Corriere della sera

LUNEDÌ 15 SETTEMBRE 2014 ANNO 53 - N. 36
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Le elezioni
In Svezia vince la sinistra
Ma avanzano gli xenofobi
La manifestazione
Merkel in prima fila
contro l’antisemitismo
di Giuseppe Sarcina
e M. S. Natale a pagina 12
di Paolo Lepri
a pagina 13
La guida ai mutui
Il denaro costa meno
Ecco come risparmiare
Oggi
su
CorrierEconomia
di Gino Pagliuca
nel supplemento
Il britannico decapitato. Il sottosegretario Giro: noi trattiamo per i rapiti, poi la smentita
E ORA RENZI
FACCIA I NOMI
«Fermeremo l’Isis, sono mostri»
di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA
Sdegno di Cameron e Obama. Paesi arabi alleati per i raid
«Fermeremo l’Isis. Non sono musulmani,
sono mostri». Così il premier britannico Cameron il giorno dopo la decapitazione del cooperante David Haines. Intanto il sottosegretario
Giro afferma che l’Italia «prova a fare di tutto»
per i suoi ostaggi, negando però «trattative».
Giannelli
di ANGELINO ALFANO
aro direttore,
un’altra efferata
esecuzione si è aggiunta alla
lunga cronologia del terrore,
una spietata strategia di
comunicazione da parte del
fondamentalismo islamico.
Il terrorismo internazionale di matrice
religiosa, sotto la finta maschera di una
tradizione, nasconde una violenta sete di
dominio che si allunga come un’ombra
verso l’Occidente, cioè verso quei Paesi che
hanno, come pilastro fondativo, la libertà
della persona nel nome della democrazia.
❜❜
T
re ostaggi assassinati. Altri in attesa
nel braccio della morte dell’Isis.
Cittadini di Paesi, Usa e Gran Bretagna, che
non versano riscatti ai terroristi. Fino a
qualche mese fa insieme alle vittime c’era
anche un prigioniero italiano, tornato libero
in cambio di molti milioni.
CONTINUA A PAGINA 31
CONTINUA A PAGINA 5
MotoGp, Rossi batte tutti a 18 anni dal primo successo
S
e il prestigio di cui
dispone un’istituzione è
rivelato dal modo in cui essa
è trattata dalle altre
istituzioni, allora bisogna
constatare che la Corte
costituzionale e il Consiglio
superiore della magistratura
non ne hanno a sufficienza.
Se le suddette istituzioni
fossero oggetto di un diffuso
rispetto, magari anche di
deferenza, da parte
dell’opinione pubblica o di
un suo settore maggioritario,
se godessero di alto prestigio
nel Paese, allora il Parlamento
non potrebbe permettersi di
trattarle come ha fatto e
come ora sta facendo.
CONTINUA A PAGINA 31
ALLE PAGINE 10 E 11 Martirano
Il sondaggio Giudizi divisi a metà su Padoan
Il decisionismo del premier
piace al 56% degli italiani
Voti negativi per i ministri
di NANDO
PAGNONCELLI
Nuova tragedia
L
L’eterno Valentino trionfa ancora
di ROBERTO DE PONTI, ALESSANDRO PASINI e GIORGIO TERRUZZI
E
ra il 18 agosto 1996 quando Rossi vinceva la sua prima gara a Brno in 125. Ieri, 18 anni e
27 giorni dopo, quel ragazzetto con un po’ più di barba ma con lo stesso lampo negli occhi
azzurri, ha trionfato di nuovo a Misano Adriatico vincendo il Gp di San Marino. ALLE PAGINE 44 E 45
CONTINUA A PAGINA 31
Alex e il doping, la verità di Carolina
I rossoneri passano a Parma: raggiunte Juve e Roma
«L
ui aveva un macchinario elettrico, dal
quale partiva un tubo collegato a una maschera che
metteva sul viso per l’intera
durata della notte e io ero
costretta a mettermi i tappi
alle orecchie dal rumore»:
così Carolina Kostner al
magistrato di Bolzano che
le chiedeva del doping del
fidanzato Alex Schwazer.
A PAGINA 21
C
di GUIDO OLIMPIO
L’interrogatorio Kostner: Schwazer dormiva con l’ossigeno, dovevo usare i tappi
di ANDREA
PASQUALETTO
«Le norme antimafia
contro i nuovi jihadisti»
IL DILEMMA (ANTICO)
SUI RISCATTI AI RAPITORI
LA COMMEDIA
CHE SVILISCE
DUE GIÀ DEBOLI
ISTITUZIONI
di ANGELO PANEBIANCO
L’iniziativa
DA PAGINA 2 A PAGINA 5
Consulta e Csm
Mauro Icardi, autore di tre gol al Sassuolo
Incredibile Milan:
5-4 e primo posto
Inter travolgente:
7 gol al Sassuolo
SERVIZI, ANALISI e PAGELLE
NELLO SPORT ALLE PAGINE 43 46 47 48 E 49
o stile di conduzione
del governo, molto incentrato sul premier, piace alla maggioranza degli
italiani: il 56% lo ritiene
positivo perché rende le
scelte più forti e rapide,
mentre il 33% è di parere
opposto.
L’esecutivo, composto
da molti giovani ministri,
per il 66% rappresenta poi
una positiva rottura con il
passato e la loro presenza
dà più energia all’azione
di governo. Ma dai dati
sulla fiducia riscossa dai
principali ministri emerge una prevalenza di giudizi negativi, con l’eccezione di Padoan, su cui i
pareri sono divisi a metà.
Libia, affonda un barcone
«Morti oltre 200 migranti»
A PAGINA 6
A PAGINA 17 Bruno
ANSA / GUARDIA COSTIERA
amministrazioni con la farraginosità spesso assurda
delle procedure. È un elenco da far tremare le vene ai
polsi: per la complessità di
ognuna delle materie indicate, ma soprattutto per la
forza e la determinazione
delle categorie, degli interessi, dei gruppi di pressione, che — è fin troppo facile prevederlo — sentendosi
ogni volta minacciati dal
minimo cambiamento saranno pronti, come hanno
già fatto mille volte, a scendere sul sentiero di guerra
contro il governo servendosi di tutti i mezzi.
È nell’aspra lotta contro
questi avversari che si deciderà il futuro dell’Italia e,
insieme, il destino del presidente del Consiglio: ed è
dunque in vista di questa
lotta che egli deve trovare
d’ora in avanti il consenso
senza il quale sarà sicuramente sconfitto. Ma un tale
consenso — non superficiale, strutturato — egli
riuscirà a trovarlo solo se
cambierà il suo modo di
comunicare con il Paese,
solo se il suo rapporto con
esso farà uno scatto in
avanti decisivo. Non più
fondato sulla «simpatia»,
su un gesto più o meno accattivante, su un sorriso o
una battuta indovinata,
bensì sulla capacità di creare nell’opinione pubblica
un diffuso e ben radicato
convincimento della necessità di fare le cose che
vanno fatte. Proprio in vista
di ciò d’ora in poi il presidente del Consiglio deve
smettere d’intrattenere il
Paese, deve parlargli: che è
cosa diversa.
L’Italia, se vuole cambiare, ha bisogno innanzi tutto di verità e di serietà. Di
entrambe Renzi deve farsi
carico: con interventi non
estemporanei e con un discorso alto, e magari drammatico, come il momento
richiede e come i leader
democratici degni del nome hanno l’obbligo di saper fare.
MARCO IORIO
g i u n t a l ’o r a , m i
sembra, che Matteo
Renzi compia un
gesto che in Italia è
sempre rivoluzionario: e
cioè faccia nomi e cognomi. Solo una tale novità, infatti, può rappresentare
quel salto di qualità nella
comunicazione del premier con il Paese che la gravità della crisi e l’urgenza
dei suoi possibili rimedi richiedono.
Non è più possibile e
non ha più senso continuare a indicare gli avversari
del governo e delle sempre
annunciate riforme evocando genericamente «gufi e rosiconi». «Gufi e rosiconi» — ce lo consenta il
presidente del Consiglio —
insieme ai «selfie», al «cinque», ai «Twitter», agli
hashtag, hanno fatto parte
di un ambito comunicativo
ormai oggettivamente superato: quello in cui egli si
è impegnato a «farsi un’immagine» e costruire consenso intorno alla sua persona. Sono serviti a sottolinearne l’informalità, la giovinezza, la simpatia, la
carica di rottura rispetto al
passato. E l’hanno fatto
egregiamente: il risultato si
è visto sul piano elettorale
così come si continua a vedere nei sondaggi. Sta bene; ora però serve un consenso diverso.
Ora a Renzi serve un
consenso non più sulla sua
persona (che già ha), ma
sulla sua politica. Politica
che, lo sappiamo, può essere solo quella delle tanto
attese e sempre rimandate
riforme. Per citare alla rinfusa le principali: l’ammontare esorbitante della
spesa pubblica, i costi e gli
eccessivi poteri delle Regioni, l’eccessivo prelievo
fiscale sul lavoro nelle sue
varie forme e le norme sui
contratti di lavoro, l’ordinamento giudiziario, la chiusura corporativa degli ordini professionali, lo strapotere paralizzante dell’alta
burocrazia, la scarsa efficienza di tutte le pubbliche
ANSA / DANIEL DAL ZENNARO
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Un barcone con 250 migranti è affondato al
largo delle coste libiche. I morti sono oltre
200, soltanto 26 i naufraghi salvati. «Ci
sono tanti corpi che galleggiano in mare»,
ha detto il portavoce della Marina libica. La
Guardia costiera italiana, negli ultimi
giorni, ha salvato nelle acque di Tripoli
circa 600 migranti (nella foto).
2
Primo Piano
Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
italia: 51575551575557
#
Il terrorismo La sfida all’Occidente
La coalizione internazionale
Cosa fanno gli Stati che si sono impegnati
a combattere lo Stato islamico
Norvegia
Finlandia
Gran Bretagna
Estonia
Canada
Danimarca
Sud Corea
Germania
Polonia
Irlanda
Giappone
Usa
Ungheria
Francia
Svizzera
Australia
Nuova Zelanda
Spagna
ITALIA
Sostegno militare
Turchia
Albania
Aiuto umanitario e/o finanziario
Tunisia
Assistenza logistica
Marocco
Altre forme di aiuto
Algeria
Libia
Libano
Giordania
Egitto
Mauritania
Iraq
Iran
Kuwait
Qatar
Arabia
Saudita
Oman
Sudan
Emirati
Arabi Uniti
Sud Sudan
Somalia
CDS
Londra: lotta senza quartiere all’Isis
Dopo l’uccisione di Haines. Il sottosegretario Giro: di tutto per liberare gli italiani
A «In mezz’ora»
Il curdo
Barzani:
«Dateci
più armi»
I peshmerga curdi che
combattono contro l’Isis
nel nord dell’Iraq hanno
bisogno di «armi di altro
tipo, oltre a quelle
ricevute, armi avanzate e
sofisticate». Lo ha detto il
presidente del Kurdistan
Massoud Barzani,
intervistato da Lucia
Annunziata nel corso
della trasmissione «In
mezz’ora». «Quello che è
arrivato è di grande
aiuto, ma serve molto di
più: armi anticarro ed
elicotteri da
combattimento», ha
aggiunto Barzani
scendendo nel dettaglio.
«Non combattiamo solo
contro terroristi ma
contro un vero e proprio
Stato che si è
impossessato di armi che
l’esercito aveva in
dotazione, armi
americane», ha spiegato
il presidente, riferendosi
alla conquista di Mosul,
quando l’esercito
iracheno scappò e i
miliziani jihadisti si
impossessarono di tutte
le armi. Barzani ha anche
confermato che è in
corso un riavvicinamento
tra Turchia e i separatisti
curdi del Pkk: «Siamo
compiaciuti che questo
processo di pace sia
cominciato e proceda.
Anche se a passi non
veloci. L’inizio è però in
sé un successo, siamo
orgogliosi di aver dato la
possibilità di cominciare.
Noi lo appoggeremo».
DAL NOSTRO INVIATO
LONDRA — «Non sono musulmani, sono mostri». David
Cameron ha parlato ieri mattina
alla nazione dalla residenza di
Downing Street. La voce decisa, il
mento sudato. Ha definito David
Haines, il cooperante di 44 anni
ucciso dai terroristi dell’Isis che
hanno filmato la sua esecuzione,
«un eroe britannico». Il cosiddetto Stato Islamico che ha conquistato pezzi di Siria e di Iraq è
composto da una banda di «mostri»: «Daremo la caccia agli assassini di David e li porteremo
davanti alla giustizia». La Gran
Bretagna «prenderà tutte le misure necessarie» in patria e fuori
per distruggere la minaccia dell’Isis, ha detto Cameron al termine di una riunione della commissione Cobra per le emergenze na-
zionali. E lo farà «in una maniera
calma e ponderata».
Il leader conservatore ha usato
parole molto dure, pur ricordando che la Gran Bretagna sta già
collaborando con i suoi caccia ai
raid americani. Nella notte,
quando si era diffusa la notizia
del video, Cameron aveva affidato a Twitter i suoi pensieri: «Un
atto di pura malvagità, troveremo i colpevoli». Ieri mattina, pur
senza entrare nei dettagli, il primo ministro ha lasciato intendere che il suo Paese sarà in prima
linea in questa guerra. Sembrano
passati anni e non mesi da quando la proposta del governo di
bombardare le postazioni del regime siriano (accusato di usare le
armi chimiche contro i civili) fu
bocciata a sorpresa dal Parlamento di Westminister. Adesso il
nemico è dalla parte opposta del-
la guerra civile siriana rispetto al
presidente Assad, e le cicatrici di
un decennio di interventi armati
dal Medio Oriente all’Afghanistan sembrano contare meno per
l’opinione pubblica su entrambe
le sponde dell’Atlantico e non solo. Lo Stato dei mostri che hanno
ucciso Haines sono una minaccia
per tutti, dice Cameron, non solo
«per l’Europa e per civili inermi»
che soffrono nelle aeree sotto il
controllo dell’Isis, «per le minoranze, compresa quella cristiana».
