òς European Journalism Legitimation - the GNS Press Ass.tion - The ECJ promotes publishing, publication, communication work - P. Inter.nal I COMPORTAMENTI A RISCHIO LE PSICOSI ( VI parte) ANNO X N.RO 2 del 01/02/2014 Pag. psicologica Turisti per caso Dal Brennero ai … Da dove viene la kuna? Il teatro romano De cognomine Note antropologiche Le quote nere Aisosopos Il racconto del mese Da Trapani Momento tenero La donna nella storia Immagini d’un altro t. Proverbi Ecologia e proverbi Libro per S.Valentino La pagina medica Storia della musica La donna nella letter.ra Controcorrente Dalla Red. di Bergamo Dentro la storia Critica letteraria I grandi pensatori Politica e nazione I piatti tipici Dalla Red.di Bergamo Antonino De Stefano All’ultimo minuto Leviora satirica L‘ angolo della follia - Disturbo bipolare dell’umore: Alcuni tratti o disturbi veri e propri dell‘adolescenza possono in parte mascherare o rendere più difficile una diagnosi certa. Nonostante questo, però, il disturbo bipolare può essere riconosciuto in modo piuttosto sicuro. Anche se è vero che gli sbalzi di umore tipici di questa malattia possono essere associati ad un esordio schizofrenico, occorre distinguere queste due patologie per poi proporre percorsi terapeutici diversi. Infatti, tipici del disturbo affettivo bipolare sono anche sintomi di tipo psicotico che possono presentarsi con disturbi del pensiero, grandiosità, idee bizzarre, ma che non sono riconducibili ad una condizione di schizofrenia. Può diventare difficile allora distinguere un rallentamento depressivo da un rallentamento schizofrenico, un‘apatia schizofrenica da una depressiva. - Disturbi dell’Adattamento che presentano umore depresso : In questa situazione clinica i sentimenti di tristezza, solitudine e vuoto che si presentano sono riconducibili ad eventi stressanti chiaramente identificabili. Queste reazioni devono aver insorgenza entro tre mesi dall‘evento stressante e non avere una durata superiore ai sei mesi. Nei bambini e negli adolescenti questo si manifesta soprattutto con difficoltà di resa scolastica e nei rapporti interpersonali. Il lutto è escluso da questo quadro clinico. - Lutto non complicato: Un quadro depressivo completo si può manifestare in seguito ad un lutto accaduto nell‘arco dei tre mesi precedenti. Prevalgono la perdita dell‘appetito e di peso, insonnia, difficoltà nelle relazioni sociali, perdita d‘interessi e raramente rallentamento psicomotorio. Nel caso di adolescenti e bambini spesso questo avviene come reazione alla perdita di uno dei due genitori. - Diagnosi differenziale della depressione nell’adolescenza : Come accennato in precedenza, nell‘adolescenza la depressione può essere accompagnata da comportamenti devianti o altra sintomatologia clinica che ne rende più complessa l‘identificazione diagnostica. Una di queste complicanze è spesso l‘abuso di alcol o di altre sostanze che in molti casi sono assunte a scopo di automedicazione“, cioè con il vano scopo di lenire il dolore psicologico provato per qualche frustrazione non elaborata. In questo caso è importante conoscere la storia del ragazzo per capire se i sintomi depressivi siano insorti prima o dopo l‘assunzione di sostanze. Può essere anche facile, in alcuni casi, la confusione tra la diagnosi di disturbo borderline di personalità e la diagnosi di depressione. Anche in questi casi può aiutare molto la storia del soggetto, il suo modo di rapportarsi nelle relazioni e nei contetesti in cui è inserito. Sul portale http://www.andropos.eu/antroposint heworld.html 1)F. Pastore, LE PROBLEMATICHE DELL’ADOLESCENZA, I Comportamenti a rischio, pag. 36 e 37 2) D. MARCELLI, A. BRACONNER; “ PSICOPATOLOGIA DELL’ADOLESCENTE”; MASSON. -1- Antropos in the world ANDRAOUS:TURISTI PER CASO ED ALTRO Giovani e adulti, facoltosi e meno abbienti, ognuno a “farsi grande” con l’uso di sostanze stupefacenti. In questo consumo smodato d’illusioni in pillole, non esistono confini sufficienti a identificare le ideologie nè le culture. Eppure non fa difetto l’eredità pesante che ci portiamo addosso, quell’esperienza dolorosa a indicatore di quei giovani che soccombono nella dose quotidiana. Continuiamo ad azzuffarci per decidere se sia meglio punire o prevenire, o ancora meglio assolvere chi sniffa, chi si buca, chi fuma. Mentre inarchiamo le sopracciglia per l’ennesimo giova-ne perduto, noi replichiamo la sconfitta nella prossima legge emanata a furor di popolo, la quale ammalia il voto ghermito a quattro mani, ma non porta il risultato voluto. Viviamo questa vita come fossimo “turisti per caso “, camminiamo tra le incertezze che ci colgono,sen-za preoccuparci delle macerie che ci lasciamo alle spalle. Nelle scuole i cani poliziotto delineano scenari incredibili, dove gli adolescenti di ieri appaiono improvvisamente travestiti di tanti domani…. nel fumo di una canna. Nelle discoteche tribù di giovani si muovono nervosamente, imbottiti di energia in polvere, per guarire da fragilità e solitudini. Nelle fabbriche, nei laboratori, negli uffici, uomini e donne, ben intruppati nella trasgressione, non più visibile come tale, divenuta piuttosto una dimensione, una sintesi sgangherata, per tentare di arginare le proprie rese all’efficienza. Così nelle strade, nei tanti sguardi stanchi, avam-posti alla berlina, per calcolo o per inadeguatezza politica, postazioni mobili del dolore, per nascondere la nuova e logora assunzione di droghe, per una tantum, per tappe intermittenti, solo per qualche volta, per qualche momento……. Chissà forse il volo pindarico causato dalla droga sta davvero a divertimento, a svago, a tendenza che attrae, nulla di più e nulla di meno di un tentennamento della ragione. Forse è proprio così, perché il nostro è proprio il paese di Pirandello: sappiamo urlare, disperarci, condannare, scrivere a caratteri cubitali che non esiste una droga buona, che ogni droga fa male. Ma poi quando cala il sipario sulle grandi adunate, sulle tracce lasciate indietro dai nobili ideali, ecco che dal Golgota laico, coloro che vergano le leggi per tutelare l’inalienabile diritto alla salute, quindi alla vita, ( che non può essere interpretato come diritto alla sopravvivenza), improvvisamente, sconfessando se stessi, indossano il passamontagna per rapinare anonimamente la possibilità di una scelta, soprattutto nei riguardi di chi ancora questa possibilità non possiede, trasformando quello che dovrebbe essere il compito più alto, in un dialogo a senso unico. A PROPOSITO DI IMU ALLA CHIESA Facciamo pagare l’Ici o l’Imu anche alla Chiesa! L’affermazione è così perentoria da non lasciar scampo al dubbio, fa intendere, che, lì, dove Cristo sta alla croce e gli uomini ai suoi legni, c’è un bel po’ di magna magna, quanto meno di furbetti da una parte e di allocchi dall’altra. Quando la coperta è troppo corta e il popolo adirato, c’è sempre spazio per alimentare il desiderio di forche dialettiche, mentre le eventuali risposte svelanti truffe e raggiri fanno mancare le domande all’appello, obbligate a stare in disparte, come fossero di poca importanza. Qualche giorno fa allorché si è fatto man bassa di accuse e certezze inossidabili, leggendo le molteplici richieste di equità e giustizia nei riguardi della Chiesa, per farle pagare la tassa in oggetto, ho detto sottovoce e senza alcuna verità nelle tasche di andarci piano con il plotone di esecuzione, perché c’è sempre tempo per quello. La riflessione è ben altra: se davvero la Chiesa è padrona e ladrona come qualcuno si ostina a dire per mezzo della famosa e indiscussa cassa mediatica, se le proprietà che la contraddistinguono sono adibite a lucro continuo, e non come risorsa e strumento di emancipazione per i poveri, i prevaricati, i dimenticati, se davvero questo è un business conclamato e permeato da un’accettazione statuale, occorrerebbe anche chiedersi, come mai si è giunti a questo status quo. E’ un interrogativo che in questi anni di saltimbanchi, di prestigiatori, di commedianti più o meno noti, non ha mai avuto riscontri, non è mai stata posta neppure all’interlocutore, per il semplice fatto che la Chiesa non ha mai lesinato di offrire il suo servizio, nei riguardi di quanti sono stati rapinati di un pezzo importante di futuro, di coloro che titolari di residenza o di domicilio, rimangono dei rifugiati ai margini della società autoctona e globale. Enti ecclesiali, religiosi, cattolici, che travestono gli spazi ludici e di intrattenimento, in luoghi di culto, di preghiera, di ritiro spirituale e di accoglienza, debbo dire che è alquanto invero-simile. Piuttosto credo, perché lo so, perchè ho avuto modo di constatarlo di persona, che gli edifici della Chiesa sono territori della solidarietà e della accoglienza che diventa salvezza della vita, un servizio vero e senza orpelli a contrassegno per trarre di impaccio chi è piegato nella disperazione. Dunque, in ogni spazio della Chiesa occorre chiedere l’Ici come per qualunque altro ente o possessore di attività destinata a fare economia? Se così è come conseguenza di una Chiesa che non paga e non corrisponde quanto deve, o non rende quanto invece ha preso, è evidente che debba mettersi in regola, mi pare però un’esagerazione costruita a misura, infatti non credo nella dichia-razione dei redditi che non si trovano. Forse oltre a rimuginare pensieri di rivalse nei confronti della Chiesa, rumoreggiando sulle tasse che non sarebbero pagate, occorrerebbe meglio chiarire i fondamenti del lavoro che svolge, che sempre svolgerà, questa grande casa della fede, della contemplazione, delle azioni che liberano e emancipano gli uomini e le donne in tutto il mondo, quello lontano e quello vicino, dove c’è sempre più bisogno di chi non chiede tornaconti, interessi, medagliette da appuntare al petto, nel consegnare aiuto a chi ne è sprovvisto, a chi è derubato persino della speranza. La Chiesa non dovrebbe essere supplente di un vuoto istituzionale, ma protagonista assoluta di un ripensamento culturale, affinché ogni persona mantenga e custodisca la propria dignità nel rispetto dovuto. -2- Antropos in the world DA TRAPANI DAL BRENNERO AI FORCONI L’S.O.S. DELL’AGRICOLTURA ITALIANA Prendo le mosse dall’appena conclusa protesta della Coldiretti al Brennero e da quella – in corso – dei Forconi siciliani (e non solo) per abbozzare alcune considerazioni sulla lenta agonia dell’agricoltura italiana. Una agricoltura naturalmente ricca e che potrebbe recare ricchezza all’Italia intera. Eppure, la nostra agricoltura e la nostra zootecnia stanno morendo di consunzione, mentre un numero sempre crescente di famiglie italiane rischia la povertà. La nostra industria agroalimentare – un tempo volano dell’economia nazionale – è stata oramai liquidata. Prima quella statale: l’Italgel (ceduta alla svizzera Nestlè), la GS (alla francese Carrefour), la Bertolli (alla multinazionale anglo-olandese UNILEVER). Poi quella privata, strangolata dalla globalizzazione: Galbani, Invernizzi, Locatelli, Parmalat e San Pellegrino ai francesi, Carapelli, Star e Scotti agli spagnoli, Buitoni agli svizzeri, Peroni agli inglesi, Algida agli angloolandesi, Molteni agli svedesi, Plasmon agli americani, Gancia ai russi, Pernigotti ai turchi, Fiorucci ai giapponesi, Chianti ai cinesi. Il nostro buon cibo – che tutto il mondo ci invidia – trasmigra all’estero, e a noi non rimangono neanche i benefìci economici dell’esportazione, destinati ad arricchire svizzeri, francesi, turchi e cinesi. Quelle poche piccole industrie alimentari italiane che ancòra resistono hanno sempre maggiori difficoltà ad esportare, trovando i mercati saturi di tutte le porcherie che la similindustria della contraffazione spaccia per cibo italiano: dalla mozzarella campana fatta in Scandinavia al parmigiano reggiano prodotto nel Far West, a tutte le bufale made in China. In compenso, in nome della libertà dei commerci (per cui i buoni americani hanno fatto due guerre mondiali) da noi arriva di tutto; e in primo luogo arrivano quei prodotti scadenti e spesso nocivi che spiazzano la nostra produzione di pregio, impossibilitata a reggere la concorrenza di merci – apparentemente simili – immesse sul mercato a prezzi stracciati. «Sono le regole del mercato» sentenziano gli imbecilli iperliberisti che sbavano sullo spread e sul “politicamente corretto”. Non è vero: sono le regole di un mercato unico mondiale pensato appositamente per uccidere le economie dei paesi europei. E, mentre negli scambi internazionali regna la legge della giungla e l’Organizzazione Mondiale del Commercio – proprio ieri – ha varato un altro tragico programma di liberalizzazione globale, l’Unione Europea ci assedia con raffiche di direttive, regolamenti, prescrizioni ed angherie varie che frenano il nostro sviluppo: non possiamo produrre quello che potremmo, ma dobbiamo -3- rispettare le quote latte, dobbiamo portare al macero le arance raccolte in più, non possiamo piantare un vigneto ed anzi ci pagano per estir pare quelli che abbiamo. Potremmo produrre agevolmente tutto quanto ci serve per sfamare gli italiani, ma questo sarebbe un delitto di lesa maestà comunitaria, un rigurgito autarchico di mussoliniana memoria. Dobbiamo obbligatoriamente - in nome della de mocrazia - e della libera circolazione delle merci – importare latte dalla Germania e dalla Slovacchia, arance dal Maghreb, uva dal Cile e dal Sud Africa, carne dall’Argentina, olio dalla Spagna, e così via; dobbiamo acquistare di tutto, ivi comprese certe carni macellate che sono spesso veicolo di epidemie. Né, ad onor del vero, dal mercato nazionale giungono segnali incoraggianti: i produttori sono costretti a vendere a prezzi da fame quei prodotti che – dopo troppi passaggi non sempre limpidi – giungono sugli scaffali dei supermercati a prezzi da gioielleria. In mezzo, fra gli anelli della catena di intermediazione, qualcuno si arricchisce sulla pelle degli agricoltori e dei consumatori. Ma anche queste sono le regole di sua maestà il Mercato. E se le metti in discussione diventi fascista o – a scelta – comunista. Michele Rallo [ Le opinioni eretiche ] ________________ Michele Rallo: Delegato all’Organismo Rappresentativo Universitario (eletto nel 1967); - Consigliere comunale di Trapani per tre mandati (dal 1980 al 1994); - Deputato al Parlamento nazionale per due legislature (dal 1994 al 2001). BRONTOLO Giornale satirico diretto da Nello Tortora Direzione Salerno - Via Margotta, 18 tel.089797917 XVIII CONCORSO NAZ.LE DI SATIRA, UMORISMO, POESIE, PITTURA, SCULTURA, FOTO. Per informazioni, contattare la Redazione di Brontolo in via Margotta,18 Salerno, tel. 089.797917 – e-mail brontolo8@libero.it Antropos in the world I GRANDI MISTERI DA DOVE VIENE LA LUNA? La teoria dell'impatto risultò la più plausibile e venne largamente accettata dagli scienziati e migliorata SneU con nuovi modelli di formazione pla tariL a, iL quA ali suT ggeE riroR no R comA e gr? ossi impatti di quel tipo sono stati effettivamente piuttosto comuni nelle ultime fasi di formazione dei pianeti terrestri. Circa 4,45 miliardi di anni fa, un giovane pianeta Terra, vecchio di soli 50 milioni di anni all'epoca e non ancora così solido come lo cono-sciamo ora, sperimentò il più violento impatto della sua vita. Un altro corpo roccioso, all'incirca della mas-sa di Marte, si era formato nelle sue vicinanze, e la sua orbita entrò in collisione con quella terre-stre. Quando i due corpi si urtarono, l'energia coinvolta fu 100 milioni di volte maggiore di quella dell'impatto meteoritico che si pensa abbia causato l'estinzione dei dinosauri. La collisione distrusse il corpo, probabilmente vaporizzò gli strati più esterni del mantello terrestre e scagliò una gran quantità di detriti in orbita attorno alla Terra. La nostra Luna si formò in seguito per condensazione di questa "nube" di detriti. Nella metà degli anni '70, gli scienziati proposero lo scenario dell'impatto come ipotesi per la formazione della Luna. L'idea era che un impatto fuori asse di un corpo celeste di dimen-sioni paragonabili a Marte con la Terra ancora giovane avrebbe potuto fornire ad essa la sua velocità di rotazione iniziale, ed espellere una quantità sufficiente di detriti da formare la Luna. Se il materiale espulso viene soprattutto dal mantello della Terra e del corpo che l'ha urtata, la mancanza di un nucleo ferroso sulla Luna si spiega facilmente, e l' energia dell'urto può rendere conto del forte riscaldamento extra subito dal materiale lunare, ipotizzato dopo l'analisi dei campiodi di roccia raccolti sulla Luna dagli astronauti delle missioni Apollo. Per quasi dieci anni, la teoria non venne accettata dalla maggioranza degli scienziati. Tuttavia, nel 1984, una conferenza dedivata all'origine della Luna propose un confronto critico fra le varie teorie esistenti all'epoca e si dovette convenire che quella dell’impatto era l’ipotesi più logica. Le prove? Eccole elencate qui di seguito: la bassa densità lunare (3,3 g/cm3) dimostra che non possiede un evidente nucleo di ferro come la Terra. Le rocce lunari contengono soltanto poche tracce di sostanze volatili, per esempio l'acqua, che implica un maggiore riscaldamento della superficie lunare rispetto a quella terrestre. Le abbondanze relative di isotopi dell'ossigeno sulla Terra e sulla Luna sono iden-tiche, il che suggerisce che la Terra e la Luna si sono formate alla stessa distanza dal Sole. Georges H. Darwin, secondo figlio di C. Darwin, dopo la morte di de Buffon, tentò di fornire nel 1878 una spiegazione razionale sull’origine della Luna at-traverso la teoria della fissione. Tale teoria prevede che la Luna si sia staccata dalla Terra primordiale a causa di una elevata velocità di rotazione e fluidità di quest'ultima. In pratica, una parte della massa che apparteneva alla Terra si separò, provocando una enorme cicatrice in corrispondenza delle zone equatoriali. Questa ipotesi però appare inverosimile perché, per provocare il distacco della Luna, era necessaria una velocità di rotazione della Terra che la doveva portare a compiere un giro completo