RIVISTA DI PSICOANALISI, 2014, LX, 2 359 Impromptus sull’improvvisazione: in musica, nel lavoro clinico FAUSTO PETRELLA H o voluto porre all’insegna dell’impromptu queste osservazioni comparative non sistematiche sulla improvvisazione in musica e nel lavoro analitico. Scopo del discorso, che non aspira ad alcuna completezza, è cercare di ottenere dei chiarimenti sulla complessa e inesauribile materia dell’intervento analitico attraverso il confronto col tema dell’improvvisazione musicale. Già il titolo contiene e anticipa le difficoltà in cui ci si imbatte su questo terreno, sia sul piano musicologico, sia su quello della psicoterapia analitica. L’impromptu è qualcosa di improvvisato, letteralmente di «non preparato». Sarebbe un pensiero poco rassicurante per una relazione a un convegno o per un lavoro scientifico che l’autore non fosse preparato e improvvisasse il discorso a suo piacimento. In realtà l’impromptu è una forma musicale che si vuole spontanea, poco «studiata», come se fosse improvvisata sui due piedi e non costruita a tavolino: e quindi, soprattutto in epoca romantica, particolarmente vicina alle effusioni sentimentali di un’anima liberata da eccessivi vincoli formali e capace di esprimersi musicalmente in modi intimamente più sinceri. È difficile, ma tutt’altro che impossibile, che una struttura musicale molto complessa, per esempio una fuga a più voci, possa essere improvvisata all’istante. Una fuga è anche il prodotto di calcoli che elaborano i momenti inventivi secondo certe regole formalmente rigide e ricostruibili a posteriori da chi voglia Il presente scritto è l’ampliamento di una relazione al Convegno «L’incontro improvviso. L’estemporaneità nei processi creativi e nei percorsi di cura». Genova, 1 giugno 2013. 360 Fausto Petrella analizzare questo genere di composizioni. Il gioco musicale è qui rigorosamente regolato e richiede tempo per essere costruito. Il momento inventivo e creativo consiste nel modo più o meno fantasioso e ardito con cui le regole del gioco sono gestite. Ci troviamo entro una serie di opposizioni: abbiamo così un equilibrio instabile tra ordine e trasgressione, tra libere invenzioni e i vincoli stabiliti dall’armonizzazione e da altro ancora. Il cimento tra l’armonia e l’invenzione, con le sue estrosità – queste espressioni vivaldiane – oppure il contrasto tra un libero preludiare e una fuga rigorosamente strutturata – qui penso ovviamente al Clavicembalo ben temperato – sono in realtà tratti universali della musica. Il gioco conflittuale interno di questi vari elementi del discorso musicale è diventato esplicito e consapevole particolarmente in epoca barocca. D’altra parte, un conto è un’opera come L’interpretazione dei sogni di Freud (1899), dove l’autore cerca di dimostrare che i sogni possiedono un significato, la Deutung del sogno, e altro conto è l’interpretazione clinica del sogno, che mette in gioco momenti intuitivi e creativi nell’adeguare i significati latenti e manifesti del sogno alle circostanze in cui viene narrato, alla conoscenza che si ha del sognatore, alle sue capacità ricettive del momento e ad altro ancora. L’interpretazione clinica del sogno ha inevitabilmente qualcosa di artistico e di intuitivo di grande importanza. Anche nel sognare stesso si mobilita, in alcuni casi con grande evidenza, una funzione artistica innegabile, che si contrappone al sogno come accozzaglia di immagini. Freud ha così potuto immaginare un «artista del sogno» presente con le sue scelte inventive nel sognatore, cioè in ciascuno di noi. L’opposizione tra momenti inventivi dell’interpretazione e momenti strettamente aderenti alla lettera del sogno è all’ordine del giorno nel lavoro analitico, ma è anche un’opposizione tipicamente presente nell’interpretazione musicale. Possiamo evidenziare vari aspetti dell’invenzione musicale che si prestano ad analogie rilevanti con quanto accade in analisi. Svilupperò il mio discorso cercando di confrontare i due ambiti nell’intento di realizzare qualche forma di chiarificazione su questioni che sono molto presenti nella clinica e nella tecnica psicoanalitica. A questo scopo mi riferirò a un certo numero di esempi. 1. Se un gatto passeggia sulla tastiera del pianoforte, può eseguire una serie di note - poniamo ascendenti – la cui sequenza è del tutto involontaria e inconsapevole: Rivista di Psicoanalisi, 2014, LX, 2 IMPROMPTUS SULL’IMPROVVISAZIONE 361 La sequenza di suoni sconclusionati che così si produce, è senza dubbio casuale e priva di senso: o meglio, il suo senso è quello ascendente, e ci comunica qualcosa sulla direzione e l’andatura del gatto. Ma se Domenico Scarlatti – come si narra – trascrive questa sequenza di note, essa può diventare il tema di una fuga, elaborata genialmente ed elegantemente nella sua Sonata K. 30, detta «Fuga del gatto». Scarlatti accoglie la sfida della sequenza di note a casaccio e costruisce una brillante fuga a più voci del tutto godibile. Il casuale musicale viene così inscritto in un discorso