Newsletter Fondazione 3BI SPECIALE ZIONE RIABILITA S.O.C. Formazione e Comunicazione Carissimi Utenti in questo numero della newsletter edita dalla Fondazione Biblioteca Biomedica Biellese 3Bi in collaborazione con la S.O.C. Formazione e Comunicazione dell’ASL BI e la Comunità di pratica dell'area della riabilitazione dell’ASL BI (composta da fisioterapisti, fisiatri, logopedisti volontari) vi proponiamo una overview per condividere letteratura tra i colleghi dell'area della riabilitazione ma non solo (anche esterni all'ASL BI), animando così il dibattito tra professionisti del nostro territorio. I temi trattati sono: - Il management riabilitativo della frattura di femore nel paziente anziano -Gestione e trattamento della plagiocefalia. Chi fosse interessato agli articoli in full text delle citazioni proposte qui di seguito, la Biblioteca Medica rimane a disposizione per qualsiasi necessità. Contatti: biblioteca@3bi.info Per appuntamenti e ricerche bibliografiche docdelivery@3bi.info Per reperimento articoli o documenti in full text formazione@3bi.info Per registrazione a corsi e congressi Orari: Lunedì-Venerdì 9.00-13.00 14.30-18.00 Telefono:015.243.16.22 Fax:015.243.16.22 Membri della Comunità di Pratica Lorena Acquadro Fisioterapista Medicina Riabilitativa Elena Anzola Fisioterapista Medicina Riabilitativa Massimo Bocchio Ramazio Coordinatore Medicina Riabilitativa Maria Cristina Florio Fisioterapista Medicina Riabilitativa Monica Gasparini Medico fisiatra Medicina Riabilitativa Roberta Maoret Documentalista Biom. Fondazione 3Bi Paola Mastroberardino Fisioterapista Medicina Riabilitativa Francesca Menegon S.O.C. Formazione e Comunicazione Elisabetta Minola Logopedista Medicina Riabilitativa Luglio 2014 Volume 1, Numero 4 “Il nostro compito di scienziati non è di scegliere solo i fatti che confermano una teoria e per così dire la ripetono; il metodo scientifico consiste invece nella ricerca di fatti che possano confutare una data teoria.” Karl Raimund Popper Alessia Tripodi Fisioterapista Medicina Riabilitativa Sommario: Presentazione Speciale Riabilitazione Management della Il management riabilitativo della frattura di femore nel paziente anziano frattura del femore nel paziente anziano Pg. 1 (I°parte) Management della I dati definitivi diffusi dall’ISTAT relativi al 15° Censimento generale, indicano un progressivo invecchiamento della popolazione. Una delle conseguenze dirette dell’invecchiamento è l’incremento della disabilità, intesa secondo la Classificazione Internazionale del Funzionamento come il risultato dell’interazione negativa tra la condizione di salute di un individuo ed il suo ambiente di vita, sia fisico (barriere) che culturale (pregiudizi, discriminazioni etc.). L’effetto di questa interazione negativa fa sì che queste persone siano meno autonome nello svolgere le attività quotidiane e spesso si trovino in condizioni di svan- taggio nel partecipare alla vita sociale. La conferma è evidenziata da una stima del CENSIS per gli anni 2010 – 2020 – 2040. I dati rilevano che la disabilità, per effetto dell’invecchiamento e delle patologie cronico degenerative, è in significativo aumento dal 6,7% (circa 4,1 milioni di persone nel 2010) al 7,9% nel 2020 (pari a 4,8 milioni di persone), un incremento destinato a creare una fortissima pressione sul versante della domanda di servizi sanitari e in particolare di interventi riabilitativi. Tra la popolazione anziana una delle principali cause di disabilità è rappresentata dagli esiti della frattura di femore. (1) frattura del femore nel paziente anziano (II°parte) TAKE HOME MESSAGE Bibliografia Abstracts n.1,2,3,4,5,6,7 Abstracts n°8,9 La Plagiocefalia Pg. 2-3 Pg. 4 Pg. 5 (I°parte) La Plagiocefalia (II°parte) TAKE HOME MESSAGE Bibliografia Abstracts n°1,2,3,4,5,6 Pg. 6 Pg. 7 Pagina 2 Un fenomeno che pone il sistema sanitario e socio-sanitario di fronte alla necessità di strutturare risposte adeguate al quadro generale che si sta configurando. Se si considerano le difficili condizioni economiche in cui versano molti Paesi, il settore sanitario, si trova a fronteggiare una duplice sfida, da un lato la crescente domanda di salute e il contenimento delle disabilità, dall’altro una diminuzione delle risorse disponibili. In questo contesto, nella consapevolezza che l’assistenza sanitaria debba garantire comunque un elevato standard qualitativo, che deriva da una serie di fattori quali la professionalità degli operatori, l’adeguatezza delle strutture e disponibilità di risorse da investire, le aziende, devono necessariamente intraprendere azioni efficaci, efficienti e, nello stesso tempo economicamente sostenibili. In che modo? Come tradurre queste intenzioni in realtà? Fondamentalmente sulla base del concetto di “appropriatezza” sia diagnostica che terapeutica, che deve diventare una priorità strategica per la sanità pubblica, cioè il grado di esprimere la misura in cui un particolare intervento è sia efficace sia indicato per la persona che lo riceve, con il giusto rapporto qualità prezzo e costo beneficio. Lo strumento risiede nell’Evidence-Based Medicine (EBM) che rappresenta una metodologia consolidata a livello internazionale per il miglioramento dell’assistenza sanitaria. Alla luce di queste considerazioni, abbiamo, con l’utilizzo delle maggiori banche dati impostato un lavoro di ricerca per verificare il livello di evidenza scientifica relativa al management della frattura di femore nel paziente anziano. In particolare il lavoro è stato condotto con l’obiettivo di acquisire le indicazioni più attuali ed efficaci circa i vari tipi di intervento assistenziale/riabilitativo