1359 CAPITOLO 61 Gherardo Mazziotti Andrea Giustina Fisiologia della tiroide © 2010 ELSEVIER S.R.L. Tutti i diritti riservati. La tiroide è un organo endocrino posto nella parte anteriore della base del collo, la cui importanza in fisiopatologia è prevalentemente legata alla sua capacità di produrre gli ormoni tiroidei, T4 o tiroxina e T3 o 3,5,3’-triiodo-Ltironina, fondamentali per il mantenimento dell’omeostasi energetica e per la funzione di numerosi organi e apparati dell’organismo. I due ormoni prodotti differiscono sul piano biochimico per il contenuto di atomi di iodio (4 atomi e 3 atomi rispettivamente per T4 e T3). Metabolismo dello iodio Lo iodio inorganico (I-) di origine alimentare presente in circolo è captato e accumulato dalle cellule dei follicoli da una proteina vettrice situata nella parte baso-laterale della membrana cellulare in stretto contatto con i vasi capillari, denominata NIS (Na+ I- symporter), con un meccanismo attivo ATP-dipendente che richiede energia (pompa dello iodio). Il trasporto attivo dello iodio è stimolato dalla tireotropina (TSH) e inibito per azione competitiva da anioni quali il perclorato, il tiocianato e il pertecnectato. Tale meccanismo è in grado di mantenere una concentrazione endocellulare di iodio da 20 a 50 volte superiore a quella del plasma attraverso un trasporto contro gradiente di concentrazione (c’è sempre più iodio nella tiroide che in circolo). In tal modo, la ghiandola mantiene adeguata la sintesi di ormoni tiroidei anche in carenza di iodio, ossia per basse concentrazioni di iodio plasmatico. Viceversa, quando la concentrazione dell’I- nel plasma aumenta in modo eccessivo la capacità di trasporto dello stesso nelle cellule tiroidee diminuisce. Il NIS è una proteina intrinseca della membrana cellulare ed è costituita da 13 domini transmembrana, un terminale aminico extracellulare e un terminale carbossilico intracellulare. Per essere incorporato negli ormoni tiroidei, l’I- viene dapprima ossidato da un’emoproteina, la perossidasi tiroidea (TPO), alla presenza di H2O2 nel citoplasma delle cellule tiroidee (Fig. 61.1). Ilespressione del gene della TPO e la sua attività trascrizionale sono stimolate dal TSH-cAMP e inibite da concentrazioni elevate di I-. L’ossidazione avviene a livello della membrana apicale della cellula (si veda Fig. 61.1). A questo punto è necessario che lo iodio ossidato sia messo in contatto con le molecole di tirosina per formare i precursori degli ormoni tiroidei MIT (monoiodiotirosina) e DIT (di-iodio-tirosina). Tale reazione, detta di iodinazione (anch’essa sotto il controllo della TPO), avviene all’interfaccia cellula-colloide, a livello della tireoglobulina C0305.indd 1359 Malattie della tiroide (Tg), grossa molecola glicoproteica principale costituente della colloide (si veda Fig. 61.1). Quest’ultima è una sostanza gelatinosa nella quale sono mantenuti in deposito gli ormoni tiroidei. Gli ormoni tiroidei, T3 e T4, si formano per un processo di coniugazione ossidativa dal MIT e dal DIT (due DIT formano T4, un MIT e un DIT formano T3) (Fig. 61.2). Anche quest’ultimo processo è catalizzato dalla TPO. Nella Tg umana le molecole della T4 raramente eccedono il numero di 2-3 per mole di Tg e quelle della T3 1 per 5 moli di Tg. Il rapporto molare T4:T3 nella Tg è quindi di circa 15:1. Aumentando il contenuto di iodio nella Tg aumenta la percentuale delle iodotirosine rispetto alle iodotironine e delle molecole più iodate rispetto a quelle meno iodate. In tal modo la Tg modula la sintesi degli ormoni tiroidei in rapporto alla disponibilità di iodio. La Tg iodata si accumula nel lume follicolare, ove rappresenta il 95% delle proteine della colloide e costituisce una riserva di ormone tiroideo che assicura lo stato di eutiroidismo in assenza di nuova sintesi per almeno due mesi. Quando vi è la necessità di immissione in circolo di ormoni tiroidei, la Tg è riportata nella cellula per un processo di endocitosi a livello della membrana apicale; le goccioline di colloide inglobate nella cellula sono circondate e invase dai lisosomi contenenti proteasi che digeriscono la proteina liberando gli aminoacidi iodati T4, T3, MIT e DIT (si veda Fig. 61.1). Questo processo è attivato dal TSH e inibito dallo I-. Il processo che porta alla formazione degli ormoni tiroidei è a bassa efficienza, poiché è richiesta la sintesi di una grossa molecola proteica, la Tg, del peso molecolare come omodimero di 660 kDa, per generare solo circa tre molecole di T4 di 777 Da ciascuna. Degli aminoacidi iodati messi in libertà a seguito dell’idrolisi della Tg, la MIT e la DIT sono in gran parte deiodinate a opera di un’alchiltirosinasi tiroidea e lo iodio liberato è quasi interamente riutilizzato per la sintesi degli ormoni tiroidei (si veda Fig. 61.1). La T4 e la T3 sono increte nel torrente circolatorio, la T4 essendo l’80-90% della quota totale. Una parte della T4 è deiodinata a T3 per merito della 5’ desiodasi prima (D1) e dalla 5’ desiodasi seconda (D2) tiroidee, per cui il rapporto molare T4:T3 nel secreto tiroideo è di circa 11:1. Quotidianamente sono secreti circa 110 nMol di T4 e 10 nMol di T3. La Tg è per la massima parte trattenuta nella cellula tiroidea e solo una quota minima passa in circolo. 9 9 Regolazione della secrezione tiroidea La tiroide produce principalmente T4 (circa 80%) e in quantità molto inferiori T3 (circa 20%). I due ormoni hanno 6/9/10 5:48:46 PM 1360 Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE Tireoglobulina Lume del follicolo Microvilli Riutilizzazione dello iodio Fusione Cellula Proteolisi Lisosomi Iodio intracellulare Figura 61.1 Biosintesi e secrezione degli ormoni tiroidei. Le tappe metaboliche ai punti 1, 2, 3, 5 possono essere interessate da difetti enzimatici con blocco della biosintesi degli ormoni tiroidei. Figura 61.2 Struttura chimica della tiroxina (T4), della triiodotironina (T3) e della “reverse T3” (RT3). In sede extratiroidea la T4 è deiodinata con formazione di T3 o di RT3 a seconda che la deiodinazione avvenga in posizione 5’ o 5. C0305.indd 1360 MIT DIT T4 T3 Capillare 1 2 3 4 5 6 Trasporto attivo dello iodio dal circolo all’interno della cellula tiroidea Ossidazione dello iodio e legame a un residuo tirosinico della tireoglobulina Accoppiamento di due residui a formare T4 e T3 Riassorbimento della colloide e proteolisi della tireoglobulina Deiodinazione delle iodotirosine (MIT e DIT) Liberazione in circolo di T3 e T4 3’ l HO 5’ l l HO 3 l O 5 l CH 2CHCOOH NH 2 l l CH2CHCOOH O l 3,5,3’ triiodotironina (T3) 3,5,3’,5’ tetraiodotironina (tiroxina) (T4) NH2 HO l O CH2CHCOOH NH2 l 3,3’,5’ triiodotironina (RT3) 6/9/10 5:48:47 PM Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE un differente ruolo biologico, essendo la T3 l’ormone biologicamente attivo e fungendo la T4 da precursore. I due ormoni hanno differente concentrazione plasmatica, con valori di T4 maggiori di quelli di T3 (frazione libera della T4, range di normalità 8-18 pg/mL; frazione libera della T3, range di normalità 2,5-5 pg/mL). Tra l’altro la maggior parte della T3 circolante (circa 80%) è derivante dal metabolismo periferico della T4. Infine, il rapporto T4/T3 può essere modificato in condizioni di iperfunzione o iperstimolazione ghiandolare (Fig. 61.3). La produzione e la secrezione di T4 e T3 da parte della tiroide sono regolate essenzialmente mediante due meccanismi, uno rappresentato dal TSH (controllo endocrino), inteso a mantenere costante la concentrazione degli ormoni tiroidei nel sangue, e l’altro intrinseco tiroideo, inteso a mantenere costante la scorta di ormone nella tiroide nonostante variazioni dell’apporto di iodio (autoregolazione della funzione tiroidea). Le cellule tireotrope ipofisarie producono e rilasciano TSH primariamente controllate dalla stimolazione tonica ipotalamica tramite l’ormone rilasciante il TSH (TRH) e dall’inibizione a feedback negativo esercitata dagli ormoni tiroidei (si veda il Capitolo 60). Il controllo della sintesi del TRH è essenzialmente legato al feedback negativo esercitato dagli ormoni tiroidei. L’azione di controregolazione degli ormoni tiroidei è esercitata dalle frazioni libere degli ormoni tiroidei. In particolare è la T3 ad agire a livello recettoriale. La T4 circolante viene convertita in T3 dalle desiodasi presenti nelle cellule ipofisarie e ipotalamiche. La T3 inibisce direttamente la sintesi di TRH a livello ipotalamico, mentre a livello ipofisario l’effetto inibitorio si esplica sia con un meccanismo diretto sulle cellule tireotrope riducendo la produzione di TSH sia indirettamente diminuendo la responsività delle stesse cellule al TRH. Il freddo, tramite l’attivazione del sistema catecolaminergico, aumenta il cAMP cellulare e quindi la sintesi di TRH (così si spiega il brusco aumento del TSH circolante che si ha alla nascita), i glucocorticoidi e la somatostatina e alcune citochine ne inibiscono la sintesi. Dopo la secrezione nel sistema portale ipotalamo-ipofisario, il TRH raggiunge l’ipofisi, ove è fissato da recettori specifici della membrana citoplasmatica delle cellule tireotrope. Tali recettori appartengono alla famiglia dei recettori accoppiati con le proteine G, il cui sistema trasduzionale è legato all’idrolisi del fosfatidilinositolo 4-5 bifosfato, all’aumento del calcio intracellulare e all’attivazione della protein-chinasi C. Il TRH stimola la sintesi e la secrezione di TSH e probabilmente regola i processi posttraduzionali che portano alla sintesi di TSH biologicamente attivo, dal momento che in pazienti affetti da ipotiroidismo terziario, ossia da deficit di TRH ipotalamico, si trova in circolo TSH con ridotta bioattività. Il TRH, inoltre, agisce a livello delle cellule tireotrope dell’ipofisi modulando la soglia di sensibilità (set-point) del meccanismo di controregolazione negativo TSH-ormoni tiroidei. Il TSH è una glicoproteina secreta dalle cellule tireotrope ipofisarie con peso molecolare di 28.000 Dalton, composta da due subunità ␣ e  legate in modo non covalente: ha una struttura comune agli altri ormoni glicoproteici (LH, FSH, β-hCG). La subunità ␣ è comune a tutti e quattro gli ormoni, la subunità  è invece peculiare e conferisce la specifica attività biologica. L’azione del TSH inizia con il legame al suo recettore specifico (TSHR). Il TSHR è presente in modo consistente sulla membrana citoplasmatica della parte basale di tutte le cellule follicolari. Esso è codificato da un gene localizzato sul cromosoma 14 q13 ed è costituito da un’unica catena composta da un lungo dominio extracellulare amino-terminale (397 residui aminoacidici) che lega il TSH, da un dominio intramembrana che attraversa sette volte la membrana cellulare in tutto il suo spessore, ripiegandosi a formare tre piccole anse e un breve dominio intracellulare carbossiterminale. Il TSHR è connesso con il pathway trasduzionale del c-AMP. Per questa via il TSH attiva la protein-chinasi A e aumenta la produzione di specifici fattori tiroidei di trascrizione, modulando l’espressione e la trascrizione dei geni che codificano il NIS, la TPO, la Tg e il TSHR. Caratteristica del TSHR è quella di non presentare desensibilizzazione omologa, dal momento che la sua continua stimolazione da parte del TSH o degli anticorpi tireostimolanti induce iperplasia e iperfunzione tiroidea. Oltre ai meccanismi endocrini precedentemente descritti esiste anche un meccanismo di autoregolazione della funzione tiroidea (presente anche dopo ipofisectomia) legato al contenuto intraghiandolare di iodio. Infatti, in caren- 1361 9 300 μg/die 90 μg/die 20 μg/dL 10 μg/dL T4 T4 / T3= 10 25 T3 Siero T4 Siero 100 T3 100 ng/dL 30 μg/die 5 = T4 / T3 500 ng/dL 200 μg/die Figura 61.3 Rapporto T4:T3 nella ghiandola tiroidea e nel circolo ematico dei soggetti eutiroidei e dei pazienti con ipertiroidismo. Le aree in grigio indicano la quantità di T4 trasformate in T3 in sede extratiroidea. (Da: da Kaplan e Utiger, 1978, modificata.) C0305.indd 1361 6/9/10 5:48:47 PM 1362 Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE za moderata o a breve termine di iodio si ha un aumento della captazione dello I-, della velocità di sintesi degli ormoni tiroidei, della sintesi della T3 rispetto alla T4, della deiodinazione intratiroidea della T4 con formazione di T3 e della conservazione intratiroidea dello iodio. Fintanto che questi meccanismi di adattamento sono adeguati, i livelli della T4 nel siero si mantengono ai limiti inferiori della norma e quelli della T3 ai limiti superiori, e i livelli di TSH sono ancora normali. La produzione preferenziale di T3, quindi, mantiene uno stato di eutiroidismo. Quando la carenza di iodio è grave e prolungata, i livelli normali degli ormoni tiroidei circolanti sono mantenuti solo a prezzo di un aumento del TSH e dell’iperplasia tiroidea. Nei soggetti eutiroidei con tiroidi intrinsecamente normali, l’assunzione di iodio in dosi moderate non determina deviazioni dalla norma della concentrazione sierica degli ormoni tiroidei, mentre l’assunzione di dosi elevate di iodio determina a breve termine una transitoria e modesta diminuzione degli ormoni tiroidei circolanti e un modesto aumento del TSH che, tuttavia, rimangono nei limiti di norma. Queste modifiche sono il risultato di un blocco transitorio sia della secrezione ormonale (per blocco del riassorbimento della Tg dalla colloide e della liberazione degli ormoni tiroidei dalla Tg) sia dell’organificazione dello iodio e della formazione degli ormoni tiroidei. Quest’ultimo effetto (effetto acuto di Wolff-Chaikoff) è dovuto allo stabilirsi entro la tiroide di un’elevata concentrazione di I- che porta all’inibizione della sintesi della TPO e della Tg. Quando l’assunzione di dosi elevate di iodio è prolungata (superiore ai 7-10 giorni), la tiroide sfugge all’effetto inibitorio dello iodio. Questo fenomeno di sfuggita è dovuto alla contemporanea diminuzione della captazione di I- (dovuto alla inibizione della sintesi del NIS), per cui la concentrazione intratiroidea dello I- diminuisce e diviene insufficiente a mantenere il blocco di Wolff-Chaikoff. Questa sfuggita è dunque conseguenza dell’autoregolazione tiroidea sul trasporto degli I- nei tireociti e previene lo sviluppo del gozzo e dell’ipotiroidismo nei soggetti normali. Trasporto e metabolismo degli ormoni tiroidei Gli ormoni tiroidei, essendo praticamente insolubili in acqua, sono quasi interamente veicolati nel plasma da proteine vettrici e solo in minima parte sono liberi. Tali proteine sono: la globulina legante la T4 (TBG), la transtiretina (TTR) o frazione prealbuminica legante la T4 (TBPA) e l’albumina. Tutte queste proteine sono sintetizzate dal fegato. Esse legano con legame non covalente gli ormoni tiroidei in complessi più o meno facilmente dissociabili. La TBG (codificata da un gene localizzato sul cromosoma X) lega circa il 70% della T4 circolante con elevata affinità, la TTR circa il 15% con minore affinità. La frazione libera della T4 circolante (FT4) è di circa lo 0,02%. La T3 è legata per l’80% dalla TBG e per circa il 5% dalla TTR; la quota libera (FT3) è circa lo 0,3%. Le quote di T4 e di T3 non legate dalla TBG e dalla TTR sono complessate con l’albumina. La FT4 e la FT3 sono in grado di entrare nelle cellule. Il complesso ormoni tiroidei-proteine leganti è un serbatoio che consente la rapida fornitura di ormone in rapporto alle immediate necessità metaboliche dei vari tessuti. Variazioni quantitative delle proteine leganti o della loro affinità per gli ormoni tiroidei determinano variazioni nello stesso senso della T4 e/o della T3 totali, ma non delle loro frazioni libere, e quindi in presenza di una funzione conservata dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide non C0305.indd 1362 determinano effetti biologici significativi. Un aumento della TBG si osserva nella gravidanza, nel neonato, nella terapia con estrogeni e in epatopatie acute e croniche. In questi casi, la minore disponibilità periferica di T4 causa aumento del TSH (per ridotto feedback negativo da parte della T3), incremento compensatorio della secrezione degli ormoni tiroidei e della saturazione delle proteine di legame e ripristino di normali frazioni libere. Diminuzione della TBG si ha per effetto degli androgeni, nella sindrome nefrosica, in una forma familiare recessiva legata al sesso. Aumento dell’affinità della albumina per la T4 occorre nell’ipertiroxinemia familiare disalbuminemica, trasmessa come carattere autosomico dominante. Nelle cellule la T4, che è il pro-ormone, è deiodinata a T3, che è l’ormone attivo, mediante monodeiodinazione dell’anello esterno (5’-deiodinazione) che è catalizzata dalle desiodasi D1 e D2. La D1 si trova nella maggior parte dei tessuti (in concentrazione elevata nella tiroide, nel fegato, nel rene) e la sua attività varia contestualmente con la concentrazione nel plasma della T4 ed è inibita dal propiltiouracile. La D2 si trova in pochi tessuti (principalmente nel sistema nervoso centrale, nell’ipofisi, nel tessuto adiposo bruno) e la sua attività è inversamente proporzionale alla concentrazione nel plasma della T4 (in modo da mantenere costante la concentrazione endocellulare della T3 anche per deviazioni importanti dalla norma della T4 circolante) e non è inibita dal propiltiouracile. Nelle cellule ha luogo anche la deiodinazione dell’anello interno della T4 e della T3 (5-deiodinazione), catalizzata principalmente dalla 5-desiodasi (D3), che porta all’inattivazione della T4 a reverse T3 (rT3) (si veda Fig. 61.2) e della T3 a diiodotironina. Meccanismo di azione e ruolo fisiologico degli ormoni tiroidei La T3 è trasportata e concentrata nel nucleo delle cellule ove è legata da recettori liberi specifici (TR) che appartengono alla superfamiglia dei recettori nucleari, i quali legano in varia forma gli steroidi sessuali, la vitamina D e l’acido retinoico, oltre che la T3. Due distinti geni, THRA e THRB (codificanti rispettivamente i TR␣ e i TR) producono varie isoforme di TR, tra cui i recettori dotati di funzione (TR␣1, TR1 e TR2). Ciascun recettore ha un sito per il legame con il DNA e un sito distinto per legare la T3. Il complesso T3-TR, previa dimerizzazione del recettore e interazione con fattori di trascrizione (ossia legando coattivatori e dissociandosi da corepressori), si lega al DNA, attivando la trascrizione a livello del gene bersaglio e quindi la sintesi di proteine necessarie perché si manifesti l’effetto fisiologico della T3 nella cellula. Numerosi sono gli organi bersaglio degli ormoni tiroidei e questo spiega la ricchezza del quadro sintomatologico presente nelle alterazioni funzionali tiroidee. Tuttavia, si possono identificare tre aree maggiori in cui il ruolo fisiologico degli ormoni tiroidei è fondamentale: • sistema nervoso centrale (SNC): gli ormoni tiroidei sono necessari per lo sviluppo (fetale e neonatale) e per le funzioni (adulto) dell’SNC; • apparato cardiovascolare: gli ormoni tiroidei esercitano un effetto diretto sul miocardio aumentando l’inotropismo. Inoltre, gli ormoni tiroidei potenziano l’azione delle catecolamine sull’apparato cardiovascolare attraverso un effetto favorente l’azione dei recettori 2; 6/9/10 5:48:47 PM Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE 1363 Figura 61.4 Palpazione della ghiandola tiroidea. • metabolismo intermedio: gli ormoni tiroidei hanno un’azione prevalentemente catabolica (lipolitica) finalizzata alla produzione di energia (aumento del consumo di ossigeno). Semeiotica della tiroide La tiroide è una ghiandola impari, costituita da due lobi laterali riuniti da una porzione trasversale definita istmo. Tale ghiandola è localizzata alla base del collo e in condizioni di normalità non è apprezzabile all’ispezione. Il momento fondamentale dell’esame obiettivo tiroideo è rappresentato dalla palpazione. La palpazione della ghiandola tiroidea viene eseguita con l’operatore posto alle spalle del paziente, utilizzando l’indice, il medio e l’anulare di entrambe le mani (Fig. 61.4). Durante la palpazione si invita il paziente a deglutire al fine di poter attribuire eventuali tumefazioni alla pertinenza tiroidea: infatti, vi possono essere masse nel collo che appartengono ad altre strutture (esempio linofonodi, cisti mediane). La tiroide e masse di derivazione tiroidea si spostano verso l’alto e si abbassano successivamente muovendosi consensualmente alla trachea e alla laringe durante la deglutizione. La palpazione consente di delimitare i lobi tiroidei e la regolarità della loro superficie, di valutarne la consistenza e di apprezzare l’eventuale presenza di dolorabilità. Particolare importanza riveste la palpazione nell’identificazione dei noduli tiroidei e nella loro caratterizzazione sul piano delle dimensioni e dei rapporti con le strutture circostanti (si veda oltre, Nodulo tiroideo). Nei pazienti con ipertiroidismo l’esame obiettivo tiroideo può essere 9 completato con l’auscultazione, che permette di apprezzare la presenza di un soffio parenchimale, espressione di un’ipervascolarizzazione. Patologia tiroidea Le malattie della tiroide possono essere schematicamente (anche se clinicamente ciò, come si vedrà, non sempre è possibile) suddivise, in base all’atteggiamento funzionale della ghiandola, in malattie caratterizzate da un aumento in circolo degli ormoni tiroidei (tireotossicosi), da una ridotta funzionalità della tiroide (ipotiroidismo) oppure da livelli circolanti di ormoni tiroidei nel range di norma (eutiroidismo). Malattie caratterizzate da tireotossicosi Per tireotossicosi si intende una condizione patologica caratterizzata da un eccesso di ormoni tiroidei in circolo. Schematicamente, le tireotossicosi possono essere suddivise in tireotossicosi causate da iperfunzione ghiandolare (con ipertiroidismo) e tireotossicosi senza iperfunzione ghiandolare (Tab. 61.1). A loro volta, gli ipertiroidismi possono essere classificati come primitivi (quando causati da una patologia a carico della ghiandola tiroidea) o secondari (quando la tiroide è normale ma è bersaglio di un’iperstimolazione da parte del TSH o sostanze simili). Le forme di gran lunga più frequenti di ipertiroidismo sono la malattia di Graves-Basedow, la malattia di Plummer e il gozzo multinodulare tossico, e verranno discusse in dettaglio. TIREOTOSSICOSI CON IPERTIROIDISMO Malattia di Graves-Basedow (gozzo tossico diffuso o ipertiroidismo primitivo autoimmune) Definizione ed epidemiologia Per più di un secolo questa malattia è stata chiamata, nell’Europa continentale, morbo di Basedow, dal nome del clinico tedesco Karl Anton von Basedow che la descrisse nel 1840. Dopo la seconda guerra mondiale si è sempre C0305.indd 1363 più diffuso soprattutto nei Paesi anglosassoni l’eponimo di malattia di Graves, dal nome del medico irlandese Robert James Graves, che la descrisse a sua volta nel 1853. Si tratta di una malattia autoimmune caratterizzata da un’aumentata produzione di ormoni tiroidei da parte della ghiandola tiroidea, che appare aumentata di volume in toto sotto l’effetto di anticorpi in grado di stimolare la crescita e la funzione delle cellule tiroidee attraverso l’attivazione incontrollata del recettore del TSH. La malattia di Graves-Basedow va inquadrata nel capitolo più ampio delle malattie autoimmuni tiroidee, che comprendono anche la malattia di Hashimoto, la tiroidite silente, la tiroidite post partum. Queste entità cliniche riconoscono un’unica genesi autoimmunitaria ma con peculiarità immunologiche che determinano una differente espressione clinica. La malattia di Graves-Basedow ha una prevalenza nella popolazione generale dello 0,5% ed è responsabile del 50-80% delle forme di tireotossicosi, con percentuali variabili nelle diverse aree geografiche (più frequente nelle aree a normale apporto iodico). Predilige il sesso femminile, con un rapporto M:F di 1:5-1:10, un’incidenza di circa 1 caso su 1000 donne all’anno e una prevalenza del 2% nella popolazione femminile in generale. Può comparire a qualsiasi età, con un picco di incidenza nelle donne in età fertile (20-40 anni). 