Case Reports sulle Malattie Infiammatorie Croniche

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ISSN 0392 - 4203
Vol. 78 - Quaderno 1 / 2007
PUBLISHED QUARTERLY BY MATTIOLI 1885
ACTA BIO MEDICA
Atenei parmensis
founded 1887
O F F I C I A L J O U R N A L O F T H E S O C I E T Y O F M E D I C I N E A N D N AT U R A L S C I E N C E S O F PA R M A
-
FINITO DI STAMPARE NEL DICEMBRE 2006
QUADERNI
POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN A. P. - D.L. 353/2003 (CONV IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1, DCB PARMA
14:47
Cod. 902856
19-12-2006
DEPOSITO AIFA: 15-12-2006
00-Cop. Quad. I-2007
Gastroenterologia:
Case Reports sulle
Malattie Infiammatorie
Croniche Intestinali IV parte
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Listed in: Index Medicus / Medline, Excerpta Medica / Embase
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ACTA BIO MEDICA
Atenei parmensis
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QUADERNI
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A C TA B I O M E D I C A - G A S T R O E N T E R O L O G I A
U Z I O N I
DI
Acta Bio Medica è la rivista ufficiale della Società di Medicina e Scienze
Naturali di Parma.
I Quaderni di Acta Bio Medica dedicati alla Gastroenterologia pubblicano principalmente case-reports, saranno inserite occasionalmente reviews
e lavori originali dedicati a quest’area della Medicina.
I dattiloscritti devono essere accompagnati da una richiesta di pubblicazione e da una dichiarazione firmata degli autori che l’articolo non è stato
inviato ad alcuna altra rivista, né che è stato accettato altrove per la pubblicazione.
Tutti i lavori sono soggetti a revisione e si esortano gli autori ad essere concisi.
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• Nome e indirizzo dell’autore a cui deve essere inviata la corrispondenza
relativa al manoscritto. Deve essere indicato inoltre numero di telefono,
fax ed indirizzo e-mail
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COME SCRIVERE UN CASE REPORT
La caratteristica chiave del case report è quella di aiutare il lettore a riconoscere e a trattare un problema simile, se mai dovesse ripresentarsi. Utilizzare un linguaggio chiaro e senza ambiguità, per presentare il materiale in
modo che il lettore abbia una chiara visione di:
-cosa è successo al paziente
-la cronologia di questi eventi
-perché il trattamento è stato eseguito in base a quei determinati concetti.
Cosa descrivere?
Osservare e pensare alla pratica clinica, vi sono molti casi rari o insoliti che
possono meritare una descrizione. La rarità non è però di per se stessa motivo sufficiente di pubblicazione, il caso deve essere speciale e avere un
“messaggio” per il lettore; può servire a fornire la consapevolezza della condizione in modo tale che la diagnosi possa essere più facile in futuro o come una linea di trattamento possa essere più adatta di un’altra.
Il ruolo dei case report è di stabilire un specie di “precedente giudiziario” per
malattie relativamente rare.
Un altro gruppo è quello dei casi associati a condizioni inusuali, anche sconosciute, che possono avere priorità diverse nel loro trattamento.
Come descrivere?
Titolo: Il titolo dovrebbe essere corto, descrittivo e capace di attirare l’attenzione. Se il titolo di un case report contiene troppi dati il lettore potrebbe avere la sensazione che esso abbia spiegato tutto quello che c’è da
sapere.
Introduzione: Solitamente si tende a scrivere una breve storia della malattia, ma questo materiale può essere inserito nella discussione. Il report può
cominciare semplicemente con la descrizione del caso.
Descrizione del caso: Il report deve essere cronologico e descrivere adeguatamente la presentazione, i risultati dell’esame clinico e quelli degli accertamenti prima di andare avanti e descrivere l’evoluzione del paziente.
La descrizione deve essere completa, accentuare le caratteristiche positive senza oscurarle in una massa di rilievi negativi. Considerare quali domande potrebbe fare un collega e assicurarsi che vi siano risposte chiare
all’interno del report. Le illustrazioni possono essere utili.
Discussione del caso: Lo scopo principale della discussione è di spiegare come e perché sono state prese le decisioni e quale insegnamento è stato recepito da questa esperienza. Possono essere necessari alcuni riferimenti bi-
bliografici ad altri casi, bisogna evitare tuttavia di produrre una review.
Lo scopo deve essere di definire e dettagliare il messaggio per il lettore.
Il case report renderà chiaro come un caso analogo dovrebbe essere trattato in futuro.
REVIEWS- LAVORI ORIGINALI
Articoli originali: comprendono lavori che offrono un contributo nuovo o
frutto di una consistente esperienza, anche se non del tutto originale, in un
determinato settore. Devono essere completi di Riassunto e suddivisi nelle seguenti parti: Introduzione, Obiettivi, Materiale e Metodi, Risultati,
Discussione e Conclusioni. Nella sezione Obiettivo deve essere sintetizzato con chiarezza l’obiettivo del lavoro, vale a dire l’ipotesi che si è inteso verificare; nei Metodi va riportato il contesto in cui si è svolto lo studio
(Ospedale, Centro Specialistico…), il numero e il tipo di soggetti analizzati, il disegno dello studio (randomizzato, in doppio cieco…), il tipo di
trattamento e il tipo di analisi statistica impiegata. Nella sezione Risultati
vanno riportati i risultati dello studio e dell’analisi statistica. Nella sezione
Conclusioni va riportato il significato dei risultati soprattutto in funzione
delle implicazioni cliniche.
Review: devono essere inerenti ad uno specifico argomento e permettere al
lettore uno sguardo approfondito sul tema, offrendo una panoramica nazionale ed internazionale delle ultime novità in merito. L’autore deve offrire un punto di vista personale basato su dati di letteratura ufficiali. Dovrà essere suddiviso in Introduzione, Discussione e Conclusione e completo di Riassunto. La bibliografia citata dovrà essere particolarmente ricca.
ILLUSTRAZIONI. È responsabilità dell’autore ottenere il permesso
(dall’autore e dal possessore dei diritti di copyright) di riprodurre illustrazioni, tabelle, ecc, da altre pubblicazioni. Stampe o radiografie devono essere chiare.
Le TABELLE dovranno essere numerate consecutivamente con numeri
romani contraddistinte da un titolo.
Le VOCI BIBLIOGRAFICHE dovranno essere numerate secondo l’ordine di citazione nel testo; quelle citate solamente nelle tabelle o nelle legende delle figure saranno numerate in accordo con la sequenza stabilita
dalla loro prima identificazione nel testo. La lista delle voci bibliografiche
deve riportare il cognome e l’iniziale del nome degli Autori (saranno indicati tutti gli autori se presenti 6 o meno; quando presenti 7 nomi o più, indicare solo i primi 3 e aggiungere “et al.”), il titolo del lavoro, il nome della rivista abbreviato in conformità dell’Index Medicus, l’anno di pubblicazione, il volume e la prima e l’ultima pagina dell’articolo, Esempio: Fraioli P., Montemurro L., Castrignano L., Rizzato G.: Retroperitoneal Involvement in Sarcoidosis. Sarcoidosis 1990; 7: 101-105. Nel caso di un libro, si indicheranno nel medesimo modo il nome degli Autori, il titolo, il numero
dell’edizione, il nome dell’Editore, il luogo di pubblicazione, il numero del
volume e la pagina. Nessun addebito verrà effettuato per foto in bianco e
nero. Comunicazioni personali non dovrebbero essere incluse in bibliografia ma possono essere citate nel testo tra parentesi.
COPYRIGHT
© 2007 ACTA BIO MEDICA SOCIETÀ DI MEDICINA E SCIENZE NATURALI
DI PARMA. La rivista è protetta da Copyright. I lavori pubblicati rimangono
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Direttore Responsabile: M. Vanelli
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Finito di stampare: Dicembre 2006
La banca dati viene conservata presso l’editore, che ne è titolare. La rivista viene spedita in abbonamento; l’indirizzo in nostro possesso verrà utilizzato per l’invio di questa o di altre pubblicazioni scientifiche. Ai
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INDEX
Quaderno 1/2007
Gastroenterologia: Case Reports sulle Malattie Infiammatorie
Croniche Intestinali – IV parte
Mattioli 1885
spa - via Coduro 1/b
43036 Fidenza (Parma)
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DIREZIONE EDITORIALE
Direttore Scientifico
Federico Cioni
Editing Staff
Valeria Ceci
Natalie Cerioli
Cecilia Mutti
Anna Scotti
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MARKETING E PUBBLICITÀ
Direttore Marketing e Sviluppo
Massimo Enrico Radaelli
Marketing Manager
Luca Ranzato
Segreteria Marketing
Martine Brusini
Direttore Distribuzione
Massimiliano Franzoni
Responsabile Area ECM
Simone Agnello
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Review
C. Fabbri, V. Cennamo, A. Fornelli, F. Ferrara
La colite microscopica: l’ipotesi diagnostica e l’opzione terapeutica
G. Meucci
L’ottimizzazione dell’utilizzo dei “nuovi” corticosteroidi nel
trattamento delle malattie infiammatorie intestinali
Articolo originale
A. Viscido, A. Aratari, V. Clemente, M. Cesarini, E. Angelucci, V.
D’Ovidio, R. Caprilli
Efficacia del beclometasone dipropionato nella malattia di Crohn
con attività lieve-moderata
Case Report
L. Ferraris, M. Ferrante, P. Porta, M. Feliziani, G. Bernasconi
Un caso di difficile gestione clinica della RCU nel paziente
giovane
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C.M. Girelli
La trombosi della vena mesenterica superiore. Una diagnosi da
non perdere
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A. Dell’Anna
Displasia e rettocolite ulcerosa
Inserto centrale staccabile “Il Punto ... in breve”
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ACTA BIOMED 2007; 78; Quaderno 1: 4-6
© Mattioli 1885
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La colite microscopica: l’ipotesi diagnostica
e l’opzione terapeutica
Carlo Fabbri, Vincenzo Cennamo, Adele Fornelli*, Francesco Ferrara
U.O. Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, * U.O. Anatomia Patologica ed Endoscopia Digestiva, Presidio Ospedaliero
Bellaria-Maggiore, AUSL Bologna, Bologna
Introduzione
La colite microscopica (CM) è una causa relativamente comune seppur misconosciuta di diarrea acquosa cronica, spesso accompagnata da dolori addominali e perdita di peso.
La malattia è caratterizzata da una mucosa intestinale macroscopicamente normale o quasi normale
(talvolta edematosa) e da un caratteristico quadro istopatologico, che comprende due condizioni: la colite
collagenosica (CC) e la colite linfocitaria (CL) (1).
La maggior attenzione dei clinici ha notevolmente accresciuto le conoscenze in materia, e sono disponibili studi con un buon livello di evidenza sulla terapia da intraprendere.
Epidemiologia, eziologia e patogenesi
Fino a qualche tempo fa considerata una malattia rara, attualmente la CM viene diagnosticata nel
10-20% dei pazienti con diarrea acquosa cronica.
L’incidenza annuale va dai 5.2 ai 4.0 nuovi casi/100000 abitanti, con un picco di incidenza attorno
alla 6a-7a decade, e con prevalenza nel sesso femminile (2) (il rapporto F/M è pari a 7:1 nella CC e 2.4:1
nella LC) (3).
Sono stati descritti casi anche in età pediatrica e
casi ad insorgenza familiare.
I pazienti affetti da CM presentano malattie autoimmuni concomitanti nel 40-50% dei casi; di queste
le più comuni sono rappresentate da disordini tiroidei,
malattia celiaca, diabete mellito, artrite reumatoide,
asma/allergia.
La patogenesi non è chiara: la suddetta prevalenza nel sesso femminile e l’associazione con malattie autoimmuni suggerisce un’influenza ormonale e una predisposizione genetica sulla base della presenza di determinati aplotipi del sistema di istocompatibilità HLA
comuni a queste condizioni patologiche. È stata proposta anche un’eziologia infettiva (Yersinia species, Clostridium difficile) e iatrogena, secondaria all’uso di farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS), lansoprazolo, ticlopidina, simvastatina, flutamide.
Clinica
La colite microscopica, come già detto, causa
diarrea acquosa cronica e ricorrente, spesso associata a
scariche notturne, dolori addominali e perdita di peso.
