giornale degli studenti dell’Università Bocconi Arte petrolio d’Italia pagina 4 Cleacc: Ten Years After pagina 12 www.traileoni.it Pubblicazione bimestrale · Anno 16 · Numero 66 · Marzo 2014 · Iniziativa finanziata con i contributi dell’Università Bocconi INCIPIT Domenico Genovese Qualche giorno fa, durante un colloquio di lavoro, il recruiter mi ha posto una domanda che nessuno mi aveva mai rivolto direttamete: “Perché ti piace scrivere?”. Nonostante mi sia trovato, abbastanza inspiegabilmente ripensandoci a mente fredda, per la prima volta a dover formulare una risposta a questa domanda diretta, il mio tempo di reazione è stato pressoché nullo e ho d’istinto risposto “perché posso dire la mia”. Questo è il motivo che, fatte le dovute eccezioni, muove tutti coloro i quali dedichino n.66 un po’ del loro tempo alla scrittura. Realizzando questo numero di “Tra i Leoni” mi sono chiesto se il compito che assolve il nostro giornale non sia proprio quello di fornire un megafono, uno strumento attraverso cui gli studenti possano esprimere le proprie opinioni, raccontare la propria versione, il loro punto di vista su temi grandi e piccoli della vita di ognuno di noi. “AAA” - RATING INDAGASI - 03 La risposta è no. O, almeno, non solo questo. Ciò perché, nonostante sia molto importante il numero di persone che legge le nostre pagine e visita il nostro blog, lo è ancor ARTE PETROLIO D’ITALIA - 04 ACRONOMICS - 05 di più la quantità di discussioni generate. Di confronti. Diffondere le proprie idee non è, e non deve essere, l’obiettivo primario di chi scrive poiché ben più importante è il confronto con i propri lettori e tra di essi. LE CLAUSOLE VESSATORIE - 06 IN UN’OTTICA GIUSECONOMICA Ecco, Tra i Leoni ha proprio questo obiettivo, essere motore di dibattito, scintilla di scon- BUSINESS MODEL INNOVATION: - 07 LA RIVOLUZIONE TV In questo numero, quindi, oltre a ringraziare tutti coloro i quali si complimentano con THE MORAL COMPASS NAVIGATES - 08 THE EUROPEAN MAZE QUO VADIS, SOFIA? - 10 tro, pacato e nelle regole, ma sincero. Costruttivo. Produttivo. noi del nostro operato, rivolgo un invito a chi, invece, ritenga che stiamo sbagliando. Che stiamo tralasciando qualche punto di vista. Traendo conclusioni errate. Tra i Leoni si fregia del titolo di “Giornale ufficiale degli studenti Bocconi” e, come ho già scritto in passato, è proprio così: siamo aperti a tutti, soprattutto a chi guarda il mondo con occhi diversi dai nostri perché convinti che la diversità sia il seme dell’evoluzione. LA MAFIA SECONDO PIF - 11 INTERVISTA Se le mie parole non fossero abbastanza convincenti, chiudo con una citazione tratta da “Recueil des pensées de M. Joubert” opera, postuma, che raccoglie gli scritti del filosofo 10 ANNI CLEACC - 12 OCAP: LA PA CHE VOGLIAMO - 13 SONDAGGIO: I GIOVANI E LA CRISI - 14 GIÙ LE MANI DALLE FIABE - 16 VBP: VA DOVE TI PORTA IL RANKING - 17 UOMO AVVISATO... - 18 PECHINO GUARDA AL FUTURO: - 19 LA LUNGA MARCIA DELLE RIFORME 2 · traileoni francese Joseph Joubert: “Lo scopo di una discussione o di un dibattito non deve essere la vittoria, ma il miglioramento”. #roarwithTiL eco Federica Colli Vignarelli federica.collivignarelli@studbocconi.it Rating. Per definizione: giudizio. A tratti - e in più sensi - universale. Proprio di questo si è trattato nel luglio scorso, quando S&P’s ha declassato l’Italia, portandola da un già non molto dignitoso BBB+ ad un cacofonico tripla B, con tanto di outlook negativo. Il Bel Paese si è ritrovato a poco più di un passo dalla temutissima categoria junk, quella su cui nemmeno il più masochista degli investitori, con una propensione al rischio da Casinò di Lugano, scommetterebbe. Motivazione? La goccia che ha fatto traboccare il rating pare essere stata l’abolizione dell’IMU con annesso rinvio a settembre dell’aumento dell’IVA. Poco importa che la decisione trovasse il generico benestare dell’UE: un taglio di 6 miliardi al gettito non s’ha da fare. E rende la capacità dell’Italia di ripagare i propri debiti solida come quella di Schettino nel fare manovra. Conseguenze? Giusto qualcuna. Non allarmano i crolli di Borsa quanto quelli di fiducia: una falciata al rating comporta una gara tra gli investitori istituzionali a chi vende per primo i titoli downgradati, che vedranno aumentare il proprio rendimento e peggiorare la loro affidabilità. Lo spread schizza alle stelle, il Governo lascia il posto ad un’amministrazione tecnica costretta a misure drastiche. Le banche non riescono più a raccogliere denaro collocando i suddetti (ormai snobbatissimi) BTP e diventano simil-genovesi nell’erogazione del credito ai clienti, con l’inevitabile conseguenza di stallo dell’economia, o, con tono più leopardiano, recessione. È possibile quantificare un tale danno? Per la Corte dei Conti sì. Il procuratore Raffaele De Dominicis ha infatti annunciato, questo febbraio, l’apertura di un’istruttoria sull’operato di S&P’s in merito al disastroso triplete di downgrade attuato nei confronti del nostro Paese tra il 2011 e il 2012. Si tratta solo di un’inchiesta, ha precisato, che potrebbe banalmente chiudersi con un’archiviazione. Oppure no. La seconda ipotesi paventata è quella di una richiesta di risarcimento. Il valore? 234 miliardi di euro. La causale? Aver tralasciato un’irrisoria, marginale caratteristica dell’Italia: il fatto che sul suo territorio campeggi il maggior numero al mondo di siti etichettati patrimonio dell’umanità. Patrimonio a cui si aggiunge il bagaglio storico/artistico/letterario che appesantisce (per una volta positivamente) lo stivale: dalla Cappella Sistina alle 3 LA CORTE DEI CONTI SOLLEVA IL DUBBIO: È L’ITALIA A MERITARE IL DOWNGRADE O IL PARERE DELLE AGENZIE? i• on ile tra “AAA” - RATING INDAGASI VIENnomics ECON I AVAN OMI TI STA terzine dantesche, dal Cenacolo alle pellicole felliniane, la nostra cultura vale. Nel senso più economico del termine. Quasi 80 miliardi di euro l’anno, secondo un rapporto del 2013, scaturenti dal lavoro di un milione e mezzo di persone e pari al 5.4% del PIL. S&P’s, dal canto suo, ha finto di non scomporsi. Facendo leva sulla tutt’altro che austera immagine che ci caratterizza agli occhi degli stranieri, ha giudicato tali accuse non solo frivolous ma anche prive di merito, visti i confini di competenza della Corte dei Conti, nei quali di certo non rientra il monitoraggio delle agenzie di rating. Perché in realtà, le agenzie di rating, non le monitora nessuno. Il che non costituisce un problema, finché non commettono errori madornali. Episodio che, a partire dalla tripla A di Lehman Brothers e del truffatore seriale Madoff, dal BBB+ della contabilità creativa di Enron, fino alla doppia B cucita sulla bandiera argentina alla vigilia del suo default, è sempre meno raro. Al di là del caso italiano, un interrogativo sorge spontaneo: è plausibile che prima o poi le agenzie rispondano di quanto causano o toccherà sempre all’economia reale farlo? Agli analist l’ardua sentenza.# traileoni · 3 ART T E SWE ARTE PETROLIO D’ITALIA tra ile on i• 4 art STORIA TORIA DELL’ARTE ABOLITA ABOLITA: TRA MITO E REALTÀ Maria Eugenia Borneto mary.eugenia@hotmail.it Nicole Merlo mrl.nicole@gmail.com UN FUTURO DISTOPICO. 5 febbraio 2014. Sul web impazza la notizia: “Storia dell’Arte abolita dai programmi scolastici”. Gli italiani sparsi per i quattro angoli del globo sono indignati. Come può la madre patria tradire le proprie radici in questo modo? In un prossimo futuro vedremo forse i giovani italiani ignorare, di fronte alle opere d’arte, chi le abbia dipinte, scolpite o realizzate? L’OPINIONE DEGLI INTERESSATI: i giovani. Molti ragazzi hanno reagito con orrore alla notizia dell’abolizione della materia: la generazione di domani mostra quindi di avere a cuore la cultura e le origini del nostro Paese. – “Mi vergogno di essere italiano. Mi vergogno di vivere in uno stato che dimentica le sue radici e la sua cultura.” – “Questi sono i momenti in cui non mi sento italiana, continuate a favorire le materie scientifiche, così quando saremo tutti robot meccanici sarete contenti.” Questi alcuni dei commenti che hanno invaso Facebook, Twitter e i blog: gli italiani si sono fatti sentire esprimendo il loro dissenso con quell’impeto e quell’indignazione che si vedono forse solo durante le partite di calcio o di fronte all’ennesimo dibattito sulla rifor- 4 · traileoni ma elettorale. QUID PRO QUO. Se esiste la possibilità che uno scenario distopico si realizzi in Italia, ciò non avverrà certamente per via dell’abolizione della Storia dell’Arte nelle scuole. In realtà, nessuno intende bandire l’insegnamento della Storia dell’Arte in Italia, come conferma il deputato PD Malpezzi, membro della commissione della Cultura, che riassume la vicenda con un lapidario: “Sono tutte balle”. Era stato infatti il Ministro Gelmini, nel 2008, ad effettuare tagli nell’orario scolastico, riducendo anche l’insegnamento della tanto dibattuta materia. L’erronea notizia, viralmente diffusa sul web, è, al contrario, una proposta di emendamento del Ministro Carrozza volta al ripristino delle ore di lezione abolite dalla precedente riforma. L’ITALIA, CULLA DELLA CULTURA E DELLA CIVILTA’. Significa forse peccare di patriottismo sostenere che il popolo italiano sia stato, a partire dall’Impero Romano e