nelle varie fasi di cura del paziente. Una prima ricerca, che ha prodotto 52 risultati, ha incluso le seguenti parole chiave: ("Hip Fractures/rehabilitation"[Mesh]) OR "Femoral Fractures/rehabilitation"[Mesh] con l’impostazione dei seguenti filtri: Review; Systematic Reviews; published in the last 10 years; Aged: 65+ years; 80 and over: 80+ years. Una seconda ricerca, più mirata, ha mantenuto gli stessi filtri, ma ha incluso ulteriori parole chiave come: ("Continuity of Patient Care"[Mesh]) OR "Rehabilitation"[Mesh]) OR "Exercise Therapy"[Mesh]) OR "Patient Discharge"[Mesh]) OR "Length of Stay"[Mesh]) OR "Inpatients"[Mesh])) AND ("Hip Fractures"[Majr]) OR "Femoral Fractures"[Majr]) ottenendo 41 risultati. Considerando il numero dei risultati ancora troppo elevato e dispersivi ai fini della ricerca, si sono stabiliti una serie di criteri di inclusione ed esclusione. Tra i primi si sono inclusi gli articoli riguardanti i dati epidemiologici, i fattori predittivi, la riabilitazione e gli effetti della mobilizzazione precoce nell’anziano, i presupposti biologici del recupero funzionale ed infine gli effetti della riabilitazione intensiva ed estensiva. Sono stati, invece, esclusi tutti gli articoli inerenti la chirurgia delle fratture, il ruolo dell’assessment geriatrico, il trattamento farmacologico, gli aspetti nutrizionali e la demenza. Sulla base dei risultati della letteratura selezionata, ci siamo posti un primo interrogativo. Considerando che nell’anziano è descritta una fisiologica presenza di fenomeni involutivi e sapendo che la “riabilitazione” è un processo di apprendimento e/o riapprendimento, quali sono i margini di recupero funzionale nel paziente anziano? Numerosi studi clinici hanno escluso un ruolo sfavorevole giocato dall’età ai fini delle prospettive di recupero funzionale dopo un evento acuto invalidante. Soggetti anche molto anziani non esprimono limiti al riapprendimento di competenze a meno di non essere portatori di un carico di patologie concomitanti ciascuna parzialmente invalidante, e, soprattutto di decadimento cognitivo patologico (demenza). Uno studio condotto da Liebereman e coll., nel 2006, su una popolazione di circa 1000 ultra65enni sottoposti a riabilitazione per esiti di frattura di femore, rilevava come il livello funzionale prefrattura e il livello cognitivo rappresentassero fattori predittivi dell’outcome molto più potenti rispetto all’età. Newsletter Fondazione 3BI In uno studio più recente, altri autori invece sostengono che l’outcome dipende da più fattori, quindi, anche dall’età oltre che dallo stato di salute e dallo stato funzionale pre-frattura, dal tipo di frattura, dalla presenza del dolore, dall’anemia, dalla forza muscolare e da quanto più precocemente si inizia la mobilizzazione. In particolare l’età avanzata e un basso livello funzionale prefrattura sono considerarti fattori determinanti sulla prognosi funzionale post frattura.(2) Anche altri studi hanno evidenziato che una “precoce mobilizzazione” intesa come immediato trasferimento letto-sedia (con assistenza) seguita progressivamente da deambulazione in base alla tolleranza al carico, migliori l’outcome indipendentemente dal fatto che la frattura sia stata trattata chirurgicamente o conservativamente.(3) Risulta inoltre che la stessa sia uno dei punti cardine per il contenimento del delirio, una tra le più comuni complicanze nei pazienti anziani con frattura di femore (62%). Infatti, la precoce mobilizzazione insieme con lo svezzamento in tempi brevi dal catetere vescicale, il coinvolgimento del personale di assistenza e dei famigliari nel ri-orientare il paziente nel tempo e nello spazio, il trattamento del dolore e una puntuale richiesta di consulenza del geriatra, sono i provvedimenti utili al contenimento dell’alterazione cognitiva “confusione mentale” nel paziente anziano ricoverato (4)(5). L’importanza della mobilizzazione precoce, viene ribadita da un ulteriore studio relativo all’analisi delle conseguenze della prolungata immobilità dei pazienti sottoposti ad intervento chirurgico per la frattura dell’anca. La mancanza di una precoce mobilizzazione porta ad un impoverimento delle funzioni relative al self-care e a un aumento del tasso di mortalità.(6)(7) Un ulteriore quesito che ci siamo posti è il seguente: esistono presupposti biologici che consentono il recupero funzionale nell’anziano colpito da evento invalidante acuto? Trasversalmente nella letteratura scientifica di interesse riabilitativo geriatrico si riscontrano affermazioni concordi nel sostenere l’ipotesi di una persistente capacità di apprendimento, nonché di riorganizzazione plastica cerebrale post -lesionale, anche in età avanzata. La conferma ai primi due quesiti circa le capacità di apprendimento e l’esistenza dei presupposti biologici ci ha spinto a chiederci quale tipo di riabilitazione fosse più indicata. Un importante studio dell’università di Sidney che abbiamo preso in esame ha valutato le linee guida australiane, le linee guida scozzesi, quattro sistematic review ed infine una overview di trial randomizzati di esercizi di riabilitazione dopo la frattura di femore. In sintesi le linee guida australiane riportano quattro raccomandazioni specifiche: precoce deambulazione assistita (entro le 48h dall’intervento) accelera il recupero funzionale e porta ad una maggiore dimissione a domicilio e ad una riduzione del ricovero nelle residenze per anziani (livello di evidenza B) non ci sono particolari strategie di mobilizzazione che possono essere raccomandate più di altre (livello di evidenza A) esercizi di resistenza aerobica (upper body) possono