Non è stata descritta disidratazione grave, ma la presenza di nausea, astenia e incontinenza fecale può ridurre notevolmente la qualità di vita dei pazienti.
L’insorgenza clinica della malattia può essere improvvisa e mimare una diarrea infettiva; il decorso clinico è più spesso cronico e le complicanze sono rare:
sono stati descritti rari casi di perforazione del colon
in colite collagenosica e non è stato riportato alcun aumento di incidenza di carcinoma colo-rettale.
La sintomatologia in alcuni pazienti è lieve tanto
da mimare la sindrome del colon irritabile; la presenza di febbre, vomito ed ematochezia deve pertanto
suggerire una diagnosi alternativa.
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Colite microscopica
Artralgie e altre malattie autoimmuni sono spesso osservati in pazienti con CM; in alcuni casi è riportato un aumento del valore della VES e del titolo degli anticorpi anti-nucleo.
Lo studio radiologico ed endoscopico del colon
raramente rilevano alterazioni macroscopiche come
eritema ed edema della mucosa. In presenza di ulcerazioni, è opportuno escludere una patogenesi iatrogena,
secondaria all’assunzione di FANS.
Di particolare interesse è l’associazione tra CM e
malattia celiaca: circa 1/3 dei pazienti celiaci presenta
alterazioni istologiche della mucosa colica riferibili a
CM. Quindi la diagnosi di CM va considerata in pazienti celiaci in cui la privazione di glutine dalla dieta
non comporti una remissione della sintomatologia
diarroica. Per converso, il titolo degli anticorpi antigliadina e antiendomisio in pazienti affetti da CM
non è statisticamente diverso da quello della popolazione normale e il loro livello sierico, quando rilevato,
è comunque inferiore a quello che si riscontra nei pazienti affetti da celiachia. Tuttavia, come parte della
valutazione iniziale di un paziente con CM, può essere ragionevole valutare la presenza di tali anticorpi
specifici.
La storia naturale della CM è variabile: la remissione completa della sintomatologia è stata riportata
nel 60-93% dei pazienti affetti da CL e nel 2-92% di
pazienti affetti da CC dopo un follow-up di 3-4 anni.
Alcuni pazienti affetti da CM hanno sviluppato una
IBD, ma non ci sono ancora dati sufficienti in letteratura per stabilire se si tratta di una associazione casuale o meno.
Istopatologia
La diagnosi di CM e dei suoi sottotipi, CC e CL,
si basa sul reperto istopatologico (4).
Nella CC l’aspetto più caratteristico è rappresentato da un ispessimento dello strato di collagene subepiteliale, che si trova al di sotto della membrana basale. Questo deve essere ≥ 10 micron (il valore normale
varia da 0 a 3 micron). Tale strato è più prominente nel
colon destro e può essere assente nel colon sigmoideo
e nel retto, pertanto è consigliabile effettuare il prelievo bioptico nel colon ascendente. La valutazione deve
essere effettuata su biopsie correttamente orientate:
sezioni tangenziali possono creare false immagini di
ispessimento.
Si osserva inoltre un incremento dell’infiltrato
flogistico della lamina propria, in assenza di distorsione architetturale, e frequentemente un aumento dell’infiltrato linfocitario intraepiteliale.
Queste alterazioni sono state talvolta riportate
anche nello stomaco, duodeno e ileo terminale di pazienti affetti da CC.
La diagnosi di CL richiede invece un costante e
significativo aumento dei linfociti intraepiteliali,
≥ 20/100 enterociti (il valore normale è < 5/100), in
presenza di uno strato di collagene subepiteliale di
spessore normale.
Va detto però che le alterazioni istologiche della
CM non sono specifiche e sono state descritte anche
in pazienti HIV positivi senza sintomatologia diarroica, nella malattia di Crohn, nella diarrea da carcinoide, nella malattia diverticolare e nell’amiloidosi.
Per una corretta diagnosi è necessaria pertanto
un’efficace collaborazione tra anatomo-patologo e gastro-enterologo.
Trattamento
Un valido approccio terapeutico consiste nell’evitare l’assunzione di FANS e di altri agenti secretagoghi (caffeina e alcol) che possono esacerbare la diarrea.
La terapia antidiarroica non specifica con loperamide e difenossilato/atropina può essere utile.
Se l’utilizzo di tali agenti farmacologici non è efficace, viene previsto l’uso di budesonide, subsalicilato
di bismuto, mesalazina e sulfasalazina, prednisolone e
agenti immunosoppressori. Tra questi la budesonide è
il farmaco più studiato nella CC (5): studi randomizzati hanno dimostrato una consistente riduzione delle
scariche diarroiche dopo 2-4 settimane di trattamento
con dosi giornaliere di 9 mg. Parimenti, a livello istologico, si è dimostrata una riduzione dell’infiltrato flogistico e solo raramente una riduzione dell’ispessimento della membrana basale.
La sulfasalazina e la mesalazina sono state utilizzate estensivamente nel trattamento della CM, ma
mai valutate in studi randomizzati. È presente in let-
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teratura uno studio spagnolo prospettico, sulle differenze di terapia fra collite collagenosica e colite linfocitaria (6); sono stati confrontati oltre al dato clinico
anche gli aspetti istologici, dopo terapia con budesonide e mesalazina, su un totale di 81 pazienti. La risposta alla mesalazina è stata significativa in entrambi i
sottogruppi, ma i risultati migliori si sono avuti nei pazienti con colite linfocitaria. Nei pazienti con colite
collagenosica è stato necessario utilizzare più spesso
anche la budesonide.
La terapia chirurgica può essere considerata solo
in pazienti con grave CM refrattaria alla terapia farmacologia: “slit” ileostomy e colectomia subtotale sono state condotte con successo in alcuni casi.
Conclusioni
La CM nelle sue due forme (CC e CL) è una
causa comune di diarrea cronica, specialmente in donne anziane. La mucosa colica è spesso endoscopicamente normale, ma l’esame istologico del prelievo
bioptico dal colon destro rivela alterazioni che consistono nell’ispessimento dello strato di collagene subepiteliale nella CC e nell’incremento dei linfociti intraepiteliali nella CL. La terapia medica è generalmente efficace: la mesalazina si è dimostrata utile soprattutto nei pazienti con CL, mentre la budesonide
C. Fabbri, V. Cennamo, A. Fornelli, F. Ferrara
(il farmaco attualmente più studiato) è più efficace nei
soggetti con CC, a maggior ragione nei pazienti che
non rispodono alla terapia di prima linea (anti-diarroica non specifica, aminosalicilati e subsalicilati di bismuto), e può rappresentare il trattamento di prima
scelta nei pazienti con sintomatologia severa. L’efficacia del subsalicilati di bismuto è inferiore e meno documentata. Altri studi sono necessari per documentare la gestione dei pazienti con CM.
Bibliografia
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microscopic colitis. Aliment Pharmacol Ther 2006 23 (11):
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4. Liszka L, Woszczyk D, Pajak J. Histopathological diagnosis
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19; (4).
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L’ottimizzazione dell’utilizzo dei “nuovi” corticosteroidi nel
trattamento delle malattie infiammatorie intestinali
Gianmichele Meucci
Unità Operativa di Gastroenterologia - Ospedale Generale di Zona Valduce, Como
Relazione presentata a:
Assemblea Generale Ordinaria GSMII
7 ottobre 2006, Collegio dei Padri Oblati Rho (MI)
Nell’intento di ridurre gli effetti indesiderati della terapia steroidea massimizzandone l’efficacia, negli
ultimi decenni sono state sintetizzate alcune nuove
molecole, dotate di una maggiore affinità per il recettore dei corticosteroidi e contemporaneamente di minori effetti sistemici. Per raggiungere questo secondo
obiettivo sono stati sviluppati sia farmaci scarsamente
assorbibili a livello intestinale (come per esempio il
fluticasone, comunemente impiegato per il trattamento dell’asma bronchiale), sia molecole metabolizzate in
alta percentuale a livello epatico al loro “primo passaggio” subito dopo la loro immissione nel circolo portale. A questa seconda categoria appartengono il beclometasone dipropionato (BDP), e la budesonide, che
negli ultimi anni si sono resi disponibili anche in Italia per il trattamento delle malattie infiammatorie intestinali. In questa trattazione verranno riviste le evidenze di efficacia di questi due preparati e si tenterà di
tracciare le linee-guida per un loro utilizzo ottimale
La budesonide
La budesonide è un potente corticosteroide, dotato di una affinità per il recettore dei corticosteroidi
superiore di 200 volte rispetto all’idrocortisone e 15
volte rispetto al prednisolone. Assunto per os viene
quasi completamente assorbito dal tratto gastrointestinale, subendo un estensivo metabolismo (pari
all’80-90% della quota assorbita) al primo passaggio
epatico; la sua biodisponibilità è quindi molto bassa
(9-12%, rispetto all’80-95% del prednisone) (1, 2).
Il suo primo utilizzo è stato per il trattamento topico dell’asma bronchiale e della rinite allergica; successivamente sono stati messi a punto clismi per il
trattamento della colite ulcerosa (attualmente in commercio in diversi Paesi europei ma non Italia) e, più recentemente, preparazioni orali per il trattamento della
malattia di Crohn.
La budesonide orale nella terapia della malattia di Crohn
Concetti generali
Sono attualmente disponibili due preparazioni
orali di budesonide:
• La prima consiste in capsule a “rilascio ileale
controllato” costituite da granuli rivestiti esternamente da una resina acrilica (Eudragit
L100/55) che si dissolve a valori di pH superiori a 5,5 (vale a dire, nel duodeno); ogni granulo
contiene una matrice di etilcelllulosa che consente un rilascio prolungato del farmaco a livello del lume intestinale. Si tratta quindi di una
formulazione a rilascio combinato ph-dipendente e tempo-dipendente: con questa formulazione la maggior parte del farmaco (59-68%)
viene assorbita a livello dell’ileo e del colon destro ed è pertanto in queste aree che viene in
massima esercitata la azione terapeutica (3, 4).
• La seconda formulazione consiste di compresse
rivestite da un complesso di resine acriliche che
consentono il rilascio del farmaco a partire da
valori di pH superiori a 6; il loro rilascio quindi,
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almeno in linea teorica, dovrebbe avvenire più
distalmente rispetto al precedente (5):
Nonostante queste differenze nel meccanismo di
rilascio, queste due formulazioni sono da considerare
sostanzialmente equivalenti ed entrambe sono indicate esclusivamente per il trattamento della malattia di
Crohn localizzata a ileo e colon destro (5).
Studi di dose-finding hanno dimostrato come
l’effetto massimo sia ottenuto ad un dosaggio di 9 mg
al giorno e non vi sia è alcun vantaggio ad incrementare ulteriormente la dose (6, 7).
È stato anche dimostrato che il frazionamento
della dose non produce alcun incremento di efficacia,
e per questo è consigliata, (come per i corticosteroidi
tradizionali) la somministrazione in unica dose al mattino, allo scopo sia di migliorare la compliance, sia di
minimizzare l’inibizione dell’asse ipofisi-surrene (8,
9). A parità di dosi l’esposizione sistemica del farmaco nei bambini e negli adulti è molto simile (10, 11) e
pertanto i dosaggi consigliati in età pediatrica sono
identici a quelli impiegati negli adulti.
La budesonide nel trattamento della malattia di Crohn in
fase attiva
Numerosi studi controllati ed almeno tre metaanalisi (12-14) hanno consentito di delineare in maniera molto precisa l’efficacia della budesonide (al dosaggio di 9 mg al giorno) in questa situazione:
• Due studi controllati (6, 9) hanno dimostrato la
superiorità della budesonide rispetto al placebo,
con percentuali di remissione clinica complessivamente circa triple (14).
• Uno studio controllato ha dimostrato che la budesonide è significativamente superiore anche
alla mesalazina ad alte dosi per quanto riguarda
sia le percentuali di remissione clinica (60 per
cento contro 30 per cento circa) sia gli effetti
sulla qualità della vita (15, 16).