6/9/10 5:48:47 PM 1364 Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE Tabella 61.1 Classificazione fisiopatologica delle tireotossicosi Tireotossicosi con ipertiroidismo Primitive – Malattia di Basedow – Gozzo uninodulare tossico (malattia di Plummer) – Gozzo multinodulare tossico Tireotossicosi senza ipertiroidismo Tireotossicosi infiammatorie autoimmuni – Tiroidite silente – Tiroidite post partum Tireotossicosi infiammatorie virali – Tiroidite subacuta di De Quervain Tireotossicosi esogene – Tireotossicosi factitia – Tireotossicosi iatrogena Secondarie – Adenoma TSH-secernente – Tumori secernenti -hCG Eziologia Come in tutte le malattie autoimmuni, è presente una predisposizione genetica sulla quale agiscono fattori ambientali ed endogeni. È presente un 35% di concordanza tra gemelli omozigoti ed è stato calcolato che la predisposizione genetica può determinare per il 79% lo sviluppo della malattia. Non esiste un gene unico responsabile della malattia, ma la suscettibilità a sviluppare la malattia di Graves-Basedow deriva dall’associazione e interazione di differenti loci genetici, tra i quali vanno annoverati quelli del sistema HLA (DR3, DQA10501) e il CTLA-4, quest’ultimo un gene che codifica per una proteina coinvolta nel processo di presentazione dell’antigene alle cellule linfocitarie. In pazienti geneticamente predisposti agiscono fattori ambientali o endogeni come fattori scatenanti la malattia. La predilezione per il sesso femminile della malattia autoimmune tiroidea in generale e della malattia di GravesBasedow in particolare ha portato a ipotizzare l’intervento di fattori sesso-specifici. In particolare, attenzione è stata posta nei confronti di geni sul cromosoma X, ma i dati della letteratura a riguardo necessitano di ulteriore conferma. Tra i fattori ambientali è stato suggerito un ruolo per gli agenti infettivi: infatti, è stata descritta una cross-reattività tra antigeni tiroidei e proteine batteriche della Yersinia enterocolitica e alcuni antigeni retrovirali. Lo stress è un altro importante fattore ambientale in grado di scatenare la malattia in soggetti geneticamente predisposti o di favorire le recidive dopo trattamento farmacologico, operando attraverso effetti neuroendocrini sul sistema immunitario. Anche alcuni farmaci, quali quelli immunomodulatori (interferone , anticorpi monoclonali, interferone ␣) e quelli contenenti grandi quantità di iodio (amiodarone, mezzi di contrasto iodati), possono essere responsabili dello sviluppo della malattia innescando il processo autoimmunitario. Infine, una recente gravidanza può rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo della malattia di GravesBasedow in soggetti suscettibili, come conseguenza delle profonde modifiche del sistema immunitario che occorrono durante la gravidanza e nel successivo periodo post partum. C0305.indd 1364 Il fumo di sigaretta predispone o aggrava, come la terapia con radioiodio, l’oftalmopatia nei pazienti ipertiroidei con malattia di Graves-Basedow (si veda oltre). Patogenesi La malattia di Graves-Basedow rappresenta un estremo dello spettro di presentazione clinica di quelle patologie che vanno sotto il nome di “tireopatie autoimmuni”, all’altro estremo delle quali si colloca la tiroidite di Hashimoto, di cui si parlerà successivamente. Questo è anche dimostrato dalla possibilità che nello stesso paziente vi possa essere una transizione dall’una all’altra manifestazione clinica in conseguenza del comportamento della risposta autoimmunitaria. La coesistenza di risposte immunitarie differenti (cellulo-mediata e anticorpo-mediata) così come la produzione di classi separate di autoanticorpi con proprietà biologiche diverse rappresenta il substrato immunologico delle diverse espressioni anatomocliniche delle tireopatie autoimmuni (Fig. 61.5). All’origine delle tireopatie autoimmuni vi è un disordine dell’immunoregolazione responsabile della comparsa di un’abnorme risposta immunitaria diretta contro le strutture della ghiandola tiroidea. Il disordine origina in seguito ad alterazioni dei meccanismi che intervengono nella regolazione del processo di discriminazione del “self” rispetto al “non-self”, vale a dire la tolleranza centrale, la tolleranza periferica e l’anergia. Le alterazioni di questi meccanismi, così come accade in altre malattie autoimmuni, rendono possibile l’attivazione del processo autoimmunitario allorché le cellule tiroidee “presentano” i propri antigeni al sistema immunitario. Le diverse espressioni cliniche della tireopatia autoimmune sono strettamente dipendenti dal tipo di risposta immunitaria che si realizza nei confronti della ghiandola tiroidea. Tale risposta è sostanzialmente di due tipi, anticorpo-mediata e cellulo-mediata, con peculiarità citochiniche per ciascuna di essa. Secondo il modello dicotomico Th1-Th2, sviluppato nell’animale da esperimento e applicabile all’uomo con le dovute riserve, la risposta anticorpo-mediata sarebbe regolata prevalentemente dal pattern citochinico Th2 (per esempio, IL-4, IL-5 e IL-10), mentre la risposta cellulo-mediata sarebbe indotta e mantenuta dalle citochine Th1, come l’interferone ␥ e l’IL-2. Nella malattia di Graves-Basedow è predominante la risposta anticorpo-mediata rispetto a quella cellulo-mediata. Inoltre, in questa patologia si assiste a un ridotto danno cellulare apoptotico, verosimilmente come conseguenza di meccanismi di controllo da parte delle cellule follicolari che svolgono un ruolo chiave nell’indirizzare il proprio “destino” (questo aspetto verrà approfondito nel paragrafo dedicato alla tiroidite di Hashimoto). La risposta anticorpo-mediata porta alla produzione di autoanticorpi diretti sostanzialmente contro tre antigeni tiroidei che sono fondamentali per la sintesi degli ormoni tiroidei: la TPO, la Tg e il TSHR. Gli anticorpi anti-Tg (TgAb) e quelli anti-TPO (TPOAb) non hanno un ruolo patogenetico, ma vengono tradizionalmente considerati epifenomeno del sottostante processo autoimmunitario. Gli anticorpi diretti contro il TSHR, invece, sono direttamente responsabili dell’ipertiroidismo nella malattia di Graves-Basedow. Questi anticorpi agiscono legandosi alla porzione aminica del 6/9/10 5:48:48 PM Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE TgAb + TPOAb + TSHRAb +++ (stimolanti) TgAb + TPOAb +++ TSHRAb +/– (inibenti) Oftalmopatia Tiroidite di Hashimoto Malattia di Graves-Basedow 1365 Figura 61.5 Spettro di presentazione clinica delle tireopatie autoimmuni e correlazione con il pattern immunologico. 9 Risposta Th2 Risposta Th1 Apoptosi Funzione tiroidea Ipertiroidismo TSHR sulle cellule tiroidee andando ad attivare, in maniera continua e incontrollata, la cascata trasduzionale c-AMP- e fosfolipasi A2-dipendente, portando così alla stimolazione della sintesi e secrezione degli ormoni tiroidei e all’ipertrofia e iperplasia delle cellule tiroidee. Esistono anche anticorpi anti-TSHR che, legandosi a epitopi diversi del recettore, non sono in grado di attivarlo ma spiazzano il TSH impedendo l’attivazione delle cellule tiroidee. Questi anticorpi possono essere presenti nella malattia di Graves-Basedow, soprattutto dopo un trattamento radiometabolico o in corso di terapia farmacologica, andando a modulare l’effetto di stimolazione degli anticorpi stimolanti il TSHR e condizionando in parte il quadro funzionale tiroideo. Gli anticorpi antiTSHR privi di azione di stimolo possono essere anche osservati in pazienti con tiroidite di Hashimoto, soprattutto nella forma atrofica. Un meccanismo autoimmune è anche alla base dello sviluppo dell’oftalmopatia basedowiana. I linfociti T diretti contro il TSHR riconoscerebbero lo stesso antigene espresso sulla superficie dei fibroblasti orbitali in via di differenziazione ad adipociti. In tal modo verrebbe innescato un processo infiammatorio autoimmune con liberazione di citochine, che stimolano i fibroblasti a produrre glucosaminoglicani che si accumulano con effetto massa nei muscoli e nei tessuti retro-orbitali. Gli anticorpi anti-TSHR potrebbero svolgere un ruolo in questo meccanismo di innesco, sebbene i dati in letteratura siano ancora controversi. Fisiopatologia Le manifestazioni cliniche della malattia di Graves-Basedow sono innanzitutto legate all’ipertiroidismo e quindi in gran parte riconducibili alle modificazioni metaboliche e all’iperattività del sistema adrenergico, con contemporanea riduzione del tono vagale, causate dall’elevata concentrazione di ormoni tiroidei. Dall’altra parte, peculiare C0305.indd 1365 Eutiroidismo Ipotiroidismo della malattia di Graves-Basedow sono le manifestazioni cliniche legate ai processi autoimmunitari. Il principale effetto metabolico dell’eccesso di ormone tiroideo è rappresentato dall’accelerazione dei processi metabolici con aumento del metabolismo basale, conseguenza di una maggiore utilizzazione (con relativo depauperamento) dei depositi energetici, solo parzialmente compensata dalla maggiore introduzione calorica con gli alimenti (iperfagia). Il consumo di O2 è aumentato, con contemporaneo aumento della produzione di calore, per cui si innalza la temperatura corporea. Infatti, il calore prodotto in eccesso è disperso sia per irraggiamento (aumento della temperatura cutanea) sia per evaporazione (sudorazione). Questo spiega l’intolleranza al caldo e l’esagerata sudorazione dei pazienti con tireotossicosi. Sul piano del metabolismo intermedio la sintesi e il catabolismo proteico sono stimolati, con netta prevalenza di quest’ultimo; come conseguenza il bilancio azotato si negativizza con aumentata escrezione urinaria di azoto. A livello dei muscoli scheletrici l’effetto catabolico determina liberazione di creatina (eliminata in quantità elevata con le urine) e atrofia muscolare; analogamente a livello osseo la diminuzione della matrice proteica provoca mobilizzazione del calcio con ipercalcemia, ipercalciuria e osteoporosi. Anche il metabolismo lipidico è influenzato dall’eccesso di ormoni tiroidei in tutti i suoi aspetti (sintesi, mobilizzazione e catabolismo), con la prevalenza dell’effetto catabolico. Di conseguenza si riducono i livelli di colesterolo e di trigliceridi circolanti. La mobilizzazione dei depositi di tessuto adiposo è accelerata, con aumento degli acidi grassi liberi circolanti. Più complessa è l’azione dell’eccesso degli ormoni tiroidei sul metabolismo glucidico. Infatti, l’assorbimento intestinale di glucosio è aumentato, così come la produzione di glucosio dal glicogeno, dal lattato, dal glicerolo e dagli aminoacidi. Le elevate concentrazioni di ormoni tiroidei potenziano l’azione glicogenolitica e iperglicemizzante 6/9/10 5:48:48 PM 1366 Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE delle catecolamine e gli effetti biologici dell’insulina, con conseguente maggiore utilizzazione del glucosio da parte del tessuto muscolare e di quello adiposo. Come conseguenza dell’accelerato turnover metabolico del glucosio, le riserve epatiche di glicogeno sono ridotte. In circa il 30% dei pazienti ipertiroidei la risposta insulinemica al carico orale di glucosio è inadeguata e la curva glicemica da carico è alterata; si ritiene che in questi pazienti l’ipertiroidismo renda evidente una latente insufficienza della secrezione insulinica. In accordo con questi rilievi di ordine metabolico, l’esperienza clinica dimostra che nei pazienti con diabete mellito preesistente l’insorgenza di ipertiroidismo aumenta nettamente il fabbisogno giornaliero di insulina. Gli effetti cardiovascolari degli ormoni tiroidei sono in parte mediati dal potenziamento degli effetti delle catecolamine a livello recettoriale e in parte secondari alle più elevate richieste energetiche dei tessuti. La portata cardiaca e il lavoro cardiaco aumentano. Compaiono anche tachicardia (effetto cronotropo positivo) e aumento dell’attività contrattile cardiaca a riposo (effetto inotropo positivo) e diminuzione delle resistenze periferiche. La diminuzione della resistenza vascolare periferica (in parte dovuta anche all’aumento della termogenesi indotta dagli ormoni tiroidei) comporta aumento del ritorno venoso al cuore e quindi aumento del precarico. Quest’ultimo è causato da un aumentato passaggio del sangue dall’albero arterioso a quello venoso e da un aumento del volume del sangue circolante, mediato attraverso l’attivazione del sistema renina-angiotensinaaldosterone e la ritenzione di sodio (Na). Inoltre gli ormoni tiroidei aumentano la massa dei globuli rossi per effetto di stimolo sulla secrezione dell’eritropoietina. L’aumentato ritorno di sangue venoso al cuore comporta a sua volta un corrispondente aumento della portata cardiaca. La produzione di catecolamine non è aumentata nell’ipertiroidismo; anzi, le catecolamine totali nel siero sono ridotte, mentre l’adrenalina nel siero e le catecolamine urinarie sono normali. A queste alterazioni fisiopatologiche dovute alla tireotossicosi, come detto, nella malattia di Graves-Basedow si possono aggiungere manifestazioni cliniche che non dipendono strettamente dall’ipertiroidismo ma sono invece espressione del coinvolgimento autoimmunitario di tessuti e organi extratiroidei, come l’oftalmopatia conseguenza dell’edema del tessuto adiposo e muscolare retro-orbitario (causato dall’accumulo di acido ialuronico) e dall’infiltrazione dei tessuti da parte dei linfociti che sono responsabili dell’innesco e del mantenimento del processo autoimmune. Analogo meccanismo è all’origine della dermopatia basedowiana o mixedema pretibiale , causata dall’aumentata concentrazione di glicosaminoglicani nella porzione reticolare ma non in quella papillare del derma, con concentrazioni di acido ialuronico da 6 a 16 volte superiori nelle aree mixedematose rispetto alla cute normale. L’acido ialuronico espande il tessuto dermico e determina ritenzione di liquido. Può anche causare compressione o occlusione dei piccoli vasi linfatici locali e quindi aumentare l’edema del derma. Si ritiene che il prevalente manifestarsi del mixedema a livello degli arti inferiori sia dovuto a cause favorenti locali quali la stasi venosa o una particolare reattività dei fibroblasti regionali. C0305.indd 1366 Manifestazioni cliniche Nella malattia di Graves-Basedow si possono riconoscere segni e sintomi collegati a due ordini di fattori: manifestazioni comuni a tutte le forme di tireotossicosi dovute all’eccesso degli ormoni tiroidei e che sono sostanzialmente l’espressione di aumento del tono adrenergico e del consumo energetico basale; sintomi e segni esclusivi, cioè non presenti nelle altre forme di tireotossicosi, legati alla patogenesi autoimmune della malattia. La frequenza relativa delle singole manifestazioni cliniche è riportata nella tabella 61.2. Sintomi e segni causati dall’eccesso di ormoni tiroidei • Generali e sistemici. Il paziente o, come più frequentemente accade, la paziente con malattia di Graves-Basedow si presenta all’osservazione con un quadro generale spesso già significativo per ipertiroidismo. Tale quadro è caratterizzato generalmente da magrezza e/o dimagrimento di data recente (4-5 kg nell’arco di poche settimane), nonostante l’aumento del senso della fame e dell’introduzione di cibo (iperfagia). Nei pazienti in sovrappeso, l’ipertiroidismo può anche associarsi a un aumento paradosso del peso corporeo (ipertiroidismo “florido”). La paziente spesso Tabella 61.2 Manifestazioni cliniche della malattia di Graves-Basedow Segni e sintomi Frequenza Sintomi e segni causati dall’eccesso di ormoni tiroidei Generali e sistemici – Dimagrimento – Iperfagia – Diarrea – Intolleranza al caldo – Febbricola – Astenia e faticabilità – Eretismo, ansia, insonnia 52-85% 11-65% 12-33% 41-89% 10-20% 44-88% 80-90% Manifestazioni neuromuscolari – Tremore – Ipostenia muscolare – Retrazione della palpebra superiore 40-97% 50-90% 40% Manifestazioni cardiovascolari – Tachicardia e cardiopalmo – Aumento della pressione arteriosa differenziale – Cute calda con dermografismo rosso Sintomi e segni esclusivi della malattia di Graves-Basedow Tiroide aumentata di volume in toto Esoftalmo e segni di infiltrazione dei tessuti retro-orbitari Mixedema pretibiale Acropatia 58-100% 55-78% 50-72% 37-100% 25-50% 1-5% 0,1-1,5% 6/9/10 5:48:49 PM Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE riferisce un cambiamento dell’alvo, che diventa tendenzialmente diarroico, o riferisce irregolarità o alterazioni del ciclo mestruale (oligomenorrea o amenorrea). La paziente presenta un’intolleranza al caldo (vestiti leggeri in pieno inverno e/o sudorazione profusa nel periodo estivo) riferendo frequentemente febbricola persistente. La paziente riferisce inoltre inusuale affaticabilità per piccoli sforzi, insonnia, ansia e nervosismo; già alla prima osservazione emerge un atteggiamento tipico definito “eretismo psicofisico” caratterizzato da reazioni emotive discordanti rispetto al contenuto del colloquio e labilità emotiva (facile e apparentemente inappropriato passaggio dal riso al pianto). A questo quadro generale vanno poi aggiunti i segni e sintomi dell’ipertiroidismo ricercati a livello dei vari organi e apparati. • Apparato neuromuscolare. Il segno neurologico più caratteristico e frequente è il tremore; è tipicamente limitato alle mani e alle dita, i movimenti sono rapidi, uniformi, di piccola ampiezza. L’esecuzione di movimenti che richiedono una fine coordinazione può risultare difficoltosa. La compromissione muscolare può essere assai variabile; si può andare da una modesta ipotrofia muscolare, con facile esauribilità, a una grave atrofia dei muscoli prossimali degli arti, con difficoltà a portare gli arti superiori sopra il capo, a salire su uno sgabello e/o a portarsi dalla posizione seduta a quella eretta. Nonostante l’astenia muscolare, i riflessi osteotendinei sono vivaci, con accelerazione della fase di contrazione e di rilassamento (per esempio, iperreflessia rotulea). Per l’attivazione adrenergica, compare retrazione della palpebra superiore con conseguente aumento della rima palpebrale anche in assenza di una vera protrusione del bulbo oculare. Inoltre si ha asinergia oculo-palpebrale per mancata coordinazione dei movimenti della palpebra superiore con quelli del globo oculare. Queste manifestazioni sono responsabili dello sguardo sbarrato tipico dei pazienti ipertiroidei, della rarità dell’ammiccamento (segno di Stellwag) e dei cosiddetti segni oculari dell’ipertiroidismo: 1) nello sguardo verso il basso, la palpebra superiore non segue, come di consueto, il movimento del bulbo oculare, in modo tale che una parte della sclera rimane scoperta (segno di Graefe); 2) quando si invita il paziente a fissare un oggetto che viene avvicinato alla radice del naso, si ha una scorretta convergenza dei bulbi oculari (segno di Moebius); 3) nello sguardo verso l’alto non si ha corrugamento della fronte (segno di Joffroy). • Apparato cardiovascolare. Le manifestazioni cardiovascolari sono frequenti e possono rappresentare gli eventi clinici più precoci e più gravi dell’ipertiroidismo. Come già descritto nel paragrafo dedicato alla fisiopatologia, l’eccesso degli ormoni tiroidei porta alla comparsa di tachicardia generalmente sinusale (in genere la frequenza cardiaca è superiore a 120 bpm a riposo) con senso di cardiopalmo. In alcuni soggetti, l’effetto batmotropo degli ormoni tiroidei può determinare la comparsa di aritmie sopraventricolari. Nel paziente C0305.indd 1367 ipertiroideo giovane, quale generalmente è quello affetto da malattia di Graves-Basedow, sono possibili caratteristiche aritmie da rientro per attivazione di fasci di conduzione anomala (Wolff-Parkinson-White). Quando la malattia di Graves-Basedow insorge in età più avanzata, è possibile osservare la comparsa di fibrillazione atriale. L’aumento della frequenza cardiaca a riposo spiega la diminuita resistenza all’esercizio fisico. Nei pazienti con preesistente cardiopatia, l’ipertiroidismo può causare scompenso cardiaco definito ad alta gittata. All’esame obiettivo cardiaco si possono riscontrare soffi funzionali eiettivi che accompagnano la tachicardia. La pressione arteriosa ha un’alterazione caratteristica con aumento della pressione sistolica (per aumento della gittata cardiaca) e riduzione della diastolica (per vasodilatazione periferica) con conseguente aumento della pressione arteriosa differenziale. Per la vasodilatazione periferica legata alla necessità di disperdere calore prodotto in eccesso, la cute si presenta calda, umida per eccesso di sudorazione ed è presente dermografismo rosso (segno di Maranon). Nei pazienti con scompenso cardiaco sono presenti edemi declivi. 