òς European Journalism - GNS Press Ass.tion - The ECJ promotes publishing, publication and communication- P. Inter.nal I COMPORTAMENTI A RISCHIO LE DIPENDENZE ( 2 parte ) ANNO X N.RO 04 del 01/04/2014 Pag. psicologica Al supermercato Popolo stai sereno Il teatro romano De cognomine Note antropologiche Ius primae noctis Il racconto del mese Da Trapani Momento tenero La donna nella storia Immagini d’un altro t. Proverbi Storia della musica La pagina medica Storia della musica La donna nella letterat. Quanti l’avevano capito? Fatalità di E.Siviglia Dentro la storia Baby Squillo I grandi pensatori Politica e nazione Dentro le istituzioni I piatti tipici Dalla Red.di Bergamo Dalla Red.di San Valent. Nuova pubbl. A.Burdua Regimen sanitatis saler. Opinione Eretica Leviora L’angolo della follia Sul portale L’alcool non è percepito tra i giovani come una sostanza pericolosa in quanto è una sostanza di uso comune, legalizzata ed ampiamente pubblicizzata. I giovani, inoltre, sembra non conoscano i rischi sociosanitari correlati all’alcool,ne sottovalutano la pericolosità e tendono ad aderire in maniera sempre più diffusa alla cosiddetta cultura dello “sballo”, come alterazione dello stato di coscienza. Nelle femmine la situazione è completamente diversa, nell’aggressività, né la timidezza né tanto meno problemi di concentrazione hanno alcuna relazione con la tendenza ad usare droghe in un secondo momento. All’età di 16-17 anni le ragazze usano una quantità inferiore di birra, vino, liquori, marijuana, ed altre droghe illegali rispetto ai loro coetanei maschi, ma non usano meno tabacco. All’interno d’entrambi i gruppi, maschi o femmine con i punteggi intellettivi più alti e le migliori risposte ai testi attitudinali scolastici tendevano ad abusare di birra, vino, super alcolici e marijuana 10 anni più tardi. In genere i bambini che sono più “pronti” e adatti alla scuola sono anche quelli più preparati a sperimentare le droghe. Lo stato della salute psicologica e le relazioni intra-familiari giocano un ruolo essenziale per le ragazze. Le madri hanno un importante effetto sulla salute psicologica delle loro figlie , ma non dei loro maschi . Le aspettative materne e la salute psichica della madre sono i fattori protettivi più validi contro l’abuso di sostanze nelle ragazze, 10 anni più tardi. Le ragazze con solidi rapporti affettivi all’interno della famiglia tendono ad usare meno sostanze di quelle che provengono da famiglie in crisi, ma la stessa situazione non è valida per i loro fratelli per i quali l’ aggressività rimane uno dei comportamenti predittivi più importanti dell’abuso di cocaina. Purtroppo, che sono sempre più frequenti, tra gli adolescenti, quei comportamenti che la letteratura specialistica definisce “a rischio” in quanto causa, in modo diretto o indiretto di danno alla loro salute e, spesso, della morte. Ovviamente, ci si riferisce sia ai comportamenti autolesivi (suicidio e tentativi di suicidio, tossicomanie), che alle conseguenze (malattie a trasmis-sione sessuale, uso dei contraccettivi, aborti); sia ad un’attività sessuale preco-ce, che a comportamenti alimentari abnormi (anoressia, bulimia) ed alla mor-te “da divertimento” (le stragi del sabato sera, la violenza agita e subita nello sport). Ed anche se non si può negare che l’eziologia della maggior parte di questi comportamenti è da ricercare nella “difficoltà di crescere”, tipica dell’adolescenza, è pur vero che un adeguato intervento educativo, sul valore della vita e della salute, e la presenza di adulti attivi ed autorevoli, consentirebbero di modificare in modo incisivo il rapporto dell’adolescente con la realtà esterna. Le droghe, per le loro caratteristiche chimiche e culturali, rappresentano delle esperienze accattivanti per gli adolescenti, poiché danno l’illusione di vivere esperienze diverse, trasgressive, in grado di rispon-dere al loro bisogno di esplorazione, di creatività e di scoperta.1 http://www.andropos.eu/antroposint heworld.html 1) Franco Pastore, LE PROBLEMATICHE DELL?ADOLESCENZA, A.I.T.W. edizioni SA. 2013 -1- Antropos in the world AL SUPERMERCATO DELLA DROGA Ecco la vulgata farsi avanti, questa volta il trambusto e il rumore di accompagnamento alla richiesta di poter “farsi” è davvero ridondante.La Consulta ha abrogato la legge Giovanardi-Fini che regolava la materia della droga e delle tossicodi-pendenze, per cui ora tra chi fuma uno spinello e chi si buca o sniffa cocaina esisterà una grande differenza, d'ora in poi anche la legge tornerà a tenere conto di queste diversità. La Corte Costituzionale ha infatti "bocciato" la legge Fini-Giovanardi che equipara droghe leggere e pesanti: nella norma di conversione furono inseriti emenda-menti estranei all'oggetto e alle finalità del decreto. E’ tempesta mediatica senza precedenti, come la confusione dialettica tra significati ben diversi e distanti, infatti per chi scrive non esiste una droga normale, una droga che fa bene, una droga buona e un’altra cattiva, più semplicemente esiste la droga che fa male. A sentire esperti e specialisti, il carcere verrà riequilibrato, risolto il problema endemico dell’Amministrazione Penitenziaria dal sovraffollamento, fatti uscire dalle gabbie migliaia di detenuti, perché adesso è sancita la mistura peregrina per autorizzare una droga leggera, quindi finalmente accettabile. Quando c’è un grave momento di crisi, trapasso di usi e costumi, l’idea salvifica sta nel rigurgito di vecchie richieste liberticide, che in sintesi vorreb-bero significare il comando a dare a ogni singolo individuo adulto la possibilità di scegliere di dro-garsi o meno, di dire e fare della propria salute, nonché della propria vita. Questo pensiero parrebbe esprimere rispetto per le scelte individuali, invece non è così, somiglia di più a un inseguimento circolare, meccanico, che riporta al punto di partenza, sempre che ci si arrivi, incolumi, a quel nastro di avvio, in barba alle norme del diritto e di tutela della persona. In gioco non c’è soltanto la salute e la vita, ma anche la libertà e l’esistenza degli altri, soprattutto degli innocenti, che spesso pagano dazi non propri, quegli innocenti che rimangono spesso senza giustizia, senza sostegno per le lacerazioni imposte e ingiustamente subite. Quando sento dire che la canna fa bene, oppure non fa male, non crea danni fisici-psichici collaterali, penso che scienza è non solo coscienza, per comprendere che i principi attivi sono cambiati, esponenzialmente superiori a ogni sopportabilità, che stordirsi equivale a non essere lucidi, né presenti, che sballarsi non è normale, come non lo è mai troncare gambe e vite a chi ci è prossimo. Farsi le canne comporta il rischio di un progressivo uso di altre droghe, una riduzione-capacità cognitiva, di memoria, psicomotoria, alimentando ansia, stress, depressione, i più formidabili nemici del tempo, nostro compagno di viaggio. Proibizionismo e antiproibizionismo non fanno servizio agli ultimi, non aiutano i più fragili, non accompagnano i più giovani a ben camminare, serve una norma che spinga al recupero della persona, non certa- mente un manifesto che incita a sostenere “la libertà della droga, a discapito della libertà dalla droga”. Qualcuno mi ha risposto:non sempre finisce come è accaduto a te, non sempre si diventa fatti a vita o tossici, non sempre c’è sangue, assenza, tragedia in agguato, non sempre al divertimento si sostituisce la dipendenza, la patologia, la malattia. Non amo il pensiero unico che non aiuta le persone, ma spacciare statualmente significa usare le persone, renderle addomesticate, non certamente liberarle: fumare, calare, tirare, non è slancio in avanti che avvicina al traguardo, bensì allontana ulteriormente da ogni forma concreta di autorealizzazione. Fumare canne non fa bene: incidenti stradali, inciampi professionali, rese e abbandoni scolastici, sono dietro l’angolo, per non parlare del fatto che legalizzare non farà abbassare le utenze, il Giudice Borsellino lo ha spiegato bene, non è superata dal tempo passato la sua eredità intellettuale quando afferma che in questo modo aumenteranno quelle pesanti. Per chi come me svolge il proprio servizio in una comunità di servizio e terapeutica, a stretto contatto con i più fragili, con i tossicodipendenti, non è difficile provare che il 90% di queste persone ha iniziato la propria discesa all’inferno scoprendo le droghe erroneamente definite, peggio, interpretate “leggere”. Ho l’impressione che il mondo adulto viva malamente la propria condizione di formatore e di guida, come se fosse sufficiente ridurre tutto a una nozione da trasmettere, invece no, non è così, occorre raccontarla la vita, soprattutto ai più giovani, raccontare che le anse non proteggono e le derive portano al macero. Se non c’è automatismo tra chi fuma e chi sniffa, c’è sicuramente una correlazione e una contaminazione statistica che lo conferma. Lo stato già vende alcol, tabacco, slot e gioco d’azzardo, perché farsi tanti problemi? Proprio perché lo stato guarda ai capitolati e ai denari importanti per peso di ingresso, occorre mettersi di traverso. Conosco la fatica e la sofferenza che circondano le persone che stanno tentando di riprendersi la propria vita violentata dall’alcolismo, dalla ludopatia, dal tabagismo, c’è urgenza di mettersi a mezzo per non aggiungere altre lacerazioni a quelle che già ci sono. C’ è perfino chi protesta per il ritiro della patente se trovato positivo al test per uso di sostanze, una canna non fa niente, non ti mette in coma, non ti fa fare retromarcia durante una corsa dritta. Ricordo come fosse ieri quella macchina, i tre ragazzini, le cartine e i pezzetti di fumo, diventa un pugno nello stomaco, l’ammasso di ferraglia contorta tutta intorno al grande albero, il silenzio fermo, acre come l’odore del sangue mischiato all’olio motore. Rimasero in due a strisciare sull’asfalto per raggiungere il lago. Rammento la rabbia feroce e gli improperi nei riguardi di chi guidava fatto, buttando giù guardrail e pezzi di umanità inconsapevole. -2- Antropos in the world non sarà così, perché tutte le mafie hanno grande capacità di riciclarsi, la storia ce lo insegna a chiare lettere. Pensiamo a legalizzare morte, mentre i maggiori sfaceli accadono dentro le nostre belle e tranquille quattro mura, dove rimane a fare da cubista diroccata la famiglia, dove i ragazzi sono alla catena del messaggio istantaneo, dentro una scuola solitudinarizzata e messa in disparte, ebbene troviamo tempo e modo per delocalizzare attenzione e solidarietà costruttiva, attraverso un effetto spostamento caratteristico, così la buttiamo sulla Maria e sulla Giovanna. Siccome non siamo mai sazi di parole e di spari alle spalle, c’è anche chi invita a legalizzare la cocaina se vogliamo vincere la battaglia contro la droga. Come ci dice qualcuno mai stanco di essere-farsi testimone del nostro tempo: “c’è necessità di buone a valide ragioni, non solamente di leggi, ma di presenze adulte che sappiano parlare e accompagnare con cuore”. Ostinato e cocciuto ritorna l’eco: ognuno decide della propria salute, è libero di farsi del male, senza intromissioni da parte dello stato. Però esistono i diritti e i doveri, di essere salvaguardato come cittadino, di non pesare sulla collettività a causa delle mie scelte. Credo occorra maggiore rispetto per chi non ce la fa, per chi non ha imparato ancora a vivere, il resto è davvero retrovia di ogni ideologia. Siamo il paese dei minori allo sbaraglio, quali maggiori consumatori di cannabis, adolescenti e spinelli che è illegale farsi, ma domani che sarà legalizzata, ci rassicurano i saggi e sapienti, i giovani rimarranno fuori dal consumo autorizzato, ma continueranno a fumare e tirare, con l’aggravio evidente di un mercato parallelo assai più devastante. Siamo il paese delle mafie, delle organizzazioni criminali, delle politiche antimafie: legalizzando toglieremo mercato alle organizzazioni antistato, ben sapendo che Andraous X CONCORSO DI PITTURA ESTEMPORANEA: L’ARTE A SANT’ELIGIO E A PIAZZA MERCATO Una nuova opportunità di poter dipingere all’aria aperta viene offerta dalla estemporanea organizzata da Enzo Falcone nella zona di Sant’Eligio e piazza Mercato. L’ultima edizione ha sancito la riuscita di questa manifestazione culturale che da anni l’associazione Storico Borgo Sant’Eligio organizza sul territorio, con tantissimi artisti che nelle varie edizioni si sono cimentati con paesaggi e palazzi, fontane ed arcate, chiese e automobili, in un mix di emozioni e di suggestioni storiche forti, nei luoghi del “moricino” e di quei traffici millenari che proprio qui furono porta aperta sulle culture mediterranee. L’ultima edizione ha visto la partecipazione di oltre centotrenta artisti, divise in tre sezioni tra artisti “professionisti”, allievi e ragazzi e la qualità veramente alta delle opere, è stato molto soddisfacente, anche e soprattutto in considerazione del tempo ridotto in cui realizzarle. Ma si apre un nuovo capitolo, con la prossima estemporanea, che offre tanti angoli suggestivi e tante strade piene di storia, e come al solito saranno tanti di buon mattino ad andare a scegliere l’angolino preferito, per lo scorcio da ritrarre. Anche in questa edizione saranno tanti gli studenti delle varie scuole di diverso ordine, a partecipare, sia per lo spirito di partecipazione attiva al territorio e sia per la maggiore conoscenza dello stesso. Saranno tante le facce già conosciute, come quelle di artisti che verranno per la prima volta a scoprire gli angoli dove Masaniello aizzava il popolo, dove il Cardinale Ruffo a cavallo sedò la rivolta, la piazza dove Corradino perse il regno e la testa. L’Associazione Storico Borgo Sant’Eligio ed il Consorzio Antiche Botteghe di Piazza Mercato saranno gli organizzatori ed Enzo Falcone che dalla prima idea ne ha realizzato un appuntamento irrinunciabile in città. VI ASPETTIAMO. Informazioni: Enzo Falcone – tel 081.5544834 borgosanteligio@gmail.com A MASSIMO TROISI Ci mancheranno , Massimo , in questo a volte strano divenire la tua parlata , il tuo gesticolare , le battute istintive la tua gran voglia di comunicare . Ci mancheranno , Massimo , le tue mimiche uniche ad effetto sicuro inconfondibili la tua maschera comica che celava il segreto del tuo cuore che ti tradì quel giorno all'improvviso l'eco del tuo " Postino " di Neruda è come un urlo , massimo , è dolore ! Luciano Somma __________________________________ -3- Erroneamente attribuita a Guglielmo Somma nel n.ro precedente. - Antropos in the world POPOLO STAI SERENO, ALMENO FINO A MAGGIO! Sbaglierò, ma l’esordio roboante di Matteo Renzi non mi sembra questa grande novità. Il tanto enfatizzato primo Consiglio dei Ministri renziano, infatti, non ha varato nessun provvedimento; si è limitato ad approvare l’elenco delle cose che il buon Matteo dice di voler realizzare; salvo – naturalmente – a trovare le necessarie “coperture”. Esattamente come il primo Consiglio dei Ministri presieduto da Letta. L’unica differenza sta nella “lista della spesa”. Letta voleva bloccare l’aumento dell’IVA, abolire l’IMU, dare una pensione agli esodati, rafforzare gli ammortizzatori sociali, umanizzare l’imposizione fi-scale, e altre cose di minor conto: per un importo totale oscillante dai 20 ai 30 miliardi di euro. La lista di Renzi, invece, è più folta, e prevede: il taglio del cuneo fiscale che dovrebbe portare i famosi 80 euro mensili in più per una larga fascia di contribuenti (spesa prevista: 10 miliardi), il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese private (spesa prevista: 68 miliardi), una riduzione dell’IRAP del 10% (spesa prevista: 2,6 miliardi) ed altre piccole cose. A occhio e croce – diciamo – poco meno di un centinaio di miliardi di euro, 200.000 miliardi delle vecchie lire. La qualcosa – mi permetto di aggiungere – equivale a bollare come incapaci quelli del governo precedente (molti dei quali sono anche ministri del suo gabinetto), i quali – si ricorderà – non furono capaci di trovare un misero miliarduzzo per tagliare un pezzo di IMU. E veniamo alla nota dolente, quella delle coperture. Molti dubitano che ci siano; anche perché su questo punto il piccolo rottamatore fiorentino è stato tutt’altro che preciso. A mio modesto parere, invece, il furbo Matteo questi 100 miliardi li troverà. E li troverà nell’unico posto dove potrà andarli a cercare, cioè nelle nostre tasche. Certamente non in maniera sfacciata, non sotto forma di tassazione generalizzata o di riduzione delle retribuzioni. Ma in modo accorto, subdolo, sotto le mentite spoglie di riduzione della spesa o di redistribuzione della ricchezza. Attenzione: teniamo ben presente che, a parte gli sprechi e le ruberie, ogni singolo euro di riduzione della spesa pubblica comporta per il cittadino una maggiore spesa di un euro. In altri termini: se ti do 80 euro di più in busta paga e, contemporaneamente, ti impongo 150 euro di maggiori spese per sanità, istruzione, tariffe, addizionali comunali, eccetera, non ti regalo 80 euro, te ne tolgo 70. E tutto questo non perché Renzi sia cattivo, ma perché i soldi li può trovare solo nelle nostre tasche. E per “nostre” intendo di noi privati o delle aziende. Dove, altrimenti? In piccolissima parte nei proventi fiscali di una ipotizzabile – ottimisticamente – crescita delle esportazioni. E poi, basta. La verità è questa: altri soldi non ce ne sono, non ne esistono materialmente in Italia, né se ne potranno trovare in futuro; almeno fino a quando non usciremo dall’euro e non ci riapproprieremo della facoltà di battere una nostra moneta nazionale. E quando dico “battere moneta”, mi riferisco ad una moneta emessa “a credito” dallo Stato o dalla banca di Stato. E non ad una moneta “a debito” che una banca centrale privatizzata (come la Banca d’Italia o la Banca Centrale Europea) presta allo Stato. Solo in questo modo potremo ripagare il nostro astronomico debito pubblico. A proposito: l’ultimo bollettino della Banca d’Italia – fresco di stampa – ci informa che nel solo mese di gennaio 2014 il debito pubblico italiano è aumentato di altri 20 miliardi e mezzo, portando il totale a quasi 20.090 miliardi di euro, 40 e passa, milioni di miliardi di lire. E non s’è parlato ancora di MES e Fiscal Compact, altri 70 miliardi di euro all’anno – fra esborsi e tagli – da sacrificare sull’altare europeo. Nonostante tutto, comunque, sono convinto che arriveranno gli 80 euro in busta paga e che le azien-de creditrici riceveranno buona parte delle loro spettanze. Renzi – come ho scritto la settimana scorsa – ha il compito di tenere allegra la gente fino alle elezioni europee, per scongiurare il pericolo di un successo dei “populisti”. Poi, si vedrà. -4- Michele Rallo Che dici, finirà bene? Bene?A me gia brucia da morire, figuriamoci tra un po’! Antropos in the world IL TEATRO COMICO ROMANO a cura di Andropos La parola commedia è tutta greca: κωμῳδία, "comodìa", infatti, è composta da κῶμος, "Kòmos", corteo festivo e ᾠδή,"odè", canto. Di qui il suo intimo legame con indica le antiche