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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P.
70% regime libero
– ANNO XXIII n° 3 15 febbrAIO 2014 –
AUT.Dr/CbPA/CeNTrO1 – VALIDA DAL 27/04/07
Il 7% della spesa viene buttata senza passare dai fornelli
Cattive abitudiNi
teNdeNze
Cibo, siamo veri spreconi
Cento chili di troppo: questa la cifra pro capite che gettiamo ogni anno nel cestino
ricci, un sindaco
a portata di click
Nato iL 7 LugLio
1964, Laurea iN
deL
iNgegNeria e siNdaCo
gli umbri costretti a fare più attenzione, con un occhio al portafoglio. Nonostante questo
ogni famiglia spende 480 euro
all’anno in alimenti inutili.
ecco i consigli delle associazioni
dei consumatori
di giuLio, rossiNi, viLLa
a pagg.
di assisi daL 2006.
CLaudio riCCi è iL
patrimoNi sottratti
raffaello torna a Foligno
Dopo due secoli il monastero di Sant’Anna ritrova la “sua” Madonna
4-5
Famiglia
genitori di nome
e di fatto
A
chille era il Pelìde, cioè figlio di Peleo.
Allo stesso modo, Ulisse veniva chiamato Laerziade, mentre Agamennone
e Menelao erano gli Atridi, dal nome del padre
Atreo. Già nell’Iliade, poema omerico scritto intorno all’VIII secolo a.C., è presente quella tradizione di riconoscere i figli con il nome del padre, una tradizione che racchiude in sé una visione della famiglia in grado di attraversare i secoli, ma che poche settimane fa si è scontrata con
la decisione della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo. I giudici hanno dato una strigliata all’Italia, riconoscendo il diritto della madre di dare il proprio cognome ai figli, come era
stato richiesto da una coppia milanese nel 1999.
Fino a pochi anni fa, il cognome materno veniva dato solo quando non c’era nei paraggi un uomo disposto a riconoscere il figlio; la mancanza
del nome del padre diventava quasi un marchio
d’infamia. Adesso, invece, i genitori possono scegliere se darli entrambi o solo uno. Alcuni uomini hanno alzato la voce, quasi si sentissero privati di un pezzo di paternità. A queste persone
andrebbe spiegato che fare il genitore non significa solamente tramandare un cognome, ma crescere i propri figli e fare parte della loro vita. Così come la donna sta faticosamente conquistando un nuovo ruolo all’interno della società, uscendo dalle mura domestiche dentro le quali era stata rinchiusa, così l’uomo dovrebbe rinunciare al
proprio ruolo di padre padrone, esplorando nuovi spazi e prendendo nuove responsabilità nell’educazione dei figli e nella crescita della prole.
Un modo nuovo per essere genitori non solo di
nome ma anche di fatto.
La madoNNa
di
FoLigNo
NeL moNastero di
saNt’aNNa
una sosta speciale, di ritorno dalla
mostra di milano, per la madonna di
Foligno di raffaello che è ora nel luogo,
il monastero di sant’anna, che l’ha ospitata dal 1565 al 1797.
L’opera che si trova nei musei vaticani è
stata esposta al pubblico dal 18 al 26
giuLia sabeLLa
gennaio. tantissima l’emozione degli
umbri e dei folignati il giorno dell’inaugurazione.
a salutare il dipinto si è levato il canto
delle suore del monastero, per un evento che non è solo cultura ma anche
devozione
raviart a pag.7
saNità
mestieri
persoNaggi
L’eccellenza in corsia:
Il Pronto soccorso
del Santa Maria
della Misericordia
La storia di un liutaio
che a Corciano
trasforma il legno
in opere d’arte
Giovanna Vignola,
la “Grande bellezza”
di una piccola donna
alla corte di Sorrentino
Frigeri
a pag.
3
marzi
a pag.
8
spiNeLLi
a pag.
6
primo CittadiNo più
“soCiaL”
deLL’umbria
N
ell’era di internet e dei politici che fanno
a gara sui social network, il sindaco di
Assisi, Claudio Ricci, è uno di quelli che
rientrano a pieno titolo nella categoria “smanettoni”. Non si offenda il sindaco, di questi tempi è un
complimento. Ricci è uno che ci sa fare, che ha capito l’importanza di usare la tastiera come un grande megafono. Un esempio? Quando, poche settimane fa, un turista con un cinguettio su Twitter si è
lamentato per la scortesia e per i prezzi alti nella
città di San Francesco, non si aspettava di certo che
il sindaco, sempre sul web, gli avrebbe risposto:
«Torna come mio ospite personale e, viste le circostanze, mi offro anche come guida turistica». Il fortunato, non sapendo di avere a che fare con un tipo così, ha incassato il colpo e forse coglierà l’occasione per tornare ad Assisi per un fine settimana
pagato. Questo simpatico botta e risposta la dice
lunga su quanto Ricci, che qualche giorno fa ha addirittura invitato Barack Obama nella sua città,
è al passo con i tempi.
Profilo Facebook, Twitter a gogò. Un canale Youtube, il “Ricci Channel” (non una emittente dagli
ascolti colossali ma almeno ci prova) e poi Google+,
a chiudere “Second Life”, dove l’avatar digitale del
sindaco (in foto) è fin troppo vicino alla realtà con
tanto di fascia tricolore, occhiali da vista e pelata.
Se hai uno smartphone, per intenderci un cellulare di ultima generazione, e segui la vita
politica umbra, non puoi non avere
una applicazione dedicata proprio a
lui. Si chiama “Ricci” e si tratta di
una “app” all’avanguardia. In
termini di comunicazione, il
primo cittadino di Assisi è
anni luce avanti a tanti
sindaci che credono che
“feisbuc” sia una cittadina russa con la quale stringere
magari gemellaggio. È
vero, qualcuno potrebbe
L’avatar di
obiettare che sono molti i politi- CLaudio riCCi
ci umbri che scorrazzano sui social network. Una metà di loro però lo fa male,
ha una pagina compilata da qualche addetto stampa e senza neanche la foto di profilo. L’altra metà commette un errore tanto grave quanto banale:
usa internet senza interazione con le altre persone, solo come vetrina personale. Ricci invece no:
commenta, risponde, condivide, parla ma soprattutto ascolta. La tastiera la sa usare, il cervello pure. Intendiamoci, quello di Ricci non è un esercizio filantropico ma una astuzia politica. Ogni internauta, sia esso “amico” su Facebook o seguace
su Twitter, è anche cittadino e quindi un potenziale elettore, un voto, magari può fare anche pubblicità indiretta. Sarà che prima di dedicarsi alla politica Ricci era un ingegnere con il pallino per la tecnologia. Sarà che per sopravvivere a importanti cariche quali la presidenza dei siti italiani Unesco e
responsabile nazionale Anci nel settore del turismo,
bisogna stare sul “pezzo” e sempre connessi. Sta di
fatto che Ricci sul “pezzo” ci sta davvero. Nel
2015 si candiderà alle elezioni regionali. Le pagine dei quotidiani raccontano che il sindaco è ancora alla ricerca di una coalizione che lo soddisfi a
pieno. Un alleato sicuro però c’è già: la tecnologia,
almeno lei, dopo il voto non tradisce.
NiCoLa meCheLLi
2
PRIMO PIANO
15 FEBBRAIO 2014
Nel 2014 non aumenteranno i ticket sanitari per i cittadini, al via la struttura di Narni-Amelia e un nuovo reparto ad Orvieto
umbria in corsia, ospedali virtuosi
T
I nosocomi della regione sono promossi, il Santa Maria della Misericordia di Perugia e l’Alto Chiascio di Branca tra i primi dieci in Italia
ra le prime della classe ci sono anche
Emilia Romagna e Veneto: sono le tre regioni che faranno da punto di riferimento per la definizione dei costi standard. E infatti non sarà ridotta la quota spettante all’Umbria
nel riparto del Fondo Sanitario Nazionale. Lo
Stato investe 110 miliardi all’anno nel settore sanitario, circa il 12% del Pil. Certo, bisogna fare
una spending review all’interno delle strutture
sanitarie e trasformare in risorse le infrastrutture, il personale e la ricerca biomedica. Queste le
linee guida del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, in visita all’ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia, uno dei due nosocomi umbri tra le dieci eccellenze italiane, insieme all’Alto Chiascio di Branca (Gubbio).
Secondo i dati degli ultimi mesi, dunque, la Regione Umbria è un esempio virtuoso di buona
gestione e qualità nelle cure sanitarie. Inoltre, i
precari del settore e i ricercatori in biomedica
possono guardare con serenità al futuro: i loro
contratti saranno prorogati fino al 2016. I sindacati stimano che il provvedimento, in Umbria, riguardi circa 500 persone. Nel Dap (documento
annuale di programmazione della giunta regionale) relativo al biennio 2014 - 2016, presentato
il 14 gennaio dall’assessore regionale Fabrizio
Bracco, sono contenute novità nell’ambito dei
dipartimenti interaziendali: saranno attivati quello neurochirurgico e quello cardiochirurgico, in
convenzione con l’Università. Non ci saranno
aumenti dei ticket sanitari, grazie ai 2 miliardi di
risorse in più che saranno destinati dallo Stato,
così come ha confermato Emilio Duca, direttore regionale della sanità umbra.
L’unico problema resta la possibile chiusura
degli ospedali con meno di 120 posti letto. In Italia ce ne sono 222, anche se saranno conservati
quelli che garantiscono servizi psichiatrici di diagnosi e cura, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e i centri “post acuti”. In Umbria i nosocomi minacciati di chiusura o accorpamento sono quelli di Spoleto, Assisi, Norcia,
Castiglione del Lago, Città della Pieve e Umbertide. Quelli di Narni e Amelia verranno trasferiti in una struttura più ampia, che si specializzerà nella riabilitazione ed è ora in costruzione.