1367 9 Sintomi e segni esclusivi della malattia di Graves-Basedow • Tiroide. Nella malattia di Graves-Basedow entrambi i lobi tiroidei sono diffusamente e simmetricamente aumentati di volume (da qui la definizione “gozzo diffuso tossico”), con consistenza aumentata e senza dolorabilità (Fig. 61.6). In genere le dimensioni del gozzo sono modeste; quando il gozzo ha maggiori dimensioni è spesso possibile percepire un fremito e ascoltare un soffio. In alcuni pazienti, la malattia di Graves-Basedow si sovrappone a un preesistente gozzo nodulare (cosiddetto “gozzo basedowificato”). • Occhio. L’oftalmopatia basedowiana è un processo autoimmune a carico dei tessuti retro-orbitari (si veda Fisiopatologia). Le manifestazioni cliniche sono presenti nel 25-50% dei pazienti affetti da malattia di GravesBasedow, ma praticamente in tutti sono presenti alterazioni delle strutture retro-orbitarie evidenziate dall’ecografia, dalla tomografia computerizzata (TC) o dalla risonanza magnetica (RM). Nel 75% dei pazienti l’oftlamopatia basedowiana esordisce entro un anno (prima o dopo) dalla comparsa dei sintomi di tireotossicosi e in alcuni pazienti la malattia oculare può comparire anche in assenza di tireotossicosi. L’interessamento oculare è bilaterale, anche se in alcuni casi è asimmetrico (Fig. 61.7). Il quadro clinico è vario ed è tanto più grave quanto più elevata è l’ipertensione che si instaura nella cavità orbitaria in seguito all’aumento di volume dei muscoli extraoculari e del tessuto fibroadiposo retro-orbitario (si veda Fig. 61.7, Fig. 61.8). I sintomi sono rappresentati da lacrimazione, fotofobia, sensazione di secchezza, di prurito e di corpo estraneo congiuntivali, dolore, diplopia, calo del visus sino alla cecità. I segni specifici della malattia infiltrativa sono: 1) protrusione del bulbo oculare (esoftalmo) di entità variabile (modesta se < 22 mm), talora solo monolaterale (si veda Fig. 61.7).; 2) edema delle palpebre e dei tessuti 6/9/10 5:48:49 PM 1368 Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE Figura 61.6 Quadro morfologicoscintigrafico della ghiandola tiroidea nella malattia di Graves-Basedow. b a c (Illustrazioni di Netter FH, MD. Riproduzione autorizzata da Icon Learning System, a MediMedia USA Company. All Right Reserved.) periorbitali; 3) congestione venosa ed edema della congiuntiva che può protrudere oltre la fessura orbitale (chemosi); 4) paralisi di uno o più muscoli extraoculari per miopatia infiammatoria, infiltrativa ed edema; 5) lesione della superficie corneale favorita dall’impossibilità di chiudere completamente la rima palpebrale poiché la palpebra superiore non è più in grado di scendere a ricoprire il bulbo oculare. Vari sono i metodi proposti di classificazione e di valutazione dell’attività dell’oftalmopatia mediante punteggio. Il metodo di classificazione comunemente adottato è quello elaborato dall’American Thyroid Association che distingue sei classi (Tab. 61.3). La classificazione della Figura 61.7 Oftalmopatia tiroidea: esoftalmo asimmetrico. Figura 61.8 Paziente affetta da malattia di Graves-Basedow con oftalmopatia. C0305.indd 1368 gravità delle alterazioni orbitali mediante punteggio può essere effettuata con il metodo Clinical Activity Score (CAS), che prende in considerazione sette manifestazioni (si veda Tab. 61.3). Si assegna un punto a ogni manifestazione clinica presente e si considera attiva l’oftalmopatia basedowiana con un punteggio uguale o superiore a 3. Il decorso clinico è caratterizzato dalla fase acuta (o fase attiva) che può durare anche parecchi mesi, in cui si può avere progressione rapida del danno orbitale (esoftalmo maligno), a cui segue una fase spenta (fase fibrotica) in cui gli esiti sono tanto più gravi quanto più grave è stato il danno instauratosi nella fase acuta. È importante ricordare come la remissione dell’ipertiroidismo non sempre si associ a un controllo dell’oftalmopatia, che decorre (e quindi va trattata) come entità clinica autonoma. • Cute. In meno del 5% dei pazienti con malattia di Graves-Basedow si può avere la dermopatia infiltrativa o mixedema pretibiale, che usualmente si associa all’oftalmopatia e a valori elevati di anticorpi anti-TSHR circolanti. Dati epidemiologici recenti suggeriscono una prevalenza anche superiore della dermopatia (fino a circa il 15% dei pazienti affetti da oftalmopatia basedowiana grave). Essa è caratterizzata da mixedema circoscritto alla regione tibiale, ma talora esteso a tutta la gamba, che si presenta come un ispessimento cutaneo duro e a margini irregolari, spesso con superficie a buccia di arancia, di colorito dal rosa pallido al rosso carne, al brunastro. Può essere mono- o bilaterale. Sono descritte anche forme nodulari del piede e delle caviglie, forme elefantiasiche degli arti inferiori e raramente mixedema degli arti superiori, delle spalle e del dorso. Nel mixedema la pressione digitale non comporta la comparsa della fossetta che è invece presente nelle manifestazioni edematose. Il decorso è nella gran parte dei casi cronico, specialmente nelle forme più gravi. In circa il 15% dei pazienti con dermopatia basedowiana è presente anche acropatia, con la tipica tumefazione della cute delle dita delle mani e dei piedi e spesso con ippocratismo digitale e con le alterazioni radiologiche caratterizzate da neoformazione ossea subperiostale 6/9/10 5:48:49 PM Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE Tabella 61.3 Classificazione dell’oftalmopatia basedowiana in accordo con i criteri dell’American Thyroid Association (ATA) e sintomi e segni utili per la stadiazione dell’oftalmopatia sulla base dell’attività infiammatoria METODO DI CLASSIFICAZIONE DELL’OFTALMOPATIA DELL’ATA Classe Classe 0 Classe 1 Classe 2 Classe 3 Classe 4 Classe 5 Classe 6 Segni e sintomi Nessun segno né sintomo Solo segni obiettivi, ossia retrazione della palpebra superiore, sguardo fisso, lagoftalmo, esoftalmo < 22 mm, non sintomi soggettivi Interessamento dei tessuti molli, sia segni sia sintomi Esoftalmo > 22 mm Interessamento dei muscoli extraoculari Interessamento corneale Diminuzione del visus per interessamento del nervo ottico SEGNI E SINTOMI CONSIDERATI NELLA VALUTAZIONE DEL GRADO DI ATTIVITÀ DELL’OFTALMOPATIA Nessuna manifestazione Dolore retrobulbare spontaneo Dolore con il movimento degli occhi Eritema palpebrale Iniezione congiuntivale Chemosi ed edema della caruncola Edema palpebrale Tabella 61.4 a livello delle falangi prossimali e dei metatarsi e/o dei metacarpi. L’acropatia in genere è asintomatica. Si può avere infine vitiligine come espressione di malattia autoimmune associata (anticorpi antimelanociti). Diagnosi Esami di routine Il paziente spesso si presenta con alcuni esami di routine eseguiti ambulatorialmente in cui è presente quasi inevitabilmente ipocolesterolemia (colesterolo totale < 150 mg/dL). Possono anche essere presenti alterazioni degli enzimi epatici (aumento delle transaminasi e della ␥GT), lieve ipercalcemia per l’elevato turnover osseo. All’emocromo possono essere presenti alterazioni che sono l’espressione di malattie autoimmuni associate alla malattia di Graves-Basedow, quali un’anemia microcitica (causata da un malassorbimento di ferro) o un’anemia macrocitica (causata da una gastrite atrofica). 9 Esami ormonali Come in tutte le forme di tireotossicosi primitive, nella malattia di Graves-Basedow il quadro bioumorale è caratterizzato da TSH soppresso o indosabile (< 0,005 mU/L) e da elevati valori di frazioni libere degli ormoni tiroidei. Anche nella malattia di Graves-Basedow, come nelle altre forme di tireotossicosi con ipertiroidismo, si può osservare un aumento predominante dell’FT3 rispetto all’FT4 (Tab. 61.4). Quando la malattia di GravesBasedow è stata scatenata da un eccesso di iodio (per esempio, durante la terapia con amiodarone) si osserva un aumento prevalentemente dell’FT4 come espressione dell’iperiodinazione della tireoglobulina e della ridotta trasformazione periferica della T4 a T3, indotte dallo iodio. Con l’avvento di dosaggi ultrasensibili del TSH non trovano più indicazione nella pratica clinica i test dinamici (al TRH) per la diagnosi di malattia di Graves-Basedow. Aspetti clinici, biochimici e strumentali utili per la diagnosi differenziale delle tireotossicosi primitive Parametri Malattia di GravesBasedow Malattia di Plummer Gozzo multinodulare tossico Tiroidite silente/post partum Tiroidite subacuta Tireotossicosi factitia FT4 ↑↑ ↑ o normale ↑ o normale ↑↑ ↑↑ ↑ FT3 ↑↑↑ ↑ ↑ o normale ↑↑ o normale ↑ ↑ ↑ TgAb/TPOAb Positivi Negativi Talvolta positivi Positivi Negativi Negativi TSHRAb Positivi Negativi Negativi Negativi Negativi Negativi Tireoglobulina Valori variabili Valori variabili Valori aumentati Valori aumentati Valori aumentati Valori soppressi Indici di flogosi Negativi Negativi Negativi Negativi Aumentati Negativi Scintigrafia Diffusa ipercaptazione Focale ipercaptazione Disomogenea captazione Ridotta captazione Ridotta captazione Ridotta/normale captazione Ecografia Ipoecogenicità diffusa con aumentata vascolarizzazione Nodulo singolo Noduli multipli Ipoecogenicità diffusa con ridotta vascolarizzazione Ipoecogenicità focale con ridotta vascolarizzazione Normale ecogenicità e assenza di noduli C0305.indd 1369 1369 6/9/10 5:48:51 PM 1370 Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE Esami immunologici Come nelle altre forme di tireopatia autoimmune, nel paziente con malattia di GravesBasedow è possibile dimostrare la presenza dei TgAb e TPOAb. Tuttavia, l’elemento laboratoristico peculiare di questa patologia è la presenza di anticorpi in grado di legarsi al recettore del TSH e di attivarne la cascata trasduzionale. Il dosaggio degli anticorpi anti-TSHR consente di confermare il sospetto diagnostico di malattia di Graves-Basedow nel paziente con tireotossicosi ed è anche utile nel paziente con segni di oftalmopatia, ma senza tireotossicosi. Le metodiche radiorecettoriali utilizzate nella pratica clinica per dosare gli anticorpi anti-TSHR sfruttano la capacità di tali anticorpi di spiazzare il TSH dal suo recettore, ma non consentono di caratterizzarne la funzione. Con le metodiche radiorecettoriali di seconda generazione a elevata sensibilità oggi disponibili è possibile dimostrare una positività sierica per questi anticorpi in oltre il 90% dei pazienti con malattia di Graves-Basedow. Esami strumentali La tiroide capta selettivamente i radioisotopi dello iodio (131I, 123I, 125I) e il 99tecnezio (99Tc) e su questa caratteristica funzionale si basa la scintigrafia tiroidea che nella pratica clinica è eseguita con 99Tc (si veda Tab. 61.4). Tale esame “morfofunzionale”, infatti, trova oggi la sua indicazione principale nella diagnostica differenziale delle tireotossicosi. Le caratteristiche biologiche del radiotecnezio, che è captato dalle cellule tiroidee ma non organificato, e quelle fisiche (emivita di 6 ore circa, emissione di fotoni ␥ di 140 keV), consentono bassa irradiazione alla tiroide (circa 0,1 cGy), risoluzione elevata delle immagini, e praticità di impiego (basso costo, esecuzione della mappa 20 min dopo l’iniezione endovenosa). Nel paziente con malattia di Graves-Basedow, la scintigrafia tiroidea mostra una tiroide diffusamente ipercaptante (si veda Fig. 61.6). L’ecografia tiroidea generalmente fornisce informazioni aspecifiche nel paziente con tireotossicosi da malattia di Graves-Basedow. Il parenchima tiroideo si presenta di aspetto ipoecogeno, come nelle altre tireopatie autoimmuni croniche. Peraltro l’utilizzo della tecnica power Doppler consente di documentare la classica ipervascolarizzazione (cosiddetto “inferno tiroideo”). Infine, l’ecografia consente di identificare l’eventuale presenza di formazioni nodulari tiroidee. Tra le indagini strumentali è necessario ricordare anche l’esame TC o RM delle orbite e l’ecografia dei muscoli extraoculari, che consentono di confermare la diagnosi di oftalmopatia basedowiana e di fornire informazioni per un eventuale trattamento chirurgico. Terapia La malattia di Graves-Basedow può essere trattata con terapia farmacologica (conservativa), terapia radiometabolica o chirurgica (radicale). In Europa, i farmaci antitiroidei rappresentano la prima scelta terapeutica per questa patologia. Questa indicazione si basa su studi che dimostrano una stabile remissione della malattia nei pazienti C0305.indd 1370 trattati con terapia farmacologica, con percentuali variabili dal 30 al 50% dei casi. In Italia, il farmaco più utilizzato è il metimazolo, tionamide in grado di inibire la funzione enzimatica della TPO. Effetto collaterale principale della terapia con metimazolo è l’agranulocitosi su base idiosincrasica, per la quale è necessario il controllo dell’emocromo in corso di terapia. Possono comparire anche aumento delle transaminasi e rash cutaneo. La terapia farmacologica va iniziata con dosaggi giornalieri di metimazolo anche elevati (in genere 20 mg/die) per poi ridurre gradualmente il dosaggio aggiustandolo sulla base del controllo clinico e biochimico dell’ipertiroidismo. È importante ricordare che, nei primi mesi di terapia, il TSH non rappresenta un affidabile marker di risposta biochimica in quanto l’ipofisi richiede tempo per riprendere una normale funzione secretoria. Pertanto, nei primi mesi di terapia è necessario modulare il dosaggio dei farmaci antitiroidei sulla base della risposta clinica e dei valori di FT4 e FT3 circolanti. La terapia in genere viene continuata per 12-18 mesi anche nei pazienti che ottengono un buon controllo della funzione tiroidea dopo pochi mesi dall’inizio. Infatti, vi sono evidenze che la terapia prolungata a basse dosi (2,5 mg/die di metimazolo o a giorni alterni) possa portare benefici in termini di spegnimento del sottostante processo autoimmune (meccanismo verosimilmente alla base della remissione clinica della malattia dopo terapia farmacologica). Il dosaggio degli anticorpi anti-TSHR, soprattutto se eseguito con metodica di seconda generazione, consente di decidere quando sospendere la terapia farmacologica (alla negativizzazione persistente degli anticorpi circolanti). Nei primi mesi di terapia con farmaci antitiroidei (periodo di latenza) è possibile utilizzare i -bloccanti come sintomatici per il controllo dei segni e dei sintomi dell’ipertiroidismo. Nei pazienti in cui la terapia medica non è in grado di indurre la remissione della malattia di GravesBasedow o in quelli con recidive della malattia anche a distanza di anni dalla remissione, è necessario optare per terapie radicali. La terapia radiometabolica con 131 I ha come obiettivo la distruzione della ghiandola tiroidea iperfunzionante con conseguente comparsa di ipotiroidismo, che rappresenta quindi l’effetto terapeutico e non un effetto collaterale della terapia ablativa. La terapia radiometabolica è controindicata nelle donne in gravidanza. Nelle donne in età fertile la terapia radiometabolica viene praticata solo nei casi in cui è possibile escludere uno stato gravidico nei 6-12 mesi successivi alla somministrazione del radioiodio. Un effetto collaterale temibile della terapia radiometabolica è la crisi tireotossica, che è causata dal rilascio incontrollato degli ormoni tiroidei accumulati nella colloide e può comparire nelle prime settimane successive alla somministrazione del radioiodio. Tale complicanza è più frequente e severa nei pazienti non precedentemente trattati con farmaci antitiroidei e pertanto può essere in parte 6/9/10 5:48:52 PM Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE prevenuta pretrattando i pazienti con metimazolo per qualche settimana o mesi, sospendendolo poi qualche giorno prima della somministrazione del radioiodio. Un’altra complicanza della terapia radiometabolica è il peggioramento dell’oftalmopatia basedowiana, che può essere prevenuto trattando il paziente con cortisonici. Una possibilità terapeutica radicale alternativa è costituita dalla chirurgia. Tale opzione rappresenta la prima scelta terapeutica nei pazienti con malattia di Graves-Basedow con gozzo voluminoso, oftalmopatia e nelle donne in età fertile. Per essere efficace la tiroidectomia deve interessare almeno nove decimi di tiroide (quindi tiroidectomia totale o quasi totale), in quanto la presenza di un residuo chirurgico comporta il rischio di comparsa di recidive, almeno fino a quando sono presenti gli anticorpi anti-TSHR ad azione stimolante. Nei pazienti con malattia di Graves-Basedow, oltre al controllo dell’ipertiroidismo è importante il trattamento dell’oftalmopatia soprattutto quando questa è moderata-severa e attiva. A tale scopo si utilizzano terapie farmacologiche immunosoppressive condotte con cortisonici ad alto dosaggio per via sistemica (per os o boli e.v.). In alcuni pazienti è però necessario ricorrere alla chirurgia decompressiva o alla radioterapia orbitaria. Malattia di Plummer (gozzo uninodulare tossico) Definizione ed epidemiologia La malattia di Plummer è dovuta a un adenoma follicolare iperfunzionante nell’ambito di una restante tiroide normale ed è più frequente causa di ipertiroidismo nella popolazione generale di età compresa tra i 50 e 60 anni, con simile incidenza nel sesso maschile e femminile. a b Eziopatogenesi L’adenoma di Plummer è causato da mutazioni somatiche a carico del sistema recettoriale del TSH che causano un’attivazione incontrollata della cascata trasduzionale con conseguente iperstimolazione della crescita e della funzione cellulare. Le mutazioni sono più frequentemente localizzate nei domini transmembrana del recettore, portando all’accoppiamento costitutivo del recettore stesso con la proteina Gs. Meno frequenti sono le mutazioni dirette della proteina Gs, simili a quelle che compaiono negli adenomi GH-secernenti (l’associazione di queste condizioni patologiche è osservabile nei pazienti con sindrome di McCune-Albright). Manifestazioni cliniche e diagnosi Le peculiarità cliniche della malattia di Plummer sono legate alla frequente associazione con il sesso maschile, con la presenza di un nodulo tiroideo palpabile (di nuova diagnosi o già presente nella storia clinica del paziente) e con la diagnosi spesso legata alle complicanze d’organo dell’ipertiroidismo (fibrillazione atriale) più che ai sintomi e segni della tireotossicosi, che è spesso “subclinica” (TSH soppresso con livelli di ormoni tiroidei ai limiti superiori del range di normalità) e di lunga durata. Infine non sono presenti i segni della dermopatia mixedematosa e dell’oftalmopatia basedowiana, anche se possono essere presenti i segni oculari della tireotossicosi. 