125 - Giugno 2014

POSTE ITALIANE SPA – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE 70% - DCB ROMA
ANNO XXXIV N.125
RINNOVO ORGANI CSR
Il populismo e le incoerenze cedono
il passo alla AFFIDABILITÀ
e alla PROFESSIONALITÀ
di Giovanni Castaldi
- la buona notizia è che stavolta furbizie
e scorciatoie non hanno pagato Sergio Borrelli
E’ incoraggiante constatare che, a
differenza di quanto avviene molto
spesso nella società in cui viviamo, i soci
CSR non hanno ascoltato le sirene populiste e hanno scelto, in occasione del
rinnovo degli organi sociali, una lista
formata da persone competenti e affidabili.
In particolare, è una bella notizia la
scelta di Giovanni Castaldi come Presidente: nell’ambito di una rosa di candidati
portatori
di
esperienze
professionali senz’altro valide, abbiamo
scelto una persona che offriva ampie
garanzie di serietà e indipendenza di
giudizio, oltre che di elevata professionalità. Qualità che molti colleghi hanno
apprezzato, qualche anno fa, in occasione del ruolo svolto da Castaldi per
contrastare con successo la scalata ad
Antonveneta dei “furbetti del quartierino”. Doti poi confermate nel guidare
con competenza l’Unità di Informazione Finanziaria.
Va poi aggiunto che Castaldi ha ottenuto molti voti che, sulla carta, erano
destinati al candidato del sindacato
maggioritario. E ciò per merito, in primis, delle sue qualità, tra le quali figura
la coerenza dei suoi comportamenti. E
forse analoga coerenza i soci non l’hanno riscontrata nel candidato Falbi
che, per tanti anni, aveva militato nel
Sindirettivo, salvo poi a lasciarlo pochi
giorni prima di ottenere (dalla Falbi) la
candidatura alla Presidenza CSR. A
volte l’eccessiva ambizione, specie
quando suggerisce scorciatoie e
GIUGNO 2014
“Chiunque, se perde la speranza, ha fallito. Non importa quali siano le difficoltà, il cambiamento
è sempre possibile”.
(Dalai Lama, intervista al Corriere della Sera, 13 giugno 2014)
Il Bilancio di un anno
LA RELAZIONE ANNUALE
PRESENTATA DAL PRESIDENTE
- il 29 maggio alla Dirigenza della Banca, e
- il 9 giugno al Consiglio Direttivo e ai Revisori
Dall’Albergo Quirinale al Centro Congressi Palazzo Rospigliosi,
vale a dire da Via Nazionale a Via XXIV Maggio, sempre a Roma.
Una distanza “fisica” di poche centinaia di metri, e “temporale” di
un anno. Per illustrare ai convenuti e, quindi, a tutti gli aderenti al
Sindacato ciò che il Sindirettivo-CIDA ha fatto nei dodici mesi in
scadenza e le linee di ciò che intende fare nei dodici mesi che ci separano dal prossimo bilancio.
Tra gli argomenti di maggiore rilevanza affrontati in Relazione figurano: i) la riforma degli inquadramenti e dei connessi meccanismi gestionali; ii) i problemi relativi al ruolo dell’Istituto sul
territorio; iii) i recenti accordi sottoscritti in tema di orario di lavoro, missioni, applicazione delle misure di austerità; iv) la modernizzazione della P.A. e le sfide per il nostro Istituto; v) le vicende
della CSR.
Per il loro sviluppo rinviamo al testo della Relazione riportato alle
pagine da 3 a 16 della presente pubblicazione.
“cambi di cavallo”, non è una buona
consigliera.
A questo punto, ci auguriamo che il
nuovo Consiglio si metta subito al lavoro per superare l’impasse determinata dalla mancata riforma statutaria
richiesta dalla Vigilanza. E non dubitiamo che la nuova “squadra” riuscirà
a dare attuazione al nutrito programma presentato ai soci. Ci siamo riconosciuti nei diversi punti delineati
dalla lista vincente, e ben sintetizzati
dalla promessa di trasformare la CSR in
“unica banca di riferimento” per dipendenti e pensionati Bankitalia, che non
dovranno più “cercare altrove le rispo-
ste alle proprie esigenze”, anche al fine
di “evitare che i controllori si rivolgano
ai controllati per le esigenze di servizi
bancari”.
Ci permettiamo di aggiungere che, al
fine di limitare le penalizzazioni introdotte con recenti misure fiscali, si potrebbe prevedere (in linea con le
iniziative promozionali di alcune banche)
il rimborso della c.d. patrimonialina sui
dossier titoli, almeno entro un certo plafond. L’investimento in valori mobiliari
costituisce, infatti, una riserva prudenziale utile per alleviare il peso di spese sanitarie e/o di assistenza che, prima o poi,
tutti dobbiamo fronteggiare.
DIRIGENZA NUOVA n.125
Dalle Filiali
IL SABATO FASCISTA
Nelle nostre intenzioni, l’intervento che potete leggere qui di seguito
avrebbe dovuto conoscere gli onori della stampa nel mese di novembre
2013, quando il fenomeno delle prestazioni straordinarie rese di sabato
presso le Filiali era tanto diffuso da essere diventato quasi un “ appuntamento fisso. Purtroppo, e come spesso accade al momento di “andare
in edicola”, non è stato possibile pubblicare quest’articolo nei tempi previsti. Lo riproponiamo adesso sia perché, approssimandosi le ferie
estive, riteniamo ancora godibile la sua fresca ironia, sia affinché valga
da monito per coloro i quali immaginano una campagna autunnale per
smaltire il vecchio 10 euro.
Maurizio Argentieri
Come certamente ricorderanno
gli appassionati di storia (nonché
qualche inguaribile nostalgico), tra
le più controverse innovazioni che il
regime fascista cercò di imporre alle
masse, nel maldestro tentativo di irreggimentarle in vista dell’avvento di
un regime totalitario, va indubbiamente annoverato il così detto sabato fascista.
Il sabato fascista è la dizione con
la quale si indicava la giornata del
sabato dal 1935 in poi, dedicata ad
attività culturali, sportive, paramilitari, politiche e professionali. Da
quel momento, le piazze di tutte le
città e paesi della nazione divennero
teatro di un grottesco spettacolo in
cui ragazzi in divisa compivano esercizi ginnici, mentre le ragazze, in camicetta bianca e gonna nera,
facevano roteare cerchi, clavette,
bandiere e si esibivano nella corsa e
nel salto.
Sono trascorsi ormai tanti decenni da questo esempio di “mistica
fascista”, ma un nuovo rito si sta decisamente affermando in alcune filiali della Banca d’Italia: il sabato
lavorativo dedicato alla contazione
dei biglietti di banca. Partito in sordina, sporadicamente, nei primi mesi
del 2013, il fenomeno si è ormai de-
SOMMARIO
Rinnovo Organi CSR
Il sabato fascista
Pag.
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LA RELAZIONE ANNUALE
PRESENTATA DAL PRESIDENTE
da pag. 3 a pag. 16
Il sogno di un economista
Giugno 2014
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finitivamente consolidato nel periodo autunnale e si prepara ad accompagnarci fino all’anno nuovo.
Manipoli di dipendenti, alla stregua di figli della lupa alla rovescia,
abbandonano l’evidentemente insopportabile monotonia del sabato
extra lavorativo per tornare gioiosamente nelle trionfali mura delle filiali,
dove non li attendono volteggi o cerchi di fuoco ma più confortevoli
macchine conta banconote.
Il Direttore Generale indica la
strada del budget di filiale quale strumento per il contenimento dei costi
derivanti dalle prestazioni di lavoro
straordinarie, promuovendo allo status di strutture modello quelle che
più si avvicinano ad uno standard
orario ritenuto fisiologico? Sprezzanti
del pericolo di una insidiosa spending
review interna moltitudini di avanguardisti sfidano i primi freddi dell’inverno per raggiungere il proprio
posto al fronte, irretiti da una ghiotta
paghetta settimanale.
Le
organizzazioni
sindacali
stanno per concludere con l’Ammini- strazione un tormentato iter
negoziale al cui termine verranno introdotti nuovi istituti normativi che
consentiranno maggiori possibilità
di conciliazione dei tempi di lavoro
con le esigenze personali e familiari?
Indifferenti ai richiami della prole le
nostre giovani italiane abbandonano
il focolare domestico per abbassare
le giacenze di banconote non riutilizzabili nei nostri locali di sicurezza.
Le filiali specializzate nel trattamento del contante sono state dislocate sul territorio nazionale secondo
una logica da risiko, diversificando le
dotazioni tecnologiche per la sele-
zione sulla base di echi di archeologia industriale? Non vi preoccupate,
otto milioni (pardon, decine!) di baionette spuntate spezzeranno le reni
al 5 euro vecchia serie che si ostina
a resistere.
Il personale direttivo addetto alle
filiali interessate dal fenomeno arriva
al venerdì pomeriggio già logorato
da una settimana lavorativa intensa,
trascorsa a barcamenarsi tra esigenze di produzione e scarsità evidente di mezzi e risorse? Attenzione,
astenersi dalle attività del sabato fascista potrebbe portare a ripercussioni da parte del regime!
Se del sabato fascista vi è ancora
qualche memoria, ben pochi però
sapranno che il Regio Decreto Legge
n. 1010 che lo introduceva cercava
di regolamentare la vita del cittadino
anche la domenica, lasciando completamente libera solo una domenica
al mese.
Speriamo che non vi siano in giro
troppi aspiranti Starace, altrimenti la
nostra unica speranza di riposo settimanale dovremo riporla nella richiesta di un intervento armato degli
alleati!
DIRIGENZA NUOVA
PERIODICO DEL SINDACATO NAZIONALE DEL PERSONALE
DIRETTIVO DELLA BANCA CENTRALE
MARIO PINNA
direttore responsabile
VIRGINIA GIGLIO
SERGIO MARZANO
vice direttori
Comitato di redazione
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SIMONE CARLIZZA
GIOVANNI CIFONI
VIRGINIA DʼAMBROSIO
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FABRIZIO POZZI
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Finito di stampare: giugno 2014
Registrazione Tribunale di Roma n. 354/82
del 28 ottobre 1982 Edito da Sindirettivo Bankitalia
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LA RELAZIONE ANNUALE
PRESENTATA DAL PRESIDENTE
resa in un momento certamente non propenso al riconoscimento di meriti, professionalità, differenze
I punti lungo i quali si è sviluppata la Relazione
INTRODUZIONE
pag. 3
IL CONTESTO ESTERNO ALL’AZIONE DEL SINDACATO
- Le ipotesi di riforma della P.A.
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- Il tetto alle retribuzioni dei dirigenti pubblici
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- Le quote Bankitalia
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- L’avvio del Single Supervisory Mechanism
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IL CONTESTO INTERNO
- Gli importanti accordi negoziali sottoscritti con la Banca
- La chiusura del contratto 2010-2012
- La previdenza complementare
- La riforma delle carriere
- Il confronto sulle Filiali
- La riforma organizzativa in A.C. e l’avvio dei Dipartimenti
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INTRODUZIONE
Care amiche, cari amici,
la relazione che mi accingo a presentarvi, insieme agli altri
componenti del Comitato di Presidenza del SindirettivoCIDA, vuole essere uno sguardo di insieme sulla situazione
attorno a noi e un resoconto dei fatti più rilevanti che sono
accaduti in questo ultimo anno nel confronto con la Banca.
Vedo, in generale, una crisi molto marcata della partecipazione, dell’associazionismo, del confronto democratico,
a favore di preoccupanti istanze di verticismo.