feste propiziatorie in onore delle divinità elleniche, con probabile riferimento ai culti dionisiaci . Peraltro, anche i primi ludi scenici romani furono istituiti, secondo Tito Livio, per scongiurare una pestilenza invocando il favore degli dèi. I padri della lingua italiana, per commedia intesero un componimento poetico che comportasse un lieto fine, ed in uno stile che fosse a metà strada fra la tragedia e l'elegia. Dante, infatti, intitolò comedìa il suo poema e considerò tragedia l’Eneide di Virgilio. La commedia assunse una sua struttura ed una sua autonomia durante le fallofòrie dionisiache e la prima gara teatrale fra autori comici si svolse ad Atene nel 486 a.C. In altre città si erano sviluppate forme di spettacolo burlesche, come le farse di Megara, composte di danze e scherzi. Spettacoli simili si svolgevano alla corte del tiranno Gerone, in Sicilia, di cui purtroppo, non ci sono pervenuti i testi. A Roma, prima che nascesse un teatro regolare, strutturato cioè intorno a un nucleo narrativo e organizzato secondo i canoni del teatro greco, esisteva già una produzione comica locale recitata da attori non professionisti, di cui non resta tuttavia documentazione scritta. Analogamente a quanto era accaduto nel VI secolo a.C. in Attica, anche le prime manifestazioni teatrali romane nacquero in occasione di festività che coincidevano con momenti rilevanti dell’attività agricola, come l’aratura, la mietitura, la vendemmia. TERENZIO: Andria (rappresentata nel 166 a.C.) La data di nascita di Terenzio non è conosciuta con precisione; si ritiene sia nato lo stesso anno della morte di Plauto, nel 184 a.C., e comunque tra il 195 e il 183 a.C.. Di bassa statura, gracile e di pelle scura, nacque a Cartagine ed arrivò a Roma come schiavo del senatore Terenzio Lucano. Quest’ultimo lo educò nelle arti liberali, e in seguito lo affrancò ed assunse il nome di Publio Terenzio Afro. Fu in stretti rapporti con il Circolo degli Scipioni, ed in particolare con Gaio Lelio, Scipione Emiliano e Lucio Furio Filo: grazie a queste frequentazioni, apprese l'uso alto del latino e si tenne aggiornato sulle tendenze artistiche di Roma. Il grammatico Fenestella cita però altri esponenti della "nobilitas", ossia Sulpicio Gallo, Quinto Fabio Labeone e Marco Popillio. Durante la sua carriera di commediografo (dal 166, anno di rappresentazione della prima commedia, Andria,al 160 a.C.), venne accusato di plagio ai danni delle opere di Nevio e Plauto e di aver fatto da prestanome ad alcuni protettori, impegnati in politica, per ragioni di dignità e prestigio (l'attività di commediografo era considerata indegna per il civis romano), tanto che Terenzio stesso si difese tramite le sue commedie: nel prologo degli Adelphoe (I fratelli), per esempio, egli rifiuta l'ipotesi che lo vede prestanome di altri, segnatamente dei membri dello stesso Circolo degli Scipioni. Venne accusato di mancanza di vis comica e di uso della contaminatio. Morì mentre si trovava in viaggio in Grecia nel 159 a.C., all'età di circa 26 anni. Terenzio scrisse soltanto 6 commedie, tutte giunte a noi integralmente. TRAMA DELLA COMMEDIA – E’ la storia del vecchio Simone, il quale si è accordato con il vicino di casa Cremete perché i loro figli Panfilo e Filùmena si sposino. Panfilo ha però una relazione segreta con Glicerio, una fanciulla che tutti credono sorella dell'etera Criside, che attende da lui un figlio. Simone scopre la relazione del figlio solo in occasione del funerale di Criside e, profondamente irritato da questa "ribellione", gli comunica l'imminenza delle nozze con Filumena, nonostante Cremete abbia annullato l'accordo. Il 'giovane', però, è deter-minato a non tradire Glicerio e finge di accettare passivamente le nozze. La vicenda si complica: Cremete ha un ripensamento e concede il consenso. Gli equivoci sono chiariti dall'arrivo del vecchio Critone, amico della morta Criside, che riconosce in Glicerio la figlia che Cremete credeva morta in naufragio verso l'isola di Andro, Pasibula. La commedia si conclude con duplici nozze: Panfilo sposa Glicerio e Carino, un amico di Panfilo, sposa Filumena. SINOSSI - L'Andria è la prima opera di teatro latino in cui il prologo è dedicato non all'esposizione del contenuto, ma alla polemica letteraria. Nei primi versi, infatti, Terenzio si difende dall'accusa di plagio e contaminatio. Il prologo di Andria ha la funzione di respingere l'accusa di “contaminatio” di Luscio Lanuvino. Scritto, evidentemente, dopo che la commedia era stata rappresentata, non fa alcuna allusione alla trama o ai personaggi. L'autore afferma, in primo luogo, che sua unica preoccupazione è stata quella di rivolgere l'animo allo scrivere, affinché le sue composizioni riuscissero gradite al popolo. -5- ASSOCIAZIONE LUCANA “G. Fortunato” - SALERNO SEDE SOCIALE in Via Cantarella (Ex Scuola Media “A. Gatto”) Antropos in the world DE COGNOMINE DISPUTĀMUS “ Il soprannome è l’orma di una identità forte, che si è imposta per una consuetudine emersa d’improvviso, il riconoscimento di una nobiltà popolare, conquistata in virtù di un ruolo circoscritto alla persona, quasi una spinta naturale a proseguire nella ricerca travagliata di un altro sé. Il sistema antroponimico era dunque binominale, formato da un nome seguito o da un’indicazione di luogo (per es.: Jacopone da Todi), o da un patronimico (Jacopo di Ugolino) o da un matronimico (Domenico di Benedetta) o da un attributo relativo al mestiere (Andrea Pastore), et cetera. Il patrimonio dei cognomi era pertanto così scarso, che diventava necessario ricorrere ai soprannomi, la cui origine non ha tempi e leggi tali, da permettere la conoscenza di come si siano formati, e la maggior parte di essi resta inspiegabile a studiosi e ricercatori. Spesso, la nascita di un soprannome rimanda ad accostamenti di immagini paradossali ed arbitrari. Inutilmente ci si sforzerebbe di capire il significato e l’origine di soprannomi come "centrellaro" o come "strifizzo" o "trusiano", lavorando solo a livello di ricerca storica e filologica. E così, moltissimi soprannomi restano inspiegabili, incomprensibili, perché si è perso ormai il contesto storico, sociale e culturale o, addirittura, il ricordo dell’occasione in cui il soprannome è nato. Verso il XVIII° secolo, il bisogno di far un po’ d'ordine e la necessità di identificare popolazioni diventate ormai troppo popolose porta all'imposizione per legge dell'obbligo del cognome. Questo mese, ci occuperemo del cognome: NEGRI In Italia : 6073 persone hanno il cognome NEgri secondo i nostri dati ed è il 180° più diffuso in Italia. Il cognome è diffuso massimamente nel parmese, ma è presente in buona parte dell’Italia. Le varianti sono: Negro, Negra, Negrini, Negrinotti, Negrioli, Negretto, Negrello, Negrato. Origini Deriva dal latino Niger "nero", nasce da un soprannome dovuto al colore scuro della pelle, dei capelli o della barba. Ve ne è traccia antica in circa 20 famiglie nobili di Bologna, Ferrara, Milano, Pavia, Padova, Palermo, Asti, Piemonte, Roma, Marche, Trentino, Venezia, Vicenza, Savona e Verona. Così Negrelli è tipico del mantovano e del modenese. Negrello risulta diffuso nel vicentino. Negretti ha due ceppi, uno in Lombardia e l'altro nel Lazio. Neri è panitaliano. Negro ha un nucleo nel Salento. Negroni è molto ricorrente nel bolognese. -6- a cura di Andropos Nigrelli presenta dei ceppi autoctoni in Sicilia e si ritrova, forse come conseguenza di errori di trascrizione, nel mantovano. Risultano più rare le varianti Nerini e Negrino. PERSONAGGI FAMOSI:IAda Negri nacque a Lodi il 3 febbraio del 1870. Le sue origini erano umili: suo padre Giuseppe era vetturino e sua madre, Vittoria Cornalba, tessitrice; passò l'infanzia nella portineria del palazzo dove la nonna, Peppina Panni, lavorava come custode presso la nobile famiglia Barni, legata un tempo al celebre mezzosoprano Giuditta Grisi, fino alla morte della quale era stata governante Peppina: sul rapporto tra Grisi e la sua famiglia, Ada costruirà il mito della propria infanzia. In portineria Ada passava molto tempo sola, osservando il passaggio delle persone, come descritto nel romanzo autobiografico Stella Mattutina (1921). Ad appena un anno dalla nascita rimase orfana del padre, avvinazzato e avvezzo al canto, considerato, dunque, un peso dalla madre Vittoria: fu grazie ai sacrifici di questa, la quale cercò un guadagno sicuro in fabbrica, che Ada poté frequentare la Scuola Normale femminile di Lodi, ottenendo il diploma di insegnante elementare. compose le poesie poi pubblicate nel 1892 nella raccolta Fatalità, un libro di grande successo, al punto che, su decreto del ministro Zanardelli, le fu conferito il titolo di docente per chiara fama presso l'Istituto superiore "Gaetana Agnesi" di Milano. Così si trasferì con la madre nel capoluogo lombardo.A Milano entrò in contatto con i membri del Partito socialista italiano, anche grazie agli apprezzamenti ricevuti da alcuni di essi per la propria produzione poetica, nella quale è molto sentita la questione sociale. Tra loro ebbe un ruolo fondamentale il giornalista Ettore Patrizi, col quale ebbe intense relazioni epistolari; conobbe poi Filippo Turati, Benito Mussolini e Anna Kuliscioff . Nel 1894 vinse il Premio Giannina Milli per la poesia. Nello stesso anno uscì la sua seconda raccolta di poesie, Tempeste, meno apprezzata di Fatalità, nonché vittima di una forte critica da parte di Luigi Pirandello. In questo periodo la sua lirica si concentrò soprattutto su temi sociali ed ebbe forti toni di denuncia, tanto da farla definire la poetessa del Quarto Stato. Il 1896 fu l'anno di uno fallimentare matrimonio con Giovanni Garlanda, industriale tessile di Biella, dal quale ebbe la figlia Bianca, ispiratrice di molte poesie, e Vittoria, che morì a un mese di vita. Da questo periodo le sue vicende personali modificarono fortemente la sua poetica e le sue opere divennero introspettive e autobiografiche, come si vede in Maternità, pubblicata nel 1904, e Dal Profondo (1910). Morì nel 1945 e fu sepolta aMilano. Il 3 aprile 1976 la sua tomba è stata traslata nella Chiesa di San Francesco a Lodi. Antropos in the world NOTE ANTROPOLOGICHE Dopo la primavera, nuovamente l’inferno! di V. Andraous L’estate è avanti a noi, le temperature alzano il tiro, i corpi ammassati tentano disperatamente di resistere, i malati più deboli muoiono, quelli più sani combattono dentro una resistenza senza riparo, altri stanno lì senza il più piccolo sollievo, nè capacità di avvertire la propria colpa. Il carcere non è più spauracchio dell’illegalità, strumento deterrente, non è più ultima trincea a difesa di ogni libertà. E’ diventato altro, come Dante e il suo inferno sono diventati un mero eufemismo, e Benigni un cantore in disuso, entrambi non più corrispondenti alla disperazione di un luogo perduto alle coscienze. Cos’è il carcere oggi, a cosa ed a quale dissacrante dottrina si è ridotto, se non all’indifferenza? Sovraffollamento che non è più riconducibile al solo problema endemico all’Amministrazione Penitenziaria: è il risultato di recidive alimentate da politiche ingannevoli, più galera per tutti, meno misure alternative che invece insegnano a lavorare, a faticare, a scegliere la responsabilità, in un patto di lealtà sociale. Carenza di personale professionale e dimezzamento dei fondi di investimento al settore giustizia non sono sufficienti a confermare il livello di disumanità che circonda un penitenziario, una cella, un citta-dino detenuto, perché ancora tale è, come sancito dal-la Costituzione, dalla condizione di persona momentaneamente privata della libertà, non certamente del diritto di sperare. Quando penso al carcere, malandato, umiliato, percosso dalle intelligenze addormentate, mi vengono in mente le pretese di giustizia di un certo Peter Moskos, ex funzionario di Polizia, ora docente di diritto penale, salito prepotentemente alle cronache per un report di 154 pagine, con cui ritiene di supe-rare il fallimento del sistema penitenziario americano, debellando il più devastante sovraffollamento carcerario della storia dell’umanità, attraverso la punizione della flagellazione. E’ soltanto una boutade sconcertante di un illuminato senza più luce né ragione, oppure c’è qualcosa che fa al caso nostro? Al sistema americano certamente sì, con la pena di morte, con il carcere privatizzato, con la violenza intramuraria che neppure i films riescono più a immaginare, figuriamoci raccontare. Nel paese della selva oscura dell’Alighieri e del Benigni che disconoscono i gironi ben nascosti di un inferno in continua ebollizione, forse qualche nerba- -7- ta potrebbe passare, come pena alternativa a un carcere che mi ostino a dire che ancora non c’è. Oppure il solo pensare a una punizione come questa scandalizza, perché ci ricorda la schiavitù, qualche reminiscenza di tortura, di inquisizione, di pene illegali. Certo non è semplice optare per una condanna alla frustata, al ritorno del sangue statuale, ma con qualche scudisciata ben assestata, il 70% di popolazione detenuta potrebbe nell’immediato lasciare le anguste e sovraccariche celle italiche. Il dott. Moskos pare più attrezzato a scioccare e banalizzare, che a risolvere una violenza carceraria che ha superato ogni livello di guardia nel suo paese. Ma in questa partitura medioevale è possibile trovare qualche indicazione, quanto meno ripartire da una riflessione. Disturba fare ricorso anche solo con le parole a una violenza che dovrebbe “sanare” altra violenza, che “ripara” il male con altro male, eppure come è possibile inorridire assai meno per una pena che rapina le dignità con inaudita perseveranza, tant’è che a metà anno abbiamo perso il conto dei tanti “evasi” con i piedi in avanti, detenuti e agenti. Sobbalziamo al pensiero di trascendere alla fustigazione, rimanendo impassibili di fronte al grado di violenza cui è sottoposto il detenuto, e non solo, l’intero impianto penitenziario. Abbandono e indifferenza, morte dei corpi e delle menti, morte di ogni possibilità di comprendere di sé e del proprio esistere nella vita che rimane, nonostante la cella, nonostante il carcere. E’ un degrado che polverizza ogni speranza di sentirci ancora utili, parte di una società che professa la difesa del diritto alla riabilitazione, che giustamente rigetta il teatrino dei dinieghi alle frustate, ma non intende guardare al di là del muro, dove l’ultima solitudine è concessa senza timbri sul passaporto. E’ morte assunta con una stringa allacciata alla gola, in un giorno dove Dio è morto dentro una cella. Antropos in the world Lo jus primae noctis e la cintura di castità DUE LEGGENDE DA SFATARE Il Medioevo europeo viene per lo più collocato tradizionalmente tra il 300/500 e il 1500 circa. La sua categoria fu un’invenzione dei polemisti del CinqueSeicento poi elevata a categoria denigratoria dagli illuministi e a categoria esaltatoria dai romantici (Cf G. Falco, La polemica sul medioevo ). Analizzando i termini – come suggerisce Rino Cammilleri in Fregati dalla scuola – si ha che “Medioevo” significa “età di mezzo”, laddove “Rinascimento” sta per “nuova nascita”. Ma se si rinasce vuol dire che si era nati, poi si era morti e quindi ri-nati. Dunque si era nati nell’età classica di Atene e di Roma, si era morti per più di mille anni e si era rinati col ritorno per pochi decenni di Bacco ed Arianna, Ercole, Apollo e Minerva, cioè l’antico paganesimo. Dopo avemmo l’età moderna. Ne deriva che durante i mille anni, chiamati da quelli che ci abitavano “Cristianità” eravamo morti! Si veda la vecchia, illuministica, falsificatrice visione di questo periodo fatta propria dal film “Il nome della rosa” tratto dall’omonimo romanzo . Nulla di più falso dunque se si considera che quel periodo era talmente ricco di cultura che la nostra civiltà ne risulta imbevuta da cima a fondo, perfino il nostro “codice genetico” ne sembra influenzato. ( La mostra “Il Medioevo Europeo di Jacques Le Goff” ospitata nel 2003-2004 nel Palazzo della Pilotta di Parma,” l’età di mezzo ci appare diversa dagli stereotipi ai quali siamo abituati: furono tempi di grandi progressi, dal credito all’architettura, dalla musica alle buone maniere” – Il Sole-24 Ore 21 sett. 2003). Ma la storiografia, pur con la rivalutazione romantica, continua ad impiegare acriticamente il concetto di Medioevo come una semplice etichetta negativa di luogo storico della superstizione, della violenza e della barbarie (Cf Regine Pernoud, Medioevo. Un secolare pregiudizio). Tra le tante leggende da sfatare ci occupiamo in questa nota dello jus primae noctis e della cintura della castità. Scrive il grande medievalista Franco Cardini:” Il cosiddetto jus primae noctis altro non era se non il diritto del signore ad autorizzare il matrimonio dei suoi servi, tradotto in un gesto simbolico di possesso del talamo nuziale e ad una modesta esazione. Niente delibazione della sposa, dunque: la Chiesa, d’altronde, mal sopportava lo stesso originario divieto fatto al servo di contrarre matrimonio fuori dei confini della signoria, origine del rito. Figurarsi un adulterio legalizzato. Beninteso, violenze e abusi erano allora sempre possibili, come anche più tardi: ma diritti del genere, questo no”. Lo storico Alessandro Barbero (vedi “ Donne, madonne e cavalieri. Sei storie medievali ” e “ Dietro le -8- quinte della storia. La vita quotidiana attraverso il tempo” ) ha avuto modo di spiegare che lo “ jus primae noctis “ è stato studiato già dai primi dell’ Ottocento e possiamo dire che oggi, tra gli addetti ai lavori,tutti sanno che si tratta di una leggenda.Nessuno nel Medioevo ha mai fatto riferimento a questa legge. Ad esempio nelle novelle del Boccaccio, dove pure si parla molto e in m odo esplicito di sesso. Eppure una cosa del genere sarebbe stata un formidabile spunto narrativo […] Del resto, se ci fosse stata una legge del genere, i contadini non sarebbero stati molto contenti, eppure in nessun documento risulta una lamentela sullo jus primae noctis”. Per quanto riguarda le cinture di castità lo stesso Cardini scrive: “Durante il Medioevo nessun castellano, andando in guerra chiudeva a chiave in artistiche mutandone di ferro le grazie della consorte (la cintura della castità è una spiritosa invenzione libertina)”. Due rispettabili accademici del Regno Unito, James Brundage e Felicity Riddy, fanno sapere che il noto marchingegno è una invenzione di epoca vittoriana. Nel British Museum fu rimossa una cintura di castità che faceva bella mostra di sé dal 1846, perché i curatori del prestigioso museo hanno accertarono trattarsi di un falso costruito come “curiosità per lascivi o scherzo per gente di cattivo gusto”. Stessa fine fecero due esemplari di cinture alle Roval Armouries. La professoressa Riddy fa risalire questo tipo di cintura alla fantasia letteraria d’origine francese, riconducibile al poeta-musicista Guglielmo di Machaut e poi al grande Rabelais. Ad onor del vero non sono solo queste le leggende da sfatare riguardo al Medioevo. Il Cardini ci invita perciò a