Portavoce Mensile - anno 54 - n. 9 - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD di san Leopoldo Mandic´ ECUMENISMO SAN SERAFINO DI SAROV SPECIALE TESTIMONIANZE PADRE ARCANGELO DA RIVAI IL CONFESSORE SANTO DI CASTELMONTE CULTURA LEOPOLDIANA «QUANTA LUCE E AMORE NEL SUO CUORE N. 9 - DICEMBRE 2014 SOMMARIO N. 9 DICEMBRE 2014 ANNO 54 Portavoce di san Leopoldo Mandic´ 3 Ai lettori La risposta di Dio di Giovanni Lazzara 4 Lettere a Portavoce di Aurelio Blasotti 6 La voce del santuario Paolo VI beato di Flaviano G. Gusella 8Ecumenismo Notiziario ecumenico a cura di Flaviano G. Gusella 12Ecumenismo > l’ecumenismo della santità > 4 San Serafino di Sarov, cuore fiammeggiante della Russia di Paolo Cocco 17 Speciale > Testimonianze Padre Arcangelo da Rivai. Il confessore santo di Castelmonte di Aurelio Blasotti 23 Cultura leopoldiana «Quanta luce e amore nel suo cuore» di mons. Pietro G. Nonis 27 Grazie, san Leopoldo a cura della Redazione 29 Devozione San Leopoldo all’Ospedale civile di Padova di Giovanni Lazzara Ha quasi 30 anni l’«Eremo san Leopoldo» di Gianluigi Pasquale 31 Spiritualità quotidiana Accidia di Paolo Costa 34 Vita del santuario a cura della Redazione 36 Calendario liturgico Periodico di cultura religiosa dell’Associazione «Amici di San Leopoldo» Direzione, Redazione, Amministrazione Associazione «Amici di San Leopoldo» Santuario san Leopoldo Mandic´ Piazzale S. Croce, 44 - 35123 Padova Tel. 049 8802727 - Fax 049 8802465 Email Redazione direttore@leopoldomandic.it Email Santuario info@leopoldomandic.it Sito Internet www.leopoldomandic.it Direttore e Redattore Giovanni Lazzara Dir. Responsabile Luciano Pastorello Hanno collaborato a questo numero Aurelio Blasotti, Flaviano G. Gusella, Paolo Cocco, mons. Pietro G. Nonis, Gianluigi Pasquale, Paolo Costa, Sisto Zarpellon e Fabio Camillo Impaginazione Barbara Callegarin Dicembre a cura di Sisto Zarpellon Stampa Stampe Violato - Bagnoli di Sopra (PD) 38 Indici Registrazione Tribunale di Padova n. 209 del 18.10.1961 Portavoce 2014 a cura della Redazione Per versamenti (invio Portavoce, offerte, ss. messe) tramite ASSEGNO, usare solo la seguente intestazione: PROVINCIA VENETA DEI FRATI MINORI CAPPUCCINI Altre intestazioni impediscono la riscossione COME SOSTENERE «PORTAVOCE» QUOTA ASSOCIATIVA PER IL 2015 Italia € 18,00 - Estero € 28,00 o USD 38,00 - Sostenitore: a partire da € 50,00 Iscrizione al R.O.C. n. 13870 Con approvazione ecclesiastica e dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini Editore Associazione «Amici di san Leopoldo» Spedizione in abbonamento postale Nel rispetto del D.L. n. 196/2003 Portavoce di san Leopoldo Mandic´ garantisce che i dati personali relativi agli associati sono custoditi nel proprio archivio elettronico con le opportune misure di sicurezza. 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Croce, 44 - 35123 Padova Tel. 049 8802727 - Fax 049 8802465 ai lettori di Giovanni Lazzara, direttore LA RISPOSTA DI DIO U n Natale che sorprenda davvero. Che arrivi non segnalato, con le strade e le vetrine di sempre, senza le scritte e le decorazioni luminose degli anni scorsi. Niente alberi da tagliare-trasportarecomperare-piantare-lasciar morire. Niente presepio di anonime statuine made in China. Un Natale capace di regalare l’Atteso, finalmente. Ma per questo servono cuori spogli, accoglienti e capaci di ascolto. La liturgia fa precedere alla festa del Natale un lungo periodo di riflessione e di preghiera. Si chiama «Avvento», parola che deriva dal latino adventus, «venuta», in riferimento alla venuta di Gesù Cristo. Quella che l’Avvento ci prepara ad accogliere. Ecco il punto, c’è un incontro importante che non possiamo mancare. Non di quelli a cui si farebbe volentieri a meno, tipo certi lontani parenti che si fanno ospitare giusto per farsi una vacanza, o «amici» che si ricordano di esserlo dopo anni di latitanza ingiustificata. Qui l’appuntamento lo fissa l’Atteso, eppure esso corrisponde straordinariamente a tutte le migliori aspettative che il nostro cuore può nutrire. Aspettative a cui nessuno, sulla faccia della terra, né ora né mai, poteva-può-potrà dare piena risposta. Un esempio? Viviamo tempi segnati dalla violenza e dalla guerra. La risposta di Dio al dramma dell’umanità in cerca della vera pace è il Natale, la venuta di Gesù. «Egli stesso sarà la pace!» annuncia il profeta Michea (5,4) riferendosi al Messia. «Pace sulla terra agli uomini, che egli ama!» afferma l’evangelista Luca (2,14). Mentre san Paolo, riflettendo su questo mistero della pace donata da Dio attraverso il dono del Figlio, dice: «Cristo Gesù è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia» (Ef 2,14). Dunque, alla nostra insoddisfatta domanda di pace, Dio risponde con il Natale di Gesù: vittoria su ogni discordia, superamento di ogni separazione, nella misura in cui innestiamo, nella storia che stiamo vivendo, il principio di vita nuova che Gesù porta con sé. Un altro annuncio giunge come risposta a un’epoca, la nostra, segnata dalla crisi e dalla depressione. È quello che sorprende i pastori di Betlemme, stanchi e