E’ molto pericolosa secondo me la tentazione dell’uomo
solo al comando. Bisogna essere molto attenti, perché
quando l’unico vero dibattito rimasto è quello che si svolge
sui media il dialogo democratico si imbarbarisce.
Certo, sono altrettanto nefasti i danni che il rito consociativo della concertazione ha apportato alle legittime
aspettative di cambiamenti doverosi e ineluttabili, ma i guasti del conservatorismo non vanno combattuti con la deriva
della denigrazione di chi esprime idee contrarie come sempre più spesso accade nel dibattito politico-sociale.
La demonizzazione del dissenso, attraverso dichiarazioni
di inattendibilità perché chi parla è accusato di essere portatore di interessi particolari, sia pure corporativi, ma che
vengono definiti “di casta”, conduce a corto-circuiti di democrazia.
E’ imbarazzante questa perdurante crisi di tutti i corpi
intermedi (partiti politici, sindacati, associazioni, ecc.), perché cresce la tentazione di eliminarli, rinunciando alla funzione di mediazione e di rappresentanza di interessi
collettivi che essi hanno sempre svolto. Bisogna invece ricostruire e difendere quegli spazi e quegli organismi che intermediano fra politica, economia e società. Pena la deriva
dell’individualismo e della rinuncia ad agire per difendere
obiettivi sociali e combattere i disagi.
Ma il Sindacato serve, eccome se serve, e sono certo di
riuscire a dimostrarvelo nel seguito di questa mia relazione.
TEMI D’INTERESSE
- Le promozioni fra discrezionalità e merito
- I fringe benefit
- Polizza sanitaria
- Pensionati
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IL NOSTRO SINDACATO E GLI ALTRI
- Lo stato di salute del Sindirettivo
- Le relazioni fra i Sindacati presenti in Banca
- La CSR
- Il CASC
- Lo SCECBU e il dialogo sociale a Francoforte
- La CIDA
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CONCLUSIONI
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IL CONTESTO ESTERNO
ALL’AZIONE DEL SINDACATO
Le ipotesi di riforma della P.A.
Il Presidente del Consiglio e il Ministro per la Pubblica
amministrazione e la semplificazione hanno recentemente
presentato i titoli di una riforma complessiva della P.A. nelle loro intenzioni una “rivoluzione” - articolata su ben
44 punti.
Degno di grandissima attenzione e profondo rispetto è
prima di tutto il metodo, che prevede l’apertura di una consultazione pubblica con tutti i portatori di interesse e un termine entro il quale presentare commenti prima
dell’assunzione delle decisioni definitive, previste per il Consiglio dei Ministri del 13 giugno.
Il Presidente Barra durante il suo intervento
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Si tratta in sostanza di un approccio che è volto al superamento definitivo del metodo della concertazione e del
potere di veto.
Di assoluto rilievo è anche l’intendimento di coinvolgere
nelle riforme – almeno a parole – anche chi di solito ne deve
solo subire le conseguenze, stimolandone invece l’apporto
creativo e critico, l’orgoglio di appartenenza a una macchina pubblica troppo spesso solo vituperata, il senso di fare
bene il proprio compito pubblico.
Parole d’ordine declinate sono: programmazione strategica dei fabbisogni di risorse nella P.A.; ricambio generazionale; maggiore mobilità; mercato del lavoro della dirigenza;
misurazione reale dei risultati; conciliazione dei tempi di vita
e di lavoro.
Più in particolare, cito alcuni titoli che mi sembrano di
particolare interesse:
● abrogazione dell’istituto del trattenimento in servizio;
● modifica dell’istituto della mobilità volontaria e obbligatoria;
● introduzione dell’esonero dal servizio;
● agevolazione del part-time;
● riduzione del 50% del monte ore dei permessi sindacali
nel pubblico impiego;
● introduzione del ruolo unico della dirigenza;
● abolizione delle fasce per la dirigenza, carriera basata su
incarichi a termine;
● possibilità di licenziamento per il dirigente che rimane
privo di incarico oltre un certo termine;
● valutazione dei risultati fatta seriamente e retribuzione di
risultato erogata anche in funzione dell’andamento dell’economia;
● conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, asili nido nelle
amministrazioni;
● riorganizzazione del sistema delle autorità indipendenti;
● soppressione della Covip e attribuzione delle sue funzioni
alla Banca d’Italia;
● riorganizzazione della presenza dello Stato sul territorio
(ad es. Ragionerie provinciali e sedi regionali Istat) e riduzione delle Prefetture a non più di 40;
● modifica del codice degli appalti pubblici;
● obbligo di trasparenza da parte dei sindacati e ogni spesa
online.
Grandi perplessità nutro invece per il linguaggio usato.
Sbaglia il premier a qualificare le sue proposte di intervento
sulla P.A. come “rivoluzione”: la rivoluzione evoca il concetto di guerra contro qualcuno. La P.A. non è un orpello
senza senso; Max Weber tracciò un quadro di organizzazione della burocrazia basata su una rigorosa divisione del
lavoro, sul sapere e sulle competenze, su gerarchie regolate
dal merito e da precisi meccanismi di carriera e, ancora, su
un complesso di norme scritte che tendono a vincolare il
funzionario a una condotta tipicamente imparziale.
Caratteristiche distintive della burocrazia secondo Weber
sono dunque: la netta divisione del lavoro; l’ordine gerarchico all’interno dell’organizzazione; operazioni governate
da un sistema di regole scritte, che assicurano l’uniformità
nel disimpegno di ogni compito a prescindere da chi lo
svolge; il principio di impersonalità, che obbliga a svolgere
le funzioni assegnate in modo imparziale e distaccato; l’im-
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piego nella burocrazia che costituisce una carriera, basato
su qualifiche tecniche, su un sistema di promozioni generalmente prevedibile basato sia sul merito, sia sull’anzianità,
ma non su favoritismi personali, e protetto dal licenziamento arbitrario. L’ufficio pubblico è una “professione”;
per ricoprirla sono richiesti un corso di studi determinato e
prove di qualificazione prescritte come condizione preliminare per l’assunzione.
E’ questo concetto di burocrazia pubblica, che consente
la continuità di perseguimento degli interessi collettivi e l’imparzialità dell’agire, a fronte del cambiamento dei politici amministratori, che si vuole distruggere con una “rivoluzione”?
Non ci siamo, se fosse così.
La battaglia contro le degenerazioni e le derive di autoreferenzialità dei corpi pubblici è una battaglia seria e necessaria, ma va tenuta distinta da critiche qualunquiste e
demagogiche. La burocrazia pubblica non deve essere né
un’accozzaglia di mandarini impenetrabili a qualsiasi forma
di accountability e distanti dai cittadini né una truppa di servili plaudenti al politico di turno. Deve consentire e garantire
l’imparzialità dei pubblici poteri rispetto all’alternarsi delle
forze di governo.
Il fine delle riforme è rivedere i processi e le risorse ovvero
l’efficacia delle Istituzioni, non di distruggerle. La nostra memoria è così labile da far sembrare le conquiste sociali
(scuola, pensione, sanità) come elementi giunti da chissà
dove. Se lo Stato non funziona bisogna farlo funzionare,
averne cura, cambiarlo semmai.
L’uso troppo disinvolto di termini come “rottamare”,
“rivoluzione” non aiuta a far percepire che la riforma che
si vuole fare non va contro i lavoratori del pubblico impiego,
bensì è indirizzata a rendere più facili ed efficienti i rapporti
fra il cittadino e gli uffici pubblici.
Il tetto alle retribuzioni
dei dirigenti pubblici
Per poter ambire all’eccellenza, la burocrazia deve poter
selezionare e reclutare i migliori. Chi entra nella P.A. esce
da giovane dal mercato del lavoro ordinario e, se meritevole, deve essere trattenuto per disimpegnare bene le funzioni pubbliche assegnategli piuttosto che essere
incentivato ad andarsene; bisogna assicurargli remunerazioni di livello tali da ricompensare la scelta di svolgere funzioni pubbliche rispetto a più lucrose retribuzioni private e
tali da garantire l’assoluta dedizione, imparzialità e terzietà.
Io ritengo che abbia perfettamente ragione Silvestre Bertolini, il Presidente della nostra Confederazione, quando
sottolinea che l’idea di un tetto agli stipendi dei manager è
solo un modo di assecondare un malcontento diffuso e populista, in quanto ridurre per legge gli stipendi porterà solo
alla demotivazione e all’inefficienza.
Gli stipendi, in qualsiasi organizzazione pubblica o privata, rappresentano una risorsa di investimento che valorizza la struttura, non vanno intesi come spesa. I dirigenti
che lavorano con successo e ottengono risultati non devono essere penalizzati, bensì premiati per i meriti e le professionalità concretamente dimostrati.
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Sorprende la determinazione con cui a livello governativo si impone un drastico livellamento retributivo nella fascia alta della dirigenza pubblica.
Non siamo d’accordo con questa previsione, denominata “norma Olivetti” (in ossequio al principio in virtù del
quale in un’azienda nessuno può guadagnare più di 10
volte quanto guadagnato dall’ultimo lavoratore), perché
mette insieme nello stesso calderone persone nominate
dalla politica con persone che hanno vinto concorsi e hanno
progredito nella loro carriera in virtù dei meriti dimostrati.
Non convince neanche l’appannamento dei valori che
sottostanno alla progressione nelle retribuzioni, quasi che
il merito, la responsabilità, la dedizione al lavoro, il desiderio
di ben figurare e di progredire vadano sviliti o debbano trovare un tetto oltre il quale non possono andare.
Appare necessario invece intraprendere un processo di riforma al fine di favorire le condizioni per rafforzare una classe
dirigente capace di interagire in Europa, con apertura e propensione internazionale, che si qualifichi per le proprie competenze distintive anche nel confronto con colleghi di altri
Paesi e nell’interazione con i dirigenti dell’Unione Europea.
Sorprende poi che in questa situazione si rinvenga anche
un invito alla Banca d’Italia ad adeguare il proprio ordinamento al tetto dei 240mila euro lordi annui, seppure nella
sua autonomia organizzativa e finanziaria. Infatti, è proprio
quest’autonomia che sostanzia quei requisiti di indipendenza istituzionale fondamentali per lo svolgimento delle
funzioni assegnate alla Banca dallo Statuto del SEBC, parte
integrante del Trattato UE. Per poterla esercitare, è essenziale un esercizio di libera determinazione da parte della
stessa Banca, le cui spese non ricadono certo a carico del
bilancio dello Stato o delle pubbliche amministrazioni, bensì
- al contrario - concorrono a determinare un conto economico da cui vengono tratti utili da ripartire in primo luogo
fra gli azionisti.
Le quote Bankitalia
Come ricorderete, insieme agli amici del DASBI scrivemmo al Direttore Generale il 2 dicembre dello scorso
anno per sollecitarlo a promuovere un incontro con i Sindacati sul delicato tema della rivalutazione delle quote di
partecipazione al capitale della Banca.
Eravamo convinti, e lo siamo tuttora, che l’operazione re-
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lativa alle quote non solo non ha inciso negativamente sull’autonomia e indipendenza dell’Istituto, ma anzi potrebbe
rappresentare un’occasione per renderle ancora più forti.
Peraltro, andrebbe condotta una specifica riflessione
sulle eventuali ricadute dell’operazione alla luce delle esigenze di maggior indirizzamento degli utili nei confronti di
soggetti privati.
L’allargamento della platea dei partecipanti al capitale
della Banca, attraverso il limite che impedisce che ciascuno
ne detenga una quota superiore al 3%, consente di eliminare qualsiasi dubbio, anche formale, che una concentrazione di quote in capo a un singolo partecipante possa
condizionare in qualche modo l’azione della Banca centrale.
