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98
uesta settimana
il menu è
da non saLtaRe
analisi della legge
francese sul cinema
“
Ho un grande obiettivo:
far giocare la Roma con una
squadra come Barcellona
o Bayern monaco nel Colosseo.
imposteremo una pay per view,
25 dollari in tutto il mondo
James Pallotta
Presidente della Roma
2014
morituri
te salutant
Martinotti da pagina 2
PiCCoLe
vuoti&Pieni
aRCHitettuRe
il paradiso
degli alberti
Stammer a pagina 5
istantanee ad aRte
la stagione
dei Lettristi
Monaldi a pagina 6
La famigLia
di CuCo
si aLLaRga
Riunione
di famigLia
a pagina 4
sangue
blu
Big apple,
i’m coming
diamo il benvenuto
a due nuovi ingressi
nella redazione
di Cultura
Commestibile,
Barbara setti
e gianni Biagi
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DA NON SALTARE
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di francesco R. martinotti
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franceodeon@gmail.com
a trent’anni a Firenze si tiene il
festival del cinema francese, un
luogo privilegiato dello scambio culturale tra Francia e Italia,
grazie anche alla stretta collaborazione
con le istituzioni del cinema che hanno
sede a Parigi.
Ogni anno il festival seleziona una rosa
dei migliori film francesi scegliendoli tra
gli oltre 250 prodotti Oltralpe e ogni
anno ci rendiamo conto che se nella patria dei fratelli Lumière c’è una continuità e una stabilità del sistema lo si
deve a una legge che esiste dal 47 e che
si è perfezionata nel tempo adeguandosi
alle trasformazioni artistiche e tecnologiche . Essa dà a tutti gli operatori delle
certezze rendendo il settore dell’audiovisivo forte e strategico per il paese.
La legge è stata molto studiata e citata,
ogni volta che si parla in Italia di una
legge di sistema, diventa l’oggetto di dibattiti e approfondimenti.
Fin dai suoi inizi quando ancora si chiamava France Cinema il festival di cinema francese di Firenze è stato non
soltanto una vetrina di film, ma si è
anche occupato di questioni più generali relative al cinema, organizzando seminari, dibattiti, convegni.
In questa fase di rinnovamento del
paese sentiamo la necessità e il dovere
di tornare sul tema della legge francese
per illustrarla nelle sue caratteristiche
non solo nelle linee guida ma anche
negli aspetti più specifici.
Con questo obiettivo abbiamo organizzato a Palazzo Sacrati Strozzi il convegno Belle Toujours: la legge francese sul
cinema, al quale hanno partecipato
molti degli operatori e artisti presenti al
festival: Jean-Louis Livi (produttore),
David Kessler (consigliere dell’audiovisivo del governo francese),Benoit Jacquot (regista), Angelo Cianci
(professore di Cinema alla Sorbona),
Agnès de Sacy (sceneggiatrice). Abbiamo anche avuto nella Senatrice Rosa
Maria Di Giorgi un’ eccellente interlocutrice che ha raccolto proficuamente i
vari spunti emersi nel corso del dibattito.
Tutti i sistemi industriali che producono
cinema e audiovisivo necessitano di risorse pubbliche per la loro organizzazione, il loro sviluppo, il loro
adeguamento tecnologico e per la diffusione dei loro prodotti sui mercati stranieri. Questo accade anche nei sistemi
più liberisti come quello americano
dove l’intervento passa attraverso una
fortissima detassazione.
Sostanzialmente le questioni legate alle
risorse sono le seguenti:
dove si prendono
quante sono
con quale continuità il settore ne può
disporre.
Il sistema che dà risposte più precise a
queste questioni è quello francese grazie
al quale l’industria cinematografica dal
dopo guerra a oggi ha saputo superare
le difficoltà cicliche ed è da sempre un
volano dell’economia francese.
L’industria dell’audiovisivo francese è
l’unica a livello planetario in grado di
La
differenza
tra
noi
loro
e
competere con quella americana (l’India merita una considerazione a parte).
Il comparto dell’audiovisivo d’Oltralpe,
comprensivo dei videogiochi, produce
ogni anno complessivamente l’1% del
PIL pari a 16,3 Miliardi di euro e impiega 340.000 addetti, che equivalgono
all’1,3% dell’occupazione generale: per
avere un termine di paragone, quanto
l’industria automobilistica e più di
quella farmaceutica e della moda.
Il sistema fu pensato nel 1948 da André
Malraux, il romanziere autore de La
condition humaine che ricoprì il ruolo
di ministro della Comunicazione nel
governo provvisorio De Gaulle del periodo post-bellico.
Il principio cardine prevede che tutti coloro che traggono profitto dallo sfruttamento di un’opera cinematografica
debbano necessariamente reimmettere
una minima parte di quel profitto nel sistema generale nel quale sono maturate
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DA NON SALTARE
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analisi
della
un’
legge
le condizioni per la creazione e lo sfruttamento di quell’opera.
Quindi di fatto un prelievo di scopo che
non costa niente all’Erario.
In cosa consiste? Il meccanismo è semplice e chiaro: il 10,72% del costo del biglietto della sala, il 5,5% del fatturato
delle televisioni e il 2% degli utili sulle
vendite dvd e del Video On Demande
costituiscono il nucleo centrale delle risorse che fanno da volano al cinema. Un
totale di 750M€ annui che vengono
suddivisi secondo le necessità tra lo sviluppo delle storie, la scrittura, la produzione, la distribuzione nazionale e
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internazionale, l’esercizio, la conservazione del patrimonio, l’insegnamento
del cinema nelle scuole, ma anche alle
serie televisive.
Attenzione! Questi soldi non sono versati all’erario, ma vanno direttamente al
Centro Nazionale del Cinema e dell’Audiovisivo.
Poi ci sono altri strumenti fiscali e bancari sempre previsti e coordinati dalla
legge che esulano da questi 750M,
come il Tax credit, un tax credit stabile
e continuativo le SOFICA Società per il
Finanziamento del cinema e dell’audiovisivo, e l’IFCIC Istituto per il Finanziamento del cinema e dell’industria
cinematografica, che è importantissimo,
perché fa da garante alle operazioni bancarie, per esempio dà la possibilità ai
produttori di scontare i contratti senza
impegnare la propria casa come succede
da noi.
A questi strumenti di finanziamento, si
aggiungono ingenti risorse pari ad altri
330M € annui derivate dagli obblighi
delle televisioni a investire nel cinema
In particolare
il 3,2% del fatturato delle reti generaliste
e il 27% della rete tematica Canal+. devono essere destinate obbligatoriamente
al
cinema
attraverso
coproduzioni e pre-acquisti di film nazionali.
Ma il dispositivo che per noi è fantascienza e quello che l’obbliga Orange la
compagnia di telefonia mobile francese,
l’ equivalente di TIM, a investire una
parte del suo fatturato nel cinema (per
il 2012, la somma è stata di 18,5 M€.)
Il sistema francese come si può notare
prevede non solo diverse forme di investimenti, ma anche una pluralità delle
fonti, il che garantisce la massima libertà di espressione e di impresa. In Italia attualmente questo non accade
perché gli unici veri finanziatori intorno
ai quali si concentra la maggior parte
della produzione cinematografica sono
due: Rai e Mediaset
Per concludere si può notare che il sistema che si è andato ad elaborare e a
perfezionare a partire dal 1947 è molto
preciso ed elaborato ed è stato armonizzato con le norme che regolano il sistema televisivo.
Inoltre una particolare attenzione la
Francia rivolge alle scuole e al sistema
educativo nel quale sono inserite politiche di educazione dei giovani all’immagine. La materia è prima di tutto materia
d’insegnamento nelle scuole. Da qui dovremmo ripartire anche noi per la formazione del pubblico di domani.
francese
sul
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cinema
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RIUNIONE DI FAMIGLIA
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I CUGINI ENGELS
LE SORELLE MARX
sangue blu
Big apple, i’m coming
Ahi, ahi,ahi, si mette male per il nostro
Vate archeologico, il prof. dott. pres. SE
Silvano Vinceti, famoso cercatore di
ossa nobili e VIPs: un comunicato
stampa del 29 ottobre fa sapere urbi et
orbi che l’estrazione del DNA dalle
ossa ritrovate in Sant’Orsola e che lui è
pronto a giocarci una tibia essere della
Monna Lisa si sta rivelando “complessa, lunga e difficile”. Perché fra il
mescolume di ossa ritrovate potrebbero
esserci anche quelle del marito e del figlio della Monna Lisa (ma, osserviamo
noi, anche di altri ben più oscuri personaggi che si trovassero lì in quel frangente). E poi le ossa son malridotte.
Ma lui, lui no, non demorde. Si sperimenteranno nuove tecniche di estrazione. E poi, alle brutte, “data
l’importanza dell’indagine [ovvero, di
grazia?], se non riusciremo ad estrarre
il Dna dai resti mortali a disposizione,
sono convinto che la principessa Natalia Strozzi Guicciardini [sembra, discendente della Monna] sarà
disponibile a questo prelievo”. Le due
sorelle Natalia ed Irina sono state definite le “Gioconde del Terzo Millennio”
e oltre ad avere i quarti di nobiltà in regola, sono le eredi della rinomata
azienda vitivinicola di famiglia, che ha
sede nel Tenuta di Cusona vicino a San
Gimignano, attiva nella produzione di
vino dal 994 d.C. Insomma, sangue
blu d’annata. E certamente, noblesse
oblige, ça va sans dire... Mica tanto:
pare che la Natalia al buon Vinceti
abbia fatto un inequivocabile gesto dell’ombrello.
Trasferta di Giani Eugenio nella
Grande Mela! Si sa, non c’è inaugurazione, lodevole iniziativa, che non ambisca avere come padrino
(ma anche madrina, testimonial, Gran Sacerdote o
Gran Visir) il Nostro. E
qual è l’evento inaugurativo
del secolo? Senz’altro quello
che segue l’evento catastrofico che l’ha iniziato: l’attentato terroristico alle
Twin Towers di New York. E così Eugenione, che ha dovuto rinunciare ai
sogni di grandezza municipali, ha
ormai assunto la dimensione di Inau-
Registrazione del tribunale di firenze
n. 5894 del 2/10/2012
direttore
simone siliani
redazione
gianni biagi
sara chiarello
aldo frangioni
rosaclelia ganzerli
michele morrocchi
barbara setti
progetto grafico
emiliano bacci
editore
nem nuovi eventi musicali
viale dei mille 131, 50131 firenze
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Con la cultura
non si mangia
Giulio Tremonti
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BOBO
gurista (oh, pardon,
di statista) internazionale e, munito del suo
spettacolare
Iphone, si è scatenato in
un’orgia di cinguettii americani: “World Trade Center a
New York ricostruito e riaperto dopo 13 anni dal
drammatico 11 settembre
2001, attentato alle torri gemelle. Storico!”
Segue rinfresco (anzi, follows refreshment) avrebbe voluto scrivere il Nostro, ma i 140 caratteri erano finiti.
Imprescindibile!
LO ZIO DI TROTSKY
La colpa
di obama
LE NIPOTINE DI BAKUNIN
Cattedra
o poltrona
Non lodevole, bensì prestigiosa iniziativa,
l’ultima nata dalla fronte spaziosa di Eugenio nostro Giani: resuscitare la Libera
cattedra della civiltà fiorentina. S’era nel
1950 quando l’Unione Fiorentina partorì
questa, allora normale, iniziativa; divenuta poi prestigiosa con una serie di illustri relatori: da Giuseppe Ungaretti a
Giovanni Spadolini, da Giovanni Michelucci a Eugenio Garin. E, dunque, quale
più luminosa idea se non quella di far riviver l’iniziativa riprendendo da un altro
Eugenio? ma questa volta illustrissimo,
perché Eugenio se la canta e se la suona:
Presidente (manco a dirlo) del Comitato
scientifico dell’Unione Fiorentina-Museo
Casa di Dante resuscita l’iniziativa e il
primo relatore sulla storia di Firenze romana chi è? Ma Eugenio Giani, of course!
Grande novità!