assopiti, come molti di noi: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia…». La gioia che il Signore Gesù porta in dono è il frutto del superamento della paura. Ecco un’altra risposta di Dio. Il suo farsi nostro vicino, compagno, amico ha il potere di sciogliere, come neve al sole, i timori che paralizzano e tolgono speranza: la paura del futuro, la paura di rimanere soli, la paura del male, la paura forse anche di Dio (meglio, dell’immagine che di lui ci si fa). Una «grande gioia» è resa possibile. Più in profondo, il Natale di Gesù arriva come la risposta fondamentale di Dio, il suo «sì» definitivo, perché «in Gesù tutte le promesse di Dio sono “sì”» ricorda ancora san Paolo, (cf. 2Cor 1,19-20). Gesù Cristo è la viva risposta divina alla molteplicità delle domande e delle aspirazioni dell’uomo: sì al desiderio profondo di vita e di giustizia, sì all’insopprimibile sete di amore e di bellezza. Tutti «sì» che portiamo dentro, anche se, talora, in uno stato embrionale e appena distinto. «Sì» che, purtroppo, vengono contraddetti, se non mortificati, da tanti «no» pronunciati per diffidenza, per indifferenza, per sfiducia nel cambiamento. Il Natale arriva, allora, ad assicurare che Dio è fedele, che sua rimane l’iniziativa, che «tutte le promesse di Dio sono “sì”». Natale è la risposta di Dio. Tanto generosa e libera da anticipare le nostre stesse domande. Cari lettori, che Natale sia la festa della sorpresa di Dio! Lo auguro, in particolare, a quanti non si aspettano niente di nuovo. Sull’orologio della vostra storia, possiate sentire, forti, i rintocchi dell’ora della pace, della gioia, del sì di Dio a quel desiderio di pienezza e di vita che portate nel cuore. P dicembre 2014 Portavoce 3 ▶ lettere a Portavoce Luca nel primo capitolo del suo vangelo, guardando le risposte date all’angelo, a una lettura superficiale, potrebbero sembrare simili. Di qui la logica domanda del nostro lettore circa la diversità di trattamento nei loro confronti da parte di Dio. A spiegare il motivo di tale diversità è l’anziana moglie di Zaccaria, Elisabetta che, «piena di Spirito Santo», accogliendo in casa Maria, esclama: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45). Maria è lodata per la sua fede; essa ha creduto che quello che il Signore le proponeva era possibile, nonostante il suo proposito di verginità. Maria non chiede un segno per credere, ma vuole conoscere il progetto di Dio su di lei per attuarlo. Anche Zaccaria è invitato a credere in una nascita miracolosa, che si sarebbe realizzata all’interno della sua unione matrimoniale, a dispetto di una situazione di sterilità che Dio vuole rendere feconda. Intervento divino di cui già altre donne sterili dell’Antico Testamento avevano beneficiato. Alla proposta celeste, l’anziano sacerdote resta interdetto. Non crede che «a Dio tutto è possibile» e domanda un segno. È lo stesso arcangelo a rimproverarlo per la sua incredulità, mentre invece risponde alla domanda di Maria, spiegandole il modo di procedere del Signore. Anche il contesto in cui si realizzano le due annunciazioni contribuisce a esaltare la fede di Maria. Zaccaria riceve l’annuncio dell’angelo nel tempio di Gerusalemme, davanti all’altare, mentre offre l’incenso, nell’esercizio della sua funzione sacerdotale. L’annuncio a Maria avviene, invece, in una situazione semplice e feriale. Luca non indica il luogo preciso; riferisce solo che Maria si trovava a Nazaret. Tutta l’atten- 6 Portavoce dicembre 2014 zione è concentrata sulle parole dell’angelo, che esigono da Maria un ascolto intenso e una fede pura. Maria, infatti, è chiamata a credere possibile una maternità verginale, di cui l’Antico Testamento non ricorda nessun precedente. In realtà il noto oracolo di Isaia «Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele» (Is 7,14), pur non escludendo tale prospettiva, è stato esplicitamente interpretato in questo senso soltanto dopo la venuta di Cristo. A Maria, dunque, è richiesto di aderire a un progetto inaudito, che lei mostra di accogliere con animo semplice. Con la domanda «Come avverrà questo?» esprime la fede nel potere divino di conciliare la propria verginità con la proposta di maternità. Nella sua risposta, l’angelo propone la soluzione di Dio: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra» (Lc 1,35). La verginità, che sembrava un ostacolo, è il contesto concreto nel quale lo Spirito Santo opererà in lei il concepimento del Figlio di Dio. Fugata ogni incertezza, Maria offre la completa disponibilità di cuore e corpo all’azione dello Spirito di Dio… e il Verbo «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14), cioè diventa uno di noi! Credere, alla fine, è fidarsi totalmente dell’amore di Dio, che sempre genera vita e salvezza. P SCRIVETECI INDIRIZZATE LE VOSTRE LETTERE A: Redazione Portavoce di san Leopoldo: Piazzale S. Croce, 44 - 35123 Padova Fax: 049 8802465 e-mail: direttore@leopoldomandic.it oppure aurelio.blasotti@fraticappuccini.it La Redazione si riserva il diritto di sintetizzare le lettere. È garantito il rispetto dell’anonimato per chi lo richiede. I l 19 