Se ne è discusso alla XII Conferenza del Sistema di Protezione Ambientale Il ruolo dell'informazione nel nuovo Snpa La comunicazione dei dati e delle informazioni in materia ambientale è stata uno degli argomenti portanti della Dodicesima conferenza del Sistema nazionale di protezione dell'ambiente, che si è tenuta poche settimane fa a Roma. A discuterne, nel corso della seconda giornata di lavoro, sono stati, tra gli altri, Roberto Caracciolo, dirigente dell'Ispra, Giancarlo Marchetti, direttore tecnico dell'Arpa Umbria, Marco Talluri, responsabile comunicazione dell'Arpa Toscana. La titolarità dei dati ambientali è uno dei punti della riforma del sistema nazionale di protezione dell'ambiente, il cui disegno di legge è stato approvato poco più di un mese fa dalla Camera dei deputati e ora è all'esame del Senato. Diversi esperti hanno commentato che la titolarità dei dati ambientali consentirebbe alle agenzie di mettere in campo una comunicazione più efficace sui risultati delle proprie attività. Mosca a pag. 7 DAL MONDO PRIMO PIANO PRIMO PIANO Un nuovo modo di fare la spesa: l’acquaponica La giornata mondiale dell’ambiente 2014 Report Ispra sulla centrale del Garigliano Si celebrerà il 5 giugno prossimo in più di cento paesi Non emergono anomalie e situazioni di rilevanza radiologica EVERY YEAR, EVERYWHERE, EVERYONE. Ogni anno, in ogni luogo, ognuno di noi può e deve dare il proprio contributo per salvaguardare il nostro amato Pianeta! Nonostante gli allarmi che ogni giorno arrivano non è mai troppo tardi affinché l’essere umano capisca... Nel periodo Giugno 2013 - Gennaio 2014, in vista delle più significative operazioni di disattivazione della centrale nucleare del Garigliano, l’ISPRA ha effettuato una campagna di misure radiometriche per il controllo della radioattività ambientale nelle aree circostanti..... Martelli a pag.2 Morlando a pag.3 Chi l’avrebbe mai detto, nel futuro la spesa si farà sul tetto, dove pesce e verdura saranno sempre freschi e pronti per essere portati nelle nostre case e sulle nostre tavole. Paparo a pag.5 I paesaggi di Jordi Bellmunt La tradizione secolare dei guanti napoletani Julia Kavanagh a Napoli NATURA & BIODIVERSITÀ Biodiversità ed aree urbane: un’inaspettata sintonia C’è un mondo di vita attorno a noi, che spesso passa inosservato. 1285 specie di piante spontanee a Roma, 1243 a Berlino, 86 specie di uccelli nidificanti a Firenze…sembra di “dare i numeri”... Buonfanti a pag.8 AMBIENTE & SALUTE SCIENZA & TECNOLOGIA Global warming: in nostro soccorso c’è il Methylocella Clemente a pag.9 Il catalano Jordi Bellmunt è uno degli architetti paesaggisti più noti a livello internazionale. Nella sua Spagna, come in altri Paesi, Bellmunt ha accumulato esperienze importanti e diverse, soprattutto nel lavoro puntuale di interpretazione e risoluzione delle complesse problematiche in cui le aree urbane si trovano a confrontarsi con l’ambiente ed il paesaggio. Fondamentale è, per Bellmunt, la funzione che il paesaggio deve svolgere nel migliorare l’aspetto e la vivibilità dei territori... Palumbo a pag.11 Nella rivista di storia «La Capitanata», quadrimestrale edito dalla Biblioteca Provinciale di Foggia, Rosanna Curci ha pubblicato, nel 2005, un articolo di grande interesse per la letteratura odeporica: Julia Kavanagh nelle Due Sicilie. La Kavanagh nacque nel 1824 in Irlanda; suo padre, Morgan Peter Kavanagh, era un poeta e filologo.... Terzi a pag.15 Nella capitale, intorno al 1830, si concentra tra il Ponte della Maddalena e il mare il maggior numero di concerie; tra le tante emergevano la Gamen, la De Rosa, quella dei fratelli Buongiorno al Mercato, quella di Gaetano Ingegno "a San Giacomo delle Capre sull'Arenella" ("con la vernice di sua invenzione che non si crepola affatto per le piegature"), di Eugenio Salabelle a Posillipo (con la "sua notevole fabbrica, le incerate per fodera di cappelli militari ed i cappelli impenetrabili"). De Crescenzo-Lanza a pag.14 Il decreto legge 34/2014 diventa legge Ferrara a pag.18 La giornata mondiale dell’ambiente 2014 Si celebrerà il 5 giugno prossimo in più di 100 paesi Giulia Martelli Giornata Wwf della biodiversità: io tifo Amazzonia! EVERY YEAR, EVERYWHERE, EVERYONE. Ogni anno, in ogni luogo, ognuno di noi può e deve dare il proprio contributo per salvaguardare il nostro amato Pianeta! Nonostante gli allarmi che ogni giorno arrivano non è mai troppo tardi affinché l’essere umano capisca che è dai piccoli gesti quotidiani che parte la vera “rivoluzione verde”. A ricordarci le nostre responsabilità nei confronti dell’ambiente ci pensa, puntuale ogni anno, la Giornata Mondiale dell’Ambiente (WED), istituita dall'ONU per ricordare la Conferenza di Stoccolma sull'Ambiente Umano del 1972 nel corso della quale prese forma il Programma Ambiente delle Nazioni Unite (U.N.E.P. United Nations Environment Programme). La Giornata Mondiale dell'Ambiente, che si celebrerà in più di 100 paesi il 5 giugno prossimo, nel corso degli anni è cresciuta fino a diventare una vasta piattaforma globale per la sensibilizzazione pubblica. A sostegno della designazione da parte dell'ONU del 2014 come Anno Internazionale dei piccoli Stati insulari (SIDS) in via di sviluppo, WED que- RIO2: DAL MONDO DEI CARTOON UN SOS PER L’AMAZZONIA st'anno adotterà SIDS nel contesto più ampio del cambiamento climatico come tema per favorire una maggiore comprensione dell'importanza dell'urgenza di proteggere le isole dai crescenti rischi e dalle vulnerabilità derivanti soprattutto dai cambiamenti climatici. “Alzate la voce, non il livello dei mari!”: questo lo slogan della WED 2014. "Il pianeta Terra è la nostra isola condivisa, dobbiamo unire le forze per proteggerla” :questo, invece, l’appello del Segretario generale dell'ONU Ban Ki moon in occasione del lancio dell’ Anno Internazionale delle piccole isole e degli Stati in via di sviluppo. Anno dopo anno, “l’obiettivo della Giornata Onu per l’ambiente è di dare un volto umano alle questioni ambientali – ha scritto l’ufficio Onu Italia in un co- municato esemplare per chiarezza e sintesi – facendo sì che le persone diventino agenti attivi dello sviluppo equo e sostenibile; accrescere la consapevolezza che le comunità sono di importanza fondamentale per il cambiamento dell’atteggiamento riguardo le questioni ambientali; promuovere partnership che garantiranno a tutte le nazioni e popolazioni un futuro sicuro e prospero”. La Giornata mondiale per l’ambiente coinvolge tutte le persone in attività come manifestazioni nelle strade, parate di biciclette, concerti all’aria aperta, saggi e concorsi per l’ideazione di poster nelle scuole e piantagioni di alberi. Ognuno di noi può dare il suo contributo, è sufficiente qualche piccola accortezza nelle piccole decisioni di ogni giorno. Grande successo per la nuova avventura del pappagallino Blu, della sua compagna Jewel e dei loro tre figlioletti che, abbandonati gli agi della riserva naturale di Rio (dove vivevano protetti e coccolati perché ultimi esemplari della loro specie) si lanciano in una pericolosa ricerca delle loro origini nella foresta Amazzonica tra bracconieri e predatori senza scrupoli il cui unico interesse è disboscare il patrimonio naturale. Affinché la salvezza dell’ecosistema possa essere una priorità sin da bambini! Sos Amazzonia: dalla moda i “pezzi verdi” Anche il mondo della moda si mobilita per l’Amazzonia. Due marchi come Cruciani e Braccialini hanno infatti sostenuto la campagna del Wwf con edizioni speciali acquistabili anche on-line. Si tratta di baccialetti e foulard per il primo e tre diversi modelli di borse in canapa ricavata da brandine dismesse per il secondo. Ovviamente tutto confezionato con packaging in carta ecologica al 100%... Come essere fashion dando una mano all’ambiente. G.M. Lo studio dell’Università di Milano fotografa una situazione critica Cambiamenti climatici e ghiacciai: lenta agonia? Paolo D’Auria Imponenti, candidi, glaciali. L’uomo ne ha memoria da sempre. E da sempre mito e leggenda li avvolgono, trasformandoli – a seconda delle epoche – in nemici temuti oppure in divinità benevole. Sono i ghiacciai, diffusi su tutta la Terra. L’evoluzione umana e scientifica ne ha poi, via via, mutato la percezione tanto da poter affermare che oggi, essi, sono una vera e propria risorsa, sia biologica che turistica. Come spesso accade negli ultimi tempi, tuttavia, anche questi “giganti buoni” sono minacciati dalla scelleratezza dell’uomo. Gli ultimi dati raccolti nel nuovo catasto dei ghiacciai italiani realizzato dal gruppo di ricerca di Claudio Smiraglia dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con l’Associazione EvK2CNR e il Comitato Glaciologico Italiano – lasciano poco spazio a dubbi: si stanno sciogliendo. Se è vero, infatti, che sono aumentati di numero, la loro superficie complessiva sta gradualmente regredendo. I ghiacciai sono, dunque, sempre più frammentati e piccoli per colpa del cambiamento climatico: si parla di una riduzione del 40% in superficie nel- l’arco di 30 anni. Attualmente quelli italiani hanno un’estensione complessiva confrontabile a quella del Lago di Garda (368 chilometri quadrati). La fusione sembra ormai inarrestabile, ma potrebbe rallentare grazie allo strato protettivo di sassi e detriti che si sta allungando su aree sempre più estese dando vita ai cosiddetti “ghiacciai neri”. Il progetto è stato avviato nel 2012 per aggiornare i dati dei due precedenti catasti, realizzati nel 1959-1962 e nel 1981-1984. Secondo il nuovo censimento, i corpi glaciali in Italia sono 896 e per lo più di piccole dimensioni (in media 0,4 km2), ad eccezione di tre ghiacciai con un’area superiore ai 10 chilometri quadrati: i Forni in Lombardia, il Miage in Valle d’Aosta, e il complesso Adamello-Mandrone, in Lombardia e Trentino. Quest’ultimo (con i suoi 16,44 km2) ha strappato al Forni il primato di ghiacciaio più vasto d’Italia, perché si è scoperto che è formato da un corpo glaciale unico con oltre 200 metri di spessore e non da più blocchi, come ipotizzato finora. “I modelli ci dicono che entro la fine del secolo si potrebbe estinguere il 50-90% dei ghiacciai alpini”, spiega Smiraglia. “La fusione, però, sta innescando un meccanismo naturale di auto-difesa: col ritiro dei ghiacci, si sta verificando lo sbriciolamento delle pareti rocciose vicine, e i detriti si stanno riversando sui ghiacciai formando delle “coperte” di sassi sempre più estese. La loro superficie è aumentata del 20% dal 1960 ad oggi, formando uno strato che sigilla e protegge il ghiaccio sottostante. Questo fenomeno - conclude l’esperto potrà forse regalare qualche anno di vita in più ai nostri ghiacciai”. Report Ispra sulla centrale del Garigliano Non emergono anomalie e situazioni di rilevanza radiologica Angelo Morlando Nel periodo Giugno 2013 Gennaio 2014, in vista delle più significative operazioni di disattivazione della centrale nucleare del Garigliano, l’ISPRA ha effettuato una campagna di misure radiometriche per il controllo della radioattività ambientale nelle aree circostanti, allo scopo di disporre di un “punto zero” di riferimento e di vigilare sulle attività di sorveglianza svolte al riguardo dalla SO.G.I.N. Il Report, pubblicato nell'aprile 2014, è il frutto del lavoro degli autori L. Matteocci, R. Ocone, (ISPRA – Servizio Controlli Attività Nucleari) G. Torri, G. Bidolli, G. Jia, G. Menna M. Blasi, M. Cavaioli, A. Di Lullo, S. Fontani, P. Leone, Sara Mariani, Luca Ciciani (ISPRA – Servizio Misure Radiometriche) P. Bitonti, C. Salierno, (ISPRA – Servizio Radioprotezione) G.Guerrasio, P.Mainolfi, (ARPA Campania) P. Di Legge, G. Evangelisti, T.Fabozzi, S. Paci, R. Sozzi (ARPA Lazio). La centrale elettronucleare del Garigliano, sita in Sessa Aurunca (CE) è dotata di un reattore nucleare ad acqua bollente General Electric del tipo BWR da 506 MWt (150 MWe), entrò in esercizio commerciale nel giugno 1964, con una produzione elettrica complessiva, fino all’arresto definitivo, di circa 12 miliardi di kilowattora. La centrale fu fermata nell’agosto 1978 per l’esecuzione di rilevanti interventi di adeguamento, che però, a seguito di valutazioni economiche, fu deciso di non attuare. Con delibera CIPE del 4/3/1982 fu quindi disposta la chiusura definitiva della centrale e furono avviate le operazioni per porre l’impianto in una condizione di “custodia protettiva passiva” (CPP). Per sedimenti, sabbie e terreni i valori delle misure sono riferiti a "peso secco", dopo essiccazione fino a peso costante con residuo di umidità inferiore allo 0,1%; per matrici alimentari ed erba i valori delle misure sono riferiti a "peso fresco". Dove è presente il solo valore della MDC (Minimum Detectable Concentration) significa che il valore della misura è minore della stessa MDC. Per completezza è stato riportato anche il valore di K-40, radionuclide naturale abbondantemente presente nelle matrici ambientali. Dagli stessi rapporti è emerso che le misure non hanno evidenziato la presenza di altri radionuclidi artificiali differenti da quelli riportati. Le misure di rateo di dose gamma in aria hanno mostrato una variabilità fra 62 nanoSievert/h e 198 nanoSievert/h. Dall’analisi comparativa fra i risultati delle misure effettuate nella presente indagine e i valori di fondo ambientale regionale nonché i valori di riferimento a livello nazionale o internazionale non emergono anomalie. La