A Pinerolo, che cosa valorizzare?

n. 2 1
Anno 5, Febbraio 2014
INDIALOGO
Supple m e n t o d i I n d i a l o g o . i t , a u t o r i z z . N . 2 d e l 16.6.2010 del Tribunale di Pinerolo
A Pinerolo,
Docenti universitari del
Pinerolese/13
Intervista
ad Alessandro
Barbero
che cosa
valorizzare?
Intervista all’assessora Roberta Falzoni
Buone News
A cura di Gabriella Bruzzone
Figli di un’energia migliore
Giovani leccesi riaprono un museo
Era chiuso da cinquant’anni ma loro non si sono
dati per vinti: armati di intraprendenza e animati
dall’entusiasmo tipico dei loro quindici anni, sono
riusciti a far riaprire uno dei musei storici di Lecce,
ovvero il Museo di Scienze Naturali dell’Istituto
Galilei-Costa, ideato da e intitolato a Cosimo De
Giorgi, medico naturalista e insegnante tra l’Otto
e il Novecento proprio nell’istituto leccese.
Sono ventidue i giovani studenti che si sono
occupati del progetto. Essendo i fondatori del
gruppo EdiSons – figli di un’energia migliore,
hanno deciso di organizzare la visita a lume di
candela, sia per creare più suggestione in un
ambiente lasciato invariato dalla sua creazione
quasi un secolo fa, sia per sensibilizzare sulla
questione del risparmio energetico di cui sono
ferventi sostenitori. Piccola parentesi: questi
stessi ragazzi l’anno scorso hanno partecipato
all’iniziativa promossa da Caterpillar e Radio 2
“M’illumino di meno” con un evento dal titolo
“M’illumino di cera” che aveva coinvolto l’intera
città di Lecce.
Il 14 dicembre 2013 si è svolta la prima visita
a lume di candela. Il successo è stato talmente
grande da motivare i ragazzi a organizzare altre
due aperture, una a gennaio e una a febbraio.
Ma non è tutto: il progetto è stato studiato anche
dal punto di vista economico prevedendo un
prezzo di ingresso differenziato per fascia d’età
e l’investimento dei ricavati nella comunicazione
dei prossimi eventi.
A volte non ci rendiamo conto del patrimonio
culturale racchiuso nei licei e nelle scuole
superiori. Spesso si tratta di collezioni uniche
e prestigiose, non valorizzate abbastanza,
dimenticate e chiuse in stanze polverose. Ma
poi per fortuna arriva qualcuno che riconosce
l’importanza di tutto ciò e quando a farlo sono
gli studenti stessi be’, la scoperta ha un sapore
ancora migliore.
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Informazione e cultura locale per un dialogo tra generazioni
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|Pinerolo: che cosa valorizzare?
La maggior parte dei giovani che vanno all’estero,
al ritorno commentano in genere con soddisfazione
l’esperienza arricchente vissuta. Riportando anche i
giudizi sull’Italia e sugli italiani sentiti dai loro coetanei
o dalle famiglie ospitanti. A parte i soliti pregiudizi, carichi anche di sarcasmo, riferiscono che dell’Italia vi è
all’estero una grande considerazione per alcuni settori
di nicchia: il buon cibo, il grande patrimonio artistico,
la moda e il design.
Un apprezzamento nei nostri confronti che Massimo
Gramellini da par suo ha riassunto in modo magistrale nel mensile dei soci Coop di dicembre: «il nostro
paese gode ancora di un grande pregiudizio positivo,
non so quanto meritato, ma c’è e viene immediatamente associato all’idea di bellezza, di sole, di cultura
e divertimento. Noi dovremmo concentrare tutte le
nostre energie economiche, che oggi sono poche e
per questo entra in campo la politica, su questa operazione di promozione e rilancio. Non siamo il Real
Madrid che può spendere senza limiti, noi dobbiamo
scegliere dove destinare le poche risorse. E dato che
politica vuol dire scegliere, dobbiamo puntare su cultura, turismo, agricoltura e artigianato di qualità, sulle
eccellenze dell’innovazione...»
E noi di Pinerolo che cosa valorizziamo a livello di
cultura, di turismo, di agricoltura, di artigianato di qualità? Per rimanere ad una delle eccellenze di Pinerolo
non valorizzate mi limito a riportare quanto detto da
Alessandro Barbero a pag.5: «La tradizione dolciaria
di Pinerolo è sbalorditiva. E non si chiama solo
Galup: a Pinerolo ci sono almeno tre pasticcerie
migliori di qualunque pasticceria di Roma o di Milano».
Forse c’è ancora bisogno di pensare meglio la
realtà locale, prima di andare verso il globale!
Antonio Denanni
PINEROLO INDIALOGO
Direttore Responsabile
Antonio Denanni
Hanno collaborato: Emanuele Sacchetto, Valentina Voglino,
Alessia Moroni, Elisa Campra, Gabriella Bruzzone, Maurizio Allasia, Andrea Obiso, Rebecca Donella, Andrea Bruno, Chiara Gallo, Cristiano Roasio, Nadia Fenoglio, Giulia Pussetto, Francesca
Costarelli, Michele F.Barale, Chiara Perrone, Marianna Bertolino,
Federico Gennaro, Demis Pascal
Con la partecipazione di Elvio Fassone
photo
Giacomo Denanni, Francesca De Marco
Pinerolo Indialogo, supplemento di Indialogo.it
Autorizzazione del Tribunale di Pinerolo, n. 2 del 16/06/2010
redazione
Tel. 0121397226 - Fax 1782285085
E-mail: redazione@pineroloindialogo.it
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Buone News
giovani leccesi riaprono un museo
Primo Piano
docenti univeritari pinerolesi/13
intervista ad alessandro barbero
6Non ci restano che le storie
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Mostafa, da moah ammedia a pinerolo
Politica giovane young
intervista a roberta falzoni, assessora
10Lettere al giornale
Il servizio civile, un tema da riprendere
lo sve e il scn
12Giovani & Storia
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l’ex caserma fenulli e la resistenza
Giovani @ Scuola
più cultura economica e società
14Arte & Architettura
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il centro storico una grande potenzialità
Serate di Laurea
l’architettura, da mumbai a pequerel
Visibili & Invisibili
amnesty: diritti umani ai giochi olimpici?
libera: preparativi alla xix giornata mem.
18Lettera a...
ai ladri: tanta fatica per nulla!
19Ritagli
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le 7 regole di farinetti
Per Mostre e Musei
erith balestrieri
Vita internazionale
matina, da sidney a pinerolo
22Musica emergente
severed garden
23Appunti di viaggio
in cambogia
24Amici di Pinerolo Indialogo
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no
primo pia
Città & Università/13
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a cura di Marianna Bertolino
Intervista ad Alessandro Barbero
“La decadenza è solo economica, non è umana nè civile.
Il nostro pensiero è interamente dominato dall’economia”
«La tradizione dolciaria di Pinerolo è sbalorditiva. E non si chiama solo Galup»
Alessandro Barbero, celebre
storico
medievalista e scrittore di successo è
sicuramente tra i docenti universitari del
Pinerolese il più noto. Professore di Storia
Medievale
all’Università
del
Piemonte
Orientale, è il tredicesimo
docente universitario che
intervistiamo.
Lei ha pubblicato da poco
il suo ultimo libro. Ci
racconta di cosa parla?
Il mio ultimo libro,
Donne madonne mercanti
e cavalieri, nasce dalle
sei conferenze che ho
tenuto nel 2011 e 2012
al Festival della Mente di
Sarzana. Lì mi chiedono di
fare per ogni edizione tre
conferenze, che debbono
essere collegate fra loro,
un piccolo ciclo insomma.
A un certo punto ho
pensato di presentare tre
personaggi del Medioevo che hanno scritto
libro straordinari e che io amo fin da quando
ero studente: fra Salimbene da Parma, Dino
Compagni, e il biografo di san Luigi, Joinville.
Alla fine una signora mi ha detto: professore,
benissimo, ma perchè solo uomini? Io ho
promesso di fare tre donne l’anno dopo, ed
è stato così: Caterina da Siena, Christine
de Pizan, Giovanna d’Arco. Il libro raccoglie
questi sei profili, tre uomini e tre donne vissuti
nel Medioevo e raccontati con le loro parole,
sei finestre aperte su quell’epoca straordinaria.
Oltre che scrivere e insegnare, lei va in
televisione nel programma di Piero Angela
Superquark. Quanto conta oggi la Tv nel
successo personale?
Se per successo intendiamo la notorietà, conta
molto. Io credo che il mio successo sia anche
di essere riconosciuto come un interlocutore
interessante dai miei colleghi, gli storici, e lì per
fortuna la Tv non conta niente. E si può avere
successo come autore di libri di storia destinati
al grande pubblico e come romanziere anche
a prescindere dalla presenza
in Tv. Ma se associamo il
successo al fatto di essere
conosciuto e riconosciuto, di
avere persone ovunque nel
paese che mi conoscono e
mi seguono, be’, lì la Tv è
importante.
Lei è uno studioso dei
cosiddetti “secoli bui”. Erano
proprio così bui? Quanto c’è
di vero e di pregiudizio?
Ma non erano bui affatto
– non più, voglio dire, di
qualunque altra epoca prima
della rivoluzione industriale.
Chi viveva allora era vecchio
a cinquant’anni, le donne
morivano di parto, non si
sapevano curare le malattie, la violenza era
diffusa. Tutti gli uomini sono vissuti in un
mondo così, dai Sumeri attraverso l’Atene di
Socrate e la Roma di Augusto e poi il Medioevo
e il Rinascimento e l’Illuminismo - ecco, lì,
coll’Illuminismo e poi la rivoluzione scientifica
e industriale, le cose hanno cominciato a
cambiare. Ma prima no: e che il Medioevo
fosse più oscuro è un pregiudizio e nient’altro.