attraverso Umanesimo e Rinascimento, uno dei fari di cultura e civiltà più importanti della storia? Molti esperti di Storia dell’Arte sostengono che almeno il 50% del patrimonio artistico e culturale mondiale si trovi in Italia. Anche se la percentuale è campanilistica, è corretto sostenere che nel Bel Paese sia presente il maggior numero di siti arti- stici riconosciuti dall’UNESCO. Privare gli studenti di un’educazione che li riallacci ad una delle più nobili tradizioni italiane sarebbe come eliminare la filosofia dalle scuole tedesche o la letteratura romantica da quelle russe. L’ARTE: IL PETROLIO D’ITALIA. L’Unione Europea sostiene che nonostante l’Arte potrebbe essere “il petrolio” dell’Italia, gli italiani non facciano nulla per produrla, conservala o tantomeno sostenerla. Il Paese è accusato di non avere una strategia nazionale per lo sviluppo del settore culturale e creativo. Anziché investire in questa preziosa risorsa, l’Italia continua a tagliare i fondi ad essa dedicati; abolizione della Storia dell’Arte nelle scuole o meno. Cultura significa sviluppo economico: l’Italia ha potuto approfittare di questo binomio vincente solo durante il Rinascimento, quando la cultura italiana e la sua economia dominavano il panorama mondiale. È passato il tempo dei mecenati che, come i De Medici, investivano denaro nella creazione e promozione dell’arte. Sfruttare il proprio “oro nero”, per l’Italia significherebbe crescita e ripresa: posti di lavoro per i giovani e maggiori investimenti. Se qui da noi costantemente viene ripetuto che studiare materie umanistiche non dà futuro”, allora chi osa fare questo tipo di scelte si trova costretto a migrare all’estero: lì forse vivere di Arte e Cultura è ancora possibile. # ACRONOMICS fin NEL 2001 IL MONDO SI INNAMORA DEI BRIC. DOPO OLTRE UN DECENNIO DI CROCCANTI VARIANTI SUL TEMA, IL TESTIMONE PASSA AI MINT. INVESTIRE NELLA “ACRONYM ANXIETY”: RIVOLUZIONE O BLUFF? BRAance DEF IN AUL T SW AP i• on ile tra 5 Michele Canzi michelecanzi@gmail.com “L’acronimo BRIC è semplicemente patetico”: è il lapidario commento di Jim O’Neill, ex Chairman di Goldman Sachs Asset Management. Il suo stesso celeberrimo tag apriva nel 2001 le danze speculative verso i Paesi emergenti. Tuttavia, nel corso del decennio, i BRIC non sono stati i soli a dominare la scena. In seguito, sono stati coniati i CIVETS. Poi i BASIC, CRIM, BRICK, CEMENT, BEM, N11 e il Club del 7%. E c’è dell’altro. Secondo O’Neill, la crescita delle BRIC economies negli ultimi anni è stata tale da rendere obsoleta la definizione di “paesi emergenti”. È stato Antoine van Agtamael, ex economista della World Bank, a introdurre 30 anni fa questo concetto per indicare aree poco sviluppate ma con discreto potenziale di crescita. Oggi, è facile cadere in concordia discors classificando alcune di queste aree ancora come emergenti, quando in realtà contribuiscono per oltre l’1% del Pil mondiale. Quindi, quale sarà il destino dell’acronimo BRIC? Nessun pericolo, rassicura O’Neill, che ha altre frecce al suo arco: resterà ancora un cliché accattivante. Del resto sarebbe difficile rimuoverne con un colpo di spugna l’appeal che ha esercitato sulle logiche d’investimento di molti fondi. Forse, spiega l’ex di Goldman Sachs, è il caso di aggiornarlo con un nuovo approccio e includere nella magica formula altri Paesi. Secondo l’economista, il fulcro outperformers poggia adesso sulla rinfrescante sigla MINT: Messico, Indonesia, Nigeria e Thailandia. Queste ed alcune altre regioni ultimamente hanno beneficiato di una crescita esponenziale. Tuttavia, gli investment gains provenienti da quei Paesi non sono mai garantiti. Ne è prova il focolaio di protesta di Gezi Park della scorsa estate, ma anche il marcato flight-to-quality che progressivamente allontana i mercati dall’elevato deficit indonesiano. Inoltre, dettaglio non irrilevante, sembra proprio che i fondamentali economici del nuovo tetragono non allunghino affatto le radici nello stesso terreno. Da parte sua, O’Neill ci tiene a precisare che MINT (come anche BRIC) rappresenta un concetto economico e non finanziario. Le sue analisi si rifanno alle dinamiche e potenzialità di ogni mercato. Ciononostante, il fascino degli acronimi rimane innegabile. Per questo motivo la forma mentis degli investitori si fa sempre più sistemica e meno specifica, al prezzo di ineludibili implicazioni euristiche sulle strategie di investimento. Etichette e sigle creano comportamenti irra- zionali fuorvianti e a volte dettano condizioni d’investimento dogmatiche. Il motivo per cui sono così accattivanti è che rappresentano delle scorciatoie mentali e permettono di risparmiare tempo ed energia preziosa sotto la pressione del trading desk. Ne seguono rapide previsioni macroeconomiche, voraci nella scala ed essenziali nell’analisi. Ma a quale prezzo? Ancora oggi noi italiani ripariamo le fragilità del nostro sistema sotto l’ombrello dei PIGS. La moda degli acronimi manifesta da un lato una preoccupante compenetrazione tra giornalismo e mercati, sempre più profonda e quanto mai pericolosa. Dall’altro scopre il fianco di analisti e investment managers, che utilizzano sentieri secondari e logiche approssimative nelle loro valutazioni, senza curarsi di un effetto domino sui già deboli fondamentali della porcine economy. In un mercato quanto mai vittima dell’incertezza, in cui una valutazione oggettiva del rischio diventa sempre più problematica, utilizzare rule of thumbs come queste avvelena irrimediabilmente i mercati con la sindrome del gregge. Probabilmente, per dirla con Albert Edwards (Société Générale) i BRIC non sono altro che un “Bloody Ridiculous Investment Concept” e i MINT l’ennesima “More Irritating New Terminology”. # traileoni · 5 LEX A R DU tra ile on i• 6 law LE CLAUSOLE VESSATORIE IN UN’OTTICA GIUSECONOMICA QUANDO ELEVATI COSTI DI RACCOLTA ED ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI INDUCONO I CONSUMATORI A NON LEGGERE I CONTRATTI CHE SOTTOSCRIVONO. Tabita Costantino tabita.costantino@gmail.com Si dicono vessatorie quelle clausole che stabiliscono, in favore del contraente che le ha predisposte, alcune condizioni gravose a danno della controparte. Recenti interventi legislativi hanno cercato di predisporre un articolato corpus normativo di tutela nei confronti dei consumatori, nello specifico per porre rimedio all’impiego ormai preponderante della c.d. contrattazione standardizzata. Essa consiste in forme giuridiche contrattuali caratterizzate da un’elevata spersonalizzazione come moduli o formulari con i quali una parte (generalmente quella economicamente più forte), determina il contenuto e l’altra (privata della possibilità di modificare i termini dello scambio), si limita a sottoscrivere la normativa precostituita. Che la standardizzazione sia un’ineliminabile componente delle moderne strutture imprenditoriali è indiscutibile: sarebbe anacronistico ipotizzare un sistema di contrattazione individuale che consenta alle parti di negoziare le singole condizioni di ogni rapporto giuridico. I vantaggi per le imprese nella predisposizione di un unico regolamento contrattuale per una serie indefinita di rapporti, evitando trattative individuali, sono la riduzione dei costi transattivi e di gestione. Ma perché la maggior parte dei consumatori accetta senza leggerle, (a differenza che nel contratto individuale, ove si ha ragione di credere che i termini possano essere modificati in proprio favore e si dispone, pertanto, di adeguati incentivi alla lettura) le condizioni svantaggiose presenti in quei contratti standard (servizi bancari, assicurativi, telefonici o di fornitura in generale) in cui quotidianamente si imbatte? 6 · traileoni Guardando al comportamento del consumatore nel momento in cui decide di effettuare un qualsiasi acquisto, la valutazione di tutte le alternative disponibili richiede un investimento: la raccolta di informazioni (sulla base di precedenti esperienze/consigli di amici/visite nei punti vendita) ha un costo opportunità in quanto necessita di tempo, energie e denaro che potrebbero essere diversamente impiegati. Le condizioni generali del contratto possono essere considerate un elemento insito nella valutazione della convenienza dell’acquisto al pari del prezzo o delle qualità fisiche del prodotto. Il consumatore investirà in informazione fino a che i benefici ricavabili dalla perfetta conoscenza delle condizioni generali eguaglino il costo atteso per ottenerla. Vi sono tuttavia numerose ragioni che propendono per l’inferiorità dei primi: nella quasi totalità dei casi, i tecnicismi propri del linguaggio giuridico non permettono al consumatore medio di ottenere dalla sola lettura del contratto l’informazione necessaria ed il costo di un parere legale sembrerebbe sproporzionato nel caso di beni di modesta entità. Inoltre, poiché i mercati concorrenziali tendono all’uniformità, dopo aver investito, il consumatore potrebbe scoprire che non è possibile concludere scambi più vantaggiosi. Ebbene, in presenza di elevati costi di informazione, la decisione di non leggere un contratto standard, può quindi essere considerata del tutto razionale. In un tale scenario di asimmetria informativa, è proprio la presunzione dell’ignoranza del consumatore ad agevolare