ottobre scorso, papa Francesco ha proclamato beato Paolo VI (foto a destra). A lui noi frati cappuccini veneti siamo particolarmente riconoscenti perché, il 2 maggio 1976, ha voluto elevare agli onori degli altari padre Leopoldo Mandic´, a soli 34 anni dalla sua morte. Commovente e memorabile il discorso pronunciato in quell’occasione, con voce forte e chiara, che iniziava così: «Chi è, chi è colui che oggi qua ci raccoglie per celebrare nel suo nome beato una irradiazione del vangelo di Cristo, un fenomeno inesprimibile, eppure chiaro ed evidente, quello d’una trasparenza incantevole, che ci lascia intravedere nel profilo di un umile fraticello una figura esaltante e, insieme, quasi sconcertante? Guarda bene: è un povero, piccolo cappuccino. Guarda bene con la lente francescana. Lo vedi? Tu tremi? Chi hai visto? Sì, diciamolo: è una debole, popolare, ma autentica immagine di Gesù». E poi, pur nei tempi ristretti di un’omelia, seppe tracciare con rapide pennellate la peculiarità del carisma del cappuccino croato. Lo definì innanzitutto «ecumenico ante litteram», perché «sognò, presagì, promosse, pur senza apparentemente operare, la ricomposizione nella perfetta unità della Chiesa», affidando alla sua intercessione il cammino dell’unità: «Oh! Che il beato Leopoldo sia profeta e intercessore di tanta grazia per la Chiesa di Dio!». Poi sottolineò la sua attività di confessore: «La nota peculiare della eroicità e della virtù carismatica del beato Leopoldo fu un’altra; chi non lo sa? Fu il suo ministero nell’ascoltare le confessioni. Egli si è santificato principalmente nell’esercizio la voce del santuario di Flaviano G. Gusella PAOLO VI BEATO del sacramento della penitenza». Vibrante, infine, la conclusione con il ringraziamento ai figli della Croazia, del Montenegro, della Bosnia-Erzegovina e ai padovani. Volle ringraziare anche i fratelli francescani dell’Ordine cappuccino con queste parole: «Grazie d’aver dato alla Chiesa e al mondo un “tipo” della vostra scuola austera, amichevole, pia, d’un cristianesimo altrettanto fedele a se stesso, quanto idoneo a risollevare nel cuore del popolo la gioia della preghiera e della bontà». L’elezione a sommo pontefice di Giovanni Battista Montini avvenne il 21 giugno 1963. Diciotto giorni dopo la morte di Giovanni XXIII. Scelse di chiamarsi Paolo per imitarne l’impegno itinerante nell’annunciare Cristo ai vicini e ai lontani. Padre conciliare e timoniere del concilio Vaticano II, lo seppe sapientemente condurre in porto, indicando orientamenti profetici al futuro cammino della comunità dei credenti: una più chiara coscienza della Chiesa su se stessa, il rinnovamento senza rottura con le sue tradizioni, l’unità con i fratelli separati, il dialogo verso tutti. Significativi e forti alcuni suoi gesti come quello di offrire la tiara per i poveri e di regalare la sua auto, durante il viaggio in India, per le opere caritative di Madre Teresa, l’abbraccio con il patriarca ortodosso Atenagora (in occasione del primo pellegrinaggio di un papa in Terra Santa) e quello con l’arcivescovo anglicano di Canterbury Michael Ramsey. Con una serie di primati, aprì la strada all’attività apostolica dei suoi successori fuori dell’Italia e dell’Europa: si fece pellegrino a Efeso e a Fatima; si recò in America Latina e in Africa; fu il primo papa a parlare alle Nazioni Unite e al Consiglio ecumenico di Ginevra. Morì a Castel Gandolfo il 6 agosto 1978, all’età di 80 anni. Albino Luciani, suo successore con il nome di Giovanni Paolo I, un mese dopo la sua morte, affermò: «Paolo VI ha reso alla Chiesa, in quindici anni, servizi enormi. Gli effetti si vedono in parte già adesso, ma io credo che si vedranno specialmente nel futuro». E Benedetto XVI, il 3 agosto 2008, nel 30esimo anniversario della morte del papa bresciano, disse: «Quale supremo Pastore della Chiesa, Paolo VI guidò il popolo di Dio alla contemplazione del volto di Cristo, Redentore dell’uomo e Signore della storia. E proprio l’amorevole orientamento della mente e del cuore verso Cristo fu uno dei cardini del Concilio Vaticano II, un atteggiamento fondamentale che il venerato mio predecessore Giovanni Paolo II ereditò e rilanciò nel grande Giubileo del 2000. Al centro di tutto, sempre Cristo: al centro delle Sacre Scritture e della Tradizione, nel cuore della Chiesa, del mondo e dell’intero universo». Una centralità sempre voluta e cercata, come testimonia una preghiera proposta alla diocesi di Milano, in una Lettera pastorale del 1955, che porta il titolo: «Tu ci sei necessario, o Cristo» e che si conclude con questa intensa invocazione: «Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio-con-noi, per imparare l’amore vero e camminare nella gioia e nella forza della tua carità, lungo il cammino della nostra vita faticosa, fino all’incontro finale con te amato, con te atteso, con te benedetto nei secoli». P dicembre 2014 Portavoce 7 ecumenismo di Paolo Cocco SAN SERAFINO DI SAROV, CUORE FIAMMEGGIANTE DELLA RUSSIA 12 Portavoce dicembre 2014 L’ecumenismo della santità > 4 Serafino, uno dei santi più popolari della Russia