in 2,5 ore, e questo valore rimane incompatibile con il momento angolare del sistema Terra - Luna. Ciò vuol dire che tutta l'energia presente nel sistema era insufficiente per raggiungere una velocità della Terra tale da portare la durata del giorno terrestre a 2,5 ore. Inoltre, visto che la teoria della fissione ipotizza un distacco dalle zone equatoriali, non riesce a spiegare il motivo per cui l'orbita della Luna è inclinata rispetto all'orbita della Terra. ON LIVE STAGE – SCUOLA LABORATORIO DI MUSiCA Via Ferrante, 2 - 84016 Pagani (SA) | ermy_small: Scuola di musica luna ermy_small: Terra c a n t o e d a n za _________ Recapito telefonico 3388249748 impatto -4- Antropos in the world IL TEATRO COMICO ROMANO a cura di Andropos La parola commedia è tutta greca: κωμῳδία, "comodìa", infatti, è composta da κῶμος, "Kòmos", corteo festivo e ᾠδή,"odè", canto. Di qui il suo intimo legame con indica le antiche feste propiziatorie in onore delle divinità elleniche, con probabile riferimento ai culti dionisiaci . Peraltro, anche i primi ludi scenici romani furono istituiti, secondo Tito Livio, per scongiurare una pestilenza invocando il favore degli dèi. I padri della lingua italiana, per commedia intesero un componimento poetico che comportasse un lieto fine, ed in uno stile che fosse a metà strada fra la tragedia e l'elegia. Dante, infatti, intitolò comedìa il suo poema e considerò tragedia l’Eneide di Virgilio. La commedia assunse una sua struttura ed una sua autonomia durante le fallofòrie dionisiache e la prima gara teatrale fra autori comici si svolse ad Atene nel 486 a.C. In altre città si erano sviluppate forme di spettacolo burlesche, come le farse di Megara, composte di danze e scherzi. Spettacoli simili si svolgevano alla corte del tiranno Gerone, in Sicilia, di cui purtroppo, non ci sono pervenuti i testi. A Roma, prima che nascesse un teatro regolare, strutturato cioè intorno a un nucleo narrativo e organizzato secondo i canoni del teatro greco, esisteva già una produzione comica locale recitata da attori non professionisti, di cui non resta tuttavia documentazione scritta. Analogamente a quanto era accaduto nel VI secolo a.C. in Attica, anche le prime manifestazioni teatrali romane nacquero in occasione di festività che coincidevano con momenti rilevanti dell’attività agricola, come l’aratura, la mietitura, la vendemmia. PLAUTO: TRINUMMUS (187 circa a.C.) Titus Maccus Plautus, nacque a Sarsina, tra il 255 e il 250 a.C.; i tria nomina si usano per chi è dotato di cittadinanza romana, e non sappiamo se Plauto l’abbia mai avuta. Un antichissimo codice di Plauto, il Palinsesto Ambrosiano, rinvenuto ai primi dell’800 dal cardinale Angelo Mai, portò migliore luce sulla questione. Il nome completo del poeta tramandato nel Palinsesto si presenta nella più attendibile versione Titus Maccius Plautus; da Maccius, per errore di divisione delle lettere, era uscito fuori il tradizionale M. Accius . Plauto fu un autore di enorme successo, immediato e postumo, e di grande prolificità. Inoltre il mondo della scena, per sua natura, conosce rifacimenti, interpolazioni, opere spurie. Sembra che nel corso del II secolo circolassero circa centotrenta commedie legate al nome di Plauto: non sappiamo quante fossero autentiche, ma la cosa era oggetto di viva discussione. Nello stesso periodo, verso la metà del II secolo, cominciò una sorta di attività editoriale, che fu determinante per il destino del testo di Plauto. TRAMA DELLA COMMEDIA – E’ una commedia che narra di un personaggio di nome Carmide, che prima di partire per l’estero confessa all’amico Callicle di un tesoro nascosto in casa e lo prega di nasconderlo al figlio. Dopo la sua partenza, il figlio Lesbonico spende tutto il suo patrimonio giocando e vende pure la casa, lasciando la sorella senza dote. La casa viene comprata da Callicle perché non voleva che cadesse in mano ad altri ed offre una camera a Lesbonico. Il suo amico, Megaronide, gli dice che la gente lo critica e a Callicle non rimane che confessare all’amico del tesoro, per poter salvare la sua reputazione. La sorella di Lesbonico era rimasta senza dote e l'amico di lui, Lisitele, per aiutarlo ha deciso di prendere in sposa la sorella senza dote e la presenta al padre Filtone, il quale, dopo aver tratto delle conclusioni, accetta l'idea del figlio e chiede la mano alla famiglia della ragazza. Lesbonico però nonostante la sua dissolutezza non aveva perso il suo senso dell’onore e accetta che l’amico Lisitele possa sposare la sorella a patto che ella porti in dote l’unico pezzo di terra che possedevano. Callicle viene informato di questa situazione da Lesbonico, Stasimo e non poteva acconsentire che la figlia di Carmide si sposasse senza dote soprattutto essendo in possesso del tesoro di Carmide stesso. Chiede immediatamente consiglio all’amico Megaronide, il quale per non dettare sospetti incarica un falso messaggero, Sicofante, che finga di ritirare da parte di Carmide una carta per Lesbonico e una somma di denaro per la figlia e con l’incarico di consegnarlo a Callicle. Il denaro viene ritirato e dissotterrato per l’occasione del matrimonio e per fare questo occorreva che il falso messaggero ingaggiato per tre monete doveva presentare una lettera. Costui si incontra con Carmide di ritorno dal viaggio, il quale, sorpreso urla, lamentandosi con Stasimo per aver perso tutto, casa compresa. Callicle, sentendo le grida di Carmide, esce e spiega all’amico come era andata tuttala faccenda. SINOSSI: Scritta negli ultimi anni di carriera di Plauto, cioè tra il 188 e 186 a. C.,per la presenza di abbondanza e varietà ritmiche delle parti cantate e l’insistenza con cui si contrappongono i costumi nuovi e quelli vecchi. E’ la commedia più seria di Plauto dove segue il modello greco di Terenzio. La commedia si svolge nelle vie di Atene . -5- ASSOCIAZIONE LUCANA “G. Fortunato” - SALERNO SEDE SOCIALE in Via Cantarella (Ex Scuola Media “A. Gatto”) Antropos in the world DE COGNOMINE DISPUTĀMUS a cura di Antropos L'origine del cognome non è certa e come per molti “ Il soprannome è l’orma di una identità forte, che si è imposta per una consuetudine emersa d’improvviso, il altri cognomi italiano si attesta attorno all'anno mille. riconoscimento di una nobiltà popolare, conquistata in Una delle famiglie nobili dei Vitale è quella originaria virtù di un ruolo circoscritto alla persona, quasi una della Cava de Tirreni in provincia di Salerno, da questa spinta naturale a proseguire nella ricerca travagliata di linea discese successivamente il ramo dei Duchi di un altro sé. Il sistema antroponimico era dunque binomi- Tortora. Il cognome Vitale è tutt'oggi molto presente in nale, formato da un nome seguito o da un’indicazione di luogo (per es.: Jacopone da Todi), o da un patronimico Calabria nella zona della Locride, qui è possibile (Jacopo di Ugolino) o da un matronimico (Domenico di trovare famiglie facoltose appartenenti a quella che Benedetta) o da un attributo relativo al mestiere (Andrea viene definita "nobilità civica" che posseggono uno Pastore), et cetera. Il patrimonio dei cognomi era pertanto stemma di famiglia a partire almeno dal diciottesimo così scarso, che diventava necessario ricorrere ai secolo. Il cognome Vitale è appartenuto quindi a diverse soprannomi, la cui origine non ha tempi e leggi tali, da permettere la conoscenza di come si siano formati, e la famiglie alle quali sono stati assegnati diversi ricomaggior parte di essi resta inspiegabile a studiosi e noscimenti e titoli nobiliari. Particolare il caso della famiglia Vitale di S. Ilario Ionio che aveva ottene il ricercatori. Spesso, la nascita di un soprannome rimanda ad particolare privilegio dal papa, di poter costruire accostamenti di immagini paradossali ed arbitrari. Inu- all'interno del proprio palazzo una cappella. La famiglia tilmente ci si sforzerebbe di capire il significato e l’origine in questione si è ormai estinta, mentre il castello è di soprannomi come "centrellaro" o come "strifizzo" o invece sempre in piedi. "trusiano", lavorando solo a livello di ricerca storica e Personaggi: filologica. E così, moltissimi soprannomi restano inspie- Luigi Vitale (Castellammare di Stabia, 5 ottobre gabili, incomprensibili, perché si è perso ormai il contesto 1987) è un calciatore italiano, centrocampista della storico, sociale e culturale o, addirittura, il ricordo Juve Stabia in prestito dal Napoli. dell’occasione in cui il soprannome è nato. Verso il XVIII° - Vitale martire, difensore della fede, alle radici della secolo, il bisogno di far un po’ d'ordine e la necessità di Chiesa bolognese. identificare popolazioni diventate ormai troppo popolose porta all'imposizione per legge dell'obbligo del cognome. Il cognome di questo mese è Vitale . Un cognome sinistro e poco diffuso, in Italia solo 309 persone si chiamano così. Considerando una classifica di diffusione dei cognomi italiani, Vitale appare al cinquantesimo posto. La concentrazione maggiore delle persone che portano questo Per un futuro di cognome è in Campagna e in Sicilia, in particolar modo a SUCCESSI CONOSCENZE Palermo. Anche questo cognome, come molti altri si presenta con numerose varianti: Vitali, Vitalini, Vitaliti, MIGLIORAMENTI Vitaliani, Viataliani, Vitalesta, Vitalizio. GUADAGNI. L'etimologia riporta al termine latino Vitalis che indica vitalità e la storia nome vede il cognome Vitale già prePer informazioni e contatti: sente in Italia al tempo degli imperatori Romani. Presidente Nell'araldica cognomi troviamo diversi stemmi associati al cognome Vitale a seconda della linea di discenFM GROUP CONTURSI denza. Uno di questi, come ci si potrebbe aspettare a Giornalista partire dall'interpretazione del nome, riporta l'immagine di geom. Carlo D’Acunzo rigogliosi tralci di vite. I titoli assegnati ai Vitale sono quelli di nobili, conti, Angri (Sa) marchesi, duchi, baroni e patrizi. Il significato e origini ___________ presumibilmente derivano dai San Vitale di Parma, antiE-mail: chissima famiglia risalente al dodicesimo secolo. La carlo.dacunzo@tin.it famiglia si suddivise in tre linee principali: i Vitale, i conti Paglières, che fu nobilitata nell'anno 1589, e la linea diretta chiamata Ceva San Vitale, chiamata così perché possedeva la signoria dei feudi di Ceva. FM GROUP ITALIA -6- Antropos in the world NOTE ANTROPOLOGICHE UN GIOVANE PARLA AI GIOVANI CHE COS’E’ L’OMOFOBIA? Il XXI secolo: per Stanley Kubrick un’era fatta di astronavi, stazioni lunari, viaggi verso Giove ecc… Magari la sua era una visione un po’ ottimistica di quella che sarebbe stata la quotidianità in questo secolo. Eppure non poi così lontana dalla realtà considerando tutte le tecnologie di cui godiamo che non hanno nulla da invidiare a quelle della pellicola kubrickiana, anzi sono in alcuni casi perfino superiori ad esse. Viviamo dunque in un mondo futuristico rispetto al 1968 (anno in cui fu girato “2001: odissea nello spazio”), molto più evoluto non solo dal punto di vista tecnologico ma anche ideologico. Le nuove generazioni hanno idee e mentalità aperte a tutto, proiettate al futuro. I ragazzi non si sentono più cittadini italiani, inglesi o francesi ma cittadini del mondo, di un mondo che livella tutti, per cui tutti sono uguali, senza qualsivoglia discriminazione… Non saremmo noi, e non Kubrick, ad avere una visione eccessivamente ottimistica della nostra realtà? Credo proprio di sì. Non può considerarsi infatti evoluta o egualitaria una società come la nostra, in cui esiste ed è ancora forte il problema dell’omofobia; in cui una persona viene discriminata ed offesa solo per la sua inclinazione sessuale; in cui giovani di meno di 20 anni vengono spinti fino al gesto più estremo, quello di togliersi la vita, dagli insulti e vigliaccherie di coloro con cui si trovano a vivere e confrontarsi ogni giorno. Solo negli ultimi mesi questo problema è salito tristemente alle luci della ribalta, proprio a causa dei numerosi suicidi di questi ragazzi poco più che adolescenti, mentre prima se ne parlava a malapena, come attesta uno studio pubblicato su un famoso quotidiano che mostra che la parola “omofobia” non è presente in molti vocabolari precedenti al 2013. Proviamo allora noi a spiegare che cos’è l’omofobia. Omofobia deriva dal greco homoios (stesso, medesimo) e fobos (paura). Il termine “omo” è qui usato però in riferimento ad omosessuale. Dunque omofobia significa letteralmente “paura dell’omosessuale”. -7- Paura dell’omosessuale? Si può avere paura di una persona che ne ama un’altra altra dello stesso sesso? Ovviamente no. Allora l’omofobia non può considerarsi un terrdoi reV. dAonvdurtaoouas d un disturbo psicologico come lo sono invece l’agorafobia o l’aracnofobia. E’ bensì un’avversione irrazionale nei confronti delle persone omosessuali basata semplicemente sul pregiudizio. Ecco quindi cosa c’è alla base di tutto: il pregiudizio. Io odio una persona, la denigro, la emargino solo perché ho dei pregiudizi su di essa, non perché mi abbia fatto realmente qualcosa o dato motivo per odiarla e trattarla in tale modo (non che esistano motivi sufficienti per trattare così un qualunque essere vivente). Abbiamo dunque compreso cosa sia l’omofobia. Ci viene quindi immediatamente e spontaneamente da chiederci: chi sono gli omofobi? E’ triste evidenziare che siamo soprattutto noi giovani. Siamo noi ad insultare i nostri coetanei, a rendere loro insopportabile la vita, a spingerli al suicidio. Proprio quelle nuove generazioni dalle idee brillanti e dalla mentalità aperta, che sognano un mondo senza barriere spaziali ed ideologiche, salvo poi farsi limitare dai pregiudizi. Dobbiamo ricordarci che siamo noi il futuro e prima di aspirare a traversate intergalattiche e navicelle supersoniche, dovremmo pensare a risolvere i problemi che affliggono il nostro mondo, quella che per ora è la nostra realtà. Solo una volta che questi saranno superati e l’omofobia, così come tanti altri “cancri” della società contemporanea, saranno ormai un lontano ricordo, potremo considerarci il mondo futuristico ed evoluto che il grande regista newyorkese aveva immaginato. Paolo Zinna VENERDI’ 10 GENNAIO, E’ STATA PRESENTATA AGLI MEMBRI DELL’ASSOCIAZIONE LUCANA G. FORTUNATO” LA COMMEDIA “LA MOGLIE DELL’OSTE”, DI FRANCO PASTORE. ANFITRIONE DELLA SERATA, IL PRESIDENTE, PROF. ROCCO RISOLIA. Antropos in the world NICODEMATE LE QUOTE NERE Nel numero di Ottobre del 2011 di questa Rivista parlammo delle quote rosa, soffermandoci sui problemi di specie in quanto, com’è noto, non ci sono solo maschi e femmine secondo Madre Natura, ma anche Gay, Lesbiche, Bisessuali, Transessuali/ Transgender riuniti sotto l’acronimo LGBT. Per essere precisi sono state di recente emanate, e pubblicate sul sito governativo delle pari opportunità, delle “Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone LGBT” alle quali i giornalisti debbo attenersi quando parlano di inclinazioni sessuali. Così oltre all’acronimo suddetto debbono usare il termine “famiglia omogenitoriale”, al posto di famiglia gay, e di “madre surrogata” invece di utero in affitto. In quelle note ci soffermammo soprattutto sui criteri di assegnazione delle quote; ma, si sa, quando ci si mette su un piano inclinato non si può che scivolare fino in fondo. Ed ecco le quote nere. L’ineffabile ministra Kyenge, la prima di colore (nero) e di origine congolese della Repubblica italiana, dopo aver minacciato di togliere il velo alle suore e di usare i termini “genitore 1 e genitore 2” in luogo di padre e madre, per cui anche il Decalogo dovrebbe essere rivisto nel senso di “Onora il genitore 1 e il genitore 2” (vedi Rivista Ottobre 2003) non poteva, coerentemente, proporre di riservare delle quote nere nell’accesso ai gradini alti della nostra società. E’ superfluo d’altra parte e non “politically correct” domandare alla Signora se in Congo, dove al momento languono delle famiglie italiane trattenute con mille cavilli insieme ai loro bimbi adottati, vengono riservate delle quote di colore (bianco) nei gradini alti di quella società. Ma tant’è. Domani che avremo sicuramente un ministro cinese, questi rivendicherà le quote gialle e così via fino alle quote arcobaleno di cui già abbiamo la bandiera esposta fin nelle chiese, ignorando che è un simbolo nato in ambiente teosofico contro il cristianesimo: i suoi colori sono invertiti rispetto a quelli naturali! E’, insomma un inganno satanico! La stessa Francia, che non sta meglio di noi, caduta com’è nelle mani del socialista Hollande ha avanzato la richiesta delle quote rosa per i morti. Nel Panteon di Parigi, infatti, d’ora in poi dovranno essere seppellite più donne, perché attualmente il rapporto tra salme maschili e quelle femminili è di 2 a 70! Non so se fra questi c’è qualche appartenente ai LGBT. -8- E non finisce qui. Perché è facile prevedere che prima o poi avremo anche le quote religiose: Come opporsi infatti alle quote musulmane, protestanti, valdesi, ebrei e via enumerando fino alle 836 religioni censite solo nel nostro Paese? Ne deriverà che ogni volta che bisognerà comporre un organismo si dovrà usare il sistema degli spiedini: un wrustel, una cipollina,un pez zo d’agnello, uno di maiale, un peperone e così via; per cui avremo:un bianco, un nero, un giallo, un musulmano, un cattolico, un protestante, un gay, una lesbica, una giovane, una vecchia, e così via all’infinito . Purtroppo una cosa è certa: l’Europa è un continente che sta invecchiando - a scuola, ricordo, era definita il Vecchio Continente - ed i vecchi, per natura, sono destinati a morire. Renato Nicodemo) Torre del Greco. Incontro divulgativo sulla prevenzione oncologica all’I.C. “Angioletti” Mercoledì 15 gennaio 2014, alle ore 10,30, presso l’Aula Magna dell’Istituto Comprensivo “ Angioletti” di Torre del Greco, Via Giovanni XXIII, si terrà un incontro divulgativo sulla prevenzione oncologica, al quale sono invitati a partecipare i genitori degli alunni della scuola e la cittadinanza. Introduzione a cura del Dirigente Scolastico dell’Istituto