Reazioni sdegnate per l’esecuzione di Haines sono arrivate da
tutto il mondo. Obama ha ribadito: «Lavoreremo con il Regno
Unito e con un’ampia coalizione
per portare i responsabili di questo atto barbaro davanti alla giustizia e per distruggere questa
minaccia ai popoli dei nostri Pae-
si, della regione e del mondo». Il
presidente della Repubblica Napolitano ha scritto alla regina Elisabetta esprimendo «la più ferma condanna anche a nome del
popolo italiano» per un atto che
ha definito di «autentico orrore».
Sulla questione ostaggi l’Europa
continentale è su posizioni opposte a quelle di Gran Bretagna e
Stati Uniti. Ieri il sottosegretario
agli Esteri Mario Giro ha ribadito
che il nostro Paese «farà di tutto»
per salvare la vita dei connazionali nelle mani dell’Isis. Alla dichiarazione è seguita una polemica, perché qualcuno ha inteso
l’intenzione di «trattare» con i
terroristi. Subito la smentita di
Giro: «Non ho mai utilizzato il
termine “trattare”. Ho detto invece che la nostra politica è di non
abbandonare nessuno e per raggiungere questo obiettivo stu-
diamo tutti i mezzi possibili e leciti». Sulla stessa linea è la Francia del presidente François Hollande, che pure ospiterà domani
a Parigi un vertice internazionale
dove discutere la situazione irachena. Sulla carta una coalizione
anti-Isis sembra prendere forma:
il leader australiano Tony Abbott
ha annunciato ieri l’invio di un
contingente di 600 soldati che
avrà base negli Emirati Arabi. La
condizione è che il governo di
Bagdad dia via libera a operazioni sul suo territorio. Anche diversi Stati arabi hanno offerto il loro
contributo ai raid aerei contro le
roccaforti dell’Isis, secondo fonti
del Dipartimento di Stato che
hanno accolto con favore l’offerta
attribuibile ad Arabia Saudita e
Qatar. In una intervista con la Bbc
il vice ministro degli Esteri siriano Faisal Mekdad ironizza sui Pa-
L’intervista Lo studioso ed ex consulente degli Usa Vali Nasr
DAL NOSTRO INVIATO
Obama: non alla Casa Bianca ma al Dipartimento di Stato di Hillary Clinton.
Cosa che non gli impedisce di essere
molto critico col presidente americano.
E non da ora. Già in un libro pubblicato
all’inizio del 2013 e che fece molto discutere (The Dispensable Nation: American Foreign Policy in Retreat, La nazione non indispensabile, la ritirata della politica estera americana) aveva illustrato in dettaglio gli enormi rischi
derivanti da un ridimensionamento del
ruolo Usa in Medio Oriente.
In un articolo per il «New York Times» lei si era augurato che Obama,
compreso l’errore, avesse il coraggio
di spingere il «reset button» in Medio
Oriente. Non lo ha fatto?
«Serviva una grande strategia, una
❜❜
Strategia
Serviva una grande
strategia, una visione di
lungo periodo. Non c’è
visione di lungo periodo. Non c’è. Il
presidente si è semplicemente impegnato ad affrontare i problemi più immediati nel modo più limitato possibile. Non solo non vuole mettere soldati
Usa sul terreno, ma non vedo nessuna
volontà di aggredire le cause del problema: solo qualche idea su come affrontare i sintomi del male».
Obama ha davanti a sé uno scenario
più complesso rispetto al passato. La
Siria è esplosa, I’Iraq rischia di fare la
stessa fine, e anche tra i sunniti le divisioni sono profonde. Che tipo di impegno possiamo aspettarci dalla coalizione panaraba?
«Certo, nel mondo arabo ogni Paese
ha la sua agenda. Tutti hanno interesse
a sconfiggere l’Isis, ma mentre per gli
Usa questo è l’unico obiettivo, per le nazioni arabe è uno degli obiettivi, in alcuni casi nemmeno il principale. La volontà di questi Paesi di aiutare Obama è
sincera. Non combatteranno in campo
aperto, ma forniranno basi per gli attacchi aerei, contribuiranno all’addestramento dei combattenti in Siria e Iraq.
Ma l’entità del loro sforzo dipenderà
anche da come Washington risponderà
alla domanda cruciale: cosa avverrà
Michele Farina
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Studioso
Vali Nasr, 54 anni, nato a Teheran ed
emigrato negli Stati Uniti all’indomani
della rivoluzione khomeinista (1979). È
direttore della Scuola di studi internazionali della Johns Hopkins University
«Ma Obama non ha una road map
per quando il Califfato sarà sconfitto»
NEW YORK — «Le esecuzioni efferate dell’Isis hanno prodotto una forte reazione dell’opinione pubblica Usa, Obama decide di attaccare lo Stato terrorista, ma è meglio non farsi troppe illusioni sulla coalizione panaraba che il
Segretario di Stato John Kerry ha cercato
di costruire in questi giorni. I Paesi mediorientali a maggioranza sunnita vogliono sicuramente aiutare l’America
nella campagna contro l’Isis, ma nessuno si impegnerà davvero se non c’è un
piano non solo convincente, ma chiaro
negli obiettivi finali. E Barack Obama
non ha fornito una road map su quello
che accadrà se e quando l’Isis verrà
sconfitto o comunque costretto a ritirarsi».
Il direttore della Scuola di studi internazionali della Johns Hopkins University, Vali Nasr, conosce molto bene leader
politici e società mediorientali. Nato a
Teheran, figlio di un accademico iraniano emigrato negli Usa dopo la rivoluzione khomeinista del 1979, negli Usa
Vali è diventato uno studioso e, poi,
un’autorità riconosciuta. In passato ha
lavorato anche per l’amministrazione
esi che dicono di voler combattere gli estremisti di Abu Barkar Al
Bagdadi ma che al tempo stesso
«hanno finanziato e fornito armi
alla stessa guerriglia».
Il grande cattivo è lo Stato Islamico dei mostri (condannato ieri
da diverse organizzazioni musulmane britanniche), la loro catena di montaggio di video e di
morte: adesso la minaccia pende
su Alan Henning, 47 anni, ex tassista catturato in Siria mentre
viaggiava con un convoglio di
aiuti umanitari. Hennin il tassista e Haines l’ingegnere aeronautico, che dopo un tentativo nel
campo della produzione di gelati
industriali era tornato alla sua
professione di sempre: il logista
addetto alla sicurezza per piccole
ong in zone di conflitto.
nelle zone liberate dall’Isis? Chi ne
prenderà il controllo? Il rischio che, col
cronicizzarsi del vuoto politico nell’area, i territori vengano conquistati da
un’altra organizzazione terrorista come
il Fronte di Al Nusra, emanazione di Al
Qaeda, o che nasca un’altra formazione
militare ancora più spietata è molto forte. E su questo da parte americana non
viene detto nulla».
Difficile immaginare una road map
compatibile con le agende di decine di
Paesi. Come reagirebbe il mondo arabo a soluzioni calate dall’alto?
«Ci sono sensibilità di cui tener conto ma c’è anche un vuoto politico e strategico da riempire. Consideri poi che
anche i Paesi arabi, pur non essendo
delle democrazie, non possono ignorare le loro opinioni pubbliche. E qui la
storica diffidenza nei confronti degli
Usa non è certo diminuita col discorso
di Obama: non ha parlato al mondo, ma
alla sua opinione pubblica promettendo di fare solo quanto necessario per
proteggere l’America da possibili attacchi terroristi».
Ci riuscirà usando solo la forza aerea?
«È possibile che l’Isis reagisca con
azioni di rappresaglia e che questo
spinga gli Stati Uniti a una sorta di escalation. Oggi la linea è niente truppe in
campo, ma chi può dire cosa succederà
davanti a un eventuale bagno di sangue
americano?».
L’Iran può giocare un ruolo?
«Lo sta già giocando perché è l’unico
Paese che ha soldati, combattenti o consiglieri militari, tanto in Iraq quanto in
Siria, ma è tutto molto complicato e non
solo perché Paesi come l’Arabia Saudita
considerano Teheran più pericolosa del
califfato. In Iraq, comunque, l’Iran gioca
sicuramente un ruolo importante nell’ambito del piano americano, ad esempio contribuendo ad armare i gruppi
sciiti e curdi che combattono contro
l’Isis. In Siria è molto diverso perché
Usa e Iran qui sono su fronti opposti».
Massimo Gaggi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
Primo Piano
italia: 51575551575557
3
#
Retroscena Denaro, medicine, materiali, e anche armi diventano contropartita
Ostaggi, trattare e pagare
Tutti negano, molti lo fanno
L’ostaggio britannico ucciso
Una foto tratta da Facebook di David Haines con la sua
secondogenita, che oggi ha 4 anni. La decapitazione del
cooperante inglese è stata annunciata sabato dai miliziani
dell’Isis, con un video su Internet. Haines aveva 44 anni ed era
nato in Scozia. Aveva lavorato in molte zone «calde», dalla Libia
ai Balcani dove aveva conosciuto la croata Dragana Prodanovic,
poi sua seconda moglie. Era stato rapito in Siria nel marzo 2013
Il colloquio
ROMA — Trattare e pagare per riportare a casa gli ostaggi: è questa la linea negata, ma sempre utilizzata sin dai tempi
della guerra in Iraq e poi in Afghanistan
da molti governi occidentali. Accade
adesso pure in Siria, nonostante le smentite ufficiali. I servizi di intelligence negoziano la liberazione dei prigionieri anche
se da circa dieci mesi la situazione è completamente cambiata e la ricerca dei giusti canali è diventata complicata, talvolta
impossibile. Si media con i gruppi fondamentalisti di matrice criminale e con
quelli che fanno parte della galassia di Al
Nusra, direttamente riconducibile ad Al
Qaeda: denaro, medicine, materiali, e anche armi diventano contropartita. Molto
più difficile sembra essere però l’attivazione dei contatti per arrivare ai vertici
dell’Isis e poi per trovare una soluzione,
perché le loro richieste sono esorbitanti,
soprattutto perché è già accaduto che dopo avere ottenuto la disponibilità dei governi, si siano tirati indietro e abbiano
ucciso i rapiti.
Un gioco di forza che mette in scacco
gli apparati di sicurezza, rendendoli impotenti di fronte a una ferocia che non
sembra avere precedenti. In questo quadro l’Italia sembra rivestire un ruolo strategico in una triangolazione che vede impegnati anche francesi e belgi. Il lavoro
svolto per salvare il giornalista del quotidiano La Stampa Domenico Quirico e poi
il cooperante Federico Mokta, ha consentito agli 007 di attivare contatti che possono rivelarsi preziosi per sbloccare la
trattativa in corso con chi tiene segregate
Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due
ragazze portate via nella notte tra il 31 luglio e il 1° agosto scorso nella zona di
Aleppo e per riaprire un canale con chi ha
catturato padre Paolo Dall’Oglio.
Ecco perché sono apparse improvvide
le dichiarazioni del sottosegretario agli
Esteri Mario Giro che ieri ha parlato di
quello che si fa per sbloccare le varie situazioni. Le sue parole possono avere come effetto immediato soltanto quello di
far alzare ulteriormente il prezzo del riscatto, rendendo ancora più difficile
un’attività resa già delicatissima dalla sfida lanciata dai terroristi.
Accadde anche in Iraq e in Afghanistan
quando l’Italia e gli alleati furono costretti a versare milioni di dollari pur di sbloccare i negoziati. Soldi versati utilizzando
spesso canali di «copertura», non ultimi
quelli umanitari. Una scelta — che tante
polemiche aveva sollevato — resa necessaria quando era impossibile anche solo
tentare un blitz militare, pur potendo
contare sull’appoggio delle milizie locali.
È ancora nitido il ricordo di quel che suc-
Liberati
Federico Motka
31 anni, cooperante rapito
dall’Isis nel marzo 2013.
Rilasciato lo scorso maggio
Domenico Quirico
62 anni, giornalista della
Stampa. Rapito nell’aprile del
2013, liberato 5 mesi dopo
cesse quando i terroristi sequestrarono
nella zona di Bagdad Fabrizio Quattrocchi, Maurizio Agliana, Umberto Cupertino e Salvatore Stefio decidendo di uccidere il primo e chiedendo denaro per liberare gli altri. Oppure la giornalista del
Manifesto Giuliana Sgrena. E poi ancora
cooperanti e reporter presi a Kabul e nelle
aree di guerra afghane come l’inviato del
quotidiano La Repubblica Daniele Mastrogiacomo.
In Siria l’eventualità di pianificare
un’azione di forza si è già rivelata più volte impossibile. Sia nel caso di James Foley
e più recentemente di David Haines le
forze speciali americane avrebbero
esplorato la fattibilità di un intervento
rendendosi poi conto che non c’era alcuna possibilità di ottenere un risultato positivo. E nessuno è in grado di stabilire se
Washington e Londra abbiano deciso di
non cedere di fronte alla richiesta di circa
20 milioni di dollari o se invece non siano
riusciti a trovare il canale giusto.