variabilità dei valori rilevati nell’indagine rientra nell’ambito di quella, precedentemente descritta, riscontrabile su scala regionale nonché nazionale e non si evidenziano situazioni di rilevanza radiologica. Tutti al mare! Record di bandiere blu italiane Tra poco sarà tempo di vacanze e, si sa, la maggior parte degli Italiani sceglierà come meta il mare. E ora come ora avrà una vasta scelta, visto che per la nostra penisola quest’anno è stato battuto il record di spiagge con mare cristallino. Basti pensare che con nuovi ventuno ingressi cresce a duecentosessantanove il numero dei lidi doc e salgono a centoquaranta i relativi Comuni (cinque in più dell'anno scorso) che potranno fregiarsi nel 2014 della Bandiera blu, il riconoscimento internazionale della Fondazione per l'educazione ambientale (Fee) Italia assegnato in questi giorni nella ventottesima cerimonia di premiazione alla presenza dei sindaci. A presentare la candidatura sono stati centosessantatre Co- muni. In particolare, la Liguria conferma il primato con venti località premiate; mentre nella graduatoria spicca l'Abruzzo che scende a quota dieci , in quanto quattro località della riviera hanno perso il vessillo. Medaglia d’argento per la Toscana, che si è classificata seconda con diciotto (conquista una bandiera) che sorpassa le Marche con diciassette, che ne perde una. L'elenco prosegue con l'Emilia Romagna che conquista una bandiera e sale a nove, la Campania conferma le sue tredici e anche la Puglia le dieci dello scorso anno, il Veneto raggiunge sette bandiere, salendo a quota più uno, e il Lazio si piazza a pari merito con più due; Sardegna e Sicilia sono rappresentate ciascuna da sei località. Scendendo nella graduatoria la Calabria è pre- sente quest'anno con quattro bandiere, il Molise conferma le tre, il Friuli Venezia Giulia le proprie due e la Basilicata una. Sul totale di centoquaranta Comuni, a fronte di dieci uscite ci sono stati quindici i nuovi ingressi: Trebisacce (Cosenza), Gatteo (Forlì-Cesena), Gaeta, Latina, Santo Stefano al Mare (Imperia), Pietra Ligure (Savona), Margherita di Savoia (Barletta-Andria-Trani), Pozzallo (Ragusa), Marsala, Marciana Marina (Livorno), Chioggia (Venezia) e quattro località sui laghi in Trentino Calceranica al Lago (Trento), Caldonazzo (Trento), Pergine Valsugana (Trento), Tenna (Trento). Una soddisfazione per noi e per tutto il nostro Paese in termini di educazione ambientale e gestione del terriA.P. torio. Nasce il Polo Tecnico Professionale “Campania 3B” Bellezza, bravura e bontà a tavola! Fabiana Liguori Una culla dove coltivare “talenti”, valorizzandone esclusività, competenze e senso di appartenenza alla propria terra. Un valido punto di partenza e di incontro per i ragazzi appassionati di enogastronomia e arte della cucina, da cui poter iniziare un meraviglioso percorso formativo e professionale senza dover “emigrare” verso nuove opportunità. Lo scorso 21 maggio, presso l’Istituto “Elena di Savoia” a Napoli, è stato presentato il Polo Tecnico Professionale “Campania 3B” promosso dall’Università della Cucina Mediterranea, in qualità di capofila di un partenariato costituito da 49 realtà scolastiche, imprenditoriali, associative e istituzionali. Il Polo rappresenta una nuova realtà strategica con la quale i fautori, in cooperazione con le Istituzioni, promuovono l’istruzione e la formazione nei settori dell’accoglienza e dell’ospitalità per qualificare l’offerta turistica e compiere un deciso passa in avanti nella promozione dell’eccellenze territoriali. Al tavolo, oltre al dirigente dell’Istituto, sede della conferenza stampa, Paola Guma, al presidente dell’UCMed, Sergio Corbino e al direttore del Polo, Vincenzo Califano, presente anche l’onorevole Severino Nappi, assessore alla formazione e lavoro della Regione Campania. Significativi gli interventi di Filippo De Maio e Valentina Della Corte, componenti del consiglio direttivo del Polo e di Cecilia Coppola, presidente dell’Associazione Culturale Cypraea-Onlus. “Le 3B: bellezza, bravura e bontà – spiega un emozionato Califano - rappresentano le “tre dimensioni” sulle quali agire per valorizzare i punti di forza del territorio e renderli funzionali ad un incremento della competitività delle imprese e dei territori”. Un Made in Campania, quindi, responsabile e sostenibile, teso a incrementare l’impiego dei giovani nelle filiere produttive di riferimento, innalzandone il livello di preparazione e stimolando il senso di auto-imprenditorialità. Il neo Partenariato, che interessa tutte le province campane, è stato costituito con l’obiettivo di È ufficiale la nuova zona rossa del Vesuvio collegare aree tra loro differenti e costruire una nuova visione di offerta turistica, che inglobi sia le prelibate produzioni enogastronomiche che le bellezze culturali caratteristiche dei territori. Una presentazione, quella del Polo Professionale “Campania in 3B”, diventata un vero e proprio evento di incontro produttivo, e soprattutto culinario, grazie alla performance del gusto realizzata dagli studenti dell’Istituto “Elena di Savoia”: un gustosissimo buffet di “accoglienza” che ha deliziato il palato di tutti i presenti. Meritati apprezzamenti da parte anche dell’Assessore alla Formazione, Severino Nappi, che ha sottolineato l’originalità e la qualità del programma promosso dall’UCMed, annunciando che “a breve partirà la negoziazione tra i Poli e la Regione Campania per il finanziamento dei progetti e l’inizio delle attività che saranno operative a partire dal nuovo anno scolastico”. Parola d’ordine: prevenzione. Finalmente: "È entrata in vigore ufficialmente la nuova zona rossa del Vesuvio", queste le parole dell’assessore alla Protezione civile della Regione Campania, Edoardo Cosenza, alla luce della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Direttiva approvata dal presidente del Consiglio dei Ministri, il 14 febbraio scorso, che stabilisce l'area da evacuare, in via cautelativa in caso di ripresa dell'attività eruttiva, e individua i gemellaggi tra i Comuni della zona rossa e le Regioni e le Province Autonome per l’accoglienza della popolazione evacuata. "Entro 45 giorni – ha aggiunto l’assessore - il Dipartimento Nazionale di Protezione civile, d'intesa con la Regione Campania e sentita la Conferenza Unificata, fornirà indicazioni alle componenti e alle strutture operative per aggiornare le pianificazioni di emergenza in caso di evacuazione della zona. Per farlo, queste avranno quattro mesi di tempo”. La nuova zona rossa comprende i territori di 25 comuni della provincia di Napoli e di Salerno, ovvero 7 comuni in più rispetto ai 18 previsti dal Piano di emergenza del 2001. Le disposizioni entrate in vigore riguardano: l'area da sottoporre ad evacuazione cautelativa per proteggere gli abitanti dagli effetti di una possibile eruzione, soggetta ad alta probabilità di invasione di flussi piroclastici (zona rossa 1) e di crolli delle coperture degli edifici per importanti accumuli di depositi di materiale piroclastico (zona rossa 2); l'assistenza alla popolazione dell'area vesuviana cautelativamente evacuata attraverso la stipula di gemellaggi con determinate Regioni e province autonome che garantiranno una sana accoglienza; e infine le indicazioni per l'aggiornamento delle pianificazioni di emergenza. Che ne sarà di Città della Scienza? Situazione a dir poco intricata per Città della Scienza e per le Società Partecipate della Regione. Attualmente parte della struttura è visitabile attraverso mostre temporanee ed altre permanenti, ma l’incertezza del destino del Museo traspare anche durante la visita. Lo scorso 24 aprile è stata approvata l’intesa per la ricostruzione del Sito di Bagnoli dopo i fatti di cronaca del 2013 che videro Città della Scienza distrutta per un incendio. La prima disputa in seguito all’accordo di Aprile è sorta tra la Fondazione Idis e Campania Innovazione: in particolare la Idis ritiene di dover “subire” un punto non concordato, dovendosi inaspettatamente farsi carico economicamente di quarantatre dipendenti di Campania Innovazione. La Regione Campania, dalla sua, trova inadeguate le proteste della Idis, affermando di aver conferito i giusti mezzi per ri- lanciare un’eccellenza turistica salvaguardando i livelli occupazionali. Il problema sorge nel momento in cui è stato previsto un Piano di riorganizzazione delle Società Partecipate: attraverso il Piano, è stato stabilito che Campania Innovazione fosse assorbita da Sviluppo Campania. Dei settantasette dipendenti di Campania Innovazione, si prevedeva che sedici passassero direttamente a Sviluppo Campania, diciotto fossero assorbiti da Idis. I quarantatrè rimanenti spettavano di norma a Sviluppo Campania, il problema è che per quest’ultima non è stato ancora approvato alcun piano industriale. Anche altri i punti spinosi della questione: il 16 maggio è scaduto il rapporto di fitto di ramo d’azienda che legava Fondazione Idis e Campania Innovazione; il rapporto è stato prorogato al 16 giugno ed entro quella data la stessa Idis dovrà necessariamente presentare un piano di riordino e di riorganizzazione. La Regione ha stanziato un milione di euro, cifra ad ogni modo non disponibile attualmente. Per ora la Fondazione Idis fa sapere di non riuscire a sostenere gli eventuali costi aggiuntivi dei quarantatrè dipendenti. D.M. Un nuovo modo di fare la spesa: l’acquaponica Coltivare piante su vasche dove si allevano anche i pesci Anna Paparo Chi l’avrebbe mai detto, nel futuro la spesa si farà sul tetto, dove pesce e verdura saranno sempre freschi e pronti per essere portati nelle nostre case e sulle nostre tavole. Prende vita, così, l’acquaponica, che il gruppo degli “Urban Farmers” di Basilea stanno provando a realizzare attraverso un impianto di coltivazione e allevamento, con l’ambizione di farlo diventare un sistema diffuso da installare in oltre 200 negozi sparsi in tutta la Svizzera. Alla base di tutto c’è la volontà di rendere il coltivare verdura e l’allevare pesci un atto da fare in contemporanea e, soprattutto, in modo sostenibile, combinando l’acquacoltura all’agricoltura idroponica. In sostanza, piante e ortaggi vengono coltivati all’interno di particolari serre, in speciali contenitori privi di terra, e vengono irrigati con l’acqua delle vasche dove nuotano i pesci. Non bisogna sottovalutare la funzione delle piante, che assorbono le sostanze nutrienti presenti nell’acqua e, allo stesso tempo, la depurano in modo naturale da quelle nocive, come ad esempio l’ammoniaca. Una volta filtrata, l’acqua viene nuovamente immessa nelle vasche per l’acquacoltura insieme agli scarti vegetali di cui si nutrono i pesci, dando così vita a un circolo virtuoso ed efficiente. Sono messe al bando poi tutte le sostanze chimiche: partendo dai fertilizzanti fino ad arrivare ai pesticidi. In questo modo la protezione delle piante avviene solo attraverso la lotta biologica, una tecnica che utilizza batteri e insetti per combattere le malattie. Sembra un sogno, ma non lo è. Infatti, a Basilea questo sistema è già realtà. A volerlo sperimentare è stato il trentenne Roman Gaus, che ha sottolineato che, pur non avendo nessuna esperienza di agricoltura, è riuscito a siglare un contratto con Migros, una delle catene di distribuzione più grandi della Svizzera, iniziando a vendere i prodotti dell’acquaponica in un negozio della città. La risposta dei consumatori è stata subito positiva: «Vendiamo tutto in appena un’ora», sottolinea Gaus. Anche perché l’offerta è interessante e composta dalle qualità più particolari di verdura, come il peperoncino habanero o il pomodoro ciliegino italiano, che di solito non arrivano nei supermercati elvetici. I pesci allevati, invece, sono i tilapia, una varietà d’acqua dolce che vive nei mari tropicali. Il tutto a prezzi competitivi. Insomma, una vera e propria rivoluzione nel mondo della spesa. Ottimo per le casalinghe, che per un po’ potranno abbandonare l’appellativo di “disperate” e rifornire la propria dispensa senza alcun problema o stress, senza sotto- valutare l’aspetto del rispetto dell’ambiente. L’acquaponica è, appunto, un sistema sostenibile al cento per cento, che sfrutta le risorse naturali senza intaccare gli equilibri naturali di flora e fauna, il tutto su di un semplicissimo tetto. Purtroppo i costi per diffondere questo progetto sono molto alti. Infatti, per realizzare mille metri quadrati di coltivazione «chiavi in mano» sono necessari circa 1,2 milioni di euro. Si spera, inoltre, che le spese vengano ammortizzate e si spera che con il software che gli stessi Urban Farmers hanno sviluppato – capace di regolare tutti gli elementi legati alla coltivazione “acquaponica” – questo nuova pratica di fare shopping possa diventare sempre più diffusa. Il polmone green che ricrea gli ecosistemi russi: tundra, steppe, foreste e paludi L’avveniristico Parco di Zaryadye a Mosca Domenico Matania Beni Culturali e Patrimonio ambientale e paesaggistico costituiscono un binomio vincente se alla loro base risiedono idee vincenti ed una corretta gestione. La scelta del Governo Russo di metter su Parco Zaryadye nell’omonima zona di Mosca è emblematica di come alla base di un’idea risiedano molteplici fattori immateriali che, coniugati in qualcosa di tangibile, danno vita a progetti che possono lasciare il segno nella storia. Non un semplice parco, insomma, e ciò