Dott. Pasquale La Femina e del Prof. Aniello Ragosta. INTERVENTI: Aspetti di prevenzione nelle neoplasie colorettali (Prof. R.V. Iaffaioli – Diretore UOC Oncologia Medica Addominale Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale). Possibilità di prevenzione per le neoplasie del testicolo (Dott. Gaetano Facchini Dirigente Divisione Uroginecologica Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale). Le malattie da troppa luce - (Dott. Fabrizio Ayala – Dirigente reparto di Dermatologia Oncologica Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale) La prevenzione in ginecologia - (Dott. Cono Scaffa, Dirigente Medico della S.C. di Ginecologia Oncologica Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale) Il Dirigente Scolastico Pasquale La Femina Antropos in the world II CONCORSO INTERN.LE DI POESIA RELIGIOSA “MATER DEI”, bandito dalla Rivista “Antropos in the world”, in collaborazione con la “ Chiesa Madre SS.Corpo di Cristo, la Fondazione Carminello ad Arco e l’Università Paganese “ S. Maria Luigia del Sacro Cuore”. Possono partecipare poeti ovunque residenti e di qualunque nazionalità, con una lirica dedicata alla Vergine Maria. La quota di partecipazione è di € 10,00, che dà diritto a ricevere la rivista per un anno. Sono ammessi a partecipare, per la prima volta, gli alunni della Scuola Elementare, che dovranno inviare un breve componimento in poesia o anche in prosa, purché nessun adulto vi abbia messo mano. La partecipazione dei bambini è gratuita. Inviare i lavori alla Direzione di Antropos in the world, via Posidonia,171/h – 84128 Salerno, entro il 18 marzo 2014. AISOPOS ET PHAEDRUS IN NAPOLETANO ʹΌὶὰὼὶὲ (Da Aἲsopo , favole latine in napoletano, di Franco Pastore – A.I.T.W. Edizioni) L’asino, la volpe ed il leone Un asino ed una volpe fecero amicizia e insieme se ne andarono a caccia. Incontrarono un leone dall'aria minacciosa. La volpe intuì il pericolo che stava correndo, gli si avvicinò e cominciò a parlargli: si impegnava a consegnargli l'asino, in cambio della sua salvezza. I leone le promise la libertà: così la volpe condusse l'asino verso una trappola e ce lo lasciò cadere. Il leone, appena vide che l'asino era nell'impossibilità di fuggire, assalì per primo la volpe e poi, con calma, ritornò ad occuparsi dell’animale che era caduto nella trappola. ___________________ Aἲsopo – μύθο CCLXX ____________________ Fabula docet (‘ύò: - L’amicizia co’ putènte nu’ porte proprie a niente. - Chi la fa, l’aspetti. - Non sempre l’astuzia porta guadagni. ‘‘O CIUCCIO, ‘A VOLPE E ‘O LIONE (L’amicizia co’ putènte nu’ porte proprie a niente) ‘Nu ciùccio e ‘na volpe, grandi amici, decisero di andare a caccia insieme. Trasèttere ndo’ bosco assai felici, cu’ ll’aria di chi nessuno teme. Ma proprio là, tra piante e cacciaggiòne, t’incontrano ‘nu cazzo di leone. ‘A volpe, ‘nfàme assai e un poco zòccola, vennètte l’asino per vita e libertà. Vuttàje l’amico ciuccio dìnte a ‘na trappola e s’apprestàje a muoversi di là. Ma ‘o leone, per un senso di giustizia, prima, mangiàje ‘a volpe a colazione e po’ pranzaje co’ ciucce, a profusione. ____________ Lexicon necessarium: Trasettere: entrarono insieme. ‘nfame: infame; dal lat. in (negativo) + fama, cattiva reputazione. Vennètte: vendette, mise in vendita, alienò l’amico. Vuttàje: (nel senso di spingere) dal francese antico bouter -9- Antropos in the world DALLA REDAZIONE DI BERGAMO Tra mito e storia sospesi sull’orlo del tempo Nelle vicende storiche della Jugoslavia, formatasi alla fine della prima guerra mondiale e disgregatasi dopo la fine della guerra fredda, la presenza dei miti e delle mitologie delle “piccole nazioni” ha svolto un ruolo peculiare, sia per le caratteristiche locali e regionali delle diverse componenti della federazione, sia per i molteplici e complicati intrecci con la situazione internazionale del “secolo breve”. La posizione e collocazione politica delle nazionalità dello stato jugoslavo, le secolari tradizioni di lotta per sottrarsi al dominio delle grandi potenze hanno strettamente legato i destini dell’homo balcanicus alle sorti collettive degli slavi del sud. Da qui il radicarsi di una Weltanschauung, spesso trasformata in ideologia ufficiale, dove le esistenze dei singoli riescono ad assumere un senso e un significato solo e soprattutto nell’incontro e nel rapporto con la Grande Storia. Nel caso jugoslavo, questo rappresenta un decisivo elemento di continuità, pur fra tante rotture, del passaggio dal comunismo al nazionalismo. E il richiamo al “sacrificio” in nome di un ideale – classe operaia, partito, patria, nazione - è stato continuamente evocato e richiamato per legittimare le immense perdite umane delle guerre inter-jugoslave degli anni Novanta del secolo scorso. Il caso della Serbia, deus ex machina prima, carnefice/vittima poi, della federazione jugoslava, destinata ora ad una transizione che appare infinita, è fortemente segnato dal continuo intreccio di storia e di memoria, dove le gloriose sorti passate non riescono a riscattare le difficili sopravvivenze presenti. E dove la durata di vita del singolo si perde nel tempo eternalizzato di regimi che puntano a sopravvivere alla propria epoca. Il confronto fra il “pover’uomo” e la Grande Storia che non lascia scampo, che nutre molte pagine delle letterature dell’Europa centro-orientale, è un Leitmotiv della letteratura serba contemporanea. Individui braccati dalla storia attraversano le pagine di Milos Crnjanski e di Borislav Pekic, di Slobodan Selenic e di Aleksandar Tisma, di Mirko Kovac e di Zivojin Pavlovic. Ma anche quelle di un best-seller popolare come Il libro di Milutin di Danko Popovic, monologo di un contadino che la Storia ha costretto a diventare guerriero. Curiosamente, la letteratura diventa anche (insieme al cinema) il luogo dove è possibile parlare delle sconfitte e delle perdite, nominare ed elaborare lutti. La sensazione di essere rimasti orfani tutti dopo la morte di Tito, la sparizione della Jugoslavia, un cadavere che non verrà mai seppellito, i ricordi di infanzie che, per chi ha più di quindici anni, hanno avuto luogo in un paese che non esiste più. E ora i traumi di una guerra che, anche là dove non ha toccato fisicamente gli individui, ha mutato il loro paesaggio esterno, ha mandato all’aria le loro vite, colpito la loro psiche. Si affida alla pagina scritta il compito di conservare i ricordi e gli affetti, di raccontare le migrazioni, manifestare le nostalgie: quello che i monumenti e le case più volte distrutti, le frontiere spostate non possono fare. E vengono in mente due grandi scrittori chiusi in casa, nella loro città occupata, durante la seconda guerra mondiale. Ivo Andric, a Belgrado, scrive i suoi capolavori ma affida gli incubi e le riflessioni al suo diario, Miroslav Krleza, a Zagabria, confessa al suo le angosce delle notti insonni, insegue le tracce che le notizie belliche trasmesse per radio lasciano nei suoi sogni “schiumanti”. Entrambi si sentono the war inside, ne studiano le conseguenze. Oggi ci appaiono incredibilmente attuali nel soffermarsi sugli “effetti collaterali” di un’esposizione prolungata ai suoni e alle visioni di guerra. Il conflitto esploso nel 1991 tra le diverse etnie della ex Jugoslavia ha riportato, dopo quasi cinquant’anni, la guerra in Europa. Esso ha fatto riaffiorare drammatici ricordi e riaperto questioni etiche che il vecchio continente si era illuso di aver definitivamente dimenticato o risolto, almeno nel proprio territorio, dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Per molti anni la Jugoslavia era stata additata come modello di convivenza pacifica di diverse etnie, che in un passato non molto lontano erano state tra loro in conflitto. Dopo la crisi economica degli anni Ottanta, nel giro di pochi mesi l’edificio federale jugoslavo crolla, e la sua disgregazione è così repentina da lasciare tutti sbigottiti. Le tragiche vicende di questo conflitto sono il risultato dell'incrociarsi di vari fattori, politici, economici e sociali, di ordine locale, nazionale e internazionale. Guerra fra popoli o guerra fra stati, guerra di classi o di nazioni? Come definire questa guerra infinita, si sono chiesti i profani, ma anche gli osservatori? Gli aspetti sociali sono sempre rimasti sullo sfondo, molteplici tensioni fra le diverse aree del paese, che negli anni Ottanta ha vissuto una profondissima crisi economica, si sono trasformate in scambi di slogan nazionalistici. - 10 - Antropos in the world L'economia di guerra ha azzerato gli indicatori della produzione e dello sviluppo, ha costretto a un egualitarismo della sopravvivenza. Il popolo è di nuovo una misera massa dalle invisibili stratificazioni. Le campagne si sono impadronite delle città: i nuovi arrivati sono quasi sempre profughi delle aree rurali più arretrate. Per mesi il cielo sopra Sarajevo è stato percorso dagli aerei della Nato mentre radar sofisticatissimi segnalavano ogni movimento a terra, individuavano in tempo reale le fosse comuni in cui venivano gettati i cadaveri, come nel caso del villaggio di Srebrenica, conquistato dalle forze serbe nel luglio 1995. Ma la comunità internazionale non è riuscita a fermare il massacro, che si è protratto per quasi quattro anni con un gran uso di mine e granate, e con la pratica diffusa del saccheggio, il cui bottino erano case e televisori, mucche e trattori, prosciutti e videoregistratori. Una guerra poco stellare e molto domestica che ci è apparsa come un miscuglio continuo di modernità e barbarie, difficile da descrivere e raccontare. Una guerra nata come "guerra delle informazioni e delle notizie", in cui il ruolo dei media è stato decisivo nel far esplodere lo scontro armato. La lotta per il controllo della radio, della televisione, dei giornali ha sempre preceduto la guerra vera, i ripetitori televisivi sono stati spesso i primi obiettivi militari. Iniziata, nel 1991, con l'intervento dell'esercito federale contro la secessione di Slovenia e Croazia - le due repubbliche occidentali che si erano dichiarate indipendenti - proseguita come contenzioso serbo-croato, nel 1992 la guerra si è spostata verso sud. E, come previsto, è diventata una carneficina. In Bosnia-Erzegovina non esistevano regioni abitate da una sola nazionalità, e nei comuni dove una delle tre popolazioni (serbi, croati e musulmani) era in maggioranza, lo era sempre in misura relativa (per esempio, nei 52 comuni dove costituivano la maggioranza i musulmani, essi rappresentavano il 61% della popolazione). E sempre tanti erano quelli che si definivano "jugoslavi". Nella Jugoslavia di Tito la posizione dei musulmani era rimasta indeterminata fino al 1968, quando vennero riconosciuti come la quarta nazionalità (insieme a sloveni, croati, serbi) di lingua serbo-croata e la loro "m" iniziale, fino a quel momento minuscola, diventa maiuscola - rimane piccola quando si designa la religione. Per sottolineare che i musulmani della Bosnia-Erzegovina non sono ne serbi ne croati, ma nemmeno turchi, molti amavano definirsi "bosniaci". Sarajevo aveva cercato di esprimere la propria diversità rispetto a Zagabria e a Belgrado, di mantenere cioè una posizione di neutralità fra i due Grandi - Croazia e Serbia - dai quali, durante il corso del ventesimo secolo, l'elemento musulmano aveva più volte temuto di essere stritolato. Le trattative per la spartizione della BosniaErzegovina fra il presidente croato Tudjman e quello serbo Milosevic, hanno accompagnato le diverse fasi del conflitto e hanno rafforzato le posizioni filo-islamiche - 11 - favorevoli alla costruzione di uno stato-nazione musulmano. Secondo la versione ufficiale del governo di Zagabria, il conflitto ha contrapposto due stati, la Serbia e la Croazia, dalle tradizioni storiche e dalle religioni diverse. Belgrado definisce, invece, lo scontro in primo luogo etnico. Il governo bosniaco, invece, accusa di aggressione le forze serbe e, in una certa misura, anche quelle croate. Non c'erano due eserciti che si fronteggiavano, non c'era una linea del fronte verso cui avanzare o ritirarsi; anche per questo i motivi del contendere inter-jugoslavo da fuori sono apparsi spesso imperscrutabili, tanto più che una guerra combattuta in nome di ideali etnici non fornisce elementi per un'identificazione immediata con l'una o l'altra delle parti in causa. Le violenze e gli eccidi, i crimini compiuti sono stati definiti con il termine di ''guerra civile": “non c'è niente da fare, bisogna aspettare che la smettano di scannarsi fra loro”, sussurravano i diplomatici, che esprimevano un'opinione molto comune. C'è un aspetto per cui questa guerra è civile, in modo addirittura letterale. La popolazione delle città e dei villaggi diventa l'obiettivo delle operazioni militari di chi vuole “ripulire" un territorio dalla nazionalità nemica: questo, appunto, si intende con "pulizia etnica". Nel frattempo, però, quelle stesse persone sono "ostaggio" di chi li vuole difendere: cos’è accaduto a Vukovar, a Mostar, a Sarajevo. Questa dinamica ha disgregato il tessuto sociale, ha diviso i "puri" dalle famiglie miste, i ricchi - che possono pagarsi la fuga dai poveri, i giovani dai vecchi, gli uomini dalle donne. Da questo punto di vista le guerre jugoslave degli anni novanta sono profondamente diverse dalle guerre civili politiche del ventesimo secolo. Il singolo è "inchiodato alla nazionalità", è questa che lo determina, può fare una scelta diversa solo sfidando l'accusa di essere un "traditore della nazione". Maria Imparato APERTA A PAGANI L’UNIVERSITA’ DELLE TRE ETA’ Si aspettano ancora le iscrizioni! _________ Telefoni utili: Segreteria: 081.946895. Parrocchia SS.Corpo di Cristo: 3881199818 Antropos in the world RACCONTO DEL MESE: LA PROSTITUTA Di Egidio Siviglia Durante l’assenza del maestro, i discepoli s’immersero a capofitto nelle “Memorie” per commentarne il contenuto e trarre qualche briciolo di sapienza che potesse giovare a coloro, che, privi di senso critico, sono condannati a vivere secondo quei principi definiti “luoghi comuni”. Leggiamo nelle Memorie: Aroldo, seconda classe del liceo classico; disavventura scolastica. Aroldo, stanco per le continue mortificazioni cui veniva esposto per le quasi quotidiane interrogazioni, maturò il tristo proposito di schiaffeggiare la docente. Ovviamente scelse il sistema meno opportuno e oltretutto, quello che avrebbe fatto sarebbe stato un insano gesto di selvaggia inciviltà. Comunque, dopo aver messo a punto la dinamica del progetto, mise a segno il colpo. La professoressa svenne, la classe uscì dall'aula gridando: “Il terremoto, il terremoto” e ci fu un fuggi fuggi generale. Alla fine il Preside, alcuni professori, il bidello e i pochi alunni che erano in classe rianimarono e consolarono la malcapitata docente di materie letterarie. Alla fine delle lezioni, Aroldo seppe dai compagni che il Preside aveva deciso di espellerlo da tutte le scuole e che avrebbe notificato ai familiari la debita decisione. Aroldo, cinico e calcolatore, per evitare che il decreto di espulsione cadesse nelle mani dei genitori, si recò nella zona più malfamata della città e, mentre dava uno sguardo in giro, sentì una voce: “… ehi signorino, vuoi fare esperienza? Ehi, perché non rispondi? Beh, io non ti piaccio, e hai ragione, perché sono una vecchia baldracca, ma sappi che ho una graziosa figliola che fa al caso tuo, se poi sei di gusto raffinato, la più piccola è ancora verginella. Dipende da quanto vuoi spendere”. Aroldo, trattenendo le lacrime, con voce, quasi strozzata disse: “Ti darò quando mi chiedi, se domani verrai al liceo e dirai di essere mia madre. Se sei d’accordo ti lascio un anticipo”. Ma la donna, decisa e sicura di sé, rifiutò l’anticipo dicendo: “Ci vedremo domani a scuola”. L’indomani, al suono della campanella si aprirono i cancelli del liceo; la signora, secondo il suo stile, aveva indossato il basso, una specie di gonna che la mostrava come un malcapitato, assalito dai lupi, una camicetta, tutta scollacciata, sormontata da un pellicciotto, chiuso da un lato da un fermaglio che fuoriusciva dalla bocca di una volpe. Il giovane voleva definire i dettagli del copione che avrebbero dovuto eseguire, ma la donna decisa, disse: “Ci penso io”! Non appena varcarono l’ingresso della Presidenza, la don- na spinse violentemente il ragazzo e senza che il Preside e i presenti potessero rendersi conto di ciò che stava per accadere, incominciò la sceneggiata: “Signor Preside, io sono la mamma di questo soggetto e sono venuta a chiedere notizie, perché or sono tre mesi che si è chiuso in un mutismo che mi preoccupa”. Il Preside, con voce imperiosa, alzandosi in piedi gridò: “Signora, suo figlio è un delinquente”! La donna non si scompose e con un gesto fulmineo, aggredì il giovane e cominciò a picchiarlo e quando i presenti intervennero, invitarono il giovane ad uscire, ed il Preside notificò alla signora il decreto di espulsione del ragazzo. All'esterno dell’istituto il giovanotto attese per mantenere la promessa: “E allora quanto ti debbo”? La risposta fu immediata: “Non voglio niente! Ma, ora ascolta: “Ti ringrazio perché mi hai fatto rivivere un momento della mia adolescenza… Un giorno la maestra si fermò a parlare con una collega, al limite tra il corridoio e la porta; e poiché la scolaresca era turbolenta, la docente ritornò in classe e affidò ad un capoclasse il compito di vigilare su eventuali intemperanze. Il capoclasse, dopo aver pulito accuratamente la lavagna, dall'alto in basso al centro in tutta la sua altezza, tracciò una linea e a sinistra scrisse BUONI e nell'altra metà CATTIVI. Al ritorno della docente e alla lettura del rapporto del capoclasse, che era al primo posto tra i Buoni, tutta la classe era in attesa di chissà che cosa. Quando gli occhi della prof. si fermarono su un certo nome, “ehi! Anche tu…” E aggiunse: “Cosa hai fatto, sgualdrinella?” La risposta fu un fiume di lacrime e una crisi di nervi. Non mi resi conto che l’elenco dei Cattivi era un’etichetta e i nomi erano categorie… sgualdrina, sgualdrinella, prostituta, zoc… putt… e ora si dice escort. E’ tutta la mia vita! Prendi coscienza che oggi sei stato etichettato tra i cattivi, nella categoria dei delinquenti. Lotta per liberarti dall'etichetta! Ecco perché non voglio niente. Anche le escort hanno una dimensione umana. Ciò detto gli assestò un bacio sulla fronte e si dileguò nella società delle etichette. Un‘amena storiella o uno spaccato di vita? Chi è nell'elenco dei buoni potrà ridere e chi è nell'elenco dei cattivi penserà che, oltre alla categoria descritta, ci siano, anzi ci sono anche le altre categorie e allora ci si domanda: “L’etichetta e le successive sottospecie sono causate dall'arbitrio del capoclasse, dipendono dal caso o fanno parte di un calcolato progetto?”