LA STORIA DI EUGENIO
Alla fine più contenti dei
repubblicani americani paiono essere i giornalisti italiani. A loro, non importa se
di destra o di sinistra,
Obama non è mai piaciuto più di
tanto. Sopravvalutato, poco efficace,
senza strategia, sono tra i commenti
più benevoli che il Presidente ha,
dopo un iniziale innamoramento, goduto qui da noi. E
questo a discapito di
cifre e azioni politiche che l’amministrazione USA ha
snocciolato in questi
anni. Sì bene l’Obamacare ma in
politica estera…. Bene il ritiro dall’Iraq ma il controllo delle armi…
Per cui un elezione di midterm
persa, certo malamente, diventa la
cartina di tornasole di anni di analisi di Obama bravo ma però. Poco
importa che il presidente uscente al
secondo mandato perda quasi sempre le elezioni di metà mandato.
Poco importa soprattutto se il partito del Presidente ha perso queste
elezioni nonostante abbia tenuto
fuori il presidente da tutti i comizi
importanti, da tutte le sfide cruciali.
La sconfitta è di Obama non di un
partito democratico che, detestando
in buona parte i Clinton, non ha costruito nessun Obama, non ha costruito alcuna macchina di consenso
paragonabile a quella dell’allora senatore dell’Illinois. In fondo qui da
noi i presidenti repubblicani li
amiamo e li detestiamo in ragione
della loro politica estera, quelli democratici li consideriamo, con l’eccezione mitologica di Kennedy, o dei
simpatici venditori di Noccioline
(Carter) o al massimo come dei
mandrilli (Clinton) a Obama è toccato il ruolo di quello bravo che non
si applica.
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PICCOLE ARCHITETTURE PER UNA GRANDE CITTÀ
di John stammer
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uando gli operai inziarono a
demolire quel muro, chiaramente posticcio che occultava
l’abside della cappella, non
sapevano di dare il primo colpo di
piccone all’inizio di una lunga avventura culturale. Il convento di San Salvatore e Santa Brigida sorgeva alle
pendici della collina dei "moccoli" in
prossimità della piana di Ripoli. Era
stato fondato, su volere di Antonio
degli Alberti, nel 1392 e, in realtà, era
composto di due conventi. Il primo,
a sud ed a quota lievemente più elevata, era il convento delle monache.
Più a nord verso il corso dell’Arno,
sorgeva il monastero dei monaci.
Quest’ultimo, in preda ad un devastante degrado, fu demolito negli anni
trenta del secolo scorso e, al posto
delle antiche mura conventuali, furono realizzati edifici per abitazioni
degli indigenti; edifici tuttora esistenti, e visibili lungo la via del Paradiso. Il convento delle monache non
aveva subìto lo stesso destino di demolizione, ma era stato ampiamente
rimaneggiato nei secoli, fino al 1960
quando fu "vincolato" ai sensi delle
norme sui beni storico-architettonici.
A dire il vero il Ministero della Pubblica Istruzione (poi sostituito dal
Ministero dei Beni Culturali) aveva
anche avviato, agli inizi del 1940, le
pratiche per l’acquisto del bene ma,
forse anche a causa della guerra, l’acquisto non fu mai perfezionato. Il degrado del complesso era oramai
talmente evidente che il comune di
Firenze, con un atto di una certa "audacia urbanistica", inserì, molti anni
dopo, il complesso all’interno del
Piano Casa del 1987. Il Piano prevedeva la realizzazione di 24 nuovi alloggi e il recupero dell’ex convento
per fini residenziali, incentivando
quindi la fattibilità del recupero con
l’intervento di nuova costruzione. Il
progetto fu affidato a Paolo Antonio
Martini che si è così trovato a gestire
un intervento "doppio". Il restauro e
le nuove costruzioni. Ma realizzare un
nuovo intervento in un contesto pedecollinare, limitrofo ad un contesto
storico di grande importanza, e sopratutto limitrofo ad una articolata
edificazione degli anni settanta, non
fu semplice. E non solo per le difficoltà del progetto. Gli abitanti degli
edifici limitrofi si organizzarono in un
comitato e chiesero all’amministrazione di non realizzare i nuovi alloggi
e di ampliare gli spazi a verde pubblico. Solo nel 2000, con una nuova
amministrazione, si arrivò ad una
conclusione che mise la parola fine ad
una questione iniziata nel 1990.. L’intervento di nuova edificazione potè
essere realizzato e anche il verde pubblico fu ampliato. Nel frattempo gli
interventi di restauro del complesso
dell’ex convento di santa Brigida
erano stati avviati e subito si rilevarono di grande interesse. La demolizione della muratura aveva riportato
in luce alcune parti di affreschi del-
il paradiso
degli alberti
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l’antica cappella del convento, poi diventata sala capitolare. "Un episodio
fra i più significativi dell’arte fiorentina di fine Trecento" lo ha definito la
soprintendente Alessandra Marino.
Un ciclo di affreschi che Antonio
degli Alberti volle fossero realizzati da
Niccolò di Pietro Gerini, che aveva affrescato a Firenze la sede della Compagnia del Bigallo. Un ciclo di
affreschi che oggi è visibile grazie ad
un accurato lavoro di restauro, iniziato a partire dal 1992, realizzato dell’Istituto Arte e Restauro di Palazzo
Spinell, a cura e spese della proprietà.
Un ciclo di affreschi che ha al suo centro ideale la "visione del Paradiso"
come nella Cappella del Podestà (o
Cappella della Maddalena) al Bargello di Firenze. Un ciclo di affreschi
"ritrovati" che non è la sola opera di
restauro eseguita sul complesso. L’intervento ha permesso infatti di recuperare le antiche "quote" del convento
(eliminando gli "interramenti eseguiti
nel corso dei secoli), l’integrità funzionale e architettonica del chiostro
(che era stato completamente tamponato per utilizzare gli spazi, così reperiti, per residenze) e anche il giardino
esterno (demolendo le superfetazioni
preesistenti che lo occupavano) che
inizialmente era destinato a verde
pubblico, ma che studi più accurati
hanno consigliato di mantenere integro, e a destinazione privata, come
"hortus", non realizzando le aperture
previste sulla muratura perimetrale
quattrocentesca. Un intervento che
ha anche realizzato quattro edifici,
con tipologie a schiera terratetto -per
i soci della stessa cooperativa di abitazioni che ha eseguito il restauroproprio in fronte alle case realizzate
negli anni sessanta, su progetto di Sergio Sozzi, per dare una casa agli abitanti degli spazi (dichiarati inagibili
per il degrado strutturale e sanitario)
dell’ex convento. Una storia di bellezza e di degrado lunga oltre sei secoli. Oggi le parti monumentali
dell’ex convento sono accessibili al
pubblico previo appuntamento
(www.paradisodeglialberti.wordpress.com) e il "paradiso degli Alberti" è tornato ad essere un
patrimonio dei cittadini di Firenze.
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ISTANTANEE AD ARTE
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di Laura monaldi
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Dall’alto
Roland Sabatier
Luspurgraphie aux références, 1989
Tecnica mista di cartoncino
cm. 49,5x49,5
Maurice Lemaître
Sonnet, 1963
Tecnica mista e collage su cartoncino
cm 50x50
Isidore Sou
La méchanique de la chasse, 1960
Tutte courtesy
Collezione Carlo Palli, Prato
lauramonaldi.lm@gmail.com
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ella Parigi del primo dopoguerra,
dominata dalla pittura astratta e
informale, i lettristi, ponendosi
in continuità con le modalità
espressive dei dadaisti e dei surrealisti,
svilupparono un’inedita sperimentazione
sul linguaggio che svincolava il significato
dal significante e proponeva una nuova
idea di estetica, capace di sovvertire l’idea
di Arte e abbracciare ogni aspetto culturale. A partire dal Lettrismo l’artista divenne colui che dà vita a una suggestione
astratta, ossia a quella pura presenza che
suggerisce un nuovo atteggiamento verso
l’Arte, in grado di esprimere l’idea di poesia anche attraverso il silenzio. Nelle
opere dei lettristi artisticità e poeticità
giungono a uno stesso livello di concettualizzazione: le particelle linguistiche
vengono private di ogni possibile senso
immediato e gli elementi esistono nella
misura in cui è permesso al fruitore di immaginare un altro elemento inesistente o
possibile. L’obiettivo del Lettrismo è
quello di inventare una lingua vergine e
incontaminata dai legami razionali del significato, che sia contemporaneamente
udibile e visibile e che tenda alla interdisciplinarietà, in quanto costruzione e ricostruzione sensoriale del legame fra la
lingua e il proprio aspetto grafico-visualesonoro-gestuale. La lettera viene percepita come l’unità primordiale del
linguaggio, capace in sé di superare i limiti dell’alfabeto e costruire una nuova
lingua che, svincolata dai debiti semantici, si apre alle infinite possibilità del significante. Con il Lettrismo la lettera
viene percepita in una dimensione estetica inedita, generale e totalizzante, quasi
performativa, poiché riconsegnata alla
propria fisicità, gestualità e visività, legandosi necessariamente all’occasionalità
dell’evento e della fonazione.
Le opere di Isidore Isou, Maurice Lemaî-
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L et rist
t i
tre e Roland Sabatier si inseriscono pienamente all’interno di un’attenta analisi
del linguaggio artistico e letterario, dei
suoi rapporti formali e ideologici, ritmici
e metrici, che intercorrono fra significato
e significante, fra il mondo e la parola referente, nella consapevolezza che l’attualità è avvolta da una tale indeterminatezza
e vanità gnoseologico-esistenziale, la
quale si configura come una crisi del linguaggio, la crisi di una parola che non riesce più a percepire il tempo, la Storia e il
senso del Tutto. Una parola essenzializzata, ridotta alla lettera a ad altri segni linguistici ma, tuttavia, ancora capace di dar
vita a nuovi messaggi e continuare la propria funzione comunicativa, grazie ad
azioni e gesti artistici che travalicano il canone e hanno dato atto all’originalità
delle neo-avanguardie.
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SÌ, VIAGGIARE
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di francesco Cusa
info@francescocusa.it
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hangay. Con calma. Senza enfatizzare troppo. Freddamente.
Nell’orrore
del
contemporaneo, nella brutalità dello sviluppo selvaggio, continuare a coltivare la poesia quale prassi
e rito del quotidiano, ciò ad ogni oasi,
laddove possibile. È ciò che abbiamo
oggettivamente smarrito
Con calma. Senza enfatizzare. Ma qui
abbiamo amici che vengono da mesi
di terapie, medicine allopatiche, antinfiammatori, osteopati, fisioterapisti...risultati zero. Si va in un centro
specializzato in Shangai, e in una sola
seduta ciaociao si risolve il problema.
Meditare.
Paradossi. I motorini a Shangai sono
in buona parte elettrici. La sera viaggiano senza luci. Nessuno indossa il
casco. Si va in tre tranquillamente.
Padri e madri trasportano i bambini e
i neonati in motorino. Non si sente il
rumore. Quindi te li ritrovi ovunque.
Molti vanno in controsenso o usano il
marciapiede. Nel caotico traffico c’è
un surreale ordine. Immagino però gli
incidenti possano essere numerosi. È
davvero strano questo incrocio tra
tecnologia e caos. Ah! Molti hanno in
dotazione un ombrellone (giuro!).
Una cosa che va contro ogni principio
del movimento. Un ombrellone piantato sul mini motorino.
L’esperienza del nostro concerto mattutino all’università di Chongquing è
stata incredibile. Ragazze e ragazzi in
delirio. Dopo il concerto, un assalto
stile Beatles, con tanto di urla e svenimenti delle ragazze (letteralmente).
Cd polverizzati. Finiti. Ok. Analizziamo freddamente la cosa...la classica
frase “l’educazione comincia dalle
scuole”. Qui, fra le divise militari del
training universitario dei quindici
giorni, si respiravano Bellezza, Curiosità, Gioia. Non si faccia l’errore di liquidare la pratica pensando al paese
ingenuo e pieno di entusiasmo. Questo è vero solo in parte. I ragazzi sono
informatissimi. Qui si fa cultura. Qui
c’è fame di cultura. Il direttore è una
persona splendida. Tutti vogliono ca-
travels
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pire. Dopo i concerti le domande. Parliamo di interi dipartimenti dedicati
alle arti. Questo entusiasmo non è ingenuo, semmai poetico. Questo fermento non è proprio dei paesi
emergenti. E’ semmai la naturale condizione legata all’esperienza del quotidiano, della condivisione, della
partecipazione (ciò che abbiamo
perso). Spero che l’orgoglio che li caratterizza possa salvare loro - e dunque il Mondo - dalla globalizzazione.