si intuisce innanzitutto dalla scelta della zona. Da antico porto fluviale, nel Sedicesimo secolo l'area divenne l'insediamento di aristocratici e diplomatici. Nel corso del Diciottesimo secolo, la Capitale si trasferì a San Pietroburgo e Zaryadye fu trasformata in una baraccopoli. L’intera area fu demolita durante la ricostruzione di Mosca ad opera di Stalin. Durante il Ventesimo Secolo l’idea di costruire nell’area il grattacielo più alto di Mosca non andò a buon fine e il progetto fu convertito nella co- struzione del più grande Albergo del mondo, – l’Hotel Rossiya – demolito poi nel 2006. L’area fu recintata fino al gennaio 2012 quando Vladimir Putin propose al sindaco di Mosca Sergey Sobyanin di dar vita ad un Parco, Zaryadye Park. Quale zona migliore per dar vita ad un progetto vincente! All’interno del parco saranno ripro- dotti quattro habitat tipici del territorio russo: tundra, steppe, foreste e paludi distribuite su terrazze digradanti. L’uso di serre, fontane, alberi, energia solare e geotermica consentiranno di ricreare per ogni zona un microclima artificiale. Un’area bella, fertile e ricca di storia abbandonata al suo destino. Non solo, l’area di Zaryadye è ubicata a un minuto a piedi dal Cremlino e da Red Square e fa ottimamente da trade union tra la zona business e quella turistica di Mosca. Per la progettazione del Parco il Governo Russo ha indetto un Concorso Internazionale per sviluppare il Sito, con premesse di sicuro successo: l’idea è quella di conferire alla zona, alla città di Mosca e alla Russia una nuova immagine attraverso un progetto paragonabile a quello di Ground Zero a New York , alla ricostruzione del Reichstag a Berlino o al concorso per un nuovo distretto culturale di West Kowloon , Hong Kong. Ulteriore elemento di eccezionalità è il fatto che a Mosca non si investa nella progettazione di un Parco di simili dimensioni dagli anni Cinquanta del Novecento, l'ultimo è il Friendship Park sovietico, costruito nel 1957 per il Festival della Gioventù e degli Studenti. Un progetto dunque quello di Zarydaye rivoluzionario per l’Architettura del Paesaggio, con il proposito di costruire un Museo a cielo aperto in cui ad essere esposta in maniera permanente è la città stessa. Raccontiamo il meteo. L’anticiclone africano resta per ora lontano dalla nostra Penisola La prima parte del mese sarà caratterizzata da tempo fresco e instabile Due giugno, ancora appuntamento con la primavera Gennaro Loffredo Si sospetta che la vera estate arriverà solo il 21 giugno Con il mese di giugno entra in scena, dal punto di vista meteorologico, la stagione estiva. Nella fase iniziale, però, l’estate può ancora mostrare caratteri della primavera, caratterizzata da estrema variabilità e dal clima gradevole. Anche quest’anno, sino ai primi di giugno, continueremo a sperimentare un tempo instabile e relativamente fresco, e già qualcuno sospetta che per vivere la vera estate si dovrà attendere i tempi del calendario astronomico (21 giugno). Le analisi di oggi in nostro possesso, grazie alle elaborazioni dei modelli matematici, non sono molto confortanti circa il ponte del 2 giugno in Italia e mostrano un quadro meteo piuttosto inaffidabile. Non mancheranno delle belle schiarite, ma complessivamente saranno le nubi a dettar legge, soprattutto nelle zone interne e montuose; nubi e anche precipitazioni che avranno prevalentemente carattere di rovescio o temporale. L’instabilità tenderà a concentrarsi al centrosud nella giornata di sabato per poi interessare soprattutto le zone appenniniche e le Alpi nella giornata di domenica, con frequenti sconfinamenti sulle pianure e sui litorali delle zone tirreniche. La festa della Repubblica vedrà un miglioramento più convincente sulle regioni settentrionali con un deciso rialzo delle temperature, mentre sul centro-sud, compresa la Campania, si rinnoveranno condizioni di tempo instabile, soprattutto nelle ore pomeridiane. Il quadro termico sarà orientato alla mitezza, o sarà addirittura fresco, dove le piogge si faranno maggiormente sentire. Finché l’anticiclone latita, la nostra penisola risulterà inserita in una circolazione depressionaria che attirerà aria fresca ed instabile dal nord Europa. Nel corso dei prossimi giorni l’alta pressione delle Azzorre abbraccerà gran parte dell’Europa occidentale e settentrionale, lasciando la nostra penisola in una sorte di palude barica o terra di nessuno, la cui configurazione non favorirà il decollo della vera estate. L’Italia risulterà ancora esposta alle correnti fredde del Nord L’umidità fa aumentare la percezione del caldo Ci stiamo avvicinando a grandi passi verso la stagione estiva, che, dal punto di vista meteorologico, inizia proprio il 1 giugno. Le temperature stanno lentamente ma inesorabilmente aumentando grazie ad una maggiore presenza dell’anticiclone e alla radiazione solare che sta raggiungendo il picco più alto dell’anno. Se fino ad oggi le ondate di caldo sono state effimere e di breve durata, con l’entrata di giugno assisteremo ai primi veri caldi di stagione. Il caldo e l’umidità rappresentano due parametri fondamentali per prevedere una possibile ondata di calore. In estate capita molto spesso di assistere a giornate molto calde. Alla sera, con un po’ di curiosità e preoccupazione, si aspetta che il bollettino locale annunci il valore massimo toccato in città. Con un po’ di stupore scopriamo che la temperatura massima letta nel corso del bollettino meteo è di gran lunga inferiore alle aspettative. Subito storciamo il naso pensando che si tratti di un dato errato e che la temperatura massima vera sia stata ben al di sopra del valore esposto. In parte abbiamo ragione. Le temperature riportate nei bollettini locali sono spesso rilevate negli aeroporti, che distano anche diversi chilometri dal centro cittadino. Di conseguenza la temperatura reale presente in città sarà sicuramente superiore di qualche grado rispetto ai valori cosiddetti ”ufficiali”. C’è un altro fattore che però maschera la sensazione di caldo percepita dal nostro organismo: l’umidità relativa dell’aria. Se la temperatura registrata nella nostra città risulta accompagnata da un alto tasso di umidità, la sensazione di calore che il nostro fisico avverte sarà molto più alta. Il corpo umano, infatti, non percepisce la temperatura dell’aria, ma la combinazione tra la temperatura e l’umidità, ovvero il cosiddetto “indice di calore”. Come si calcola questo parametro? Esiste una curva, chiamata di Scharlau o “curva dell’afa”, che associa la temperatura dell’aria con il valore dell’umidità relativa registrato in quel momento. Ogni punto della curva rappresenta la temperatura che il nostro corpo realmente percepisce in un determinato momento. Per esempio, se nella nostra città la temperatura è di 29°C, ma il tasso di umidità è al 90%, il nostro corpo avvertirà un indice di calore di ben 37,1°C, con sudorazione eccessiva. Con la stessa temperatura di 29°C, ma con un umidità ben più bassa e pari al 20%, il nostro corpo avvertirà un indice di calore di soli 27,5°C, con quasi completa assenza di sudorazione. Da qui si evince l’importanza fondamentale che riveste il tasso di umidità della massa d’aria che staziona sulla nostra zona. G.L. Il ruolo dell'informazione nel nuovo Snpa Se ne è discusso alla XII conferenza del Sistema di protezione ambientale Luigi Mosca La comunicazione dei dati e delle informazioni in materia ambientale è stata uno degli argomenti portanti della Dodicesima conferenza del Sistema nazionale di protezione dell'ambiente, che si è tenuta poche settimane fa a Roma. A discuterne, nel corso della seconda giornata di lavoro, è stato, tra gli altri, Roberto Caracciolo, fisico napoletano e dirigente dell'Ispra (foto). Il quale, per così dire, ha rivendicato il ruolo delle agenzie ambientali come fonte ufficiale della conoscenza scientifica di settore. Del resto la titolarità dei dati ambientali è uno dei punti del disegno di legge sulla riforma del sistema nazionale di protezione dell'ambiente, disegno di legge che, come è noto, è stato approvato poco più di un mese fa dalla Camera dei deputati e ora è all'esame del Senato. Il ddl prevede che la titolarità dei dati ambientali venga espressamente assegnata al sistema delle agenzie ambientali. Dal punto di vista delle Arpa e dell'Ispra, questo sarebbe un riconoscimento importante, perché, come ARPA CAMPANIA AMBIENTE del 31 maggio 2014 - Anno X, N.10 Edizione chiusa dalla redazione il 29 maggio 2014 DIRETTORE EDITORIALE Pietro Vasaturo DIRETTORE RESPONSABILE Pietro Funaro CAPOREDATTORI Salvatore Lanza, Fabiana Liguori, Giulia Martelli IN REDAZIONE Cristina Abbrunzo, Anna Gaudioso, Luigi Mosca, Andrea Tafuro GRAFICA E IMPAGINAZIONE Savino Cuomo HANNO COLLABORATO I. Buonfanti, F. Clemente, P. D’Auria, G. De Crescenzo, A. Esposito, E. Ferrara, R.Funaro, L. Iacuzio, G. Loffredo, R. Maisto, D. Matania, B. Mercadante, A. Morlando, A. Palumbo, A. Paparo, F. Schiattarella, M. Tafuro L. Terzi, E. Tortoriello SEGRETARIA AMMINISTRATIVA Carla Gavini DIRETTORE AMMINISTRATIVO Pietro Vasaturo EDITORE Arpa Campania Via Vicinale Santa Maria del Pianto Centro Polifunzionale Torre 1 80143 Napoli REDAZIONE Via Vicinale Santa Maria del Pianto Centro Polifunzionale Torre 7- 80143 Napoli Phone: 081.23.26.405/426/427 Fax: 081. 23.26.481 e-mail: rivista@arpacampania.it Iscrizione al Registro Stampa del Tribunale di Napoli n.07 del 2 febbraio 2005 distribuzione gratuita. L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti e la possibilità di richiederne la rettifica o la cancellazione scrivendo a: ArpaCampania Ambiente,Via Vicinale Santa Maria del Pianto, Centro Polifunzionale, Torre 7-80143 Napoli. Informativa Legge 675/96 tutela dei dati personali. hanno commentato diverse personalità intervenute nel corso della conferenza, consentirebbe alle agenzie di mettere in campo una comunicazione più efficace sui risultati delle proprie attività. A questo proposito Giancarlo Marchetti, direttore tecnico dell'Arpa Umbria, ha citato l'Istat come possibile modello: i report dell'istituto di statistica, come sappiamo, hanno una cadenza periodica, e consentono così a diverse categorie di interlocutori, tra questi i mass media, di disporre costantemente di materiale pronto per il proprio lavoro. Infatti, come ha notato, tra gli altri, Marco Talluri, responsabile della comunicazione dell'Arpa Toscana, altri soggetti, tra cui le associazioni ambientaliste, hanno una consuetudine consolidata a comunicare efficacemente con i cit- tadini sui temi ambientali, mentre le agenzie ambientali non godono, spesso, dello stesso riconoscimento sui media e presso il pubblico più vasto. Accade anche, come ha notato il direttore Marchetti, che le associazioni ambientaliste facciano la sintesi dei dati prodotti dalle agenzie ambientali, offrendoli al pubblico dopo averli, in qualche modo, lavorati. In questa ottica, il dott. Caracciolo si è soffermato sull'idea di una piramide della conoscenza ambientale, la quale ha come base i dati primari che risultano dai controlli e dai monitoraggi svolti dalle agenzie. Ai livelli successivi, sono situati i dati elaborati per un utilizzo più efficace, e poi, operando ulteriori sintesi, gli indicatori dell'ambiente e infine gli indici sintetici. Il fisico ha fatto notare come, procedendo verso la vetta della piramide, si opera un lavoro di aggregazione e di sintesi che rende le informazioni ambientali via via più adatte per la comunicazione. Ma, allo stesso tempo, man mano che si procede su questo percorso, un grado crescente di discrezionalità, nella selezione e nella presentazione dei dati, diventa inevitabile. Il dott. Caracciolo ha chiarito che il margine di discrezionalità può essere ridotto al minimo se si usano dei criteri riconosciuti e condivisi. Gli esperti intervenuti hanno infatti convenuto sull'idea che fornire al pubblico un ingente mole di dati può risultare disorientante e dare luogo a una comunicazione confusa, in base al principio che troppa informazione equivale a un'informazione scarsa. Il dott. Caracciolo si trovò nel 1986 a coordinare il centro di emergenza italiano per il caso Chernobyl, e in quella occasione fu deciso di diffondere al pubblico una grande quantità di dati sulle rilevazioni condotte in Italia. Il risultato, come ha raccontato il fisico, fu che i giornali riportavano alla rinfusa parti diverse dei lunghi rapporti, senza che venisse fornita una sintesi sulle informazioni più rilevanti. Cosa che fu fatta notare agli scienziati italiani dai loro colleghi statunitensi, i quali già all'epoca lavoravano su indicatori sintetici. Infine il dott. Caracciolo ha citato l'annuale rapporto di Ispra sulla qualità dell'ambiente urbano, indicandolo come prodotto di sistema delle agenzie ambientali, un modello che potrebbe valere come riferimento per altre esperienze. (foto Attilio Castellucci per Ispra) Le aree verdi proteggono le specie endemiche e ne favoriscono sviluppo e riproduzione Biodiversità ed aree urbane: un’inaspettata sintonia Ilaria Buonfanti C’è un mondo di vita attorno a noi, che spesso passa inosservato. 