Come sta il mondo oggi rispetto ad allora?
Molto meglio! Non si muore più di fame
in Europa, e nemmeno in Cina e in India anche se l’idea che ridistribuire la ricchezza
è un obbligo e non solo un frutto della carità
individuale, non è ancora passata del tutto - .
Abbiamo tecnologie meravigliose e negli ultimi
sessant’anni siamo perfino riusciti a usarle per
vivere meglio anzichè per ammazzarci. L’unica
“Bisogna pensare in termini locali, e agire in termini globali”
cosa desolante è che, con tutto questo, non
siamo diventati più intelligenti rispetto alla
gente dell’Antichità o del Medioevo, neanche
un po’.
Oggi il mondo chiede più ricette per risolvere i
problemi o più valori?
A livello consapevole, più ricette. La richiesta
di valori mi sembra prevalentemente inconscia
- non parlo del fatto che vorremmo che i
politici non rubassero, quello dovrebbe essere
il minimo, ma del bisogno di una rifondazione
integrale del sistema dei valori. E’ inconscia,
ma c’è. Vedi l’entusiasmo a priori per papa
Francesco, che catalizza questo bisogno di
valori che si esprime in modo per lo più acritico
e inconsapevole.
Veniamo ora al Pinerolese. Lei, torinese di
nascita, come trova questa nostra città? Che
cosa le piace e che cosa la indigna?
Io ho allevato un figlio a Pinerolo e trovo che
la dimensione della piccola città è bellissima
per i bambini e i ragazzi. Mio figlio adesso
vive a Londra e non ho l’impressione che aver
trascorso i primi vent’anni a Pinerolo lo abbia
reso meno adatto ad affrontare la sfida, anzi: gli
ha dato sicurezza e padronanza del mondo. Ho
anche apprezzato molto la presenza così vicina
del mondo valdese - una minoranza agguerrita
alza il livello medio della convivenza civile e del
dibattito intellettuale, e costringe anche gli altri
ad adeguarsi se non vogliono soccombere.
Nel Pinerolese abitano più di 40 docenti
universitari. Che contributo potrebbero dare
per questo territorio in decadenza?
La decadenza è solo economica, non è umana
nè civile. I professori universitari sono come
tutti gli altri, possono agire nel loro campo: nel
loro caso, farsi vedere, intervenire ai dibattiti,
è particolarmente importante, perchè sono o
dovrebbero essere più allenati a farlo. Però
è bene che siamo consapevoli che il nostro
mondo e il nostro pensiero sono interamente
dominati dall’economia, ed è solo all’economia
che pensiamo quando parliamo di crescita
o di decadenza. Ecco qualcosa che ai nostri
antenati sarebbe sembrato molto bizzarro!
Qual è una risorsa potenziale di Pinerolo che
a suo parere non è sfruttata abbastanza e
potrebbe esserlo?
La tradizione dolciaria di Pinerolo è sbalorditiva.
E non si chiama solo Galup: a Pinerolo ci sono
almeno tre pasticcerie migliori di qualunque
pasticceria di Roma o di Milano.
Fino a qualche tempo fa si è parlato di Pinerolo
come “città della cavalleria”, oggi qualcuno
parla anche di “città degli Acaja”. Quale
preferisce? Quale sarebbe secondo lei quello
più appropriato?
Non so quanti sappiano, in Italia e nel
mondo, chi erano gli Acaia! Fra i due, meglio
la cavalleria. Ma se si tratta di uno slogan da
lanciare nel mondo, accettando che come tutti
gli slogan appiattisca una realtà ben altrimenti
complessa, confesso che sarei incerto fra
“città della Maschera di Ferro” - giacchè la
leggenda è conosciuta ovunque - e “città dei
dolci” - vedi sopra!
Concludiamo con i giovani, fascia di età a cui
appartengono quasi tutti i redattori di questo
giornale. Devono progettare il loro futuro
guardando al territorio o è ormai indispensabile
ragionare in termini globali?
E’ indispensabile; il che non significa che uno
debba sradicarsi. Appartenere a un luogo, a
una famiglia, a degli amici, a una scuola, a dei
ricordi, è importante. E’ quello che ti permette
di muoverti con successo, poi, in termini
globali. Una volta si diceva: bisogna pensare
in termini globali, e agire in termini locali. Di
recente ho sentito Oscar Farinetti, il creatore
di Eataly, dire proprio il contrario: bisogna
pensare in termini locali, e agire in termini
globali. E aveva ragione!
5
mondo
La
storia di
Non ci restano che le Storie...
a cura di A.D.
Mostafa K.approdato
a
Pinerolo
da
Moahammedia
Da extracomunitario “vu cumprà“
a cittadino pinerolese integrato attraverso le suore della Visitazione
Un esempio di integrazione e di accoglienza: «Sono la mia seconda famiglia»
Mostafa K. è il giovane marocchino che in
molti hanno incontrato al monastero della
Visitazione come ospite e come tuttofare, che
le suore hanno adottato quasi come un figlio e
venendo considerate da lui come la sua famiglia
italiana. Lo abbiamo incontrato per sentire la
sua storia di immigrato.
Per incominciare, ci racconti di te, della tua
terra, della tua provenienza?
Provengo da una famiglia di 9 persone: papà,
mamma e 7 figli, 2 maschi e 5 femmine, tutti
laureati. Io sono il più giovane e ho fatto solo
le superiori, specializzandomi come tornitore.
Nel mio paese lavoravo insieme a mio padre in
una ditta di import-export, poi improvvisamente
quando l’azienda è fallita ci siamo trovati in
famiglia senza un reddito e così ho deciso di
emigrare alla ricerca di lavoro. Dapprima ho
tentato la via legale, ma di fronte alle difficoltà
burocratiche mi sono arreso e ho ripiegato su
quella clandestina.
Da quanti anni sei in Italia e come sei giunto a Pinerolo?
Sono partito dal Marocco all’età di 19 anni e
sono in Italia ormai da 10 anni. A Pinerolo sono
giunto per caso, a forza di girovagare per l’Italia
a vendere oggettistica di vario genere come
di solito fanno gli extracomunitari per vivere.
All’inizio ho dormito in macchina, ho fatto dei
lavoretti a giornata e in questo periodo sono
stato anche fermato più volte dalla polizia per
mancanza di documenti.
E poi hai conosciuto le suore della Visitazione.
Come è successo?
La prima volta sono andato in cerca di aiuto per
le mie necessità di sostentamento. Ho parlato
con la madre, si è informata della mia situazione
e praticamente è nata una simpatia a prima
vista: insieme a tutta la comunità si sono prese
cura di me. Mi hanno dato anche un alloggetto
nella foresteria, io in cambio facevo dei lavoretti
di manutenzione. Nel frattempo tramite loro
ho conosciuto tante persone, anche titolari di
imprese edili, che mi hanno dato occasione di
6
7
avere un lavoro stabile e di imparare anche
questo mestiere. Le suore della Visitazione
sono diventate praticamente la mia seconda
famiglia, mi vogliono molto bene e io ne
voglio loro altrettanto. Da loro sono stato
per cinque anni, poi per via del reddito da
lavoro ho potuto prendere in affitto una
casa mia.
Cosa ti manca del Marocco?
Naturalmente la famiglia, i parenti e gli
amici. In Marocco sono già tornato quattro
volte. Però per ora per via del lavoro la
famiglia voglio crearla qua, anche se il
futuro è aperto a tutte le possibilità.
Ci racconti un po’ più nel dettaglio il tuo
viaggio di arrivo in barcone?
E’ stata un’avventura dove ho rischiato
più volte di morire. E’ incominciato tutto
tre mesi prima dell’imbarco con la partenza
in aereo con un altro mio amico fino in
Libia. Per due mesi siamo rimasti chiusi in
un edificio al buio, di nascosto, con poco
cibo, poca acqua. Era il punto di raccolta
dove arrivavano altre persone da tutta
l’Africa. Quando si è raggiunto il numero
sufficiente di persone che volevano
emigrare siamo stati portati in camion su
una barca di notte e siamo partiti per l’Italia:
il viaggio è durato circa 30 ore. Vi lascio
immaginare le condizioni igieniche di 170
persone ammassate in una barca neanche
tanto grande, che ha rischiato più volte di
rovesciarsi. Siamo arrivati a Lampedusa,
qui siamo stati alcuni giorni e poi ci hanno
spostati in un centro di accoglienza di
Crotone. Da qui in diverse persone siamo
scappati e qui di nuovo ho rischiato di
morire perché con il mio amico di fuga ci
siamo persi sui monti della Sila. Però come
puoi vedere siamo riusciti a sopravvivere.
Quando vedi in televisione l’arrivo via mare
di tanti connazionali che cosa pensi?
Vedo in loro quello che ho passato io e
capisco la loro sofferenza.
A parte le suore come sei stato accolto dagli
italiani? Sono razzisti?
No, non lo sono. Se uno si comporta bene
è accolto bene. Ho fatto amicizia con tanti
italiani, soprattutto per merito delle suore
della Visitazione che hanno creduto in me
e mi hanno aperto molte porte, facendomi
conoscere anche persone importanti.
Qual è la differenza maggiore tra l’Italia e il
Marocco?
Prima di tutto il clima. Io provengo da una
zona di mare dove fa caldo. Poi la cultura,
quella araba è più espansiva rispetto a
quella italiana, soprattutto piemontese, qui
si è più riservati. Però quando ti conoscono
ti invitano anche in casa.
Come ti trovi a Pinerolo? Una cosa che ti
piace e una invece che non ti piace.