1371 9 Esami di laboratorio e strumentali Come nella malattia di Graves-Basedow e nelle altre forme di tireotossicosi primitive il quadro bioumorale caratteristico è rappresentato da bassi livelli di TSH e alti livelli delle frazioni libere degli ormoni tiroidei. In genere i livelli ormonali sono meno elevati rispetto alla malattia di Graves-Basedow e può essere frequente il riscontro di un ipertiroidismo “subclinico” (si veda Tab. 61.4). La scintigrafia mostra il classico aspetto di un’unica area nodulare calda circondata da parenchima tiroideo non captante (Fig. 61.9). Se si esegue il test di stimolo con TSH, la scintigrafia mostra dopo la somministrazione del TSH la comparsa di una captazione diffusa omogenea (Fig. 61.10). L’ecografia consente di localizzare e caratterizzare morfologicamente il nodulo tiroideo. c Figura 61.9 Quadro morfologicoscintigrafico della ghiandola tiroidea nella malattia di Plummer. (Illustrazioni di Netter FH, MD. Riproduzione autorizzata da Icon Learning System, a MediMedia USA Company. All Right Reserved.) C0305.indd 1371 6/9/10 5:48:52 PM 1372 Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE Figura 61.10 Scintigrafia tiroidea di un paziente con malattia di Plummer. Terapia Le terapie di prima scelta nella malattia di Plummer sono la chirurgia e la terapia radiometabolica con 131 I. Le due opzioni sono entrambe valide e hanno come obiettivo la distruzione/rimozione della sola formazione nodulare con risparmio del circostante parenchima tiroideo sano. La terapia farmacologica con antitiroidei è efficace nel controllo dell’ipertiroidismo, ma non ha un razionale nel lungo termine in quanto non consente di eliminare la causa dell’iperfunzione tiroidea. È stata descritta la possibilità di alcolizzazione (iniezione percutanea di etanolo ecoguidata) del nodulo iperfunzionante. a Gozzo multinodulare tossico Definizione ed epidemiologia Il gozzo multinodulare tossico è caratterizzato dalla presenza di uno o più noduli iperfunzionanti nell’ambito di un gozzo multinodulare che data da molti anni. Tale condizione in genere si osserva nei soggetti di età superiore ai 50 anni con una storia di gozzo multinodulare eutiroideo. Studi epidemiologici hanno dimostrato che l’ipertiroidismo ha un’incidenza del 4% annuo nei pazienti con gozzo multinodulare da carenza iodica. b (a) Il tracciante si fissa solo sul nodulo con inibizione funzionale del parenchima tiroideo circostante. Dopo stimolazione con TSH (b) anche il tessuto circostante l’adenoma fissa il tracciante. Figura 61.11 Storia naturale del gozzo multinodulare da carenza iodica. Con il progredire dei processi proliferativi, aumentano le aree follicolari ad autonomia funzionale con il conseguente sviluppo di ipertiroidismo. Eziopatogenesi Il gozzo multinodulare tossico rappresenta spesso l’ultimo stadio della storia naturale del gozzo nodulare indotto dalla carenza iodica (Fig. 61.11). Le basi molecolari dell’autonomia funzionale dei noduli non sono ancora perfettamenti chiarite, ma certamente entrano in gioco eventi genici o cromosomici che portano a un’amplificazione della fisiologica eterogeneità funzionale che Secrezione ormonale da follicoli normali Secrezione ormonale da follicoli autonomi (Da: Braverman LE, Utiger RD. The thyroid: A fundamental and clinical text. 7th ed. Philadelphia: Lippincott-Raven; 1996, p. 570 modificata.) C0305.indd 1372 6/9/10 5:48:53 PM Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE caratterizza il parenchima tiroideo e che è responsabile dell’evoluzione nodulare del gozzo da carenza iodica. La comparsa di ipertiroidismo nei pazienti con gozzo multinodulare è strettamente dipendente dalle dimensioni dei noduli ad attività autonoma, con un rischio più elevato per i noduli di diametro superiore a 3 cm. Una forma molto rara di ipertiroidismo secondario è quella causata dalla produzione paraneoplastica di β-hCG. Manifestazioni cliniche e diagnosi Nel gozzo multinodulare tossico i segni e sintomi di ipertiroidismo sono spesso sfumati, in quanto il grado di incremento degli ormoni tiroidei circolanti è di molto inferiore a quanto osservato nella malattia di Basedow (si veda Tab. 61.4). È spesso presente un ipertiroidismo “subclinico”, che come detto per la malattia di Plummer, è caratterizzato da TSH soppresso e ormoni tiroidei ai limiti superiori del range di normalità. Il paziente tipicamente affetto da gozzo multinodulare tossico è in genere anziano, nel quale i segni dell’ipertiroidismo sono spesso confinati esclusivamente all’ambito cardiaco e il quadro neuropsichico può essere caratterizzato da depressione del tono dell’umore. In considerazione dell’andamento cronico della malattia (la diagnosi è spesso ritardata a causa degli sfumati segni clinici), il paziente spesso si presenta con le complicanze d’organo come la fibrillazione atriale e l’osteoporosi. Gli anticorpi antitiroide non rappresentano un dato patognomico del gozzo multinodulare tossico (si veda Tab. 61.4), ma possono essere presenti come espressione di una tireopatia autoimmune coesistente. La scintigrafia mostra il classico aspetto di aree ipercaptanti o calde alternate ad aree ipocaptanti o fredde. L’ecografia consente di localizzare e caratterizzare morfologicamente le aree nodulari. La valutazione integrata delle immagini scintigrafiche ed ecografiche consente di programmare un eventuale approfondimento diagnostico mediante esame citologico su materiale agoaspirato. In genere l’esame citologico viene eseguito sui noduli freddi, anche se tumori tiroidei sono stati descritti, seppur raramente, anche nei noduli caldi. Le cause di tireotossicosi senza ipertiroidismo possono essere infiammatorie (su base autoimmune o virale) o esogene. Si passeranno in rassegna le varie forme suddividendole in infiammatorie autoimmuni (tiroidite silente e tiroidite post partum), infiammatorie virali (tiroidite subacuta), esogene factitia ed esogene terapeutiche. Terapia Nel gozzo multinodulare tossico la terapia farmacologica a lungo termine non ha un razionale, in quanto non consente di risolvere la causa dell’ipertiroidismo. È necessario, quindi, optare per una terapia radicale e la chirugia sembra essere più efficace della terapia radiometabolica. Tireotossicosi con ipertiroidismo secondario La causa più frequente di ipertiroidismo secondario è l’adenoma TSH-secernente (si veda il Capitolo 60). Si tratta di una condizione clinica caratterizzata dalla presenza di elevati livelli di FT4 e FT3 con livelli di TSH normali o alti e comunque non soppressi. Ai fini diagnostici è necessario differenziare questa condizione patologica dalla resistenza agli ormoni tiroidei, che si associa a un quadro biochimico simile ma non si accompagna a segni o sintomi di ipertiroidismo. C0305.indd 1373 1373 TIREOTOSSICOSI SENZA IPERTIROIDISMO Forme infiammatorie Queste forme cliniche si presentano generalmente con una fase transitoria di tireotossicosi (che in genere dura dalle 2 alle 4 settimane) che può essere seguita da una fase di ipotiroidismo a sua volta transitorio (dura fino a 3 mesi) o permanente. La tireotossicosi è sempre causata dal rilascio massivo degli ormoni tiroidei stoccati a livello del parenchima ghiandolare interessato dal processo distruttivo e per tale motivo è limitata nel tempo fino all’esaurimento dei depositi, dato che la ghiandola infiammata non è attiva sul piano funzionale. Per tale motivo, all’iniziale tireotossicosi, nella maggior parte dei casi segue una fase di ipotiroidismo, anch’esso il più delle volte transitorio, espressione del tempo di latenza richiesto dall’ipofisi per riprendere la secrezione di TSH e dal parenchima tiroideo per rigenerarsi dal processo distruttivo. 9 Forme autoimmuni (tiroidite silente e tiroidite post partum) La tireotossicosi può insorgere in pazienti con tiroidite di Hashimoto come conseguenza di un’esacerbazione del processo citotossico intraparenchimale che porta alla distruzione dei follicoli tiroidei e al conseguente rilascio in circolo degli ormoni tiroidei (tiroidite silente). In alcuni casi sono identificabili fattori endogeni o esogeni responsabili dell’innesco o del peggioramento del processo autoimmune intratiroideo, come l’utilizzo di farmaci immunomodulanti (interferone ␣) o farmaci contenenti iodio (amiodarone). Infine, la tireotossicosi può comparire dopo il parto (e in questi casi è definita tiroidite post partum), come conseguenza della riaccensione di meccanismi immunologici parzialmente depressi durante la gravidanza in soggetti predisposti a sviluppare una malattia tiroidea autoimmune. In particolare, lo stato gravidico si accompagna a una depressione della risposta immunitaria, soprattutto quella citotossica, garantendo quindi la permanenza del feto all’interno dell’organismo materno. Con il parto, si osserva una riaccensione della risposta immunitaria che può portare, in soggetti geneticamente predisposti, allo sviluppo di una tiroidite post partum quale conseguenza dell’innesco di un processo distruttivo a livello del parenchima tiroideo. Un altro fattore che potrebbe entrare in gioco nella patogenesi della tiroidite post partum è il microchimerismo, vale a dire il passaggio di cellule linfocitarie dal feto alla madre con potenziali capacità di attivare la risposta autoimmunitaria. In particolare, cellule fetali si andrebbero a localizzare all’interno 6/9/10 5:48:53 PM 1374 Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE della ghiandola tiroidea e dopo il parto (quando si ha una riattivazione della risposta immunitaria) queste cellule causerebbero l’innesco del processo autoimmune diretto contro le cellule tiroidee della madre. L’andamento clinico è quello tipico delle tireotossicosi infiammatorie, caratterizzate da un andamento bifasico. L’ipotiroidismo che segue alla tireotossicosi può essere permanente e ciò accade quale espressione della cronicizzazione della sottostante patologia autoimmune (tiroidite di Hashimoto). In effetti, la tiroidite silente o quella post partum possono rappresentare la prima manifestazione clinica di una tiroidite di Hashimoto. In queste forme di tireotossicosi non vi è indicazione a utilizzare farmaci antitiroidei, ma possono essere usati i -bloccanti per controllare i sintomi dell’eccesso di ormoni tiroidei. Nelle forme indotte da eccesso di iodio (come nella tireotossicosi infiammatoria da amiodarone) possono essere utilizzati i cortisonici in associazione all’acido iopanoico e il perclorato di potassio, che consentono di scaricare la ghiandola tiroidea dall’eccesso di iodio. Forme virali (tiroidite subacuta o tiroidite granulomatosa o tiroidite di De Quervain) È una malattia infiammatoria della tiroide molto frequente, a insorgenza brusca, autolimitantesi nel tempo, da poche settimane ad alcuni mesi, con caratteristico andamento a poussée successive. La causa è sconosciuta, anche se è sospettata un’origine virale, data la sua frequente comparsa dopo un processo infiammatorio acuto delle alte vie respiratorie. La malattia è caratterizzata da un’infiammazione granulomatosa che può interessare tutta la ghiandola tiroidea o più frequentemente parte di essa (tiroidite focale). Il processo distruttivo che consegue all’infiammazione causa il rilascio in circolo degli ormoni tiroidei con conseguente tireotossicosi che, come nella tiroidite silente e post partum, è transitoria. Alla tireotossicosi può seguire una fase di ipotiroidismo, anch’esso il più delle volte transitorio. L’elemento clinico peculiare della tiroidite subacuta è l’associazione dei sintomi legati alla tireotossicosi transitoria con la presenza di dolore nella regione della loggia tiroidea, con frequente irradiazione alla mandibola e all’orecchio. Il dolore è spontaneo e peggiora durante la palpazione della ghiandola tiroidea, che appare di consistenza aumentata. Il sintomo dolore, che si può accompagnare a febbricola, si associa a un aumento degli indici di flogosi (globuli bianchi, VES, PCR e ␣2-globuline) (si veda Tab. 61.4). Dal punto di vista diagnostico la tireotossicosi della tiroidite subacuta si caratterizza, come nelle altre forme di tireotossicosi infiammatorie, per un rapporto FT4/FT3 maggiore rispetto alle tireotossicosi con ipertiroidismo e un quadro scintigrafico di assente captazione (si veda Tab. 61.4). L’esame ecografico consente di documentare la presenza delle aree di infiammazione, che appaiono come zone ipoecogene, e permette di escludere la presenza di formazioni nodulari. Anche in questo caso, trattandosi di una tireotossicosi senza ipertiroidismo, non vi è razionale all’utilizzo di farmaci antitiroidei, i quali, oltre a non essere efficaci, potrebbero peggiorare la fase di ipotiroidismo che consegue alla tireotossicosi. La tiroidite subacuta va trattata con cortisonici (prednisone 25-40 mg/die come dose di attacco, con successiva graduale riduzione). La C0305.indd 1374 durata della terapia è variabile sulla base della risposta clinica (scomparsa del dolore) e biochimica-strumentale (riduzione della VES, recupero della captazione tiroidea). Nella fase di tireotossicosi può essere utile associare un -bloccante per controllare i sintomi dell’eccesso degli ormoni tiroidei. Forme esogene La tireotossicosi factitia è causata dall’assunzione di elevati dosaggi di ormoni tiroidei nei soggetti eutiroidei e senza malattie tiroidee, generalmente a scopo dimagrante. I quadri clinico e biochimico sono comuni alle altre forme di tireotossicosi primitive. Sul piano laboratoristico vi è la predominanza di uno dei due ormoni tiroidei, in rapporto al farmaco assunto (T4 o T3). I dati strumentali sono simili a quelli delle tiroiditi distruttive (bassa captazione tiroidea alla scintigrafia). Un dato biochimico che può differenziare la tireotossicosi factitia da quelle distruttive è rappresentato dai livelli di tireoglobulina: bassa nelle forme factitie (tiroide “a riposo”), alta nelle forme distruttive (per rilascio della molecola dai follicoli distrutti) (si veda Tab. 61.4). Esistono anche forme di tireotossicosi iatrogene che si possono osservare nei pazienti che assumono ormoni tiroidei per ipotiroidismo, in quanto il fabbisogno individuale di ormone tiroideo è assai variabile e nonostante una appropriata modalità di gestione della terapia sostitutiva (inizio con dosi basse e poi in aumento), il sovradosaggio di ormone tiroideo può essere un evento non infrequente. Vi sono casi in cui invece si può (nodulo tiroideo) o si deve (carcinoma tiroideo post-trattamento chirurgico e radiometabolico) utilizzare un dosaggio di tiroxina volutamente elevato in rapporto alle necessità individuali, allo scopo di “sopprimere” i livelli di TSH in quanto fattore di crescita per le cellule tiroidee (terapia “TSH soppressiva”). In questi casi si viene a creare una tireotossicosi “subclinica” che può avere effetti negativi nel paziente anziano. CONDIZIONI CLINICHE PARTICOLARI Tireotossicosi in gravidanza La causa più frequente di tireotossicosi in gravidanza è la malattia di Graves-Basedow. Come in tutte le malattie autoimmuni, si può avere un andamento fluttuante durante la gravidanza con un peggioramento nel primo trimestre e un miglioramento nei mesi successivi (tolleranza immunologica che può indurre la remissione spontanea della malattia). I seguenti aspetti diagnostici e terapeutici peculiari della tireotossicosi in gravidanza devono essere ricordati. • Molti dei segni e sintomi della tireotossicosi sono comuni allo stato gestazionale. Inoltre nel primo trimestre di gravidanza i livelli di TSH sono fisiologicamente ridotti quale effetto di interferenza funzionale da parte della gonadotropina corionica. In media i livelli di TSH sono di 0,7-0,8 mU/L, ma è possibile anche avere valori di TSH-soppressione. Questo quadro bioumorale causato dall’azione della gonadotropina corionica raggiunge la sua massima espressione nell’iperemesi gravidica, nella quale 6/9/10 5:48:54 PM Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE si può osservare anche un lieve aumento degli ormoni tiroidei senza che questo rappresenti di per sé espressione di disfunzione ghiandolare. Pertanto la diagnosi di tireotossicosi può essere difficile, soprattutto nei primi mesi di gestazione. • L’eccesso di ormoni tiroidei durante la gravidanza può avere effetti deleteri sul decorso della stessa, causando con elevata frequenza aborti, parti prematuri, preeclampsia nella madre e basso peso nei neonati. Inoltre, a causa del passaggio transplacentare degli anticorpi anti-TSHR si possono avere disfunzioni ghiandolari nel feto, che il più delle volte diventano clinicamente importanti dopo la nascita. Pertanto è importante la correzione dell’eccesso di ormoni tiroidei. • Nel correggere l’ipertiroidismo è fondamentale evitare l’ipotiroidismo da sovradosaggio di farmaci antitiroidei. È infatti raccomandato il trattamento con bassi dosaggi di antitiroidei mantenendo le frazioni libere degli ormoni tiroidei a valori medioalti del range laboratoristico di riferimento. • Dati in letteratura, peraltro controversi, suggerirebbero che il metimazolo possa causare effetti collaterali nel feto, quali l’aplasia cutis e l’aplasia esofagea. Le linee guida attuali indicano di utilizzare quando possibile il propiltiouracile, che sarebbe caratterizzato da una minore capacità di attraversare la barriera placentare. I -bloccanti quali il propanololo possono essere utilizzati in gravidanza. Nei casi non responsivi alla terapia farmacologica è possibile ricorrere all’intervento chirurgico. Tireotossicosi nel paziente anziano La causa più frequente di tireotossicosi in età geriatrica è il gozzo multinodulare tossico. Generalmente si tratta di un ipertiroidismo di lieve entità, a volte “subclinico” e spesso di lunga durata. La diagnosi può essere ritardata rispetto all’insorgenza della malattia, in quanto la sintomatologia clinica è spesso sfumata e i segni clinici dell’ipertiroidismo sono spesso confinati esclusivamente all’ambito cardiaco. Sul piano neuropsichico, al contrario di ciò che succede nel paziente giovane, è spesso presente depressione del tono dell’umore, tanto da far coniare agli autori anglosassoni il termine apathetic hyperthyroidism, che sottolinea come in questi pazienti siano del tutto assenti l’eretismo e l’irrequietezza. A fronte del quadro clinico sfumato, l’ipertiroidismo 1375 nell’anziano anche quando è “subclinico” può causare complicanze cardiovascolari quali la fibrillazione atriale ed eventi ischemici miocardici (cardiotireosi) per la sovrapposizione degli effetti della tireotossicosi su una cardiopatia di base prevalentemente di tipo aterosclerotico. Crisi tireotossica Si tratta di una condizione rara ma clinicamente importante, in quanto è gravata da elevata mortalità. In genere compare in pazienti con ipertiroidismo noto ed è scatenata da malattie intercorrenti, quali infezioni e traumi, terapia radiometabolica non pretrattata con farmaci antitiroidei, interventi chirurgici non adeguatamente preparati con iodio per os o è anche secondaria all’uso di farmaci (per esempio, amiodarone). È caratterizzata clinicamente da un’esacerbazione del caratteristico quadro delle tireotossicosi. Le manifestazioni cliniche più importanti sono rappresentate da: ipertermia, che può raggiungere i 40 °C e si associa a vampate e a profusa sudorazione; spiccata tachicardia, o tachiaritmia da fibrillazione atriale; tremore intenso con imponente agitazione psicomotoria e talora delirio; sintomi gastrointestinali, quali nausea, vomito e diarrea. La crisi tireotossica può portare a morte il paziente per scompenso cardiaco e shock. La responsabilità della crisi è in parte addebitabile alla brusca immissione in circolo di ormoni tiroidei e in parte alla combinazione dell’aumentata responsività alle catecolamine causata dall’ipertiroidismo e dell’aumentato rilascio di catacolamine causato dall’evento acuto intercorrente che spesso è all’origine dell’innesco della crisi tireotossica. Da un punto di vista terapeutico si utilizzano elevati dosaggi di farmaci antitiroidei (si preferisce il propiltiouracile in quanto blocca la conversione della T4 in T3) somministrati per sondino naso-gastrico: si inizia con un bolo di 600 mg di propiltiouracile o in alternativa 60 mg di metimazolo, continuando poi con dosaggi di mantenimento elevati di tali farmaci. Dopo aver somministrato gli antitiroidei, si può utilizzare lo ioduro di potassio sfruttando l’effetto di Wolff-Chaikoff. Sono utili i -bloccanti, preferendo quelli non cardioselettivi quali il propanololo, che consentono di bloccare gli effetti degli ormoni tiroidei su molti tessuti bersaglio ed esercitano un effetto di inibizione sulla conversione della T4 in T3, così come fanno anche i corticosteroidi. Nei casi più gravi si ricorre alla plasmaferesi e alle altre procedure di rimozione degli ormoni tiroidei dal circolo ematico. 