Le condizioni in quell’area sono proibitive, soprattutto se si tiene conto che
oltre alla sfida contro l’Occidente, i gruppi fondamentalisti sono in guerra tra loro
e le alleanze o gli scontri tra le varie fazioni hanno un’evoluzione rapida e difficile
da controllare. Ecco perché bisogna cercare di stringere i tempi, evitare che gli
ostaggi passino di mano costringendo
chi tratta a ricominciare sempre daccapo
in una partita che spesso diventa impossibile da gestire. E può avere esiti drammatici.
Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il gesuita rapito l’anno scorso sarebbe nelle mani di jihadisti iracheni. Nella stessa prigione si troverebbero le cooperanti Greta e Vanessa
«Padre Dall’Oglio è prigioniero con le due ragazze»
L’intellettuale siriano Michel Kilo: il religioso italiano è vivo, so dove lo tengono rinchiuso
DAL NOSTRO INVIATO
ERBIL — «Padre Paolo Dall’Oglio è vivo e sta bene. Si trova in
una prigione posta nelle vicinanze
della cittadina siriana di Raqqa e
controllata da militanti iracheni
dello Stato Islamico. Nelle stessa
prigione potrebbero trovarsi altri
ostaggi occidentali, tra cui le due
cooperanti italiane rapite di recente». Lo sostiene il 74enne Michel
Kilo, noto intellettuale damasceno
che dai primi anni Settanta è una
delle voci più forti tra le opposizioni di sinistra alla dittatura siriana.
Cristiano, ex militante comunista,
poi laico e liberale, arrestato più
volte dalla polizia segreta del regime, Kilo dal 2011 sta spesso a Parigi e sostiene le ragioni delle rivolte, ma critica duramente i gruppi
jihadisti. Ci parla per telefono, dopo che per diversi giorni ha intrattenuto contatti in Turchia con dirigenti e militanti delle brigate di siriani ribelli che operano nelle regioni frontaliere. Le sue
dichiarazioni riguardo al gesuita
italiano, sparito nella Siria settentrionale dal 29 luglio 2013, contraddicono le voci, ripetute più
volte da allora tra i gruppi dell’opposizione al regime anche nella
zona di Raqqa, che questi fosse
stato assassinato poche ore dopo il
rapimento.
Che informazioni ha su padre
Dall’Oglio?
«Originariamente venne rapito
da militanti dello Ahrar al-Sham
(letteralmente «Uomini Liberi della Grande Siria», il gruppo armato
che raduna formazioni minori tra
il fronte integralista islamico, ndr).
Questi però poi lo hanno consegnato ai capi dello Stato Islamico,
forse dopo un congruo pagamento
come fanno spesso tra formazioni
diverse, che intendevano liberarlo
in cambio di un forte riscatto. Per
molti mesi è stato rinchiuso nel
palazzo del governatorato di Raqqa, dove i jihadisti hanno il loro
quartier generale. Con lui sono
stati tanti altri prigionieri occidentali, credo anche James Foley, il primo dei giornalisti americani decapitati».
Sono notizie importanti, delicate, che fonti ha?
«Non posso specificare. Ma sono fonti attendibili».
Ora Dall’Oglio dove si troverebbe?
❜❜
La coalizione
Ma adesso che l’Italia
ha aderito alla
coalizione il gesuita
rischia più di prima
«Adesso mi dicono sia in un carcere diverso. I suoi carcerieri sarebbero jihadisti iracheni, meno
affidabili dei precedenti, più pericolosi di quelli siriani di Raqqa.
Con lui, non nella stessa cella, potrebbero esserci anche le due italiane».
Sono in corso trattative?
«Prima c’erano. Ma adesso per
Dall’Oglio, che è un carissimo ami-
❜❜
Assad
Sbagliato allearsi con
Assad. Con lui non
ci sono compromessi
possibili
Gli ostaggi italiani nel mondo
Vanessa Marzullo
20 anni, di Brembate
(Bergamo), cooperante indipendente.
È stata rapita in Siria
il 31 luglio scorso,
insieme all’amica
Greta Ramelli
Greta Ramelli
21 anni, di Besozzo,
nel Varesotto, cooperante. È stata sequestrata in Siria il 6
agosto scorso, insieme con Vanessa Marzullo
Gianluca Salviato
48 anni, di Trebaseleghe (Padova), tecnico
per la Ravanelli di Venzone (Udine). Rapito in
Libia il 22 marzo 2014
in un cantiere (a sin.)
Il gesuita
Padre Paolo Dall’Oglio, 59 anni, appartiene all’Ordine dei gesuiti.
Dagli anni Ottanta vive in Siria dove ha rifondato la comunità
monastica di Mar Musa e ha promosso il dialogo con il mondo
islamico. Il 29 luglio 2013 mentre si trovava nella zona di Raqqa
è stato rapito dai fondamentalisti islamici
Marco Vallisa
53 anni, di Cadeo (Piacenza), tecnico della
Piacentini. Esperto in
perforazioni, sequestrato in Libia lo scorso 5 luglio (a destra)
Giovanni Lo Porto
38 anni, di Palermo,
cooperante per l’Ong
tedesca Welt Hunger
Hilfe, rapito in Pakistan il 19 gennaio
2012, assieme a un
suo collega
co, purtroppo la situazione si sta
complicando, rischia molto più di
prima. Non è più una questione di
prezzo. La partecipazione militare
italiana alla nuova coalizione guidata dagli americani contro lo Stato Islamico introduce l’elemento
politico. Un conto è mandare aiuti
civili, un altro spedire armi. Lo abbiamo appena visto con la decapitazione dell’ostaggio inglese. I
jihadisti ricattano e puniscono i
Paesi che si alleano contro di loro».
Ma lei cosa pensa delle possibili operazioni alleate in Siria? È
vero che ormai non ci sono più
brigate «laiche» tra le formazioni
ribelli?
«Penso che non sia vero che lo
Stato Islamico abbia completamente annichilito il fronte delle
brigate che lottano per la libertà e
la democrazia contro la dittatura di
Bashar Assad, ma anche contro i
fondamentalisti islamici. Lo sostengono in tanti. Ma io non sono
d’accordo. Al contrario sono convinto che, nel momento in cui gli
americani cominceranno davvero
a bombardare, sia i militanti del
Nuovo Esercito Siriano Libero che
le formazioni non estremiste islamiche torneranno in massa a combattere per la libertà del Paese. Ora
non si vedono, sono strette tra l’incudine dello Stato Islamico e il
martello delle repressione del regime. Ma sono presenti, vive e vegete, da nord a sud».
Occorre turarsi il naso e accettare Bashar Assad come alleato
pur di battere lo Stato Islamico?
«Assolutamente no. Assad è un
criminale, un assassino della sua
gente, che non ha esitato a sfruttare e dar forza ai jihadisti terroristi e
tagliagole pur di criminalizzare
l’intero movimento patriottico di
opposizione al regime. Assad non
è un partner. Deve andarsene. Con
lui non ci sono compromessi possibili».
Lorenzo Cremonesi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
4
italia: 51575551575557
Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
Primo Piano
italia: 51575551575557
5
Il terrorismo La sfida all’Occidente
Paura per un bagaglio sospetto sul Ginevra-Beirut della compagnia libanese Mea in transito nei nostri cieli. Ma era un falso allarme
Allerta bomba: i caccia scortano un volo di linea a Fiumicino
ROMA — Due boati, sentiti da
Viterbo a Roma, e poi anche a
Frosinone, nel giro di qualche
minuto. Come due esplosioni, «che
hanno fatto pensare a un incidente
aereo», raccontano dalla sala
operativa dei pompieri dove ieri
pomeriggio sono arrivate centinaia di
telefonate da cittadini preoccupati
per aver avvertito distintamente i
botti all’ora di pranzo. Ma non ci
sono stati scoppi, né incidenti: quei
boati erano le frustate, i bang
supersonici provocati dall’intervento
— lo «scramble» in gergo tecnico —
di due Eurofighter del IV Stormo
dell’Aeronautica militare, decollati
dalla base di Grosseto e lanciati a
velocità superiore a quella del suono
a intercettare il volo ME 214 GinevraBeirut della compagnia libanese
Middle East Airlines con 118
passeggeri (in quel momento sullo
spazio aereo italiano) e scortarlo fino
all’aeroporto di Fiumicino. «Abbiamo
un problema a bordo», aveva
annunciato poco prima il
comandante del volo della Mea, dopo
che dalla Svizzera avevano scoperto
che fra i bagagli imbarcati c’era un
borsone nero ma nell’elenco dei
passeggeri mancava il proprietario. A
Il mezzo
L’aereo della
compagnia
libanese Mea
fatto atterrare
ieri allo scalo
di Fiumicino, a
Roma, scortato
dai caccia
dell’Aeronautica
(Ansa/Telenews)
quel punto è scattato l’allarme
internazionale, ulteriormente
aggiornato dopo il rafforzamento
delle misure antiterrorismo per le
recenti minacce dell’Isis ai Paesi
europei, Italia compresa. Dal Nato
Combined Air Operation Center di
Torrejon (Spagna) è stato impartito
l’ordine d’intervento, gestito dal
Comando operazioni aeree di Poggio
Renatico (Ferrara): l’incubo attentato
ha terrorizzato i passeggeri, i 7
membri di equipaggio e non solo
loro. Atterrato a Fiumicino, l’Airbus
320 è stato dirottato su una pista
secondaria e circondato dalle forze
Rinaldo Frignani
© RIPRODUZIONE RISERVATA
In campo spie e droni americani
per la caccia ai killer di Haines
✒
L’analisi Le mosse dell’intelligence per identificare il boia. Si riparte dal blitz fallito del 4 luglio a Raqqa
La lettera
Le norme antimafia
contro i nuovi jihadisti
Nel video l’inquadratura ridotta per evitare una localizzazione
SEGUE DALLA PRIMA
La registrazione
Un fermo immagine
dal video girato subito
prima dell’esecuzione
di David Haines, 44 anni,
cooperante britannico,
terzo ostaggio occidentale
ucciso dai militanti dell’Isis
1. Se lo sfondo è simile
a quello dei filmati precedenti,
l’inquadratura è diversa:
il campo è più stretto, forse
per non dare indicazioni
che possano rendere
riconoscibile il luogo
2. Haines è vestito con una
tuta arancione, come i
prigionieri di Guantanamo.
Era stata fatta indossare
anche alle prime due vittime,
i giornalisti statunitensi
James Foley e Steven Sotloff
3. L’assassino indossa una
fondina ascellare: la pistola è a
sinistra, per estrarla dovrebbe
usare quindi la mano destra
4. È invece la sinistra che
l’uomo utilizza per impugnare
il coltello con cui la vittima
sarà decapitata
(Afp)
3
2
1
4
© RIPRODUZIONE RISERVATA
WASHINGTON — Un messaggio
brutale. Con i tempi di chi ha fretta di
arrivare al dunque: l’uccisione dell’ostaggio, David Haines. Non c’è la retorica dei lunghi video di Bin Laden e
del successore al Zawahiri. Troppe parole per gli assassini dell’Isis che si sono preoccupati solo di non dare punti
di riferimento agli investigatori. Sanno che gli 007 cercano il boia, il misterioso Jihadi John dall’accento inglese.
Il filmato non discosta dagli altri,
«dedicati» alla decapitazione dei reporter americani Foley e Sotloff. Tuta
arancione per il prigioniero per ricordare il carcere di Guantanamo. Tunica
nera per il killer, tutto preso nel suo
ruolo di ninja del terrore. Il militante,
come le altre volte, stringe il pugnale
con la sinistra e indossa una fondina
con pistola sotto il braccio sinistro.
Dunque dovrebbe estrarre l’arma con
la destra. Ma qui sembra mancino.
Dettagli che non cambiano il risultato.
Manca ancora il momento esatto dello
sgozzamento. La ripresa ha uno stacco
e poi riprende mostrando il cadavere
mutilato.
Un copione ruota attorno all’obiettivo chiave dell’Isis. Quella che suona
come una minaccia è in realtà un invito agli occidentali affinché intervengano anche in Siria. Il Califfo sa che gli
costerà dei mujaheddin ma desidera
con tutta la sua forza la battaglia con
gli americani. In questo non è diverso
da Osama che voleva farli dissanguare
in mille conflitti che provocassero la
reazione del mondo musulmano.
Il solo elemento che cambia nel video è lo sfondo. Ancora più stretto rispetto al secondo. È il fianco di una
collinetta deserta. In queste settimane
i jihadisti hanno seguito i media, hanno visto che dopo l’omicidio di Foley
un blogger ha annunciato di aver individuato il luogo dell’omicidio. Usando
foto, video, immagini satellitari disponibili. E poi ha indicato la zona sud
di Raqqa. Un posto sperduto nel nord
est della Siria dove l’Isis ha una sua base importante. Ossessionati dalla segretezza, i criminali avranno pensato:
se c’è riuscito un giornalista, figuriamoci cosa possono fare i governi che
hanno a disposizione altri mezzi. Alle
spalle della vittima c’è solo terra gialla.
Gli infiltrati
L’Isis teme che ci siano
infiltrati. Due «sospetti» sono
già stati eliminati per
«collaborazione con il nemico»
La strategia
Un aiuto potrebbe arrivare da
Israele, che ha passato agli Usa
elementi ricavati dai propri
occhi elettronici sullo scacchiere
Alcuni pensano che comunque sia
sempre Raqqa. Convinzione legata ai
racconti degli ex ostaggi detenuti con
inglesi e americani. Inoltre c’è la probabile ricognizione dell’intelligence
per scovare il gruppo che ha ancora in
mano diversi occidentali. Azione che
si lega all’identificazione del boia. Può
indicarlo una «talpa». Oppure qualcuno che ha riconosciuto la sua voce. E
in caso affermativo è possibile ricostruire l’ambiente dove è cresciuto.