notevolmente complesso. Esso non significa nulla per il gatto, ma per noi vuol dire parecchio, quanto alle possibilità dell’arte di trasformare il caotico e il casuale in qualcosa di significativo. In realtà si tratta di un casuale relativo, perché il gatto passeggia sulle sonorità molto organizzate e ben temperate di una tastiera ed è compito della tastiera, e in genere di qualsiasi strumento musicale, produrre una prima strutturazione del suono nelle dodici note in cui l’ottava si suddivide. Note precise e individuabili per altezza, timbro e intensità, che limitano già di per sé il caso e il caos. 2. Un’organizzazione analoga è prodotta, per esempio, dall’arpa eolia. Strumento cordofono e anemofono, l’arpa eolia, che possiede una cassa armonica, emette le sue sonorità quando le sue varie corde, di eguale lunghezza ma di diverso spessore, e in genere accordate su un’unica nota, sono esposte all’azione meccanica dei venti. I suoni intensamente suggestivi dell’arpa eolia sono costituiti dalla nota fondamentale e dai suoi armonici superiori e inferiori. È proprio in virtù di questa sua organizzazione a priori, che l’arpa eolia estrae la sua sonorità musicale dal magma indifferenziato del rumore disorganizzato o dal silenzio, producendo una sorta di canto della natura, una musica delle sfere, il mormorio della foresta, e qualsiasi immagine vi abbiano associato i poeti che furono suggestionati da questo strumento.1 La forza del vento, questo fenomeno naturale già carico di simbolismi di ogni genere, sollecita le corde, determinando uno spettacolo sonoro, una sorta di sorprendente serie di accordi enigmatici che non sembrano prodotti da nessuno, e che hanno quindi un che di soprannaturale. 3. Uno storico luogo di improvvisazione e di invenzione in musica è la cosiddetta variazione. Il «tema con variazioni» è una forma musicale caratteristi1 Sull’arpa eolia v. la voce corrispondente in Dizionario della musica e dei musicisti, Il lessico, vol 1, UTET, Torino 1983. Delle suggestioni letterarie di questo strumento soprattutto in epoca romantica danno conto diversi scritti di Paolo D’Angelo (2007), reperibili in Internet. Rivista di Psicoanalisi, 2014, LX, 2 362 Fausto Petrella ca ben documentabile per alcuni secoli nella musica occidentale. Finalizzata a sollecitare e sviluppare un momento inventivo, la variazione è prodotta a partire da un materiale tematico definito. Se, invece che da un gatto, il tema è fornito da un personaggio regale come Federico il Grande re di Prussia, Bach può adoperarsi per elaborare inventivamente una serie di ricercari a più voci, prendendo le mosse dal «tema regio». L’offerta musicale è considerata uno dei massimi exploit creativi in musica, realizzato dall’elaborazione contrappuntistica di un tema definito. L’opera si avvale di un gioco grandioso tra calcolo e improvvisazione. Si parte dalla linea melodica semplice del tema regio, per elaborarla e svilupparla in varie direzioni. 4. Un altro sorprendente esempio di trasformazione inventiva di un brano musicale è quello cui Beethoven ha sottoposto il valzer abbastanza banale del compositore coevo Anton Diabelli. Questo compositore distribuì il suo valzer a numerosi autori anche importanti del suo tempo, invitandoli a scrivere le loro variazioni su di esso. La richiesta venne presa radicalmente sul serio da Beethoven, con le sue ben 33 Variazioni su un tema di Diabelli. L’ardita composizione si lancia in una serie impressionante di trasformazioni, che si allontanano parecchio dal valzer originario, che resta tuttavia sempre alluso nelle varie torsioni trasformative che subisce. È proprio Beethoven che parla – bionianamente, verrebbe da dire (Bion, 1965) – di Trasformazioni, Veränderungen, e non di Variazioni (come si traduce di solito) nell’intitolare questa sua opera. 5. Il rapporto tra le improvvisazioni e i vincoli volti a favorirle o a limitarle conosce alti e bassi nella storia della musica. Della storia complicata del dibattito sull’improvvisazione, vorrei solo ricordare un momento illustre. Tra testo musicale scritto dal compositore e sua realizzazione esecutiva, troviamo uno spazio variabile di licenza lasciata all’interprete perché inserisca proprie variazioni personali, in bilico tra espansioni espressive istantanee del testo e un virtuosismo in cui tali espansioni spontanee si rivelano solo apparentemente invenzioni del momento, essendo il frutto della gestazione di uno studio anteriore. L’improvvisazione mostra di essere una spontaneità studiata paradossale, dove lo studio necessario è trasceso e come obliato dalla superiore maestria dell’interprete. Qui troviamo un mistero apparente, quello della coniugazione del calcolo alla spontaneità e alla grazia, qualcosa che Kleist aveva descritto genialmente nel suo Teatro delle marionette come un paradosso dell’artista, che va accettato e non disturbato da operazioni riflessive inopportune (Petrella, 2011a). Rivista di Psicoanalisi, 2014, LX, 2 IMPROMPTUS SULL’IMPROVVISAZIONE 363 