Di Pinerolo mi piace soprattutto la sua
storia. Qui mi trovo bene perche c’è un
ampio movimento di persone, come nella
mia città. ciò che non mi piace sono le
strade rovinate.
Come ti mantieni per vivere? Hai una
professione?
Innanzitutto ci tengo a dire che sono
in regola con tutti i documenti. Faccio
il muratore dipendente e poi faccio dei
lavoretti in giro per persone che conosco,
anche qui in regola in quanto sono titolare
di partita iva.
società
Politica giovane young
a cura di Emanuele Sacchetto
Intervista a R. Falzoni, assessora alla Cultura
“Collaborare con Torino credo sia importante, ma credo anche che Pinerolo
abbia una sua identità culturale”
Lei è un assessore di fresca nomina. Quindi
molte idee sono probabilmente ancora
in fase di incubazione. Però qualcosa ha
sicuramente già elaborato. Ce lo riassume?
Attualmente sto
ancora
“prendendo
confidenza”
con
questo incarico. Sto
incontrando e parlando
con tanta gente, per
capire i bisogni e l’idea
di Pinerolo che abbiamo
e che vogliamo dare.
Abbiamo un patrimonio
culturale
incredibile.
I n v e n t a r i a r e ,
conoscere, cercare di
capire cosa può essere
significativo per la
città, cercare la sua
vocazione e la sua identità, coinvolgendo
il più possibile la gente e le associazioni
culturali può essere un inizio ed un metodo.
Un altro punto sul quale occorre lavorare
è la comunicazione. Comunicare quello che
si fa, le proposte che ci sono e che nascono
è fondamentale: ciò che non è comunicato
non esiste. C’è poi tutta una serie di
eventi e manifestazioni, significative ed
emblematiche per la città che forse hanno
bisogno di rinnovarsi e ritrovare entusiasmo.
Un elemento di ricchezza della città sono le
associazioni culturali, che sono sicuramente
tante. Forse persino troppe, se ognuna
ragiona in proprio. Quale politica culturale
intende fare con queste associazioni?
Sì, le associazioni sono molte ma non
è un problema, apprezzo sempre chi ha
voglia di fare, quello che però è un limite
è la scarsa sinergia tra loro, sarebbe più
proficuo conoscersi e collaborare con
obiettivi comuni. Mi propongo quindi di
andare in questa direzione: mettere in
contatto e fare rete.
Il Teatro Sociale è un
piccolo gioiello della
città, forse però è un
po’ caro per un uso più
estensivo. Ha qualche
idea in proposito?
Quando si parla di Teatro
Sociale non possono non
venire in mente i tempi
passati, il vecchio teatro,
quello andato in fumo
nell’ormai lontano 1972
di cui la città si è sentita
orfana a lungo. Dal
2008 il Teatro Sociale è
tornato operativo, con
molte potenzialità ma con dei limiti. Nasce
anche come centro congressi ma il suo
utilizzo in questo senso finora è stato quasi
nullo, c’è una sala mostre ma anche qui
non mi pare si muova molto. Per quanto
riguarda i costi di affitto mi risulta essere
in linea con altri teatri simili per dimensioni
ed importanza, ad aumentare i costi finali
è la documentazione da presentare in
materia di sicurezza, ma è necessaria ed
inevitabile. Bisognerà sicuramente fare dei
ragionamenti.
Il raccordo di Pinerolo con Torino è
indispensabile per una programmazione
artistico-culturale in città? E dal punto di
vista politico, il localismo pinerolese ha
ancora senso o bisogna aprirsi al traino
della città capoluogo?
Collaborare con Torino credo sia importante
e possa portare dei vantaggi alla città di
8
«I giovani hanno bisogno di avere degli spazi per fare»
Pinerolo, ma altrettanto credo che Pinerolo
abbia una sua personalità, una sua identità
culturale. Essere al traino di qualcuno, poi,
è un’immagine che non mi piace affatto.
Anche il discorso di città metropolitana
troppo torinocentrica mi preoccupa un po’
ma si devono saper cogliere le offerte che
da Torino arrivano e farle nostre, o proprio
andarcele a cercare. Ad esempio. Stiamo
lavorando per portare a Pinerolo il Salone del
libro, Pinerolo, che è già città della poesia,
diventerà “Salone Off”, cioè salone diffuso,
fuori dal luogo centrale che è il Lingotto,
per quanto riguarda la poesia. Il programma
è ambizioso e bellissimo, sarei contenta si
realizzasse, sono molto fiduciosa.
Ci interessa molto il discorso sul polo
culturale intorno alla caserma Bochard.
Come prosegue l’iter di acquisizione
dell’immobile? Ci accenna qualcosa anche
su palazzo degli Acaja? Sono già in atto
delle sinergie con associazioni o privati?
Questo, a mio giudizio, il progetto più
ambizioso di questa amministrazione e che
avrà il potere di cambiare la città ed il modo di
viverla. L’iter prosegue positivamente, entro
fine anno si approderà alla firma definitiva
che segnerà il passaggio di proprietà al
comune di Pinerolo. Sono già state fatte
ipotesi di frazionamento della superficie e
le procedure tecniche preordinate all’atto
di trasferimento della ex caserma. Qui
verrà trasferita la biblioteca, ormai davvero
al limite, con annessi una serie di servizi
(caffetteria, area musica, ecc). Sarà una
biblioteca moderna, luogo di incontro e
di relazione. Troverà sistemazione anche
l’istituto civico musicale Corelli, altro fiore
all’occhiello della nostra città. Lo trovo
un progetto meraviglioso e voglio ancora
sottolineare che è un progetto concreto nel
quale l’amministrazione, a cominciare dal
sindaco, crede fortemente.
Per quanto riguarda invece Palazzo Acaja,
abbiamo partecipato ad un bando che si
chiama Valore paese – Dimore. I progetti
presentati sono stati 277 e solo 55 hanno
i requisiti per entrare nella prima fascia,
Palazzo Acaja è tra questi. E’ un’opportunità
per valorizzare dimore storiche e di valore
culturale in sinergia pubblico-privato. Il
palazzo potrebbe quindi trasformarsi in
una struttura ricettiva di
qualità, promuovendo al
tempo stesso la nostra
storia e la cultura di
Pinerolo.
Palazzo Vittone e il sistema
museale. Un altro nodo
culturale della città. E’
possibile coordinare i nostri
piccoli musei, oppure è
destino che ognuno vada
per conto proprio?
Sentir definire piccoli
i nostri musei, sinceramente, non mi pare renda
loro giustizia. Abbiamo
una Pinacoteca con opere
di grandissimo valore,
un museo etnografico ricchissimo ed
affascinante, stessa cosa dicasi per quello
di arte preistorica e quello di scienze naturali
(anche se quest’ultimo non è a Palazzo
Vittone). Credo che questi musei abbiano
grandi potenzialità lavorando, ad esempio,
su allestimenti più attrattivi e moderni.
Lei è anche assessore alle pari opportunità.
A Pinerolo è un problema sentito? Vi è
discriminazione tra i sessi, oppure la parità
è già stata raggiunta?
Il fatto che la parità di genere non sia
stata ancora raggiunta lo testimonia
l’esistenza stessa dell’assessorato e della
commissione pari opportunità. Anche a
Pinerolo il problema è sentito. Anche qui
a pari livello contrattuale gli stipendi delle
donne sono più “leggeri” rispetto a quelli dei
colleghi uomini, anche qui le studentesse
sono più brave dei loro compagni maschi ma
poi sono più discriminate sul lavoro, anche
qui, purtroppo, esiste la violenza di genere.
Concludiamo con le politiche giovanili, che
ci interessano in modo particolare. Quali
iniziative intende mettere in atto a favore
dei giovani?
Proprio pochi giorni fa ho fatto una
chiacchierata su questo tema con due
consiglieri, uno di maggioranza ed uno di
minoranza. I giovani hanno voglia di avere
degli spazi per fare, le idee le hanno e le
portano avanti. Il ruolo delle istituzioni deve
essere di supporto.
9
PINEROLO
Lettere al giornale
10
di Elvio Fassone
Per valorizzare le energie giovanili
Il servizio civile: un tema da riprendere
Fra le tante proposte di Matteo Renzi, una ha
avuto meno risalto di quanto meritava, sebbene,
forse, migliore di altre: quella di introdurre un
servizio civile obbligatorio per tutti i giovani.
A prima vista potrebbe sembrare uno dei tanti
temi di evasione, di quelli che “ben altri sono i
problemi”: ma se la si prendesse sul serio, potrebbe
incidere non poco nella materia dell’occupazione
giovanile.
Sono ormai tredici anni che è stato regolato
per legge il servizio civile volontario (L. 6 marzo
2001, n. 64) e dieci gli anni da che è stato
definitivamente soppresso il servizio militare
obbligatorio (L. 23 agosto 2004, n. 226). Con la
conseguenza bizzarra che un complesso di leggi
finalizzate ad ammodernare il servizio militare ha
prodotto una violazione del dettato costituzionale,
là dove stabilisce (art. 52)
che “la difesa della Patria è
sacro dovere del cittadino”, e
definisce obbligatorio il servizio
militare, sia pure nei limiti
stabiliti dalla legge ordinaria.
Il paradosso sta in ciò, che
il servizio militare in senso
proprio è diventato volontario,
e perciò una professione come
altre, rimessa alle scelte del
singolo, uomo o donna che sia;
mentre la difesa della Patria
(concetto che la Corte costituzionale, per fare
salva l’obiezione di coscienza, aveva dilatato sino
a comprendervi ogni forma di impegno organizzato
a beneficio della collettività) non è più obbligatoria
nemmeno essa: di modo che di obbligatorio non
c’è più nulla, e il sacro dovere è diventato un
enunciato retorico privo di effetti.