• Per quanto riguarda il confronto con i corticosteroidi “classici”, tutti gli studi hanno dimostrato percentuali di remissioni superiori, ma in
maniera statisticamente non significativa, nei
pazienti trattati con questi ultimi (8, 17-20). Tre
meta-analisi (12-14) hanno però confermato
che l’efficacia della budesonide è del 30 per cen-
G. Meucci
to circa inferiore rispetto a quella degli steroidi
classici. Tuttavia, anche l’incidenza di effetti
collaterali è nettamente inferiore (meno della
metà): per questo motivo due gruppi indipendenti di esperti sono giunti alla conclusione che
la budesonide va considerata il trattamento di
prima scelta nei pazienti con malattia di Crohn
di ileo e colon destro in fase attiva (21, 22).
• È interessante notare come sia negli studi controllati sopra citati, sia in altri studi aperti (2331) la percentuale di remissione nei pazienti
trattati con budesonide sia risultata molto simile, con valori nella stragrande maggioranza dei
casi compresi fra il 50 e il 60 per cento.
• Una rianalisi dei dati di alcuni studi controllati
ha dimostrato come, oltre che sui sintomi intestinali, la budesonide è efficace anche sui sintomi articolari, in maniera significativamente superiore al placebo e paragonabile ai corticosteroidi tradizionali (32).
• Infine, è stato dimostrato anche un effetto favorevole della budesonide sulla qualità della vita
16, 33)
La budesonide nella terapia di mantenimento della malattia di Crohn
Per quanto riguarda la terapia di mantenimento
sono da distinguere tre diverse situazioni
• Mantenimento della remissione indotta dalla terapia medica: in cinque studi controllati, la percentuale di pazienti in remissione dopo un anno di
trattamento non è risultata diversa nei pazienti
trattati con budesonide rispetto a quelli trattati
con placebo (34-38) e la inefficacia della budesonide è stata confermata da una meta-analisi
(12). Tuttavia, un’altra revisione sistematica della letteratura in cui è stato considerato anche il
fattore tempo ha evidenziato come le percentuali di pazienti in remissione sia più elevata, fra
i trattati con budesonide al dosaggio di 6 mg,
durante i primi sei mesi di trattamento, per poi
divenire simile a quella dei pazienti trattati con
placebo nei mesi successivi (39). Questa differenza non è emersa nello studio in cui la budesonide è stata impiegata a dosaggio inferiore
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(35). Sulla base di questi dati è stato suggerito
che, nei pazienti che raggiungono la remissione,
può essere proponibile la prosecuzione del trattamento con budesonide, 6 mg al giorno per altri sei mesi.
• Prevenzione della recidiva postchirurgica: in questo caso, due studi controllati (40, 41) ed una
meta-analisi (12) non hanno dimostrato alcuna
differenza nei pazienti trattati con budesonide
rispetto al placebo
• Mantenimento della remissione nei pazienti steroido-dipendenti: due studi controllati hanno dimostrato che in questa categoria di pazienti la
sostituzione dei corticosteroidi con budesonide
è più efficace nel mantenimento della remissione clinica rispetto alla loro sostituzione con placebo (42) e mesalazina (43). La possibilità di
poter mantenere la remissione e minimizzare gli
effetti collaterali sostituendo gli steroidi classici
con budesonide è stata suggerita anche da uno
studio aperto (44) e da alcuni case-report (45,
46).
Effetti collaterali
Come già accennato, tutti gli studi controllati
hanno inequivocabilmente dimostrato che l’incidenza
di effetti collaterali del trattamento con budesonide è
molto inferiore rispetto a quella del trattamento con
steroidi classici e, in particolare, l’inibizione dell’asse
ipotalamo-ipofisi, per quanto presente, è sensibilmente inferiore. Tuttavia, seppur in casi eccezionali, sono
stati descritti anche effetti collaterali gravi come lo
shock anafilattico (47).
Per quanto riguarda l’effetto sulla matrice ossea,
uno studio pilota aveva rilevato che l’effetto a breve
termine della budesonide sui markers biochimici di rimaneggiamento osseo sono molto inferiori rispetto
quelli del metilprednisolone (48). Tuttavia, l’unico studio controllato al riguardo ha dimostrato che un minor effetto della budesonide sulla riduzione della densità ossea, rispetto al prednisolone, è evidente soltanto
nel gruppo di pazienti mai trattati in precedenza con
corticosteroidi. Sia i pazienti cortico-dipendenti, sia i
pazienti cortico-responsivi trattati in precedenza mostravano già valori basali di densità ossea mediamente
più bassi, e la ulteriore riduzione nel corso del trattamento era sovrapponibile nei due gruppi (49). Uno
studio osservazionale su pazienti steroido-dipendenti
ha mostrato una maggior riduzione dei valori di densità ossea in corso di trattamento con budesonide rispetto al trattamento con basse dosi (< 15 mg al giorno) di prednisone (50). Questi dati, enfatizzano ulteriormente l’importanza di evitare o ritardare il più
possibile il ricorso ai corticosteroidi classici ma rendono consigliabile mettere in atto, anche nei pazienti
trattati con budesonide, tutte le misure preventive sul
danno osseo comunemente consigliate in caso di trattamento steroideo (51).
Non ci sono dati riguardo il trattamento con budesonide orale in corso di gravidanza: la budesonide in
forma inalatoria è classificata come farmaco di classe
B, e una recente meta-analisi non ha rilevato alcun rischio nelle donne trattate con budesonide per asma
bronchiale durante la gravidanza (52).
Altri utilizzi della budesonide
La budesonide è stata impiegata in due studi (uno
controllato, uno aperto) in pazienti con malattia di
Crohn portatori di ileostomia ad alta portata, ottenendo un incremento dell’assorbimento di fluidi ed una
riduzione dell’effluvio dall’ileostomia stessa (53, 54).
E’ stato anche ipotizzato l’utilizzo di formulazioni orali nel trattamento della colite ulcerosa attiva; sono state sperimentate sia la formulazione a rilascio
pH-dipendente sopra descritta, sia una nuova formulazione costituita da microgranuli a rilascio tempo-dipendente ritardato (55-57). I dati sono comunque ancora preliminari.
La budesonide topica nella terapia della colite ulcerosa
Anche se non in Italia, in altri Paesi europei la
budesonide è disponibile anche in sotto forma di clismi e di clismi a schiuma. Le due preparazioni sono
del tutto equivalenti (58), e il dosaggio ottimale è stato stabilito in 2 mg (in 100 cc per i clismi, in 25 cc per
le schiume) in monosomministrazione (59-61).
Diversi studi ed una meta-analisi hanno documentato la superiorità di questo trattamento rispetto
al placebo (62) e la sostanziale equivalenza rispetto
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agli steroidi tradizionali, ma con meno effetti collaterali (59, 63-67). Il trattamento topico con budesonide
è invece risultato significativamente meno efficace
della mesalazina topica (68, 69). Al pari degli altri corticosteroidi, anche la budesonide non ha alcuna efficacia nella terapia di mantenimento (61). Infine, in uno
studio controllato la budesonide topica si è dimostrata altrettanto efficace del metronidazolo per os nel
trattamento della pouchite (70).
Ottimizzazione dell’utilizzo della budesonide nella malattia di Crohn - Conclusioni
tale citocromo (in particolare, ketoconazolo e
succo di pompelmo).
• Nei pazienti in trattamento con budesonide dovrebbero essere messe in atto le stesse precauzioni comunemente consigliate in caso di terapia steroidea per quanto riguarda sia la prevenzione del danno osseo, sia l’inibizione dell’asse
ipotalamo-ipofisi-surrene.
Il beclometasone dipropionato (BDP)
Cenni di farmacocinetica e farmacologia clinica
Indicazioni
• Nei pazienti con malattia di Crohn di ileo e colon destro in fase attiva la budesonide per os, al
dosaggio di 9 mg al giorno, è da considerare il
trattamento di prima scelta.
• Nei pazienti che raggiungono la remissione clinica può essere proponibile la prosecuzione del
trattamento con budesonide, 6 mg al giorno per
altri sei mesi allo scopo di ritardare la riacutizzione.
• Nei pazienti steroido-dipendenti che non tollerano il trattamento immunosoppressorio e che
non sono candidabili alla chirurgia il passaggio
al trattamento con budesonide può essere
un’opzione.
Modalità di impiego
• Come per i corticosteroidi tradizionali,è consigliabile la somministrazione in dose unica alla
mattina.
• Pur in assenza di evidenze chiare in tal senso,
molti esperti consigliano, al termine del trattamento di fase acuta, di ridurre il dosaggio progressivamente, di 3 mg ogni 4 settimane (71).
• Dato il prevalente metabolismo epatico della
budesonide, nei pazienti con epatopatia grave
dovrebbe essere considerata una riduzione di
dosaggio. Inoltre, la budesonide è metabolizzata
a livello del citocromo CYP3A4; pertanto, i suoi
livelli ematici possono essere incrementati in caso di assunzione concomitante con inibitori di
Il beclometasone dipropionato è uno steroide dotato di una potente attività anti-infiammatoria, e di
una elevata lipofilia. Dopo somministrazione per via
inalatoria, la quota assorbita viene rapidamente metabolizzata nei componenti inattivi beclometasone monopropionato e beclometasone alcol, che sono rapidamente eliminati attraverso la bile e le urine (72). Dopo somministrazione per via rettale a dosaggio pieno
(sia in acuto, sia dopo trattamento prolungato) non è
possibile rintracciare né il farmaco, né i suoi metaboliti a livello ematico od urinario (73, 74). Inoltre, studi
eseguiti sia su pazienti, sia su volontari sani utilizzando dosaggi variabili da 0,5 a 3 mg al giorno (sempre
per via topica) non hanno rilevato alcuna riduzione né
dei livelli ematici di cortisolo a digiuno o dopo stimolazione con ACTH, né della escrezione urinaria del
cortisolo stesso (75-77).
Trattamento topico con beclometasone nella colite ulcerosa distale
Il beclometasone dipropionato è disponibile in
Italia in tre forme topiche: clismi, clismi a schiuma e
supposte. I dati presenti in letteratura riguardo alle ultime due formulazioni citate sono ancora molto limitati (79-80), per cui di seguito verranno esaminati solo i dati relativi ai clismi tradizionali.
In 3 studi controllati sono stati confrontati 0,5
mg di BDP con 5 mg di betametasone, per periodi
variabili da 14 a 28 giorni, in un numero limitato di
pazienti (75-77). In due di essi l’efficacia clinica dei
due farmaci risultava paragonabile (75, 76) mentre nel
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terzo il betametasone risultava leggermente più efficace (77). Analogamente, 1 mg di BDP si è dimostrato meno efficace di 30 mg di prednisolone fosfato
(73) mentre in un ulteriore studio è stata dimostrata
una sostanziale equivalenza fra 2 o 3 mg di BDP e 30
mg di prednisolone (74). Tutti questi studi documentavano in ogni caso, come sopra accennato, la totale
assenza di effetti del BDP sull’asse ipotalamo-ipofisario, a differenza di quanto costantemente rilevato
per i farmaci di confronto. Sulla base di questi dati il
dosaggio di 3 mg al giorno è stato identificato come
quello ottimale.
In due studi successivi, tale dosaggio ha confermato una efficacia sostanzialmente sovrapponibile a
quella dell’idrocortisone (81) e del prednisolone sodico (82). Nel primo di questi studi la percentuale di risposta (completa o parziale) a 6 settimane è risultata
15/20 con BDP e 17/20 con idrocortisone 100 mg, e
in due dei pazienti trattati con idrocortisone sono stati osservati effetti collaterali (facies lunare). Nel secondo e più ampio studio (157 pazienti arruolati) la percentuale di remissione completa (clinica ed endoscopica) a 4 settimane è stata del 29% con BDP, 3 grammi
al giorno e del 25% con prednisolone, 30 mg.
A differenza di quanto costantemente rilevato per
le altre formulazioni di steroide topico, l’efficacia del
beclometasone si è dimostrata sovrapponibile a quella
della mesalazina topica in almeno 3 studi controllati
(79, 80, 83). In particolare, in entrambi gli studi in cui
sono state registrate le percentuali di remissione clinica, queste sono risultate leggermente (anche se non significativamente) superiori nei pazienti trattati con
beclometasone: 70% contro 66% nel primo (80) e 36%
contro 29% nel secondo (83).
La associazione BDP/5-ASA in forma di clisma
si è rivelata significativamente superiore sia al solo 5ASA, sia al solo BDP nell’indurre miglioramento clinico e remissione endoscopica (84). Anche in questo
studio non sono state rilevate differenze nell’efficacia
di 5-ASA e BDP topici, quando somministrati singolarmente.