l’inserimento delle clausole: le imprese possono coscientemente trasferire sui clienti la maggior parte dei rischi. Interessante sottolineare come, se una parte almeno rilevante dei consumatori fosse informata del contenuto delle condizioni generali, non potendo le imprese distinguere le categorie di clienti, queste sarebbero incentivate ad offrire contratti vantaggiosi anche ai non informati. Citando Eisenberg, fra gli errori sistematici che la psicologia cognitiva ha rilevato negli individui che si trovano nella condizione di prendere decisioni in situazioni di incertezza, vi è la sottovalutazione dei rischi che presentano basse probabilità nonostante il loro materializzarsi provocherebbe perdite ingenti; quasi tutti i rischi allocati attraverso clausole vessatorie presentano entrambe le caratteristiche. # off Cam pus ni ileo tra BUSINESS MODEL INNOVATION: LA RIVOLUZIONE TV Alessandro Colombo alessandro.colombo@studbocconi.it Nel 1997 Marc Randolph e Reed Hastings fondavano in California una startup nel settore video entertainment. Delusi dal modello “Blockbuster” di noleggio dei film (paghi un quid per ogni singolo titolo), decisero di offrire un servizio di noleggio illimitato con tariffa fissa mensile e consegna a domicilio. La startup si chiamava Netflix. Dopo aver superato il milione di dvd spediti giornalmente, nel 2010 Netflix ha applicato la formula flat allo streaming online. Forte di una ricca libreria digitale di contenuti e complice la diffusione di tablet e Smart TV, oggi Netflix è la prima fonte del traffico internet nordamericano durante le fasce serali. In Italia il mercato pay-tv è ancora sostanzialmente dominato dall’offerta decoder/parabola di SKY e Mediaset Premium. Lo scorso dicembre, però, Mediaset ha introdotto un nuovo servizio “solo streaming” chiamato Infinity. Cristina Lupi è account manager di Leo Burnett e si sta occupando del lancio e del marketing di Infinity. Può fare un bilancio di questi primi tre mesi di funzionamento del servizio? La risposta dei consumatori ha raggiunto le vostre aspettative? Siamo soddisfatti dei risultati raggiunti nella fase di lancio. Il servizio dimostra di saper soddisfare la domanda di quegli utenti che sono alla ricerca di forme d’intrattenimento all’avanguardia e libere dai vincoli tipici delle pay-tv tradizionali. Ad oggi abbiamo avuto 3 milioni di visitatori unici sul sito. Siamo al lavoro anche per arricchire la gamma dei device abilitati: ad aprile saremo su tutti gli smartphone, e a seguire su XBOX e Nintendo Wii-U. I servizi di video streaming rischiano di cannibalizzare la pay-tv tradizionale? Dove i margini di profitto sono più elevati? Sempre di più il pubblico è alla ricerca di servizi d’intrattenimento personalizzati, su misura, che però si aspetta di continuare a fruire sul televisore di casa. Se guardiamo ad Infinity, l’utilizzo del servizio avviene prevalentemente in ambito domestico; la metà dei contenuti che eroghiamo vengono visti su un televisore. La televisione in generale continua a godere di ottima salute, ed è destinata a rimanere il device più usato dagli Italiani. Anche a livello europeo il tempo dedicato alla TV è in crescita. Crescita fondamentalmente dovuta all’aumento della visione di contenuti on demand. In sostanza l’online video va a sommarsi alla •7 INTERVISTA A CRISTINA LUPI, ACCOUNT MANAGER DI LEO BURNETT TV tradizionale e alla pay-tv, facendo sì che la TV nel suo complesso sia pienamente in salute e in crescita. Il cambiamento in atto riguarda, semmai, il passaggio da una visione “familiare” con tutti i membri della famiglia raccolti davanti alla TV del salotto, a una visione “individuale” in cui ognuno accede al contenuto che preferisce sul proprio device. Si prevede che entro il 2014 SKY e Netflix sbarchino in Italia con piattaforme simili. Su quali strategie si baserà la competizione? La competizione è “fisiologica” come in tutti i mercati. Essendo partiti per primi, avremo il vantaggio di una maggiore esperienza accumulata e di una migliore comprensione del mercato italiano. La partita è aperta, c’è spazio per tutti, ciascuno con le proprie caratteristiche distintive. Ora come ora la legge italiana esclude le prime visioni dal catalogo dei film che possono essere compresi nel canone mensile di noleggio. Ritiene che in futuro le cose potrebbero cambiare? Si tratta più che altro una questione di finestre di diritti rilasciati dalle major, che sono molto stringenti in merito. È comunque tutto in continua evoluzione. # traileoni · 7 THE MORAL COMPASS NAVIG tra ile on i •8 pus am C off Uttara Thakore uttara.thakore@studbocconi.it I wanted to write an article for Tra i Leoni about the Syrian refugee situation in Milan. I had hoped that someone, anyone who is essentially me but with a few details different, would read it and know what I have come to know. But I don’t know how to write about war and the consequences of war, or how to make sense of something that makes no sense. I don’t understand the politics of this. I don’t think even the politicians involved understand. These are excerpts from journals I kept, to remember my encounter with each refugee I met. They are interspersed with some facts I discovered afterwards. I didn’t want to think of these refugees as an endless sea of broken human beings, but as people I met in the trajectory of my life. People who like me, are doing the best they can with the cards they’ve been dealt. Saturday, Somewhere on the outskirts of Milan I am in a beautiful old building. My friend is with me, he is holding a bag full of kinder. We thought the Syrian children would like them, but we don’t know how many to expect. I call Anna, the social worker I requested help coordinate my visit. I don’t know what to expect in meeting her and these refugees. I don’t know if I will be of any use. Suddenly I feel very young. A door opens somewhere and I can hear children laughing. A woman with unruly curly blonde hair comes out. She has red paint on her face, a clown nose. She smiles and I like her immediately. She introduces herself, we talk and she takes us inside. There are about 20 children in a large room full of toys. There is a baby girl in the arms of another volunteer, Christina. The oldest child here is probably not yet 12. There are clowns here, and everyone is laughing. The room has an uplifting happy energy that only a room full of children can have. The volunteers are wearing Albero della 8 · traileoni Vita tshirts, which I recognize as the name of the non-profit organization Anna is from. I maneuver thru the room the way you do at a friend’s house party. Meet one person, than two and eventually stop feeling awkward. I’m speaking to one of the clowns. She has a kind face. She’s wearing feather earrings which the children find very funny. Her English is decent but I make an effort in Italian. I usually feel shy to speak Italian but she is patient. She tells me about the children. There are usually more she says, and they come to play for 3 hours every day. They stay with their families upstairs. They are hosted by a catholic charity, Caritas. All of them have been fingerprinted on their arrival, which is of course standard procedure. But this makes it next to impossible for any of them to leave Italy. They do not want to stay. They say there is nothing for them here and they are not wrong. Italy, because of its geographical placement, is the entry point into Europe for people from conflict situations. Syrians and Africans are brought to Italy in boats, by smugglers who are often hard merciless people. Germany and Sweden are more welcoming. They want to go to these countries. I find a UNHCR video on Youtube of a church in Hamburg that decided to shelter refugees from Libya. I have a friend from Hamburg. I pictured someone as tall and gallant as him walking by, seeing people camped out on the street and not standing for it and doing something about it, no matter what his government says. There are refugees in Europe. This news is not new. What’s not widely known is that this political mess is taking childhoods. Will it end, or will broken human beings be driven to desperation? Will people hate them because they don’t know any better? The EU’s political and military might put Syria’s neighbors under great pressure to open their borders to millions of Syrians. They did not open their own. One of the most fundamental principles of international law dictates that a country is obligated not to refoule, or force back refugees to places of persecution. Of course, you would rightly think, its never that simple is it. But if a country represents a family and a family represents a person, what would you do if a neighbour you knew was banging on your door, terrified, begging that you let her in because her husband was trying to kill her. We knew the home next to ours was troubled, we heard the couple fighting, we heard their children crying. Would you be brave enough to protect her and her children? What if it was you? I would like to think I wouldn’t be scared. I would like to think I would know I wasn’t better in any way than this woman. That I could empower her, when she is healed, to fight her husband herself, and I could tell her children I wouldn’t let bad people hurt