moderna, testimonia che l’incontro personale con il Signore procura la pace e che la luce del Risorto illumina il volto di chi ricerca anzitutto lo Spirito Santo D opo anni di vita «nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3), Serafino di Sarov diventa lo staretz1 della nazione russa, il «cuore fiammeggiante della santa Russia» (Pavel Evdokimov). Lascia in eredità una fede esemplare nell’azione dello Spirito Santo. Al secolo Procoro Mochnin, nasce il 19 luglio 1759 a Kursk, 400 km a sud di Mosca. Isidoro, suo padre, è impresario (a lui, tra l’altro, è affidata la costruzione della nuova chiesa di Kursk, progettata dal celebre architetto di origini italiane Bartolomeo Rastrelli); muore quando Procoro ha solo tre anni. Sua madre, Agata, porta avanti l’impresa e provvede non solo ai suoi due figli, ma pure alle ragazze orfane di Kursk. A continuare il lavoro del padre sarà il figlio Alessio. Procoro, infatti, dimostra altri interessi: a 19 anni si reca in pellegrinaggio al celebre monastero delle Grotte a Kiev. Lì trova conferma la vocazione ad abbracciare la vita monastica, parlando con Dositeo, monaco discepolo di Paissy Velickovski, che aveva tradotto opere di autori spirituali particolarmente apprezzati nell’Oriente cristiano: Giovanni Climaco, Isacco di Ninive e Simeone il Nuovo Teologo. Sarà proprio Dositeo a curare a San Pietroburgo nel 1793 la pubblicazione in lingua russa della celebre raccolta Filocalia. NEL MONASTERO DI SAROV Dositeo orienta Procoro, con altri del gruppo, al monastero di Sarov. Nella visita di commiato da sua madre riceve da lei una croce ottagonale che porterà con sé per tutta la vita. Dopo aver percorso a piedi quasi 700 km, giunge a destinazione il 20 novembre 1779. A Sarov già da quasi due secoli dimoravano uomini consacrati a Dio. La comunità monastica è guidata da Pacomio, egli pure originario di Kursk. A Procoro è affidata una serie di incombenze: aiuto economo, panettiere, falegname e sacrestano. Eccelle per la sua vita di preghiera e per il suo spirito gioviale, e come carpentiere. Si dedica completamente al lavoro e alla preghiera, rifuggendo da ogni giudizio o mormorazione. Una malattia, l’idropisia, lo riduce alla completa immobilità. Ma, quando ogni speranza sembrava svanire, gli appare, assieme agli apostoli Pietro e Giovanni, la Madonna, che si rivolge al discepolo prediletto e, indicando Procoro con le parole: «È della nostra stirpe», gli tocca l’anca sinistra con lo scettro. Procoro guarisce. Già a sette anni aveva sperimentato il soccorso della Vergine dopo essere caduto da un’impalcatura e a dieci anni nel guarire da una malattia che sembrava mortale. Il 14 agosto 1786 è consacrato monaco col nome di Serafino, e dopo poco tempo è ordinato diacono. Si prepara con lunghi digiuni e preghiere alle celebrazioni liturgiche; al termine di quella del Giovedì Santo rimane immobile, in estasi, per tre ore. Nel 1793 è ordinato presbitero. Celebra ogni giorno l’eucaristia, cosa non usuale nelle Chiese d’Oriente. VITA EREMITICA NELLA FORESTTA Frattanto muore Pacomio, l’abate che lo aveva accolto e sostenuto nella formazione. Con il permesso di Isaia, l’abate successivo, Serafino il 20 novembre 1794 va a vivere nella foresta, in un’isba da lui qualificata «piccolo deserto lontano», a una certa distanza dal monastero. La sua attività principale diventa la lettura della Bibbia e la preghiera incessante, compiuta congiungendo mente e cuore, riscaldato dalla grazia, e invocando lo Spirito Santo. Lì Serafino intercede per la salvezza del mondo, conducendo contro il maligno una lotta molto aspra. Si racconta che egli abbia continuato a gridare per mille giorni e mille notti, quasi immobile: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore». Osserva un rigoroso digiuno, cibandosi solo di pane e ortaggi. A un certo momento si sfama solo della pianta di egopodio, e così il suo corpo diventa diafano. Il pane lo offre agli animali che di notte vengono a visitarlo (è diffusa l’immagine che lo raffigura mentre offre cibo a un orso). Si reca regolarmente nel monastero per la liturgia domenicale e vi trascorre la prima settimana di Quaresima, tempo dedicato al digiuno comunitario assoluto. Il 12 settembre 1804 tre ladri lo minacciano e lo colpiscono. Un confratello lo trova quasi morto. È trasportato al monastero. Anche questa volta si riprende grazie all’intervento della Madonna, apparsa assieme ai due apostoli. I briganti che lo avevano colpito sono identificati, ma Serafino si adopera risolutamente perché siano perdonati. Rimessosi in forze, ottiene il permesso di tornare alla sua isba, votandosi a un assoluto silenzio e ricevendo in dono quella pace che si irradia e procura la salvezza di molti; egli stesso, infatti, così insegna: «Acquista la pace interiore e migliaia intorno a te troveranno la salvezza». L’8 maggio 1810 un confratello, che settimanalmente si reca da lui per portargli un po’ di pane e dicembre 2014 Portavoce 13 ▶ San Serafino di Sarov di legumi, gli trasmette l’ordine di tornare a vivere in monastero. Serafino obbedisce. In monastero, riceve il permesso di