. Meditate. L’autore - 12 - Antropos in the world MOMENTO TENERO Sorella delle stelle, o cerea luna, che, silenziosa, rischiari il buio della notte, quante preghiere nel tuo ciel raccolte! Tu custodisci, come tempo andato, la debole memoria del passato. Son le preghiere assorte di Maria, quando le nacque il figlio, poi, morto in Croce; son le preghiere della mamma mia, quando dal cancro ritrovò la pace. Son le preghiere dei vinti d’ogni guerra, di tutti i Cristi trucidati sulla terra. Con questi versi, or ti affido il cuore, che inumato sia in un ciel d’amore. ALLA LUNA di Franco Pastore ________________ Dalla raccolta “OLTRE LE STELLE” Dedicata al Paese dell’Amore SS.CORPO DI CRISTO DON FLAVIANO BENEDICE GLI ANIMALI L’iniziativa è stata promossa dalla Associazionene Atena e dall’Azione Cattolica S.Felice. Tutti hanno risposto alla Sua"chiamata"! Grande la partecipa-zione della cittadinanza per la celebrazione e la benedizione per i nostri amici animali, nella ricorrenza di Sant'Antonio Abate presso la Chiesa del SS.Corpo di Cristo a Pagani. - 13 - Antropos in the world LA DONNA NELLA STORIA L’AFFASCINANTE MARGARETHA LA FAMOSA MATA HARI Nel 1914 Mata Hari, una bella danzatrice esotica, viene arruolata come spia dai tedeschi. Su ordine di un certo Ludovico, ella attira in casa sua l'ufficiale francese François Lassalle, detentore di preziosi documenti dei quali lei vorrebbe impossessarsi, cosa che le riesce ma intanto s'innamora di lui. Incaricato di una nuova missione e terribilmente geloso, François rompe la relazione. Mata Hari si rifugia in Spagna, ma poi torna in Francia per cercare di rivedere François. Questi intanto, sorpreso da una pattuglia tedesca, viene ucciso. Mata Hari, tradita dagli stessi tedeschi, viene incarcerata dai francesi, processata e fucilata nel fossato del castello di Vincennes. Nata il 7 agosto 1876 a Leeuwarden, nella Frisia olandese, Margaretha Geertruida Zelle è dal 1895 al 1900 l'infelice moglie di un ufficiale che ha vent'anni più di lei. Trasferitasi a Parigi dopo il divorzio, comincia a esibirsi in un locale non certo raffinato e di classe come il Salon Kireevsky, proponendo danze dal sapore orientaleggiante, rievocanti un clima mistico e sacrale; il tutto condito con forti dosi di "spezie" dal forte sapore erotico. Più che naturale che il mondo dell'epoca non poteva non accorgersi di lei. Infatti, in poco tempo diviene un "caso" e il suo nome comincia a circolare nei salotti più "pettegoli" della città. Intrapresa una tournè per saggiare il livello di popolarità, viene accolta trionfalmente ovunque si esibisca. Per rendere più esotico e misterioso il suo personaggio cambia il nome in Mata Hari, che in lingua malese significa "occhio del giorno". Inoltre, se prima era il suo nome che circolava nei salotti, ora vi è invitata di persona così come, poco dopo, lo è nelle camere da letto di tutte le principali metropoli come Parigi, Milano e Berlino. Ma l’intensa vita di Mata Hari subisce un brusco cambiamento con lo scoppio della prima guerra mondiale. Come ogni guerra che si rispetti, in gioco entrano non solo i soldati e le armi, ma anche strumenti più sottili come spionaggio e trame segrete. Gli inglesi, ad esempio, sono coinvolti in grandi operazioni Medio Oriente, i russi si infiltrano a Costantinopoli, gli italiani violano i segreti di Vienna e sabotatori austriaci fanno saltare in porto le corazzate "Benedetto Brin" e "Leonardo da Vinci". Ma ci vuole qualcosa di più dei cervelli che decifrano messaggi e delle spie che si appostano. Ci vuole un'arma seduttiva e subdola, qualcuno che sappia carpire i segreti più nascosti operando sul cuore vivo delle persone. Chi meglio di una donna dunque? E chi meglio ancora di Mata Hari, la donna per eccellenza, colei alla quale tutti gli uomini cadono ai piedi? I tedeschi dispongono di Anne Marie Lesser, alias "Fraulein Doktor", nome in codice 1-4GW, la donna che con Mata Hari divide la ribalta dello Spionaggio, capace di sottrarre al Deuxième Boureau la lista degli agenti francesi nei paesi neutrali. La guerra segreta instilla il tormento dell'insicurezza, di un nemico che vede tutto. Fragile, ricattabile, affascinante, confidente di molti ufficiali poco inclini alla vita di caserma, Mata Hari è il personaggio ideale per un doppiogioco fra Francia e Germania, assoldata con-temporaneamente dai due servizi segreti. Ma se un agente "doppio" è arma ideale di informazione e disinformazione, della sua fedeltà non si può mai essere sicuri. In quel terribile 1917, che vede l'esercito francese minato dalle diserzioni sullo Chemin des Dames, Mata Hari diventa il "nemico interno" da eliminare. Poco importa discutere ancora se la Zelle fosse o no il famigerato agente H-21 di Berlino. Colpevole o meno di tradimento, il processo serve allo stato maggiore per rinsaldare il fronte interno, cancellando i dubbi sulla credibilità del servizio informazioni di Parigi. E salda i conti aperti dello spionaggio francese fin dal tempo del caso Dreyfus. Per onore di cronaca, è giusto sottolineare che Mata Hari, durante le fasi del processo, si proclamò sempre innocente pur ammettendo in tribunale di aver frequentato le alcove di ufficiali di molti paesi stranieri. Proprio nel 2001, inoltre, il paese natale della leggendaria spia ha chiesto ufficialmente al governo francese la sua riabilitazione, nella convinzione che fu condannata senza prove. Dalla sua vicenda è stato tratto un celeberrimo film con Greta Garbo. - 14 - Antropos in the world IMMAGINI D’UN ALTRO TEMPO – a cura di Andropos IERI COME OGGI a) b) c) d) Almeno prima ci si arrangiava, poi, c’erano i sogni ed in fondo, anche un briciolo di dignità. Oggi, per le trame maldestre di una oligarchia politica incapace ed asservita diffonde incertezza tra i giovani e nemmeno una valigia di cartone ci rimarrà per riparare all’estero. Una “crisi creata” miete vittime e semina miseria, uccidendo, uno ad uno, tutti i principi della costituzione e della democrazia: Diritto sacrosanto alla casa; diritto della sovranità del popolo; diritto al lavoro; diritto alla libertà di parola e d’iniziativa. Persone non votate dal popolo “governano” il paese, legiferano a loro piacimento e mantengono un regime di folle pressione fiscale, determinando la caduta vertiginosa dei posti di lavoro, la sfiducia nelle istituzioni e limitando di fatto la libertà di espresione e di iniziativa privata. Le piccole imprese chiudono, le strade diventano meno frequentate, i vecchi muoiono di crepacuore e bollette fioccano a ripetizione su di una Italia che sta moerendo. Come se stessimo attendendo qualcosa che tarda a venire, ma cosa? La stampa asservita insiste su cranaca nera e proponimenti senza senso, mentre la TV filosofeggia e sciorina stronzate. Pare che non ci si renda conto che sommando - 15 - le uscite, esse superano di gran lunga le misere entrate, non quelle dei politici, che stanno lì per “fotterti”, ma quelle dei pensionati, lavoratori nei vari settori, impiegati, docenti di ogni ordine e grado, di una larga fascia la cui retribuzione si aggira tra gli 800 e le 1500 euro. Poveracci, senza scampo e senza privilegi, fanno i conti con canoni, mutui, spazzatura, agenzia delle entrate, bollette di luce, di gas, di telefono e tasse universitarie per i figli. A si aggiungono necessità quotidiane, mangiare, visite mediche, medicine, manutenzione della casa e così via. E le mutande? Eh sì, bisogna comprare pure quelle, ma non vi sono i soldi! Ed allora? Allora è proprio il caso di dire che siamo rimasti senza mutande! ANTROPOS IN THE WORLD FESTEGGIA I PRIMI DIECI ANNI DI VITA!!! Antropos in the world PROVERBI E MODI DI DIRE - OVVERO ELEMENTI DI PAREMIOLOGIA L’acqua ca ‘nu cammina fete. ‘Ntiempo di ‘uèrra ogni buco è pirtuso. Vutt’a vreccia e accùve ‘a mano. A merola cecata ‘a notte face ‘o niro. A squagliata ra neve se verene i strunzi. Sirica Dora Esplicatio: Implicanze semantiche: L’acqua stagnante puzza. In tempi difficili ci si accontenta del poco. Si cerca sempre di dare agli altri la colpa dei nostri errori. Le cose fanno fatte al monento giusto. Il tempo mostra tutte le verità. Fète: puzza.dal lat.foetēre:puzzare.maleodorare. Pirtuso: buco, da un lat. pertusium, da pertundere. Cecata: cieca, denominativo da cieco. Strunzi: escrementi di forma cilindrica. Etim. dal longobardo strunz, sterco. Metaf. di uomo sciocco, o spegevole. Squagliata: divenuto liquido, sciolta. Etimologia: s detrattiva + quagliata, dal latino volgare coagliàre, da coagulāre. CONTINUITA’ TRA CULTURA E TRADIZIONE a cura di Andropos I proverbi sono la maniera di pensare dello stomaco, con i proverbi lo stomaco fabbrica delle briglie per l'anima, per poterla governare più facilmente, dice Maksim Gorkij. In effetti Nulla diventa mai reale finché non è conosciuto per esperienza. Persino un proverbio non è un proverbio finché la Vita non ce lo ha illustrato. Il proverbio oggi si rivelerebbe insufficiente a interpretare la modernità non tanto per la sua struttura quanto per il suo modello analogico di ricognizione. In effetti, il pensiero moderno ricerca definizioni e concettualizzazioni, e esclude la partecipazione del discernimento e del buon senso dell’uomo. Inoltre sono venuti meno opinioni, giudizi, idee comuni, nonché una morale condivisa da tutti. Altri pensano che i proverbi o ripetono logore verità, con l'aria saputa di chi vedendo il sole t'avverte che è giorno, o si contraddicono l'un l'altro, tanto bene, che alla fine la così detta saggezza dei popoli sembra riassumersi in una massima sola: − Regolati come ti piace e forse avrai ragione. Ma la puntuale ricostruzione dei possibili significati di ogni proverbio fa emergere un aspetto in qualche modo sorprendente: la continuità, in passato, fra la cultura popolare e la tradizione letteraria più colta, che smentisce, almeno in parte, l'opinione corrente che relega il proverbio a sola espressione dei più retrivi - 16 - luoghi comuni. Concludendo, Il proverbio è una massima che contiene norme, giudizi, dettami o consigli espressi in maniera sintetica e, molto spesso, in metafora, che, desunti dall'esperienza comune, non hanno nessuna presunzione di insegnare. Essi fotografano i tempi socio storici di riferimento e conservano il gusto del tempo, o le ingenuità che precedono la presunzione dei saccenti. Dalla XII novella di Masuccio Salernitano LA MOGLIE DELL’OSTE di Franco Pastore regia di Matteo Salsano ____________ Per chiedere il dvd : antroposintheworld@fastwebnet.it tel e fax 089723814 Antropos in the world S. VALENTINO TORIO E LA POESIA Progetto di pubblicazione della silloge dedicata al paese dell’amore Il dott. Felice Luminello, Sindaco di San Valentino Torio, diviene, con la sua Amministrazione Comunale, Mecenate di poesia, con la pubblicazione, per il prosimo febbraio, della silloge “IL PROFUMO DI ERMIONE”, dedicata al“paese dell’amore”. Qui di seguito, la prefatio che il Sindaco Luminello ha scritto all’opera di Franco Pastor e. “Accingersi alla lettura di “ Oltre le stelle” è come immergere il nostro gusto estetico in una sorgente vivida di sentimento, dove persino la memoria s’arricchisce di risonanze che, sia pure ataviche, donano dolcezze inusitate al cuore. Una sorta di dualismo, tra realtà sentita e quindi trasfigurata e quella concreta, tangibile, ma transitoria e corruttibile, motiva una trasfigurazione poetica, che intimizza ed universalizza, come a cogliere i segreti della vita e dell’universo, “… quasi un bisogno d’eternità … attraverso un’intermittenza del cuore, in cui le parole già sembrano qualcosa di estraneo”(1). Di qui, il titolo “Oltre le stelle”, dedicato alle proprie radici, che indelebili, hanno segnato l’animo del poeta, determinandone, nella catarsi, il ritorno ai fulgidi colori dell’infanzia. Ritorna il ricordo del passato, che ghermisce la solitudine delle nuove generazioni, accendendo il sole di un nuovo giorno, in cui l’amore ravviva e concretizza i disegni dei nostri padri. “La poesia nasce dove la si cerca, una scintilla d’ispirazione è la vera maestra del poeta.Un tramonto,l’erba verde e cose del genere, per chi sa usarle diventano poesia”. E’ questo il pensiero dello scrittore giapponese Yuan Mei, opportunamente citato dal Mirabella che aggiunge … si ha la sensazione che siamo di fronte ad uno spirito inquieto, che coglie e si ispira ad una realtà osservata/scrutata con l'occhio attento e sgombro da futili pregiudizi. Una realtà di coscienza e dunque fatto di cultura: in cui la freschezza poetica è garantita da una genuin na, inesauribile capacità di stupirsi e di stupire … e si avverte, continua il noto saggista, come nei versi ci sia un filone nascosto, segreto, che lega la figura alla parola: e le parole nel loro suono e nelle loro cadenze ritmiche pongono l'accento sui valori fonici, che corrispondono ai valori plastici essenziali”(1). Ed ancora:” Il poeta possiede un’interiorità lirica, che gli deriva da stati d’animo particolari, che si tramuta in immagini poetiche, in allegorie e metafore singolari. Il linguaggio diviene, allora, veicolo di sentimenti celati, intimi, inconfondibili …. I suoi versi sono intensi e carichi d’umanità, tutta intessuta quest’ultima dei fondamentali valori che derivano dall’amore, a volte estatico, a volte inappagato, ma sempre teso alla ricerca di una dimensione universale, che accomuna gli animi oltre il tempo e lo spazio, in un contesto naturale conti-guo, se non complice. ”(3) Non resta che leggere le liriche, per vivere quella struggente sensazione di lanciarsi a capofitto in una foresta brulicante di sensazioni, che, alla fine, tracimano l’animo sempre più su, fin oltre le stelle.” Felice Luminello Felice Luminello, con Vincenzo De Luca, nella chiesa di San Giacomo Apostolo, in una delle tante iniziative della Amministrazione comunale di S.Valentino. ________________ 1) A.Mirabella, presentazione al volume Aqua Electa, A.I.T.W. Ediz. Salerno 2013 2) A.Mirabella, present.ne al volume Le tue labbra, A.I.T.W. Ediz. Salerno 2009 3) Domenico Rea, presentaz.ne del Vangelo di Matteo De luca Ediz. Amalfi 1989. - 17 - Antropos in the world LA PAGINA MEDICA L’AVOCADO ED I SUOI MOLTI BENEFICI La parola ahuacatl, da cui deriva avocado, proviene dalla lingua atzeca Nahuatl parlata dagli Aztechi. Le popolazioni native dell'America centro-meridionale coltivavano questo frutto prima dell'arrivo di Cristoforo Colombo e scelsero un nome che ne evocasse la morfologia. Chiamato anche pera alligatore, l'avocado fu descritto dai conquistadores come un frutto "abbondante, con una polpa simile al burro e caratterizzato da un ottimo sapore". Ottima fonte di calcio e potassio, l'avocado contiene anche notevoli quantità di fibra e grassi monoin-saturi, utili a contrastare il diabete e a difendere il cuore. L’avocado riequilibra molto rapidamente il livello del colesterolo "cattivo" (colesterolo LDL) nel sangue, grazie ai suoi grassi vegetali che riducono i tempi di permanenza del colesterolo del sangue: ne beneficia tutto l'apparato cardiocircolatorio, specie per quanto riguarda l' equilibrio della pressione arteriosa. Fonte inesauribile di vitamine: A (utile per l a vista), B1 (antinevritica), B2 (per la crescita e il benessere), e inoltre D, E, K, H, PP. Il suo consumo è particolarmente indicato per i bambini e per chi segue una dieta vegetariana. Ha proprietà aromatiche, digestive e aiuta a contrastare la dissenteria, essendo un ottimo astringente. Saggia è la donna incinta che nutre se stessa e il piccolo che si porta in grembo con l'avocado. L'acido folico (mezzo frutto ne contiene 57 micro-grammi, pari al 14% del fabbisogno giornaliero) aiuta a prevenire malformazioni a carico del sistema nervoso, gravi difetti congeniti del cervello e del midollo spinale. I ricercatori del dipartimento di biochimica applicata dell'Università di Shizuoka, in Giappone, hanno somministrato una sostanza tossica per il fegato, la galattosamina, a ratti da esperimento e poi li hanno nutriti con vari tipi di frutti mescolati al mangime usuale. Il frutto che ha mostrato maggiore capacità nel rallentare il danno epatico da tossina è risultato essere proprio l'avocado. Recentemente si è scoperto che contengono quasi 2 volte la precedentemente supposta quantità di vitamina E, rendendo l’avocado la maggiore fonte nell’ambito della frutta. La vitamina E aiuta a rallentare il processo d’invecchiamento, protegge da malattie cardiache ed è un potente tampone contro gli acidi metabolici e digestivi. Negli avocado, è stata recentemente scoperta anche la presenza di luteina, - 18 - un carotenoide che aiuta a prevenire alcuni tipi di condizioni cancerose, in particolare relativi alla prostata ed alla cervice e che gioca un ruolo primario nella salute dell’occhio. Anche il glutatione aiuta a prevenire diverse condizioni cancerose e malattie cardiache neutralizzando gli acidi alimentari e metabolici e di essi gli avocado sono un’eccellente sorgente. Questi frutti, oltretutto, abbondano di quei minerali alcalini tampone tanto importanti nel neutralizzare l’eccessiva acidità, tra i quali magnesio, rame, ferro, calcio e potassio (più delle banane!), come anche di oligoelementi.Contengono complessivamente 14 minerali, ognuno dei quali regola una funzione organica e stimola la crescita. Il ferro ed il rame, in