Risulta anche chiarito che i partecipanti non hanno diritti
sulle riserve patrimoniali, superando l’ambiguità preesistente nel vecchio Statuto, secondo il quale ai partecipanti
potevano essere assegnati dividendi fino al 4% delle riserve
complessive, pari a circa 15 miliardi nell’ultimo bilancio. I
dividendi sono ora una quota (non più del 6%) del capitale
in senso stretto, il quale è espresso in cifra fissa (7,5 miliardi):
quindi, i dividendi non potranno mai eccedere i 450 milioni.
Questa riforma sana la situazione venutasi a creare con
il comma 10 dell’art. 19 della legge n. 262 del 28 dicembre
2005, volto a ridefinire l’assetto proprietario dell’Istituto e
le modalità di trasferimento, entro tre anni dalla data di entrata in vigore di quella legge, delle quote di partecipazione
al capitale della Banca d’Italia in possesso di soggetti diversi
dallo Stato o da altri enti pubblici. Ovverosia, la “statalizzazione” della Banca d’Italia.
Peculiare elemento di delicatezza assume peraltro la previsione dell’acquisto da parte della Banca delle quote di partecipazione eccedentarie rispetto al nuovo limite imposto a
ciascun partecipante e alle procedure per ricollocarle a
nuovi soggetti autorizzati a detenerle. La Banca può acquistare essa stessa, temporaneamente, parte delle quote in
mano ai partecipanti che ne posseggono più del limite del
3 per cento e non riescano a scendere in tempo utile (tre
anni) al di sotto di tale limite. In ogni caso le quote non resterebbero in capo alla Banca ma sarebbero ricollocate al
più presto sul mercato.
Sono questi gli aspetti che andrebbero meglio chiariti in
una franca discussione interna all’Istituto, che continuiamo
a richiedere a gran forza.
L’avvio del Single Supervisory
Mechanism
La sala dell’incontro con la Dirigenza della Banca
Lo scorso anno ho trattato della grande sfida costituita
dalla predisposizione e dall’avvio di un sistema di vigilanza
unificato nell’Eurosistema. Davvero una rivoluzione, alla
quale la nostra Banca ha il dovere, più che l’esigenza, di
partecipare con le migliori risorse per garantire l’applicazione di un ben sperimentato e valido metodo e approccio
di vigilanza.
In assenza di reali incentivi per portare a Francoforte
il contributo della nostra quasi secolare esperienza nella
vigilanza bancaria, il Sindirettivo-CIDA è dovuto intervenire con forza e determinazione per far rimuovere alcuni
DIRIGENZA NUOVA n.125
degli ostacoli all’assunzione di posizioni presso il SSM.
Abbiamo insistito - ad esempio – per cercare di convincere
l’Amministrazione che forse non è opportuno che chi va a
Francoforte con un contratto a tempo determinato di 3 o 5
anni si veda interrompere la contribuzione previdenziale obbligatoria in Italia con le conseguenze che ciò comporterà al
rientro. Fin dagli inizi del mese di luglio 2013 l’abbiamo denunciata come una posizione irragionevole, anche per assunzioni di incarichi in istituzioni internazionali diverse dal
SSM. Il fatto che altri sindacati abbiano poi condiviso questa
battaglia, e che con la Banca sia intervenuto un accordo sul
tema lo scorso mese di gennaio, ci fa solo grande piacere.
Incredibilmente, però, la Banca si è rifiutata di applicare il regime di ricongiungimento pensionistico anche ai colleghi che
sono già andati alla BCE e rientrati alla base.
Abbiamo, inoltre, spinto affinché anche i colleghi delle
Filiali venissero pienamente coinvolti dalla funzione del personale nelle iniziative finalizzate a favorire la partecipazione
al SSM: anche grazie alla nostra azione, oggi diversi colleghi
di Filiale stanno partecipando alle selezioni della BCE e ad
alcuni di essi sono state già assegnate, nell’ambito del SSM,
posizioni di assoluta responsabilità.
Più in generale noi riteniamo che per i colleghi che si
sono candidati o si candideranno in ambito SSM si possa e
si debba fare di più, a cominciare dall’informazione e dall’impegno per contare di più nel nuovo meccanismo.
Pochi, anche se valenti, sono i nostri colleghi chiamati
ad assumere la responsabilità nelle posizioni apicali del SSM
(sono due i dirigenti della Banca che copriranno la carica di
vice direttori generali). Più di recente, la situazione della rappresentatività del nostro Istituto è migliorata, dal momento
che diversi nostri colleghi e colleghe sono stati selezionati
per posizioni di capo divisione.
Il processo di selezione del personale da destinare alla
funzione di Vigilanza europea presso la BCE è tuttora in
corso: il processo dovrebbe protrarsi fino all’estate. Le candidature pervenute sono nell’ordine delle centinaia e presentate prevalentemente da personale piuttosto giovane
proveniente dalle autorità nazionali. Non sarebbero previste
quote di personale basate sulla nazionalità.
Secondo i vertici del SSM l’avvio della Vigilanza europea
non dovrebbe avere impatti diretti sul numero di addetti
delle autorità nazionali di vigilanza perché l’attività operativa continuerebbe a svolgersi in larga parte presso di esse,
anche quando le decisioni passeranno al Supervisory Board
del SSM.
Anzi il carico di lavoro aumenta anche alla luce degli obblighi informativi e di rendicontazione posti a carico delle
National Competent Authorities nei confronti della BCE.
Le concrete modalità di funzionamento dei Joint Supervisory Teams (JST) rappresenteranno la principale sfida per
l’efficace funzionamento del meccanismo di vigilanza unico;
a tal fine sarà cruciale il contributo che le Autorità di vigilanza
nazionali potranno fornire in termini di crescita della cultura
di vigilanza della BCE e di trasferimento della conoscenza acquisita in virtù della prossimità con gli intermediari.
E’ chiaro che il SSM avrà impatti di rilievo che dovranno
essere attentamente monitorati a livello sindacale. Ad
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esempio, ma senza pretesa di essere esaustivo, cito le condizioni in base alle quali si lavorerà nei JST, da chi e come
verrà valutata la prestazione di lavoro, l’impatto sulle prospettive di carriera. Occorrono chiarimenti sul trattamento
economico dei componenti dei JST appartenenti ad autorità nazionali diverse che siano impegnati nello svolgimento di attività comuni tipo accertamenti ispettivi e, in
particolare, su come si eviterà il rischio di disparità di trattamento.
IL CONTESTO INTERNO
Gli importanti accordi negoziali
sottoscritti con la Banca
L’anno scorso ricordavamo le molte materie su cui ci eravamo confrontati con la Banca, su molte delle quali eravamo dovuti intervenire a causa del mutato quadro di
riferimento legislativo.
A fronte di tanti mini-accordi firmati (collocamento a riposo d’ufficio; RTQ; anticipi IFR; efficienza aziendale; rinnovo accordi su L’Aquila; testo aggiornato e integrato degli
accordi negoziali di modifica del Regolamento del Personale
del personale della carriera direttiva), lamentavamo tuttavia
come mancassero all’appello materie fondamentali quali:
l’accordo sull’orario di lavoro e il rinnovo dell’accordo negoziale 2010-2012; la riforma del sistema degli inquadramenti e l’avvio del negoziato sulle tematiche previdenziali.
Oggi, il nostro Sindacato si presenta con la firma di accordi in tema di orario di lavoro, congedi e permessi, trattamenti di missione e trasferimento, strutturalizzazione di
una quota dell’efficienza aziendale 2013.
Ancora, abbiamo sancito l’11 aprile scorso l’applicazione
in Banca dell’art. 1 comma 338 della Legge n. 147/2013
(c.d. legge di stabilità per il 2014) con un accordo che, salvaguardando in pieno l’autonomia della Banca, vede per
l’anno 2014 l’adeguamento tabellare dello stipendio alla
misura dell’IPCA (l’ISTAT ha comunicato nei giorni scorsi la
previsione di un valore pari a 0,8% per il 2014), con piena
valenza sui trattamenti previdenziali (versamenti al fondo
pensione complementare, TFR e RTQ), senza erogazione
per cassa nel corso dell’anno a fronte del pagamento dell’indennità di vacanza contrattuale. Inoltre, anche il rimborso spese di rappresentanza verrà rivalutato nelle misure,
anche se senza effetti per cassa. Ovviamente, i nuovi importi saranno la nuova base retributiva in pagamento e su
cui far leva a far tempo dal 1° gennaio 2015.
Un anno dunque che ci ha visto in prima fila impegnati a
sconfiggere il “sindacalismo del non fare”, a operare in un
clima sindacale caratterizzato da un’aspra contrapposizione
tra tavoli, da tentativi continui di delegittimazione del nostro
schieramento, dal tentativo di farci accettare – sia da parte
della Banca che di altri Sindacati - contropartite inaccettabili
tra orario di lavoro, missioni ed efficienza aziendale.
Abbiamo dovuto difendere il trattamento di missione
del personale direttivo ricordando all’Amministrazione
che i nostri colleghi, nello svolgimento di missioni in Italia e all’estero, rappresentano la Banca in virtù del ruolo
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ricoperto, delle funzioni espletate e delle professionalità
acquisite e dimostrate. Abbiamo comunque accettato il
confronto sulla razionalizzazione dei trattamenti, salvaguardando e anzi in diversi punti migliorando il quadro
regolamentare, ottenendo importanti nuovi impegni da
parte della Banca a dedicare la massima attenzione ai
servizi resi tramite soggetti terzi.
Abbiamo impedito che si instaurasse un legame improprio e pernicioso tra risparmi conseguibili con interventi sul
trattamento di missione e misura da riconoscersi quale
quota strutturale della produttività, trasferendo “a pioggia”
i risparmi conseguiti prevalentemente a danno di alcune categorie di dipendenti, senza invece andare a incidere sulle
c.d. missioni operative.
Abbiamo rigettato il tentativo dell’Amministrazione di introdurre l’iniquo principio del “concorrente interesse del dipendente” nello svolgimento di attività quali i concorsi interni
e la partecipazione a convegni in qualità di relatore, a tutela
delle professionalità più giovani e di quelle più esperte.
Non ci siamo sottratti al confronto e, così facendo,
siamo riusciti a far sì che trovasse finalmente una positiva
conclusione anche il negoziato sull’orario di lavoro che
scontava già due anni di incontri e che era oramai maturo
per la firma.
Siamo orgogliosi di rivendicare la sottoscrizione di questo accordo che rivoluzionerà il modo di lavorare in Banca
e che consentirà ai colleghi non solo di conciliare i tempi di
vita con quelli di lavoro ma di passare da una valutazione
della prestazione basata esclusivamente sulla presenza a un
modo di lavorare per obiettivi e per scadenze.
L’innovazione tecnologica, l’evoluzione delle funzioni
della Banca, il ridimensionamento delle attività più operative, la riorganizzazione della rete territoriale dell’Istituto e
la riduzione delle pratiche di auto-amministrazione avevano
oramai creato le condizioni per ammodernare l’orario di lavoro contrattuale e la sua distribuzione.
I nuovi istituti introdotti – orario concentrato, multiperiodale, personalizzato, banca del tempo, part-time di accompagnamento all’uscita, prestazione minima giornaliera,
telelavoro, lavoro delocalizzato, ecc. – uniti a un uso più
flessibile di quelli già esistenti, ci pongono finalmente in
linea con le best practices internazionali e consentono di ricercare un nuovo equilibrio tra efficienza organizzativa ed
esigenze delle colleghe e dei colleghi, tenendo presenti
anche le indicazioni maturate all’interno della Commissione
Pari Opportunità.