vivere recluso in una cella arredata, come l’isba, solo con un’icona, una stufa e un ceppo come sedia. Ogni giorno, col volto coperto, riceve da Paolo, suo confratello, un po’ di cibo. Ogni settimana legge tutti i libri del Nuovo Testamento e li commenta a voce alta. Dal settembre 1815 allenta la reclusione, tenendo la porta aperta. Poi comincia a parlare, prima con i confratelli e in seguito anche con altri. SERAFINO «STARETZ», GUIDA SPIRITUALE RICERCATA La Madonna stessa, in un’apparizione, gli ordina di accogliere i visitatori. Per questo motivo nel novembre 1825 torna a vivere nel «piccolo deserto», la sua isba, salutando chi viene a fagli visita con il gioioso saluto pasquale: «Buon giorno, mia gioia! Cristo è risorto!». Innumerevoli sono le persone che si recano da lui per chiedergli aiuto e preghiere. Si rivolgono a lui anche persone benestanti e importanti. Egli tratta tutti senza discriminazioni. Sua è l’esortazione: «Accostandoci agli uomini, dobbiamo essere puri da parole e in spirito, uguali verso tutti, senza mai adulare nessuno, altrimenti la nostra vita sarà inutile». Invita tutti a condurre una vita veramente cristiana: «Ricordati sempre della presenza di Dio e del suo santo nome». Anche Antonio, abate di un’altra comunità, riceve da lui un grande insegnamento: «Sii una madre per i tuoi monaci, piuttosto che un padre. Ogni superiore deve essere, e rimanere, una madre ragionevole per le sue pecore. Una madre che ama non vive per se stessa ma per i figli. Sopporta con amore le debolezze degli infermi; purifica e lava con dolcezza e attenzione quelli che sono sporchi; li veste con abiti 14 Portavoce dicembre 2014 puliti e nuovi; dà loro le scarpe, li riscalda, li nutre, li consola e cerca di essere loro vicina in modo da non dover mai sentire da parte loro il minimo rimprovero. I figli, allora, cresceranno affezionati alla madre. Così anche ogni superiore deve vivere non per se stesso ma per le sue pecore. Dev’essere indulgente verso le loro debolezze; sopporti con amore le loro malattie; fasci i mali dei peccatori con le bende della misericordia; rialzi con dolcezza quelli che cadono, purifichi nella pace quelli che si sono macchiati di qualche vizio e imponga loro una razione supplementare di preghiera e di digiuno; li ricopra di virtù attraverso l’insegnamento e l’esempio; li segua costantemente e protegga la loro pace interiore in modo da non dover mai sentire da parte loro il minimo rimprovero. Allora anche paradossale questo, se si pensa che da giovane egli si teneva sempre a debita distanza dalle donne. Chiama a far parte di quella comunità, per volontà della Madonna, solo vergini e stabilisce che vivano la loro vocazione lavorando nei campi e in un mulino – il monastero sarà per questo soprannominato «delle mugnaie» –, nella preghiera del cuore e recitando continuamente i salmi nella loro chiesa, dove arde sempre un lume a olio davanti all’icona del Natale e un altro nella cripta davanti all’immagine della Madonna. MORTE E CANONIZZAZIONE Sopra, il monaco san Serafino di Sarov in preghiera davanti a un’icona della Vergine Maria e, a sinistra, davanti alla piccola isba dove abitava. Sotto, il grande campanile dell’attuale monastero ortodosso di Sarov, in Russia loro faranno il possibile per garantire al loro igumeno la tranquillità e la pace». Serafino tiene acceso un cero nella sua isba come espressione di intercessione per chi si rivolge a lui. Ed esorta: «Guardando un cero acceso, soprattutto in chiesa, pensiamo sempre all’inizio, allo svolgimento e alla fine della nostra vita: come si scioglie un cero acceso davanti al volto di Dio, così la nostra vita diminuisce a ogni istante, avvicinandosi al termine. Questo pensiero ci aiuterà a non distrarci in chiesa, a pregare con più fervore, a fare il possibile affinché la nostra vita assomigli a un cero fabbricato con cera pura, che brucia e si spegne senza puzzare». Talora sente la necessità di tenersi nascosto nella foresta. Un modo efficace per raggiungerlo è di mandare i bambini a chiamarlo. Tanti vanno da lui per chiedere il dono di una guarigione. Tornato a vivere nel «piccolo deserto», per ordine della Madonna fa sgorgare una fonte presso la quale vanno a bagnarsi i malati. IL MONASTERO FEMMINILE DI DIVEEVO Già nel 1784 l’allora abate Pacomio aveva coinvolto Serafino nella creazione di un monastero femminile in una cittadina vicina, assecondando la volontà di Agata, vedova, generosa benefattrice dei poveri. Nel 1823 Serafino ne parla con Michele Manturov, un giovane facoltoso guarito miracolosamente per le sue preghiere da una malattia degenerativa alle ossa dei piedi, coinvolgendolo nella creazione a Diveevo di una nuova comunità monastica femminile voluta dalla Madonna. Serafino impegnerà le migliori energie dell’ultimo periodo della vita proprio per questo, pur senza mai recarvisi. Un fatto piuttosto Il giorno della festa dell’Annunciazione, la Madonna appare a Serafino preannunciandogli la morte. Egli le chiede di accordare la sua speciale protezione alla comunità femminile da lei voluta. Anche Basilio, benevolo e solerte padre