Caroline Huron Il bambino disprassico Indicazioni per genitori e insegnanti Edizione italiana a cura di Marisa Bono e Carlo Muzio Erickson Indice Presentazione all’edizione italiana (C. Huron) 7 Prefazione (L. Sabbadini) 9 Introduzione 11 Capitolo primo Che cos’è la disprassia? 13 Capitolo secondo Dalla diagnosi al riconoscimento della disabilità 33 Capitolo terzo Essere genitori di un bambino disprassico 49 Capitolo quarto Educare un bambino disprassico 65 Capitolo quinto Il bambino disprassico e la scuola 85 Bibliografia 99 Appendice 1 (C. Muzio) La disprassia: complessità clinica e ambiguità terminologiche 103 Appendice 2 (M. Bono) La legislazione in Italia 123 Appendice 3 (M. Bono) Strumenti compensativi e materiali didattici per l’alunno disprassico 137 Presentazione all’edizione italiana Caroline Huron Questo libro è nato dalla sua assenza. Nelle grandi librerie di Parigi, trovavo saggi molto specialistici, scritti da e per medici e professionisti, oppure volumi con un taglio estremamente operativo. Io invece avevo bisogno di un libro che, certo, facesse il punto sulle conoscenze scientifiche relative alla disprassia, ma soprattutto mi dicesse qualcosa della vita quotidiana dei bambini disprassici e dei loro genitori. Cosa provano quando per la prima volta viene posta la diagnosi? Cosa possono fare per aiutare il proprio figlio a casa? In che modo dovrebbero gestire il rapporto con la scuola? Come possono far capire ai loro familiari e amici le difficoltà legate alla disprassia? Come bisogna interagire con i professionisti e gli operatori sanitari? Un libro del genere non esisteva, quindi l’ho scritto. Le prime persone a cui è diretto sono i genitori dei bambini con disprassia: spero che possa aiutarli a trovare un proprio personale modo di aiutare i loro figli. È anche un libro destinato agli insegnanti: molti di loro mi hanno scritto, dopo averlo letto, dicendomi quanto fossero turbati dal constatare che avevano inconsapevolmente «maltrattato» alcuni alunni perché non avevano capito che soffrivano di un problema di coordinazione; spero che questo volume possa permettere loro di seguire nel miglior modo possibile i propri allievi. Ancora, esso riguarda i professionisti e gli operatori sanitari che si occupano di bambini con questo disturbo: comprendere meglio ciò che essi e i loro genitori provano consente di pianificare con maggiore facilità un intervento terapeutico coerente ed efficace. 7 Infine, ho scritto questo libro per i bambini disprassici. I miei incontri con loro, tanto nella vita personale quanto nell’ambito delle ricerche che conduco presso il laboratorio INSERM di Psicologia cognitiva sperimentale diretto da Stanislas Dehaene,1 non fanno che confermarmi, giorno dopo giorno, quanto sono straordinari e quanto è grande il coraggio che dimostrano. Auguriamoci quindi che la società italiana, così come quella francese, progredisca per fare loro lo spazio che meritano. Il laboratorio INSERM-CEA Cognitive Neuroimaging Unit, diretto dal professor Stanislas Dehaene, studia le funzioni cognitive superiori attraverso la psicologia sperimentale, la neuropsicologia e il neuroimaging; in quest’ambito, l’autrice si occupa specificamente delle ricerche sulla disprassia: http://www.unicog.org/pm/ pmwiki.php. (ndr) 1 8 Prefazione Letizia Sabbadini* Sul tema della disprassia si hanno ancora idee molto confuse e non viene facilmente riconosciuta la diagnosi, spesso sostituita da una generica e poco corretta definizione di «ritardo psicomotorio», in quanto viene soprattutto evidenziato un deficit motorio. In realtà il riconoscimento della condizione «disprassica» (la disprassia non è una malattia!), che non va confusa semplicemente con deficit della coordinazione motoria, è molto importante, perché va messo in evidenza come, nonostante siano conservate in molti casi le capacità cognitive, siano le funzioni adattive a risultare deficitarie; tali difficoltà costringono i bambini disprassici a usare enormi quantità di energia per portare avanti dei compiti che per i loro coetanei sono semplici ed elementari. La facile faticabilità diventa quindi deficit di attenzione (attenzione simultanea e sostenuta), soprattutto nei casi in cui è richiesta l’associazione di più funzioni in contemporanea. Anche per vestirsi, spogliarsi, fare un nodo, usare le posate e… scrivere, è