1285 specie di piante spontanee a Roma, 1243 a Berlino, 86 specie di uccelli nidificanti a Firenze…sembra di “dare i numeri”, ma invece è la realtà! Oggi le città ospitano più del 50% della nostra popolazione mondiale. Da un lato le aree urbane influenzano l’ecosistema globale (es. cambiamenti climatici, inquinamento), dall’altro ospitano sempre più forme di vita. Gran parte di questi animali e piante sono “ospiti graditi” e portano colore e suoni nel deserto di cemento e asfalto. Talvolta alcune specie diventano “problematiche” (es. colombi), mentre altre sono “aliene” perché introdotte da altri continenti. La moltitudine di questi esseri viventi, oltre noi umani, forma la “Biodiversità urbana”. Ma l’urbanizzazione è stata sempre associata ad una perdita di biodiversità, come una co- stante battaglia dove a perdere era sempre la natura. Ma oggi, in uno scenario che sembrava unicamente drammatico, lo studio condotto dai ricercatori del UC Santa Barbara’s National Center for Ecological Analysis and Synthesis apre uno spiraglio di possibilità nella gestione e interpretazione urbanistica. Da uno studio condotto su 147 diverse città risulta infatti che, sebbene impoverita, la biodiversità urbana riflette ancora tratti nativi e preziosi della biodiversità locale. Lo studio riporta dati incoraggianti: le città ospitano ancora, eccezion fatta per le specie ubiquitarie come gli onnipresenti piccioni, centinaia di differenti specie di uccelli e migliaia di piante. Molti di questi sono specie endemiche e riflettono l’unicità biologica della geografia dell’area. Le città sono responsabili di un’innegabile perdita di biodiversità e omogenizzazione del biota ma, se reinterpretate, possono rivelarsi improbabili ma moderni rifugi di specie endemiche e minacciate. “È indubbio che l’urbanizzazione porti ad una perdita di biodiversità” commenta Madhusudan Kattimembro del Department of Biology at California State University “ma possiamo vedere questo scenario come un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, le città infatti possono giocare un ruolo fondamentale nella conservazione e protezione di specie animali e vegetali native”. Lo studio prova a guardare oltre il limite della perdita di densità di biodiversità generata dall’espansione urbana per valutare quanto e cosa sopravviva effettivamente in questo tipo di ambienti. Risultati sorprendenti sono stati ottenuti nell’osservazione di aree verdi come Central Park, piccolo fazzoletto verde, se rapportato alle dimensioni della metropoli. Qui infatti è stato registrato un numero talmente alto di specie da generare il così detto “Central Park Effect” ossia l’effetto generato dalla presenza di aree urbane verdi sulla biodiversità. I ricercatori hanno messo insieme dati di letteratura e di recenti campagne di monitoraggio per creare uno dei più grandi dataset relativo a due taxa di organismi presenti nelle diverse città: uccelli e piante (spontanee). “Un prezzo per l’urbanizzazione lo dobbiamo pagare” dice Frank La Sorte, coautore dell’articolo. Il fatto è che a questo stadio della nostra espansione in cui più della metà della popolazione mondiale vive in ambienti urbanizzati, lo studio suggerisce che forse alcuni paradigmi e punti di vista vanno cambiati. Le aree verdi come parchi e giardini, con la biodiversità animale e vegetale ad esse associata, giocano un ruolo sempre maggiore tanto per la sostenibilità ambientale delle città, quanto per la qualità della vita dei cittadini. Parchi, giardini, viali alberati rappresentano infatti risorse fondamentali per la qualità ambientale e la vivibilità dei contesti più antropizzati. I nuovi parametri per misurare la biodiversità Rosario Maisto In merito alla convenzione sulla diversità biologica (CBD) delle Nazioni Unite sono state definite una serie di variabili sulla biodiversità costituendo degli standard per la raccolta e la condivisione dei dati scientifici. Questi serviranno da base conoscitiva per poter raggiungere gli obiettivi di Aichi al 2020, formulati dopo il fallimento delle iniziative che avrebbero dovuto portare a mitigare la perdita di biodiversità entro il 2010. Questa perdita è evidente in tutto il mondo, ma serve uno standard condiviso per riuscire a valutarla e quindi presentare iniziative per limitare e invertire il processo in atto. Un consorzio internazionale di enti per lo studio e la conservazione ambientale, propone le Variabili essenziali di bio- diversità, di fatto è stato concordato il Piano Strategico Biodiversità, che termina con 20 nuovi obiettivi da raggiungere entro il 2020. Non esistendo un sistema di osservazione globale e standardizzato sui cambiamenti nella biodiversità, nell'ambito dell'IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services), un consorzio di 70 stati denominato Group on Earth Observations Biodiversity Observation Network (GEOBON) ha il compito di raccogliere e coordinare i dati scientifici. Il primo passo è la definizione di variabili essenziali. Una Variabile essenziale è definita come una misurazione richiesta per studiare, documentare e gestire un cambiamento della biodiversità. Poiché questa definizione si adatta a tanti parametri, il GEOBON ha definito altri chiarimenti che servono per una selezione: scalabilità, sensibilità temporale, applicabilità e rilevanza. Ciò ha portato ad altre sei diverse classi di Variabili Essenziali: composizione genetica, popolazioni delle specie, tratti delle specie, composizione delle comunità, struttura dell’ecosistema e funzione dell’ecosistema. L’identificazione delle variabili e la definizione dei protocolli di campionamento sono effettuati coinvolgendo la comunità scientifica ed altri attori coinvolti, ma il ruolo di guida rimarrà all'IPBES. La biodiversità è importantissima, aiutiamola a non sparire! Global warming: in nostro soccorso c’è il Methylocella Fabiana Clemente C’era una volta un prodigioso batterio, il cui potere era quello di rimediare ai molteplici danni causati dall’uomo all’ambiente – mitigando l’effetto inquinante del gas naturale. Methylocella silvestris. Questo è il nome del batterio metanotrofo – il cui apparato digerente metabolizza “nutrienti” a base di metano. Presente nel sottosuolo, è in grado di assorbire enormi quantità di gas serra, quali metano, metanolo, etanolo e propano. Lo studio condotto dal prof. Murrell, della Scuola di Scienze Ambientali dell’East Anglia di Norwich in Inghilterra, ha misurato la capacità del microbo in questione di crescere nutrendosi di metano e altri gas, in quanto dotato di due sistemi enzimatici. Nello specifico, la ricerca effettuata ha evidenziato la presenza del Methylocella nella torba, nella tundra e nei suoli forestali dell’Europa Settentrionale. Non solo. Tracce del microbo furono trovate anche nel Golfo del Messico, dopo il disastro della piattaforma petrolifera “Deepwater Horizon” – l’ennesimo scempio ambientale al quale abbiamo assistito. Colin Murrell, tra i principali autori del report scientifico – ha dichiarato: “Il gas naturale contiene metano da fonti geologiche e grandi quantità di etano, propano e butano. Ab- « Il batterio presente nel sottosuolo che è in grado di assorbire enormi quantità di gas serra, quali metano, metanolo, etanolo e propano biamo dimostrato che un microbo può crescere alimentadosi sia di metano che di propano ad un tasso simile. Questo è perché contiene due sistemi enzimatici affascinanti che per crescere e nutrirsi utilizzano contemporaneamente entrambe i gas”. Gli effetti dan- nosi del metano sul global warming sono preoccupanti. Pertanto la conclusione dei ricercatori è quella di utilizzare questo ceppo batterico in alcune aree maggiormente sensibili – ovvero laddove oltre al rilascio naturale di gas incide notevolmente anche il rilascio » causato dall’attività umana – per apportare una riduzione significativa alla dispersione di agenti inquinanti nell’atmosfera. L’azione dell’uomo imperversa in maniera incisiva sull’ambiente – basti pensare alle discariche dei rifiuti, alle raffinerie, agli allevamenti, ai trasporti, alle centrali elettriche. Una lista lunga, insomma! Immaginare un domani, in cui la corsa al progresso registri una decelerazione, sarebbe un po’ come immaginare uno scenario utopistico più che futuristico. Interessi economici e dinamiche di potere in ballo, che mai favoriranno uno scenario simile. Al polo opposto, gli interventi di ambientalisti e studi scientifici provvedono ad arginare i disastri e cercare soluzioni. E, letto in chiave ottimistica, il Methylocella potrebbe essere l’antidoto che stavamo aspettando. Un alleato prezioso per Madre Natura. Un progetto ambizioso quello inglese, che mira a studiare come rimuovere biologicamente il metano prima del suo rilascio nell’atmosfera! Una strada che merita finanziamenti importanti, vantaggi burocratici, ma soprattutto menti preparate da un animo green. Tuttavia come ogni progetto che si rispetti, ci vorrà del tempo prima che venga realizzato. I quesiti preminenti sono altri! Quanto tempo dovrà passare prima che altre conseguenze del cambiamento climatico mettano ulteriormente in croce l’umanità? Potrà davvero incidere a tal punto da fare la differenza? Il global warming è dunque un processo reversibile? Ai posteri l’ardua sentenza. Fermenti lattici per catturare i metalli pesanti Arriva dall’Università Autonoma di Zacatecas il nuovo metodo per decontaminare terreni e acque Rosa Funaro Ogni giorno televisione, radio e giornali ci inondano di pubblicità che riguardano disinfettanti di ogni tipo per il cibo, per il bucato, per la persona, con l'obiettivo comune di sterminare tutti i batteri che ci sono in circolazione. Ma questo è veramente necessario? I batteri sono tutti così "cattivi" da dover essere eliminati? Non tutti, prendiamo ad esempio quelli del latte. Già utili all’organismo umano, grazie ad un recente studio potranno essere utilizzati per decontaminare terreni e acque da sostanze tossiche come i metalli pesanti. La sco- perta viene dal “Nuovo Mondo”, dove alcuni scienziati dell'Università Autonoma di Zacatecas (Uaz – Messico) in collaborazione con altri del Centro di ricerca e sviluppo di criotecnologia degli alimenti di Buenos Aires hanno infatti messo a punto un nuovo metodo, basato sull'impiego di fotoni, che consente di ottenere informazioni su come i batteri del latte interagiscono con i vari tipi di ioni metallici e in questo modo ottimizzare la loro capacità di 'biobonificare', cioè catturare gli ioni di metalli pesanti. Gli scienziati si sono serviti delle colonie di Lactobacillus bulgaricus (cioè uno dei fermenti lattici più comuni), capaci nell'organismo umano di catturare gli altri batteri dannosi per impedirne l'attività patogena. Una qualità che si è voluta sfruttare anche per la decontaminazione di suoli e acque e che rappresenta un'alternativa innocua, eco- nomica e naturale per bonificare terreni nelle zone minerarie o le acque contaminate da inquinamento di origine industriale. “Uno dei fattori più importanti che permette un'ottima decontaminazione del suolo – ha spiegato Araujo Andrade, fisico dell'università messicana - dipende dalla grandezza del raggio degli ioni contaminanti. Più è grande e più efficiente sarà il 'sequestro' di ioni da parte dei batteri. Si spera in questo modo di poter recuperare suoli e soprattutto sorgenti idriche che in questo momento sono inutilizzabili a causa dei livelli di inquinamento inaccettabili”. Le nuove finestre fotovoltaiche A breve la messa sul mercato del prototipo a costi contenuti Un primato italiano, un’idea progettata e realizzata dai ricercatori dell’Università di Milano Bicocca. È nata la finestra fotovoltaica, a dimostrazione del fatto che l’energia solare non si deve raccogliere solo dal tetto. In un contesto urbanizzato come quello odierno, sempre di più viviamo e lavoriamo all’interno di possenti edifici in città, spesso molto alti e con poca superficie su cui posizionare pannelli fotovoltaici; in un momento storico dove le risorse rinnovabili non devono rappresentare un’opzione bensì un’occasione, l’alternativa sembra essere una: coniugare questi due aspetti per far sì che gli edifici del futuro risultino più autosufficienti possibile dal punto di vista energetico. Sergio Brovelli e Francesco Meinardi, del Dipartimento di Scienze del Materiali dell’Ateneo Milanese e coordinatori del progetto hanno spiegato come funziona questa nuova tecnologia:“Il nostro prototipo si basa sull’idea di costruire una tipologia di finestre che funzionino come pannelli fotovoltaici, raccogliendo la luce del Sole e trasformandola in energia elettrica. Dal punto di vista tecnico nel nostro studio abbiamo realizzato pannelli semitrasparenti di plexiglass, anche se è possibile, volendo, utilizzare il vetro, come nelle finestre tradizionali. La novità è rappresentata da speciali nanoparticelle, grandi circa un milionesimo di millimetro, per capirsi mille volte più piccole di un globulo rosso, costruite con materiali superconduttori, con cui si “arricchisce” il plexiglass. In breve, queste nanoparticelle assorbono parte della luce solare e la riemettono all’interno della lastra. La luce viene quindi convogliata verso i bordi, dove delle piccole celle fotovoltaiche, poste lungo il perimetro, la trasformano in energia elettrica”. Non si tratta però di sostituire i pannelli solari tradizionali, il punto non è questo; i pannelli solari vanno benissimo e continueranno a essere funzionali per esempio nel caso di abitazioni singole, magari in campagna, dove la superficie del tetto è sufficiente per l’istallazione di un numero adeguato di pannelli. A essere maggiormente