them. That I could look her in the eyes and say don’t cry because people care. I care. I hear a story about a woman who lost both her boys at sea. She had to toss their bodies overboard. I think she is in Italy but I don’t know where. I don’t know what to think. I’m not a mother, I don’t know what it is like to love someone more than yourself. I can’t imagine losing them, I’m afraid to let my mind go there. I am playing with the children and this story hurts me physically. But they are full of sunshine and my smile returns. We are playing cat and mouse, standing in a circle. The boys like my Batman tshirt. I tell them I am Batman in Arabic and they laugh. Two little hands are in each of mine. One belongs to Yusuf and the other to a girl whose name I don’t know. She is the oldest. She asks me my name, and talks like a young woman. She seems so smart. But she’s a baby. She shouldn’t ever have to even be in the same room as this story I just heard. The little baby I saw before is in my arms now. Her name is Zaen. She looks at me with big beautiful eyes, like button shaped windows. Her head ni ileo tra ATES THE EUROPEAN MAZE off Cam pus •9 smells like happiness. She’s a really sweet baby, she doesn’t cry at all. I sit in an armchair on the side of the room with her while the other children are making masks. I give her a toy but she tries to eat it. I realize I have a big silly smile on my face. I think it has been there for a while. Zaen cuddles up to me and I watch her, completely won over. Syrians are beautiful. They look like some strange cross between Europeans and Asians. I cannot stop smelling her head, how does it smell so good. I think of someone daring to hurt this, I don’t know, symbol of all that is good and pure about our world. My blood boils. I don’t care what war it is and who is to be overthrown. How could anyone hurt a child. I go out for some not-so-fresh air. I think I just feel overwhelmed. I borrow a lighter from one of the young men. He is Syrian but he looks like almost Ukranian. We talk. He tells me about his daily struggles in Italy. It is tough he says. But he knows it could be worse. I am home now. The rain was horrible. My feet are wet and I feel a sneeze coming on. But in this moment, I am grateful for the privileges of my life. I didn’t realize so much work went into keeping the first world intact. As I write this, my friend asks me what I did there, and what I will do as a volunteer. What will do I do? Everything I can, all the while knowing it’s never enough and there are people who are in worse situations, nameless faceless people I will never know, whose pain I cannot even begin to understand. If it weren’t for, some would say fate, I could be one of these people. I see for maybe the first time that web that connects us all. I feel compelled to give as much as I can. Yet it feels selfish because it makes me feel like I’m doing something to fix what is wrong, inarguably wrong, with our world. I fall asleep eventually and it’s a deep dreamless sleep. Orwell was a literary gem but he was wrong. We are all equal and none more equal than others. This isn’t an animal farm; we are human beings for a reason. We evolved over centuries, we are all very smart capable people, and every answer is a google search away. So maybe we’re not asking the right questions. I didn’t know. Worst excuse ever. What were we doing that was so important that it kept us from the truth? I don’t know if you’ve noticed but Italy is changing. Its changing overnight and it will keep changing. One day, there were 500 Syrian refugees camped out outside Stazione Centrale, in little makeshift tents under Dolce & Gabbana hoardings. I know people who are trying to do some good. But the able affect change, not the well-meaning. And those who affect change are the truly successful ones. I will never be rich enough to save the world, nor do I want to. I’m sure the greatest tyrants of the world thought they were changing the world. Its not enough for me to sit in a room and talk about what someone should do. Not for me, and probably not for you, because we’re smarter than that and we know lives hang in the balance. If we have it in us to be the generation the refines the world, if we can correct the engineering of the vicious cycle that the world has been, why don’t we? The world has descended on this city we live in. Find your place in it. Tuesday I’m on my way to Bocconi to meet a friend in her office. We’ll probably go out later tonight, drink many beers. It’s a beautiful day so I walk. I see a woman on the car lane, cleaning someone’s windshield. She’s smiling, infact she seems oddly happy given that she’s cleaning a windshield. She’s wearing a headscarf and I realize she’s Syrian. I’m far away, but our eyes meet and she smiles at me. I smile back. It’s not as confused a smile it would have been if I hadn’t known why she’s so happy. She’s alive and well when she could be dead or worse, and so am I. And that’s all we need.# traileoni · 9 tra ile on i •1 0 pus am C off QUO VADIS, SOFIA? DA PARETO A HEIDEGGER: UN PONTE TRA FILOSOFIA FI ED ECONOMIA È POSSIBILE? Saverio Marziliano saverio.marziliano@studbocconi.it Perché parlare di filosofia, oggi? E ancora, perché farlo dalle pagine del giornale degli studenti di una delle più note business school europee? L’idea nasce da un articolo uscito due settimane fa su Corriere.it, in cui si evidenziava una certa consuetudine che vede porre l’insegnamento della filosofia ai margini dell’offerta formativa di licei ed università. Scelta che può rientrare, secondo l’autrice, “in quell’attacco all’umanesimo che alcuni intellettuali di varia estrazione denunciano.” La situazione attuale potrebbe, però, essere anche una diretta conseguenza della disputa che dalla metà del ’900 ha visto contrapporsi la filosofia “analitica” e quella “continentale”. Una divisione tutt’altro che dialettica o retorica, bensì marcatamente geografica e antopologico-culturale. Secondo Franca D’agostini, celebre filosofa italiana e studiosa del fenomeno, infatti: “[…] il vero problema riguardava piuttosto la domanda: che cosa si fa in filosofia? Le due tradizioni sembravano (in parte sembrano) essere portatrici di due modi molto diversi di 0 · traileoni fare filosofia: un modo rigoroso, attento ai risultati dalla scienza, da praticarsi in sedi universitarie, e con scarsi contatti o nessuno con la vita pubblica (filosofia analitica); un modo stilisticamente libero, generalmente avverso alla scienza, interessato alla politica e alla vita pubblica (filosofia continentale).” A questo punto viene spontaneo chiedersi cosa c’entrino l’Università Bocconi e i suoi studenti con tutto questo. Il nostro Ateneo si muove da tempo in una prospettiva di internazionalizzazione, scelta che ha dato luogo a decisioni molto importanti che avranno profonde conseguenze sui piani di studi dei corsi di laurea e sui profili degli studenti laureati. Il trend evidenzia una sempre maggiore attenzione per gli insegnamenti in ambito matematico-quantitativo, con una conseguente marginalizzazione delle materie di matrice storico-filosofica. Senza un tentativo per trovare il giusto bilanciamento tra le due aree d’influenza, storica e scientifica, il progetto di rendere la nostra università “commerciale” una vera e propria “business school” rischia di deviare verso un’eccessiva focalizzazione o specializzazione. Questo potrebbe minare lo sviluppo in autonomia di quella “visione d’insieme”, da sempre elemento distintivo degli studiosi di scuola “continentale” e europea rispetto all’approccio più scientifico e settoriale di quelli di scuola “analitica” e anglosassone. Secondo Gianni Vattimo, noto filosofo e politico italiano, il rischio è quello di ritrovarsi: “[…] una generazione di piccoli produttori legati a saperi specifici che poi velocemente tramontano. C’è invece una formazione che è tanto più significativa quanto più slegata all’uso delle macchine.” Ritornando però al quesito iniziale, ossia a cosa serva oggi la filosofia, il responso non può certamente essere univoco. Anzi, in uno scenario in continuo mutamento come quello odierno, caratterizzato dall’assenza di momenti di pausa o speculazione teoretica, ciò appare ancora più come una chimera. In ogni caso, è sempre Vattimo a tentare di fornire una risposta esaustiva: “Serve a non farsi dirigere nella visione del mondo soltanto dalle canzonette. È una messa in ordine delle idee sulla vita e su noi stessi. Husserl diceva che studiare la filosofia è come fare di professione l’essere umano.” Sta a noi, quindi, decidere se far ordine e valutare se siano o meno solo canzonette. # LA MAFIA SECONDO PIF on Cam pus Sofia Bernardini sofia.bernardini@studbocconi.it Mercoledì 26 febbraio. L’Aula Magna è gremita come non mai. Viene proiettato il film “La mafia uccide solo d’estate”. E l’ospite d’eccezione della serata è Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif. La sua carriera è un crescendo che l’ha portato a conquistare tutti: da inviato per “Le Iene” a ideatore del programma “Il Testimone” su MTV, dal debutto cinematografico come regista e attore protagonista fino a conduttore dell’anteprima del Festival di Sanremo. Noi di “Tra i Leoni” lo abbiamo intervistato prima di