essere integrati nella riabilitazione standard per aumentare la capacità aerobica e la mobilità dell’anca dopo intervento chirurgico della frattura dell’anca (livello di evidenza B) un programma di esercizi in carico (weight-bearing) a domicilio migliorano l’equilibrio e le abilità funzionali tra gli anziani che hanno completato il programma di riabilitazione dopo la frattura di femore (livello di evidenza B). Le linee guida scozzesi raccomandano come un team multidisciplinare potrebbe essere usato per facilitare il processo riabilitativo (livello di evidenza B). Volume 1, Numero 4 Pagina 3 Livelli di prova e forza delle raccomandazioni Correlazione tra Livello della Prova e Grado della Raccomandazione in base alla tipologia della documentazione scientifica (SIGN, NICE, AHQR) livello di prova evidenza metanalisi di RCTs Ia almeno un RCT Ib almeno uno studio ben condotto senza randomizzazione IIa almeno un altro tipo di studio clinico ben disegnato quasi sperimentale IIb almeno uno studio clinico ben disegnato non sperimentale III opinioni di comitati di esperti o esperienze di autorità riconosciute IV Lo studio relativo alle quattro sistematic review, che comprendono, la prima 13 Rct con l’inclusione di 2498 partecipanti, la seconda con 30 Rct e 25 trials non randomizzati, la terza 13 Rct con l’inclusione di 1065 partecipanti e la quarta 11 Rct con 2177 partecipanti, indicano rispettivamente, la prima una tendenza ad avere risultati migliori nei pazienti ricoverati che ricevono un trattamento multidisciplinare ma questi risultati non sono statisticamente significativi. La seconda indica buoni outcome per tutte quelle attività associate all’implementazione del cammino. La terza revisione sottolinea che non vi sono differenze tra le varie strategie riabilitative utilizzate. La quarta revisione indica una riduzione del 16% dei casi di morte e di ricoveri in struttura nei pazienti trattati con un team multidisciplinare. Per quanto riguarda tutti i trial presi in esame, lo studio segnala un numero troppo esiguo di pazienti per poter essere considerati significativi, ma tutti dimostrano che vi sia un miglioramento dell’outcome nei pazienti che dopo le dimissioni ospedaliere seguono un programma di esercizi anche autogestiti (8). L’ultimo studio che abbiamo preso in esame è stata una Systematic Review and Meta-Analysis di studiosi dell’Università di Montreal pubblicata nel 2012 che dimostra che un buon programma di riabilitazione in fase di ricovero post frattura generalmente è grado della raccomandazione A forte B discreta C debole di notevole aiuto ma non sufficiente a riportare il paziente nelle condizioni funzionali pre-frattura. Lo stesso studio afferma, inoltre, che dopo una frattura di femore i pazienti sono ad alto rischio di entrare in un “circolo vizioso” dove la paura di cadere, il dolore post frattura e la debolezza muscolare, inducono il paziente ad una relativa immobilità con successivo deterioramento dell’equilibrio, al quale consegue un aumento della debolezza muscolare ed infine un aumento del rischio di cadute. L’obiettivo dello studio è stato quello di capire se e quale programma di esercizi proposto dopo la dimissione potesse migliorare ulteriormente gli outcome. Lo studio ha dimostrato che nonostante le differenze tra i vari programmi di esercizi proposti si sono comunque avuti significativi miglioramenti della forza degli estensori del ginocchio, dell’equilibrio, delle Performance-Based Test, del TUG score e del Fast Gait Speed (9). In conclusione, le evidenze scientifiche dimostrano quanto in fase di ricovero un intervento precoce ed intensivo possa migliorare gli outcome del paziente ma risulta non sufficiente per ristabilire le condizioni premorbose. Dalla letteratura si evince che un programma di “esercizi a domicilio” possa ulteriormente migliorare gli outcome circa il rischio di cadute, l’equilibrio e la velocità del cammino. Take home message... Utile una “mobilizzazione precoce” Utile una precoce deambulazione assistita Non ci sono strategie di riabilitazione raccomandate più di altre Un programma di esercizi in “carico” a domicilio migliora l’equilibrio e le abilità funzionali Il “team multidisciplinare” facilita il percorso riabilitativo BIBLIOGRAFIA 1.Roth T, Kammerlander C, Gosch M, Luger TJ, Blauth M. “Outcome in geriatric fracture patients and how it can improved”. Osteoporos Int. 2010 Dec;21(Suppl 4):S615-9. 2.Kristensen MT. “Factors affecting functional prognosis of patients with hip fracture”. Eur J Phys Rehabil Med. 2011 Jun;47(2):257-64. Review. PMID: 21597435 3.Jain R, Basinski A, Kreder HJ. “Nonoperative treatment of hip fractures. “ Int Orthop. 2003;27:11-17. 4.Auron-Gomez M, Michota F. “Medical management of hip fracture.” Clin Geriatr Med. 2008;24:701-719 5.Flinn DR, Deihl KM, Seyfried LS, et al. “Prevention, diagnosis, and management of postoperative delirium in older adults.” J Am Coll Surg. 2009;209:261-268. 6.Siu A, Penrod J, Boockvar K, et al. “Early ambulation after hip fracture: effects on function and mortality.” Arch Intern Med. 2006;166:766-771. 7.Jackman JM, Watson JT. “Hip fractures in older men.” Clin Geriatr Med. 2010;26:311-329. 