vigilare per non restare prigionieri dei mestatori della disinformazione, dei venditori di fumo, degli spacciatori di falsi Graal, di falsi templari e di false torture. Conforta osservare che sono molti i paesi e le città che, se possibile, ricordano con pubblicazioni celebrative, manifestazioni folcloristiche e feste le loro origini medievali o momenti significativi di vita medievale che li riguardi più da vicino. Renato Nicodemo Antropos in the world DALLA REDAZIONE DI S.VALENTINO TORIO A proposito della legge elettorale Si fa un gran parlare in questi giorni della stramaledetta legge elettorale, vituperata, tenuta in vita per troppi anni, repellente, ad usum dei partiti, finalmente silurata dalla Corte costituzionale. La famigerata legge elettorale, il cosiddetto “Porcellum”, riconosciuta come un obbrobrio giuridico dallo stesso indegno padre putativo, il dentista Calderoli della Lega Padana, è stata accolta con favore prima dal centro destra e poi dalla sinistra, in quanto a calcoli fatti sui sondaggi preelettorali, attribuiva immeritatamente uno spropositato premio di maggioranza ( tanto spropositato che riusciva anche a sbalordire gli stessi partiti beneficiari). Altro aspetto ripugnante di questa legge era la scelta dei candidati/degli eletti che facevano i partiti senza dare la possibilità ai cittadini di poter fare una disamina, una scelta. Anche questo aspetto negativo sempre vituperato da tutti faceva comodo a tutti, che si assicuravano gli eletti tra i più fidati del partito, senza minimamente soffermarsi sulle capacità e sulle doti che un rappresentante del popolo deve avere. (Ed è cosi che si è provveduto a far eleggere i propri avvocati, i propri commercialisti, i propri portatori di borsa, le più avvenenti donne ecc…..) In tutti questi anni tutti criticavano questa legge (a chiacchere) , ma nessun partito muoveva un dito per cambiarla. Alla fine dell’anno scorso vi è stato il provvidenziale intervento della Corte Costituzionale che ha posto fine a questo teatrino/spettacolo davvero avvilente, dichiarandone l’incostituzionalità. Tutti erano in trepidante attesa di conoscere le motivazioni, senza minimamente pensare che la Corte Costituzionale si è limitata a ribadire le ragioni a tutti note mettendo in rilievo soprattutto: a) le “porcate” più evidenti del Porcellum e cioè le liste preconfezionate che toglievano all’elettore il diritto democratico e sacrosanto di scegliere i propri rappresentanti; b) il premio di maggioranza al partito che aveva preso più voti in una misura inusitata e capace di stravolgere le elezioni. Altro aspetto contestatissimo, nel dibattito che ne è seguito, è stata la cosiddetta “soglia di sbarramento” al di sotto della quale nessun partito poteva essere presente in Parlamento: una misura necessaria per evitare il proliferare di piccoli partiti ed assicurare più tranquilla agibilità agli altri. A questo punto tutti i leaders dei partiti si sono sbizzarriti ad andare alla ricerca delle soluzioni più opportune per eliminare le storture preesistenti. I pareri dei costituzionalisti si sono sprecati. Chi ha tentato di ispirarsi alla legge tedesca, chi alla legge alla francese con il doppio turno, chi alla legge spagnola in salsa italiana, senza che nessuno (dico nessuno) ha avuto -9- l’idea che noi in Italia un’altra legge elettorale già ce l’abbiamo ed è anche più vetusta del Porcellum, ma nessuno l’ha mai contestata. Di che cosa si tratta ? Ma è la legge elettorale per l’elezione dei rappresentanti dell’Italia in seno al Parlamento europeo, una legge che nei prossimi giorni si metterà in moto per le elezioni del prossimo mese di Maggio. Questa legge è la n.18 del 24/01/1979 e da allora nessuno l’ha contestata. E cosa prevede questa legge? a) Le liste non sono preconfezionate, gli elettori possono esprimere fino a un massimo di tre preferenze. b) esiste, per i partiti la soglia di sbarramento, al 4%. A questo punto rimane da definire il premio di maggioranza a favore del partito che riporta la maggioranza relativa e la legge elettorale è già pronta. O questa legge va bene per il Parlamento europeo e non va bene per il Parlamento Italiano? A complicare le cose adesso c’è anche la questione delle “quote rosa” così a cuore ai deputati di sesso femminile di ogni gruppo politico non bastando il disaccordo sulle preferenze, sulle liste “blindate”, sulla soglia minima per essere ammessi in Parlamento , il premio di maggioranza. Il problema delle quote rosa non esiste e vi spiego perché. Nella Costituzione non si parla di quote rosa, si parla solo di elettorato passivo che può essere esercitato dalle donne e dagli uomini in base alla scelta democratica di coloro che rappresentano l’elettorato attivo e cioè gli elettori. Questi e solo questi, possono decidere il rapporto di rappresentanza dei due sessi. Stabilire per legge quote di candidati di sesso femminile da attribuire in percentuali del 40 o 50%? E perché? Ma le candidate non potrebbero aspirare al 60, 70% o più di candidati? E, dunque, sarebbe riduttivo assegnare per legge un 40 0 50% di posti. Le donne statisticamente sono più del 50% della popolazione italiana; perché accontentarsi del 40 o 50%? Sarebbe riduttivo e non una conquista. Lasciando le cose come stanno, le donne avrebbero tutto da guadagnare. La cosa importante è che prima del passo della candidatura e della elezione poi, vi sia un autoesame per verificare se c’è una buona predisposizione d’animo non disgiunta da una buona preparazione culturale, perché al Parlamento non si va a fare una sfilata ma si va a legiferare. Vincenzo Soriente Ἐν οἴνῳ αλήϑεια. en oinò aletèia l’equivalente è “ in vino veritas” Antropos in the world IL RACCONTO DEL MESE: NUNZIATINA ( II parte) eBook di Franco Pastore - ISBN 9788868143053 La donna non rispose, abbassò lo sguardo verso il fazzoletto che aveva in grembo e strinse tra le dita i nodi del Rosario. - Ma’, chi è stato! - chiese ancora il giovane‚ provando una pena profonda per le lacrime della vecchia. - Don Filipp'ò capurale... - rispose la donna, tutto d'un fiato, come se avesse voluto liberarsi di un grosso peso‚ ma perfet-tamente consapevole delle conseguenze, che quella verità avrebbe avuto sul figlio Felice. Il giovane, uscì dalla stanza senza dire una parola‚ rimise la camicia, che aveva appena tolto e stava per varcare la soglia di casa‚ quando il grido disperato di sua madre‚ per un breve attimo, lo bloccò: - Fìgliu mio, nunn'ascì, statte ccà cu' mamma toia! Felice, dopo un attimo di esitazione, sbatté la porta dietro di sé e si addentrò nella campagna. Rimasta sola, la povera donna si accasciò sulla sedia: - Gesù e Maria, mò che succede? – quella accorata invo-cazione si trasformò in una preghiera che accompagnò il lento scorrere del rosario, tra le dita avvezze al duro lavoro dei campi. Nell'altra stanza, Nunziatina, ripresasi, chiamò la madre; la donna accorse, mentre il cane lanciava lunghi ululati nella sera. Felice‚ intanto‚ aveva raggiunto la casa del cugino Gaetano. Fischiò tre volte‚ dal lato della finestra sopra il pergolato e rimase in attesa. Il cane, riconoscendolo, gli andò vicino, senza abbaiare, ma il giovane lo allontanò bruscamente: - Va via‚ disse‚ la selvaggina di questa battuta va lasciata ai vermi!Dieci minuti dopo‚ Gaetano lo raggiunse. Si allontanarono, dirigendosi verso il pozzo. - Che succede, Felì! – gli chiese il giovane‚ senza na-scondere una certa apprensione. - Succede che… - il giovane scoppiò in singhiozzi ed afferrando il cugino per le spalle aggiunse: - 'Aimm'accìre chélla carogna! – (2) __________ 2) Dobbiamo uccidere quella belva. - Chi?- chiedeva Gaetano, già in preda ad una agitazione profonda; - Don Filippo 'ò capurale ha sverginat'à Nunziatina, che sta murènne!Gaeta portò entrambe la mani al viso e, dopo un lungo silenzio, disse: - Calmate‚ giustizia sarà fatta, pàtreme ìsse l'ha accì s e! Si avviarono verso l'interno della campagna‚ per decidere il giorno a l'ora della vendetta. Quella notte fu tremenda per Felice: i gemiti della sorella accrescevano in lui un furore mai provato prima; la mamma vegliava la fanciulla senza concedersi un istante di riposo. Nei momenti in cui il sonno distendeva i lineamenti della sventurata‚ la dita scorrevano i nodi del Rosario‚ che accompagnava con penosi sussurri di preghiera. E venne l'alba. L'aria fresca del mattino avvolgeva la natura ancora addormentata; piccoli voli incoraggiavano i primi raggi del sole. Felice uscì sull'aia a si diresse verso il pozzo. Il secchio venne su gocciolando acqua limpida e fresca. V’immerse il viso, passando la mano bagnata sul collo e sui capelli scomposti. Si raddrizzò massaggiandosi il torace villoso e le braccia pesanti. Prese il secchio e lo svuotò in direzione del basso vigneto di uva fragola‚ ancora acerba. Adagiò il secchio vuoto sul muretto del pozzo e‚ con passi lenti‚ guadagnò l'uscio di casa. Mamma Rita aveva acceso il focolare ed aveva messo a bollire dell' acqua con delle piantine di camomilla. - Ma’‚ come sta Nunziatina? - chiese il giovane sottovoce. - Come deve stare, povera figlia mia! Sta riposando Giunse dalla carrara un lungo fischio: era Gaetano che chia-mava il cugino. - Ciao mà! – - Buon lavoro‚ figliu mio! – Si recarono nei pressi della fontana‚ di fronte alla terra di compare Picariello‚ lì avrebbero atteso l'offerta di lavoro. Altri giovani aspettavano l'arrivo del Caporale, con la speranza di guadagnare qualche lira. - 10 - Antropos in the world Il sole illuminava il bianco delle rade case‚ voli di passeri, tra gli alberi dalle fronde immobili. Un gregge s'arrampicava per la stretta mulattiera, che portava su in collina ed un grosso cane da pastore andava avanti ed indietro‚ guidando le bestie al pascolo. Un rumore di zoccoli‚ avvertì gli uomini che don Filippo stava arrivando. Gaetano strinse il braccio del cugino per invitarlo alla calma. L'uomo arrivò e‚ senza smontare da cavallo: - Oggi c'è lavoro solo per due! Tu e tu‚ disse, indicando Felice ed il cugino‚ venite nel fondo di compare Sabìa, che c'è da zappare Non ebbe il coraggio di guardarli in faccia, e non perse tempo ad allontanarsi‚ scomparendo‚ subito dopo‚ dietro il boschetto di salici. I due giovani si avviarono. Intanto, schiantata dal dolore, Nunziatina pose fine alla sua vita, lanciandosi nel pozzo, al centro dell’aia, tra la casa e la terra e le piante di granturco. Sull'aia‚ tutto il paese attendeva che la bara uscisse. Sebastiano guardava il pozzo‚ come se l'anima di Nunziatina dovesse schizzare fuori da un momento all'altro. Gruppetti muti, soffrivano il caldo nei vestiti pesanti, altri commentavano il dramma, sottovoce. Dopo circa mezz'ora‚ dall'uscio spalancato‚ le lucide sfaccettature della bara brilla-rono al sole. Quattro uomini reggevano il feretro sulle spalle‚ con la tempia poggiata al legno lucido. La commozione prese tutti. Felice seguiva subito dopo‚ col bavero della giacca alzato e la barba sul viso stanco‚ tirato. Gaetano e l'amico Giuvanniello gli stavano a lato‚ tenendolo sotto braccio. Cummare Rita‚ tutta vestita di nero‚ veniva avanti urlando al mondo intero il suo dolore : - Figlia mia‚ t'hann'accisa! – Il corpo le si piegava in due‚ nello sforzo di superare la grande sciagura. Rosa ed Ersilia‚ le due donne che avevano soccorso Nunziatina dopo li stupro‚ le stavano accanto‚ reggendola in tutto il suo peso. Il feretro si mosse lungo la "carrara". Il pianto disperato la vecchia risuonò nella piana‚ con i rintocchi della campana e gli ululati di Barone‚ il cane di Nunziatina. Sulla collina di "Spinazzo"‚ Don Filippo‚ dritto sul cavallo‚ seguiva la scena e non provava altri sentimenti, oltre la paura. Il sole‚ alle sua spalle‚ dava alla sua figura un non so che d’irreale e di diabolico insieme. Felice‚ come attratto da una forza irresistibile‚ guardò nella sua direzione e lo scorse. Strinse gli occhi e mosse affermativamente il capo‚ giurando‚ su quel feretro‚ che gli avrebbe preso la vita. Anche Gaetano guardò ed un unico sentimento lo unì al cugino. Nella piana non si lavorò quel giorno. Tutti avevano lasciato i campi‚ nelle prime ore del mattino e nessun sorvegliante aveva avuto il coraggio di intervenire. La ricchezza dei poveri è la solidarietà, che unisce gli animi nella cattiva sorte. Tutti i braccianti della "piana” avrebbero alzato volentieri la zappa contro l'ingiustizia, perché ci sono limiti, oltre i quali nessuno può andare: oltraggiare l'onore, quando questo è l'unico bene posseduto‚ è un delitto che si paga con la vita. Don Filippo questo lo sapeva e se ne preoccupava, nell'attesa impaziente di Micheluccio‚ un tirapiedi, cui aveva dato l'incarico di vedere come stavano le cose. Si udirono dei passi fuori casa, trasalì. Si precipitò alla finestra e lo vide: - Entra‚ fai presto! - gli intimò. Il giovane entrò e, togliendosi il cappello: - Brutto segno Don Filì‚ quando la gente non parla, è peri-coloso avventurarsi nella piana -. Il "caporale” si avvicinò alla finestra, fissò l'orizzonte per un lungo instante e mille pensieri lo assalirono, mentre il sole dipingeva di rosso il tramonto. Poi‚ girandosi di scatto, disse: - Sempre pècore sono! – - Tieni cumpariè, bevi alla mia salute! – Micheluccio vuotò in fretta il bicchiere di vino e si congedò. Il caporale lo vide correre come se fuggisse da un appestato. - Schifosa carogna! – L’insulto gli veniva dalla moglie, che ora vedeva in pericolo il suo futuro e la sicurezza economica. Don Filippo afferrò il fiasco ancora pieno e lo lanciò contro la donna‚ che si scansò appena in tempo, mentre il vino si sparse come una grossa macchia di sangue, sulla parete bianca. Angelina scappò più per superstizione‚ che per paura. Intanto‚ nella casa di Felice‚ il silenzio era totale. Donna Rita si riposava sul letto al posto della povera figlia e‚ nella cucina‚ il giovane si intratteneva con l'amico Giuvanniello ed il cugino Gaetano. Il lume a petrolio‚ al centro del tavolo‚ illuminava scarsamente l'ambiente; il cane‚ cucciato al lato della sedia del padrone‚ emetteva strani mugolii. Bussarono. Gaetano andò ad aprire; un ragazzino scalzo gli porse un cesto di taralli ed un fiasco di vino‚ la porta venne rinchiusa. Nessuno aveva voglia di mangiare‚ l'immagine della ragazza era ancora tra loro: l'avevano tirata su dal pozzo‚ dove si era gettata con la forza della disperazione. (continua) - 11 - Antropos in the world DA TRAPANI STAFFETTA LETTA – RENZI: ECCO PERCHE’ TANTA FRETTA Sono in molti ad interrogarsi sul perché “là dove si puote” sia stata impressa una sì brusca accelerazione alle cose italiane, al punto da liquidare il secondo governo di Re Giorgio, da umiliare un uomo fidato come Lettanipote, e da far fare una pessima figura al successore designato. Costui – Matteo Renzi – aveva a più riprese dichiarato di voler andare al governo solo dopo una democratica investitura elettorale, impegnandosi a sostenere il gabinetto in carica ed il suo Presidente: “Enrico, stai sereno”. Ed invece… Contrordine, compagni, come avrebbe detto Giovannino Guareschi. Con una differenza: ai tempi di Guareschi il contrordine ai compagni poteva venire soltanto dal Cremlino o da proconsoli oculatamente selezionati; adesso, invece, i nipotini degeneri della “generazione Peppone” gli ordini li prendono dai “mercati”. E i mercati danno una mano come possono: facendo diminuire lo spread, per esempio, in modo da dare l’impressione agli italiani che le mi-steriose ricette del piccolo rottamatore fiorentino possano funzionare. Non voglio ripetermi, ma rimando il lettore al mio articolo su “Social” del 25 ottobre scorso: «Uno spread a orologeria per premiare i governi amici». Ma, torniamo a bomba: perché tanta fretta? Io non ho certezze, né dispongo di fonti diverse da quelle di un normale osservatore della realtà politica. Ma così, a naso, una spiegazione me la sarei data. Secondo me, in questo momento la preoccupazione principale dei “mercati” riguarda le elezioni europee di maggio, ed il successo clamoroso che – stando ai sondaggi – dovrebbe arridere alle forze anti-europee un po’ in tutto il Continente, esclusa la Germania e non tutti i paesi ex- comunisti in cerca di fortuna. Si pensi – per fare qualche esempio – al primo posto pronosticato in Francia per il Front National di Marine Le Pen; in Grecia – altro caso eclatante – ai primi due posti dovrebbero arrivare due partiti antieuropei, uno di estrema sinistra ed uno di estrema destra; primo posto per la Destra antieuropea anche in due nazioni dell’orbita tedesca, l’Austria e l’Olanda; primo posto in Ungheria per il partito moderatamente euroscettico del presidente Orban e buona affermazione per il nazionalista-populista Jobbik; e, ancora, in Inghilterra c’è l’incognita del partito euroscettico di Nigel Farage, forte già del 23% ottenuto alle elezioni ammi-nistrative dell’anno scorso e che adesso tenta il grande balzo in avanti. Immune dall’ondata antieuropea in Europa Occidentale rimarrebbe soltanto la Germania, ma relativamente: gli euroscettici di Alternative für Deutschland, questa volta, dovrebbero superare ampiamente lo sbarramento percentuale e mandare una loro prima rappresentanza al Parlamento Europeo. Ora, se questo è lo scenario complessivo – e lo è – non c’è dubbio che il voto italiano potrebbe avere un peso decisivo, da vero e proprio ago della bilancia. Ecco perché – è il mio personalissimo punto di vista – il non più credibile Enrico Letta è stato liquidato. Ed ecco perché, al suo posto, è stato chiamato l’affabulatore toscano che una parte dell’opinione pubblica italiana considera – sbagliando – un innovatore. La cosa importante – per i burocrati europei e per le banche americane – è che il fronte italiano regga fino a maggio, per contenere il prevedibile successo di populisti ed euroscettici alle elezioni europee. Poi il Renzi potrà anche apparire per quel che realmente è: il continuatore di Mario Monti e di Enrico Letta, il terzo (e più simpatico) garante di quegli “impegni con l’Europa” che stanno uccidendo l’economia italiana. Michele Rallo __________ 1) Da Social – Le opinioni eretiche di Rallo. Villetta singola,disposta su una superficie di 500 mq, composta da ampio salone con angolo cottura, due camere, bagno, porticato, doccia esterna, pergolato ed altro, a 300 metri dal mare, in località Campolon-go (Eboli) – Cantattare la Direzione della Rivista - 12 - Antropos in the world PRIMA DELLA TENEBRA MOMENTO TENERO Accendeva il buio dell’inverno la morbida carezza di un tuo bacio. Quando, la memoria di te mi seguiva sul cuscino della notte, per annunciarmi l’alba, con l’essenza ascosa dei tuoi segreti. Lampi di desiderio fermavano il tempo, nell’attesa che ti sciogliessi in languido canto, che cangiava in sogno la gioia di vivere. Or sei un’ombra della mia solitudine, l’ultimo velo, prima della tenebra. Prima della tenebra di Franco Pastore ________________ Dalla raccolta “OLTRE LE STELLE” SECONDA EDIZIONE DEL PREMIO DI POESIA RELIGIOSA “MATER DEI” E’ bandito dalla Rivista “Antropos in the world”, in collaborazione con la “ Chiesa Madre SS.Corpo