Auspico che queste generazioni non
facciamo il nostro medesimo errore.
Essi necessitano dei fondamentali
“tools”, certamente, ma questi devono
poi essere funzionali ad un processo
di sviluppo culturale che parta dalle
loro medesime radici. Viceversa nasceranno altre colonie ed il cinismo
farà la sua comparsa, deturpando la
naturale bellezza di questi volti.
Il Rito: alla fine del nostro concerto
all’università siamo stati invitati a
pranzo dal direttore e dai responsabili
del dipartimento. Qui in Cina le decisioni importanti vengono prese a
pranzo o a cena. In questi giorni
siamo stati accompagnati in banchetti
da sogno. La ricchezza, immensa,
della cucina cinese, non rappresenta
alcunché di commensurabile rispetto
ai nostri standards del gusto (ovviamente, quando in Italia si va a mangiare “cinese” non stiamo andando
affatto a mangiare cinese). Nella regione del Chongqing, ad es., i cibi
sono speziati fino all’inverosimile, ma
al contempo delicatissimi. Per non
dire del trionfo delle decorazioni, del
preziosismo dei rituali che introducono poi alla degustazione. Solo dopo
un po’ si parla di “affari”, e si ascolta
quanto ognuno ha da dire. Le impressioni. Le possibilità di instaurare relazioni e scambi. Affascinante il
momento del commiato. Esso arriva
secco, come una lama. A tagliare ogni
inutile ridondanza dopo tutta l’affabulazione precedente. Tutto ciò rimanda
alla repentinità del termine dell’amplesso: dopo immani corteggiamenti,
la donna cede e si “consuma” l’atto, nel
culmine della “petite morte” di bataillana memoria.
(Continua
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SCENA&RETROSCENA
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di mariangela milone
e
ntrare in teatro, attraversare la soglia, penetrare la folla, sedersi, non
sono che azioni di riempimento.
Di tempo, di spazio, di posto. Non
il posto assegnato, non il numero a cui
corrispondiamo in una fila, ma il posto
che abbiamo preso. Entrare, ieri sera, al
Teatro Studio Krypton, è stato un
moto. Prima dello spettacolo era come
fuori da un bar, in una strada senza l’attrattiva dei negozi aperti: bicchieri, sigarette e un giornale di mano in mano.
Quanti spazi ha un teatro? Uno per incontrare persone che conosciamo o
mai viste; uno per sedersi a fumare, in
attesa; uno persino per non essere visti
e osservare. Questi spazi non esistono
contemporaneamente per tutti. In sala
palco, quinte e proscenio, non ci sono
più, anche se continuiamo a percepirne
forte il fantasma. Entrare in teatro è
un’azione precisa. Come quando si presenta una persona nuova. Stringiamo la
mano, sorridiamo in attesa di conoscerla. Al Krypton il sipario non c’è.
Spesso s’incontrano gli attori seduti sul
palco, che aspettano pazienti. A volte
invece, ad attendere c’è una scenografia.
Pensiamo mai, davanti alla televisione
in casa, che le immagini sullo schermo
siano estranee? Che mettano mano all’arredamento, o che i suoni di un film
o di un dibattito ci trascinino fuori dalla
stanza dove non abbiamo rifatto il letto
o sparecchiato? Entrando in gruppo, la
presenza di una scenografia nuda, non
illuminata di senso, sembra un po’ un
intruso tra i nostri discorsi. Di fronte
qualcosa di così stranamente muto. Eppure non era muto per niente. Noi lentamente, stavamo già accumulando una
storia a quelle che ci stavamo raccontando. Facevamo conoscenza con qual-
Per un
teatro
mondo
cosa e non con qualcuno. Uno spettacolo è questo, non è “di” un’altra persona, è un’altra persona. Qualcosa in più
che occupa uno spazio, proprio accanto
e in mezzo a noi. Abbiamo visto, quante
macellerie nell’arte? Quante ne frequentiamo nella vita? Luoghi dove facciamo ogni giorno le stesse cose, fino al
bisogno di evadere o alla nevrosi. Ieri
sera in scena un uomo comandava, o
immaginava di comandare. Nessuna
nota ‘assurda’ o sorriso nero, solo il fascino del macabro di ogni giorno e che
ogni giorno sopportiamo. Ormai non
lo vediamo più. A teatro, ieri, lo abbiamo visto. Tanto che ci ha dato finalmente fastidio. Tanto che, volendo
raccontare come si comportavano gli
spettatori intorno a noi... lo sapremmo
dire? Forse no. Eravamo presi dalla nostra ribellione?
Finalmente.
Entrambe le foto sono di Pia Salvatori
di alessandro iachino
s
ono temi altissimi quelli che la
danza contemporanea sembra
voler affrontare: e lo fa sempre più
spesso ibridandosi, nutrendosi di
alfabeti propri ad altre discipline e coniando con essi nuove parole e nuovi significati. Libertà e sua negazione,
controllo della volontà, costrizione fisica:
questo il materiale su cui il gruppo CANI
- fondato e diretto dal 2012 da Ramona
Caia, Jacopo Jenna e Giulia Mureddu - costruisce il suggestivo “Good Vibrations”,
andato in scena ieri al Teatro Studio: uno
spettacolo per due performer, chiamati
tuttavia a coprire anche il ruolo del concertista. E di un “concerto per Lev Theremin”, nelle parole dei coreografi, si tratta:
il progetto è infatti incentrato sulla figura
del celebre fisico, inventore dell’omonimo
strumento, ma soprattutto straordinario
esempio di esule e fuggitivo. Seduti dietro
a un tavolo colmo di mixer e distorsori, Jacopo Jenna e Francesco Casciaro ricordano più tecnici del suono che danzatori;
al primo - magnifico nella capacità di unire
atleticità e mimica facciale - spetta il compito di trasformare il palco in una sala di
registrazione, allestendolo con un tappeto
e un microfono e dando vita ad una sinfonia di respiri e smorfie. Proprio il rumore
del respiro di Jenna - moltiplicato e distorto da Casciaro, cui si deve la parte più
prettamente musicale dello spettacolo costituisce il basso continuo su cui scrivere
una melodia di movimenti inizialmente
solo accennati, via via sempre più evidenti.
Un processo che raggiunge il suo climax
nella seconda parte della performance,
dove al respiro di Jenna si unisce, come in
un coro, quello di Casciaro. Se la suggestione visiva è quella dei Beach Boys, ai
quali i CANI rubano il titolo di una can-
8
zone, ciò che udiamo ricorda proprio il
suono di un theremin. In America l’inventore trascorse solo una breve parentesi di
una vita raminga: morì nella Russia sovietica, dopo aver subito la violenza della prigionia e dei lavori forzati. Udendo un
determinato suono, il cane avrà sempre
una stessa reazione: e a un determinato ordine musicale, Jenna/Theremin esegue un
determinato gesto. Spogliatosi dall’abito
elegante che indossava nei primi due movimenti del concerto, Jenna adesso è solo
un cane di Pavlov, un mero esecutore di
una volontà esterna, costretto a compiere
gesti assurdi e ripetitivi. Unica liberazione,
possibile e paradossale, dalla gabbia che il
suono del respiro ha creato è un’apnea,
lunga fino a diventare fatale. La ricerca di
nuove soluzioni coreografiche, il lavoro
sulla respirazione, il dialogo con la musica
forniscono gli strumenti su cui muovere
una più ampia riflessione: il teatro sembra
avere qualcosa da imparare, dalla danza
vista allo Zoom Festival.
Per
respiro
solo
BIZZARRIE DEGLI OGGETTI
Lanterne di terra, di mare e fanali
a cura di Cristina Pucci
chiccopucci19@libero.it
3 lanterne, vecchierelle, la prima da
miniera, la seconda da marina e la
terza delle ferrovie dello Stato, a petrolio e con i vetri colorati. Visto che
siamo nella “bizzarria” darò notizie in
tal ambito...
La prima da sinistra è una lampada a
carburo, di simili si usavano, oltre che
sotto ai carri o ai lati dei medesimi,
per scendere in miniera. Il carburo di
calcio, sorta di pietra grigiastra, a contatto con l'acqua, contenuta nel serbatoio di queste lampade, produceva
acetilene, gas infiammabilissimo, che
usciva da apposito beccuccio e che,
acceso, emanava una luminosa
fiamma biancastra. Una curiosità:
Léon Blum presidente socialista del
neo eletto Governo del Fronte Popolare assiste, nel 1946, a Parigi, alla parata del giorno della Bastiglia,
tenendo in mano una lampada da minatore. La foto è di Robert Capa.
La seconda è una lanterna marinara....
Lanterna si chiama il faro di Genova,
suo simbolo, costruito intorno al
1100, è una torre squadrata, ma alta,
elegante e sottile direi, con due terrazzamenti, la “luce”,posta alla sua
sommità, ha un diametro di 4 metri, i
vetri che la delimitano sono alti 4,40
metri. Ci si arriva salendo 365 scalini.
La terza è un “fanale” da segnalazione
delle Ferrovie dello Stato, trattasi di
particolari lanterne costruite in metallo e in cui erano disposti dei vetri
colorati verdi e rossi montati su telai
girevoli in modo da interporre la lastra colorata alla lente e alla fonte luminosa in base ad un comando
mosso manualmente o meccanicamente. La torcia, lanterna o bandiera
a luce rossa segnalavano al macchinista di arrestare immediatamente il
treno, in qualsiasi momento, in caso
di pericolo. Non resisto e devo nominarvi le Lampisterie, piccoli edifici
adiacenti alle stazioni “terminali”, de-
dalla
collezione
di Rossano
dicati alla custodia del petrolio illuminante e di altri prodotti infiammabili.
Erano mini casotti in muratura, dotati
di una piccola porta e una finestra, generalmente vicini o quasi a ridosso di
fabbricati adibiti a magazzino di merci
o a rimessa di locomotive. Nelle lampisterie, affidate agli accenditori, si deponevano i fanali, le lanterne ed i
pezzi di ricambio degli apparecchi illuminanti delle locomotive o dei congegni fissi, nonché si verificava il
livello dei piccoli serbatoi, gli stoppini
e la pulizia dei vetri e degli ottoni,”
fatta generalmente con cascame
asciutto”....
Ultima bizzarra notizia, è nato da pochissimo un altro Museo della Ferrovia (ve ne sono moltissimi in Italia,
anche qui a Firenze), nei locali della
dismessa Stazione di Carpanè- Valstagna, ricostruisce stanza del Capostazione, sala d'attesa, ha molte
immagini e documenti e pochi oggetti ancora …”sono graditi suggerimenti e donazioni...”forse Rossano
può correre in suo aiuto!
C
VISIONARIA
U
O
.com
di simonetta Zanuccoli
simonetta.zanuccoli@gmail.com
L
e case dove abitarono Honorè de
Balzac e Victor Hugo insieme al
museo della Vita romantica, un
tempo casa del pittore Ary
Scheffer dove George Sand soggiornò per lunghi periodi, sono oggi
i tre musei letterari di Parigi con un
ampia documentazione di manoscritti e prime edizioni degli scrittori.
Hugo vi abito dal 1832, Balzac dal
1840 e in entrambe essi trascorsero
l'ultimo periodo della loro vita. E' interessante visitarle, perché attraverso
la loro ubicazione e le testimonianze
custodite in spazi così intimi si percepisce quasi fisicamente come i due
scrittori coetanei, Balzac nacque nel
1799, Hugo nel 1802, abbiano avuto
vite tanto diverse. La maison de
Victor Hugo è situata nella bellissima
Place des Vosges, nel cuore del Marais, al secondo piano del prestigioso
palazzo Rohan Guéménée costruito
da Isaac Armaud. In questo appartamento di 280 mq Hugo vi scrisse le
sue opere più conosciute: I miserabili, I lavoratori del mare e L'uomo
che ride. Nonostante mille vicissitudini, la morte della figlia e del genero
per annegamento, poi quella della
moglie e del fratello, la pazzia dell'altra figlia, Victor Hugo nella vita non
si arrese mai. Poeta, saggista, padre
del Romanticismo, pari di Francia e
deputato dell'Assemblea Costituente,
la sua fama di letterato impegnato in
politica crebbe anche negli anni dell'esilio voluto da Napoleone III. Al
suo ritorno in patria il salotto di Place
des Vosges si riaprì con rinnovato interesse a letterati, poeti e musicisti.