Che tutto ciò abbia depotenziato l’enfasi
militarista, è un bene; ma non è un bene che ne
sia derivata la rimozione di quell’apprendistato
civile che è insito nella nozione di servizio. Nel
vuoto di valori che tutti lamentano, dovrebbe
essere recuperato il significato di un breve tratto
della propria giovinezza (indicativamente si può
pensare ad un anno) dedicato all’utilità comune,
prima di immergersi totalmente nel culto della
convenienza propria.
Così come dovrebbe avere pregio il fatto che
questo servizio fosse prestato da tutti, uomini e
donne, con modalità adeguate ai diversi generi,
quale ulteriore forma di parità, atta a dare più forza
alle rivendicazioni femminili; il tutto, beninteso,
inquadrato in uno statuto dignitoso, che eviti di fare
di questa esperienza un’occasione di sfruttamento
o un tempo sprecato in lavoretti bagattellari.
Una riforma del genere appare tanto più utile,
quanto più è evidente ed esteso lo stato di
inoccupazione di una gran parte dei giovani di oggi.
Un anno di servizio, decorosamente retribuito,
trascorso imparando nelle varie articolazioni della
pubblica amministrazione non solo ridurrebbe un
poco le macroscopiche disfunzioni della stessa,
con sollievo dei cittadini, ma potrebbe immettere
sul mercato del lavoro degli individui la cui
esperienza e formazione diverrebbe
“spendibile” a largo raggio.
Certo, lo sforzo dello Stato
sarebbe imponente. Sino ad ora
i volontari avviati al servizio sono
nell’ordine di grandezza di 20-30
mila all’anno, mentre un servizio
universale (sia pure depurato dalle
esenzioni, tra le quali includere la
prestazione attuale di un lavoro,
per non compromettere proprio ciò
che si persegue) si muoverebbe in
una dimensione delle centinaia di
migliaia di persone. Inoltre, sarebbe indispensabile
allargare la gamma delle occupazioni, sino ad ora
mantenute ad un basso livello di qualificazione
(interventi di assistenza per circa il 45%; ambito
educativo e di promozione culturale, per circa il
28%; patrimonio culturale e progetti ambientali,
per circa il 20%). Ma certamente non sarebbero
risorse buttate, se il servizio fosse organizzato con
convinzione e competenza.
La resa modesta di oggi è frutto dell’ottica
sbagliata di un servizio civile inteso come
parcheggio, o come problema da scansare col
minor dispendio possibile. Se lo si concepisse,
come è dovuto, quale occasione di valorizzare
energie ed inventiva giovanile, e quale momento di
maturazione e di formazione, potrebbe essere uno
strumento utile per il futuro di tutti e di ciascuno.
Informazioni su SCN e SVE
11
Il Servizio Volontario Europeo
Il Servizio Volontario Europeo (SVE) è un progetto previsto
dall’Unione Europea nell’ambito del Programma Gioventù
in Azione allo scopo di promuovere la solidarietà, migliorare
la qualità del sostegno per i giovani, la cittadinanza attiva e
la comprensione reciproca tra i giovani. Lo SVE consente
ai giovani tra i 18 e i 30 anni di effettuare un’esperienza di
volontariato all’estero per un periodo che va dai 2
mesi a 1 anno. Sono previsti anche progetti SVE di
breve durata.
Chi può partecipare
Il Servizio Volontario Europeo (SVE) è aperto a
tutti i giovani di età compresa tra i 18 e i 30 anni.
Nei casi di giovani con minori opportunità, è possibile la
partecipazione anche tra i 16 e i 30 anni, a condizione
che vengano forniti preparazione, accompagnamento e
follow-up qualificati e personalizzati.
Dove si può svolgere lo SVE
Lo SVE si può svolgere nei 27 paesi dell’Unione Europea,
inoltre in Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Croazia, Turchia
e nei Paesi partner limitrofi: Sud-Est Europa, Europa
orientale e Caucaso, paesi mediterranei.
I progetti SVE che si svolgono in tutti gli altri Paesi (Paesi Terzi)
sono più complessi e richiedono tempi molto più lunghi.
In quali ambiti si può fare lo SVE?
Lo SVE offre davvero un ampio ventaglio di ambiti in cui
sperimentarsi: Cultura, arte, sport, cura del patrimonio,
ambiente; Assistenza sociale (bambini, donne, anziani,
immigrati…); Comunicazione e media; Promozione delle
politiche giovanili.
Cosa bisogna fare per candidarsi
Un progetto SVE nasce da una partnership
tra un ente di invio, un ente di accoglienza e
un volontario.
Per prima cosa l’aspirante volontario deve
cercare un’organizzazione di invio nel suo
paese. Successivamente deve:
1. Trovare un progetto nel database http://ec.europa.
eu/youth/evs/aod/hei_en.cfm e un ente di accoglienza;
2. Mandare la sua candidatura (CV sul modello euro pass
http://europass.cedefop.europa.eu/en/documents/
curriculum-vitae e lettera di motivazione possibilmente
in inglese) all’organizzazione d’accoglienza prescelta. Per
predisporre la candidatura, è bene appoggiarsi all’ente di
invio;
3. Se il candidato viene selezionato, l’organizzazione
d’accoglienza e quella di invio presenteranno una
domanda di cofinanziamento per il tuo progetto SVE
all’Agenzia Nazionale.
Per il SCN un compenso di € 433,80
Il servizio civile viene svolto attraverso il supporto di un
ente. Gli enti di servizio civile sono le amministrazioni
pubbliche, le associazioni non governative (ONG) e le
associazioni no profit. Per poter partecipare al Servizio
Civile Nazionale (SCN) gli enti devono dimostrare di
possedere requisiti strutturali ed organizzativi, avere
adeguate competenze e risorse specificatamente
destinate al SCN. Devono inoltre sottoscrivere una
carta di impegno etico ed essere iscritti in appositi albi
- Albo nazionale e Albo regionale - ; solo così possono
presentare progetti di Servizio Civile Nazionale.
I progetti d’impiego dei volontari, predisposti dagli
enti pubblici e dalle organizzazioni del Terzo Settore
iscritti all’Albo nazionale vengono presentati all’Ufficio
Nazionale per il Servizio Civile, quelli predisposti dagli
enti territoriali iscritti nell’Albo regionale vengono
presentati alle strutture del Servizio civile della Regione
competente per territorio.
I volontari ricevono un
compenso mensile netto
di 433,80 euro che viene
mensilmente versato sul loro
conto dall’Ufficio Nazionale
per il Servizio Civile. Coloro
che svolgono il servizio all’estero, ricevono in piú
un’indennità di 15 euro al giorno (oltre i 433,80
mensili fissi).
Ai volontari di servizio civile spettano 20 giorni di
permesso retribuito.
In base alla legge 64/2001, il periodo di servizio
civile prestato è riconosciuto utile ai fini del diritto e
della determinazione della misura dell’assicurazione
generale obbligatoria per l’invalidità e la vecchiaia
secondo il modello di copertura previdenziale, godono
dell’assistenza sanitaria nazionale.
L’anno di servizio civile volontario può valere
come credito formativo o tirocinio nell’ambito
dell’istruzione o della formazione professionale, ai
fini del compimento di periodi obbligatori di pratica
professionale o di specializzazione, previsti per
l’acquisizione dei titoli necessari all’esercizio di
specifiche professioni o
mestieri.
Anche le Università degli studi
possono riconoscere crediti
formativi , da essere rilasciati,
per attività formative prestate
nel corso del servizio.
12
Società
Giovani@Storia
di Nadia Fenoglio.
Cenni di storia del Pinerolese poco noti
L’ex Caserma Fenulli
nella guerra di resistenza
La ricorrenza, lo scorso 27 gennaio,
della Giornata della Memoria offre
l’opportunità di interrogarsi su una
pagina particolarmente oscura nella storia
dell’umanità. Non si tratta di una storia
lontana, avvenuta altrove: anche Pinerolo
può raccontare quello che fu il contributo
che il nostro territorio diede, in particolare
nella guerra di resistenza e liberazione tra
1943 e 1945, quando prendere una parte
significava mettere in gioco la vita.
Osserviamo gli avvenimenti principali da
una prospettiva
singolare
–
quella
di
un
edificio. Parliamo
dell’attuale
Museo
della
Cavalleria,
ex
Caserma Fenulli,
ex
Caserma
P r i n c i p e
Amedeo,
ex
Scuola
di
Cavalleria di Pinerolo. Un edificio storico
che forse reca troppi ex e che meriterebbe
un’iniezione di vita.
Il Pinerolese, nella guerra partigiana,
ebbe un’importanza cruciale in quanto
crocevia di comunicazione con la vicina
Francia. Per questo la città, dopo essere
stata occupata nel settembre 1943 da
reparti della Luftwaffe e da una divisione
delle SS, l’anno successivo divenne sede
del comando delle SS italiane per meglio
fronteggiare il movimento di resistenza
nelle valli.
Nella Pinerolo occupata, dell’odierna ex
Caserma Fenulli si impossessarono i tedeschi
ed essa divenne carcere provvisorio per i
partigiani tenuti a disposizione dei reparti
tedeschi per scambi e rappresaglie. È nel
marzo e nell’agosto 1944 che ebbero luogo
le maggiori operazioni di rastrellamento
nelle quali un gran numero di partigiani e
civili fu catturata per essere internata nei
campi di concentramento e nelle strutture
di lavoro coatto. Operazione Sperber, in
tedesco “sparviero” era il nome in codice di
una di queste rappresaglie, effettuata tra il
21 e il 29 marzo nelle zone di Barge e delle
valli Pellice, Chisone e Germanasca. Pochi
giorni dopo la fine dello Sperber, il 3 aprile
1944 ebbe luogo la più grande rappresaglia
sui civili del Pinerolese; a seguire, l’attacco
dell’estate
‘44
nelle
v a l l a t e
partigiane
sotto il nome
di Operazione
Nachtigall,
in
tedesco
“usignolo”.