9 Malattie caratterizzate da ipotiroidismo L’ipotiroidismo nella gran parte dei casi è primitivo, causato cioè da malattie che coinvolgono direttamente la ghiandola tiroidea con conseguente compromissione della secrezione ormonale. Meno frequentemente l’ipotiroidismo è causato da malattie ipotalamo-ipofisarie che compromettono la secrezione del TSH con conseguente compromissione funzionale tiroidea (ipotiroidismo se- C0305.indd 1375 condario e terziario). Infine, raro è l’ipotiroidismo causato dalla resistenza recettoriale all’azione degli ormoni tiroidei (sindrome di Refetoff) (Tab. 61.5). Da un punto di vista nosologico, l’ipotiroidismo primitivo può essere distinto in congenito e acquisito. L’ipotiroidismo congenito, che per definizione è una condizione patologica presente alla nascita, può essere a sua volta 6/9/10 5:48:54 PM 1376 Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE Tabella 61.5 Cause di ipotiroidismo Ipotiroidismo primitivo congenito – Carenza iodica (endemico) – Disgenesia tiroidea – Disormonogenesi tiroidea Ipotiroidismo primitivo acquisito – Tiroidite di Hashimoto – Chirurgia tiroidea – Terapia radiometabolica con 131I Ipotiroidismo secondario-terziario – Difetti congeniti della secrezione di TSH – Malattie neoplastiche ipotalamo-ipofisarie – Malattie infiammatorie ipotalamo-ipofisarie – Malattie infiltrative ipotalamo-ipofisarie – Chirurgia ipofisaria – Radioterapia ipofisaria Ipotiroidismo da resistenza recettoriale sporadico o endemico a seconda delle cause che lo sottendono. L’ipotiroidismo acquisito è causato invece da malattie primitivamente tiroidee che insorgono dopo la nascita (si veda Tab. 61.5). Ipotiroidismo primitivo congenito Definizione ed epidemiologia È una forma di ipotiroidismo primitivo presente alla nascita, con una prevalenza variabile in relazione alle aree geografiche e alla causa responsabile della disfunzione ghiandolare. Nelle aree di endemia gozzigena la frequenza di ipotiroidismo è strettamente correlata al grado di carenza iodica. Nei neonati, la frequenza del riscontro di livelli di TSH > 50 mU/L a 5 giorni dalla nascita è < 1% nell’endemia di grado 1 (ioduria 50-100 g/g creatininemia), compresa tra 1 e 5% in quella di grado 2 (ioduria 25-49 g/g creatininemia) e > 5% in quella di grado 3 (ioduria < 25 g/g creatininemia). Nell’endemia di grado 3 il cretinismo ha una prevalenza > 1%. L’endemia di grado 3 interessa ancora oggi milioni di persone che vivono lungo le catene montuose più importanti del mondo e in condizioni di sottosviluppo economico. In Italia vi sono numerose aree in cui vi è endemia gozzigena di grado lieve e molto più raramente moderata. Tuttavia, in Italia l’ipotiroidismo congenito è per lo più sporadico, con una prevalenza di 1 caso su 3000 neonati. Eziopatogenesi La carenza iodica rappresenta la causa dell’ipotiroidismo congenito endemico, mentre quello sporadico è provocato più frequentemente da disgenesia tiroidea (circa 85% dei casi) o più raramente da disormonogenesi da difetti genetici (circa 15% dei casi). La disgenesia tiroidea si presenta usualmente come condizione sporadica isolata e nella gran parte dei casi non si accompagna ad alterazioni genetiche specifiche. Esistono tuttavia forme nelle quali C0305.indd 1376 è possibile individuare alterazioni di alcuni dei geni preposti alla regolazione dello sviluppo ghiandolare, come il PAX8. Questo gene è espresso dall’inizio dello sviluppo della tiroide, quando la tiroide si differenzia dal pavimento della faringe. Mutazioni germinali di questo gene sono state riscontrate in rari casi familiari a eredità dominante di ipoplasia tiroidea o ectopia tiroidea. L’ipotiroidismo congenito da difetti ormonogenetici è invece dovuto a mutazioni germinali dei geni che codificano proteine essenziali per l’ormonogenesi tiroidea e spesso è clinicamente modesto o subclinico. Si può avere un difetto del trasporto dello iodio dovuto a mutazioni del gene NIS che causa una malattia a trasmissione autosomica recessiva. Un’altra malattia autosomica recessiva è la sindrome di Pendred, caratterizzata da ipotiroidismo e sordità neurosensoriale, causata da un difetto della capacità delle cellule tiroidee di organificare la Tg. Altre cause di ipotiroidismo congenito disormogenetico sono il difetto di TPO, il difetto di produzione di H2O2 e il difetto di sintesi della Tg. Esistono infine alcune forme di ipotiroidismo congenito transitorie, che costituiscono circa il 10% degli ipotiroidismi neonatali. Nei bambini prematuri si può osservare un difetto del metabolismo dello iodio che può richiedere alcuni mesi prima di una completa maturazione. Un ipotiroidismo di breve durata (poche settimane) può conseguire all’assunzione di iodio o farmaci antitiroidei da parte della madre. Una causa importante di ipotiroidismo neonatale transitorio è la presenza di anticorpi materni diretti contro il TSHR ad azione inibente. Questi anticorpi hanno attraversato la placenta durante il periodo gestazionale e possono permanere nel circolo neonatale per alcuni mesi dopo il parto. Fisiopatologia Gli ormoni tiroidei svolgono un’azione fondamentale per lo sviluppo scheletrico e dell’SNC. La carenza di ormoni tiroidei nei primi anni di vita può causare danni all’SNC la cui gravità e reversibilità dipendono dall’epoca di insorgenza dell’ipotiroidismo fetale e dalla rapidità dell’inizio della terapia sostitutiva. Nelle aree di endemia gozzigena, la carenza iodica causa una ridotta funzione tiroidea sia nella madre sia nel feto e pertanto l’ipotiroidismo compare precocemente durante lo sviluppo fetale, con gravi conseguenze sullo sviluppo neurologico del bambino. Nell’ipotiroidismo congenito sporadico, invece, la madre il più delle volte riesce a supplire al deficit secretivo del feto e pertanto l’ipotiroidismo si sviluppa più tardivamente, in genere alla nascita e le conseguenze sono in genere meno importanti di quelle osservate nell’ipotiroidismo congenito endemico. Tuttavia, un aspetto fisiopatologico importante è che lo sviluppo neurologico nel bambino non è completo alla nascita e pertanto anche nelle forme sporadiche il deficit intellettivo può diventare importante se non viene intrapresa una terapia sostitutiva precoce (perdita di 3-5 punti di QI per ogni mese di ritardo nell’inizio della terapia). Oltre agli aspetti neurologici bisogna ricordare che gli ormoni tiroidei svolgono un’importante azione di regolazione dell’accrescimento scheletrico. Quindi l’ipotiroidismo congenito non corretto causa un difetto di accrescimento che esita in una bassa statura defi nita 6/9/10 5:48:54 PM Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE “disarmonica”. Quest’ultima è caratterizzata da uno sproporzionato ridotto accrescimento degli arti rispetto al tronco, espressione di un difetto di azione degli ormoni tiroidei a livello delle cartilagini di accrescimento (disgenesia epifisaria). Manifestazioni cliniche Per quanto detto nel paragrafo precedente, il quadro clinico dell’ipotiroidismo congenito può essere variabile. Nelle forme endemiche il sintomo sempre presente è il cretinismo, cui si associano i segni dell’ipotiroidismo, ossia mixedema e nanismo (cretinismo mixedematoso). Il gozzo è presente nelle forme disormogenetiche, ma non nell’ipotiroidismo sporadico causato da disgenesia ghiandolare. I segni clinici dell’ipotiroidismo neonatale, spesso aspecifici, sono l’ittero prolungato, la difficoltà all’alimentazione, la macroglossia, l’ipotonia muscolare e il pianto rauco. Può essere presente un’ernia ombelicale e sono più frequenti le malformazioni, soprattutto quelle cardiache. Se non corretto, l’ipotiroidismo congenito causa rallentamento della crescita e bassa statura disarmonica. Esami di laboratorio e strumentali Oggi sono in atto programmi di screening effettuati in tutti i neonati, che consentono di individuare precocemente l’ipotiroidismo congenito mediante il dosaggio del TSH (con o senza T4) su una goccia di sangue ottenuta per puntura del calcagno, adsorbita su carta da filtro e inviata per il dosaggio in un laboratorio di riferimento. Tale screening è giustificato dai seguenti motivi: a) la probabilità di diagnosticare l’ipotiroidismo alla nascita su base clinica è solo del 5-10%; b) l’elevata frequenza della malattia; c) la semplicità, il costo contenuto e la non invasività della procedura diagnostica; d) l’importanza della diagnosi precoce per la completa efficacia della terapia. Con un test di screening positivo, la diagnosi è poi confermata con il dosaggio su sangue venoso del pattern ormonale completo. Bisogna considerare che, nelle prime settimane di vita, i livelli di TSH sono fisiologicamente più elevati rispetto all’età adulta e quindi la diagnosi di ipotiroidismo deve tenere conto di un range di riferimento specifico per questa fascia di età. Inoltre, nei bambini prematuri si può avere un deficit di sintesi della TBG con conseguenti valori di T4 bassi senza che questi rappresentino però espressione di ipotiroidismo: infatti i livelli di TSH e FT4 sono nella norma. Per la diagnosi eziologica è utile la valutazione mediante ecografia tiroidea o scintigrafica con 123I, entrambi importanti strumenti diagnostici per caratterizzare le forme disgenetiche. Quando si sospetta la sindrome di Pendred (difetto di organificazione dello iodio) può essere utile eseguire il test al perclorato. Il perclorato è un inibitore della captazione tiroidea dello iodio ed è in grado di eliminare dalla tiroide tutto lo iodio non organificato e non legato alla Tg. Il test viene eseguito somministrando il perclorato due ore dopo la somministrazione di un tracciante radioattivo iodato. In presenza di una normale funzione della TPO, la maggior parte dello iodio è organificata e quindi il perclorato non induce modifiche significative della captazione tiroidea due ore dopo la somministrazione del tracciante radioattivo. Nel bambino con deficit congenito della funzione perossidasica, C0305.indd 1377 1377 invece, il perclorato induce il rilascio di una significativa quantità di iodio radioattivo, tale da causare una riduzione della captazione scintigrafica > 5% del basale. Terapia La terapia sostitutiva dell’ipotiroidismo congenito va iniziata utilizzando dosi di tiroxina pro kg di peso corporeo più elevate rispetto a quelle utilizzate in età adulta. Si inizia con 10-15 g/kg/die di tiroxina. La terapia sostitutiva nell’ipotiroidismo congenito deve essere iniziata entro il primo mese di vita per evitare l’instaurarsi di un deficit intellettivo irreversibile (perdita di 3-5 punti di QI per ogni mese di ritardo della terapia). 9 Ipotiroidismo primitivo acquisito Tiroidite di Hashimoto Definizione ed epidemiologia La tiroidite di Hashimoto è una malattia autoimmune ad andamento cronico che, come le altre forme di tireopatie autoimmuni, predilige il sesso femminile con una prevalenza che può raggiungere il 10% della popolazione generale. L’ipotiroidismo non rappresenta una manifestazione costante della tiroidite di Hashimoto, ma compare quando il processo autoimmunitario ha causato una distruzione parziale o totale della ghiandola tiroidea tale da comprometterne la funzione ormonale. Si calcola che la prevalenza dell’ipotiroidismo nei soggetti adulti sia di 4 casi su 1000 nel sesso femminile e 1 caso su 1000 nel sesso maschile. Il rischio di sviluppare ipotiroidismo nei pazienti con tiroidite di Hashimoto aumenta progressivamente con l’età e con la progressione della malattia autoimmune. Il rischio annuale è variabile in relazione a diversi fattori individuali ed è calcolato essere in media del 4%. Eziologia Come per le altre malattie autoimmuni, la tiroidite di Hashimoto è una malattia a genesi multifattoriale, scatenata da fattori ambientali in soggetti geneticamente predisposti. Che esista una predisposizione genetica alla malattia è suggerito dalla concordanza elevata tra gemelli omozigoti rispetto a quelli dizigoti (30-60% versus 3-6%). La predisposizione è multigenica, in quanto coinvolge vari geni che codificano per proteine coinvolte nella regolazione della risposta immunitaria. I primi geni a essere stati identificati come possibili responsabili della predisposizione genetica alle tireopatie autoimmuni in generale e alla tiroidite di Hashimoto in particolare sono quelli di istocompatibilità di classe II (specialmente DR3, DR4 e DR5). Vi sono anche dati su un possibile coinvolgimento del gene CTLA-4. Infine, anche mutazioni a carico del gene della Tg sono state associate allo sviluppo della tiroidite di Hashimoto. Nei soggetti geneticamente predisposti intervengono fattori endogeni o esogeni a indurre lo sviluppo della tiroidite di Hashimoto. Tra i fattori endogeni si deve ricordare la gravidanza, che comporta profonde e rapide modificazioni dell’assetto immunitario tali da predisporre 6/9/10 5:48:54 PM 1378 Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE alla comparsa di una tireopatia nel periodo post partum – si veda in precedenza, Forme autoimmuni (tiroidite silente e tiroidite post partum). Tra i fattori esogeni in grado di favorire la comparsa di una tiroidite di Hashimoto vanno ricordati le infezioni, i farmaci, lo iodio e le radiazioni ionizzanti. Così come accade in altre malattie autoimmuni, quale il diabete di tipo 1, le infezioni possono scatenare la tiroidite di Hashimoto andando ad attivare in maniera aspecifica le cascate citochiniche responsabili dell’innesco e del mantenimento della risposta autoimmune “organospecifica”. Una tiroidite di Hashimoto con ipotiroidismo può comparire anche nei pazienti che praticano terapia con farmaci immunomodulanti, quali l’interferone ␣, che agiscono probabilmente modificando l’assetto citochinico endogeno in soggetti geneticamente predisposti. La tiroidite di Hashimoto è particolarmente frequente in quelle aree geografiche, quali il Giappone, ad alto consumo di prodotti ittici crudi a elevato contenuto di iodio. D’altro canto, è interessante il dato epidemiologico di un incremento dell’incidenza di tiroidite di Hashimoto nei Paesi occidentali in cui la profilassi iodica ha consentito di debellare il problema dell’endemia gozzigena. I meccanismi responsabili dell’innesco della malattia autoimmune tiroidea conseguente all’assunzione di iodio non sono noti. È stato ipotizzato che lo iodio possa innescare una risposta autoimmune attraverso un incremento della iodinazione della Tg, che porterebbe alla “presentazione” di antigeni tiroidei criptici per i quali non si è sviluppata la “tolleranza”. La presentazione di antigeni criptici potrebbe anche essere favorita dalla frammentazione della Tg indotta dall’eccesso di radicali liberi derivanti dall’organificazione dello iodio. L’accumulo di radicali liberi porterebbe anche a un danno a carico delle cellule follicolari con esposizione di autoantigeni e innesco del processo autoimmune. Oltre allo iodio, le radiazioni ionizzanti sono state chiamate in causa come fattori in grado di favorire la comparsa della tiroidite di Hashimoto in soggetti geneticamente predisposti, probabilmente mediante la produzione di radicali liberi con conseguente danno cellulare ed esposizione di autoantigeni. In effetti negli ultimi anni si è assistito a un incremento di prevalenza della tiroidite di Hashimoto nelle popolazioni esposte alla nube radioattiva di Chernobyl. Patogenesi Come detto nel paragrafo dedicato alla malattia di GravesBasedow, le tireopatie autoimmuni sono caratterizzate da una risposta autoimmunitaria che può essere schematicamente distinta in anticorpo-mediata e cellulo-mediata. Nella tiroidite di Hashimoto sono generalmente presenti solo due tipi di anticorpi antitiroide, i TgAb e TPOAb. Questi anticorpi non sembrano svolgere un’azione patogenetica importante, sebbene studi sperimentali abbiano suggerito che alcuni dei TPOAb possono attivare il complemento e quindi contribuire al processo di distruzione della ghiandola tiroidea. Più importante, invece, nella patogenesi dell’ipotiroidismo della tiroidite di Hashimoto, è la risposta autoimmune di tipo cellulo-mediata che coinvolge prevalentemente i linfociti T CD8+ citotossici. A dirigere questa risposta intervengono citochine e chemochine prodotte sia dai linfociti infiltranti la ghiandola C0305.indd 1378 tiroidea sia dalle stesse cellule follicolari. Queste ultime rappresentano non solo il bersaglio dell’azione distruttiva dei linfociti infiltranti, ma sono anche in grado di partecipare alla cascata patogenetica regolando l’afflusso di linfociti all’interno della ghiandola e di modularne la risposta immunitaria. Il ruolo dei tireociti è particolarmente importante nella modulazione del processo apoptotico, che ha un ruolo centrale nell’ipotiroidismo della tiroidite di Hashimoto. In particolare, nella tiroidite di Hashimoto le cellule tiroidee, in seguito allo stimolo citochinico, esprimono due marcatori che sono coinvolti nell’induzione dell’apoptosi: Fas (CD95) e FasL (CD95L). Quando FasL si lega a Fas, attiva una cascata trasduzionale che porta alla morte cellulare. In condizioni fisiologiche le cellule tiroidee esprimono prevalentemente FasL, mentre l’espressione di Fas è minima o assente. Quindi, in condizioni fisiologiche le cellule tiroidee sono protette dall’apoptosi Fas-dipendente e possono invece attivarla in altre cellule, quali i linfociti, che esprimono il Fas. Le cose cambiamo nella tiroidite di Hashimoto, allorché l’attivazione del processo autoimmune induce l’espressione del Fas anche sulle cellule tiroidee, che quindi sono predisposte a essere distrutte attraverso un processo apoptotico. Questo aspetto patogenetico è confermato dal riscontro anatomopatologico di un’architettura ghiandolare notevolmente alterata per la presenza di un intenso infiltrato infiammatorio interstiziale che separa le strutture follicolari residue. Il tessuto interstiziale contiene un denso infiltrato di linfociti e plasmacellule, spesso organizzati in follicoli con centri chiari germinativi ben evidenti. Il grado di fibrosi varia da caso a caso e in alcune aree mostra un aspetto ialino, amiloido-simile. Fisiopatologia Riprendendo quanto detto precedentemente per gli stati di tireotossicosi, si può affermare che la carenza di ormoni tiroidei provoca effetti generali che possono essere riassunti come segue. • Rallentamento dei processi metabolici con prevalente compromissione del catabolismo rispetto all’anabolismo e conseguente accumulo di sostanze a ricambio più lento: mixedema da accumulo di mucopolisaccaridi, ipercolesterolemia, diminuita sintesi proteica con ridotta disponibilità di sostanze proteiche essenziali al metabolismo (deficit di enzimi, recettori, ormoni peptidici). Alla minore responsività dei recettori delle catecolamine a livello dell’SNC si attribuisce attualmente un ruolo rilevante nella genesi delle manifestazioni psichiche che caratterizzano l’ipotiroidismo (diminuzione dell’attenzione, compromissione della memoria, abulia e sintomi francamente depressivi). Per la minore sensibilità dei recettori delle catecolamine si crea infatti una situazione di deficit funzionale dei neurotrasmettitori monoaminergici a livello dell’SNC. • Riduzione dei processi ossidativi e della produzione di calore con compromissione dell’omeostasi termica. • Ridotta disponibilità energetica per tutte le cellule con conseguente riduzione di ogni attività (contrattile, secretoria, proliferativa). 