Hugo muore nel 1885. La sua salma
venne esposta per una notte sotto
l'Arco di Trionfo vegliata da dodici
poeti e tumulata al Pantheon appena
inaugurato. La Maison de Victor
Hugo oggi non rispetta più la disposizione originaria perché è stata organizzata in modo da ripercorrere le tre
fasi principali della sua prestigiosa
vita, prima, durante e dopo l'esilio a
Guernsey. Sono rimasti alle pareti rivestite in ricco damasco rosso i ritratti
di famiglia, è stato ricostruito l'arredamento e i decori dell'incredibile
stanza cinese disegnati dallo stesso
Hugo, insospettabile designer, per la
casa della sua amante di sempre Juliette Drouet e la sala da pranzo di
ispirazione medievale, anche questa
progettata dallo scrittore, accanito
collezionista di mobili antichi.
La Maison de Balzac è una dimora
modesta in Rue Raynouard, 47 nel
quartiere di Passy, antico borgo di
campagna alle porte di Parigi, vicino
al Bois de Boulogne. Inseguito dai
creditori, dopo aver cambiato ben undici abitazioni, lo scrittore vi si trasferì
sotto il falso nome di Breugnol che
era quello della governante-amante.
A Balzac era piaciuto di questa casa,
che lui credeva “un rifugio temporaneo”, la tranquillità, il delizioso piccolo giardino e soprattutto un
splendori
e miserie
delle vite
e delle case
In alto la scrivania di Balzac, a destra la sua tomba
nel Cimitero di Père-Lachaise. Sopra Victor Hugo
SCAVEZZACOLLO
o
cavezzalicartoons@hotmail.com
Carpe Infraditum. Jeans procrastina. Piuminum postero. Pashmina in sequitur.
9
secondo ingresso sulla poco frequentata Rue Berton che gli avrebbe permesso di scappare da qualche
inopportuna visita. La sua vita si era
dipanata tra successi letterari, onorificenze, era stato decorato con la Legion d'Onore, imprese geniali, come
aprire una casa editrice per stampare
delle edizioni economiche, idea
nuova per l'epoca, o fantasiose, come
una coltivazione di ananas a Parigi o
lo sfruttamento di certe miniere d'argento in Sardegna già abbandonate in
tempi antichissimi. Progetti finanziati
dalla famiglia, amici e amanti che
avevano il solo risultato di essere fallimentari e di accumulare debiti. Nel
suo rifugio di Rue Raynouard Balzac ha
creato i suoi più bei romanzi come La
cugina Bette e Splendori e miserie delle
cortigiane e il suo capolavoro La commedia umana. Nella casa rimangono
molte testimonianze dello scrittore. La
più commovente è la sua scrivania, sulla
quale scriveva per ore che “ha visto
tutte le mie miserie, cancellato tutte le
mie lacrime, ha conosciuto tutti i miei
progetti, sentito tutti i miei pensieri”.
Sposò dopo una lunghissima relazione
amorosa epistolare la contessa Eva
Hanska. Ma anche quel matrimonio
che Balzac credeva essere la salvezza
di tutti i suoi guai fu una delusione: la
nobile polacca, per una serie di disavventure, non era più ricca come un
tempo. Muore qualche mese dopo
nel 1850 e viene tumulato al cimitero
di Père Lachaise. Nell'orazione funebre che Victor Hugo fece in onore
dell'amico così gli dette l'ultimo saluto: ...questo vigoroso lavoratore mai
stanco, questo filosofo, questo pensatore, questo genio, ha vissuto in
mezzo a noi una vita tempestosa di
lotte e contese. Oggi è in pace, lascia
le contestazioni e i livori....
L’APPUNTAMENTO
di massimo Cavezzali
L’estate di orazio
n 98 PAG.
sabato 8 novembre 2014
virginia Panichi
a istambul
CONTEMPORARY İSTANBUL
Mete Cad. Yeni Apt. No:10/11
34437 Taksim, İstanbul,
www. contemporaryistanbul.com
C
n 98 PAG.
sabato 8 novembre 2014
o
LUCE CATTURATA
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O
.com
L’aquila
5 anni dopo
di davide virdis
per ConfotogRafia
www.davidevirdis.it
www.confotografia.net
La città interrotta
frammenti di una ricerca di normalità
settembre 2014
MUSICA MAESTRO
di alessandro michelucci
a.michelucci@fol.it
In Italia i più noti compositori di colonne sonore sono uomini: Morricone, Piovani, Teardo, tanto per fare
qualche nome. Ma se leggessimo
con attenzione i titoli dei film ci renderemmo conto che in molti paesi
stranieri anche le donne svolgono
spesso questo ruolo. Basti pensare a
compositrici come Anne Dudley
(Full Monty, La moglie del soldato),
Lisa Gerrard (Il gladiatore, La passione di Cristo) e Rachel Portman
(Non lasciarmi, Still Life).
Il loro numero cresce se consideriamo anche quelle che compongono per film non distribuiti in
Italia, come la maggior parte di
quelli realizzati nei paesi scandinavi.
Il disco Music for Film and Theatre,
che raccoglie musiche composte da
Rebekka Karijord, ci offre l’occasione di colmare in parte questa lacuna. Al tempo stesso ci permette di
conoscere un’artista molto particolare: contrariamente alla maggior
parte di coloro che scrivono musica
per film, Rebekka è anche attrice
teatrale e cinematografica. Il suo approccio alla musica è quindi il frutto
di un coinvolgimento totale, anche
se non sempre i due ruoli convivono.
Rebekka Karijord è una norvegese
trentottenne nata nelle Lofoten, un
arcipelago situato a nord del Circolo
Polare Artico. Figlia di artisti, ha imparato a suonare il piano e il violino
in tenera età. Ha cominciato a studiare recitazione e danza prima di
trasferirsi a Stoccolma. Nella capitale svedese ha perfezionato queste
discipline. A 17 anni ha cominciato
a lavorare per un’importante casa discografica, ma ha rotto la collaborazione quando ha capito che questa
voleva lanciarla come cantante pop.
Quindi ha cominciato a lavorare per
il cinema e per il teatro, sia come attrice che come musicista.
La compositrice norvegese ha dimostrato una chiara preferenza per gli
spettacoli che trattano temi di rilievo sociale. Il documentario De
andre (Nowhere Home) si concentra
sul problema dei rifugiati. My Name
is Rachel Corrie racconta la tragedia
della pacifista statunitense uccisa
dall’esercito israeliano mentre manifestava contro l’occupazione dei territori palestinesi. Jag Ser Dig (I See
You) descrive il travaglio interiore di
una ragazza cieca dall’adolescenza
all’età adulta.
All’inizio del nuovo secolo l’artista
ha sentito il bisogno di ampliare ulteriormente il proprio orizzonte artistico e ha cominciato a comporre
musica slegata dal contesto filmico o
teatrale. Neophyte (2003) è il CD
che ha segnato l’inizio di questo
nuovo capitolo artistico.
Quindi ne ha realizzati altri tre, dopodichè arriviamo finalmente a
10
Rebekka
artista
totale
Music for Film and Theatre. In prevalenza strumentale, il disco raccoglie
musiche composte fra il 2007 e il
2013. Un’idea benvenuta, grazie alla
quale possiamo conoscere composizioni che altrimenti sarebbero rimaste inaccessibili. “Madrigal” è un
intreccio di voci ed effetti elettronici, mentre “Waltz for Norma” è un
intermezzo pianistico con brevi interventi vocali. “Salhus” è un delicato impasto di piano, chitarra e
coro. Il piano di Rebekka è protagonista anche nella melanconica “Anchor Boy”. L’intenso coro femminile
di “Kjære Gud Jeg Hat Det Godt” richiama vagamente quelli del celebre
Mystère des Voix Bulgares.
La strumentazione è ricca, con
archi, tastiere e fiati in evidenza. Rebekka suona fra l’altro piano, fisarmonica e chitarra, oltre a cantare.
Un disco ben riuscito, a tratti affascinante, un artista che merita di essere
seguita con attenzione. Merita un
appunto, semmai, il fatto che le note
siano ridotte all’essenziale, senza i titoli dei film e delle opere dai quali
sono tratti i brani.
C
GALLERIE&PLATEE
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.com
di Claudio Cosma
L
claudiocosma@hotmail.com
a mostra si basa sullesperienza sociale e didattica dell’autore, iniziata
nel 2006 in Serbia, con la costruzione di una gigantesca scultura di
Pinocchio, realizzata con prodotti alimentari industriali, poi donati ad un orfanotrofio di Belgrado.
Successivamente a Tokyo, presente con
un Pinocchio gonfiabile alto 15 metri,
realizzato con il contributo dei bambini
delle scuole elementari giapponesi, che
con le loro divise alla marinara si potrebbero dire usciti anacronisticamente, proprio dalle Avventure di Pinocchio. Gli
stessi bambini giapponesi si sono occupati (e lo fanno periodicamente ogni
anno per una certa ricorrenza) di gonfiarlo contribuendo così a dare vita “con
un soffio” ad un Golem positivo, se positiva può essere considerata la figura di Pinocchio.
Il terzo, quello di legno di 6 metri di altezza è costruito da frammenti di altri pinocchi che le 2 fabbriche che in Italia
realizzano tali gadget in legno hanno
messo da parte per l’artista su sua richiesta, sarà esposto da Sensus. Si tratta di pinocchi difettati che il Malagigi
ricompone come fosse un Pinocchio tradizionale, ma avvicinandosi si nota, con
effetto divisionista, che è fatto da migliaia
di pinocchini o frammenti di pinocchi,
questo fa riflettere sul concetto di
"scarto". Questo gigante, icona della città
di Firenze, non è mai stato esposto in Italia.
Gli scarti della lavorazione industriale o
artigianale se non addirittura casalinga,
stanno su di un ambiguo argine, come
sospesi in attesa di poter essere usati ancora, in maniera diversa, per altre produzioni, per esempio, in cucina le foglie di
cavolo usate inizialmente per gli involtini,
se difettate diventeranno ingrediente per
la ribollita (tipica minestra fiorentina,
partecipe col suo concetto di lesina all’atmosfera stessa del romanzo di Collodi),
oppure diventare irreversibilmente rifiuti. Coi rifiuti si entra in un altro apparato sensibile che permea il fare
dell’artista che dichiara:
"È già un fatto che i rifiuti non esistono
più. Il legno è una materia che va amata,
bisogna volerle bene”, ipotizzando un
mondo consapevole dove la costosa produzione di rifiuti non sia più un attanagliante problema, ma una risorsa
sostenibile. Pinocchio stesso è formato
da frammenti culturali e commerciali insieme, il romanzo, infatti è conosciutissimo e paradossalmente non letto se non
nei suoi luoghi mitici: le bucce di pera, la
Fata Turchina, il pescecane che tutti chiamano, non si sa perché, balena, Mangiafuoco, il Paese dei Balocchi e tutto il suo
contorno da romanzo gotico di tristi penombre, assolutamente non compreso.
Il burattino non si realizza e non si evolve
mai e il suo contorno, come in un quadro
di Bosch, è popolato da giudici che condannano gli innocenti, da raggiri e cattiverie, da pentole fumanti dipinte per
aggirare la miseria, dal continuo bondage
istituzionale praticato dai carabinieri col
loro scattar di manette, da una morale
opportunista dove al lavoro si preferisce
metamorfosi
edoardo
malagigi
a sensus
n 98 PAG.
sabato 8 novembre 2014
o
11
piantare, come magica semenza, monete
d’oro. Quindi è costituito da pezzi, come
a pezzi è stato scritto il romanzo da Collodi, e fa bene il Malagigi a volerlo riassemblare in forma di colosso facendone
combaciare i frammenti con una tecnica
di molatura che sarebbe piaciuta a Geppetto.