8.C. Sherrington , A. Tiedemann , I. D. “Physical exercise after hip fracture: an evidence overview” Eur J Phys Rehabil Med 2011;47:297-307 Vol. 47 - No. 2 European Journal of Physical and Rehabilitation Medicine 9.Auais MA, Eilayyan O, Mayo NE. “Extended exercise rehabilitation after fracture improves patients’ physical function: a systematic review and metaanalysis.” Phys Ther. 2012 Nov;92(11):1437-51. doi: 10.2522/ptj.20110274. Epub 2012 Jul 19. Review. Pagina 4 Newsletter Fondazione 3BI Abstract n°1 — Osteoporos Int. 2010 Dec;21(Suppl 4):S615-9. doi: 10.1007/s00198-010-1401-4. Epub 2010 Nov 6. Outcome in geriatric fracture patients and how it can be improved. Roth T1, Kammerlander C, Gosch M, Luger TJ, Blauth M. Abstract Geriatric fractures are an increasing medical problem worldwide. This article wants to give an overview on the literature concerning the outcome to be expected in geriatric fracture patients and what can be done to improve it. In literature, excess mortality rates vary from 12% to 35% in the first year after a hip fracture, and also, other geriatric fractures seem to reduce the patient's remaining lifetime. Geriatric fractures and, in particular, hip fractures constitute a major source of disability and diminished quality of life in the elderly. Age, gender, comorbid conditions, prefracture functional abilities, and fracture type have an impact on the outcome regarding ambulation, activities of daily living, and quality of life. Comprehensive orthogeriatric comanagement might improve the outcome of geriatric fracture patients. For the future, well designed, large prospective randomized controlled trials with clear outcome variables are needed to finally prove the effectiveness of existing concepts. PMID: 21058001 Abstract n°2 — Eur J Phys Rehabil Med. 2011 Jun;47(2):257-64. Factors affecting functional prognosis of patients with hip fracture. Kristensen MT. Abstract Having a hip fracture is considered one of the most fatal fractures for elderly people, resulting in impaired function, and increased morbidity and mortality. This challenges clinicians in identifying patients at risk of worse outcome, in order to optimise and intensify treatment in these patients. A variety of factors such as age, prefracture function and health status, fracture type, pain, anaemia, muscle strength, and the early mobility level have been shown to influence patient outcome. Thus, the outcome of patients with hip fracture is considered multi-factorial, and can therefore not be related to just one or two single factors. The current article reviews important factors affecting the functional prognosis, and clinicians are encouraged to include all factors potentially influencing the outcome of patients with hip fracture in their individualised treatment and rehabilitation plan. Especially, older age and having a low prefracture functional level are considered strong factors. PMID:21597435 Abstract n° 3 — Int Orthop. 2003;27(1):11-7. Epub 2002 Nov 12. Nonoperative treatment of hip fractures. Jain R1, Basinski A, Kreder HJ. Abstract We retrospectively reviewed a population database and a case series to compare the mortality of operative and nonoperative treatment of hip fracturesin patients with severe comorbidity. Nonoperative treatment of hip fractures (bed rest or early weight bearing) was administered based on medical assessment of perioperative risk. Comparison of 30-day mortality was performed between the nonoperatively and operatively treated groups. We found that of 50,235 of hip fractures that occurred between 1992 and 1998, 89.4% were treated operatively. Thirty-day mortality rate in the nonoperatively treated patients (18.8%) was higher than the rate in operatively treated patients (11.0%) (odds ratio 1.7 times, 95% confidence interval (CI) 1.6, 1.8). In the case series, of 62 elderly patients with severe comorbidity treated nonoperatively, 41 had bed rest/traction, while 21 were mobilized early. A group of operatively treated patients (n=108) was compared to nonoperatively treated patients. Mortality with nonoperative treatment was higher with bed rest (73%) compared to early mobilization (odds ratio 3.8, 95% CI 1.1-14.0). There was no significant difference in mortality between operatively treated patients (29%) and patients treated nonoperatively with immediate mobilization (19%). Bed rest was 2.5 times more likely to be associated with mortality compared to operative treatment (95% CI 1.1-5.5). PMID:12582802 Abstract n°4 — Clin.Geriatr.Med. November 2008; 24(4):701-719. Medical Management of Hip Fracture Abstract The United States population at the greatest risk for hip fracture, those aged 65 years and older, is steadily increasing in size. Today, the incidence of hip fracture is approximately 250,000 per year and it is expected to double in the next 30 years. Hip fracture patients are comorbid at baseline, and there are complications inherent to hip fractures that can occur in almost a predictable fashion. Overall, one in four hip fracture patients will die within one year of injury. Medical comanagement of hip fracture patients offers the best chance for successful outcome. Abstract n°5—Journal of the American College of Surgeons; Volume 209, Issue 2, Pages 261–268, August 2009 Prevention, Diagnosis, and Management of Postoperative Delirium in Older Adults Denise R. Flinn, MD; Kathleen M. Diehl, MD, FACS, Lisa S. Seyfried, MD, Preeti N. Malani, MD Approximately half of all operations performed in the United States are in patients greater than 65 years of age. 1 The aging of the US population is expected to result in an increased need for surgical services among all subspecialties. 