In
un
succedersi
inenarrabile
di violenze, giunse il 28 aprile 1945,
giorno in cui Pinerolo fu precipitosamente
abbandonata dai nazifascisti e la Caserma,
liberata, fu quindi usata dai partigiani per
concentrarvi collaborazionisti del regime
ed ex repubblichini, termine con cui,
dispregiativamente, venivano chiamati i
militari della Repubblica di Salò.
L’importanza che l’edificio ebbe nel corso
della guerra di resistenza rimane ancora
oggi. La Caserma fu infatti intitolata nel
1961 a Dardano Fenulli, ufficiale emiliano
che combatté contro i nazifascisti e
cadde alle Fosse Ardeatine; una targa
di marmo sul muro esterno rivolto verso
Piazza Fontana ne ricorda il sacrificio. Nel
contempo, fu anche prescelta per istituirvi
il Museo Storico dell’Arma della Cavalleria,
inaugurato nel 1968 e aperto ancora oggi.
12
società
13
Giovani@Scuola
a cura di Nadia Fenoglio
Appello di presidi ed insegnanti a favore del Liceo Economico
Sociale - Campagna di raccolta firme presso il Liceo Porporato di Pinerolo
“Più cultura economica e più società
contemporanea nella scuola italiana”
Si stanno raccogliendo le firme sull’Appello
“Più cultura economica e più società
contemporanea nella scuola italiana” , Il testo
proveniente da docenti e presidi del nuovo
Liceo Economico Sociale, vedi il sito: www.
liceoeconomicosociale.it .
Si organizzerà a breve la presentazione del
documento in una Conferenza stampa presso il
Liceo Porporato.
Le cause della crisi che stiamo
attraversando sono molte e le cose da
fare per uscirne non facili
da individuare. Una però
si può realizzare subito:
investire nei giovani e in
una formazione adeguata
a far ripartire il Paese, la
società, l’economia. Per
questo i saperi scientifici e
umanistici devono potersi
incontrare in un percorso
formativo in grado di
affrontare le sfide della
contemporaneità. Ciò può
avvenire attraverso una rivalutazione a
scuola della cultura economica, trasversale
a tante discipline, essenziale per capire il
mondo e le sue trasformazioni, e capace di
attivare e sviluppare nei giovani competenze
utili a loro stessi e all’intera collettività. Le
discipline economiche, sociali e giuridiche,
inserite in un curriculum scolastico che
offra una preparazione approfondita e
flessibile, sono importanti per formare il
cittadino e per vincere le sfide del presente.
Nella scuola italiana attuale, al contrario,
la formazione in queste materie è molto
ridotta; infatti sono studiate da non più del
15% degli studenti degli ultimi anni delle
scuole secondarie superiori.
Le persone che condividono queste
constatazioni auspicano che la formazione
economica, sociale e giuridica si rafforzi in
tutta la scuola italiana e che si sviluppino,
grazie all’autonomia scolastica, percorsi
di studio orientati alle competenze di
cittadinanza economica e all’educazione
finanziaria. Per queste ragioni auspicano,
inoltre, un forte ruolo del nuovo Liceo
Economico-sociale nato dalla riforma.
E’ necessario che questo liceo cresca
e si diffonda, così da diventare punto di
riferimento per i giovani che vogliono capire
la complessità del mondo contemporaneo
e
partecipare
consapevolmente
alla
costruzione di quello di domani, che vogliono
comprendere le scelte nell’uso delle risorse
e dell’ambiente, le ragioni delle regole
e la natura delle relazioni umane, e che
hanno a cuore il benessere e la condizione
dell’uomo nel suo tempo, presente e
futuro. Siamo infatti convinti che il nuovo
Liceo Economico-sociale, che “fornisce
allo studente competenze particolarmente
avanzate negli studi afferenti alle scienze
giuridiche, economiche e sociali”, possa
favorire l’acquisizione di competenze
fondamentali per il cittadino di domani.
13
Arte&Architettura
di Aldo Martellotto
Se si investe nella dimensione turistica e culturale
Un centro storico con grandi potenzialità
Solo la fruizione costante può garantirne la manutenzione ordinaria
Passeggiando nel centro storico di Pinerolo
non si può fare a meno di notare la bellezza di
alcuni palazzi storici, di antichi cortili nascosti,
di case di impianto medievale; tuttavia spesso
la trascuratezza di alcune aree, il cattivo stato
di manutenzione o l’abbandono di edifici
storici oscurano la bellezza e denotano la
ristrettezza di un centro storico con grandi
potenzialità.
Confrontando il nostro centro storico con
realtà analoghe o simili ci si rende presto conto
delle differenze e di conseguenza di ciò che
andrebbe realizzato per ovviare alle criticità
tutt’oggi presenti: interventi mirati di ripristino
e recupero, ovvviamente sempre nel rispetto
della memoria storica dell’edificio e in linea
con le più moderne indicazioni nel campo
del restauro architettonico e non, politiche
di gestione del patrimonio immobiliare della
città dedite alla sua valorizzazione, non solo
economica, politiche di sostegno al commercio
nella misura del negozio di vicinato. Ma
soprattutto sarebbero necessari interventi di
potenziamento della dimensione turistica e
culturale, anche attraverso l’organizzazione di
manifestazioni culturali da svolgersi nel cuore
della Città, consci del fatto che solo attraverso
la fruizione costante dei beni (in questo
caso, un intero centro storico) possa esserne
garantita la manutenzione ordinaria, condizione
necessaria per il mantenimento in vita.
Sicuramente, una causa delle problematiche
presenti nel centro storico della nostra
cittadina è da ricercare nelle politiche
adottate, o meglio nella loro mancanza,
come ha messo in luce l’arch. Luca Barbero,
presidente della commissione per il centro
storico di Pinerolo, che in merito alla revisione
del Piano Regolatore, in un’intervista del 6
giugno scorso svolta da Riccardo Rudiero
e pubblicata proprio su questo giornale
asseriva: “Il centro storico vive una dinamica
complessa, con esigenze differenti e a
volte conflittuali. Non può venir meno una
visione globale. Il centro storico possiede
un patrimonio immobiliare in larga parte non
utilizzato, e questa è una delle partite centrali
se lo si vuole rivitalizzare. La revisione del
PRG dovrà favorire la sua riqualificazione,
cercando di creare condizioni per cui anche
gli operatori immobiliari possano intervenire”.
Tuttavia qualche responsabilità è da
ricercare anche in noi cittadini, sia in qualità di
residenti nel centro storico, sia lavoratori che
semplici fruitori. Le vie ormai quasi vuote del
centro storico, con un’infinità di negozi sfitti,
anche a causa dei canoni di locazione spesso
proibitivi, senza attrazioni facili, ma con un
grande passato, possono raccontarci molte
cose, se prestiamo un po’ di attenzione a ciò
che ci è intorno e camminiamo con il naso
all’insù. E forse, qualora venisse organizzata
qualche manifestazione in più, sarebbe
desiderabile una numerosa partecipazione
nonché una maggiore sopportazione, con
buona pazienza, del “disturbo” aggiunto.
14
in città
Serate di Laurea
15
di Maria Anna Bertolino
Serate di Laurea di gennaio presso la nuova
sede di Onda d’Urto con Alice Rostagno e Anna Percivati
L’architettura, da Mumbai a Pequerel
Il 31 gennaio, due giovani laureate in Architettura
hanno parlato di sviluppo urbano e di recupero di
borgate alpine.
Anna Percivati ha presentato un lavoro sulla città
indiana di Mumbai, intitolato “Mapping another
Mumbai” svolto con alcuni colleghi del Politecnico di
Torino.
La candidata ha fatto parte di un gruppo di ricerca
partito, nel febbraio del 2013, alla volta della megalopoli
indiana per “mappare” i villaggi interni alla città, ossia
quegli abitati
preesistenti
allo sviluppo
urbanistico,
caratterizzati
da un’economia
molte
volte
di
sussistenza,
e per questo
definiti con
l’espressione
“ c i t t à
informale”
Alice Rostagno
le
cui
caratteristiche sono, tra le altre, una pianificazione
urbanistica non regolamentata, nella quale prevale
la destinazione d’uso (ossia la funzione) rispetto alla
forma e dove lo spazio diviene un luogo di relazioni
basato sulle regole del vicinato.
Tali villaggi, tuttavia, soffrono, agli occhi della
città formale (quella dello sviluppo e dei regolamenti
edilizi) di una scarsa attenzione in quanto, sia da parte
della municipalità, sia da parte di studi di pianificazione
locali, non è riconosciuta loro una specificità e una
distinzione rispetto agli slum o agli insediamenti
temporanei.
Anna e il gruppo di ricerca hanno stilato una lista di
199 villaggi dislocati sui 438 km quadrati della città e
di questi ne hanno analizzati 31 nei quali sono emersi
alcuni caratteri comuni relativi a struttura e complessità.
Il villaggio, lungi dall’essere mero spazio da
inglobare, dimostra alcune potenzialità che la città
non ha: la sicurezza, il basarsi su regole condivise e
vincoli solidaristici, il divenire luogo di memoria per
coloro che vi abitano. In ultimo, il villaggio dà un
senso di appartenenza e di comunità che nell’epoca
contemporanea è ricercato in più parti del mondo.