necessario utilizzare e coordinare mani e dita, ma anche controllare con la vista quello che si sta facendo e soprattutto gestire le funzioni sequenziali e temporo-spaziali, mantenendo l’ordine sequenziale previsto per eseguire correttamente un dato compito. Nel presente lavoro l’autrice — psichiatra, ricercatrice nel campo delle scienze cognitive e mamma di una bambina disprassica — si Neuropsicologa, Presidente Nazionale AIDEE – Associazione Italiana Disprassia dell’Età Evolutiva. * 9 mette nei panni di sua figlia e dei genitori di bimbi disprassici e dimostra come a volte sia facile non comprendere le reali difficoltà di questi bambini interpretandole come pigrizia, scarsa voglia di fare, testardaggine o — peggio — scarsa capacità di capire quello che sembra così ovvio e fattibile. Tutto ciò aumenta il carico di frustrazione del bambino e genera spesso anche comportamenti reattivi e scarsa fiducia nelle proprie capacità, quindi bassa autostima e atteggiamento rinunciatario. Ritengo che un libro come questo, rivolto soprattutto a genitori e insegnanti oltre che a tutti gli operatori del settore, costituisca un prezioso contributo per cercare di comprendere i bambini disprassici, in particolare per permettere a chi deve quotidianamente occuparsi di loro di gestire al meglio le loro difficoltà, facendo loro riconoscere che molto si può fare per superarle, accettando strategie alternative utili senza per questo sentirsi svantaggiati rispetto ai coetanei. L’aspetto fondamentale — e l’autrice del libro lo evidenzia costantemente — è infondere loro la consapevolezza di poter superare nella vita i diversi ostacoli con ottimismo e fiducia nelle proprie capacità, pur riconoscendo e accettando le obiettive difficoltà, per andare oltre valorizzando le parti positive che ogni individuo possiede. 10 Capitolo primo Che cos’è la disprassia? Come definirla La disprassia è classificata dal DSM-IV come disturbo evolutivo della coordinazione motoria (DCD), per la cui diagnosi sono indicati tre criteri: 1. presenza di una marcata difficoltà o di un ritardo nello sviluppo della coordinazione motoria; le performance risultano inferiori rispetto a un bambino normale di pari età mentale e cronologica; 2. difficoltà di coordinazione non dovute a condizioni patologiche mediche, quali paralisi cerebrali infantili, distrofia muscolare o altro; se il ritardo di sviluppo cognitivo è presente, le difficoltà motorie devono essere di gran lunga preponderanti rispetto ad altre generalmente associate; 3. queste difficoltà interferiscono con l’apprendimento scolastico e con le attività della vita quotidiana. Questo disturbo può manifestarsi tramite un ritardo nel raggiungimento delle tappe di sviluppo motorio (passaggio alla posizione seduta, gattonamento, deambulazione), goffaggine nei movimenti, scarse capacità sportive o disgrafia. Perché si possa porre la diagnosi, occorre che queste prestazioni inadeguate interferiscano in maniera significativa con i risultati scolastici o le attività della vita quotidiana. Non deve esserci una patologia organica associata, come paralisi motoria, emiplegia o distrofia muscolare. In caso di ritardo mentale, le difficoltà motorie devono essere più significative di quelle che sono abitualmente associate a una disabilità intellettiva dello stesso grado. 13 Capitolo secondo Dalla diagnosi al riconoscimento della disabilità Prima della diagnosi Nina è nata alla fine di una gravidanza senza problemi e un parto indotto a termine. La prima infanzia è trascorsa normalmente. Ha iniziato a camminare a 16 mesi. Cadeva spesso, inciampava nei suoi piedi e vomitava parecchio. Parlava molto bene già a 24 mesi (ha pronunciato le sue prime parole a 1 anno). A 3 anni era in grado di tenersi pulita sia di giorno che di notte. È stata accudita da sua madre fino all’età di 4 mesi e poi ha frequentato l’asilo nido fino ai 3 anni senza presentare alcun problema. I guai cominciano quando inizia a frequentare la sezione dei più piccoli alla scuola dell’infanzia. Dopo tre mesi, le educatrici allertano i genitori sul comportamento della figlia. Si rifiuta di partecipare ai laboratori della classe, non si integra facilmente nel gruppo, emette versi simili a quelli degli animali, mangia solo con le mani. Durante i sonnellini a scuola si verificano episodi di enuresi secondaria. Un consulto con uno psichiatra non rivela problematiche. Nel corso dell’anno scolastico si arriva alla sospensione della frequenza per due pomeriggi alla settimana, senza tuttavia constatare un miglioramento significativo a scuola. Nina comunque non vuole andarci. A casa il suo comportamento non crea particolari problemi. Al secondo anno viene iscritta a una scuola dell’infanzia comunale. Dopo alcuni mesi, l’insegnante esprime la sua preoccupazione. Le produzioni grafiche della bambina non sono neppure al livello di un bambino di 4 anni. Non è in grado di disegnare un omino. 