osteoporosi: la sfida della gestione della cronicità alla luce dei

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OSTEOPOROSI: LA SFIDA DELLA GESTIONE DELLA CRONICITÀ
ALLA LUCE DEI RECENTI PROGRESSI TERAPEUTICI
L’approccio farmacologico all’osteoporosi
Oggi abbiamo un ricco armamentario farmacologico
per la cura di questa patologia. L’outcome finale dei
farmaci per l’osteoporosi è la riduzione del rischio di
frattura. Si distinguono fondamentalmente due tipi di
farmaci per la cura dell’osteoporosi: gli anti-riassorbitivi, che riducono il riassorbimento osseo inibendo
l’attività osteoclastica, e gli osteo-anabolici, che sono
in grado di aumentare l’attività osteoblastica.
Tra gli anti riassorbitivi, si annoverano i bisfosfonati che, benché con caratteristiche diverse di potenza
e di affinità per i cristalli d’idrossiapatite, possiedono
evidenze di efficacia nel ridurre il rischio di frattura
con peculiari specificità a seconda del bisfosfonato.
In particolare, alcuni bisfosfonati con gruppo aminico
hanno solide evidenze di efficacia nel ridurre il rischio
di fratture vertebrali, ma anche non vertebrali e di
collo di femore: si tratta di zoledronato, alendronato e
risedronato. I bisfosfonati aminati esercitano un’azione apoptotica nei confronti dell’osteoclasta nel quale
sono internalizzati. Denosumab è un altro potente anti
riassorbitivo che però agisce con meccanismo diverso
dai bisfosfonati. Esso interagisce con il RANKL (un
mediatore prodotto dagli osteoblasti) impedendone
il legame con il suo specifico recettore RANK (presente sia sui precursori midollari dell’osteoclasta sia
sugli osteoclasti maturi). L’interazione RANK/RANKL
è indispensabile per la trasformazione delle cellule
mononucleate in osteoclasti e in seguito per la loro
funzione. Il denosumab, bloccando tale legame, interferisce negativamente sulla cascata maturativa di tale
tipo di cellule.
AUTORI:
Dr. Roberto Lovato Centro Osteoporosi e Malattie Metaboliche dell’Osso; Casa di Cura Villa Berica, Gruppo
Garofalo - Vicenza
Dr.ssa Stefania Sella Centro Regionale Specializzato
per l’Osteoporosi; Clinica Medica I, Azienda Ospedaliera
- Università di Padova
INTRODUZIONE
Il carico economico della terza età e delle cronicità
appare di grande impatto sul singolo, sui caregivers e
sulla stessa sostenibilità dei sistemi sanitari.
Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della
sanità, nei prossimi 25 anni questo carico economico
crescerà del 50 per cento, con evidenti ripercussioni
sulla gestione della salute da parte dei diversi Paesi. La tematica appare ancor più significativa in una
società, come la nostra, che sta vivendo una sorta
di “rivoluzione demografica”: nel 2000, nel mondo
c’erano circa 600 milioni di persone con più di 60
anni, nel 2025 ce ne saranno 1,2 miliardi e 2 miliardi
nel 2050. Inoltre le donne vivono più a lungo degli
uomini virtualmente in tutte le società.
Di conseguenza nella fascia di popolazione molto anziana il rapporto fra donne e uomini è di circa 2 a 1.
È in questo spaccato epidemiologico che si inserisce
l’osteoporosi, patologia che interessa soprattutto le
donne, pur se non sono rari i casi tra i maschi.
Per questo siamo di fronte ad una patologia che già
oggi rappresenta un importante problema di salute
pubblica ed è destinata ad essere ancor più impattante in futuro, anche perché le fratture a essa correlate
sono gravate da importanti conseguenze sia in termini
di mortalità sia di morbilità [1].
I bisfosfonati per agire hanno necessità di essere portati nell’osso, ma anche poi di legarsi alle superfici ossee che sono sottoposte a rimodellamento: se l’osso
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ITALIAN HEALTH POLICY BRIEF
non è sottoposto a rimodellamento,
il bisfosfonato ha scarso accesso alle
superfici quiescenti. Essi tendono così
a diffondersi facilmente dove c’è tanta
superficie ossea, come il caso dell’osso spugnoso, ma hanno difficoltà alla
diffusione nell’osso compatto, dove invece non vi è esuberanza di superficie
ossea esposta (fatto salvo che la superficie endostale dell’osso corticale).
Denosumab circola nel sangue e nei
fluidi extracellulari. La diversa distribuzione nell’osso potrebbe giustificare
la sua maggiore efficacia sull’osso corticale rispetto ai bisfosfonati. A livello
dell’osso corticale è stato dimostrato
che il denosumab riduce la porosità
corticale differentemente da quanto
avviene nel corso di terapia con bisfosfonati [2].