particolare, aiutano nella rigenerazione dei globuli rossi e nella prevenzione dell’anemia nutrizionale. In più, contengono sodio ionico che conferisce loro un’elevata capacità reattiva alcalina senza tutto lo zucchero acido degli altri frutti. Noi confidiamo così tanto negli avocado, per mantenerci sani e felici, che ora ci sembra proprio ovvio gestire una piantagione di avocado biologici (dove coltiviamo anche pompelmi e melograni). Tramite le nostre ricerche sul campo, abbiamo trovato molte modalità per moltiplicare i benefici degli avocado, mettendo a punto prodotti come l’olio di avocado, integratori super antiossidanti a base di avocado, estratti liquidi di glutatione da avocado; ma anche detergenti e balsami per capelli, lozioni idratanti e detergenti, tutti sempre derivati dall’avocado. L’alta capacità nutrizionale di questo incredibile cibo è proficua per voi, internamente ed esternamente! Raccomandiamo di mangiare almeno un avocado ogni giorno. Se vi trovate in una condizione di salute gravemente compromessa, incrementali a 2 o 3. Sicuramente potete gustarlo semplicemente a fette o condito con limone o sale oppure mescolato a qualunque insalata. Gli avocado formano una coppia pressoché perfetta con i pomodori. Oppure provate un Frullato Verde Avocado Kid od una qualunque delle molte ricette che hanno l’avocado come ingrediente nella parte IV di questo libro. Usate l’olio di avocado sulle vostre insalate, nei vostri frullati verdi e sui vostri cibi; oppure potete direttamente berne 30 ml al giorno. Raccolti prematuramente maturano in 2-3 settimane. Poi, vanno preferibilmente conservati in frigo. (Da scienza e conoscenza) Antropos in the world STORIA DELLA MUSICA - A cura di Ermanno Pastore La musica del Novecento: JHON CAGE (II parte) Negli anni cinquanta diventa pioniere degli Happening. Sono degli incontri basati sull'unione delle arti-musica, danza, poesia, teatro, arti visive, secondo una idea antidogmatica e libertaria di arte. Gli spettatori assumono un ruolo attivo nelle performance. L'intento è di unire arte e vita, rivendicando l'intrinseca artisticità dei gesti più comuni ed elementari e promuovendo lo sconfinamento dell'atto creativo nel flusso della vita quotidiana. Al posto del concerto c'è uno spazio esecutivo concepito teatralmente e composto di mezzi misti, uno solo dei quali è la musica. Nel 1952 ha luogo Theater Piece No. 1, il primo spettacolo di questo genere. Da questi esperimenti nascerà nel 1961 il gruppo Fluxus, una rete internazionale di artisti, che svilupperà l'esperienza degli happenings. Negli anni sessanta Cage prosegue nei suoi progetti di unione delle arti e di spettacolo totale. In Musicircus del 1967 ci sono vari gruppi di musicisti che suonano musiche diverse sovrapponendosi; la determinazione del momento in cui ogni gruppo deve cominciare la propria parte avviene tramite scelte casuali. HPSCHD del 1969 è un lavoro multimediale dalla durata di circa cinque ore in cui si uniscono: 7 clavicembali che suonano degli estratti "sorteggiati" di musiche di Cage e di autori classici, 52 cassette di suoni generati dal computer, 6400 diapositive proiettate da 64 proiettori, 40 film. Gli spettatori entrano ed escono liberamente dall'auditorium. Uno degli scopi dell'opera è quello di eliminare il centro di interesse singolo e dominante e di circondare il fruitore con una varietà di elementi. In questi anni Cage è considerato la guida dell'avanguardia musicale, una leggenda vivente. Il suo lavoro è basato principalmente sulla commistioni di discipline, sull'aggiunta di altre arti alla musica. Si dedica alla pittura e alla scrittura. Alcuni suoi lavori si basano sull'esplorazione della parola scritta, dall'esempio del Finnegan's Wake. Comincia a utilizzare i mesostici, dei versi in cui una frase verticale interseca il testo orizzontale. A differenza degli acrostici, la frase verticale si interseca con lettere nel mezzo del testo e non con le lettere iniziali dei versi. Questi versi possono essere destinati al canto, come nel caso di quello scritto per Demetrio Stratos. Dagli anni settanta Cage si interessa maggiormente agli aspetti politici e sociali dell'opera d'arte. Si occupa di tematiche ambientaliste. Appare più come un filosofo sociale che come un musicista. È un rifiuto della autosufficienza dell'arte. I Freeman Etudes per violino solo, del 1980, sono un'opera quasi impossibile da eseguire per la sua complessità: rappresentano la "praticabilità dell'impossibile", come risposta all'idea che i problemi mondiali riguardanti politica e società siano impossibili da risolvere. I Freeman Etudes per violino solo, del 1980, sono un'opera quasi impossibile da eseguire per la sua complessità: rappresentano la " praticabilità dell'impossibile ", come risposta alla idea che i problemi mondiali riguardanti politica e società siano impossibili da risolvere. La serie di lavori intitolata Europeras, composta tra il 1987 e il 1990, è una decostruzione della forma operistica: i libretti, le arie e gli intrecci di varie opere del Settecento e dell'Ottocento sono assemblati con metodi aleatori, così come gli altri aspetti dello spettacolo, le scenografie, i costumi, le luci, i movimenti degli attori. Gli esecutori non sono guidati da un direttore ma da un orologio digitale. Negli ultimi anni, tra il 1987 e il 1992, Cage compone le sue opere più astratte, intitolate semplicemente con dei numeri che rappresentano il numero degli esecutori. Seventy-Four per orchestra, del 1992, è composta per i 74 musicisti della American Composers Orchestra. La parte di ogni esecutore è composta di quattordici suoni isolati. Cage indica un lasso di tempo in cui il musicista ha la libertà di decidere quando fare iniziare il suo suono e un lasso di tempo in cui concluderlo. Poiché le due misure temporali si intersecano, il musicista può decidere di fare durare il suono un certo tempo, oppure può decidere di dare una durata nulla a quel suono. Il volume e gli effetti sugli strumenti sono lasciati alla scelta degli esecutori. Nel 1958 Cage partecipò al telequiz Lascia o Raddoppia in qualità di esperto di funghi, vincendo 5 milioni di Lire. Durante lo spettacolo si esibì in un concerto chiamato "Water Walk", sotto gli occhi sbigottiti di Mike Bongior-no e del pubblico italiano, in cui gli "strumenti" erano, tra gli altri, una vasca da bagno, un innaffiatoio, cinque radio, un pianoforte, dei cubetti di ghiaccio, una pentola a vapore e un vaso di fiori. Memorabile il dialogo che ci fu tra il presentatore e Cage quando questi si congedò, vittorioso: John Cage muore a New York, il 12 agosto del 1992. - 19 - VESUVIO WEB.COM Di Aniello Langella Magazine di Cultura Vesuviana. Subscribe · Cultura · Antologia in Lenga TurreseREPORTAGE FOTOGRAFICO Di Jose Maria Gonzales Spinola http://www.vesuvioweb.com/it/ Antropos in the world UNA DONNA NELLA LETTERATURA – A cura di Andropos Cenerentola Cenerentola è il nome di un’orfana di entrambi i genitori. Sua madre era morta per prima, suo padre si risposa con una donna a sua volta vedova e con due figlie. Dopo la morte del padre Cenerentola viene schiavizzata dalla matrigna dalle sue figlie. Costoro la odiano al punto di chiamarla solo col nomignolo "Cenerentola" (dalla cenere di cui la ragazza si sporca pulendo il camino) La vita della giovane Cenerentola cambia quando giunge in tutta la città la notizia che a corte si terrà un ballo, organizzato dal re, durante il quale il principe potrebbe scegliere la sua promessa sposa. Naturalmente, le sorellastre e la matrigna partecipano al ballo e Cenerentola viene di conseguenza esclusa (nel film della Walt Disney sono le sorellastre che strappano il vestito di Cenerentola, appena pronto per il ballo, costringendola quindi a rinunciare alla festa). Con l'aiuto magico di una fata, la "fata madrina" di Cenerentola (in alcune versioni la fata madrina è sostituita con animali o piante), la ragazza viene vestita di un meraviglioso abito da sera e riesce a recarsi segretamente al ballo malgrado il divieto della matrigna. Nonostante il bellissimo gesto, la fata raccomanda alla fanciulla di rientrare a mezzanotte. Al ballo attira l'attenzione del principe e ballano tutta la notte. Poiché l'effetto dell'incantesimo è destinato a svanire proprio a mezzanotte, Cenerentola deve fuggire di corsa al rintocco, ma nella fuga, perde una scarpina di cristallo (in alcune versioni della fiaba la scarpina è di pelle) (nella versione con tre balli, questo accade la terza sera). Il principe, ormai innamorato, trova la scarpina e proclama che sposerà la ragazza capace di calzarla. Il giorno successivo, alcuni incaricati del principe girano dunque per il regno facendo provare la scarpina di cristallo a tutte le ragazze in età da marito, incluse le sorellastre di Cenerentola. In alcune varianti della fiaba, queste cercano di ingannare il principe tagliandosi le dita dei piedi e il tallone per cercare di indossare la scarpetta. Comunque, alla fine, Cenerentola prova la propria identità e sposa il principe. In alcune versioni della fiaba manca il personaggio della fata madrina, e l'abito e le scarpe di Cenerentola vengono da un albero cresciuto sulla tomba di sua madre. Anche nelle versioni con la fata è ragionevole affermare che questa figura rappresenta la volontà della buona madre di Cenerentola, verso cui è indirizzata, indirettamente, la crudeltà della matrigna. Alcuni studiosi sostengono inoltre che la fata madrina potrebbe rappresentare la Grazia Divina che premia Cenerentola per la sua costante voglia di riscatto. La stessa madre di Cenerentola compare talvolta sotto forma di un uccello che assiste il principe nella sua ricerca di Cenerentola. - 20 - PROSSIMAMENTE SU 24 EBOOK STORE CALIMERO E LE SETTE NANE UNA FAVOLA ALL’INCONTRARIO di Franco Pastore __________ L’opera è già il edizione cartacea A.I.T.W. edisioni – Sa gennaio 2014 Disegni di Paolo Liguori Collana Favole Antropos in the world IL DEBITO PUBBLICO: UNA TRUFFA CHE NON AVRA’ MAI FINE LE OPINIONI ERETICHE DI MICHELE RALLO Il debito pubblico italiano – nei disegni degli usurai internazionali – è destinato a permanere in eterno. Esattamente come il debito pubblico tedesco o l’americano o quello di qualsiasi altro Paese. Gli unici che potranno forse ripianarlo – e con fatica – sono gli Stati ancòra proprietari delle proprie banche d’emissione: cioè addire la Cina e pochissimi altri. Come mai? Semplice: perché oggi – a conclusione di un lunga stagione di riforme “liberiste” del sistema bancario internazionale – le banche “centrali” che stampano il danaro (dalla FED americana alla Banca d’Italia ieri ed alla BCE oggi) non appartengono più agli Stati, ma alle banche private azioniste, spesso a loro volta possedute o partecipate dagli stessi soggetti che sono i manovratori degli hedge funds, delle agenzie di rating e di tutti gli altri dannatissimi apparati della speculazione finanziaria internazionale. Per sopperire alle proprie esigenze, oggi, le Nazioni non possono più battere moneta tramite una banca statale “d’emissione”, ma devono farsela prestare: o dalla banca “centrale” (cioè privata) di riferimento, o – sempre più spesso e più massicciamente – dai “mercati”, cioè dalle banche “d’investimento” straniere e dai fondi speculativi internazionali. Dietro corrispettivo – beninteso – di corposi interessi. È questo il meccanismo per cui il debito pubblico non potrà mai essere eliminato, ma – ad andar bene – solamente ridotto. Siccome il denaro agli Stati lo prestano le banche e siccome gli Stati non possono crearne in proprio, questi potranno teoricamente restituire il denaro che hanno ricevuto in prestito (cioè il capitale iniziale), ma mai e poi mai una somma maggiore (capitale più interessi), perché tale somma semplicemente non esiste, non è stata mai messa in circolazione. Come – sia detto per inciso – ha brillantemente dimostrato il professor Cesare Padovani. Perché, allora, il sistema finanziario internazionale (quello che impropriamente chiamiamo “le banche”) continua a prestare soldi ad un soggetto (nella fattispecie lo Stato italiano) che non potrà mai restituirli? Perché abilissimi finanzieri agiscono come non si sognerebbe di agire neanche il più sprovveduto tra i preposti bancari di periferia? Semplice: perché quei signori non mirano ai nostri soldi (semplici pezzi di carta a corso legale) ma alla nostra proprietà, ai nostri beni reali, alle nostre indu- strie pubbliche, alla nostra agricoltura, al nostro patrimonio culturale. Il ruolino di marcia prevede che, ad un certo punto, i creditori “si accorgano” che il nostro debito continua a crescere, e ci chiedano di ridurlo. Come? Con i “sacrifici”, cioè con i licenziamenti, con le tasse, con i tagli alla spesa pubblica. Quando poi i sacrifici non dovessero essere più materialmente possibili (e siamo ormai a questo punto), allora ci si imporrà una sorta di commissariamento per spremerci anche le ultime gocce di sangue, come è già stato fatto ai danni della Grecia. Infine, ci si chiederà di pagare in natura: con i resti della nostra un tempo fiorente industria di Stato, con la nostra riserva aurea o, chessò, con il Colosseo o con l’isola di Capri. Sarebbe una seconda (e più crudele) stagione di “privatizzazioni”, dopo quella che i nostri governanti hanno allegramente attuato negli anni ’90 e che è servita soltanto a pagare qualche rata del nostro debito pubblico. Già, perché un altro passaggio essenziale della truffa del debito pubblico è proprio questo: i proventi di dismissioni e privatizzazioni devono servire soltanto a pagare una fetta di interessi. Ma il debito – e non potrebbe essere diversamente – deve restare. Questo perché, come insegnano i fatti della cronaca nera, la vittima deve continuare ad avere quel filo d’aria che le consenta di sopravvivere e di rimanere sempre soggetta al ricatto degli usurai. - 21 - Michele Rallo ( Da Social.it) «Ἀλλὰ γὰρ ἤδη ὥρα ἀπιέναι, ἐμοὶ μὲν ἀποθανουμένῳ, ὑμῖν δὲ βιωσομένοις.Ὁπότεροι δὲ ἡμῶν ἔρχονται ἐπὶ ἄμεινον πρᾶγμα, ἄδηλον παντὶ πλὴν ἢ τῷ ῷ» (Allà gar ède ora apìenai, emoi men apotanumeno iumìn de biosomènois. Neno Opoteroi de emòn èrkontai epì àmeinon pràgma, àdelon estì pantì, plèn è tò politicò.) traductio "Poiché è giunta l’ora di morire, chi di noi andrà verso miglior destino è ignoto a tutti, tranne che al politico” (Parafrasando Platone, dall’Apologia di Socrate) Antropos in the world DENTRO LA STORIA NINO BIXIO E L’ECCIDIO DI BRONTE di Fernando Mainenti ( Conclusioni) Il generale G. N. Bixio in virtù delle facoltà ricevute dal Dittatore, decreta: il paese di Bronte colpevole di lesa umanità è dichiarato in istato di assedio. Nel termine di tre ore da cominciare dalle ore 13 e mezzo gli abitanti consegneranno le armi da fuoco e da taglio, pena la fucilazione per i retentori. Il Municipio è sciolto per organizzarsi pure ai termini di legge (ma quale legge?). La guardia nazionale è sciolta pure per organizzarsi pure ai termini di legge (ibidem). Gli autori dei delitti commessi saranno consegnati alla autorità militare per essere giudicati dalla commissione speciale. È imposta al paese una tassa di guerra di onze dieci all’ora (circa 127 lire) da cominciare alle ore 22 del giorno 4, giorno ed ora della mobilitazione delle forze in Pistorina e di aver termine al momentodella regolare organizzazione del paese. Il presente decreto sarà affisso e bandizzato dal pubblico banditore. Bronte, 6 agosto 1860. Il maggior generale G. N. Bixio. In questo contesto i veri autori dei delitti – i carbonai – fecero in tempo a rifugiarsi nelle grotte dei boschi dell’Etna, luoghi inaccessibili ed inviolabili, che essi conoscevano bene per avervi condotto, da anni, la loro attività. In seguito a vaghe, incontrollate denunzie popolari vennero arrestati, quali presunti autori dei crimini, altri 4 innocenti: Nunzio Samperi, Nunzio Ciraldo Fraiunco (il demente), Nunzio Longhitano Longi, Nunzio Spitaleri Nunno. La mattina del 7 agosto si insediò il tribunale di guerra composto dai signori: maggiore De Felice, presidente; Cormaggi, Cragnotto, Castro, giudici; Guarnaccia, avvocato fiscale; Boscaini, segretario; Boscaini Privitera, cancelliere sostituto; nessun collegio di difesa per gli imputati: l’avvocato Lombardo chiese che si ascoltassero testimoni a sua discolpa: il sac. Gaetano Rizzo, il sac. Gaetano Palermo, il maestro Carmelo Petralia, il cav. Mariano Meli, donna Vittoria Castiglione, il delegato don Nicolò Spedalieri; tutti confermarono che l’avvocato Nicolò Lombardo era stato estraneo ai fatti criminosi, anzi aveva agito attivamente per frenare il tumulto e calmare gli animi. Le testimonianze a favore del Lombardo furono disattese, poiché Bixio voleva un capro espiatorio da sacrificare al Dittatore e così fu! Il sicario di Garibaldi aveva già imposto al tribunale militare celerità e sentenza di morte per i cinque imputati; il processo fu una mostruosità giuridica senza pari – nessuna difesa, nessun peso dato ai testimoni a discarico. Alle ore 20 del giorno 9 agosto, il tribunale di guerra condannava a morte, mediante fucilazione don Nicolò Lombardo, Nunzio Ciraldo Fraiunco, Spitaleri Nunzio Nunno, Samperi Nunzio fu Spiridione e Longhitano Nunzio Longi, senza alcuna prova certa della loro colpevolezza. - 22 - Gli imputati furono condannati a morte, in nome di Vittorio Emanuele II, re d’Italia (fu violato apertamente anche il diritto internazionale, poiché Vittorio Emanuele non era re d’Italia e i condannati erano sudditi di Francesco II, re delle Due Sicilie). Da una lettera inviata da Bixio al maggiore Dezza, che comandava un battaglione di bersaglieri di stanza a Randazzo, appare chiaro come la sentenza di morte fosse stata già decisa: infatti Bixio gli annunziava la condanna degli imputati fin dalla sera del giorno 8, mentre la decisione di morte venne pronunziata alle ore 20 del giorno 9 (in questo senso, gli ufficiali nazisti, quando decretavano sentenze di morte, furono almeno più rispettosi delle procedure). Dopo la sentenza, i parenti del Lombardo si