Le cose e gli oggetti si trasformano continuamente, quelle organiche appartenenti al mondo naturale ad opera del
loro corso vitale, degli eventi atmosferici,
dell’inarrestabile attività umana, tutto
all’interno della capsula temporale che
le accoglie. Malagigi interviene su
quanto elaborato dall’uomo e sceglie
dalle fasi variabili all’interno della catena
produttiva industriale sempre un momento precedente a quello in cui gli oggetti, trapassando dal loro fulgore
rappresentativo in termini di desiderabilità, stanno per abbandonarci, diventando rifiuti. Questa soglia, metafora del
consumismo che si auto alimenta, viene
mantenuta dall’artista (titolare, all’Accademia di Belle Arti di Firenze, del corso
di design e responsabile delle relazioni
internazionali) con l’artificio dell’arte in
uno stato perdurante di vita artificiale
oltre la loro data di scadenza, che ne permette un eterno stato d’uso, che travalica
l’appartenenza al mondo della materia
fisica per divenire puro pensiero.
Dal 14 novembre 2014 al 28 febbraio
2015 a Sensus viale Gramsci 42/a Firenze, aperta al pubblico il venerdì e il sabato dalle 18 alle 20 e su appuntamento.
info@sensusstorage.com – www.sensusstorage.com
controllate
KINO&VIDEO
di sara Chiarello
esse.chiarello@gmail.com
Torna l’approfondimento culturale all’Auditorium Stensen di Firenze (via Don
Minzoni) che per l’undicesima edizione
del Novembre Stenseniano continua nel
suo percorso di informazione, ridefinendo alcuni concetti chiave quali Eros
Filìa e Agape. Da stasera al 14 febbraio
2015 oltre venti ospiti tra psicologi, teologi, scienziati e filosofi (da Remo Bodei
a Don Colzani a Aldo Stella) affronteranno il tema delle relazioni umane al
giorno d’oggi, tra crisi e rivoluzioni tecnologiche, dalle nuove forme di genitorialità alle passioni sportive, dal rapporto
tra sessualità e consumismo fino alla correlazione tra libido e tecnologia, corpo e
pulsioni (ingresso libero). Nel primo appuntamento, Aldo Stella e Don Gianni
Colzani, moderati da Sergio Givone, parleranno degli aspetti storico-filosofici
della riflessione amorosa fino a comprenderne le implicazioni di natura teologica. L’amore tra genitori e figli e
l’amore mistico verranno messi a confronto il 6 dicembre da Anna Oliviero
Ferraris e Marco Vannini, mentre Luisella Battaglia e Duccio Canestrini presenteranno una conferenza
L’amore al tempo della crisi
sull’innamoramento tra generazioni e
culture differenti con un focus sugli
Amori selvaggi – dall’esotismo al consumismo. Fra gli incontri, anche quello con
il filosofo Remo Bodei e Giuseppe Riva
(Università Cattolica del Sacro Cuore)
ospiti il 31 gennaio per un dibattito sull’amore per le cose e le relazioni digitali.
Invece Paolo Mugeri (Università di Milano) e Simona Argentieri (Associazione
Italiana di Psicoanalisi) affronteranno la
controversa relazione tra libido e tecnologia (15 novembre). Dal 13 gennaio al
ciclo di incontri si affiancherà una rassegna cinematografica, che cercherà di offrire una risposta alla domanda “Che
forma ha l’amore oggi?”. Tra questi, Father and Son, vincitore a Cannes 2013
(Premio della Giuria), che mette in
scena il contrasto tra i legami di sangue e
quelli d’affetto (13 gennaio), Verso il sud,
opera di Laurent Cantet sul turismo femminile legato al sesso (20 gennaio), Il
caso Kerenes, Orso d’oro alla Berlinale
2013, The Sessions sul rapporto tra sessualità e disabilità, fino al paradosso tra
l’amore omosessuale e l’ideologia violenta delle correnti neonaziste per Brotherwood. “Questa edizione del
Novembre Stenseniano – spiega P.
Ennio Brovedani sj, Presidente della
Fondazione N. Stensen – si propone
quale occasione e luogo di informazione
e riflessione comune su alcune forme
nuove e inedite di relazioni umane, tanto
reali quanto virtuali, che prospettano evidenti vantaggi e benefici, ma anche il rischio di alterare esperienze, sentimenti e
comportamenti consolidati da secoli,
senza disporre ancora di adeguati strumenti di valutazione e previsione delle
possibili conseguenze”. www.stensen.org.
C
LETTERE&LETTERATI
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.com
di simone siliani
i
s.siliani@tin.it
niziano stasera con una Pedalata
Letteraria dedicata a Dino Campana a Marradi le celebrazioni del
centenario della pubblicazione dei
“Canti Orfici”, il libro, l’unico,. del poeta
marradese. Un programma denso che
va dall'incontro con l'antropologo del
paesaggio Matteo Meschiari “Una
nuova melodia selvaggia. Geografie
campaniane” (Chiesa di Santa Verdiana, Firenze, 18 novembre ore 17),
alla mostra di manoscritti (a partire da
“Il più lungo giorno”, il grado zero dei
“Canti Orfici”) documenti e immagini
alla Biblioteca Marucelliana di Firenze
(27 novembre ore 17), dalle mostre allestite alla Fondazione “Primo Conti” a
Fiesole e al Gabinetto “G.P.Vieusseux a
Firenze, fino allo spettacolo “Canti Orfici #Visioni” della Compagnia Krypton al Teatro Studio di Scandicci.
Ma qui vorrei soffermarmi su una piccola perla di questo centenario: la ristampa anastatica dei “Canti Orfici”,
fedele e accurata, del libro stampato
dalla tipografia Ravagli nel 1914, in un
cofanetto che racchiude anche un quaderno critico di introduzione e nota
bio-bibliografica a cura dello scrittore e
studioso argentino Gabriel Cacho Millet e un CD audio con i CANTI ORFICI letti per la prima volta
integralmente da Claudio Morganti.
Realizzato dalle Edizioni Cronopio e
voluto dall’associazione “Cometa
rossa”, l'edizione anastatica si fonda
sulla copia del libro di proprietà di
Primo Conti e, dunque, realizzata con
la collaborazione con l'omonima Fondazione di Fiesole. Un progetto editoriale realizzato senza contributi pubblici
e che l'associazione “Cometa rossa” ha
voluto, a proprio rischio e pericolo finanziario (esattamente come Campana
100 anni fa), per risarcire il poeta degli
“oltraggi editoriali” inflitti ai “Canti Orfici” in questi cento anni e dare a Dino
quel che doveva essere di Dino, ovvero
una stampa “vera” (“Scrivo novelle poetiche e poesie: nessuno mi vuole stampare e io ho bisogno di essere stampato:
per provarmi che esisto, per scrivere ancora ho bisogno di essere stampato. Aggiungo che io merito di essere stampato
perché io sento che quel poco di poesia
che so fare ha una purità di accento che
è oggi poco comune da noi"). L'associazione ha lanciato una raccolta di
fondi offrendo il cofanetto a tutti coloro
che vorranno aderire all’associazione,
versando la quota associativa di 20 euro
sul ccb n.1000/00018273 presso Banca
CR Firenze, Filiale Firenze 51, Piazza
della Repubblica 16/R, IBAN IT45
U061 6002 8951 0000 0018 273, intestato a ‘”Cometa Rossa’”, indicando
come causale “Quota associativa 2014”
e riportando nella causale stessa il recapito presso cui ricevere il cofanetto.
Sono i miracoli di Campana che, bruciato dalla sua passione poetica, trasmette questo fuoco sacro e folle lungo
i decenni, senza accennare a spegnersi.
Tenere in mano questa anastatica, rileggerne le potenti poesie impresse irregolarmente col piombo di un secolo
SU DI TONO
100
anni
di Canti
orfici
n 98 PAG.
sabato 8 novembre 2014
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fa, ti fa avvertire il dolore dell'uomo negletto dalla comunità dell'accademia
poetica (Papini & co.) che oggi i più
hanno (giustamente) dimenticato
mentre lui ancora vive perché i suoi
versi sono meravigliosi, perché è elettrico, perché sta dentro – lui isolato
montanaro venuto su a pane, castagne
e letture eterodosse e irregolari – le
grandi correnti poetiche dei “maledetti” d'Oltralpe e d'Oltreoceano. Immagini potenti, dirompenti e delicate
che ancora oggi, ne abbiamo riscontri
ogni giorno, infiammano giovani e
meno giovani talvolta ignari della poesia, che prorompono da questo libro
unico e continuano a parlarci, ad urlarci in faccia la follia del mondo che si
crede normale, da quella torre barbara
sui monti dell'Appennino
dediche particolari e sorprendenti
a cura di Lorenzo sandiford
lorenzo.sandiford@gmail.com
La musica è quasi sempre dedicata a
qualcuno: dall’oggetto dell’ispirazione
fino al committente. Ma in certi casi la
dedica è così legata al contenuto dell’opera da essere parte integrante e imprescindibile dell’opera stessa.
È ciò che accade nei brani con “Dediche particolari e sorprendenti” del
concerto di domenica 9 novembre a
Firenze per Suoni Riflessi (ore 11 di
mattina, Sala Vanni): un percorso musicale che sarà introdotto dal musicologo Alberto Batisti, direttore di Rete
Toscana Classica, e che vedrà come interpreti l’ensemble Nuovo Contrappunto e Mario Ancillotti nella doppia
veste di flautista e direttore, nonché il
pianista Antonino Siringo nell’esecuzione di Bach.
Non esisterebbe
infatti il ‘Capriccio sopra la lontananza del
fratello dilettissimo Bwv 992’
di Johann Sebastian Bach,
prima brano in
programma, se non fosse legato strettamente alla vita del giovane Bach, al suo
affetto per il fratello Jakob e al rammarico per la sua partenza, invano contrastata, al seguito di re Carlo XII di
Svezia, come oboista nella sua orchestra. I tempi del Capriccio descrivono
amabilmente i tentativi di Johann Sebastian e degli amici di fargli cambiare
idea: l’adagio è una lusinga per trattenerlo, il successivo andante una rappresentazione dei pericoli nei Paesi
stranieri, l’adagissimo è un lamento generale degli amici, e così via, in un giovanile capolavoro che si può quasi
definire “musica a programma”.
Anche la composizione ‘Ricercare
quarto per flauto e quartetto d’archi –
Pappagalli verdi, cronache di un chirurgo di guerra’ di Fabrizio De Rossi
Re, alla prima esecuzione assoluta, non
è pensabile senza il dedicatario Gino
Strada, che è non solo fonte d’ispirazione ma vera e propria materia del
tessuto musicale. Come dice infatti
l’autore De Rossi Re, «la dedica a
Gino Strada nasce dal voler immaginare un ideale percorso sonoro all’interno dei suoi viaggi nei tanti territori
martoriati: dall’Iraq al Ruanda, dal Pakistan all’Afghanistan, dalla Cambogia
all’Angola, in un percorso eroico, di
profonda e laica dedizione, nel cuore
dell’inferno terreno». La stessa imprescindibilità della dedica sussiste nel
terzo brano musicale che sarà eseguito,
‘Arioso in memory of Wolfgang
Schulz’ per flauto e archi di Nishimura,
uno dei più celebri compositori giapponesi viventi, che scrisse e dedicò
questo commovente brano all’amico
Wolfgang Schulz, magnifico flautista
solista dei Wiener Philharmoniker, deceduto la primavera scorsa. Ad eseguirlo sarà Mario Ancillotti, proprio lui
che dovette sostituire Schulz come
flautista solista nel prestigioso Kusatsu
Festival di cui Nishimura è direttore
musicale.