di Cristo, e la Fondazione Carminello ad Arco Possono partecipare poeti ovunque residenti e di qualunque nazionalità, con una lirica dedicata alla Vergine Maria. La quota di partecipazione è di € 10,00, che dà diritto a ricevere la rivista per un anno. Sono ammessi a partecipare, per la prima volta, gli alunni della Scuola Elementare, che dovranno inviare un breve componimento in poesia o anche in prosa, purché nessun adulto vi abbia messo mano. La partecipazione dei bambini è gratuita. Inviare i lavori alla Direzione di Antropos in the world, via Posidonia,171/h – 84128 Salerno, entro il 30 aprile 2014. La Commissione è formata da: Prof. Pastore Rosa Maria, dirett.ce di A. I. T. W. dott. Flaviano Calenda, Pres. Carminello ad Arco dott. Renato Nicodemo, mariologo dott. Franco Pastore, scrittore. Geom. Carlo D’Acunzo, giorn. redatt. di Angri Tra i concorrenti saranno scelti tre vincitori, mentre saranno dati tre diplomi di merito a coloro che si sono comunque distinti nella stesura dell’elaborato. A tutti i fanciulli delle scuole elementari partecipanti, sarà consegnato un attestato di partecipazione. Le poesie premiate figureranno sul giornale di luglio. Successivamente sarà comunicata la sede della manifestazione che si terrà presumibilmente a fine giugno. Info: antroposintheworld@fastwebnet.it - 13 - Antropos in the world LA DONNA NELLA STORIA LADY DIANA SPENSER A cura di Marco de Boris Lady Diana Frances Spencer era nata il 1° luglio del 1961 a Sandringham, nel Norfolk (Inghilterra orientale), quarta figlia del visconte e della viscontessa Althorpe, una delle famiglie nobili più antiche e abbienti di Gran Bretagna, imparentata con la Famiglia Reale. Era una bambina allegra ma molto timida, e sicuramente la separazione dei genitori, avvenuta quando aveva solo sette anni, fu per la piccola piuttosto traumatica. Tuttavia, la sua vita procedette tranquilla durante l’adolescenza e i suoi studi la portarono a diplomarsi in qualità di maestra d’asilo, dato che fin da giovanissima aveva sempre manifestato una spiccata predilezione per i bambini. Fu proprio quando cominciò a lavorare presso la Young England School di Londra, in qualità di puericultrice, che Diana conobbe il principe Carlo, che a quei tempi frequentava più o meno ufficialmente la sorella di lei Sarah. In realtà, come ora ben sappiamo, l’allora quasi trentenne Carlo era già legato a quella che ora è diventata la sua seconda moglie, Camilla Parker Bowles. In ogni modo, le cronache raccontano che durante una battuta di caccia il principe e la bella Diana si conobbero, e lei si innamorò. La regina Elisabetta, a conoscenza della liaison segreta del figlio e per nulla contenta di ciò, vide subito di buon occhio una eventuale unione con la giovanissima Diana, perfetta, anche per via del suo sangue blu, per diventare la consorte di un futuro re. Il 24 febbraio 1981 fu così annunciato il fidanzamento ufficiale dei due. Le nozze di Lady D con il principe Carlo, celebrate il 29 luglio 1981, furono un evento mediatico straordinario, quasi un miliardo di telespettatori seguì la cerimonia in diretta tv, e tutti, nessuno escluso, pensarono che fosse solo l’inizio di una bellissima fiaba. La nascita, a breve distanza, dei principini William e Harry contribuì a rafforzare questa convinzione. Peccato che le cose non stessero esattamente così come le apparenze mostravano. Con gli anni, la bella Diana, pur continuando a ricoprire impeccabilmente il ruolo di principessa e consorte, divenne sempre più evanescente, triste il suo sguardo, insofferente il suo atteggiamento. Era la crisi. Carlo aveva ripreso la sua storica relazione con l’amore di sempre Camilla, trascurando la bella moglie, che cominciò a consolarsi con qualche fugace relazione extraconiugale di poca importanza. Ma quando la misura fu colma, quando l’umiliazione pubblica seguita alla pubblicazione di alcune telefonate piccanti tra Carlo e Camilla raggiunse l’apice, Diana si riscosse e chiese (e ottenne) il divorzio , che divenne formale nel 1996. Fu uno scandalo per la famiglia reale, tanto che la regina Elisabetta non riuscì mai perdonare l’ex nuora per aver creato quell’increscioso precedente. Diana, però, risorse. Divenne sempre più attiva sul fronte umanitario e della beneficenza, collaborando per lo smantellamento delle mine anti uomo, per la lotta all’AIDS, conobbe e divenne amica di Madre Teresa di Calcutta, morta a pochi giorni di distanza dalla principessa. Si legò al discusso Dodi Al Fayed, e fu proprio l’incredibile pressione del gossip, la continua e molesta presenza dei paparazzi a spingere Diana e Dodi a tutto gas in quel tunnel mortale. La colpa, si disse allora, fu dei servizi segreti, un complotto della famiglia reale per far fuori quella donna scomoda, ma alla fine il vero e unico colpevole fu dichiarato essere l’autista che quella notte si schiantò (sotto gli effetti dell’alcool, pare) contro un pilastro del tunnel dell’Alma. Così calò il sipario su Lady D, la principessa triste. E noi, 15 anni esatti dopo, lo riapriamo per rendere il giusto tributo alla sua memoria. Il 31 agosto 2012 non è solo una data come un’altra, un anonimo giorno di fine estate. Lady D periva tragicamente, a soli 36 anni, proprio 15 anni fa esatti, a causa di un incidente mortale nel tunnel dell’Alma, a Parigi. Si trovava in compagnia dell’uomo che era riuscita a farla di nuovo sorridere dopo le vicende legate al traumatico divorzio dal principe Carlo, Dodi al Fayed, figlio del magnate arabo Mohamed, proprietario del grandi magazzini Harrod’s. La notizia giunse come un fulmine a ciel sereno nella luminosa mattina del 31 agosto 1997, mentre tanti di noi erano intenti a gustarsi la prima colazione con uno sguardo distratto alle news del tg, lasciandoci sgomenti e sbigottiti. Increduli. - 14 - Antropos in the world IMMAGINI D’UN ALTRO TEMPO – IL PIANINO Le melodie che poeti e musicisti dedicavano a Napoli venivano proposte "dai venditori di musica" che giravano con i pianini per le strade della città. I motivi venivano riproposti dai po-steggiatori, nei caffè e nei ristoranti, ai turisti. Nasceva così una popolarità che portava la canzone in tutto il mondo. Quando di lontano senti un suono soave che si spande per le vie e i vicoli della contrada e ti porta le più sublimi e dolci cantilene, questo è il pianino. Poche parole per restituirci l'immagine di vecchie foto e di oleografici dipinti della Napoli ottocentesca, con lo sfondo del Golfo e l'immancabile, traballante carretto su cui è issato l'organino di Barberia, popolarescamente chia-mato "pianino". Trainato da un cavallo o spinto dallo stesso suonatore, era il "veicolo" della canzone napole-tana. Il suo transitare, al pari del lattaio, del pescivendolo, dell'acquaiolo, scandiva lo scorrere della vita di quella folcloristica Napoli. Richiamata dal suono - prodotto dai piccoli chiodi che ruotavano movendo le corde - si affollava intorno gente che acquistava le copielle e si univa nel canto mentre altri si rifornivano di questi fogli con i testi delle canzoni facendo scendere dalle finestre i cestini di vimini usati per ritirare la spesa. Il pianino portava la canzone nelle case e nel cuore, la faceva conoscere, la proponeva come "souvenir" ai turisti che venivano da tutto il mondo. Napoli divenne, così, la capitale degli organini e il suonatore non fui mai considerato "questuante, ma "venditore" di musica. Era tenuto in massima stima da autori ed editori, grati per la prezio-sissima collaborazione divulgativa. Assolta con gli anni la sua funzione (che passava successivamente alle ribalte del café-chantant, al disco, alla radio e alla televisione), il "pianino di Napoli" è entrato nel Museo, pronto a riproporre, con le sue martellanti note, le più belle canzoni come se Carluccio Pontirossi 'o calamaio, o Ciro Pantolese lo portassero ancora per le vie e i vicoli della contrada. Il pianola cilindro: sotto il pomposo nome questo strumento tipico italiano è stato poco conosciuto; da regione a regione prendeva il nome di organetto di Barberia, verticale, organo, viola, pianino, eccetera... Rallegrava i giri delle giostre spinte a mano, gli intervalli nelle sale cinematografiche, si tro-vava nelle sale da ballo, nei ristoranti ed osterie, nei locali pubblici e soprattutto per strada, su un carrettino - 15 - spinto dal suonatore ambulante o trainato da un somarello. In effetti, Già Platone, tre secoli prima di Cristo, aveva avuto l'idea di costruire un orologio a flauti perché segnasse acusticamente le ore di notte. Non sappiamo se questo orologio sia stato costruito, ma certo esso doveva contenere alcuni elementi che sarebbero stati più tardi utilizzati nell' automazione dell'organo. Esso avrebbe dovuto funzionare press' a poco come i moderni orologi a cucù; l'unico meccanismo, per così dire programmatore, era quello che doveva azionare i flauti ad un'ora determinata. Molto probabilmente i greci e i romani non proseguirono oltre su questa via e non pensarono a riprodurre automaticamente delle opere musicali per due ragioni: innanzitutto perché la loro musica era estremamente semplice e poi perché presso i romani i musicisti (come quasi tutte le persone che sapevano fare qualche cosa) erano generalmente degli schiavi. Le esigenze dei forti e liberi maestri artigiani dell’Umanesimo erano al contrario ben differenti. Si può dire che l'invenzione dell'organo meccanico fu anche prodotto da questa ansia di libertà, di potere sulla natura e di conoscenza. Antropos in the worldc PROVERBI E MODI DI DIRE - OVVERO ELEMENTI DI PAREMIOLOGIA 1. 2. 3. 4. 5. A nemico ca fùie ponti d’oro E’ sfuttuti pure mparaviso vanno Aiutati che Dio t’ aiuta Ogni scarrafone1 è bello a mamma soa Chi compra sprezza e chi accàtta apprezza Implicanze semantiche: Esplicatio: In effetti, se un nemigo fugge, bisogna agevolargli la fuga, mentre in paradiso vanno coloro che sulla terra sono emarginati. Al di la di tutto, occorre sempre darsi da fare per i nostri obiettivi. Le mamme vogliono bene a tutti i figli, soprattutto quelli più brutti e sfortunati. Negli acquisti si cerca sempre di svilire cio che si compra, per risparmiare, allo stesso modo che chi vende aumenta il valore di ciò che offre. Riflessio: Il trovare la corrispondenza nella lingua latina e greca dei nostri proverbi ( ad esempio: qua fugiunt hostes, via munienda est = a nemico che fugge ponti d’oro), la dice lunga sulla vetustà degli stessi e sulla loro tradizione più antica. Fuie: da fujere, fuggire.Dal latino fugio- is-fugere, con caduta di g e suono di transizione j. Sirica Dora Sfuttùte: insultare. Da s intensiva + fottere, dal latino futūere Fraseologia: Chi sfotte rimane sfuttute. Antropologia: Sfòttere è legato a fòttere, compiere un atto sessuale. Cio per evidenziare il piacere che si può ricavare dall’uso aggressivo della parola. Ovviamente è che sfotte che svolge il ruolo attivo, mentre la “vittima”, il ricevente ha un ruolo passivo. I modi sono tanti: da quello scherzoso, a quello cattivo, che lascia il segno, a quello distruttore della personalità del nemico,che si intende distruggere con la parola. Rocco Normanno: Sincretismo contemporaneo A cura di Teobaldo Fortunato La mostra dell’artista pugliese Rocco Normanno, “Sincretismo Contemporaneo”, a Cava de’ Tirreni nasce da una felice intuizione di Massimo Bisogno. L’esposizione di Normanno costituisce un ulteriore importante tassello nell’attività di promozione dell’arte perseguita da Bisogno già da diversi anni. Il percorso espositivo ideato si articola attraverso una duplicità di punti di vista che prevedono la riproposizione di una sacralità di classica progenie fino ad esiti neotestamentari dai risvolti figurativi attualissimi. Le figure scelte da Rocco Normanno attingono spesso ad un repertorio consolidato nella storia dell’arte occidentale e se in apparenza sembrano rimandare a risvolti formali e tecnicismi manieristici dei maestri del XVI secolo, i santi e gli dei si accampano nello spazio pittorico e nel locus prescelto con pose assolutamente inattese ed improvvise. È la ritualità quotidiana, in alcune opere di Normanno a prendere il sopravvento, come nel caso di Marte o Mercurio a riposo, Giano bifronte o il dubbioso Narciso che cerca se stesso riflesso in uno specchio convesso di eyckiana memoria. Nonostante tutti i volti si configurino con iperrealistici lineamenti e non prelevati tout court, da uno stanco repertorio accademico, il tratto contemporaneo si palesa in un sincretismo di remote, quasi ancestrali ascendenze mediterranee. Un filo continuo e di colto spessore accomuna gli interpreti ai personaggi che sono disposti sulla tela secondo uno schema iconografico incisivo e volutamente marcato: Eva e Salomè, le uniche donne del nostro percorso, prescelte tra le tante nella lunga serie di dipinti approntati dall’artista negli ultimissimi anni, sono antitetiche e ieratiche al contempo: distanti nel rac- - 16 - conto biblico, immortali ed assimilate alle divinità d’un paganesimo mai fugato del tutto nella cultura dell’antichità. Rievocate spesso nell’immaginario d’ogni corrente artistica d’Europa, nelle mani di Normanno assumono una plasticità scultorea ancorché pittorica di sicura e fortissima presa emozionale; il punto di vista è prospettico ed assiale. Entrambe sono illuminate da una luce sinistra e drammatica che rende spettrale la scena, presaga di imminenti, inquietanti tragedie umane. Per San Girolamo e San Matteo, l’artista che ha scelto la Toscana quale terra elettiva, ha posto l’accento sui volti e non sulla gestualità, percorrendo le strade maestre d’una consumata traditio d’arte italica, abusata forse, ma di grande spessore. Talora, nel modus pingendi Rocco Normanno è lezioso e raffinato quanto basta a lasciare i fruitori spiazzati dinanzi all’assenza di apparenti moti dell’animo. Negli sguardi che oltrepassano l’orizzonte fuori dal contesto del dipinto, si cela una scoperta rassegnazione: è l’atto di rinuncia e la consapevolezza del proprio destino nel San Sebastiano carnale ed impassibile. Il pathos finale è raggiunto nella teatralità di Tizio, effigiato in quella nudità che il mito riservava agli dei ed agli eroi. La tracotanza del gigante è immortalata nel momento precedente all’eterno supplizio a cui fu sottoposto nello spettrale sincretico Tartaro. Ὁ μὲν βίος βϱαχύς, ἡ δὲ τέχνη μαϰϱά. La vita è breve, l’arte lunga -Ippocrate di Cos. Antropos in the world LA PAGINA MEDICA: a cura di Andropos Che significa: « Ho una macchia nei polmoni? » Il nodulo polmonare è per definizione un'anomalia radiologica che può essere riscontrata anche occasionalmente in un soggetto senza alcun sintomo. La radiografia del torace standard evidenzia una "macchia sul polmone" o per usare un linguaggio più medico un addensamento polmonare di tipo rotondeggiante. Tipicamente si definisce nodulo polmonare una opacità radiologica di tipo sferico che può misurare fino a 30 millimetri di diametro. Si tratta di un reperto anomalo rispetto alla normale anatomia radiologica polmonare che può avere diversi significati e natura (infiammatorio, infettivo, tumorale, ecc.). Nella pratica clinica i noduli polmonari non sono una rarità, e anzi sono estremamente comuni nell'attività quotidiana di un Centro specialistico Pneumologico. Infatti si riscontra un nodulo polmonare circa ogni 500 radiografie toraciche effettuate. Ciò nonostante anche per un Centro specialistico i noduli polmonari possono rappresentare una sfida clinica continua, specialmente i noduli più piccoli di dimensioni inferiori al centimetro. Comunque, l’identificazione di un nodulo polmonare maligno solitario è molto importante perché può rappresentare una forma potenzialmente curabile di cancro polmonare. Per spiegare meglio i concetto a chi non è esperto di anatomia radiologica, occorre sapere che il polmone ha una struttura molto sottile e normalmente è ripieno di aria che alla radiografia risulta di colore nero. Tutto quello che non è aria ha un aspetto bianco più o meno marcato alla radiografia secondo la densità del tessuto. Quindi la presenza di una "macchia" bianca sul polmone dove dovrebbe esserci solo il nero dell'aria richiama l'attenzione del radiologo e Radiografia standard del Torace normale del medico in generale perché potrebbe essere segno di una patologia polmonare. Il classico nodulo polmonare è una singola opacità sferica ben circoscritta e completamente circondato da polmone normalmente ripieno di aria e non associato a versamento pleurico (liquido nel cavo pleurico), o a ingrandimento dei linfonodi all’ilo polmonare o ad atelettasia polmonare (zona di polmone collassata per mancanza di aria). ll nodulo polmonare nel 90% dei casi è un riscontro occasionale. Si possono distinguere noduli subcentimetrici, cioè di diametro inferiore al centimetro, rispetto a noduli di dimensioni maggiori perchè i noduli più piccoli di 8 millimetri sono più raramente di natura maligna. Noduli di dimensioni maggiori ai 30 millimetri di diametro vanno definiti come masse polmonari e in prima ipotesi devono essere considerate di natura maligna Sia la radiografia standard che la TAC possono evidenziare noduli polmonari, ma la caratterizzazione del nodulo è differente. La radiografia toracica permette la visualizzazione di noduli polmonari che hanno un diametro di almeno 1-2 centimetri, mostrando un’immagine in due dimensioni e quindi “appiattita”. - 17 - La TAC (tomografia assiale computerizzata) definisce meglio la forma (o morfologia) del nodulo rispetto alla radiografia convenzionale, infatti la TAC consente di vedere i noduli in tre dimensioni e di ricostruirne la forma con una grande accuratezza. Le TAC più recenti possono ricostruire anche l’aspetto volumetrico del nodulo, calcolando con più precisione se vi è una crescita del nodulo a distanza di tempo. I noduli polmonari possono essere o di natura benigna o di natura maligna (in questo secondo caso si tratta di tumori maligni). Occorre però rimarcare che solo una minoranza dei noduli polmonari risultano al termine degli accertamenti diagnostici di natura neoplastica maligna: come i carcinomi broncogeni o polmonari, i linfomi, le metastasi polmonari di tumori a partenza da altre sedi anatomiche (es. mammella, osso, colon, ecc.). I noduli polmonari legati a cause benigne possono essere dovuti ad esiti fibrotici (cioè cicatrici) di processi infiammatori pregressi (es. broncopolmoniti), a granulomi (come nella sarcoidosi), a infezioni di varia natura, a malformazioni (es. amartomi). La diagnosi differenziale può essere orientata, oltre che dalle caratteristiche radiologiche del nodulo, anche da un’attenta valutazione clinica specialistica che ponga l’indicazione ad eventuali ulteriori accertamenti. I noduli polmonari si caratterizzano oltre che per le dimensioni, anche in base al numero e alla densità. Il termine nodulo solitario deve essere utilizzato solo quando è singolo e non accompagnato da altri noduli o altre alterazioni radiologiche. Poiché le cause di un nodulo polmonare solitario possono essere le più