In uno studio non controllato (85) la aggiunta di
BDP al 5-ASA per os ha determinato una risposta clinica nell’80% dei pazienti resistenti alla sola terapia
orale, ma in assenza di una terapia di confronto questo
dato risulta di difficile interpretazione.
11
Il BDP è stato anche somministrato, tramite una
ciecostomia appositamente confezionata, ad alcuni pazienti affetti da pancolite ulcerosa moderata o severa
resistente alla terapia steroidea sistemica, ottenendo
una risposta clinica completa e consentendo pertanto
di evitare il ricorso alla terapia chirurgica (86, 87).
Trattamento orale con beclometasone orale nella malattia
infiammatorie intestinali
Il beclometasone è disponibile per uso orale sotto
forma di compresse a rilascio modificato (contenenti 5
mg di farmaco) con un rivestimento a base di Eudragit L100 che consente il rilascio del principio attivo a
partire da valori di pH superiori a 6, vale a dire a livello dell’ileo distale e del colon destro (88).
Si tratta di un meccanismo di rilascio molto simile a quello delle preparazioni di budesonide sopra descritte ma l’esperienza nel trattamento della malattia
di Crohn di ileo e colon destro è ancora limitata. In
uno studio controllato, il trattamento per 8 settimane
con 10 mg di beclometasone ha indotto percentuali di
remissione clinica leggermente ma non significativamente inferiori rispetto a 9 mg di budesonide; il tempo necessario per il raggiungimento della remissione è
risultato significativamente più breve per quest’ultima
(89). Questi dati sono ancora troppo limitati per poter
trarre conclusioni circa il possibile ruolo di questo farmaco nel trattamento della malattia di Crohn.
I dati sono piuttosto scarsi anche per il trattamento con beclometasone orale della colite ulcerosa
attiva. In uno studio di dose-finding sono stati confrontati gli effetti di 5 mg e di 10 mg al giorno, rilevando percentuali di remissione del tutto sovrapponibili nei due gruppi; con il dosaggio maggiore si induceva una soppressione dell’asse ipotalamo-ipofisi surrene leggermente maggiore (90).
In uno studio multicentrico il trattamento con 5
mg di beclometasone per 4 settimane ha consentito di
ottenere una riduzione negli score medi di attività clinica sovrapponibili a quella ottenuta con mesalazina
per os al dosaggio di 2,4 mg al giorno, e questo indipendentemente dall’estensione della malattia; non venivano però precisate le percentuali di pazienti in cui
era stata ottenuta la completa remissione dei sintomi
(91).
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Più significativi sembrano i risultati di un secondo studio multicentrico in cui sono state confrontate la
terapia con sola mesalazina orale (3,2 mg al girono) e
la terapia orale combinata con mesalazina (allo stesso
dosaggio) e beclometasone (5 mg al giorno) in 119 pazienti con colite ulcerosa attiva. Al termine di 4 settimane di trattamento le percentuali sia di remissione,
sia di miglioramento clinico sono risultate significativamente superiori nel gruppo trattato con terapia
combinata: 58% contro 34% e 76% contro 61% rispettivamente (92).
Ottimizzazione dell’utilizzo del beclometasone dipropionato nella colite ulcerosa
Conclusioni
• Nei pazienti con colite ulcerosa distale in fase
attiva il trattamento topico con beclometasone
può essere una alternativa al trattamento topico
con mesalazina.
• Il trattamento combinato con beclometasone e
mesalazina topici (eventualmente in aggiunta
alla mesalazina orale) può essere una opzione
nei pazienti scarsamente responsivi alla monoterapia.
• Il trattamento combinato con beclometasone e
mesalazina per os (con eventuale aggiunta di
trattamento topico con un o entrambi questi
farmaci) può essere una opzione nei pazienti
con colite ulcerosa in fase di attività lieve-moderata, prima di considerare il ricorso a steroidi
sistemici.
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ACTA BIOMED 2007; 78; Quaderno 1: 16-19
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A
R T I C O L O
O
R I G I N A L E
Efficacia del beclometasone dipropionato nella malattia di
Crohn con attività lieve-moderata
Angelo Viscido, Annalisa Aratari, Valeria Clemente, Monica Cesarini, Erika Angelucci,
Valeria D’Ovidio, Renzo Caprilli
Dipartimento di Scienze Cliniche, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Introduzione
Gli steroidi rappresentano la terapia di prima scelta
nella malattia di Crohn (MC) attiva; l’uso degli steroidi tuttavia produce numerosi effetti collaterali, a
volte devastanti, sia a breve che a lungo termine (Tabella 1) (1-3), e per questo i Gastroenterologi cercano
da tempo terapie alternative per il controllo della MC
attiva.
Negli ultimi anni sono stati sviluppati i cosiddetti
“steroidi di seconda generazione” con lo scopo di ottenere un’alta attività anti-infiammatoria a livello topico
ed una bassa disponibilità sistemica, senza produrre
effetti collaterali. La budesonide rappresenta il primo
composto ad essere formulato con tale scopo. Gli studi effettuati hanno evidenziato che la budesonide è
meno efficace rispetto agli steroidi convenzionali nell’indurre la remissione clinica, ma ha sicuramente una
minor frequenza e severità di effetti collaterali (4).
Recentemente è stata preparata una formulazione
orale con rilascio intestinale anche del beclometasone
diproprionato (BDP), un altro steroide di seconda generazione. Il BDP è un profarmaco lipofilico che viene trasformato nel metabolita attivo 17-monopropionato. Il BDP ha una alta affinità per il recettore degli
steroidi con una potente attività anti-infiammatoria
topica, ma ha una bassa attività sistemica e quindi un
minor numero di effetti collaterali sistemici, a causa
del rapido metabolismo epatico di primo passaggio e
della rapida escrezione urinaria e biliare. La formulazione orale a rilascio controllato contiene sia un film di
metacrilato acido-resistente (Eudragit L100) che pre-
Tabella 1. Principali effetti collaterali della terapia steroidea
- Effetti metabolici
Iperglicemia
Squilibri elettrolitici
Ritenzione idrica
Alterata distribuzione del grasso (aspetto cushingoide)
Steatosi epatica
- Effetti sul sistema nervoso centrale
Disturbi emotivi
Psicosi
Pseudotumore cerebrale
- Effetti oculari
Glaucoma
Cataratta
- Effetti dermatologici
Acne
Ritardata cicatrizzazione
Atrofia cutanea con comparsa di strie rubre, porpora o
ecchimosi
- Effetti gastrointestinali
Dispepsia
- Effetti muscoloscheletrici
Osteonecrosi
Osteoporosi
Miopatia
- Ipertensione
- Infezioni
- Soppressione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene
- Ritardo di crescita nei bambini
viene che le compresse si dissolvano nello stomaco, sia
un core di idrossi-propil-metilcellulosa (Methocel
K4M) che si dissolve a pH<6 permettendo quindi il
rilascio del farmaco a livello dell’ileo distale e del colon. Il BDP orale è stato utilizzato con successo nella
colite ulcerosa e nell graft-versus-host-disease (5-7).
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Beclometasone diproprionato e malattia di Crohn
Considerando le caratteristiche del farmaco è ipotizzabile un ruolo del BDP anche nella MC.
Di seguito sono riportati i risultati di un nostro studio aperto in cui il BDP è stato somministrato in pazienti con MC con attività lieve-moderata.
Pazienti e trattamento
Il BDP è stato somministrato a 24 pazienti con
MC con attività lieve-moderata (Crohn’s disease activity index -CDAI- compreso tra 150-400) (8, 9) con
lesioni ileali e/o coliche che avevano avuto una recente riacutizzazione non severa di malattia senza aver ricevuto terapia con steroidi convenzionali nei 3 mesi
precedenti lo studio. Otto pazienti erano di sesso femminile e 16 di sesso maschile, l’età media era 30 anni
(range 19-56), il CDAI medio all’inizio dello studio
era 286 (range 280-399), la durata media di malattia
era 5 anni (range 1-20); 5 pazienti erano stati in passato sottoposti a resezione intestinale e 9 pazienti avevano in passato assunto steroidi.
I pazienti sono stati randomizzati in due gruppi di
trattamento: 12 pazienti sono stati trattati con BDP
alla dose di 5 mg/die e 12 alla dose di 10 mg/die. Dopo la prima settimana nel gruppo a 5 mg/die, se non
si notava una risposta clinica (valutata in base alla riduzione del CDAI di almeno 70 punti rispetto al valore iniziale), la dose veniva aumentata a 10mg/die.
La durata del trattamento è stata stabilita in base alla
risposta individuale del paziente. Una volta raggiunta
la remissione clinica (CDAI <150) e mantenuta per 1
mese, la dose di BDP è stata scalata di 5 mg/settimana fino alla sospensione. Se alla sospensione del BDP
si osservava una riacutizzazione di malattia
(CDAI>150 ed incremento di almeno 70 punti rispetto al valore iniziale) veniva effettuato un secondo
ciclo di trattamento con BDP con le stesse modalità
del primo.
I pazienti sono stati seguiti ad intervalli settimanali nel primo mese di terapia e poi a 3-6 e 12 mesi di
follow-up o più frequentemente in caso di peggioramento clinico.
I pazienti sono stati valutati clinicamente a 1 mese
dall’inizio del trattamento e classificati in 3 categorie
di risposta:
- remissione clinica completa (CDAI <150 e decremento di almeno 70 punti rispetto al valore
iniziale);
- remissione parziale o risposta clinica (decremento del CDAI di almeno 70 punti rispetto al
valore iniziale senza raggiungimento della remissione);
- non risposta (nessun miglioramento o peggioramento clinico con necessità di steroidi sistemici).
Tutti i pazienti sono poi stai valutati ad un anno di
follow-up e classificati in tre categorie di risposta:
- risposta prolungata (pazienti in remissione
completa o parziale alla sospensione della terapia);
- steroido-dipendenza (pazienti ancora in trattamento con BDP a causa della riaccensione dei
sintomi alla sospensione o alla riduzione della
dose del farmaco);
- fallimento terapeutico (recidiva dei sintomi con
necessità di steroidi sistemici, chirurgia, immunosoppressori).
Risultati del trattamento
Nel gruppo di pazienti trattati con 5 mg, dopo una
settimana di terapia, 3 (25%) pazienti hanno avuto
una risposta clinica, mentre negli altri 9 pazienti la dose è stata aumentata a 10 mg. Quindi 3 (12,5%) pazienti hanno assunto 5 mg e 21 (87,5%) pazienti 10
mg/die (Tabella 2).
A 1 mese dall’inizio della terapia, 16 (66,6%) pazienti erano in remissione clinica completa (13 pazienti assumevano 10mg/die e 3 pazienti 5mg/die).
Sei (25%) pazienti (10 mg/die) avevano avuto una risposta clinica parziale, 2 (8,3%) pazienti (10 mg/die)
non avevano avuto nessun miglioramento clinico ed
hanno ricevuto trattamento con steroidi convenzionaTabella 2. Schema temporale del trattamento
Dose
N. pazienti
Arruolamento (24)
1° settimana
2° settimana
5 mg/die
10 mg/die
12
3
12
21
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A. Viscido, A. Aratari, V. Clemente, et al.
Tabella 3. Risultati ad 1 mese in base ai gruppi di dose
Dose
N. pazienti
Remissione completa
Risposta clinica
Non risposta *
5 mg/die
10 mg/die
3
0
0
13
6
2
Totale
16
6
2
* necessità di steroidi convenzionali
li (Tabella 3). A 3 mesi di trattamento il CDAI medio
era 87 (range 48-206), significativamente minore rispetto a quello basale (p<0,05).
Ad un anno di follow-up, 8 (33,3%) pazienti erano
ancora in remissione clinica, 7 (29,1%) pazienti assumevano ancora BDP poiché andavano incontro a riaccensione di malattia alla sua sospensione (steroido-dipendenza) e 9 (37,5%) pazienti non avevano tratto dal
trattamento un beneficio a lungo termine. Di questi 9
pazienti che non avevano risposto al BDP, 3 (33,3%)
sono stati sottoposti ad intervento chirurgico di resezione intestinale, 4 (44,4%) sono stati trattati con azatioprina e 2 (22,2%) con infliximab.