spirituale della comunità, ne viene informato. Come aveva predetto Serafino, dopo la sua morte quella comunità attraverserà per venticinque anni una crisi dovuta ai condizionamenti di un estraneo. In seguito, tale crisi sarà superata e si ritornerà a osservare la forma di vita insegnata da Serafino. Serafino muore all’inizio del 1833, pochi giorni dopo aver salutato i fratelli della sua comunità e aver cantato canti pasquali. È trovato morto nella sua isba, in ginocchio di fronte all’icona della Madonna della Tenerezza, da lui qualificata come «Gioia di tutte le gioie». Nel 1892 è insediata una commissione per dare ufficialità alla venerazione che già gli era tributata. Dieci anni dopo, giunge l’approvazione del sinodo dei vescovi e dello zar Nicola II. Il 19 luglio 1903, nel corso di tutto il giorno, si celebra in forma molto solenne, come una grande festa nazionale, la sua canonizzazione. In quell’ocdicembre 2014 Portavoce 15 ▶ San Serafino di Sarov Il monastero femminile di Diveevo fondato da san Serafino di Sarov casione, a Diveevo, una donna di nome Pasha, considerata tra i «folli per Cristo»2, preannuncia allo zar la terribile distruzione che stava per abbattersi sulla sua famiglia e sulla nazione intera. IL TESTAMENTO SPIRITUALE Di Serafino si conserva una sorta di testamento spirituale. A scriverlo è Nicola Motovilov, giovane benestante ridotto in completa infermità a causa di una malattia degenerativa e guarito per la preghiera di Serafino il 15 settembre 1831. Verso la fine del mese seguente, Nicola si reca da lui. Serafino gli dice: «Dio mi ha rivelato che in gioventù tu desideravi sapere qual è il fine della nostra vita cristiana e che più volte hai interrogato in proposito persone importanti ed esperte di cose spirituali. Ma nessuno ti ha detto qualcosa di preciso a riguardo... Ora io, povero Serafino, ti esporrò qual è realmente il fine della vita cristiana... La preghiera, il digiuno, le veglie e tutte le altre opere del cristiano, per quanto eccellenti in sé, non sono il fine della vita cristiana, benché siano i mezzi indispensabili per raggiungerlo. Il vero fine della vita cristiana consiste nell’acquisto dello Spirito Santo». 16 Portavoce dicembre 2014 Serafino insegna che lo Spirito Santo accorda la fede in Cristo, e questi, a sua volta, lo effonde sui credenti. Chi cerca e desidera Dio al di sopra di tutto lo riceve e lo custodisce ed è reso partecipe della sua gloria e del suo regno. Lo Spirito Santo rende luminosi il cuore, la mente e il corpo dei credenti, facendo sperimentare la grazia della Trasfigurazione. Quel giorno è come se l’evento della Trasfigurazione si rinnovasse in Serafino davanti agli occhi di Nicola Motovilov: i suoi occhi e tutta la sua persona si illuminano di una luce sfolgorante e di una pace inesprimibile. Nicola stesso è coinvolto personalmente in quell’esperienza. Della medesima esperienza spirituale sono rese partecipi le persone che non si appoggiano anzitutto sulla razionalità e irradiano la carità a favore di tanti altri cercatori di Dio e della sua pace, seguendo l’esortazione di Serafino: «Un cero acceso, pur bruciando di un fuoco terreno, può accendere, senza perdere il proprio splendore, altri ceri che illumineranno a loro volta altri luoghi. Se questa è la proprietà del fuoco terreno, cosa dobbiamo dire della grazia dello Spirito Santo? La ricchezza materiale, quando viene distribuita, diminuisce. La ricchezza celeste della grazia, invece, non fa altro che aumentare in colui che la diffonde». Nicola mette per iscritto questa esperienza e l’insegnamento ricevuto da Serafino in quella circostanza. Egli lascia in consegna tale testo a sua moglie e questa, a sua volta, a Sergio Nilus, uno scrittore itinerante, che lo pubblica nel 1902. Di Serafino è degna di nota anche la pratica della preghiera incessante, espressione di umiltà e della carità di chi intercede. San Leopoldo Mandic´ gli corrisponde, soprattutto in questo e nella disponibilità ad accogliere e consigliare le persone che in grande numero a lui accorrevano. P Staretz = termine russo che designava alcuni eremiti o monaci, che erano rispettati per la santità della vita che conducevano e che erano per questo presi come guide spirituali. Ne parla diffusamente Dostoevskij ne I fratelli Karamazov, così come l’ignoto autore dei celebri Racconti di un pellegrino russo. 2 Così Enzo Bianchi descrive i «folli in Cristo»: «Strani personaggi che si fingevano folli nella loro ascesi sia per stornare da sé la fama di santità, sia per ricondurre i cristiani alla “follia della croce” (1Cor 1,18), per essere eco della parola di Dio non con un linguaggio sapiente ma con l’efficacia del mimo profetico, con lo smascheramento dei difetti umani, con l’ironia verso atteggiamenti, pensieri e azioni che si pretendono sensati o devoti ma che in realtà lasciano spazio all’ipocrisia e alla doppiezza». 