presentarono a Bixio per poter avere la possibilità di un ultimo colloquio con il condannato, ma “l’eroe” li respinse in malo modo, un servitorello del Lombardo, che era andato a portargli delle uova per l’ultima colazione, fu cacciato da Bixio con queste ciniche parole: Non ha bisogno di uova, domani avrà due palle in fronte. Il povero demente, Nunzio Ciraldo Fraiunco, pianse e si lamentò tutta la notte, baciando uno scapolare della Madonna che portava al collo. Il 10 agosto del 1860, i condannati furono avviati al piano di S. Vito per l’esecuzione: precedeva l’avvocato Lombardo a passi lenti, fumando un sigaro, la folta barba nera adagiata sul petto; gli altri piangevano e si battevano il viso recitando le preghiere degli agonizzanti; solo il matto, stranamente, sorrideva. Arrivati sul piano di S. Vito, i condannati furono posti a sedere in fila; Bixio a cavallo, con gli occhi spiritati, sembrava il demone terribile della vendetta; un ufficiale lesse la sentenza e fu ordinato il fuoco. Caddero in quattro, riversi l’uno sull’altro. Solo il matto rimase indenne:evidentemente nel cuore del plotone d’esecuzione era passato un brivido di pietà. Il matto si inginocchiò ai piedi di Bixio: Grazia, grazia, la Madonna mi ha fatto la grazia, fatemela voi, grazia, grazia!. Per tutta risposta Bixio ordinò all’ufficiale comandante il plotone di esecuzione di dargli il colpo di grazia, e quello gli sparò in testa. E così fu che anche il povero Nunzio Ciraldo Fraiunco, colpevole solo di aver suonato un tamburo di latta, gridando: Viva la libertà, viva Garibaldi, raggiunse la libertà dalla vita di miserabile mentecatto che aveva condotto fino a quel momento. A Bixio, criminale di guerra, e a Garibaldi, noi Siciliani sempre pronti per atavico servaggio a piegare i ginocchi e a baciare le mani, abbiamo dedicato monumenti, vie e piazze, celebrazioni e medaglieri, a perenne ricordo della libertà ottenuta dalla barbarie borbonica. In realtà i briganti furono loro, quegli assassini dei fratelli d’Italia. Antropos in the world Fattucchiere ed Eremiti del Vesuvio da “Gente del Vesuvio” di Umberto Vitiello Le Fattucchiere - Alle falde del Vesuvio hanno vissuto, e forse ce ne sono ancora, anche noti politici, un grande statista e famiglie nobili dai nomi altisonanti, oltre a personaggi mai del tutto assenti, come le fattucchiere e gli eremiti. La fattucchiera più nota dell’Ottocento è ’a Vecchia ’e Mattavona, mentre durante gli anni dell’ultima guerra e negli anni degli inizi del dopoguerra la diventò ’a Ciaciona ’e Resìna, donna formosa e bella che piaceva molto agli uomini e non dispiaceva alle donne. La prima, la Vecchia di Mattavona, è l’eroina d’una leggenda nata probabilmente durante l’eruzione del 1858, quando la lava riempì il Fosso Grande e una notte gli abitanti delle zone limitrofe udirono terrorizzati un grido straziante che li svegliò anche nelle notti successive. Consultatisi e armatisi di forconi, pale e picconi, i contadini, divisi in vari piccoli gruppi, ogni mattina andavano a cercare chi o cosa turbasse il loro sonno. Non trovando però nessuno che gridasse e nulla che spiegasse quello strano e pauroso fenomeno, decisero a maggioranza di consultare ’a Vecchia ’e Mattavona, che abitava non molto lontano dai loro casolari. La fattucchiera li ascoltò e, sollecitata, si recò con loro sul luogo dell’urlo, dove pronunciò formule magiche in un linguaggio incomprensibile. L’urlo che aveva terrorizzato tutti e per tante notti non si sentì più e della vecchia fattucchiera fu tramandata di padre in figlio la memoria di questa sua magia. La bella e formosa, detta ’a Ciaciona, fa parte della schiera di non meno di 200 fattucchiere di Ercolano, cittadina sorta sulla città sepolta dall’eruzione del 79 d. C., chiamata Resina (ma anche Pugliano) fino al 1969, un luogo ritenuto tra i più magici della Campania e d’Italia. È dalle fattucchiere di Pugliano che non poche persone, del luogo e di altre regioni, vanno ancora a farsi fare o farsi togliere una fattura, cioè un incantesimo, una malìa o una stregoneria di uno dei suoi tanti generi: fattura d’amore1, fattura di odio, fattura a malattia, fattura a morte, fattura di legamento o di “spartenza” (divisione). E per ciascuna c’è una specifica formula che la fat- - 23 - tucchiera –figlia d’arte o allieva di una vecchia fattucchiera– pronuncia tenendo in mano una testa d’aglio o un limone per penetrarlo con centinaia di spilli, laccetti e capelli, fino a che non si realizzi la cosiddetta capa ’e pecuriello - testa di agnellino1 - alla quale va dato il nome di battesimo della persona da colpire. Questo tipo di strano manufatto di magia nera va poi generalmente sotterrato in un bosco o gettato nell’acqua di un laghetto (quello del Parco Reale di Portici) o del mare. Se invece la magia, in questo caso bianca, è invocata per legare e tenere ben uniti due sposi o fidanzati, la fattucchiera si limita a intrecciare laccetti in legamenti d’amore. Quando però il suo compito è rovesciato, perché chiamata a dividere e non a unire, pronunciando le adeguate formule rituali la fattucchiera ha tra le mani del sale che getta poi nel mare per la “spartenza”, la divisione per sempre di due sposi o fidanzati. Un rito malefico del tutto singolare è quello della“vutata ’e seggia”: una sedia impagliata, meglio se di una chiesa, tenuta per terra su una sola della sue quattro gambe e fatta girare vorticosamente pronunciando antiche formule magiche. Dopo cento girate, la sedia viene lasciata cadere e la sua paglia è infilzata da una forchetta o da un coltello. Lasciata per terra senza toccarla, il giorno dopo alla stessa ora la fattucchiera riprende la sedia e ripete quanto ha eseguito il giorno precedente. Il maleficio della “vutata ’e seggia” provocherebbe alla persona, cui è rivolto, un forte mal di testa con confusione mentale mentre la sedia gira su una sua gamba, e un pensiero fisso e persistente quando la sedia è a riposo, pensiero fisso che dovrebbe portare a maturare a chi ne è afflitto un comportamento consono a ciò che desidera la persona che si è rivolta alla fattucchiera. Sulla fattucchiera detta ’a Ciaciona ci sono diversi aneddoti, che sembrano più barzellette che episodi veri, seppure infiorettati. Si racconta, ad esempio, d’una donna ingelosita perché il marito andava almeno una volta la settimana a consultarla. Cosa che non faceva nessun altro uomo tra i suoi conoscenti. E un giorno, dopo aver discusso animatamente ancora una volta col marito, che negava di tradirla con la fattucchiera, secondo lei contro ogni evidenza, la donna decise di andare a dirne quattro alla Ciaciona. Dalla quale se ne tornò però a casa tutta scornata. Non che la fattucchiera con qualche formula magica l’avesse liberata dalle corna, ma perché da quell’incontro ne era uscita svergognata e umiliata. “Da me tuo marito viene solo per ottenere una fattura contro il tuo amante, ch’io mi rifiuto di fare, perché io quell’uomo lo conosco, so tutto di lui, anche dei rapporti intimi che ha con te. È un mio amico e non voglio certo fargli del male” – le disse ’a Ciaciona, se prendiamo per buone le voci che non tardarono a diffondersi tra vicoli e casolari sparsi. Anche se altre voci dicevano invece che quella donna non ne era uscita scornata, cioè svergognata, ma intontita dalla fattucchiera con un maleficio, che qualcuna definiva malocchio. (continua) Antropos in the world RIFLESSIONI ED ANALISI UNA SCELTA CHE FA LA DIFFERENZA A tredici, quindici, diciotto anni, il mondo sta racchiuso nel proprio pugno, si tratta di un mondo che ancora non c'è, ostacolato dal fascino maledetto del vicolo cieco, ma all''entrata un cartello seminascosto avverte: la paura di vivere non si vince con l'alcool, la droga, la recita di un film non ancora in onda. Sveglia giovani sveglia, è la possibilità di una scelta che fa la differenza. Il ragazzo è disteso a terra, il vomito alle labbra, un adolescente in rianimazione, tra la vita e la morte, la balbuzie esistenziale che non porta conforto né riparazione, solamente disperazione, coma etilico a tredici, quindici, diciotto anni, morire per abuso di sostanze non è un reality da playstation. Poco più di un bambino, strangolato dall’alcol, dalla cecità ottusa dell’età, dai desideri adulti improvvisamente insopportabili, sconosciuti e prepotenti. Quando un ragazzo rotola giù dall’amore che non arriva al cuore, la consuetudine sta nell’uso delle parole sempre più inutili, anche false, perché giustificano sempre e comunque, oppure nel rifugiarsi nella riparazione della “deduzione logica “, negli editti delle buone intenzioni, le solite frasi a effetto. Un giovanissimo o poco di più, la spirale del rischio estremo, come se tutto fosse nella norma, accadimenti di routine, una specie di ben nota abitudine all’evento critico, non c’è altro da fare che raccogliere i cocci e sperare di riuscire ancora a rimetterli insieme, ma come amaramente s’è visto non sempre s’arriva in tempo. Invece c’è qualcosa in più che deteriora gli anni più belli della gioventù, c’è qualcosa in meno a cui aggrapparsi per non andare incontro a un coma etilico a quattordici anni, c’è qualcosa che si sottrae confermando la sua presenza. Rammento qualche anno addietro in una scuola del trentino, anche lì, un ragazzo di quattordici anni, stramazzato al suolo, in coma etilico, pensate: alle nove del mattino. Fui invitato come operatore della Comunità Casa del Giovane di Pavia a raccontare la mia storia personale, senza badare troppo alla punteggiatura, per fare prevenzione, informare, comunicare, e non dare scampo alle giustificazioni, smetterla con l’incoerenza ipocrita, quando la richiesta di aiuto rimane appesa a mezz’aria, quando con amarezza ti accorgi che l’intero uditorio, ammutolito e scosso, è mancante di qualcosa, di qualcuno, c’è una assenza che non è riconducibile solamente a quel giovane scivolato tra la vita e… la morte. Ma ieri, e ieri l’altro ancora, qui, più lontano, più vicino, quando quell’adolescente crollava a terra, dove erano gli adulti deputati a conoscere, a leggere, a decodificare? Chissà se c’è davvero coscienza della distrazione che ha aiutato a trasformare quel disagio in una tragedia. Diventa doveroso raccontare ai ragazzi la condanna insita nella bottiglia, nella droga, in quel maledetto vicolo cieco che affascina, posto là, mai troppo distante, a portata di mano, di bocca, di occhio sempre più spento, sempre pronto a colmare le lacune, le ansie, i tormenti degli interrogativi, le inquietudini delle risposte. La bottiglia se ne sta in silenzio, non spreca parole, convincimenti, rimproveri, è “stronza amica discreta”, non ci mette il dito, né il becco, non azzarda consigli, lezioni di vita, non comanda stili né comportamenti, non fa commenti, neppure di fronte alla paura di un cambiamento che non arriva, ma alimenta inadeguateza che non fa prigionieri. Chissà se quest’altro adolescente affogato nei beveroni coloratissimi, ci lascia questo dolore lacerante, obbligandoci a intervenire, a non restare indifferenti, a chiederci con chi abbiamo a che fare, a pensare finalmente che solo l’amore arriva dove la volontà ci guida, solo l’amore per il rispetto di quelli ancora a spasso con il cuore, può sbarrare la strada alla resa più devastante, solo l’amore può trasformare i luoghi più impensabili in dignità ritrovate. - 24 - Andraous Per tutte la problematiche del tuo computer, rovolgiti al tecnico informatico giusto! Infatti, presso - LAB 164 – Qui, troverai: rapidità - competenza e convenienza. Tel. 089.2962036 Antropos in the world I GRANDI PENSATORI: a cura di Andropos Carl Gustav Jung (parte terza) « La mia vita? è la storia di un'autorealizzazione dell'inconscio » Anche se tra gli studi, i viaggi e il servizio militare periodico Jung non avesse molto tempo per la pratica analitica, si consultarono e curarono da lui molte persone, tra cui Herbert Oczeret, Aline Valangin, Sabina Spielrein, Hermann Hesse, Ermanno Wolf-Ferrari, Beatrice Moses Hinkle , M. K. Bradby (poi divulgatrice del suo pensiero), Montague David ed Edith Eder, Eugen ed Erika Schlegel, Constance Long, Mary Bell, Helen Shaw, Adela Wharton, Mary Esther Harding (1888-1971), Kristine Mann (18731945) e Helton Godwin Baynes detto "Peter". Mentre aumentava il suo carisma, qualcuno era critico e non sopportava quel che ai propri occhi sembrava un vuoto culto della personalità. Comunque, Jung aveva ormai quasi 50 anni e riuscì, come aveva in mente da tempo, a costruire una casa (detta "Turm", torre) nel villaggio di Bollingen, affacciata sul lago. Lo aiutò nei disegni il giovane architetto Walther Niehus, fratello di Kurt, che aveva sposato la figlia Agathe e che a sua volta sposerà la figlia Marianne. Durante la lenta costruzione, Jung organizzò nel 1925 una spedizione in Africa, con George Beckwith (1896-1931), Peter Baynes (marito di Hilda, già paziente di Jung e poi di Baynes, quindi suicida) e Ruth Bailey, una nobildonna inglese incontrata durante il viaggio in nave e che vivrà con Jung dalla morte della moglie Emma (1955, come fu lei a chiederle) in poi (ossia fino al 1961, anno di morte di Jung stesso). La spedizione "Bugishu", verso il Kenya e l'Uganda attraverso il Monte Elgon, filmata da Baynes con una cinepresa, portò Jung a contatto con riti e miti delle popolazioni indigene, ma soprattutto con il proprio inconscio. La psiche si compone della parte inconscia, individuale e collettiva, e della parte conscia. La dinamica tra le due parti è considerata da Jung come ciò che permette all'individuo di affrontare un lungo percorso per realizzare la propria personalità in un processo che egli denomina "individuazione". In questo percorso l'individuo incontra e si scontra con delle organizzazioni archetipe (inconsce) della propria personalità: solo affrontandole egli potrà dilatare maggiormente la propria coscienza. Esse sono "la Persona", "l'Ombra", "l'Animus o l'Anima" e "il sé". L'archetipo è una sorta di "DNA psichico": il concetto deve molto a Platone e alle sue "idee". La Persona (dalla parola latina che indica la maschera teatrale) può essere considerata come l'aspetto pubblico che ogni persona mostra di sé, come un individuo appare nella società, nel rispetto di regole e convenzioni. Rispecchia ciò che ognuno di noi vuol rendere noto agli altri, ma non coincide necessariamente con ciò che realmente si è. L'Ombra rappresenta la parte della psiche più sgradevole e negativa, coincide con gli impulsi istintuali che l'individuo tende a reprimere. Impersona tutto ciò che l'individuo rifiuta di riconoscere e che nello stesso tempo influisce sul suo comportamento esprimendosi con tratti sgradevoli del carattere o con tendenze incompatibili con la parte conscia del soggetto. È, in un certo senso, l'evoluzione junghiana dell'Es freudiano. Animus e Anima rappresentano rispettivamente l'immagine maschile presente nella donna e l'immagine femminile presente nell'uomo. Si manifesta in sogni e fantasie ed è proiettata sulle persone del sesso opposto, più frequentemente nell'innamoramento. L'immagine dell'anima o dell'animus ha una funzione compensatoria con la Persona, è la sua parte inconscia e offre possibilità creative nel percorso di individuazione. Il Sé è il punto culminante del percorso di realizzazione della propria personalità, nel quale si portano ad un'unificazione tutti gli aspetti consci ed inconsci del soggetto. Altri archetipi rappresentano immagini universali, che esprimono contemporaneamente numerose figure della positività o negatività: la Grande Madre, il Vecchio Saggio, l'Apollo. Nel 1930 Jung fu nominato presidente onorario dell'Associazione tedesca di psicoterapia. L'Associazione, cui aderivano molti psicoterapeuti ebrei, fu sciolta dal nazismo. Ne fu creata un'altra, a carattere internazionale, con Jung presidente. Nel 1934 Jung fu criticato per la sua adesione ad un'organizzazione di origine nazista, oltre che per la sua funzione di redattore capo della rivista Zentralblatt fur Psychotherapie, un periodico di matrice nazista. Jung e i suoi difensori, in questa querelle sulla presunta adesione di Jung al nazismo, replicarono sostenendo che la sua presenza in questi organismi avrebbe permesso di salvaguardare l'attività degli psicoterapeuti tedeschi ebrei. In questa stessa epoca Hitler prendeva il potere in Germania e, sfortunatamente per Jung, il caso volle che il redattore tedesco della rivista, il cui nome compariva accostato a quello di Jung, risultava essere il professor Göring, cugino del più famoso Hermann Göring, delfino di Adolf Hitler. In questo periodo di presidenza Jung scrisse l'articolo "Wotan", apparso sulla Neue Schwezer Rundschau, che in seguito diverrà il primo capitolo dell'opera Aspetti del dramma contemporaneo. I sostenitori di Jung in questa querelle affermano che Jung accettò questo incarico nella speranza di salvare il salvabile, tant'è che quando si accorse di non poter fare nulla, nel 1939, rassegnò le dimissioni dalla carica di presidente della "Società medica internazionale di psicoterapia" e da redattore della rivista. (continua) - 25 - Antropos in the world POLITICA E NAZIONE IL PESCE PUZZA DALLA TESTA ovvero, il pensiero spicciolo del cittadino comune Fin dall’antica Grecia la politica era ritenuta una delle attività più importanti nella vita di una comunità perché deve compiere scelte per il bene ed il miglioramento della vita pubblica. Napoleone III sintetizzò l’idea della politica in poche parole : “In politica bisogna curare i mali e non acuirli”. Purtroppo in Italia la politica è stata ridotta ad una pura competizione elettorale e chi vince le elezioni pensa solo a piegare le istituzioni agli interessi propri invece di far prevalere gli interessi comuni a tutto un popolo. Con il tempo, la politica che doveva essere una missione, frutto di un forte senso civico e di senso del dovere è divenuta l’organizzazione sistematica dell’odio ed ha cessato di essere la scienza del buon governo per diventare invece l’arte della conquista e della conservazione del