6/9/10 5:48:54 PM Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE NORMALITÀ EUTIROIDISMO IPOTIROIDISMO SUBCLINICO IPOTIROIDISMO Focolai di tiroidite autoimmune Estensione dei processi di tiroidite autoimmune Progressione dei processi di tiroidite autoimmune Tg Ab – Tg Ab + Tg Ab + + Tg Ab ± TPO Ab – TPO Ab ± TPO Ab +++ TPO Ab +++ 1379 Figura 61.12 Storia naturale della tiroidite di Hashimoto. TSH 9 FT3 FT4 Tg Ab = anticorpi (Ab) antitireoglobulina; TPO Ab = anticorpi antiperossidasi tiroidea. Manifestazioni cliniche Il decorso clinico della tiroidite di Hashimoto presenta una fase iniziale asintomatica in cui non vi è ipotiroidismo (Fig. 61.12). L’unico segno clinico può essere il gozzo. Tale fase può essere più o meno lunga e durare anche tutta la vita. Si possono anzi avere fasi transitorie di tireotossicosi espressioni di tiroidite distruttiva (si veda in precedenza, Tireotossicosi senza ipertiroidismo, Forme infiammatorie). Successivamente, la transizione dall’eutiroidismo all’ipotiroidismo può presentare una più o meno lunga fase di cosiddetto ipotiroidismo “subclinico” caratterizzato da un incremento del TSH con valori di FT4 e FT3 ancora nel range laboratoristico di riferimento (si veda Fig. 61.12). Anche quando, infine, si sviluppa l’ipotiroidismo conclamato, la sintomatologia può essere sfumata, non facilmente riconoscibile e spesso addirittura ignorata dal paziente. Infatti, l’ipotiroidismo può essere diagnosticato in pazienti che giungono all’osservazione o che vengono ricoverati per sintomi e segni suggestivi di malattie non tiroidee, come edemi attribuiti a malattie renali, cardiomegalia e scompenso attribuiti a miocardiosclerosi, anemia di natura da determinare, astenia e crampi muscolari, depressione o altri sintomi psichici, menometrorragia. I sintomi di ordine generale avvertiti dal paziente sono l’astenia, l’affaticabilità, una ridotta tolleranza al freddo, la sonnolenza, la stipsi ostinata (Tab. 61.6). Obiettivamente, si nota che la voce è roca e profonda, l’eloquio lento, uniforme, privo di variazioni di tono. La succulenza delle palpebre, il pallore, la scarsezza dei movimenti mimici danno al volto un aspetto inespressivo caratteristico (Fig. 61.13). Nei casi più gravi le alterazioni del volto sono più spiccate: l’edema diffuso, le rime palpebrali ristrette, i capelli e le sopracciglia scarsi e la bocca semi- C0305.indd 1379 aperta, attraverso la quale si scorge la lingua ingrossata (da infiltrazione mixedematosa), conferiscono al volto del paziente l’aspetto inconfondibile della facies mixedematosa. Si osserva generalmente un aumento di peso, principalmente dovuto alla ritenzione di liquidi. L’appetito è ridotto in rapporto al diminuito fabbisogno Tabella 61.6 Manifestazioni cliniche dell’ipotiroidismo conclamato Segni e sintomi Astenia, adinamia Ipercheratosi e secchezza della cute Sonnolenza Eloquio rallentato Edema palpebrale Intolleranza al freddo Cute fredda Macroglossia Edema del volto Secchezza e fragilità dei capelli Cardiomegalia Pallore cutaneo Riduzione della memoria Stipsi Aumento di peso Perdita di capelli Pallore Mixedema periferico Voce rauca Menorragia Frequenza (%) 99 97 91 91 90 89 83 82 79 76 68 67 66 61 59 57 57 55 52 32 6/9/10 5:48:54 PM 1380 Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE Figura 61.13 Paziente affetta da ipotiroidismo primitivo. energetico. La stipsi ostinata, dovuta a rallentamento della peristalsi intestinale, è sintomo assai frequente. La cute è spessa, secca, pallida, fredda, talvolta con una sfumatura giallastra per accumulo di carotene. Il mixedema è un edema caratterizzato semeiologicamente dalla consistenza duro-elastica con mancata formazione di fovea alla pressione digitale e dallo sviluppo in sedi caratteristiche (regioni periorbitali, dorso delle mani e dei piedi, regioni pretibiali e avambracci). Nella fase iniziale della malattia, che può durare molti anni, è presente un aumento di volume della ghiandola tiroidea. La consistenza è aumentata e raramente può essere presente dolorabilità. Possono anche essere presenti formazioni nodulari che però non sono patogeneticamente correlate alla malattia autoimmune, ma che riflettono la coesistenza di un gozzo nodulare. Con il progredire della malattia autoimmune, la ghiandola tiroidea si riduce di dimensioni per divenire non palpabile o difficilmente palpabile (cosiddetta variante atrofica). Nell’ipotiroidismo dell’adulto si ha un rallentamento di tutte le funzioni intellettive, ma non si osservano i gravi difetti mentali presenti nell’ipotiroidismo congenito. L’atteggiamento psichico del paziente ipotiroideo è caratterizzato da rallentamento dell’ideazione, perdita della memoria, difetto dell’attenzione, sonnolenza, con rallentamento dei riflessi osteotendinei. Nei soggetti anziani la sonnolenza spesso è più accentuata sino a giungere a una vera letargia e in rari casi al coma (coma mixedematoso). Non raramente possono essere presenti stati depressivi. Nei pazienti anziani si può avere un vero stato demenziale, spesso erroneamente attribuito a demenza senile. La carenza di ormoni tiroidei causa bradicardia e riduzione della forza contrattile del miocardio con riduzione della gittata sistolica. Di conseguenza la portata cardiaca è nettamente ridotta e il flusso sanguigno alla cute, al cervello e ai reni è diminuito. Si ha inoltre una vasocostrizione periferica con aumento delle resistenze e talora ipertensione. Si stabilisce pertanto una situazione emodinamica caratterizzata da bradicardia, allungamento del tempo di circolo (per aumento delle resistenze periferiche), diminuzione del flusso ematico ai tessuti (estremità fredde, pallide, intolleranza al freddo, riduzione del filtrato glomerulare ecc.), diminuito ritorno venoso al cuore, riduzione della gittata sistolica. Questa situazione emodinamica può essere parzialmente condizionata dalla minore richiesta di ossigeno da parte dei tessuti periferici. Infatti, nonostante la riduzione della gittata cardiaca, la differenza arterovenosa di ossigeno è normale C0305.indd 1380 e, diversamente da quanto avviene nello scompenso cardiaco, la gittata cardiaca aumenta se il paziente è sottoposto a uno sforzo. Tuttavia nelle forme gravi e di lunga durata l’ipotiroidismo può essere complicato da scompenso cardiaco, in quanto la carenza di ormoni tiroidei causa lesioni del miocardio (edema interstiziale, rigonfiamento aspecifico delle miofibrille, deposizione di materiale mucoproteico nell’interstizio) configurando il quadro di cuore da mixedema. Clinicamente si ha una cospicua cardiomegalia. Si può avere un versamento pericardico, in genere ben sopportato in quanto il liquido si accumula lentamente provocando una progressiva dilatazione del sacco pericardico con scarso aumento della pressione intrapericardica. Negli ultimi anni numerosi studi hanno dimostrato come l’ipotiroidismo, anche se lieve, può essere un fattore di rischio per la cardiopatia ischemica soprattutto a causa delle alterazioni dell’assetto lipidico (ipercolesterolemia) causate dalla carenza di ormoni tiroidei. Diagnosi Esami di routine Gli esami ematochimici di routine generalmente documentano un’ipercolesterolemia (che può raggiungere valori > 300 mg/dL) e un’anemia. L’incidenza dell’anemia è valutata intorno al 25-33%. Si tratta in genere di un’anemia normocromica, normocitica con ridotto numero di reticolociti e quadro midollare di tipo ipoplasico. L’anemia può aggravarsi bruscamente, divenendo sideropenica nelle pazienti che abbiano menometrorragia. Una sideropenia può essere anche conseguente alla coesistente malattia celiaca con conseguente malassorbimento intestinale. Un’anemia macrocitica da ridotto assorbimento di vitamina B12 con presenza in circolo di anticorpi anticellule parietali della mucosa gastrica può osservarsi come manifestazione patologica autoimmune associata alla tiroidite di Hashimoto. Esami immunologici Nella fase iniziale della tiroidite di Hashimoto sono presenti solo gli anticorpi antitiroide, TgAb e TPOAb, con normali livelli di TSH, FT4 e FT3 (si veda Fig. 61.12). I TgAb e soprattutto i TPOAb hanno un ruolo diagnostico fondamentale per identificare i pazienti con tiroidite di Hashimoto, soprattutto nella fase di eutiroidismo. Esistono tuttavia pazienti con tiroidite di Hashimoto senza anticorpi antitiroide circolanti. Considerando che la tiroidite di Hashimoto può associarsi ad altre malattie autoimmuni, la diagnostica di laboratorio può allargarsi al dosaggio di marcatori immunologici di tali malattie, quali il dosaggio degli anticorpi anti-parete gastrica (presenti nella gastrite atrofica autoimmune), quelli antiendomisio o antitransglutaminasi (presenti nella celiachia) e quelli anti-GAD65 (presenti nel diabete mellito di tipo 1). Esami ormonali Lo studio della funzione tiroidea si avvale innanzitutto del dosaggio del TSH, che rappresenta il parametro più affidabile per definire il quadro funzionale in assenza di patologie ipotalamo-ipofisarie. Il range laboratoristico di riferimento del TSH è compreso tra 0,5 mU/L e 4,5 mU/L. Come si dirà successivamente, questo range di riferimento è piuttosto ampio e può non riflettere l’eutiroidismo individuale. Per completezza diagnostica, al TSH si associa il dosaggio della FT4, mentre una minore importanza riveste il dosaggio della FT3. Il dosaggio degli ormoni tiroidei totali non fornisce informazioni aggiuntive rispetto al dosaggio delle frazioni libere e può trarre 6/9/10 5:48:54 PM Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE in errore diagnostico in quelle condizioni nelle quali gli ormoni tiroidei totali si riducono o aumentano per una riduzione o un aumento delle proteine di legame. Nella tiroidite di Hashimoto si ha una prima fase, che può durare anche tutta la vita, nella quale la funzione tiroidea è nella norma (si veda Fig. 61.12). Questa fase di eutiroidismo può essere interrotta transitoriamente da episodi di tireotossicosi senza ipertiroidismo espressione di una tiroidite silente (si veda in precedenza, Tireotossicosi senza ipertiroidismo, Forme infiammatorie). L’ipotiroidismo in genere si sviluppa gradualmente con una fase più o meno lunga di ipotiroidismo “subclinico” (TSH alto e ormoni tiroidei nel range laboratoristico di normalità) che precede l’ipotiroidismo conclamato (TSH alto e ormoni tiroidei bassi) (si veda Fig. 61.12). Nell’ipotiroidismo conclamato il quadro bioumorale è caratterizzato sempre da elevati livelli di TSH e bassi livelli di FT4, mentre nel 25% dei casi i livelli di FT3 possono essere normali quale espressione di un meccanismo di adattamento dell’organismo alla ridotta funzione secretoria tiroidea. La valutazione ormonale può essere allargata a studiare malattie autoimmuni interessanti altre ghiandole endocrine. Per esempio, nel sospetto di una malattia di Addison (presenza di un’iperkaliemia con o senza iposodiemia associate a ipotensione arteriosa) è indicato eseguire il dosaggio dell’attività reninica plasmatica, dell’aldosterone sierico, dell’ACTH e del cortisolo plasmatici. Nelle donne in età fertile è spesso presente iperprolattinemia (effetto dell’aumento del TRH a sua volta conseguente al mancato feedback negativo degli ormoni tiroidei). Esami strumentali L’ecografia tiroidea è uno strumento utile anche se non indispensabile nell’approccio diagnostico al paziente con tiroidite di Hashimoto. Il quadro ecografico tipico è caratterizzato da un’ipoecogenicità più o meno diffusa espressione dell’infiltrazione linfomonocitaria e della distruzione follicolare (Fig. 61.14). In genere, più estesa è l’ipoecogenicità della ghiandola tiroidea e maggiore è il rischio successivo di sviluppare ipotiroidismo (nei casi con eutiroidismo o ipotiroidismo “subclinico”). L’ecografia può avere un ruolo diagnostico importante in quei pazienti con tiroidite di Hashimoto senza anticorpi antitiroide circolanti. Inoltre l’ecografia consente di evidenziare anche l’eventuale coesistenza di noduli tiroidei. È da ricordare che nella tiroidite di Hashimoto, così come nelle altre forme di tireopatia autoimmune, è possibile confondere le aree di ipoecogenicità (pseudonoduli) con aree nodulari vere. L’agoaspirato con esame citologico va eseguito solo nei pazienti nei quali l’ecografia abbia evidenziato la presenza di noduli tiroidei veri. La scintigrafia tiroidea, invece, non riveste un ruolo diagnostico importante. il decorso della malattia autoimmune sottostante. Pertanto, la terapia deve necessariamente continuare per tempo indefinito. Sebbene sia la T3 l’ormone biologicamente attivo, si preferisce utilizzare la T4 o tiroxina nella terapia sostitutiva dell’ipotiroidismo sfruttando la sua trasformazione endogena in ormone biologicamene attivo. Le formulazioni contenenti sia T4 sia T3, tuttavia, in alcuni casi potrebbero avvicinarsi meglio alla situazione fisiologica preesistente. Il dosaggio giornaliero di tiroxina in grado di correggere l’ipotiroidismo è variabile tra 1,5 g e 2,0 g/kg. Nel soggetto giovane è possibile iniziare con dosaggio pieno, mentre nel soggetto anziano è necessario iniziare gradualmente, in genere con 12,5 g/die con successivo aumento di 12,5 g/die ogni 3-4 settimane. Va ricordato che nel soggetto anziano il metabolismo degli ormoni tiroidei è rallentato e pertanto si impone un inizio graduale per evitare il rischio di tireotossicosi “subclinica” da sovratrattamento (rischio cardiovascolare). Il dosaggio di mantenimento deve essere tale da mantenere i livelli di TSH tra 1,0 e 4,5 mU/L con FT4 e FT3 nel range di normalità. Per i soggetti longevi (età superiore agli 85 anni) è stato proposto di mantenere i livelli di TSH a valori più alti, tra 5 e 8 mU/L. 1381 9 Ipotiroidismo da cause iatrogene La terapia radio-metabolica con 131I, la chirurgia e la terapia medica con farmaci antitiroidei rappresentano cause frequenti di ipotiroidismo primitivo su base iatrogena. Sul piano clinico non vi sono differenze sostanziali rispetto all’ipotiroidismo della tiroidite di Hashimoto, se si eccettua il fabbisogno in generale maggiore di ormone tiroideo nella terapia sostitutiva e, per ciò che riguarda l’ipotiroidismo postchirurgico, la possibile coesistenza di un ipoparatiroidismo secondario all’intervento stesso. Ipotiroidismo secondario e terziario Esistono forme acquisite e congenite di ipotiroidismo secondario e terziario, che per definizione sono causati rispettivamente da una ridotta secrezione di TSH o TRH. Queste condizioni possono verificarsi nei pazienti con malattie ipotalamiche o ipofisarie (malattie infiammatorie, Terapia Nella fase di eutiroidismo non è indicata alcuna terapia. La terapia sostitutiva viene intrapresa sempre nei pazienti con ipotiroidismo conclamato, mentre l’indicazione al trattamento dell’ipotiroidismo “subclinico” è variabile e controversa (si veda oltre). La terapia dell’ipotiroidismo è sintomatica, in quanto consente di correggere il difetto ormonale ma non di influenzare C0305.indd 1381 Figura 61.14 Aspetto ecografico della tiroidite di Hashimoto. (Per gentile concessione del dott. Massimo Garofano, UO Medicina Interna, AO Carlo Poma, Mantova.) 6/9/10 5:48:55 PM 1382 Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE vascolari, neoplastiche, infiltrative) o in quei pazienti sottoposti a ipofisectomia o irradiazione ipofisaria. In queste condizioni, l’ipotiroidismo secondario si accompagna ad altre manifestazioni cliniche di ipopituitarismo. Esistono anche forme congenite di ipotiroidismo secondario che nella maggior parte dei casi sono idiopatiche. È nota una forma dovuta a mutazioni inattivanti il gene che codifica per il recettore del TRH e che comporta deficit di TSH e di prolattina. È pure nota una forma a trasmissione autosomica recessiva caratterizzata da mutazioni a carico del gene che codifica per il TSH che causano una ridotta eterodimerizzazione della subunità  con quella ␣. Deficienza di TSH, infine, è stata descritta in ceppi familiari per difetto dei fattori di trascrizione ipofisari Pit-1 (associata a quella di GH e prolattina) e Prop-1 (associata a quella di GH, prolattina, FSH e LH). Una peculiarità dell’ipotiroidismo secondario o terziario è la non affidabilità diagnostica e nel follow-up del dosaggio del TSH. Il quadro bioumorale tipico dell’ipotiroidismo centrale (secondario o terziario) è caratterizzato da livelli sierici di FT4 e FT3 inferiori alla norma e quelli di TSH inappropriatamente bassi. Si possono avere anche forme di ipotiroidismo centrale con elevati livelli di TSH, che però risulta essere biologicamente inattivo. Il test al TRH consente di fornire informazioni diagnostiche nei pazienti con ipotiroidismo centrale (risposta del TSH assente o ridotta nelle forme a genesi ipofisaria; ritardata, esagerata e prolungata nelle forme a genesi ipotalamica). Resistenza agli ormoni tiroidei Infine esistono forme rare di ipotiroidismo causate da una resistenza agli ormoni tiroidei (sindrome di Refetoff). Le mutazioni del TR a livello del sito di legame con l’ormone che comportano incapacità a legare la T3 determinano repressione della trascrizione a livello del gene bersaglio e sono causa della sindrome da resistenza agli ormoni tiroidei. I valori di FT4 e FT3 sono superiori alla norma e il TSH ha valori inappropriatamente elevati. Il TSH non è inibito dalla somministrazione degli ormoni tiroidei, ma aumenta in risposta alla somministrazione di TRH. Clinicamente si ha gozzo e la sintomatologia può variare dall’ipotiroidismo all’assenza di sintomi (e queste condizioni vanno sotto il nome di resistenza generalizzata agli ormoni tiroidei), alla presenza di sintomi di tireotossicosi soprattutto cardiaci (e questa condizione va sotto il nome di resistenza parziale agli ormoni tiroidei). Tali malattie sono in genere ↑ TBG ↓ FT3, FT4 Figura 61.15 Modificazioni dell’omeostasi tiroidea nella donna in gravidanza. C0305.indd 1382 ↑ TSH ↑ hCG ↑ Metabolismo degli ormoni tiroidei IPERSTIMOLAZIONE GHIANDOLARE IODIO-CARENZA: ipotiroxinemia relativa – stimolo gozzigeno (madre e bambino) IODIO-SUFFICIENZA: adattamento metabolico familiari, con eredità autosomica dominante. Quando vi è ipotiroidismo si somministrano ormoni tiroidei, tenendo conto che la dose deve essere modulata sulla risposta a livello del tessuto o dell’organo piuttosto che sui livelli di TSH. CONDIZIONI CLINICHE PARTICOLARI Ipotiroidismo in gravidanza La gravidanza è una condizione che predispone alla comparsa di ipotiroidismo, il quale a sua volta può causare importanti danni al feto anche quando è di lieve entità. Durante la gravidanza aumenta il fabbisogno di ormoni tiroidei quale conseguenza dell’aumento indotto dagli estrogeni delle proteine di legame (in particolare della TBG) e dell’aumento del volume di distribuzione corporea (Fig. 61.15). Per fare fronte a tali esigenze è necessario che la ghiandola tiroidea sia efficiente. Nelle donne con una riserva tiroidea ridotta a causa di una malattia autoimmune o di un precedente intervento chirurgico o radiometabolico, la gravidanza può slatentizzare un ipotiroidismo. Ciò accade soprattutto nelle aree di endemia gozzigena, in quanto l’incremento della clearance renale dello iodio non può essere soddisfatto dall’introito esterno. Nelle aree di endemia gozzigena, infatti, è possibile osservare durante la gravidanza un peggioramento della funzione tiroidea anche in donne senza evidenza di patologie a carico della ghiandola tiroidea. Quanto detto nel paragrafo dedicato all’ipotiroidismo congenito consente di comprendere l’importanza della correzione dell’ipotiroidismo materno, soprattutto nelle prime 12 settimane di gestazione, quando la tiroide fetale non è in grado di produrre ormoni tiroidei. Esistono studi clinici che dimostrano chiaramente come anche un ipotiroidismo lieve (“subclinico”) possa pregiudicare lo sviluppo neurologico del feto. In considerazione del fatto che i livelli di TSH in gravidanza sono fisiologicamente più bassi dello stato non gestazionale, le linee guida attuali suggeriscono di trattare l’ipotiroidismo materno quando i valori di TSH siano superiori a 2,5 mU/L nel primo trimestre e a 3,0 mU/L nel secondo e terzo trimestri. Per l’incremento delle proteine di legame, il dosaggio sostitutivo di tiroxina è in media aumentato di 25-50 g/die rispetto al periodo pregestazionale. Ipotiroidismo “subclinico” L’ipotiroidismo “subclinico”, definito da elevati livelli sierici di TSH con FT4 e FT3 nel range laboratoristico di normalità, è una condizione molto frequente, con una prevalenza del 4-10% nella popolazione generale che può raggiungere il 20% nelle donne in età geriatrica. Il range laboratoristico di normalità degli ormoni tiroidei non riflette l’eutiroidismo individuale. Infatti, mediante un approccio matematico è stato chiaramente dimostrato che in ciascun soggetto il range di normalità degli ormoni tiroidei è più stretto del range di normalità proposto a livello laboratoristico. Quindi, un soggetto può avere un lieve ipotiroidismo anche con valori di FT4 e FT3 ancora compresi nel range laboratoristico di riferimento. La sensibilità tissutale agli ormoni tiroidei può essere variabile 6/9/10 5:48:55 PM Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE da soggetto a soggetto in relazione a fattori genetici che regolano il metabolismo e l’attività recettoriale periferica. Da questo punto di vista è estremamente difficile se non impossibile riconoscere una disfunzione ghiandolare lieve o “subclinica” sulla base dei soli livelli di ormoni tiroidei. Pertanto, il dosaggio del TSH è fondamentale, in quanto un aumento o una riduzione oltre il range di normalità riflettono la comparsa di una disfunzione ghiandolare a livello del singolo soggetto. Tale concetto si basa sul principio che esiste un set-point individuale di sensibilità del TSH alla variazione degli ormoni tiroidei. Negli ultimi anni, numerosi studi hanno dimostrato che l’ipotiroidismo cosiddetto “subclinico” non è una mera entità laboratoristica, ma una condizione patologica che in alcuni casi può essere sintomatica e, quando è cronica, può anche indurre complicanze soprattutto cardiovascolari. Pazienti affetti da ipotiroidismo “subclinico” possono presentare una disfunzione diastolica che può avere un significato clinico e prognostico negativo soprattutto nei soggetti anziani. È stata descritta anche un’associazione con l’ipertensione arteriosa, quale conseguenza dell’aumento delle resistenze periferiche e della disfunzione endoteliale indotte dalla carenza anche lieve degli ormoni tiroidei. L’ipotiroidismo “subclinico” può associarsi alla presenza di dislipidemia con un aumento del rischio di cardiopatia ischemica. Infine, l’ipotiroidismo “subclinico” è un fattore di rischio per lo sviluppo di ipotiroidismo conclamato. È stato osservato che ogni anno circa il 2-5% dei pazienti con ipotiroidismo “subclinico” può evolvere in una forma clinicamente manifesta. Pertanto esiste un razionale a trattare il paziente con ipotiroidismo “subclinico”, ma è piuttosto controverso definire quando iniziare il trattamento. Le attuali linee guida suggeriscono di trattare sempre l’ipotiroidismo “subclinico” quando i valori di TSH sono > 10 mU/L. In questi casi, il rischio di progressione verso l’ipotiroidismo conclamato è molto alto anche nel breve tempo e inoltre esistono dati che suggeriscono come un certo beneficio occorra sul rischio cardiovascolare. Al contrario, le linee guida suggeriscono che sia non utile trattare i pazienti con valori di TSH < 4,5 mU/L. Le raccomandazioni sono differenti se si considerano le donne in stato di gravidanza (il trattamento va iniziato quando i valori di TSH sono > 2,5-3,0 mU/L) e i soggetti giovani con coesistente gozzo nodulare (il trattamento va iniziato per sopprimere i livelli di TSH). Se esistono certezze su cosa fare per valori di TSH > 10 o < 4,5 mU/L, purtroppo è ancora controverso come si debba agire per i pazienti con ipotiroidismo “subclinico” con valori di TSH tra 4,5 e 10 mU/L. È stato proposto di trattare solo quei pazienti nei quali è presente un elevato rischio cardiovascolare e soprattutto quelli con sintomi o segni di ipotiroidismo. Tuttavia, il grado di evidenza che il trattamento possa essere di beneficio in questi soggetti è ancora basso. In questi casi, dove le linee guida non sono univoche è possibile applicare il criterio dell’individualizzazione della scelta per i singoli pazienti, tenendo in considerazione l’età del paziente e la presenza di potenziali controindicazioni relative all’utilizzo dell’ormone tiroideo, quali la fibrillazione atriale, che potrebbe peggiorare in presenza di un aumento anche lieve dei livelli circolanti degli ormoni tiroidei. Si deve ricordare che nel soggetto anziano, a causa di peculiarità C0305.indd 1383 1383 metaboliche, la soglia di sicurezza della terapia sostitutiva tiroidea è più bassa rispetto al soggetto giovane. Coma mixedematoso Il coma mixedematoso è una condizione clinica grave che oggi solo eccezionalmente rappresenta lo stadio finale di un ipotiroidismo che ha seguito la sua naturale evoluzione. Assai più frequentemente il coma può essere precipitato da fattori capaci di provocare anossia dell’SNC, deprimendo i centri respiratori e/o diminuendo il flusso ematico cerebrale. Tra le cause scatenanti più comuni si ricordano: l’esposizione prolungata al freddo, le infezioni, i traumi con emorragia, l’ingestione di grandi quantità di alcol e soprattutto la somministrazione di sedativi o tranquillanti. Sono prevalentemente colpiti pazienti anziani, talora con ipotiroidismo non noto o trattato in modo inadeguato, affetti da malattie croniche respiratorie (inadeguata risposta ventilatoria all’ipossia e all’ipercapnia, e facile depressibilità dei centri respiratori) o dell’apparato cardiovascolare. Clinicamente il coma mixedematoso è caratterizzato da bradicardia, da ipotermia e da sonnolenza progressiva sino alla letargia e al coma. Non è sufficiente porre diagnosi di coma mixedematoso, è necessario ricercare e correggere la causa scatenante. La terapia del coma mixedematoso si effettua mediante somministrazione di ormone tiroideo per sondino naso-gastrico o (se la formulazione è disponibile) per via endovenosa. Si inizia con una dose iniziale elevata di tiroxina con o senza T3. Bisogna ricordare che nel coma mixedematoso la trasformazione della T4 in T3 è ridotta. È fondamentale la terapia di supporto con liquidi ipertonici (frequente iposodiemia), la correzione dell’iperglicemia, la somministrazione di cortisonici (nel caso di associazione con l’iposurrenalismo) e di antibiotici a largo spettro. La correzione dell’ipotermia va eseguita con cautela per evitare un collasso cardiocircolatorio favorito dall’ipotiroidismo. 