Giugno 2014
7
timo passaggio negoziale a due importanti risultati, sanciti in
una dichiarazione dell’Amministrazione in calce all’accordo:
● l’avvio entro il prossimo mese di giugno del negoziato
sulle tematiche previdenziali, con focus sugli interventi sul
fondo complementare;
● il riconoscimento esplicito da parte della Banca dell’esistenza della problematica delle anzianità convenzionali riscattate nel RTQ e l’impegno da parte della stessa a
proporre un’ipotesi di soluzione a questo tema nel corso
del negoziato di cui sopra.
La chiusura della fase di confronto negoziale 20102012 permette ora di voltare finalmente pagina e affrontare con convinzione e determinazione i due temi che
devono essere posti al centro dell’attenzione della contrattazione fra le parti: la riforma delle carriere e il miglioramento delle condizioni previdenziali del personale
assunto dopo il 28 aprile 1993.
Per la cronaca, con la sottoscrizione della chiusura del
contratto 2010-2012 sottolineo che:
● i Sindacati di maggioranza del personale delle carriere non
direttive hanno firmato accordi su testi regolamentari assolutamente identici a quelli proposti loro per la firma il
19 marzo scorso, sottoscritti per la carriera direttiva da
Sindirettivo-CIDA e DASBI-Sinfub;
● la Falbi ha sottoscritto anche l’accordo sul collocamento a
riposo d’ufficio per i direttivi, vi ricordate? Quello per il quale
erano stati promessi sfracelli anche in sede giudiziaria…
● la Falbi, insieme a CGIL e UIL, ha sottoscritto anche un accordo per la formalizzazione in un testo unificato delle
previsioni del Regolamento del Personale delle carriere diverse da quella direttiva: questo avviene dopo che noi, insieme al DASBI, abbiamo definito analogo accordo per il
testo regolamentare dei direttivi sin da luglio 2012 ricevendo accuse ridicole da chi oggi firma la stessa cosa, magari anche senza aver letto il testo predisposto
dall’apposita commissione Banca-sindacati a cui la Falbi
non ha partecipato.
Tutto ciò, lo riporto perché occorre che tutti mantengano memoria delle roboanti invettive e delle dichiarazioni
che vengono smentite dopo poco!
La previdenza complementare
Sono passati ormai oltre 10 mesi dalla conclusione dei
lavori della Commissione paritetica sul Fondo pensione
complementare senza che sia stato convocato dalla Banca
alcun incontro per discutere delle criticità evidenziate nel
La chiusura del contratto 2010-2012
Gli importanti accordi conclusi lo scorso 19 marzo con
l’intesa in tema di orario di lavoro, congedi e permessi, trattamenti di missione e trasferimento, strutturalizzazione di
una quota dell’efficienza 2013, insieme a quelli in tema di
applicazione delle misure di austerità per il 2014, hanno
consentito il 19 maggio scorso di definire a tutti gli effetti
la tornata contrattuale 2010-2012, apertasi con la sottoscrizione di accordi ad aprile 2011.
La nostra determinazione ha portato anche in quest’ul-
Virginia Giglio, Vice Presidente del Sindirettivo
DIRIGENZA NUOVA n.125
documento finale della Commissione e concordare i possibili rimedi.
Anzi, la Banca ha disatteso anche gli accordi siglati due
anni fa, con i quali si impegnava a realizzare entro il 2013:
un sito intranet dedicato al fondo, un ampliamento delle
funzionalità del progetto esemplificativo, un’informativa
sugli importi liquidabili a titolo di anticipazione e riscatto e
un numero telefonico dedicato al fondo pensione.
Appare singolare che anche quei sindacati che non avevano preso parte ai lavori della Commissione perché la ritenevano un espediente per ritardare l’avvio della trattativa sul
Fondo si siano, una volta conclusi i lavori della Commissione,
completamente dimenticati della problematica previdenziale
delle generazioni più giovani e continuino a richiedere convocazioni alla Banca sulle tematiche più disparate, lasciando
invece da parte il Fondo Complementare.
E’ ora di porre fine a tali ritardi e valorizzare i lavori svolti
all’interno della Commissione paritetica.
E’ necessario che le criticità individuate, condivise dalla
Banca e dai Sindacati, siano portate in sede di trattativa e
che vengano individuati i possibili interventi migliorativi, reperendo le eventuali risorse necessarie.
Tra le criticità ricordiamo:
● la forte disparità di trattamento previdenziale tra post e
pre ’93, stimato dalla Commissione tra il 20 e il 30 per
cento della retribuzione;
● l’inefficienza dal punto di vista fiscale dell’attuale sistema
di gestione della garanzia e i rischi di incapienza alla quale
è soggetta, con conseguente incapacità di rispettare gli obblighi contrattuali assunti;
● la mancata indicizzazione delle pensioni all’inflazione e la
continua modifica dei coefficienti di trasformazione del
montante in rendita, elementi che comportano un progressivo depauperamento del reddito dei pensionati;
● la situazione dei post ‘96 per i quali vige il massimale contributivo INPS.
Per risolvere tali criticità, che interessano ormai una
quota pari a quasi la metà del personale della Banca, vanno
rotti gli indugi che per troppo tempo hanno rinviato la partenza del negoziato.
Il Sindirettivo-CIDA è pronto ad affrontare al tavolo negoziale il tema della previdenza complementare. A breve
verrà prodotto un nuovo documento che, alla luce delle
analisi sviluppate all’interno della Commissione, propone
alcune soluzioni alle criticità elencate. Auspichiamo che il
nostro invito venga fatto proprio anche dalle altre organizzazioni sindacali e accolto dalla Banca.
La riforma delle carriere
Così come quello della previdenza complementare, il
problema della riforma delle carriere si trascina da diversi
anni. E’ stato perfino menzionato nelle Considerazioni Finali, addirittura in quelle che il Governatore Visco ha letto
nel 2012, le prime del suo Governatorato. Del resto la riforma delle carriere era stata elencata come uno degli
obiettivi del Piano strategico 2011-2013, con l’indicazione
“tempi di attuazione: secondo semestre 2013”.
Nonostante tutta questa attenzione - almeno a parole -
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Giugno 2014
in questi anni gli incontri negoziali sulla riforma delle carriere si possono contare sulle dita di una mano. Nello scorso
mese di aprile è stata finalmente diffusa una proposta completa. Solo nei giorni scorsi, però, le organizzazioni sindacali
sono state convocate per fare il punto della situazione.
Le valutazioni del Sindirettivo-CIDA sulla proposta della
Banca sono - e non da ieri - piuttosto critiche. Alcuni aspetti
della riforma ci piacciono, nella misura in cui affrontano le
criticità dell’attuale sistema delle carriere attraverso il superamento dell’odierno assetto dei gradi gerarchici e l’introduzione di un doppio percorso di carriera, manageriale e
specialistico. Oppure la reintegrazione degli attuali Coadiutori che aspirano a fare carriera all’interno dell’Area dei manager e delle alte professionalità. Altri aspetti ci convincono
di meno. Soprattutto ci sembrano mancare ancora adeguate tutele per i dipendenti a fronte della maggiore discrezionalità che la Banca acquisterebbe nell’assetto delle
carriere delineato nella sua proposta.
L’aspetto che preoccupa di più molti colleghi è costituito
dalla riduzione dello scatto di anzianità a favore di ulteriori
scatti di merito, che però sarebbero limitati solo a una parte
dei dipendenti (almeno il 50% nella proposta della Banca).
Alcuni di loro potrebbero non beneficiare mai di quest’ultima
componente stipendiale, nonostante l’impegno profuso nel
proprio lavoro. Si tratta di una preoccupazione non priva di
fondamento, anche alla luce delle perplessità che suscita l’efficacia del meccanismo di garanzia proposto dalla Banca.
Il problema però non è solo che non si possano garantire
le attuali progressioni retributive a tutti (o almeno a tutti coloro che si impegnano nel proprio lavoro), ma quanto possano essere effettivamente ampie le maggiori opportunità
di crescita retributiva e professionale che dovrebbero costituire la contropartita della sia pur parziale rinuncia agli attuali automatismi. La possibilità di cogliere tali opportunità
passerebbe infatti per un sistema di valutazione che – abbandonando concorsi e giunte di scrutinio a livello aziendale – verrebbe incentrato su un modello decentrato,
fondato sull’osservazione diretta e sulla valutazione dell’attività lavorativa da parte dei capi di linea. Con queste premesse sarà davvero possibile, in una realtà operativa molto
articolata come quella della Banca, assicurare una complessiva omogeneità di trattamento?
Queste perplessità non nascono solo dall’analisi di quella
che sulla carta è la proposta di riforma della Banca – con tutti
i numerosi aspetti che devono ancora essere chiariti – ma
anche dall’osservazione di come in concreto è stato gestito
l’attuale sistema delle carriere in questi ultimi anni. Abbiamo
più volte denunciato nei nostri volantini una ‘riforma strisciante’ rappresentata da un surrettizio allungamento dei
tempi di carriera previsti dal vigente Regolamento del Personale e la sostituzione del modello gerarchico-funzionale con
non si sa bene che cosa. Si sono avuti provvedimenti cui sembra aver contribuito in modo determinante la voglia di ‘stupire’. Si sono esplicitamente utilizzati per promozioni e utilizzi
criteri (come la ‘valorizzazione delle differenze di genere’) non
previsti dagli accordi stipulati con le organizzazioni sindacali
e dalle norme che la stessa Banca si era data.
Tutto questo dovrebbe incentivare le organizzazioni sindacali a concordare quanto prima una riforma, piuttosto
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che subirne una strisciante. Purtroppo, però, al disagio per
il progressivo deteriorarsi della situazione di partenza si è
aggiunto il timore sull’effettivo uso che l’Amministrazione
potrebbe fare dei nuovi strumenti regolamentari. Molte
delle soluzioni contenute nella proposta della Banca destano perplessità non in sé, ma con riferimento a come potrebbero essere concretamente applicate alla luce di quello
che abbiamo visto in questi ultimi anni. In alcuni casi sorge
il sospetto che con la riforma si introdurrebbe un regime di
minori garanzie per i dipendenti.
Per fugare questi sospetti non serve aggiungere ulteriori
‘schede di approfondimento’ piene di termini nuovi al documento contenente la proposta di riforma. Si pensi ad esempio a quella che può sembrare una delle innovazione di
maggiore portata, la valutazione per obiettivi. Questi ultimi
possono pure essere SMART (“e cioè essere: Specifici, Misurabili, Accessibili, Realistici e Tracciabili nel tempo”), ma nella
pratica rischiano di nascondere solo dei numeretti da 1 a 3
come le incomprensibili frasette dell’attuale ‘bollettino’.
E’ necessario piuttosto che si crei un clima di reciproca
fiducia fra l’Amministrazione e i Sindacati che perseguono
il cambiamento, che consenta un accordo sulla sostanza
oltre che su espressioni che rischiano di rimanere vaghe.
A queste condizioni il Sindirettivo-CIDA è disponibile a
un’intensificazione degli incontri negoziali per esaminare
quanto prima e con un approccio improntato al pragmatismo tutti i singoli aspetti della proposta di riforma della
Banca. Non siamo – e l’abbiamo dimostrato per l’ennesima volta proprio di recente – un sindacato che sa solo
dire ‘no’. Su una questione centrale come quella della riforma delle carriere vogliamo trovare un accordo, ma
dobbiamo essere messi nella condizione di poterlo fare.
Il capitale umano è considerato un asset importante per
lo sviluppo di qualsiasi organizzazione, e nel caso della
Banca d’Italia rappresenta un fattore critico di successo
assolutamente fondamentale.
