Lunedì 28 luglio 2014 – Anno 6 – n° 206 Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma - tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230 e 1,30 – Arretrati: e 2,00 - Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (Conv. in L. 27/02/2004 n. 46) - Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009 y(7HC0D7*KSTKKQ( +&!"!_!?!: Ma mi faccia Colonna sonora della settimana w il piacere I Sonohra: "John Mayer: Slow dancing in a burning room", musica senza tempo fatta di cuore e passione a cura di Martina Castigliani Ascolta su w www.ilfattoquotidiano.it LA GIORNATA DI IERI w RELITTI w Renzi w SPERANZE w Dopo Casta Concordia in festa per la bara galleggiante Nibali conquista Parigi e l’Italia si mette a ruota e il Paese in crisi si aggrappano al simbolo della tragedia per trovare consenso e lavoro Vecchi » pag. 2 il disastro dei Mondiali di calcio il riscatto nello sport simbolo di fatica e sacrificio Coen » pag. 3 - Le Lezioni di ciclismo di Felice Gimondi a pag. 13 La nostra cara bistecca cede ai fast food. Con la crisi la carne costa troppo e le famiglie si rifugiano nel panino americano (+30%). Le grandi catene ci invadono, mentre macellai e ristoranti soffrono. Con quali effetti su stomaco e cucina italiana? w pag. 4 - 7 con un racconto di Paolo Sortino L’HAMBURGER CI DIVORERÀ w EDITORIALE w Se di Marco iancaneve nei Boschi. B “E la Boschi contestata si appella a Fanfani” (la Repubblica, 22-7). Va pazza per i nani. Vigilantes. “Napolitano da Ciampi all'ospedale di Bolzano: 'È molto vigile'” (l'Unità, 26-7). Diversamente da lui. Colpi. “Grillo: 'Questo è un colpo di Stato'. Renzi: 'No, è un colpo di sole'. Grillo: 'No, è un colpo di P2'” (dai giornali del 26-7). Grasso: “Il mio è un colpo di culo”. Google Nap. “Non si agitino spettri di insidie e macchinazioni autoritarie” (Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica, 23-7). Perchè se no? Giuliano Somara. “Galan: atto vile, manette al deputato per compiacere i pm” (Giuliano Ferrara, Il Foglio, 23-7). Gip, Giuliano, si dice gip. Studia, somaro. Sputati ancora, Cick. “Se tornassimo con Silvio dovrei sputarmi in faccia” (Fabrizio Cicchitto, Ncd, l'Unità, 23-7). Una volta più una volta meno. Cronoprogramma/1. “Riforma della giustizia entro il 20 agosto” (Andrea Orlando, Pd, ministro della Giustizia, l'Unità, 26-7). Mo' me lo segno. Cronoprogramma/2. “Padoan alla Ue: per le riforme serve tempo” (La Stampa, 23-7). Tranqui, Pier, prenditela pure comoda: c'è tempo. Crimi e misfatti. “Non rispondiamo delle nostre azioni” (Vito Crimi, M5S, 24-7). Perfetta continuità. Pigi Ballista. “Dall'immunità totale alla galera per tutti: il trionfo dell'ipocrisia... Alfonso Papa? Dentro Poggioreale, con pubblica riprovazione. Poi il Gip ha revocato l'arresto di Papa, ma nell'ansia dell'autodafè, per assecondare il furore popolare, i parlamentari furono più zelanti dei magistrati” (Pierluigi Battista, Corriere della sera, 23-7). Naturalmente il Gip revocò l'arresto quando vennero meno le esigenze cautelari, non certo perchè Papa non andasse arrestato per concussione: infatti è sotto processo con rito immediato per concussione. Lo sanno tutti i giornalisti, quindi non Battista. Segue a pag. 18 w CULT w Pro Niente avversari e arbitro amico, che bello vincere w NEL SIMULATORE w Il disastro vissuto con il computer da 20 milioni Ecco cosa si prova a precipitare con il Boeing 777 di Ferruccio Sansa aereo si ferma. Senti il corpo sospeso. “Stallo”, ripete L’ la voce elettronica del computer. Poi il muso punta giù. Verso terra. “È finita”, dice il pilota. Abbiamo spe- di Francesco Chiamulera succedesse al derby invece che con la Costituzione llarme! Una nuova squadra si è iscritta alla serie A. A Non è stata promossa dalla B. Ha vinto solo il campionato dilettanti di Firenze, ma il presidente giura che la maggioranza degli italiani tifa per lui. Autocertifica che lui è bravo. Anzi, il migliore. Addirittura l’unico. » pag. 18 rimentato cosa si prova nei terribili momenti di un disastro con un simulatore da 20 milioni che replica alla perfezione il volo di un Boeing 777, jet tra i più sicuri. Come quelli della Air Malaysia precipitati quest’anno. » pag. 12 Travaglio e contro l’ipotesi di un sequel dopo 25 anni Harry e Sally sono ancora innamorati? ono passati 25 anni dal cult degli anni ‘80 S che ha cambiato la commedia americana. Gli sceneggiatori si dividono sull’ipotesi del se- quel e propongono le trame. Voi cosa pensate? Dite la vostra sul sito del Fatto. » pag. 10 - 11 2 COMUNQUE VADA È UN SUCCESSO LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014 DIARIO DELLA GIORNATA NUOVA EMERGENZA IN LIBIA PRESSIONI DAL PD, RENZI AMBIGUO Ancora un accorato appello del Papa contro le guerre, in particolare quella a Gaza. Leggendo un discorso scritto nel corso dell’Angelus, Francesco I ha implorato un “Mai più la guerra!” rivolto soprattutto ai più piccoli. "Tutto si perde con la guerra - ha poi detto Bergoglio -, nulla si perde con la pace” per po finire con un accorato: “Fermatevi per favore, ve lo chiedo con tutto il cuore, è l’ora di fermarsi, per favore!". Tra le varie guerre, particolarmente cruente è quella civile in Libia con 200 morti nelle ultime settimane. Ieri l’Italia ha annunciato di aver operato il trasferimento di 100 connazionali rimpatriati in emergenza tramite la Tunisia. "La Fiorentina fedele ai propri valori etici e civili, alla luce delle recenti affermazioni del signor Tavecchio ritiene non più sostenibile la sua candidatura alla presidenza della Figc". È la prima presa di distanza all’interno delle squadre di club contro Carlo Tavecchio. La pressione, dopo le sue frasi razziste, giunge anche dal Pd con Debora Serracchiani: “Se fossimo un paese normale - ha detto la vicesegretaria - sarebbe normale il suo passo indietro”. Mentre Demetrio Albertini ufficializza la propria candidatura, interviene, anche Renzi: “Quell’espressione è un clamoroso autogol. Ma rispettiamo l’autonomia delle istituzioni sportive”. Il Papa: “Per favore, basta guerra” La Fiorentina scarica Tavecchio CORTEO FUNEBRE La Concordia in porto Renzi mette il cappello di Davide Vecchi A inviato a Genova nche se mi avessero invitato non sarei andato, mi sarebbe parso fuori luogo vivere l’ultimo atto di una tragedia come un evento”. Sulla banchina del porto di Genova a celebrare l’arrivo del cadavere della Concordia ci sono attori e comparse di prima e seconda fila del naufragio, ma manca quella è che stata l’unica protagonista: l’isola del Giglio. Il sindaco Sergio Ortelli lo annota ma senza troppo clamore. E la telefonata ricevuta ieri mattina dal premier Matteo Renzi, che lo ha chiamato prima di presentarsi al porto di Genova Voltri accompagnato dalla famiglia, Ortelli la prende per quello che è: “Un gesto istituzionale, scontato”, dice. “Renzi mi ha detto che verrà qui al Giglio ad agosto, vedremo, ne ho viste e sentite tante in questi mesi”, aggiunge. “Ora dobbiamo valutare le conseguenze, che accoglieremo con lo stesso spirito con cui abbiamo accolto gli oltre quattromila profughi quella notte”. IERI POCO DOPO LE SEDICI il corteo funebre di quella che fu la Concordia ha depositato il feretro là dove era stata costruita, a Genova. Ad attenderla il presidente della Regione, Claudio Burlando, il sindaco del capo- FANFARE Quanta bella esultanza per una bara galleggiante LO SPOT Davvero bello questo clima di esultanza e trionfa- lismo per il recupero ipertecnologico di una immensa bara galleggiante: bello, sobrio e soprattutto rispettoso per i familiari delle vittime. C’è pure il Presidente del Consiglio che fa bella (va be’) mostra di sé, ovviamente senza fini elettorali (se lo avesse fatto Berlusconi, lo avrebbero demolito). Non manca neppure la retorica giornalistica del “relitto che riemerge, chiara metafora della voglia di rinascere del paese Italia”. A questo punto si attendono solo le fanfare, i fuochi d’artificio e magari un bel trenino “Brigitte Bardot-Bardot”, guidato da Schettino. Quella nave è un carro funebre, un concentrato di morte, un condensato di dolore: abbiate un po’ di decenza. Andrea Scanzi luogo ligure, Marco Doria, il presidente dell’Autorità Portuale, Luigi Merlo, il commissario della Provincia, Piero Fossati. Ancora: i ministri della difesa e dell’ambiente, Roberto Pinotti e Gianluca Galletti. Infine il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Un comitato di benvenuto da grandi occasioni. Tanto che lo stesso premier mette le mani avanti: “Questa non è una passerella né uno show, ma la conclusione di una storia con tanti morti che nessuno di noi può dimenticare”. E giustifica la sua presenza: “Sono venuto qui per dire solo grazie. Grazie a tutti i servitori dello Stato, alle forze armate, alla Protezione civile, ai volontari, agli abitanti del Giglio, a tutti quelli che hanno reso possibile questa impresa straordinaria”, afferma Renzi sul porto protetto da una transenna e scortato dai due ministri. La moglie e i figli, arrivati con lui a bordo della pilotina che li ha prelevati all’aeroporto, si eclissano. Il premier ripete: “Nessuno di noi oggi mette le bandiere per festeggiare, ma la gratitudine per chi ha lavorato in questi mesi con noi c'è tutta”. Poi spiega che Piombino non era in grado di “rottamare... smantellare”, si corregge, la Concordia. Ma, ga- rantisce Renzi, al porto toscano sarà affidato “lo smantellamento di alcune navi militari”. Una sorta di contentino. Un secondo premio. MA È VERO, va detto, che Piombino non aveva le strutture adeguate per ospitare le operazioni sul relitto. Della polemica sorta tra lo scontro tra i due porti ieri ha voluto parlare Franco Gabrielli, capo della Protezione Civile, togliendosi qualche sassolino dalle scarpe. “Molti, in vari tratti di strada, hanno pensato più agli interessi particolari rispetto a quelli generali”, ha detto il Prefetto. “Alcuni legittimi, altri solo per coprirsi le spalle, rispetto a una serie di responsabilità che temevano di avere” e ha sottolineato come Genova “era l’unica soluzione per tenere la nave in Italia”. L’intento è quello di chiudere, con il trasferimento, anche le polemiche. Accanto a Gabrielli c’è Nick Slaon, guru assoluto di tutte le operazioni. Lui è rimasto sulla Concordia fino all’ultimo minuto, a controllare le operazioni di ormeggio. “Tutto è andato bene, sono molto contento” ha bisbigliato il salvage master di Costa raggiungendo la figlia di otto anni e la moglie che lo aspettavano a terra. Poi con loro se n’è andato da Voltri. Non era presente quando da sotto gli ombrelloni transennati e riservati alle au- L’ingresso della Concordia a Genova Ansa torità sono partiti ripetuti applausi indirizzati a Renzi. Lui, Sloane, che ha sempre parlato premettendo il dolore per quanto accaduto al Giglio, non avrebbe gradito. Anche perché il relitto ora ormeggiato a Genova ha nel suo ventre ancora una vittima da restituire ai parenti: Russel Rebello, un indiano salito sulla nave come cameriere. All’isola del Giglio i sommozzatori hanno ripreso le ricerche in mare da quando il relitto è partito per Genova, ormai quattro giorni fa, senza alcun risultato. E anche secondo Ortelli con ogni probabilità quel corpo si trova ancora nella Concordia. IL RELITTO è arrivato all’in- gresso del porto di Voltri sabato a fine serata ed è rimasto fermo fino al mattino successivo: l’unica sosta durante l’intero tragitto. Ma i tecnici dell’operazione hanno negato che questa sosta sia stata effettuata appositamente per non arrivare in anticipo rispetto alla visita annunciata del premier. “Assolutamente, era già prevista ed era necessaria per rispettare il traffico regolare del sabato notte”. Certo è che, come dice il sindaco del Giglio, “ora finalmente saranno spenti i riflettori”. AVVISTAMENTI Toti rivela il patto scritto del Nazareno di Fabrizio d’Esposito stizia: eppure è stato lo stesso Condannato, in più di un’occasione, a dire che la giustizia è il terzo punto del patto segreto alla base della più grande riforma costituzionale dal 1948 in poi. Non solo, per l’ex direttore Mediaset, cooptato nel cerchio magico dopo il tradimento di Alfano, in calce al documento del gennaio scorso, quando si tenne l’incontro Bierre nella sede nazionale del Pd a Roma, non ci sono le firme dei due contraenti, Berlusconi e Renzi. Ma “forse quella di Verdini”. Ossia dello sherpa renzusconiano, ufficialmente forzista, che ha preparato il tavolo e poi vigilato sul patto. la prima conferma all’esistenza di un teÈ sto scritto del fatidico patto del Nazareno e arriva da Giovanni Toti, pilastrino di quel cerchio magico che da mesi ha blindato il Condannato. La rivelazione di Toti, consigliere politico di B. ed eurodeputato, alla rassegna Ponza d’autore è anche una sorte di pizzino al premier in una fase in cui la battaglia del Senato potrebbe rimettere in discussione l’Italicum e costringere il Pregiudicato a rivedere lo Spregiudicato per aggiornare l’accordo. Come a dire: “Caro Renzi ricordati che hai sottoscritto un patto ben preciso”. QUESTE LE PAROLE DI TOTI : “Il patto del Na- zareno esiste e io l’ho visto. Io come molti altri dirigenti di Forza Italia. È un semplicissimo foglio di carta che prevede alcune tappe schematiche del processo di riforma. È una cosa semplicissima nella sua banalità, un appunto scritto a penna sulle cose da fare: la legge elettorale per cui la partenza era il modello spa- IN ANTEPRIMA QUESTO DETTAGLIO, SPIFFERATO con ironia La notizia sul Fatto del 24 luglio scorso gnolo, e riguardo al Senato prevedeva tre clausole: la non elettività, il non compenso e la fine del bicameralismo, ovvero la doppia approvazione delle leggi”. La versione di Toti è politicamente corretta e non ha clausole sulla giu- a Ponza, ha fatto infuriare il toscano Verdini, che si è sfogato coi suoi: “Ma che dice questo qui, chi sono io per firmare un accordo del genere?”. Sotto, appunto, ci sarebbero le firme del premier e del Condannato, non la sua. La reazione di Verdini è l’ulteriore segnale che nella corte berlusconiana è in corso una spietata guerra tra le due fazioni ufficialmente filorenziane. Da un lato Verdini, appunto, dall’altro Toti e il cerchio magico. Il sospetto, però, è che Toti spesso giochi per conto proprio, parlando solo per sé. Per esempio, a che titolo, sempre ieri, ha detto che “Berlusconi non sarà il candidato premier e si faranno le primarie”? Altrimenti non si spiegherebbe un grido di gioia captato ad Arcore dopo la sentenza del 18 luglio, quando B. è stato assolto in Appello per il caso Ruby: “Adesso voglio vedere come faranno Toti e la Gelmini (i due sono inseparabili, ndr) a spartirsi Forza Italia”. A gridare, in presenza di B., un autorevole esponente azzurro molto noto e che non stima Toti. In ogni caso, a parte il presunto doppio gioco di Toti, la prima ammissione sul testo segreto del patto del Nazareno è un sintomo, secondo altre fonti azzurre, di debolezza e paura mascherato “da cosa semplicissima nella sua banalità”. È sempre più forte, infatti, il timore che il documento dell’accordo venga divulgato pubblicamente. A quel punto, il contenuto corrisponderà alle parole di Toti o sarà diverso? E quali firme ci sono? Altro che gli streaming tra Renzi e il Movimento 5 Stelle. IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014 3 TRAGEDIA A RIETI IL DIBATTITO NEGLI USA Un elicottero As 350 del servizio antincendio regionale è caduto nei pressi del Lago del Salto, in provincia di Rieti. Sono deceduti il pilota e uno dei tecnici a bordo. Una terza persona è stata trasportata in codice rosso al Gemelli. L’equipaggio dell’aeromobile era impegnato in un volo di ricognizione e riaddestramento. Il pilota del mezzo regionale ha tentato un atterraggio d’emergenza ma a pochi metri da terra il motore ha ceduto facendo precipitare l’elicottero. Cordoglio per i piloti è stato espresso dal ministro delle politiche agricole, Martina, dal presidente del Lazio, Zingaretti, e dal capo dell’operazione di recupero della Concordia, Nick Sloane Il prestigioso quotidiano statunitense, New York Times, prende posizione a favore della cannabis. In un editoriale pubblicato ieri, il quotidiano ne paragona il divieto all’epoca buia del Proibizionismo sostenendo che i costi della cannabis per la società sono “immensi”. “Crediamo che ad ogni livello la bilancia penda sul lato della legalizzazione nazionale”. Il quotidiano sottolinea che "c'è un dibattito in corso tra gli scienziati per stabilire gli effetti della marijuana sulla salute, ma riteniamo che la dipendenza sia un problema minore, in particolar modo se paragonato all’alcol e al tabacco” Cade elicottero antincendio: due morti Il New York Times: cannabis legale L’ULTIMA TAPPA Nibali, i francesi si inchinano al re del Tour di Leonardo Coen C on la volata imperiale del tedescone Marcel Kittel, alle sette e quattordici di una tiepida sera parigina, sugli Champs Elysées illuminati a festa, si è concluso ieri il Tour de France numero 101, la corsa ciclistica più importante del mondo che Vincenzo Nibali da Messina detto lo Squalo dello Stretto ha vinto, dominandolo dall’inizio alla fine, primo siciliano della storia, settimo corridore italiano, dopo Ottavio Bottecchia (1924-1925), Gino Bartali (1938-1948), Fausto Coppi (1949-1952), primo corridore a far suoi nello stesso anno Giro d’Italia e Tour de France. NOMI E PERSONAGGI che ap- partengono alla storia del ciclismo ma anche a quella d’Italia. E ancora, vennero i successi di Gastone Nencini, nell’anno tristissimo della morte di Coppi, ucciso dalla malaria e dall’insipienza dei medici, il 2 gennaio 1960. Poi, nel 1965, fu la volta del bergamasco Felice Gimondi, 23 anni, neo professionista, un esordio stratosferico. Infine, l’epopea di Marco Pantani, ul- SEDICI ANNI DOPO PANTANI, LA FRANCIA ADOTTA IL CICLISTA CHE ORA VUOLE VINCERE IL MONDIALE timo corridore a mettere insieme Giro e Tour nello stesso anno, il 1998, quello dello scandalo Festina, dello sciopero dei corridori, del ritiro degli spagnoli, dell’Epo che ha reso sulfureo il ciclismo. Sedici anni, separano le vittorie del Pirata e di Nibali: la tragedia di Pantani, la sua grandezza ma anche le sue debolezze, i suoi tormenti sono parte della memoria di uno sport che è sempre stato qualcosa di più di un semplice sport, la vita a pedalate è difficile, complessa e sovente ingrata come la vita di ogni giorno. Vincenzo Nibali ha corso contro tante ombre, a cominciare da quelle del doping, evo- cate anche durante questo Tour: “Il mio ciclismo è pulito, diverso, è frutto di tantissima attesa, di sacrifici, di fatica”. L’incontestabile vittoria di questo Tour massacrato dai ritiri eccellenti di Christopher Froome, il vincitore del Tour 2013, e di Alberto Contador, costretti dalle cadute al ritiro, ha convinto tutti. A rileggere la corsa, adesso che è terminata, posso dire che Nibali ha vinto il Tour fin da subito, nel fulmineo allungo a due chilometri dal traguardo di Sheffiel, ed era appena la seconda tappa. Maglia gialla e Froome, l’eroe di casa, battuto e umiliato. TRE GIORNI DOPO, il capola- voro sul pavé, la tappa che finiva nella foresta dell’Aremberg, in una giornata da tregenda: secondo all’arrivo, ma con Contador a due minuti e 34”. Froome si era ritirato prima che iniziassero i tratti di pavé. Lì Vincenzo dimostrò la sua sicurezza, la sua determinazione. La conferma venne sui Vosgi. Un furibondo Contador provò a staccarlo, Nibali gli stava a ruota, talvolta a fianco, come a dirgli: è inutile, non mi fai paura. Sosteneva, Nibali: “Il mio pensiero non è entrare nella leggenda, ma Lo sprint finale sugli Champs Élysées Epa lavorare per vincere”. Eppure, nel giorno dei cento anni di Bartali, volle assolutamente imporsi nella tappa di Chamrousse, sulle Alpi; e dopo, sui Pirenei, altro arrivo en solitaire, all’Hautacam; persino nella cronometro di sabato si impegna, nonostante abbia già in mano largamente il Tour. Quarto, battuto da tre specialisti, però primo degli uomini di classifica: “Volevo onorare la maglia che indosso”. Voleva onorare il Tour, e i francesi alla fine, accantonati sospetti e diffidenze, l’hanno adottato: è hors categorie, come le salite epocali dell’Izoard e del Tourmalet. Ora fa compagnia a monumenti del ciclismo come Jacques Anquetil, Gimondi, Eddy Merckx, Bernard Hinault e Contador, gli unici con lui ad essersi imposti nella “tripla Corona”, ossia le tre grandi corse a tappe: la Vuelta nel 2010, il Giro nel 2013, il Tour quest’anno. È, IN FONDO, un anti-perso- naggio. Uno che misura parole e gesti, che nella famiglia - la moglie Rachele, la piccola Emma di cinque mesi, mamma Giovanna e papà Salvatore - ha trovato scudo e complicità. Gente semplice. A quindici anni ha lasciato Messina per la Toscana, ma il suo cuore è rimasto sotto le Madonie. Vive nel Canton Ticino per motivi fiscali, e questo è un segno di certi tempi. Bartali, appena tornato dal trionfale Tour del 1948 che placò le tensioni dopo l’attentato a Togliatti, chiese se poteva non pagare le tasse: “Non si può”, gli rispose De Gasperi. A Lugano e dintorni si ritrovano tutti i grandi del ciclismo, divisi dalle maglie, uniti dal borsellino. E tuttavia, gli italiani lo stanno perdonando, perché dopo la meschina figura dei calciatori al Mondiale in Brasile, ha riavvicinato lo sport alla gente: il ciclismo è fatica per tutti, campioni e gregari. Renzi lo ha invitato a Palazzo Chigi. Comincia l’assalto alla carrozza del vincitore. Conoscendo Nibali, andrà in fuga. 1.031 VITTIME Gaza, morte senza tregua di Cosimo Caridi da Gaza C on il tramonto di ieri sera è finito il Ramadan, il mese sacro dell’Islam. In tutte le comunità musulmane del mondo si è festeggiato l’inizio dell’Eid el Firt. Nella Striscia di Gaza invece ancora morte. Anche l’esile tregua di 24 ore non ha retto. I razzi contro Israele sono stati sparati anche dopo le 14 mentre i carri armati israeliani hanno lanciato una pesante offensiva sul sud della città di Gaza. Se Hamas dice di essere disponibile ad accettare la proposta dell’Onu, Benyamin Netanyahu, primo ministro israeliano, propone di aderire alla richiesta egiziana e ha informato di questa sua posizione il segretario di Stato Usa. Kerry. A Gaza però si muore. I soccorritori palestinesi hanno aggiornato le cifre sui morti: ieri sera il loro numero era arrivato a 1.031. “Mio figlio mi chiede se per la festa smetteranno di sparare - Asharaf ha trentacinque anni e una rabbia che non riesce a contenere - cosa gli devo rispondere? Che smetteranno solo quando saremo tutti morti?”