interessati da questo progetto dovrebbero essere invece gli edifici del centro urbano, che si sviluppano maggiormente in altezza, oppure le aziende, i grandi stabilimenti che vogliono rendersi autonomi energeticamente. E in questo caso l’unica alternativa possibile è appunto utilizzare le facciate.Prendiamo per esempio un grattacielo come quelli che si vedono a Milano. Coprendolo interamente di finestre fotovoltaiche si otterrebbero, in una situazione di piena illuminazione solare, centinaia di kW, l’equivalente grosso modo del fabbisogno energetico di un’ottantina di appartamenti. I.B. Nasce SPRING: il cluster dalla chimica verde per rilanciare il settore ITALIA PAESE LEADER DELLA BIOCHIMICA Torna in auge in Italia la chimica verde, ovvero la produzione di materiali come bioplastiche, fatte non più sfruttando combustibili fossili ma biomasse. La scorsa settimana è nata infatti SPRING (Sustainable Processes and Resources for Innovation and National Growth), uno degli otto Cluster Tecnologici promossi dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nell’ambito del Programma Quadro per la Ricerca Europea Horizon 2020. Obiettivo di SPRING è promuovere la Bioeconomia con riferimento alla Chimica da biomasse, stimolando la collaborazione tra imprese ed enti di ricerca e sensibilizzando le Istituzioni, affinchè sia inserita in adeguate politiche di sostegno. Il Cluster si impegna a promuovere azioni di ricerca, di trasferimento tecnologico, di divulgazione e di formazione, che diano impulso alla Bioeconomia e alla trasformazione dei processi e dei prodotti industriali convenzionali in prodotti e processi efficienti nell’uso delle risorse e dell’energia. La chimica da biomasse, basata su materie prime rinnovabili di origine biologica, è un settore italiano di eccellenza, con una leadership a livello mondiale conseguita grazie ai forti investimenti in ricerca e sviluppo. Un’attività che consente, tra l’altro, il recupero di aree industriali preesistenti, in una prospettiva di sostenibilità. Costituito come Associazione senza scopo di lucro, fondato da Biochemtex, Novamont, Versalis – imprese chimiche italiane leader nello sviluppo di tecnologie e prodotti da fonti rinnovabili – e da Federchimica, SPRING oggi raccoglie oltre cento entità che hanno espresso il loro interesse per operare con il Cluster lungo tutta la filiera italiana della chimica “verde”: dall’agricoltura alla ricerca a favore della chimica da fonti rinnovabili e biotecnologie industriali, alla realizzazione di materiali e bioprodotti, all’industria di trasformazione e infine alla fase di smaltimento. Un’operazione nel pieno rispetto dell’ambiente, garantiscono gli ideatori: niente impatti sulla filiera alimentare. Si impiegheranno sopratutto piante e erbe locali, scarti di produzione o colture dedicate, sorte su terreni marginali o contaminati, senza che impattino le produzioni di alimenti di nessun tipo. «La chimica da biomasse, nota anche come chimica verde è un bell’esempio per far capire a tutti che il settore offre soluzioni possibili per una sostenibilità che tenga conto, oltre che degli aspetti ambientali, anche delle implicazioni economiche e sociali», spiega a La Stampa Cesare Puccioni, Presidente di Federchimica, che poi conclude: «Ci aspettiamo che le Istituzioni ne comprendano pienamente il ruolo e vorranno adottare politiche di sostegno adeguate per un settore in cui l’Italia è all’avanguardia, che apre vasti orizzonti sul fronte tecnologico e di sviluppo industriale». I PAESAGGI DI JORDI BELLMUNT Quello che conta è trasformare senza stravolgere, lavorando per il bene della società Antonio Palumbo Il catalano Jordi Bellmunt è uno degli architetti paesaggisti più noti a livello internazionale. Nella sua Spagna, come in altri Paesi, Bellmunt ha accumulato esperienze importanti e diverse, soprattutto nel lavoro puntuale di interpretazione e risoluzione delle complesse problematiche in cui le aree urbane si trovano a confrontarsi con l’ambiente ed il paesaggio. Fondamentale è, per Bellmunt, la funzione che il paesaggio deve svolgere nel migliorare l’aspetto e la vivibilità dei territori, nel creare relazioni sociali tra gli abitanti, spesso di nazionalità differenti, nel ‘fare sistema’ tra le numerose componenti che caratterizzano il contesto di intervento. La definizione di paesaggio che Bellmunt dà è complessa e, nella moderna società postindustriale, essa non afferisce tanto al tema della “tutela” quanto più a quello della “valorizzazione”. In tal senso, egli afferma: «La parola paesaggio assume significati diversi. Ci sono magnifici paesaggi naturali, come le catene montuose, e altri altrettanto belli ma assolutamente artificiali, come, ad esempio, la Camargue: questi sono paesaggi lavorati giorno dopo giorno con un mix di ingegneria, architettura, ecologia, produzione e il risultato sembra naturale ma, in realtà, è progettato. Questa è la lente che usa il progettista paesaggista quando cerca la via per migliorare il territorio: quello che conta è trasformare senza stravolgere, lavorando per il bene della società. Il paesaggio è un elemento vivo che contiene gli uomini. Il suolo, una foresta, una pineta sono unità biologiche, il paesaggio è l’insieme degli elementi naturali, del nostro movimento, della percezione e delle opportunità di migliorare l’intorno: è come una somma di strati di conoscenza che consentono l’evoluzione». In relazione al rapporto tra il progetto di paesaggio e la risoluzione delle complesse problematiche relative alle aree urbane, ci sembra altresì interessante evidenziare quanto afferma Bellmunt di seguito: «Un buon paesaggio, anche ur- bano, migliora la vita anche da un punto di vista emotivo, non soltanto perché migliora lo scenario, ma soprattutto perché crea occasioni di lavoro. C’è un progetto, ormai noto, a Copenhagen curato dallo studio Topotek per un quartiere molto complicato, dove convivono una ventina di etnie con molti conflitti e scarsa vivibilità. L’idea è stata quella di stimolare ogni gruppo a contribuire alla nuova sistemazione, portando fisicamente qualcosa che appartenesse alla propria storia e cultura: in questo enorme spazio della città è arrivata, così, la terra di Palestina, un donut americano, una fontana marocchina, ecc. In questo modo ognuno ha potuto, almeno parzialmente, riconoscersi in quel luogo, migliorando il suo rapporto con lo spazio pubblico e anche con gli altri abitanti. Questo è uno dei filoni del nuovo paesaggismo, che tiene conto degli elementi sociali, ecologici, naturali, senza formalismi o rigidità. Non possiamo permetterci di sbagliarci su questo piano: nel progetto del paesaggio il punto di partenza è capire se quanto stiamo prevedendo non rappresenti un’aggressione al territorio. (…) l’esperto deve ascoltare cosa pensano i cittadini, i quali, però, devono sforzarsi a loro volta di capire il senso e la natura delle proposte di cambiamento. Bandire opinioni preconcette, aprirsi all’ascolto e cercare di contribuire a far cambiare opinione, ma anche a cambiarla, questo è l’atteggiamento giusto. In Italia tale fenomeno è piuttosto evidente. Parlando di spazio pubblico spesso non si ha la sensazione di una condivisione del paesaggio, è come se non fosse di nessuno: ma quando poi si prospetta la possibilità di un intervento di trasformazione allora diventa un paesaggio di tutti, dove ognuno deve dire la sua. » Tra i progetti più importanti di Bellmunt segnaliamo soltanto: il Parco di Alamillo, realizzato a Siviglia in collaborazione con lo Studio PROAP; il Parque de Agua ed il Parco Botanico a Salou, Terragona (Spagna); il Parco della Preistoria a Casablanca (Marocco). UE: via le date di scadenza degli alimenti Richiamare l’attenzione sul problema degli sprechi alimentari e così ridurli Brunella Mercadante L’Unione Europea si appresta a rivedere le norme sulle etichette di scadenza dei prodotti alimentari, per eliminare le scritte “da consumarsi preferibilmente entro” dalle confezioni di prodotti come pasta, riso, thé, caffè e formaggi duri, con l’estensione dell’allegato X del Regolamento UE 1169/2011. La proposta, avanzata da Olanda e Svezia e sostenuta da Austria, Germania, Danimarca e Lussemburgo, ha come obiettivo per questi Paesi di richiamare l’attenzione sul problema degli sprechi alimentari e così ridurli. La proposta, invero, ha suscitato reazioni diverse. Da una parte è condivisa da associazioni ambientaliste, come Greenpeace, che da anni chiedono che la lista dei prodotti per i quali è obbligatoria la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” venga ampliata ad altri prodotti, e non sia più obbligatoria così come è già per prodotti come zucchero, aceto e sale. Altre parti invece, come la Coldiretti, ritengono che con l’eliminazione della data di scadenza l’Unione Europea taglierebbe di fatto la qualità del cibo in vendita in Europa. Si tratte- rebbe del solito tentativo dei Paesi del Nord Europa di livellare il cibo sulle tavole europee ad uno standard inferiore a quello italiano con la scusa di tagliare gli sprechi alimentari. In effetti, è innegabile che per i cibi col passare del tempo si vengono a perdere non solo le caratteristiche nutrizionali proprie in termini di contenuto in vitamine, antiossidanti e polifenoli, che fanno bene alla salute, ma anche quelle proprietà organolettiche di fragranza e sapore da cui deriva poi il piacere della tavola. Il termine minimo di conservazione -TMC- ha invero il suo significato ed è stato introdotto a garanzia dei consumatori anche se si differisce dalla data di scadenza vera e propria. Il termine minimo di conservazione -TMC- riportato con la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” indica la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione. Indica cioè soltanto la finestra temporale entro la quale si conservano le caratteristiche organolettiche e gustative, o nutrizionali, di un alimento, senza per questo comportare ri- schi per la salute in caso di superamento seppur limitato della stessa; tanto più però’ ci si allontana dalla data di superamento del TMC, tanto più vengono a mancare i requisiti di qualità del prodotto, quale sapore, odore, fragranza ecc. La data di scadenza vera e propria è, invece, la data entro cui il prodotto deve essere consumato ed è anche il termine oltre il quale un alimento non può più essere posto in commercio. Tale data non deve essere superata altrimenti possono esserci rischi importanti per la salute. Si applica ai prodotti preconfezionati, rapidamente deperibili da un punto di vista microbiologico ed è indicata col termine “da consumarsi entro” seguito dal giorno, il mese ed eventualmente l’anno e vale indicativamente per tutti i prodotti con una durabilità non superiore a trenta giorni. Attualmente solo pochi alimenti hanno una scadenza prestabilita dalla legge come il latte fresco (7 giorni) e le uova (28 giorni), per tutti gli altri prodotti la durata viene stabilita dai produttori autonomamente, in base ad una serie di fattori come il trattamento tecnologico, la qualità delle materie prime, il tipo di lavorazione, di conservazione od anche l’imballaggio. Sulle tavole degli italiani troppi prodotti provenienti dall’estero, meno controllati e poco sicuri Convention della Coldiretti a Napoli: difendiamo il Made in Italy Lo scorso 28 maggio si è svolta a Napoli la Convention della Coldiretti, per sostenere la qualità alimentare Made in Italy dal campo alla tavola e per presentare il dossier 2014 sulla “Crisi nel piatto degli italiani”. Dai dati presentati emergono non poche preoccupazioni: sulle tavole degli italiani, infatti, arrivano sempre più prodotti stranieri meno controllati e sicuri dei nostri, complici la crisi e i bassi prezzi. Il dossier, infatti, mette in discussione alcuni capisaldi della gastronomia italiana come la pizza. Due su tre sono fatte con ingredienti provenienti dall’estero o il pane che sempre più spesso preparato con impasti semicotti o surgelati con una durata di 24 mesi provenienti dall’est europeo o ancora i sughi che di pomodoro italiano hanno ben poco. Il presidente della Coldiretti nazionale, Roberto Moncalvo, ha cosi commentato quanto evinto dal documento: “L’Italia ha il primato nell’agroalimentare nell’ambito di sicurezza alimentare,oltre il 99,8% dei campioni risulta regolare rispetto ai residui chimici questo è un primato che dobbiamo difendere contro le importazioni di prodotti a basso costo e ad alto rischio. Abbiamo fatto un’analisi dei prodotti più a rischio: andiamo dal peperoncino, ai fichi, alle arance, tutti elementi che sono punti focali della grande qualità della nostra produzione. Dobbiamo tutelarli agendo sulla trasparenza degli ingredienti e sulla loro origine”. In una location d’eccezione, quale il teatro Palapartenope, gremito di circa 10.000 persone, provenienti da ogni parte d’Italia (agricoltori, distributori, esperti ed appassionati del settore), sono stati tanti gli interventi e le discussioni di notevole contenuto: oltre al Presidente Moncalvo, presenti sul palco il presidente di Federconsumatori, Rosario Trefiletti, l’imprenditore Guido Barilla e il direttore generale di IPER, Stefano Albertazzi. A sostegno dell’iniziativa e dei buoni propositi degli addetti ai lavori, ha aderito anche il Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Maurizio Martina, che ha ribadito il massimo