Il confronto sulle Filiali
Nell’aprile del 2011 l’allora Direttore Generale della
Banca d’Italia Saccomanni presentò ai sindacati un documento finalizzato a dimostrare la necessità di un’ulteriore
“razionalizzazione” della rete territoriale.
Quel documento da un lato fondava le principali conclusioni e i ragionamenti su dati quantomeno discutibili - in
quanto relativi in buona parte a riduzioni dell’operatività legate anche al precedente ciclo di chiusure – e dall’altro mostrava con triste evidenza l’assenza di una visione strategica,
da parte dell’Istituto, sul ruolo della rete territoriale.
Quel documento aveva in realtà una sola prospettiva:
prevedeva un complessivo ridimensionamento della rete e
un insensato arretramento della presenza della Banca sul
territorio, in un’ottica marcatamente liquidatoria.
Quel documento è stato da noi ritenuto “irricevibile” nei
presupposti, nei contenuti e negli obiettivi. Come si poteva,
a pochissimi anni dalla chiusura dell’ultima Filiale prevista
dal precedente (e doloroso) piano di ristrutturazione, affermare che si fossero create improvvisamente nuove esigenze
di razionalizzazione? Cosa c’era di veramente nuovo in fat-
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tori di cambiamento già noti da tempo (come, ad esempio,
l’avvio della tesoreria telematica) e in caratteristiche ormai
da almeno un decennio insite in altre importantissime attività istituzionali, come ad esempio l’esigenza di maggiore
specializzazione nella vigilanza e nella ricerca economica?
Una cosa su tutto, poi, è stata per noi particolarmente
indigesta. Il fatto che la Banca abbia fondato la propria impostazione sull’analisi quantitativa di dati strettamente legati all’operatività. Come se il servizio che la Banca d’Italia
fornisce da oltre un secolo anche sul territorio nazionale
fosse unicamente o prevalentemente a carattere operativo.
Non è per l’operatività, comunque importante, che la
nostra Istituzione è un centro di eccellenza. Non è sull’operatività che ha costruito la propria indiscussa reputazione
nel tempo. Ma, soprattutto, nessuno di noi presenti qui,
oggi, è stato assunto o viene remunerato per svolgere compiti meramente operativi.
Il nostro Sindacato non intende opporsi a priori a qualsiasi progetto di rivisitazione del modello territoriale della
Banca. Nostro obiettivo è unicamente quello di muovere
verso un assetto migliore rispetto a quello attuale, nel quale
le professionalità siano adeguatamente valorizzate e riconosciute e la realizzazione delle proprie aspettative di carriera sia effettivamente perseguita. Per natura siamo quindi
aperti al confronto e non siamo inopinatamente incatenati
all’esistente.
Dalla Banca però ci aspettiamo e pretendiamo una cosa.
Che il Direttorio non ragioni sulle Filiali “a consuntivo” di
sterili e discutibili analisi numeriche.
Il Sindacato non accetterà né condividerà mai un’impostazione di arretramento, di smantellamento. Non si può
ragionare sulle Filiali se non nell’ottica di fornire al Paese un
servizio migliore, più efficiente e più qualificato. E’ questa
la risposta che la Banca deve dare al territorio. Con il nuovo
Direttore Generale, che ha confermato il ritiro del piano liquidatorio di aprile, tutte le organizzazioni sindacali hanno
quindi sottoscritto, nell’ottobre del 2013, un protocollo
d’intesa finalizzato ad avviare un “confronto senza pregiudiziali sul valore e sulle prospettive evolutive del ruolo delle
filiali […] al fine di trovare soluzioni sulle quali possa registrarsi la più ampia convergenza”. Noi in questa sede di
confronto ci crediamo, a differenza di altri sindacati che il
giorno dopo avere firmato per l’istituzione di una e una sola
Virginia D’Ambrosio, membro del Comitato di Presidenza
DIRIGENZA NUOVA n.125
sede dedicata sulle filiali hanno ingiustificatamente preteso
di essere convocati separatamente, arrivando addirittura a
promuovere nei confronti della Banca, contraria a tavoli separati, un’azione legale ovviamente perdente.
Se il Direttorio non esprime una visione strategica sulla
rete territoriale, allora il ruolo del nostro Sindacato dovrà
essere quello di far capire alla Banca la rilevanza strategica
della presenza dell’Istituto sul territorio, l’importanza della
prossimità all’utenza, il fatto che molte delle funzioni istituzionali della Banca possono e devono continuare ad essere svolte a livello locale, perché la prossimità è un valore
e non un vincolo.
Il nostro obiettivo, quindi, non è quello di mantenere sempre e comunque l’esistente: è quello di contribuire attivamente al cambiamento, quando ciò significa miglioramento.
Questa deve essere la stella polare di ogni ragionamento sulla
configurazione territoriale della Banca: come si fa a far bene
e meglio il nostro lavoro? Servono risorse adeguate. Servono
prospettive, e non un costante clima di incertezza. Servono
le motivazioni giuste. Ma, soprattutto, serve avere ben chiaro
che il Sindacato non accetterà mai un disegno organizzativo
che dovesse vedere indeboliti o impoveriti la presenza e il
ruolo della Banca sul territorio.
Sappiamo che problemi ci sono, e sappiamo che c’è urgente bisogno di soluzioni. Solo questo orienterà il nostro
contributo nell’ambito della sede unica. Collaborare all’individuazione delle soluzioni migliori, per i nostri colleghi e
per l’Istituto, che deve innanzitutto valorizzare i propri asset,
e non dismetterli.
La riforma organizzativa in A.C.
e l’avvio dei Dipartimenti
Abbiamo svolto una serie di osservazioni critiche sulla
modifica dell’organizzazione dell’Amministrazione Centrale
attraverso la trasformazione delle preesistenti Aree funzionali (10) in Dipartimenti (8).
Abbiamo segnalato in primo luogo che la focalizzazione
dei Capi dei Dipartimenti su aspetti di natura gestionale fa
gioco forza perdere ai Funzionari Generali un importante
ruolo di “cerniera” tra le varie funzioni aziendali e il Direttorio nell’elaborazione delle strategie aziendali.
Inoltre, occorre rafforzare adeguatamente i meccanismi
di integrazione e coordinamento trasversale, ieri tra le Aree
e oggi fra Dipartimenti, per garantire una doverosa visione
congiunta dei fenomeni.
Tra gli effetti della riforma sulla gerarchia, si evidenzia il
rischio di un possibile effetto di allungamento della catena
decisionale nei Dipartimenti che prevedono un Vice Capo
Dipartimento; nei casi in cui non è previsto il Vice Capo Dipartimento, la creazione di una figura di Capo Servizio facente funzione nei casi di assenza individua una sorta di
“primus inter pares” non prevista nell’ordinamento.
L’opinione del Sindirettivo-CIDA è che il nuovo modello
non funzioni senza l’introduzione di un nuovo grado fra
Funzionario Generale e Capo Servizio, con la necessità di
introdurre tale modifica con accordo negoziale. Inoltre, la
posizione di Vice Capo Dipartimento va definita nell’art. 2,
parte I, del Regolamento del Personale.
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Giugno 2014
Questa modifica organizzativa ha avuto non trascurabili
impatti sul Regolamento generale, con specifico riferimento
alle nuove responsabilità dei Capi dei Dipartimenti e dei loro
Sostituti, così come delle modifiche alle attribuzioni e prerogative dei Capi dei Servizi.
La proposta di attribuire ai Capi dei Dipartimenti compiti
organizzativi e gestionali in assenza di strutture di supporto
e di ausilio nell’espletamento di tali compiti, ovvero tramite
personale in posizione di staff, denota elementi di criticità.
Altra materia introdotta dalla riorganizzazione che è da
ricondurre alla trattativa negoziale sulla riforma dei sistemi
di carriera riguarda l’autonomia gestionale del Capo del Dipartimento in materia di programmazione, utilizzo, valutazione e avanzamento, formazione del personale.
Un elemento di forte perplessità è rappresentato dalla
prospettata assunzione di responsabilità valutative da
parte dei Capi dei Dipartimenti, elemento che crea allontanamento tra valutatore e valutato, pone la necessità
che le regole valutative siano omogeneamente fissate ex
ante e che venga attivato un mercato interno del lavoro,
introducendo anche un bilanciamento di poteri e la possibilità di un riesame critico.
A oggi sono stati presentati all’attenzione del Sindacato
progetti di modifica organizzativa dei Dipartimenti Vigilanza
creditizia e finanziaria, Risorse umane e organizzazione, Informatica. Inoltre, è stato implementato il progetto di costituzione del “Global buyer” presso il Servizio Appalti.
Su tutte queste ipotesi di riforma abbiamo fatto avere
le nostre osservazioni, manifestando alcune perplessità e rimarcando anche gli aspetti convincenti su quanto ci veniva
proposto.
E’ questo ruolo di interlocuzione con l’Amministrazione
che ci interessa esercitare, affinché la voce del personale più
qualificato venga ascoltata e registrata per il tramite del suo
Sindacato di riferimento prima che l’Azienda prenda le sue
decisioni definitive.
TEMI DI INTERESSE
Le promozioni fra discrezionalità e merito
Il 23 maggio scorso sono usciti i provvedimenti di promozione e utilizzo dei dirigenti.
Negli ultimi anni questi provvedimenti hanno più volte
costretto il Sindirettivo-CIDA a sottolineare le sempre più
numerose incongruenze rispetto ai criteri scelti dall’Amministrazione per disciplinare la sua discrezionalità nel decidere
quali dirigenti promuovere e quali no. Lo scorso anno le incongruenze ci sono parse tali e tante che siamo arrivati a
chiederci che fine avesse fatto il modello (gerarchico-funzionale) al quale, sulla carta, si dovrebbe ancora ispirare la
gestione del personale in Banca d’Italia. Siamo tornati a proporre quella domanda all’inizio di quest’anno all’indomani
delle nomine degli assetti di vertice dei Dipartimenti e Servizi
dell’Amministrazione Centrale.
Non abbiamo purtroppo ricevuto alcuna risposta, al di
là di un invito a continuare a negoziare per arrivare alla riforma dell’attuale sistema delle carriere che - come ribadito
DIRIGENZA NUOVA n.125
nella recente proposta dell’Amministrazione - dovrebbe
rappresentare la panacea di tutti i mali. Ma come possiamo
concordare nuove regole con chi non ci sembra rispettare
quelle già in vigore?
Questa volta allora lo abbiamo detto prima dell’uscita
dei provvedimenti: per le promozioni la Banca si attenga intanto alle regole nell’attuale sistema, e dopo parleremo di
come riformarlo. Abbiamo fatto riferimento alla dichiarazione a verbale all’art. 49 del Regolamento del personale,
parte I, i cui contenuti sono alla base dei criteri generali di
promozione dei dirigenti, approvati con appunto n. 311530
del 6 aprile 2012 a firma del Governatore Visco.
Per noi, il merito deve essere riconosciuto in tutti i comparti operativi della Banca. Ciascuna funzione, sia istituzionale che strumentale, contribuisce infatti al conseguimento
degli obiettivi aziendali e non è chiaro come si possa stabilire in modo oggettivo in che misura una contribuisca più o
meno di altre.
È necessaria coerenza nell’anno fra le promozioni fatte
nei vari comparti della Banca e coerenza con le promozioni
fatte nei vari anni. In un sistema di carriere come il nostro,
infatti, la promozione finisce per essere il più recente passo
di un lungo percorso: non ci si può, dunque, dimenticare
di tutti i passaggi precedenti.
Dobbiamo dimostrare che in Banca a certi livelli non si
arriva per caso, per meriti “politici”, o semplicemente “in
quota” di qualcosa o di qualcuno, ma solo ed esclusivamente all’esito di un percorso continuo e ripetuto nel
tempo di rigorose selezioni.