. NEL GRANDE GARAGE “vista mare”, dove ha trovato rifugio la famiglia Helles, ci sono tante bocche da sfamare. “Siamo 250, gran parte bambini - spiega Akram, il fratello maggiore di Asharaf - veniamo da Jabalia. Le nostre case sono state distrutte”. Gli Helles sono scappati già da una settimana dopo che l’esercito israeliano ha lanciato migliaia di volantini per le vie del quartiere dove abitavano. “Due giorni dopo hanno bombardato la casa di mio zio continua Akram -, poi quella di suo figlio. Abbiamo cercato un posto dove stare tutti assieme. È più facile, ci possiamo aiutare, ci sentiamo più sicuri”. L’operazione militare israeliana ha provocato già oltre 180 mila sfollati, il 70% di questi è ospitata nelle scuole dell’Unrwa, un’agenzia delle Nazioni Unite. In tanti però non si sentono sicuri nemmeno sotto le bandiere blu dell’Onu. Pochi giorni fa la scuola di Beit Hanoun, che ospitava 1400 sfollati è stata attaccata, 17 persone sono morte, 11 erano bambini. Israele ha detto che accanto alla scuola operava un gruppo di miliziani di Hamas. ANCHE IERI UNA STRUTTURA delle Nazioni Unite è stata colpita. Attorno alle 13 un colpo di artiglieria è stato sparato verso l’interno del quartier generale dell’Unrwa a Gaza. Il complesso si trova a diversi chilometri dalle zone in cui sono in corso i combattimenti tra esercito e miliziani, dovrebbe essere quindi un razzo, forse di un drone. “Ho sentito una forte esplosione – spiega Adnan Abu Hasna uno dei portavoce Onu a Gaza- e sono andato con Il fumo delle bombe sopra Gaza. La tregua dichiarata ha retto meno di un’ora Lapresse la sicurezza per controllare. È stato solo un colpo, ma molto potente non ho idea né sulla motivazione, né sul tipo di arma. Stiamo analizzando il buco lasciato dall’ordigno e i resti”. Intanto Hamas e il governo israeliano sono impegnati in un tragico balletto per stabilire i termini di un cessate il fuoco duraturo. Da tre giorni vengono sta- bilite tregue umanitarie, violate prima da una poi dal’altra parte. Il bilancio dei morti si aggrava però di ora in ora: oltre 1050 i gazawi uccisi, 320 dei quali, secondo Israele, erano miliziani. Sono invece 43 i soldati di Tel Aviv che hanno perso la vita, a cui vanno aggiunti due civili israeliani e un bracciante thailandese. 4 L’INVASIONE DEL FAST FOOD LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014 A tavola meno carne, crisi dei macellai di Silvano B SCENDE IL CONSUMO DI CARNE e chiudono le macellerie. Nel 2013 si è verificato un taglio del 7 per cento nelle macellazioni bovine secondo un’analisi della Coldiretti. A farne le spese è stata soprattutto la carne rossa: con la crisi, nel 2013, quasi un italiano su tre (32 per cento) a pranzo ha consumato esclusivamente un piatto di pasta che sazia di più e costa di meno mentre solo il 18 per cento ha dichiarato di fare quotidianamente un pranzo completo con un primo, un secondo, un contorno e un dolce o un frutto Da qui, l’impatto sulle macellerie. Secondo l'Unisca-Confcommercio di Roma, infatti, in tre anni sono scomparse 260 macellerie, 50 delle quali soltanto nell'ultimo anno. Per quelle rimaste aperte si calcolano cali di fatturato medi del 20%. Secondo gli operatori del settore, che denunciano cali di fatturato ben superiori alla media, ormai si consumano prevalentemente carni bianche e macinato. Rubino envenuti nel regno della trasversalità. Accanto al manager in pausa pranzo coi colleghi siede la famiglia di immigrati, a poca distanza dai ragazzi che grazie al wifi compulsano smarphone e tablet un gruppo di bambini scatenati festeggia un compleanno, lungo la corsia del McDrive arrivano, per pranzo, furgoni di artigiani in giro per lavoro... Ne è passata d'acqua sotto i ponti da quando l'hamburger era roba solo per ragazzotti con il Moncler e le Timberland. Oggi il fast food non è più uno status symbol, ma un'abitudine sempre più diffusa, che sta incidendo sugli stili alimentari degli italiani e mettendo a rischio la supremazia della vecchia cara bistecca. I numeri di uno studio di Alix Partners sono inequivocabili: nel quinquennio 2007-2011, se i ristoranti tradizionali arrancano con un calo del fatturato del 2%, quello dei ristoranti di catena è cresciuto del 13%, con addirittura un +30% per i fast food. Trend – spiegano da Alix Partners - assolutamente confermati anche per il biennio 2012-2013. Per averne conferma basta guardarsi attorno: i nuovi fast food spuntano come funghi. L'ultimo di McDonald's, a Monterotondo, nell'immediato hinterland di Roma, ha numeri da record: è il più grande ristorante della catena dotato di corsia drive d’Italia, con una superficie di circa 800 metri quadrati su due piani. E una cinquantina di persone impiegate. Il piano di espansione prevede, entro il 2015, un centinaio di nuove aperture (con circa 3mila nuovi posti di lavoro), portando a oltre 600 i Mac in Italia. Anche Burger King, altro colosso multinazionale, ha deciso di investire in Italia: 30 nuovi ristoranti nel 2014, secondo i dati forniti da Confimprese. Naturale che anche l'imprenditoria italiana non voglia stare alla finestra. Crescono le insegne indipendenti che propongono panini di qualità (vedi articolo a pag.....), ma fa numeri da boom anche una catena made in Italy, nonostante nome e “ambientazione” da cow boy: “Old Wild West” - oltre 100 ristoranti in tutto il Paese, 160 milioni di fatturato nel 2013 - è un marchio dell'azienda udinese Cigierre, specializzata nel cosiddetto “casual dining”. Fast batte slow Se aggiungiamo che anche Subway, catena specializzata nei sandwich che negli Stati Uniti ha superato McDonald's per punti vendita, è sbarcata in Italia e si prepara a espandersi, ce n'è abbastanza per dichiarare che, in Italia, è tutt'altro che vinta la battaglia iniziata nel 1986 da Slow Food, associazione nata proprio “in reazione” all'apertura dello storico McDonald's di piazza di Spagna, per far argine a un modello di alimentazione omologato, poco sano e lontano dalle nostre tipicità: «Certo», ammette Gaetano Pascale, presidente di Slow Food Italia, «i numeri lasciano pochi dubbi. Tuttavia, ci sono anche altri numeri, più incoraggianti, come l'aumento del consumo di prodotti biologici o dei nostri presidi slow food. Il modello del fast food, oggi, è avvantaggiato – oltreché da un potenza di fuoco mediatica non paragonabile alla nostra - da una serie di aspetti culturali e normativi. Il consumatore non viene messo nelle condizioni di fare una scelta davvero consapevole, non siamo abituati, a fare scelte in cui l'origine sul cibo sia uno degli elementi che mettiamo in campo. E anche la normativa non aiuta: l'etichettatura dovrebbe prevedere informazioni sulla reale provenienza, sul tipo di allevamento, su quanta acqua viene consumata per realizzare un prodotto ecc». «La crisi», aggiunge Pascale, «non ha aiutato, ha spostato l'attenzione delle persone, che Addio cara bistecca divorata dall’hamburger guardano più alla contingenza che a una “pianificazione” della propria alimentazione e quindi della propria salute. Ma il rischio è che poi si paghino altri costi, che sono costi sociali legati ai disturbi da sovrappeso, da disfunzioni metaboliche, sempre più diffusi soprattutto nelle fasce di reddito più basse». Eppure, se anche McDonald's negli anni ha voluto scrollarsi di dosso l'etichetta di venditore di junk food e ha costruito politiche di marketing basate proprio sulla qualità delle materie prime, sulla tracciabilità, sull'inserimento di nuovi piatti come insalate, frutta, yogurt, un po' è merito di Slowfood e di altri soggetti che hanno diffuso una nuova cultura del cibo, della tracciabilità, del mangiar sano: «Offriamo prodotti i cui ingredienti sono in larghissima parte italiani e garantiamo filiere controllate e di qualità», spiega Emanuela Rovere, direttore marketing di McDonald's Italia. «Basta questo per capire come la nostra identità sia cambiata: non più fast food ma “good food fast”». Ma a Pascale non basta: «Sono scimmiottature: non è un valore di per sé la carne italiana, lo è se è davvero tracciabile». Certo, a tutti piacerebbe mangiare sano, tipico e a chilometri zero, ma poi ci si scontra con il bilancio familiare. Il conto finale di un'osteria slowfood per una famiglia di quattro persone non è minimamente paragonabile con quello di un fast food: non a caso il target famiglie rappresenta il 29% della quota di mercato di McDonald's, contro il 16 della ristorazione tradizionale. Non solo: per molte famiglie persino la carne comprata dal macellaio è diventata un lusso. Secondo un'indagine di Coldiretti, nel 2013 è crollato il consumo di carne degli italiani con un taglio del 7 per cento nelle macellazioni. E allora si capisce come un panino con la polpetta ame- ricana a poco più di un euro possa diventare una valida alternativa. «Da Old Wild West», afferma Marco Di Giusto, amministratore delegato di Cigierre, «con uno scontrino medio di 14 euro si può gustare un pasto completo. Non è vero che il consumatore in tempi di crisi cerca solo il basso costo, bensì un’offerta di qualità al giusto prezzo». Concorda Rovere, di Mac: «I consumatori scelgono ogni giorno quello che più aggrada senza sposare scelte ideologiche, secondo una logica inclusiva: oggi mi faccio un buon hamburger e domani vado a cercare il formaggio di fossa, ad esempio». Ma se anche il mondo “slow”, attento a ti- COME NEL DOPOGUERRA: LA CARNE COSTA TROPPO. MACELLAI E RISTORANTI SONO IN CRISI, MA I FAST FOOD VOLANO (+30%). DOPO MCDONALD’S ARRIVANO BURGER KING E SUBWAY. MA LO STOMACO E LA CUCINA ITALIANA? IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ + 30% CRESCITA DEI FAST FOOD NEL 2007-2011 QUINQUENNIO tra il 2007 e il 2011, se i ristoranti tradizionali arrancano con un calo del fatturato del 2%, quello dei ristoranti di catena è cresciuto del 13%, con addirittura un +30% per i fast food 29% LE FAMIGLIE CHE SCELGONO IL FAST FOOD PIZZA IN CRISI Secondo le indagini di mercato, ormai il 29 per cento delle famiglie italiane quando escono per mangiare insieme scelgono il fast food. Contro il 16 per cento che sono rimaste fedeli a ristoranti e pizzerie. LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014 38% 25-50ENNI CLIENTI DEI MCDONALD’S 5 FEDELI AI RISTORANTI Quasi quattro adulti su dieci scelgono il fast food. Ma la maggioranza (48%) non abbandona i locali tradizionali. Così come gli anziani: 22 per cento contro 11 per cento. L’ASSAGGIO Burger King-McDonald’s sfida all’ultimo panino di Lorenza I Fumelli l secondo punto vendita italiano della catena americana McDonald’s aprì a Roma a Piazza di Spagna al posto del ristorante Rugantino. Era il 1986. Il successo fu rapido e travolgente. Si dovrà aspettare ancora fino al 1999 per assistere all’insediamento del rivale n°1 della catena, anno in cui Burger King arrivò a Milano. Il confronto tra i due colossi, quello che stiamo qui per fare, a dire il vero inizia molti anni fa, soprattutto grazie alla generazione dei giovani InterRailer dei primi ‘90, che in giro per l’Europa si trovarono spesso di fronte a un dilemma prandiale: Mc Donald o Burger King? Un Versus tra due ristoranti deve essere costruito considerando diversi aspetti, entrando nel dettaglio, degustando con attenzione, e arrivando a stabilire un vincitore. sto di questo o quel panino. Di insalate, gelati, crocchette di pollo fritte, sfizi vari, e colazioni all'inglese, con scrambled eggs & crispy bacon. A guardar le immagini, si è capitati nel paese delle meraviglie: i buns (classici panini tondi) sembrano gonfi e fragranti, l’insalata fresca, appena strappata dall’orto, e gli hamburger succulenti, conditi con un formaggio morbido come miele d’acacia. Ordino il menu con il più famoso panino che la storia dei fast food ricordi: il Bic Mac. Si compone di un bun classico, un’ulteriore fetta di pane a separare i due hamburger di carne di manzo, poi insalata, cipolla, cetriolini, formaggio e salsa Big Mac. Viene servito razioni (cosa un po’ inquietante a dire il vero): dolce e salato insieme con l’acidità del cetriolo a bilanciare, e una buona dose di glutammato per ingannare il palato. Le patatine sono le classiche a bastoncino, non proprio calde né croccanti. La Coca Cola: ça va sans dire. Il costo del menu è di 6.95 euro, 10 i minuti spesi tra ordine e consumo. Burger King © © © © , meglio il Whopper Musica alta, ambientazione pop-rock, graffianti fiamme nere disegnate alle pareti e rosso dominante: siamo da Burger King. La porta del bagno è aperta, i tavoli sono ancora pieni di McDonald's © © viva i colori picità, prodotti locali e salubrità, cominciasse a ragionare in termini di low cost e di facilità di accesso per uscire dalla fase di contrapposizione ideologica con il fast food e mettersi a fargli concorrenza sullo stesso campo? «Ci stiamo lavorando», rivela Pascale. «Eataly, per esempio, mette in evidenza alcune positività della produzione italiana, ma non è ancora un modello di spesa quotidiana: vorremmo costruire un modello con accessibilità di prezzo e di vicinanza ai consumatori». Un sogno che si potrà realizzare, avverte Pascale, solo se i produttori italiani, finalmente, sapranno fare sistema e costruire una valida alternativa allo strapotere della polpetta. Gli hamburger e la loro produzione: dalla griglia al vassoio di uno dei tanti McDonald’s del mondo Ansa La prima impressione che si riceve varcando la soglia di questo ristorante è di ordine e pulizia. È una caratteristica del franchising: mai bagni furono più ambiti di quelli dei McDo nelle stazioni e aeroporti di tutto il mondo. Il restyling del gruppo ha virato per una linea sobria e meno orientata alla conquista dell’infante. Il colore dominante è il verde, un verde scuro che ben si abbina all’arancione delle giacche dello staff: non si vuole far corrispondere al prezzo stracciato del cibo un ambiente sciatto. A dominare il bancone, una lunga fila di immagini luminose invitano all’acqui- la catena. La carne da BK è cotta alla griglia anziché alla piastra ed è il punto di forza su cui da sempre ruota la comunicazione del brand. Significa che nonostante il grasso sia comunque un ingrediente cardine del panino, una parte di esso cola e brucia sulla fiamma sottostante la griglia. Il contrario di quello che succede con la cottura alla piastra, utilizzata dal competitor. Terminata una breve attesa, arriva il menu con patatine e Coca Cola, servito nel solito vassoio di plastica. Il cartone che contiene il Whopper è molto simile a quello del Big Mac ma la reazione, una volta aperto, è completamente diversa. Gli occhi si sgranano e la salivazione cresce alla vista di un panino enorme, condito generosamente con pomodori freschi a fette, anelli di cipolla, cetriolo, insalata, maionese e ketchup. È gustoso, appagante, ruffiano. Le patatine sono fragranti, fritte con una certa sapienza. Il costo è di 6,90 e l’esperienza porta via 20 minuti in tutto. Conclusioni Vince il Whopper Panini a confronto nelle hamburgherie italiane LaPresse in uno scrigno di cartone che all'apertura provoca sempre un pizzico di delusione. Rispetto alle foto non che mi aspettassi il contrario - il Big Mac è più piccolo e scomposto nell’assemblaggio. Il formaggio è più colloso che morbido, l’insalata un ciuffetto spettinato, la salsa poca. In bocca però ha un che di rassicurante. Il sapore è lo stesso identico da gene- molliche, alcuni cappellini a forma di corona dorata occupano tutte le superfici e un capannello di persone affamate sbuffa in attesa dei panini. Di certo siamo distanti dal garbato mondo McDo. Mi metto in fila e osservo le immagini colorate, anche qui perfette, come da copione. Quando è il mio turno, non ho nessun dubbio: ordino un Double Whopper Menu, icona del- Al netto della triade malefica di sale, zucchero e grassi tipica del junk food, al netto anche della chimica, dello sfruttamento di allevamenti intensivi, della poca educazione alimentare che scaturisce dal frequentare fast food, il mio palato preferisce la qualità del Whopper e premia necessariamente Burger King. Menzione speciale invece va al personale dei McDonald’s, uno staff dal quale molti ristoranti tradizionali potrebbero imparare qualcosa. L’UOMO DEL BURGHY Cremonini, un impero nato da dieci scrofe di Giulia Zaccariello uesta storia inizia con una porcilaia e Q finisce con un impero miliardario. Nel mezzo tonnellate di hamburger, i panini più americani che esistano. Ma non ci sono cowboy, né praterie. Per sapere da dove arriva la carne dei McDonald's bisogna infatti cavalcare lungo la via Emilia e arrivare fino a Castelvetro di Modena. Qui, in questo comune di 11 mila abitanti, tra la collina e l'Appennino, abita il re Mida della polpetta, all'anagrafe Luigi Cremonini, fondatore di uno dei gruppi alimentari più grandi d'Europa. È sua la carne con cui si imbottiscono i Big Mac in Italia, per via di un accordo firmato 18 anni fa. All'epoca Cremonini è considerato il pioniere degli hamburger in Italia, grazie alla sua Burghy, azienda passata in una manciata di anni da 6 a 96 punti vendita. Nel 1996, però, decide di venderla alla McDonald's, interessata a entrare a gamba tesa nel mercato italiano. In cambio il gruppo modenese riceve 200 miliardi di lire, e si assicura la fornitura in esclusiva di carne ai fast food aperti dal colosso americano in Italia. Una mossa da maestri, considerando che la partnership, stipulata poi anche in Russia, in Danimarca e in Grecia, contribuisce non poco a costruire la fortuna di Cremonini, che diventa così il re della bistecca. Del resto di fiuto imprenditoriale Cremonini ne ha sempre avuto. Self-made man emiliano, classe 1939, comincia la sua vita da macellaio a 19 anni, quando con 10 scrofe apre un allevamento di maiali. Presto però capisce che il guadagno vero si nasconde nella carne della vacca, di quella mucca arrivata a una certa età e destinata al macello. Basta trasformarla in hamburger e in ripieno per tortellini. E l'affare è servito. Così nel 1963, insieme al fratello Giuseppe, fonda l'Inalca, industria per la macellazione. Da quel momento è un investimento dopo l'altro. Oggi il gruppo ha un fatturato da 3,5 miliardi di euro, ed è attivo nella produzione, nella distribuzione e nella ristorazione. È presente in Russia e in diversi paesi dell'Africa. Nelle stazioni, sulle autostrade e negli aeroporti con la Chef Express. Suo è il marchio della carne in scatola Montana, e suoi sono i ristoranti Roadhouse Grill. Un impero vietato ai vegetariani, che in mezzo secolo è riuscito a resistere a più di una bufera. Quella arrivata insieme al morbo della mucca pazza, per cominciare. Nel 2001, il primo caso italiano viene rintracciato proprio in un macello Cremonini. Si polverizzano punti in borsa, ma il gruppo riesce comunque a superare la tempesta. Anche quella giudiziaria: il processo per frode in commercio finisce in prescrizione, dopo una condanna in primo grado, l'assoluzione in appello e la successiva cancellazione dalla Cassazione. Nel 2004 va in prescrizione anche il processo a carico di Cremonini e di un suo collaboratore, per falso in bilancio e riciclaggio di denaro proveniente da una presunta evasione fiscale. Mentre negli anni successivi, altre due inchieste della Procura di Roma e di quella di Rieti, sempre per frode, si chiudono con l'archiviazione. 6 INVASI DAI FAST FOOD LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014 Nostalgia di brufoli e colesterolo di Max Paiella L’AVVENTO dei fast food lasciò due tracce negli italiani: la comitiva e il colesterolo. Dopo trent’anni, il 40enne di oggi, un po’ imbolsito, frequenta sempre il "pasto veloce". Perché? Gli inutili regalini che attirano il figlio per 50 secondi facendoci consumare un “fast” pasto da seduto; sapori artificialmente intensi , capaci di rianimare “fast” una giornata stressante. E poi si evita un salasso al ristorante che “fast” disintegrerebbe giorni di lavoro. Ieri eravamo paninari oggi siamo precari, ma ci incontriamo negli stessi luoghi variopinti, con ERIC SCHLOSSER L a guerra contro il cibo-spazzatura si risolve in una domanda: “Qual è il costo reale di un menù da un dollaro al fast food?”