9 Alterazioni tiroidee in corso di malattie sistemiche L’assetto ormonale dell’asse ipofisi-tiroide può variare, nel corso di malattie acute o croniche o di gravi carenze nutritive, anche in assenza di malattie primitive della tiroide o dell’ipofisi. Questa non rara eventualità, nota come sindrome del malato eutiroideo o euthyroid sick syndrome dagli autori di lingua inglese, è andata assumendo crescente importanza con l’estendersi del dosaggio degli ormoni tiroidei e del TSH anche a pazienti senza evidenze cliniche indicative di iper- o ipotiroidismo. Il cambiamento più precoce e comune è rappresentato dalla riduzione dei livelli di T3 causata dalla ridotta deiodinazione periferica della T4. La riduzione della T3 in assenza di ipotiroidismo si osserva in tutte quelle condizioni in cui è utile ridurre il metabolismo energetico stimolato dall’ormone tiroideo. La riduzione della T3 può restare isolata oppure associarsi a una diminuzione della T4 (“ipotiroxinemia senza ipotiroidismo”) che si osserva nelle malattie più gravi, quale espressione di un alterato legame alla TBG. Il TSH può andare incontro a oscillazioni da valori molto bassi a valori elevati, rendendo difficile l’interpretazione del quadro funzionale tiroideo. In effetti, è importante ricordare che nell’euthryroid sick syndrome le alterazioni biochimiche tiroidee sono transitorie, in stretta correlazione con l’evento sistemico. 6/9/10 5:48:55 PM 1384 Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE Malattie caratterizzate da eutiroidismo Gozzo semplice Definizione, epidemiologia ed eziologia È una condizione clinica caratterizzata da un aumento di volume della ghiandola tiroidea diffuso o nodulare (unio multinodulare) in presenza di una normale funzione tiroidea. Per definizione il gozzo (dal latino gargutium: canna della gola) è endemico quando è presente in più del 10% della popolazione adulta o in più del 5% della popolazione adolescenziale di una determinata area geografica; in alternativa si definisce sporadico. Nelle nostre aree il gozzo è sporadico con percentuali del 3-4% della popolazione generale. Il sesso femminile è quello più colpito (rapporto femmine:maschi almeno 4:1), soprattutto in adolescenza, allattamento e gravidanza, quando il fabbisogno di iodio è aumentato, e nelle aree in cui vi è carenza marginale di iodio. La causa del gozzo endemico è la carenza di iodio. Nell’endemia gozzigena di grado 1 la prevalenza del gozzo è del 10-19% e la carenza di iodio è lieve (la ioduria è 50100 g/g creatinina). In quella di grado 2 la prevalenza del gozzo è del 20-29% e la carenza di iodio è moderata (la ioduria è 25-49 g/g creatinina). In quella di grado 3 la prevalenza del gozzo è > 30% e la carenza di iodio è grave (ioduria < 25 g/g creatinina). Oltre alla carenza di iodio, esistono anche fattori genetici che possono contribuire alla comparsa del gozzo e che possono spiegare la frequente clusterizzazione familiare della malattia. La concordanza nei gemelli omozigoti varia dal 42 all’80%. Non si tratta di una trasmissione genetica di tipo mendeliano, ma, come nelle tireopatie autoimmuni, entrano in gioco più geni a penetranza variabile. In alcune forme di gozzo semplice entrano in gioco geni, quali il MNG-1 sul cromosoma 14, che possono favorire la proliferazione abnorme delle cellule tiroidee. Infine esistono fattori acquisiti differenti dalla carenza iodica che possono contribuire alla genesi del gozzo, quali sostanze gozzigene (radice di cassava, vegetali della famiglia della Cruciferae) e fumo di sigaretta. Patogenesi e fisiopatologia Esistono tre momenti fisiopatologici che sono responsabili della formazione del gozzo: 1) un esagerato o abnorme stimolo mitogeno che agisce sulle cellule follicolari; 2) un’esagerata risposta delle cellule follicolari agli stimoli mitogeni; 3) la proliferazione autonoma delle cellule follicolari. Per dare origine allo sviluppo del gozzo, lo stimolo mitogeno deve essere di bassa intensità e cronico, tale cioè da superare la desensibilizzazione delle cellule follicolari che invece si realizza quando lo stimolo è acuto e di elevata intensità, quale quello causato dagli anticorpi anti-TSHR nella malattia di Graves-Basedow. Lo stimolo mitogeno che si ritiene più frequentemente in causa è il TSH, soprattutto nelle fasi iniziali dello sviluppo del gozzo, in genere per un aumento della sua secrezione in risposta a un’insufficiente secrezione ormonale tiroidea da cause diverse, come si ha per esempio nella carenza di iodio. La carenza iodica, d’altra parte, causa un aumento della sensibilità delle cellule follicolari allo stimolo prolifera- C0305.indd 1384 tivo. Poiché nel gozzo semplice generalmente il livello plasmatico del TSH è normale, è possibile che siano in gioco altri stimoli mitogeni abnormi quali per esempio le immunoglobuline stimolanti la proliferazione (ma non la funzione) delle cellule follicolari tiroidee (TGI o TGAb) e fattori di crescita diversi quale per esempio l’IGF-1 e altre citochine. Inizialmente, la proliferazione cellulare è diffusa quindi il gozzo è diffuso e può regredire se lo stimolo mitogeno cessa. Perdurando lo stimolo gozzigeno, iniziano a comparire i noduli tiroidei, nella cui formazione entrano in gioco vari fattori. Un fattore importante è la fisiologica eterogeneità delle cellule follicolari. In condizioni di uno stimolo proliferativo cronico e di bassa intensità (carenza iodica) le fisiologiche differenze tra le cellule follicolari diventano evidenti, con creazione di follicoli morfologicamente differenti a seconda del tipo di cellula predominante. Si ipotizza che, perdurando lo stimolo gozzigeno, prevalga la proliferazione dei cloni cellulari a più elevata sensibilità agli stimoli mitogeni, per cui il gozzo diviene nodulare. Alternativamente, è possibile che l’attiva replicazione cellulare indotta dagli stimoli mitogeni favorisca l’insorgere di mutazioni cellulari che consentono la proliferazione autonoma dei cloni cellulari mutati. Infatti, le cellule follicolari tiroidee sembrano particolarmente predisposte alle mutazioni geniche spontanee, probabilmente quale conseguenza della produzione di radicali liberi che derivano dall’ormonogenesi tiroidea (produzione di H2O2). Le mutazioni possono interessare geni preposti alla sintesi di proteine coinvolte nella regolazione della proliferazione cellulare (per esempio, RAS), oppure di proteine coinvolte nella regolazione sia della proliferazione sia dell’ormonogenesi (per esempio, il TSHR o le proteine G). Nel primo caso si avranno noduli non funzionanti, mentre nel secondo caso i noduli possono presentare autonomia funzionale responsabile della comparsa di ipertiroidismo (si veda in precedenza, Gozzo multinodulare tossico). Manifestazioni cliniche Essendo la funzione tiroidea normale nel gozzo semplice, il paziente è spesso asintomatico. Gli eventuali sintomi sono in rapporto al volume del gozzo e alla sua sede. Il sintomo più frequentemente lamentato dai pazienti è la sensazione di compressione alla base del collo. Quando il gozzo è di dimensioni tali da causare fenomeni compressivi sulle strutture del collo, si possono avere disfagia (compressione esofagea), distress respiratorio (compressione tracheale), pletora (compressione dei vasi venosi), voce rauca, disfonia, afonia (compressione del nervo laringeo ricorrente). La classificazione clinica del gozzo (OMS) è la seguente: • grado 1, il gozzo è evidenziabile con la palpazione, ma non è visibile neanche all’estensione del collo; • grado 1b, il gozzo è palpabile e visibile solo all’estensione del collo oppure sono palpabili noduli anche in assenza di gozzo; • grado 2, il gozzo è visibile nella posizione normale del collo, la palpazione non è necessaria per la diagnosi; • grado 3, il gozzo è voluminoso e si vede anche a distanza. 6/9/10 5:48:56 PM Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE Quando il gozzo è a estrinsecazione retrosternale può essere presente il segno di Pemberton, che consiste nella comparsa di congestione al volto e debolezza agli arti superiori quando le braccia sono sollevate dietro la testa (manovra che porta la ghiandola tiroidea aumentata di volume nello stretto toracico). Diagnosi Esami di laboratorio e strumentali Gli esami di laboratorio non forniscono informazioni utili per l’identificazione dei pazienti con gozzo. Nel gozzo semplice la funzione tiroidea è normale, sebbene nella storia naturale della malattia possa comparire una tireotossicosi con ipertiroidismo (si veda in precedenza, Gozzo multinodulare tossico). Il dosaggio della tireoglobulina non è utile e non è raccomandabile nella diagnostica di laboratorio del gozzo. L’esame strumentale cardine per la diagnosi di gozzo è l’ecografia tiroidea. Ci si avvale di apparecchiature a elevata risoluzione che utilizzano segnali acustici con frequenza elevata (7,5-10 MHz) che penetrano nei tessuti non più di 5 cm, una profondità sufficiente per l’esplorazione della tiroide. Questo esame consente di individuare eventuali noduli tiroidei e caratterizzarli sul piano morfologico (si veda oltre, Nodulo tiroideo). Nei pazienti con gozzo a estrinsecazione retrosternale e/o con sintomi e segni di compressione delle strutture del collo, può essere utile eseguire una Rx trachea/ esofago con pasto di bario, una TC o una RM. Terapia La prevenzione del gozzo viene effettuata mediante la profilassi iodica. La profilassi con iodio nelle zone di endemia gozzigena è comunemente effettuata con sale da cucina a cui è stato aggiunto potassio ioduro o iodato di potassio. La iodazione del sale da cucina si effettua comunemente nella proporzione iodio-sale di circa 1:50.000, ovvero di 33,7 mg di iodato per kg di sale. Il consumo giornaliero di 5-10 g di tale sale assicura l’apporto giornaliero di iodio raccomandato per l’adulto di 100-200 g. Da ricordare che la stabilità dello iodato nel sale non va oltre i tre mesi dalla data di fabbricazione anche se il sale è conservato a temperatura ambiente e in sacchetti di plastica. Ovviamente, la profilassi iodica ha un significato di prevenzione quando iniziata precocemente in età infantile, prima cioè che si siano innescati quei meccanismi irreversibili che portano alla formazione del nodulo tiroideo. Essendo tuttavia la profilassi con iodio non una procedura individuale, ma necessariamente sociale, può succedere che nei pazienti con gozzo inveterato si abbia la comparsa di un ipertiroidismo, in quanto lo iodio va a slatentizzare una condizione di autonomia funzionale che si è sviluppata durante la storia naturale del gozzo. La terapia del gozzo semplice può essere effettuata con la tiroxina somministrata a dosaggi tali da ridurre i livelli di TSH a valori inferiori a 0,5 mU/L, creando quindi una tireotossicosi “subclinica” (terapia TSHsoppressiva). Il razionale di tale terapia è di annullare lo stimolo gozzigeno del TSH. Tuttavia, questo tipo di terapia non consente di eliminare del tutto la possibilità C0305.indd 1385 1385 di crescita del gozzo, che può dipendere da altri fattori di crescita e dall’insorgenza di autonomia proliferativa. Indipendentemente da queste considerazioni, va ricordato che la terapia TSH-soppressiva è controindicata nei soggetti anziani, nelle donne in postmenopausa e nei soggetti cardiopatici e con osteoporosi. Quando il gozzo è di dimensioni tali da causare fenomeni compressivi o quando è presente ipertiroidismo, la terapia più appropriata è la chirurgia. Nodulo tiroideo I noduli tiroidei sono frequenti e spesso rappresentano reperti occasionali riscontrati durante esami ecografici del collo in pazienti senza segni o sintomi di malattia tiroidea (cosiddetti “incidentalomi” tiroidei). Studi ecografici hanno dimostrato la presenza di noduli tiroidei fino al 40% della popolazione generale anche in quelle aree considerate classicamente come non endemiche per il gozzo nodulare. Da un punto di vista clinico i noduli tiroidei possono essere riscontrati da parte del paziente, dei familiari o durante una visita clinica di routine con ispezione e palpazione. Quando i noduli superano 1 cm di diametro possono essere palpabili come tumefazioni a carico del parenchima tiroideo, mobili con gli atti della deglutizione. I noduli tiroidei sono visibili solo quando sono di grandi dimensioni e/o interessano le porzioni anteriori dei lobi tiroidei o dell’istmo, più frequentemente nei pazienti di costituzione magra. Nei pazienti con noduli tiroidei cistici può comparire una sintomatologia dolorosa provocata dall’incremento improvviso delle dimensioni del nodulo, che il più delle volte è causato da un’emorragia intracistica. L’ecografia tiroidea rappresenta lo strumento fondamentale nell’approccio diagnostico del nodulo tiroideo (Fig. 61.16). Questo esame consente di caratterizzare i noduli tiroidei da un punto di vista morfologico (dimensioni, forma, struttura, presenza di capsula, presenza di calcifi cazioni, caratteristiche della vascolarizzazione). Da un punto di vista ecografi co i noduli tiroidei vengono classificati come isoecogeni, iperecogeni, ipoecogeni, anecogeni, sulla base dell’intensità del segnale rispetto al circostante parenchima tiroideo. I noduli a contenuto liquido (cisti) appaiono come completamente o parzialmente anecogeni ( Fig. 61.16 a ), mentre quelli a contenuto solido appaiono isoecogeni (Fig. 61.16 b) o ipoecogeni (Fig. 61.16 c) e più raramente iperecogeni. Tali aspetti ecografici consentono di orientare il successivo protocollo diagnostico: infatti i noduli cistici sono in genere benigni e quindi può essere non necessario eseguire l’esame citologico. Alcuni noduli possono avere una struttura “complessa”, con aree solide e aree liquide (Fig. 61.16 d). L’ecografia tiroidea allargata alla regione cervicale antero-laterale consente anche di valutare l’eventuale presenza di linfoadenomegalie, che possono rappresentare la prima spia di una neoplasia tiroidea. Infine, l’ecografia può essere anche utilizzata per guidare procedure diagnostiche (agoaspirato per esame citologico) e terapeutiche (aspirazione di noduli cistici o alcolizzazione). 9 6/9/10 5:48:56 PM 1386 Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE La scintigrafia tiroidea viene eseguita solo in quei pazienti con un quadro biochimico suggestivo di tireotossicosi. Di fronte a un paziente con nodulo tiroideo vi è la necessità di distinguere le forme maligne da quelle benigne e quindi di individuare i pazienti da sottoporre a tratta- a b c mento chirurgico. Ingrandimenti apparentemente circoscritti della tiroide possono essere causati da forme non tumorali (Tab. 61.7). Il gozzo nodulare è una patologia frequente nella popolazione generale, ma solo il 3-5% dei noduli è maligno. Nell’infanzia e nell’adolescenza i noduli tiroidei hanno bassa prevalenza, compresa tra 0,2 e 1,4%, ma l’incidenza di malignità in questi noduli è elevata, essendo compresa tra il 15 e il 20% e anche più in alcune casistiche. L’unico esame che consente, in fase preoperatoria, di discriminare il nodulo benigno da quello maligno è l’esame citologico su materale agoaspirato. Nel 70% dei casi la diagnosi è di benignità, nel 3-5% dei casi di malignità e nella restante parte dei casi l’esame può fornire informazioni non dirimenti ai fi ni diagnostici a causa di un risultato inadeguato (il campione cellulare è scarso) o di un risultato indeterminato (di fronte a una lesione follicolare o a una lesione a cellule di Hürthle l’esame citologico non consente di differenziare l’adenoma dal carcinoma). Quando il risultato dell’esame citologico è inadeguato o indeterminato, il clinico viene posto di fronte alla scelta di sottoporre o meno il paziente a un trattamento chirurgico il cui signifi cato però non è terapeutico, ma fondamentalmente di approfondimento diagnostico mediante esame istologico. Il primo passo nell’approccio diagnostico a un paziente con nodulo tiroideo è la scelta di eseguire o meno l’esame citologico. La scelta tiene conto del profilo individuale di rischio (età < 20 anni o > 70 anni, sesso maschile, familiarità per neoplasie tiroidee sia midollari e sia a partenza dalle cellule follicolari, sospetto di sindromi MEN o di malattie familiari come la sindrome di Gardner, pregresse irradiazioni al collo o esposizione ambientale a radiazioni ionizzanti), comportamento clinico del nodulo (aumento di dimensioni durante il follow-up, comparsa di segni e sintomi suggestivi di infiltrazione delle strutture del collo), caratteristiche ecografiche del nodulo (struttura solida, diametro > 1-1,5 cm, struttura ipoecogena, margini sfumati, presenza di microcalcificazioni, vascolarizzazione intranodulare), comportamento funzionale (assenza di autonomia funzionale). Le linee guida internazionali raccomandano l’esecuzione dell’agoaspirato sempre quando il nodulo è palpabile o comunque di diametro > 1,0-1,5 cm in assenza di segni biochimici e/o scintigrafici di autonomia funzionale. Nei noduli più piccoli l’agoaspirato è giustificato se sono presenti segni ecografici di malignità e/o se sono presenti fattori di rischio individuali e/o se il comportamento clinico del nodulo è sospetto (Fig. 61.17). Tabella 61.7 Figura 61.16 Aspetto ecografico dei noduli tiroidei. d (Per gentile concessione del dott. Massimo Garofano, UO Medicina Interna, AO Carlo Poma, Mantova.) (a) Nodulo solido con una componente centrale anecogena da contenuto liquido; (b) nodulo solido isoecogeno; (c) nodulo ipoecogeno; (d) nodulo complesso. C0305.indd 1386 Classificazione clinico-patologica dei noduli tiroidei non neoplastici Iperplasia follicolare nell’ambito di un gozzo Iperplasia di un residuo tiroideo post-chirurgico Cisti tiroidee Cisti del dotto tireoglosso Tiroidite focale (acuta-suppurativa, subacuta-granulomatosa, cronica-linfocitaria) 6/9/10 5:48:56 PM Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE Il comportamento terapeutico è strettamente dipendente dal risultato dell’agoaspirato. Nelle forme benigne è indicata la terapia TSH-soppressiva quando non sono presenti controindicazioni. Il follow-up è sempre necessario, in quanto una crescita del nodulo in corso di terapia farmacologica rappresenta un’indicazione alla ripetizione dell’esame citologico. Infatti, va ricordato che risultati falsi negativi di esami citologici (diagnosi di benignità in carcinomi tiroidei) possono verificarsi fino al 5% dei casi. La risposta alla terapia TSH-soppressiva in termini di riduzione delle dimensioni nodulari è variabile e dipende dalle dimensioni e dalla struttura dei noduli. Ancora oggi si discute sull’efficacia reale di tale terapia nel gozzo nodulare normofunzionante, anche perché esistono dati epidemiologici che dimostrano come in una percentuale non trascurabile di pazienti il gozzo nodulare tende spontaneamente a stabilizzarsi nel tempo e in alcuni casi a ridursi di dimensione indi- 9 Nodulo tiroideo (confermato ecograficamente) TSH basso Scintigrafia pendentemente dal trattamento farmacologico. Quando l’esame citologico è positivo per neoplasia maligna si mettono in atto le procedure terapeutiche che verranno discusse nel paragrafo dedicato ai tumori tiroidei. La chirurgia è indicata anche nei pazienti con risultato citologico indeterminato (lesione follicolare o lesione a cellule di Hürthle). Il trattamento chirurgico è necessario, in quanto la definizione diagnostica (adenoma o carcinoma) non può che avvenire mediante l’esame istologico sul pezzo operatorio, attraverso la dimostrazione dell’invasione dei vasi e della capsula (presenti nel carcinoma, assenti nell’adenoma). Quando il risultato dell’esame citologico è inadeguato, è consigliato il follow-up con ripetizione dell’esame citologico se il nodulo è misto o cistico. Invece, se il nodulo è solido è raccomandato l’intervento chirurgico, il quale va comunque eseguito quando gli esami citologici di controllo abbiano sempre dato risultati ripetutamente inadeguati (Fig. 61.17). 