Proprio alcuni giorni fa sono stati sbloccati i fondi dalla Regione. E il 18 dicembre è stato inaugurato, al Santa Maria della Stella di Orvieto, il
nuovo reparto di Terapia intensiva.
Per restare in vita gli ospedali dovranno riconvertirsi o accorparsi seguendo le direttive della
riforma del sistema sanitario umbro. Città delle
Pieve è destinato a specializzarsi nel settore dei
disturbi alimentari, all’ospedale di Media Valle
del Tevere di Pantalla, a Todi, invece c’è il rischio
della soppressione del punto nascita per il basso numero di parti annui (500).
aLessaNdra boreLLa
118 CeNtraLiNo uNiCo
Nella foto a destra, il ministro Lorenzin
chiede delucidazioni sul funzionamento del
centralino del Pronto soccorso dell’ospedale di Perugia, una sala operativa unica e
regionale che accorpa al capoluogo anche
Terni e Foligno. Il progetto, presentato dal
direttore sanitario Walter Orlandi a luglio
2013, permette di gestire il malato nella
intera rete ospedaliera, trasportando il
paziente non nell’ospedale più vicino, ma in
quello più appropriato per la sua patologia.
C
iL
miNistro deLLa
saLute, beatriCe LoreNziN,
NeLLa sua reCeNte visita aLL’ospedaLe di
perugia
e aL CeNtraLiNo deL
118
dove e Come mi Curo
Il nuovo portale è online da pochi mesi e
fornisce graduatorie di eccellenza riguardo
alle strutture sanitarie più adatte, a seconda del problema di salute, per ogni regione e provincia d’Italia. La qualità di ogni
struttura è espressa attraverso un colore
che indica il punteggio raggiunto. Verde,
giallo, rosso. La fonte dei dati è il
“Programma nazionale valutazione esiti”,
gestito dall’Agenzia Nazionale per i Servizi
Sanitari Regionali per conto del Ministero
della Salute.
Per sapere dove le future mamme sono
maggiormente tutelate nel parto, ad
esempio, sono presi in considerazione due
indicatori: la proporzione dei tagli cesarei
e il numero di parti effettuati annualmente
(quando è elevato, è una garanzia di sicurezza). Il valore medio nazionale per la
proporzione dei parti con taglio cesareo è
di 26,27%. E l’accordo Stato Regioni del
16 dicembre 2010 fissa in almeno 1000
nascite all’anno lo standard cui tendere.
Semaforo verde, attualmente, per i parti
cesarei, al S. M. di Terni e al S. G. Battista
di Foligno. A Terni, l’indicatore, rispetto
alla media nazionale, è 10,85% e i parti
annui sono 1110. A Foligno l’indicatore è
17,08% e i parti sono 1230.
All’ospedale di Perugia il semaforo verde è
relativo a numerose cure, in particolare
agli interventi chirurgici per i tumori maligni a colon, esofago, tumori del sangue e
del sistema endocrino, dell’apparato riproduttivo maschile e femminile, della pelle,
del rene, e tumori pediatrici.
aL.b.
medici, è boom di obiettori di coscienza
resce il numero di
obiettori di coscienza in Umbria. Il
personale medico che
non pratica nessuna C’è un elevato
forma di interruzione
di gravidanza sfiora in media il 70 %. Nello specifico, alla fine del 2011 gli ostetrico-ginecologi
obiettori erano pari al 65,6%, gli anestesisti il
70,2%. Mentre per il personale non medico –
che comprende gli infermieri professionali – la
percentuale si assesta al 72,7%. L’ospedale di
Foligno e quello di Spoleto vantano il numero
più alto di ostetrico-ginecologi obiettori (il
77,8%).
In Italia, fino al 1978, l’aborto era considerato un reato. Fu l’introduzione della legge 194,
confermata dal referendum del 1981, a consentire alle donne di interrompere la gravidanza entro le prime dodici settimane. Quella stessa norma permette al personale medico di esercitare
l’obiezione di coscienza, che è quindi tutelata
dallo Stato. Tuttavia l’aumento degli obiettori ha
determinato una dilatazione dei tempi di attesa
per le donne che decidono di interrompere la
gravidanza. Le sale operatorie sono spesso occupate da interventi più urgenti e il personale
che acconsente a praticare l’aborto si conta sulle dita delle mani.
Circa la metà delle pazienti che hanno effettuato un aborto nell’azienda ospedaliera di Perugia ha atteso più di 28 giorni. Un’attesa che
complica una situazione di per sé già delicata,
non solo per la paziente, ma anche per chi deve effettuare l’intervento chirurgico.
Abbiamo ascoltato il parere di due medici: il
ginecologo Giorgio Epicoco, che lavora all’ospedale di Perugia, e Marina Toschi, gineco-
purtroppo la vita non è
sempre quella che noi
vogliamo. Tanto più
nella situazione econonumero di dottori che scelgono di non praticare l’aborto: in media, quasi il 70% mica e lavorativa in cui
si trovano oggi le giovani donne italiane che molto spesso hanno una
biologia con tempi ben diversi da quella che impone il sistema sociale. Io credo che una donna
debba avere il diritto di scegliere. Chiunque abbia un atteggiamento culturale, legato ad una religione è giustissimo che agisca liberamente.
Quello che non deve fare è pretendere che questo valga per tutti». L’aumento degli obiettori secondo la Toschi dipende dalla nuove leve:
«Le giovani ginecologhe escono dalle università e fanno obiezione di coscienza. Perché?
Non hanno vissuto la battaglia di quel tempo,
sanno che chi non fa obiezione è relegato in un
angolo e considerato un poco di buono. Le giovani generazioni non si sono volute occupare di
questa cosa. Sono indifferenti».
dott. giorgio epiCoCo, ospedaLe di perugia
dott.ssa mariNa tosChi, CoNsuLtorio asL N. 2
Il tema è complesso, specie in Umbria, dove
loga al Consultorio della Asl umbra numero 2. centinaia di vite». Epicoco non voterebbe di non sembra ma c’è tanto da dire. Ad esempio,
Il dottor Epicoco non è diventato subito un nuovo la legge 194: «Lo Stato con quella legge in pochi sanno che in tutta la provincia di Peobiettore di coscienza: «Fino al 1992 io ho fat- avrebbe dovuto impegnarsi a favorire la mater- rugia non esiste una struttura dove una donna
to centinaia di aborti, sono un abortista pentito. nità, invece ha solo favorito l’aborto. Ad ogni può richiedere l’aborto medico (la pillola
Ritengo che la mia posizione di medico non modo, il punto non è se la legge deve esserci o RU486, che oltre ad essere molto meno invapossa essere quella di eliminare una vita, piutto- meno, il punto è se lo stato deve tutelare la ma- dente rispetto all’intervento chirurgico, ha il
sto quella di aiutare le vite. La legge 194 l’ho ap- ternità o no. Lo Stato in questo momento fa sì vantaggio di ridurre notevolmente i costi per il
plicata con grande sofferenza, non sono mai che un figlio sia un costo. Invece è una ricchez- sistema sanitario). In Umbria solo due ospedastato d’accordo con l’aborto. Ho sollevato za».
li – Narni e Orvieto – prestano questo servizio.
Marina Toschi, che lavora al Consultorio da
un’obiezione per motivi di coscienza ma prinL’aborto medico è regolato da un protocollo
cipalmente per ragioni religiose. I figli non so- 33 anni e che ha visto passare in quelle stanze scientifico nazionale che rimanda alle singole reno “nostri”, io non posso condizionare la loro il 35% circa delle donne che volevano abortire, gioni. L’Umbria, a differenza di altre regioni coesistenza. Se la madre di Oskar Schindler aves- replica: «Sarebbe bene che un’evenienza come me l’Emilia Romagna o il Piemonte, non ha mai
se deciso di interrompere la gravidanza, 3500 un aborto non ci fosse mai, perché è una brut- deliberato il protocollo necessario.
miCheLa maNCiNi
ebrei non si sarebbero salvati. Una vita cambia tissima scelta quella in cui si trova un donna, ma
PRIMO PIANO
15 FEBBRAIO 2014
3
Una struttura veloce ed efficiente, nonostante le difficoltà: dal personale sotto pressione alla piaga degli accessi impropri
pronto soccorso da codice verde
C
L’attesa dei pazienti e il rapporto di fiducia con i dottori. Il direttore Mario Capruzzi: «Qui vive un’umanità profonda»
hi scuote la testa, chi legge un libro, chi si
addormenta per un istante. Chi si lamenta, chi sbadiglia, chi scambia due chiacchiere con il vicino. Chi smorza la noia in un sorriso. Sembra la sala di attesa di una stazione, c’è
persino il monitor con numeri ed orari. Se non
fosse che la cera brilla sul pavimento e il personale non viene a chiederti il biglietto. Anzi, ti tratta con ogni premura.
Siamo nella prima membrana del pronto soccorso di Perugia: l’area di “triage” (smistamento) dove vengono valutate le condizioni cliniche
dei pazienti, prima di dare loro un codice convenzionale di priorità di ingresso. Lo schermo non
riporta i treni in partenza, ma le visite in corso. I
codici rossi e i gialli più gravi non passano qui, accedono direttamente alla sala d’emergenza. Gli
altri, verdi e bianchi, tutti in coda ad aspettare: i
tempi variano a seconda dei giorni e delle circostanze, non c’è una regola precisa. Sono comunque bassi, visto che l’Umbria è tra le prime cinque regioni d’Italia per rapidità di intervento
(stando all’ultimo rapporto Agenas, agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), malgrado
l’inevitabile intasamento che a volte si viene a
creare. «Quando ho iniziato a lavorare al pronto
soccorso, nel 1980, gli accessi erano circa ventimila all’anno – afferma il dottor Giancarlo Giovannetti – ora sono quadruplicati e il personale
è solo raddoppiato». In effetti ci sono 19 medici
a fronte di una media di quasi settantamila visite
all’anno, che fanno 190 interventi quotidiani, oltretutto non spalmati nell’arco della giornata, ma
concentrati soprattutto tra il pomeriggio e la tarda serata. E in alcuni periodi dell’anno (l’estate
con il caldo torrido) o della settimana (gli incidenti e le risse del sabato sera).