Questo bisogno sembra lo stesso che guida molte
persone a risiedere nuovamente nelle nostre Alpi,
sia per fuggire alla spersonalizzazione della città, sia
per trovare una via alternativa alla mancanza cronica
di lavoro, reinventandosi e creando nuove attività
che guardano
all’agricoltura e
all’allevamento
ma anche a
nuove forme di
turismo.
Emerge così una
forte necessità
di
ristabilire
e
recuperare
il
patrimonio
architettonico
vernacolare
e
numerosi
Anna Percivati
progetti
del
Politecnico di Torino guardano in questa direzione.
Alice ha scelto di dedicarsi allo studio di Pequerel,
una borgata all’interno del Parco naturale OrsieraRocciavré, con una tesi dal titolo “Vivere la montagna:
un progetto per la borgata di Pequerel”. Il lavoro ha
riguardato il recupero del fulcro centrale della borgata,
attraverso il rilievo e lo studio di una doppia destinazione
d’uso delle abitazioni, residenziale e turistica. Entrambi
gli interventi esigono che gli spazi degli edifici siano
funzionali alle moderne esigenze: così, oltre all’uso
di materiali naturali come pietra e legno, si è dovuto
pensare all’ampliamento delle unità abitative, un
tempo di dimensioni ridotte. Inoltre si è pensato di
recuperare l’aspetto comunitario prevedendo uno
spazio d’uso quotidiano al centro della borgata. Infine,
per rispondere agli imperativi dell’ecosostenibilità si è
guardato anche alla progettazione di un polo energetico
con una centrale termica e un impianto fotovoltaico.
Cosedell’altromondo
Giovani,Tecnologia@Innovazioni
16
18
a cura di Greta Gontero
“Indossare” i libri del cuore
Tutti noi abbiamo sempre sognato di
entrare a far parte del nostro libro preferito, di esserne i protagonisti, di sognare
insieme ai nostri personaggi…ma si può
osare di più? Forse al giorno d’oggi non
basta più la semplice fantasia o immedesimazione, non basta più rimanere catturati
dalla storia e rimanervi avvinghiati fino
all’ultima pagina, la gente desidera vivere
esperienze che in realtà non sta vivendo.
La tecnologia del lettore e-book, ideato
dai ricercatori del MIT di Boston, può permettere tutto questo. Hanno infatti creato
un dispositivo speciale in grado di percepire le stesse sensazioni dei protagonisti
di un determinato libro, il cui titolo è “The
girl who was plugged in” ( la ragazza
che è stata collegata), scritto da James
Tiptree Jr, e che è al centro del progetto
“Sensory Fiction”.
Il lettore e-book è collegato ad un
gilet indossabile, ricoperto di sensori e
dispositivi particolari che lanciano stimoli
al nostro organismo; questi sono in grado
di far provare caldo, freddo, ansia, paura,
agitazione o benessere in base a ciò
che sta accadendo al protagonista del
racconto. É anche capace di stimolare il
battito cardiaco e provocare sensazioni
tattili particolari. Si può quindi “sentire”
quello che accade nel libro grazie ai
sensori tecnologici sul gilet indossato.
Può forse questa invenzione invitare a
leggere di più?
Preparativi per la XIX giornata della memoria e dell’impegno
di Chiara Perrone
Abbiamo da poco celebrato
la giornata della memoria per ricordare
le vittime e gli orrori del regime nazifascista. Ora ci prepariamo ad un’altra
giornata della memoria,
quella
del
22
marzo,
dove ricorderemo tutte le
vittime delle organizzazioni
mafiose. Quest’anno la
commemorazione e il corteo
si terranno a Latina, città
del litorale laziale, terra di grande risorse
ambientali e di grande vocazione agricola.
Purtroppo è anche terra oggetto di
infiltrazione mafiosa, soprattutto camorra
e ‘ndrangheta. Infatti le indagini della
magistratura compiute negli ultimi anni
hanno rivelato come tutto il litorale laziale
sia soggetto ad una radicazione profonda
delle organizzazioni mafiose, al punto
che il comune di Nettuno è stato sciolto
per infiltrazione mafiosa. Latina quindi
è una scelta importante per raccontare
un territorio, quello laziale, ma anche
per raccontare una città, Roma, la quale
vede sempre più spesso protagoniste le
organizzazioni criminali. Ecco allora che
Libera giunge a Latina con i giovani, nel
ventennale dell’uccisione di
don Peppe Diana, per ricordare
tutte le vittime innocenti che
hanno combattuto in prima
persona la mafia oppure hanno
avuto la sfortuna di essere nel
posto sbagliato al momento
sbagliato. Un appuntamento dove coloro
che credono ancora nella giustizia potranno
camminare insieme ai parenti delle vittime
e far sì che ogni goccia di sangue versata
non sia stata vana, ma possa essere una
molla per ripartire e per costruire insieme
il futuro, il nostro futuro. Lo slogan di
quest’anno è “Radici di memoria,frutti di
impegno”, speriamo così che le piazze si
colorino di frutti coi nomi delle vittime, per
non dimenticare.
ni
diritti uma
Visibili & Invisibili
a cura di Alessandro Coassolo
gruppo giovani amnesty international-Pinerolo
La fiamma olimpica farà luce anche
sulla violazione dei Diritti Umani?
Cara
lettrice
o
caro
lettore,
dovresti immaginare di essere un
attivista politico di un’organizzazione
che difende, ad esempio, i diritti delle
persone gay, lesbiche, bisessuali ,
transgender e intersessuate (LGBTI) .
Come ogni mattina, anche oggi ti alzi e
ti rechi nella sede dell’organizzazione per
cui lavori ma non appena cerchi di entrare
nel tuo ufficio, vedi la porta d’ingresso
spalancata. Sei preoccupato perché ti chiedi
cosa stia succedendo ma speri nell’aiuto
di un agente di polizia che cammina nel
tuo corridoio: lui però non ti aiuta. Anzi,
ti mostra un foglio che lo autorizza a
perquisire la sede della tua organizzazione
perché “svolge attività di propaganda
contrarie a quelle promosse dalle pubbliche
autorità”. Ti informa, poi, che dovrai
cambiare sede, comparire di fronte ad un
tribunale con l’accusa di essere a capo di
“un’organizzazione straniera” (e – in quanto
tale – pericolosa) e che i tuoi colleghi
sono stati arrestati per aver manifestato
pacificamente di fronte al Parlamento
contro una nuova legge per punire chi
promuove “propaganda contro l’omofobia”.
Ti senti improvvisamente solo e inizi a
provare un forte disgusto perché non
accetti - e chi lo farebbe - che il tuo Stato
ti impedisca di lavorare a fianco delle
comunità LGBTI e non accetti che nel
tuo paese sia ormai vietato manifestare
pacificamente per ogni cosa. E allora,
cara lettrice o caro lettore, inizi a lottare
per la tua battaglia, che sarà sempre una
battaglia per i diritti degli altri, ma sarà
anche una battaglia per i tuoi. Dovrai lottare
per continuare a svolgere il tuo lavoro
e ti opporrai alla richiesta delle autorità
di iscriverti in un apposito registro per le
organizzazioni che svolgono attività politiche
“potenzialmente pericolose” (chiedendoti
che cosa significhi questa definizione).
Sai anche che a Febbraio 2014 – essendo
tu di Soci, Russia -, proprio mentre si
svolgeranno le Olimpiadi invernali, non ti
sarà concesso svolgere nessuna attività a
patto che tu scelga di manifestare per pochi
attimi in un’area strettamente controllata
dalle autorità, in una zona lontana dalla folla
di giornalisti che riempiranno la tua città.
Caro lettrice o caro lettore, ti auguro,
in quei giorni di tanta attenzione
internazionale, che tu possa raccontare
al mondo quanto sia difficile svolgere
il tuo lavoro per i diritti di tutti nella tua
città – Soci – e nel tuo paese –la Russia.
Tante organizzazioni internazionali, tra cui
Amnesty, saranno a lottare con te.
17
Lettera a...
dal tempo
di Cristiano Roasio
Lettera ai ladri
“Quanta fatica per nulla”
In una notte qualsiasi di fine dicembre,
né fredda né nebbiosa, né, non me ne
voglia Snoopy, tempestosa, tre ombre si
aggirano nel mio giardino, almeno questo
è quanto mi viene raccontato qualche
minuto dopo, perché troppa era la pigrizia e
il disagio nell’uscire dal caldo mio giaciglio
di tepore e intorpidimento e zittire il cane,
il quale evidentemente stava cercando di
annunciare con tonalità dissonanti dal solito
latrato degli intrusi. Ebbene i tre loschi figuri
vengono allontanati da un belluino urlo del
piemontese medio, ferito laddove più
brucia, la privacy, l’imprevisto
che sconvolge l’abitudine fatta
di cancellate, proprietà
private, prati rasati e
Nostri.
Da allora son passate
alcune
settimane
e
non
posso
fare
a
meno
di
trarre
alcune
considerazioni
dall’evento: i carabinieri
(salvo qualche evidente
sgarro
alla
regola,
come in ogni settore e
professione), quando ne avete
bisogno e al contrario di ogni facile
battuta, sono veloci, professionisti e
disponibili, ma come avviene per i medici
probabilmente vengono ostracizzati in modo
sciamanico, quasi che non pensare loro in
termini elogiativi ci possa in qualche modo
proteggere da un loro effettivo intervento,
perlopiù drammatico, nelle nostre vite; la
sicurezza è un’illusione di mercato, grazie
alla quale l’impostazione generale delle
nostre esistenze può continuare: produrre,
comprare, buttare o farsi rubare, molto
meglio la sicumera cultural-intellettiva...
se non che: anch’essa non esiste perché
eventi insignificanti, come potrebbe esserlo
l’intrusione fallita di tre sfigati nel proprio
giardino melmoso, assumono un valore nel
nostro inconscio di gran lunga più devastante
di qualsivoglia illuministica razionalità
e determinano i nostri comportamenti/
pensieri/paure con maggior effetto di anni
di studio e approfondimento filosofico;
eventi del genere sono fatti della stessa
consuetudine che mettono a dura prova con
la loro irruzione apparentemente inconsueta.