diverse è necessario orientare l’approccio diagnostico in modo che pazienti con noduli sospetti benigni non vengano sottoposti a rischi chirurgici inutili, mentre soggetti portatori di noduli sospetti maligni non dovrebbero procrastinare l’approccio chirurgico curativo. La tabella sottostante riassume in modo sintetico le principali diagnosi differenziali del nodulo polmonare. TUMORE PRIMITIVO METASTASI SOLITARIA NODULO INFIAMMATORIO NODULO VASCOLARE TRAUMATICO CONGENITO ARTRITE REUMATOIDE SARCOIDOSI GRANULOMA A PLASMACELLULE EMORRAGIA ALVEOLARE CIRCOSCRITTA ESITO FIBROTICO-CICATRIZIALE _______________ Struttura Complessa PNEUMOLOGIA - Direttore: dott. Marco Confalonieri - Tel: 040 – 399 4665; e-mail: marco.confalonieri@aots.sanita.fvg.it Antropos in the world I GRANDI PENSATORI: a cura di Andropos Sri Aurobindo Nacque a Calcutta, il 15 agosto 1872, dal dottor Krishnadan Ghose (medico condotto) e da Swarmalata Bose. I primi anni li trascorse a Rangpur, nel Bengala orientale; nel 1877 studia presso la Loretto School a Darjeeling. Nel 1879 il padre, per sottrarlo all'influenza della cultura e della religione indiana, lo invia in Inghilterra insieme a due dei suoi fratelli. Pur vivendo in grande povertà a Manchester, ospite della famiglia Drewett, compie studi classici, e, nel 1884,viene ammesso alla St. Paul's School di Londra. Comincia a comporre i suoi primi poemi, alcuni dei quali vengono pubblicati su una rivista della scuola. Venuti meno i magri sussidi del padre, sopravvive con le borse di studio che riesce ad ottenere soprattutto per la straordinaria abilità nella versificazione greca e latina, e deve mantenere anche i fratelli. Nel 1890 si trasferisce a Cambridge, dove viene ammesso nel presti-gioso King's College e alla Indian Civil Service, la scuola di formazione degli ammini-stratori indiani. Qui si unisce a un'associazione studentesca la Indian Majlis. Per via dei discorsi rivoluzionari il suo nome viene iscritto nella lista nera della polizia politica inglese. Nell'agosto del 1892 supera il primo esame dell'Indian Civil Service. In ottobre torna a Londra e si iscrive a una società segreta chiamata 'Lotus and Dagger', nata con l'intento di fa-vorire la liberazione dell'India dal giogo britannico. A novem-bre dello stesso anno, dopo aver superato tutti gli esami, non viene ammesso all'Indian Civil Service per essersi rifiutato di sostenere la prova di equitazione. Così rientra in India e ottie-ne un incarico presso il Maharaja di Baroda. Durante i quattordici anni di soggiorno in Inghilterra Sri Aurobindo acquisisce una vasta conoscenza della cultura euro-pea antica, medioevale e moderna. Profondo conoscitore del greco e del latino, impara il francese e l'italiano, il tedesco e lospagnolo, tanto da poter leggere in originale Dante, Goethe e Cervantes. Arrivato in India nel 1893, diventa segretario particolare del Maharaja dello Stato di Baroda, poi Ministro dell'Educazione e docente di lingue presso l'Università di Stato, dove diventa presto Vicerettore. Comincia a interessarsi e a studiare la condizione economica e sociale dell'India, allo scopo di verificare le possibilità di una rivolta contro gli inglesi. Per questo scopo si incontra segretamente con i maggiori capi nazionalisti dell'epoca. Fin dal 1893 scrive alcuni articoli sul quotidiano Indu Prakash, denunciando la "politica di accattonaggio" del Partito del Congresso. Il giornale viene minacciato di sequestro ed è costretto a rinunciare alla sua collaborazione. Intanto va approfondendo le letterature e le lingue indiane, apprende il sanscrito e il bengali, continuando a dedicarsi alla poesia. La sua prima raccolta di versi, Songs to Myrtilla, viene pubblicata nel 1895, seguita dal poemetto Urvasi. Nel 1899, scrive il poema Love and Death, considerata la più importante delle sue composizioni liriche giovanili. Nel 1901 sposa Mrinalini Bose. Nei primi anni del secolo XX scrive la commedia The Viziers of Bassora. Nel 1905 viene nominato Rettore dell'Università di Baroda. Si dimette dalla carica in seguito alla spartizione del Bengala in due stati operata dagl'inglesi e si trasferisce a Calcutta, deciso a lanciarsi apertamente nella lotta rivoluzionaria. Partecipa attivamente alla lotta politica in Bengala dal 1906 al 1910, elaborando un pro- gramma rivoluzionario basato su quattro punti che lui stesso così riassunse: 1) risvegliare l'India all'idea dell'indipendenza; 2) suscitare nei connazionali uno stato permanente di rivolta; 3) trasformare le imbelli rivendicazioni del Partito del Congresso in un movimento che si proponga l'indipendenza completa del Paese dalla Gran Bretagna; 4) preparare l'insurrezione armata. Nell'agosto del 1906 fonda il quotidiano politico Bande Mataram, di cui sarà il più importante editorialista e redattore. Lo stesso mese viene aperta la prima Università nazionalista, di cui Sri Aurobindo diventa il Rettore. Tra l'ottobre e il dicembre dello stesso anno assume la leadership del Partito nazionalista del Bengala. Il 7 luglio 1907 viene denunciato per diffamazione e arrestato. Il Viceré dell'India dichiara di considerarlo «l'uomo più pericoloso con il quale abbia-mo a che fare». E tuttavia i suoi articoli sono redatti in modo da apparire inattaccabili anche dalla censura inglese e il governo di Sua Maestà è costretto a rilasciarlo, in quanto «i fatti non sussistono». Sri Aurobindo è ormai considerato il leader indiscusso del movimento rivoluzionario indiano. A Pondicherry andrà prendendo forma quello che Sri Aurobindo stesso definisce il suo "vero lavoro", che verrà portato a compimento grazie all'aiuto della sua compagna spirituale, Mirra Alfassa, che verrà chiamata semplicemente Mère, la Madre. Tuttavia, ancora per molti anni, Sri Aurobindo non trascura la sua attività poetica, letteraria e filosofica, compilando da solo per sei anni (dal 1914 al 1920) la rivista Arya, nella quale andrà elaborando le sue maggiori opere in prosa: La vita divina, La sintesi degli Yoga, Il ciclo umano, L'ideale dell'unità umana, i Saggi sulla Gïtã, Il segreto dei Veda, oltre a studi di linguistica comparata e a numerosi altri saggi di filosofia, di critica poetica e letteraria: circa cinquemila pagine in sei anni. In queste opere Sri Aurobindo illustra la propria visione del mondo e dell'evoluzione, creando quella che Romain Rolland definiva «la più vasta sintesi mai realizzata tra il genio dell'Asia e il genio dell'Europa». Mentre Aldous Huxley parlerà di Sri Aurobindo come del «Platone delle gene-razioni future». E tuttavia Sri Aurobindo diceva "in confidenza" ad alcuni suoi discepoli: «mai e poi mai sono stato un filosofo, benché abbia scritto di filosofia: ma questa è un'altra storia. Prima di praticare lo yoga... sapevo pochissimo di filosofia; ero poeta e mi occupavo di politica, non certo di filosofia. Nel 1914 un intellettuale francese mi aveva proposto di collaborare a una rivista filosofica, e dato che la mia teoria era che uno yogi deve riuscire a fare qualsiasi cosa, non avevo argomenti per rifiutare; poi lui fu richiamato in guerra e mi lasciò con 64 pagine di filosofia da riempire ogni mese, tutte da solo! L'ho potuto fare perché mi bastava trasporre in termini intellettuali ciò che avevo osservato e appreso un giorno dopo l'altro nella pratica dello yoga: ed ecco che la filosofia nasceva automaticamente. l 24 novem- bre 1926 Sri Aurobindo decide di ritirarsi nella sua stanza, dalla quale non uscirà mai più, fino alla morte, il 5 dicembre del 1950. Il ritiro era necessario per potersi concentrare più intensamente in quello che egli considerava il suo vero lavoro: «Non è contro il governo britannico che ora devo battermi, questo chiunque può farlo, ma contro l'intera Natura universale!». Da quel momento egli si circonda di quella riservatezza che doveva caratterizzare l'intera esistenza trascorsa a Pondicherry. «La mia vita non si è svolta in superficie, affinché gli uomini la possano vedere». - 18 - Antropos in the world UNA DONNA NELLA LETTERATURA – A cura di Andropos BEATRICE La tradizione che identifica Bice di Folco Portinari con la Beatrice amata da Dante è ormai molto radicata. Lo stesso Giovanni Boccaccio, nel commento alla Divina Commedia, fa esplicitamente riferimento alla giovane. I documenti certi sulla sua vita sono sempre stati molto scarsi, arrivando a far persino dubitare della sua reale esistenza. L'unico che si conoscesse fino a poco tempo fa era il testamento di Folco Portinaridatato 1287. Vi si legge: ...item d. Bici filie sue et uxoris d. Simonis del Bardis reliquite [...], lib.50 ad floren, cioè si parla di una lascito in denaro alla figlia Bice maritata a Simone de' Bardi. Folco Portinari era stato un banchiere molto ricco e in vista nella sua città, nato a Portico di Romagna. Trasferitosi a Firenze, viveva in una casa vicina a Dante ed ebbe sei figlie. Folco ebbe il merito di fondare quello che tutt'oggi è il principale ospedale nel centro cittadino, quello di Santa Maria Nuova. La data di nascita di Beatrice è stata ricavata per analogia con quella presunta di Dante (coetanea o di un anno più piccola del poeta, che si crede nato nel 1265); la data di morte è ricavata dalla Vita Nuovadi Dante stesso e forse non è altro che una data simbolica. Anche molte delle notizie biografiche provengono unicamente dalla Vita Nuova, come l'unico incontro con Dante, il saluto, il fatto che i due non si scambiarono mai parola, ecc. Beatrice, figlia di un banchiere, si era imparentata con un'altra famiglia di grandi banchieri, i Bardi, andando in sposa ancora giovanissima, appena adolescente, a Simone, detto Mone. È recentissimo il ritrovamento di nuovi documenti nell'archivio Bardi su Beatrice e suo marito da parte dello studioso Domenico Savini[1]. Tra questi un atto notarile del 1280, dove Mone de' Bardi cede alcuni terreni a suo fratello Cecchino con il beneplacito della moglie Bice, che all'epoca doveva avere circa quindici anni. Un secondo documento del 1313, quando cioè Beatrice doveva essere già morta, cita il matrimonio tra una figlia di Simone, Francesca, e Francesco di Pierozzo Strozzi per intercessione dello zio Cecchino, ma non è specificato se la madre fosse stata Beatrice o la seconda moglie di Simone, Bilia (Sibilla) di Puccio Deciaioli. Altri figli conosciuti di Simone sono Bartolo e Gemma, la quale venne maritata a un Baroncelli. Un'ipotesi plausibile è che Beatrice sia morta così giovane forse al primo parto Beatrice è la prima donna a lasciare una traccia indelebile nella nascente letteratura italiana, nonostante analoghe figure femminili siano presenti anche nei componimenti di Guido Guinizzelli e Guido Cavalcanti, anche se non con l'incisività del personaggio dantesco. A Beatrice è dedicata la Vita Nuova, dove il poeta raccoglie entro una struttura in prosa una serie di componimenti poetici scritti negli anni precedenti. Secondo la Vita Nuova Beatrice fu vista da Dante per la prima volta quando aveva 9 anni e i due si conobbero quando lui aveva diciotto anni. Andata in sposa al banchiere Simone dei Bardi nel 1287, si crede anche che si sia spenta nel 1290, a soli 24 anni. Quando morì, Dante, disperato, studiò la filosofia e si rifugiò nella lettura di testi latini, scritti da uomini che, come lui, avevano perso una persona amata. La fine della sua crisi coincise con la composizione della Vita Nuova (intesa come "rinascita"). Nella Divina Commedia Beatrice subisce un processo di spiritualizzazione e viene riconosciuta come creatura angelica. Ella rappresenta la Fede, che accompagna il pellegrino nel Paradiso. I riferimenti alla fanciulla Beatrice che Dante, nella Vita Nova, narra di avere incontrato, a nove anni poi a diciotto, sembrano costruiti per risultare pienamente convincenti come episodi biografici. Una luce diversa su Beatrice come figura di creazione Dantesca può arrivare dalla lettura del Canto di un poeta provenzale vissuto, prevalentemente in Italia, circa un secolo prima di Dante: Raimbaut de Vaqueiras: « Tant gent comensa, / Part totas gensa,/ Na Beatritz, e pren creissensa / Vostra valensa;[…]. Ai tempi del liceo, Beatrice assumeva, nell’immaginario di noi giovani, particolari caratteristiche di seduzione, percui la gentilezza e la piacenza avevano il colore rosso della passionalità giovanile, con risvolti che avrebbero fatto arrossire il buon Dante. Infatti, la vedevamo diversamente da come era stata: - 19 - Antropos in the world QUANTI L’AVEVANO CAPITO? Cottarelli e le ricette “greche” del Fondo Monetario Internaz.le Di Michele Rallo In pochissimi, fino alla settimana scorsa, conoscevano il nome di Carlo Cottarelli, l’uomo designato da Letta (ed ereditato da Renzi) per compilare la famosa spending review, cioè l’elenco dei risparmi da realizzare per mantenere gli “impegni con l’Europa”; risparmi – aggiungo – sui quali il nuovo inquilino di Palazzo Chigi diceva di fare affidamento anche per recuperare “risorse” da utilizzare per lo “sviluppo”. Parole in libertà, come dicevano i futuristi. Ed in pochissimi – ne sono convinto – si sono scomodati a gettare uno sguardo sulle famose “Proposte per una revisione della spesa pubblica (2014-2016)” che il Commissario Straordinario per la Revisione della Spesa ha scodellato sulla scrivania del Premier. Chi scrive si è invece preso questa bri-ga, convinto di dover sobbarcarsi ad una immane fatica.Immaginavo di dover consultare volumoni zeppi di analisi, dati, cifre e dotte disquisizioni macroeconomiche… Se non altro per giustificare il mare di soldi che le suddette “Proposte” sono costate al contribuente italiano. «La retribuzione lorda annua concordata per il lavoro del Commissario – leggo su “Il Sole 24 Ore” – è pari a 258.000 euro.» Dividendo questa spesa per i 365 giorni dell’anno si ha una cifra di “soli” 707 euro al dì, inclusi sabati, domeniche e feste comandate: più o meno il netto di un mese al centralino di un call center. Mi aspettavo di dover restare sommerso dalle carte – dicevo – e, invece, quale non è stata la mia sorpresa nel trovarmi di fronte ad un fascicoletto di 72 pagine in formato orizzontale (diconsi settantadue pagine, copertina compresa), tutti riempiti con grafici, tabelle riassuntive o con poche righe redatte in forma didascalica ed a caratteri di ragguardevoli dimensioni, come fanno gli studenti per riempire i fogli delle tesine alle scuole medie. Ma – si sa – la scienza non si misura a metri e non si pesa a chili. E, allora, mi sono fatto coraggio e mi sono immerso nella edificante lettura di quelle 72 carissime paginette, cercando di coglierne il senso, il significato intrinseco e – diciamola tutta – il messaggio che, tra le righe, è diretto ai governanti italiani. Già, il messaggio. - 20 - Perché uso questo termine? Perché Cottarelli non è un normale manager della burocrazia italiana, ma un alto papavero del Fondo Monetario Internazionale; e l’incarico – proprio a lui – di formulare le famigerate Proposte assomiglia tanto ad un “ditemi voi cosa dobbiamo fare”. Il FMI – si tenga presente – è l’organismo finanziario mondiale (ma di precisa matrice americana) che è il massimo ispiratore delle poli-tiche globalizzatrici e neoliberiste che hanno distrutto le economie nazionali di numerosi Paesi, compreso il nostro. Inoltre il Fondo è – insieme alla BCE ed alla Commissione Europea – uno dei tre membri (e il più arcigno) di quella famigerata “troika” che è stata inca-ricata – dall’alto – di “sorvegliare” i Paesi europei in difficoltà, imponendo misure draconiane per “risanare” le rispettive economie. Esempio tipico di questo “risanamento” è la macelleria sociale imposta alla Grecia, con milioni di cittadini ellenici ridotti letteralmente alla fame. Ora, tra i piatti forti delle ricette greche, particolarmente indigesti sono stati i crudeli salassi imposti ai pensionati “normali” (non solamente a quelli d’oro o d’argento) ed il licenziamento di diverse migliaia di impiegati statali. Guarda caso – e non vorrei che questo fosse il “messaggio” – misure che fanno prudentemente capolino anche dalle proposte del Cottarelli, ancorché non dettagliate e subordinate “agli obiettivi di bilancio e (sic) riduzione della tassazione”. Naturalmente, il Mattacchione nazionale si è subito precipitato a dichiarare che le proposte cot-tarelliane su pensioni e statali non verranno prese in considerazione. Ma – si sa – Renzi deve rastrellare voti per le prossime elezioni europee, e certo non può controfirmare le prescrizioni venefiche del Fondo Monetario Internazionale. La cosa, però, non mi tranquillizza affatto. La mia preoccupazione è per il dopo, quando “passata la festa, gabbato lo santo”. Soprattutto se “lo santo” (cioè il popolo italiano) si sarà lasciato convincere a votare per i partiti europeisti. ( Da Social) Antropos in the world DALLA REDAZIONE DI BERGAMO A Benvento la Premiazione del concorso nazionale, indetto dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti Si svolgerà il prossimo 6 e il 7 maggio, a Benevento, la cerimonia di premiazione dei vincitori dell’XI Edizione del Concorso Nazionale “Fare il giornale nelle scuole”. Il concorso è organizzato dall’Ordine nazionale dei Giornalisti, allo scopo di sostenere le iniziative delle scuole italiane per valorizzare l’attività giornalistica come strumento di arricchimento comunicativo e di modernizzazione del linguaggio. Come ogni anno, sono stati centinaia gli elaborati presentati dagli istituti italiani di ogni ordine e grado, con la partecipazione di migliaia di studenti e di insegnanti. Il gran finale beneventano si articola in due appuntamenti: il primo è fissato per il 6 maggio alle ore 16, quando il Teatro De Simone ospiterà il convegno intitolato “L’etica del giornalismo nell’era digitale”, a cui parteciperà il giornalista Bruno Vespa. Il giorno successivo, al Cinema San Marco, nel cuore della città di Benevento, alla presenza dei vertici dell’Ordine nazionale dei Giornalisti, verranno premiate le scuole vincitrici del Concorso, fra cui è segnalato il Liceo Scienti-fico Statale “Filippo Lussana” di Bergamo, per il suo giornale d’Istituto, dal titolo “Quinto Piano” . Tutti i dettagli della manifestazione verranno illustrati dai componenti del Gruppo di Lavoro dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti, che ha esaminato gli elaborati pervenuti e coordinato dal consigliere nazionale Salvatore Campitiello, nel corso della conferenza stampa, prevista per il 30 aprile, alle 11.30, nella sede dell’Ordine dei Giornalisti in via Parigi 11, a Roma. Si tratta di una splendida iniziativa che coniuga il tema della “festa” e dell’incontro tra giovani con l’idea di una partecipazione attiva degli studenti alle vicende della contemporaneità storica. - 21 - Si tratta di valorizzare il lavoro e l’impegno dell’attività giornalistica fra gli allievi della scuola secondaria superiore, in un mondo sempre più globalizzato ed omologato, dove l’informazione passa ormai attraverso la Rete, spesso senza un filtro critico e severo dei dati di realtà. Si tratta inoltre di valorizzare anche il piacere della scrittura fra i giovani, in un mondo sempre più povero di idee e di parole, per gridare la propria intelligenza e la forza di saper leggere criticamente il reale. Maria Imparato CRISTINA FONTANELLI CI SCRIVE: Happy Spring to all my wonderful friends and fans! Hope you and your families are well. Pls mark your calendars for these fun and wonderful shows/concerts and be sure to say hello! It is always a joy to see you! Much love, Cristina Happy Spring a tutti i miei meravigliosi amici e fan! Spero che voi e le vostre famiglie stiate bene. Per favore segnatevi le date dei miei spettacoli E 'sempre una gioia vedervi! Con Tanto amore, Cristina. - 9 maggioCristina Fontanelli Sings The Great International Songbook - 1 giugno From Bagels to Bocelli: The Musical Journey of My Life - July 26 "Cristina Fontanelli and Her Fabulous Friends"(From Opera to Broadway ________________ Complimenti ed auguri Cristina! lo staff di Antropos in the world Antropos in the world Fatalità o predestinazione? Di Egidio Siviglia Teruccio, vinto dalla calura estiva, si sdraiò in poltrona per la siesta. Dopo essersi sistemato nella maniera più consona alle sue abitudini, guardando il soffitto s’immerse in una profonda meditazione. L’argomento della riflessione gli venne dalla recente lettura dei primi filosofi antichi in cui veniva esposta la teoria degli atomi. Al termine delle sue riflessioni concluse: “Sarà vero o sono fantastiche elucubrazioni dei vecchi pensatori?”