1387 TSH normale/alto Nodulo “freddo” Nodulo > 1-1,5 cm Nodulo < 1 cm Nodulo “caldo” Chirurgia o radioiodio Assenza di fattori di rischio Aspetti ecografici non sospetti Presenza di fattori di rischio1 Aspetti ecografici sospetti2 FNAB TSH-soppressione o follow-up Maligno Lesione follicolare Inadeguato Benigno Chirurgia, 131l, TSH-soppressione Chirurgia Ripetere FNAB o chirurgia3 TSH-soppressione o follow-up Figura 61.17 Algoritmo diagnosticoterapeutico nel paziente con nodulo tiroideo. 1 I fattori di rischio per il carcinoma tiroideo sono: età < 20 anni o > 70 anni, familiarità per sindromi MEN o per carcinomi tiroidei, pregressa irradiazione del collo o esposizione a radiazioni ionizzanti, crescita del nodulo durante il follow-up. 2 Reperti ecografici sospetti sono: aspetto ipoecogeno, margini sfumati, presenza di microcalcificazioni, vascolarizzazione intranodulare. 3 L'intervento chirurgico è indicato quando l'agoaspirato è inadeguato su noduli solidi o quando è ripetutamente inadeguato (l'algoritmo è derivato dall'integrazione delle linee guida dell'ATA [Cooper DS et al. Thyroid, 2006] e dell'AACE/AME [Gharib H et al., 2006]). C0305.indd 1387 6/9/10 5:48:57 PM 1388 Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE Tumori tiroidei maligni Classificazione ed epidemiologia I tumori maligni della tiroide sono distinti in primitivi e secondari (metastatici, assai rari). Quelli primitivi più frequenti sono di origine epiteliale, derivanti dalle cellule follicolari, e si classificano in carcinomi differenziati (papillifero e follicolare), scarsamente differenziati (insulare e altri) e indifferenziati (anaplastici). Vi sono poi i carcinomi che derivano dalle cellule C della tiroide (carcinoma midollare) e infine tumori maligni non epiteliali (linfoma maligno, sarcoma) (Tab. 61.8). Ciascun tipo istologico presenta specifiche peculiarità in quanto a diffusione iniziale e alla successiva modalità di recidiva e di diffusione metastatica. La prognosi migliore è quella che caratterizza il carcinoma papillifero, mentre la peggiore è quella degli anaplastici e dei midollari. I carcinomi papilliferi metastatizzano prevalentemente per via linfatica, i follicolari per via ematica. Gli anaplastici hanno un’elevata capacità sia di metastatizzare a distanza sia di progressione locale con infiltrazione delle strutture del collo. I carcinomi midollari metastatizzano precocemente e non è raro riscontrare metastasi con lesioni tiroidee primitive subcentimetriche. I carcinomi tiroidei sono relativamente rari, costituendo meno dell’1% di tutti i tumori maligni umani; la loro incidenza annuale è compresa tra 0,5 e 10 per 100.000 abitanti, ma rappresentano la neoplasia endocrina più comune. In Italia, le stime di incidenza sono di 600-700 nuovi casi all’anno nel sesso maschile e 2500-2600 nuovi casi all’anno nel sesso femminile. L’incidenza aumenta progressivamente con l’età dei pazienti, con un picco tra i 40 e i 60 anni e un successivo calo nel sesso femminile e un trend progressivo all’incremento fino a 70 anni nel sesso maschile. In età geriatrica sono più frequenti i tumori follicolari e quelli anaplastici rispetto a quelli papilliferi, che sono invece l’istotipo più frequente nelle fasce di età più giovani. Negli ultimi decenni si è osservato un progressivo incremento dell’incidenza dei carcinomi tiroidei, ma tale aumento non si è accompagnato a un incremento della mortalità. Questa discrepanza è legata a un miglioramento delle procedure terapeutiche, ma soprattutto a un miglioramento di quelle diagnostiche che ha portato a una diagnosi precoce del tumore. Infatti, studi epidemiologici dimostrano come siano aumentate, rispetto al passato, le diagnosi dei tumori di dimensioni più piccole, che sono quelli a prognosi migliore. Tabella 61.8 Classificazione WHO dei tumori tiroidei Tumori che originano dalle cellule follicolari Benigni Adenoma follicolare Maligni Carcinoma follicolare Minimamente invasivo (incapsulato) Ampiamente invasivo A cellule di Hürtle Variante a cellule chiare Carcinoma papillare Microcarcinoma papillare (< 1 cm) Variante incapsulata Variante follicolare Variante sclerosante diffusa A cellule ossifile Carcinoma indifferenziato (anaplastico) Tumori che originano dalle cellule C parafollicolari Maligni Carcinoma midollare Tumori non epiteliali Maligni Sarcoma Emagioendotelioma Linfoma Metastasi C0305.indd 1388 Eziopatogenesi e fisiopatologia Tra i fattori ambientali che sono chiamati in causa nell’eziologia dei tumori tiroidei bisogna ricordare le radiazioni ionizzanti. Soggetti in precedenza irradiati al collo per malattie benigne (acne, tinea capitis) o maligne (linfomi) hanno un rischio aumentato di sviluppare una neoplasia della tiroide. Il problema delle radiazioni ionizzanti è riemerso negli ultimi anni dopo l’incidente di Chernobyl, che ha visto aumentare in maniera significativa l’incidenza di tumori tiroidei (in particolare quelli papilliferi) nelle aree geografiche che sono state raggiunte dalla nube di sostanze radioattive (in particolare radioisotopi dello iodio) emesse dal reattore nucleare di Chernobyl. Il problema delle radiazioni ionizzanti ha portato anche a studiare l’eventuale rischio nei pazienti sottoposti a trattamento radiometabolico con 131I per ipertiroidismo. I dati clinici, tuttavia, dimostrano che tale tipo di trattamento sarebbe privo di effetti cancerogeni. Come in altri tipi di neoplasia, il carcinoma tiroideo progredisce attraverso un processo carcinogenetico multistep caratterizzato dall’accumulo di mutazioni genetiche e di alterazioni cromosomiche responsabili dell’evoluzione maligna della malattia. Tale progressione è favorita dai fattori di crescita, quali il TSH, che agiscono da fattori di “promozione” dopo che le mutazioni genetiche hanno creato i presupposti per la crescita incontrollata delle cellule “trasformate”. Tra i geni responsabili dei tumori tiroidei, si ricordano i geni RET, BRAF e RAS. I geni RET e RAS possono essere mutati non solo nei carcinomi (follicolari per RAS e papilliferi per RET), ma anche nelle lesioni benigne adenomatose. Invece BRAF è mutato solo nei carcinomi, specificamente in quelli papilliferi. Il gene RET è coinvolto anche nell’eziopatogenesi dei carcinomi midollari familiari (si veda il Capitolo 65). 6/9/10 5:48:57 PM Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE Anatomia patologica Il carcinoma papillifero della tiroide è definito come un tumore epiteliale maligno differenziato in senso follicolare e caratterizzato dalla formazione di papille e/o da alterazioni peculiari del nucleo delle cellule neoplastiche. La variante istologica più frequente è quella follicolare, che si distingue dal carcinoma follicolare per le caratteristiche del nucleo. Varianti considerate aggressive sono quella diffusa sclerosante, in cui la neoplasia è disseminata per via linfatica ai due lobi tiroidei, e quella a cellule alte e a cellule colonnari con stratificazione dei nuclei. La neoplasia non è provvista di capsula. All’interno del tumore possono essere presenti calcificazioni “a granuli stipati”. Le cellule sono in genere diploidi, ma con frequenti anomalie cromosomiche, espressione dei riarrangiamenti a carico del gene RET. Il carcinoma follicolare è definito come un tumore maligno differenziato in senso follicolare ma privo delle caratteristiche istologiche proprie del carcinoma papillifero. Il carcinoma follicolare della tiroide è provvisto di capsula, è aggressivo invadendo la capsula, i vasi e il tessuto tiroideo circostante. L’invasione della capsula e dei vasi rappresenta l’elemento anatomopatologico che consente di distinguere il carcinoma follicolare dall’adenoma follicolare. I quadri istologici variano da quello costituito esclusivamente da follicoli ben formati a quello costituito da tessuto solido con scarsi follicoli. Sono varianti quella a cellule chiare e quella a cellule oncocitiche/ ossifile (carcinoma a cellule di Hürtle), che è particolarmente aggressiva. Importante dal punto di vista clinico è la distinzione in due categorie in base all’invasività del tumore: quella minimamente invasiva, il cui quadro istologico spesso non è distinguibile da quello dell’adenoma follicolare, essendo l’invasione della capsula e dei vasi discreta e visibile solo se accuratamente ricercata, e quella ampiamente invasiva con grossolana ed evidente invasione della capsula, dei vasi e del tessuto tiroideo circostante. La proliferazione neoplastica è monoclonale. Reperti comuni sono l’aneuploidia e le alterazioni cromosomiche del nucleo. Il carcinoma midollare prende origine dalle cellule C della tiroide e come queste secerne calcitonina. È un tumore sprovvisto di capsula, presentante diversi quadri istologici, ma non follicoli né papille. Le cellule, di forma varia, sono sdifferenziate e in attività mitotica. Caratteristico è lo stroma connettivale ricco di amiloide (positività istochimica al rosso Congo e non per la colloide come per i carcinomi follicolari e papilliferi); sono frequenti le calcificazioni. Esso appare come una massa dura, spesso bilaterale, e localizzata ai due terzi superiori dei lobi tiroidei. Foci neoplastici multipli possono essere presenti nella ghiandola. Il carcinoma anaplastico è un carcinoma altamente invasivo, non provvisto di capsula, a cellule indifferenziate, di forma varia, spesso in mitosi, la cui natura epiteliale è dimostrata dalla presenza di cheratina (con fissazione immunoistochimica di anticorpi anticheratina). Manifestazioni cliniche Il cancro della tiroide si presenta come un nodulo tiroideo e quindi le manifestazioni cliniche possono essere le stesse di quelle già riportate nel paragrafo dedicato al C0305.indd 1389 1389 gozzo nodulare. Vi possono essere sintomi e segni peculiari che possono orientare verso la natura maligna del nodulo tiroideo, come la consistenza aumentata, la scarsa mobilità, l’aumento di dimensioni durante un periodo di follow-up, la presenza di linfoadenomegalie cervicali. Nei pazienti con carcinoma midollare possono essere presenti manifestazioni cliniche di iperproduzione di neuromodulatori, quali la serotonina e l’istamina, che causano sintomi simili a quelli presenti nei tumori carcinoidi (flushing e diarrea). Diagnosi Esami biochimici Da un punto di vista laboratoristico non esistono marcatori neoplastici specifici per il carcinoma follicolare e per quello papillifero, almeno per quello che riguarda la diagnosi di malattia. La Tg ha un significato clinico solo nel monitoraggio dei pazienti già sottoposti a trattamento chirurgico e radiometabolico. Per il carcinoma midollare è utile il dosaggio della calcitonina, sia per la diagnosi sia per il monitoraggio post-trattamento. Nei casi dubbi, quando i livelli di calcitonina non sono molto aumentati, è possibile eseguire il test alla pentagastrina che consente di discriminare le forme neoplastiche (aumento dei livelli di calcitonina > 100 pg/L) dalle forme non neoplastiche associate a lieve ipercalcitoninemia basale (non risposta alla pentagastrina). Il dosaggio dell’antigene carcinoembrionario può essere utile nel carcinoma indifferenziato e nel carcinoma midollare. 9 Esami strumentali Gli esami strumentali sono fondamentali per la stadiazione della malattia. L’ecografia del collo consente di ottenere importanti informazioni soprattutto in quei tumori tiroidei a metastatizzazione precoce linfonodale, come il carcinoma papillifero e quello midollare. Esami come la TC e la RM consentono di completare la stadiazione preoperatoria attraverso lo studio degli altri distretti corporei. Considerando che i tumori tiroidei possono metastatizzare anche all’osso (in particolare il carcinoma follicolare), utile è anche la scintigrafia ossea. La stadiazione dei tumori tiroidei si avvale del sistema AICC.TNM versione VI. La stadiazione è importante in questo tipo di tumori, poiché essa ha valore nello stabilire la prognosi, le modalità terapeutiche e del follow-up postoperatorio indipendentemente dal tipo istologico della neoplasia, ossia se papillifero o follicolare. La probabiltà di recidiva e di morte aumenta passando dallo stadio I a quelli successivi. Gli stadi I e II sono considerati a basso rischio, quelli III e IV a rischio elevato. La stadiazione preoperatoria è solo clinica; dopo l’intervento chirurgico è più accurata, in quanto si aggiungono i dati anatomopatologici. La prognosi dei pazienti con carcinoma tiroideo varia a seconda dell’istotipo e dello stadio di malattia. Nei pazienti con carcinoma papillifero e follicolare di età inferiore a 45 anni la prognosi è buona. Nei pazienti di età > 45 anni, invece, la prognosi è strettamente in funzione delle dimensioni del tumore, della presenza o meno di metastasi linfonodali e a distanza. Per il carcinoma anaplastico lo stadio TNM è considerato sempre il IV. La sopravvivenza è di alcuni mesi. Tuttavia, quando il carcinoma è localizzato alla tiroide e ai linfonodi cervicali, 6/9/10 5:48:57 PM 1390 Parte 9 - MALATTIE ENDOCRINE la chirurgia ampiamente demolitiva della tiroide e delle linfoghiandole cervicali, associata a radioterapia esterna e polichemioterapia, ha permesso occasionalmente sopravvivenze anche di anni. Terapia La terapia iniziale è sempre chirurgica. L’intervento consiste nella tiroidectomia totale o quasi totale con l’obiettivo da una parte di eliminare eventuali foci multipli del tumore (il carcinoma tiroideo è frequentemente multifocale) e dall’altra di favorire il successivo monitoraggio dei pazienti mediante dosaggio della Tg. All’intervento chirurgico segue la terapia ablativa con 131I che, per essere efficace, deve essere eseguita in presenza di elevati livelli di TSH. Tale condizione si ottiene lasciando il paziente ipotiroideo dopo l’intervento chirurgico o somministrando TSH ricombinante nel paziente che assume tiroxina. Nei giorni successivi alla somministrazione del radioiodio è indicata l’esecuzione di una scintigrafia total body per poter visualizzare l’eventuale presenza di metastasi a distanza non documentate dagli esami strumentali preoperatori. Le linee guida attuali non raccomandano l’esecuzione della terapia radiometabolica nei pazienti con microcarcinoma papillifero della tiroide in stadio I, per il quale il trattamento chirurgico viene considerato sufficiente. Alla terapia radiometabolica segue un trattamento con tiroxina a dosaggio “TSH-soppressivo” con controlli semestrali dei valori di Tg in corso di terapia e controlli annuali ecografici (per valutare l’eventuale comparsa di recidive locali a livello cervicale). Un anno dopo la terapia radiometabolica è indicata una valutazione dei valori di Tg dopo stimolo con TSH ricombinante o dopo sospensione della terapia con tiroxina. Il successivo follow-up si esegue dosando la Tg sotto TSH-soppressione. Nei pazienti senza recidiva e metastasi i valori di tireoglobulina sono inferiori a 1 ng/mL in corso di TSH-soppressione e < 2 ng/mL durante stimolazione. Ovviamente i cut-off devono tenere conto delle peculiarità delle metodiche utilizzate e dell’eventuale presenza di TgAb, che inficiano il dosaggio della proteina tiroidea. Nei casi in cui il dosaggio della Tg non è affidabile (presenza di TgAb), si ricorre alla scintigrafia total body con 131I sotto stimolo del TSH o all’esame TC-PET. Tiroiditi Le tiroiditi sono malattie infiammatorie della ghiandola tiroidea che possono essere causate da infezioni batteriche (tiroidite acuta suppurativa), virali (tiroidite subacuta di De Quervain), autoimmuni (tiroidite cronica di Hashimoto, tiroidite post partum, tiroidite silente, tiroidite lignea di Riedel) (Tab. 61.9). Le tiroiditi autoimmuni e la tiroidite virale sono state trattate nei paragrafi dedicati all’ipotiroidismo e alle tireotossicosi. La tiroidite acuta suppurativa è una rara condizione clinica sostenuta da un processo suppurativo a partenza dalle strutture viciniori del collo. Si manifesta clinicamente con febbre settica (a differenza della tiroidite subacuta di De Quervain, in cui è presente in genere febbricola), aumento degli indici di Tabella 61.9 Classificazione delle tiroiditi C0305.indd 1390 Malattie Tiroidite cronica di Hashimoto Eziologia Autoimmune Funzione tiroidea Eutiroidismo → Ipotiroidismo Tiroidite silente/ post partum Autoimmune Tireotossicosi → Ipotiroidismo Tiroidite subacuta di De Quervain Virale Tireotossicosi → Ipotiroidismo Tiroidite acuta Batterica Eutiroidismo Tiroidite lignea di Riedel Autoimmune – non certa Eutiroidismo → Ipotiroidismo flogosi, dolore nella regione tiroidea. Generalmente la funzione tiroidea rimane nella norma, a differenza della tiroidite subacuta di De Quervain, che invece si associa a tireotossicosi senza ipertiroidismo (si veda in precedenza, Tireotossicosi senza ipertiroidismo, Forme infiammatorie). La tiroidite di Riedel o “tiroidite lignea”, “fibrosa” o “fibroinvasiva”, è un’affezione molto rara, a eziologia non definita, caratterizzata da lesioni infiammatorie croniche, a evoluzione fibrosclerotica, che coinvolgono, oltre al parenchima tiroideo, le strutture adiacenti: trachea, esofago, paratiroidi, muscoli del collo. Il processo fibrosclerotico può interessare altri distretti: retroperitoneo, mediastino, dotti biliari, parotidi (fibrosclerosite multifocale). Il processo fibrosclerotico provoca un sovvertimento completo delle strutture anatomiche della tiroide; il tessuto follicolare è progressivamente sostituito da tralci fibrosi che inglobano isole di epitelio irregolarmente distribuite. Da un punto di vista anatomopatologico il processo interessa solo un’area localizzata della ghiandola, che diventa di consistenza duro-lignea e fissa alle strutture limitrofe per deposizione di tessuto fibroso denso nella capsula e nel tessuto adiposo peritiroideo. Le zone colpite dalla lesione mostrano perdita della struttura lobulare e sostituzione del parenchima da parte di connettivo fibroso denso, frammisto al quale si osservano rari follicoli compressi, linfociti, plasmacellule e occasionali granulociti; mancano le cellule giganti e gli istiociti. Da un punto di vista clinico, l’esordio è insidioso. I sintomi principali sono disturbi da compressione delle strutture del collo; in particolare esofago, trachea, nervi ricorrenti con disfagia, dispnea, cambiamento del tono della voce, 6/9/10 5:48:57 PM Capitolo 61 - MALATTIE DELLA TIROIDE afonia. La lesione tiroidea, inizialmente localizzata, si estende gradualmente coinvolgendo, nell’arco di mesi o di anni, l’intera ghiandola. La tiroide è di durezza lignea, indolore, aderente ai piani profondi, modestamente ingrandita. La cute non è infiltrata; i segni di infiammazione sono assenti. I pazienti sviluppano lentamente un ipotiroidismo irreversibile. Il coinvolgimento delle 1391 paratiroidi nel processo fibrosclerotico può provocare ipoparatiroidismo. L’intervento chirurgico offre l’unica possibilità di porre una sicura diagnosi e di alleviare i disturbi compressivi su trachea ed esofago, asportando il tessuto fibrosclerotico presente nella regione istmica e separando e lateralizzando i due lobi. L’ipotiroidismo va trattato con terapia sostitutiva. Bibliografia Abalovich M, Amino N, Barbour L et al. Management of thyroid dysfunction during pregnancy and postpartum: an Endocrine Society Clinical Practice Guideline. J Clin Endocrinol Metab 2007;92(8 Suppl):S1–S47. Ando T, Latif R, Davies TF. Thyrotropin receptor antibodies: new insights into their actions and clinical relevance. Best Pract Res Clin Endocrinol Metab 2005;19:33–52. Bartalena L, Baldeschi L, Dickinson AJ et al. Consensus statement of the European Group on Graves’ Orbitopathy (EUGOGO) on management of Graves’ orbitopathy. Thyroid 2008;18:333–46. Biondi B, Cooper DS. 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