vedere il suo film. Perché hai scelto proprio “La mafia uccide solo d’estate” come titolo? La verità è solo una: i miei genitori mi raccontavano scuse per non preoccuparmi della mafia. Se qualcuno veniva ammazzato mi dicevano “è questione di femmine o di debiti di gioco”. E mi raccontavano che la mafia non uccide i bambini. In un colloquio con la direttrice di MTV, per scherzo ho detto che “tanto la mafia uccide solo d’estate”. Il mio produttore ha sentito la frase, gli è piaciuta e ha detto “questo è il titolo del film”. A onor del vero, però, va detto che i delitti eccellenti, quelli più famosi, sono sempre successi in estate. Anche se tra mafiosi si ammazzavano sempre e comunque. Piersanti Mattarella, ad esempio, è stato ucciso il 6 gennaio. Con questo film hai debuttato come regista, ma hai anche vestito i panni dell’attore protagonista. Quale dei due ruoli ti ha divertito di più e in quale, invece, ti sei immedesimato maggiormente? Regia tutta la vita. Ci sono una serie di motivi che mi hanno spinto anche a recitare: un po’ perché essendo il primo film dovevo vendere anche il mio nome, un po’ perché raccontavo in qualche modo la mia storia. La mia intenzione è continuare innanzitutto a fare film, se ci riesco, e scegliere l’eventuale mio coinvolgimento a seconda della sceneggiatura. Quanto c’è della vera infanzia di Pif in quella di Arturo? Poco, nel senso che rispecchia la mia generazione. La generazione che è nata e cresciuta a Palermo in piena guerra di mafia. Però non ero così sveglio come Arturo. Non avevo la passione per Andreotti, anzi avevo esattamente il sentimento opposto. All’età di Arturo il problema proprio non si poneva, perché in quel periodo tutti i genitori negavano il pericolo della mafia. Pietro Grasso ha dichiarato che il tuo film è “il più bello sulla mafia che abbia mai visto”. Hai intenzione di parlare ancora dell’argomento? No. Racconto quello che ho voglia di raccontare, non voglio essere monotematico. La mafia è 1 •1 Gianluca Basciu gianluca.basciu@studbocconi.it ni ileo tra INTERVISTA A PIERFRANCESCO DILIBERTO, ATTORE E REGISTA DEL FILM “LA LA MAFIA UCCIDE SOLO D’ESTATE” D ESTATE qualcosa che mi ha segnato, mi sento coinvolto e quindi mi è venuto spontaneo. Il mondo è bello perché ci sono tante cose di cui parlare. In un’intervista hai detto che il tuo professore di inglese parlava di te dicendo: “l’acqua lo bagna, il vento lo asciuga”. Quale è stato il momento in cui hai capito che eri dentro la guerra di mafia? Con Dalla Chiesa, quando avevo 10 anni, mi ricordo che c’era stato un segnale. Ma anche con Chinnici, dal momento che un mio compagno di classe viveva nel suo stesso palazzo. Mi sono svegliato drammaticamente nel ‘92, quando hanno ucciso Salvo Lima. Ma già a fine anni ‘80 era tutto molto più chiaro: si stava sgretolando un sistema, e dentro il sistema c’era anche la mafia. È crollato tutto con il crollo del muro di Berlino. E la mafia è stata la prima ad entrare in crisi. Hai trovato subito qualcuno che credesse in questo progetto? Sì, il mio produttore Mario Gianani. Lui era un fan de “Il Testimone”. Lo guardava anche il regista Saverio Costanzo e un giorno mi hanno chiamato chiedendomi se avessi idee per un film. Io avevo quest’idea da circa sei anni, gliel’ho proposta e lui l’ha accettata subito. Il mio è stato sicuramente un esordio felice. Uscito lo scorso 28 novembre, il film ha vinto il Premio del pubblico del Torino Film Festival e si trova ancora nelle sale cinematografiche italiane. traileoni · 1 CLEACC: TEN YEARS AFTER IL 6 MARZO LA NOSTRA UNIVERSITÀ HA ORGANIZZATO UNA GRANDE FESTA TRA STUDENTI, ALUMNI E PROFESSORI PER IL DECENNALE DELL’ATTIVITÀ DEL CLEACC, DELL’ACME E DI ASK (CENTRO DI RICERCA ART, DELLACME AR SCIENCE AND KNOWLEDGE). tra ileo ni •12 us mp a C on Chiara Asia Carnevale deyn@hotmail.it Sono ormai passati 10 anni dal primo laureato Cleacc, ma forse per il nucleo originario di professori e professionisti che ne ha dato la luce sembrava essere una scommessa vincente già in partenza. Sotto la sua spinta e intuizione, Claudio Demattè, professore e allora fresco reduce dall’incarico di presidente della cosidetta “Rai dei professori”, nell’ottica di un ripensamento dell’offerta formativa Bocconi, si circonda di un gruppetto di docenti tra i quali Guido Guerzoni, Anna Merlo, Gino Zaccaria, Gabriele Troilo, Silvia Bagdadli, Alex Turrini, Magda Antonioli, ma anche Severino Salvemini e Paola Dubini, divenuti direttori del corso dopo Demattè e Stefano Baia Curioni, prima direttore del biennio in italiano, poi dell’Acme con didattica in inglese dal 2007, che ricorda con entusiasmo il grandissimo successo del primo anno di operatività del corso che annoverò 1000 richieste d’iscrizione per soli 100 posti, nel 2005 raddoppiati in due classi. “Era il gruppo di studenti migliori in Bocconi quell’anno” afferma il professor Baia spiegando come l’alta qualità della didattica Bocconi in 2 · traileoni quel momento avesse colto la necessità di creare nuovi “mestieri della conoscenza” divenuti sempre più centrali dato il grande sviluppo dei settori culturali nell’economia post-industriale globale, portatori di una domanda specifica di competenze e consapevolezza del proprio ruolo. L’implicito della fondazione di un corso innovativo come il Cleacc recava in sé l’intento di portare due forti unilateralità come il sapere umanistico, tradizionale e specialistico, e il sapere economico ad un terreno di dialogo come istanza formativa e quindi ad una nuova, rinnovata consapevolezza della relazione con l’arte nello svolgere i mestieri della cultura. A chi accusa il corso di essere meno “economico” basterebbe dare un’occhiata ai 150 crediti dedicati alle materie economico-manageriali e ai 30 riguardanti materie umanistiche che più che formare un corso di laurea ibrido suggeriscono, invece, un’apertura mentale e culturale e suggeriscono sia sbocchi di lavoro alternativi sia un input per la ricerca e l’arricchimento personale. Ed è proprio su questo punto che insiste la professoressa Paola Dubini, ricordando di come il Cleacc e l’Acme sfornino manager al pari di tutti gli altri corsi di laurea Bocconi, che però hanno la peculiarità di attirare persone per le quali questo corso ha rappresentato la condicio sine qua non per l’iscrizione in Bocconi e che sono studenti che danno valore alla cultura e alle arti a prescindere da una carriera orientata a quei settori. Afferma la Dubini: “I laureati Cleacc possono andare a lavorare dove vogliono”: vero sia nel prosieguo della specialistica, prevalentemente in management, marketing, arts management e comunicazione, e quindi nella scelta del contesto aziendale nel quale lavorare, ma anche in senso geografico, con un 35% costantemente impiegato all’estero. In 10 anni di strada, tante sono state le evoluzioni e i cambiamenti effettuati per rimanere in linea con le richieste del mercato del lavoro e per mantenere quel livello di eccellenza di cui è portatrice il nome “Bocconi” e ciò che in questi giorni celebriamo con i circa 2500 laureati e con tutti i professori che vi hanno investito è il risultato di un’identità molto forte che alla base economico-manageriale riesce ad aggiungere, senza mai sottrarre, un quid di sensibilità artistica che fornisce una solida base per rimanere sempre al passo coi tempi e con le sfide che il mercato del lavoro lancia ogni giorno. # OCAP: LA PA CHE VOGLIAMO on Cam pus Il rettore Andrea Sironi, seguito da un videomessaggio di Graziano Delrio, neo Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (assente per ovvi motivi), ha inaugurato l’evento OCAP del 20 febbraio: “La PA che vogliamo!”. Queste le priorità individuate da OCAP per il miglioramento: • Qualificazione del capitale umano. È necessario ottenere un vantaggio competitivo sulle competenze, stravolgendo il sistema di assunzione e carriere per i dipendenti pubblici. Come? Inserendo nel breve periodo 1000 giovani ragazzi motivati e meritevoli nella Pubblica Amministrazione. • Valutazione esterna dell’efficienza amministrativa. Gli enti pubblici devono sottoporsi alla valutazione di soggetti esterni e all’obbligo di pubblicazione dei risultati ottenuti. • Incentivazione al miglioramento. Gli enti che si dimostrano virtuosi è giusto che ricevano un premio annuale con un allentamento rispetto ai vincoli legislativi. Conclusa la tavola rotonda, abbiamo intervistato Giuseppe Sala Commissario Unico Delegato del Governo per l’EXPO 2015 e Raffaele Bonanni, Segretario Generale della CISL. GIUSEPPE SALA Si è parlato di PA e giovani: è possibile considerare il settore pubblico attrattivo, soprattutto per uno studente o un neolaureato odierno? “Bisogna distinguere sicuramente fra PA a livello centrale e PA locale. A livello locale potete trovare molti motivi di interesse. Considerate ad esempio il Comune di Milano, che è una realtà che ha sotto di sé molti aspetti diversi: la macchina comunale da un lato, e importanti società partecipate dall’altro. In altre parole una virtuale holding che vale un paio di miliardi, se dovessimo parlare in termini aziendali. Il mio personale parere è quello di strutturare le cose in modo tale da riconoscere il ruolo del pubblico, ma gestire il tutto con mano privatistica in termini, ad esempio, di efficienza.” Un