La mattina la situazione è piuttosto tranquilla,
capita di incontrare
bambini e ragazzi
dottori
accompagnati dai
e infermieri
genitori. Come Paola Pasquali e Barbasono bravi
ra Sellari: i figli hane gentili, però
no avuto due piccoli incidenti a scuola,
lavorano
niente di grave cotroppo
munque. «Medici ed
infermieri sono bravi e gentili – racconta Paola
– il problema è che sono sotto organico, lavorano troppo e non reggono questi ritmi forsennati». Un altro problema è quello dei “furbetti”, che
anche qui non mancano: «Siamo munite di pazienza – dice Barbara – ma c’è gente che viene
qui senza un vero motivo bloccando tutto».
Personale stressato e visite improprie, sono
questi i due mali principali del pronto soccorso.
«Inoltre molti vengono indirizzati qui dal proprio
medico di base – sostiene Giovannetti – per patologie che dovrebbero gestire loro in prima battuta». Del resto, questo può essere un escamotage per ottenere una visita immediata eludendo
così le lunghe liste d’attesa dei reparti specializzati. Ma c’è anche chi, residente fuori regione,
non ha il medico curante e non può fare altrimenti. Come Andrea Cittadino, 21 anni, calabrese. «Mi sono svegliato con il collo bloccato e ho
stretto i denti per guidare – racconta – ora aspetto il mio turno proprio davanti alla porta, perché
di lato non riuscirei nemmeno a vederla». Ha un
codice bianco, ma non dovrà pazientare molto,
viene chiamato dopo appena venti minuti. Lo
stesso discorso vale per Orban Cornel, 50 anni.
Viene dalla Romania, ha avuto un piccolo incidente stradale ed è un po’ spaesato: non è mai
stato in un pronto soccorso. «Per stare più tranquillo ho preso una mattina libera». Non servirà, perché anche lui entra a stretto giro di posta.
“
Passano le ore e cresce l’afflusso: i pazienti in
attesa sono una ventina e chi entra ora sa di non
poter contare sulla stessa rapidità di ingresso. C’è
stato un incidente stradale a Bettolle e sfrecciano due barelle. Due codici rossi. Cala una cappa
di silenzio, i telefoni squillano, alcuni pazienti cercano di informarsi sulla gravità della cosa. Senza
successo. Passano i minuti e nessuno parla. Poi si
cambia di nuovo umore, volare da uno stato
d’animo all’altro è inevitabile, l’altalena emotiva è
l’essenza stessa del pronto soccorso. Non si può
stare sempre in tensione. Si raduna un gruppetto di medici e di infermieri: la visita del ministro
della sanità, Beatrice Lorenzin, turba persino l’attività ordinaria della struttura. Due anziani si avvicinano curiosi e ci scherzano su: «Sta arrivando
la Lollobrigida?». «Non esattamente – risponde
un dottore nascondendo il sorriso sotto alla barba – rimettetevi seduti».
Proprio la massiccia presenza di anziani riflette un cambiamento dell’utente tipo: «Con il progressivo invecchiamento della popolazione –
spiega il caposala Nicola Ramacciati – ci sono
sempre meno interventi legati a traumi e un numero crescente di medicina interna». Eppure a
guardare bene le statistiche, gli accessi totali sono in leggero calo, in media del 5% all’anno, un
dato che conferma le proiezioni nazionali ed è,
con ogni probabilità, legato alla crisi economica.
Infatti, analizzando il trend dell’ultimo triennio,
si vede un leggero aumento dei codici gialli e rossi; i verdi sono stabili, mentre crollano i bianchi,
gli unici a pagamento con
C’è uno scarto la tariffa unica
tra la razionalità regionale fissata a 25 euro.
del medico
Non è mai
e la percezione una bella notizia quando la
del paziente
gente taglia
sui servizi sanitari, ma il fulcro della questione è che molti codici bianchi non dovrebbero nemmeno venire
qui, tanto è lieve l’entità del problema.
«Gli accessi impropri vanno eliminati alla radice – ribadisce il direttore del pronto soccorso,
Mario Capruzzi – ed è da superare il concetto
stesso di guardia medica, puntando su un’assistenza diffusa, attraverso poliambulatori sempre
aperti, anche il fine settimana». In questo modo
si alleggerirebbe la pressione sui pronto soccorso regionali che tornerebbero a svolgere unicamente la loro funzione primaria. Un ruolo imprescindibile e da tutelare.
Perché in fondo lavorare qui è un po’ più duro rispetto a qualsiasi altro reparto, proprio per
la continua carica di pressione che va gestita. Allora spesso ci si isola dal mondo, frapponendo
una cortina divisoria: «Lavorare al pronto soccorso è come prendere lezioni di misantropia»,
scriveva il romanziere inglese Ian McEwan nel
libro “Sabato”, dopo aver studiato per due anni
i vari reparti del “National Hospital” di Londra.
«Su questa affermazione non sono d’accordo –
sorride il direttore – qui, ogni giorno, emerge
un’umanità profonda, malgrado la difficoltà delle relazioni psicologiche da instaurare». Perché
chi arriva non è mai tranquillo e c’è un alto numero di varianti da tenere sotto controllo, perché c’è uno scarto tra la razionalità del medico
e la percezione emotiva del paziente. Perché, in
passato, ci sono stati episodi di violenza e tentata aggressione al personale. «Sì, per tutte queste ragioni e per molte altre, è davvero dura. Eppure sono 36 anni che faccio il mestiere più bello del mondo».
“
sotto
iN
aLto: aLCuNe immagiNi deL proNto soCCorso di
da siNistra: iL direttore deLLa struttura,
mario Capruzzi,
perugia
e iL CaposaLa
NiCoLa ramaCCiati
”
”
Numeri e statistiche:
tempi da record
Questi i dati dell’anno appena concluso. Per un totale di 66.199 visite:
– Codici rossi - 550
– Codici gialli - 4.327
– Codici verdi - 33.595
– Codici bianchi - 26.974
La media è di 190 interventi al giorno
(8 ogni ora) di cui il 2% di emergenza,
il 12% di urgenza e la restante parte di
accessi a medio-bassa criticità, che
spesso congestionano l’attività.
Si registra una diminuzione complessiva del 5% su base annua. Nonostante
persista il problema degli accessi
impropri, sono in calo i codici
bianchi(gli unici a pagamento) per la
crisi economica. C’è una diminuzione
degli interventi traumatistici e una crescita di quelli internetistici, a causa del
progressivo invecchiamento della
popolazione. Veniamo ai tempi di attesa media, tra i più bassi d’Italia: 6,1
minuti per i codici gialli, 19.5 per i codici verdi e 58.9 per i codici bianchi. Il
DEA (Dipartimento di Emergenza ed
Accettazione) di Perugia, è l’unico in
regione dotato di schermo per monitorare l’andamento delle visite.
FederiCo Frigeri
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dal carrello alla pattumiera, il triste destino del cibo
Una famiglia umbra getta in media il 7% della spesa alimentare, ma con la crisi si fa più attenzione. Garofalo (Adoc): «Bastano piccoli accorgimenti, come comprare solo il necessario»
U
n pomeriggio qualsiasi all’Ipercoop di
Collestrada alla periferia di Perugia. Gli
scaffali sono pieni di tutto quello che si
può immaginare e molto più di quello che siamo
in grado di consumare. A passeggiare nel reparto frigo o in quello della frutta e della verdura, lo
spettacolo è sempre lo stesso. Uomini e donne
che spingono davanti a sé i carrelli con la spesa
per la settimana.
E fin qui non ci sarebbe nulla di male, se non
fosse che il 7% degli alimenti che una famiglia
umbra acquista finiscono dritti nella pattumiera,
dopo una permanenza più o meno lunga in frigo,
dove vengono prontamente dimenticati. Secondo le stime dell’Adoc (Associazione difesa e orientamento dei consumatori) ogni anno se ne vanno
così circa 480 euro per nucleo familiare.
Un dato che fa pensare in un
periodo di crisi come quello attuale, soprattutto se si considera che
è l’equivalente di un mese di spesa per una famiglia composta da tre persone. Dati della Gesenu
alla mano, solo nel primo trimestre del 2013 ogni
umbro ha prodotto 29 chilogrammi di organico.
Ma il problema non finisce ai confini della nostra regione. Sono le pattumiere di tutto il mondo, o meglio: dei paesi occidentali, a straripare di
cibo. La bellezza dei numeri sta nel fatto che non
sanno mentire, e quelli dello spreco alimentare
sono da capogiro.
Secondo l’ultimo rapporto della Fao, in un anno vengono gettati 1,3 miliardi di tonnellate di ali-
“
menti, per un costo di 550 miliardi di euro. In Europa lo spreco pro-capite si aggira intorno ai 180
chili, 108 in Italia. Solo provare a immaginare lo
spazio fisico che tutto questo cibo potrebbe occupare è un’impresa impossibile.
Eppure c’era un tempo, alla fine dei conti non
così lontano, in cui le nostre nonne quel pane un
po’ indurito rimasto sul tavolo della cucina non
l’avrebbero buttato, piuttosto ci avrebbero preparato delle polpette. Un tempo in cui gettare via
del cibo era un sacrilegio. Cosa è cambiato? Da
quando gli italiani, e gli umbri, hanno iniziato a
sprecare?