Dobbiamo riaffermare che, a differenza di quanto accade in altri contesti, il personale in Banca d’Italia viene promosso non perché fa parte di una “cordata”, ma perché i
meriti concretamente acquisiti sul campo hanno determinato questo risultato, in quanto i livelli di professionalità e
dedizione dimostrati, nelle rispettive posizioni assunte in
azienda, hanno giustificato ampiamente questi riconoscimenti attraverso un processo di scrutinio rigoroso, imparziale e trasparente.
Dimostriamo di non aver bisogno di attenzioni e iniziative politiche dal sapore demagogico, tipo quelle che oggi
ci chiedono di uniformarci in tutto e per tutto alla Pubblica
Amministrazione. Richieste e proclami che provengono da
quella stessa politica che non sembra essersi neppure ac-
Giugno 2014
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corta che in tempi non sospetti la Banca d’Italia è già intervenuta sulla propria organizzazione chiudendo una parte
consistente delle sue Filiali e riducendo i suoi costi operativi:
solo negli ultimi 10 anni il numero dei dipendenti è sceso
di oltre il 15% mentre le nostre attività e responsabilità sono
progressivamente aumentate. Sono certo ragioni forti per
difendere la nostra autonomia, anche sotto il profilo organizzativo, e per non essere ogni volta insensatamente assimilati alla Pubblica Amministrazione.
I fringe benefit
Siamo in un periodo di interminabile crisi per il nostro
Paese, in cui le risorse per servizi e welfare pubblico diminuiscono, i nostri stipendi restano bloccati mentre i bisogni,
al contrario, aumentano.
Siamo in un contesto economico in cui è difficile, se non
impossibile, agire sulla leva retributiva per contrastare l’aumento del costo della vita e le difficoltà di gestione degli
impegni personali e familiari.
Una fase caratterizzata dalla necessità di contenere la
spesa pubblica, ma allo stesso tempo dall’emergere di nuovi
rischi sociali derivanti da profondi cambiamenti culturali,
demografici ed economici.
Secondo noi la nostra Istituzione può e deve svolgere un
ruolo cruciale, integrando l’azione del welfare pubblico con
il welfare aziendale.
Questa è la nuova frontiera degli interventi che la CIDA
intende sollecitare, ispirare, negoziare con la Banca, per rispondere ai bisogni di servizi concreti in favore delle colleghe e dei colleghi.
Occorre stipulare accordi innovativi per ottenere servizi
utili al dipendente e alla famiglia. Servizi concreti che rendano il dipendente meno esposto alla diminuzione del potere d’acquisto della retribuzione.
Un modello di welfare innovativo potrà prevedere la
messa a disposizione di beni e servizi di primaria necessità
e utilità, sostegno all’istruzione per i figli, assistenza all’infanzia e agli anziani, buoni per l’acquisto di libri, contributi
per baby sitter e badanti, assistenza legale, visite dentarie,
ecc., addirittura buoni per acquisizione di beni di consumo
generici per i dipendenti e i loro nuclei familiari.
Sarebbe possibile immaginare un contesto in cui si possa
addirittura personalizzare la componente del proprio “pacchetto welfare” attraverso la costituzione di veri e propri
“conti welfare” con acquisizione di vantaggi fiscali. Occorre un sistema flessibile e adattato alla popolazione di riferimento.
Il trend che osserviamo anche all’esterno sembra indicare una direzione precisa, ovvero l’aumento di queste iniziative di welfare aziendale. Dobbiamo fare qualcosa di
importante su questo versante anche in Banca d’Italia.
Polizza sanitaria
Fabrizio Calabrese, membro del Comitato di Presidenza
Ad aprile scorso abbiamo sottoscritto con l’Amministrazione un accordo per l’avvio della procedura di gara aperta
relativamente a polizza base, polizza plus, grandi rischi, contributo spese sanitarie per pensionati non aderenti alla po-
DIRIGENZA NUOVA n.125
lizza. Ciò in vista della scadenza dell’attuale copertura assicurata dalla Previgen, il 30 giugno 2015.
Il confronto con la Banca, in particolare, ha consentito
di pervenire a un’ipotesi di nuovo contratto, da sottoporre
al mercato, che si fonda sui tanti aspetti positivi della vigente copertura delle spese sanitarie, con elementi innovativi concernenti:
● nella polizza base, l’eliminazione della Long Term Care e
l’inserimento delle cure dentistiche per massimo 500 €
annuo per nucleo familiare;
● nella polizza plus, la riduzione a 120 € della franchigia
per le prestazioni specialistiche;
● nella grandi rischi, il prolungamento della copertura assicurativa fino agli 80 anni;
● la disponibilità della Banca ad accollarsi completamente il
premio per la polizza base sia dipendenti (+10,2%) sia
pensionati (+6,4%);
● l’abbassamento a 950 € del premio per i familiari non fiscalmente a carico nell’ambito della polizza base;
● la previsione di un contributo aggiuntivo pari a 20 € a
carico della Banca per ciascun figlio fiscalmente a carico
per la polizza plus.
E’ stata inoltre prevista una durata triennale del contratto ed è stato deciso di corrispondere in importi lordi per
scaglioni di pensione RTQ il contributo spese sanitarie ai
colleghi in quiescenza.
Inoltre, sono stati definiti requisiti di miglioramento dei
canali di comunicazione e reclamo, delle modalità per poter
accedere alle prestazioni in convenzione, di rilevazione della
soddisfazione del servizio reso.
Sono stati altresì previsti l’avvio di un confronto per studiare l’implementazione di una Cassa Mutua aziendale e
l’inserimento, nell’ambito del prossimo contratto per la copertura assicurativa dei rischi di morte e invalidità in favore
del personale, della possibilità di erogare sotto forma di rendita il capitale pattuito in caso di cessazione per invalidità
permanente dell’assicurato.
Pensionati
Un anno fa abbiamo dato notizia della sentenza con la
quale la Corte Costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità
della Legge 111 del 15 luglio 2011, per la parte in cui
aveva introdotto un “contributo di solidarietà” a carico dei
trattamenti di pensione oltre certe soglie. Al di là della minore o maggiore ampiezza della platea interessata (il provvedimento colpiva i trattamenti di pensione superiori ai 90
mila euro lordi all’anno), ciò che più preoccupava era il
massimalismo della disposizione, adottata senza considerare in alcun modo la genesi di trattamenti che, come nel
caso della Banca, non avevano alcunché di scandaloso.
Purtroppo, e a dispetto della pronuncia della Corte, il
provvedimento è stato replicato pur con diversa motivazione con la legge di Stabilità per il 2014, che ha introdotto
un contributo analogo a quello appena censurato, addirittura aggravandone la portata sia per l’estensione temporale della validità (il triennio 2014-2016) sia per l’entità dei
prelievi (con percentuali di contribuzione fissate al 6, al 12
e al 18 per cento, per la parte dei trattamenti pensionistici
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eccedente 91 mila, 130 mila e 195 mila euro, circa).
Il Sindirettivo-CIDA, di concerto con la Confederazione
di riferimento e con l’ausilio di primari studi legali della Capitale, si propone di approfondire la praticabilità di forme
di contrasto al nuovo contributo.
Rammento che con riferimento al contributo di solidarietà del 2011 (poi cassato dalla Corte) gli interessati sono
ancora in attesa di avere in restituzione quanto loro trattenuto nel 2012 sulla pensione INPS, e quanto trattenuto
nell’intero periodo di applicazione del prelievo (agosto
2011- maggio 2013) sulla pensione integrativa Banca.
Rammento pure che le richieste da noi inoltrate all’Amministrazione per ottenerne la restituzione non hanno sortito, di fatto, alcun esito apprezzabile, affermando la Banca
di non poter procedere al riaccredito di “trattenute” versate all’INPS senza che l’INPS stessa abbia a sua volta provveduto alla restituzione alla Banca.
La questione, in ogni caso, dovrebbe trovare una naturale soluzione nei primi mesi del 2015, allorquando, proprio in attuazione della sentenza della Corte, dovrà esser
dato corso alla seconda tranche di rimborsi delle somme
indebitamente trattenute.
Rammento anche che il nostro Sindacato ha in corso
una causa avverso il blocco della perequazione istituito per
gli anni 2012-2013 dalla Legge n. 214 del dicembre 2011,
con ricorso innanzi alla Sezione Giurisdizionale Lazio della
Corte dei Conti. La prima udienza del ricorso è fissata per
il prossimo 3 luglio.
Richiamo il raduno tenutosi a Fiuggi dall’11 al 13 ottobre scorso, in linea con una tradizione di incontri quadriennali che ha avuto da ultimo i propri precedenti ad Arezzo
nel 2005 e a Paestum nel 2009.
L’incontro di Fiuggi è valso a focalizzare i temi e i problemi del personale in quiescenza, con una risonanza che,
grazie alla diffusione dei resoconti riportati sul numero di
Novembre 2013 di Dirigenza Nuova, è andata ben oltre
l’ambito di chi ha partecipato. Ringrazio il Coordinamento
dei Pensionati, nelle persone di Corrado Faldetta e di Mario
Pinna, per la riuscita della manifestazione.
Sul piano, poi, che potremmo definire “interno”, e cioè
su quello delle misure più direttamente riconducibili ai rapporti con la Banca, ho appena illustrato l’esito della trattativa per il rinnovo delle condizioni della polizza sanitaria
per il triennio 2015-2018. Campo in cui sono stati conseguiti importanti risultati in vantaggio della categoria, fra i
quali preme qui ricordare:
● l’assunzione a carico Banca di una quota pari alla misura
media lorda del contributo (€ 2.460 per nucleo familiare,
con un incremento del 6,4%);
● la riapertura dei termini e l’innalzamento da 75 a 80 anni
dell’età di possibile fruizione dell’Assistenza Grandi Rischi;
● la possibilità di proseguire nella polizza (sia Base sia
Grande Rischi), che d’ora in poi verrà concessa anche al
nucleo familiare già assistito in caso di decesso del pensionato cui faceva capo;
● la rivisitazione del contributo da erogare ai pensionati che
non aderiscano alla polizza.
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Purtroppo non ci è stato possibile ottenere la riapertura
dei termini per la riammissione in polizza dei colleghi che a
vario titolo ne sono esclusi. Sul punto la Banca è stata irremovibile, invocando l’insormontabile diniego delle compagnie assicurative.
Sul piano pratico, il nostro Coordinamento ha inoltre istituzionalizzato la sua partecipazione a una “intersindacale
Pensionati”, alla quale aderiscono tutte le OO.SS. tradizionalmente presenti nella Banca, che vuole essere di stimolo
alle Organizzazioni di riferimento, alle quali propone temi
specifici del personale in quiescenza.
In quest’ambito rammento i due incontri concessi dalla
Banca alle OO.SS. (l’ultimo nello scorso dicembre) per un
esame congiunto dei problemi individuati e, più di recente,
un incontro costruttivo fra elementi dell’Intersindacale e la
Sede di Roma, più specificamente dedicato alle difficoltà
dei colleghi più anziani nel rapportarsi con una realtà aziendale sempre più connotata dall’informatizzazione di operazioni e procedure.
Anche con riguardo al personale che è in quiescenza
l’azione di un Sindacato è chiamata a svilupparsi lungo un
duplice binario: quello “esterno” delle tematiche aventi
portata generale, originate e governate al di fuori dell’azienda di riferimento e che finiscono comunque con
l’avere importanti e vincolanti ricadute su cospicue masse
di soggetti; e il binario “interno”, caratterizzato da un confronto diretto con l’azienda-controparte.