6. Il genio musicale in cui tale problema s’incarna emblematicamente è la figura del grande Gioacchino Rossini, menzionato, proprio sul tema dell’improvvisazione, in un notevole passo dell’Estetica di Hegel (1836, 1070). Il passo merita di essere ricordato e soprattutto riletto. Hegel riconosce all’opera italiana, e a Rossini in particolare, il merito di aver lasciato al cantante una libera iniziativa circa «gli adornamenti» che allontanano dall’adesione alla parola cantata e al suo contenuto. Il canto si allontana dalla parola e dal suo contenuto, si affranca da esso per «divenire un libero fluire melodico dell’anima che gode di risuonare per se stessa e di innalzarsi ai propri voli». Rossini – dice Hegel – assegna dunque al cantante un grande spazio di collaborazione con l’autore. E così precisa il contributo dell’esecutore vocale rossiniano: L’opera d’arte che ne scaturisce acquista un incanto del tutto peculiare, poiché in tal caso si ha presente davanti a sé non solo un’opera d’arte, ma lo stesso reale produrre artistico. In questa presenza completamente viva vien dimenticata ogni condizione esterna, il luogo, l’occasione, il punto preciso dell’atto del culto, il contenuto ed il senso della situazione drammatica; non c’è più bisogno di nessun testo, né lo si vuole, non resta nient’altro che il suono universale del sentimento in genere, nel cui elemento l’anima dell’artista, che su di sé poggia, si abbandona al proprio effondersi e mostra la propria genialità di invenzione, la propria intimità d’animo, la propria padronanza dell’esecuzione; e se ciò avviene con spirito, abilità e leggiadria, la stessa melodia può essere interrotta con scherzi, capricci e ricercatezze, e ci si può abbandonare agli umori e ai suggerimenti del momento. Il passo hegheliano compendia ottimamente molti problemi dell’espansione lirica dell’improvvisazione in generale e di quella «belcantistica» in particolare. Resta che Rossini stesso, contro gli eccessi e le sguaiataggini espressive dei cantanti, sentì la necessità di scrivere gli abbellimenti e le variazioni delle sue arie, prescrivendo dei limiti regolatori che arginassero queste espansioni canore proprio per renderle più efficaci. In una sua famosa lettera (del 12 febbraio 1821),2 egli attribuisce al compositore e al poeta l’esclusiva funzione creatrice, mentre cantanti e orchestrali sono valenti interpreti e esecutori di un’opera non scritta da loro. 7. Devo purtroppo dichiarare la mia incompetenza a pronunciarmi sul ruolo dell’improvvisazione nella musica popolare, etnica e nel jazz. Mi sembra di aver 2 Vedi la lettera citata in una breve antologia di lettere rossiniane in Rognoni (1968). Rivista di Psicoanalisi, 2014, LX, 2 364 Fausto Petrella capito che la cosiddetta improvvisazione nel jazz sia resa possibile da precisi rendez-vous degli esecutori e da limiti e moduli preordinati (per esempio dalla tradizione) per sviluppare con delle variazioni improvvisate un discorso coerente e sufficientemente intelleggibile per l’ascoltatore. Il problema è sempre lo stesso: parlare di musica e di improvvisazione significa cogliere la presenza di un momento di accordo e di concordanza nel contrasto; un ordine nel disordine, un calcolo nel caotico. Le mirabili strutture poliritmiche del Gamelan di Giava e di Bali comportano esercizio, consuetudine esecutiva, impiego di un’orchestra con strumenti accordati, e quindi l’istituzione di uno stabile incontro sociale, oltre alla presenza di patti esecutivi espliciti, scritti o tramandati oralmente, per simulare la sorprendente spontaneità apparente di queste musiche, la regolarità irregolare e multistratificata del loro gioco virtuoso. 8. Nella musica colta del Novecento, a partire dagli anni Cinquanta, ha fatto la sua comparsa la prescrizione dell’aleatorietà da parte del compositore. All’aleatorio è tuttavia sempre stabilito qualche limite e sono fornite indicazioni esecutive di qualche tipo. Intanto l’aleatorio in musica è richiesto in genere a chi ha la capacità di suonare uno strumento. Inoltre all’esecutore è imposto un limite di tempo a una licenza che non è mai assoluta, sia nell’attiva esecuzione sia nel silenzio. Si aprono anche qui interessanti problemi circa la forma e il contenuto di questo genere di interventi improvvisati e aleatori. Abbiamo così una serie di possibilità diverse e di vario genere: quando decidere per l’esecutore di «prendere la parola» strumentale e quando tacere, ora seguendo un proprio autonomo impulso, ora reagendo a ciò che fanno gli altri esecutori nel caso di una musica d’insieme, guidati o meno da indicazioni esterne dell’autore o del direttore del gioco. Vinko Globokar (1970), nel suo scritto Réagir…, che mi è capitato anche in altre occcasioni di citare, fornisce precise indicazioni sulle modalità relazionali dei possibili interventi inventivi, con i quali anche uno psicoterapeuta si potrebbe confrontare con facilità. 