Luciano Giacché, professore di antropologia
alimentare all’università di Perugia,
non ha dubbi. «Lo spreco è iniziato
quando l’offerta ha cominciato a essere superiore alla nostra capacità di
consumare. Un tempo in Umbria la
produzione alimentare era tutta incentrata sull’autoconsumo. Con l’applicazione delle tecniche industriali,
invece, il cibo ha finito con il trasformarsi in una
merce. E come tale risponde alle leggi del mercato».
Insomma, un’inondazione di prodotti, che
riempiono i carrelli per poi rimanere nelle nostre
case ben oltre la data di scadenza.
Ma torniamo al nostro affollato supermercato,
dove la frutta luccica sotto le luci e la musica culla i clienti che stringono in mano la lista di quello
che ritengono non possa mancare dalle loro dispense. Di questi tempi la spesa si fa veloce, un
momento rubato e strizzato tra i mille impegni del-
Ormai
il cibo
è una
merce
”
“
clienti
I
in un supermercAtO.
le
Offerte
3x2
sOnO cOnsiderAte trA le principAli cAuse delO sprecO
la giornata. E, si sa, la fretta è cattiva consigliera.
«A volte mi capita di dover buttare via cose da
mangiare. È perché faccio sempre la spesa di fretta. Succede di calcolare male le quantità», dice
Editta, 36 anni con una famiglia di tre persone.
Alza le spalle per poi tornare a concentrarsi sugli
scaffali davanti a lei, il carrello in attesa al suo
fianco. E come lei anche Laura, che ammette:«Vivo da sola e spesso mi capita di dover buttare via
tanta carne e tanto latte».
Secondo Angelo Garofalo, presidente dell’Adoc Umbria, cercare le ragioni di questa tendenza allo spreco significa anche pensare che al
giorno d’oggi i consumatori sono circondati da
tutta una serie di trappole.
«Pensi alle confezioni. Il latte da mezzo litro
non si trova più, è scomparso. Ci sono solo bottiglie da un litro e, se una persona,è sola è evidente che una parte del latte va sprecato. E la stessa
cosa vale per altre confezioni, dall’insalata in poi.
È raro trovarne su misura per una o due persone».
Tutto ciò in un’epoca in cui il numero di pensionati e delle cosiddette famiglie mononucleari
(ovvero quelle composte solo da una coppia) è
aumentato sensibilmente.
Senza contare le “insidie” della pubblicità. «Il
prendi tre e paghi due è una delle ragioni per cui
le famiglie sprecano così tanto cibo. Le offerte
continue, che ci bombardano costantemente,
tanta gente che esce di casa e nemmeno controlla quello che manca. Non bisogna poi fare chissà che, basta semplicemente scrivere una lista della spesa per evitare di comprare cose che poi finiscono nella pattumiera».
In effetti bastano dei piccoli accorgimenti.
Per esempio nel “Vademecum contro gli sprechi” dell’Adoc, al punto uno si consiglia di
comprare solo l’essenziale, mentre al punto sei
si invita ad evitare le offerte promozionali illusorie
come i 3x2.
Per iniziare basterebbe ricordarsi di usare il proprio
frigo in maniera intelligente, per esempio riponendo
le verdure in basso per evitare che ammuffiscano, oppure rendersi conto che
molti alimenti si conservano anche dopo la data
di scadenza.
Qualcosa sembra muoversi, anche se lentamente. Proprio il 5 febbraio si terrà la prima giornata nazionale contro lo spreco di cibo e a livello locale nascono iniziative di recupero e distribuzione degli alimenti in eccedenza o in via di scadenza a chi ne ha bisogno. Si tratta sia di iniziative ufficiali, come il progetto “Zero Waste”, nato con
il sostegno della Regione, sia di iniziative prese
dai singoli commercianti.
È proprio partendo dalle piccole cose che forse sarà possibile cambiare questa nostra società
dell’usa e getta.
con la crisi
tornano
di moda
gli avanzi
”
cAterinA villA
i numeri e i costi dello spreco
meno rifiuti, più donazioni
Le soluzioni dei supermercati per azzerare lo spreco
dati parlano chiaro: il 45% dello spreco ali- Centro Italia ha adottato delle politiche per
mentare avviene all’interno delle mura abbattere questo fenomeno?
domestiche. Il resto del cibo si perde però
«Dal 2007 Coop Centro Italia porta avanti il
lungo la filiera: ovvero durante il trasporto, lo progetto “Spreco Utile”, che prevede di donastoccaggio e nella fase della distribuzione.
re i prodotti alimentari vicini alla scadenza o
I supermercati diventano vetrine in cui gli scaf- con imballaggio danneggiato ad associazioni
fali devono essere sempre pieni e i prodotti che li distribuiscono a persone bisognose.
devono essere belli da vedere. Perché ciò sia Chiaramente, si tratta di beni perfettamente
possibile, quanta frutta viene buttata? Quante commestibili e regolari sia sotto il profilo igiescatole di pasta la cui confenico che legale. Ogni anno
zione è rovinata finiscono
la Coop sigla convenzioni
nel cestino? Per saperne di
con associazioni radicate
più abbiamo parlato con
sul territorio che si impeRossana Brogi, responsabignano a rispettare il nostro
le Marketing sociale e prostatuto. Tra queste abbiamozioni della Coop Centro
mo Caritas sparse in tutto il
Italia.
territorio umbro e nel 2013
Quali sono i criteri che
anche il Comune di Terni.
seguite al momento di
Ormai il progetto coinvolordinare i beni alimentari
ge quasi tutti i nostri punti
destinati alla vendita?
vendita, su 68 negozi
«I criteri con cui vengono
hanno aderito in 56».
Anche chi lAvOrA nei supermercAti
eseguiti gli ordini si basano
Quali sono i risultati che
evitA di gettAre i prOdOtti
su analisi giornaliere del
avete raggiunto?
venduto del singolo negozio, tenendo conto
«Se nei primi anni donavamo solamente
del periodo, della stagione, delle attività pro- generi alimentari a lunga scadenza come pasta,
mozionali in corso, della corretta rotazione legumi, scatolame e latte, dal 2010 vengono
delle merci per assicurare il massimo della fre- ridistribuiti anche frutta, verdura, formaggi e
schezza e per ridurre al minimo i prodotti pane. La raccolta per questi beni è giornaliera:
invenduti che arrivano a scadenza. In base a gli operatori delle Onlus arrivano a fine serata
ciò i supermercati fanno l’ordine al magazzino e raccolgono mozzarelle, yogurt, carne ed altri
di Castiglione del Lago, che li rifornisce.
prodotti freschi. Un lavoro lungo, ma che dà le
La sensibilità per il problema dello spreco ali- sue soddisfazioni.
mentare si traduce poi in azioni pratiche. Per
Nel 2013, grazie al progetto “Spreco Utile”,
quanto riguarda la vendita di frutta e verdura, abbiamo buttato circa 86,484 chili di beni aliper esempio, la prassi è quella di mettere in mentari in meno. Sostenibilità ambientale
cima alle cassette i prodotti la cui scadenza è quindi, ma non solo. Sono state circa 4.400 le
più vicina».
donazioni fatte alle associazioni che distribuiDiverse associazioni, tra cui Slow Food, scono i beni a persone in difficoltà economica
denunciano la responsabilità dei super- tra cui immigrati ed anziani. ».
nicOle di giuliO
mercati nello spreco di alimenti. La Coop
fanno molto – dice Garofalo – Per non parlare
delle strategie messe in atto dalla grande distribuzione. Ci ha mai fatto caso che il sale e lo zucchero sono sempre i più difficili da trovare? È perché chi ne ha bisogno è disposto a girarsi mezzo
supermercato per scovarli».
Eppure i chili di cibo che ogni umbro spreca in
un anno non possono essere solo questione di
ben congegnate “trappole commerciali”. C’entrano anche le cattive abitudini, dal
momento che nella maggior
parte dei casi si compra molto
più di quello che serve.
Addirittura la crisi fatica a incidere su questa mentalità che
sembra essere capillarmente diffusa. I primi risultati sono comparsi recentemente. Secondo
dati Adoc, cinque anni fa una famiglia umbra gettava il 13% della propria spesa
alimentare, contro il 7% di oggi.
«Con la crisi per forza si sta più attenti, dal momento che si ha meno disponibilità economica
– commenta Garofalo – La gente ha ripreso a riciclare quello che ha in casa. È tornata in voga la
frittata con gli spaghetti avanzati dal giorno prima. Mia madre me la preparava spesso quando
ero bambino».
Nel nostro supermercato Renato, 48 anni, si
ferma accanto alle cassette di arance. «Ci eravamo abituati ad avere tanto, ma adesso ci si fa più
attenzione. Per forza». La pensa così anche Federica, 33 anni. A casa sono in due e lei dice di fare di tutto per evitare di buttare via del cibo. «C’è
Il Umbria ogni famiglia
spreca il 7%
degli alimenti che compra
670 milioni di tonnellate
di cibo gettato
nel mondo in un anno
Ai primi posti
pane (18% della spesa)
e verdura (16%)
Ogni italiano
spreca 108 chili di cibo
a testa ogni anno
In un anno in Umbria
si buttano nel cestino
480 euro
I
n Umbria ogni famiglia spreca il 7 percento
di quello che compra. Ogni giorno 100
grammi di cibo finiscono nella spazzatura. «È
anche una questione etica.
La maggiore attenzione al risparmio in questo periodo di crisi ha aumentato la percezione sugli sprechi alimentari – osserva Antonio
Picciotti, docente di Economia Aziendale all’università di Perugia – ma nelle case persistono comportamenti sbagliati, la gente non
sa come, dove e quanto conservare gli alimenti».