E anche nell’ultima composizione in
programma, l’‘Idillio di Sigfrido’ (per
13 strumenti) di Richard Wagner, la
dedica è la ragione stessa della sua esistenza. L’Idillio di Sigfrido è infatti il regalo di compleanno che Richard
Wagner fece alla seconda moglie Cosima. L’esecuzione si tenne a sorpresa
nella villa di famiglia, al risveglio della
consorte, la mattina di Natale del 1870,
nella quale lei festeggiava il suo trentatreesimo compleanno. I tredici musicisti raggiunsero la casa di Richard a
Lucerna e, dopo aver accordato gli
strumenti in cucina, si sistemarono
nella scala che portava alla camera da
letto di Cosima. Alle sette e mezza del
mattino, cominciarono l’esecuzione diretti da Wagner stesso e Cosima fu svegliata dalle note di quell’Idillio.
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HORROR VACUI
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disegni di Pam
testi di aldo frangioni
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sabato 8 novembre 2014
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RI-FLESSIONI
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di Paolo marini
p.marini@inwind.it
L
e uccidono il figlio e il giornalista le domanda, il giorno dopo:
“Li perdona?”. Che cosa risponderà la donna? Non è ancora deposta la salma nella bara che
l'incauto, l'insolente, il misero si permette di trasformare il masso in una
foglia, noncurante di quella madre. E'
il portato di un tempo in cui l'informazione e la comunicazione pigiano
tutto in una affollata, confusa contemporaneità, oppure è solo l'ignoranza di uno pseudo-professionista?
E' la pretesa implicita di impacchettare, distribuire e lasciar consumare
rapidamente ogni notizia, secondo
ritmi che bruciano i fatti nel margine
di poche ore o è la malintesa leggerezza di un uomo che per guadagnarsi il pane ha dimenticato che
anche il pane esige un impasto, una
cottura, una lievitazione?
Si sta parlando di un passaggio delicato della vita umana, come si intuisce dalla Bibbia, che mi piace citare
avendo pur chiaro che il perdono
non è prerogativa di uno spirito religioso. Nel Libro dei Proverbi (25, 2122) “se il tuo nemico ha fame, dagli
pane da / mangiare, / se ha sete, dagli
acqua da bere; / perché così ammasserai carboni ardenti / sul suo capo /
e il Signore ti ricompenserà”, mentre
nella prima lettera di Giovanni (3,
14.15) “chi non ama rimane nella
il perdono
ai tempi
dell’
iPhone
morte. Chiunque odia il
proprio fratello è omicida”.
Nondimeno sarà difficile
pretendere che una persona possa riuscire a fare
come Stefano, che prega
per i propri carnefici mentre lo lapidano e chiede al
Signore, prima di spirare,
di “non imputar loro questo peccato” (Atti degli
Apostoli, 7, 54.60) o come
Gesù crocifisso che dice
“Padre, perdonali, perché
non sanno quello che
fanno” (Luca, 23, 34). Comunque ci si accosti a queste pagine, il perdono vi è
delineato come un punto
di approdo necessario per
l'uomo ma da nessuna
parte sta scritto che sarà
immediato, automatico,
certo. Al contrario. I Proverbi (20, 22) ammoniscono di “non dire: “voglio
ricambiare il male”, / confida nel Signore ed egli ti
libererà” e nella parabola
del servitore spietato
(Matteo, 18, 23.35) è spiegato che “così anche il mio
Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro
fratello”; quindi tocca al
Qoelet spiegare che “c'è un
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tempo per abbracciare e un tempo
per astenersi dagli abbracci, (…) un
tempo per la guerra e un tempo per
la pace”. Poche righe bastano a tratteggiare i contrasti, la sofferenza, la
fatica: il perdono sarà verosimilmente l'esito di un processo tutt'altro
che semplice, nient'affatto scontato.
Si tratterà, per lo più, di una elaborazione o 'scoperta' lenta, progressiva,
comunque intima e spontanea, fors'anche o senz'altro di una 'liberazione' (speculare e opposta a quella
che la conversione procura al malvagio di turno, per esempio all'Innominato manzoniano): colui che
perdona rimette a nuova vita la propria anima, seppellisce quella specie
di morte che l’aveva appesantita; il
perdono è uno stato di grazia che
pervade l’offeso, più importante per
quegli che per l’offensore. Il perdono
è, in poche parole, anzitutto per se
stessi.
E il tempo? Per quanto si tratti di una
categoria della coscienza, esso è –
come sostiene Lee Smolin – qualcosa di reale; è il nostro quadro di riferimento e come tale – aggiungo non si può comprimere o tagliare. Bisogna saper rispettare il tempo di
ogni cosa, il tempo di ogni uomo,
compreso il tempo che gli occorrerà
per giungere liberamente e incondizionatamente, al riparo da ogni intrusione, ad una stazione così piena
della propria esistenza.
ICON
di angela Rosi
angela18rosi@gmail.com
Alogo di Dimitris Chiotopoulos è la
mostra, curata da Giuliano Serafini,
alla Galleria La Corte Arte Contemporanea di Firenze visitabile fino al
18 novembre 2014. Sono dieci tele
che fanno parte di un più ampio progetto dell’artista dal titolo “Total Art”,
dieci variazioni cromatiche di una
stessa icona, appunto alogo dal greco
moderno cavallo, anzi due sagome di
cavalli che si fronteggiano, si abbracciano e si fondono nella dispersione
cromatica al limite della riconoscibilità. Sono dieci tavole come i dieci comandamenti, dieci tavole ognuna di
un colore diverso, dieci icone che ci
trasmettono un particolare messaggio
espresso anche dai colori usati dall’artista. Le immagini sono fuori dal
tempo e dallo spazio trasfigurate e
lontane dalla fisicità. I corpi dei cavalli acquisiscono dissolvenza, astrazione e incorporeità, il colore diventa
gioia dello spirito proprio come nelle
icone. Ci smarriamo nelle figure che
si disperdono in belle e corpose pennellate con un movimento verso l’alto
che smaterializza le forme dipinte. La
posizione delle tele richiama un cerchio, le dieci opere ci ricordano che il
numero dieci è la perfezione concernente lo spazio-tempo circolare e indica il cambiamento che permette
l’evoluzione e la crescita spirituale.
Entrare in galleria è scoprire enormi
carte dei tarocchi con le quali possiamo giocare a leggere il nostro futuro, ci sentiamo parte di un tutto che
ci fa scordare il particolare per entrare
in una dimensione universale e arrivare direttamente all’origine: “…in-
tercettare la visione perché da quel
flash emanasse l’essenza “spirituale”
del cavallo, la sua anima..” scrive Giuliano Serafini. Queste tele ci aprono,
inoltre, al ricordo di un antico monumento, il cerchio di pietre. La mostra
di Dimitris Chiotopoulos è ricerca
dell’essenza, Alogo diventa opportunità di evoluzione spirituale per abbracciare il tutto unico dove la
fusione diviene conoscenza e l’essenza è l’esistenza. Alogo di Dimitris
Chiotopoulos si fa, quindi, essenza
stessa della vita.
alogo
e le sue
dispersione
cromatiche
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LETTERE&LETTERATI
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di Roberto mosi
r.mosi@tin.it
s
ono molti i modi per ricordare
la figura di un grande poeta
come Mario Luzi - conferenze,
convegni, spettacoli – a cento
anni dalla sua nascita. TrekkingItalia,
sezione di Firenze, associazione dedicata alla scoperta dei valori ambientali,
l’ha inteso fare alla sua maniera, senza
rimanere nel chiuso di una sala, percorrendo luoghi legati al suo ricordo, a
pagine della sua poesia, da Castello alle
porte di Firenze, al fiume Arno nella
parte a monte della città, da Bellariva,
alla Cupola del Brunelleschi contemplata da Villa Bardini (Fiore nostro fiorisci ancora). Sono ancora in
programma prossimi trekking – poetici, si suol dire, per la parte che ha la
poesia – dedicati al Bisenzio, lungo gli
argini del fiume, in memoria della celebre composizione tratta da Magma,
alla vista dell’Amiata e dei monti della
Val d’Orcia (possibilmente in una giornata di sole …) da Montesenario, ad
uno “sguardo” della città, dall’alto, da
Settignano, leggendo “Il viaggio terrestre e celeste di Simone Martini”:
“E’ là, lei, la Gran Villa/ che brulica e
formicola/ di là dal fiume. Lo tenta e lo
respinge, / ostica, …”
Nello zaino portiamo i libri più amati
di Mario Luzi, per leggere i versi più
suggestivi ad alta voce, insieme, fra
compagni dell’escursione. E’ sempre
una scoperta di nuove corrispondenze
La strada tortuosa che da Siena conduce all’Orcia
traverso il mare mosso
di crete dilavate
che mettono di marzo una peluria verde …
Mario Luzi,
“Su fondamenti invisibili”
n 98 PAG.
sabato 8 novembre 2014
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fra il suono delle parole, le emozioni suscitate, i paesaggi incontrati nel nostro
camminare. La poesia di Mario Luzi –
fuori da ogni retorica delle riunioni ufficiali – si rivela a portata di mano di
tutti noi, si scioglie nell’aria, dalle voci
di tutti noi, le immagini che ci propone
sono davanti a noi, vere, reali, sono il
tramite per rinnovare il riconoscimento
e l’affetto per il “nostro” poeta.
Mario Francesconi, 4 ritratti di Mario Luzi
mario Luzi,
all’aria aperta
ODORE DI LIBRI
di Letizia magnolfi
letizia.magnolfi@gmail.com
Conoscere la Grande Guerra nei
suoi particolari significa anche
studiare la storia del fumetto. O
viceversa. In occasione dell’anniversario della fine della prima
guerra mondiale che si è svolto lo
scorso 4 novembre, nell’anno del
centenario del suo inizio, il Lucca
Comics ha tenuto un incontro
sulla stretta relazione tra fumetto
e guerra. Venerdì 31 ottobre, nella
cornice suggestiva della città di
Lucca, animata dai colori e la fantasia di fumetti, vivi e non, si è tenuto Bànghete – Italiani in guerra
nelle strisce disegnate. All’incontro
hanno partecipato i docenti Claudio Gallo e Roberto Bianchi, il
giornalista Renato Pallavicini e il
famoso fumettista Mino Milani.
È Roberto Bianchi a spiegarci che
fu proprio negli anni del conflitto
che la diffusione di massa dei fumetti fece un passo in avanti. Da
allora in poi, il mercato del fumetto avrebbe continuato a crescere e ancora a crescere. “Il
confronto con la storia è sempre
un confronto difficile – ammette
Renato Pallavicini - c’è bisogno,
come per ogni documentazione,
di un’attenta e accurata ricerca e
selezione delle fonti storiche”.
Anche se poi i fumetti utilizzano
La grande
guerra
dentro
il fumetto
la guerra come
sfondo per racconti di
avventura. È il caso di
“Lilith”, fumetto di
Luca Enoch che ha
come protagonista
una cronokiller
giunta dal futuro sulla
Terra, che deve vedersela, fra l’altro, con
il periodo della
Grande Guerra. Sullo
sfondo, la trincea.
Oppure si può prendere in considerazione il progetto di
Jacques Tardi, “Putain de Guerre”, curato con un’ampia
ricerca di documentazione e fotografie:
una serie di fumetti
con didascalie molto
ampie e un’accurata
documentazione fotografica. Scene horror, visioni
apocalittiche, ambienti classici della
trincea fanno da
sfondo al contenuto
del fumetto. Che dire
allora dello stretto legame tra propaganda
e guerra? È un evento
che spezza in due
l’Europa e cambia ra-
dicalmente il rapporto tra Europa, colonie e resto del mondo.
Roberto Bianchi parla del ruolo
eccezionale che ebbe il “Corriere
dei Piccoli” nella costruzione del
consenso. Rispetto agli altri paesi
in Italia la creazione di quest’ultimo risultava più difficile perché
esisteva una storia di “deficit di
identità nazionale”. In questo
senso, il giornale “svolse un ruolo
di primo piano nel tentativo di
costruire consenso per la guerra e
mobilitare i suoi lettori…”. Per
fare questo furono arruolati i migliori autori di fumetti (tra i quali
Antonio Rubino, Attilio Mussino
e “Gustavino” Rosso) , che divennero creatori di storie per soldati
ancora bambini. Seppure la storia
del fumetto abbia registrato
un’importante punto di rottura
stilistico negli anni ’60 ’70, a
cento anni dalla prima guerra
mondiale esiste ancora una discrasia tra una rappresentazione
della guerra che predilige una
sua visione estetica nonché fatta
di forme narrative tradizionali e
la volontà di raffigurare i veri
protagonisti, che sono piccoli
uomini, i quali niente possono
sui grandi eventi della Storia. Un
esempio di questo tipo di fumetto è “Unastoria”, l’ultimo lavoro di Gipi edito da Cocoino
nel 2013.