. Intanto, dalla finestra socchiusa, attraverso uno spettro di luce, il pulviscolo mostrava le molte particelle che roteavano davanti al suo sguardo. Il passaggio dagli atomi alle minuscole particelle di polvere fu molto breve. Il movimento era dato dalla forza di attrazione e di repulsione di questi piccoli elementi che, agitandosi, creavano il moto. Sì, ma il moto di che? Quello della materia? O anche degli eventi umani? L’attrazione e la repulsione non giocano un ruolo essenziale nella simpatia e nell'antipatia? E queste osservazioni non alimentano i legittimi dubbi dell’incerto destino degli uomini? E’ la casualità o la causalità, la predeterminazione o la predestinazione, la fatalità o altro? E il senso della previsione, prima ancora che si realizzi alcunché, è fondamento di un principio ancora sconosciuto, sia alla filosofia che alla scienza? Alla ricerca di una possibile risposta Teruccio fece ricorso alla esperienza concreta di un episodio di vita vissuta; nelle memorie troviamo: "La parte orientale del paese, con poche case e incantevoli estensioni di terreno ben coltivato, era la perla da tutti considerata una meravigliosa oasi di pace. Le soddisfazioni del lavoro agricolo e l’arte paziente delle sartine e delle ricamatrici erano il diploma della onesta dirittura poggiata sulla laboriosità e la bontà. In uno dei casolari del borgo viveva Luisina: la mamma era vedova e malferma in salute, Luisina, poco più che trentenne, aiutava l’economia familiare con l’arte del cucire; era quella la sola fonte di sostentamento dal momento che l’unico fratello, svogliato e amante del bere, si era allontanato da casa, lasciando le due donne a provvedere a loro stesse con i loro mezzi. La casa di Luisina era frequentata da qualche amica e dalle signorinelle che, giovandosi del buon trattamento, si facevano preparare eleganti vestine. L’unica persona, fuori protocollo, era l’arciprete della lontana parrocchia che, periodicamente, si recava in campagna per offrire il conforto religioso ai residenti e per impartire ai piccoli della scuola elementare le nozioni della fede cristiana. Il buon curato, prima di andare all'edificio scolastico, si fermava in casa di Luisina e, mentre infondeva coraggio e apportava il sollievo spirituale alla vecchia madre della giovane, veniva gratificato dalle notizie del contado; infatti, Luisina, vivendo al centro del mondo giovanile, riferiva la cronaca della vita del paese come avrebbe fatto un reporter di professione. Il buon parroco, dopo aver gustato il caffè, usava l’uscita posteriore della casa per raggiungere il vicino edificio scolastico. Un giorno, però, in questo quadretto di vita paesana si inserì un tal Simone, che col suo modo di fare, sconvolse degli equilibri ormai consolidati. Simone era un giovane dall'aspetto distinto, aveva il dono di una meravigliosa favella, che incantava ogni ascoltatore! Si interessava del commercio delle derrate alimentari e della vendita delle ciliegie, in quel luogo molto richieste dall'industria dolciaria. Le buone referenze di questo galantuomo furono offuscate da un episodio che, al di là del fatto singolo, rappresenta l’effetto catastrofico della turbativa sociale. Un giorno, dopo che il prete ebbe fatto visita a Luisina e alla sua anziana madre, Simone, notò che era trascorso un bel po’ di tempo da quando il santo uomo era entrato nella casa dell’avvenente sartina, così, per soddisfare la propria curiosità, decise di recarsi da Luisina. Bussò alla porta e fu ricevuto, come al solito, dalle due donne, con grande garbo e buona educazione. “Luisina - disse Simone - mia moglie è andata nei campi e mia figlia è al mercato; io ho un languorino allo stomaco, per cortesia, mi prepareresti un buon caffè?”. Fedele alla sua natura, Luisina, con cortesia e disponibilità, si diede da fare per esaudire il desiderio di Simone; intanto il giovane, tra uno scambio di battute e convenevoli, iniziò a guardarsi in giro, alla ricerca dell’arciprete, che immaginava fosse da qualche parte! Guarda di qua, guarda di là, alla fine Simone, non reggendo ancora all'istintiva curiosità, domandò alla giovane: “Luisina, ho visto entrare l’arciprete ma non l’ho visto uscire; desideravo vederlo per parlargli; sai dirmi dov'è?”. Luisina, con assoluta semplicità, spiegò che la casa era dotata di un'uscita secondaria, perciò, era possibile raggiungere l’edificio scolastico dalla parte posteriore. “Dopo che l’arciprete è stato da noi - ella spiegò - è andato dai bambini per la consueta lezione di catechismo uscendo dalla porta secondaria”. Dopo la spiegazione della giovane, sembrava tutto finito, ma … La visita di Simone, più che un gesto di cortesia, fu dettata da un istinto perverso; fu un’azione inquisitoria; infatti, all'occhio attento del curioso intruso non sfuggì la presenza in casa di Luisina di un televisore nuovo, con la relativa scatola di imballaggio utilizzata per il trasporto. Beh! Fin qui niente di male; ma la Fama, di virgiliana memoria, agisce nell'ombra: il caso volle che un padre missionario fosse di passaggio in paese per raccogliere offerte da destinare al terzo mondo. Il pio uomo, nelle sue visite di casa in casa, venne a conoscenza delle storielle quotidiane che riguardavano l’intero contado. La maldicenza dominava quasi sempre gli abituali pettegolezzi. Ogni domenica, il padre missionario celebrava messa e, durante l’omelia, non si sottraeva al dovere di invitare il popolo ad astenersi dalla maldicenza. Tra le tante notizie, giunse all'orecchio del - 22 - Antropos in the world buon reverendo la notizia che una certa Luisina, stinco di santa e timorata di Dio, avesse un amante e che costei, come gratificazione dei propri favori, avesse avuto in dono un apparecchio televisivo nuovo. La notizia destò meraviglia, apprensione e diciamo la verità, anche scandalo. Il pio sacerdote, che aveva già una veneranda età e molta esperienza, si pose la domanda: “E se non fosse vero?”. Dopo tre mesi di permanenza, il pio uomo fu in grado di tracciare una mappa precisa del territorio, di uomini e problemi e poichél’anticamera del sospetto è la calunnia, bisognava sradicare il perverso meccanismo che, gratuitamente, sopprime gli uomini e offende la pace sociale. Ma come si fa, senza prove ad incriminare qualcuno? E qualora si conoscesse l’autore della maldicenza, la punizione, se non rientra negli articoli del codice civile, a chi spetta infliggerla? E poi, a che serve farlo quando il danno è già stato consumato? Prima di ritornare alla missione il reverendo, tra le preghiere e i saluti, pronunciò una frase: “Coloro che mancano di carità offendono Dio e rendono infelici gli altri; siate buoni e temete il castigo; mi dispiace che nel disordine, quando ci sarà il giudizio, prima ancora della cernita o del giusto castigo, i cattivi morranno e ahimè, anche i buoni associati in un'unica sorte”. Quest’ultima frase tristemente profetica, trovò una scellerata attuazione qualche tempo dopo. Un giorno, in una delle tante conventicole delle signorinelle che frequentavano la sartoria di Luisina, nel raccontare i particolari della settimana, una di esse disse: “In questi giorni sono un po’ giù di corda; devo partecipare ad un concorso e vorrei prepararmi come si deve”. Intervenne subito la sartina che esclamò: “Non so se ti fa piacere, ma se accetti il mio consiglio, posso chiedere al mio vecchio maestro un supplemento di sostegno, e s’intende, a titolo gratuito”. Il suggerimento fu accolto con piacere e su due piedi, programmarono la visita all'anziano didatta. Era un sabato, la giornata incantevole e Luisina, con l’amica e due sorelle di questa, si recarono dal vecchio didatta che abitava a una decina di chilometri dal borgo. L'anziano insegnante accolse le signorine con piacere e grande calore; ai vecchietti fa sempre piacere vedere la gioventù, perché ricorda gli anni verdi. Nella gioia dell’incontro sgorgò spontanea e sentita l’espressione: “Quale piacere vedervi qui! Che bello ricevere la vostra persona!”. Non appena si furono accomodate il maestro, tra i mille pensieri e i ricordi del passato, poiché era trascorso un bel lasso di tempo dall'ultima volta che si erano visti, domandò: “Premesso che come ho già detto, sono contento di avervi qui, a cosa devo questa gradita visita?”. Prima ancora di attendere la risposta, il maestro aggiunse: “Sapete che sono sincero, ma non posso esimermi dal chiedervi: “Questa visita è casuale o ha una ragione precisa? Ve lo chiedo perché prima di adagiarci in conversazioni varie, è opportuno che esprimiate il vostro pensiero”. L’età giovanile e la verecondia muliebre, attraverso lo sguardo, dipinsero il clima e descrissero l’andamento del discorso. Luisina, pur avendo il coraggio di esporre il desiderio dell’amica, velatamente, aprì il discorso: “Professore, la prima cosa è che volevamo vedervi per riprovare la gioia della vecchia amicizia e poi … e poi, il resto ve lo dirà lei”. E puntòl’indice verso l’amica. Il simpatico maestro apprezzò la schiettezza delle giovani amiche, dichiarò la sua totale disponibilità e, per qualche ora, discorsero in serenità. Alla fine, quando si ritrovarono davanti al cancelletto che delimitava il giardino antistante l’ingresso, prima di congedarsi, Luisina ebbe a dire: “Non ci sono altre parole che saprei usare per evidenziare i sentimenti che dominano i nostri cuori; sento una forza interiore che mi trattiene, come se non volessi partire di qui. Noi andiamo via e dovunque andremo porteremo con noi un pezzo del vostro cuore. Vi salutiamo ... chissà quando ci vedremo un’altra volta … se ci vedremo!”. Tra le lacrime e gli abbracci, le ragazze ed il maestro si separarono. Il giorno successivo all'imbrunire, Simone uscì di casa infuriato perché i cani non la smettevano di abbaiare, i maiali, pur essendo satolli fino all'ugola, grugnivano in modo strano; Simone, disturbato dall'insolito comportamento del bestiame, si diresse verso la pubblica strada; incontrò nel suo bighellonare l’arciprete e in modo concitato, disse: “Monsignore, benedite il bestiame che non mi dà pace”. L’arciprete di rimando: “Simone, tu devi farti benedire, chissà che morrai senza il conforto della fede” poi aggiunse: Vado in chiesa a prendere l’acqua lustrale”. Qualche minuto dopo una violenta scossa sismica fece crollare numerose case, un cornicione cadde, alcuni edifici si sbriciolarono come sabbia. Quando arrivarono i primi soccorsi ci si rese conto che sotto un cornicione giaceva schiacciato il corpo del povero Simone. Poco più in là, l’edificio scolastico non esisteva più e tra le macerie della propria abitazione trovò la morte Luisina. Nel ricordo il nesso tra il pensiero e la realtà ritornarono alla mente: “Tutti morranno buoni e cattivi, … chissà se ci vedremo, … sei tu che devi essere benedetto perché morrai senza sacramenti”. Presentimento, fatalità, destino o altro? Intanto le particelle ancora per la forza dell’attrazione e della repulsione, continuavano a roteare e il filosofo era ancora alla ricerca di una possibile soluzione. Anche l’uomo comune pone domande e attende possibili risposte. Negli spazi vuoti del tempo si consola affidandosi a qualcuno: la cappellina del contado fu rasa al suolo: di essa restò in piedi solo la statua di S. Giuseppe, patrono della buona morte. - 23 - Egidio Siviglia BRONTOLO IL GIORNALE SATIRICO DI SALERNO Direzione e Redazione via Margotta,18 - tel. 089.797917 Antropos in the world STORIA DELLA MUSICA - A cura di Ermanno Pastore BÉLA BARTÓK Nagyszentmiklós, 25 marzo 1881 – New York, 26 settembre 1945 Venne educato alla musica sin dall’età di cinque anni, prima dalla madre che gli insegnò i rudimenti del pianoforte, in seguito (a soli dodici anni) dal maestro L.Erkel che lo iniziò alla composizione. Più tardi, studiò piano con István Thomán e composizione con János Koessler all' Accademia Reale della Musica di Budapest. Lì incontrò Zoltán Kodály e insieme raccolsero musica popolare dalla regione. Questo ebbe molt’influenza sul suo stile. Precedentemente, l'idea che Bartók aveva della musica popolare ungherese derivava dalle melodie gitane che potevano essere ascoltate nei lavori di Franz Liszt, e nel 1903 Bartók scrisse un grande lavoro orchestrale, Kossuth, in onore di Lajos Kossuth, eroe della rivoluzione ungherese del 1848, contenente melodie gitane di quel tipo. Da questo poema sinfonico lavorò per estrarre una marcia fune-bre pianistica che rese celebre Bartók come pianista-concertista-compositore per lo stile "nazionalunghe-rese" che prende come modello le Rapsodie unghe-resi di Liszt, in particolare la celebre Seconda. Il mondo in cui Bartók si era spinto come pianistacompositore era quello capeggiato da Paderewsky, Busoni, d'Albert e l'ungherese Ernő Dohnányi. La musica di Richard Strauss, che incontrò alla prima di Also sprach Zarathustra a Budapest nel 1902, lo influenzò molto (ha trascritto ed eseguito più volte a memoria il poema sinfonico Vita d'Eroe di Strauss). Questo nuovo stile emerse durante gli anni seguenti. Bartók stava costruendo la sua carriera pianistica, quando nel 1907 ottenne il posto di professore di pianoforte all'Accademia Reale. Questo gli permise di rimanere in Ungheria e di non girare l'Europa come pianista, e gli lasciò più tempo per raccogliere altre canzoni popolari, soprattutto in Transilvania. Intanto la sua musica cominciava ad essere influenzata da questi interessi e dalla musica di Claude Debussy che Kodály aveva portato da Parigi. I suoi lavori orchestrali erano ancora scritti alla maniera di Johannes Brahms o Richard Strauss, ma scrisse numerose composizioni brevi per pianoforte che mostrano il suo crescente interesse per la musica tradizionale. Probabilmente il primo brano che mostrava chiaramente i suoi nuovi interessi è Quartetto per archi n. 1 (1908), che contiene vari rimandi alla musica folklorica. Nel 1908 scrive anche le 14 bagatelle per pianoforte, in cui comincia a delineare il suo stile che appunto parte dal pianoforte, distaccandosi dal romanticismo Nel 1909 Bartók sposò Márta Ziegler. Il loro figlio, anch'egli di nome Béla, nacque nel 1910.L'avvicinamento alla musica popolare di Bartók (su esempio di Franz Liszt) è stato compiuto in maniera scientifica, influenzando in maniera metodica il suo stile, ricco di richiami alla musica popolare di molti popoli dell'area europea orientale e medio-orientale (uso di scale pentatonica e modale) ma contemporaneamente aggiornato anche sulle innovazioni ritmiche e armoniche portate dai contemporanei come Igor Stravinskij. Nel 1911, Bartók scrisse quella che sarebbe stata la sua unica opera, Il castello del Duca Barbablù, dedicata a sua moglie, Márta, ancora ricca di influenze stilistiche derivanti da Strauss e Debussy. Con questa composizione partecipò a un concorso indetto dalla Commissione Ungherese per le Belle Arti, ma questi dissero che era insuonabile, e la respinsero. L'opera rimase ineseguita fino al 1918, quando il governo fece pressione su Bartók perché togliesse il nome del librettista, Béla Balázs, dal programma a causa delle sue convinzioni politiche. Bartók si rifiutò, e alla fine ritirò il lavoro. Per il resto della sua vita, Bartók non si sentì molto legato al governo o alle istituzioni ungheresi, pur continuando la sua passione per la musica popolare. Bartók divorziò da Márta nel 1923, e sposò una studentessa di pianoforte, Ditta Pásztory. Il suo secondogenito, Péter, nacque nel 1924. Nel 1918 portò a termine anche i Tre studi per pianoforti in cui più che il virtuosismo emergono le idee creative e bizzarre. Sono vicini all'atmosfera dei Tre pezzi op.11 di Schoenberg ma anche alla forma di trittico-sonata che troviamo in Debussy (Images, Estampes) e in Ravel (Gaspard de la Nuit). Nel primo studio si trovano accenti in controtempo che anticipano leggermente gli Studi per pianoforte di György Ligeti, specialmente il primo del Libro I. Nel 1920 scrisse su commissione della Revue musicale di Parigi le Serre improvvisazioni su canti di contadini ungheresi (Op.20). Gli venne commissionato un solo pezzo (che fu poi la settima improvvisazione) da pubblicare in un supplemento chiamato Tombeau de Debussy, a cui contribuirono anche De Falla, Stravinsky, G.F. Malipiero, Dukas e altri. Negli anni venti intraprende una serie di tournée concertistiche in giro per l'Europa che gli procurarono simpatie ma pochi compensi; i suoi pezzi furono quindi accettati nei recital solo i pezzi piccoli (quindi non la Suite né la Rapsodia) come pezzi di carattere alla Grieg. Nel 1940, dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, e con il peggioramento della situazione politica in Europa, Bartók si convinse che doveva andarsene dall'Ungheria. Béla Bartók morì a New York di leucemia nel 1945. Fu sepolto al cimitero Ferncliff ad Hartsdale, New York, ma dopo la caduta del comunismo in Ungheria nel 1988, i suoi resti furono portati a Budapest per i funerali di stato il 7 luglio 1988 e in seguito fu sepolto al cimitero Farkasréti di Budapest. - 24 - Antropos in the world POLITICA E NAZIONE Edilizia e Politica Ovvero il pensiero spicciolo della gente comune Il Crescent è un muraglia alta circa trenta metri che, nel suo complesso, si estende per ben trecento metri per un totale di circa 90.000 metri cubi di volumetria. Il Sindaco di Salerno De Luca, dal suo pulpito televisivo, in passato ha sempre parlato della programmazione della più grande piazza europea sul mare guardandosi bene dal dire che questa piazza sarebbe stata circondata da una colata di cemento senza precedenti (pari a tre campi di calcio) che altererà per