Su tutti e due i versanti il Sindirettivo-CIDA ritiene di aver
bene adempiuto.
IL NOSTRO SINDACATO
E GLI ALTRI
Lo stato di salute del Sindirettivo
Essere iscritti al sindacato dei dirigenti e dei direttivi deve
essere un tratto distintivo della volontà di impegno al servizio degli altri e della voglia di incidere sul proprio futuro.
Modificandolo.
Molti anni fa il Sindirettivo-CIDA era percepito come una
sorta di “circolo” che si occupava principalmente degli interessi corporativi di un’élite. Senza disturbare il manovratore.
Naturalmente non era così e la vicenda del Governatore
Fazio lo dimostrò.
Voglio ricordare lo sciopero del 12 dicembre 2005, il
terzo di quell’anno travagliato della storia della nostra gloriosa Istituzione, in cui tutti i dirigenti e i direttivi scioperarono compatti, conseguendo un successo strepitoso di
adesioni. Quel giorno proclamarono con forza che non
c’entravano nulla con i metodi dell’allora Governatore. Difesero la Banca d’Italia come Istituzione e scioperarono contro chi la rappresentava.
La percezione del nostro Sindacato da quel giorno cambiò per sempre.
Oggi tutti sanno che il nostro Sindacato è un soggetto
coriaceo. E’ responsabile, propositivo, competente ed
esperto nella contrattazione.
Non ha pregiudizi o posizioni precostituite, è pronto
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all’ascolto e al dialogo costruttivo, ma non si lascia intrappolare in posizioni imposte o decise da altri. E’ un
interlocutore affidabile e pragmatico, che svolge un
ruolo di comunicazione a due vie tra Banca e dipendenti, sempre più indispensabile con questo Direttorio,
e si nutre di visioni strategiche del ruolo delle alte professionalità presenti in gran numero in Banca al servizio
del prestigio di questa Istituzione.
Le relazioni fra i Sindacati
presenti in Banca
Da poco meno di un anno partecipiamo al tavolo negoziale assieme al DASBI-Sinfub, un sindacato giovane, costituito in gran parte da direttivi, le cui sensibilità su molti dei
principali temi sono assai vicine alle nostre.
Quest’alleanza ci consente di rappresentare ben oltre il
50% del personale direttivo sindacalizzato, potendo in tal
modo promuovere (e sottoscrivere) accordi nell’interesse
della nostra platea di riferimento, e affrancandoci da quello
che accade sul versante del personale operativo. E’ successo, ad esempio, con gli accordi relativi all’orario di lavoro,
con i quali per il solo personale direttivo si è pervenuti con
la Banca alla sottoscrizione di un testo che contiene importanti e favorevoli novità per i colleghi (e che, ricordiamolo,
ha anche portato alla strutturalizzazione dell’1% dell’efficienza aziendale), pur in assenza di una firma analoga apposta sul tavolo degli operativi, dove dopo tanti
tentennamenti e consultazioni gli stessi accordi sono stati
sottoscritti solo pochi giorni fa, il 19 scorso, replicando peraltro i testi negoziali già in vigore per il personale direttivo.
Il nostro obiettivo, infatti, non è quello di “inseguire”
quello che succede su altri tavoli o in altre stanze, bensì è
quello di rappresentare sempre di più un interlocutore autorevole per la Banca, in modo da orientarne le decisioni, i
comportamenti, le scelte, nell’interesse del personale che
rappresentiamo. Abbiamo quindi, coerentemente con l’intendimento di raggiungere questo obiettivo nel modo più
efficace, condotto una politica di alleanze sindacali che continuasse a vederci protagonisti.
Ma qual è il contesto interno nel quale ci troviamo oggi
a svolgere la nostra attività? E’ a tutti noto, sia con riferimento al versante degli operativi che per quanto concerne
Giovanni Cifoni, membro del Comitato di Presidenza
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le materie c.d. trasversali, che ad oggi l’aggregazione sindacale maggiormente rappresentativa è quella tra la Falbi,
la CGIL e la UIL. Gli altri sindacati si presentano invece separatamente agli incontri con la Banca.
In questo contesto noi abbiamo scelto di privilegiare la
scelta di tutelare e promuovere la nostra identità di Sindacato del personale direttivo: le nostre sensibilità e le istanze
della nostra platea infatti, oggi più che mai, non sembrano
suscettibili di essere efficacemente sostenute da ampi tavoli
unitari. Quello che si attendono i nostri rappresentati dalla
riforma delle carriere e degli inquadramenti, o dal confronto
sulla rete territoriale, è ben diverso da quello che caldeggiano altri sindacati, che sempre più spesso sono ormai il
fronte del no a tutto. A noi sta a cuore lavorare per individuare le soluzioni più adatte a migliorare il nostro contesto
di lavoro e l’insieme degli istituti giuridici e economici che
lo accompagnano. Dire no a tutto non porta a niente.
Certo, si ha il consenso degli insoddisfatti. Ma da logiche
siffatte raramente nasce qualcosa di costruttivo.
Oggi più che mai, come abbiamo visto, la Banca è sottoposta a pressioni di cambiamento interne ed esterne. Ipotizzare che ci si possa sottrarre a tutto questo
semplicemente dicendo “no” è a nostro avviso, oltre che
infantile, anche pericoloso.
Obiettivo del nostro Sindacato è invece quello di individuare le opportunità che si possono cogliere nell’ambito
di queste istanze di cambiamento, nel quale la nostra Istituzione, se vuole continuare a ricoprire un autorevole
ruolo da protagonista, non può certo svolgere la parte di
chi vuole restare insensatamente arroccato sulle proprie
posizioni.
E’ per questo che il nostro Sindacato, come sempre, non
si sottrae al confronto, ma lavora ogni giorno con impegno
e dedizione, al fine di individuare le soluzioni più adatte ad
accrescere il livello di soddisfazione dei nostri colleghi.
La CSR
L’ultimo anno è stato, per la nostra Cassa di Sovvenzioni
e Risparmio, molto importante.
Al termine di un lungo confronto con la Vigilanza, avviato all’esito di accertamenti ispettivi, per due volte è stato
presentato all’approvazione dei soci un progetto di modifiche statutarie finalizzato a rinnovare i meccanismi di governance della Cassa che prevedeva, in particolare, il passaggio
al sistema duale e l’innalzamento dei requisiti di professionalità degli esponenti aziendali.
Il vero obiettivo delle modifiche proposte era quello di
limitare le interferenze dei sindacati nella gestione quotidiana della CSR. In entrambe le occasioni le modifiche proposte non sono state approvate dall’assemblea dei soci, che
pur essendosi espressa favorevolmente in larga maggioranza non è riuscita a raggiungere il quorum dei due terzi
dei votanti, necessario per apportare variazioni allo statuto.
Alcuni sindacati hanno gridato alla “schiacciante vittoria
ottenuta”, sottovalutando quello che invece era il messaggio chiaro e preciso che i soci avevano fatto proprio: basta
con le liti tra sindacati, e soprattutto basta con quelle liti suscettibili di determinare condizionamenti impropri nella ge-
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stione della Cassa, compromettendone l’autonomia e le
prospettive.
Non abbiamo partecipato a queste dispute, che fanno
perdere solo tempo prezioso, ma ci siamo invece messi subito al lavoro per trovare soluzioni concrete nell’interesse di
tutti i soci.
Abbiamo quindi lavorato a una lista che davvero fosse
portavoce di questa forte istanza di cambiamento: attorno
a un nome autorevole, indiscusso e indiscutibile, quale è
quello di Giovanni Castaldi, abbiamo costruito non un’alleanza tra sindacati, come erroneamente e impropriamente
è stata definita da alcuni, ma unicamente una “comunità
di intenti” che finalmente venisse incontro alle esigenze e
alle speranze dei soci.
Eravamo stati sostenitori delle modifiche statutarie,
finalizzate come detto a contenere l’influenza dei sindacati nella gestione quotidiana della CSR. In assoluta
coerenza, abbiamo quindi lavorato ad una lista di persone scelte in modo da garantire lo stesso, identico
obiettivo: nomi nuovi, di dipendenti e pensionati che
non hanno cariche sindacali, che godono della stima
dei loro colleghi, che hanno un ampio bagaglio di professionalità e una reputazione cristallina. Abbiamo costruito una lista di persone equilibrata nel genere, nelle
età anagrafiche, nelle competenze professionali.
I soci, come sapete, ci hanno premiato: il 28 aprile la lista
1, “Onestà e competenza in CSR”, ha vinto con ampio
margine (oltre 700 voti) aggiudicandosi 7 consiglieri e 3 sindaci effettivi e un supplente. Abbiamo vinto principalmente
per due motivi: i) grazie a un programma serio e credibile,
che vuole fare della CSR, finalmente, l’unica banca di riferimento dei soci, una banca in grado di offrire un’ampia
gamma di servizi bancari in modo efficiente e professionale;
ii) grazie alla nostra capacità di coinvolgere colleghi ed excolleghi in quello che è il vero obiettivo della lista, cioè avere
una CSR lontana dai sindacati e vicina alle esigenze delle
varie categorie di soci.
E’ stato un grande successo, del quale dobbiamo ringraziare in primo luogo il nuovo Presidente della Cassa, Giovanni Castaldi, che non ha certo bisogno di altre
presentazioni: a lui va la nostra riconoscenza per avere reso
possibile, con il suo contributo, andare oltre le diversità dei
vari sindacati ispiratori della lista n. 1, uniti nella circostanza
dall’unico obiettivo di tutelare la nostra Cassa rendendola
più indipendente, più solida, più rispondente alle aspettative dei soci.
Ai Consiglieri e ai Sindaci della CIDA uscenti va il nostro
personale ringraziamento per aver saputo operare bene e
con determinazione in un contesto difficilissimo.
Il CASC
Il lavoro svolto dal Consiglio Direttivo del CASC nel corso
dall’anno si è prioritariamente concentrato su tre aspetti ritenuti di massima rilevanza per tutti i soci: la semplificazione
e il miglioramento di molti aspetti della vita del Sodalizio;
l’adozione di policy che garantiscano, anche al fine di salvaguardare gli aspetti reputazionali dell’Istituto, la massima
trasparenza ed equità negli atti decisionali; la finalizzazione
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dell’attività per giungere a una proposta di revisione dello
Statuto e delle convenzioni in essere con la Banca.
Per quanto riguarda il primo aspetto, è stata: i) riconfermata per i nuovi assunti l’iscrizione gratuita al CASC e a tre
Sezioni di loro interesse; ii) agevolata la possibilità per le
rappresentanze di proporre iniziative turistico/culturali e di
stipulare convenzioni; iii) ampliata sotto l’aspetto qualiquantitativo l’offerta in termini di viaggi, di soggiorni di studio per la lingua inglese, di centri ricreativi per i bambini nei
periodi di vacanza scolastica, di manifestazioni a carattere
ludico-ricreativo presso il Centro Sportivo. In questo ambito
è da rilevare anche l’impulso dato alla finalizzazione del progetto per il nuovo sito del CASC e delle connesse procedure
informatiche che permetterà ai Soci un rapporto più agevole con il Sodalizio attraverso l’utilizzo della rete internet.
Il secondo aspetto ha visto l’implementazione, per l’assegnazione delle manifestazioni organizzate dal CASC, di
nuovi iter procedurali che permettono la partecipazione di
più fornitori, valutati su parametri tecnico/economici, ottenendo, attraverso una competizione ampia e trasparente,
servizi di qualità a prezzi vantaggiosi. Sono state inoltre potenziate le attività di verifica del rispetto delle norme regolamentari al fine di permettere a tutti i soci di avere le stesse
opportunità di partecipazione alle manifestazioni.