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di michele Rescio
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mikirolla@gmail.com
iuseppe Zanini, in arte Nino Za,
nasce a Milano l'11 dicembre
1906. Nel 1927 a Genova si esibisce sul palcoscenico del cinema–
teatro Buenos Aires con il nome d’arte
“Nino Za” improvvisando rapidissime caricature di personaggi dell’epoca. Lavora
nei teatri di avanspettacolo di altre città italiane, tra cui il cinema–teatro Merulana
(ora Brancaccio) e il Bernini di Roma.
Nel 1930 si trasferisce a Udine presso le
zie materne, iniziando l'attività di caricaturista che lo pone rapidamente tra i migliori, con caratteristiche e stile
personalissimi. Ritrae alcuni volti di cittadini più famosi al caffè Contarena. Alla
base di Campoformido (UD) conoscerà
il pilota Guido Rossi e diventeranno
amici: la sua caricatura primeggerà tra i
grandi assi del momento. Qualche anno
dopo disegna lo stemma per il 6° Stormo
della Regia Aeronautica di Ghedi (BS): un
diavolo rosso che sfreccia aggressivo in
picchiata.
Chino Ermacora lo presenta al direttore
del “Piccolo” di Trieste con cui Nino Za
avvia una collaborazione con articoli e illustrazioni. La sua fama si espande, è richiesto dai grandi alberghi di San Remo,
Rimini, Venezia, Cortina d’Ampezzo e dal
Grand Hotel dell’isola di Brioni, dove,
oltre a realizzare numerose caricature, decora e cura l’allestimento del “Bar di notte”,
organizza feste ed illustra la rivista periodica dell’albergo. Nei suoi soggiorni al
Grand Hotel di Rimini il giovane Fellini,
da dietro le siepi, lo guardava con ammirazione e sognava di diventare come lui.
Nel 1932 l’Elicromia Zacchetti di Milano
gli ordina venti caricature di divi del cinema per farne una serie di cartoline che
sono diffuse con successo in tutta Europa,
tanto che gli sarà richiesto di eseguirne una
seconda serie.
Nel 1935 l’editore tedesco Erich Zander lo
invita a Berlino, con un contratto di tre
anni, a eseguire caricature di attori del cinema e del teatro da pubblicare sulle copertine del settimanale umoristico
“Lustige Blätter” e nelle pagine interne del
mensile “das Magazin”.
Nel 1939 rientra in Italia per timore di essere tagliato fuori dell’approssimarsi della
guerra. Si stabilisce a Roma, dove collabora a diversi giornali; tra questi “Il Travaso” e “Film”, conosce il giovane Fellini e,
nonostante la differenza di età, nasce
un’amicizia che durerà tutta la vita.
Nel 1942, in piena guerra, ritorna a Udine,
dove continua la sua carriera di pittore e
caricaturista, fa ritratti alle belle signore
friulane e gli sono richiesti cartelli pubblicitari dalle più importanti aziende locali,
come Morgante, Candolini…
Lega il proprio nome soprattutto a immortali "ritratti" dei maggiori divi del cinema, da Greta Garbo a Clark Gable, da
Federico Fellini (suo grande ammiratore)
a Sergio Tofano e a Sophia Loren.
Tra il 1945 e il 1948, collabora con caricature di personalità friulane al giornale
umoristico “P.U.F.” (organo ufficiale del
partito umoristico friulano).
Nel 1952 apre in via Mercato vecchio la
“Piccola Galleria” presso il ristorante “Al
Monte” prima galleria d’arte privata udi-
Za
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maestro
di
caricature
nese; il pubblico friulano non era ancora
preparato a mostre d’avanguardia e Zanini
durante le stagioni estive e invernali trasferiva la “Piccola Galleria” a Cortina d’Ampezzo, dove c’era un pubblico più
internazionale.
Nel 1955 si stabilisce con la famiglia a
Roma in via Margutta e un paio d’anni
dopo apre la “Galleria Zanini” in via del
Babuino. Zanini, diviene uno dei più importanti mercanti d'arte attivo a livello nazionale, e collezionò, nel corso degli anni
importanti opere d’arte di artisti quali de
Chirico, Campigli, Guidi, Mario Sironi,
Carlo Carra', Filippo de Pisis, Renato Guttuso, Giuseppe Cesetti, Ottone Rosai, Fiorenzo Tomea e Arturo Tosi.
Nel 1967 l’editore Domenico Del Duca fa
ricercare Nino Za, di cui non si avevano
notizie dagli anni Quaranta, da un investigatore privato e rintracciatolo a Roma
nella figura del gallerista Giuseppe Zanini,
gli chiede di eseguire una serie di caricature di cantanti e personaggi dello spetta-
colo per il settimanale “L’Intrepido”. Dagli
anni Sessanta Zanini collabora con vari
giornali e riviste scrivendo racconti e storie
di vita vissuta.
Nel 1981 è pubblicata una monografia sul
caricaturista “Nino Za” che rinverdirà il
successo degli anni Trenta e cui seguiranno una serie di mostre antologiche e
diverse onorificenze.
Nel 1996 muore a Roma l’11 marzo ed è
sepolto a Reggiolo nella tomba di famiglia
da lui voluta.
PASQUINATE
di Burchiello 2000
Le iniziative e le decisioni “epocali”
si sprecano di questi tempi! Nel lessico minimalista, scautistico e un po’
populistico su cui è declinato il dibattito politico dell’ultima stagione,
si scommette più sugli aggettivi che
sui sostantivi. Se il “sostantivo”, infatti, serve a denominare un’entità, a
darle concretezza, il più modesto
“aggettivo” si accorda invece col sostantivo, qualificandolo: da cui l’aggettivo qualificativo, il dimostrativo,
il possessivo, l’indefinito (questi ultimi assai più impiegati).
L’impiego del sostantivo, semmai, è
ora affidato al neologismo (costrutto di nuova introduzione), generalmente in inglese (fa più fino ed
è meno accusabile di “barbarismo”),
da cui, per esempio “jobs act” che
dovrebbe essere la nuova “legge sui
lavori” e non sul lavoro; dimenticando quanto questo neologismo sia
contiguo al “job cut” (riduzione di
posti di lavoro) o al “job loss” (per-
aggettivare!
aggettivare!
aggettivare!
dita di posti di lavoro) o altro ancora. Così, nei vigorosi cinematismi
della “politica parlata” sono in progressivo disuso i sostantivi e trionfano gli aggettivi, soprattutto se
superlativi, possibilmente ripetuti a
raffica, così che si possano facilmente incantare gli astanti. Sembra
ci sia una vera e propria officina del
potere della “politica parlata” preposta ad épater les bourgeois! O ci
sbagliamo ?
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REBUS ISPANICO
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di valentina monaca
valentina.monaca@piccolomoresco.com
Q
uesto momento arriva quasi
per tutti, come l’influenza, gli
esami di maturità, il dente del
giudizio, e non puoi sapere
esattamente quando, ma sta di fatto
che all’improvviso attorno a te scoppia una specie d’epidemia… quella
delle amiche neomamme.
La tua vita – un bel po’ meno della
loro – cambia. Puoi fartela alla larga da
loro per un po’, ma difficilmente condannerai all’ostracismo una buona
amica e cosi finirai anche tu per soccombere al fascino del ciuccio e del
bavaglino e ad adattarti ai loro nuovi
tempi e luoghi. Luoghi soprattutto.
Il bagno, davanti alla vaschetta dove il
piccolo sguazza con le paperelle, diventa il luogo ideale per confessioni e
pettegolezzi, il parco il lacrimatoio per
le pene d’amore.
Poi, quando il freddo ormai è alle
porte e las terrazas all’aperto non sono
più praticabili, inizia il processo di selezione dei locali baby friendly. Scegliere dove andare a cena o
semplicemente prendere un caffè può
trasformarsi in una questione di stato.
Bando ai posti raccolti e intimi, meglio
optare per locali grandi, luminosi e
con tetti alti, dove pianti e strepiti si
disperdono più facilmente e, soprattutto, niente scale e bagni dotati di fasciatoio. Per fortuna c’è sempre
qualcuno che a questo piccolo problema organizzativo ci ha pensato già
e ha scritto un post o addirittura ha
creato un blog. Provo dunque a googlare “bares para ir con niños Madrid”
e, come volevasi dimostrare, appaiono
immediatamente un’infinità di blog
specializzati. Trovo una lista di 8 posti
a prova e a misura di bambino dove la
Bimbi e babbi
beati
ceramica è abolita, i bicchieri sono di
plastica, dai colori vivaci e con cannuccia incorporata, e le posate di
bambù. Per terra solo gomma o prato
sintetico e in ognuno di loro una zona
ad hoc per giochi e creatività. Le foto
mostrano giochi didattici, di legno e
materiali bio che vanno tanto di
moda, e poi tricicli, pupazzetti di
gomma, casette di legno, libri cartonati, lavagne coi gessetti, formine per
il Didò... I nomi dei locali sono tutto
un programma: per chi subisce il fascino dei nomi esotici c’è il Baby deli e
il Little Kingdom o il Cups&Kids, e poi
i più teneri come Merendina&Cioccolato, Arriva il lupo, Mamme e Papà , Il
Molare...
Dopo un rapido consulto decidiamo
di avviarci in gruppo verso uno dei lo-
cali selezionati che si trovano in centro
per far merenda. Questo avverrà solo
dopo che la creatura angelicale di 13
mesi che ci tiene in ostaggio avrà terminato il suo sonnellino pomeridiano.
D’altronde non possiamo fare a meno
di lui, e non solo perché siamo tutti
pazzi di Mattia, ma perché, se non
avessimo lui come trofeo, al varcare la
soglia del bar, ci sentiremmo completamente fuori luogo. Sarebbe un po’
come andare a un rave party in smoking...
Una volta dentro il locale, e prima ancora di gattonare verso i cuscinoni e le
scatole piene di giocattoli, studiamo il
menù. Sembra il solito menù, solo un
po’ più colorato: tramezzini, succhi di
frutta, frappè, caffè, tè, cioccolata
calda, Cola Cao (il Nesquik spagnolo)
n 98 PAG.
sabato 8 novembre 2014
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muffin, torta al cioccolato, torta per celiaci, cookies, pane e nutella, pane e
marmellata...un attimo, pane e nutella?
Eh? Questo locale nel giro di 3 secondi
è riuscito a piazzarsi al primo posto
nella top 5 dei miei locali preferiti e finché Mattia avrà 5-6 anni almeno avrò
la scusa perfetta per tornare!
Dopo la pancia e il suo diletto, arriva
il momento di giocare un po’ con l’angioletto... Ci sono almeno una decina
di bambini nella zona giochi – non a
caso situata in fondo alla sala – alcuni
hanno abbandonato i genitori con il
loro caffè e scorazzano indipendenti,
altri socializzano tra loro in una lingua
a me incomprensibile, c’è persino una
bambina hippie di 15 mesi, con madre
al seguito altrettanto hippie, che prova
a sottrarre un triciclo a forma di coccinella a un competitor... da queste
piccole scene si intuisce chi fra i due
sarà il leader di domani...
E poi c’è il gruppetto dei bimbi 4.0 –
abbastanza numeroso, ma soprattutto
aggressivo con i potenziali usurpatori
della postazione – che si sono avventati sugli unici due iPad a parete e giocano con la App di Peppa Pig o
sflogliano le fiabe animate. C’è persino
un papà per terra che tenta un approccio più “tradizionale” e sfoglia con la
figlia un libro cartonato. Il tentativo
non durerà molto, la casetta di legno
con cucina abitabile vince 1-0.
Sarebbe ora di andare via, il momento
della pappa per Mattia si avvicina, ma
comincia a diluviare... No panic, omogenizzati di manzo, vitello, riso e pollo,
crema di verdure, pappine alla frutta
sono in bella mostra accanto ai muffin
e proprio davanti alla spillatrice della
birra. La combinazione è perfetta e fa
tutti felici. Il bimbo è servito e il babbo
beone gli sorride beato!