Quindi la filiera che gli ha permesso di
arrivare in Siria. Se trovano il facilitatore possono arrivare al nome. Il passo
successivo è quello dei complici. Si è
detto che l’Isis avrebbe affidato il controllo dei prigionieri a militanti stranieri, un gruppo dove vi sono anche
degli europei.
L’indagine riparte dal fallito blitz,
lanciato il 4 luglio, per liberare gli
ostaggi a Raqqa. Le unità speciali non
li hanno trovati. Secondo alcune fonti
locali — inverificabili — i mujaheddin
dell’Isis li avevano trasferiti poco prima. «C’è stata una soffiata», è la spiegazione di qualcuno della zona. La
madre di Foley, in una polemica intervista alla Cnn, ha sostenuto che, a parte un paio di spostamenti da Aleppo,
suo figlio e gli altri occidentali sono
stati sempre detenuti in un edificio di
Raqqa. Versione che smentisce quella
del governo Usa, accusato di aver fatto
poco. Anzi, funzionari statunitensi
avrebbero minacciato di incriminare i
familiari se avessero tentato di pagare
dell’ordine. Per sicurezza il traffico in
arrivo e in partenza è stato bloccato
— con disagi ai viaggiatori, risolti nel
tardo pomeriggio —, mentre i bagagli
sono stati tolti dalla stiva, scaricati su
una piazzuola e controllati uno per
uno dagli artificieri della polizia, con i
cani antisabotaggio. Lo stesso è stato
fatto su tutto l’aereo, con i passeggeri
nuovamente identificati e perquisiti.
Nulla è stato lasciato al caso, l’allerta
terrorismo non lo consente. Per
fortuna, però, era solo un falso
allarme e il volo per Beirut è ripartito
alle 17.30. A Roma è rimasto solo il
borsone senza padrone: dentro
c’erano tazzine da caffè, effetti
personali e un regalo impacchettato.
il riscatto.
È probabile che l’intelligence stia
rivendendo il caso, ascoltando di nuovo gli ostaggi rilasciati. Indagine tradizionale che si incastra con i voli dei
droni su Raqqa e l’analisi della National Geospatial Intelligence Agency, la
regina dei satelliti spia coinvolta nelle
ricerche di Bin Laden. E chissà che un
aiuto non arrivi da Israele. La Reuters
ha rivelato che Gerusalemme ha passato a Washington elementi ricavati
dai propri occhi elettronici che da mesi «guardano» sullo scacchiere. Si battono tutte le strade. Anche quelle inconfessabili. Il sito Al Monitor.com ha
scritto che all’inizio dell’estate i servizi
italiani hanno avuto un contatto con
gli apparati di sicurezza del regime.
Strada che però si è chiusa subito in
quanto Damasco chiedeva il ristabilimento dei pieni rapporti diplomatici.
C’è poi il lavoro degli informatori.
Alcuni nuclei di peshmerga, forse
usando contatti locali, sarebbero alla
caccia del covo dell’Isis. Lo stesso farebbero i ribelli vicini ai servizi giordani, grandi partner della Cia. Operazione rischiosa. I fedeli del Califfo sono in guardia. Il capo della sicurezza
Isis ad Aleppo, un islamista olandese
conosciuto come Abu Ubaida, e un
predicatore belga, molto attivo sul
web, sarebbero stati eliminati perché
accusati di collaborazione «con il nemico».
Guido Olimpio
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’Is (Islamic state), in questo quadro, è la forma più evoluta e più
aggressiva del pericolo fondamentalista perché si pone con una nuova
soggettività statuale, si autofinanzia e si muove con più
dimestichezza nell’ambito europeo, attraverso figure, i foreign
fighters (combattenti stranieri), che ne sposano la sciagurata causa,
hanno passaporti europei, sono conoscitori delle abitudini occidentali e
mettono a disposizione dell’organizzazione la loro preparazione bellica.
L’Is presenta, dunque, una forma di minaccia più insidiosa, costituita
proprio dalla sensibile crescita del fenomeno dei foreign fighters, contro
la quale ci si sta organizzando sia a livello interno che internazionale.
La sfida alla sicurezza globale, portata avanti dall’Is, richiede
l’affinamento degli strumenti, anche normativi, di prevenzione e di
contrasto, suddivisi per l’appunto in due piani: il primo che interessa le
misure di prevenzione messe a punto dai singoli Stati e a livello
europeo, come il monitoraggio dei siti di propaganda islamica,
l’investimento di risorse nelle attività di esplorazione della Rete,
l’adozione di strumenti di segnalazione degli spostamenti dei foreign
fighters in tutta l’Unione Europea e di uno specifico codice di
prenotazione, il Pnr (Passenger name record) per fornire agli organismi
di Polizia un elenco sempre aggiornato di chi si muove nell’area
Schengen. Il secondo piano che riguarda, invece, l’azione penale, la
specificità del reato, in cui agiscono magistratura e polizia giudiziaria.
Tutto questo per colpire a tenaglia, quanto più efficacemente possibile,
la figura del «lupo solitario», cioè dell’aspirante jihadista cresciuto in
Europa, auto-radicalizzatosi, che persegue il proposito di unirsi ai
combattimenti in aree di conflitto — come, per esempio, quelli che
avvengono oggi in territorio siro-iracheno —, che non opera in contesti
associativi, né agisce come mero mercenario e che rientra in Occidente
da teatri di scontro, come potenziale protagonista, «scheggia
impazzita», di gesti eclatanti di violenza. Andando nel dettaglio, le
norme del codice penale, introdotte nel 2005 (con il d.l. 27 luglio 2005,
n.144), all’indomani degli attentati di Londra
che avvennero nel luglio di quell’anno,
puniscono le attività di arruolamento e
addestramento al compimento di atti di
violenza con finalità di terrorismo, anche se
L’obiettivo
rivolti contro uno Stato straniero e anche se
Aggiornare
siano commessi fuori dai casi di associazione,
le nostre norme ma sembrano quantomeno implicare la
(con i relativi oneri probatori) di
tenendo conto di sussistenza
un rapporto diretto. Oggi, invece, per
questa minaccia neutralizzare questo tipo di pericolo, occorre
che la partecipazione ad atti di violenza
terroristica, e quindi anche lo stesso tentativo
di parteciparvi, venga perseguita in maniera autonoma, cioè anche se
appaia il frutto di scelte e comportamenti strettamente individuali che
giungano a capo di un percorso di auto-indottrinamento del soggetto. Si
tratta, insomma, di attualizzare il nostro armamentario normativo,
aggiungendovi una nuova previsione che tenga conto dell’evoluzione
della minaccia e della necessità di non prestarle fianchi scoperti che
possano farci correre il rischio di rendere meno efficace la nostra
risposta. Un ulteriore affinamento, dettato da una speculare esigenza
di prevenzione, potrà riguardare l’articolo 4 del codice antimafia,
secondo il quale le misure di prevenzione personale possono già essere
applicate a coloro che siano indiziati di commettere reati con finalità di
terrorismo, interno o internazionale, o di porre in essere atti
preparatori in tal senso. Tuttavia, la tipologia di pericolo che si vuole
affrontare, guardando anche all’allarmante quanto subdolo fenomeno
dei foreign fighters, richiede un ulteriore sforzo di tipizzazione,
declinando, senza incertezze, anche a livello della normativa di
prevenzione, questa figura particolare di aspirante combattente. Lo
scopo è quello di neutralizzarne alla radice la pericolosità,
applicandogli la misura della sorveglianza speciale di pubblica
sicurezza che lo priverebbe di ogni capacità di nuocere. In ambito
europeo, inoltre, è andata avanti la nostra proposta di costituire una
squadra multidisciplinare, mirata specialmente al monitoraggio dei
combattenti stranieri. Sono queste le strade che si stanno tentando di
imboccare anche in altri Paesi con maggiori difficoltà del nostro, poiché
non dispongono, come invece l’Italia, di norme di prevenzione.
❜❜
Angelino Alfano
Ministro dell’Interno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
6
Primo Piano
Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
italia: 51575551575557
Il governo Il sondaggio
I quesiti
Il giudizio sui ministri
Qualcuno sostiene che Renzi abbia dietro di sé una squadra
di ministri debole e poco esperta che rischia di concludere
poco, altri invece dicono che avere molti ministri giovani è
una positiva rottura col passato e serve a dare più energia
all’azione di governo. Lei con quale delle due frasi è più
d’accordo?
Angelino
g
Alfano
La prima:
squadra debole
voti positivi
non sa, non conosce
66%
%
Maurizio Lupi
p
INTERNO
voti negativi
Maria Elena Boschi
INFRASTRUTTURE
E TRASPORTI
RIFORME
55%
5%
Non saa
3
36%
8%
%
26%
29%
29
9%
2
21%
La seconda:
positiva rottura
col passato
38%
26%
24%
5%
66%
Sempre a proposito del presidente del Consiglio, alcuni
dicono che vuol fare troppo da solo e questo rende più
difficile mandare avanti le cose, altri invece pensano che il
ù
fatto che Renzi ci metta personalmente la faccia rende più
forti e veloci le scelte. Lei con quale delle due opinioni è più
d’accordo?
La prima:
vuol fare troppo
da solo
Giuliano Poletti
Pier Carlo Padoan
Andrea Orlando
LAVORO
E POLITICHE SOCI
OC ALI
AL
SOCIALI
ECONOMIA
GIUSTIZIA
49%
4
48%
48
4
36%
%
%
33% 34%
33%
% 33
34%
Nonn sa
11%
1%
La seconda:
scelte più forti
e veloci
17%
1
6%
16%
33%
Sondaggio realizzato da Ipsos Pa per Corriere de
della Sera presso unn campione casuale nazionale rappresentativo della popola
popolazione italiana maggiorenne secondo genere, età, livello di scolarità, area geografica
di residenza, dimensione del Comune di residen
ealizzate 1.002 interviste (su 9.816 contatti), mediante siste
residenza. Sono state realizzate
sistema CATI, il 9 e il 10 settembre 2014. Il documento informativo com
completo riguardante
il sondaggio
gg sarà inviato ai sensi di legge,
gg per
p la sua pubblicazione,
ne, al sito www.sondaggipoliticoelettorali.it
gg p
CORRIERE DELLA SERA
56%
Sì degli italiani al premier decisionista
Ma per i ministri il voto è insufficiente
Risultano poco conosciuti i componenti della squadra di governo
Solo per Padoan si equivalgono i giudizi positivi e negativi
Dal giorno dell’insediamento del
governo Renzi si discute spesso della qualità dei ministri che lo compongono. È un esecutivo nato all’insegna del ricambio generazionale e
del cambiamento, inevitabilmente
ha suscitato qualche perplessità in
termini di competenze ed efficacia
dei titolari di diversi dicasteri.
Gli italiani sembrano avere le idee
molto chiare in proposito: il governo attuale, composto da molti giovani ministri, per il 66% rappresenta
una positiva rottura con il passato e
la loro presenza serve a dare più
energia all’azione dell’esecutivo; è
un’opinione prevalente, sia pure
con percentuali diverse, tra tutti gli
elettorati, quelli della maggioranza
e quelli dell’opposizione e persino
tra gli astensionisti. E prevale tra
tutti i segmenti sociali, a conferma
della forte domanda di rinnovamento dopo vent’anni in cui si sono
alternate maggioranze di destra e di
sinistra (con la parentesi del governo degli «ottimati» guidato da Mario Monti) che hanno deluso gli
elettori e alle elezioni successive risultavano regolarmente sconfitte.
Al contrario il 26% degli intervistati, con percentuali più elevate
(sopra il 30%) tra i ceti dirigenti e
quelli impiegatizi, ritiene che Renzi
disponga di una squadra debole,
poco esperta, che rischia di concludere poco.
Riguardo allo stile di conduzione
del governo molto incentrata sul
premier, spesso definito «un uomo
solo al comando», la maggioranza
degli italiani (56%) ritiene che sia
positivo perché rende le scelte più
forti e rapide, mentre il 33% è di parere opposto: fare troppo da solo
rende più difficile per Renzi portare
avanti le cose. E la maggioranza degli elettori di Forza Italia e del Movi-
I percorsi
Alfano e Lupi risultano
più apprezzati
dagli elettori del Pd
che da quelli di Forza Italia
I casi Poletti e Orlando
Quasi un italiano su due non
conosce o non si esprime su
Poletti e Orlando nonostante
il dibattito su lavoro e giustizia
mento 5 Stelle è di questo parere.
In sintesi: il governo e il premier
godono del consenso della maggioranza degli italiani, la squadra per
quanto giovane e un po’ inesperta
viene preferita rispetto a quelle del
passato e lo stile «accentratore» di
Renzi conferisce autorevolezza e rapidità alle decisioni. Tutto bene,
quindi? Non esattamente, a conferma che l’opinione pubblica non
sempre procede per linee rette. Infatti, se analizziamo i dati sulla fiducia riscossa dai principali ministri,
registriamo per tutti una prevalenza, in qualche caso netta, di giudizi
negativi. Fa eccezione il ministro
Padoan per il quale le opinioni positive e negative si equivalgono. È pur
vero che i dati sono influenzati dal
livello di conoscenza dei singoli ministri che in taluni casi risulta dav-
vero bassa: per esempio, quasi un influenza le opinioni molto più dei
italiano su due non conosce o non si risultati ottenuti dal loro dicastero.
esprime sui ministri Poletti e Orlan- Ne sono un esempio i ministri Alfado, nonostante di lavoro e di giusti- no e Lupi, entrambi più apprezzati
zia si discuta abbondantemente sui tra gli elettori del Pd rispetto a quelli
media. Persino due ministri come del partito di provenienza, Forza ItaPadoan e Boschi, di cui si parla mol- lia, da cui si sono staccati fondando
to per l’attività del loro dicastero (e un nuovo partito che ha sostenuto i
non solo), risultano sconosciuti a governi Letta e Renzi.
un terzo degli elettori.