. Quella che si è fatto il giornalista americano Eric Schlosser alla fine degli anni ‘90 e da cui è nato Fast food nation, il suo libro-inchiesta pubblicato nel 2001 e mai così attuale nella dura risalita dalla china della crisi. Due anni di indagini che gli sono serviti a sfondare un vaso di pandora: dietro a hot dog, hamburger, patatine fritte, c’è un’industria alimentare fuori controllo, un mercato finanziario senza regole, una marea di lavoratori sfruttati e la salute compromessa degli avventori. Qual è stato il punto di partenza? A metà degli anni Novanta. Stavo facendo un’inchiesta sul business delle fragole in California per l’Atlantic Monthly e mi sono reso conto che nei campi lavoravano immigrati illegali e pagati una miseria. Idem nella catena del fast food? Esatto. I dipendenti sono teenager, soprattutto latino-americani. Le imprese sono riuscite a imporre salari bassi (i peggiori negli Stati Uniti) impedendo ai lavoratori di avere rappresentanti sindacali e di farli avanzare di carriera. Un trucchetto: quando uno sa fare poco, costa poco e può essere licenziato in qualsiasi momento. Non è un caso che il settore sia da sempre contrario agli aumenti delle buste paga. Un circuito perverso che arriva in tavola e nuoce alla salute. L’industria del fast food non è spuntata dal nulla. Si è diffusa alla fine degli anni Sessanta, quando ci fu il primo grosso taglio agli stipendi, del 40 per cento. Ovvio che gente povera ha bisogno di cibo low cost. E così fu. Il contesto è a loro favore. Anche gli ingredienti usati sono quelli sovvenzionati dal governo. Frutta e verdura, invece, non ricevono aiuti. Quindi la produzione locale viene sbaragliata? Certo. Dove si insedia un fast food, i piccoli agricoltori escono dal giro. Le catene comprano solo dalle multinazionali, in modo che il gusto sia lo stesso ovunque. Una settimana fa la polizia cinese ha sequestrato a Shanghai una fabbrica della Husi Food Company, colpevole di aver venduto carni avariate (con etichette contraffatte) alle grandi catene di ristorazione, tra queste McDonald’s, Burger King e Starbucks. Di solito, come vengono preparati hamburger e patatine? I piatti fast food devono assomigliare a quelli che tu potresti preparare sui fornelli di casa tua. Ma ovviamente è solo un’esca. Innanzitutto, gli ingredienti tendono a essere di pessima qualità. Poi crocchette di pollo, hot dog, bistecche e pa- meno brufoli e ormoni, magari con moglie e figli (con brufoli e ormoni). Ma l’oggetto del nostro desiderio è cambiato? Il padre di famiglia pensa: "3 euro primo e secondo, è pure biologico, sto' a cavallo”! In realtà il cavallo se lo sta mangiando e magari è pure avariato. Che nostalgia gli hamburger anni ‘80! Il giornalista Eric Schlosser, autore del best seller “Fast food nation” LaPresse “Quanti misteri per condire quelle polpette” di Chiara Daina sia dei ristoranti che della lavorazione della carne, volevano sfogarsi con me. Comunque, per aggirare gli ostacoli mi sono finto un addetto messicano anche se non sapevo una parola in spagnolo. Tanto nessuno lì dentro sapeva la lingua. L’AUTORE DI FAST FOOD NATION ”DUE ANNI DI INCHIESTA PER SCOPRIRE IL LATO OSCURO DELL’HAMBURGER: INDUSTRIA FUORI CONTROLLO E FINANZA SENZA REGOLE” tate arrivano già congelate. Le catene pensano solo a scongelare e insaporire con massicce dosi di additivi chimici per soddisfare i palati e conservare il cibo più a lungo, ottimizzando gli sprechi. Lo fareste voi, nella vostra cucina? Quanto vale il giro di affari? Solo negli Stati Uniti l’industria del cibo spazzatura muove un volume di 175 miliardi di dollari l’anno. Il margine di profitto varia in base alla catena. Il McDonald’s comunque non ha mai conosciuto crisi. Michelle Obama, lo scorso febbraio, ha lanciato la campagna anti-obesità “Let’s move”, chiedendo le etichette per i cibi Ogm. Un primo passo in avanti? IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ La strategia marketing quanto è pericolosa? Sì, ma intanto la dieta a base di fast food ha aumentato il rischio di diabete, cancro, patologie al cuore, asma. Il Centro per il controllo delle malattie ha stimato che un terzo dei bambini americani nati nel 2000 diventerà diabetico a causa dell’alimentazione povera, grassa e della sedentarietà. Costa di più mangiare meglio? No. Lo sappiamo tutti come si fa: vai al supermarket, compri ingredienti genuini, e a casa cucini. La pigrizia, i doppi lavori per campare, l’incompetenza rendono le cose più semplici le più difficili. Mangiare al Mcdrive alla società costa molto di più. Il vero prezzo di un cheeseburger non è un dollaro. Van- no aggiunte le spese per i farmaci e le strutture sanitarie quando il consumatore si ammalerà di qualcosa. Qualcosa che l’ha stupita in positivo dell’inchiesta? In-N-Out Burger, una piccola catena di fast food nell’ovest degli States, nata insieme a McDonald’s, che non compra carne congelata (eccetto la crema per i frullati di latte), paga e tratta bene i dipendenti. Qualcuno ha provato a boicottare il suo lavoro? Beh, McDonald’s non mi è stato certo d’aiuto. Nessuna delle ditte più grandi che confezionano la carne mi hanno fatto vedere le loro strutture e macchinari. Per fortuna molti dipendenti, È subdola. Le società di fast food puntano sull’amicizia, la famiglia, il divertimento e mai sui luoghi di provenienza degli alimenti o sugli ingredienti usati. Nel mirino della pubblicità sono soprattutto i bambini piccoli per abituarli fin da subito alle cattive abitudini. Pensi che McDonald’s è il più grande distributore di giocattoli al mondo e si ispira molto al marketing di Walt Disney. Heinz Haber, tra i più importanti consulenti scientifici dell’azienda, è stato coinvolto negli esperimenti clinici allestiti nel campi di concentramento nazisti. L’omologazione dei giochi e dei gusti è uno dei cavalli di battagli dela Disney... Le reazioni dopo l’uscita del libro? L’industria del fast food ha tentanto di impedirmi di presentare l’inchiesta nelle scuole dicendo cose folli, che ero un comunista, socialista, a favore delle droghe per i bambini. Nessuno ha creduto a queste fandogne. I fast food sono la nuova colonizzazione americana? È solo un prodotto di esportazione di cui non mi vanto. CARNE SCELTA La polpetta tricolore cerca la rivincita di Chiara Ingrosso li anni Ottanta e i paninari sono lontani anni G luce. Oggi Milano, Roma e Torino tirano le redini della moda dell’hamburger da gourmet, che si consuma in ristoranti dall’arredo ricercato con file di clienti in attesa. È la rivincita del panino imbottito più famoso del mondo, che ora parla italiano e lo fa anche molto bene, tanto da solleticare la creatività di chef e ristoratori che gli abbinano verdure, salse e formaggi rigorosamente biologici e home-made. Nel 2011, quando la moda del burger faceva capolino, Angelo Belli, titolare di Urbana 47, ristorante nel cuore dello storico rione Monti a Roma, ebbe l’idea di un concorso per l’hamburger più buono della Capitale. A cogliere la sfida furono in quattro, tra cui Veronica Paolillo, poi rivelatasi la vincitrice, che da poco aveva aperto a qualche civico di distanza la panineria di alta cu- cina Tricolore. Se, però, pensate di mangiare un burger di fassona piemontese tagliata al coltello, con maionese preparata con uova bianche delle felici galline delle campagne livornesi e il pane fatto in casa con lo strutto dall’ingrediente segreto dovete abbandonare l’idea di spendere poco e sborsare dai 15 euro in su. Belli ci ha spiegato il perché. “Io non mi fiderei di un panino in cui prevale il sapore delle salse. La qualità della materia Per contrastare l’invasione dei fast food, diverse catene italiane hanno puntato sull’hamburger di qualità. Ansa prima è fondamentale, per questo acquisto la carne direttamente da allevatori del Lazio che posseggono circa 400 capi, tutti allo stato brado. Il costo al chilo è almeno il doppio di quello della carne comune”. NEL BURGER D’ALTA CUCINA gli ingredienti sono “etici”, dalle verdure a km0 al pesce del “mare nostrum”. Infatti, Tricolore realizza anche i fishburger, alcuni dal sapore romanesco, come quello con arzilla e broccoli, altri più orientali, come quello con pane al the verde giapponese e granchio imperiale. Insomma, anche il panino può essere un cibo per gli dei, con buona pace del portafoglio. Chissà perché, forse per la complicità della crisi o anche semplicemente per l’originalità delle ricette, ad apprezzare di più i burger all’italiana sono proprio i turisti americani. “Un ragazzo di New York, –racconta Veronica– che era a Roma per tre mesi, è rimasto stregato dai nostri sapori ed è venuto al Tricolore quasi ogni giorno. In generale riceviamo molti complimenti dai turisti stranieri, mentre gli italiani hanno ancora qualche difficoltà nell’accettarne i prezzi”. Per questo, Veronica, che è una giovane donna, chef ed imprenditrice, ci confessa che il suo obiettivo è portare il burger tricolore all’estero, “dove le tasse non ti tolgono il fiato e l’impegno è più apprezzato”. Nel quartiere Prati, invece, Quarto Burger è un’istituzione, tanto da essere stata la prima hamburgeria romana ad essere annoverata nella guida Gambero Rosso. Il titolare, Davide Buccioni, ex pugile con vent’anni di carriera sul ring, tra i 27 panini in menù, propone anche il “Primo Carnera”, da 350 grammi, guarnito con la salsa della tradizionale pasta cacio e pepe romana. Tutta salute. “Ospiti frequenti sono la nazionale di rugby, quella di scherma, quella di sollevamento pesi, pugili e atleti”, riferisce Buccioni, che ci spiega anche il motivo per il quale riesce a proporre panini dai costi più contenuti. “Dal trisavolo a mio padre siamo tutti macellai. Le carni dei miei burger provengono dal mio allevamento personale di charolaise francese quì nel Lazio. Se il produttore e il ristoratore coincidono, puoi offrire qualità anche a 10 euro”. D’altronde, conclude, “in questo momento difficile, le persone devono potersi permettere ancora il piacere di andare a cena fuori senza privarsi della qualità”. IL RACCONTO IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ Viviamo in catene, giorno e notte, stipati a forza uno dentro l’altro... Conosco le abitudini, le diete, i gusti. Posso dirlo di tutti i clienti perché vengono sempre agli stessi orari, e negli anni ho imparato a conoscerli” Lascelta w Il processo di smantellamento della coscienza di Elisabeth era cominciato. Per la prima volta vide che le ragioni di fare del male o fare del bene non erano piú le stesse per le quali si faceva male o bene qualsiasi cosa. Cosí la cura che il padre aveva avuto nel fare quel nodo, cosí la costruzione del bunker. Ormai Josef sfogliava la sua mente come un libro dalle pagine sempre piú labili. da “Elisabeth” (Einaudi 2011) w Parla un carrello della spesa “So cosa comprate, non avete segreti” di Paolo Sortino V iviamo in catene, giorno e notte, stipati a forza uno dentro l’altro in un binario morto di cemento, tra un’aiuola di lauro ingiallito e una lastra di ferro che la ruggine ha corroso, e sfondato, e dove non arriva l’acredine a divorarla è il caldo torrido, ché il sole l’attraversa e nessuno la usa più per affiggerci manifesti pubblicitari. Ma la libertà è vicina. Ho atteso paziente di risalire la fila e sono in testa, adesso è il mio turno. Già fantastico sull’avventore che mi porterà via da questo marciapiede calpestato dal tempo, inacidito dagli escrementi dei cani. Inserirà un euro in questa scatola che mi hanno installato addosso e mi porterà nell’aria condizionata. Sarà una vertigine di vegetali freschi come le prime ore del mattino, di tranci di pesce azzurro nel ghiaccio gratinato, e banchi frigo, celle refrigeranti, piastrelle asettiche, porzioni di salute confezionata, razionata, ordinata sopra scaffali colorati e sgranchirò le giunture, queste rotelle sghembe. A cullarmi nel tragitto dei reparti sarà forse la mano della signorina Lolli, che intravedo nel parcheggio mentre assicura l’auto e mi viene incontro, ma non mi degna di uno sguardo: opta per uno di quei carrellini di plastica tipo trolley, che ci fanno concorrenza perché sono meno capienti e riempiendoli facilmente i clienti del Discount hanno l’impressione di fare chissà che compere. Eppure un tempo siamo stati amici, io e la signorina, tanto che di lei so tutto. Conosco le abitudini, le diete, i gusti. Posso dire lo stesso di tutti i clienti perché vengono sempre agli stessi orari, e negli anni ho imparato a conoscerli. C’è una famiglia, per fa- LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014 re un esempio, che arriva sempre di venerdì, mezz’ora prima che chiuda il negozio perché lavorano molto entrambi e quello è il loro giorno di riposo, così spendono l’intera giornata coi bambini andando al cinema o allo zoo, e allora fare la spesa è il compito di fine giornata, e anche così lasciano che i marmocchi lo trasformino in una gara di rally, spingendomi e tirandomi. Poi c’è il tipo che ho conosciuto il giorno che aprì i battenti il banco della pescheria. Chiese al venditore alcune porzioni di filetto di merluzzo per cucinare il baccalà secondo non so quale ricetta, ma al momento di ricevere l’incarto rimase deluso dal prezzo. Eppure è sempre stato un pesce povero, come mai ora sembrava dovesse guadagnare come il suo capo per poterlo acquistare? Così restituì il pacco e si fece consigliare qualcosa di più conveniente. Del resto il pesce è buono tutto, pensò. Il venditore, abituato a ogni genere di richiesta, aveva l’aria di sapere come rimediare, ma non so dire se per picca o per sincera convinzione gli mollò prontamente un bel chiletto di tombarello, asserendo che la carne fosse la stessa del tonno appena pescato e lo si potesse cucinare con uguale cottura. L’uomo tornò la settimana successiva e lamentò l’ingiustizia subita: pare che il suddetto pesce odorasse e sapesse di cadavere, e che quelle fossero qualità sue proprie naturali – cosa che fece infuriare l’uomo ancora di più che non se fosse stata responsabilità del supermercato farlo puzzare tanto, perché in questo modo averglielo venduto suonava come una truffa bella e buona. Fu l’unica volta in cui la timidezza Chi è LA STORIA DI ELISABETH Paolo Sortino è nato a Roma nel 1982. Esordisce nel 2011 per i tipi di Einaudi col romanzo Elisabeth, incentrato sul noto fatto di cronaca che ha visto protagonisti Josef ed Elisabeth Fritzl (padre e figlia austriaci protagonisti dello sconvolgente episodio di sequestro e incesto). Per lo stesso editore lavora in qualità di traduttore. Al momento sta scrivendo il secondo romanzo, collabora con la scuola Holden e gestisce un allevamento di Parson Russell Terrier. benzina e ha più soldi da spendere per il cibo. Un paio di settimane fa ho temuto di non reggere, osservandola: teneva sollevate le buste di plastica sopra il piatto della bilancia self-service del reparto frutta e verdura, così che oltre alle zucchine e alle melanzane pesasse meno anche lo scontrino adesivo. Si guardava intorno con circospezione. Avrei giurato che sudasse, ma poi ho capito che non ne aveva motivo per via dell’esperta furtività con cui cambiava un prodotto con l’altro. A biasimarla non riesco, e anche avessi dovuto allarmare i miei proprietari non avrei potuto, e non perché sono fatto di ferro, io, quanto che per provare pietà, a quanto pare osservando gli esseri umani, più che avere un cuore è preferibile non averlo affatto. E poi oggi è giovedì, festa grande, perché sta per arrivare la coppia che adoro. Sono anziani, marito e moglie. Vestono abiti puliti e stirati, da veri poveri. Nonostante la città sia un forno, d’estate, lui si ostina a indossare un completo con tanto di gilet di lana, e scelgono me, sebbene acquistino poche cose; che io resti vuoto non è motivo di tristezza, per loro: sono miseri ma non miserabili. Credo lei CARRELLO DELLE mi utilizzi come deambuMIE BRAME Siamo latore. Quando si china su quello che mangiamo, anche di me, raccolta in in tempi di crisi quell’abituccio, avverto l’odore di naftalina e mi ricorda l’odore dell’imballaggio in cui sono nato, il giorno in cui fui assemblato. E così sono le loro mani incerte a liberarmi. Entriamo e comincia il giro: estraggono prodotti dagli scaffali, se li rigirano tra le mani e li riposano perché troppo cari, o perché hanno un’etichetta incomprensibile sotto le cataratte liquide. Mi affidano poche cose: due pere, due patate, e più in là due vasetti di yogurt, due etti di prosciutto e mezzo chilo di pane. Mi toccano con tale garbo che mi illudo di essere loro nipote. Poi accade, in un istante: l’uomo dietro il bancone della carne ha già pronto, messo da parte, un sacchetto di ossi di bovino. Quando ci vede tende il braccio con un sorriso. Lo scontrino che tiene insieme il sacchetto è bianco silenzioso. È un omaggio. Poi l’uomo vuole sapere di che razza sia il destinatario degli ossi. Lo domanda tutte le settimane e tutte le settimane mio nonno dà una risposta didell’avventore svanì per qualche istante giacché versa. L’uomo che tenta di fare il simpatico però poco dopo non riuscì a spiccicare due parole di non se ne avvede e si salutano. fronte a Maria, l’addetta alla cassa 4. Ormai sono «Stasera facciamo un bel brodo» dice la nonna. Il mesi che la guarda con occhi disordinati e mesi vero pasto però sono loro: senza coltello e che serve regolarmente tombarello ad amici e pa- forchetta li divora questa nazione che in renti. poco tempo si è abituata a ragionare come Allo stesso modo potrei dire, con una trascurabile chi è troppo ricco da non sapere non verapprossimazione temporale, chi tra poco entrerà gognarsi di essere povero. La povertà che con l’auto nel parcheggio o attraverserà il ponte per millenni ha protetto cittadelle, interi pedonale della superstrada. Come fa Anna, ca- paesaggi, opere del gusto e dell’ingegno sta salinga e madre di tre bimbi, che viene fin qui a piedi attraversando un quartiere non proprio raccomandabile ma risparmia sulla tutta in una lattina da quaranta centesimi. 7 VOX POPULI Soltanto il relitto oggi si solleva di Alessandro Ferrucci SALENTO, ore 17 di un pomeriggio di finto luglio, spiaggia del Tropical, tra una nuvola, qualche minaccia di nuvola, esce il sole, tutti in acqua. C’è chi guarda l’orizzonte e a chi sta sotto l'ombrellone domandiamo: Concordia metafora dell’Italia? Patrizio, 56 anni, primario: “Non è che conosce qualcuno che ha un maschio di razza Westie? Ho Milu in attesa...” Rocco, 58 anni, primario detto Chiarugi: “Ma quando giochiamo a pallone?” Edoardo, 14 anni, studente: “Per risollevare il centrodestra Berlusconi dovrebbe dare il partito a Fitto”. Non scherza. Simone, 37 anni, in incognito: “Ma se tutto è avvenuto grazie agli olandesi!” Francesca, 40 anni, bancaria: “Ma questa è la domanda? E che devo dire?” Diego, 25 anni, barman: “Perché, che è successo? Quando lavoro sono fuori dal mondo...” Sara, 37 anni, escort: “Direi di si, almeno si risolleva qualcosa”. Sorride e fa l'occhiolino. Giulio, 43 anni, dentista: “Aspetta, aspetta, ma hai visto quella!” Gabriele, 38 anni, disoccupato: “Ma che risollevi, ho mal di pancia da questa mattina”. Salvatore, 27 anni, panettiere: “In questo periodo mi interessa solo il calciomercato”. Nicola, 67 anni, emigrante svizzero: “Che figura di merda”. Attento! E gli arriva una pallonata. Marco, 19 anni, maturato: “Però le immagini sono belle”. Gaia, 23 anni, sospettosa: “Sono qui con il mio fidanzato. Ora sta facendo il bagno, ma tra poco arriva”. Antonietta, 57 anni, psicologa: “Siamo un paese in stato di eterna apparenza”. Flora, 21 anno, ligia: “Qui facciamo un ottimo gelato”. Franco, 59 anni, libraio: “Questa vicenda mi dà la nausea”. Margherita, 20 anni, pluribocciata: “Mi stai prendendo per il culo”. Luigi, 45 anni, militare: “Mi hanno chiamato oggi per l'operazione mare nostrum“. Twitter: @A_Ferrucci 8 SOCIAL STREETS LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014 Due milioni litigano in tribunale I VICINI CHE LITIGANO C’è la riscoperta del buon vicinato ma c’è anche chi il vicino non lo sopporta e ci litiga. Arrivando, spesso, in tribunale. L’associazione degli amministratori di immobili (Anammi) ha realizzato una classifica delle liti condominiali in base alla sua attività interna e alle segnalazioni degli associati (circa 13 mila in tutta Italia): dall’odore di cucina all’automobile posteggiata nel punto sbagliato, dal bambino che gioca in cortile al cane che ab- baia. Ma ecco il risultato della classifica. Al primo posto ci sono le cosiddette “immissioni”, ovvero i rumori e odori provenienti da altri appartamenti. Il ticchettio di scarpe femminili a tutte le ore, l’odore di cipolla, lo spostamento di mobili a tarda ora. Anche la cucina etnica ha conquistato il suo posto al centro di dispute di condominio. Segue poi “l’apposizione in aree comuni”, cioè la collocazione nel SUCCEDE IN CITTÀ Torna la voglia dei vicini di casa: “Qualcuno a cui chiedere il sale” di Chiara Daina O re 11 di un sabato mattina a Milano. Il ritrovo è al bar all’angolo tra via Maiocchi e via Stoppani per fare colazione. Così da sette mesi. Sono in venti, non fanno in tempo a sedersi, due baci sulle guance e le parole sono già spedite sui progetti. Elena è lì con il fidanzato Riccardo. Si sono trasferiti dalla provincia di Potenza per lavoro e sono i primi ad aver stretto amicizia con Lucia, di Varese, che si occupa di teatro. Caterina, stilista, ha l’accento fiorentino. Simona è nata a Pantelleria e organizza eventi. La sua omonima, romana, fa la guida turistica. Anna la mamma, Erica la grafica, e Luca l’ingegnere informatico, che ha portato i suoi due bambini, di sette e nove anni, ed è l’unico milanese della combriccola. Fino a Natale a malapena avevano incrociato i loro sguardi, non sapevano di abitare nella stessa via o di condividere il pianerottolo del palazzo. Sono trentenni e quarantenni che oggi fanno parte della Social street di via Maiocchi e dintorni, la seconda più grande d’Italia dopo quella di via Fondazza a Bologna. “A metà dicembre ho distribuito volontani per promuovere il gruppo dei residenti del quartiere su Facebook. Nel giro di qualche giorno c’erano 200 adesioni, oggi siamo in 800, a volte ci conosciamo solo per nickname ma è già un passo avanti ” spiega Lucia Moroni. In via Maiocchi, 700 metri, dietro a Corso Venezia, in realtà non manca niente, dall’asilo alla scuola elementare, il parco, il supermercato, la palestra, la sartoria, la galleria d’arte. “Ma manca tutto – osserva – se hai paura di chiedere il sale al tuo vicino o un aiuto al bottegaio di fianco”. La piccola comunità cresce. La piccola comunità cresce Oltre alle colazioni collettive e agli aperitivi settimanali, c’è il gruppo running del martedì, dalle otto alle nove, prima del lavoro, seguito da spuntino a casa di qualcuno. Quello di acquisto solidale di miele, olio e caffè; quello di cinema, di lettura, di ricamo e delle gite nei musei della città. Presto partirà un servizio di dog-sitting. Mentre sono già attivi una banca del tempo per scambiarsi gratuitamente le competenze e il bookcrossing, cioè il baratto dei libri: “Un bar vicino ha messo a disposizione uno spazio per il deposito” racconta Elena, dispiaciuta di non aver partecipato al debutto del social swap party, il baratto dei vestiti usati, allestito per due giorni nella sede vicina di un’associazione. “Un successone, la stanza sembrava un negozio e ognuno ha postato su Facebook la foto dell’abito che avrebbe regalato e una di quello che si è portato a casa”. Sono ormai un rito a grande richiesta le “case aperte” una volta al mese. “Dieci di noi aprono la porta a gente sconosciuta della zona” lei è ancora incredula. La prima volta, il 9 febbraio, nel monolocale di Lucia, 23 metri quadrati, erano in 10 a cucinare crêpe. La casa di tre studenti universitari si era trasformata in un laboratorio di shooting fotografico. Da Raffaella si sfornavano crostate, in un altro appartamento c’era un workshop di pittura per bambini curato da una pittrice di Brera mentre la storica dell’arte si era inventata un gioco di società per far conoscere i monumenti della zona. E un IL FENOMENO DELLE “SOCIAL STREETS” SI DIFFONDE IN TUTTA ITALIA. DI FRONTE ALLE DIFFICOLTÀ DELLA CRISI, SI RIFORMANO LE PICCOLE COMUNITÀ DI QUARTIERE CON LA CREAZIONE DI BANCHE DEL TEMPO, ASSISTENZA AGLI ANZIANI E UNA NUOVA RETE DI SOLIDARIETÀ BUON VICINATO Illustrazione di Marilena nardi ragazzino aveva invitato i coetanei sul divano a sfidarsi alla play station. Le case ruotano, le attività cambiano, la gente resta. Il social network è usato per comunicazioni di servizio e richieste di vario tipo: “Conoscete un idraulico economico e bravo?” “Avete una bicicletta pieghevole che non usate più?” “Ho due biglietti per balletto alla Scala, qualcuno viene?”