sistema retributivo più meritevole e incentivante in termini economici può essere il punto di partenza per incoraggiare i giovani ad avvicinarsi al mondo pubblico? “Si, assolutamente obbligatorio. È facile per me lavorare nel settore pubblico perché ho lavorato per tanti anni nel settore privato e devo dire di essere abbastanza tranquillo economicamente. Ma capisco essere estremamente difficile per una persona che non è nella mia situazione, e soprattutto per voi giovani, fare questo ragionamento. È anche vero che, se come mi dite voi, andiamo a considerare tutti i giovani che lasciano l’Italia, vediamo che il problema oggi è sia del pubblico che del privato e questo perché in generale non c’è percezione della meritocrazia. Per chi ha già lavorato nel settore privato è piacevole lavorare nel pubblico in quanto ci si occupa di problematiche che riguardano la tua vita e quella della tua famiglia e delle persone, ma è ovvio che non basta: bisogna avere qualcosa in cambio. Inoltre, se dovessimo fare un esempio che veda pubblico e privato direttamente interessati, soprattutto nel panorama italiano, dovremmo parlare del turismo. Ma cosa si è fatto e cosa si fa? Nulla! Il tema è cosa vuol fare il pubblico per rendere competitivo e attrattivo il nostro paese. Vi ricordate cosa ha fatto qualche ministro del turismo negli ultimi anni? No, perché è un ministro senza portafoglio, non ha leve per agire.” RAFFAELE BONANNI Introduzione dei giovani nel settore pubblico: come sbloccare il turnover? 3 •1 NextPA nextpa.amministrazione@gmail.com ni ileo tra #POLITICALLYCONCRETE “Noi sosteniamo di sbloccare il turn over solo per un progetto di inserimento di giovani, perché c’è una forte esigenza di accorpare l’esperienza di chi lavora da tempo nel settore e l’entusiasmo giovanile. Sostengo da molti anni che propedeutico a questo può essere fare accordi per stage e tirocini per gli studenti universitari: essi possono aprire al confronto l’amministrazione Pubblica e rafforzare la vocazione dei ragazzi verso quest’ultima.” Giovani e PA, dunque, al centro del dibattito odierno, vogliamo quindi concludere con una frase di Livia Pomodoro, direttrice del Tribunale di Milano: “Se si continua a ragionare in termini di riassetto e riammodernamento vero di questo Stato, allora questa sarà la vostra stagione!” Questa tipologia di eventi genera in noi studenti un forte desiderio di contribuire al cambiamento del Paese ma, purtroppo, la realtà delle cose è indubbiamente poco incentivante. La motivazione e la passione che appartiene a noi giovani per definizione, è linfa necessaria alla creazione di una comunità capace di agire con razionalità, costanza ed onestà. Non possiamo tirarci indietro davanti alle problematiche della nostra comunità, considerando il bene come una cosa comune e non privilegio di pochi. Coraggio è la parola giusta; ci vuole coraggio per rimanere in Italia e non “scappare”. Ci vuole coraggio per affrontare le nostre sfide. Noi siamo qui per fare tutto questo. Noi siamo qui per fare “squadra”. Noi siamo qui per migliorare l’Italia. Insieme, possiamo solo crescere. # di Federica Bandera, Donato Boccardi, Silvia Profeti, Mara Squadroni traileoni · 3 tra ile on i •1 4 pus am C off ALLARME GIOVANI: ALCUNI NON HANNO ANCORA CAPITO CHE L’ITALIA È IN CRISI UN SONDAGGIO PROPOSTO A UNIVERSITARI MILANESI DIMOSTRA CHE NON TUTTI SONO CONSAPEVOLI DELL’ DELLAT ATTUALE SITUAZIONE ECONOMICA Giorgia Ortolani giorgia1ortolani@gmail.com Che la disoccupazione giovanile stia toccando record storici, lo sanno ormai anche le pietre. Nel novembre 2013 quella italiana è arrivata al 41,6%, guadagnando quattro punti in dodici mesi. “In totale, i disoccupati tra i 15-24enni sono 659 mila”, riporta il Sole 24 Ore. “Un giovane su dieci è disoccupato”. Ma non solo. In questo dato non sono compresi gli inattivi, chiamati anche NEET dagli inglesi (Not in Education, Employment or Training). Da noi se ne contavano oltre due milioni nel 2009 e ora, cinque anni dopo, la situazione rimane tale quale. Rappresentano il 23,9% nel nostro paese, in cui la loro mancata integrazione economica costava, nel 2011, il 2-2,5% del PIL nazionale (Eurofound, ‘The cost of NEETs to society’). Situazione tragica, insomma. Per trovare altri dati allarmanti basterebbe leggere le statistiche pubblicate da Istat o Eurofound. Eppure, è evidente che nel meccanismo di comunicazione s’inceppi qualcosa, perlomeno a Milano. Siamo sicuri che i giovani abbiano capito in che momento storico si trovano? I risultati ottenuti dal questionario proposto a un campione di studenti universitari, mediamente benestanti, rivelano una scarsa consape- 4 · traileoni volezza della crisi, oltre che una certa inattività. Le undici domande poste miravano a indagare da un lato le aspettative che hanno i giovani per il loro futuro, dall’altro cosa stanno facendo per reagire. La maggior parte afferma di sapere già che tipo di professione vuole intraprendere ed è piuttosto rilassata circa quanto la aspetta una volta terminati gli studi. In particolare, alla domanda: “Quanto sei sicuro sul tuo percorso lavorativo post-universitario?”, il 57% si è posizionato tra il 6 e l’8 su una scala crescente da 1 a 10. Solo tre persone su quasi centosettanta credono di avere speranze di successo pari a 1. Ottimisti? Forse. Insospettisce però che più della metà degli intervistati crede che guadagnerà più dei genitori, soprattutto quando nel marzo 2013 la Regione Toscana riportava che: “I giovani d’oggi (…) hanno visto disattese molte delle aspettative di un redditizio inserimento occupazionale prospettate loro dalla generazione precedente”. Viene quindi da chiedersi il perché gli studenti dell’Università Cattolica, dell’Università Bocconi e del Politecnico di Milano siano così fiduciosi. La capitale finanziaria italiana dà così tanta sicurezza in più, o sono certi milanesi a non aver ancora capito in che condizione si trovi la loro generazione? Dove sono quei giovani toscani di cui parlava il rapporto? Si potrebbe addirittura avanzare qualche dubbio riguardo quanto questa mancata sensibilizzazione dipenda dall’educazione ricevuta. “Ricordati che possiamo diventare di nuovo poveri. Studia, ma soprattutto datti da fare. Il piatto di minestra non te lo regala nessuno!”, diceva Giampaolo Pansa, nella sua lettera aperta ai giovani universitari, già nel 2011. Chissà se qualcuno gli ha dato ascolto. La parola “incoscienza” è forse quella che viene più spontanea da pronunciare di fronte a questo scenario. Sebbene l’87% sia sicuro che all’estero ci siano più opportunità lavorative, in pochi dichiarano di essere realmente disposti ad andarsene; il 25% “per motivi personali” intende infatti rimanere. Chi vorrebbe lasciare tutto e cominciare una nuova vita in un paese straniero? Pochi. Però sono molti quelli che si vedono costretti a farlo per forze maggiori, forze economiche. Escludendo alcune eccezioni, se questo 25% non sente la necessità di andarsene, evidentemente sta bene dov’è al momento. Ma allora la crisi, dov’è? Ed ecco che, a bassa voce, viene l’accusa: raccomandati. Una spiegazione a questa inconsapevolezza infatti potrebbe essere che i giovani intervistati appartengono a un mondo fatto off Cam pus ni ileo tra 5 •1 di agi e comodità, in cui la vera risorsa sono le conoscenze. Nonostante solo il 3% degli intervistati ammetta che il suo vantaggio competitivo sarà la famiglia, è facile supporre che la percentuale sia ben maggiore. La cosiddetta raccomandazione chiarirebbe il perché certi universitari siano così sicuri di trovare lavoro e, allo stesso tempo, così restii allo scomodarsi da casa per cercare fortuna altrove. Ciò non scuserebbe però l’incoscienza, anzi. Credere che questa crisi non possa mettere a rischio anche le poltrone “comode” è ingenuo. Ugualmente, chi spera di trovare lavoro (e tenerselo) solo per il nome che porta, oltre che mancare d’orgoglio personale, rischia di sbattere la faccia per terra. ce che contare su agenti “interni”. “Need a job? Invent it”, recitava un titolo del “The New York Times” nel marzo 2013. La provocazione evidentemente non è stata accolta oltreoceano. Bisogna reagire, agganci o meno, eppure in pochissimi lo stanno facendo. La maggior parte del campione d’universitari milanesi conta più sul sistema che su di sé. Sperano di appoggiarsi a titoli di studio, ignari o incuranti del pericolo dell’overeducation, ovvero di ricoprire professioni che richiedono un livello accademico inferiore a quello conseguito. Il 65% si definisce più propenso a un lavoro stipendiato piuttosto che uno da libero professionista, tradendo la speranza che intervengano agenti esterni inve- C’è tuttavia la possibilità che questo “rifiuto” della crisi sia dovuto invece a una sorta di annichilimento mentale. Nel tentativo cioè di non affrontare la disoccupazione dilagante, certi giovani la ignorano, nascondendosi dietro l’ottimismo. A conferma di questo modo di pensare ci sono le attitudini degli stessi ragazzi nei confronti dell’Italia. Tutti chiedono un rinnovamento, universalmente definito necessario, ma è curioso scoprire che in pochi la danno per spacciata. Sanno che qualcosa deve cambiare, Eclatante è comunque quel 20% che ammette di non star facendo nulla di diverso da quello che avrebbe fatto