impegno da parte del suo Dicastero: “noi non abbassiamo la guardia in particolare per tutte le attività di controllo e verifica della qualità dei prodotti che circolano in questo Paese, noi sappiamo che in particolare dall’estero arrivano diversi tentativi anche di camuffare, utilizzare malamente, brand italiani per aprirsi spazi nei mercati, questa è una strategia che vogliamo contrastare e il primo ed efficace modo per farlo è quello di valorizzare il vero Made in Italy e su questo, stiamo già lavorando, la stessa applicazione della PAC a tutela di alcuni settori va proprio in questa direzione”. Non sono mancati all’appuntamento anche i governatori di Campania e Puglia, rispettivamente Stefano Caldoro e Nichi Vendola, che hanno assicurato totale dedizione e sostegno alla causa. F.L. RAPPORTO SENTIERI 2014 L'ultimo studio sulla connessione tra siti inquinati e rischio oncologico Alessia Esposito In dieci anni i tumori nelle aree più inquinate di Italia sono aumentati del 90%. Il dato emerge dal Rapporto Sentieri 2014, il terzo stilato dagli epidemiologi dell’Istituto Superiore di Sanità sugli effetti sulla salute delle popolazioni esposte ai cosiddetti Sin (Siti di interesse Nazionale per le bonifiche). Lo studio ha l'obiettivo di analizzare lo stato di salute dei 5 milioni di italiani che vivono vicino ai camini delle zone industriali, alle discariche tossiche e ad acque e terre contaminate da sversamenti illeciti. Loredana Musmeci ,direttrice del Dipartimento Ambiente Prevenzione dell'Iss, dichiara che i Sin studiati ''sono stati 18 sul totale di 44, poiché si sono potuti prendere in considerazione solo i siti per i quali sono disponibili i Registri tumori, ad oggi ancora non uniformemente presenti su tutto il territorio nazionale''. Rispetto a quello dei precedenti anni il Rapporto Sentieri ha tenuto conto di nuovi parametri come le schede di dimissioni ospedaliere e l'incidenza generale dei casi di tumore. La Musmeci sottolinea che emerge ''un eccesso di morti, ricoveri e tumori in tutti i 18 Sin considerati, con un aumento dei tumori da amianto''. Quindi sottolinea che è necessario ''procedere quanto prima alle bonifiche ambientali in tutti i siti, anche se va precisato che l'eccesso nei casi di tumori può essere dovuto a più fattori e non solo a quello dell'inquinamento ambientale''. Tra coloro che sono a rischio di malattie oncologiche ci sono ovviamente i bambini ancora più esposti in quanto dotati di un metabolismo più veloce. Essi rappresentano un quinto, quindi circa milione, di quei 5 milioni di italiani che vivono accanto ai Sin. Il settimo capitolo del Rapporto Sentieri è dedicato proprio a loro: lo scandalo a questo proposito è che lo studio sull'esposizione dei minori al pericolo è in cantiere da un anno, ma non parte per assenza di 350mila euro di fondi, niente rispetto ai 250 milioni di euro che nel bilancio del Ministero della sanità sono destinati alla “tutela della salute pubblica”. Ma giò un anno fa il Dipartimento ambiente e prevenzione primaria avvertiva che su un periodo di 10 anni (1996-2005), in questi siti contaminati, sono stati regi- strati circa 700 casi di tumori maligni tra i ragazzi di età compresa tra 0 e 19 anni. E nelle aree più esposte all'inquinamento il rischio sale notevolmente. Il dato non riguarda solo la tristemente famosa Terra dei Fuochi. A Massa Carrara l'eccesso di mortalità nei bambini al di sotto di un anno è del 25% e del 48% in quelli da 0 a 14 anni. A Taranto rispettivamente gli stessi valori registrano un +21% e un +24%, a Mantova l'eccesso è del 64 e 23%. L'ISS prevede ora un monitoraggio sistematico della salute infantile da effettuare insieme all’Associazione italiana dei registri tumori, quella degli Ematologi e oncologi pediatri e le istituzioni regionali. “Fare prevenzione per bambini – ricordano i ricercatori - significa farla anche per gli adulti. E con pochi soldi avremmo avuto a disposizione una messe di dati importantissimi”. Dalla Gran Bretagna un nuovo tipo di fitness GREEN GYM: PRENDERSI CURA DI SÉ E DELL’AMBIENTE Fabio Schiattarella Nasce e si diffonde dalla Gran Bretagna in tutta Europa il nuovo modo per prendersi cura di corpo e ambiente. Parliamo della “green gym” un tipo di attività fisica che vede la sua chiave di volta nell’ interazione tra uomo, terra ed attrezzi agricoli. Zappare, rastrellare, seminare, potare alberi e creare recinzioni diventano così le nuove parole d'ordine per tenersi in forma all'aria aperta. La ginnastica verde ha origine in Gran Bretagna una quindicina di anni fa per volontà del medico William Bird, membro dell'associazione BCTV. La finalità è quella di unire all'attività fisica un nuovo tipo di volontariato di tipo ecologico, all'insegna della salute e del rispetto dell'ambiente. Secondo gli esperti i benefici sono molteplici e derivano innanzitutto dall'allenamento praticato all'aria aperta. Uno studio dell'Oxford BrookesUniversity sostiene infatti che l'esercizio fisico all'aria aperta fa bene alla respirazione, al sistema cardiocircolatorio e muscolare, oltre che all'umore, in quanto lo stretto contatto con il verde ha un effetto calmante e antidepressivo. La green gym, inoltre, è una ginnastica sana che, ricalcando i gesti dei contadini, permette di allenare tutte le fasce muscolari come la schiena, le gambe e le braccia. In tal modo si bruciano moltissime calorie, si perde peso e ci si tonifica. È sufficiente coltivare un piccolo orto sul ter- razzo di casa e per ottenere risultati visivi basta allenarsi una volta alla settimana. Negli ultimi anni in Gran Bretagna la green gym è diventata, oltre che una disciplina sportiva conosciuta a livello nazionale, anche un piccolo fenomeno di costume. Non è però soltanto la ginnastica in un ambiente bucolico a far bene all'ambiente e al fisico. In una piccola palestra di Portland, in Oregon, alcuni attrezzi sono stu- diati per immagazzinare l’energia prodotta da chi vi suda sopra. L'energia prodotta dallo sforzo umano riesce ad attivare alcuni degli attrezzi energivori presenti nella palestra, dalle luci ai monitor tv. Il restante fabbisogno energetico della struttura è soddisfatto dai pannelli fotovoltaici. Il risultato? Un fitness completamente ecosostenibile. La “palestra verde” arriva anche in Italia. In Toscana infatti, a Firenze, sono stati organizzati dei corsi all’interno di giardini e orti, dove giardinieri e laureati in scienze motorie tengono le lezioni di Green Gym. E alcune associazioni come WWF, programmano gite o giornate per ripulire boschi e spiagge e allo stesso tempo, per mantenersi in forma. La tradizione secolare dei guanti napoletani Napoli capitale europea della lavorazione Gennaro De Crescenzo Salvatore Lanza Nella capitale, intorno al 1830, si concentra tra il Ponte della Maddalena e il mare il maggior numero di concerie; tra le tante emergevano la Gamen, la De Rosa, quella dei fratelli Buongiorno al Mercato, quella di Gaetano Ingegno "a San Giacomo delle Capre sull'Arenella" ("con la vernice di sua invenzione che non si crepola affatto per le piegature"), di Eugenio Salabelle a Posillipo (con la "sua notevole fabbrica, le incerate per fodera di cappelli militari ed i cappelli impenetrabili"). Si segnalavano anche le produzioni di Grassi a Solofra (zona che successivamente diventerà un vero e proprio polo conciario) e di altre fabbriche del salernitano. Ma oltre alla produzione di suole, tomaie e scarpe in genere, era rilevante la produzione di guanti. Anche in questo caso si trattava di una tradizione antica legata alla corporazione che aveva sede nella capitale nel quartiere San Giuseppe ai cosiddetti Guantai Vecchi e presso i Guantai Nuovi, dove si trovavano ancora numerose botteghe di piccoli imprenditori. La lavorazione si svolgeva quasi esclusivamente a domicilio attraverso una foltissima manodopera femminile residente nei quartieri più popolari e popolosi della città. Il lavoro era estremamente frazionato: dopo la concia, le pelli di agnello o di capretto, provenienti quasi tutte dalle Puglie o dagli Abruzzi, passavano alle tintorie e alle sei fasi successive della manifatturazione che prevedeva la raffinazione (omogeneizzazione dello spessore), il primo taglio (suddivisione in grosso), secondo taglio (rifilatura secondo la forma della mano), cucitura (a mano o a macchina, spesso "subappaltata" a ragazze più giovani, quasi sempre a domicilio), rifinitura (con ricami, occhielli, bottoni o contrafforti immessi dalle "finimentiste"), apparecchio finale (in fabbrica). Il numero degli addetti era enorme, la qualità gareggiava con quella dei guanti francesi e furono conquistati i mercati degli altri Stati italiani, della Germania, dell'Inghilterra e dell'America; non erano infrequenti i casi di guanti acquistati in Inghilterra e di lì esportati con il marchio “made in England”. In tutto il Regno si producevano fino a 700.000 dozzine di paia di guanti annualmente (100.000 le dozzine prodotte da tutti gli altri Stati italiani). Lavori e profumi nella Valle dell’Irno Di grandi dimensioni anche il cotonificio di Vonwiller a Salerno che divenne soggetto di numerose operazioni finanziarie rilevando diverse aziende in difficoltà nella zona di Pellezzano. Anche dal punto di vista paesaggistico, del resto, l’intera valle dell’Irno si caratterizzava in maniera particolare, come ci riferiscono le cronache del tempo: “poderi ben coltivati, nitide casine di villici, gioconde facce di ben vestiti operai, fabbri ed artefici belgi e svizzeri, un odor di timo e di mirto, un garrir d’uccelli dolcissimo, un sussurrar di zeffiri soave, un’armonia di uomini e di cose mirabile ed incantevole […]; continuo e perenne è il traffico della gente che intende al commercio ed alle industrie […]; oltre 600 fra giovani, uomini e donzelle sono impiegati al lavoro. E qui è evidente la prova di quanto le industrie migliorino la salute e la morale degli uomini. Oziosi, macilenti, cattivi erano per lo innanzi molti abitanti per quella quasi deserta contrada: il lavoro, la bontà dei cibi, la scambievole emulazione, allontanando i bisogni ed i suoi tristi effetti, li ha resi, operosi, quindi agiati, e perciò sani e morali… Noi abbiamo fondata speranza, se pur non ci inganna il soverchio amore che portiamo alle cose patrie, che in breve non avremo più mestieri de’ simili tessuti stranieri”. Circa 50.000, complessivamente, gli addetti alla tessi- tura del cotone nella sola Campania. Dai documenti dell’epoca emerge ancora un dato interessante sotto il profilo sociale oltre che economico: la presenza di molti istituti religiosi per orfani, poveri, detenuti o altre categorie che necessitavano di assistenza sociale e che, anche se con un indubbio tornaconto relativo all'abbassamento dei costi di produzione, erano avviate, seguendo una terminologia moderna, verso il reinserimento sociale e la formazione professionale. Emergevano in Campania per le produzioni tessili il Real Albergo dei Poveri, la scuola di Santa Maria Regina del Paradiso a Napoli, il Real Morotrofio e l'Ospizio di Sant'Agostino ad Aversa. G.DC. e S.L. Il castello di Ceppaloni Nel 1437 ospitò fra le sue mura Alfonso d’Aragona Linda Iacuzio gioino-aragonese; nel 1437 ospitò fra le sue mura Alfonso d’Aragona. Passata, nel corso del tempo, prima alla famiglia d’Avalos, poi al casato della Leonessa, ai primi del Novecento la fortezza fu venduta dalla baronessa Maria Argentina Pignatelli della Leonessa a vari privati. Oggi essa appartiene al patrimonio del Comune di Ceppaloni. Quanto all’aspetto architettonico, Alfredo Rossi attesta che il castello è inquadrabile nella tipologia degli analoghi edifici normanni costruiti fra l’XI e il XII secolo. La sua pianta ricorda un triangolo dai vertici arrotondati; al perimetro esterno corrisponde una corte interna della medesima forma. Tra i due perimetri, scrive ancora Rossi, “è posto il corpo dell’edificio, che si sviluppa in due livelli. Le tracce di interventi successivi soprattutto sulle strutture basamentali sono abbastanza evidenti”. Le modifiche più consistenti rispetto all’impianto normanno riguardano senz’altro le torri; ne resta soltanto una, posta al vertice di nord-ovest, alla cui base si apriva l’antico ingresso del castello, posizionato rasente lo strapiombo per evitare lo sfondamento della porta tramite l’ariete. Venute meno le esigenze difensive, la porta fu murata e il nuovo ingresso venne aperto a sud-ovest, verso l’abitato. Nel 2011 la Pro Loco di Ceppaloni diede alle stampe un libro di Alfredo Rossi, Ceppaloni. Storia e società di un paese del Regno di Napoli, basato su accurate ricerche documentarie. Nel volume viene ampiamente descritto il castello di questo suggestivo e antico centro del Beneventano. Il maniero, scrive il Rossi, sorge “su di uno sperone roccioso che domina la sottostante valle del fiume Sabato”. Le prime notizie certe sulla sua esistenza risalgono all’epoca normanna (XII secolo). La sua posizione aveva un rilievo geopolitico particolare, essendo la fortezza compresa nel territorio del Regno di Napoli, ma vicinissima al confine con le terre di Benevento che dal 1077 al 1860 appartennero allo Stato della Chiesa. Il castello di Ceppaloni venne dunque a trovarsi al centro dei conflitti fra i Normanni prima, e gli Svevi poi, con il Papato. Distrutto dai beneventani nel 1138, venne nuovamente abbattuto nel 1229 a opera dell’esercito