9. È stato da più parti osservato che in ogni caso è difficile che l’invenzione improvvisata o aleatoria sfugga a formulazioni già codificate, sia per l’esecutore, sia per l’ascoltatore. Questa ambiguità è rappresentata nello stesso termine «invenzione»: in bilico tra il trovare qualcosa che c’era già e il vero e proprio creare dal nulla. Un’invenzione ex nihilo è quasi inconcepibile e si presenta sempre come un ritrovamento di qualcosa di preesistente, che può subire con la sua ricomparsa una nuova elaborazione. Un ascoltatore tende sempre a condurre a un senso convenzionale ciò che ascolta, anche quando la produzione sonora non è Rivista di Psicoanalisi, 2014, LX, 2 IMPROMPTUS SULL’IMPROVVISAZIONE 365 elaborata grammaticalmente o sintatticamente e va ritenuta informe (ma non per questo necessariamente insignificante o «brutta»). Quanto al compositore, mi sembra del tutto comprensibile che egli possa ricercare, contro questa tendenza a ripresentarsi del consueto, dell’antico, del vecchio o del convenzionale, un’espressione sonora del tutto originale e inaudita, cercando di attingere a una fonte primigenia del suono, anteriore a ogni sua determinazione linguistica e comunicativa. E che pertanto si produca finalmente una «musica» del tutto nuova e sganciata da qualsiasi prefigurazione e tradizione. Un interessante scritto di Claudio Lughi (1998) rievoca e discute i sorprendenti tentativi di John Cage di ottenere una liberazione dell’improvvisazione dalla memoria e dai gusti personali dell’esecutore. Nascono così diverse composizioni: per tutte cito Child of a tree (improvvisation 1), per parti di piante amplificate suonate da percussionisti; e Branches, per percussionisti che utilizzano cactus amplificati. Lughi riferisce i commenti e le intenzioni di Cage, che circa queste composizioni afferma in un’intervista: «Nel caso delle piante [trasformate in strumenti sonori], non le conosciamo, ma le scopriamo. Lo strumento dunque non ci è familiare. Se si acquista familiarità con un cactus, inevitabilmente accade che questo si disintegri in breve tempo, e sarà così necessario sostituirlo con un altro esemplare, che ci sarà perfettamente sconosciuto. Il che, oltre a impedire che il fascino della cosa venga meno, ci libererà dalla nostra memoria». L’odio dichiarato per il noto raggiunge qui livelli ludici che definirei estremi e preoccupanti, se non fossero appunto ludici e innocui. In fondo i cactus non sono bambini né persone, e possiamo fare con essi ciò che si vuole, come sempre i musicisti hanno fatto con i suoni. 9. Mi accorgo di avere sinora parlato parecchio dell’improvvisazione musicale così come può intenderla uno psicoanalista musicofilo, attento sia al discorso musicale, sia a quello teorico e clinico della psicoanalisi. E di aver lasciato implicite proprio le numerose analogie con la clinica e la teoria della tecnica psicoanalitica. Enuncio allora un po’ assiomaticamente gli elementi che seguono, da considerare punti nodali di possibili analogie da sviluppare e sulle quali riflettere. Li espongo a mo’ di promemoria sintetico, che ha bisogno di approfondimenti. • Giova considerare che anche l’intervento dell’analista avviene entro una prassi esecutiva dell’interpretazione. L’espressione «prassi esecutiva» si usa abitualmente in musica, ma non in psicoanalisi. Eppure è proprio anche una prassi esecutiva a essersi evoluta durante il secolo della psicoanalisi e a svilupparsi nel corso dell’esperienza di ciascun analista. Esiste durante la cura un mutuo adattaRivista di Psicoanalisi, 2014, LX, 2 366 Fausto Petrella mento della pratica comunicativa dell’analista al paziente, e viceversa. E un adattamento di tutto questo ai gusti e alla predisposizione ideologica prevalente nella comunità psicoanalitica e nel quadro sociale cui sia l’analista sia il paziente appartengono, influenzati dal mutevole e catastrofico Zeitgeist dell’ultimo secolo. • L’analista che esegue il proprio intervento è condizionato da un insieme di elementi eterogenei. Alle numerose acquisizioni psicoanalitiche relativamente stabili cui oggi può attingere, si associano consuetudini e mode teoriche effimere. L’esecutore-analista può prodursi in risposte ben fondate e insieme inventive, oppure adagiarsi in una routine talora stanca, ma anche in veri momenti virtuosistici «ispirati». Si tratta pur sempre di riuscire a dire o a significare l’ineffabile, o a formulare e rendere accettabili pensieri che si rifiutano di esprimersi per i motivi più diversi e che creano pregiudizi inconsci nocivi. Abbiamo così due proposizioni: l’una dove è in gioco ciò che si ritiene l’Indicibile (con un articolo determinativo e una I maiuscola tutti da discutere); l’altra in cui ci si confronta con ciò che è solo difficile o impossibile dire per i motivi più vari. Alle due proposizioni corrispondono posizioni molto diverse e che, del resto, non si escludono vicendevolmente. • L’impegno nelle libere associazioni impone l’improvvisazione come «regola-non regola» al centro della comunicazione verbale del paziente. La «regola fondamentale» di