Infine, la sempre più forte persoCome si spiega questa ennesima nalizzazione della politica punta i ricontraddizione nell’opinione pub- flettori sul leader che nel bene e nel
blica che apprezza il governo nel suo male rappresenta la squadra, indiinsieme e risulta critico nei con- pendentemente dal merito o dal defronti dei singoli ministri? I motivi merito dei singoli. Da anni abbiamo
sono svariati e, alcuni di questi, non numerosi riscontri nei Comuni e
sono del tutto nuovi. Innanzitutto, nelle Regioni: quasi sempre i giudizi
ed è scontato, i giudizi sui ministri sul primo cittadino e sull’amminisono fortemente influenzati dal par- strazione sono nettamente più positito al quale appartengono: gli elettori di quel partito in
larga parte esprimono valutazioni
positive «a prescindi Nando Pagnoncelli
dere». In secondo
luogo dipende dall’ambito di cui si occupano e dalla tivi rispetto a quelli sui singoli provdifferenza tra le aspettative e i risul- vedimenti o ambiti d’azione. E spestati ottenuti. Ne è un esempio il mi- so i sindaci e i presidenti di Regione
nistro Poletti, che si occupa del tema più apprezzati hanno assessori
che più sta a cuore agli italiani: il la- ignoti o criticati dalla maggioranza
voro. L’elevato livello di disoccupa- d e i c i t t a d i n i . P a r a f r a s a n d o
zione non lo rende molto popolare.
un’espressione in voga qualche
Inoltre risulta importante l’im- tempo fa, potremmo dire che i leamagine pregressa dei ministri, alcu- der personalizzano il consenso e soni dei quali hanno una più o meno cializzano le critiche.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
lunga storia politica alle spalle che
Scenari
Il caso Oggi al via ufficialmente la nuova stagione, tra esperimenti e conferme. Formigli: «Basta con i soliti dibattiti, bisogna puntare sugli approfondimenti»
Più reportage e meno politici, la seconda vita dei talk show
ROMA — «Io non mi ribello
al talk show: se un genere televisivo si moltiplica significa che
il mercato esiste, c’è spazio per
la competizione e il prodotto
funziona. Mi ribello invece a un
dibattito asfittico che si rinchiude tra le liti sugli ottanta euro,
sulla bellezza di Maria Elena Boschi, sulla spending review».
Corrado Formigli riparte stasera su La7 alle 21.10 con Piazzapulita e gioca in controtendenza. Già ieri il ritorno di Lucia
Annunziata su Raitre con In 1/2
ora, con un’intervista al presidente del Kurdistan iracheno
Masoud Barzani, preceduta da
un reportage sull’avanzata dell’esercito dello Stato islamico
dal centro al nord dell’Iraq, annunciava un chiaro smarcamento dal dibattito nostrano.
Stasera anche Formigli lascerà
da parte il Palazzo italiano e
proporrà «Sangue nostrum», riprendendo il ruolo di inviato e
raccontando non solo l’emergenza umanitaria in Kurdistan
ma anche il caos politico in Libia: «Papa Francesco parla di
Te r z a g u e r r a
mondiale. Noi
siamo andati a
vedere, a raccontare. Giocheremo la carta della
serietà e della
credibilità, un
nuovo patto col
pubblico». Sul
fronte Rai, giovedì 11 era tornato
in prima serata su Raidue Nicola
Porro con Virus-Il contagio delle
idee con il tema «Siamo in guer-
ra» ma ottenendo un non esaltante 4,88%, trattandosi di una
prima serata di una rete principale Rai.
Parte oggi ufficialmente la
nuova stagione dei talk show. Il
piatto forte sarà domani sera,
martedì 16, l’attesissimo duello
Su La7 I conduttori Corrado
Formigli e Giovanni Floris.
Entrambi hanno 46 anni
tra Massimo Giannini, nuovo
conduttore di Ballarò su Raitre
(che ospiterà Roberto Benigni e
si affiderà ai sondaggi di Alessandra Ghisleri) e Giovanni
Floris, ex Ballarò, ora su La7 con
diMartedì (confermati sia Maurizio Crozza che il sondaggista
Nando Pagnoncelli). Per ora
Floris con la sua striscia quotidiana DiciannovEquaranta non
ha portato a casa ascolti entusiasmanti (un massimo di 2,3%
di share) e sono in tanti ad attenderlo al varco di domani. Su
La7 è tornata Lilli Gruber con
Otto e mezzo (un solido 5,8%
per la prima puntata di lunedì 8
settembre). Sempre sulla tv acquistata da Urbano Cairo stamattina rientra in palinsesto alle 11 Myrta Merlino con L’aria
che tira (anche lei nel 2015 pro-
porrà puntate in prima serata).
Una fascia che Raitre presidia
con Agorà dalle 8 alle 10, ora in
versione estiva condotta da Serena Bortone (ma da lunedì 22
rientrerà Gerardo Greco).
Formigli sostiene che il talk
show gode ottima salute sul
mercato tv. Una prova? Per il
ventesimo anno consecutivo
Bruno Vespa è riapparso su Raiuno con Porta a porta e martedì 9 ha sfiorato un robusto 20%
ospitando Matteo Renzi. Vespa,
si sa, non ha più il lunedì sera,
passato al nuovo format di inchieste Petrolio, ideato e condotto da Duilio Giammaria che
lunedì 8 settembre ha vinto la
seconda serata con il 12,06% di
share. Una scelta voluta dal direttore generale Luigi Gubitosi
che non ha mai nascosto di con-
siderare eccessivo il numero di
talk nei palinsesti di Viale Mazzini. Lo ha confermato sabato
parlando al Festival della Comunicazione a Camogli: «Confidiamo molto su Ballarò che, come
altri talk show, ha un brand
molto forte. In Rai però ce ne sono troppi».
L’affollamento indubbiamente c’è, e questa lista lo dimostra. Manca ancora all’appello un altro grande classico del
genere, Servizio pubblico di Mi-
I programmi
Dalla sfida di martedì
tra Floris e Giannini
alla 20esima edizione
di «Porta a porta»
chele Santoro, che riapparirà su
La7 in prima serata giovedì 25
settembre. A giudicare dal promo, Santoro non sembra porsi il
problema delle tematiche: le
immagini delle devastazioni
delle tante guerre contemporanee si alternano, appunto, al
ministro Boschi in costume da
bagno, a Matteo Renzi impegnato col famoso gelato di Palazzo Chigi, o in sella alla sua bicicletta. Un contrasto volutamente straniante. Per approdare
a cosa, e come? Vedremo. La stagione è appena cominciata. E il
talk show, s’è detto, gode di
un’eccellente salute e dilaga sui
palinsesti. Poi c’è il giudizio sulla qualità, ma quella è un’altra
storia.
Paolo Conti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
MILANO - Via Manzoni, 46
7
italia: 51575551575557
BOLOGNA - GENOVA - PIACENZA - PALERMO
8
Primo Piano
Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
italia: 51575551575557
Il governo I conti
Il costo della salute
8,0
108.891
96.500
7,5
101.754
79.427
74.897
7,3
7,3
120.000
111.593
110.842
111.108
100.000
81.990
7,1
7,1
7,1
6,9
67.752
6,7
6,1
6,0
80.000
6,8
6,6
6,5
6,5
6,0
112.526
102.220
90.237
7,0
110.474
60.000
6,1
40.000
5,7
5,5
20.000
spesa
pubblica
sul Pil
%
spesa
pubblica
(in milioni)
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
Fonte: Rapporto «Proposte per una revisione della spesa pubblica (2014-16)» del commissario straordinario per la revisione della spesa
Tagli alla sanità, rivolta di Lombardia e Veneto
Asse tra le due Regioni sullo sciopero fiscale. Maroni: «Bene Zaia, anche noi siamo pronti»
Ma l’opposizione è divisa: «Strumento inutile» per Caldoro, «demagogico» per Vendola
Sblocco degli stipendi
Forze dell’ordine,
muro dei sindacati
ROMA — Adesso l’obiettivo del governo è fare
in fretta, cerca di trovare una soluzione prima
dell’incontro fissato per mercoledì tra i
rappresentanti di forze dell’ordine e forze
armate con il leader di Forza Italia Silvio
Berlusconi. La questione — lo sblocco degli
stipendi delle forze armate e della sicurezza —
è stata al centro di una lunga telefonata tra i due
ministri competenti della Difesa e dell’Interno.
L’obiettivo concordato tra Roberta Pinotti e
Angelino Alfano è procedere in tempi
brevissimi con una proposta da mettere sul
tavolo del premier Matteo Renzi. Era stato
proprio lui, dopo l’annuncio del ministro
Marianna Madia sul blocco degli stipendi degli
statali anche per il 2015, ad assicurare di voler
organizzare un incontro, sia pur precisando di
non essere disponibile a cedere ad alcun ricatto.
Poi non è accaduto più nulla. La cifra necessaria
per adeguare gli stipendi nel 2014 e poi il
prossimo anno sfiora un miliardo e 200 milioni
di euro. Mentre Daniele Tissone di Silp Cgil si
mostra cautamente ottimista sulla possibilità di
uno sblocco, Sap, Sappe, Sapaf e Conago, vanno
all’attacco e confermano l’astensione dal lavoro
per tre ore il 23 settembre prossimo.
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ROMA — Sciopero fiscale
contro i (presunti) tagli alla sanità. Dopo il governatore del Veneto Luca Zaia, interviene anche il
collega leghista della Lombardia,
Roberto Maroni. Che dà manforte su Twitter e annuncia: «Bene
Zaia, anche la Lombardia è pronta». Ma il fronte dei governatori,
compatto nel difendere il no ai
tagli, non lo è affatto nei confronti dello sciopero fiscale.
Strumento «demagogico», lo definisce il presidente della Puglia
(Sel) Nichi Vendola. «Sbagliato e
inutile», concorda da Forza Italia
il governatore della Campania
Stefano Caldoro.
La Lega, dunque, parte all’attacco. Rispolverando dall’armamentario storico una vecchia parola d’ordine già minacciata più
volte, a partire dal 1992, quando
l’allora ideologo Gianfranco Miglio la usava come arma per la
«Repubblica del Nord». Sono
passati molti anni, ma lo slogan e
la minaccia tornano d’attualità.
Non sono servite le rassicurazioni del ministro Maria Elena
Boschi, dopo le indiscrezioni che
vedevano la sanità come obiettivo principale della spending review: «Non ci saranno tagli lineari e le Regioni che sono virtuose
e spendono bene non devono
preoccuparsi». Di fronte alle ras-
ROMA — Prende corpo la squadra economica di Matteo Renzi. Oltre ai nomi che
erano già filtrati da Palazzo Chigi (tra cui Marco Fortis, Yoram Gutgeld, Tommaso
Nannicini e Carlotta de Franceschi) è previsto l’arrivo dell’economista Veronica
De Romanis e di Roberto Perotti, esperto in spending review (che dovrebbe
sciogliere in questi giorni la sua riserva). Riccardo Luna sarà «digital champion».
Rimarrà invece al Nazareno (nella segreteria) Filippo Taddei mentre dovrebbe
seguire il premier Luigi Marattin, esperto di finanza locale.
de l’ammalato. Abbiamo bisogno
per rilanciare la crescita di far ripartire gli investimenti, non di
sottoporre il welfare a un ulteriore dimagrimento coatto. Di dimagrimento in dimagrimento si
rischia l’infarto». Vendola si dice
pronto a fare la sua parte sugli
sprechi della sanità: «Fa parte
dell’etica della responsabilità eliminare ogni zona d’ombra della
spesa pubblica. Ma bisogna
prendere bene la mira, altrimenti
si sbaglia bersaglio e si colpisce il
cittadino». Quanto alle argomentazioni leghiste e alla necessità di
fissare i costi standard, Vendola
non è ben disposto: «Innanzitutto va rilevato che il Sud e il Nord
non sono entità omogenee. Per
dire, il Piemonte di Roberto Cota
non aveva fatto registrare performance brillanti. E poi prima di
intervenire sui costi standard bisogna realizzare investimenti
strutturali per la modernizzazione delle strutture del Sud. Per
esempio, uno spreco significativo è la voce mobilità passiva, o
turismo sanitario: molti cittadini
vanno a curarsi negli ospedali del
Nord. E le regioni del Sud pagano
il Nord. Prima si riduca questo
divario strutturale, poi parleremo anche dei costi standard».
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Alessandro Trocino
sicurazioni, è rientrata anche la
protesta lanciata da Sergio
Chiamparino, esponente del Pd e
presidente della Conferenza delle
Regioni.
Ma l’allarme resta e i governatori leghisti se ne fanno portavoce. Marcando l’accento, ovviamente, sui temi a loro cari. Perché, come dice Zaia, «quattro regioni meridionali hanno un
buco sanitario di cinque miliardi». E perché, aggiunge, «Renzi
non avrà mai il coraggio di applicare i costi standard».
Alle argomentazioni leghiste
replicano alcuni esponenti pd.
Da Pina Picierno: «Vi ricordate
quelli che gridavano Roma ladrona? Ora minacciano lo sciopero fiscale contro i tagli agli
sprechi». A Simona Bonafè: «Zaia e Maroni vaneggiano. I tagli alla spesa sanitaria li ha fatti Tre-
monti con il sostegno della Lega,
noi vogliamo tagliare solo gli
sprechi».