pontificio e dei guelfi beneventani che lo incendiarono, approfittando della momentanea assenza di Federico II di Svevia. L’imperatore - dopo aver rioccupato con la forza Ceppaloni e le altre terre invase - ordinò il restauro del forte. Il castello svolse un ruolo importante anche nel conflitto an- La scrittrice irlandese autrice di un originale diario di viaggio JULIA KAVANAGH A NAPOLI Lorenzo Terzi Nella rivista di storia «La Capitanata», quadrimestrale edito dalla Biblioteca Provinciale di Foggia, Rosanna Curci ha pubblicato, nel 2005, un articolo di grande interesse per la letteratura odeporica: Julia Kavanagh nelle Due Sicilie. La Kavanagh nacque nel 1824 in Irlanda; suo padre, Morgan Peter Kavanagh, era un poeta e filologo, autore di alcune curiose opere sull’origine e la scienza del linguaggio. Dopo aver abitato a Londra e poi, per ben venti anni, in Francia, Julia Kavanagh si stabilì nuovamente nella capitale del Regno britannico, dedicandosi alla professione di scrittrice. Nel 1852 intraprese un lungo viaggio sul Continente, di cui diede conto nel diario A Summer and Winter in the two Sicilies, stampato nel 1858. Secondo la Curci, l’autrice irlandese si trovò di fronte a due difficoltà nel raccontare del suo soggiorno europeo: innanzitutto, il disagio “dovuto alla mancanza di personaggi immaginari attraverso i quali filtrare la propria esperienza”; in secondo luogo, l’abbondanza di scritti già esistenti sull’Italia, che sembrava rendere superfluo l’ennesimo resoconto. Il diario della Kavanagh, invece, riesce a essere originale, “non solo per quanto dice delle bellezze paesaggistiche dell’Italia meridionale, ma soprattutto per le riflessioni di carattere sociale e politico”, in particolare quelle riguardanti la condizione della donna. Le donne napoletane appaiono alla viaggiatrice “grosse, rozze, pesanti, prive di grazia o dolcezza”, a causa dei lavori pesanti che si accollano e che impediscono loro di mostrare la delicatezza caratteristica del sesso femminile; né le aristocratiche, a suo dire, sarebbero state più attra- enti, tanto da spingerla ad affermare: “Le principesse napoletane, sebbene vestite secondo l’ultima moda francese, sono tanto brutte quanto le ragazze a capo scoperto che gironzolano qui la sera”. Anzi, “la grazia spontanea e genuina che si trova, seppur raramente, tra le contadine, rende il loro portamento invidiabile anche per una duchessa inglese”. Più penetranti sono le pagine in cui la Kavanagh parla della vita quotidiana a Napoli e nel Mezzogiorno. La scrittrice rimane colpita non solo dalle feste religiose con grande presenza di popolo - comuni alla Capitale delle Due Sicilie come alle piccole città delle province - ma anche dai “piaceri di ogni tipo” che ai napoletani vengono facili, “a giudicare dalla quantità di economici teatri e spettacoli pubblici nelle parti popolari della città” e dalle variopinte botteghe del lotto. Tanti detersivi: ma sono tutti necessari? PER LA PULIZIA DOMESTICA POTREBBERO BASTARE IL BICARBONATO, IL PERCARBONATO E LA SODA Un detersivo per ogni uso, uno per ogni superficie, uno per ogni tipo di sporco, solidi, liquidi, in polvere, in pastiglie, tavolette o spray, normali, concentrati o diluibili. Le nostre case traboccano di detersivi di ogni tipo e forma, ma servono davvero tutti? Secondo le pubblicità sembra impossibile fare a meno di tanti prodotti, addirittura si paventano inesistenti pericoli o si fa leva su paure, come quella per i batteri che si propagano o i cattivi odori che ammorbano l’aria ed ecco quindi il detersivo specifico che garantisce la protezione totale delle propagazioni microbiche o il prodotto che assicura l’aria perfettamente purificata. Si tratta per lo più di prodotti inutili visto che, ad esempio, il nostro corpo è già in grado di difendersi dai microrganismi normalmente presenti nell’ambiente, anzi possono determinare una minore resistenza ai batteri. Tant’è vero che l’eccesso di chimica nelle nostre case ha causato la diffusione di dermatiti da contatto ed irritazioni. Illusorio anche che si possa trat- tare di prodotti naturali, ecologici e sostenibili: nessun detersivo è veramente innocuo per l’ambiente. In effetti per la pulizia domestica potrebbero bastare tre polveri bianche, tre sali: il bicarbonato, il percarbonato e la soda (-carbonato di sodio- da non confondere con la corrosiva soda caustica- idrossido di sodio-), sgrassanti ed igienizzanti, sono in grado di sostituire la maggior parte dei detersivi tradizionali, efficaci tanto quanto molti prodotti specifici, ma molto più economici salutari ed ecologici. Si degradano facilmente, hanno un impatto ambientale ridotto, il Il mosaico della Terra fatto di piccoli selfie Una curiosa iniziativa promossa dalla Nasa (Ente Nazionale Americano per le attività Spaziali e Aeronautiche): oltre trentamila autoscatti per la giornata mondiale della terra. Il globo terrestre come un grande mosaico di selfie postati sui social network Twitter, Facebook, Instagram e Google, di volti diversi, di stati d’animo diversi, di popoli diversi, di civiltà diverse, di latitudini diverse, di tramonti diversi, di diverse religioni, per celebrare in modo originale la giornata del nostro pianeta. Hanno risposto alla singolare iniziativa migliaia di persone da oltre cento paesi diversi, dal Polo Sud alla Polinesia, dai paesi Scandinavi al Brasile. Dopo una selezione accurata di circa cinquantamila immagini l'Agenzia Spaziale Americana le ha assemblate in un'unica immagine zoomabile di 3.2 gigapixel (sarebbe veramente complicato capire di quanti zeri parliamo rispetto ai tradizionali pixel dei nostri comuni computer). Come spiega Elisabetta In- tini su Focus: “Le immagini di entrambe le metà del globo usate come base sono state scattate dal satellite Suomi National Polar-orbiting Partnership, un satellite meteorologico gestito dalla NASA e dalla NOAA, dotato di strumenti per immagini nella lunghezza d'onda dell'infrarosso (qui la foto originale). Usando queste foto come riferimento, gli autori del "mosaico" hanno ricreato le sfumature di nuvole, mari e aree verdi basandosi sul colore delle foto postate”. Un pensiero finale: ma adesso per ricordarci di immortalare la nostra Terra con tutti gli annessi e i connessi dobbiamo aspettare un anno? Direi di no, ricordiamocelo tutti i giorni di fotografare nostra “madre”, le foto si sa, fanno bene all’anima. bicarbonato è addirittura innocuo, (tra i tre è l’unico anche commestibile). Essendo polveri, non hanno bisogno di conservanti e, se sono puri, non hanno aggiunte di profumi, conservanti ed altri allergeni che sono dannosi per l’ambiente e possono provocare reazioni indesiderate. Il bicarbonato di sodio diluito in acqua è un detergente multiuso semplice e pratico da usare, con un leggero potere disinfettante, sgrassa le superfici e assorbe gli odori neutralizzandoli senza coprirli, come la maggior parte dei deodoranti in commercio, inoltre , poiché alcalino, crea un ambiente sfavorevole ai batteri, che amano vivere in ambienti acidi o neutri, per questo è anche igienizzante e antimuffa. Il percarbonato di sodio sbianca, toglie le macchie, ravviva i tessuti e igienizza; va però maneggiato con cautela, è consigliabile infatti l’uso di guanti, inoltre può essere nocivo a contatto con gli occhi o se viene inalato. La soda- carbonato di sodio- è una polvere bianca con gli stessi usi del bicarbonato, ma più alcalina e per questo più efficace contro l’unto e lo sporco, va usata però con maggiore accortezza perché più aggressiva, è infatti irritante per gli occhi e per le vie respiratorie, va maneggiata con cautela, sempre con i guanti e non lasciata alla portata dei bambini. B.M. BED AND BREAKFAST BAUHAUS Elvira Tortoriello Il Bauhaus, fondato nel 1919 grazie all’azione concreta di Walter Gropius e dei suoi numerosi collaboratori , nacque con lo scopo di abolire in maniera chiara e definitiva la classica contrapposizione tra artisti ed artigiani, dando il giusto risalto alla creatività del progettista e valorizzando la tecnologia e le macchine. È proprio nell’ambito del Bauhaus che nasce il design industriale e del prodotto , gli studenti usciti da lì erano in grado di progettare “dal cucchiaio alla città”, volendo indicare in sintesi la complessità degli studi e delle materie insegnate attraverso un lavoro di sinergia tra teoria e pratica all’interno dei laboratori. Il Bauhaus all'inizio venne largamente sovvenzionato dalla Repubblica di Weimar, dove inizialmente si trovava,in seguito ad un cambio nel governo, nel 1925, la scuola si spostò a Dessau, dove venne costruita l'Università Bauhaus. La scuola venne chiusa per ordine del regime nazista nel 1933. I nazisti si erano opposti al Bauhaus per tutti gli anni '20 perché era considerato una copertura per i comunisti, soprattutto perché vi lavoravano molti artisti russi. Comunque il Bauhaus ebbe un grosso impatto sulle tendenze dell'arte e dell'architettura nell'Europa occidentale e negli Stati Uniti nei decenni successivi in quanto molti artisti che vi furono coinvolti emigrarono portando con loro l’esperienza del Bauhaus. L’edificio di Dessau realizzato nel 1926 su progetto di Gropius rappresentava il “manifesto costruito” della scuola. La struttura è stata ricostruita solo dopo la caduta del muro di Berlino, e aperta al pubblico. Negli ultimi mesi l’edificio è stato adibito a bed and breakfast, offrendo così la possibilità di soggiornare nelle stanze, dove vivevano gli studenti quasi un secolo fa, con bagni, servizi e ristorante comuni. Il restauro è stato effettuato in maniera fedele, grazie al ricorso ad immagini fotografiche dell’epoca e a ricostruzioni storiche. L’alloggio è nella Prellerhaus, dove si possono vivere gli stessi spazi percorsi da Albers, Gropius, Kandinsky, Meyer o Breuer. Le stanze sono semplici e relativamente scarne, ma piene di luce naturale grazie alle ampie vetrate. Le camere ristrutturate hanno le sedie di Marcel Breuer e le scrivanie in acciaio piegato, e sono dotate di balconi aggettanti. Per tutti gli architetti e gli artisti appas- sionati, si tratta di un sogno che si avvera: ritornare indietro nel tempo rivivendo gli ambienti dove l’architettura moderna e il design hanno mosso i primi passi. In albergo in due…con uno sconosciuto! Easynest: la nuova frontiera del viaggiare sostenibile Cristina Abbrunzo C’è chi esprime delle riserve a riguardo e chi, invece, lo fa senza problemi, per scelta o per necessità. Sono i viaggiatori solitari, quelli che non temono di avventurarsi alla scoperta del mondo senza un compagno di viaggio. Dagli Stati Uniti arriva l’idea per permettere anche a loro di godere di una stanza d’hotel, magari a 5 stelle, senza spendere un patrimonio. La nuova frontiera del risparmio in viaggio è la divisione di una stanza – e del conto dell’albergo – con… uno sconosciuto. Prendere una doppia invece che una singola è una soluzione d’alloggio sicuramente più economica, ma come si fa quando non si ha una persona con cui partire e dividere le spese? Secondo i fondatori di Easynest, con sede a San Francisco, basta cercare qualcuno che sia nelle stesse condizioni. Il concetto di base è lo stesso di qualsiasi community on line: ci si iscrive al sito e si crea un proprio profilo con foto e descrizione. Il passo successivo è pubblicare il proprio annuncio, con la città e l’albergo dove si vorrebbe andare e quando. A quel punto si aggiunge il prezzo totale della stanza che si desidera prenotare, e il gioco è fatto. Non resta che attendere che qualche altro membro della community risponda. Se si è più indecisi, invece, si può cercare tra gli annunci già pubblicati e controllare se c’è qualche offerta che risponda alle proprie esigenze. Come avviene il pagamento? Una volta che entrambe le parti accettano di condividere la stanza, la persona che ha fatto la prima offerta verrà pagato direttamente dall’altro viaggiatore al momento del loro incontro. Uno dei due, insomma, si fa carico della spesa totale e sarà solo in un secondo momento rimborsato della parte del ( e dal) compagno. Accade spesso che, una volta scelti i ri- spettivi compagni di avventura, gli utenti cerchino di conoscersi e di farsi un’idea l’uno dell’altro: il sito è dotato di una chat all’interno della quale potersi scambiare messaggi e farsi un’idea della persona con cui si dividerà la stanza. Il sito ha bisogno di alcuni miglioramenti per quanto riguarda la privacy e la sicurezza degli utenti, in quanto sembra non avere alcuna responsabilità circa la buona riu- scita dell’esperienza. Aspetto non trascurabile, in quanto i rischi che si corrono adottando un simile sistema sono evidenti: si potrebbe scoprire che il compagno scelto che in chat sembrava tanto affabile e carino, in realtà è una persona che non ci farà dormire tranquilli; oppure i soldi investiti nella prenotazione potrebbero non tornare mai indietro. Insomma, la prudenza non è mai troppa. Superati questi scogli, però, quella proposta da Easynest potrebbe rivelarsi la soluzione vincente per i viaggiatori indipendenti e solitari; non è detto che debbano necessariamente verificarsi degli inconvenienti. Può darsi che la persona con cui si dividerà la stanza sia perfetta, e magari l’anno successivo si sceglierà di rinunciare alle vacanze in solitudine… per farle con lui! Pianta una tenda nel mio giardino Nasce la community per un campeggio alternativo