. Hanno messo in piedi anche il sito web Viamaiocchi.it che raccoglie le cronache della piccola comunità. Al bar “Stoppani”, quello all’angolo, c’è una bacheca di legno per proporre idee e segnalare eventi. Qui si fa anche la raccolta di alimenti che alcuni di loro ogni sera distribuiscono ai senza tetto della via fino alla Stazione Centrale. “Non vogliamo diventare un’associazione: troppi vincoli e la spontaneità si spegne” chiude Elena. Un fenomeno nazionale Le social street nel nostro Paese sono 165 e quelle in cantiere aumentano a macchia d’olio. Da Trento a Palermo (dove i residenti hanno raccolto quasi due mila firme per chiedere al sindaco Orlando di multare chi abbandona i rifiuti nelle strade). L’ultima a Torre del Greco, in provincia di Napoli. L’elenco è sul portale Socialstreet.it. L’idea è venuta a Federico Bastiani, 36 anni, originario di Altopascio, un paesello di sette mila abitanti nella provincia di Lucca, catapultato a Bologna per lavoro (fa l’addetto stampa di Loretta Napoleoni): “Dopo tre anni – spiega - non conoscevo ancora i vicini, mi sentivo un estraneo nella mia via”. Una di quelle con i portici caratteristici, di 450 metri, 91 nu- meri civici e due mila abitanti. Così a settembre Federico inaugura un gruppo su Facebook che in tre settimane conta cento persone e oggi ne sfiora 900. Il virtuale è diventato reale: “Quando esco dal portone saluto tutti. Ho scoperto che a 30 metri abitava un’altra famiglia con un figlio, che ora gioca con il mio”. Si fa fatica a stare dietro a tutte le iniziative: “Il gruppo – riassume Federico - si alimenta da solo, le persone lanciano idee e chi è interessato si organizza”. Aperitivi, colazioni, cene sociali, feste di compleanno, baratto, babysitting, carsharing, picnic, trekking fuori porta. “Ogni martedì dalle 5 alle 6 mamme e bambini si ritrovano all’oratorio. E nel tempo libero puliamo i portici da graffiti e sporcizia visto che il Comune non lo fa”. Mano tesa dagli esercenti del quartiere: una volta alla settimana il cinema sconta il biglietto a cinque euro; prezzi ridotti in pizzeria e al bistrò francese. A Bologna e provincia di strade social ne esistono più di 50: “Stiamo costruendo una rete per esportare il modello in altre aree della città e dialogare con il Comune”. Ma non è un miracolo solo del nord. Manuela Baglivo, 35 anni, due anni fa torna da dove è venuta, cioè Tricase, nel Salento: “Ho speso 13 anni fuori tra studio e lavoro. A Bologna facevo l’insegnante precaria, lavoravo un giorno, un mese o un anno, poi da capo in attesa. Non ne valeva la pena, quindi sono tornata a casa dei miei genitori: ma che avrei fatto? Non conoscevo più nessuno, non avevo stimoli. Un giorno ho letto un articolo sulla social street di Via Fondazza e ho pensato subito di copiarla”. L’esperimento di Tricase riguarda il centro sto- rico e 150 persone, molti over 50 e under 25. “Gli altri sono partiti. Della mia età saremo una decina". Ma è tutto in fermento. "Da quando si è sparsa la voce della social street, molti coetanei sparsi al Nord stanno pensando di mollare tutto e ritornare qui". Manuela non si stupisce: "La social street è la soluzione che tutti vorrebbero ma a nessuno viene in mente”. Social salentino Poi c'è la disoccupazione, e il tempo bisogna inventarselo da capo, guai a soffocarlo nella vergogna. Come funziona lì? Il Comune presta una sala per la riunione mensile, tutti i pomeriggi le case sono aperte per caffè e quattro bagole. C'è chi cucina sempre in abbondanza e su Facebook invita gli altri a cena. Nei fine settimana si organizzano tour guidati per la città e mercatini dell’usato (ma chi vuole vende), ogni 15 giorni si puliscono le strade del centro, e si aiutano gli anziani a pagare le bollette, fare la spesa, andare dal medico. “Prima però devi fargli capire che non li vuoi fregare Manuela se n'è accorta subito -. Ci sediamo a parlare con loro, hanno paura dei furti, con la crisi sono diventati diffidenti. Tornare a fidarsi dei vicini di casa non è impossibile, soprattutto perché non ci sono di mezzo soldi e politici”. A ottobre faranno insieme la raccolta delle olive per conto terzi in cambio di bottiglie di olio. In ballo c’è anche la ristrutturazione di alcuni edifici storici. Dove non c’è lo Stato, insomma, ci pensano le persone. E la formula finora sembra funzionare. IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ condominio di oggetti e mezzi di un singolo condomino. La fioriera attaccata al muro, l’automobile parcheggiata in uno spazio non autorizzato e così via. Al terzo posto troviamo i “rumori in cortile”, in particolare il gioco dei bambini seguiti da “l’innaffiatura di piante” sul balcone. Non manca, al quinto posto, “il problema degli animali domestici”, in particolare la loro presenza in ascensore o nel giardino condo- miniale. Più giù ci sono invece le liti che attengono all’esterno del condominio: il bucato gocciolante, i mozziconi gettati dalla finestra, lo sbattimento di tovaglie. La casistica descritta non è di poca importanza perché oltre il 50% delle procedure civili, nelle aule di giustizia, riguarda il condominio. In media, ogni anno circa 2 milioni di italiani fanno causa per questioni condominiali, il più delle volte vedendosi respingere LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014 9 il ricorso di fronte al giudice di pace. Per Giuseppe Bica, Presidente dell’Anammi, arrivare alla citazione non conviene, non soltanto per motivi finanziari e di tempo, ma soprattutto perché il comportamento illecito, nel frattempo, si perpetua”. Bica, ovviamente, sponsorizza il ruolo degli amministratori, la categoria che rappresenta, come struttura che “deve saper mediare tra gli interessi, evitando lo scontro duro, quello che porta alla denuncia”. IL SOCIOLOGO La risposta alla crisi del welfare IL REGNO DELLE SECONDE CASE Quei paesi dove l’uomo è più raro di un panda l fenomeno della “strada sociale” non è solo il ritorno del I buon vicinato ai tempi di Facebook. Quindi di regole, sorrisi e saluti perduti tra estranei dello stesso pianerottolo dotati di connessione internet. Significa ridisegnare la psico-geografia del quartiere, da alienante a solidale. Giampaolo Nuvolati, professore di Sociologia urbana all’Università Bicocca di Milano, lo traduce con “il piacere di insistere in una zona senza avere fretta di lasciarla”. Professore, perchè ha successo questa formula? Perché dalla dimensione virtuale si passa subito al contatto reale. C’è una ricaduta immediata sul territorio, si ripersonalizzano i luoghi, gli “amici” del gruppo Facebook non sono virtuali, anzi li incontri quasi tutti i giorni. E poi non prevede spese, è una specie di banca del tempo. È una risposta alla crisi? Non solo quella economica, anche del nucleo familiare. Non si può più contare sul welfare dello Stato (assistenzialismo, luoghi di aggregazione, asili nido), ma neppure sul sostegno di genitori, che spesso vivono lontani. Le donne una volta erano casalinghe, adesso lavorano tutto il giorno. Ed è saltata la distribuzione dei compiti. La social street è a metà tra il comune e la famiglia. Qual è il peccato delle città postindustriali? Commercializzazione dei luoghi, vie “vetrina”. Il marciapiede va calpestato, le strade vissute. Il quartiere deve essere lo spettacolo della vita. È passata l’idea che l'importante è che sia pulita casa tua, la città può restare sporca. Chi aderisce alla social street fa petizioni contro i parcheggi abusivi, pulisce i giardini pubblici e i muri. È troppo definirle un miracolo? Sì, è eccessivo. Sono un successo inaspettato. Il mondo comunque va già in questa direzione. Si pensi al baratto e al fai da te. Oggi abbiamo biografie attive, ci viene chiesta più responsabilità nella gestione dell’ordinario. Erano passive nei momenti delle grandi ideologie (quando il figlio dell'operario faceva l'operaio). La strada sociale è una manna dal cielo per le amministrazioni locali in spending review. Se gli abitanti si occupano del decoro urbano e tornare a comprare nelle botteghe sotto casa, di sicuro non sollevano polemiche. Qual è il target del gruppo? C’è un’autoselezione spontanea: chi partecipa ha tra i 30 e 50 anni, un livello culturale medio-alto, è curioso, intraprendente. Quindi si mettono insieme persone con tratti simili. La social street per ora non è roba da quartieri popolari, il ceto è relativamente benestante. Se ho disagi difficilmente mi apro agli altri. A volte cammino di sera per la mia strada e mi viene il panico, non c’è una finestra accesa. Ci sono mesi che vivo da sola, che passo giornate intere senza scambiare una parola. Devo accendere la televisione per sentire una voce” Sarà solo una moda passeggera? La formula avrà successo se dura, non solo perché è nata. Il rischio da evitare è il turn over dei residenti: devono vivere per lungo tempo lì, sennò saranno meno disponibili. E se il mercato immobiliare alza i prezzi ancora, verranno esclusi i più poveri, che al contrario hanno più bisogno dei vicini. Chi.Dai. VICINI IN PIAZZA Le serate in strada nel quartiere Fornace a Roma e in via Duse a Bologna P iù rari dei panda. Ci sono paesi, centinaia, in Italia, dove trovare un vicino di casa è un’impresa quasi impossibile. Allora ti rendi conto di quanto siano importanti. Magari non stai bene e hai bisogno di aiuto e ti ritrovi solo come un cane. Ma a volte ti basterebbe molto meno. Una parola. Un cavolo di saluto. Anche soltanto i rumori che vengono dal piano di sopra. Niente. Succede in quei luoghi di mare e di montagna che una volta erano paesi, oggi sono soprattutto case. Tante case. Vuote. Come un grande corpo abbandonato. PROVATE A VIVERE nei paesi della Riviera ligure, per dirne una, cresciuti secondo gli appetiti immobiliari dei costruttori. Ad agosto c’è più traffico che a Milano nelle ore di punta. Ma se ci andate a novembre sembra un altro mondo. “Abito a Piani d’Ivrea”, racconta Clelia, una pensionata milanese, “eravamo venuti qui con mio marito vent’anni fa. Eravamo ancora abbastanza giovani, ci piaceva la natura, la tranquillità”. Poi Clelia è rimasta vedova. E ha scoperto l’importanza dei vicini di casa: “Vede”, dice indicando il proprio condominio, in questi giorni d’estate pieno di colori, di voci, di costumi stesi ad asciugare dopo il bagno, “Vede, d’inverno qui è il deserto. Quest’anno a febbraio non mi sono sentita bene. Mi girava la testa, ma non volevo chiamare l’ambulanza. Allora ho pensato di chiedere aiuto a un vicino”. Ed ecco il problema: semplicemente non c’era nessuno. Ma proprio il deserto: “Ho suonato a tutti i campanelli del mio palazzo, ma niente. Ho provato nel resto del comprensorio. Zero. Volevo mettermi a urlare, ma non sarebbe servito a niente”. Alla fine è tornata a casa, ha aspettato. Per fortuna è andata bene. “Meglio non chiedersi se venissero i ladri”, sospira. Già, molti centri della Riviera sono paesi part-time. La media è di quaranta seconde case su cento. Ma in alcune zone si arriva anche al settanta per cento. Perfino di più. E c’è addirittura chi sta peggio: gli abitanti dei paesi di montagna. Prendete il Piemonte che, secondo Legambiente, ha il poco invidiabile primato italiano delle seconde case di montagna: 82,39 per cento. Seguono Valle d’Aosta (69,99 per cento), Lombardia (68,4), Veneto (65,05), Trentino (60,48), Friuli (54,85). Ecco, provate un giorno di novembre o di maggio, le stagioni morte, a camminare per le strade di una località sciistica nota come Bardonecchia: una volta tutto ruotava intorno al centro storico, oggi il corpo del paese si è dilatato a dismisura. Un corpo, però, per molti mesi dell’anno vuoto. Morto. “A volte cammino di sera per la mia strada e mi viene il panico, non c’è una finestra accesa”, si sfoga la signora Maria, 74 anni. Uno dei pochissimi abitanti dei condomini che si affacciano su viale Roma. Racconta: “Ero venuta ad abitare qui negli anni Ottanta. Erano palazzi nuovi, ho pensato che fossero più comodi della mia vecchia casa di pietra. Adesso vorrei scappare. Ci sono mesi che vivo da sola, che passo giornate intere senza scambiare una parola. Devo accendere la televisione per sentire una voce”. NON È CHE PRETENDA mol- to: “Vorrei chiacchierare, giocare a carte. Andrei nei bar, ma lì ci vanno soltanto gli uomini. Le mie amiche di un tempo abitano a chilometri di distanza. E poi non è di andare a cena fuori che ho bisogno: mi mancano gli incontri, magari casuali, di poche parole. Mi manca la presenza di qualcuno. Non so cosa darei per avere dei vicini”. Vale soprattutto per gli anziani. I giovani, il problema lo risolvono in un altro modo: se ne vanno. Franco e Luisa, che stavano a pochi passi da Maria hanno deciso di trasferirsi a valle. Vicino a Susa. “A me la solitudine piace, ma allora devi vivere in una casa isolata. A Bardonecchia invece mi ritrovavo in un condominio come in città, ma senza i vantaggi della compagnia, del vivere insieme”, dice Franco. Poi ci pensa un attimo e aggiunge: “Lo so, ci lamentiamo spesso dei vicini. Litighiamo. Ma ti capitano anche degli incontri fortunati” . Luisa che gli sta accanto aggiunge: “So anche che vivere uno accanto all’altro ha degli inconvenienti: i rumori, la mancanza di privacy. Ma quando la vita ti mette davanti delle prove, dei momenti difficili, ti aiuta sentire la presenza degli altri. E poi non me la sentivo di far vivere i miei figli senza amici: c’erano dei giorni che passavano le ore a giocare a calcio da soli. Boom, boom, boom, un giorno guardavo mio figlio Marco che continuava a tirare la palla contro un muro. E non ce l’ho più fatta. Alla sera ho preso mio marito e gli ho detto: andiamo via. Voglio dei vicini. Voglio un po’ di vita”. F.Sa. 10 QUEI MITI CON LE RUGHE LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014 Nora Ephron, il vero genio dei dialoghi di Francesco PROTAGONISTA NASCOSTA Il punto non è che Meg Ryan e Billy Crystal sono invecchiati. E con qualche lifting di troppo. Il seguito di “Harry ti presento Sally” (When harry met Sally, il titolo in inglese) sarebbe difficilmente pensabile perché non c’è più Nora Ephron (nella foto accanto), la geniale sceneggiatrice nata nel 1941 e morta due anni fa di leucemia. È stata Ephron che ha inventato i dialoghi del Chiamulera Q da New York uei marciapiedi di Manhattan lastricati di foglie rosse e gialle, la macchinetta scalcinata fine anni Settanta che accosta e fa scendere un ragazzo, mentre lei, capelli a boccoli dorati e mascara, ingrana allegramente la marcia: “Non lo rivedrò più”. Oppure quell’altra scena, l’incontro veloce in aeroporto, fingendo di non riconoscersi, e salutandosi di nuovo come fosse l’ultima volta. O ancora, la corsa di lui nella notte di capodanno newyorkese, mentre tutto sembra finito, anzi, mai cominciato. Quante volte finisce e riprende da capo Harry ti presento Sally, il film di culto assoluto della generazione degli anni Ottanta, forse il capostipite e antesignano della commedia sentimentale di oggi? Quante volte ci sembra che quell’amore indiscutibile, ovviamente destinato a coronarsi, invece stia per scartare, per lasciarci a bocca asciutta? E invece sono venticinque anni che rivediamo l’happy ending della pellicola di Rob Reiner (scritta - come ha notato Paolo Mereghetti - solo da una penna femminile, quella della sceneggiatrice Nora Ephron, ex moglie del giornalista Carl Bernstein), con una sottile sorpresa, e non ci stanchiamo. Un quarto di secolo ci separa dai vestiti un po’ goffi, tutti spalline, di Meg Ryan e Billy Crystal, eppure qualcosa non sembra cambiato. Forse la Storia ha preso a girare a ritmo un poco più lento, oppure forse quella vicenda romantica conteneva davvero quasi tutto quello che serve - amore, amicizia, deliquio, sesso, canzoni, cattiverie, battute - fatto sta che a tutt’oggi When Harry Met Sally è uno dei film più citati, ricordati, ripresi della storia del cinema. film, che ha portato nella commedia americana temi che prima erano tabù: dall’orgasmo (nella foto a destra la mitica scena del film) alla morte. Il suo segreto era l’ironia. Basta leggere la sceneggiatura originale del film per rendersi conto di quanto fosse azzeccata, studiata alla virgola, ma sempre con quell’impressione di freschezza e spontaneità: nemmeno una parola è stata cambiata durante le HARRY E SALLY SI AMANO ANCORA? Gli anni ‘80 ma non solo Non ci sono solo le scene immortali, le belle trovate, le battute brillanti (meno brillanti, forse, e più manierate dei contemporanei capolavori di Woody Allen, ma Woody è cinico, è sfiduciato e La pellicola spengleriano, mentre Harry e Sally sono gioiosamente naif, QUEL FINTO ORGASMO e dunque più amabili). C’è “Harry ti presento Sally”è quell’odore inconfondibile, fine anni Ottanta, così intristato girato nel 1989. È la gante e così, ormai, retrò. Le storia dell’amicizia e poimusiche - con le morbide e dell’amore tra Harry Burns civettuole citazioni di hot jazz degli anni Cinquanta, tra Ar(Billy Crystal, classe 1948) mstrong e la Fitzgerald, e la e Sally Albright (Meg Ryan, sontuosa colonna sonora fir1961). Il regista è Rob Reimata da Harry Connick Jr. ner (figlio d’arte, suo padre svelano la nuova commedia sentimentale americana del Carl è autore di pellicole di decennio del riflusso: siamo successo). Le storie di Harry lontani dalle storie di rottura e Sally sono ispirate alle trae di trasgressione degli anni versie sentimentali di Reiprecedenti, dalla “strada” casuale e scanzonata di Kerouac ner ed Ephron con i rispetticome dall’avventura di emanvi partner. La scena del finto cipazione di Thelma & Louiorgasmo nacque anche dalse: loro viaggiavano verso la la fantasia di Meg Ryan. libertà, in fuga disperata dal mondo maschilista, qui si viaggia da studenti e poi da giovani professionisti, alla ricerca di non si sa bene cosa. Il modello è sottilmente conservatore e già retrospettivo, to”, il “calessino con le frange blu” (mediocre traduzione guarda indietro, cerca rassicurazioni. L’America ha di The Surrey With The Fringe On Top) che viene canchiuso da poco il sipario sul lungo regno di Ronald tata dai due con una specie di apparecchio karaoke anReagan, il presidente che più di ogni altro, dai tempi di tidiluviano, mentre Harry adocchia la sua vecchia fiamEisenhower e forse anche prima, ha citato i padri fon- ma proprio nel momento in cui la canzone in inglese dice datori nei suoi discorsi, ma che è stato capace, con- “...and their eyes will POP!”