Caldoro non è d’accordo con i
governatori leghisti, ma è fermo
sul governo: «Abbiamo sottoscritto un patto con l’esecutivo a
luglio e va rispettato. In quell’accordo, triennale, si stabiliva l’entità del fondo sanitario. La certezza delle risorse va mantenuta
e su questo saremo durissimi».
Ma gli sprechi? «Faremo la nostra parte e sono orgoglioso di
quello che abbiamo fatto in
Campania. Ricordo anche che
nel patto è previsto che i soldi risparmiati dagli sprechi vanno
reinvestiti nella sanità. Quindi
tagli non ce ne possono essere».
Quanto alla Lega: «Non so cosa vuol dire sciopero fiscale, mi
sembra uno strumento sbagliato
e inutile. E sui costi standard c’è
un equivoco, noi li applichiamo
già dal 2013. La differenza si fa
sulla media nazionale non sulle
singole Regioni». Caldoro chiede
unità alle Regioni: «Basta con i
protagonismi della Lega sullo
sciopero fiscale, ma anche di chi,
come la Toscana, fa le corse sui
ticket dell’eterologa: così si è
meno forti nel difendere il patto
sulla salute».
Nichi Vendola respinge l’arma
estrema dello sciopero fiscale: «È
un argomento sempre abbastanza demagogico e anche drammatico, perché lo Stato si regge su
un patto fiscale». Detto questo,
«sono anni che la crisi economica
diventa l’argomento che legittima l’infierire sul welfare, il taglio
alla rete delle protezioni sociali e
lo smantellamento dei servizi per
i cittadini. Le politiche dell’austerity sono una medicina che ucci-
Lo staff «economico»
Pronta la squadra
di Renzi:
in arrivo Perotti
e De Romanis
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Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
IL PIL DEGLI STATI
II trimestre 2014
I trimestre 2014
Variazione rispetto al trimestre precedente
2,7
2,5
2,0
1,5
0,6
0,1 0,2
0,1
-0,2
-0,1 -0,2
-0,4
Portogallo
-0,6
Olanda
Belgio
Austria
Francia
Germania
-1,0
Spagna
Gran Bretagna
-0,5
LA DISOCCUPAZIONE (a luglio 2014)
0
5
10
15
20
25
30
4,9
Germania
136
10,3
Francia
6,4
Gran Bretagna
24,5
Spagna
14
Portogallo
11,5
Irlanda
12,6
ITALIA
27,2
Grecia
10,2
Europa 28
11,5
Europa 18
La posizione
dell’Italia
nella classifica
mondiale
dell’efficienza
del mercato del
lavoro
(elaborazione
del Centro Studi
ImpresaLavoro sulla
base di dati World
Economic Forum)
IL COSTO DEL LAVORO
150
Germania
Spagna
Francia
ITALIA
140
130
120
110
100
90
2000
2002
2004
2006
Fonti: Istat, Eurostat, Reuters
Jobs act, il governo accelera
su lavoro e licenziamenti
Un emendamento-ponte per rivedere lo Statuto
0,6
0,5
0,4
ITALIA
0,4
0,0 0,0
0
Irlanda
0,8 0,8
0,7
0,5
2008
2010
2012
2014
CORRIERE DELLA SERA
ROMA — Il governo preme. E vuole che
l’accelerazione d’autunno arrivi proprio
sulla riforma del lavoro, sulle regole per i licenziamenti e il superamento dell’articolo
18 dello Statuto dei lavoratori che li regola
per le aziende più grandi. Un segnale rivolto
alla politica di casa nostra e soprattutto a
Bruxelles, come esempio di riforma fatta e
non solo annunciata, come carta da giocare
per ottenere qualche margine di flessibilità
sugli obiettivi di bilancio. Quella che inizia
oggi può essere la settimana decisiva ma
tutto si giocherà sui dettagli. Al momento
nel Jobs act, il disegno di legge delega arrivato nella commissione Lavoro del Senato,
sull’articolo 18 e sullo Statuto dei lavoratori
non c’è neanche una riga. Certo, la legge delega ha la funzione di cornice, un elenco dei
principi che saranno poi dettagliati in un
secondo momento con i decreti delegati.
Ma senza nemmeno un appiglio sulla materia poi non sarebbe possibile
procedere.
Per questo il
governo e il relatore, il presidente della
co m m i ss i o n e
ed ex ministro
Maurizio Sacconi (Ncd), dovrebbero presentare un
emendamento
che introduca
nel testo la questione. Probabilmente si userà una formula sfumata, il testo parlerà solo
di riforma dello Statuto dei lavoratori da
adottare con un testo unico ispirato dal diritto comunitario. Ma la modifica dovrebbe
finire qui, senza entrare nel merito della
questione. Una sorta di cavallo di Troia per
aprire la strada alle tappe successive, con
l’obiettivo finale che resta fermo: in caso di
vittoria in una causa per licenziamento, sostituire il reintegro con un indennizzo che
cresce a seconda dell’anzianità aziendale.
Un gioco sotterraneo, ma neanche troppo.
Ieri ha parlato Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera,
dove il Jobs act arriverà dopo il via libera di
Palazzo Madama, e nome importante di
quella sinistra pd contraria ad un intervento
del genere: «L’articolo 18 — ha detto Damiano, intervistato dal Mattino — è stato
innovato due anni fa all’epoca del governo
Monti. Perché cambiarlo ancora? Rischiamo
di acuire le tensioni sociali». Parole alle quali ha risposto lo stesso Sacconi: «Damiano
sconfessa Renzi. Di riforma complessiva
dello Statuto dei lavoratori ha parlato lo
stesso premier e segretario del Pd. Ed è paradossale che a non volerla siano taluni
esponenti dello stesso partito». Un tentativo
di spaccare quello che, al di là delle larghe
intese, sta pur sempre nell’altra metà del
vecchio arco parlamentare. Ma anche
l’emersione di quella partita sotterranea,
che si giocherà sul filo delle parole e anche
delle ambiguità.
È il caso di un altro passaggio della legge
delega, un altro principio che solo in un secondo momento sarà tradotto in un provvedimento concreto e dettagliato: le famose
«tutele crescenti». In questa formula rientrerebbe sia l’ipotesi che, in caso di licenziamento, ci sia un indennizzo crescente con
l’anzianità, e quindi il superamento di fatto
dell’articolo 18. Sia l’ipotesi che il licenzia-
«Jobs act»
Il ministro del
Lavoro Giuliano
Poletti: il suo «Jobs
act» sulle nuove
regole per il
mercato del lavoro
è nel calendario
della commissione
Lavoro del Senato
per domani. Ma è
probabile che le
votazioni entrino nel
vivo dopodomani
mento sia consentito solo nei primi tre anni, salvo poi applicare le regole attuali per il
resto della vita lavorativa. Due visioni diverse, la prima sostenuta da chi vuole «cancellare» l’articolo 18, la seconda da chi lo difende. Che però troverebbero entrambe una
giustificazione in quella formula usata nelle
delega.
Il Jobs act è nel calendario della commissione Lavoro del Senato per martedì. Ma è
probabile che le votazioni entrino nel vivo il
giorno successivo. Sempre mercoledì riparte al Senato, in commissione Affari costituzionali, la discussione sul disegno di legge
delega per la pubblica amministrazione, la
seconda puntata della riforma partita prima
dell’estate con il decreto legge che ha tagliato i distacchi sindacali e rafforzato la mobilità obbligatoria dei dipendenti. Qui, però, i
ritmi saranno meno serrati: si riprende con
un’indagine conoscitiva. La conferma che i
segnali da mandare a Bruxelles si cercheranno su altre materie.
Lorenzo Salvia
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I conti La strategia dell’esecutivo per allargare il bonus alle famiglie numerose e ampliare il taglio dell’Irap
Vincoli Ue, Roma punta a uno sconto da 6 miliardi
ROMA — Nel bicchiere della sostenibilità dei
conti pubblici italiani la linea dell’acqua, all’indomani dell’Ecofin di Milano, sta proprio nel mezzo.
Ma per dire con certezza che si tratti di un bicchiere «mezzo pieno» o di un «mezzo vuoto», l’Italia
dovrà aspettare il prossimo anno. Si potrebbe sintetizzare con questa metafora l’impatto di quanto
si è deciso a Milano più negli incontri riservati che
nelle riunioni ufficiali.
In termini di lavoro da fare, significa che il
grosso dell’impegno che ci viene richiesto dall’Ue
ci sta ancora davanti e dovrà essere realizzato nel
giro dei prossimi nove mesi. Non bastano ancora
le riforme che il governo Renzi illustra nel sito dei
Millegiorni, perché l’Ue le vuole vedere attuate,
ma anche perché il loro impatto sui conti pubblici
è mancato, anche per colpa di contingenze negative che hanno investito le economie occidentali.
Ecco perché l’Italia esce dall’Ecofin ancora come
«sorvegliato speciale», malgrado gli sforzi del
premier di rimuovere quell’immagine di tutela
che ha accompagnato anche i precedenti governi.
9
La legge delega Domani la discussione in commissione al Senato
Riforme e crescita
1,0
Primo Piano
italia: 51575551575557
Fin qui il «vuoto» del bicchiere. Il «pieno» sta
nell’avere impostato, grazie alla sponda francese,
il tema dell’applicazione della flessibilità insita
del Patto, fattore che ci dovrebbe consentire di
non ridurre il disavanzo strutturale l’anno prossimo se manterremo il rapporto deficit/Pil al di sotto del 3%, l’unico impegno che da mesi Renzi va
dicendo in effetti di voler rispettare.
Il percorso che ci attende prevede prima di tutta a fine mese la nota di aggiornamento del Def
(documento di economia e finanza) che terrà
conto delle stime del Pil aggiornate con i nuovi
criteri di calcolo, che verranno rese note il 22 settembre. La preoccupazione del governo per que-
L’aggiornamento delle stime
Attese le stime del Pil aggiornate con
i nuovi criteri da cui dipenderà
l’avvicinamento alla soglia del 3%
st’anno, come si è detto, è di restare sotto il 3%: al
momento i deludenti dati del Pil, che rischiano di
essere confermati nel prossimo trimestre, collocano questo rapporto pericolosamente vicino alla
soglia dello sforamento. Ma il governo continua a
respingere l’ipotesi di manovre correttive appellandosi ai minori tassi d’interesse sul debito pubblico e al buon andamento del fabbisogno.
La seconda tappa è la presentazione della legge
di Stabilità entro il 15 ottobre. A questo punto, alla
luce di quanto emerso dall’Ecofin, il governo procederà per la sua strada avendo come faro solo la
regola del 3%. Vediamo come. Dal lato delle spese
servono con certezza 10 miliardi per confermare il
bonus, 3 miliardi per coprire la clausola Letta, 6-7
per impegni presi e spese indifferibili. Un totale di
circa 20 miliardi. Dal lato delle coperture si prevedono tagli da 13 miliardi per attuare la seconda fase della spending review, più 3 previsti dal decreto
Irpef, un incasso di 1-1,5 miliardi di maggiore Iva
sui pagamenti della P.a., 2-3 miliardi dalla lotta all’evasione, 1,5 miliardi per l’aggiornamento del
Pil, per un totale di 20-22 miliardi. Se il governo
dovesse rispettare i termini del Patto, dovrebbe ridurre il disavanzo strutturale dello 0,5% del Pil
mettendo in conto altri 7,5 miliardi. Ma la scommessa del governo Renzi è poter ottenere uno
sconto allo 0,1% del Pil, pari a un risparmio di 6
miliardi. Gli stessi che servirebbero per allargare
il bonus alle famiglie numerose e ampliare il taglio dell’Irap.
Per ottenere questo margine dovremo però superare un primo esame a novembre sulla legge di
Stabilità. In quella sede verrà presentato, come
sempre il timing delle riforme. Che però questa
volta sarà sorvegliato e sottoposto a una prima
verifica tra gennaio e febbraio, poi in primavera,
in occasione delle previsioni economiche Ue, e
infine a giugno. A metà anno sapremo se avremo
superato l’esame delle riforme e potremo avvalerci della flessibilità. O finire sotto procedura
d’infrazione.
Antonella Baccaro
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L’incontro
Alitalia,
Montezemolo
e Hogan
a Milano
ROMA — Dopo il road
show all’ombra del
Colosseo, James Hogan e i
vertici di Alitalia si
spostano a Milano per
vedere oggi un altro folto
gruppo di dipendenti della
vecchia compagnia, circa
200 lavoratori,
appartenenti a tutti i
settori (tra il personale
libero dai turni di
servizio). Nel frattempo la
società emiratina non
perde tempo: ieri non
sono state confermate le
voci di un incontro tra
Hogan e Luca Cordero di
Montezemolo anche se il
presidente uscente della
Ferrari è stato visto nel
capoluogo lombardo, ma
appare in discesa la strada
che potrebbe portare
Montezemolo alla guida
della nuova compagnia
aerea. Comunque, in attesa
49%
La quota acquistata
in Alitalia dalla
compagnia aerea
emiratina Etihad.
Atteso il parere Ue
che l’Ue esprima un parere
sull’acquisto del 49% di
azioni della società italiana
da parte di quella araba, il
management di Abu Dhabi
vuole fare conoscere le
strategie di rilancio e
sviluppo che puntano tra
l’altro su nuove rotte. E la
compagnia tricolore potrà
anche contare sul network
di aziende, guidato da
Etihad, che già vanta oltre
95 milioni di passeggeri.