e low cost Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un vero e proprio cambiamento, nonché ad una sorta di evoluzione nella modalità di effettuare un viaggio meno costoso e più green. Ma la nuova rivoluzionaria idea del viaggiare low cost arriva da Londra e si chiama “Camp in my garden”: pianta una tenda nel mio giardino! Si tratta ancora di un portale Internet (campinmygarden.com) che stavolta però gestisce un network di piccoli giardini di proprietari privati dove si può dormire in tenda a prezzi più che abbordabili: circa 15 sterline per notte a persona. Il rating dei giardini e il conseguente costo possono variare in funzione della presenza o meno di una serie di facilities, quali la fornitura di tende per il cam- ping, la presenza della rete wifi, l'accettazione di animali e il barbecue per la griglia. Si va, dunque, dal giardino di fascia bamping ("basic camping") a quello di fascia glamping ("glamorous camping"). Molti degli ospiti arrivano già con la loro attrezzatura da campeggio, altri la trovano sul posto. Sul sito è possibile verificare dove si trovi il giardino e di quali servizi disponga: dall'acqua calda alle docce, dall’uso cucina alla connessione web. Ancora una volta la parola d’ordine è condivisione! Il portale è già ben avviato. Ormai si conta su una rete di 500 giardini in tutto il mondo, da Tonga all'Indonesia, dalla Nuova Zelanda all’Italia. In ogni momento dell'anno è possibile ridurre l'impatto economico delle nostre vacanze evitando i grandi hotel e scegliendo questa innovativa formula campeggio. Viaggiare per lavoro, viaggiare per diletto, viaggiare per relax o viaggiare per conoscere e scoprire. Insomma, qualunque sia la motivazione che spinge qualcuno a partire, perché non cercare la soluzione che permetta a tutti di trarre il maggior beneficio in termini di costi e be- nessere? L’ideatrice di questa originale alternativa di soggiorno è una giovane imprenditrice londinese, Victoria Webbon, una sognatrice fortemente convinta che la vita va vissuta a pieno, a prescindere dalle circostanze. Ed è proprio questa filosofia ad averla ispirata a creare una comunità che ci incoraggi a fare di più nella vita, condividendo i nostri giardini uno con l'altro. Come a lei stessa piace affermare "Spero che un giorno ci saranno migliaia di giardini privati che offrano campeggio temporaneo in tutto il mondo. Dove ognuno sarà il benvenuto e verrà accolto con le braccia e i cuori aperti, condividendo la passione per quell'avventura universale che è la vita". C.A. L AVORO E PREVIDENZA Il decreto legge 34/2014 diventa legge Eleonora Ferrara Sulla Gazzetta Ufficiale n. 114 del 19 maggio 2014, è stata pubblicata la Legge n. 78/2014 di conversione, con modificazioni, del Decreto Legge n. 34/2014, entrata in vigore il 20 maggio 2014. Mediante la conversione in legge, quindi, sono entrate in vigore le modifiche introdotte dal Decreto Lavoro, concernenti le disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine e di apprendistato, le misure in materia di verifica di regolarità contributiva (DURC), nonché contratti di solidarietà. In tal modo viene rilanciata l’occupazione unitamente all’esemplificazione degli adempimenti burocratici a carico delle imprese. Sicuramente, sarà opportuna una breve disamina del provvedimento. La durata del primo rapporto di lavoro a tempo determinato, per il quale non è richiesto il requisito della causalità, passa da dodici a trentasei mesi, con possibilità di proroga fino a cinque volte, entro il limite dei tre anni. Inoltre, per il contratto di apprendistato è previsto il ricorso alla forma scritta unicamente per il contratto e patto di prova, non, invece, del piano formativo individuale, con l’eliminazione della necessaria conferma in servizio di precedenti apprendisti, al completamento del percorso formativo. Viene fissato al 35 per cento della retribuzione del livello contrattuale di inquadramento, il compenso spettante. Al contempo, il datore di lavoro non ha più l’obbligo di integrare la formazione di tipo professionalizzante. Relativamente alla semplificazione in materia di DURC, viene disposto che la verifica della regolarità contributiva nei confronti dell’INPS, dell’INAIL e delle Casse edili, avvenga in maniera telematica, mediante un’unica interrogazione nei rispettivi archivi. L’esito dell’interrogazione avrà validità di centoventi giorni, dalla data di acquisizione e sostituisce ad ogni effetto il DURC ovunque previsto. Il Decreto, infine, potrà essere aggiornato in seguito a nuove modifiche normative oppure, in seguito all’evoluzione dei sistemi telematici di verifica della regolarità contributiva, non più, quindi, con scadenza annuale come previsto dal D.L. 34/2014. La normativa, infine, modificata dal suddetto provvedimento, è la seguente: Decreto Legislativo n. 368/2001 sui rapporti a tempo determinato Decreto Legislativo n. 167/2011 sul contratto di apprendistato Decreto Legislativo n. 276/2003 in materia di somministrazione. Con la conversione in legge del decreto-legge n. 34, che inserisce numerose modifiche, entra in vigore, definitivamente, la semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine, di contratto di apprendistato, di contratti di solidarietà ed in materia di documento unico di regolarità contributiva. Viaggio nelle leggi ambientali EFFETTO SERRA L’eliminazione completa del cloro dalla composizione dei refrigeranti ha portato alla nascita degli idrofluorocarburi (HFC), refrigeranti che hanno effetto nullo per quanto riguarda il buco dell'ozono. Tuttavia anche tali fluidi non sono perfettamente eco-compatibili, in quanto la loro liberazione in atmosfera contribuisce ad aumentare l’effetto di surriscaldamento della Terra (effetto serra). Per tale ragione si prospetta una graduale loro eliminazione, soprattutto in quegli impianti dove possono essere sostituiti da altre tipologie di refrigeranti meno inquinanti. A tal proposito entra in vigore il 9 giugno 2014 il nuovo regolamento Ue sui gas fluorurati ad effetto serra (HFC, PFC e SF6) che, tra le numerose novità, istituisce un mercato delle quote per l'immissione in commercio degli idrofluorocarburi. In base a quanto stabilito dal nuovo regolamento 517/2014/Ue, pubblicato sulla GUUE del 20 maggio 2014, a decorrere dal 1° gennaio 2017 le apparecchiature di refrigerazione e condizionamento e le pompe di calore caricate con Hfc potranno essere immesse in commercio solo se gli Hfc caricati nelle stesse sono considerati all'interno del sistema di quote (trasferibili) istituito dal nuovo regolamento. Il “mercato” delle quote degli Hfc è però solo una delle tante novità previste dal provvedimento, che sostituisce il regolamento 842/2006/Ce a partire dal 1° gennaio 2015, e riguardano trasversalmente le disposizioni per il contenimento, l'uso, il recupero e la distruzione dei gas, le condizioni per l'immissione in commercio dei prodotti e delle apparecchiature che li contengono nonché quelle per gli usi particolari. Gli Stati membri hanno tempo fino al 1° gennaio 2017 per fornire il provvedimento di un adeguato sistema sanzionatorio. Documenti di riferimento - Dlgs 5 marzo 2013, n. 26. Sanzioni per la violazione delle disposizioni di cui al regolamento (Ce) n. 842/2006 su taluni gas fluorurati ad effetto serra. - Dpr 27 gennaio 2012, n. 43. Gas fluorurati a effetto serra. Attuazione regolamento Ce 842/2006. - Regolamento Parlamento europeo 842/2006/Ce. Regolamento su taluni gas fluorurati ad effetto serra. - Regolamento Parlamento europeo e Consiglio Ue 517/2014/Ue. Gas fluorati. Abrogazione regolamento 842/2006 A.T. Gesto eversivo, che nasce dalla libertà e accende una relazione non generata dall'utilitarismo Enzo Bianchi IL VERO DONO VIVE NELLA RECIPROCITÀ A Nola da un po’ di tempo, davanti ai supermercati, ci si imbatte quotidianamente in ragazzi che chiedono l’elemosina. Con uno di loro ero entrato in legame più stretto, dopo un po’ di tempo che non lo incontravo più, me lo ritrovo al semaforo di Poggioreale che vende fazzolettini di carta. Nei primi giorni continuavo a dargli qualche monetina ogni mattina, ma non volevo i fazzoletti, finché una bella mattina lui mi fa: ”Se non vuoi i miei fazzoletti, io non voglio i tuoi soldi”. Per carità! Non mi sono risentito affatto, al contrario il mio fumante cervello ha iniziato a macinare pensieri su un tema oramai in disuso nella nostra società turbocapitalista: il dono. C’è spazio per la categoria del dono come gratuità nella nostra vita quotidiana? Quante volte subiamo l’umiliazione nell’essere considerati oggetti delle attenzioni altrui…penso ai matrimoni e alle Prime Comunioni di cui Maggio è pieno. Invece, voglio scrivere del dono non inteso come regalo, ma come riconoscimento dell'altro in una relazione di reciprocità e di ricerca della felicità. Il concetto a cui faccio riferimento è quello che ha origine dalla parola latina munus, cioè un dono che obbliga a uno scambio. L’aggettivo derivato è communis e sta ad indicare chi ha in comune dei munia, cioè dei doni da scambiarsi. Communis significa quindi: essere legati insieme, collegati dall’avere comuni doveri, dal condividere comuni sorti, dall'essersi scam- biati un dono. Il continuo scambiarsi crea un sistema di compensazione, che quando gioca all’interno di uno stesso ambiente determina una comunità, cioè un insieme di uomini uniti da questo legame di reciprocità. Quindi la categoria fondativa del circuito del dono non è la gratuità, ma la reciprocità. Negli scambi regolati dalla reciprocità, sono gli individui e le relazioni ad assurgere ad un posto centrale. Nel nostro agire quotidiano l’ambiente è un’entità viva che elargisce doni, pretendendo che ci si assuma verso di lei certe responsabilità. In questa concezione è fondamentale che il mondo sia per noi una rete infinita di relazioni, che si estendono, penetrano nell’intera condizione sociale dell’individuo e si applicano a tutti e a tutto, incluso la terra. Le persone sono collegate al loro ambiente fisico e naturale attraverso le esperienze vissute. L'individualismo esasperato e la difficoltà di relazione ripropone il dilemma: battersi o venire a patti? Qui entra in gioco la redistribuzione. Nella relazione di reciprocità c'è l'accettazione del rischio, che si può dare e non ricevere quando si chiede. Ma è un rischio che si può annullare solo con la fiducia nell'altro. Comprendendo, sul serio, i bisogni dell'altro, possiamo superare le limitazioni dello scambio ed inaugurare un mondo che ridistribuisce futuro, nella misura in cui i nostri doni riescono a dare sostanza alla speranza. A.T. RUTH: LA RIVOLUZIONE DELLA GRATUITÀ Martina Tafuro Nell’ immaginario comune risulta impensabile, sin dai tempi in cui è venuta alla luce la comunità come puro dominio del più forte, uscire dal cono d’ombra dell’autoreferenzialità e lottare a denti stretti per cercare di realizzare gli ideali di giustizia e pace, strumenti per costruire un futuro migliore nelle cui braccia poter abbandonare le generazioni che verranno. Ipotizzate che nel 2014, anno che potremo indicare come il capolinea di un lungo processo sociale ed economico fondato sul consumismo anti-ecosostenibile, viva il più attivo difensore della foresta amazzonica e costui sia una donna. Immaginate, ora, di poter identificare la comunità, come dominio di chi difende il bene di tutti, con un nome: Ruth Buendìa, un’ indigena di etnia Ashàninka, che dovette abbandonare a 12 anni compiuti la sua terra, Cutivireni, e rifugiarsi nella città di Lima, dopo aver assistito all’ assassinio di suo padre e al sequestro di sua sorella maggiore per mano di Sendero Luminoso, formazione guerrigliera che ai tempi della cosiddetta “Guerra Sporca” (1970-2000) aveva privato gli Ashàninka della libertà. Ed ecco la bel- lezza di questo mondo! Questa donna coraggiosa, lo scorso 29 Aprile, ha vinto il 25esimo “Goldman Environmental Prize”, il Premio Nobel per l’ Ambiente, per aver salvaguardato migliaia di nativi e l’ambiente, contrastando la costruzione di due centrali idroelettriche nell’ Amazzonia peruviana. È riuscita grazie alla sua grande forza d’ animo e quella del suo popolo, si tratta della tribù più folta del Perù, a fermare la costruzione del progetto idroelettrico Paquitzpango, una delle cinque mega dighe programmate dall’ accordo tra Brasile e Perù e destinato a fornire una potenza di produzione elettrica di 7,2 gw. Alla premiazione Ruth, rin- graziando ha detto: “È stata una dura lotta per convincere anche i miei fratelli Ashàninkas, ma le donne mi hanno appoggiato più in fretta”. È bello pensare che i guardiani della Madre Terra, che sono riusciti a tenersi lontani dal denaro, dal lusso e perchè no anche dalla povertà, facendo coincidere i propri bisogni con il vivere sentendosi parte di un equilibrio perfetto, siano riusciti a ribellarsi e uscire dalla posizione di vittime che due grandi potenze obbligavano loro ad avere. Ancor più bello è pensare che esistano donne come Ruth Buendìa, che non hanno smarrito il loro istinto materno e con la loro capacità d’amare lottano per il bene comune e per i diritti umani. Foto di Fabiana Liguori Napoli, 28 maggio 2014 – Convention Coldiretti, per sostenere la qualità alimentare Made in Italy dal campo alla tavola e presentazione del dossier 2014 sulla “Crisi nel piatto degli italiani”
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