Gli 8 (33,3%) pazienti che mantenevano la remissione clinica ad un anno di follow-up avevano tutti assunto 10mg/die di BDP. Tra i 7 (29,1%) pazienti che
avevano sviluppato steroido-dipendenza, 6 (85,7%)
avevano assunto 10mg/die ed uno (14,3%) 5 mg/die.
Dei 9 (37,5%) pazienti considerati failures a 1 anno, 7
(77,7%) pazienti avevano assunto 10 mg/die e 2
(22,2%) pazienti 5 mg/die (chirurgia: 3 pazienti a 10
mg/die; azatioprina: 2 a 5 mg/die, 2 a 10 mg/die; infliximab: 2 a 10 mg/die) (Tabella 4).
Ad 1 anno di follow-up il CDAI medio di tutti i pazienti è stato 156 (range 42-253), significativamente
minore rispetto al basale (p<0,005). La durata media
di trattamento è stata di 3,6 mesi (range 2-6).
Tabella 4. Risultati ad 1 anno in base ai gruppi di dose
Dose
N. pazienti
Risposta prolungata
Steroido-dipendenza
Fallimento terapeutico
- chirurgia
- azatioprina
- infliximab
5 mg/die
10 mg/die
0
1
2
0
2
0
8
6
7
3
2
2
Totale
8
7
9
Per quanto riguarda gli effetti collaterali, nessun paziente ha interrotto l’assunzione di BDP per intolleranza, e durante il trattamento non si è verificato alcun evento avverso serio. Un paziente ha presentato
lieve edema del volto ed un paziente ha sviluppato acne. In nessun paziente si è riscontrata alterazione della pressione arteriosa, della glicemia o degli enzimi
epatici.
Discussione
I risultati di questo studio dimostrano che il BDP
alla dose di 10 mg/die può rappresentare un nuovo e
ben tollerato trattamento per la MC con attività lievemoderata. La sua l’efficacia risulta infatti sovrapponibile a quella riportata in letteratura della budesonide e
degli steroidi convenzionali. L’uso di BDP per un periodo prolungato di tempo non provoca rilevanti effetti collaterali sistemici.
Circa la metà dei pazienti con MC necessita di almeno un ciclo di steroidi nel corso della vita. Durante
il primo ciclo di terapia, comunque, circa il 16-20%
dei pazienti non risponde alla terapia steroidea convenzionale (steroido-resistenza) e circa un terzo dei
pazienti, che all’inizio risponde alla terapia, diventa
steroido-dipendente. Ad un anno di follow-up, inoltre,
il 26-38% dei pazienti necessita di intervento chirurgico (2, 3). Oltre al fallimento della terapia a lungo
termine, il maggior problema dell’uso di steroidi è lo
sviluppo di effetti collaterali. Gli effetti indesiderati
degli steroidi convenzionali sono conseguenza della
alta biodisponibilità del farmaco, che deriva da un elevato assorbimento intestinale e da una bassa quota di
metabolizzazione del composto (1). I più frequenti effetti collaterali che si riscontrano sono la facies lunaris, l’acne e le strie rubre. In base ai risultati del National Cooperative Crohn’s disease Study, dopo un ciclo di
terapia con steroidi per MC attiva il 50% dei pazienti
sviluppa facies lunaris ed il 35% acne. Il problema risulta di particolare importanza nei pazienti steroidodipendenti (10, 11).
In Gastroenterologia si sono pertanto cercate terapie alternative che permettessero il cosiddetto risparmio steroideo. Da un lato c’è stato l’avanzamento delle conoscenze nelle biotecnologie e nella patogenesi
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Beclometasone diproprionato e malattia di Crohn
della MC che ha portato allo sviluppo delle terapie
biologiche. Queste consentono il risparmio di steroidi
in molti pazienti, ma sono gravate da alti costi (12,
13). Dall’altro lato ci sono stati i progressi nel campo
della farcodinamica che hanno permesso di formulare
nuovi composti farmacologici in grado di svolgere la
loro funzione più direttamente e selettivamente nella
sede delle lesioni (4).
Gli steroidi di seconda generazione hanno una alta
attività farmacologica topica a livello intestinale dovuta alla loro alta affinità di legame col recettore steroideo, ed hanno un elevato e rapido metabolismo di primo passaggio nel fegato, senza particolare attività sistemica. La formulazione a rilascio pH-dipendente,
che veicola il farmaco fino all’ileo-terminale-ceco, può
essere una valida opzione terapeutica per i pazienti con
MC a localizzazione nell’ileo terminale e/o colon, in
cui è particolarmente importante ridurre gli effetti
collaterali sistemici degli steroidi.
La budesonide, il primo steroide di seconda generazione disponibile per os, è stato ampliamente utilizzato nella MC. Una metanalisi, che ha valutato gli studi clinici randomizzati e controllati condotti con la
budesonide, ha evidenziato che tale farmaco è meno
efficace degli steroidi convenzionali nell’induzione
della remissione clinica, ma che allo stesso tempo
comporta un riduzione della frequenza e della severità
degli effetti collaterali rispetto agli steroidi convenzionali (4).
Recentemente, un altro steroide di seconda generazione, il BDP è stato sviluppato come formulazione
orale. Il BDP è un profarmaco lipofilico legato per
l’87% all’albumina. Per diventare attivo deve subire il
clivaggio dell’estere in posizione C21. Il beclometasone monopropionato (BMP) che deriva da tale clivaggio è la sostanza attiva, meno lipofilica e con una attività 10 volte superiore al desametasone. Il BMP è relativamente stabile nel sangue ed è metabolizzato solo
lentamente a beclometasone che ha attività 20-25 volte più debole. Il BMP ha una affinità col recettore
molto maggiore rispetto al BDP. La somministrazione orale di BDP è stata utilizzata con successo nella
colite ulcerosa e nella graft-versus-host-disease (5-7).
I risultati da noi descritti suggeriscono che il BDP
per via orale può avere un ruolo nel trattamento della
MC attiva lieve-moderata. Esso può essere una valida
alternativa agli steroidi convenzionali in pazienti selezionati ad alto rischio di effetti collaterali da steroidi
(es: pazienti pediatrici o giovani adulti) o nei pazienti
che richiedono trattamento steroideo a lungo-medio
termine, come i pazienti steroido-dipendenti.
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ACTA BIOMED 2007; 78; Quaderno 1: 20-23
© Mattioli 1885
C
A S E
R
E P O R T
Un caso di difficile gestione clinica della RCU nel paziente
giovane
Luca Ferraris, Maurizio Ferrante, Paola Porta, Marcella Feliziani, Giordano Bernasconi
Unità Operativa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Azienda Ospedale S. Antonio Abate, Gallarate (VA)
Introduzione
Il caso clinico descritto si svolge in un ampio arco temporale (circa 10 anni) ed appare paradigmatico
di molte delle difficoltà che vengono quotidianamente riscontrate nella gestione “pratica” e nel rapporto
con i pazienti affetti da malattia infiammatoria intestinale.
Anamnesi
SV è un maschio nato nel 1983 senza particolari
anamnestici significativi; riferisce infatti unicamente
un’anamnesi familiare di neoplasia del colon nel nonno paterno ed un ricovero ospedaliero all’ età di 3 anni per broncopolmonite.
La sua storia clinica inizia nel 1994 all’ età di 11
anni con un intervento d’urgenza per addome acuto
da appendicite gangrenosa; nel decorso post-operatorio accusa episodi di diarrea con saltuaria ematochezia. A distanza di 3 mesi circa, durante i quali la sintomatologia diarroica è rimasta pressoché inalterata,
viene ricoverato in divisione pediatrica per eseguire
nuovi accertamenti; nel frattempo è calato di peso,
collocandosi al disotto del 50° percentile per questo
parametro e tra il 75° ed il 90° per l’ accrescimento
staturale. Gli esami al ricovero mostrano incremento
degli indici di flogosi e ipoalbuminemia; un’ ecografia
delle anse intestinali identifica un ispessimento parietale a carico delle anse del colon sinistro. In seguito a
tale riscontro viene eseguita una colonscopia che po-
ne diagnosi di colite ulcerosa in fase attiva fino al colon discendente.
Decorso clinico
Appare subito evidente che la risposta terapeutica non è ottimale, infatti dopo 4 mesi di terapia con
mesalazina e prednisone , durante il tentativo di riduzione scalare della posologia dello steroide si manifesta una recidiva che porta al ripristino di dosaggi elevati che verranno mantenuti per persistente attività di
malattia, configurando uno stato di corticodipendenza. I genitori, preoccupati per le condizioni di salute
del figlio e sfiduciati dall’ esito delle terapie eseguite, si
recano a consulto presso uno specialista di un centro di
riferimento per la terapia delle IBD che conferma la
definizione di malattia corticodipendente ed inizia a
prospettare la necessità di utilizzare un immunosoppressore ed addirittura la possibilità di considerare il
ricorso alla terapia chirurgica in caso di insuccesso.
Nei 21 mesi seguenti la diagnosi le frequenti recidive, nonostante la terapia steroidea mantenuta in
modo pressoché continuo; si associano ad una importante anemia da stillicidio ematico cronico (Hb 8,3
gr/dl) ed a marcato deficit di crescita (10°-25° percentile), viene pertanto iniziata la terapia con 6-mercaptopurina.
Nei tre anni successivi la situazione clinica rimane pressoché invariata: vengono frequentemente prescritti dei cicli di steroide poiché la malattia si mantiene cronicamente attiva nonostante l’ immunosoppres-
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Un caso di difficile gestione clinica della RCU nel paziente giovane
sore, si sviluppa inoltre una importante acne, vissuta
come forte limitazione della vita sociale, che paziente
e genitori ritengono essere legata alla terapia. Esegue
tests sierologici per escludere l’associazione di una malattia celiaca ed una MOC che non mostra significative alterazioni osteostrutturali. I medici che hanno in
cura SV ritengono che la persistente attività di malattia possa essere dovuta anche al mancato rispetto delle indicazioni terapeutiche, si instaurano per questo
motivo dei contrasti con i genitori che ritengono inadeguati i risultati della terapia rispetto agli effetti collaterali, temuti o manifesti, della stessa. Il risultato di
queste divergenze è che SV abbandona il centro per
affidarsi a terapie alternative, sospendendo l’ assunzione dei farmaci tradizionali. L’ attività della malattia
persiste inalterata e dopo due anni SV si ripresenta ad
un diverso centro di Gastroenterologia dove viene sottoposto a terapia steroidea parenterale con una discreta risposta clinica che non viene però adeguatamente
mantenuta al termine dei cicli di steroide. Questo ulteriore insuccesso mina nuovamente la fiducia del paziente che abbandona il follow-up nel nuovo centro.
A gennaio del 2004 nonostante la terapia steroidea mantenuta in modo continuativo, seppure autogestito, viene ricoverato in un altro ospedale per un episodio di profusa proctorragia e seguente lipotimia.
Viene ancora trattato con steroide parenterale ad alto
dosaggio ma, poco dopo la dimissione accusa un episodio analogo per il quale viene ricoverato nel nostro
ospedale ove si presenta in scadute condizioni generali. All’ ingresso viene esclusa radiologicamente la presenza di megacolon, gli esami mostrano severa anemia
(Hb 8,2 gr/dl) con segni di flogosi attiva, disprotidemia e squilibrio elettroltico, la persistenza di episodi di
proctorragia rende necessario il ricorso alle emotrasfusioni. Esegue una colonscopia che mostra segni di attività moderata-severa di malattia con diffusa fragilità
della mucosa e spiccata tendenza al sanguinamento
spontaneo come risulta dalle immagini endoscopiche
(Fig. 1-3).
La terapia steroidea ad alto dosaggio consente il
controllo delle manifestazioni cliniche in sesta giornata, in considerazione della lunga storia di malattia, della giovane età del paziente e della steroidodipendenza
si propone comunque al paziente l’intervento di proctocolectomia totale che il paziente inizialmente rifiu-
ta, accettando di sottoporvisi solamente dopo un nuovo episodio proctorragico massivo insorto al tentativo
di tapering dello steroide.
Figura 1. Flogosi attiva con sanguinamento spontaneo a livello del colon trasverso
Figura 2. Mucosa del sigma
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Figura 3. Mucosa del retto, dopo lavaggio ripresa di modesto
gemizio
L’ intervento si svolge senza complicazioni ed a
due anni dal completamento della ricanalizzazione il
paziente gode di buona salute con un sensibile miglioramento della qualità della vita.