Stamattina a fare gli onori
di casa in un albergo
milanese, come già
avvenuto nella Capitale,
sarà Gabriele Del Torchio,
ad di Alitalia, che poi
passerà il microfono a
Hogan. Interverranno
anche Silvano Cassano,
che sarà il nuovo ad della
compagnia, e Giancarlo
Schisano, vicedirettore
business. A hostess,
steward, piloti e personale
di terra sarà consegnata la
spilletta che, riadattando il
celebre slogan rilanciato
dalla cantante Madonna,
recita: «Alitalians do it
better». In questo modo i
vertici emiratini vogliono
rafforzare l’obiettivo di
offrire alla clientela
prodotti a «cinque stelle»,
senza dimenticare i
bilanci: infatti nel piano
industriale si prevede il
ritorno all’utile di Alitalia
nel 2017.
Francesco Di Frischia
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10
Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
italia: 51575551575557
I partiti Le scelte
Stati Uniti
Consulta, l’ipotesi Violante-Bruno
Appello di Grasso: Camere bloccate
Atteso un segnale da Arcore, si tratta ancora. Oggi nuova votazione
ROMA — L’impasse sull’elezione dei 2 giudici costituzionali
e di 5 degli 8 «laici» del Csm inizia a impensierire i presidenti di
Camera e Senato ma, soprattutto, il governo Renzi che è ansioso di vedere viaggiare i suoi numerosi provvedimenti ora fermi
in Parlamento. E poi, nella stagione della pax con Berlusconi,
la partita impantanata della
Consulta e del Csm sta dando
qualche pensiero di troppo anche all’ex Cavaliere. Tant’è che
ieri sera all’ora dei telegiornali
— dopo una giornata in cui è
stato palpabile il disagio di Forza
Italia che ancora non ha ufficializzato una candidatura per la
Corte dopo la rinuncia di Antonio Catricalà — l’agenzia Ansa
ha raccolto indiscrezioni provenienti da Arcore che segnalava-
no una svolta improvvisa favorevole al senatore Donato Bruno
(FI), già posizionato su una base
di 120 voti. Bruno, avendo il
gradimento del Pd, sarebbe
compatibile con l’elezione di
Luciano Violante fermo all’ultima votazione a quota 468 voti.
Se così fosse, già oggi pomeriggio il Parlamento potrebbe
essere in grado di eleggere i due
giudici, sciogliendo così le tensioni che iniziano a manifestarsi
tra Palazzo Chigi e Arcore, che
un patto lo hanno sottoscritto.
Eppure chi nella villa di Berlusconi è di casa invita alla prudenza: «Il presidente si è preso
qualche ora per riflettere e poi
noi abbiamo solo 120 voti e ce
ne vogliono ancora molti per
raggiungere il quorum». L’incastro decisivo potrebbe dunque
avvenire oggi quando l’input di
Arcore sarà ufficiale e piomberà
sul tavolo della trattativa aperta
tra i capigruppo (Zanda e Speranza per il Pd, Romani e Brunetta per FI). Certo, fare ipotesi
che siano diverse dal ticket Violante-Bruno è davvero difficile,
a questo punto: «Il Pd sa quel
che vuole, aspettiamo che gli altri partiti si chiariscano le idee»,
ha commentato il ministro Maria Elena Boschi.
I due candidati devono però
fare i conti con eventuali sacche
di resistenza, interne ed esterne
ai rispettivi partiti: Violante, a
destra, fa ancora venire l’orticaria agli ipergarantisti e, a sinistra, non è amato da quelli che
lo considerano un ex toga rossa
pentita; mentre Bruno non va
giù ai giustizialisti che lo associano a Cesare Previti e alla stagione delle leggi ad personam
voluta da Berlusconi. Ma quello
che temono di più Violante e
Bruno è il «partito trasversale
Prudenza
Da Forza Italia fanno
sapere: «Per ora
abbiamo solo 120 voti,
ne servono molti di più»
Le ferie dei giudici
Sul taglio delle ferie dei
magistrati interviene il
sottosegretario Costa:
nessuna retromarcia
del trolley» che, nella giornata
di lunedì, dà in Parlamento il
meglio di sé grazie a ritardi e assenze. Il quorum, i 3/5 degli
aventi diritto è infatti fisso, scolpito a quota 570. E, conti alla
mano, a Violante (468) mancano ancora un centinaio di voti e
più o meno lo stesso è il vuoto
che separa il candidato di FI dal
traguardo, se si sommano i voti
di Catricalà (368) e quelli di Bruno (120).
Che ci sia assoluta urgenza di
sbloccare l’impasse lo ha segnalato il presidente del Senato, Pietro Grasso: «Spero che domani
(oggi, ndr) si trovi la soluzione
altrimenti il problema diventa
ancora più grave. Abbiamo bisogno di riprendere gli altri lavori parlamentari». L’azzurro
Renato Brunetta, però, non ha
Casa Bianca,
parte nello Iowa
la sfida di Hillary
La corsa per la Casa Bianca
è ormai partita. Nella foto
si vede una sostenitrice di
Hillary Clinton accanto a
una sagoma in cartone
dell’ex segretario di Stato
a Indianola, nello Iowa,
uno degli Stati in cui nel
2008 non era riuscita a
prevalere nelle primarie.
In realtà, la corsa alla
designazione per il partito
democratico della moglie
dell’ex presidente Usa non
è ufficiale, anche se data
per certa: l’interessata non
ha ancora sciolto la sua
riserva. Lo Iowa è
tradizionalmente lo Stato
americano in cui per
primo partono le
competizioni tra i
candidati per la
nomination.
gradito: «La Repubblica prospera con libertà senza ultimatum».
Anche i «togati» eletti a luglio
al Csm hanno manifestato il loro
disagio: «Assistiamo con preoccupazione alla difficoltà del Parlamento nella elezione dei com-
ponenti laici del Csm, situazione
che lascia la magistratura senza
piena operatività dell’organo di
governo autonomo in un momento di particolare delicatezza». Firmato: i togati di Area
(Aprile, Ardituro, Aschettino,
L’intervista L’avvocato ex deputato di FI
Paniz: «Io in corsa?
Amici parlamentari
fanno il mio nome»
ROMA — Maurizio Paniz — classe 1948, avvocato da 43 anni,
deputato tra il 2001 e il 2013, scelto da Berlusconi che poi difese in
aula con la storia di «Ruby nipote di Mubarak» — risponde al telefonino mentre percorre un sentiero delle sue montagne bellunesi: «Io
in corsa per la Corte costituzionale? In realtà sto scendendo da un’alta via sotto uno splendido sole, dopo tante giornate di cattivo tempo... È vero, ci sono stati tanti amici parlamentari che in queste settimane mi hanno parlato della Consulta ma, per carità, non ho avuto
alcun contatto con i vertici. Io sono sempre a disposizione del partito però non voglio stimolare alcuna autocandidatura. Non vorrei
che una mia parola di troppo costituisca un problema anche perché
ho grande stima di Donato Bruno, di Gaetano Pecorella e di Antonio
Catricalà».
E allora, dopo il ritiro di Catricalà, dica pure cosa pensa di Luciano Violante, il candidato del Pd.
«Ho avuto modo di incontrare molte volte il presidente Violante.
È sempre stato corretto, lo apprezzo per il modo in cui sa interloquire con chiunque si trovi di fronte. Ho stima per lui ma anche per la
senatrice Finocchiaro con la quale ho
avuto molti confronti costruttivi in
commissione giustizia».
A questo punto, fermo restando
che il Pd ha blindato la candidatura
di Violante, Forza Italia saprà esprimere nelle prossime ore un nome
unitario per la Corte?
«Forza Italia ha sempre saputo trovare la sintesi nei passaggi difficili. Ho
sempre avuto fiducia piena nel presidente Berlusconi e nel partito».
Partito che non l’ha ricandidata
nel 2013.
«Ora faccio l’avvocato a tempo pieno, con studio a Belluno e a Roma».
Per un avvocato la Corte costituIl giudizio
zionale è un obiettivo prestigioso.
Ho incontrato
«La Corte rappresenta uno straordinario punto di riferimento nel nostro
Violante più
Paese. E solo il fatto che molti amici
volte: corretto e parlamentari abbiano fatto il mio noaperto al dialogo me è un segnale di grande stima e
affetto nei miei confronti».
Lei è un garantista?
«Sì, e lo sono per tutti. Quando ero in giunta per le autorizzazioni
a procedere ho parlato per Papa e Milanese (FI, ndr) ma anche per
Margiotta (Pd, ndr). Ma non ho mai pronunciato una parola contro i
magistrati e sono onorato di aver fatto parte del Parlamento».
I consensi bipartisan se li è guadagnati anche giocando nella
nazionale di calcio dei parlamentari?
«Anche lì ho amici, in tutti i partiti. Ottimi rapporti con tutti li ho
avuti anche nel consiglio di giurisdizione e nel collegio d’appello
della Camera che ho avuto l’onore di presiedere».
« Ruby nipote di Mubarak». Si è pentito di aver usato quell’argomento?
«Guardi, sono felicissimo di aver insistito su quel tema. La sentenza di appello di Milano (assoluzione per Berlusconi per i reati di
concussione e prostituzione minorile, ndr) mi ha dato ragione. E ora
molti mi dicono: avevi visto giusto, prima degli altri. Vorrei essere
però ricordato più per la legge sull’affido condiviso, che aiuta le
famiglie, e per quella che ha introdotto il casco obbligatorio per i
minori sugli sci, che ha salvato tante vite».
❜❜
D.Mart.
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Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
Politica 11
italia: 51575551575557
Il retroscena Il leader convinto che si vada verso le urne
I nodi
E ora Berlusconi pensa
a una «fase nuova»
Più distanza con Renzi
Fitto: l’opposizione non sia più silenziosa
Clivio, Fracassi, Morosini, Napoleone).
Delicata è la riduzione per decreto di un terzo delle ferie spettanti ai magistrati. Il viceministro Enrico Costa (Ncd) ha aggiustato il tiro in vista del dibat-
tito parlamentare: «Non c’è e
non ci sarà alcuna retromarcia
sulle ferie dei magistrati. Ne ho
parlato con il ministro Orlando e
questo è il suo pensiero».
Dino Martirano
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A 8 anni dalla morte
«Una strada per Oriana»
La proposta di Salvini
Una strada per Oriana Fallaci. O
una scuola. In tutti i Comuni
d’Italia, o almeno in quelli in cui
il Carroccio è al governo. È la
proposta del segretario della
Lega Nord Matteo Salvini dopo
la diffusione delle immagini
dell’esecuzione del britannico
David Haines da parte di un
miliziano dell’Isis, i sostenitori
del «califfato» siriano e iracheno:
«Un altro occidentale sgozzato
dai fanatici islamici — ha scritto
Salvini sul suo profilo Facebook — . E domani (oggi) è
l’ottavo anniversario della morte di Oriana Fallaci. In tutti
i Comuni dove è presente un sindaco, un assessore o un
consigliere della Lega, domani chiederemo che una via,
una piazza, un giardino o una scuola vengano intitolati
alla Fallaci». La giornalista scomparsa nei suoi ultimi libri
(e articoli sul Corriere) era stata molto decisa nel mettere
in guardia l’Occidente dal fondamentalismo islamico.
ROMA — Nel giro ristretto
del Cavaliere ormai ne parlano
come di «una nuova fase». Diversa da quella che ha dominato
gli ultimi mesi della legislatura,
con il Patto del Nazareno a scandire la vita parlamentare, l’accordo a due gestito «da un sinedrio» e la cordiale intesa tra
maggioranza e opposizione che
poco va giù alla pancia sia del Pd
che di Fi. Da agosto a oggi, raccontano, «molto è cambiato».
Non solo nella consapevolezza
degli azzurri, degli alleati potenziali — da Ncd a Fdi e a una parte
della Lega — che si deve andare
a una stretta e riallacciare i rapporti, in fretta, ma anche nella
testa di Berlusconi.
L’ex premier non sta preparando agguati a Renzi. La sua
intenzione resta quella di tener
fede al patto delle riforme. Ma la
consapevolezza, sua e dei suoi, è
che una stagione potrebbe anche essere agli sgoccioli. Complice infatti la situazione dell’economia che non accenna a
migliorare, e quelli che vengono
considerati — se non passi falsi
— comunque segnali di difficoltà evidenti nell’agire di Renzi, la convinzione è che il voto
anticipato in primavera non sia
affatto un’ipotesi di scuola ma
uno scenario realistico. E se l’intenzione del presidente del
Consiglio fosse davvero quella
che lui stesso avrebbe confidato
ad alcuni interlocutori — almeno così giura di aver saputo un
ex ministro azzurro — e cioè
che entro maggio si andrà alle
urne, allora bisogna gradualmente cambiare registro, senza
farsi invischiare da quello che lo
stesso Berlusconi vede come un
«graduale logoramento».
Raccontano infatti che perfino le parole dello scomodissimo
Raffaele Fitto pronunciate ieri a
«L’Intervista» di Maria Latella —
e cioè che l’opposizione «non
dovrà essere silenziosa, dovrà
incalzare il governo se non si
vuole perdere credibilità» e se si
vuole «essere pronti a tutto, anche al voto anticipato» — non
abbiano fatto arrabbiare il Cavaliere. In fondo lui il ragionamento lo comprende, e i toni usati
non sono stati considerati aggressivi né negativi.
Opposizione
Una parte significativa di
Forza Italia, a partire
dall’ex ministro Raffaele
Fitto, continua a essere
convinta che
l’opposizione al governo
Renzi debba essere assai
più netta e anche visibile
nonostante il patto del
Nazareno stretto tra
Berlusconi e il premier.