Un aspetto interessante osservato in
corso di terapia con denosumab, rispetto a quanto avviene con i bisfosfonati, è che il miglioramento della massa ossea si sviluppa in modo continuo
senza andare incontro a un plateau [3]
fino ad almeno a otto anni di trattamento continuo.
Qual è la possibile ragione di questo
fenomeno, giacché l’oggetto dell’azione dei farmaci antiriassorbitivi è lo
stesso (l’osteoclasta) seppure con meccanismi differenti? Ciò potrebbe essere correlato al fatto che rispetto ai
bisfosfonati il denosumab è un più potente inibitore del turnover osseo [4].
Come noto il farmaco è somministrato
sottocute ogni 6 mesi. Si è così formulata anche un’altra ipotesi derivante
dall’evidenza che vi è la tendenza a
una riattivazione del turnover osseo
proprio qualche settimana prima del
tempo previsto per la successiva somministrazione. Quest’ultima, così, determinando una nuova soppressione
del turnover con riduzione quindi di
mobilizzazione di calcio dall’osso, potrebbe essere la causa per un molto
breve periodo di un iperparatiroidismo secondario (il PTH, è noto che
ha azione anabolizzante laddove gli
aumenti delle concentrazioni plasmatiche si sviluppano in picchi di breve
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durata) [5].
Vi sono peraltro altre ipotesi più verosimili. In corso di terapia con bisfosfonati, ma anche con denosumab, si
sviluppa un aumento della sclerostina,
una sostanza prodotta sia da osteoblasti che osteociti, che esercita un’azione
d’inibizione sul sistema Wnt-beta catenina (il sistema che regola la neoformazione attraverso la differenziazione
delle cellule mesenchimali in preosteoblasti): ciò, di per sé, conduce a una
riduzione dell’osteoformazione (giustificando la riduzione della attività osteoblastica che si produce dopo alcuni
anni di terapia con bisfosfonati).
In corso di terapia con denosumab è
stata però osservata la contemporanea
e progressiva riduzione di un altro
potente inibitore del sistema Wnt: il
DKK1. Si è osservata anche una correlazione tra l’entità della riduzione del
DKK1 e gli incrementi del BMD. Pertanto, questi ultimi potrebbero essere
messi in relazione non solo alla riduzione del riassorbimento, ma anche
alla continua e progressiva riduzione
di un potente inibitore della neoformazione: il DKK1 per l’appunto [6].
Le caratteristiche di meccanismo di
azione e la possibilità di agire efficacemente anche a livello dell’osso corticale, oltre che trabecolare, giustificano
alcune caratteristiche di efficacia del
denosumab come evidenziato nello
studio FREEDOM [7] e nel successivo
studio di estensione a 6 anni [8].
In sintesi: il miglioramento della massa ossea si sviluppa a livello della colonna lombare, del collo del femore
ed anche a livello dell’avambraccio
(l’azione sulla massa ossea in tale ultimo distretto è una specificità del
denosumab correlata proprio alla sua
efficacia a livello dell’osso corticale).
Ma l’importante soppressione del turnover può rappresentare nel lungo
termine un problema per la salute
dell’osso? Se così fosse i miglioramenti densitometrici, che giustificano
fino all’80% dell’efficacia, non si tradurrebbero in un’importante riduzione del rischio di fratture vertebrali
(-68%), non vertebrali (-20%) e di collo di femore (-40%), che si mantiene
negli anni di successiva somministrazione come documentato dallo studio
di estensione. Inoltre, le caratteristiche
di efficacia sull’osso corticale potrebbero costituire un ulteriore motivo
per preferire il denosumab ad altri
farmaci, e ciò anche in considerazione
che in una valutazione post hoc dello
studio FREEDOM è stata evidenziata una capacità di ridurre il rischio di
frattura di femore del 62% in un setting di pazienti con età maggiore di 75
anni (coloro che più frequentemente
vanno incontro alla frattura di collo
femore) [9].
Nell’evenienza d’interruzione del trattamento, l’efficacia sulla prevenzione
delle fratture permane per circa 24
mesi per cui il passaggio da una fase di
trattamento (on) alla sua sospensione
(off) non si traduce in una ripresa immediata del rischio di frattura seppure
si assiste ad una cospicua ripresa del
turnover osseo [10].
Un altro aspetto peculiare del denosumab è la possibilità di utilizzo indipendentemente dalla funzione renale.
Studi in letteratura dimostrano come
la concentrazione di farmaco dopo
somministrazione sottocute sia del tutto simile in pazienti con diverso grado d’insufficienza renale, a supporto
del fatto che la funzione renale non
ne condiziona la farmacocinetica e la
farmacodinamica. Pertanto alle dosi
raccomandate, il denosumab può rappresentare una valida scelta terapeutica in considerazione della tipologia di
pazienti affetti da osteoporosi (anziani
molto frequentemente con funzione
renale compromessa) [11].