. La discussione furiosa nelle temporaneamente, di liberare i consumatori americani cucine, al matrimonio dei migliori amici Marie e Jess, dai faticosi imperativi morali del suo predecessore Car- davanti agli sguardi attoniti dei lavapiatti: “Lo sai che un ter. Una grande vacanza dai sensi di colpa (che poi, anno di un uomo vale sette anni di un cane?” “Sì. Uno di immancabilmente, torneranno, ma questa è un’altra sto- noi due dovrebbe essere un cane, in questa sceneggiata, ria). Ma gli anni Ottanta sono anche la fodera, il vestito allora”. “Sì”. “E chi sarebbe?” “Tu”. Ma anche lo scambio che ricopre tutte le scene: quelle inquadrature tagliate in di battute nella vettura, durante il viaggio di diciotto ore due, con i protagonisti che si parlano da un letto all’altro, in mezzo all’America o all’aeroporto: “Se uno ti accomcongiunti dal filo dell’immancabile telefono e dal te- pagna all'aeroporto è chiaro che è all'inizio di una relevisore acceso; la grande riscoperta in chiave commerciale del Natale, ghirlande rosse e oro, alberi agghinSe uno ti accompagna all’aeroporto è chiaro che dati e trascinati sui marciapiedi mentre Bing Crosby canta Have Yourself a Merry Little Christmas; e è all’inizio di una relazione. Ecco perché io non poi Sally che va alle prime lezioni di aerobica e ginnastica ritmica (sono accompagno nessuno. Perché le cose cambiano, e tu i tempi di Callanetics, la linea di esercizi da fare a casa che inonda gli appartamenti della classe media non l'accompagni più, e io non voglio sentirmi dire: con i suoi homevideo). Poi ci sono, ovviamente, le battute. La “ragazza ad alto mantenimen“Come mai non mi accompagni più all'aeroporto?” lazione, ecco perché io non accompagno nessuno all'aeroporto all'inizio di una relazione. Perché alla fine le cose cambiano, e tu non la accompagni più all'aereoporto, e io non voglio sentirmi dire: Come mai non mi accompagni più all'aeroporto?" [Harry]. Oppure: “È incredibile. Tu sembri una persona normale, ma in realtà sei l'angelo della morte!” [Sally]. O, ancora, la fuga in taxi di Marie e Jess, che, fatti conoscere da Harry e Sally, si innamorano subito, e con molta più spregiudicata onestà, della coppia protagonista. FINALMENTE IL BACIO Scena finale: notte di Capodanno. Dopo una corsa forsennata per le strade di New York, Harry dichiara il suo amore. Olycom Fingere l’orgasmo, negare l’amore E, sopra a tutte, la pluricitata scena - girata al famoso Harry: “Uomini e donne non possono essere amici, perché il sesso ci si mette sempre di mezzo”. Sally: “Stai dicendo che un uomo riesce a essere amico solo di una donna che non è attraente? Harry: “No, di norma vuole farsi anche quella” IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ riprese. Tra gli altri suoi film (spesso con Meg Ryan) tutti ricordano “Insonnia d’amore” e “C’è posta per te” (di cui fu anche regista), una rivisitazione in chiave moderna del capolavoro di Ernst Lubitsch. Ha scritto anche saggi che sono diventati best seller, come “Il mio collo mi fa impazzire” e “I remember nothing”. È stata sposata con Carl Bernstein, il LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014 11 giornalista del Washington Post che scoprì lo scandalo Watergate. L’unione alla fine naufragò, ma fu all’origine della sua carriera di sceneggiatrice: insieme con Bernstein infatti Nora Ephron riscrisse la sceneggiatura di “Tutti gli uomini del presidente” (interpretato da Dustin Hoffman e Robert Redford), il film dedicato proprio all’episodio che rese celebre suo marito. Venticinque anni dopo il cult che ha rivoluzionato la commedia americana milioni di persone ripetono ancora le battute indimenticabili. Si riconoscono nei personaggi. Ma i due amici innamorati devono restare giovani o invecchiare con noi? Katz’s Deli nell’East Village - dell’orgasmo simulato da Meg Ryan al tavolo del ristorante. Dove ancor più della pellicola è leggendario il retroscena, che vuole che a interpretare il ruolo della signora che, dopo la performance di Ryan, chiede timidamente: “prendo quello che prende lei” sia stata la madre del regista Reiner. Gli eroi invecchiano? Resta comunque, al fondo di tutto il gustoso modernariato che Harry ti presento Sally ci ha regalato, la vera domanda. Che non è, come si potrebbe pensare, “ma l’amicizia tra uomo e donna è possibile?”, interrogativo al quale il film risponde evidentemente con meno esitazioni di quelle che ci avrebbe potuto far intravedere all’inizio. Ma è, piuttosto, “i personaggi che amiamo devono cambiare, oppure no?” Che cosa chiediamo a un nostro beniamino inventato, di restare così com’è o di invecchiare con noi? Donald Duck, Paperino, adesso dovrebbe avere una novantina d’anni, ha fatto notare qualcuno. Harry e Sally oggi avrebbero passato la soglia dei sessanta. Avrebbero, come Crystal, la pancetta, e come Ryan, i segni di qualche intervento estetico. Invece, il genio di Nora Ephron li consegna, alla fine del film, all’immortalità, ovvero in un placido quadretto di coppia borghese, sposata e serena, a fianco di tante altre, dopo una dichiarazione amorosa tra le più riuscite della storia del cinema (“ti amo quando ci metti un’ora a ordinare un sandwich, ti amo quando hai freddo e fuori ci sono trenta gradi”). Un finale che è un inno ottimistico alla solidità delle relazioni amorose (come ha detto Massimo Recalcati, “l’amore non è eterno, ma ogni amore degno di questo nome aspira all’eternità”), ma che è anche, supremo escamotage narrativo, la possibilità irreale e fiabesca di fermare il tempo. DI NUOVO INSIEME Meg Ryan e Billy Crystal si sono incontrati recentemente per festeggiare i venticinque anni della pellicola. Ma i fan sono rimasti perplessi davanti ai segni del tempo. Sotto, il regista Rob Reiner. Ti amo... e non è perché mi sento solo, non è perché è la notte di Capodanno. Sono venuto stasera perché quando ti accorgi che vuoi passare il resto della vita con qualcuno, vuoi che il resto della vita cominci il più presto possibile” LA DISPUTA UN SEQUEL? “FOLLIA” MA C’È CHI CI PROVA 1 989-2014. Harry e Sally si amano ancora? Alla fine della storia, i due protagonisti sono inseriti in un quadretto familiare che li accomuna alle tante coppie agé che abbiamo visto durante tutto il resto del film. “Penso che Nora Ephron sia stata geniale ad aver concluso con due finali che più romantici di così non si poteva proprio”, commenta Christian Mascheroni, scrittore, sceneggiatore e autore televisivo Mediaset e Mtv. “Era già sufficiente quella dichiarazione d’amore di Harry a Sally, quando la rincorre e la riconquista, e quell’happy ending sarebbe stato perfetto, anche se un po’ zuccheroso, da carie nei denti. Invece, la scelta finale di fotografarli addirittura come una coppia felice ma quotidiana, come con tante altre coppie apparse nel film, è una chiave di lettura geniale, perché fa capire come la felicità non appartiene soltanto ai finali dei grandi film romantici: è un happy ending duraturo, che ci si porta nella quotidianità”. MA QUEL FINALEè un finale assoluto, o lascia aperta una porta? È pensabile, anche solo concepibile, un sequel della commedia americana? Paolo Mereghetti, critico cinematografico ed eponimo del più celebrato dizionario dei film italiani (“l’unico cognome italiano che è diventato un titolo: Il Mereghetti”, ha detto qualcuno), è molto pessimista. “Direi proprio di no. Al di là del fatto che il film è così equilibrato che è molto difficile allungarlo o completarlo in qualcosa, se si facesse adesso un Harry ti presento Sally 2 bisognerebbe spiegare perché i due sono tornati a separarsi e non sono più insieme. E poi, Billy Crystol che viene a Venezia con la pancia, o lei, tutta rifatta col botox... La vedo molto dura. Io fossi un regista non ci penserei. Cercherei un’altra storia”. Comunque, aggiunge Mereghetti, “se qualcuno dovesse mai imbarcarsi nell’opera di scrivere un sequel, dovrebbe essere un’esponente del sesso femminile. Il film è stato scritto da una donna, e si vede”. E un remake? Ancora meno, secondo il critico. “Se qualcuno volesse rifare il film aggiornandolo ai giorni nostri si troverebbe di fronte a un lavoro quasi impossibile. Perché quei personaggi, quegli equivoci, quelle situazioni sono veramente il frutto di quegli anni. Scene come quella nel ristorante, in cui uno parla dell’articolo che ha scritto sul pesto, la rucola, non funzionano più in un mondo dove tutto passa attraverso internet, il virtuale. E soprattutto i rapporti tra le persone si perderebbero: chi si ricorda la scena in cui Carrie Fischer tira fuori lo schedario degli scapoli appetibili su piazza? Quelle scene sono il sale del film, e si perderebbero completamente”. Christian Mascheroni è molto più possibilista. E sogna ad occhi aperti l’impossibile-possibile seguito di Harry ti presento Sally. “Il film si riaprirebbe da una crisi, la crisi di un’immaginaria nuova figlia. Harry e Sally devono tornare a viaggiare, devono farsi altre diciotto ore di tragitto, come nel film originale, per andare dalla figlia che, in punta di matrimonio, è stata lasciata dal futuro marito. La ragazza prosegue Mascheroni - dovrebbe essere interpretata da Jennifer Lawrence, oppure da Shailene Woodley, l’attrice di Divergent”. Ma non è finita qui. “Nella mia fantasia malata pensavo che il futuro marito della figlia di Harry e Sally potrebbe essere il figlio della coppia di amici, cioè Carrie Fischer e Bruno Kirby, nel film Marie e Jess. In questo modo ci sarebbe la possibilità di rivedere anche loro due (ahimé il grande Bruno Kirby è morto otto anni fa, ndr)”, confessa Mascheroni. “Sarei molto curioso di riappropriarmi dei cardini del primo film, vissuti però a venticinque anni di distanza. Ecco, un’operazione del genere mi piacerebbe molto con Harry ti presento Sally, dove ci sia ancora un viaggio, ancora una tappa dove si fermano a mangiare - e magari vediamo se lei ha di nuovo un orgasmo, vero o finto, mentre mangia - e, infine, un battibecco”. Ovvero? “Uno dei due genitori prende le difese della figlia, l’altro no, e così si capisce nel tempo che cosa è cambiato nel rapporto di coppia”. VA BENE, ma nel possibile seguito del film che età avreb- bero i “nuovi” Harry e Sally? Li ritroviamo ai trentacinque circa in cui li abbiamo lasciati, o sono cresciuti con noi e si trovano più o meno felicemente nella loro maturità, come Diane Keaton e Jack Nicholson in Tutto può succedere? “Ho fatto un calcolo matematico”, ragiona Mascheroni, “ed effettivamente oggi Harry e Sally sarebbero una coppia di sessantenni. Ma oggi una coppia di sessantenni non è una coppia di nonnetti. È estremamente giovane. Soprattutto se ha avuto figli tardi, come sarebbe nel caso di Harry e Sally, la cui figlia avrebbe circa venticinque anni. Quindi li vedrei perfettamente anche con qualche anno in più sulle spalle”. Di opinioni radicalmente opposte la scrittrice Rosa Matteucci, che nell’ultimo romanzo Le donne perdonano tutto tranne il silenzio (Giunti) ha messo in scena una crisi di rapporti tra uomini e donne proprio su un set. “Harry ti presento Sally è una specie di cimelio, non va toccato!”, si indigna. Il film è sacro. Perché? “Perché fotografa perfettamente la natura archetipica dei rapporti maschio-femmina. Andrebbe tenuto sotto una cappa di cristallo”, spiega la scrittrice. “Con programmazione obbligatoria nelle scuole di grado superiore e inferiore”. Fr.Ch. 12 UNA GIORNATA PARTICOLARE LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014 IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ Cos’è La palestra dei piloti w Il simulatore è essenziale per imparare ad affrontare le emergenze che si presentano in aria. Fulmini, avarie, windshear, perfino il giro della morte: mettere in difficoltà jet da 300 milioni come quelli della Air Malaysia appena caduti pare impossibile Sperimentare il disastro w L’incubo di ogni passeggero: l’aereo pare fermarsi, il corpo perde peso. “Stallo”, dice la voce elettronica. E il muso del colosso di 60 metri punta a terra. È la fine. Con il computer da 20 milioni capisci cosa succede a bordo nei momenti della tragedia GIOIELLO TECNOLOGICO Uguale in tutto e per tutto a quello della Air Malaysia, il simulatore è una macchina da 20 milioni utilizzata per replicare il volo dell’aereo. È una cabina di pilotaggio vera in cui ogni strumento risponde come sull’aereo. Sul simulatore di volo “Ecco cosa provi a precipitare sul Boeing 777” di Ferruccio Sansa S enza corpo. Per un attimo ti senti così, senza peso. Come se di te fosse rimasto solo il pensiero. È una frazione di secondo. Poi, prima ancora di capire, d’istinto le mani cominciano ad aggrapparsi all’aria; il respiro, il cuore impazziscono. Guardi il comandante che ti dice: “Stiamo precipitando, non c’è più niente da fare”. La voce elettronica del computer di bordo è una condanna: “Stallo, stallo, stallo”. La velocità, che fino a quel momento ti sosteneva, diventa un nemico di cui non ti puoi liberare. Ti trascina verso terra. Il muso dell’aereo punta verso il basso, sempre più in basso, fino a scendere giù verticale, a girare su se stesso. Il Boeing 777-200 non è più un aereo: è un bestione impazzito, un gigante di centinaia di tonnellate, settanta metri di metallo, 63 metri di enormi ali. E tante vite, anche la tua. GUARDI FUORI DALLA CABINA di comando, vedi il mondo che all’improvviso ti pare irraggiungibile. È lì, con le sue case, le strade, le piccole imbarcazioni lungo la riva, ma tu ormai non ne fai più parte. È tutto inutile, il comandante che tira la cloche, che prova di nuovo a catturare l’aria con le ali. Intorno, sul cockpit, il grande quadro strumenti è tutto un lampeggiare di luci, un suonare di allarmi. Il copilota schiaccia pulsanti, spinge la manetta dei motori, ma non serve a niente: una forza immensa ti trascina giù. Gli strumenti indicano cinquemila metri, quattromila, tremila. Il mare è vicino, sempre più vicino. È finita. Ecco, questo forse hanno provato i passeggeri del Boeing 777 dell’Air Malaysia scomparso nel nulla l’8 marzo. C’è solo un modo per intuirlo. No, FONDATA SUL LAVORO Carlo Di Foggia di non capirlo fino in fondo, perché tu adesso sei su un simulatore di volo e sai che tra poco ne scenderai, che la tragedia l’hai solo vista. Immaginata. Ma è stato comunque abbastanza: il cuore ci mette minuti prima di tornare a battere tranquillo. Le mani restano gelide a lungo. Siamo su un simulatore di volo del Boeing 777-200. Uguale in tutto e per tutto a quello scomparso nel nulla. E all’altro, gemello, abbattuto la settimana scorsa in Ucraina. È molto più che un video gioco: questa è una macchina che costa 20 milioni. Che viene utilizzata dai piloti delle compagnie aeree per simulare in tutto e per tutto il volo dell’aereo. È una cabina di pilotaggio vera, presa pari pari dal Boeing 777. Ogni strumento, ogni controllo risponde come sull’aereo. Sul grande finestrino davanti a te una batteria di computer da milioni di euro proietta esattamente ciò che vede il pilota durante il decollo, l’atterraggio, il volo. Imposti l’aeroporto, come Kuala Lumpur, da dove decollò il volo 370 dell’Air Malaysia e vedi ogni singola casa. Ma soprattutto il simulatore è sospeso su quattro martinetti idraulici che fanno sentire al tuo corpo le sensazioni che prova il pilota. Insomma, giureresti di volare. E di essere davvero precipitato. Se non fosse che poi, terreo in volto, alla fine tu scendi. È dunque questo, precipitare. L’incubo di tutti i passeggeri. Ma resta il grande mistero: come è potuto succedere? Già, perché nella cabina del simulatore il comandante e il copilota hanno davvero dovuto provarle tutte per far cadere questo aereo tra i più sicuri al mondo, come l’arci-rivale, l’Airbus A340: trecento milioni di dollari di tecnologia, di sistemi di sicurezza messi a punto in decenni di esperienza. Prima di precipitare il comandante, con migliaia IL LIUTAIO tomaggiore, campagna ferrarese, Riccardo Mordeglia, 26 anni, sguardo attento e viso gioviale da emiliano, leviga il legno di una chitarra manouche, mentre racconta l'antica arte della liuteria come fosse una strada che imbocchi fra le tante. Niente sapere tramandato, niente passaggi di padre in figlio. Lo stereotipo della vecchia bottega, dell’artigiano figlio d'arte non appartiene più a un mestiere in evoluzione: “All'inizio degli anni '90 la liuteria stava morendo perché gli anziani escludevano i giovani - ci spiega - Volevano restare nicchia, si arroccavano un po' per il riflesso del custode geloso, un po' per poterti dire che 'il lavoro è complesso, serve tempo e ti costerà parecchio'. Fortunatamente i ragazzi hanno salvato il mestiere”. Senza vocazione o eredità, la bottega è una scelta casuale: “Sono laureato in scienze politiche, ho fatto concorsi e spedito curriculum a raffica come tutti: non è servito a niente. Ho sempre suonato e fatto piccoli lavoretti sulla chitarra, poi ne ho fatta una per intero. Mi piaceva, ero disoccupato, ho pensato di farne un mestiere”. Che non sempre si impara osservando: “Frequentavo le storiche botteghe che qui, nel triangolo Bologna-Ferrara-Ravenna, vantavano tradizioni illustri. Ma i maestri sono gelosi, cercano di non farsi soffiare i segreti della lavorazione. Così sono andato alla scuola di Gubbio”. Il difficile, racconta, è farsi un nome, perché “conta soprattutto il passaparola in un piccolo paesino come il mio, dove se vengono da te è perché vanno a colpo sicuro, non ci capitano per caso”. In di ore di volo sulle spalle, te lo dimostra. Simula ogni possibile avaria. “Se si rompe un motore?”, chiedi. E il computer spegne il reattore di sinistra. Neanche te ne accorgi, l’aereo non ha un minimo scossone. “Roba da niente”, sorride il comandante. Andiamoci giù duri. Ecco il monitor a cristalli liquidi - che, istante per istante, segue il funzionamento dei reattori - segnala il malfunzionamento, poi la spia che suona: incendio. Il comandante schiaccia un pulsante sul soffitto della cabina, un getto di schiuma estingue le fiamme. E si prosegue. ANCORA PEGGIO: il windshear, uno dei nemici più temuti dai piloti, quei colpi di vento improvvisi che in fase di atterraggio e decollo investono gli aerei e li sbattono al suolo. Ci avviciniamo alla pista, ma prima che la raffica arrivi una voce elettronica avverte: “Windshear”, e il pilota riprende quota. Tutto ok. Allora senza avvertire il comandante gli tendi una trappola: sei a un passo dalla pista, il momento più delicato, quando il velivolo è più instabile. Il computer simula uno windshear, ma ci mette insieme un fulmine che colpisce un motore e lo mette fuori uso. Tre emer- genze insieme, ma i piloti in una frazione di secondo reagiscono e tutto fila liscio. Si tocca terra incolumi. “Anche se si spaccano entrambi i motori possiamo procedere per quasi cento chilometri in planata. E dalla coda esce una piccola elica che produce energia per far funzionare gli strumenti anche in caso di blackout”, sembrano invincibili i jet delle ultime generazioni. “Guardi cosa possiamo fare con questi aerei”, ti sfida il comandante. E punta il muso dritto verso il cielo. Roba da farti drizzare i peli delle braccia. Sale, sale, sale, poi si capovolge. Il giro della morte con un colosso da trecento passeggeri. Si potrebbe fare, anche se non è proprio la manovra più consigliabile. Ma allora che diavolo è successo quell’8 marzo al volo 370? Che cosa ha messo in crisi un aereo che ha meno di un incidente ogni tre milioni di voli? Chissà se lo sapremo mai. Si può chiamare destino, è qualcosa che non bastano tutti gli ingegneri e i sistemi di sicurezza del mondo per prevenire. Tu, però, adesso sai cosa devono aver provato a bordo. E ti senti quasi in colpa mentre te ne torni a casa incolume. I NUMERI Riccardo, l’ultimo custode del jazz zingaro emiliano ui sono rimasto solo io, testimone di una cultura secolare Q che ha padre austriaco e madre emiliana, ma sopravvive più tra gli zingari delle periferie francesi che nella sua culla”. Por- La cabina di pilotaggio di un aereo di linea UNA TRADIZIONE UNICA L'Italia vanta la più antica tradizione liuteristica. Senza scomodare Antonio Stradivari (1644-1737), dalle famiglia Guarnieri e Galliano, a Gasparo da Salò Giovanni Paolo Maggini, i più grandi sono italiani. questo sobborgo agricolo alle porte di Ferrara LE SCUOLE D’ECCELLENZA lui è un'istituzione. L'ultimo liutaio di chitarre La più antica e blasonata è quella di Cremomanouche, quelle del gypsy jazz suonato da na, sede dell'Associazione Italiana Liutai. funamboli come Django Reinhardt, Bireli e Importanti anche Milano, Gubbio e Parma. dai gitani di mezzo mondo. “Soprattutto dalla comunità zingara francese, Manouche vuol AFFARI IN CRESCITA dire proprio zingaro in francese”. Eppure, questa particolare chitarra a corpo largo, con Le stime più attendibili parlano di circa 500 un lato tagliato e le corde molto tese fissate liutai sparsi per l'Italia. Il giro d'affari è in con una cordiera metallica che ricorda i viocrescita: solo le botteghe di liutai aderenti al lini è nata proprio qui, nelle campagne del “Consorzio Antonio Stradivari” sono 64, triangolo emiliano-romagnolo: “Deriva dalle con un giro d'affari di 4,8 milioni l'anno. leggendarie chitarre Maccaferri, che si rifanno allo stile di quelle austriache dell'800. A Riccardo Mordeglia nella sua bottega metà del dediciannovesimo secolo Ferrara fu occupata da un contingente dell’esercito austriaco, che si accam- jazz, ma per riprendere una tradizione della zona che dopo di me pò alle porte della città: ci hanno lasciato lo strudel e questo stru- rischia l'estinzione. Ma ci pensate? Uno strumento famoso nel mento alieno e bellissimo che poi i liutai della zona hanno tra- mondo, che ha le sue radici in un posto che lo ha dimenticato”. mandato per secoli, grazie anche agli ebrei della città, perché il Per Riccardo, il fine della memoria attenua le difficoltà. “Per riusuono della musica ebraica somiglia molto a quello del jazz ma- scire a mantenermi - spiega prima di salutarci - bisogna adattarsi nouche”. Tracce di una tradizione che sta scomparendo. “Non c'è un po', la clientela è sporadica e per fare una chitarra ci vuole un più nessuno che lavora questi strumenti, sono rimasto solo io”, ci mesetto, non è come nell'elettrico, dove si lavora meno ma si racconta mentre sbuffa via la polvere di legno che si è accumulata fanno più soldi. Così mi sento più libero, senza l'assillo di clienti sopra una chitarra. Quano la ripone, osserva la sua bottega (“co- che hanno richieste incredibili e di applicare prezzi stellari. La struita da solo senza l'aiuto di nessuno, perchè nessuno mi voleva liuteria è un arte semplice”. dare un finanziamento”) e ci spiega che, anche volendo, non potrebbe andarsene: “Non lo faccio solo perché mi piace il gypsy LEZIONI DI SPORT IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014 13 8 • CICLISMO Bilanci e consigli w Date retta a me, quest’anno non ce n’era per nessuno: Contador era già in difficoltà prima del ritiro. Nibali era il più forte, senza ombra di dubbio. Il Tour l’ha vinto sulla prima salita delle Alpi, la Grande Boucle è finita quel giorno. Il passo del grimpeur è diverso, anche il fisico è diverso ma il ciclismo moderno fa meno distinzioni di una volta, in montagna puoi fare la corsa o pensare a difenderti, un buon passista può restare alla ruota di uno scalatore e evitare ritardi catastrofici. Non è facile, ma succede. FELICE GIMONDI “Se vuoi fare il ciclista lascia incubi e paure” Chi è IL POSTINO CAMPIONE Felice Gimondi è nato a Sedrina il 29 settembre 1942. Fu uno dei pochi a contrastare lo strapotere di Eddie Merckx. Professionista dal 1965 al 1979, è uno dei sei corridori ad aver vinto tutti e tre i grandi Giri, cioè Giro d'Italia (per tre volte, nel 1967, 1969 e 1976), Tour de France (nel 1965) e Vuelta ( nel 1968). Si aggiudicò anche due Gran Premi delle Nazioni, una Parigi-Roubaix, una Milano-Sanremo e un campionato del mondo (1973). A lato