33 Capitolo quarto Educare un bambino disprassico Dal punto di vista educativo, il bambino disprassico va seguito in modo diverso da quello che non ha particolari difficoltà nello sviluppo. Ai genitori sono richiesti capacità di ascolto, un atteggiamento comprensivo e una certa fantasia. Dovranno riuscire ad accettare l’inevitabile frustrazione del figlio quando si troverà in difficoltà, dovranno saperlo proteggere dai maltrattamenti, dovranno saper riconoscere non solo le sue difficoltà ma anche le sue potenzialità. Questo capitolo attinge dalle — e intreccia le — esperienze mia e di altri genitori con cui ho interagito durante questi ultimi anni. Non ha come obiettivo quello di dire ai genitori come educare i bambini, ma piuttosto di accompagnarli e segnalare loro alcuni inevitabili problemi che troveranno sul loro cammino. Saper tollerare i «piccoli incidenti domestici» È domenica mattina. Sto sminuzzando delle foglie di menta per metterle nella macedonia quando suona il telefono. Dimentico di mettere il tocco finale al mio dessert e vado a rispondere. Quando ritorno, Manon è là impietrita. Vicino all’insalatiera c’è un pacchetto di riso aperto e nella mia macedonia di fragole, banane e menta ci sono centinaia di chicchi di riso crudi inzuppati. Sono furiosa. Non mi sono fermata per tutta la mattinata e i nostri ospiti arriveranno da un minuto all’altro. Mentre siamo occupate a immaginare come rimediare al danno, sommergo Manon di rimproveri. Sono così 65 al bambino di costruirsi un’immagine di sé in cui le difficoltà sono integrate con le abilità. Non confondere incapacità e cattiva volontà Marie è una mamma esasperata. Suo figlio, Arthur, che ha ormai 6 anni, si fa ancora regolarmente la pipì addosso. Mamma Marie ha provato di tutto: la minaccia, l’imposizione di regole («Vai in bagno prima di uscire»), la ricompensa quando non ci sono incidenti. Niente ha funzionato. Ha immaginato mille motivazioni, fatto molteplici interpretazioni psicologiche e si è molto colpevolizzata. Esaurite tutte le risorse, aggredisce verbalmente Arthur ogni volta che non arriva in bagno in tempo. Arthur abbassa la testa, ma non cambia nulla. Finché un giorno lei espone il suo disappunto su un forum di genitori. Riceve, come risposta, una dozzina di messaggi che le raccontano di incidenti dello stesso tipo che hanno segnato l’infanzia di altri piccoli disprassici. Marie scopre che l’incontinenza vescicale di suo figlio fa parte della patologia. Gli incidenti succedono non perché Arthur, malgrado i rimproveri, non voglia usare il bagno, ma perché non riesce a controllarsi. Juliette si innervosisce a ogni viaggio in macchina. Non sente quello che dice sua figlia, che è seduta sul sedile posteriore. Sempre più esasperata, ogni volta le dice: «Parla più forte Nina, non ti sento». Nina ripete la frase più forte, poi di nuovo diventa incomprensibile. E Juliette ripete: «Parla più forte, Nina» e così via fino a quando non finisce per arrabbiarsi e Nina delusa resta in silenzio. Durante una visita la neuropediatra chiede a Nina di leggere un breve testo. La bimba legge normalmente, poi abbassa talmente la voce che non la si sente più. Juliette riprende la figlia: «Parla più forte Nina». La neuropediatra si rivolge a Juliette e le spiega che Nina deve controllare il respiro così come deve controllare i movimenti. Se non la si sente, non è perché Nina non vuole parlare più forte, ma perché non ci riesce. Avrei potuto essere sia Juliette sia Marie. Come loro, ho perso il conto delle volte in cui mi sono espressa con nervosismo davanti a certi comportamenti inadeguati di mia figlia. E, come per Arthur e Nina, i miei rimproveri non hanno modificato il suo comportamento. 67
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