sempre, in modo negativo, un pezzo della città di Salerno. Oggi i cittadini salernitani si chiedono il perché del comportamento anomalo del Sindaco e del perché nei suoi monologhi televisivi non ne abbia mai par-lato quanto decantava la nuova piazza che, comunque, rientra nei lavori pubblici a beneficio della città mentre la realizzazione delle costruzioni commerciali e residenziali e demandata solo ed esclusivamente ai palazzinari che ne traggono immensi benefici economici. L’enorme muraglia di cemento, in corso di realizzazione su suolo demaniale, nella parte più bella della città, tra il centro storico ed il lungomare, ha il solo scopo speculativo di realizzare centinaia di alloggi privati. Era proprio necessario per l’amministrazione comunale intraprendere una iniziativa cosi maldestra e trascurare il disastroso impatto ambientale per consegnare il tutto nelle mani dei privati ? Quali reali interessi hanno portato le autorità comunali a far progettare ed approvare una così grande colata di cemento nel cuore della città in spregio ad ogni regola del buon padre di famiglia ? Non a caso il Sindaco De Luca è indagato per concorso in abuso d’ufficio in relazione a due delibere approvate dalla giunta comunale di Salerno in violazione di norme tecniche e urbanistiche per consentire la realizzazione dell’ecomostro detto “crescent”. Fortunatamente i carabinieri del Comando Provinciale hanno già notificato una trentina di avvisi di garanzia e sequestrato l’intero cantiere con l’accusa di (presunti) reati di abuso di ufficio, falso in atto pubblico e lottizzazione abusiva. Tutto ciò è potuto avvenire grazie ad una parte attiva e attenta della città di Salerno Italia Nostra e Comitato No Crescent) - 25 - che di fronte alla devastante colata di cemento e al disastroso impatto ambientale ha ingaggiato una vera e propria battaglia legale contro gli abusi commessi per realizzare il famigerato ecomostro. Anche la stampa nazionale, quasi all’unanimità, ha bocciato la realizzazione dell’ecomostro. In tutto questo infuocato clima di inchieste penali, indagini su falsi ideologici, abuso d’ufficio, mancata trasmissione a Roma dei richiesti pareri , della sentenza definitiva del Consiglio di Stato che ha annullato le autorizzazioni per il crescent e dell’itero comparto di Santa Teresa l’Amministrazione comunale di Salerno invece di usare la necessaria prudenza ha continuato imperterrita a forzare la mano rilasciando una nuova autorizzazione paesaggistica non di propria competenza pur di vedere realizzato l’ecomostro che si sviluppa su sette livelli fuori terra e due interrati. Ma quale è l’interesse del comune di Salerno visto che questa colata di cemento ha una funzione commerciale (piano terra e piano ammezzato) ed una funzione ad uso prevalentemente residenziale ? Quanto è costato alla comunità salernitana questa disastrosa iniziativa che ha visto fare piazza pulita delle strutture commerciali, industriali, scolastiche e turistiche (abbattimento dell’istituto nautico e del Jolli Hotel) ? Perché il Comune di Salerno ha acquisito l’area demaniale (già in suo possesso) al solo scopo di togliere il vincolo decennale di inalienabilità ? Questo ed altro ancora si chiede l’intera comunità salernitana con la speranza che almeno questa volta la giustizia possa trionfare e salvare una parte del territorio comunale da lasciare così intatto nel suo splendore ai nostri figli. Mario Bottiglieri Antropos in the world PIATTI TIPICI DEL MEDITERRANEO - A cura di Rosa Maria Pastore LA PATATA: RICETTE GLI GNOCCHI DI PATATE Ingredienti per 4 persone - 1 kg di patate - 1 0 2 uova (facoltative) - farina quanta ne viene assorbita - sal e Preparazione: Per preparare ottimi gnocchi è essenziale usare patate piuttosto grosse, di qualità farinosa. Lavare le patate, conservando la buccia, quindi metterle in una casseruola molto capace, ricoperte di abbondante acqua fredda, opportunamente salata; farle cuocere coperte, a calore moderato e costante. A cottura avvenuta, sbucciarle rapidamente e, ancora bollenti, passarle nello schiacciapatate per evitare che, indugiando, il composto diventi colloso. Aggiungere 1 o 2 uova (facoltative), il sale e farina quanta ne assorbe. Farne dei rotoli lunghi, sul tavolo infarinato. Tagliarli a tocchetti e farli scivolare a uno a uno sull’apposita tavoletta rigata o sopra una forchetta per dare la forma di un ricciolo. Lasciarli asciugare per 2 ore, buttarli quindi in acqua salata in ebollizione e, quando affiorano, scolarli con la schiumarola. Condire con sugo di carne o salsa di pomodoro, oppure con 200 gr. di burro e abbondante parmigiano grattugiato o con pesto genovese. CROCCHE’ DI PATATE SU LETTO DI LATTUGA Ingredienti (per 4 persone) - 750 gr di patate - 50 gr di burro - 50 gr di parmigiano - 2 tuorli Preparazione: Lessare le patate lavate e, ancora bollenti, passarle al passaverdure raccogliendo la polpa in una ciotola. Unire il burro, il parmigiano grattugiato, i tuorli, sale e pepe,impastare per qualche minuto amalgamando bene gli ingredienti. Aspettare che l’impasto si raffreddi per formare delle crocchette lunghe 6-7 cm che dovranno essere passate prima negli albumi delle due uova sbattuti con un po’ di sale e poi nel pangrattato. Friggere le crocchette poche per volta in abbondante olio ben caldo, passarle su carta assorbente e servirle calde adagiate su foglie di lattuga. PATATE AL FORNO Ingredienti (per 4 persone) - 1 kg di patate - Sale, pepe, spezie per patate Preparazione: Lavare e pelare le patate, tagliarle a - 26 - pezzi non molto grandi. Metterle sul fuoco in una teglia ricoperte dall’acqua e scolarle appena l’acqua bolle. Sistemarle in una tortiera o nella placca del forno, condirle con sale, olio, misto spezie per patate, una spruzzatina di pepe e completare la cottura. Ritirarle dorate e croccanti PATATE ALLA CILENTANA Ingredienti ( per 4 persone) - 6 etti di patate - in 8 cucchiai di olio - 1 mestolo di ragù - pecorino Preparazione: Peliamo e tagliamo le patate e friggiamole in abbondante olio. Prendiamo mezza cipolla rossa tagliata a fettine sottilissime, e soffriggiamola per bene in una teglia capace con l’ olio, aggiungendo un po’ d'acqua per evitare che si bruci. Ad acqua evaporata, aggiungiamo le patate fritte e rimescoliamo il tutto aggiungendo la mestolata di ragù preparato in precedenza. Due minuti di cottura, rimescolando continuamente, e servire ben caldo, con abbondante pecorino. PUREA SALMONATA Ingredienti (per 4 persone) - 4 grosse patate - 70 g di salmone - 70 g di burro Preparazione:Lessare le patate in acqua leggermente salata, sbucciarle e passarle allo schiacciapatate raccogliendole in una casseruola. Aggiungere il burro a pezzetti, il salmone tritato, sale, pepe ed un po’ di latte caldo, se occorre. Amalgamare la purea sul fuoco per 5 minuti, mescolando con un cucchiaio di legno. Allontanare dal fuoco e servire la purea ben calda PATATE IN PADELLA Ingredienti (per 4 persone) - 1 kg di patate - ½ kg di cipolle - 2 dl d’olio - 1 rametto di rosmarino, - s al e Preparazione: Tagliare le patate a spicchi o a fette rotonde; affettare sottilmente le cipolle e, dopo aver lavato tutto, versare in una padella, dove sia stato riscaldato l’olio insieme al rosmarino ed il sale fino. Coprire la padella con un coperchio e mescolare di tanto in tanto fino a completa cottura. Antropos in the world DENTRO LA STORIA IL PIAZZISTA BARAK OBAMA GLI F-35 e il gas americano È arrivato di corsa, trafelato, con le grandi orecchie protese come per intercettare gli ultimi segreti carpiti dalle antenne della CIA. L’imperatore a stelle-e-strisce si è precipitato nel Vecchio Continente per impartire ai vassalli europei gli ultimi ordini del cupolone americano: essere pronti anche alle estreme conseguenze per imporre alla Crimea di restare soggetta all’Ukraina, e mettere la mano al portafoglio perché “la libertà non è gratis”. Non che i vassalli – beninteso – avessero dato segni di insofferenza: sono sempre stati allineati e coperti, come dei bravi soldatini, pronti a scattare sull’attenti e a dire “signorsì”. Ma, questa volta – a telecamere spente e stando ben attenti a non far trapelare nulla all’esterno – qualcuno aveva forse mostrato una certa titubanza: in fondo, l’Ukraina aveva democraticamente scelto un governo filorusso, e questo governo era stato poi abbattuto da una rivolta illegale e – lo sanno anche le pietre – organizzata e pagata dall’esterno; e se la Crimea aveva scelto – democraticamente ed a schiacciante maggioranza – di lasciare l’Ukraina e di tornare alla Russia, non aveva fatto altro che seguire l’esempio del Kosovo, che pochi anni fa proprio gli americani avevano strappato alla sovranità serba. Molto probabilmente, dunque, i Paesi europei – più o meno unitariamente – stavano orientandosi su una linea diplomatica un po’ elastica: mostrare, a parole, grande determinazione nel difendere l’Ukraina “democratica” dagli insani appetiti della contigua “dittatura” moscovita, ma – nel contempo – non tirare troppo la corda. In fondo, l’Europa dipende per l’approvvigionamento di gas proprio dalla Russia di Putin, e spingere le democratiche sanzioni fino al punto di rimanere senza gas da qui a qualche mese equivarrebbe al comportamento di quel marito che, per far dispetto alla moglie, si tagliava i cosiddetti. Altro fattore che ha spinto il Premio Nobel per la Pace a percorrere le polverose contrade delle colonie europee è, con ogni probabilità, riconducibile agli affari italiani. Anzi, ad un affare soltanto: quello degli F-35. Nella disperata ricerca di un po’ di soldi per tappare qualche buco, infatti, il Piccolo Rottamatore Fiorentino aveva rivolto lo sguardo anche ai bilanci della Difesa, e si era accorto che questi riportavano una voce da capogiro: l’equivalente di 7 miliardi di dollari per l’acquisto di “solo” 90 sofisticatissimi superbombardieri americani F35, decretato dal governo Monti con la bovina acquiescenza dei partiti che supportavano il suo patriottico governo. Ma non finisce qui – come diceva un noto presentatore televisivo – perché nessuno è in grado di precisare quale sarà il costo finale effettivo dell’operazione; infatti il prezzo finale della commessa (originariamente di 78 milioni di dollari per ogni singolo aereo) potrebbe lievitare fino al doppio del prezzo iniziale. «Mantenendoci su una valutazione mediana – scrivevo su “La Risacca” nell’ottobre 2012 – diciamo che lo scherzetto dovrebbe costarci circa 10 miliardi di euro, sia pure scaglionati negli anni.» Naturalmente, poiché il Torquemada della Bocconi i soldi doveva pur prenderli da qualche parte, contemporaneamente era stata decretata la soppressione – anche questa diluita negli anni – di 40.000 posti di lavoro al Ministero della Difesa: per l’esattezza, 30.000 militari e 10.000 impiegati civili. Ma, torniamo ad oggi. Appena si è accennato ad acquistare un paio di bombardieri in meno, sùbito si è levato un coro di voci critiche, di allarmi accorati contro l’ipotesi di “tagli immotivati” al bilancio della Difesa. Poi è arrivato Lui, splendente nella sua democratica abbron-zatura, magnanimo fino al punto di congratularsi con Mattacchione Renzi per il suo programma di governo (ma l’altro ieri non aveva invitato Letta a pranzare con lui alla Casa Bianca?) e alla mano fino al punto da visitare un Colosseo fatto evacuare dai comuni turisti e consacrato esclusivamente alla visita della sua Augusta Persona. Lui, naturalmente, non ha avuto bisogno di fare la voce grossa. Ha appena accennato che “la libertà non è gratis”, lasciando alla fantasia dei governanti italiani l’ònere di trarre le debite conclusioni. Quanto al gas russo – ha detto all’Italia e all’Europa intera – niente paura. Se il Cremlino interromperà le forniture, Washington è prontissima a rimpiazzarle. Naturalmente, siccome dall’America all’Europa non ci sono gasdotti, il gas dovrà arrivarci a bordo di una numerosissima flotta di enormi navi “gasiere”, e quindi con costi raddoppiati. Ma avremo la soddisfazione di riscaldarci all’alito della democrazia. Magari con qualche altra falcidia di posti di lavoro al Ministero della Difesa. Pazienza, la libertà non è gratis. Rallo - 27 - Antropos in the world BABY SQUILLO ED I NUOVI VALORI DEI GIOVANI Negli ultimi mesi i quotidiani, le riviste, la televisione e qualunque altro mezzo di informazione non hanno fatto altro che parlarci di inchieste e scandali riguardanti figure maschili più o meno note e, soprattutto, giovani ragazze, poco più che bambine, che vendevano il proprio corpo per un guadagno da “reinvestire” successivamente nell’acquisto di borse, vestisti, cellulari, scarpe. Queste figure sono ormai divenute note nell’immaginario comune con il nome di “baby squillo”. Certamente ognuno di noi, nel leggere o sentire notizie a riguardo, si sarà chiesto: Perché delle bambine decidono di rovinare così la loro adolescenza? Perché danno un’importanza tale a cose futili da dare letteralmente se stesse per averle? Proviamo a capire insieme e a rispondere a queste (ed altre) domande. Ebbene, la risposta al primo dei nostri dubbi sta proprio nel secondo: queste ragazzine non si fanno scrupoli a compiere gesti e azioni che possono segnare per sempre un periodo così delicato della loro crescita, proprio perché danno minor peso alla loro stessa vita che al possesso di quegli oggetti che per noi sembrano inutili ma che in realtà sono per loro fondamentali. Per chiudere il ciclo non ci resta dunque che rispondere alla seconda delle nostre domande. Ma è proprio qui che tutto si complica: nella nostra mente iniziano a balenare un’infinità di altri quesiti, dubbi, perplessità: quali sono i nuovi valori dei giovani? Che colpe ha la società nei riguardi di questo cambiamento? Posso esserne anch’io responsabile in qualche modo? Cosa posso fare per cercare di cambiare le cose? La società moderna, intesa come società dei consumi e di massa, caratterizzata dalla diffusione e dal consumo di beni non necessari e dalla capillare diffusione e condivisione di idee, gusti, abitudini, è sicuramente la maggiore responsabile della caduta degli antichi valori morali e della nascita di quelli negativi moderni (come già analizzato nell’articolo riguardante lo spaccio giovanile). Infatti queste adolescenti, così come avviene nel caso dei giovani spacciatori, iniziano a fare tale “lavoro” per riuscire a mettere da parte una quantità di denaro necessario a permettere loro di seguire la scia delle nuove tendenze (che come sappiamo impongono il possesso di capi firmati e tecnologie moderne). Eppure tutti noi siamo parte integrante di questa società e di questi meccanismi. Anche noi ogni giorno seguiamo le mode, facciamo ciò che esse ci impongono di fare, compriamo ciò che ci impongono di comprare e andiamo dove ci impongono di andare. Dunque, e inevitabilmente, la colpa non può che essere anche nostra ed è inutile illudersi, o cercare di farlo, dicendoci: io non sono così, io non mi faccio influenzare, io penso con la mia testa: in fondo, chi di noi non è mai andato in un locale solo perché è “alla moda”? Chi non ha acquistato un prodotto che magari neanche gli serviva solo perché la pubblicità l’ha convinto a farlo? All’ultima delle domande che ci siamo posti non posso essere io a rispondere (non avendo né l’autorità né la capacita di farlo). Ognuno di noi dovrebbe analizzare la propria coscienza e cercare di trovarvi una risposta, di riuscire, cioè, a capire cosa può veramente fare per cambiare questa società in cui “piccole donne” (come le avrebbe definite Louisa May Alcott) vendono se stesse e la loro adolescenza per seguirne i falsi “idoli”. - 28 - Paolo Zinna Antropos in the world Dentro le istituzioni ERGASTOLO E’ PENA CERTA VINCENZO ANDRAOUS Accade sempre in ogni epoca di crisi e di trapasso; chi sta al fondo del barile, all’ultima fila di sedie, inchiodato alla propria condizione per forza o per necessità, non sarà inteso come persona da trattare, ma un numero da contenere e incapacitare. Carcere, sempre più carcere per risolvere problemi complessi che mettono in ginocchio una società, come a dire è sufficiente buttare via la chiave, omettendo di ricordare che prima o poi invece si esce da quella sorta di terra di nessuno, a volte con i piedi in avanti, altre con le proprie gambe, ma con lo sguardo che non ravvisa alcuna direzione. Norme, decreti, leggi di nuovo conio, ognuno a scandire le proprie ragioni, a lanciare strali, è battaglia ideologica disegnata dagli slogans, dalla cartellonistica d’accatto, una dislocazione furiosa di parole contrapposte che avvisano del pericolo carceri svuotate dai criminali, di condoni, amnistie, e chi più ne ha, più ne metta. Eppure alla linea d’arrivo, poco meno di qualche centinaia di detenuti usciranno, non ci sarà alcun sollievo nell’inferno carcerario per nessuna delle sue componenti, non ci sarà possibilità di abbassare la recidiva, non ci sarà formazione né rieducazione, solamente una nuova presa per i fondelli. A questa ipotesi di prevenzione ubriaca, di sicurezza a pochi denari, occorre aggiungere il capitolo della pena nella sua flessibilità e certezza, tant’è che c’è qualcuno che senza andare troppo per il sottile afferma che il cosiddetto”fine pena mai” non è applicato, addirittura non esisterebbe, anzi, con una ventina di anni di carcere scontati, si è belli e pronti all’uscita, chi se ne frega se addirittura infantilizzati. Ho seri dubbi che questa boutade corrisponda al vero, mentre non ne ho nel ribadire che una pena che sancisce la fine di un tempo che non passa mai, un tempo che non esiste, che non ti assolve né perdona, un tempo bloccato, non è un’astrazione né una combine della mente, certamente non la pena dell’ergastolo. Quarant’anni di galera scontata costringono il prigioniero a straripare in universi sconosciuti, un mondo fatto di domani che non ci sono, una negazione che rinvia alla morte di ogni umanità e riconciliazione, non è perdita di memoria come scelta individuale per non vedere e non sentire, è lontananza siderale dall’essere, dalla responsabilità di ritrovare e ricostruire se stessi. L’ergastolo rappresenta quanto accade fuori nella società libera, dentro è ben più visibile, e rimanere fermi alla medesima stazione di partenza scambiata per arrivo non è un bene per alcuno. Qualcuno si ostina a dire che il “fine pena mai” non si porta sulle spalle come carico di un lungo e lento viaggio di ritorno, eppure quarant’anni di carcerazione sono ben più di una affermazione da play station, obbligano l’uomo della pena identico alla sua colpa, e se questa non arretra, quella persona è un numero destinato a fallire. L’ergastolo c’è, non è vero che dopo vent’anni come per incanto le porte blindate di un penitenzario si spalancano, la legge contempla la possibilità di accedere a questo beneficio, ma la realtà è ben altra, infatti la liberazione condizionale non viene quasi mai concessa nei tempi stabiliti, se non con una aggiunta di dieci o anche venti anni dai requisiti richiesti. Chi scrive ha scontato circa quarant’anni di