Discussione
Il caso risulta esemplificativo di alcune difficoltà
della gestione delle IBD nei pazienti giovani. Nei 10
anni di storia clinica SV è stato sottoposto ad un periodo di terapia steroidea complessivamente quantificabile in circa 62 mesi con un evidente deficit di crescita staturale; ha assunto immunosoppressori per due
anni, ha subito 12 ricoveri in day-hospital con accessi
multipli e 7 ricoveri ordinari per un consistente numero di giorni di degenza totali durante i quali ha eseguito 8 colonscopie.
Per le difficoltà psicologiche personali ed il rapporto conflittuale tra paziente, genitori e medici ha
cambiato per 5 volte il centro di Gastroenterologia cui
far riferimento.
I numeri citati devono stimolare alla riflessione
sulla gestione del caso, poiché, seppure analizzati a po-
L. Ferraris
steriori, impressionano soprattutto se si considera che
la prima proposta di terapia chirurgica era stata formulata, forse con un eccesso di aggressività terapeutica ed una preveggenza al tempo non completamente
condivisibile, solo dopo 10 mesi dalla prima diagnosi
di malattia. Visto il decorso successivo e la brillante risposta all’intervento risulta fin troppo semplice concordare con le argomentazioni a favore della terapia
chirurgica precoce, ma sappiamo bene tutti come la
realtà clinica sia ben più complessa. Nel nostro caso il
paziente, colpito dalla malattia nell’ adolescenza, età di
per sè critica, ha subito gli effetti negativi legati alla
persistente attività della stessa ed agli effetti indesiderati dei farmaci (deficit di crescita).
Tale situazione ha accentuato la conflittualità del
rapporto con i genitori venendo a creare una difficile relazione anche con i medici curanti. Numerosi studi confermano che i pazienti di IBD, soprattutto in età adolescenziale, siano a maggior rischio di sviluppare rapporti conflittuali, disturbi di tipo ansioso e problemi sociali e che ciò conduca ad una difficoltà nella discussione
con il curante dei problemi clinici legati alla malattia.
La conoscenza, la spiegazione ai pazienti e la gestione clinica degli effetti collaterali dei farmaci prescritti rappresenta un importante problema, particolarmente nell’ età giovanile, la cui conseguenza è spesso
rappresentata dalla scarsa aderenza alle indicazioni terapeutiche e dal ricorso alle terapie alternative. Una non
corretta aderenza alla terapia è documentata da diversi
studi, condotti peraltro anche in popolazioni di adulti,
che mostrano come si possa giungere fino al 50% dei
casi di terapia non assunta secondo la prescrizione. È
sempre più frequente inoltre il ricorso a terapie alternative, che, come documenta lo studio di Day, può arrivare ad interessare il 72% dei pazienti intervistati.
Saper identificare il momento adatto per proporre
la scelta terapeutica più opportuna è una qualità clinica che solo l’esperienza ed il rapporto con i pazienti
possono insegnare. Nell’ annoso dibattito sui vantaggi
e svantaggi del precoce ricorso alla terapia chirurgica,
di cui ho sintetizzato nella tabella 1 gli aspetti più significativi evidenziati in un contradditorio pubblicato
su Gut nel 2004, spesso dimentichiamo di considerare
la volontà dei pazienti. Nel nostro caso solo 15 giorni
prima dell’ intervento SV aveva per l’ ennesima volta
rifiutato la proposta della terapia chirurgica perché il-
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Un caso di difficile gestione clinica della RCU nel paziente giovane
Tabella 1. Effatti della terapia chirurgica (liberamente adattato da Early surgical intervention in ulcerative colitis, Gut 2004 53;306-309)
Pro (Cima RR, Pemberton JH)
Contro Kamm MA
• La terapia chirurgica cura in modo definitivo la malattia ed
elimina il rischio di CA
• La terapia medica con ciclosporina e.v. a basso dosaggio
risolve i casi di colite fulminante nella maggior parte dei
pazienti con bassa morbilità
• L’intervento è sicuro, con poche complicanze, mantiene
l’evacuazione fisiologica seppure con frequenza lievemente
aumentata
• Dopo la rescue-therapy con ciclosporina la remissione può
essere mantenuta con azatioprina o 6-MP, senza necessità di
intervenire.
• C’è un significativo miglioramento della qualità della vita
anche per interventi eseguiti in elezione
• La malattia cronicamente attiva può essere trattata
efficacemente incrementando il dosaggio di AZA o 6-MP
• Allo stato attuale la terapia medica non riduce il rischio di
CA (?), obbligando il paziente a controlli anche quando la
malattia è asintomatica
• Morbilità e mortalità della colectomia, della stomia e della
chirurgia ricostruttiva debbono essere considerate nella
scelta
• La terapia medica aggressiva può risultare meno cost-effective
della chirurgia precoce e può aumentarne la morbilità
• La chirurgia rimane indicata per displasia ad alto grado o
CA, elevato rischio di perforazione , attività cronica
nonostante trattamento massimale
luso dal transitorio miglioramento delle proprie condizioni con la terapia steroidea, probabilmente se non
fosse stato spaventato da un nuovo importante episodio emorragico non vi si sarebbe sottoposto.
Un confortante spiraglio di luce per chi deve affrontare la difficoltà nel proporre e far accettare la terapia chirurgica e l’ uso degli immunosoppressori a
lungo termine è attualmente prospettato dall’ uso di
nuovi farmaci come gli steroidi a bassa biodisponibiità
e l’ infliximab, il cui ruolo in un caso come quello descritto avrebbe forse potuto essere determinante.
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ACTA BIOMED 2007; 78; Quaderno 1: 24-29
© Mattioli 1885
C
A S E
R
E P O R T
La trombosi della vena mesenterica superiore.
Una diagnosi da non perdere
Carlo M. Girelli
U.O. Medicina 1, Ospedale di Circolo di Busto Arsizio (VA)
Introduzione
La trombosi della vena mesenterica superiore
(VMS) è una condizione infrequente, la cui prognosi
è strettamente influenzata dalla tempestività diagnostica e dall’instaurazione del trattamento anticoagulante. Poiché le sue manifestazioni cliniche sono spesso poco appariscenti e aspecifiche è necessario avere
un elevato indice di sospetto diagnostico, avvalorando
dati anamnestici relativi a fattori di rischio trombotici
sia familiari che acquisiti e segni clinici, biochimici ed
ultrasonografici che possono indirizzare prontamente
verso la corretta strategia diagnostica e terapeutica.
Riportiamo qui un caso giunto alla nostra osservazione, la cui diagnosi tempestiva ha consentito di evitare l’infarto intestinale e di limitare i giorni di degenza ospedaliera.
Caso clinico
Il 24 Ottobre 2005 alle ore 15 si presenta al Dipartimento di Emergenza dell’Ospedale di Busto Arsizio
una donna di 32 anni per dolori ai quadranti addominali superiori accompagnati da nausea, vomito alimentare e diarrea, insorti 48 ore prima dell’osservazione
medica. La paziente assume contraccettivi orali di ultima generazione da tre anni; la restante anamnesi fisiologica, remota e familiare sono silenti. All’esame fisico la paziente appare in buone condizioni generali,
normopeso (IMC, 21), con parametri vitali normali.
L’addome è trattabile e la palpazione non modifica la
sintomatologia dolorosa. L’esplorazione rettale è altresì negativa e non incrementa il dolore. Non vi è aumento della temperatura differenziale. Nel sospetto di
una colica biliare il medico ordina un pannello di esami biochimici (emocromo, PCR, funzionalità epatica,
amilasemia elettroliti plasmatici e funzionalità renale)
ed un’ecografia standard dell’addome che mostrano rispettivamente una leucocitosi (13000/mm3) con un
aumento di proteina C reattiva (PCR, 1.7 mg/dL,
v.n.<0.6) ed una modesta raccolta liquida nello sfondato del Douglas, con normalità di fegato, asse splenoportale, pancreas, colecisti e vie biliari, milza e reni. La
successiva visita ginecologica, completata da ecografia
trans-vaginale, non ha riscontrato patologie a carico
di utero e annessi, confermando la presenza di raccolta anecogena, liquida nel Douglas. La paziente è pertanto ricoverata con diagnosi provvisoria di gastroenterite acuta, con prescrizione di dieta idrica, supplemento di liquidi per via endovenosa, ketorolac endovenoso a domanda. La mattina successiva la paziente
riferisce iporessia; nel corso della notte ha presentato
due scariche scarse di feci liquide, normocromiche e
ha tratto beneficio dalla somministrazione dell’analgesico. L’obiettività addominale è ancora completamente indifferente. Nel sospetto di un’appendicite acuta a
presentazione atipica si esegue immediatamente un
ecografia con sonda lineare 5-7.5 MHz per lo studio
dell’appendice e dell’intestino. L’indagine non consente la visualizzazione dell’appendice, ma si rivela alquanto informativa, non solo per la conferma di liquido nel Douglas (Fig. 1), ma per l’evidenza di un intestino tenue diffusamente acinetico, a pareti ispessite
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Trombosi venosa mesenterica
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edema generalizzato del piccolo intestino e la storia di
consumo di contraccettivi orali hanno posto il sospetto di un’ischemia intestinale, corroborato dal riscontro
di un D-dimero di 8.2 μg/dL (v.n. 0.6-1.2) eseguito in
urgenza. Ventiquattro ore dopo l’accesso in Ospedale
si esegue un’angio-TC spirale con mezzo di contrasto
che documenta la pervietà dei tronchi arteriosi celiaci
e mesenterici e trombosi della vena mesenterica superiore (Fig. 3), confermando il reperto di edema diffu-
Figura 1. Scansione assiale ipogastrica che mostra un versamento nello sfondato di Douglas (freccia bianca) tra parete addominale e utero (freccia nera)
(6-6.5 mm; v.n. <4 mm) con perdita del pattern stratificato nelle scansioni digiunali, al quadrante superiore sinistro (Fig. 2). L’insorgenza repentina di dolore
addominale la cui entità soggettiva non trova corrispondenza con l’obiettività addominale, l’evidenza di
Figura 2. Scansione del mesogastrio con sonda lineare 7.5
MHz. Sono riconoscibili anse di piccolo intestino acinetiche,
con aumentato spessore parietale. È riconoscibile scarsa quantità di liquido tra le anse (frecce)
Figura 3. Angio-TC. A) Scansione assiale che mostra un difetto centrale di opacizzazione della vena mesenterica superiore (freccia); B) Ricostruzione tridimensionale della vena mesenterica superiore con evidenza del difetto di canalizzazione
(freccia)
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C.M. Girelli
Tabella 1. Esami ematochimici per lo screening degli stati
trombofilici eseguiti nella nostra paziente
Discussione
Condizioni acquisite
LAC (anticoagulante lupico)
Ab anticardiolipina
La trombosi della VMS è un’entità clinica nosologicamente ben definita, distinta dalla trombosi arteriosa quale causa di infarto intestinale per la prima
volta da Warren (1).
Se nelle casistiche più remote la trombosi della
VSM era considerata un reperto laparotomico o autoptico per lo più clinicamente non sospettato (2), i
progressi nel campo della diagnostica d’immagine ne
consentono ora la diagnosi accurata e non invasiva
nella maggior parte dei casi.