GRANDI STORIE IN PICCOLI SPAZI
di fabrizio Pettinelli
pettinellifabrizio@yahoo.it
L’8 settembre 1233, giorno della natività di Maria, sette giovani, appartenenti ad alcune delle più nobili
famiglie fiorentine, si ritirarono in preghiera fuori delle mura, nel luogo in
cui sarebbe sorta la basilica di Santa
Croce. La fama di santità si sparse rapidamente e quelli che sarebbero diventati i Sette Santi Fondatori
dell’Ordine dei Servi di Maria erano
assediati dai fiorentini. Il vescovo Ardingo Foraboschi, per garantire la loro
tranquillità, decise di donare loro un
terreno di proprietà della Curia sul
Monte Asinario, dove i sant’uomini
costruirono una chiesetta, primo nucleo del santuario di Monte Senario.
I sette si mantenevano con la questua
per le strade di Firenze e spesso pernottavano in un piccolo ospizio attiguo all’antichissimo oratorio di Santa
Maria del Cafaggio: il “Cafaggio”, ci
informa il grande geografo Emanuele
Repetti, era un termine longobardo
che indicava un’ampia distesa bo-
Piazza santissima annunziata
sacro
e profano
schiva. Il cafaggio fiorentino si estendeva nell’area compresa fra le attuali
Via San Gallo e Borgo Pinti e l’oratorio si trovava proprio al centro.
Di pari passo con il Santuario di
Monte Senario, cresceva anche l’oratorio del Cafaggio che, di lì a pochi
anni, diventò una splendida basilica;
nel 1252 i Servi di Maria diedero incarico a un giovane pittore, frate Bartolomeo, di dipingere un affresco
dell’Annunciazione della Madonna. Il
giovane si era messo al lavoro di
buona lena ma, arrivato a dipingere il
volto di Maria, non riusciva in alcun
modo a ottenere un risultato soddisfacente. Addormentatosi dopo ore di
vani tentativi, al risveglio trovò il dipinto magnificamente completato, si
disse per mano di un angelo.
I fiorentini gridarono al miracolo e
l’afflusso di pellegrini fu subito tale
che si dovette realizzare, fra la cattedrale e la chiesa del dipinto miracoloso (tuttora conservato nella cappella
dell’Annunziata), una strada nuova di
zecca che, in memoria dei “Santi del
Cafaggio”, prese il nome di Via dei
Servi.
Se dunque i cittadini di Firenze potevano raggiungere in tutta tranquillità
la basilica della Santissima Annunziata, non altrettanto si poteva dire per
i pellegrini che arrivavano da fuori via
e che dovevano attraversare parte del
cafaggio; le maggiori difficoltà si verificavano la notte fra il 7 e l’8 settembre, quando arrivavano dal Mugello e
dal Casentino torme di contadini intenzionati a conquistarsi un posto in
prima fila per le celebrazioni della nascita di Maria e partecipare alla tradizionale fiera che si svolgeva nella
Piazza della Santissima Annunziata. Il
cafaggio pullulava allora delle luci
delle lanterne di carta con le quali i
pellegrini illuminavano il cammino.
I fiorentini osservavano con aria di superiorità i “provinciali” e soprannominarono le donne “Fierucolone”, non si
sa se per la partecipazione alla fiera o
se per una qualche particolare intuibile caratteristica fisica. Fatto sta che
da questo soprannome e dalla lanterne prese spunto la “Festa delle rificolone”.
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di alessandro dini
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n 98 PAG.
sabato 8 novembre 2014
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TRASH TOWN
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sandrodini@libero.it
l nostro Premier è un tantino
“nervoso” sulla questione del rapporto fra lavoratore e datore di lavoro. Pare ignorare – o finge di
farlo – i principi fondamentali che ordinano la nostra società. Mi riferisco
alla Carta Costituzionale, niente male
nei suoi contenuti fondativi. Prima di
tutto non è mai esistito, almeno in Italia, il “posto fisso” così dal nostro Premier superficialmente definito. Il
“posto fisso” assisteva semmai nelle
cosiddette “società robotizzate”, cioè
quelle impostate su due strati di Umanità:
quello
che con
discrezionalità “controlla” chi lavora
e quello che invece lavora, costi quel
che costi. Sembra fantascienza, ma si
tratta di una circostanza nota e ormai
storicizzata. Qualora si ripresentasse,
una rottamazione immediata non sarebbe sufficiente. Evidentemente. Potrebbe invece ancora esserci, e
quando c'era (purtroppo devo usare
l'imperfetto) era fondata sull'articolo
18 dello Statuto dei lavoratori, la “garanzia del lavoro equo e dignitoso”,
tutt'altra cosa oltretutto sancita dall'Art. 1 della Costituzione italiana:
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro ...”. La “garanzia del lavoro equo e dignitoso” è
un'azione di tutela che compete –
guarda caso ‒ proprio al governo, soprattutto a quelli che escono dalle
se
la maggioranza
assomiglia
alla tirannide
Finzionario
di Paolo della Bella e Aldo Frangioni
Tal Rolando Bartali, che si dice seguace di Roland Barthes e di Ferdinand de Saussure,
un parente alla lontana del “Ginettaccio” nazionale, ha pubblicato un libretto che ha più
a che vedere con la psichiatria che con la semiologia. L'estensore del saggio è molto noto
nell'abitato di Ponte a Ema perché traccia geroglifici personali in piccoli foglietti che poi
distribuisce all'uscita della Coop chiedendo a coloro che prendono lo strano pizzino di
voler tradurre in significati quelli che lui reputa dei chiari significanti i segni da lui tracciati.
Per curiosità riproduciamo un esempio di una delle cento pagine dell' oscura ed inutile
pubblicazione.
urne elettorali in piena libertà di
espressione del consenso popolare
(“... La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei
limiti della Costituzione”, ibidem).
Quindi, il compito del governo consiste fra gli altri, ai sensi della Costituzione, nel porre in atto quelle
condizioni che, con il lavoro, permettono al popolo di poter soddisfare la
Costituzione stessa. Poi, altra cosa
che il nostro Premier ha clamorosamente deformato è il rapporto “rappresentatività del popolo/organi di
potere”. Scriveva, ormai oltre 150
anni or sono, Alexis de Toqueville
(Parigi 1805-1859): “... in democra-
KINO&VIDEO
di tommaso alvisi
t.alvisi@tiscali.it
In un’epoca dominata dall'incertezza, dalla
tecnologia e dalla disumanizzazione della
società,il Gruppo Cineforum dell’Arci di
S.Casciano (in collaborazione con Chianti
Banca e la Pro Loco di San Casciano) va in
controtendenza promuovendo la socializzazione sul territorio per la settima stagione
consecutiva attraverso grandi serate di cultura,arte e tanto cinema. Il nostro
gruppo,composto da volontari, si è rinnovato ed è pronto a orientarVi nei meandri
più oscuri della settima arte ascoltando le
Vostre idee e opinioni. Avremo cult,film di
grande impatto del passato e del presente e
due serate in compagnia di giovani autori
che ci porteranno una ventata di freschezza
con alcuni dei loro lavori. Inizieremo il prossimo 14 novembre dedicando l’apertura all'importanza dell'onirico e delle passioni
con un inedito Ben Stiller ne “I sogni segreti
di Walter Mitty”.
Seguirà l’intenso cult “Vertigo” del maestro
del thriller Alfred Hitchcock.
Il 28 novembre faremo una serata importante che dedicheremo a tutti gli amanti dei
film tratti dalla letteratura: un sentito omaggio a Francois Truffaut e al suo “Fahreneit
451”. Seguirà un approfondimento sulle differenze e le convergenze tra libro e trasposizione cinematografica.
A dicembre faremo, (solo per una volta di
giovedì) il 4, il cult dei fratelli Coen ,“Il
grande Lebowski” (drughi di tutto il mondo
unitevi!) e prima di Natale (il 12) ci sarà
spazio anche per i più piccoli e le loro fami-
18
zia, il potere della maggioranza assomiglia molto alla tirannide. Le minoranze e i dissenzienti hanno spazio
relativo per far valere le loro idee e le
loro esigenze. E in questo modo la
democrazia, pur proclamandole, rischia di soffocare le libertà nella loro
accezione sostantivante. Tuttavia,
solo la democrazia può garantire la libertà di fondare enti rappresentativi
– tutori della nozione plurima di libertà del pensiero e d'azione in tutte
le sue espressioni – in difesa delle minoranze impossibilitate a inserirsi in
modo organico nel sistema del potere
esercitato dalle pur legittime maggioranze …”. È questo, se non erro, il “ritratto a parole” del Sindacato, che
scrivo con la lettera maiuscola perché
più che degno di rispetto e considerazione. Il Toqueville esprimeva la
versione politica della nozione di libertà che ne è anche un'espressione
formulata secondo ragione, praticare
la quale trascende lo status libertatis per approdare all'universo delle
ideologie [Cfr di A. Jardin, Alexis De
Tocqueville, Jaca Book]. È questo
uno dei plinti di fondazione delle
grandi democrazie contemporanee.
Ma il nostro Premier ignora veramente tutto ciò, quando confonde il
“posto fisso” con il “diritto al lavoro
equo e dignitoso” e con arroganza
mette alla porta il Sindacato dopo
aver rottamato l'Art. 18 dello Statuto
dei Lavoratori?
torna
il Cineforum
glie con il fantastico “Wall-E” dai geniali autori della Disney Pixar. Il nostro “carrozzone” si fermerà un mese per le vacanze
natalizie.
Il 2015 sarà molto ricco: ricominceremo il
16 gennaio con Wes Anderson e il suo
“Grand Budapest Hotel”,Spike Jonze e il suo
cervellotico “Essere John Malkovich”. Il 30
gennaio interverrà il regista Paolo Santangelo che presenterà direttamente al pubblico
il suo “Ritorno al mare”. A febbraio grande
cinema con “The village” dal regista del
“sesto senso”, M.Night Shyamalan. La serata
pre-San Valentino sarà dedicata ai “piccioncini” con “Questione di tempo” di Richard
Curtis (già regista di “Love Actually”).
Il 20 febbraio sarà con noi il giovane artista
Julien Vannucchi che presenterà un suo documentario sull'eclettico artista Clet. A seguire il cult “American Beauty” con il
premio Oscar Kevin Spacey e,all'inizio di
marzo, il film “Chronicle” che esplora in maniera nuova il tema dell'uso dei superpoteri.
Poi un grande classico del passato con il capolavoro del cinema tedesco, “Il gabinetto
del dottor Caligari” di Robert Wiene. Ma la
sorpresa più bella che regaliamo al pubblico,anche quest’anno,è la serata finale: infatti sarete VOI a scegliere tra una rosa di 14
film. Il più votato sarà proiettato il 20
marzo,data scelta come termine della nostra
rassegna.
Il tutto al prezzo di una piccola offerta libera.
C
U
O
.com
L’ULTIMA IMMAGINE
n 98 PAG.
sabato 8 novembre 2014
o
19
alviso, California, 1972
berlincioni@gmail.com
dall’archivio di maurizio Berlincioni
Il luoghi e la luce a picco del mezzogiorno ci restituiscono immediatamente il feeling di una cittadina di
frontiera del lontano West e ci costringono ad un salto
indietro nella memoria che ci porta dritti dritti alle
scene dei molti films che abbiamo visto quando eravamo più giovani. Ci sono tutti gli ingredienti neces-
sari e sufficienti per trasportarci di peso in quel tempo
ed in quel clima arido e assolato. Abbiamo sia il grocery store/ristorante che l’immancabile e classico Post
Office di ogni villaggio di frontiera che si rispetti. La
luce è molto forte, e sulla strada si vedono una immancabile chiesetta bianca, una grande Station Wagon, un
piccolo bastardino nero in primo piano e una giovane
coppia sullo sfondo, con un altro cane nero, che sta per
essere inghiottita da questa lunga strada polverosa e
senza fine. Niente ci farebbe mai pensare di essere a
solo poche decine di miglia in linea d’aria da San Francisco, la famosissima City-by-the-Bay.