Il professore sintetizza così i dati nazionali ed
umbri, sostenendo che «occorre insegnare
l’educazione alimentare, chiarire le etichette,
cambiare i metodi di confezionamento dei prodotti». Il problema è globale e il prof. Picciotti sottolinea come l’allarme sia della Fao: «L’organizzazione mondiale per l’agricoltura ha affermato che, ogni anno, piu’ di 670 milioni di
In provincia di Perugia
ogni abitante butta
100 gr di cibo al giorno
tonnellate degli alimenti prodotti nel mondo,
finisce nella spazzatura». Un dato che è condiviso da molti altri organismi, spiega il professore, che cita le analisi dell’Uk Institution of
Mechanical engineers, secondo il quale ogni
24 ore tra il 30 e il 40 percento del cibo prodotto, pari a circa 1,5 miliardi di tonnellate,
non finisce sulle tavole o nelle mense, ma direttamente tra i rifiuti, causando problemi seri all’ambiente.
Ma non tutte le notizie sono negative. Nel
2013, ci fa sapere la Coldiretti, più di tre miliardi di euro sono stati spesi per l’acquisto di
prodotti “a chilometri zero”, con un contributo determinante al contenimento degli sprechi alimentari di circa il 30 percento, contributo dovuto soprattutto al fatto che i prodotti
acquistati direttamente dal coltivatore durano
più tempo.
v.r.
le ricette di nonna silvana
D
Basta poco e un avanzo diventa un piatto gustoso
ona Flor trasformava le sue pietanze per pietanze gustose, riesce a far rifiorire un
in un capolavoro di gusto e bellezza. pezzo di bollito convertendolo in polpette sucLe ricette della protagonista del cele- culente. «Il pane è sacro. Se avanza, lo gratto
bre romanzo di Amado “Dona Flor e i suoi così lo posso usare per impanare carne o verdue mariti” non sono però tanto diverse da dura. Altre volte lo bagno con acqua e poi ci
quelle della signora Silvana. Anche lei conosce faccio la panzanella, una pietanza tipica della
bene i segreti della cucina. Silvana è nata a tradizione umbro-toscana. Prendo i pezzetti di
Terni negli anni 30, ha vissuto la guerra e sa pane e li condisco con olio e sale e poi aggiunche cosa vuol dire sacrificio. Come la maggior go quello che ho in frigo come cetrioli, pomoparte dei figli della sua generazione, ignora dorini, cipolla, ma anche capperi e olive. Una
invece la parola spreco.
soluzione ottima per riutilizzare il pane duro è
E se oggi si parla tanto di lotta allo spreco quello di bagnarlo con latte e poi usarlo come
alimentare, forse, può essere
base per la pizza. Con il riso facutile ascoltare i consigli di una
cio la stessa cosa: aggiungo forpersona come Silvana, madre e
maggio, uova e pane grattato e
nonna di quattro nipoti.
friggo tutto. Il risultato sono sucQuando le chiediamo se butta
culenti supplì». Ci sono però degli
mai gli avanzi, risponde senza
ingredienti che in cucina non pospensarci : «Io non butto niente.
sono mancare. «Gli odori – spieHo 83 anni, ero piccola quando
ga Silvana – sono essenziali.
c’era la guerra, erano tempi in cui
Quando avanza del bollito, lo
il pane era pochissimo e lo facecondisco con il prezzemolo,
vamo in casa. Già a sei anni
aggiungo delle patate e lo trasforavevo imparato a impastare e lA signOrA silvAnA Ai fOrnelli mo in spezzatino. La carne che
infornare. Di certo oggi non lo
avanza la mischio con un po’ di
getto via, è peccato! Di carne se ne mangiava mortadella, poi con un impasto di uova e fariun etto alla settimana. Come potrei sprecarla?». na faccio gli agnolotti, delizie della tradizione
Anche oggi che vive da sola, Silvana è molto che hanno un’origine povera». Per non parlare
attenta nel momento in cui riempie il carrello dei dolci. «Il panettone duro che spesso rimadella spesa. «Ho la fortuna di vivere in centro a ne sulla tavola durante le vacanze di Natale è
Terni quindi preferisco fare una piccola spesa un’ottima base. Preparo della crema e lo guargiornaliera. Non esco mai senza una nota con nisco. Diventa buonissimo. Durante l’anno
la lista di ciò che mi serve».
invece mischio caffè e burro e ci decoro i
Creatività, pazienza ed esperienza fanno il biscotti secchi. Che meraviglia».
nicOle di giuliO
resto. Silvana trasforma il pane secco nella base
nel mio locale avanzi zero
O
«Comprare pochi prodotti freschi, ma di qualità»
rdine in cucina in abbondanza. Piani- La strategia per sprecare meno?
ficazione quanto serve. Creatività al
«La dicitura “consumare preferibilmente”
momento giusto. È questa la ricetta significa che gli alimenti sono commestibili
che usa Stefano Babucci, titolare di un ristoran- anche dopo il giorno indicato. Dobbiamo ricote di Perugia, per evitare di sprecare cibo in cu- minciare a fidarci dei nostri sensi: apriamo,
cina. E secondo lui funziona. Nel suo locale, odoriamo, assaggiamo prima di buttare.
avanzi zero.
Spesso, non serve».
Sprechi alimentari, come
E i resti?
risolvere questa emergenza?
«Non tutti hanno voglia di
«Prevenendo. Una regola per
friggere bucce di patata, e c’è
tutti: nel frigorifero mettete in
chi odia mangiare gli avanzi.
evidenza i prodotti con la data di
Eppure la tradizione italiana
scadenza più vicina. A ciascuna
sarebbe piena di ricette per riucategoria alimentare spetta un
tilizzare gli avanzi, come i timripiano. Frutta e verdura cruda
balli di pasta. Con il pane del
vanno nei cassetti, pesce e carne
giorno prima ad esempio, poscruda al primo piano, cotta al
siamo creare le minestre di
secondo; affettati e formaggi più
pane, le zuppe».
lO chef stefAnO BABucci
in alto; conserve aperte e uova
Faccia l’esempio di un piatto
ancora più su. Se hai tutto al suo posto eviti di che una famiglia può preparare con gli
dimenticarti qualcosa, anticamera del farlo avanzi.
andare a male».
«Quando prepariamo il brodo per i nostri
Prima ancora del frigorifero, come si fa bambini, versiamo in un tegame il sedano, le
una spesa intelligente?
carote, e i pomodori che abbiamo usato. Una
«Con la lista, prendendo solo quello che ci volta frullati possono creare una salsa con cui
serve, e calcolando le quantità necessarie. La condire un cous cous, oppure la pasta».
stessa attenzione alle quantità va osservata in Lei ogni giorno sceglie il cibo e lo lavora,
cucina, calcolando le dosi degli ingredienti quindi ha esperienza dello spreco, quanto
prima di cucinare».
usa e quanto scarta?
Qual è l’errore da evitare?
«Noi non buttiamo via niente, tranne gli
«Mai fare la spesa a digiuno, né farsi trascina- avanzi. Le pietanze scivolano nella pattumiera
re dalle promozioni. Spesso le famiglie che quando si cucina troppo e gli alimenti si stipafanno rifornimenti al supermercato di confe- no anziché conservarli. Se sai quanto comprazioni formato mega o 3x2, pensando di rispar- re e quanto cucinare, lo spreco non esiste».
vAlentinA rOssini
miare acquistano invece dei prodotti inutili».
6
CULTURA
15 FEBBRAIO 2014
Una perugina d’adozione nel cast de “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, candidato agli Oscar come miglior film straniero
storia di una piccola grande attrice
V
Giovanna Vignola, affetta da acondroplasia, racconta il suo incontro col cinema. Un’altra vittoria personale nella sua vita “alla ribalta”
oce squillante, forte, sicura e risata
«Più che altro è l’unico personaggio del film
esplosiva. Questo colpisce di Giovanna che nella vita non ha trovato il fallimento ma il
Vignola. Bastano pochi minuti per capi- successo, nonostante partisse svantaggiata e abre che la donna di successo che Giovanna inter- bia dovuto lottare più degli altri per raggiungepreta ne “La grande bellezza” è ricalcata su di lei, re dei risultati».
sulla sua vera personalità. D’altronde, Paolo
Sorrentino l’ha scelta
proprio per questo. Non
cercava un’attrice di mestiere per il ruolo che
aveva scritto. Cercava
una persona vera che, in
qualche modo, interpretasse se stessa. E quando l’ha trovata non l’ha
lasciata più andare.
«Lo staff di Sorrentino ha contattato l’associazione “Acondroplasia
- Insieme per crescere”
di cui io sono referente
in Umbria. Quando mi
giovaNNa vigNoLa Nei paNNi di dadiNa Ne La graNde beLLezza
hanno chiesto di andare
a Roma in produzione io l’ho presa con molta È un po’ la storia della sua vita.
«Infatti! Io sono stata sempre molto decisa e
leggerezza. Non è stato un vero e proprio provino: Paolo Sorrentino mi ha fatto per lo più do- sicura di me. Non mi sono mai fatta bloccare
mande su di me, sulla mia vita. E ha deciso su- dalla mia altezza. A diciotto anni ho preso la pabito di prendermi, ero io la sua “Dadina”. All’ini- tente, ho lasciato la mia famiglia ad Ascoli Piceno perché volevo frequentare
zio ho rifiutato ma Paolo non
l’università a Perugia; era il
ha desistito e, alla fine, ho cemi riconosco
1978. Mi sono fin da subito
duto».
dadina.
in
sentita accolta. Qui ho trovato
Come mai all’inizio non ha
lavoro al Comune e ho conoaccettato?