se nessuna crisi si fosse verificata. Com’è che la paura di entrare nelle larghe fila dei disoccupati non li tange? La convinzione di farcela a prescindere dalle condizioni in cui ci si trova è degna di rispetto solo se nasce da una follia consapevole. Chi decide di andare controcorrente senza sapere che, molto probabilmente, sarà abbattuto dalle onde non è coraggioso: è irresponsabile. ma nella loro quotidianità non sembra esserci urgenza. Il disgusto degli italiani, palpabile in ogni manifestazione e/o servizio televisivo, appare lontano. In particolare, solo il 22% definisce l’Italia “una continua delusione”, contro un 12% che crede che “in Italia ci sia ancora molto da fare”. Ma se dunque ci sono ancora persone che valutano un investimento in Italia non del tutto fallimentare, come pensano di farlo fruttare? Contano in un qualche intervento paranormale in grado di sconvolgere le sorti del paese, o si adoperano per far sì che le loro speranze non restino sogni irrealizzabili? Ciò che si evince dunque dalle risposte di questo gruppo di universitari milanesi è una mancata interiorizzazione della crisi. Che sia incoscienza, annichilimento o un sistema che di meritocratico non ha niente, questo è in dubbio. Bisogna però chiedersi se gli studenti citati nelle statistiche di disoccupazione giovanile, quelli classificati come NEET, quelli a cui si dice sia stato rubato il futuro, sono consapevoli di essere i diretti interessati. Il sondaggio fatto rappresenta un’eccezione o è solo la punta dell’iceberg? # traileoni · 5 GIÙ LE MANI DALLE FIABE tra ile on i •1 6 pus am C off IL DIPARTIMENTO DELLE PARI OPPORTUNI OPPORTUNITÀ METTE IN GUARDIA DA PRINCIPESSE E LIETO FINE: “PROMUOVONO UN SOLO MODELLO E IMPEDISCONO IDENTIFICAZIONI DIVERSE” DIVERSE Beatrice Ballestrero b.ballestrero@teletu.it Nel mese di febbraio, gli insegnati si trovano tra le mani tre volumi dal titolo “Educare alla diversità”, ma tra le pagine si legge “bando alle fiabe”. I contenuti. Gli opuscoli sconsigliano a bambini e ragazzi la lettura di fiabe colpevoli di presentare stereotipi che danneggerebbero la formazione dei più piccoli. In essi viene puntato il dito contro il modello della famiglia tradizionale che non sarebbe più al passo con i tempi, così come si abbandona l’identificazione di maschi e femmine in ruoli predefiniti e non interscambiabili La Pubblicazione. Gli opuscoli, redatti dall’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) e dall’istituto Beck sono stati diffusi con il logo della Presidenza del Consiglio all’insaputa del Ministero dell’Istruzione. L’ex Vice Ministro Guerra sconfessa l’iniziativa: “Non è accettabile che materiale didattico su questi argomenti sia diffuso tra gli insegnanti da un ufficio del Dipartimento Pari opportunità senza alcun confronto con il Miur”. La polemica. Nasce su due fronti la bufera per la diffusione dei volumi “educativi”. Da un lato suscita perplessità la dinamica di distribuzione della collana, arrivata nella aule prima che chi di competenza prendesse atto del progetto, dall’altro fa scalpore il metodo di un’iniziativa che ha lo scopo di combattere omofobia e discriminazione, instaurando il rispetto per le diversità e sconfessando l’immobilità sociale, ma che lo fa scomunicando la tradizione. Ciò che maggiormente colpisce l’opinione 6 · traileoni pubblica, tristemente abituata ad incongruenze nel funzionamento delle istituzioni, è l’aspetto ideologico della vicenda. Difficile concepire come le fiabe che hanno accompagnato l’infanzia di generazioni e generazioni, possano improvvisamente scomparire, bollate come eretiche. Dal mondo cattolico non hanno tardato ad elevarsi proteste contro l’iniziativa che, “all’insegna della correttezza politico-sociale, potrebbe in realtà mirare a distruggere il concetto di famiglia tramite una sottile propaganda pro omosessualità”. Certo è che oltre a suscitare scalpore, il “kit antidiscriminazioni” solleva diversi interrogativi tanto sotto un profilo pedagogico quanto sociale e culturale. Davvero le fiabe non educano al rispetto per il diverso? Il brutto anatroccolo insegna a non vergognarsi della propria diversità e anzi ad essere fieri di quegli apparenti difetti che possono poi rivelarsi doni. Pocahontas combatte l’odio tra popoli stranieri mostrando la tolleranza verso l’estraneo. La fiaba mostra solo un improbabile mondo a lieto fine? Cenerentola e Biancaneve sposano il principe azzurro, è vero, ma non dimentichiamo che sono due orfane indesiderate dalle persone che si trovano accanto. Bambi, così come la Sirenetta, affrontano la morte di un genitore e questo tema pare tutto fuorché falsamente melenso. Le figure di principesse inducono le bambine ad attendere invano un principe azzurro? Gli eroi mostrano ai bambini che solamente con la violenza si ottiene il successo? Il modello della fiaba ritrae un protagonista impegnato a superare ostacoli per affermare i propri sogni e ideali e forse da questo punto di vista, non sembra così irrealistico. Non ci sono racconti di principi che sposano altri principi ma non è solo attraverso le fiabe che un bambino impara a conoscere la realtà. È con il dialogo e il confronto su temi quali razzismo e omofobia che i giovani possono sviluppare senso critico e una mentalità aperta, senza essere privati, durante l’infanzia, di quelle storie che fanno parte del nostro patrimonio culturale. In futuro è possibile che nuovi racconti soppiantino in parte quelli passati e presenti ma sarà un processo graduale, non una repentina messa al bando delle fiabe tradizionali che, a quanto pare, non siamo ancora pronti a salutare per sempre. # o VA DOVE TI PORTA IL RANKING DRAMMI ESISTENZIALI DI UN BOCCONIANO MEDIO N PROCINTO DI SCAMBIO IN i• on ile tra VERnCamp BLO Y B us ND OCCO PEO NI PLE 17 Federica Torriero federica.torriero@studbocconi.it Come per le rondini all’inizio della primavera, anche per ogni studente universitario arriva il momento di migrare verso altri luoghi, con la scusa di arricchire il proprio curriculum vitae e con la ben più nota consapevolezza di trascorrere sei mesi di puro divertimento (o quasi) ancora più lontano da casa. Di modi per partire ce ne sono tanti, e tutti li conoscono. Non tutti sanno, però, che l’iter processuale precedente all’agognato verdetto (sono stato preso o no?) si presenta ben più arduo e tortuoso di quanto raccontino i fortunati degli anni passati. A cominciare dal procacciamento dei certificati di lingua: lo studente in questione è sottoposto al tipico stress da “non posso prendere meno di 6”, così è costretto a rifiutare un voto anche di mezzo centesimo inferiore e a rifare l’esame, sperando di rientrare nella rosa dei candidati. Passato questo primo scoglio, che per quelli che padroneggiano (per così dire) unicamente l’italiano e il dialetto d’origine è certamente il più grande, la dieta-scambio prevede una fase di mantenimento della media, se si gode già di una buona posizione. O, in alternativa, la possibilità di alzarla di qualche punto con gli esami imminenti. Nel frattempo sui diversi profili Instagram spuntano ad intervalli regolari le foto dei colleghi più grandi sulle spiagge della California, in mezzo ai grattacieli di Manhattan o in qualche famoso mercato spagnolo. Il più delle volte producono un positivo effetto di incitamento stile Yes, You Can!, ma spesso si limitano ad incrementare un’irrefrenabile voglia di maledirli. Certamente il momento di più alta tensione psicofisica dei malcapitati si registra con l’avvicinarsi del termine per la presentazione delle domande e con la relativa scelta delle mete. Leggende metropolitane narrano come decennali e solide amicizie si rompano proprio per questi motivi: quando tutti credono di aver inserito le scelte più consone e di aver fatto i calcoli esatti sulla base delle dichiarazioni reciproche, ecco che all’ultimo spunta un tale, mai visto né sentito prima, con una media stellare che attacca l’anello più debole rompendo tutta la catena. Tuttavia, una volta consegnata la domanda, i giochi sono fatti: non resta che aspettare l’uscita delle graduatorie, per cui (come spesso accade) non è prevista una data precisa, ma solo un periodo approssimativo in cui è legittimo cominciare a preoccuparsi. Finalmente, in una giornata soleggiata di inizio Aprile, mentre all’esterno gli uccellini cantano e all’interno delle aule le lezioni procedono regolari, i telefoni si illuminano in contemporanea, mostrando quel mittente tanto odiato e temuto che non ricordi mai come e quando tu abbia salvato il numero nella rubrica. Nel messaggio il verdetto finale. Da quel momento in poi è inutile ogni tentativo di ritrovare la calma: la gioia o la disperazione prendono il sopravvento, condizionando il resto della giornata, la settimana a seguire e gran parte della propria autostima. I motivi per cui ogni anno centinaia di studenti si sottopongono a queste torture gratuite non sono mai stati un mistero. Oltre alle più ovvie ragioni summenzionate di arricchimento del curriculum, volto a ottenere qualche punto in più in un futuro colloquio di lavoro, l’idea di stare quasi sei mesi lontani da Milano (all’avanscoperta di posti affascinanti e di nuove discoteche in cui sbocciare nel fine settimana) vince decisamente su tutto il resto. Attenzione soltanto a non perdere troppo la testa, oltre che i capitali, perché alla fine si dovrà pur tornare a casa.