1Older adults represent a unique challenge to the surgeon, often presenting with multiple medical comorbidities and higher risk for postoperative complications. Despite the increasing need for surgical procedures among the elderly population, scant literature exists to address the specific perioperative needs of older adults. Abstract n°6 — Arch Intern Med. 2006 Apr 10;166(7):766-71. Early ambulation after hip fracture: effects on function and mortality. Siu AL1, Penrod JD, Boockvar KS, Koval K, Strauss E, Morrison RS. Abstract BACKGROUND: Few studies have examined the relationship between inpatient bed rest and functional outcomes. We examined how immobility is associated with function and mortality in patients with hip fracture. METHODS: We conducted a prospective cohort study of 532 patients 50 years and older, who were treated with surgery after hip fracture in 4 hospitals in New York. We collected information from hospital visits, medical records, and interviews. "Days of immobility" was defined as days until the patient moved out of bed beyond a chair. Follow-up was obtained on function (using the Functional Independence Measure) at 2 and 6 months and on survival at 6 months. RESULTS:Patients with hip fracture experienced an average of 5.2 days of immobility. Compared with patients with a longer duration of immobility (ie, at the 90th percentile) in adjusted analyses, patients at the 10th percentile of immobility had lower 6-month mortality (-5.4%; 95% confidence interval [CI], -10.9% to 1.0%) and better Functional Independence Measure score for locomotion (0.99 points; 95% CI, 0.3 to 1.7 points, with higher values indicating better function), but there was no significant difference in locomotion by 6 months (0.58 points; 95% CI, -0.3 to 1.4 points). The adverse association of immobility was strongest in patients using personal assistance or supervision with locomotion at baseline (difference in 6-month mortality between the 90th and 10th percentile of immobility was -17.1% [P = .004] for this group and only 1.2% [P = .38] for patients independent in locomotion at baseline). CONCLUSION: In patients with hip fracture, delay in getting the patient out of bed is associated with poor function at 2 months and worsened 6-month survival. PMID:16606814 Abstract n° 7 — Clin.Geriatr.Med. May 2010; 26(4):311-329 Hip Fractures in Older Men James M. Jackman, J. Tracy Watson, Abstract Hip fractures in elderly men present many significant challenges and are a leading cause of morbidity and mortality in this age group. A multidisciplinary team approach before surgical intervention is the most efficient way to manage this patient group and achieve the best possible outcome while attempting to return patients to their previous level of function. Timely surgical intervention allows the patient's early mobilization and decreases the risk of potential complications in the postoperative period. Patient education and close follow-up are necessary to ensure compliance with the rehabilitation protocol as well as the prevention of future fractures Pagina 5 Volume 1, Numero 4 Abstract n° 8 — Eur J Phys Rehabil Med 2011;47(2):297-307 Physical exercise after hip fracture: an evidence overview Sherrington C., Tiedemann A., Cameron I. D. Abstract Improving strategies for hip fracture rehabilitation among older people is an urgent public health challenge due to the increasing proportion of older people in the global population and therefore the increasing numbers of falls and fractures. Most older people who suffer a hip fracture experience a permanent decrease in physical functioning. It is now clear in the general older population that muscle strength and balance can be improved and falls can be prevented by welldesigned exercise programs. Physical exercise has the potential to improve physical outcomes after hip fracture in older people. Increasingly, clinicians are being urged to seek guidance from clinical trials in order to make clinical decisions. This article presents: 1) an overview of clinical practice guidelines and systematic reviews about rehabilitation after hip fracture and 2) an overview of randomised trials of exercise for people after hip fracture indexed on the Physiotherapy Evidence Database (PEDro). The lack of well-designed large-scale trials of exercise after hip fracture means that current guidelines do not include detailed recommendations about exercise after hip fracture. The Cochrane reviews covering this field also do not draw firm conclusions. However, several individual trials have had promising findings and indicate some benefits of exercise after hip fracture. Abstract n° 9 — Phys Ther. 2012 Nov;92(11):1437-51. Extended exercise rehabilitation after hip fracture improves patients' physical function: a systematic review and meta-analysis. Auais MA1, Eilayyan O, Mayo NE. Abstract BACKGROUND: Although the principal goal of hip fracture management is a return to the pre-event functional level, most survivors fail to regain their former levels of autonomy. One of the most effective strategies to mitigate the fracture's consequences is therapeutic exercise. PURPOSE: The purpose of this study was to review and quantify the reported effects of an extended exercise rehabilitation program offered beyond the regular rehabilitation period on improving physical functioning for patients with hip fractures. SOURCES: The Cochrane libraries, PubMed, CINAHL, PEDro, and EMBASE were searched to April 2012. STUDY SELECTION: All randomized controlled trials comparing extended exercise programs with usual care for community-dwelling people after hipfracture were included in the review. DATA EXTRACTION AND SYNTHESIS: Two reviewers conducted each step independently. The data from the included studies were summarized, and pooled estimates were calculated for 11 functional outcomes. RESULTS: Thirteen trials were included in the review and 11 in the meta-analysis. The extended exercise program showed modest effect sizes (ESs), which reached significance, under random theory, for knee extension strength for the affected and nonaffected sides (ES=0.47, 95% confidence interval [CI]=0.270.66, and ES=0.45, 95% CI=0.16-0.74, respectively), balance (ES=0.32, 95% CI=0.15-0.49), physical performance-based tests (ES=0.53, 95% CI=0.27-0.78), Timed "Up & Go" Test (ES=0.83, 95% CI=0.28-1.4), and fast gait speed (ES=0.42, 95% CI=0.11-0.73). Effects on normal gait speed, Six-Minute Walk Test, activities of daily living and instrumental activities of daily living, and physical function subscale of the 36-Item Short-Form Health Survey (SF-36-PF) did not reach significance. Community-based programs had larger ESs compared with home-based programs. CONCLUSIONS: To the authors' knowledge, this is the first meta-analysis to provide evidence that an extended exercise rehabilitation program for patients with hip fractures has a significant impact on various functional abilities. The focus of future research should go beyond just effectiveness and study the costeffectiveness of extended programs. PMID:22822235 LA PLAGIOCEFALIA La plagiocefalia identifica genericamente un cranio asimmetrico, tuttavia la plagiocefalia deformante (DP) non sinostotica si riferisce più specificatamente all’asimmetria del cranio causata da una prolungata posizione post-natale (1) e risultante da forze esterne che modellano il cranio nel primo anno di vita (2). La DP viene diagnosticata nei bambini dopo le 6 settimane di vita in quanto la forma asimmetrica del cranio prima di questo periodo può essere il risultato del processo di nascita vero e proprio, che può risolversi spontaneamente (1). I ricercatori, in uno studio di coorte prospettico che valuta la prevalenza e la storia della plagiocefalia deformante in 200 neonati, ha concluso che la prevalenza di plagiocefalia deformante aumenta fino a 4 mesi di età, per poi diminuire con l'aumentare dell'età cronologica. La maggior parte dei casi si risolve entro i 2 anni di età. (1) La plagiocefalia viene suddivisa in plagiocefalia laterale e brachicefalia posteriore di cui sono riportate nella figura le caratteristiche. (2) FIGURA 1. Vista dal vertex della plagiocefalia deformante laterale e della brachicefalia posteriore LIEVE MODERATA GRAVE Solo appiattimento posteriore del cranio Spostamento anteriore dell’orecchio ipsilaterale Crescita ipsilaterale temporale del cranio Deformità posteriore centrale Allargamento posteriore del cranio Bozze temporali DP laterale Risultati chiave DP posteriore (brachicefalia) Risultati chiave Pagina 6 Newsletter Fondazione 3BI Contestualmente alla pubblicazione di questa Newsletter, abbiamo ritenuto utile condividere quella che è stata l’esperienza da parte della S.O.C. di Medicina Riabilitativa dell’ASL di Biella, in merito alla diagnosi e, di conseguenza, alla presa in carico di questo tipo di problematica. Dato il crescente numero di accessi di bambini affetti da DP associata o meno a torcicollo miogeno congenito presso la nostra Struttura (da gennaio 2012 a maggio 2014 sono stati presi in carico con sedute di fisioterapia 23 bambini), abbiamo preso in esame la bibliografia internazionale reperibile, al fine di creare un’occasione di confronto con tutte le figure professionali coinvolte nella gestione di questa patologia. E’ emerso da questa ricerca che nel 1992 l’American Academy of Pediatrics aveva lanciato la campagna “Back to sleep” per incoraggiare le famiglie a far dormire i bambini supini al fine di ridurre il rischio di sindrome da morte improvvisa del lattante (SIDS). Questa raccomandazione aveva causato un aumento di casi di DP con conseguente un incremento di ritardo nelle acquisizioni delle tappe motorie.(3). Quindi, se da un lato l’ incidenza di SIDS era diminuita più del 40%, di contro vi era stato un drammatico aumento (fino al 600%!) nei rilevamenti di DP (4). Prima del 1992 la DP si stimava nell’ordine di 1 ogni 300 bambini. Da allora la prevalenza di DP è stata la seguente: tra il 6,1% e il 13% alla nascita tra il 16% e il 22,1% da 6 a7 settimane il 19,7% a 4 mesi il 9,2% a 8mesi il 6,8% a 1 anno(1) In seguito a queste rilevazioni, negli USA è stata lanciata la campagna intitolata “Back to sleep, tummy to play” (“supini per dormire, proni per giocare”) che è stata utilizzata per prevenire e migliorare sia la plagiocefalia, sia il ritardo nelle acquisizioni delle tappe motorie. Gli studi di coorte che affrontano il tema dei tempi di trattamento, sono generalmente d’accordo nel suggerire che un trattamento precoce è più efficace di un trattamento tardivo e che i neonati gestiti con posizionamento e fisioterapia hanno un alto tasso di miglioramento, che continua con la crescita del bambino (4). Esistono in letteratura diversi tipi di approccio riabilitativo. Il trattamento fisioterapico prevede un intervento conservativo per i neonati con DP (che è anche la strategia raccomandata per la prevenzione della DP). Esso consiste in strategie di posizionamento del bambino per minimizzare la pressione sulla parte posteriore della testa (2, 4). Un altro tipo di approccio, più indicato nelle forme più gravi, prevede invece l’utilizzo di un “caschetto” che, per essere efficace, deve essere indossato per più di 20 ore al giorno. Una soluzione di questo tipo, però, risulta essere di difficile gestione, costosa e addirittura pare limitare lo sviluppo motorio del bambino (2, 4, 5). In letteratura sono stati presi in considerazione anche trattamenti di tipo complementare non convenzionali come quello osteopatico che parrebbero essere utili nell’accelerare i tempi di rimodellamento del cranio (anche se attualmente