è una
sciuto mio marito. La mia città
«Innanzitutto perché non sodonna forte
è Perugia e vivo alla grande!».
no un’attrice e questa cosa un
Il personaggio di Dadina, dipo’ mi spaventava. Inoltre avee di successo
rettrice di un giornale e univo paura che Sorrentino avesse
in mente un personaggio ridicolo e grottesco. ca, vera, confidente di Jep Gambardella – il
Quando mi ha assicurato che, al contrario, ave- protagonista interpretato da Toni Servillo –
va in mente tutt’altro, ho cambiato idea. In fon- ha sicuramente dato segnali positivi a chi,
do, il film è stata un’ottima occasione per sensi- come lei, è affetto da acondroplasia.
«Esattamente! Ed è la cosa che mi interessa di
bilizzare il pubblico sull’acondroplasia, una malattia poco conosciuta e che, d’impatto, può cau- più. Non tutti hanno la forza e il carattere per afsare diffidenza negli altri. Anche per questo ho frontare gli sguardi della gente o le frasi dei bamdevoluto tutto il mio cachet alla ricerca sull’acon- bini che, nella loro innocente sincerità, possono
essere molto crudeli. Io sono sempre stata indidroplasia».
Invece Dadina, praticamente, è l’unico per- pendente. Ai tempi dell’università andavo in discoteca, per parlare agli sportelli pubblici prensonaggio positivo del film.
“
”
«I
o non ho partecipato per divertirmi o
per la curiosità di andare in televisione.
Ho partecipato perché era un’opportunità per realizzare il mio sogno, quello di aprire
una pasticceria». Madalina Pometescu, 27 anni,
origini romene ma residente a Marsciano da
quando aveva dieci anni, è la vincitrice dell’ultima edizione di “Bake Off Italia - Dolci in forno”, talent show presentato da Benedetta Parodi e trasmesso dal canale Real Time, che vede
scontrarsi tra loro pasticceri amatoriali.
Madalina ha trionfato in finale grazie a una
mousse ai tre cioccolati, che le ha permesso di
battere l’ultima concorrente rimasta in gara, Lucia. «Non mi aspettavo certo di vincere – ammette – ero sicura di arrivare seconda. Però la fiducia nei miei mezzi era cresciuta nel corso delle puntate, mi ero accorta di essere una delle migliori quindi un po’ ci speravo».
Quella per i dolci è una passione che ha da
sempre, anche se ha iniziato a cucinare solo da
pochi anni: «Mangiare i dolci mi è sempre piaciuto, sin da quando ero piccola, solo che non avevo mai preparato niente. Poi tre anni fa la mia
bambina mi ha chiesto di farle un dolce. Ho provato con una crostata, ho visto che mi piaceva,
e da lì non mi sono più fermata».
L’amore per la cucina è cresciuto con il tem-
do una pedana, quando salgo in ascensore uso mio marito sentirmela dire nel film è stato quauna matita per premere i tasti, sul pullman chie- si uno shock, non riuscivano a credere alle loro
do a qualcuno di timbrarmi il biglietto. Non mi orecchie. Giusto per farti capire quanto il termifaccio fermare da niente! Vivo alla ribalne “nana” fosse quasi un tabù per
ta! (Ed esplode in una risata ndr). Un
me».
mio conoscente di Perugia, acondroplaQual è stata la scena che l’ha
sico anche lui, si era sempre rifiutato di
emozionata di più?
uscire. A parte andare a lavoro non fa«Quella in cui Dadina rimane soceva nient’altro perché si vergognava.
la dopo la festa a casa di Jep. Si adDa quando ha visto il film sta sempre
dormenta e si sveglia quando la fein giro! Questo mi rende molto orgosta è finita e tutti sono andati via.
gliosa».
Nessuno, neanche i suoi amici, l’ha
Com’è stato recitare in un film ciraspettata o avvertita. Eppure lei non
La LoCaNdiNa de
condata da tanti personaggi famosi?
si
offende né si arrabbia. È una perLa graNde beLLezza
«Mamma mia! È stato stranissimo…
sona candida e buona. Mi ha fatto
ma mi sono trovata molto bene con tutti, tutti mi molta tenerezza. Io stessa e i miei amici, a vedercoccolavano. Mi sentivo una principessa. Devo la, ci siamo commossi».
dire che gran parte del merito è di Sorrentino che La grande bellezza, dopo aver vinto il Golha un grande tatto. Mi ha voluta sul set prima che den globe, è candidata all’Oscar come miiniziassero le riprese, in modo tale che mi am- glior film straniero. La notte della premiabientassi e conoscessi tutti prima che si inizias- zione si avvicina. Andrà a Los Angeles?
se a girare».
Com’è stato rivedersi sul grande schermo?
«All’inizio mi sentivo straniata e quasi infastidita. Poi, invece, mi è piaciuto».
All’inizio del film c’è una scena in cui Jep
Gambardella fa una battuta sulla sua statura e lei risponde dicendo, col sorriso: «sono
una nana! Perché non si dovrebbe dire?».
Com’è andata nella realtà? È una cosa che
lei dice davvero, nella vita reale, con tanta
giovaNNa vigNoLa suL set deL FiLm
naturalezza?
«Mi piacerebbe molto andare, più che altro per
«Assolutamente no! È stato difficilissimo girare quella scena! All’inizio mi sono rifiutata. Ho continuare a dare visibilità alla mia malattia e aldetto al regista: «No Paolo, io non la dico. Non l’associazione. Se Sorrentino mi vorrà al suo
mi esce». Ma Paolo non voleva sentire ragioni. fianco, sarò felicissima di esserci».
Pensa di recitare ancora?
Era convinto che fos«No, non sono un’attrice. E poi non
se una parola essenziaQuesto film
penso che potrei interpretare un altro
le da dire. E bisognava
dirla in quel modo, per dà un messaggio personaggio così profondo e significativo come Dadina. Io ho accettato questo
esorcizzarla. L’ho propositivo a chi
ruolo perché ero certa che potesse essevata un sacco di volte.
è affetto da
re d’esempio a chi è affetto dalla mia maAlla fine ci sono riulattia
e ai loro familiari. Quindi, reciterei
scita e devo dire che
acondroplasia
ancora soltanto se mi offrissero un altro
Paolo aveva ragione,
ruolo capace di dimostrare che una persona
mi sono sentita liberata».
E da allora usa di più la parola “nana” rife- acondroplasica può vivere una vita normalissima e avere anche successo. Come tutti gli altri».
rita a se stessa?
«Sicuramente più di prima. Per i miei amici e
aNtoNeLLa spiNeLLi
“
”
Madalina ha vinto il talent show “Bake Off Italia” e ora aprirà la sua pasticceria
il sogno diventa reality
madaLiNa pometesCu,
viNCitriCe deL taLeNt show
po, fino a diventare qualcosa di più: «Un anno
fa ero ancora senza un lavoro fisso, allora mi sono detta “basta, così non
può andare” e ho deciso di far diventare la mia
passione un vero e proprio lavoro. Mi sono
iscritta al corso base dell’Università dei Sapori
“bake oFF itaLia”
(centro di formazione promosso dalla Confcommercio di Perugia, ndr) dove ho imparato le basi della preparazione dei dolci e soprattutto ad
utilizzare i macchinari delle cucine professionali. Se non avessi vinto “Bake Off Italia” avrei fatto altri corsi».
Grazie al successo del talent show Madalina
sembra ora lanciata nel mondo della cucina, non
solo come pasticcera ma anche come autrice. Sì
perché la vittoria le dà l’opportunità di pubblicare un libro di ricette tutto suo, che uscirà a breve: «Credo che sarà nelle librerie intorno alla metà di febbraio. Ci sto ancora lavorando, voglio
che sia accessibile a tutti, con ricette semplici rivisitate da me. D’altronde quella di modificare i
dolci è una mia abitudine, non faccio mai una
torta uguale all’altra».
Se si parla di dolci in Umbria non si può non
pensare ad Eurochocolate, la manifestazione tutta centrata sul cioccolato che ogni anno porta a
Perugia migliaia di visitatori. Sembra che il patron dell’evento, Eugenio Guarducci, voglia proporre a Madalina una collaborazione per l’edizione di quest’anno: «In realtà questa notizia l’ho letta solo sui giornali – ride la diretta interessata – finora non mi ha contattata nessuno». Sta
invece valutando la possibilità di tornare all’Università dei Sapori, questa volta come docente.
Tanta celebrità non sembra pesarle: «Mi è capitato che mi riconoscessero a Marsciano ma anche a Milano. Non mi dà fastidio, mi godo questo momento». E il pensiero torna alla sua pasticceria, «il mio sogno che diventerà realtà».
LoreNzo grighi
15 FEBBRAIO 2014
7
CULTURA
Cinquemila persone al giorno per il ritorno del quadro dai Musei Vaticani. Appassionati d’arte ma anche tanti devoti
Foligno ritrova la sua madonna
La pala d’altare di Raffaello esposta per una settimana al monastero di Sant’Anna, il luogo che l’ha custodita per due secoli
L
a Madonna di Foligno è tornata a casa. solo per un quarto d’ora. Non c’è neanche il targa dedicatoria al centro del dipinto, rimasta
La pala d’altare di Raffaello, datata attor- tempo di pregare per bene», dice una delle tante vuota nel corso dei secoli. La tavola, la prima
pala d’altare romana di Raffaello, rimase a
no al 1512, è stata esposta per una setti- signore in fila a via dei Monasteri.