Felice Gimondi oggi e qui sopra, al Giro, con Adorni e Motta LaPresse di Elio Pirari P rima di Merckx “Il Cannibale” era lui, poi arrivò Eddy. Arrancare dietro il belga nella Parigi-Roubaix, scavallare il Gavia, il Col du Galibier e l’Angliru era come fare un eroico viaggio nella speranza, ci voleva un bel fegato, una grande incoscienza e una inconscia vocazione al fallimento. Merckx era una scintilla, un’energia sospesa, forse un fantasma. Ma non ci fosse stato lui non ci sarebbe stato Felice Gimondi. Nonostante “Il Cannibale” tuttavia Gimondi è stato uno dei più grandi corridori di ogni tempo, uno dei sei (gli altri sono Anquetil, Merckx, Hinault, Contador e Nibali), a vincere almeno una volta le tre grandi corse a tappe, Giro, Tour e Vuelta. Gimondi, sedici anni dopo Pantani, Nibali ha vinto il Tour. Vincere in Francia non è una sciocchezza ma dominare il Tour, perché questo ha fatto Nibali, è un’impresa. Vincenzo è stato perfetto, nessuno è mai riuscito a metterlo in difficoltà, ha fatto sempre quello che ha voluto. posto disponevamo le panchine su un prato di Isallo, in Val Maremola e aspettavamo il passaggio del gruppo. Come si chiamava suo padre? Gimondi Mosè. Quindi il suo è stato un vero e proprio attraversamento del deserto... Quando superai gli esami di quinta elementare mi regalò la mia prima bicicletta, un’Ardita rossa, bella, fiammante. Da quel giorno non rubai più quella della mamma, che faceva la postina. La prima bicicletta da corsa? Una roba con i fiocchi, una Mazzoletti color argento. A scuola andava volentieri? Per seguire le orme paterne dopo le elementari mi iscrissi a un corso di tecnica meccanica ma la meccanica non mi coinvolgeva molto, o forse non ero un genio. Lei non è nato ciclista. Che lavoro faceva prima di dedicarsi anima e corpo alla bicicletta? Prima il supplente postino e poi il postino, mamma serviva Sedrina, io le frazioni. La sua prima gara? Cadendo Contador gli ha dato una mano. Dia retta, non ce n’era per nessuno: Contador era già in difficoltà prima del ritiro. Nibali il Tour l’ha vinto sulla prima salita delle Alpi, la Grande Boucle è finita quel giorno. Il modo di correre di Nibali le ricorda il suo? Come me legge molto bene la corsa e sa far correre la squadra, è un tattico ma ha fiuto, sa quando è il momento di affidarsi alle gambe. Cosa vuole dire questa vittoria per il ciclismo italiano? TATTICA E SENSIBILITÀ Un ciclista capisce quando affidarsi alla squadra e quando alle gambe. ALLENARE IL FISICO Fate molta ginnastica. Io avevo due addominali così. METTERSI A RUOTA Se non siete scalatori, state a ruota dei grimpeur. Evita catastrofi. Intanto che non siamo da buttare via, che la nostra è una grande scuola e che dietro a Nibali ci sono ragazzi in gamba, penso a De Marchi, Trentin, Aru. Quando ha cominciato a correre? Mio padre era un maniaco della bici, faceva il camionista e spesso, per non dire sempre, ci caricava sul camion e ci portava a vedere le corse, la tappa obbligata era il Giro di Lombardia. Su quel camion saliva un popolo, ci caricava in quaranta, una volta sul A Treviglio, dove c’era la fabbrica della Bianchi, andammo lì con il solito motocarro, durante la gara finii a terra tre volte, al traguardo sembravo un reduce di guerra. Chi la convinse a fare il ciclista? Nessuno, e nessuno mi ha insegnato nulla. Ho imparato a correre sul libro di Ambrosini, l’allora direttore della Gazzetta, in quelle pagine c’erano i segreti per diventare un buon ciclista. Un corso per corrispondenza. E Ambrosini cosa scriveva? Che bisognava fare molta ginnastica. Finì che mi vennero due addominali così, non la smettevo più, di fare ginnastica, d’inverno, d’estate, sempre. Le prime gare? Cominciai a correre all’oratorio, ma con calma, lì non c’era lo sponsor che pretendeva risultati. Come si diventa un buon discesista? Io vivevo a Sedrina, in Val Bembrana, Sedrina è tutta un saliscendi, quando non lavoravo mi buttavo a pesce lungo i dirupi, ho imparato così. Le salite hanno fatto la storia di questo sport, gli scalatori fanno una preparazione specifica? Il passo del grimpeur è diverso, anche il fisico è diverso ma il ciclismo moderno fa meno distinzioni di una volta, in montagna puoi fare la corsa o pensare a difenderti, un buon passista può restare alla ruota di uno scalatore e evitare ritardi catastrofici, non è facile ma a volte succede. Per un velocista lo Stelvio è l’inferno... Il velocista è l’espressione della potenza, la velocità di punta di alcuni di loro è impressionante. Ma sprinter si nasce, difficilmente si diventa, non ho mai conosciuto un buon passista trasformarsi in un uomo da volata. L’alimentazione e i regimi di vita quotidiana quanto contano? AVERE TIMORI I ciclisti non hanno nè incubi, nè paura. A parte il pavè e la pioggia. ECCEDERE NEI TATTICISMI Oggi vedo tanta tattica. Bisogna lasciare libertà ai giovani. MANGIARE MALE L’alimentazione è essenziale. Soprattutto la colazione. E poi serve una dieta vegetale. Oggi le diete vegetali sono fondamentali, frutta, yogurt, riso, pane di farina integrale biologica, ma la sera bisogna nutrirsi di carne o pesce. La colazione del mattino è la più importante della giornata perché prepara l’atleta agli sforzi prolungati. I discesisti hanno una tecnica particolare? Ma no, è una questione d’istinto, e di dove nasci. Gli spagnoli fino a qualche anno fa erano negati perché correvano su strade sterrate, gli mancava il colpo d’occhio e l’abitudine alla velocità. Una cosa è scendere a 55 chilometri orari, un’altra a settanta. L’incubo dei ciclisti è la caduta. I ciclisti non hanno incubi e non hanno paura. Forse della pioggia, o del pavè. Se cadi alla Parigi-Roubeaux è un casino. Io però riuscii a superarmi a un Giro delle Regioni. Finii dentro a un tombino, diagnosi trauma cranico e una clavicola a pezzi. L’episodio che ricorda di più? A cinque o sei chilometri dal traguardo di Laigueglia trovai un passaggio a livello chiuso. Il dettaglio è che sui binari c’era il treno. Qualcuno di noi lo superò infilandosi sotto, io mi misi la bici in spalla e passai da una porta all’altra del vagone. E i passeggeri come la presero? Provai a metterli a loro agio, sembrava un film di Monicelli. C’è continuità tra il suo ciclismo e quello di oggi? No, il problema del ciclismo di oggi è il tatticismo esasperato, i ragazzi sembrano marziani. Io dico che bisognerebbe lasciargli più libertà. È vero che senza Merckx avrebbe vinto più di Coppi? Non esageriamo, avrei vinto cinque Giri e tre Tour. Riesce a immaginare il condizionamento mentale che può trasmetterti una bestia così? Eddy per strada non lasciava nulla. Eravate amici? Lo siamo diventati, una volta gli dissi “Guarda Eddy che tu non sei “commerciale”, se ogni tanto perdi diventiamo più ricchi tutti e due”. E lui? Mi offrì un mezzo whisky. Il giorno dopo montò in bici e come gli capitava sempre si trasformò, gli venivano gli occhi piccoli come fessure, cambiava proprio connotati, dottor Jekyll e mister Hyde. Quando arrivò lui dovetti rinunciare al mio istinto e modificare il modo di correre. Però l’ho battuto tre volte, a cronometro, al Giro del ’76 e al Mondiale, in volata. 14 TUTTI AL MARE LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014 D’estate coltivate i vostri sogni ANGELA MERKEL AMA L’ALTO ADIGE OPPURE ISCHIA. PUTIN SFOGGIA IL PETTO IN SIBERIA, OBAMA OSCILLA TRA L’ATLANTICO E IL PACIFICO ABITUDINI E TIC DEI POTENTI IN VACANZA di Andrea S di Michelle Obama* Lady è venuta a sentire che cosa lo. Ma l'estate è davvero uno dei farete quest'estate. Dopotutto, è momenti più importanti dell'anGRANDI ASPETTATIVE Ora voi estate, no? Insomma, si pensa no per giovani come voi. E spero che l'estate sia quel tempo di averlo capito quando avevo la ragazzi state facendo grandi coW:66.855pt H:56.514pt che serve per dormire, anda- vostra età. Perchè se avete grandi se. Ma mi immagino che forse re in piscina, e poi per vincere sogni - e so che li avete - se volete qualcuno di voi si stia/FATTO/Foto/Loghi/ng_microfono~851* chieal video-game. E voi potete far- andare in un college, trovare un dendo perchè la First buon lavoro, ottenere il massimo, allora l'estate non può essere solo vacanza. È veramente un periodo per andare avanti. Pensate a tutta la gente in giro nel mondo - gli atleti, quelli che vedete nei campi di basket o di foot- Il cafonal è senza Valdambrini ono finiti i tempi d’oro del cafonal globale? Una volta c’era Silvio Berlusconi a portare avanti la bandiera in Italia e nel mondo. Erano i giorni in cui il “bunga bunga” varcava i confini e una breve vacanza a Villa Certosa si trasformava in un incontro al vertice con l’allora premier ceco Mirek Topolanek, ritratto completamente nudo nelle foto di Antonello Zappaddu (censurate in Italia ma pubblicate da El Pais in Spagna). Accanto ai navigati politici, un contorno di ragazze che prendono il sole in topless o seminude. D’altronde nella sua villa in Sardegna le vacanze per eccellenza, quelle di ferragosto, si celebravano con l’eruzione di un piccolo vulcano privato, che pur essendo niente più che una finzione teatrale, è riuscito ad allarmare gli abitanti della vicina Porto Rotondo. Apoteosi del cafonal. Come dimenticare, poi, i momenti di relax con l’amico Putin, tra discussioni d’affari, lettoni ed escort? IL SUSSIDIARIO FRANÇOIS HOLLANDE Il presidente francese ha sempre privilegiato la tradizione della Costa Azzurra, a Fort de Bregançon. Dopo gli scandali sentimentali, però, la sua estate si annuncia più sobria. HAWAI PACIFICO Arcipelago dell’oceano Pacifico, dal 1959, uno stato degli Usa ISCHIA ITALIA Località turistica più che famosa, è la terza isola italiana più popolosa dopo Sicilia e Sardegna. BREGANÇON FRANCIA Sperone roccioso di 2000 metri quadri. Residenza del presidente francese. CANARIE SPAGNA Arcipelago di sette isole al largo dell’Africa occidentale. SIBERIA RUSSIA Luogo adibito alla deportazione dei dissidenti, è anche meta delle ferie russe. Olycom A RAPPRESENTARE LA QUINTESSENZA delle vacanze cafonal nel mondo ormai è rimasto proprio Vladimir Putin, colui che ha reso anche le ferie un momento chiave della propria muscolare propaganda. Nel 2009 Putin viene ritratto da un “fotografo di corte” del Cremlino, durante un weekend estivo nel sud della Siberia. Lo si vede cavalcare a torso nudo nella natura selvaggia, nuotare virile nel ruscello di montagna, accarezzare lo stesso cavallo, pescare in un altro ruscello, sorridere sornione in posa da cow-boy, fare tutti gli sport immaginabili in mezzo alla foresta basso-siberiana ed altre amenità simili. Deve essersi molto stancato, dato che più di recente l’hanno avvistato dalle nostre parti. Non è dato sapere se sia passato in Versilia, dove i russi abbondano, ma certo ha fatto un salto a Porto Ercole, nell’Argentario. La visita in Toscana si deve, pare, alla ricerca di una villa per le vacanze. Mentre Putin fa acquisti, comunque, non si dimentica di dispensare consigli patriottici. Niente gite e campi scuola all’estero, ha annunciato il Fronte Popolare, un movimento vicino al presidente, soprattutto per i figli dei funzionari delle società statali. Adesso, come ai tempi dell’Urss c’è il sole della Crimea che pare fatto apposta per le gite fuori porta dei russi. TUTT’ALTRO STILE PER ANGELA MERKEL, quasi l’antitesi di Putin. Di suo, la cancelliera tedesca è abitudinaria, una che in vacanza ama riservatezza e tranquillità, facendo di tutto per tenere lontani i paparazzi. L’austerità sembra la cifra dei suoi vestiti comodi e non vistosi, senza troppe differenze tra quelli che sceglie a Berlino o in vacanza. Villeggiatura estiva in montagna – stesso albergo, stessa valle -, sci invernale e per Pasqua il golfo di Napoli, come il più comune dei suoi connazionali che seguono le orme dei viaggiatori del Grand Tour. Sempre accompagnata dal marito Jochin Sauer – talmente riservato che se potesse vorrebbe venire trasparente in fotografia - la cancelliera è arrivata giusto pochi giorni fa in Alto Adige. Eppure esiste anche una versione di Merkel in costume al mare. Ed è lì che il cafonal è in agguato. Per la pausa di Pasqua la mèta scelta da anni è l’Hotel Miramare a Ischia: 5 stelle, vista mare con piscina, spa e spiaggia privata, prezzi da oltre 700 euro a notte per la suite. Proprio durante i numerosi soggiorni a Ischia, la Merkel è stata ripetutamente “paparazzata” anche in costume nonostante le proteste del suo staff e i singolari espedienti anti-fotografi, come un ombrello usato per difendere la privacy, che ha però ottenuto l’effetto di attirare ancora di più l’attenzione su di lei. Unica consolazione: essere in Italia, ma comunque qualche centinaio di chilometri di distanza da Sivlio BARACK OBAMA Il presidente Usa alterna le vacanze tra le Hawai, nel Pacifico, e l’isola Martha’s Wineyard di fronte alla costa Est. Con moglie, figli e cani al seguito. DAVID CAMERON Tradizione britannica per il premier inglese che si sposta dalle Canarie al “Chiantishire”. Ansa LaPresse Berlusconi. LE FERIE DI DAVID CAMERON sono invece lontane dal paradigna putiniano. Ma anche nel suo caso, il cattivo gusto non manca. Come tutti gli inglesi che si rispettino il premier britannico trascorre i momenti di relax alternativamente in Spagna oppure nella campagna Toscana. I fotografi lo immortalano a Lanzarote, nelle Canarie, a passeggio con la moglie Samantha e i tabloid si divertono a fargli le pulci sui vestiti, criticando lo stile molto casual del primo ministro quando si allontana da Downing Street: polo, pantaloni corti, camicia fuori e soprattutto, avverte il Daily Mail, dei mocassini color beige da 25 euro già visti l’estate prima in Portogallo. Quando non può allontanarsi troppo da Londra, Cameron sceglie le spiagge della domestica Cornovaglia. Ma la meta estiva preferita rimane la Toscana, più precisamente quel Chiantishire che ha ospitato per anni il suo predecessore Tony Blair. Sempre accompagnato dalla moglie e dai tre figli, ha passato le prime vere vacanze da quando era al governo nella tenuta Petrolo, in Valdarno. Residenza di lusso, certo, ma da Londra ci hanno tenuto a far sapere che il conto non è a carico dei i contribuenti inglesi: l’affitto dal 11.000 euro a settimana e il biglietto di aereo su Firenze se li è pagati Cameron di tasca sua. POCO CAFONAL FRANÇOIS HOLLAND, che prova a stare il più possibile al riparo dal gossip, nonostante le sue avventure sentimentali con l’attrice Julie Gayet abbiano occupato non poco spazio sui giornali. Sarà per lui la terza pausa estiva dall’inizio del mandato, ma le IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ ball; i presentatori della tv o del palcoscenico; i vostri insegnanti, che vi danno stimoli ogni giorno in classe. Bene, tutti questi lavorano sempre. Lavorano per tutta l'estate, e dopo che la stagione finisce... quando il tour musicale finisce, quei musicisti che amate tornano nella sala prove a perfezionarsi. Quando la scuola finisce, i vostri professori spendono l'estate per imparare e sviluppare nuove strategie per aiutarvi l'anno prossimo... Qualunque cosa facciate nella vita, ognuno di voi deve leggere, leggere, leggere. Ecco quel che il Presidente dice alle nostre figlie. Ci sono biblioteche che ospitano programmi di lettura estivi. Ci dovete andare e prendere dei li- frontiere bri, magari sui temi che non conoscete molto. Perchè leggere potrebbe essere la cosa più importante per il vostro futuro. Non lo farete mai abbastanza. So che i genitori ve lo dicono, e noi stessi a casa ci battiamo perchè i nostri Il cafonal è italiano, ma non solo… Si, ma intanto facciamo una premessa. Bisogna dire che sono cambiate un sacco di cose, ormai. Non c’è più il cafonal di una volta? Eh no. Adesso con internet e i social tutto è diventato visibile, trasparente, messo in mostra dagli stessi protagonisti. Avanti con trippe, smagliature e via cafoneggiando. A che servono più i paparazzi, a questo punto? Pensa a Rihanna, a Miley Cyrus. Oppure da noi la Marcuzzi che fa la lesbica con Asia Argento. Invece prima? Una volta la panza di fuori in spiaggia faceva subito notizia, perché se ne vedevano proprio poche. Quando abbiamo iniziato con Dagospia, una decina di anni fa, era tutta un’altra cosa da questo punto di vista. Basti pensare a quando abbiamo messo Eco in spiaggia straripante, sembrava di vedere qualcosa di nuovo. In fondo è proprio la spiaggia il luogo classico dove ti incafonisci, no? Insomma, se oggi si vede tutto, come si fa a fare notizia? Solo l’eccesso fa successo, ma ormai l’eccesso è ovunque. Ma una come la Merkel, per esempio, può rientrare nel cafonal? VLADIMIR PUTIN Il presidente russo fa spesso le vacanze in Siberia dove si esibisce a cavallo o nella pesca virile. Hai visto come si veste? Ma chi gliele disegna quelle giacche agghiaccianti? Struttura a tenda canadese e col fiancone, è sempre vestita in uno stile che oscilla tra il robotico e il militare. Ovunque vada non si smentisce, sarei proprio curioso di scoprire chi è il suo sarto. Meno male che a Ischia l’abbiamo pure vista in costume e siamo riusciti a capire che in fondo è umana, una come tutti noi. LaPresse precedenti non sono state troppo tranquille. Seguendo una tradizione che risale a De Gaulle e arriva a Sarkozy, Hollande aveva scelto nel 2012 la tenuta presidenziale di Fort Bregançon, una piccola isola in Costa Azzurra. I pochi giorni a cavallo di Ferragosto trascorsi nel Mediterraneo avevano già mostrato un presidente impacciato e la sua compagna di allora, la giornalista Valérie Trierweiler in forte imbarazzo per l’assalto dei paparazzi. Così l’anno dopo il presidente decide di non allontanarsi troppo da Parigi, fermandosi a La Lantèrne, antico padiglione di caccia dalle parti di Versailles. Ambiente di lusso con piscina e campo da tennis privato, ma soprattutto di difficile accesso ai fotografi di tabloid. Il prezzo da pagare alla privacy, valuta la Corte dei Conti transalpina, si aggira sui 200.000 euro all’anno. E BARACK OBAMA?Dell’inquilino della Casa Bianca non vedremo mai pancia o costumi da bagno esagerati, né momenti troppo privati. Sappiamo che opta per le Hawaii, dove è nato 53 anni fa, durante la pausa invernale e per l’isola di Martha’s Vineyard, nel Massachussets, in agosto. Quando si sposta a bordo dell’Air Force One insieme a Barack ci sono Michelle, le due figlie Sasha e Malia e pure i due cani di famiglia, Bo e E pure Berlusconi sulla Merkel non si è risparmiato commenti. Si, ma quello col Cafonal con c’entra nulla. Quella di Berlusconi è maleducazione pura: uno che sta nella sua posizione istituzionale Sunny . Sull’isola hawaiana di Ohau li aspetta ogni anno la stessa residenza di lusso, nei cui giardini, immancabilmente, il presidente fa golf o jogging e amministra le sorti del mondo con i collaboratori in maglietta, occhiali da sole e cappellino da baseball. O almeno, questo è quello che di lui viene fatto vedere attraverso i media. Ma se le Hawaii sono una novità tutta obamiana, molto più istituzionale è la tenuta di Martha’s Vineyard che accoglie il presidente ogni agosto, come faceva con i Kennedy e poi Bill Clinton. Niente paparazzi in giro, ma molte polemiche sui costi della sicurezza come sull’opportunità di allontanarsi troppo a lungo da Washington. “Se fossi presidente io, in vacanza non ci andrei”, ha detto la repubblicana Sarah Palin. Anche e soprattutto perché Martha’s è ancora un luogo simbolo per il partito bambini spengano gli schermi e prendano in mano un libro. Davvero, la lettura farà molto per voi. Prendete in mano quei libri ed entrateci dentro. *discorso agli studenti di Washington “Com’era bello il cattivo gusto!” darci indicazioni su come si muovono i politici nel mondo? Lo raggiungiamo al telefono mentre si occupa di cose italiane. Ma non rinuncia a dire la sua. Olycom 15 DAGOSPIA hi meglio di Roberto D’AgoC stino, direttore del sito Dagospia ed esperto di “cafonal” può ANGELA MERKEL Anche la cancelliera tedesca ha offerto materiale fotografico al gossip mondiale. A Ischia, in costume, secondo Dagospia avrebbe una mise migliore dei tradizionali completi con giacca esibiti nell’attività politica LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014 non si dovrebbe permettere neanche lontanamente… Restiamo sugli amici di Berlusconi nel mondo: cosa pensa di Vladimir Putin e le sue foto in Siberia? È una tradizione che viene da lontano, direi da Mao Tse-tung, e che passa pure per Kennedy, con le sue immagini curate e idilliache. Naturalmente quelle immagini del macho del Cremlino sono tutta una costruzione per dare un’immagine di potere. Di uno che tra l’altro vuole ritirare su una specie di Urss. Più propaganda politica che cafonal, allora? Guardiamo come nasce il fenomeno. Molto prima di Dagospia c’era il Borghese (la rivista di destra fondata da Leo Longanesi e pubblicato dal 1950 al ’93, ndr). Loro prendevano i politici della Prima Repubblica alle prese con pasti sproporzionati. Oppure pubblicavano la foto dei comunisti sovietici. Era un cafonal un po’ ante-litteram, ma il concetto è rimasto lo stesso Putin non è certo l’unico politico che costruisce così tanto la propria immagine. Ovvio, basta guardare qui da noi. Da una parte c’è Renzi che è uno che si fa fotografare oggi in bicicletta, domani con la racchetta da tennis. Dall’altra la Boschi, sua fedele adepta, di cui si commentano molto più le forme che l’azione politica. Anche tutte le storie su un’ipotetica liaison tra i due è semplicemente una questione di immagine. È molto costruito… Ma anche con Obama le cose non sembrano troppo differenti? Intorno a lui è tutto ipercontrollato, quasi peggio della Russia di Putin. Per quello vedi solo Obama in tenuta da golf oppure quando si va a prendere un hamburger. Cafonal di Stato? Il cafonal è una cosa che se la provi a bloccare da una parte ti esce dall’altra. La gente vuole vedere i potenti e famosi in mutande sulla spiaggia, non glieli puoi mica togliere. Questo i politici più furbi in fondo lo sanno. @andreavaldambri democratico. INSOMMA, PER TROVARE IL CAFONAL, quello vero, i potenti del mondo non sono più il massimo. Forse per colpa della crisi, che riduce i conti pubblici e anche la vanità. Forse per colpa dell’età. Per scoprire un cafonal sempre verde, allora, è meglio dare un’occhiata al mondo dello spettacolo e al classico abbinamento calciatori-veline. Lì c’è tutto l’armamentario: spiaggia, vestiti improponibili, costumi pacchiani, nudità e forme ritoccate. Soprattutto, ci sono gli immancabili selfie, che pure piacciono molto al nostro Matteo Renzi. Come quello di Cristiano Ronaldo e la fidanzata Irina Shayk, russa e ovviamente modella, che sono a Mykonos a scattare selfie per poi postarli subito sui social. Questa sì, ultima frontiera del cafonal international. 