1 PER APPROFONDIRE I. Gorainoff, Serafino di Sarov. Vi ta, colloquio con Motilov, scritti spirituali, Gribaudi, Torino 1973. A. Mainardi (ed.), San Serafim. Da Sarov a Diveevo, Qiqajon, Bose 1998. A. Ferrari, «Serafino di Sarov», in Enciclopedia dei santi. Le Chie se orientali, II, Città Nuova, Roma 1999, pp. 970-979. grazie, san Leopoldo a cura della Redazione MATTEO, FIGLIO DEL «MIRACOLO» M ia madre Annamaria diceva che Matteo (foto a destra) è un figlio del «miracolo», infatti è un figlio «particolare». E tante sono le affinità con il nostro amatissimo santo Leopoldo. Secondo alcuni medici, non ce l’avrebbe fatta a nascere. Ma altri medici e le preghiere delle care suore dell’ospedale San Camillo di Trento, dove sono stata ricoverata per tutta la gravidanza, hanno permesso al piccolissimo Matteo di nascere il 12 maggio 1983 (il giorno della festa di san Leopoldo, ndr), anche se molto prematuro (29 settimane e 1,39 kg di peso). Mia madre, devota a padre Leopoldo, lo affidò immediatamente alla sua santa protezione e l’immaginetta del santo è sempre stata accanto a lui, nell’incubatrice, nella culla e nel lettino. Matteo, piccolo, debole e cagionevole di salute, è comunque cresciuto bene e si è fatto un bel ragazzo dal carattere dolce e gentile. È un ragazzo amatissimo e stimato in ogni ambiente. A detta di tutti, Matteo ha un qualcosa di speciale, sempre pacato e gentile, servizievole e paziente, sempre pronto a dare una mano a chi ne ha bisogno con una attenzione particolare per i più deboli, sia umani che animali. Inoltre è umile, caratteristica purtroppo sconosciuta nella nostra società. 6.7.2014: Massimo Santin e la moglie Mariangela sono giunti al santuario da Almese (TO) per ringraziare san Leopoldo per il figlio Giacomo nato il 7.5.2013 per sua intercessione Un giorno, era l’8 luglio 2004, Matteo uscì per prendere il treno per Verona, dove avrebbe dato un difficile esame, quando venne investito, proprio sulle strisce pedonali sotto casa. Un brutto incidente: un avvocato distratto non aveva rallentato, investendo e ferendo gravemente Matteo (specie alle gambe), facendolo rimbalzare contro un autobus che proveniva dalla parte opposta. E qui iniziano alcune coincidenze «miracolose»: sull’autobus c’era un infermiere, che prestò i primissimi importanti soccorsi, (infermiere che tutti ricordano e che ho cercato per ringraziare attraverso mille canali, ma che nessuno ha mai più visto); contemporaneamente, in un’altra via di Trento, era accaduto un altro grave incidente, ma l’unico elicottero in dotazione, per un minuto (l’hanno detto i medici del pronto soccorso), venne fatto alzare per Matteo, mentre l’altra vittima purtroppo è deceduta. Poi, Matteo fu immediatamente ricoverato a Verona, dove venne operato al cervello, alle spalle, allo zigomo e alle gambe. Per due settimane rimase in coma. Tante sono state le veglie di preghiera per lui: nell’ex parrocchia, nella nuova parrocchia (avevamo cambiato casa da quattro anni) e nel nostro paese di origine. Tutti hanno pregato per lui e tante sono state le novene a san Leopoldo. Malgrado la paura, l’angoscia e il dolore, eravamo sereni e sicuri che la nostra Madre celeste e padre Leopoldo sarebbero stati sempre accanto al nostro adorato figliolo. Mia sorella, che è anche madrina di battesimo di Matteo, una notte sognò che un piccolo frate, «un po’ buffo», guardava Matteo, camminava vicino al suo letto (da notare che mia sorella dicembre 2014 Portavoce 27 ▶ grazie, san Leopoldo non poteva entrare nel reparto di terapia intensiva, e dunque conoscere la descrizione del letto e delle apparecchiature), e a un certo punto passava la mano sulla parte destra del corpo di Matteo. Ebbene, quella stessa parte destra, alcuni giorni dopo, si svegliò. Quando Matteo uscì dal coma, il giorno stesso del trasferimento in un altro reparto, mi chiese chi fosse quel «fraticello in fondo al letto». Io pensai che fossero allucinazioni post coma, perché non c’era nessuno. Solo dopo tanto tempo mi tornò in mente questo particolare e lo collegai subito all’intercessione del nostro amatissimo san Leopoldo. Ora, se chiedo a Matteo cosa si ricorda di quei giorni, mi dice che sentiva il mio profumo e avvertiva le carezze di qualcuno di piccolo. Con fatica e impegno Matteo è tornato a vivere: ha ferri nel corpo, ma sta bene. Con gradissimo impegno e fatica, nel novembre 2004, diede quel famoso esame, premiato con un 30 e lode. Si è laureato in biotecnologie agro-industriali. Ora lavora in una azienda locale, ha una posizione di rilievo, scrive per riviste prestigiose, ha una bella fidanzata. Ma è rimasto il Matteo umile e semplice di sempre: che ringrazia Dio ogni mattina quando apre gli occhi, che tutti gli anni si ricorda di ringraziare la Madonna e i santi che l’hanno aiutato e anche tutti coloro, amici e parenti, che hanno pregato per lui. Come non credere che san Leopoldo lo ha aiutato a nascere, a crescere, a guarire e a vivere. Matteo, come diceva mia madre, è «il miracolo» di san Leopoldo. San Leopoldo per noi è uno di famiglia: ci consiglia, ci rimprovera, ci aiuta a essere sereni e uniti, ci esorta a portar pazienza, ci invita alla preghiera e ci raccomanda sempre di pregare la nostra «Parona benedeta». La signora Carmen Benavides, grande devota e zelatrice a Lima (Perù) della devozione a san Leopoldo, che «conobbe» in sogno. È la terza volta che arriva a Padova in pellegrinaggio Loredana Pierotti, Trento, 3.8.2014 «CONTINUA A ILLUMINARCI» S ono una mamma che si è rivolta a san Leopoldo, chiedendo con umiltà che guardasse alla nostra famiglia e la proteggesse, lui che per noi vuole solo cose buone, e allontana la discordia, le incomprensioni, le divisioni… E così è stato! Ha mandato il suo raggio di luce, che ha illuminato la nostra strada, in modo che non ci perdessimo nell’oscurità e inciampassimo. Grazie, san Leopoldo! Noi ti preghiamo e tu, continua a illuminarci perché scegliamo le cose giuste e buone, e sappiamo essere pazienti e benevoli, capaci di vivere nel timor di Dio. Non farci perdere di vista queste cose meravigliose, che ci permettono di dare un senso alla nostra vita. Lettera firmata, Gambellara (VI), 3.7.2014 28 Portavoce dicembre 2014 Alessio e Sara Pinton, residenti a Candiana (PD), hanno affidato a san Leopoldo la figlia Giulia di 14 mesi, nata per sua intercessione devozione di Giovanni Lazzara SAN LEOPOLDO ALL’OSPEDALE CIVILE DI PADOVA A l termine dei lavori di riqualificazione del giardino posto, all’Ospedale civile di Padova, tra l’accesso al Monoblocco e la palazzina della Radioterapia, lo scorso 30 luglio si è svolto un breve rito con la benedizione della statua bronzea di san Leopoldo Mandic´ e la riconsegna del giardino stesso (indicato dal cerchio nella foto sopra). Erano presenti alcuni cappuccini (fr. Giovanni Lazzara, già vicario del convento cappuccino di Santa Croce, con i frati Tiziano Squizzato e il missionario Graziano Sicchiero), il cappellano ospedaliero p. Mario Didonè, il direttore generale dell’Azienda ospedaliera di Padova dott. Claudio Dario, il direttore sanitario dott. Gianluigi Scannapieco, il direttore amministrativo dott. Eugenio Possamai, il dr. Giona, l’ing. Spina, il dr. Mognon, la dr.ssa Silvana Bortolami dell’URP, alcuni volontari e qualche paziente. Fu proprio qui, all’ospedale di Padova, che per l’aggravarsi delle condizioni di salute padre Leo poldo fu ricoverato all’inizio di aprile 1942. Molte persone, alla notizia del ricovero si riversarono all’ospedale a visitarlo. All’epoca la trasfusione veniva eseguita subito dopo il prelievo. E a donare il sangue a padre Leopoldo furono un frate e un infermiere di nome Marco Ercolini. Il trattamento parve ottenere un certo giovamento, tanto che padre Leopoldo, riprese le forze, non lesinò espressioni di gratitudine a chi lo aveva in cura. «Grazie! Mi avete ridata la vita!» disse ai medici stringendo loro la mano. Purtroppo, morirà tre mesi dopo, il 30 luglio 1942. P dicembre 2014 Portavoce 29 ▶ devozione N ella suggestiva cornice autunnale attorniante il Monte Corno sopra Lusiana (VI), sabato 27 settembre scorso si sono ritrovati, dopo quasi tre decenni, alcuni tra i primi protagonisti che, il 12 luglio 1986, diedero avvio alla costruzione dell’«Eremo san Leopoldo Mandic´», ora un’autentica oasi di pace e di ritiro. Una trentina i convenuti. La giornata è iniziata con una santa messa di ringraziamento concelebrata dai frati Elio Cella, Pietro Tosato, Claudio Martinello, Gianni Bordin e Gianluigi Pasquale, durante la quale sono stati ricordati coloro che, operai e fabbricieri della «prima ora», ci hanno, nel frattempo, lasciato: Silvio Pasquale, Giannino Tosato, Attilio Dal Santo e tanti altri ancora. Il pranzo è stato rallegrato anche dalle famiglie di quanti, per qualche tempo, hanno condiviso il cammino di formazione religiosa: Maurizio Brandalese, Giorgio Ometto, Marino Pasin, Ferruccio HA QUASI 30 ANNI L’«EREMO SAN LEOPOLDO» Laghetto, Cristiano Zaltron. È stato anche proiettato un documentario, prodotto da Luciano Dal Santo di Thiene (VI) e montato da fr. Elio, che riassumeva i principali e commoventi momenti – quali per esempio le visite del vescovi Desideri DONARE LA TUA VITA per chi è nel bisogno? Noi FRATI CAPPUCCINI ti proponiamo un percorso per fare chiarezza su di te e sulla tua vita. Si tratta di alcuni WEEK-END, PER MASCHI DAI 19 AI 33 ANNI, da trascorrere con altri giovani come te, nei nostri conventi. cappuccini Girolamo Bortignon e Flavio Roberto Carraro – che hanno portato a essere una tangibile realtà quella che, all’inizio, poteva sembrare soltanto un’evangelica follia. P (Gianluigi Pasquale) 17-18 gennaio 2015 21-22 febbraio 2015 21-22 marzo 2015 18-19 aprile 2015 30 maggio - 2 giugno 2015: incontro vocazionale nazionale Giugno 2015: esperienza di servizio 17-23 agosto 2015: settimana vocazionale Contatti: ARCO (TN), tel. 0464 516184: ff. Andrea Cova, Dario Zardo, Paolo Costa ASOLO (TV), tel. 0423 952103: fr. Luca Santato CONEGLIANO (TV), tel. 0438 22245: fr. Marco Moretto GORIZIA, tel. 0481 536299: fr. Luigi Bertiè LENDINARA (RO), tel. 0425 641044: fr. Silvano Scolaro PADOVA, tel. 049 8801311: ff. Ado Baruffa, Marco Putin PORTOGRUARO (VE), tel. 0421 71414: fr. Davide Campesan ROVIGO, tel. 0425 421496: ff. Emanuele Boscolo, Gianluca Volpato THIENE (VI), tel. 0445 368545: ff. Alessandro Carollo, Giovanni Fontolan, Nicola De Pretto
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