dire qualsiasi cosa venga in mente crea, insieme con altri elementi del setting, un varco nelle consuetudini comunicative correnti e le predispone alla divagazione, alla variazione, alle ripetizioni e al gioco trasformativo della relazione analitica. All’ingiunzione pedagogica del «Pensa prima di parlare» si sostituisce temporaneamente il «Parla senza pensare, senza preordinare il discorso». Qualcosa che va nella direzione di una libertà assoluta dell’espressione, sino al canto spontaneo senza parole, che in qualche raro caso mi è anche capitato di ascoltare in analisi, al posto di quel raccomandabile ordinario silenzio, dove per parlare bisogna aspettare di avere qualcosa da dire. Tuttavia la libera associazione come elemento disarticolante non dovrebbe spingersi ad annullare le regole del discorso comunicativo codificato, diventando una forma di evitamento evasivo, che finisce per assomigliare a quello che vuole evitare, cioè un discorso standard o protocollare, dove l’«esecuzione scolastica» è l’ unica possibile e la libera associazione si trasforma nella resistenza che dovrebbe aggirare. • L’intervento dell’analista entro un quadro di ascolto risonante attiva forme di trasformazione variabile – da più a meno inventive – del discorso del paziente Rivista di Psicoanalisi, 2014, LX, 2 IMPROMPTUS SULL’IMPROVVISAZIONE 367 (Petrella, 1987; 2009). L’invenzione investe sia la forma sia il contenuto dell’interpretazione. Penso si debba attribuire grande importanza a come l’interpretazione viene interpretata, cioè eseguita dall’analista, inclusa la qualità sonora della vocalità che si produce. L’interpretazione introduce delle qualità estetiche ed estesiche, che fanno parte del suo impegno formulante. • È rilevante l’interazione degli esecutori nel creare il momento fecondo, il movimento ispirato che tocca entrambi. Gli «esecutori» sono l’analista e il paziente, ma in un quadro terapeutico istituzionale l’esecuzione compete all’ «orchestra», rappresentata dall’équipe curante. Mi è capitato di paragonare certi momenti cruciali che si manifestano nel gruppo che discute casi clinici al cosiddetto «concertato» a più voci dell’opera lirica, dove trovano forma e espressione simultanea e armonica i conflitti e i diversi momenti narrativi presenti nei personaggi sonori sulla scena come nei partecipanti al gruppo. Il concertato è per definizione l’opposto di una pura improvvisazione. Ciò che si produce nel gruppo sarebbe certamente casuale, tendenzialmente caotico e sconcertante, se non ci fosse un momento interpretativo che prospetta quanto accade come espressione di una simultaneità dominabile nel teatro sonoro dell’ascolto. Abbiamo qui la realizzazione di quella che potremmo chiamare a buon diritto una concordia discors, dove si cimentano Amore e Discordia. Questi vari aspetti sono dipendenti anche dal punto di vista da cui li si osserva. Due esecutori dilettanti possono benissimo divertirsi a suonare assieme, mentre un ascoltatore estraneo può trovare noioso assistere a questa faticosa ricerca di un accordo. Ma la realizzazione di un vero unisono è difficilmente realizzabile senza l’accordo istituito forzatamente da un testo da eseguire. L’unisono si ottiene solo all’interno di accordi preliminari che contrastano l’idea di un’improvvisazione assoluta. • L’intervento dell’analista è spesso un momento sorgivo, un’idea improvvisa (Einfall), cui corrisponde la sorpresa del paziente, l’Aha-Erlebnis, la gioia di una connessione nuova, l’emozione di una trasformazione timbrica o ritmica, di una modulazione espressiva, che schiude nuove prospettive del senso. • Merita sicuramente un’attenzione critica, più che solo erudita, il percorso che prende le mosse dalla lettura da parte di Freud quattordicenne del breve scritto di Ludwig Börne L’arte di diventare uno scrittore originale in tre giorni (1823). A chi aspira a una scrittura creativa, Börne consigliava di scrivere per tre giorni tutto ciò che passa per la testa, senza falsità e ipocrisie. Si raggiungono così pensieri nuovi e imprevedibili. Börne – afferma Freud nel 1920 (circa un secolo dopo) – sarebbe un antesignano della psicoanalisi perché remoto ispiratore della tecnica delle libere Rivista di Psicoanalisi, 2014, LX, 2 368 Fausto Petrella associazioni, nonché sostenitore di un’improvvisazione e di una sincerità che va oltre «la codardia mentale» corrente e la «censura» oppressiva imposta dai governi e più ancora dall’opinione pubblica. Occorre liberarsi – sosteneva Börne – dalle pastoie delle convenzioni per realizzare qualcosa di nuovo e originale. Potremmo dire anche che Börne ha anticipato temi e pensieri che caratterizzeranno le avanguardie artistiche del Novecento, come il Surrealismo con la sua scrittura automatica, dichiaratamente ispirata alla psicoanalisi. Su tutto questo Freud si è espresso in modi contraddittori, che mostrano l’impossibilità di avere un’unica rappresentazione di quanto accade in analisi. Si richiede all’ascolto analitico un’attenzione