Non è punibile la coltivazione di cinque piantine di cannabis dalle quali si
estrae un decimo di grammo di sostanza drogante. La Cassazione, pur
ricordando che la coltivazione di stupefacenti è reato sia a livello industriale
sia domestico, anche quando è finalizzata all’uso personale, afferma che
spetta al giudice valutare nel caso concreto la lesività della condotta. I giudici
escludono che possa ledere il bene giuridico protetto invasare piantine di
cannabis dalle quali si estrae un decimo di grammo di sostanza stupefacente.
Corte di cassazione - Sezione IV penale - Sentenza 2 marzo 2015 n.9156
impedimento legale
La prescrizione non blocca il rinvio
Il giudice non può negare il rinvio dell’udienza per legittimo impedimento del
difensore, perchè questo è stato generico sulle ragioni della mancata nomina
di un sostituto e perché è in vista la prescrizione del reato.
La pendenza della prescrizione non impedisce lo slittamento perché il rischio
prescrizione è neutralizzato dall’istituto della sospensione.
Per quanto riguarda la nomina del sostituto il difensore aveva escluso tale
possibilità anche se le motivazioni non erano dettagliate.
Corte di cassazione - Sezione III penale - Sentenza 2 marzo 2015 n. 8973
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