Per la rarità della condizione, che colpisce ugualmente ambo i sessi, ed è stimata intorno al 5-15% delle cause di ischemia intestinale e allo 0.1% delle cause
di dolore addominale afferenti ad un Dipartimento
d’emergenza (3, 4), la letteratura riporta solo piccole
casistiche retrospettive, o case-reports, limitazione che
dovrà essere tenuta in conto nella sua valutazione critica. In tre casi su quattro è riconoscibile una diatesi
trombotica che può essere ovvia (infezioni, infiammazioni, traumi, neoplasia di organi limitrofi alla VMS,
sepsi addominale, emopatie trombogeniche) od occulta
per stati trombofilici più frequentemente geneticamente determinati, ma anche acquisiti come nel lupus
eritematoso sistemico e nella sindrome anti-fosfolipidi (Tabella 2). In una casistica di 12 pazienti con
trombosi della VMS, senza ovvi fattori di rischio, Armitrano et al hanno riscontrato una prevalenza del
75% di genotipi trombofilici e nella metà dei casi la
mutazione T677C MTHFR con iperomocisteinemia
(5). Tuttavia, essendo l’eterozigosi per la mutazione
T677C del MTHFR assai diffusa nei soggetti caucasici con una prevalenza riportata sino al 20% (6) è opinione della maggior parte dei ricercatori che tale condizione non possa giustificare l’aumentato rischio
trombotico in assenza di un aggiuntivo fattore di rischio genetico o acquisito (7). Pur non avendo trovato
in letteratura studi riguardanti l’associazione del fattore di rischio iperomocisteinemia/mutazione MTHFR
con uso di contraccettivi orali, è noto che questi ultimi aumentano di 7 volte il rischio relativo di trombosi venosa profonda nei soggetti eterozigoti per la mutazione del fattore V Leiden (8) e ci sembra biologicamente plausibile che anche l’associazione tra uso di
contraccettivi orali e iperomocisteinemia/mutazione
Condizioni genetiche
Proteina C
Proteina S
Antitrombina III
Omocisteina
Mutazione G20210A fattore II (protrombina)
Mutazione fattore V Leiden
Mutazione MTHFR
Fibrinogeno
Plasminogeno
so del tenue e scarso versamento peritoneale. Il siero
della paziente è immediatamente stoccato per i test di
trombofilia (Tabella 1) e si avvia una terapia anticoagualante con enoxaparina 100 mg Kg-1 bid warfarin 5
mg qd, con la raccomandazione di sospendere definitivamente i contraccettivi orali. Nei giorni successivi, il
decorso clinico è stato favorevole, con progressiva
scomparsa del dolore addominale, normalizzazione
dell’alvo e recupero dell’alimentazione orale. In quarta
giornata di ricovero, previo controllo ecografico che
documentava la scomparsa del liquido peritoneale con
reperto intestinale invariato, la paziente viene dimessa
con controllo ambulatoriale clinico e di INR ogni tre
giorni. In settima giornata di terapia viene sospesa l’eparina a basso peso molecolare, avendo raggiunto un
livello terapeutico stabile di anticoagulante orale
(INR, 2.8).
A due settimane dalla dimissione si verificava la
completa risoluzione del quadro clinico ed ecografico.
L’esito dei tests trombofilici hanno mostrato una lieve
iperomocisteinemia (18.2 μmol/L, v.n.<12) e positività per la mutazione T677C dell’enzima metilenetetraidrofolato reduttasi (MTHFR); i restanti tests hanno dato esito normale. Per tale motivo, su parere ematologico, è stato avviato supplemento vitaminico orale
con acido folico 5mg qd, piridossina 50 mg qd, e vitamina B12 1 mg qd. All’ultimo controllo clinico, a 6 mesi dalla diagnosi, la paziente sta bene, assumendo regolarmente la terapia anticoagulante che verrà protratta per altri sei mesi.
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Trombosi venosa mesenterica
Tabella 2. Fattori di rischio per trombosi della vena mesenterica superiore. Da Kumar S, modificata (10)
Evidenti
Stati infiammatori addominali
Pancreatite
Peritonite/sepsi addominale
Diverticolite
Appendicite
Malattie infiammatorie intestinali
Stati postoperatori
Splenectomia
Sclerosi varici esofagee
Interventi sull’addome
Emopatie
Trombocitemia essenziale
Policitemia vera
Emoglobinuria parossisitica notturna
Stati trombofilici acquisiti
Contraccettivi orali
Gravidanza
Neoplasia
Immobilizzazione
Sindrome da depressurizzazione
Ipertensione portale
Trauma addominale
MTHFR possa determinare un analogo incremento
del rischio relativo di trombosi; in aggiunta, Autori
spagnoli hanno descritto il caso una paziente in trattamento estroprogestinico, con iperomocisteinemia misconosciuta, operata per infarto intestinale da trombosi arteriosa mesenterica (9).
Il quadro clinico della trombosi della VMS è variabile e rispecchia verosimilmente sia la rapidità di formazione che la sede del trombo, essendo la presentazione tanto più acuta e catastrofica quanto più rapida
la formazione del trombo e l’interessamento dei piccoli rami tributari della vena, impedendo l’adeguato sviluppo di una circolazione venosa collaterale suppletiva. Si distinguono pertanto tre differenti presentazioni, acuta, subacuta e cronica. Nella presentazione acuta il dolore addominale è improvviso e severo, rapidamente evolutivo verso un quadro peritonitico, talvolta
accompagnato da sanguinamento rettale, con deterioramento delle condizioni generali ed emodinamiche;
in questi pazienti la laparotomia non va procrastinata
e la diagnosi è nella maggior parte dei casi intra-operatoria. Nella presentazione subacuta, - quella descritta nel caso in oggetto - il dolore addominale è sempre
il sintomo cardinale, ma si manifesta in modo più sub-
Occulti
Stati trombofilici genetici
Deficit di antitrombina III
Deficit di Proteina C
Deficit di Proteina S
Mutazione G20210A gene protrombina
Mutazione fattore V Leiden
Iperomocisteinemia
Mutazione gene MTHFR
Deficit di plasminogeno
Iperfibrinogenemia
Aumento fattore VIII
Aumento fattore IX
Aumento fattore XI
Stati trombofilici acquisiti
Anticorpi anti fosfolipidi
Anticorpi anti-cardiolipina
dolo, nell’arco di giorni o anche settimane e, tipicamente, è caratterizzato da una discrepanza tra la sua
intensità e la povertà di segni obiettivi addominali; il
dolore addominale può essere associato a modificazioni dell’alvo, iporessia, vomito e febbre. Infine, nella
forma cronica il dolore può essere assente e la condizione potrà slatentizzarsi dopo alcuni mesi dallo sviluppo della trombosi, con le manifestazioni caratteristiche dell’ipertensione portale (10).
Nella forma subacuta, il laboratorio è di poco aiuto per l’aspecificità dei reperti, quali lieve leucocitosi e
aumento delle proteine della fase acuta. Il D-dimero,
congiuntamente ad una probabilità pretest bassa di
trombosi venosa profonda, ha una buona predittività
negativa (11), mentre la sua predittività positiva per
valori molto elevati decade in soggetti con più di 60
anni, ospedalizzati per più di tre giorni o con alti valori di PCR (12). Relativamente alla trombosi mesenterica, in tale condizione sono stati segnalati valori di Ddimero significativamente più elevati rispetto ad altre
patologie chirurgiche addominali (13).
L’ecografia standard dell’addome, con sonda convex
3.5 MHz, insieme all’impiego di color doppler può essere diagnostica (14), ma, sfortunatamente, solo di ra-
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do è consentita la visualizzazione della vena mesenterica superiore ed in pratica il suo ruolo consiste nell’escludere condizioni di dolore addominale acuto di più
comune riscontro. Nel caso qui presentato, l’ecografia
addominale con sonda lineare 5-7.5 MHz è stata utile,
avendo mostrato segni indiretti e aspecifici di sofferenza del piccolo intestino, come l’ispessimento diffuso
della parete intestinale e la presenza di liquido peritoneale, indirizzando verso la corretta diagnosi. Purtroppo, l’operatore-dipendenza, la scarsità di adeguate finestre acustiche, il gas intestinale e l’obesità sono importanti limitazioni dell’ecografia di superficie, ma riteniamo ugualmente appropriato integrare l’ecografia di superficie addominale convenzionale con lo studio delle
anse intestinali mediante sonda lineare ad alta frequenza nell’approccio al dolore addominale inspiegato.
Il gold standard diagnostico è rappresentato dall’angio-TC spirale con mezzo di contrasto o, in alternativa, dall’angio-RM tridimensionale con gadolinio
(15). La TC, la metodica più frequentemente utilizzata nel nostro Ospedale, evidenzia difetti di riempimento persistenti della vena, con bassa attenuazione
centrale (Fig. 3) ed ha una sensibilità del 90% (15, 16).
Il trattamento della forma subacuta, se tempestivamente diagnosticata in assenza di infarto intestinale,
prevede l’immediata instaurazione di un regime anticoagulante non diverso dalle più frequenti trombosi
venose profonde degli arti inferiori, consistente con la
somministrazione di eparina non frazionata o eparina
a basso peso molecolare con rapido embricamento di
inibitore della vitamina K, e successiva sospensione
dell’eparina al raggiungimento di un adeguato e stabile range terapeutico dell’anticoagulante orale (INR,
2.0-3.5). Nel caso della nostra paziente, il trattamento
è stato prospettato per un anno, presentando iperomocisteinemia e una sede atipica di trombosi (17, 18). Per
quanto concerne il supplemento vitaminico suggerito
dall’ematologo in relazione al riscontro di iperomocisteinemia, non vi sono studi di prevenzione primaria
che hanno mostrato una riduzione degli eventi trombotici consensuale alla normalizzazione dell’omocisteinemia ottenibili con tale regime terapeutico. In
prevenzione secondaria, due recenti trial randomizzati controllati canadese (19) e norvegese (20) relativi a
una popolazione con storia di malattie cardiovascolari
il primo e soggetti con un recente infarto del miocar-
C.M. Girelli
dio il secondo, non hanno dimostrato una riduzione
né di eventi cardiovascolari né di mortalità nei soggetti trattati con supplemento vitaminico, suggerendo che
la trombogenicità dell’iperomocisteinemia sia ascrivibile a fattori metabolici e genetici più complessi (21).
La mortalità della trombosi della VMS è elevata,
intorno al 20-50% (10), ma in una più recente e consistente casistica è riportata nel 7% dei casi (22), probabilmente in seguito alle migliorate capacità diagnostiche, alla tempestività del trattamento anticoagulante, ed ai miglioramenti terapeutici sull’eventuale patologia sottostante, la cui gravità influenza, ovviamente,
la prognosi.
In conclusione, la trombosi della VMS, pur essendo
una causa rara di dolore addominale acuto in assenza
di ovvi fattori di rischio, deve essere sempre considerata nella diagnostica differenziale perché oggi disponiamo di strumenti d’indagine sensibili e non invasivi
e la prognosi migliora drasticamente con un tempestivo e appropriato trattamento. Gli indizi che possono
corroborare il sospetto diagnostico sono clinici, come
l’intensità del dolore, sproporzionato alla scarsa obiettività addominale e, nel caso qui riportato, ecografici,
con il riscontro di un diffuso ispessimento parietale del
piccolo intestino e la presenza di versamento peritoneale.
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Trombosi venosa mesenterica
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ACTA BIOMED 2007; 78; Quaderno 1: 30-32
© Mattioli 1885
C
A S E
R
E P O R T
Displasia e rettocolite ulcerosa
Armando Dell’Anna
GOIP di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Unità Operativa Chirurgia Generale Vito Fazzi, AUSL LE1, Lecce
Introduzione
Il rischio di comparsa di un tumore retto-colico in
corso di rettocolite ulcerosa è maggiore in caso di giovane età al momento della diagnosi (eta < di 15 anni) e
di estensione delle lesioni oltre l’angolo colico sx. Questo rischio è tale che, nel caso di RCU a tipo pancolite
comparsa nell’infanzia, si può proporre una proctocolectomia profilattica (RR148). Al contrario, questo rischio è quasi inesistente in caso di RCU distale diagnosticata dopo i 35 anni. Si discute sulle modalità di
individuazione mediante colonscopia e biopsia e sul
ruolo della terapia di mantenimento con 5 ASA nella
chemioprevenzione della displasia nella RCU.
Caso clinico N. 1
Paziente maschio M.A. di anni 42, all’età di 20
anni viene sottoposto ad intervento chirurgico di
escissione di fistola perianale in altra sede per 3 volte
senza guarigione della stessa. Dopo alcuni mesi compare diarrea 5/7 scariche/die associata a dolore addominale, esegue, quindi, una pancolonscopia e viene
diagnosticata una colite di Crohn. Per 20 anni il paziente non esegue cure adeguate, né controlli clinici
specialistici, né controlli endoscopici, persistono sia la
fistola perianale che il dolore addominale e la diarrea
che si cronicizzano.