Nel Pinerolese sotto le festività la
recrudescenza dei furti in abitazione non è
passata inosservata a nessuno ed io stesso
ne ho avuto più di una testimonianza diretta,
ma ne vale davvero la pena? Seriamente,
qualunque sia il vostro grado di
disperazione, ha davvero senso farsi
correre dietro da un cane
arrabbiato,
nascondersi
dietro una magnolia, farsi
puntare un faro, rotolare
nelle rose e incastrarsi tra le
piante?! Eppure la grottesca
reazione, l’enorme misura di
sicurezza che ho pensato di attuare,
e cioè chiudere le porte, mi dà da
pensare allo stesso modo. Che
senso ha? Ci si conquista la propria
vita privata o la si strappa, diciamo
pure la si ruba, ignorando gli
altri, anzi cercando proprio di,
figurativamente,
eliminarli?
Guardare fuori dalle persiane
con un misto di apprensione e
autocommiserazione e sentirsi insicuri, non
già perché le palizzate non sono elettrificate
e il ponte levatoio non è stato alzato o
ancora perché le sentinelle non sono
allertate, ma perché essendo giornalmente
grato per quello che ho e per quello che non
ho, cosa posso davvero definire mio? Dove
sta il confine tra un’azione amorale e forse
illegale e una legale amorale allo stesso
modo? E nel caso l’azione fosse moralmente
giusta ma illegale? Rubare a chi? Per cosa?
Ho bisogno di qualche euro in più o di una
casa disastrata, cassetti ribaltati e materassi
sventrati per uscire dal torpore? Quanto lo
pago questo sonno quotidiano? Non è a me
che dovete rivolgervi perché non ho ancora
capito se sono il ladro o la vittima.
18
Ritagli
Le sette regole per affrontare la crisi e il futuro
Oscar Farinetti le ribadisce all’inaugurazione dell’anno
accademico dell’Università del Piemonte Orientale
Protagonista della cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico dell’Università del
Piemonte Orientale, il presidente di Eataly
Oscar Farinetti ha dedicato il suo intervento
ai giovani: «Quella che vi stiamo consegnando - ha esordito - è un’Italia tutt’altro
che in attivo. Miliardi di debiti, senso civico
al minimo, poche esportazioni e un polipo
chiamato burocrazia. Dovrei chiedere scusa, perché nessuno di noi tra i 55 e gli 80
anni è innocente». Con un discorso improntato all’ironia e all’empatia, ha però infuso
una forte carica di ottimismo: «Siete fortunati ad entrare nelle posizioni chiave del
Paese in un periodo così “sfigato”. Siamo
nel letame, e come dice il sommo poeta, è
dal letame che nascono i fior». Ha quindi
enunciato quelle che per lui sono le sette
mosse per affrontare la crisi, ed il futuro:
1 - Saper gestire l’imperfezione: cioè cercare di ottenere il miglior risultato possibile
ogni giorno, senza inseguire una perfezione
impossibile
2 - Individuare le priorità: cioè saper riconoscere le cose più importanti da fare e
farle in ordine naturale: mai vestirsi prima di
aver fatto la doccia, insomma..
3 - Pensare locale ed agire globale: cioè il
contrario di quello che insegnano alle scuole
di marketing. Il nostro è il Paese con più
biodiversità al mondo, è questa la nostra
ricchezza. Non ci resta che farlo sapere al
resto del mondo.
4 - Saper mettere in discussione le proprie
certezze: la determinazione è essenziale, ma
deve essere accompagnata dalla capacità di
ascolto degli altri e dalla predisposizione a
cambiare idea.
5 - Dare valore e appetibilità al rispetto:
in parole povere, vorrei arrivare presto nel
tempo in cui per una ragazza il più “figo” di
tutti sarà quello che non parcheggia in seconda fila, che non butta le cose per terra,
che paga le tasse. Non il più buono, ma proprio il più figo.
6 - Saper narrare: qualsiasi cosa, se non è
narrata, è come se non esistesse. Eataly è
nata per questo, per raccontare una mela.
Ogni cosa che vogliamo offrire deve sempre
essere raccontata da una descrizione narrativa.
7 - Mai, mai, mai arrendersi: «Never, never,
never give up», con questa frase Churchill
ci ha vinto una guerra. Non perdete tempo
con le cose impossibili, ma con quelle difficili sì. Ci sarà sempre qualcuno che si arrenderà prima, voi non fatelo.
di Gloria Pozzo, La Stampa 1.02.2013
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società
Per Mostre e Musei
di Chiara Gallo
Piccole città... “promettenti artisti”
Erith Balestrieri, una vita per la musica
Quando la musica è passione e pure carriera
24 anni da compiere a luglio e un talento che
porta con sé da quasi dieci. Erith Balestrieri
ad oggi si alterna fra concerti all’interno dei
locali, ai battesimi, ai matrimoni e numerosi
provini in tutta Italia.
Conosciamo meglio l’artista.
Prima di tutto come hai iniziato?
Comincio col dire che non ho studiato
all’accademia, ma ho sviluppato questa
passione, che attualmente è il mio lavoro,
quasi per gioco. Con una mia amica mi
sono iscritto ad una gara e ho vinto. Grazie
ad un forte appoggio da parte di mia madre
sono andato avanti. Ho preso parte a
numerosi provini tra Milano e Roma, per
“X-Factor” e “Amici”, e al tempo stesso ho
partecipato ad alcuni programmi televisivi,
come “Passerella”.
Come ti trovi sul palco?
Molto bene, sono completamente a mio
agio. Quando canto tutta la timidezza che
sta alla base del mio carattere scivola via.
Hai qualche mito in particolare a cui ti ispiri?
Forse Alex Baroni. Ascoltavo molto la
sua musica anche prima di iniziare il mio
percorso. In effetti alcuni mi riferiscono
che in quanto a tonalità mi avvicino molto.
Tuttavia non mi piacciono le imitazioni quindi
cerco sempre di mantenere l’originalità della
mia voce.
Progetti per il futuro?
Per ora continuerò con i provini. Adesso
sto lavorando ad un musical realizzato da
Chiara De Carlo. Si tratta di un musical
solo cantato e non recitato che mostra i
cambiamenti di tonalità realizzati in Italia e
all’estero a partire dagli anni ’30 ad oggi.
Un progetto che trovo personalmente molto
interessante e istruttivo.
Ti sei anche cimentato come cantautore nel
corso della tua carriera?
Ho scritto alcuni testi e poi li ho fatti
arrangiare. Sicuramente è più
difficile dover mettere le parole
in musica, inoltre se si passa
tramite produttore o casa
discografica i costi sono molto
elevati.
Cosa ne pensi delle scuole di
canto?
Non ne ho mai frequentata
una in realtà. Questo è dovuto
alla paura che ti impostino
troppo la voce. Temo che se
mi dovessi concentrare sulla
tecnica non penserei più a ciò
che sto cantando e non vivrei
a pieno l’esecuzione. Certo le
scuole aiutano a mantenere
la voce, fin’ora però non
ho riscontrato problemi e
preferisco mantenere la mia
originalità canora.
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21
Vita internazionale
ondo
così per il m
di Alessia Moroni
Matina Frelingos
From Sidney to Pinerolo
Qualche giorno prima di tornare a casa,
Matina Frelingos, sedicenne australiana,
racconta la sua esperienza di cinque mesi
scolastici in Italia trascorsi qui a Pinerolo,
inziata lo scorso settembre e ormai
terminata.
Come hai iniziato la tua esperienza in Italia?
Sono arrivata con un gruppo di studenti
da tutto il mondo e abbiamo passato i primi
quattro giorni di “orientamento” a Roma,
dove lo staff della nostra organizzazione ci
ha spiegato le regole da seguire e cosa fare
per eventuali problemi. Abbiamo anche
visitato il centro della città: Roma mi è
piaciuta moltissimo. Ognuno di noi ha poi
preso il treno per la propria destinazione.
Quale scuola hai frequentato e come ti sei
trovata?
Ho frequentato il Liceo Porporato Scienze Umane - nella classe 3^C. Il
mio primo giorno di scuola è stato il 10
Settembre: ero molto nervosa all’inizio,
ma sono stati tutti molto ospitali e carini
con me. Non seguivo esattamente tutto il
programma delle mie compagne e alcune
materie, come Latino, non le ho studiate.
Quali differenze hai notato rispetto alla
scuola che frequenti in Australia?
La mia scuola, in Australia, è di sole
ragazze e dobbiamo indossare l’uniforme
scolastica. Le materie sono più pratiche,
abbiamo per esempio il corso di Cucina e
si può scegliere quello che si vuole. Trovo
che invece in Italia si studia molto molto sui
libri di testo. Il Porporato mi piace tanto,
specialmente il fatto che tutto è “indoor”
al’interno dello stesso edificio: nella mia
scuola ci sono più strutture, quando si
cambia classe bisogna uscire fuori.
Come ti sei trovata nella tua famiglia
ospitante , con i nuovi amici e con le nuove
abitudini?