ugualmente fluttuante, sul cui fondo deve sorgere l’idea improvvisa. Questa, un po’ come il Witz, corrisponde a un lampo correlante e chiarificatore. Ma in altri momenti sono attivi aspetti totalmente differenti, in cui si forniscono al paziente rappresentazioni anticipatorie che possono aiutarlo a vedere ciò che gli è difficile vedere, a formulare ipotesi da verificare, ecc. (Freud, 1915-17). Un’invenzione creativa può acccompagnare tutto questo e altro ancora in varia misura. • Negli ultimi vent’anni si è assistito a una valorizzazione psicoanalitica del sogno non solo come qualcosa da interpretare, ma si è pensato al sogno come un interpretante di una realtà divenuta più enigmatica e insondabile del sogno stesso. Il gioco analitico ammette oggi non solo il movimento che va dalla libera associazione (del paziente) all’interpretazione (dell’analista) e alla spirale che così si genera. Ma anche un percorso che va dalla rêverie dell’analista alla elicitazione di emozioni e significati potenzialmente condivisi, da cui potrebbero nascere nuove trasformazioni, nuove acquisizioni affettive e cognitive (Petrella, 2011b; Civitarese, 2013). Freud si limitava a pretendere la «concordanza» tra ciò che l’analista poteva inventare e i contenuti mentali presenti nei pazienti (Freud, 191517). Questa concordanza, tuttavia, non era tanto frutto di un’inventare, quanto di un indovinare (Erraten).3 Per Freud l’indovinare, correlato alle varie scoperte che si succedono via via e alla loro elaborazione nel tempo, finisce per ottenere una garanzia sufficiente di attendibilità e scientificità del lavoro clinico. Ma quando la cosa inventata o indovinata significa ritrovare il negativo, riattivare l’orrore e il dolore presente nelle proprie sedimentazioni interne e nelle proprie memorie inconsce, è ovvio che il 3 Per un’importante discussione dell’Erraten (indovinare, congetturare) vedi gli scritti di Alberto Luchetti (2002), Giovanni Vassalli (2001) e la discussione che ne fa Michel Gribinski (2004). Nel presente scritto mi limito a rilevare l’indovinare come un azione connessa al genere enigmistico dell’indovinello e al suo contrapporsi a un libero fantasticare. Rivista di Psicoanalisi, 2014, LX, 2 IMPROMPTUS SULL’IMPROVVISAZIONE 369 paziente aspiri ad allontanarsi da questo genere di ritrovamenti. Si tratta infatti di una riscoperta o in ogni caso di un’attribuzione di una realtà affettiva, immaginativa e fattuale da cui ha fatto di tutto per distanziarsi. È allora del tutto comprensibile che preferisca realizzare qualcosa di assolutamente inedito, una pura invenzione «creativa», senza alcun passato, un’esperienza relazionale fuori dal tempo storico e da una tradizione dove la sofferenza sembra condannata alla sua ripetizione. L’improvvisare avviene su un registro dichiaratamente inventivo; nell’indovinare – almeno se prendiamo come modello l’indovinello enigmistico, più o meno figurato – esiste invece una soluzione predisposta e univoca, che va afferrata o costruita superando la formulazione difficile e sviante del discorso oscuro, cioè le ambiguità e anfibologie che caratterizzano il genere dell’indovinello. • Tuttavia possono crearsi delle circostanze in cui indovinare e inventare mostrano una strana interazione. Un paziente riferisce un episodio della sua adolescenza che ricorda lucidamente. Entrando in casa di una coetanea con la quale era andato a fare una camminata, vi trova i genitori della ragazza e i propri, che erano amici tra loro, insieme con altri amici e conoscenti. Tutti erano intenti a giochi di società, guidati da un personaggio intraprendente della compagnia. Anche al mio paziente viene proposto un gioco: si deve allontanare dalla stanza, mentre i convenuti inventano una storia, una narrazione su cui si accordano. Il paziente ha il compito di ricostruire tale storia, interrogando il gruppo degli astanti, che risponderanno alle sue domande semplicemente con un Sì o con un No. L’interrogatorio ha inizio con le domande più semplici, e si addentra in sempre maggiori dettagli, finchè il giocatore pensa di avere sufficienti elementi per abbozzare la storia, che ha indovinato e che comunica al gruppo, con l’intento di verificare se ha indovinato esattamente o meno. Ancora oggi egli ricorda di quella storia l’essenziale: «La vecchia amante di un giovane uomo si suicida perché egli si è innamorato di una donna più giovane, a cui l’amante anziana col suo suicidio cede il passo». Prodottosi in questo racconto, guidato dalle risposte del gruppo, al paziente viene a questo punto comunicato che in realtà non esiste alcuna storia preordinata, e che gli astanti rispondono concordemente col Sì quando la domanda del paziente finisce con la vocale a, i, o. E col No quando la vocale finale della domanda è una e o una u. Qui il paziente scopre che non c’era in realtà nulla da indovinare. La storia prodotta è una pura invenzione dell’incauto narratore, che nell’illusione di indovinare una storia altrui, scopre inventivamente una propria