non ci sono sufficienti studi a supporto). Tali trattamenti non possono essere considerati alternativi e, sono imprescindibili da una presa in carico fisioterapica. Il trattamento chirurgico non è previsto se non in presenza di craniosinostosi o in casi molto gravi e comunque i risultati ottenuti appaiono minimi (4). L’utilizzo di cuscini specifici non trova evidenze. Tuttavia, come consigliato anche dall’Istituto Meyer di Firenze a cui ci siamo rivolti come centro con maggiore casistica ed esperienza in Italia, può essere utilizzato un cuscino che favorisce la posizione semisupina fino e non oltre ai 3 mesi di vita. Come si evince dagli studi presi in considerazione, il fornire alle famiglie precise indicazioni (al fine di prevenire asimmetrie craniali) e il provvedere ad una precoce valutazione e ad una corretta presa in carico dei casi individuati, potrebbero contenere il numero di accessi e la possibilità che eventuali trattamenti diretti e indiretti si protraggano talvolta anche fino ai primi 2 anni di vita. Sempre da questi studi si evidenzia anche che la DP è in primo luogo una preoccupazione estetica considerando i risultati a lungo termine, ma le strategie conservative di gestione possono ridurre al minimo il grado di asimmetria se sono attuate precocemente. Alla luce di tutte queste considerazioni, all’interno del nostro Servizio si è deciso di stilare un opuscolo condiviso con i pediatri ospedalieri e di base da distribuire alle famiglie, con lo scopo di fornire indicazioni posturali di prevenzione della DP (6 link attivo che apre il libretto). L’opuscolo è formato da due parti. Una parte, in cui viene sottolineata l’importanza di valutare alcuni aspetti durante i bilanci di salute, è destinata ai Medici Pediatri. L’altra, che contiene consigli di posizionamento durante il sonno e suggerimenti circa le attività da proporre al bambino durante i periodi di veglia, è invece rivolta ai genitori. In seguito a questo lavoro si è deciso che i bambini che afferiscono al nostro Servizio per valutazione per cranio asimmetrico o torcicollo posturale (non miogeno) siano presi in carico con prescrizione di un ciclo di 6/8 sedute di training delle famiglie allo scopo di far apprendere alle stesse corrette modalità di gestione e di stimolazione dei loro bambini. Take home message ... Durante la periodica visita pediatrica per il bilancio di salute, il pediatra deve valutare se i bambini presentino i fattori di rischio (segni clinici di predisposizione) o l’asimmetria cranica Se sono presenti segni clinici o asimmetria, dovrebbe consegnare l’opuscolo informativo e discuterlo con le famiglie Se i segni sono marcati o dubbi, il bambino può essere inviato alla S.O.C. Medicina Riabilitativa per visita fisiatrica ed eventuale presa in carico fisioterapica In qualsiasi caso si ricorda che le misure di intervento sia preventivo che correttivo indicate sono: la variazione della posizione durante il sonno la posizione prona quando il bambino è sveglio BIBLIOGRAFIA 1. “Clinical review: Deformational Plagiocephaly”, Michael J. Granado, PT, ATC, CSCS, Ellenore Palmer, BScPT, MSc, Published by Cinahl Information Systems, Glendale - California, 6 Aprile 2012; 2. “Evidence-Based Care of the Child With Deformational Plagiocephaly, Part I:Assessment and Diagnosis”, Wendy S. Looman, PhD, RN, CNP, & Amanda B. Kack Flannery, MS, RN, CNP, Volume 26, Number 4 - Journal of Pediatric Health Care, July/August 2012; 3. “Consequences of the ‘Back to Sleep’ Program in Infants”, Lauren C. Miller FNP-BC, Arlene Johnson PhD, RN, CPNP, Lisa Duggan APRN, RN, BSN, Melissa Behm MD, Journal of Pediatric Nursing (2011) 26, 364–368; 4. “Evidence-Based Care of the Child With Deformational Plagiocephaly, Part II: Management”, Wendy S. Looman, PhD, RN, CNP, & Amanda B. Kack Flannery,MS, RN, CNP, Volume 26, Number 4 - Journal of Pediatric Health Care, July/August 2012; 5. “Baby with an abnormal head” Manor Hospital, Walsall WS2 9PS, UK, and Universities Kentucky, Lexington, KY 40506, USA; Birmingham Children’s Hospital, Edgbaston, Birmingham B4 6NH, UK, and University of Birmingham, Birmingham, UK; Centre for Population Health Sciences, University of Edinburgh, Edinburgh EH8 9DX, UK; Division of General Internal Medicine and Primary Care, Brigham and Women’s Hospital/Harvard Medical School, Boston, MA02120-1613, USA, BMJ 2014;348:f7609 doi: 10.1136/bmj.f7609 (Published 10 January 2014); 6. Opuscolo: parte a) per i Medici Pediatri, parte b) per i genitori. Volume 1, Numero 4 Pagina 7 Abstract n°1 — “Clinical review: Deformational Plagiocephaly”, Michael J. Granado, PT, ATC, CSCS, Ellenore Palmer, BScPT, MSc, Published by Cinahl Information Systems, Glendale - California, 6 Aprile 2012; Title/condition: Deformational Plagiocephaly Synonyms: Plagiocephaly, deformational; positional plagiocephaly; flat head syndrome; plagiocephaly, positional Anatomical location/body part affected: Cranium, face, cervical region Description: Plagiocephaly is a general term for an asymmetrical cranium. However, deformational plagiocephaly refers more specificall to cranial asymmetry caused by prolonged postnatal positioning and not from premature closure of cranial sutures (i.e., craniosynostosis)(1) Two main categories of deformational plagiocephaly(1, 2) Deformational posterior plagiocephaly –– This involves the asymmetrical posterior flattening of the head coupled with compensatory bossing on the contralateral occiput and/or ipsilateral frontal region(3) A superior view indicates an “oblique-shaped head” (4) The asymmetry of the skull results from prolonged positional forces acting on a