Bene, non ho avuto nessun problema e
credo di aver trovato una specie di seconda
famiglia. Direi che, generalmente, qui
in Italia le famiglie spendono più tempo
insieme. I miei amici sono molto simpatici,
quasi tutti di scuola. Si esce più tardi:
probabilmente ho notato questa differenza
perchè dove abito non ci sono discoteche o
locali per ragazzi sotto i diciotto anni, perciò
ci si incontra prima, per esempio alle sette.
Hai imparato bene l’Italiano..è stato
difficile?
L’ho imparato abbastanza velocemente.
Mi ricordo che dopo le prime due settimane
ho inziato a capire molto di più rispetto ai
primi giorni. Adesso lo parlo senza problemi
e posso comunicare con tutti.
Hai visitato alcune città italiane oltre Roma
e, soprattutto, tornerai in Italia?
Sono riuscita a visitare Torino, Milano
e Venezia con la mia famiglia ospitante e
inoltre sono stata anche a Firenze con altri
studenti. Certo, tornerò in Italia.
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musica
Officine del suono
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di Demis Pascal
m u s i c a emergente
Severed Garden
Il progetto Severed Garden prende vita nell’ormai piuttosto
lontano 2005, con una formazione che comprende soltanto
tre degli attuali membri, ovvero Giorgio Manca (Chitarra
e Backing Vocals), Danilo D’Onofrio (Basso) e Manuel
Cernéro (Batteria), che li porta ad un repertorio orientato
verso l’esecuzione di brani di gruppi aventi lo stesso numero
di componenti (Jimi Hendrix Experience, Rush, etc.). Nei
successivi due anni prendono parte al progetto Ivan Di Sipio
(Tastiere e Backing Vocals) e Joele Turchi (Voce e Chitarra
Ritmica), con i quali il gruppo raggiunge l’attuale line-up.
Dopo un ulteriore anno speso nell’esecuzione di mero rock
(Deep Purple, Led Zeppelin, Toto, etc.) le influenze del gruppo
cambiano, orientandosi verso uno stampo Progressive, che
spazia da quello storico e classico degli anni ‘70 (Genesis,
PFM, Pink Floyd, etc.), a quello più moderno e tendente al
Metal (Dream Theater su tutti). Nel periodo successivo, oltre
ad ampliare ulteriormente il proprio repertorio live con brani
di band come Porcupine Tree e Pain Of Salvation, il gruppo
inizia la composizione di brani inediti.
Quello di cui si parlerà questo mese non è un
vero e proprio album, bensì un’EP (extended play),
una piccola sequenza di esperienze emozionali
che la band ha registrato come biglietto da visita.
Primo esperimento della band è Years Of Pain (successivamente rinominato Years Of Rain), brano molto energico
anche se non mancano le parti più morbide e sognanti.
La matrice prog è molto evidente in particolare nei cambi
di tempo e nell’accostamento di suoni di strumenti classici
a quelli più rock. I numerosi virtuosismi chitarristici donano
freschezza al pezzo mostrando notevoli capacità tecniche.
Il secondo brano composto e arrangiato è The Invisible
Box, la cui tematica riguarda la sconvolgente esperienza
di un ragazzo che, entrato nel mondo delle sostanze
stupefacenti, tenta di uscirne. Fin dalle prime note traspare
la sofferenza che la band ha voluto trasmettere. Il brano
si evolve poi con l’ausilio di potenti suoni di chitarra per
riapprodare nuovamente in porti più calmi. La speranza è il
sentimento che più pervade questo pezzo, raggiungendo un
finale quasi radioso dove il fraseggio della chitarra solista è
l’attore principale.
Con il terzo brano, Close Distances, il gruppo compone la
sua prima ‘ballad’, che, nonostante la connotazione stilistca,
risulta il brano più lungo dell’intero repertorio inedito.
Un raffinato pianoforte introduce il cantato molto melodioso
e a tratti quasi sussurrato. Il brano prosegue verso lande
sognanti aiutato dai poetici suoni di tastiera che ben si
adattano alla magia creata dal pezzo.
L’opera prosegue con Hide, più tesa verso sonorità
morbide e concepita come una ballata interamente
acustica. Non per questo il brano però manca di pathos
ed energia. I delicati arpeggi e la sezione ritmica bene si
accompagnano al resto del disco.
Segue poi The Last Cold Winter, in assoluto il brano
in cui la band ha speso più tempo ed energie, votate al
raggiungimento di un sound più ricercato e nell’approfondimento di una tematica più particolareggiata e astratta (il
rapporto di amore/odio tra la Natura ed il Genere Umano).
Quasi a fare da naturale seguito al brano precedente
l’incipit è molto delicato e sognante con una sezione
ritmica sempre però ben presente e mai eccessiva.
Il brano prende decisamente un’altra piega verso la
metà quando il carattere più heavy della band torna a
farsi sentire, per poi nuovamente assopirsi lasciando
spazio al pianoforte che si unisce alla perfezione con
gli altri strumenti cullando l’ascoltatore verso il finale
sottolineato da uno scroscio d’acque.
Il lavoro denota grandi capacità di una band attenta
al proprio sound e alle proprie composizioneie che
sicuramente è in grado di confrontarsi con realtà
più ampie di quella nazionale.
Non ci resta quindi che seguire l’evolversi di questo
progetto sulle varie piattaforme web: www.facebook.
com/pages/Severed-Garden/165053856860354
www.myspace.com/severedgarden
www.reverbnation.com/SeveredGarden
Stay with music!
società
Appunti di viaggio
di Angelica Pons
In Cambogia
Pensando alla Shoah
In questi giorni le immagini e le interviste
ai sopravvissuti ci hanno condotti a riflettere
sulla Shoah.
Tempo fa sono stata sui luoghi di un
altro terribile genocidio: in Cambogia a Tuol
Sleng, il campo di sterminio nel cuore della
capitale Phnom Penh.
Erano giorni grigi di pioviggine; dinanzi
agli edifici storici si incontravano stormi di
bimbi seminudi vaganti alla ricerca di aiuto,
anziani mutilati aggregati in orchestrine in
attesa di un’elemosina.
Le ferite della guerra civile sanguinano
ancora (A metterci il sale sopra, la finta
carità del turista!). Nelle campagne, sulle
rive del Mekong e persino nei villaggi
galleggianti sul lago Tonle Sap la vita è dura,
ma dignitosa. Qui, di fronte all’attrattiva di
una vita migliore, lo sfruttamento si acuisce
ed il passato è più doloroso.
Sotto la dittatura del dittatore Pol Pot,
capo dei guerriglieri comunisti Khmer Rossi,
ufficialmente Primo Ministro del paese, tra
il 1975 ed il 1979, 1/3 della popolazione
morì, oltre un milione e mezzo di persone
torturate e massacrate.
Toul Sleng era l’ istituto Chao Ponhea
Yat, trasformato nella prigione S-21, uno
dei 150 campi di sterminio. In questo
luogo sono stati interrogati, torturati e
uccisi più di 20.000 uomini, donne e
bambini. All’esterno non si vede nulla, ma
si immagina. Sembra di sentire lo stridio dei
ferri, i gemiti impressi nelle pareti…
Le aule della scuola trasformate in celle, in
camere di tortura, di cui alcuni strumenti
sono ancora visibili, così come le catene
e le brande di metallo. Nei piani superiori,
celle nelle celle, muri alzati sommariamente
per isolare i prigionieri.
Nel vicino museo sono raccontate le
atrocità.
Uno dei sopravvissuti, incarcerato come
presunto complice del Kgb, era un
innocente pittore. Lessi la sua storia,
raccontata sui pannelli, più per distrarmi
dalle “fototessere” dei prigionieri, a migliaia,
e dalle foto scattate agli ossari, le cui orbite
vuote ancora chiedono il perché.
Un mio collega, Vann Nath professore
di Belle arti, fu infine risparmiato per
sfruttarne il talento artistico. I suoi dipinti
che raccontano le torture, per celebrarle
(!), sono una testimonianza atroce. Una
didascalia spiega: il prigioniero è appeso a
testa in giù, il capo nell’acqua per vincerne
presto le resistenze. L’acqua si usa dopo
per bagnare i fiori.
Non ho fatto quasi nessuna foto all’interno.
Per rispetto. Fuori c’è il mercato dei fiori. La
vita. Ma il filo spinato circonda ancora la
vecchia scuola, per non dimenticare.
Proiezioni e racconti dei viaggi “Cambodia”
(Angelica Pons) e “Cina” (Fabrizio Leger)
presso la Libreria Mondadori, martedì 11
marzo 2014, h 17,30. Ingresso libero.
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Per le vie della città
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In Città
Progetti di Valorizzazione Urbana
Via Vigone da valorizzare
Ci sono zone della città che eccellono e
ci sono zone che soffrono per mancanza
di valorizzazione, un po’ perchè periferiche,
ma anche perchè trascurate nella politica
di valorizzazione urbana.
Una di queste è via Vigone, una via ad
alto tasso di traffico automobilistico e di
inquinamento, dove passano centinaia di
camion, con una carreggiata ed un marciapiedi molto stretti, dove sono carenti anche
i parcheggi. Eppure vi sono negozi di eccellenza anche in questa zona della città,
alcuni addirittura unici come il ricambista
di elettrodomestici Giansante o il negozio
di chiavi Centro Sicurezza. Ora vi si è insediato anche il Centro Culturale Onda d’urto
che con il mondo dei giovani porterà un po’
di freschezza giovanile. Vi è pure la presenza storica dell’Acea con la sua eccellenza
nel campo energetico-ambientale, che vorrebbe delocalizzarsi, oltre che per sue esigenze anche per rendere più vivibile la via.
Amministratori date un occhio anche a
questa parte della città, pure via Vigone è
da valorizzare! A.D.
Sono a m i c i d i P i n e r o l o I n D i a l o g o
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