Rivista di Psicoanalisi, 2014, LX, 2 370 Fausto Petrella storia del momento, della cui importanza affettiva e immaginativa per lui stesso egli non era per niente consapevole. Non ho mai trovato descritto da qualche parte questo gioco interessante, su cui si potrebbe a lungo discutere. Esso mette in luce che credere-di-indovinare può favorire l’inventare e che l’invenzione produce tuttavia una storia insieme rivelatrice ed enigmatica di molte fantasie profondamente connesse alla vita affettiva del paziente-narratore. Egli è costretto a interrogarsi sulle matrici personali della sua invenzione, che in ogni caso non chiamerei sogno, per esempio, anche se col sogno condivide almeno un tratto fondamentale, l’assenza o l’attenuazione di una funzione censurante e critica, che per vie diverse è ottenuta sia dal sogno sia dall’aver attribuito ad altri un’invenzione propria. IN CONCLUSIONE Penso che disciplina, studio, pazienza e tenacia della «ragione» da un lato; e gioco, invenzione, capacità di volo creativo e poeticità intuitiva dall’altro rimandino a una proporzione aperta a combinazioni e scelte anche parecchio diverse tra loro, che di fatto si sono documentate e si documentano con fortune variabili secondo i momenti storici e gli atteggiamenti sia degli analisti sia dei musicisti e degli artisti in genere. Personalmente credo che si dovrebbe essere capaci di contemperare entrambe le posizioni, senza abbandonare la gestione consapevolmente critica dei problemi che il tema dell’improvvisazione addita a tutti, artisti e psicoanalisti. Per finire, voglio attirare l’attenzione sullo splendido momento, filmato in un documentario di Schmidt-Gane, con cui si conclude un seminario di direzione ed esecuzione orchestrale tenuto in età avanzata da Sergiu Celibidache. Celibidache, ormai divenuto un riconosciuto maestro dell’arte direttoriale, invita i giovani strumentisti che hanno partecipato al suo seminario a suonare i loro strumenti ad arco senza far riferimento ad alcun testo scritto, ma soltanto tirando l’arco e producendo suoni liberamente, ciascuno a suo modo. Ad libitum, dunque, ma col solo impegno di farsi guidare dal suo gesto direttoriale, unificatore e agogico. Sorge un’esecuzione in gran parte aleatoria, effimera, ma a suo modo intensa, misteriosamente lirica e stranamente espressiva. Questa significatività sorgiva, che emerge nell’incrocio tra il caso e la sapienza appresa del gesto musicale di tutti, direttore e strumentisti, fa sorridere i partecipanti. Credo di poter concludere questa mia improvvisazione evocando l’accattivante e ironico sorriso di Sergiu Celibidache di fronte all’intensità espressiva delRivista di Psicoanalisi, 2014, LX, 2 IMPROMPTUS SULL’IMPROVVISAZIONE 371 l’improvvisazione da lui guidata. Sorta dal nulla e che ritorna nel nulla, per il piacere e la gioia di esecutori capaci ed esperti. SINTESI E PAROLE CHIAVE L’autore di propone di esaminare l’improvvisazione musicale mettendola a confronto con i momenti improvvisativi dell’intervento analitico, rilevando i punti di contatto e le differenze. Scopo del discorso, che non aspira ad alcuna completezza, è cercare di ottenere dei chiarimenti sulla complessa e inesauribile materia dell’intervento analitico attraverso il confronto col tema dell’improvvisazione musicale. Viene proseguita qui un’indagine che già aveva messo a confronto interpretazione psicoanalitica e interpretazione musicale (Petrella, 2009). Qui sono in gioco gli aspetti improvvisativi e inventivi, differenziati da quella pratica dell’indovinare (erraten) , più volte indicata da Freud come un momento importante del lavoro analitico. PAROLE CHIAVE: Idea improvvisa (Einfall), improvvisazione, indovinare (Erraten), interpretazione analitica, interpretazione musicale, narrazione, trasformazione. IMPROMPTU COMMENTS ON IMPROVISATION IN MUSIC AND IN CLINICAL WORK. The author proposes to examine musical improvisation, comparing it to improvisational moments in analytic intervention, highlighting points of contact and differences. The goal of the discussion, which does not aspire to be exhaustive, is to try to attain clarifications of the complex and inexhaustible material on analytic intervention through a comparison with the theme of musical improvisation. This article continuesthe author’s earlier investigation comparing psychoanalytic interpretation and musical interpretation (Petrella, 2009). Here improvisational and inventive aspects are at play, distinguished from those of the experience of guessing (Erraten), often pointed out by Freud as an important moment in the analytic work. KEYWORDS: Analytic interpretation, guessing (Erraten), improvisation, musical interpretation, narration, sudden idea (Einfall), transformation. IMPROMPTUS SUR L’IMPROVISATION: DANS LA MUSIQUE, DANS LE TRAVAIL CLINIQUE. L’auteur se propose d’examiner l’improvisation musicale, en la comparant aux moments d’improvisation en analyse, et en en notant les points de contact et les différences. Le but du