malleable cranium that is otherwise normal(5) Deformational plagiocephaly is diagnosed in children who are older than 6 weeks, since asymmetrical head shape in infants younger than 6 weeks old may be the result of the actual birthing process, which may spontaneously resolve(6) Abstract n°2 — J Pediatr Health Care. 2012 Jul-Aug;26(4):242-50; quiz 251-3. Evidence-based care of the child with deformational plagiocephaly, Part I: assessment and diagnosis. Looman WS1, Flannery AB. Abstract Non-synostotic deformational plagiocephaly (DP) is head asymmetry that results from external forces that mold the skull in the first year of life. Primary care providers are most likely to encounter DP when infants present for well-child care, and for this reason it is important that providers be competent in assessing, diagnosing, and participating in the prevention and management of DP. The purpose of this two-part series on DP is to present an overview of assessment, diagnosis, and evidence-based management of DP for health care providers. In Part I we provide a brief background of DP and associated problems with torticollis and infant development, and we present strategies for visual and anthropometric assessment of the infant with suspected DP. We also provide tools for differentiating DP from craniosynostosis and for classifying the type and severity of lateral and posterior DP. Part II (to be published in a future issue of the Journal of Pediatric Health Care) provides a synthesis of current evidence and a clinical decision tool for evidence-based management of DP. PMID:22726709 Abstract n° 3 — J Pediatr Nurs. 2011 Aug;26(4):364-8. Consequences of the "back to sleep" program in infants. Miller LC1, Johnson A, Duggan L, Behm M. Abstract Sudden infant death syndrome (SIDS) is the third leading cause of infant mortality in the United States and the leading cause of death among infants 28-364 days of age. The "Back to Sleep" program was implemented in 1992 to promote supine sleeping in efforts to prevent SIDS. Along with this implementation came several consequences that are avoidable in infants. The purposes of this article are to describe the Back to Sleep program and its intended purpose, to identify the adverse consequences, and to develop a teaching program for nurse practitioners to use with parents that will both promote safe sleeping and reduce the untoward consequences of the back to sleep program while maintaining the integrity of the SIDS prevention advice. PMID:21726787 Abstract n°4 — J Pediatr Health Care. 2012 Sep-Oct;26(5):320-31. Evidence-based care of the child with deformational plagiocephaly, part II: management. Flannery AB1, Looman WS, Kemper K. Abstract Non-synostotic deformational plagiocephaly (DP) is a common condition that affects as many as one in five infants in the first 2 months of life. The purpose of this article, the second in a two-part series, is to present a synthesis of the evidence related to management of deformational plagiocephaly and an evidence-based clinical decision tool for multidisciplinary management of DP. We systematically reviewed and graded the literature on management of DP from 2000 to 2011 based on level of evidence and quality. The evidence suggests that although many cases of DP will improve over time, conservative management strategies such as repositioning, physical therapy, and cranial molding devices can safely and effectively minimize the degree of skull asymmetry when implemented in the first year of life. Outcomes are best when the timing of diagnosis and severity of asymmetry guide decision making related to interventions and referrals for DP. Prevention and management of early signs of DP are best achieved in a primary care setting, with multidisciplinary management based on the needs of the child and the goals of the family. PMID:22920774 Abstract n°5 — BMJ. 2014 Jan 10;348:f7609. Baby with an abnormal head. Gatrad AR1, Solanki GA, Sheikh A. Abstract A young couple present to their general practitioner worried that their 4 month old baby’s head “doesn’t quite look right.” What you should cover What specifically is worrying the parents?—Parents sometimes get concerned that their baby’s head looks smaller or bigger than it should be, is flattened on one side, or is bumpy in places; they may also be worried about the presence or size of the “soft spot” (fontanelle). Is it posture related?—Many babies have a postural asymmetry of the head (plagiocephaly). The main risk factor is the baby’s preferred resting head position, both in utero and in the first few months after birth, while the skull bones are still malleable. Are other family members affected?—Microcephaly (head circumference <3rd centile) and macrocephaly (head circumference >97th centile) can run in families and are generally without consequence. Spontaneous microcephaly is often indicative of a serious underlying problem such as a neurodevelopmental disorder or craniosynostosis (premature fusion of sutures). Although spontaneous macrocephaly is seldom of clinical relevance, identifying secondary causes is important as this may be due to increased intracranial volume, such as in hydrocephalus or a subdural haematoma as a result of birth trauma, or more rarely congenital tumours. A wide fontanelle that is bulging or other sutures widely open can indicate clinically important macrocephaly, as would any evidence of neurodevelopmental issues such as altered tone or convulsions. PMID:2441573 Abstract n°6 — Opuscolo: parte a) per i Medici Pediatri, parte b) per i genitori.
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