Sono in fase conclusiva i lavori che porteranno a una
nuova proposta per lo Statuto e le convenzioni. Tali modifiche hanno lo scopo di garantire al Sodalizio una maggiore
flessibilità operativa e una migliore governabilità, nonché
di renderlo più vicino alle nuove esigenze espresse dai Soci.
I relativi documenti verranno presentati ai Sindacati prima
dell’estate per poter auspicabilmente essere discussi in sede
negoziale nell’autunno, in maniera sinergica con la riforma
degli inquadramenti, atteso anche il loro impatto per quel
che riguarda gli aspetti di sostegno economico alle esigenze
familiari.
I Consiglieri del Sindirettivo-CIDA, Fabrizio Pozzi e Luciano Felici, hanno avuto un ruolo decisivo nello stimolare
e indirizzare tutte le iniziative sopra menzionate, portando
nel dibattito all’interno del Consiglio il loro contributo di
idee, sulle quali si è ottenuta, spesso non senza difficoltà,
la convergenza degli altri membri. Tale azione continuerà
ancora più incisiva in questa fase di profondo cambiamento, per far sì che tutti gli interventi siano connotati dai
valori che danno un senso all’esistenza attuale e prospettica
del CASC: solidarietà e partecipazione.
Lo SCECBU e il dialogo
sociale a Francoforte
Da oltre trent’anni il Sindacato aderisce allo Standing
Committee of European Central Bank Unions – SCECBU,
la confederazione che raggruppa i sindacati di circa 40.000
lavoratori delle banche centrali dell’Unione europea. La
principale ragione dell’affiliazione, oltre ovviamente alla necessità di non relegare il proprio agire al contesto nazionale,
è quella della partecipazione alle riunioni semestrali del Social Dialogue a Francoforte. Tali riunioni, che si svolgono fra
i vertici della BCE e i rappresentanti dei sindacati delle BCN
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del SEBC, sono il principale luogo di confronto su tematiche
sociali e sindacali fra l’istituzione europea di riferimento e i
delegati dei lavoratori. Da qualche anno, sia per le significative ricadute della crisi, sia in vista dell’entrata in esercizio
del Single Supervisory Mechanism, il Social Dialogue si sta
trasformando in uno strumento più concreto di confronto
e di consultazione su tematiche di grande rilevanza per i
nostri colleghi.
Negli ultimi dodici mesi, la BCE — oltre a una riunione
straordinaria interamente dedicata al Single Supervisory
Mechanism e alle conseguenze della sua implementazione
sugli addetti alla funzione di vigilanza nelle banche centrali
e nelle autorità nazionali di supervisione — ha accettato di
procedere verso la sottoscrizione di un addendum al Protocollo sul Dialogo Sociale, che verrebbe sottoscritto dalle
tre confederazioni europee ammesse al dialogo (SCECBU,
Uni-Europa Finance e EPSU), finalizzato a istituzionalizzare
le riunioni suppletive del dialogo sociale dedicate al SSM.
Fabrizio Calabrese, nostro rappresentante nell’Executive
Bureau dello SCECBU e responsabile del “Gruppo di lavoro
sui diritti e il funzionamento delle organizzazioni sindacali
in Europa”, ha presentato pochi giorni fa in occasione dell’Executive Committee i risultati di un’indagine, finalizzata
a rilevare sia il livello di informazione sulla vigilanza unica
sia le opinioni individuali sul progetto e le aspettative in materia di condizioni di lavoro e di diritti sindacali. I risultati
hanno presentato un quadro d’insieme abbastanza diversificato fra Paesi, in virtù ovviamente delle differenti condizioni di partenza, sia a livello di condizione di lavoro e di
retribuzione, sia di scenario macroeconomico del Paese di
riferimento.
La CIDA
Lo scorso anno è stato il primo di esercizio della CIDAManager e alte professionalità per l’Italia, nata il 4 luglio 2012
dai lavori della cosiddetta “Costituente manageriale” sulle
ceneri della preesistente CIDA, cui già aderivamo dal 1979.
Numerose sono state le iniziative pianificate per far conoscere la nuova immagine e la nuova missione della confederazione agli ambienti istituzionali e alle fonti di
informazione. L’instabilità politica interna e il rapido succedersi degli eventi hanno però imposto, sul finire dello scorso
anno, anche interventi straordinari con ulteriori impegni
pure di tipo finanziario da parte dei soggetti aderenti.
Fra le iniziative più significative va annoverata l’indagine
sulla cultura manageriale svolta dal gruppo Gfk-Eurisko e i
cui risultati sono stati presentati a Roma, Milano, Napoli e
Firenze. Le conferenze aventi come titolo “La cultura manageriale per il rilancio del Paese” si prefiggevano di far conoscere i valori tipici della nostra categoria e la loro importanza
per un rilancio del tessuto sociale, istituzionale e imprenditoriale dell’Italia. A tutte le manifestazioni hanno partecipato
rappresentanti nazionali e locali dei principali partiti politici.
Il 14 maggio scorso si è svolto presso Palazzo Altieri l’incontro “L’Europa che vogliamo”, che si prefiggeva di far
conoscere ai media e alla classe politica le idee della CIDAMAPI in materia di Europa. E’ stato confortante notare che
le istanze contenute nel documento presentato dalla Con-
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federazione abbiano riscontrato un ampio consenso bipartisan e che in generale le tematiche trattate siano state in
grado di far emergere una piattaforma comune d’interesse
per il sistema Italia.
Per ultimo, ma non da ultimo, va citato il progetto di ripetere, entro la fine dell’anno, gli Stati Generali della CIDAMAPI che tanto successo avevano riscosso a Milano il 26
novembre 2012. Questa volta gli Stati Generali dovrebbero
svolgersi a Roma in concomitanza del semestre in cui la Presidenza Europea spetterà all’Italia. Il focus dovrebbe essere
proprio quello di un rilancio dell’Italia attraverso un ripensamento delle politiche europee.
CONCLUSIONI
Ci troviamo, nel Paese e nella nostra realtà lavorativa, di
fronte a un eccezionale momento storico di transizione
verso un futuro incerto e diverso.
Un futuro che deve vederci attori protagonisti. Se così
sarà, dipenderà da come agiamo oggi.
Noi del Sindirettivo-CIDA siamo riformisti per vocazione
e per scelta. Siamo quindi pronti a misurarci con i cambiamenti. Senza paura.
Non tutti i cambiamenti però rappresentano vere riforme. Noi consideriamo riformista quell’orientamento che
interviene a governare e modificare i processi che non si
ispirano più all’equità, al riconoscimento del merito, alla valorizzazione delle differenze. Le vere riforme sono quelle
che migliorano la vita dei lavoratori e delle lavoratrici.
Ne è un felice esempio l’accordo sull’orario di lavoro, da
noi caparbiamente sottoscritto anche soltanto per la carriera
direttiva. Abbiamo dimostrato di essere pronti a misurarci con
le riforme anche a costo di lasciare indietro i sindacati più
ostili al cambiamento. Abbiamo avuto ragione noi e loro
sono andati dopo due mesi a firmare gli stessi accordi.
Noi del Sindirettivo-CIDA siamo una forza riformatrice
che sa coniugare continuamente la realtà e la possibilità di
nuove opportunità.
Ci piace pensare al nostro Sindacato come a uno sponsor del cambiamento. Abbiamo la convinzione di dover es-
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sere i principali interlocutori anche nella definizione delle
scelte organizzative. Perché il cambiamento parte dall’alto,
quindi dalla dirigenza e dai direttivi.
Perché il successo dei cambiamenti che si devono effettuare non dipende solo dalle scelte che si faranno bensì da
come il personale condividerà culturalmente queste scelte.
Perché il ruolo del Sindacato, in particolare del nostro, è
nevralgico anche per gli effetti sulla comunicazione.
Devo anche dire che c’è bisogno di nuova linfa nel Sindacato. Il personale più interessato ai processi di riforma deve
sentire il richiamo dell’impegno sindacale ed essere disposto
ad assumersi nuovi ruoli e responsabilità, eliminando diffidenze e pregiudizi, spesso non infondati, verso i sindacati.
Il Sindacato dei dirigenti e dei direttivi deve continuare
a essere molto qualificato e progettuale: soltanto così può
pretendere di essere maggiormente coinvolto nei processi
di cambiamento. Il nostro ruolo è quello di comprendere
pienamente la situazione e di rappresentare i lavoratori non
solo attraverso la storica e tradizionale difesa dei loro diritti,
ma anche attraverso una nuova e più moderna visione della
nostra realtà.
Personalmente sono molto contrario all’idea di una società sempre più “liquida”, priva di punti di riferimento costituiti e di saldi ancoraggi a valori.
Il Sindacato deve poter rimanere uno degli elementi di
aggancio a valori di solidarietà, a istanze di miglioramento
collettivo, alla condivisione di condizioni e aspirazioni di chi
appartiene a una comunità lavorativa, a difesa contro gli
abusi del datore di lavoro. Certo, deve essere capace di coniugare tradizione e innovazione, di saper essere sempre
più al passo con i tempi, di intercettare le istanze profonde
di rinnovamento che provengono da vasti strati della popolazione di riferimento.
Rivendico con orgoglio la capacità del nostro Sindacato
Nazionale del personale direttivo della Banca Centrale di
essere insieme attore dei cambiamenti aziendali e strenuo
difensore dei diritti della platea più qualificata della compagine di quell’eccellenza nel Paese che è ancora, a dispetto
dei più malevoli detrattori, la nostra Banca d’Italia!
Stefano Barra
IL SOGNO DI UN ECONOMISTA
“Il sogno che uccise mio padre” è la biografia di Ezio
Tarantelli, l’economista ucciso dalle Brigate Rosse il 27 marzo
1985, scritta dal figlio Luca.
Luca parte dalla propria esperienza di ragazzino alle prese
con il lutto per rileggere gli ultimi trenta anni di storia italiana
alla luce delle idee del padre. Il libro ripercorre dunque le tappe
della vita e dell’attività di Tarantelli - studente lavoratore, giovane studioso e ricercatore del Servizio Studi, coinvolgente
professore universitario, consulente sindacale ed editorialista
poi - sempre caratterizzate dal filo rosso dello studio, dell’impegno e della concretezza. Per il lettore che sia anche un dipendente della Banca d’Italia vi sono diverse testimonianze di
chi allora lavorava con lui e che ricostruiscono anche uno spaccato di vita d’ufficio familiare.
Come nei libri di Benedetta Tobagi e Mario Calabresi,
anche nel libro di Luca Tarantelli la dimensione personale della
rielaborazione del lutto per la mancanza del padre durante la
crescita si accompagna alla dimensione collettiva della ricostruzione dell’attività del protagonista di un intenso dibattito
pubblico negli anni ’80 che molti non conoscono.
Ricordare figure come Tarantelli non risponde infatti solo
alla necessità dei figli di fare i conti con l’assenza di padri tanto
più ingombranti in quanto anche figure simbolo ma anche a
quella di salvare dall’oblio chi, solo per aver fatto con impegno
il proprio lavoro, è diventato involontariamente un “eroe della
Repubblica”.
Per Tarantelli fare il proprio lavoro di economista ed intellettuale significava sollecitare con forza un dibattito sul cambiamento necessario per risolvere in modo razionale i problemi
di fondo di allora del paese: l’inflazione, il debito pubblico, la
disoccupazione, l’evasione fiscale, la corruzione, il ritardo del
Mezzogiorno, il ruolo del sindacato. E’ una lezione che oggi
- avanti ad alcuni degli stessi problemi ancora irrisolti - non
andrebbe dimenticata.
Virginia Giglio