Nel settembre 2004 per la riacutizzazione della
sintomatologia clinica giunge alla nostra osservazione
ed esegue una pancolonscopia con ileoscopia retrogra-
da e biopsie per istologia, il suddetto esame conferma
la presenza di una fistola perianale intrasfinterica, una
pancolite ulcero emorragica con vegetazioni pseudopolipoidi nel retto e nel sigma (Fig. 1), normalità dell’ileo terminale, ed all’istologia su una delle vegetazioni pseudopolipoidi del sigma si rileva displasia grave
(Figg. 2 e 3). Confermato il referto istologico di displasia grave da altro patologo si propone al paziente
intervento chirurgico in due tempi, il paziente quindi
accetta di sottoporsi prima ad intervento di escissione
del tramite fistoloso (ottobre 2004) e successivamente
ad una proctocolectomia con ileoano con pouch ed
ileostomia di protezione (dicembre 2004). Attualmente nell’ultimo controllo del maggio 2006 il paziente ha
una buona funzionalità della pouch, non ha segni endoscopici di paucite, evacua 3/4 volte al di, ciclicamente assume dei probiotici, non ha segni di recidiva
della fistola perianale ne squilibri idroelettrolitici.
Figura 1. Area pseudopolipoide con displasia severa in paziente con rettocolite ulcerosa
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Displasia e rettocolite ulcerosa
Figura 2. Displasia severa con ghiandola in ghiandola in paziente con rettocolite ulcerosa
Figura 3. Vegetazione pseudopolipoide in paziente con rettocolite ulcerosa
Discussione
Il caso riportato consente di aprire la discussione
su alcuni punti controversi:
A) Qual’è il rischio di cancro del colon nei pazienti con colite ulcerosa?
B) La sorveglianza endoscopica ed istologica è in
grado di prevenirlo?
C) Una chemioprevenzione primaria con mesalazina è in grado di ridurre l’incidenza di cancro?
Le stime pubblicate relativamente al rischio di
cancro del colon nella colite variano enormemente da
un rischio paragonabile a quello della popolazione
normale ad un rischio >50% dopo 20 anni di malattia.
Il rischio è chiaramente variabile in rapporto all’età di
insorgenza e alla durata della malattia, all’estenzione
31
dell’interessamento del colon, alla presenza di una colangite sclerosante e all’eventuale associazione di storia familiare di cancro del colon (1-8). I pazienti in cui
la malattia non si è mai estesa prossimamente alla flessura splenica hanno un rischio inferiore rispetto a
quelli con forme di pancolite. Lo studio eseguito a
Copenaghen (Follow-up pari al 99,9%, tempo medio
di osservazione, 11,7 anni) ha riportato un rischio comulativo di cancro del colon del 3,1% dopo 25 anni di
malattia, sovrapponibile a quello della popolazione generale da cui i pazienti provenivano. Nonostante un
considerevole scetticismo prevalga in alcuni ambienti,
noi riteniamo in accordo con altri (9) che una sorveglianza endoscopica con biopsie multiple sia efficace
nel ridurre il rischio di malattia neoplastica incurabile
nei pazienti con colite ulcerosa ad alto rischio. Sono da
considerare ad alto rischio quelli con pancolite, quelli
in cui la malattia ha esordito precocemente, quelli con
associata colangite sclerosante e quelli in cui esiste una
familiarità per cancro colo-rettale. La sorveglianza in
questi pazienti deve essere attuata con cura ogni due
anni dopo 10 anni dall’esordio della malattia. Per
quelli (10) scettici sull’efficacia dell’esame endoscopico nel rilevare piccole aree displastiche nel contesto di
una malattia diffusa su tutto il colon in questi ultimi
anni oltre ad un attento esame endoscopico ed ad un
adeguato campionamento bioptico, sufficienti come
nel caso in esame a reperire la displasia, l’endoscopia
dove tecnicamente possibile può utilizzare la magnificazione, la cromoendoscopia, l’autofluorescenza e la
endomicroscopia confocale, tecniche che nel futuro
saranno sempre più sofisticate e consentiranno a studiare in maniera più approfondita aree di dubbia interpretazione anatomo-macroscopica.
Il riscontro di displasia ad un primo esame istologico necessita sempre di un parere di conferma di un
altro patologo esperto dedicato allo studio delle patologie dell’apparato digerente, prima di avviare un paziente alla colectomia. Le controversie sul ruolo che
l’endoscopia possa prevenire il cancro colo-rettale in
questi pazienti derivano sia dalla scarsa “compliance”
dei pazienti ai programmi di sorveglianza, sia dai costi
degli stessi e dalla difficoltà di programmare studi prospettici randomizzati e dalla capacità che questi programmi possano influenzare comunque la stadiazione
delle neoplasie diagnosticate (10).
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Altro punto controverso nella gestione a lungo
termine di questi pazienti è sul ruolo chemiopreventivo della terapia con mesalazina (7), si potrebbe ipotizzare che il nostro paziente ha sviluppato la displasia
severa dopo 20 anni perche’ in questi anni non ha eseguito terapia di mantenimento con 5ASA.
Infine la diagnosi di rettocolite ulcerosa e non di
Crohn come era stata quella iniziale ha consentito di
trattare in due tempi chirurgici la malattia, prima l’asportazione della fistola, poi l’esecuzione della colectomia con ricostruzione del transito fecale con ileo-anostomia con reservoir. Naturalmente l’esame istologico
sul pezzo operatorio ha confermato la presenza e la
gravità della displasia. La proctocolite di Crohn con
fistola perianale non avrebbe consentito la stomia e
avremmo dovuto ricorrere ad una amputazione addomino perineale di “Miles”.
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quartino il punto in breve
ƒ
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Il
unto...
in breve
La colite microscopica: l’ipotesi
diagnostica e l’opzione terapeutica
C. Fabbri, V. Cennamo, A.Fornelli, F. Ferraro
Efficacia del beclometasone
dipropionato nella
malattia di Crohn
con attività
lieve-moderata
A. Viscido, A. Aratari,
V. Clemente, M. Cesarini,
E. Angelucci, V. D’Ovidio,
R. Caprilli
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La colite microscopica: l’ipotesi
diagnostica e l’opzione terapeutica
COME SI MANIFESTA
CASO CLINICO
Mucosa intestinale macroscopicamente normale
o quasi normale (talvolta edematosa)
Prima del trattamento
6-8 scariche diarroiche
Quadro istopatologico
caratteristico
Colite collagenosica
Inizio terapia
Colite linfocitaria
Proseguo terapia
• BDP compresse a rilascio
• BDP compresse a rilascio
modificato 5 mg al dì per il 3°
modificato 5mg x 2 per due
mese di terapia
mesi, a una sett. dall’inizio
trattamento scomparsa diarrea, • 4°-5° mese BDP 5 mg a giorni
alterni
1 evacuazione al dì
• Aumento linfocitario
• Ispessimento dello strato di
collagene subepiteliale (>
_10μm) (>_ 20/100 enterociti)
• Incremento infiltrato flogistico
nella lamina propria e infiltrato
linfocitario intraepitaliale
Risultato veloce e duraturo nel tempo nel controllo
della diarrea
(Da: Bassi O. Il trattamento della colite microscopica con BDP per via orale: report di
2 casi consecutivi. Acta BioMed 2006; 177 (Quad. 1): 17-19)
CHI COLPISCE
TRATTAMENTO
• Prevalentemente il sesso femminile in età avanzata
• Evitare assunzione di FANS e agenti secretagoghi (caffeina e alcol)
• Persone con pregresse malattie autoimmuni (disordini tiroidei,
celiachia, diabete mellino, artrite reumatoide, asma allergico...)
• Terapia anti-diarroica non specifica
• Subsalicilato di bismuto
• Mesalazina e sulfasalazina
• Agenti immunosopressori
• Steroidi di seconda generazione (budenoside - BECLOMETASONE
DIPROPIOATO)
La colite microscopica (CM) è una
causa relativamente comune seppur
misconosciuta di diarrea acquosa
cronica, spesso accompagnata da
dolori addominali e perdita di peso.
La malattia è caratterizzata da una
mucosa intestinale macroscopicamente normale o quasi normale
(talvolta edematosa) e da un caratteristico quadro istopatologico, che
comprende due condizioni: la colite collagenosica (CC) e la colite linfocitaria (CL).
Fino a qualche tempo fa considerata una malattia rara, attualmente la
CM viene diagnosticata nel 1020% dei pazienti con diarrea
acquosa cronica.
La diagnosi di CM e dei suoi sottotipi, CC e CL, si basa sul reperto
La diagnosi di CM e dei suoi sottotipi,
CC e CL, si basa sul reperto
istopatologico
istopatologico.
Nella CC l’aspetto più caratteristico è rappresentato da un ispessimento dello strato di collagene
subepiteliale, che si trova al di sotto
della membrana basale.
La diagnosi di CL richiede invece
un costante e significativo aumento
dei linfociti intraepiteliali.
Un valido approccio terapeutico
consiste nell’evitare l’assunzione di
FANS e di altri agenti secretagoghi
(caffeina e alcol) che possono esacerbare la diarrea.
La terapia antidiarroica non specifica con loperamide e difenossilato/atropina può essere utile.
Se l’utilizzo di tali agenti farmacologici non è efficace, viene previsto
l’uso di budesonide, subsalicilato di
bismuto, mesalazina e sulfasalazina,
prednisolone e agenti immunosoppressori.
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Efficacia del beclometasone dipropionato nella
malattia di Crohn con attività lieve-moderata
Schema temporale del trattamento con BDP
Dose
5 mg/die
10 mg/die
1a settimana
12
12
2a settimana
3
21
N. pazienti arruolamento (24)
Recentemente è stata preparata una
formulazione orale con rilascio intestinale anche del beclometasone
diproprionato (BDP), un altro steroide di seconda generazione.
Il BDP è un profarmaco lipofilico
che viene trasformato nel metabolita attivo 17-monopropionato.
Risultati dello studio ad 1 mese in base ai gruppi di dose
100%
100
90
100%
Totale paziente
5 mg + 10 mg
81,3%
80
10 mg BDP
70 66,6%
60
5 mg BDP
50
40
30
25%
18,76%
20
8,36%
10
Remissione completa
0%
0%
Risposta clinica
Non risposta
Risultati dello studio ad 1 anno in base ai gruppi di dose
100%
100
90
85,7%
80
77,8%
70
Totale paziente
5 mg + 10 mg
• Il BDP ha una alta affinità
per il recettore degli steroidi con una potente attività anti-infiammatoria
topica
• Ha una bassa attività
sistemica e quindi un
minor numero di effetti
collaterali sistemici
• Si dissolve al pH < 6 permettendo il rilascio del
farmaco a livello dell’ileo
distale e del colon
10 mg BDP
60
50
40
30
5 mg BDP
37,5%
33,3%
29,1%
22,2%
20
14,3%
10
0%
Risposta prolungata Steroido dipendenze Fallimento terapeutico
Trattamento successivo a BDP
del 37,5% dei pazienti non
rispondenti a terapia
Trattamento con infliximab
22,2%
33,3%
Intervento chirurgico
di resezione intestinale
44,1%
Trattamento con
azatropina
La sua l’efficacia risulta infatti
sovrapponibile a quella riportata in
letteratura della budesonide e degli
steroidi convenzionali. L’uso di
BDP per un periodo prolungato di
tempo non provoca rilevanti effetti
collaterali sistemici.
I risultati di questo studio dimostrano che il
BDP alla dose di 10
mg/die può rappresentare un nuovo e ben
tollerato trattamento
per la MC con attività
lieve-moderata
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ƒ
“La malattia è caratterizzata da una
mucosa intestinale macroscopicamente
normale o quasi normale (talvolta
edematosa) e da un caratteristico
quadro istopatologico, che comprende
due condizioni: la colite collagenosica
(CC) e la colite linfocitaria (CL)”
ƒ
“La diagnosi di CM e dei suoi sottotipi,
CC e CL, si basa sul reperto
istopatologico.”
ƒ
“Gli effetti indesiderati degli steroidi
convenzionali sono conseguenza della
alta biodisponibilità del farmaco, che
deriva da un elevato assorbimento
intestinale e da una bassa quota di
metabolizzazione del composto.”
ƒ
“L’uso degli steroidi tuttavia produce
numerosi effetti collaterali e per
questo i Gastroenterologi cercano da
tempo terapie alternative per il
controllo della MC attiva”
ƒ
“La somministrazione orale di BDP è
stata utilizzata con successo nella
colite ulcerosa e nella graft-versushost-disease.”