L’efficacia dei farmaci per la terapia
dell’osteoporosi è strettamente vincolata all’aderenza ed è noto che un’aderenza alla terapia inferiore al 50% rende praticamente inconsistente l’azione
antifratturativa [12]. Molteplici sono
le motivazioni dell’interruzione dei
trattamenti per l’osteoporosi, non ultimo la complessità del modo di assunzione. La disponibilità di una terapia
ANNO IV - SPECIALE 2014
somministrabile per via sottocutanea
ogni sei mesi è pertanto evidente che
garantisce non solo un maggior profilo
di aderenza e quindi di efficacia, ma
risulta anche maggiormente gradita ai
pazienti [13, 14].
BIBLIOGRAFIA
La migliore aderenza garantita dalla
tipologia di somministrazione si traduce in una maggiore efficacia e quindi
in un minor costo correlato a nuove
fratture: si consideri che in Italia la
spesa complessiva per una frattura di
collo di femore è di circa tredicimila
euro [15]. Senza contare che ciò si ottiene a fronte di un costo terapia molto contenuto specie in alcune Regioni,
ove la distribuzione diretta comporta
un ulteriore e non indifferente abbattimento del prezzo.
L’aspetto forse più critico per la prescrizione del farmaco è la necessità di
stilare il Piano Terapeutico AIFA on
line. Questo costituisce sicuramente
un deterrente, sia in considerazione
del tempo necessario per la compilazione del Piano Terapeutico, ma anche e non ultimo, per le difficoltà di
ottenere accesso al sistema e alla sua
complessità lamentata da molti sanitari prescrittori.
[3] Miller PD et al. Effect of denosumab on bone mineral density and biochemical markers
of bone turnover: six year results of a phase 2 clinical trial. J Clin Endocrinol Metab, Feb
2011, 96(2): 394-402.
Conclusioni
Denosumab è una molecola che, in
virtù del meccanismo d’azione e della
diffusibilità a livello sia della componente trabecolare che corticale dell’osso, ha un ottimo profilo di efficacia sia
sulle fratture vertebrali che non vertebrali a fronte del fatto che la modalità
di somministrazione ne garantisce una
eccellente aderenza.
Tutto ciò si traduce in una riduzione
del numero di fratture con una potenziale diminuzione della spesa sanitaria
a carico della collettività.
Come sopra accennato resta la criticità
per la modalità di prescrizione lamentata da molti sanitari prescrittori.
È auspicabile pertanto possa prossimamente essere elaborato un sistema
di accesso alla prescrizione più snello
e agevole.
[1] Keene GS et al. Mortality and morbidity after hip fractures. BMJ, 1993; 307: 1248-50.
[2] Seeman E. et al. Microarchitectural deterioration of cortical and trabecular bone:
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[4] Brown JP et al. Comparison of the effect of denosumab and alendronate on BMD and
biochemical markers of bone turnover in postmenopausal women with low bone mass: a
randomized, blinded, phase 3 trial. J Bone Miner Res 2009; 24: 153-61.
[5] Seeman E et al. The transitory increase in PTH following denosumab administration is
associated with reduced intracortical porosity: a distinctive attribute of denosumab therapy.
ASBMR 2011 Annual meeting. Oral presentation number 1064.
[6] Gatti D et al. Sclerostin and DKK1 in postmenopausal osteoporosis treated with Denosumab. J Bone Miner Res 2012 Nov; 27 (11) 2259-63.
[7] Cummings RS et al. Denosumab for prevention of fractures in postmenopausal women
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postmenopausal osteoporosis: results from the FREEDOM Extension. J Clin Endocrinol
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[10] Brown JP et al. Discontinuation of denosumab and associated fracture incidence:
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Months (FREEDOM) trial. Bone Miner Res 2013; 28(4): 746-52.
[11] Block GA et al. A single-dose study of Denosumab in patients with various degrees of
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[12] Cananzi P et al Italian Health Policy Brief, “Farmaci per l’osteoporosi: un problema
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[13] Freemantle N el al. Final results of the DAPS (Denosumab Adherence Preference
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[14] Kendler DL et al. Preference and satisfaction with a 6-month subcutaneous injection
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[15] L’osteoporosi in Italia. Il Sole 24 Ore Sanità, 19 febbraio 2007: Rielaborazione The
European House-Ambrosetti su dati Rossini M, Piscitelli P et al, “Incidenza e costi delle
fratture di femore in Italia”, Reumatismo, 2005.
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Italian Health Policy Brief
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Anno IV
Speciale 2014
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Aut. Trib. Milano 457/2012