Roma qualche anno fino a quando una
mana nel monastero di Sant’Anna,
nipote di Sigismondo, la badessa Anna
il luogo che l’ha custodita dal 1565
Conti, lo fece trasferire nel suo convenal 1797, prima del ratto delle truppe
to, Sant’Anna a Foligno, appunto.
napoleoniche che l’hanno portata a
L’iconografia è ispirata a un episodio
Parigi e delle trattative con i Musei
narrato nella Legenda Aurea, il testo
Vaticani, dove il quadro ha la sua
agiografico medievale per eccellenza.
normale collocazione. Per Foligno
Secondo il racconto la Madonna sarebun successo da cinquemila visitatobe apparsa all’imperatore Augusto,
ri al giorno, naturale seguito dei
davanti al disco solare, circondata dagli
240.000 visitatori che avevano già
angeli e con il Bambino. Ottaviano,
potuto ammirare il quadro a Milano
impressionato dalla visione avrebbe
in autunno, grazie ad un accordo di
riconosciuto la grandezza di Gesù,
partenariato tra l’Eni e i musei del
rinunciando così a farsi venerare come
Papa.
un dio. Questa rappresentazione di
I folignati hanno fatto ore di fila,
Maria domina la parte alta della tavola,
anche sotto la pioggia, per ammiramentre a sinistra ci sono San Giovanni
re la “loro” Madonna, a gruppi di
Battista e San Francesco e, a destra, il
venticinque persone alla volta. «La
committente, sul quale si appoggia San
sentono loro e la sentono come una
Girolamo, considerato il primo segretacosa che gli è stata rubata», spiega
rio pontificio della storia. Sullo sfondo,
Cinzia Manfredini, organizzatrice
un centro abitato.
dell’evento. «Già nel 2004, quando
«La città che si vede sullo sfondo è
il quadro era stato prestato per una
Foligno, luogo d’origine del committenmostra a Dresda, la cittadinanza
te», spiega il direttore dei Musei
aveva raccolto una petizione di dieVaticani, il professor Antonio Paolucci:
cimila firme per farla tornare a
«insieme al cielo è la cosa più bella di
Foligno. Sono molto attaccati al
quella pala. Queste nuvole che diventadipinto. Materiale promozionale e
no volti di cherubini. Queste nuvole
cataloghi stanno andando a ruba».
azzurre e grigio-viola, che sono uno dei
Gino, che ha scoperto l’esistenza
cieli più belli d’Italia che siano mai stati
del quadro grazie a questa mostra
dipinti. E poi il paesaggio straordinariane ha presi due. Per lui l’evento è
mente ricco di luci e di colori. E’ il
un’occasione per promuovere il
“madoNNa CoN iL bambiNo e saNti giovaNNi, FraNCesCo, giroLamo e iL doNatore
s
igismoNdo de’ CoNti, detta “La madoNNa di FoLigNo”, raFFaeLLo, 1512
“momento veneziano” di Raffaello,
turismo nella sua città: «sta venendo
quando attraverso Lorenzo Lotto e
molta gente anche da fuori e questo
aumenterà l’indotto per tutta Foligno». Per
Eppure il quadro di Raffaello non era stato Sebastiano Del Piombo conosce Giorgione e la
molti il ritorno della grande pala d’altare – quasi commissionato per Foligno. Sigismondo De’ veneziana civiltà del colore. E’ il momento stilidue metri d’altezza – non è tuttavia una que- Conti, segretario di Papa Giulio II Della stico che possiamo ammirare nella “stanza di
stione economica e anche l’aspetto culturale, Rovere, lo aveva commissionato come ex-voto Eliodoro” in Vaticano. E’ stato emozionante
che era stato preponderante a Milano, è margi- per l’altare maggiore della chiesa di cui aveva il riportare la Madonna nel posto che era suo e la
nale. Spesso chi è andato a vedere la Madonna patronato, Santa Maria in Aracoeli in risposta della popolazione è stata veramente
di Raffaello, lo ha fatto per motivi devozionali, Campidoglio. Sigismondo morì prima del com- commovente»
miCheLe raviart
spirituali. «Possiamo stare davanti al quadro pletamento dell’opera – come testimonia la
a roma si celebrano i tesori umbri
I reperti della tomba etrusca dei Cacni, sottratti al mercato clandestino, in mostra alle Scuderie del Quirinale
È
una lunga storia quella che ha condotto 23 urne etrusche provenienti da
Perugia alla mostra “La memoria ritrovata” allestita alle Scuderie del Quirinale.
Rimaste a “riposare in pace” per più di duemila anni, protette da una camera ipogea
nascosta nel terreno, hanno poi vagato per
undici anni passando dalle
mani dei tombaroli a
quelle dei collezionisti.
Ma andiamo
con ordine.
È il 2003
quando un’impresa
edile
perugina inizia
gli scavi per
costruire una
palazzina ad
Elce, nei pressi dell’Onaosi.
uNa deLLe 23 urNe FuNerarie.
Durante i lavo- suL marmo traCCe di verNiCe dorata
ri si imbattono
in una tomba, ricchissima. All’interno della
camera ipogea, che viene distrutta, ci sono 23
urne in travertino bianco umbro, molte delle
quali con tracce di vernici colorate e decorate ormai distrutta ma i lavori non sono stati vani:
con altorilievi e fregi. Oltre alle urne, decine di accanto alla tomba dei Cacni ne viene trovata
preziosi reperti: utensili in ceramica e rari un’altra più piccola ma intatta. Al suo interno il
oggetti in bronzo.
corredo funerario e 6 urne, più semplici
La tomba, a quanto si deduce dalle iscriziorispetto a quelle dei Cacni. Accanto alle
ni sulle urne, appartiene ai membri di una
due camere ipogee ne è poi emersa
famiglia aristocratica: i Cacni. Gli opeuna terza, questa volta però vuota.
rai non sanno che si tratta della più
Ritrovamenti, questi, che
importante scoperta etrusca degli
danno indizi sulla topografia
ultimi trent’anni, dopo il ritrovaperugina del periodo ellenimento della tomba dei Cutu,
stico, tra il III e il II secolo
sempre a Perugia. Tuttavia,
a.C. Un momento storico
intuiscono il grande valore del
importantissimo nella storia
ritrovamento e decidono di non
di Perugia, che fa da spardenunciarne la scoperta e optatiacque tra il periodo etrusco
re per il mercato nero. Alcune
e quello romano. Allora,
delle urne vengono lasciate al
l’attuale quartiere di Elce era
sicuro sottoterra, le altre sono affidauna sorta di piccola necropoli
te ad un “esperto” del settore, specializzato
fuori dalle mura della città.
nella vendita illegale di opere d’arte.
Adesso, finalmente, il tesoL’eLmo iN broNzo
Ed è proprio seguendo le sue tracro che ha rischiato di scomce che i carabinieri – nel giugno del 2013 – arri- parire per sempre nelle mani di pochi colleziovano a ricostruire tutta la storia ritrovando, una nisti è visibile a tutti. Fino al 16 marzo sarà
dopo l’altra, tutte le urne.
esposto alle Scuderie del Quirinale per poi torLa sovrintendenza ai beni archeologici nare a riposare nel suo luogo di origine:
dell’Umbria si mette, così, a lavoro. La camera Perugia.
ipogea dalla quale provenivano i reperti è
aNtoNeLLa spiNeLLi
un patrimonio
sparso nel mondo
S
e tornassero indietro non basterebbe l’intero Palazzo dei Priori per ospitarle tutte.
Sono le opere d’arte umbre sparse per il
mondo, un’enorme collezione disseminata tra
Metropolitan di New York, Hermitage di San
Pietroburgo, Musée de beaux arts di Lione e tanti altri. Impossibile avere numeri precisi, ma si
parla di migliaia di capolavori dell’arte della regione che nel corso dei
secoli hanno lasciato i
luoghi nei quali erano
stati creati per non fare
più ritorno.
Laura Teza, professoressa di Storia dell’arte
moderna all’Università di
Perugia, spiega: «Dietro
le vicende di quelle opere c’è tutta la storia d’Ita“Lo sposaLizio deLLa
vergiNe” di raFFaeLLo
lia. Un passato doloroso,
condizionato dalla scarsa attenzione del nostro
Paese per la conservazione dei tesori d’arte nei
loro luoghi originari».
La Pala d’altare di Raffaello, che ha fatto temporaneamente ritorno a Foligno, è solo l’ultimo
nome di una lunga lista. Altri esempi? La “Visitazione della Vergine” di Domenico Alfani, una
“Madonna con Bambino e i santi Quattro coronati” di Giannicola di Paolo, lo “Sposalizio mistico di santa Caterina” di Orazio Alfani. Tutti esposti al Louvre di Parigi.
Ancora: lo “Sposalizio
della Vergine” del Perugino, finito al museo
di Caen in Normandia,
una “Vergine assunta
da San Filippo Neri”,
esposta a Lione, un
“San Bartolomeo” del
Perugino, che ha sorvolato l’oceano per armoLte opere veNNero
rivare negli Stati Uniti
portate iN FraNCia
nel museo di Birminda NapoLeoNe
gham, in Alabama. Si
potrebbe continuare a lungo.
Gran parte di queste opere d’arte hanno lasciato l’Umbria durante la campagna d’Italia di Napoleone, che fece razzia dei capolavori che trovò
in tutta la penisola. «Si trattò di un bottino di
guerra, una cosa normale per quei tempi. Molte
opere tornarono il Italia dopo la disfatta di Waterloo grazie ad Antonio Canova, ma si fermarono nella Pinacoteca Vaticana, dove si trovano tuttora» continua la professoressa Teza.
Non si può però parlare di “furti”: «Quasi tutte queste opere, direi almeno il 90 percento, sono state portate via in
maniera legale. Il fatto è
che l’Italia si è dotata so“madoNNa CoN bambiNo e lo in tempi relativameni saNti Quattro CoroNati” te recenti, nel 1939, di
di giaNNiCoLa di paoLo
una legislazione in materia». Oggi l’esproprio può essere concesso solo
in seguito all’approvazione della soprintendenza,
che però ha le mani legate per quanto riguarda
le opere che sono state portate fuori dall’Italia
prima del ’49.