# traileoni · 7 UOMO AVVISATO... tra ile on i •1 8 pus m a C off STORIA DI UNA PIANTA NELL NELL’ITALIA ITALIA OD ODIERNA Luca Stefanutti stefanutti.luca@live.it Prendete un seme e piantatelo. La sua crescita dipenderà da molti fattori, quali il terreno, l’umidità, il clima. Fattori che noi consideriamo esogeni. Non è così. Noi trasformiamo il terreno, annaffiamo la pianta e modifichiamo il clima. L’ultimo fattore è il più difficile da concepire, ma lo stiamo facendo. Dall’inizio del 1900 si è avuto un incremento esponenziale dei gas “serra” presenti nell’atmosfera che ci hanno resi più vulnerabili non solo ai raggi dannosi del sole, ma anche a noi stessi. Così facendo si è inasprito il riscaldamento globale, contribuendo allo scioglimento dei Poli. Essi, sciogliendosi in maniera incrementale di anno in anno, hanno riversato tonnellate di acqua dolce nei mari, alterando il delicato equilibro tra la stessa e quella salata, caratteristica tipica della nostra vita su questo pianeta (vedi le correnti sottomarine come quella corrente Nord Atlantica). I mari si sono innalzati e di conseguenza è maggiore anche l’acqua evaporata, che ha favorito un inasprimento dei fenomeni climatici: esempio è quello dei cicloni, che negli ultimi 30 anni hanno in media raddoppiato la loro distruttività. Allo stesso tempo le fasce climatiche sono diventate 8 · traileoni sempre più definite: in Australia il 98% della popolazione vive entro 20 km dalla costa causa l’aridità interna, invece in India possono cadere fino a 83 cm d’acqua in un giorno solo. Ma torniamo al nostro seme. Appena piantato, avrà qualche momento di incertezza in cui valuterà le condizioni, se gli permetteranno la vita a lungo termine. La stessa difficoltà è presente nel singolo quando tenta di capire questo quadro generale e per lo più astratto, soprattutto nell’Italia odierna. Non trovando un beneficio a breve termine e non volendo cambiare abitudini, l’Italiano si vede “costretto” ad accantonare l’argomento, postponendolo ad un non meglio definito periodo. Eppure questo seme è venuto da una pianta che a sua volta ce l’ha fatta. Come noi, quando i primi passi li avevamo mossi, culminati nella ratifica del Protocollo di Kyoto nel 2002. Tempo di stanziare (2007) ed attuare (2012) dei fondi futuri prima di ricadere nelle nostre contraddizioni tipiche. €600 milioni pro efficienza energetica quando l’installazione di panneli fotovoltaici fa “aumentare la rendita catastale (e le tasse) di una casa”. Il terreno è diventato sicuramente più aspro rispetto quello dove è nata la pianta precedente. Dal 2000 ad oggi, l’altezza media del mare a Venezia è salita di 12 cm. Ci sono dei progetti per preservare la laguna (come un sistema di pareti mobili in grado di isolare temporaneamente la città dalle maree dell’Adriatico) ma non per le altre 33 località in tutta Italia che rischiano di essere sommerse entro il 2080. E la perdita di queste zone non è nulla se paragonato all’indebitamento che dovremo sopportare per soddisfare l’incremento del fabbisogno energetico, derivante da stagioni più altalenanti rispetto al passato. Ma basta un piccolo raggio di luce e la piantina potrebbe spuntare da un momento all’altro. Vi sono alcune direttive Comunitarie che fanno riflettere sull’importanza di questo problema, ma nessuna di queste è stata adottata chiaramente dallo Stato Italiano. Tuttavia basterebbero queste linee guida e una legislazione chiara in tema di efficienza energetica, in maniera da plasmare le abitudini con l’avvento delle nuove generazioni. E quando la piantina deciderà di sbocciare, saranno solo due gli scenari possibili. L’Italia è cambiata, siamo riusciti a capire l’importanza dell’ambiente che sta intorno a noi. O l’Italia non è cambiata, e un grosso sferragliante autotreno passerà sulle nostre ultime speranze di vita.# Fro mt he Wo rld ni ileo tra PECHINO GUARDA AL FUTURO: LA LUNGA MARCIA DELLE RIFORME 9 •1 UNO SGUARDO ALLE POLITICHE CHE PROIETTERANNO LA CINA NEL FUTURO Marco Rastelli marco.rastelli@studbocconi.it Il piano di riforme emanato il 15 novembre scorso dai leader cinesi, due giorni dopo la chiusura del terzo plenum del Partito, è andato ben oltre le aspettative. Il Partito Comunista (PCC) ha gettato le basi per una delle più radicali riforme che l’intero Paese abbia mai affrontato almeno da 30 anni a questa parte. L’ambizioso obiettivo è quello di convertire la Cina in un’economia di libero mercato con il consumatore al centro, meno restrizioni sociali e, cosa ancora più importante, un welfare state più ampio. Il documento, tuttavia, rischia di deludere molti dei lettori - soprattutto stranieri - alla ricerca di particolari, di politiche realizzabili nel breve e tastabili da subito con mano. Non era questo lo scopo del piano di riforme, almeno non in questa fase. Il presidente Xi Jinping ed il premier Li Keqiang, nominati nel marzo 2013, hanno voluto definire le linee guida dando al contempo le indicazioni di massima da seguire da un punto di vista politico e, cosa fondamentale, sociale al fine di raggiungere i target prefissati per il 2020. Questa strategia non deve stupire. Stabilire dei principi e delle guidelines per poi perseguire questi obiettivi in maniera graduale rientra in pieno nell’ottica strategica del Partito Comunista. Siamo di fronte al cambio di rotta di un Paese che, da solo, conta quasi il 20% della popolazione mondiale e che secondo le stime di molti analisti supererà il livello del PIL degli Stati Uniti nel 2019, anno precedente alla tan- to attesa quanto cruciale scadenza del 2020. Oltre alle riforme sociali legate alla distensione della policy sul figlio unico (con l’entrata in vigore delle nuove norme, le coppie potranno avere due figli se uno solo dei genitori è figlio unico e non solo in caso entrambi lo siano come accade ora); all’aumento graduale e progressivo del welfare state (le imprese a partecipazione statale saranno tenute a restituire il 30% dei profitti all’amministrazione centrale che li destinerà a fondi di previdenza sociale); al cambiamento del hukou system (in futuro sarà più facile per i migranti dalle campagne ottenere la residenza nelle città Tier 3 e Tier 4 senza perdere alcun diritto, mentre la popolazione dei grandi centri sarà strettamente controllata nei numeri) e al riconoscimento di maggiori diritti per gli abitanti delle zone rurali che avranno il diritto di possedere, utilizzare e trasferire per contratto la proprietà della loro terra, così come la facoltà di utilizzare tale diritto potestativo sul capitale a garanzia di altre operazioni, il progetto mira a rimodellare il panorama competitivo, consentendo alle aziende private di potersi misurare con i colossi statali in alcuni settori dell’economia cinese e di calibrare la loro of- ferta di prodotti e servizi sulla base di una nuova struttura di mercato caratterizzata dalla crescente domanda privata che emergerà da qui al 2020. Le riforme proposte fanno parte del grande progetto di trasformazione del Paese: una radicale riconversione dell’economia verso una maggiore dipendenza da consumi e servizi, cercando di affrontare le disuguaglianze e il malcontento che da sempre sono fonte di grande ansia per una leadership che prezza la stabilità politica e sociale sopra ogni altra cosa. Il segretario al Tesoro statunitense Jacob Lew, durante una breve sosta a Pechino per il suo tour asiatico, ha descritto il progetto come “ambizioso” ed ha osservato che sarà cruciale capire di quanto tempo necessiterà la Cina per metabolizzare questi cambiamenti: “La direzione è significativa, ma il carattere e il ritmo con cui verranno applicate le riforme conta ancora di più” ha riferito Lew ai giornalisti presenti. Quantomeno il Partito e i suoi leader hanno mostrato un forte impegno al riguardo. Questo rappresenta sicuramente un buon punto da cui partire, ma la strada da percorre resta ancora tanta.# traileoni · 9 REDAZIONE Stare tra i leoni significa passare dove nessuno osa, indagare ciò di cui nessuno vuole parlare, significa descrivere, raccontare, scavare liberi dai timori, superstizioni e reverenze la realtà universitaria che ci circonda. Matteo Erede, 1997. DIRETTORE RESPONSABILE Barbara Orlando DIRETTORE EDITORIALE Domenico Genovese VICEDIRETTORE EDITORIALE Maurizio Chisu REDAZIONE Gianluca Basciu, Sofia Bernardini, Marcello Boffa, Michele Canzi, Chiara Asia Carnevale, Federico Castelli, Lorenzo Cinelli, Adriana Cola, Alessandro Colombo, Tabita Costantino, Lisa Di Giuseppe, Alexandre François, Claudia Frangiamore, Giovanni Gaudio, Vittoria Giannoni, Martina Leone, Marcello Maranzana, Saverio Marziliano, Daniele Nadalin, Giorgia Ortolani, Maria Lucia Passador, Francesco Querci, Sergio Rinaudo, Camilla Sacca, Jacopo Tamos, Francesco Torriani, Federica Torriero COLLABORATORI Beatrice Ballestrero, Federica Bandera, Maria Eugenia Borneto, Donato Boccardi, Federica Colli Vignarelli, Silvia Profeti, Mara Squadroni, Uttara Thakore AREA GRAFICA Maurizio Chisu DIRETTORE AREA WEB Francesco Querci SEI UN GRAFICO CREATIVO E SVEGLIO? TRA I LEONI CERCA TE! Ti diverti a smanettare con InDesign o Photoshop? 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