potere. In questo sconcertante contesto il Presidente della Repubblica che deve rappresentare l’unità nazionale non può e non deve rappresentare solo una parte di essa. Invece, il buon Giorgio Napolitano con inquietanti affondi ha contrastato il governo Berlusconi specialmente quando veniva chiesta la fiducia per l’approvazione di leggi importanti come la finanziaria. Asseriva allora il Presidente che Berlusconi – chiedendo la fiducia- esautorava il Parlamento delle sue funzioni. Oggi invece con il governo Letta e ieri con il governo Monti il problema non se lo è più posto pur avendo questi governi chiesto la fiducia innumerevoli volte. Forse Berlusconi era considerato figlio di un Dio minore ? E tutti coloro che avevano votato il centro-destra? Per tanti motivi una parte del Parlamento sta pensando di mettere il Presidente Napolitano sotto accusa perché, a loro dire, non assolve il proprio compito con imparzialità e nei limiti dettati dalla Costituzione. Il famoso detto napoletano “ Il pesce puzza dalla testa” non fallisce mai. Il prof. Pietro Melis a proposito del Presidente Napolitano dice: “Non dimentichiamoci chi è stato. Nel 1956 (ovvero a 32 anni e già faceva parte della direzione del partito comunista) , di fronte ai 20.000 morti della rivolta ungherese soffocata spietatamente nel sangue dai carri armati sovietici disse testualmente “i carri armati sovietici hanno riportato la pace in Ungheria”. Incredibile. Quando fu eletto indegnamente Capo dello Stato gli inviai, la mattina dell’elezione, una raccomandata A.R. in Senato per ricordagli questa vergogna, di cui nessuno ne parla o scrive. Questo disonesto, inoltre, sapeva della esistenza delle foibe istriane, dove finirono per metà vivi e per metà morti gli italiani, perché venivano legati in coppia, di cui uno solo veniva fucilato prima di trascinare l’altro vivo nella - 26 - foiba. Ma non se ne doveva parlare a causa della stupida volontà del suo partito (PCI) di conservare relazioni con la Jugoslavia comunista e massacratrice di italiani istriani costretti a diventare profughi e mal sopportati in Italia.” Non credo proprio che un uomo con tale passato possa fare prediche a chicchessia. Il popolo Italiano odia la faziosità e rivuole la propria dignità che dovrebbe essere rispecchiata in quella del Capo dello Stato che quando è andato in Ungheria in visita ufficiale ha messo in imbarazzo l’Italia e in subbuglio il popolo ungherese. Oggi peraltro, l’attuale governo fortemente sponsorizzato da Napolitano, delegittimato dalla sentenza della Corte Costituzionale, è in uno stato comatoso ed il caos regna sovrano dopo l’ignobile figura fatta sulla legge di stabilità e quella altrettanto ignobile sugli affitti d’oro ed il decreto salva- Roma e la squallida ed ingombrante presenza della Cancellieri che si è prodigata per la liberazione della ricchissima Ligresti . Per un governo che sta esalando gli ultimi respiri, che sta aumentando ancora le tasse, che non mantiene la parola data sulla abolizione dell’IMU etc. il famoso vaffanculo da parte degli italiani è d’obbligo in certi casi. Non è un turpiloquio ma è rispetto per la dignità e l’intelligenza del popolo italiano. A questo punto al Presidente della Repubblica non resta altro da fare che indire le elezioni che sono da celebrare al più presto possibile. Mario Bottiglieri Certo che siamo ridotti proprio male! MALE? LA PENSIONE NON LA VEDO PIU’ E NON HO I SOLDI NEMMENO PER LE MEDICINE! Antropos in the world PIATTI TIPICI DEL MEDITERRANEO - A cura di Rosa Maria Pastore RICETTE PASTA E FAGIOLI LAGANE CON FAGIOLI Ingredienti (per 4 persone) - 250 g di fagioli secchi (cannellini, tondini o borlotti) - 250 g di pasta mista - 3/4 pomodori pelati - 1 spicchio d’aglio - olio d’oliva, sedano - (facoltativo) cotica già sbollentata o un pezzo di salsiccia o ancora un osso di prosciutto Ingredienti (per 4 persone) - 400 grammi di fagioli freschi - 400 grammi di farina di grano duro - un cucchiaio di olio - 3 spicchi d’aglio - 30 grammi di strutto - peperoncino rosso in polvere Preparazione: Tenere i fagioli secchi (cannellini, tondini o borlotti) a bagno per una notte, poi, cuocerli a fuoco bassissimo in un tegame (meglio se di coccio) coperto. A metà cottura, aggiungere l’olio d’oliva, lo spicchio d’aglio, il sedano, i pomodori pelati spezzettati ed il sale necessario. Quando i fagioli saranno ben cotti, cuocere la pasta mista direttamente nei fagioli, aggiungendo acqua bollente se necessario. Far riposare la minestra qualche minuto prima di servirla. Per rendere la pietanza più gustosa, salute permettendo, si può aggiungere, sempre a metà cottura, qualche cotica già sbollentata o un pezzo di salsiccia o ancora un osso di prosciutto. FAGIOLI E SCAROLE Ingredienti (per 4 persone) - ½ kg di fagioli cannellini - 4 scarole - 100 g di lardo - 1 spicchio d’aglio - Olio, sale Preparazione: Lessare i fagioli freschi in abbondante acqua salata e mantenerli in acqua fino al momento di lessare le lagane. Preparare una sfoglia con la farina di grano duro, un cucchiaio di olio, sale e l’acqua tiepida necessaria ad ottenere un impasto sodo. Lavorarla e stenderla con il matterello in una sfoglia piuttosto sottile, quindi tagliarla in larghe tagliatelle. Lessare la pasta in acqua bollente salata, sgocciolarla al dente e versarla in un piatto concavo, unirvi i fagioli ben caldi sgocciolati al momento dall’acqua di cottura. Condire la pasta con lo strutto mescolato a un po’ di olio e fatto rosolare al fuoco con i 3 spicchi d’aglio a pezzetti. Terminare di condire con il peperoncino rosso in polvere e pepe macinato al momento. FAGIOLINI AL POMODORO Ingredienti (per 4 persone) - 1 kg di fagiolini - 250 g pomodori pelati - 100 g di olio d’oliva parmigiano grattugiato - aglio, basilico, sale Preparazione: Pulire, lavare e lessare i fagiolini in acqua giu- Preparazione: Tenere a bagno per una notte intera i fagioli cannellini, lessarli in acqua salata con uno spicchio d’aglio e una costa di sedano, facendoli bollire a fuoco lento. Pulire le scarole, dividerle in quattro sezioni e scottarle in poca acqua salata. Strizzarle delicatamente e soffriggerle in una casseruola l’olio e un battuto fatto l’ aglio e il lardo. Unire i fagioli lessati con un po’ della loro acqua e lasciar insaporire per 15 minuti circa. TAGLIATELLE E FAGIOLI Ingredienti (per 4 persone) - 200 g di fagioli (con l’occhio) - 500 g di pomodori - ½ kg di tagliatelle all’uovo - 1 rametto di rosmarino - cipolla, carota, sedano, basilico e peperoncino - olio, sale, pepe Preparazione : Far cuocere i fagioli con un rametto di rosmarino e l’aglio. In una teglia soffriggere in olio d’oliva un trito di cipolla, carota, sedano, basilico e peperoncino. Quando prende colore, sfumare con un po’ di vino, quindi unire i pomodori. Pepare, salare e lasciar cuocere a fuoco moderato per 15 minuti, poi aggiungere i fagioli ben scolati e lasciarli insaporire per altri 10 minuti. Lessare le tagliatelle e condirle con il sugo e abbondante parmigiano grattugiato. - 27 - stamente salata. Imbiondire uno spicchio d’aglio nell’olio, unire i pomodori spezzettati, sale, basilico e far cuocere brevemente a fuoco vivace la salsetta, che deve risultare piuttosto lenta. Eliminare l’aglio ed aggiungervi i fagiolini. Farli insaporire a fuoco basso per circa un quarto d’ora. Verificare il sale e completare con altro basilico fresco e il parmigiano grattugiato. FAGIOLI E ZUCCA Ingredienti (per 4 persone) - 500 g di fagioli cannellini - 1 kg di zucca - 2 spicchi d’aglio - 3/4 pomodori pelati - Olio d’oliva, sale q. b. - Sedano, prezzemolo - 1 peperoncino (facoltativo) Preparazione : Tenere i fagioli secchi a bagno per una notte, poi, cuocerli a fuoco bassissimo in un tegame (meglio se di coccio) coperto. A metà cottura, aggiungere l’olio d’oliva, lo spicchio d’aglio, il sedano, i pomodori pelati spezzettati ed il sale necessario. Terminare la cottura sempre a fuoco moderato. Imbiondire uno spicchio d’aglio nell’olio. Unire la zucca pulita e tagliata a pezzetti, il prezzemolo tritato, sale e peperoncino (se piace). Quando la zucca è cotta aggiungere i fagioli e lasciarli insaporire per 10 minuti. Antropos in the world UNA INTERPRETAZIONE NAPOLETANA DELLE FAVOLE La differenza sostanziale tra due discipline ormai entrate nella nostra epoca tecnologica ed informatizzata, l’Elettronica e l’Elettrotecnica, consiste nell’ordine di grandezza delle correnti elettriche che percorrono i rispettivi circuiti: l’Elettronica tratta i debolissimi segnali di corrente (attraversanti, a titolo di esempio, i circuiti radiotelevisivi domestici) mentre l’Elettrotecnica coinvolge le correnti aventi elevatissima intensità (che scorrono nei fili conduttori sui tralicci ubicati lontano dai centri abitati). Esistono, nell’ambito dei circuiti elettronici ed elettrotecnici, particolari dispositivi impiegati per esplicare la funzione di “raddrizzare” i segnali di corrente, da una determinata forma oscillante e fluttuante, ad una più attenuata e stabile, modificandone dunque la natura. Ecco, trac-ciando un parallelo letterario, le favole fungono da “raddrizzatori sociali” , essendo pungenti verità tendenti ad illustrare aspetti universali ed eterni dell’umana natura, a capovolgerne difetti e correggerne vizi ed imperfezioni, ribaltandole e suggerendo gli opposti modelli di virtù. Uno splendido, gustosissimo “abbraccio” tra arte poetica e linguaggio napoletano è quanto si riscontra nel volume “Aisopos, Phaedrus. Le favole in napoletano” (Andropos in the world Edizioni, N. 2 Sezioni, complessive pagg. 64), autore l’eclettico poeta, scrittore, commediografo e drammaturgo Franco Pastore; il testo è integrato dalle belle illustrazioni di Paolo Liguori, la presentazione e la prefazione sono, rispettivamente,dei saggisti e critici Alberto Mirabella e Renato Nicodemo. Sono 50 componimenti alti ed intensi, travalicanti la pura apparenza di semplici episodi decantanti o biasimanti; vibrano di sentimento autentico, quasi tangibile e visivo, nel tratteggio di oggetti e piante parlanti, del carattere stilizzato di animali e personaggi con essi interagenti, di figure austere oppure sontuose e nobili, delle tante situazioni costellanti l’umana avventura. Pastore è un “medico” che cerca di arginare e curare le lacerazioni e ferite dell’esisten-za, da quelle lievi alle manifeste atrocità, attraverso questo specifico mezzo narrati- go Di Giuffrida Farina vo; d’altronde, ciascuna narrazione favolista, dalle originarie esopiane e fedriane sino alle moderne beffe e dileggi esistenti nel dialetto romanesco di Trilussa o nel linguaggio sperimentale dell’ingegnere scrittore Gadda, cerca di asciugare le lacrime. Egli è singolare rivisitatore di favole di Esopo e Fedro, ambedue furono servi del potere eppure liberi fustigatori di immoralità e perdizioni dei potenti; il ritmo narrativo, l’impostazione ed il tono sono in accordo con i nostri tempi, le situazioni (1) rappresentative ed i protagonisti sono stupendamente ricreati e rivissuti attraverso una traduzione dalle lingue greca e latina in linguaggio napoletano: allusivo in taluni raffinati momenti narrativi coinvolgenti umili e storiche figure (Un pescatore che batteva l’acqua, Diogene e l’omme senza capille, ‘O debitore ateniese); perentoriamente esplicito con la caratteristica esplosiva valenza del vernacolo partenopeo in numerosi altri (‘O cane strunz, ‘O capraro spezzacorne , ‘O frate e a ‘a sora racchia). Balzano ai nostri occhi immagini impetuose e passionali, personaggi flemmatici e controllati, allegorie di canaglie e caste figure; integrano ed arricchiscono ogni singolo testo, una ‘Lexicon necessarium’ ovvero un dizionario illustrante il termine napoletano “complesso” o particolarmente colorito, ed un quid di insegnamento socialmente utile (‘Fabula docet’). Il professor Nicodemo rievoca il senso polemico di Pasolini allorquando questi evidenziava l’ardua difficoltà che si presenta innanzi al “traduttore dialettale”, e ritiene che il testo di Pastore abbia saputo conservare la leggerezza e la verve caratterizzanti il genere artistico; che dalla iniziale ed apparente funzione pedagogica indirizzata dunque ad educare i soli bambini, doveva necessariamente rivelarsi quale reale canale trasmissivo di insegnamento per gli adulti, i quali (si è sperato e si spera!) meglio dovrebbero essere in grado di comprendere senso e concretezza insite nel mezzo linguistico della satira o dell’ironia - 28 - Antropos in the world CONTROCORRENTE ALLEATI E BUOI DEI PAESI TUOI (II parte) THOMAS WOODROW WILSON Estratto dal libro di Michele Rallo“Il coinvolgimento dell’Italia nella Prima guerra mondiale e la ’Vittoria Mutilata’. La politica estera italiana e lo scenario egeo-balcanico dal Patto di Londra al Patto di Roma,1914 - 1924 Le motivazioni ufficiali di questo radicale cambiamento di rotta da parte degli Alleati erano due, ed erano entrambe risibili. La prima, era che il Patto di Londra non era stato notificato ufficialmente agli Stati Uniti (che all’epoca non erano ancòra partecipi della guerra), i quali adesso ne contestavano l’essenza perché contraria allo spirito dei Quattordici Punti wilsoniani. E la seconda era che il trattato di San Giovanni Moriana non era stato ratificato dalla Russia, che però non aveva potuto farlo per il semplice fatto di essersi successivamente tirata fuori dalla guerra. Le vere motivazioni erano invece altre due. La prima riguardava l’Inghilterra, da sempre ferocemente ostile al dinamismo italiano, che voleva semplicemente rinnegare i patti. La seconda era relativa agli Stati Uniti, costretti – anche per non dispiacere al Regno Unito ed alla Francia – a rimangiarsi tutte le magniloquenti affermazioni di principio sulla libertà delle nazioni, e quindi alla ricerca di un capro espiatorio (che fosse comunque gradito all’Inghilterra) da utilizzare davanti al mondo per far credere di mantenere fede ai vecchi slogan. Atteggiamento – questo – del tutto ridicolo, se si pensa che ai solenni richiami all’Italia su Fiume e Dalmazia, faceva riscontro un totale disinteresse per la Francia (lasciata libera di perseguitare e umiliare la Germania), per la Serbia (lasciata libera di colonizzare Slovenia, Croazia, Bosnia, Kosovo e Macedonia), per la Grecia (lasciata libera di infierire su Bulgaria, Albania e Turchia), per la Boemia (lasciata libera di prendersi Sudeti, Slovacchia e Rutenia), per la Romania, per la Polonia e, soprattutto, per la Gran Bretagna, lasciata libera non soltanto di colonizzare quasi per intero le regioni arabe, ma addirittura di progettare un piano di totale smembramento della Turchia. IL NEMICO PEGGIORE: THOMAS WOODROW WILSON Quello contro Roma era un disegno di vecchia data. Risaliva almeno al gennaio 1918, quando l’ineffabile Woodrow Wilson aveva reso noti i suoi Quattordici Punti ed aveva affermato che l’Italia doveva essere costretta entro una frontiera etnica che egli dichiarava essere «facilmente riconoscibile». Ora, poiché anche i sassi sapevano che secoli di migrazioni e di invasioni avevano reso i confini etnici italiani tutt’altro che facilmente riconoscibili (e lo abbiamo visto trattando del memoriale presentato alla Conferenza della Pace), era evidente che si fosse in presenza di un preciso disegno per attribuire all’Italia dei confini più angusti di quelli naturali. Parallelamente, l’undicesimo dei Punti wilsoniani – si ricordi – recitava che «la Serbia deve ottenere un libero e sicuro accesso al mare». Il gioco americano era apparso talmente evidente che – fin dai giorni precedenti l’armistizio – il Ministro degli esteri Giorgio Sidney Sonnino aveva chiesto all’Intesa di notificare agli Stati Uniti le riserve italiane sul punto 9 del programma wilsoniano: «Il governo italiano ritiene che la rettifica (readjustment) di cui è questione nell’articolo IX, non implichi una semplice modifica (rectification) delle frontiere; ma che si tratti per l’Italia di ottenere la liberazione delle provincie di nazionalità italiana, e nello stesso tempo di stabilire una frontiera tra l’Italia e l’Austria-Ungheria che presenti le condizioni necessarie di sicurezza militare sufficienti ad assicurare l’indipendenza ed il mantenimento della pace, tenendo conto delle ragioni geografiche e storiche, e applicando gli stessi principi affermati nei confronti della Germania per le delimitazioni conseguenti all’attuale guerra.» Non occorre dire che la richiesta italiana era stata sùbito bloccata da inglesi e francesi, con la scusa che il Congresso americano – con la solita modestia – aveva proclamato che non avrebbe accettato modifiche agli augusti Quattordici Punti. E’ sconcertante come – ancòra oggi – il giro-di-valzer intesista sulle aspirazioni italiane venga ammesso con candida noncuranza dalla storiografia anglofila. Scrive l’Hösch: «Le pretese italiane sull’adempimento di questi impegni stavano quasi per far saltare la conferenza di pace di Parigi. (…) Dare corso alle rivendicazioni italiane sull’Istria e sulle regioni costiere della Dalmazia avrebbe costituito non solo una grave violazione del diritto all’autodeterminazione della popolazione slava residente, ma anche un affronto alla Serbia alleata.» Nessun problema, invece, a ledere il diritto all’autodeterminazione della popolazione italica residente ed a muovere un affronto all’Italia alleata. In realtà, agli americani e al presidente Wilson non importava nulla né dell’Italia né della Serbia. Semplicemente, seguivano alla lettera i suggerimenti degli inglesi, giacché tra Washington e Londra esisteva un’alleanza di ferro, una assoluta comunanza politica, etnica, culturale e di interessi. Non si trattava soltanto di due paesi amici, ma di due nazioni che – pur in antagonismo tra loro per l’attribuzione del primato assoluto – erano entrambe parte di quel blocco anglosassone che intendeva soppiantare il “concerto europeo” alla guida del mondo civile. Tutto questo, naturalmente, senza che la Francia - 29 - Antropos in the world facesse una piega. Parigi continuava a svolgere disciplinatamente il