I dipinti umbri, tranne qualche breve periodo
di “villeggiatura” nelle proprie città natali, sembrano dunque destinati a rimanere confinati fuori dalla regione ancora per molto tempo.
LoreNzo grighi
La storia
8
15 FEBBRAIO 2014
da
siNistra verso destra:
aNgeLo terraCiNa
piperNo;
e sua mogLie
eLvira
moNsigNor giovaNNi battista moNtiNi
1963
papa CoN iL Nome di paoLo vi;
diveNuto suCCessivameNte, NeL
uN soLdato deLLa brigata ebraiCa
paLestiNese, Che Liberò La Città di
assieme aLLa sua FamigLia;
todi,
piazza di todi dove La
terraCiNa trasCorse La prima
uNa veduta deLLa
FamigLia
Notte prima di essere ospitata NeLLa
Casa deL sigNor
LeopoLdo marri.
La storia di Alberto e dei suoi cari, scampati alla persecuzione antisemita grazie alla generosità di una famiglia umbra
«zio Leopoldo rischiò la vita per noi»
«C
Partirono da Roma con dei documenti falsi a bordo di un camion. L’autista li lasciò a Todi dopo tre controlli delle SS
on la legge mussoliniana della difesa della razza, tutti gli ebrei furono
cacciati dalle istituzioni, dalle scuole. Eravamo diventati cittadini non di serie B ma
di infima serie».
Inizia così l’intervista al signor Alberto Terracina, «italiano romano di religione ebraica» come
ama definirsi. Lui conosce bene quali conseguenze hanno avuto le leggi razziali emanate nel
1938 perché proprio quei decreti e ciò che è accaduto dopo hanno avuto delle forti ripercussioni sulla sua famiglia. La sua storia ha un “lieto”
fine se paragonata a quella di molti altri ebrei. Alberto Terracina, assieme al padre Angelo, alla
mamma Elvira e a suo fratello Leo riuscirono infatti a sfuggire alle persecuzioni messe in atto nel
1943 dai nazi-fascisti. Originaria di Albano Laziale, la famiglia Terracina vantava un’amicizia
con l’allora Monsignor Montini, successivamente divenuto Papa con il nome di Paolo VI, che
«nel novembre del 1943 riuscì a farci avere documenti falsi cambiando il cognome da ‘Terracina’ a ‘Bonacina’ e con quelli ci fece salire su un
camion diretto ad un monastero umbro, nessuno di noi sapeva quale in particolare».
Durante il viaggio, il camion sul quale viaggiavano fu fermato ben tre volte dalle SS ma l’autista riuscì ad evitare il peggio. Spaventato, però, dal pericolo che stava correndo, decise di fermarsi a Todi e di far scendere i Terracina nella
piazza principale dove trascorsero la notte. Il signor Alberto, che allora aveva due anni e mezzo,
ricorda la generosità dei tuderti il mattino seguente «ci fu una gara di tutti i cittadini per portarci coperte e pasti caldi». In particolare, però,
ci fu un uomo che si prodigò per la famiglia Terracina. Si tratta di Leopoldo Marri che decise di
ospitare la famiglia Terracina a casa propria, «ci
diede la camera dei suoi figli, fummo assistiti da
questa meravigliosa famiglia fino al giugno del
1944». A parte il signor Leopoldo, nessuno dei
Marri era a conoscenza della vera identità dei
Terracina, neanche la signora Ida, sua moglie e i
figli Enrica e Luigi. «Non disse nulla, aveva pau-
a un medico. «A causa di una febbre alta, mia
madre decise di farmi visitare dal dottor Orsini.
Lui durante la visita, si accorse che ero circonciso e quindi di religione ebraica ma non disse
nulla». I Terracina rimasero ospiti in casa Marri
“
”
aLberto terraCiNa NeLLa sua Casa romaNa
ra che potessero pregiudicare la nostra presenza e la loro sicurezza perché hanno rischiato
molto». Il rischio infatti era alto.
Degli anni passati a Todi il signor Alberto ricorda soprattutto la cucina della signora Ida e le
frittelle che cucinava. Poi una piccolo particolare, «nella cattedrale di Todi, sulla strada c’è un
piccolo anfratto e quando c’era la sirena di eventuali bombardamenti io scappavo e mi andavo
a nascondere proprio lì». Oltre al signor Marri, o
‘zio Leopoldo’ come lo ha sempre chiamato il signor Alberto, i Terracina si sentono grati anche
fino al giungo del 1944 quando arrivò la brigata
ebraica palestinese. «Fu davvero una grande sorpresa essere liberati da loro perché noi eravamo
ebrei scampati alle persecuzioni nazi-fasciste ed
eravamo liberati da altri ebrei provenienti dalla
lontana Palestina».
Una volta tornati a Roma, però, la vita per la
famiglia Terracina non fu affatto facile. «Andammo subito a casa dei nonni materni e lì ci fu desolazione perché non trovammo più nessuno». Se
da un lato, infatti, ci fu chi rischiò la vita per salvare gli ebrei, come il signor Marri, ci furono per-
I
l nome di Gino Bartali è da oggi
scolpito nel «Giardino dei Giusti tra
le Nazioni» a Yad Vashem, il memoriale ufficiale israeliano delle vittime
dell’olocausto. A inaugurare l’inserimento di “Ginettaccio” nella lista di
marmo con gli oltre 500 italiani che
riscattarono l’onore del Paese, è stato
il figlio Andrea. Bartali è tra quelli che
ebbero il coraggio di dire no alla barbarie nazista. Gino, toscano burbero
e schivo, ha salvato ottocento ebrei
dai campi di concentramento nascondendo sotto il sellino e nella canna
shoah, bartali «giusto tra le nazioni»
della bici documenti falsi. Fra il settembre ’43 e il giugno del ’44, l’eterno rivale di Fausto Coppi si è infatti
adoperato in favore dei rifugiati ebrei
compiendo numerosi viaggi in bicicletta dalla stazione di Terontola-
Quattro Colonne
Anno XXIII
numero 3 – 15 febbraio 2014
Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori
per la Formazione e l’Agg.to di Giornalismo Radiotelevisivo
Direttore responsabile:
Antonio Socci
In redazione
Laura Aguzzi – Cecilia Andrea Bacci – Carlotta Balena –
Antonio Maria Bonanata – Alessandra Borella – Edoardo
Cozza – Nicole Di Giulio – Giuseppe Di Matteo –
Federico Frigeri – Lorenzo Maria Grighi – Manlio
Grossi – Michela Mancini – Alessia Marzi – Nicola
Mechelli – Alessandro Orfei – Antonello Paciolla – Lucina
Meloni Paternesi – Michele Raviart – Valentina Rossini –
Giulia Sabella – Luca Serafini – Antonella Spinelli –
Sophie Tavernese – Caterina Villa
SGRT Notizie
Presidente: Nino Rizzo Nervo
Direttore: Antonio Bagnardi
Coordinatori didattici:
Luca Garosi – Dario Biocca
sone che agirono in altro modo. Denunciarono
la presenza di ebrei alle truppe nazi-fasciste, spinte probabilmente dal compenso che ricevevano.
«Per ogni ebreo adulto segnalato e poi catturato
si ricavavano 5 mila lire e 2 mila lire per ogni bambino». Per questo motivo, qualcuno segnalò la
presenza dei nonni e degli zii materni del signor
Alberto nella loro casa situata in viale in viale Trastevere, fuori quindi dal ghetto in cui avvenne il
rastrellamento
del 16 ottobre
Spero che
1943. Nessuno
di loro fece ritori giovani
no, furono depossano
portati ad Auschwitz e lì trorendersi conto
varono la morte.
«Noi tutto som- della ferocia che
mato siamo stati
fortunati ma è c’è stata contro
una fortuna relagli ebrei
tiva perché non
abbiamo mai avuto la gioia di poter trascorrere
del tempo con i nostri nonni, i nostri zii e i nostri cugini». La speranza di poter riabbracciare il
resto della famiglia era forte a tal punto che la
mamma del signor Alberto «tornò a vivere nella
casa dei propri genitori proprio per aspettarli, con
la speranza che qualcuno ritornasse». Speranza
che si spense nel 1946 quando arrivò la comunicazione che nessuno era sopravvissuto.
Oggi, a distanza di molti anni, il signor Alberto Terracina si impegna per portare la sua testimonianza in occasione delle varie cerimonie dedicate all’Olocausto perché vuole che «i giovani
possano apprendere e rendersi conto della ferocia che c’è stata contro gli ebrei durante quegli
anni».
Redazione degli allievi della Scuola
a cura di Sandro Petrollini
Registrazione al Tribunale di Perugia
N. 7/93 del marzo 1993
maNLio grossi
Cortona fino ad Assisi trasportando
fogli e foto nascosti affinché una
stamperia segreta potesse falsificare i
documenti necessari alla fuga dei
perseguitati. Andrea Bartali racconta
che il padre pronunciava sempre queste parole: «Il bene si fa ma non si
dice e sfruttare le disgrazie degli altri
per farsi belli è da vigliacchi».
Racconti di altri tempi che danno la
dimensione delle persone, dei protagonisti e della vita: com’era e come
adesso è cambiata.
NiCoLa meCheLLi
Segreteria: Villa Bonucci
06077 Ponte Felcino (PG)
Tel. 075/5911211
Fax. 075/5911232
e-mail: sgrtv@sgrtv.it
http://www.sgrtv.it
Spedizione in a.p. art.2 comma 20/c
legge 662/96 Filiale di Perugia
Stampa: Graphic Masters - Perugia