16 AGENDO LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014 PENSA COME MANGI di Gian Luca Mazzella PAESI TUOI a cura di Silvano Rubino agenda.paesituoi@gmail.com La Val d’Orcia in piena forma per una estate targata Unesco RAMASSIN DELLA VALLE BRONDA A una ventina di chilometri da Saluzzo, fra la Valle del Po e la valle Varaita, c’è una piccola e caratteristica area dedita all’agricoltura pedemontana: la Valle Bronda. Qua da secoli trova espressione una delle migliori susine al mondo: denominata “Ramassin” (Darmasin in altre vallate), riscoperta una decina di anni fa e oggi coltivata su nemmeno una trentina di ettari. Il nome Ramassin pare alludere alla provenienza di questa varietà, ossia Damasco, antica città della Siria: fu probabilmente portata dagli Arabi, insediatisi in Piemonte intorno all’anno Mille. Fu però diffusa nel nord-ovest dai frati Benedettini francesi. È una pianta rustica, che non necessita di trattamenti particolari, ed è molto resistente al gelo, e dunque particolarmente adatta ai terreni più impervi e alla coltivazione biologica. Proprio in questi giorni, e non per molti altri, si procede alla raccolta manuale dei frutti che, essendo molto delicati, si fanno cadere su reti sospese evitando un contatto brusco col terreno, e poi vengono trasportate in cestini. Questa susina minuta ha colore blu-violetto, con buccia sottile, quasi trasparente. È molto profumata e gustosa: dolcissima, con polpa carnosa che si stacca facilmente dal nocciolo. Si trova in vendita fra i 3 e i 5 euro al chilo. Da provare fresca, ma anche essiccata o trasformata in confettura (e in gelato), dato che ha meno acqua di altre susine. Rispetto a cui ha molta più fibra (7 grammi ogni 100 contro i 1,4 di una susina normale), più vitamina C (9,4 mg ogni 100 grammi contro 5 mg) e più antociani. ltimi in ordine di tempo sono stati Langhe, Roero e MonU ferrato, dichiarati dall'Unesco patrimonio dell’umanità. Ma ci sono altri luoghi d’Italia dove il miracoloso equilibrio tra natura e intervento dell’uomo costituisce un bene così prezioso da essere inserito nella lista Unesco. Tra questi, la Val d’Orcia, scampolo di terra toscana fatta di dolci colline disseminate di vigneti, oliveti, cipressi che, grazie alla sua posizione strategica lungo la via Cassia, ha conosciuto sviluppo e prosperità, in particolare tra Medioevo e Rinascimento. Le testimonianze di quell’epoca ora sono bellissimi borghi arroccati, rocche e abbazie. Il Parco Artistico Naturale della Val d’Orcia, voluto da 5 comuni dell’area, racchiude già nel nome la doppia valenza dei suoi obiettivi: tutelare e promuovere il patrimonio di natura e cultura (anche enogastronomica) di queste terre. In quest’ottica si pone il Festival Valdorcia, che porta lo spettacolo negli angoli più belli dei borghi: si parte il 27 con la classica dei Solisti del MusicalGiglio e si prosegue lungo generi e artisti molti differenti, come il racconto su De André di Andrea Scanzi e Giulio Casale, la voce di Ginevra di Marco, il mix inedito tra musica, teatro, fumetti e tradizione popolare di Sergio Staino, Maurizio Geri e Giacomo Tosti (sino al 15 agosto, www.parcodellavaldorcia.com). A poca distanza, in un altro scenario incantato, tra le vestigia dell’abbazia di San Galgano a Chiusdino (Si), comincia l’ Estate musicale”, con jazz, classica, operetta (31 luglio-2 settembre, www.estatemusicalesangalgano.it). Sempre a Chiusdino, nella frazione di Ciciano, si disputa, in questi giorni, il Torneo di Palla Eh!, antichissimo gioco con qualche analogia con il tennis moderno, abbinato con la Sagra del Ciaccino (sino al 3 agosto, pallaeh.blogspot.it). © Lunedì 28 luglio Doppio Flavio Sesto San Giovanni, Carroponte, ore 21.30 www.carroponte.org Due artisti, una sola passione: il teatro canzone. Flavio Oreglio e Flavio Pirini portano sul parco del Carroponte “Non è un progetto – Canzoni e parole sparpagliate”, in uno spettacolo inedito in equilibrio tra musica, cabaret, riflessione e ironia. A ROMA, all' “Eutropia Festival”al Testaccio sono di scena i Tiromancino, con il tour che legato al disco “Indagine su un sentimento” (ore 21, www.eutropiafestival.it) © Martedì 29 luglio Festival paradisiaco Oristano, sino al 16 agosto www.dromosfestival.it “I giardini dell'Eden” è il tema della sedicesima edizione del “Dromos Festival”, che si svolge in una delle zone della Sardegna dove di bellezze da paradiso perduto ce ne sono a bizzeffe: Oristano e dintorni. Concerti con ospiti internazionali, ma anche mostre, incontri e proiezioni. E l'appendice ferragostana, a Nureci, tutta dedicata al blues. È qui che si svolge il Festival Valdorcia, che porta lo spettacolo negli angoli più belli dei borghi Si comincia con il latte di capra e ai suoi derivati, come i formaggi, con ricette e possibili abbinamenti. “Le delizie e le virtù della Valle d’Aosta” è un ciclo di incontri dedicato ai sapori della montagna che prevede merende con i cuochi e i produttori, mercati agricoli, fiere eno-gastronomiche, conferenze. GENOVA, AL PORTO ANTICO l' “Album di famiglia” di Simone Cristicchi, in formazione acustica (ore 21.30, www.portoantico.it) © Giovedì 31 luglio Sapori di montagna Courmayeur (Ao), sino al 6 settembre www.courmayeurmontblanc.it Agropoli (Sa), sino al 3 agosto www.messapp.it Alborosie, Mannarino, Motel Connection, Raiz & Almamegretta, James Senese & Napoli Centrale sono gli ospiti di “Messapp Coast Festival”, che porta la musica nel Cilento. Possibilità di campeggio in loco e anche di visite guidate nei luoghi di interesse naturalistico e archeologico. E, ovviamente, a disposizione, lo splendido mare e la natura della zona. MARCHE, Otto località fanno da sfondo al “Monsano Folk Festival”, rassegna dedicata alla musica popolare curata dal gruppo La Macina, in cui si mettono a confronto gli autentici portatori della tradizione e quella dei vari gruppi ed interpreti del folk-revival (sino al 16 agosto, www.macina.net) Sulle tracce dei briganti © Mercoledì 30 luglio A TREVISO, per “Suoni di Marca”, il festival musicale che anima le suggestiva mura della città, Edoardo Bennato in concerto e – prima di lui, su un altro palcoscenico – Cisco (ore 19.30, www.suonidimarca.it) li. © Sabato 2 agosto A tempo di lumaca Edoardo Bennato il 30 luglio a Treviso LaPresse CONCORDIA © Venerdì 1 agosto Cilento in musica A MAGLIE (Le) il Mercatino del Gusto porta alla ribalta alcuni dei migliori interpreti delle eccellenze enogastronimiche pugliesi, con laboratori, degustazioni, dimostrazioni di cucina dal vivo (sino al 5 agosto, www.mercatinodelgusto.it). BOLOGNA, nella Sala d'attesa della Stazione un evento in vista dell'anniversario della strage del 1980, con Piero Nissim che leggerà e canterà le sue poesie civili (ore 21) Casumaro (Fe), sino al 10 agosto www.lumacadicasumaro.it Casumaro festeggia il suo patrono, San Lorenzo, con il suo piatto tipico, le lumache alla casumarese, antichissima ricetta che le vede accompagnate da lardo e cipolla. E poi lumache fritte, tortelli di lumache, risotto alla lumache, ma anche altri piatti tipici. E molto altro, non solo per la gola. Il meme © UN PATRIMONIO DI VALLE la Val d’Orcia, dichiarata patrimonio dell’Umanità dall’Unesco Basilicata, sino al 10 agosto camminoninconanco.wordpress.com Il cammino di Ninco Nanco, leggendario brigante lucano a cui Eugenio Bennato ha dedicato una canzone, parte da Menfi ed è un trekking culturale di 140 chilometri in cui una quindicina di fortunati scopriranno il territorio e la sua storia e incontreranno artisti, visiteranno paesi, musei, castel- BANDIERINA/CD di Pasquale Rinaldis © © © Dieci stanze di jazz Indigo Mist - “That The Days Go By...” - RareNoise Records IL LORO PRIMO INCONTRO avviene all’Università di Washington, dove entrambi sono docenti: Cuong Vu, trombettista di origini vietnamite noto per aver collaborato con Pat Metheny, David Bowie e Laurie Anderson, oggi è una voce di primo piano nella scena del nuovo jazz, mentre Richard Karpen è un rinomato pianista e compositore. Dal loro incontro, con la complicità del bassista Luke Berman e del batterista Ted Poor, è nata “una suite in 10 stanze”, intitolata That The Days Go By and Never Come Again, dedicata ai grandi del Jazz. Un’opera ricca di suggestioni a cavallo fra jazz, elettronica e musica classica contemporanea. © Domenica 3 agosto Remando per la vittoria La Spezia, www.paliodelgolfo.it, ore 16.45 finalmente arrivata a Genova di A. Asquini Nato come disfida informale tra barche da lavoro cariche di pesce o di “muscoli” (i rinomati mitili di queste zone), il “Palio del Golfo” oggi è una partecipata disfida tra le borgate di La Spezia e i paesi del circondario, una gara a colpi di remi tra 13 imbarcazioni rea- lizzate dagli artigiani locali. LA VERNACCIA DI ORISTANO, vino bandiera della Sardegna, è protagonista della sagra di Baratili San Pietro, con degustazioni e momenti di folklore (www.comune.baratilisanpietro.or.it) IL DENTE DEL GIUDIZIO Furio Colombo di La vita e il romanzo del principe Lanza e autrici di Mi toccherà ballare, l'ultimo prinL cipe di Trabia (Feltrinelli) te lo rivelano subito. Sono la figlia, e la nipote di quell’ultimo principe, Raimonda Lanza di Trabia e Ottavia Casagrande. E per quanto il protagonista, Raimondo, sia molto noto (anche per una precedente biografia di Marcello Sorgi) come uno straordinario personaggio di grandi avventure, ti aspetti affetto e nostalgia e intravedi il rischio della celebrazione. La vera sorpresa, in questo libro in cui non manca né il personaggio straordinario né la vita avventurosa (al punto da essere poco credibile, se non fosse attentamente documentata) è la mano di chi scrive, due donne colte e spiritose, con una vena narrativa piena e felice che non dipende (o dipende solo in parte) dal rapporto personale e privato con il loro personaggio, ma da una vera vocazione al racconto. Mi toccherà ballare è tutto vero, lo abbiamo già detto. Ma è tutto romanzo, per il modo in cui chi scrive si innamora delle vicende che narra e senti che ha il talento di dare vita a ciò che sarebbe solo un ricordo. D'ALTRA PARTE LA VITA del giovane principe narrato (insisto sul “giovane” perchè la narrazione lo coglie intorno ai quindici anni e lo lascia nel momento in cui misteriosamente muore, o viene ucciso, poco dopo i trent'anni) è un tale incontrollabile flusso di vita, di partecipazione, invenzione, spettacolo, rischio e abbandono entusiasta a un’altra nuova avventura, che spazza via il cordoglio e anche la cautela di una figlia che narra, per dare vita a un testo che potrebbe essere totalmente inventato. Infatti, leggendo, ti rendi conto che lui, il padre, che figlia e nipote riescono a ricordare solo come un ragazzo, è il vero autore che ha depositato il suo manoscritto in mani fedeli. Per fortuna del protagonista, le sue narratrici sono amorevoli ma non sono adoranti. Non lo sono perché hanno avuto la capacità di cogliere, e vivere di nuovo, la strana e unica impronta del loro padre-personaggio: un divoratore di vita che vede benissimo il punto di arrivo (la morte) e lo presenta vicino. Ma questo non intacca la festa di un uomo immensamente ricco che non vive da ricco, di uno che è al sicuro e non fa che sottrarsi alle sue protezioni e privilegi per buttarsi in eventi anche grandi come la Storia (la guerra di Spagna, all’inizio da fascista e poco dopo tra gli antifranchisti, i servizi segreti alleati, la guerra contro l’occupazione tedesca, la Resistenza ), che attraversa, senza fermarsi, tutte le scene del mondo, dall’industria, alle corse automobilistiche, al cinema e alle sue dive, al grande amore (del tutto estraneo a un simile personaggio) per poi fermarsi, presunto suicida, sul marciapiede di un hotel romano. Ha fatto bene Feltrinelli a scegliere la copertina avventurosa (giovane uomo con la pistola). Ma il libro è di più, e non rinuncia a niente, dalla tenerezza filiale allo sguardo chiaro, dal senso dell’umorismo all’ambientazione di ogni evento in una storia più grande. IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ APP&DOWN L’ARTE DI COSTRUIRE Stagione di saldi su Play Store aldi sì, ma senza la ressa S tra gli scaffali, le gomitate dei più agitati, gli sguardi del cliente che sta con il fiato sul collo in attesa che quello arrivato prima molli la camicia che sta ispezionando. E anche saldi senza la truffa delle vecchie collezioni spacciate per nuove. Se in inverno gli utenti Apple sono abituati ai consueti “12 giorni di regali iTunes” (con relativa app apposita, ça va sans dire), gli sconti questa volta li fa Google sul suo Play Store, dove sono in offerta una serie di prodotti. Il pianeta Android offre una OBITUARY ualche mese fa il direttore di una rivista patinata di moda (anzi Q ‘fashion’ che suona più ammiccante) e architettura, che si pubblica a New York mi chiese quale fosse il miglior architetto di Mi- A 1,79 euro invece Zombies, run!, un incrocio tra un’app sportiva e un gioco (le sessioni di corsa diventano parte di un game con tanto di voce narrante e punteggi da e raggiungere). Offerte anche su Star Chart (la mappa stellare, utile nelle notti estive), e un paio di app per il meteo (anche in questo caso, è il periodo più adeguato per usufruirne). Riduzione di prezzi anche sui giochi: tra gli altri Ice Age Village (l’Era Glaciale), Theme Park, Tetris Blitz, Mushroom Wars, Bubble Blaze. lano. Sono pieno di dubbi, ma a una domanda come questa ci metto meno di un secondo a rispondere: Alessandro Scandurra. Nel numero dedicato a Milano di quella rivista Scandurra non ci è entrato, a causa dei tempi imperscrutabili dell’editoria ma poco importa perché il suo talento e cultura lo porteranno comunque lontano. Scandurra ha passato una parte della sua infanzia al Cairo, ha mosso i primi passi come scenografo teatrale e televisivo, e come molti milanesi, non è milanese. Ha firmato negli ultimi anni alcuni dei progetti più intelligenti che si siano realizzati in Italia: a Vicenza la ristrutturazione del Museo Palladio, dove, nel solco della grande tradizione della museologia italiana, mobili leggeri, vetrine, proiezioni digitali e luci si inseriscono con grazia all’interno di un edificio storico. Il secondo progetto è l’Expo Gate : due padiglioni a sezione triangolare, costruiti con una struttura leggera in vetro e acciaio, collocati davanti al castello Sforzesco a Milano e che servono per fornire informazione e accogliere attività legate alla prossima Expo. Scandurra ha mescolato numerosi elementi tipici di Milano: le guglie del Duomo, i castelli neoclassici che segnavano l’accesso alla citta, come a Porta Venezia, e le prospettive in asse. Lo potete trovare, più o meno ogni giorno, sul posto dove incontra cittadini e visitatori per rispondere alle loro domande sul progetto. Diletta Parlangeli Valentin Blum Periodi di sconti per le App Android lista di app - da tenere d’occhio, offerte e tempi sono variabili - fino al 65% in meno, e qualche prova gratuita. Ricca la sezione dell’area sport e benessere. Trenta giorni di prova a costo zero per esempio per Endomondo, l’app studiata per corse, ciclismo, trekking e altri sport (mappa dei percorsi, agenda allenamenti, e funzioni varie). La serie di versioni di Runstatic (Pro, Sit-Up, Mountain Bike Pro, Push-Ups Pro), che aiutano l’utente in varie tipologie di allenamenti, sono disponibili in download con sconti dal 40 al 60%. EUREKA! L’apartheid normale svelato da Gordimer Quel gran gene del mio amico adine Gordimer, premio Nobel 1991, scomN parsa lo scorso 14 luglio, è stata sicuramente la voce più affascinante e imperiosa della lette- nteressi e valori simili o lo stesso stile di I vita. Sono questi, crediamo, a guidarci nella scelta degli amici. Invece c’è anche qual- ratura sudafricana in lingua inglese, dedicando tutta la sua vita alla letteratura ed alla lotta contro l'apartheid. A World of Strangers (Gollancz, Londra 1958), uno dei suoi primi romanzi, offre un quadro lucido della società sudafricana regolata dalla segregazione razziale. Il romanzo, vietato in Sudafrica per dodici anni, narra le vicende di un giovane inglese, Toby Hood, giunto a Johannesburg come rappresentante della casa editrice di famiglia, determinato a rifiutare qualsiasi posizione politica. Il suo punto di vista cambierà dopo l’incontro con Anna Louw, avvocato che si batte in difesa dei diritti degli africani di colore e soprattutto con Steven Sitole, un nero ribelle con cui nascerà una profonda amicizia. Toby inizia così a condurre una doppia vita: da un lato continua a frequentare la ricca società bianca e la sua amante Cecil, bella e superficiale, e dall’altra approfondisce la sua amicizia con i nuovi amici di colore, che per le leggi razziali sarà costretto a frequentare di notte. La morte di Steven in un incidente d’auto mentre tenta di sfuggire a una retata della polizia sarà un colpo tremendo per Toby, che continuerà a rafforzare le sue amicizie con altri compagni neri e maturerà la sua determinazione a restare in Sudafrica. La Gordimer arriva al cuore dei suoi personaggi che non sono semplicemente figure d’invenzione, ma il riflesso di ciascun lettore che pian piano scopre, anche non avendo esperienza diretta della terribile realtà dell’apartheid sudafricana, che divisione, ignoranza e razzismo hanno un aspetto in qualche modo familiare. Adele Marini LE BUONE PRATICHE Domenico Finiguerra 17 Il miglior architetto di Milano: Scandurra LIBRI RARI di LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014 L’invasione della plastica si può combattere ’isola che non c’è” esiste davvero. Ma non L illudetevi, voi eterni ragazzini in calzamaglia: Peter Pan deve purtroppo restare nella vostra fantasia. Perché “l’Isola che non c’è” è fatta di plastica. Si trova nel Pacifico e non è altro che un’enorme chiazza di “munnezza”, un enorme agglomerato di spazzatura galleggiante. Se volete andare a cercarla dovete fare rotta indirizzando la vostra prua verso un punto compreso tra il 135º e il 155º meridiano Ovest e fra il 35º e il 42º parallelo Nord. È enorme. Si stima che potrebbe essere vasta tra i 700.000 km² e i 10 milioni di km². Ovvero, le stime più prudenti dicono che è grande più di due volte l’Italia. Ed è anche molto pesante. Tra i 3 milioni e 100 milioni di tonnellate. Ma non affonda, perché è appunto di plastica, miliardi di frammenti. Quell’isola, che tra l’altro potrebbe non essere l’unica, è lo specchio del nostro modello di sviluppo. Del nostro sistema di produzione, del nostro consumismo e della nostra “deficienza” di intelletto. Ci crediamo homo sapiens, addirittura homo sapiens sapiens. Ma non siamo null’altro che dei pessimi e irresponsabili abitanti del pianeta. I peggiori. Consumiamo risorse e produciamo rifiuti noncuranti dei diritti di chi vivrà questo nostro stesso pianeta negli anni futuri, i nostri figli e nipoti. In definitiva siamo quindi anche dei pessimi genitori. Ma è possibile fermarsi e cambiare “rotta”? In questo caso, è possibile fare a meno della plastica? Una risposta di semplice buon senso sarebbe questa: se l’uomo sopravviveva prima dell’avvento della plastica può benissimo farcela anche senza sacchetti in polietilene e bottiglie in PET e PVC. Mica stiamo parlando della penicillina! Però l’homo sapiens è comodo, molto comodo. E sarà molto dura, dobbiamo essere realisti. Per eliminare completamente la plastica, al livello cui siamo giunti (provate ad immaginare in quante azioni quotidiane incontrate la plastica: dalla radiosveglia sul comodino, al monitor del vostro pc, dal cruscotto dell’auto al sedile dell’autobus, dal tubo dell’acqua allo scarico verso la fogna) ci vorranno secoli. Intanto però possiamo almeno smettere di disperderla (visto che stiamo parlando di un materiale che per essere prodotto ha bisogno di risorse ed energia)? Potremmo partire dai detersivi. Quanti flaconi di detergenti, sapone liquido, ammorbidente consumiamo e gettiamo all’anno? È impossibile riutilizzare lo stesso contenitore? Non sarà difficile trovare il distributore di detersivi alla spina più vicino a casa vostra. Basta andare sul sito: http://millebolle.iport.it Ma questo non basta. Purtroppo. Perché “L’isola che non c’è” è sempre li. Possiamo fermarne la crescita (ed è già questa un’impresa), ma per provare a ripulirla, forse abbiamo bisogno di evolverci: in homo responsabilis. cos’altro a legarci agli amici più cari: i geni. Uno studio dellaYale Universitye dell’Università della Californiadi San Diego, pubblicato su Pnas, dimostrerebbe infatti che gli esseri umani scelgono di passare più tempo con gli individui che gli somigliano geneticamente. Per dirlo, gli scienziati hanno analizzato il Dna di 1932 persone, con particolare attenzione alle varianti genetiche presenti nel loro genoma, ovvero alle variazioni del materiale genico a carico di un unico nucleotide, un singolo “mattoncino base” del Dna. Si tratta di mutazioni che possono incidere sullo sviluppo di patologie o sulla risposta che l’organismo dà agli agenti chimici esterni. Osservando il genoma dei partecipanti i ricercatori si sono così accorti che le varianti genetiche erano identiche per circa l’1% a quelle