ruolo di “utile idiota” degli anglosassoni, accettando anche di subire l’arroganza inglese per la spartizione del bottino arabo. (…) FIUME E DALMAZIA Già il 13 aprile – quando a Parigi si era aperta la discussione sul memoriale italiano – il governo di Roma era stato messo con le spalle al muro. Infatti, il presidente americano Wilson aveva sùbito opposto il suo veto ad ogni richiesta relativa a Fiume e Dalmazia, ed i rappresentanti inglesi e francesi lo avevano prontamente appoggiato su tutta la linea, ufficializzando così una rottura insanabile con l’Italia. E non era tutto: non soltanto le richieste italiane venivano respinte dagli alleati, ma Wilson proponeva addirittura che all’Italia si togliesse la fascia più orientale dell’Istria, che avrebbe dovuto essere unita con Fiume per formare uno “Stato Libero” da porsi sotto l’autorità della Società delle Nazioni. Gli italiani erano annichiliti, ma non arretravano. Il 20 aprile Vittorio Emanuele Orlando leggeva una dichiarazione dura e spartana, che sottolineava la irrinunciabilità di talune richieste («Fiume e la Dalmazia sono italiane») e adombrava addirittura la possibilità di un abbandono della Conferenza per protesta. Ma neanche Wilson si tirava indietro, e il 23 aprile – con un atto di megalomania oltre che di scortesia unico negli annali della diplomazia mondiale – faceva pubblicare sulla stampa francese una lettera aperta che, scavalcando i governanti, si rivolgeva direttamente ai cittadini italiani, chiedendo che questi si pronunciassero contro i loro stessi interessi. Wilson esordiva dicendo che il patto di Londra era «un accordo privato» dell’Italia con Inghilterra e Francia, accordo che aveva perso ogni validità dal momento che «altre potenze grandi e piccole», successivamente entrate in guerra, non ne erano state messe al corrente ufficialmente. Proseguiva affermando che agli Stati Uniti era toccato di stabilire i princìpi a cui dovevano attenersi i belligeranti del campo intesista e di vigilare perché la pace potesse realizzarsi sulla base di questi princìpi. Incredibilmente, citava come esempio la pace iugulatoria e sommamente ingiusta che ci si apprestava ad imporre alla Germania: «La guerra si è chiusa proponendo alla Germania un armistizio e una pace che dovevano essere fondati su certi princìpi chiaramente definiti che dovevano creare un nuovo ordine di diritto e di giustizia.» Ora, partendo da questa premessa così benevola, «noi non possiamo domandare al grande consesso delle potenze di proporre e di effettuare una pace con l’Austria e di stabilire una base di indipendenza e di giustizia negli Stati che formavano l’impero austrungarico e negli Stati del gruppo balcanico su co su princìpi di altro genere.» Tutto ciò premesso, al fine di realizzare anche con l’Austria e con gli altri Stati successori dell’impero asburgico una pace equanime e solidale come quella che verrà sommessamente proposta alla Germania, «Fiume deve servire come sbocco commerciale non dell’Italia ma delle terre situate a nord e ad est di quel porto: all’Ungheria, alla Boemia, alla Romania e ai paesi nel nuovo gruppo jugoslavo». D’altro canto, ove per assurdo dovesse essere imposta a Fiume la sovranità italiana, questa «non avrebbe potuto non sembrare straniera». Proseguendo in una personalissima ricostruzione dei fatti e non temendo il ridicolo, Wilson si spingeva fino ad affermare che l’Italia «aveva fatto il supremo sacrificio di sangue e di ricchezze » non per i suoi dichiarati e legittimi scopi, ma per perseguire «la stessa vittoria del diritto». In conclusione: «l’America è costretta a fare in modo che ogni singola decisione da essa presa sia in armonia con questi principi;e,nella sua fiducia, confida che l’Italia nulla chiederà che non sia coerente, oltre ogni dubbio, con questi sacri obblighi.» Vittorio Emanuele Orlando, lungi dall’essere spiazzato dal comportamento del presidente americano, reagiva con grande prontezza, e già l’indomani pubblicava sulla stampa francese una risposta redatta negli stessi inconsueti termini del messaggio di Wilson. La prima parte della risposta di Orlando era un garbato sfottò: «L’uso di rivolgersi direttamente ai popoli tramite un giornale costituisce certamente una novità nei rapporti internazionali. (…) Se questi appelli ai popoli debbano considerarsi come fatti al di fuori se non contro i governi che li rappresentano, io avrei ragione di grande rammarico.» Ma la seconda parte era di sostanza: «Il messaggio presidenziale è diretto a dimostrare che le rivendicazioni italiane, al di là di quei limiti che il messaggio indica, offendono quei princìpi su cui deve fondarsi il nuovo ordinamento di libertà e di giustizia fra i popoli.» Orlando negava questo assunto: «Mi sono valso soltanto della forza della ragione e della giustizia, sulle quali credevo e credo che si fondino le aspirazioni italiane.» Poi passava a contestare alcune delle affermazioni di Wilson, iniziando da quella che il Patto di Londra sarebbe stato inficiato dalla fine dell’impero asburgico: «Non tutti potranno accettare senza riserve che lo sfacelo dell’impero austrungarico debba determinare un ridimensionamento delle aspirazioni italiane. Sarà lecito invece di credere il contrario: e cioè che proprio nel momento in cui tutti i vari popoli di cui quell'impero constava cercano di coordinarsi secondo le loro affinità etniche e naturali, il problema sostanziale che le rivendicazioni italiane pongono possa e debba compiutamente risolversi. Questo problema è il problema adriatico, nel quale si riassume tutto il diritto dell'Italia, l'antico ed il nuovo, tutto il suo martirio nei secoli, tutto il bene che essa è destinata a recare alla grande convivenza internazionale.» (continua) __________ [ Da “Storia contropelo” di Michele Rallo, C.P.S. G. Pastore – Trapani] - 30 - Antropos in the world ALL’ULTIMO MINUTO, una fiaba di Franco Pastore Introductio Schneewittchen und die Sieben Zwerge, in francese: Blanche-neige et les sept Nains, è una fiaba popolare europea scritta dai fratelli Grimm, Jacob e Wilhelm, in una prima edizione nel 1812, pubblicata nella raccolta Kinder- und Hausmärchen, Fiabe dei bambini e del focolare, evidentemente ispirata a molti aspetti di folclore popolare, del quale i due fratelli erano profondi studiosi1. La nostra contaminatio, all’incontrario, muove da due evidenti motivazioni: la possibilità di introdurre nuovi elementi di riflessione, in un momento storico di forte affermazione del matriarcato, e la considerazione che l’amore, pur fonte di guai, è pur sempre l’unica cosa bella della nostra esistenza. La scelta della rima è un invito al ricorso alla memorizzazione. così cara alla passata educazione, per creare una sorta di associazionismo situazionale che è di grande utilità nel processo di formazione integrale della personalità del fanciullo. Bisogna, infatti, tener presente, che l’attuale insuccesso formativo dei giovani, dipende proprio dall’abbandono dei veicoli tradizionali di formazione, a vantaggio di mezzi e strumenti tecnologici avari di capacità comunicative e di quella carica umana, tipica della parola dell’educatore tradizionale, che rapportava la formazione ai mutamenti socio-storici che si andavano determinando. Non da meno, l’illustratore, Paolo liguori, oramai forgiato da una lunga attività di visualizzazione artistica, tracima l’attenzione del lettore verso i concetti che costituiscono la motivazione intrinseca del lavoro. Del resto, σκιάς όναρ άνθρωπος ... si, l’uomo è l’ombra di un sogno. Trama Il principe BIANCOCERO, rimasto orfano di padre, è costretto a subire le angherie del nuovo re, suo patrigno, presuntuoso e pieno di sé. Costui, infatti, per non dover sopportare l’incomodo della sua presenza, relega il principino nelle cucine reali, vestito di panni umili e neppur sufficienti a ben sopportare il freddo dell’inverno. Divenuto l’unico signore incontrastato del reame, interroga il mago dello specchio magico sulla sua persona ed ottiene la conferma di essere il migliore. Quando Il principe crescendo incontra l’amore, il re , interrogando lo specchio, viene a sapere che non è il più affascinante del reame, ma è stato superato dal suo nobile figliastro. Decide così di liberarsi del principe e dà l’incarico al servo Becero di portarlo nel bosco e togliergli la vita. Becero, mosso a compassione lo risparmio e gli dice di fuggire lontano dal reame. Fu così che il giovane si imbatte nella casetta delle sette nanerottole, che lo accolgono e lo proteggono finché il mago spione dello specchio non svela al re che il principino è in buona salute e vive con le nane. Travestito da viandante, il re si reca al limitar della foresta ed offre al principe una banana avvelenata con la magia nera. Kalimero,al primo morso cade a terra stecchito. Quando le nane lo videro a terra senza vita impazzirono dal dolore. Ma proprio quando erano pronti i funerali, la principessa nel dare l’ultimo bacio al suo amore, si accorge del pezzo di banana malefica e la fa cadere, restituendo in tal modo la vita al principe. Nel tripudio generale avvennero le nozze e tutti furono invitati, compreso il re malvagio, che per l’invidia morì stecchito, lasciando Kalimero re di un grande regno. (continua) _________________ 1)Da "Tutte Tutte le fiabe" - Enciclopedia della fantasia - Vol. I - Fratelli Fabbri Ed., 1962 - 31 - Antropos in the world DA ERICE ANTONINO DE STEFANO CULTORE EUROPEISTA Giovanni XIII fu suo compagno di studi in Teologia a Roma In prossimità della Strada Provinciale per Erice insiste una prestigiosa Scuola Media intitolata ad Antonino De Stefano, illustre ed impareggiabile esponente della cultura ericina e non solo. Nato a Vita il 4 agosto 1880 fu avviato al sacerdozio fin dall’età di nove anni presso il Seminario di Monreale e successivamente in quello romano dove completò gli studi di Teologia; qui ebbe compagno di studi Angelo Roncalli divenuto Papa Giovanni XXIII. Nel 1903 frequentò nell’Università svizzera di Friburgo i corsi di cultura storico – teologica del domenicano Mondonnete e conseguì nell’Università di Ginevra il dottorato presso la Facoltà Teologica Protestante. Quando, nel 1907, fu condannato il Modernismo, la corrente di rinnovamento culturale sorta in Inghilterra fra il XIX e il XX secolo, il De Stefano che aveva aderito con estrema convinzione al nuovo orientamento, lasciò il sacerdozio e continuò a sostenere la corrente attraverso la “ Revue moderniste internazionale” da lui fondata nel 1910. A Roma lavorò in diverse biblioteche e collaborò per giornali qualificati e prestigiosi quale “Figaro”. Si dedicò successivamente all’insegnamento e agli studi di storia medievale e del periodo federiciano. L’interesse verso l’età di Federico II induceva il De Stefano alla pubblicazione, nel 1943, del “Registro notarile di Giovanni Maiorana”, raccolta di documenti rari e inediti e nel 1956 alla prosecuzione della pubblicazione del Codice diplomatico aragonese, iniziato da Giuseppe La Mantia, dando inizio ad un’ attività di ricerca di documentazione inedita per la storia della Sicilia in età aragonese. Nel 1938 il De Stefano riunì la maggior parte dei suoi scritti in un volume dal titolo “Riformatori ed eretici del Medioevo” pubblicato a Palermo e ristampato nel 1990 dalla Società Siciliana per la Storia Patria. L’esperienza vissuta durante i lunghi viaggi in Europa lo portò a farsi promotore ed organizzatore del convegno federiciano e ruggeriano che portò in Sicilia un nuovo fervore di studi ed iniziative con l’incontro ed il confronto di studiosi provenienti da ogni parte d’Europa soprattutto dalla Francia e dalla Germania. Pubblicò nel 1951 l’articolo su Ludovico Antonio Muratori e la cultura siciliana del suo tempo; nel 1955 su il De laudibus Messanae di Angelo Callimaco Siculo; nel 1956. Intorno a Nicola Scillacio umanista siciliano del secolo XV, studente e professore a Pavia; nel 1957 su Jacopo Pizzinga protonotaro e umanista siciliano del sec. XIV; nel 1960 su Mariano Accardo umanista siciliano del secolo XVI. Nel 1956 donò la sua preziosa e cospicua biblioteca costituita da 15.000 volumi alla Società Siciliana per la Storia Patria di Palermo della quale fu emerito Presidente dal 1949 al 1964. Si trattava di opere antiche e rare, alcuni incunaboli, qualche editio princeps, un importante fondo sul Modernismo, opere di storia medievale e siciliana, riviste ed estratti, molte opere francesi, tedesche, inglesi. Grande merito ebbe come Sindaco di Erice dal 1956 al 1960 per la soluzione del problema dell’approvvigionamento idrico e per il contributo allo sviluppo turistico e culturale avvalendosi di uomini e istituzioni fra le più prestigiose nazionali ed estere. Il 18 novembre 1980 la Società Siciliana di Storia Patria a Palermo, con una cerimonia solenne nel Convento di San Domenico, in occasione del centenario della sua nascita, celebrava la sua insigne figura con interventi di autorità, allievi, amici e la consegna di un volume di studi in suo onore. A lui è intitolata ad Erice nella frazione di Casa Santa anche una via. ANNA BURDUA - 32 - IL MIO AMICO LIBRO ____________ L’ultimo lavoro della brava scrittrice di Erice Anna Burdua presentato nel salone attiguo alla Parrocchia del SS. Salvatore, in Trapani, sta riscuotendo numerosissimi consensi in Sicila ed in Campania. Antropos in the world L’ANGOLO DEL CUORE - Due liriche di Franco Pastore di NEL RICORDO STRUGGENTE CORRO SOLO CON L’ANIMO Sulla sabbia, vedo orme lontane, ma non sono le tue. Lentamente, m’avvicino al mare, ora, corro solo con l’animo. Raccolgo, delle sensazioni, ciò che resta, ma non rammento più il tuo profumo. Mentre ch’il mare tace ed i gabbiani, nel ciel, non hanno pace, sulla mia malinconia il pianto delle tamerici. Nel ricordo struggente, turbinando, il mio pensiero si consuma. Non si può vivere senza storia, in fatua sequenza, da marionette rapite. Nell’utero di mia madre, tornerei, per rinascere in un mondo d’uomini, senza oligarchie dominanti, dove la morte di Cristo ha un senso e la democrazia … il suo vero significato. Regimen Sanitatis Salernitanum - Caput XXX/XXXI DE PISCIBUS ET ANGUILLA Si pisces molles sunt magno corpore, tolles: si duri, parvi sunt plus valutari. Lucius et perca, saxaulis et albica, tinca, gornus, plagitia, cum carpa,galbio,truta. Vocibus anguillae pravae sunt, si comedontus, qui phisicam non ignorant, haec testificantur. Caesus, anguilla nimis obsunt, si comedantur, ni tu bibas et rebibendo bibas. QUANDO I PESCI A FIBRE MOLLI HA GRAN CORPO, BEN SATOLLI, SE LE CARNI HAN BEN DURE, I PIU’ PICCOLI ASSAPURA. SIANO PERSICI E COBITI, SIANO LUCCI A TINCHE UNITE, MORVE, RAIE E SALAMONI, VE NE SONO TANTI E BUONI APPROVAR NON DEVE IL SAGGIO NE’ L’ANGUILLA, NE’ IL FORMAGGIO, SENZA INGIUNGERE DI BERE E VUOTAR PIU’ DI UN BICCHIERE. - 33 - Antropos in the world LEVIORA SATIRICA Illustrazione di Paolo Liguori Questo matrimonio non s’ha da fare!!!! COSE DA PAZZI Una donna parla con un’amica della propria vicina: - La conosco abbastanza da chiederle in prestito qualcosa, ma non tanto da prestarle qualcosa!LA MAESTRA chiede a Pierino:"Parla dei monti piu' importanti d'Italia" E Pierino:" Mio padre dice sempre che il piu' importante e' il monte premi dell' Enalotto e del Totocalcio". Il colmo per una donna? Impiega due ore per truccarsi e quando esce gli uomini le guardano il fondo schiena. Una donna si lamenta con l’amica perché il marito è sempre desideroso di sesso e le chiede come risolvere il problema. L’amica le consiglia di mettere uno slip nero e di dire al marito che è a lutto e che non può fare sesso. Convinta che l’idea possa funzionare la donna così fa la sera con il marito che in un primo momento, nonostante sia molto perplesso, accetta la giustificazione della moglie. Dopo pochi minuti l’uomo esce dal bagno con una coccarda nera sull’organo e dice alla moglie: -Cara… ho pensato una cosa… io entro, do le condoglianze e me ne esco-. Ascoltando i risultati delle partite di calcio alla radio, un uomo si accorge di aver fatto un tredici milionarioSuper entusiasta urla alla moglie: -Elvira, ho vinto un milione. Prepara subito le valigie!-Che bello Enrico! Ci devo mettere i vestiti estivi o invernali?-Mettici quello che ti pare, basta che te ne vai!- 34 - Antropos in the world L’ANGOLO DELLA FOLLIA BIQUADRO MUSICALE CHE SIMULTANEAMENTE SI OSSERVA ED ASCOLTA COSA E’? Si tratta di pittura e musica su tela, ovvero è un “biquadro musicale” (tavola di legno avente dimensioni: H=94 cm*B = 68 cm, peso = circa 3 Kg) che, contemporaneamente, si può osservare ed ascoltare; è dipinto, con tecnica mista (acquerello, pastello e gessetto) sia nella regione frontale che in quella retrostante; in quest’ultima regione vi sono innestati 3 componenti: un piccolo registratore, contenente una musicassetta con incisi alcuni brani musicali, da me composti ed eseguiti dal M° Marcello Ferrante della ‘PolyMusic’ di Salerno; poi sono inserite due mini casse acustiche, necessarie per l’ascolto. Ho inteso rappresentare, con 7 colori e musica, la magia dell’arcobaleno, arcobaleno credo portatore di “messaggi nascosti” all’interno di ciascuno d e i 7 c ol or i . AUCTOR INSANUS: Giuffrida Farina, salernitanus, qui in urbe vivit, laborat, deditusque operibus insanis est usque ad finem. L’autore dei lavori di cui sopra è Giuffrida Farina, di Salerno, città ove vive e lavora, nutrendosi di follie, come quelle qui presentate. - 35 - Membership in the GNS Press Association Reg. ID 7676 8 – IPC / Richiesta autorizz.ne al Tribunale di Salerno del 25.03.2008 / Patrocinio Comune di Salerno prot. P94908 – 27.05.2009 / Patrocinio Prov. Avellino – prot. 58196 – 16.10.2012 / Patroc. Com. Pagani – prot. 0023284 – 29.07.2008 / Patroc. Prov. Salerno – prot. 167/st – 23.09.2009 / Patroc. Com. di S. Valentino Torio – 24.05.2008 – Acquisto Spazio/web del 26/04/06-Aruba S.P.A. ANTROPOS IN THE WORLD, Rivista e Teleweb, hanno, inoltre , il patrocinio degli Enti Carminello e SS. Corpo di Cristo. 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