carcere, quattordici in misura alternativa della semilibertà, da un anno ho usufruito della libertà condizionale, potevo accedervi dopo ventisei anni, con gli sconti di pena, intorno ai venti, ebbene solo ora sono ritornato un cittadino libero. Non cito me stesso per fare della polemica spicciola, nutro gratitudine sincera per le istituzioni che mi sono venute incontro, inoltre so bene perché ero detenuto, nulla mi era dovuto. In tema di punizione, di castigo, di giustizia, all’angolo delle coscienze, c’è sempre il famoso ergastolo ostativo, quel detenuto che per la natura dei reati commessi, e richiamati in sentenza, non potrà accedere ad alcun beneficio carcerario nè ad alcuna misura alternativa,a meno che l’imputato non accetti di collaborare con la magistratura, di mettere in galera un altro al proprio posto, ultimo ma non per importanza, esser ancora in grado di poterlo fare. Forse è un bene per i cittadini detenuti ed i cittadini liberi ricordare quanto ebbe a dire Aldo Moro sugli scopi e utilità della pena: è un giudizio negativo che va dato alla pena capitale, come alla pena perpetua, perché contraddicono i principi costituzionali in tema di pena: trattamenti contrari al senso di umanità e alla finalità rieducative, dunque l’ergastolo tanto è costituzionale e legittimo, in quanto non si applichi effettivamente. - 29 - Antropos in the world Fattucchiere ed Eremiti del Vesuvio da “Gente del Vesuvio” di Umberto Vitiello (Fine parte prima ed inizio seconda: Gli eremiti) Ci si chiede com’è possibile credere a fattucchiere, indovine e veggenti dopo duemila anni di cristianesimo e i progressi e la diffusione della scienza. Mi hanno riferito di un’indagine su un esteso campione della popolazione, condotta pochi anni fa da un’équipe di giovani antropologi ed etnologi sociali napoletani, indagine non pubblicata perché i risultati, ritenuti improponibili, darebbero inesistente ogni forma di superstizione e ormai non più praticata la frequentazione di fattucchiere in un’ampia zona della nostra regione, quella alle falde del Vesuvio. Tutti gli intervistati, senza nessuna eccezio-ne, avevano dichiarato assolutamente non vero tutto ciò che riguardava la magia, l’arte del divinare, le fatture, il malocchio e il paranormale. Dichiarazioni in netto contrasto con l’accertata presenza di non poche fattucchiere ed indovine nel territorio. “Non è vero, ma ci credo” è una nota commedia del 1942 di Peppino De Filippo, divenuta film nel 1952. Probabilmente gli intervistati al “non è vero” avevano omesso “ma ci credo” nella loro risposta. È così che si comportano molti nostri connazionali di tutta Italia ancora oggi. In politica, ad esempio, l’ipocrisia è diffusa non solo tra gli eletti, ma anche e forse ancora di più tra gli elettori, che per la maggior parte hanno l’abitudine di adeguarsi sempre, ma solo formalmente, al modo di pensare di chi li ascolta, dichiarando il falso sulla propria fede politica perfino ai propri conoscenti, se questi la pensano ben diversamente da loro. Certo, va ben distinta la magia bianca da quella nera. Chi pratica la prima affidandosi a un amuleto, al tocco di mano di un pezzo di ferro o a un rituale di fattucchiera per sentirsi più forte e meno esposto ai pericoli e alle disavventure della vita può essere definito un ingenuo, ma essendo innocuo non va confuso con coloro che credono al malocchio fino a vedere la cattiveria negli occhi degli altri, perfino di amici e parenti. Meno che mai va confuso con coloro che chiedono alla fattucchiera di procurare a qualcuno malessere se non addirittura la morte. Dei veri assassini, certi che le fatture hanno l’effetto da loro desiderato e sicuri che nessuno potrà mai scoprire i loro crimini, credendo in una pratica che garantisce loro il cosiddetto delitto perfetto e dunque la propria non punibiltà. Ben diverse le considerazioni su coloro che vanno a consultare un eremita. Non si tratta infatti di superstiziosi che si affidano alla magia, bianca o nera che sia. Chiedere consiglio a qualcuno, a chi si ritiene più saggio od esperto, è una pratica non solo lecita ma perfino lodevole, se si considera ad esempio l’umiltà, e dunque la mancanza di superbia, di coloro che, ammettendo i propri limiti, si rivolgono a chi si è ritirato in solitudine dal mondo per cercare di santificare la propria esistenza, non rifiutandosi tuttavia di accogliere ed ascoltare coloro che gli chiedono un parere e un consiglio. I nostri eremiti, religiosi ma anche non pochi laici che singolarmente e nelle varie epoche per propria scelta si allontanano dalla società rintanandosi in grotte ed anfratti, pur essendo di un numero infimo e non lasciando tracce vistose, sono i conoscitori più profondi, ieri come oggi, se ne esiste ancora qualcuno, della parte più generosa ed umana di molti abitanti delle falde del Vesuvio. Isolandosi per dedicarsi alla preghiera solitaria e alla meditazione, essi hanno sempre accettato con gratitudine cibo e altri aiuti materiali, non disdegnando mai di mettersi al servizio di coloro che amano consultarli per avere un parere su una situazione difficile che stanno vivendo e un consiglio sul come comportarsi per venirne fuori. Testimonianza della loro presenza era l’Eremo a 608 metri di quota nei pressi della Cappella del San Salvatore e dell’Osservatorio Vesuviano1, nelle cui vicinanze si trovava la stazione intermedia della funicolare, stazione non a caso intitolata all’Eremo e non alla cappella né all’osservatorio.A ridosso di quest’ultimo, allora detto Osservatorio Reale, vi è ancora l’Hôtel Eremo 1 fatto costruire da James Mason Cook a corredo della Ferrovia Vesuviana Cook 1, la funicolare da lui presa in gestione nel 1888 che portava fino a poche decine di metri dal cratere. (Continua) - 30 - Antropos in the world DA ERICE IL NUOVO LIBRO DI ANNA BURDUA Σϰιᾶς ὄναϱ ἄνϑϱωπος Skiās onar ànthrōpos Senza la sua storia, l’uomo è l’ombra di un sogno. Di qui il senso del libro di Anna Burdua, che ferma sulle pagine del tempo la storia delle sue radici. Venere, l’antica Astarte,gli eserciti Cartaginesi,le legioni di Roma e poi un lento defluire verso la stagione normanna. Una storia che ancora aleggia sulle venticinque torri, iniziando da porta Spada. Eventi e personaggi che si succedono su di una terra bella, ricca e generosa, si, generosa di storia, che ti rimane nella mente e … nel cuore. Di qui, il titolo del libro della Burdua che fa affiorare una più significativa e profonda attenzione alle cose, ai monumenti ed agli uomini. Ella coglie quegli aspetti che le consentono di tradurre la realtà storico-sociale di Erice in più vigorose e rappresentative immagini, non trascurando ricordi indelebili come quelli legati a personaggi che molto hanno fatto per la cultura e l’affermazione della città. Quello che può sfuggire a chi non vive attentamente le stagioni dell’anima, rappresenta per la scrittrice “scintilla di riflessione”, che tracima fattivamente nella rappresentazione di cio che è stato, cogliendo il senso storico e vitale degli eventi, trasmessi così alle nuove generazioni, come icona di civiltà. Il dominio di sé e la semplicità espressiva le permettono una scelta coerente nella ricostruzione di fotogrammi di vita, che efficacemente rinnovano sensazioni e, con la forza e la ricchezza d'immagini, emozioni struggen- - 31 - ti. Concludiamo con l'asserire che questo libro nella sua globalità va segnalato non soprattutto per l'intensità emotività che suscita in questa nostra epoca di pochezza politica, scritture frettolose e di ancora più frettolose letture, perché coglie e s'ispira ad una realtà scrutata con l'occhio attento e sgombro da pregiudizi. Una realtà fatta di storia e di cultura, in cui si apre genuina, una capacità inusitata di stupire. Franco Pastore Due momenti della presentazione del libro, nella Kermesse del 30 marzo, presso la Galleria d’Arte “ L’Urlo di Rosaria” in Trapani. Erano presenti, con l’autrice, l’editore N. Barone ed il relatore dott. Fabrizio Fonte. Moderatrice, la dott.ssa Caterina Colomba. La manifestazione è stata allietata dalle musiche di Antonio Papa. Antropos in the world Regimen Sanitatis Salernitanum - Caput XXXIV DE LACTE Lac ethicis sanum caprium, post camelium, ac nutritivum plus omnibus est asininum; Plus nutritivum vaccinum sit ovium. Si febriat, caput et doleat, non est bene sanum. Giova al tisico il caprino // latte e poscia il Cammellino. Nel nutrir sopra ogni greggia, // quello d’asina primeggia. Quel di vacca è pur nutriente,// quel di pecora ugualmente. Per chi ha febbre o mal di testa // sempre il latte è ognor funesto L’ANGOLO DEL CUORE QUANDO ACCENDEVA LE NOTTI DELL’INVERNO Rintocco disperso. In te, tramonta quel sole, come pioggia caduta lieve dal cielo. Noticina diversa, di pietra il sogno è divenuto ormai. E’ un violino che ferma il Sole, che viaggia verso il Sole. E tu mi parli, tu memoria mi parli, con la lama d’oro dei suoi occhi azzurri. Un ricordo, incolmabile, di quando accendeva _____________ Dalla raccolta OMBRE DI SOGNO, di Franco Pastore - 32 - le notti dell’inverno il solo gesto delle dita tra i capelli. Giuffrida Farina (Premio San Valentino,Terni, 1981) Antropos in the world LEVIORA Non fare il fesso, lo so che li hai messo il tuo bastone! BRONTOLO IL GIORNALE SATIRICO DI SALERNO Direzione e Redazione via Margotta,18 tel. 089.797917 Radio Italia Uno via Philips, 13 10091 Alpignano (TO) Il BASILISCO Periodico della Associazione Lucana Salerno Presidente Rocco Risolia COSE DELL'ALTRO MONDO In un paesino di montagna un fabbro, un po' avanti con l'età, cerca disperatamente un aiuto fabbro... finalmente trova un ragazzo disposto a lavorare per un pezzo di pane. Un giorno, dopo aver fatto arroventare una barra di ferro, dice al ragazzo: - io adesso tiro fuori la barra e la poserò sull'incudine... tu con la mazza darai un forte colpo quando io abbasserò la testa... furono le sue ultime parole... L'altro giorno quando faceva tanto freddo un mio amico è andato a comprare dei mutandomi di lana. Il negoziante gli ha chiesto:- Fin dove vuole che gli arrivino?Il mio amico ha risposto: - Beh, almeno fino alla fine di marzo! Un giorno un cacciatore parlando con un suo amico gli disse che era andato a caccia dell'orso più grande del mondo. Gli disse che era andato in una grotta piccola ma c'era un orso piccolo, poi in una grotta media e c'era un orso medio, infine in una grotta grande... L' amico lo interrompe e gli dicendogli:- E chi ti a ridotto cosí un orso enorme? E l' altro:- No un treno ! Qual'è il colmo per un pidocchio? Stare sempre in testa! Una signora denuncia la scomparsa del marito alla locale Stazione dei Carabinieri. Iniziano la ricerche ma sono infruttuose sino a che, dopo un mese, viene trovato il cadavere di un uomo nel fiume. Il maresciallo chiama la signora per il riconoscimento. Il corpo è quasi irriconoscibile vista la lunga permanenza in acqua. Il maresciallo scopre la testa dell'uomo e chiede alla signora se è suo marito. La signora: No, sono sicura, non è mio marito-. Il maresciallo le consiglia però di guardare meglio per essere sicura e così scopre il cadavere fino alla cintola. Ma la signora:- No, no, mio marito era diverso. - Ma è proprio sicura? Forse sarebbe meglio che lei guardasse anche le parti intime - e scopre il cadavere completamente. E la signora:- Adesso sono proprio sicura che non è mio marito, anzi, le dirò di più, questo non è neanche del paese!- - 33 - Antropos in the world UNA OPINIONE ERETICA - DA SOCIAL GRANDI MANOVRE PER MATTEO RENZI: PRODI E DE BENEDETTI IN POOLE POSITION Quanti italiani conoscono il nome di Fabrizio Barca? Certamente pochi e – al di là di amici e partenti – quasi tutti appartenenti alla non folta comunità degli “addetti ai lavori” di economia. Eppure – guarda caso – al sondaggio di “Repubblica” su «chi vorresti come ministro dell’economia?» il 50% dei lettori del quotidiano debenedettiano avrebbe indicato proprio il suo nome. Da lì, tutta una serie di pressioni più o meno aperte perché accettasse e si imbarcasse sulla goletta renziana. Nulla di esplicito, di diretto, nulla che potesse impedire a Carlo De Benedetti di dichiarare che lui Barca non lo vedeva e non lo sentiva da mesi. Ma Fabrizio Barca – che non è un fesso – ha sommato due più due e ne ha dedotto quel che ha confessato nella telefonata-trappola di Radio 24: «Lui non si rende conto che io più vedo un imprenditore dietro un’operazione politica, più ho conferma di tutte le mie preoccupazioni.» Ma di chi si parlava? «Del padrone della Repubblica, con un forcing diretto di sms, attraverso un suo giornalista, con una cosa che hanno lanciato sul sito “chi vorresti come ministro dell'Economia” dove ho metà dei consensi.» Fin qui, la telefonata. Che in un altro contesto lascerebbe forse il tempo che trova, ma che nello scenario odierno è un’altra tessera del mosaico che spiega il generale rimescolamento di carte da cui è nato il governo Renzi. Quali gli altri tasselli? Il primo è sotto gli occhi di tutti: il grande impegno profuso da “Repubblica” per supportare la scalata al potere di quello che – deamicisianamente – qualcuno chiama “il piccolo scrivano fiorentino”. Il secondo tassello – certamente meno evidente – è il ruolo centrale di De Benedetti (insieme a Prodi e a Monti) nelle rivelazioni che sono alla base del libro di Alan Friedman “Ammazziamo il Gattopardo”. Un libro uscito con fulminante tempismo, proprio quando sul capo di Giorgio Napolitano si andavano addensando le nubi di un possibile – anche se improbabile – impeachment. Orbene, se vogliamo credere che il mosaico sia questo, lo scenario che si prospetta potrebbe essere il seguente. Primo: qualcuno, in altissimo loco, ha “mollato” Re Giorgio ed ha decretato la fine del “suo” secondo governo, quello di Enrico Letta. In questo contesto – volendo dare corpo alle ombre della fantapolitica – se Napolitano è stato il nume tutelare di Letta, De Benedetti è ora il nume tutelare di Renzi. E ancòra – seguendo il medesimo fantasioso itinerario – alla scadenza del secondo mandato di Giorgio Napolitano (o in caso di sue dimissioni, o in caso di impeachment) il suo naturale successore non potrà essere che l’amico del cuore di De Benedetti, cioè Romano Prodi. Prodi – si ricordi – è stato la seconda fonte delle rivelazioni di Friedman. La terza fonte è stato Mario Monti: il perché lo immagino, ma non lo dico. Grandi manovre, insomma: come quelle del 2011-2012 che – con la complicità di madame Merkel e di uno spread fatto salire alle stelle dalle agenzie di rating – portarono al potere Mario Monti in Italia e Lucas Papadémos in Grecia, due uomini di quello che i francesi chiamano “gouvernement Sachs européen”; di quella particolare “rete d’influenza” europea – cioè – formata da uomini legati in vario modo alla Goldman & Sachs, la più grande “banca d’affari” americana. L’Italia ha fornito tanti illustri sodali a quella triste aristocrazia finanziaria. A incominciare da “mister Britannia” Mario Draghi, oggi governatore della Banca Centrale Europea e, negli anni passati, vicepresidente per l’Europa di Goldman & Sachs (per gli amici, GS). Ma fra i Goldman’s Boys italiani spicca un altro nome illustre ed illustrato, quello di “mister Privatizzazioni” Romano Prodi, già consulente della GS negli anni ’90 ed ora – secondo i soliti maliziosi – candidato in pectore alla Presidenza della Repubblica. Guarda un po’ dove andrebbe a parare il piccolo rottamatore fiorentino! M.Rallo - 34 - Antropos in the world L’ANGOLO DELLA FOLLIA MICROFULMINI E FELTRIZZAZIONI CHIMICO-DANTESCHE Scintillometro Effetto luminoso al neon, n. 7 “Microfulmini” Jovis FELTRIZZAZIONI – ovvero il rapporto tra il mondo dantesco e la chimica Si tratta di collages realizzati su cartonci-no; ogni singolo collage contiene 4 elementi: 1) Una riflessione su Dante o sulla sua Opera. 2) Un concetto chimico (una reazione, una trasformazione chimica, un generico fenomeno o processo chimico). 3) Un foro, praticato sul cartoncino. 4) Tre feltrini adesivi rotondi, uno dei quali comprime un piccolo filo di rame: nel termine “feltrino” compare “trino”, che fa pensare al Dio trino; “adesivo”: Dante ha connesso, ha correlato Poesia e Chimica; “rotondo”: la visuale di Dante copre i 360 gradi. ENERGIA CHE PRENDE FORMA: l’Aldilà Dantesco è un vasto ed eterogeneo ambiente energetico, formato da energie sviluppate da corpi trasformati: dunque viene coinvolta la Chimica. Ita apparet menti insanae, per Hercules! AUCTOR INSANUS: Giuffrida Farina, salernitanus, qui in urbe vivit, laborat, deditusque operibus insanis est usque ad finem. - 35 - Membership in the GNS Press Association Reg. ID 7676 8 – IPC / Richiesta autorizz.ne al Tribunale di Salerno del 25.03.2008 / Patrocinio Comune di Salerno prot. P94908 – 27.05.2009 / Patrocinio Prov. Avellino – prot. 58196 – 16.10.2012 / Patroc. Com. Pagani – prot. 0023284 – 29.07.2008 / Patroc. Prov. Salerno – prot. 167/st – 23.09.2009 / Patroc. Com. di S. Valentino Torio – 24.05.2008 – Acquisto Spazio/web del 26/04/06-Aruba S.P.A. ANTROPOS IN THE WORLD, Rivista e Teleweb, hanno, inoltre , il patrocinio degli Enti Carminello e SS. Corpo di Cristo. Il giornale è a disposizione dei nostri lettori sul portale: http://www.andropos.eu/antroposintheworld.html Rivista e tele-web omonima: ma può essere richiesto anche in forma cartacea, previo la sottoscrizione di un abbonamento annuale http://www.andropos.it http://www.andropos.eu Canale videoYutube La teleweb ANTROPOS IN THE WORLD e la sua rivista non hanno finalità lucrative, né sono esse legate ad ideologie politiche. Perciò, agiscono nella totale libertà di pensiero, in nome di una cultura, che ha a cuore i valori che rappresentano il cardine della società civile e della vita,nel pieno rispetto per la persona umana e contro ogni forma di idiosincrasia. Pro pace, sempre contra bellum. http://www.youtube.com/user/MrFrancopastore Direzione e gestione Via Posidonia, 171/h, Salerno telefono/segr.tel: 089.723814 Fax: 089.723814 – ECDL:IT1531440 Contatti telematici: antropos@fastwebnet.it Distribuzione: Lettura on line Ai sensi e per gli effetti del D. 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La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure - (Art. 21) - La Costituzione italiana assume la cultura come valore fondamentale e inserisce tra i principi fondamentali la disposizione che impegna la Repubblica a promuoverne lo sviluppo. “Il patrimonio culturale di un Paese rappresenta la testimonianza visibile e tangibile della storia di quella Nazione …” - (art.9) Redazione di Salerno Via Camillo Sorgenti, 21 (tel.089.223738) dott. Renato Nicodemo dott. Ing. Giuffrida Farina Paolo Zinna Mario Bottiglieri Redazione di Pagani Piazza Corpo di Cristo 84016 dott. Flaviano Calenda flavianocalenda@katamail.com Gli indirizzi e-mail in nostro possesso, in parte ci sono stati comunicati, in parte provengono da elenchi di pubblico dominio in Internet, altri sono stati prelevati, da messaggi e-mail a noi pervenuti. 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