dei loro migliori amici, percentuale che può sembrare piccola a degli occhi non esperti ma che per i genetisti è piuttosto significativa. Gli scienziati hanno anche sviluppato una “scala di amicizia”, che indica quanto è probabile che due persone diventino amiche sulla base del loro Dna. A somigliarsi, nelle persone che risultano ai vertici della classifica, sono spesso le varianti genetiche che riguardano il senso dell’olfatto e - ad esempio - meno quelle che riguardano l’immunità rispetto a specifiche malattie. “Questo potrebbe indicare che è vantaggioso per gli amici avere lo stesso senso dell’olfatto ma non le stesse difese contro le malattie”, spiegano gli autori. “Uno degli aspetti più interessanti dello studio è che queste varianti genetiche sono anche quelle maggiormente attive a livello evoluzionistico”. Come a dire che i geni che condividiamo con i nostri amici sono quelli che evolvono più in fretta nel tempo, in modo da essere più “adeguati” ad eventuali nuove necessità. “Gli esseri umani sono una delle poche specie nelle quali un singolo individuo ha relazioni a lungo termine con altri individui non solo per motivi riproduttivi”, ha detto in particolare James Fowler, tra gli autori dello studio. “Ora abbiamo scoperto che questo tipo di affiliazione potrebbe essere importante anche dal punto di vista genetico, per la longevità della specie”. Laura Berardi BANDIERINA/EVENTI di s.c. © © © Celestini sbarca a Lampedusa Sabir, Festival culture mediterranee, Lampedusa DAL 1 AL 5 OTTOBRE, si terrà a Lampedusa, Sabir, il Festival diffuso delle culture mediterranee, promosso da Arci, Comitato 3 ottobre e Comune di Lampedusa, con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e della Rai. Sabir, che dà il titolo al festival, era un idioma parlato in tutti i porti del Mediterraneo dal Medioevo fino a tutto il XIX secolo. Durante i 5 giorni del festival si alterneranno dibattiti con ospiti internazionali, laboratori, eventi teatrali e musicali, spazi dedicati alla letteratura. La direzione artistica degli eventi teatrali è affidata ad Ascanio Celestini, mentre per gli eventi musicali la direzione artistica sarà di Fiorella Mannoia. L’uomo della grande Samp di Giulia Zaccariello giu.zacc@gmail.com SPORT VERO C'è un'immagine, vecchia di oltre vent'anni, che in questi giorni è riapparsa sui giornali e sui siti sportivi. E che racconta forse più di ogni altra chi era Paolo Borea. Lo ritrae sorridente, in mezzo ai gemelli del gol della Sampdoria, Gianluca Vialli e Roberto Mancini, che lo abbracciano. Ecco, nel colpo d'occhio della foto, c'è tutto Borea. Signore del calcio. Direttore sportivo e maestro dei talent scout. Un po' dirigente, un po' fratello maggiore. Scopritore di talenti dotato di passione e sensibilità. E di un intuito particolare, quello che non s'impara, ma si ha nel dna. A Genova ricordano ancora il suo parlare pacato e gentile, a tratti deciso, e quell'accento modenese, che non scomparve mai, nemmeno dopo 10 anni alla Samp. Era per tutti il Dottore. Schietto e corretto, come ogni sportivo dovrebbe essere, fu insieme all'altro Paolo, il presidente Mantovani, l'artefice del capolavoro. Quello scudetto vinto nel 1991, con Vujadin Boskov, che portò la Sampdoria sul tetto d'Italia. A sigillo di un'epoca calcistica magica, che non sarebbe tornata più. Borea se ne è andato a 77 anni, per un malore che lo ha sorpreso mentre si trovava nella sua casa a Milano Marittima. Ferrarese di nascita, ma modenese d'adozione, alla Sampdoria arrivò nel 1982, dopo tre anni al Parma e una stagione al Bologna. Ci rimase per 15 anni, prima come direttore sportivo, poi come direttore generale. Insieme a Mantovani, costruì una squadra in grado di unire la fantasia dei giovani alla solidità dei giocatori più esperti. Regalò il sogno alla tifoseria blucerchiata. E consegnò alla storia italiana il mito della coppia Vialli-Mancini, affiatata dentro e fuori dal campo. Erano i tempi del pallone spinto dal cuore, più che dai contratti milionari. Con una parte del calcio ancora ben lontana da scandali giudiziari e mediatici. “Borea è stato uno dei migliori dirigenti di sempre” lo ricorda oggi Mancini. “Ora lei, il presidente e Vujadin sarete insieme a parlare di calcio e della nostra Samp”. 18 DALLA PRIMA LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014 IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ MA MI FACCIA IL PIACERE EDITORIALE di Marco Niente avversari e arbitro amico di Ferruccio Sansa llarme! Una nuova squadra si A è iscritta alla serie A. Non è stata promossa dalla B. Ha vinto solo il campionato dilettanti di Firenze, ma il presidente giura che la maggioranza degli italiani tifa per lui. Autocertifica che lui è bravo. Anzi, il migliore. Addirittura l’unico. La squadra? Basta con i Pirlo. Servono giovani, meglio se non sanno una mazza di pallone (anzi, se magari non hanno mai fatto un fico). L’essenziale è l’entusiasmo. E la fedeltà al presidente. Lui ha capito come gira. Per essere sicuro di vincere si è alleato con le squadre avversarie. Non importa che i tifosi non lo sapessero, che già si preparassero per il derby. Curva contro curva? Roba superata. Basta con le rivalità, con i campanilismi. È tempo di pacifi- cazione. Bianconeri, rossoneri, rossoblù, giocheranno tutti insieme. Fanno più colore tutte le maglie confuse. E poi cheppalle i campi vuoti, le partite piene di tempi morti. La nuova squadra avrà 3 portieri, 16 difensori e 28 attaccanti. Gli avversari? Sono passati quasi tutti in questa metà del campo. A difendere l’altra porta sono rimasti i soliti rancorosi, quelli che vogliono per forza essere divisi, che difendono bandiere superate, che odiano lo spettacolo. La gioia, il divertimento. I gol, ecco il senso del calcio, non importa chi li segna. Evviva il fuorigioco! Ma il regolamento? Non è un problema. Il presidente si è messo d’accordo con il proprietario dell’ex club avversario, sì, quello condannato per frode fiscale, accusato di truccare le partite. Acqua passata, bisogna perdonare. E poi anche lui è simpatico e gli piace la figa. Che non guasta. Più allegria, più folklore, più tette per tutti. È deciso: da oggi se vinci una partita ti porti a casa il campionato. Scegli i guardialinee, i giudici della Federazione. Magari i direttori della Domenica Sportiva. I tifosi? Si convinceranno, e poi cambieranno casacca. Non c’è gusto a tenere per chi perde. Ci sarebbe un ostacolo: l’arbitro. Ma non è un problema. Ha novant’anni, da cinquanta non esce dal campo, ma giura di sgambettare come un ragazzino. Comunque le azioni gliele racconta il presidente. E in ogni caso l’arbitro ha già deciso: basta con la difesa, con i portieri. Non sono sportivi. Tolgono entusiasmo, ci fanno perdere la Champions, l’Europa. Siete terrorizzati? Siete pronti a mollare l’ombrellone per scendere in piazza? Tranquilli. Scherzavamo. È solo il primo ministro che non è mai stato votato, che non aveva detto di voler cambiare le regole della democrazia. Che aveva giurato di essere avversario di Berlusconi e invece ci si è alleato. È solo il presidente della Repubblica e non l’arbitro Rizzoli che è sceso in campo per ammonire gli avversari. Non parlavamo del regolamento Figc, ma della Costituzione. In gioco non è il campionato, ma la vostra vita. Tranquilli. il Fatto Quotidiano del lunedì a cura di Ferruccio Sansa con Salvatore Cannavò, Alessandro Ferrucci, Emiliano Liuzzi, Paola Porciello Progetto grafico Paolo Residori Grafica Fabio Corsi il Fatto Quotidiano Direttore responsabile Antonio Padellaro Condirettore Marco Travaglio Direttore de ilfattoquotidiano.it Peter Gomez Caporedattore centrale Ettore Boffano Caporedattore Edoardo Novella Caporedattore (Inchieste) Marco Lillo Art director Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Valadier n° 42 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 mail: segreteria@ilfattoquotidiano.it - sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. sede legale: 00193 Roma , Via Valadier n° 42 Presidente:Antonio Padellaro Amministratore delegato: Cinzia Monteverdi Consiglio di Amministrazione: Luca D’Aprile, Peter Gomez, Marco Tarò, Marco Travaglio, Lorenzo Fazio Travaglio Er Fogna. “La giustizia italiana è un di- sastro, una fogna mondiale” (Enrico Morando, Pd, viceministro dell'Economia, Il riunire i moderati” (Libero, 24-7). Foglio, 24-7). Per uno che sta in ParlaOra che gliene andato bene uno, di ap- mento e/o al governo dal 1994, cioè per vent'anni, è una bella soddisfazione. Mispello, s'è innamorato della parola. Mai più senza. “I futuri senatori già pen- sione compiuta. sano ai loro portaborse. La riforma pre- Balla coi Lupi. “Alitalia, Lupi attacca: 'Solo vede il taglio dello stipendio dei par- un marziano può capire i sindacati'” (La lamentari, non dei loro assistenti. E i Stampa, 27-7). O eventualmente un laconsiglieri regionali si stanno organiz- voratore. Dunque, non Lupi. zando. Dalla Lega al Pd, chiedono che Vaffanculla. “Berlusconi ha cercato insiano confermati i loro 'collaboratori': vano di soffocarci nella culla” (Enrico 'A Roma ci servirà una mano'” (Corriere Costa, Ncd, l'Unità, 27-7). Poi ha scodella sera, 21-7). Quattro mani rubano perto che non eravamo mai nati e ha lasciato perdere. meglio di due. Errani huanum. “Errani, addio con orgo- Compro una vocale. “Alfano a Renzi: 'Tra mille ci separiamo'” (dai giorglio: 'Fiero del lavoro fatto'. nali del 27-7). O ci spariamo. Le dimissioni e il commiato del presidente uscente dell'EInquietante. “Attacchi al Quirinale e al premier. Un caso le milia Romagna dopo la condanna a 1 anno per falso parole del pm Di Matteo: '”Renzi tratta con un condanideologico. L'aula tra applaunato'. Le reazioni: inquietante, si e commozione” (l'Unità, 24-7). Si aspettavano l'ergafa politica” (Corriere della sestolo. ra, 20-7). E dice addirittura la Porcellum. “Una scrofa giverità. gante mi insegnò a scrivere” Manconi, che fare? “Il giudice (Beppe Severgnini, Corriere Silvio Berlusconi LaPresse apre le braccia al più incallito della sera, 24-7). Dai, Beppe, delinquente, Berlusocni prola battuta fattela tu. clama Marco Travaglio il più bravo giorEr Cloaca. “Immigrazione, non saremo la nalista italiano, Gesù lava i piedi alla pecdiscarica d'Italia. Malattie scomparse, ne- catrice, il generale va a cena col lenone, gli ultimi mesi sono tornate. A Treviso è l'erudito ama intrattenersi con l'analfamorta una donna di tubercolosi” (Luca beta di ritorno...” (Luigi Manconi, senaZaia, Lega Nord, governatore del Veneto, tore Pd, Il Foglio, 22-7). E anche questa Libero, 25-7). Pare che qualcuno si sia settimana Manconi non se lo fila nessuno. addirittura preso la zaia. A ppelli. “Silvio prepara l'appello per Abbonamenti FORME DI ABBONAMENTO COME ABBONARSI • Abbonamento postale annuale (Italia) Prezzo 290,00 e Prezzo 220,00 e Prezzo 200,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Abbonamento postale semestrale (Italia) Prezzo 170,00 e Prezzo 135,00 e Prezzo 120,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Modalità Coupon annuale * (Italia) Prezzo 370,00 e Prezzo 320,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Modalità Coupon semestrale * (Italia) Prezzo 190,00 e Prezzo 180,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento in edicola annuale (Italia) Prezzo 305,00 e Prezzo 290,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento in edicola semestrale (Italia) Prezzo 185,00 e Prezzo 170,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento digitale settimanale Prezzo 4,00 e • 7 giorni • Abbonamento digitale mensile Prezzo 12,00 e • 7 giorni • Abbonamento digitale semestrale Prezzo 70,00 e • Abbonamento digitale annuale Prezzo 130,00 e Oppure rivolgendosi all’ufficio abbonati tel. +39 0521 1687687, fax +39 06 92912167 o all’indirizzo mail: abbonamenti@ilfattoquotidiano.it • Servizio clienti assistenza@ilfattoquotidiano.it MODALITÀ DI PAGAMENTO • 7 giorni • 7 giorni * attenzione accertarsi prima che la zona sia raggiunta dalla distribuzione de Il Fatto Quotidiano Centri stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130, 20060 Milano, Pessano con Bornago, via Aldo Moro n° 4; Centro Stampa Unione Sarda S. p. 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Les. 196/2003): Antonio Padellaro Chiusura in redazione: ore 22.00 Certificato ADS n° 0258307192 del 14/12/2011 Iscr. al Registro degli Operatori di Comunicazione al numero 18599 • Bonifico bancario intestato a: Editoriale Il Fatto S.p.A., BCC Banca di Credito Cooperativo Ag. 105, 00187 Roma, Via Sardegna n° 129 Iban IT 94J0832703239000000001739 • Versamento su c. c. postale: 97092209 intestato a Editoriale Il Fatto S.p.A. 00193 Roma , Via Valadier n° 42, Dopo aver fatto il versamento inviare un fax al numero +39 06 92912167, con ricevuta di pagamento, nome, cognome, indirizzo, telefono e tipo di abbonamento scelto • Pagamento direttamente online con carta di credito e PayPal. PRIMEPAGINE (PER BAMBINI) IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014 19 MAMMAMONDO UNA CASETTA PER GRANDI PENSIERI Non ci vogliono fatica e soldi per costruire un gioco che si ricorderà. Basta un po’di cartone. Il resto ce lo mette la fantasia. Dei bambini e dei grandi, quando hanno tempo e voglia di stare insieme. DISEGNA PER NOI Disegna le notizie del mondo e della tua città che ti hanno colpito. E inviale a bambini@ilfattoquotidiano.com Le metteremo sul sito diario di una madre qualunque Il nostro primo distacco di Maria Valeria Valerio C LASCIATE CHE I BAMBINI La danza infinita di Matisse di Tomaso Montanari Henry Matisse, La danza, seconda versione, 1909-11. San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage L’ERMITAGE, IL CALORE DEI MUSEI Dimenticate il caldo torrido e gli acquazzoni improvvisi di questa estate impazzita. Immaginate l'inverno più rigido. Ma non quello italiano: quello russo. Immaginate le strade di San Pietroburgo: fuori ci sono dieci gradi sottozero, e il vento vi sputa in faccia la neve. E immaginate di entrare in un museo: nel museo più bello del mondo, l'Ermitage. Una volta dentro, il calore dei colori ti scioglie, mentre ti perdi su un vecchio parquet scricchiolante. Già, perché una delle cose belle dei musei è che ti proteggono: dal caldo, dal freddo, dal dedalo delle strade, dalla fretta, dall'indifferenza. Un museo è uno spazio liberato, gratuito, umano. Un pensiero in cui poter entrare, un desiderio da abitare. Solo in un museo come l'Ermitage puoi passeggiare tra le emozioni, fermarti di fronte ad una sensazione, sederti tra due ragionamenti, abbandonarti ad un’associazione di idee. Oppure puoi finire proprio in mezzo ad una danza. Una danza di tre colori: «l'azzurro del cielo, il rosa dei corpi, il verde della collina», spiegò lo stesso Matisse, il pittore che aveva creato questa danza senza fine. Per una di quelle strane associazioni da museo, ogni volta che all’Ermitage sono finito di fronte alla Danza – così indimenticabilmente colorata, quando fuori dal vetro tutto è bianco di neve e ghiaccio – ho pensato che il suo titolo vero dovesse essere: «Grazie». Immancabilmente – e senza alcuna necessità – associo quel quadro ad una delle pagine più belle della Bibbia. Dopo che il Mar Rosso inghiottì l’esercito del Faraone, Miriam, la sorella di Mosé e Aronne, «prese in mano un cembalo: dietro a lei uscirono le donne con i cembali, formando cori di danza.Miriam fece loro cantare il ritornello: “Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato: ha gettato in mare cavallo e cavaliere!”». Era un grazie radicale: un grazie per la salvezza, per la vita, per la libertà di un popolo oppresso. Un grazie crudele: senza pietà e senza remore. Un grazie senza freni. Per questo non bastava dirlo, e nemmeno cantarlo: bisognava danzarlo. Ed è bello voler danzare, ogni giorno, il nostro grazie alla vita. Non c'è bisogno di particolari successi, felicità, vittorie: basta la gioia di essere nel caldo di un museo, in mezzo ad una città gelata. E se è bello voler danzare, è meraviglioso poterlo fare con i colori e la forza selvaggia della Danza di Matisse. La nostra danza quotidiana. iao mamma”. Ci siamo salutati tante volte, Luca ed io. Ma oggi è diverso: è la prima volta che a partire è lui. Lo guardo che sale sul pullman dei boy scout, vedo i suoi capelli spessi, forti, che mi pare di toccarli. Vedo lo zaino colorato sulle sue spalle, proprio lo stesso che usavo io, che ho portato con me in tanti viaggi di ragazza. Ci ho messo tutta la notte per riempirlo, sperando che in ogni oggetto ritrovasse un mio gesto. Un pensiero. Come passa veloce. Ricordo le partenze d’estate, i saluti alla stazione, all’aeroporto, quando mi avviavo e sentivo sulle spalle lo sguardo dei miei genitori che mi proteggeva e mi sospingeva. Era come un testimone da conservare e restituire al ritorno. Ora siamo mio marito ed io a guardare Luca. A chiederci quale sia il ruolo più pesante. Se quel senso di sottile tradimento, di colpa che ti accompagna alla partenza. Oppure la sensazione di abbandono, di impotenza di chi resta. Mi ricordo due dei miei quadri preferiti, “Gli stati d’animo” di quel genio straordinario che era Umberto Boccioni. “Quelli che restano” e “Quelli che vanno”. Non si distinguono chiaramente le persone, ma si intuiscono figure appena accennate, piegate, deformate forse dalla velocità, dalla distanza. Dagli stati d’animo, appunto. Si intuisce lo slancio, ma anche il peso che si deve vincere. Come un prezzo da pagare. I colori cadono giù verticali, come pioggia che ti impregna dentro. Ma tutte queste cose non possiamo dirle a Luca. “Sarà bellissimo”, è il solo messaggio che possiamo dargli. Ed è vero: le prime sere con gli amici, i falò sotto le stelle, i boschi da perlustrare con il desiderio e la paura di perdersi. Sarà bellissimo, anche se ci allontanerà un po’. E non basterà raccontarselo. Tutto il resto non si può dire. Deve bastare la certezza di sentirlo, ma di doverne ognuno portare da solo una parte. Luca lo sa, gliel’ho letto negli occhi che si sono spalancati appena il pullman si è mosso. Anche questo misura la distanza: lo spazio che ci separa, ma soprattutto quello che ci unisce. ilfattoquotidiano.it/blog / mammamondo 20 LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014 VIVARIO Meriggiare pallido e assorto di Maurizio Maggiani TAM TAM Vivere senza maschera di Marina Valcarenghi Q uando una persona viene presa in considerazione non per la sua personalità, ma per il suo personaggio, è possibile che poco per volta sfumi i tratti del suo carattere e perda via via consistenza e sicurezza. Dimentica allora chi è o chi potrebbe diventare, nascosta da una maschera (anche da diverse maschere a seconda del contesto) e alla fine si confonde e non sa più chi è e che cosa vuole davvero. Ecco la maschera dell’isterico violento, della ragazzaccia, dell’intellettuale tormentato, del sex symbol, della signora “bon ton”, del “cucador” e così via. Le mode sono leggi non scritte ma talvolta vincolanti e orientano non solo i consumi, ma l’evoluzione dell’intera personalità. Chi nel proprio ambiente risulta fuori moda, finisce fuori corso: i contesti sono diversi ma animati dallo stesso rigore conformista: ci si veste in questo modo, si frequentano quei posti, si ascoltano quelle musiche, si usa quel gergo. Molti sembrano più impegnati a confondersi nel branco che a valorizzare le loro diversità e così si perdono di vista. A volte la maschera è imposta dal ruolo sociale o politico, o da esigenze pubblicitarie, esistono persino degli esperti per queste mìmesi che costruiscono i personaggi e annullano le persone. È vero che anche privi di maschere possiamo essere ragionevolmente incerti della nostra identità, traditi dalle tagliole dell’insicurezza e dell’autoinganno, ma c’è una differenza fra una persona che vede se stessa con particolari tratti caratteriali, segnata da esperienze diverse, con una visione personale della vita e animata da desideri che da tutto questo traggono origine e una persona che vede se stessa come un prodotto da immettere sul mercato. Questa inconsistenza della personalità influisce anche sul rapporto d’amore, su qualunque rapporto d’amore: per amare è necessario esserci ma, con la maschera incollata addosso, chi ama chi? ilfattoquotidiano.it/ blog /mvalcarenghi/ C L’ULTIMA PAROLA 'è un posto di Riviera che si chiama il Salto della Lepre. Io sono lì, seduto su una panca di legno di ferrovia arrembata alla trincea di sasso vivo di un orto lasciato ai rosmarini. È un meriggiare pallido e assorto, non c'è che dire. Sul pino nerboruto e dritto che è cresciuto accanto alla panca - o viceversa, forse - una cicala frinisce con tanta impudente pervicacia da farti dare di volta al cervello. Di meditare neanche a parlarne, posso solo guardare, le palpebre socchiuse contro l'ardente sbarluccicare del mare laggiù Mediterraneo, guardare e contare le creature che popolano la costa che scende a mare in eleganti, rapidi balzi di lepre. Costa di piane dirotte, tenute in bilico dalle macchie di leccioli screziate di stipa in fioritura rosa e bianca. Qua è là, semi clandestine, piane tenute a vigna, vitigni che strisciano intorcignati, annodati dai libecci invernali. Ulivi inselvatichiti, ghiacciati e rinati, corruschi ma ancora floridi padroni di chiudende mezzo sfondate dall'edera, una siepe di IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ canne attorno alla traccia fossile di un rio. Una riga di pini sul crinale, altissimi, le chiome spogliate dalla processionaria e dall'incendio, vivi in qualche modo. Un'agave cresciuta alla porta di una baracca di selci, e fichi d'India agli orli di conche asciutte. Tre cipresse, tre frecce, un orto di limoni custodito in un recinto di reti cavate via dai letti proprio sull'ultima balza prima che la falesia si precipiti a mare. E si alza il maestrale, sottile un filo di refe, come se passasse un'anima.
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