discours, qui ne vise pas à l’exhaustivité, est d’essayer d’obtenir des éclaircissements sur le complexe et inépuisable matériel de l’intervention analytique à travers la comparaison avec le thème de l’improvisation musicale. On est déroulée ici une enquête qui avait déjà confronté l’interprétation psychanalytique et l’interprétation musicale (Petrella, 2009). Ici sont en jeu les aspects d’improvisation et d’invention, différenciés de la pratique de la devination (erraten), souvent désignée par Freud comme un moment important du travail analytique. MOTS-CLÉS: Conjecture (erraten), idée improvisé (Einfall), improvisation, interprétation analytique, interprétation musicale, narration, transformation. IMPROMPTUS DE LA IMPROVISACIÓN: EN MÚSICA Y EN EL TRABAJO CLÍNICO. El Autor se propone de examinar la improvisación musical, poniéndola en comparación con los momentos de improvisación en la intervención analítica, evidenciando los puntos de afinidad o bien las diferencias. Este discurso no pretende llegar a plenitud, sino alcanzar una aclaración sobre la compleja e inagotable materia de la intervención analítica, comparándola col tema de la improvisación musical. Se continua aquí una investigación que ya puso en comparación la interpretación psicoanalítica con la interpretación musical (Petrella, 2009). En esta sede están en juego los aspectos de improvisación y de inventiva, diferenciándolos de la práctica de adivinar (erraten), a menudo indicada por Freud cual momento importante del trabajo analítico. PALABRAS CLAVE: Adivinar (Erraten), idea inopinada (Einfall), improvisación, interpretación analí- Rivista di Psicoanalisi, 2014, LX, 2 372 Fausto Petrella tica, interpretación musical, narración, transformación. IMPROMPTU ZUR IMPROVISATION: BEI DER MUSIK, INNERHALB DER KLINISCHEN ARBEIT. Der Autor schlägt vor, die musikalische Improvisation zu untersuchen und sie mit den improvisierten Momenten der analytischen Behandlung zu vergleichen; dabei werden die Kontaktpunkte und die Unterschiede hervorgehoben. Der Grund dieser Beschreibung, der nicht nach einer Vollständigkeit trachtet, versucht eine Klarstellung über die unerschöpfliche und komplexe Materie der analytischen Eingriffe durch die Gegenüberstellung mit dem Thema der musikalischen Improvisation zu erreichen. Es wird eine Untersuchung fortgesetzt, die sich bereits mit der Gegenüberstellung der psychoanalytischen und der musikalischen Interpretation beschäftigt hat (Petrella, 2009). Auf dem Spiel stehen die improvisierten und erfinderischen Aspekte, unterschieden von der Praktik des Erratens, die mehrfach von Freud als wichtiger Moment der analytischen Arbeit angezeigt wurde. SCHLÜSSELWÖRTER: Analytische Interpretation, Einfall, Erraten, Erzählung, Improvisation, musikalische Interpretation, Transformation. BIBLIOGRAFIA BION W.R. (1965). Trasformazioni. Il passaggio dall’apprendimento alla crescita. Roma, Armando, 1975. BÖRNE L. (1823). Cit. in Freud (1920). CIVITARESE G. (2013). Il sogno necessario. Milano, Franco Angeli. D’ANGELO P. (2007). Arpa eolia. Uno strumento e la sua simbologia nella estetica romantica. De Musica, Annuario del Seminario di filosofia della musica, users.unimi.it/gpiana/dm11idxrd.htm FREUD S. (1899). L’interpretazione dei sogni. O.S.F., 3. FREUD S. (1915-17). La terapia psicoanalitica, Lezione 28. In Introduzione alla psicoanalisi. O.S.F., 8. FREUD S. (1920). Preistoria della tecnica analitica. O.S.F., 9. GRIBINSKI M. (2004). «Indovinare pressappoco». Riv. Psicoanal., 50, 53. GLOBOKAR V. (1970). «Réagir…». Musique en jeu, n. 1. LUCHETTI A. (2002). «Fantasticare, tradurre, indovinare». Su evoluzione e rivoluzione della metapsicologia. Riv. Psicoanal., 48, 41. LUGHI C. (1998). Le spine del cactus. Musica & Terapia, VI, 1, 4. HEGEL W.F. (1836). Estetica. Torino, Einaudi, 1972. PETRELLA F. (1987). Considerazioni sulla forma e la struttura dell’interpretazione analitica. Riv. Psicoanal., 2, 183-196. PETRELLA F. (1996). L’ascolto e l’ostacolo. Musica, discorso, immaginazione nel lavoro psicoanalitico. Atque, 14/15, 155-188. PETRELLA F. (2009). Interpretazione psicoanalitica e interpretazione musicale. Osservazioni comparate. I quaderni de «Gli Argonauti», 18, 41-65, 2009. Anche in G. Gabbriellini (a cura di), Psicoanalisi e Musica. Pisa, Felici, 17-36, 2010. PETRELLA F. (2011a). La mente come teatro. Psicoanalisi, mito e rappresentazione. Milano, Edi-ermes. PETRELLA F. (2011b). Introduzione. G. De Giorgio, F. Petrella e S. Vecchio (a cura di), «Sogno o son desto?», Senso della realtà e vita onirica nella psicoanalisi odierna. Milano, Franco Angeli. ROGNONI L. (1968). Gioacchino Rossini. Torino, Einaudi, 1977. SCHMIDT-GANE J. (s.d., Regia di). Ein film von Celibidache, DVD. VASSALLI G.(2004). La psicoanalisi nasce dallo spirito della «tecnica» greca. Riv. Psicoanal., 50, 961-991. Fausto Petrella Via Cardano, 74 27100 Pavia e-mail: fpetrella@unipv.it Rivista di Psicoanalisi, 2014, LX, 2
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