Il confronto
«Penso sia indispensabile aprire un dibattito
all’interno del
partito». Raffaele Fitto, già ministro, lo ribadisce ancora una
volta ospite da
Maria Latella su
Sky: in Forza
Italia occorre un
maggior coinvolgimento dei
parlamentari
nelle decisioni
Ma a incidere sul quadro politico, in casa Forza Italia, c’è anche il sempre più evidente fastidio per il ruolo assunto da Verdini, assieme a Letta, nel dialogo
con Renzi. Un dialogo che esclude il resto del partito, tenuto sullo sfondo a languire. E il voto di
ribellione a Catricalà dei giorni
scorsi è stato un campanello
d’allarme rispetto al clima che si
respira trasversalmente in Parlamento, che Berlusconi non ha
affatto sottovalutato, tanto che si
va verso l’indicazione di Bruno
(gradito ai «ribelli») come giu-
Dal 24 al 26 ottobre
E da Firenze Boschi annuncia
la prima Leopolda di governo
Alla prima Leopolda, lei si presentò semplicemente come
«avvocato esperto di diritto societario». Ieri sera, da ministro
alle Riforme e ai rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi
a sorpresa ha annunciato quella nuova, la prima quando Renzi
è al governo: «Faremo la quinta Leopolda a Firenze dal 24 al 26
ottobre». Il ministro è da poco arrivata alla Festa dell’Unità di
Firenze senza troppi attributi tradizionali dello status:
l’automobile è semplicemente quella del padre. Il ministro
(«signora ministro» spiega al direttore del Corriere fiorentino
Paolo Ermini che le chiede se è ministro o ministra) a un certo
punto dà l’annuncio e suona la carica: «Rimbocchiamoci le
maniche, da qui ad allora. Sul tema di questa Leopolda,
lavoreremo nelle prossime settimane. Saranno tre giorni di
dibattito e confronto che inizieranno con un tavolo di
discussione aperto a tutti, con politici e cittadini». La stazione
ferroviaria Leopolda di Firenze è stata il teatro, nel 2010, della
prima convention di Matteo Renzi per sollecitare la necessità di
un cambiamento deciso all’interno del Pd. In sostanza, la
prima partecipata uscita pubblica dei «rottamatori» del partito.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
dice della Consulta.
Per questo, la sua parola d’ordine — ripetuta anche ai coordinatori della Lombardia Maria
Stella Gelmini, che gli ha presentato il Corso di formazione
del partito che si terrà da venerdì a Sirmione, e del Veneto Marco Marin, ricevuti sabato sera ad
Arcore — è «organizzarsi al meglio» e stringere tutte le alleanze
possibili. È vero che con la Lega
le difficoltà sono ancora tante, e
«non dobbiamo rischiare che
con quell’atteggiamento da partito di lotta e di governo loro dall’alleanza prendano tanto e noi
niente...», ma la strada del rimettere assieme tutto il centro-
Le primarie
Un altro tema che
continua a dividere il
partito fondato da Silvio
Berlusconi è la possibilità
di ricorrere alla primarie
per scegliere i candidati
del partito alle elezioni.
Anche questo è uno dei
cavalli di battaglia di
Raffaele Fitto. Ma lo
stesso consigliere politico
del partito, Giovanni Toti,
anche negli ultimi giorni
si è mostrato assai
tiepido sull’ipotesi.
Il caso Catricalà
L’ex presidente
dell’autorità Antitrust
Antonio Catricalà era
stato candidato dai vertici
di Forza Italia per la Corte
costituzionale. Ma una
parte dei parlamentari
puntava su Donato
Bruno. La fronda ha
avuto successo: Catricalà
ha infatti annunciato il
suo ritiro dalla corsa.
destra è «l’unica da percorrere».
Per riprendere in mano il filo
di una situazione che lo vede da
settimane solo sullo sfondo,
Berlusconi — che ieri si è dedicato ai figli e al Milan — domani
sarà a Roma. Previsti incontri
con i vertici, con i rappresentanti delle forze dell’ordine mercoledì, con tutti i coordinatori regionali giovedì. Allo stato invece
non è annunciato alcun faccia a
faccia con Renzi. Non che non si
possa organizzare in segreto, ma
nessuno ha voglia di parlarne.
La cautela in un momento così
delicato è d’obbligo. Anche nei
confronti dello stesso premier:
pare che non sia piaciuto al leader Pd l’attivismo del Cavaliere
pro Putin, e tantomeno la sua telefonata sul tema alla Mogherini: il rischio, secondo Palazzo
Chigi, è che con certe posizioni
forti si creino problemi all’Italia,
presidente di turno dell’Ue. E
Berlusconi, da qualche giorno,
sul tema tace.
Paola Di Caro
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Dopo Errani Ricovero in ospedale a Modena, dove è andato per un forte dolore al torace. Tra le possibili cause anche lo stress per i fatti della scorsa settimana
Emilia, primarie senza pace: malore per il favorito Bonaccini
L’esponente dem, dopo la bufera per l’inchiesta sulle spese da consigliere, aveva iniziato ieri la campagna
DAL NOSTRO INVIATO
MODENA — Definirla tormentata è poco. Una candidatura piena di spine. Dopo
l’iscrizione per peculato nel registro degli indagati dell’inchiesta sulle «spese pazze» in
Regione e la sofferta decisione
di non rinunciare alla candidatura alle primarie pd in vista
Impegni cancellati
Lo staff del candidato:
non è in gravi condizioni
ma resterà ricoverato
finché sarà necessario
delle elezioni regionali del 23
novembre, un malore — sotto
forma di una violenta fitta al torace accompagnata da alcuni
istanti di profonda spossatezza
— ha costretto ieri nel tardo
pomeriggio il modenese e renziano Stefano Bonaccini, 47 anni, segretario regionale dei Democratici emiliano-romagnoli,
favorito nella consultazione interna che lo vede opposto all’ex
sindaco di Forlì, Roberto Balzani, 53 anni, a interrompere bruscamente una campagna elettorale iniziata solo qualche ora
prima alla Festa dell’Unità di
Bologna. L’esponente pd, che
ha raggiunto il Policlinico di
Modena nell’auto guidata dalla
moglie Sandra, è stato sottoposto in serata a una serie di accertamenti che, a quanto si è
appreso, hanno escluso problematiche di natura cardiaca.
«Bonaccini — hanno spiegato
fonti a lui vicine — è sempre
stato cosciente. Le sue condizioni non sono ritenute gravi,
anche se i medici ritengono opportuna una serie di approfondimenti e, in vista di ciò, rimarrà in ospedale il tempo necessario».
L’ipotesi prevalente, in attesa
di ulteriori accertamenti, è che
tra le cause del malore abbia
giocato anche lo stress di questa ultima settimana, resa incandescente dalla notizia della
sua iscrizione nel registro degli
indagati (assieme ad altri 7
consiglieri pd) e dalla successiva decisione di Bonaccini — al
quale vengono contestate spese
senza giustificazioni per circa 4
mila euro — di presentarsi immediatamente ai magistrati
(cosa avvenuta mercoledì scorso) per chiarire la sua posizione
e gettare le premesse per la ri-
chiesta d’archiviazione già
avanzata dal suo legale Vittorio
Manes e che la Procura sembra
intenzionata ad accogliere.
Era iniziata bene la domenica di Bonaccini. Poi è andata di
male in peggio. Alla Festa dell’Unità di Bologna, forte dell’appoggio ricevuto qualche ora
prima da Pierluigi Bersani e da
Vasco Errani, il candidato renziano, nonché responsabile na-
Alla Festa Stefano Bonaccini ieri a Bologna con Nicoletta Mantovani Pavarotti, ora assessore a Firenze(Ansa)
zionale degli enti locali, ha finalmente potuto accendere i
motori della sua campagna,
scrollandosi di dosso gli ultimi
veleni dell’inchiesta: «Sono una
persona perbene. Per un attimo
ho pensato di fare un passo indietro, poi mi sono detto che
non era giusto, che valeva la
pena tenere duro. Ho fiducia
nei magistrati e spero di chiarire in tempi brevi la mia posizione». È stato a questo punto che
la domenica ha cominciato a
farsi buia. Bonaccini aveva appena finito di illustrare il suo
programma e si stava preparando al tradizionale giro degli
stand quando è arrivata la notizia del grave incidente stradale
nel quale è rimasto coinvolto il
vicepresidente della Provincia
di Bologna, il pd Giacomo Venturi, 45 anni, finito con in scooter contro un’auto (le sue condizioni sono molto serie). Bonaccini, a lui legato da anni, si è
precipitato all’ospedale Maggiore e poi ha scritto su Twitter:
«Giacomo tieni duro, non fare
scherzi: altro che primarie…». E
non era ancora finita. Rientrato
a Modena dalla moglie Sandra e
dalle tre figlie per una breve
pausa prima di affrontare l’ultimo appuntamento di giornata
(la Festa dell’Unità a Reggio
Emilia dov’era in programma il
primo faccia a faccia con il rivale Balzani), Bonaccini, verso le
19, mentre si preparava a partire in auto, è stato colto da un
forte dolore al petto. «Ha subito
capito — raccontano i suoi —
Lo sfidante
Balzani, che lo aspettava
per il primo confronto:
«Stefano adesso
pensi solo a riposarsi»
che non era cosa da sottovalutare». Lui e la moglie si sono allora diretti al Policlinico. Saltato naturalmente il dibattito
reggiano. Così come tutti gli
appuntamenti di oggi. Dal rivale Balzani, un ideale abbraccio:
«Si riposi, Stefano, lo stress di
questi giorni è stato davvero
forte: lo aspetto».
Francesco Alberti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
12
Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
italia: 51575551575557
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Esteri
Palloncini La gioia dei sostenitori dei Democratici svedesi, partito di estrema destra
Elezioni Senza maggioranza assoluta, difficile ora la formazione del governo
Svezia, vince la sinistra
Ma è boom degli xenofobi
L’estrema destra raddoppia i voti e sfiora il 13%
DAL NOSTRO INVIATO
Quartiere a rischio
Nella periferia
degli immigrati:
«Ci temono»
DAL NOSTRO INVIATO
STOCCOLMA — Una targa sul muro
di un edificio basso e grigio annuncia:
«Kulturskolan Stockholm», centro
culturale. È domenica sera, le urne
stanno per chiudere. I primi exit poll
segnalano che il partito xenofobo degli
Svedesi democratici supera il 10% dei
voti e, dunque, ha raddoppiato i consensi (il risultato finale darà loro il
12,9%). All’interno i locali sono tutti
vuoti e chiusi a chiave. Tranne uno
stanzone seminterrato dove cinque
uomini silenziosi giocano a carte, una
specie di Ramino con i soldi sul tavolo.
Quartiere Husby, periferia nord di Stoccolma. Neanche tanto male rispetto agli
standard urbanistici di mezza Europa.
Nessun alveare, qualche blocco di setteotto piani con le parabole sui balconi,
molte palazzine rosse. Strade pulite,
giardini in ordine. Mohamoud è l’unico
che parli inglese. Tocca a lui, dunque.
Ha 33 anni, gli ultimi cinque li ha vissuti qui. Viene dall’Iran, come la maggior
parte degli abitanti di Husby. Iraniani,
oppure curdi, iracheni, siriani. «Ho la
residenza, ma non il passaporto e quindi non ho votato», chiarisce subito. Poi
racconta di quanto sia bello e ricco il
suo Paese, ma di come sia impossibile
viverci «sotto i mullah». Adesso fa il
buttafuori in una discoteca del centro
città. Piano, piano comincia a parlare di
politica. Praticamente tutti gli immigrati hanno appoggiato in pieno i socialdemocratici. Ma il punto ora è capire chi e perché ha votato per il movimento populista di Jimmie Akesson.
Forse è corretto partire da qui, da questo insediamento nato negli anni Sessanta e Settanta, pianificato dal governo
e dalla municipalità per dare un alloggio agli operai assunti nelle industrie
chimiche, metallurgiche e nei cantieri
navali della capitale. «Io un po’ li capisco — dice il giovane iraniano — noi
siamo venuti tutti qui, di colpo. Non
credo che gli svedesi siano razzisti,
tranne una piccola parte di loro. Gli altri
sono solo molto preoccupati, pensano
che manderemo in rovina l’economia,
lo Stato». I cinque giorni che trascorsero dal 19 al 23 maggio del 2013 sono
ancora vivi nella memoria di Stoccolma. I sobborghi a nord furono sconvolti
da duri scontri tra giovani immigrati e
la polizia. E cominciarono proprio a
Husby, quando gli agenti uccisero un
anziano portoghese che li minacciava
armato di machete. Seguirono notti di
incendi, di auto rovesciate, di cariche e
di lacrimogeni. Si parlò di crisi irreversibile del modello di integrazione alla
svedese, di fallimento sociale, esattamente come era avvenuto a Londra e a
Parigi. Ma ora la serata è tiepida. La
fermata del metro è ancora affollata. In
pochi si fermano a parlare, a spiegare.
Ci pensa allora Mohamoud a tirare le
fila: «La verità? Io penso che qui almeno
il 40% degli svedesi sia stufo di tutti
questi immigrati e forse anche loro
hanno votato per il partito antistranieri.
Ma noi tutti confidiamo nei socialdemocratici. Hanno promesso che ci aiuteranno, perché ne abbiamo bisogno,
noi non sapremmo dove andare».
G. Sar.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
STOCCOLMA — A mezzanotte in punto Stefan Lofven sale
sul palco allestito nella sede del
partito socialdemocratico. In
mano ha una rosa rossa e una
vittoria parziale nelle elezioni
politiche. Ha ottenuto il primo
posto, con il 31,2%, ma non ha
una maggioranza: sommando
anche i voti dei Verdi (6,8%) e
della Sinistra (5,7%) arriva al
43,7%. Inutile il 3,1% raccolto da
Le urne
Il sorpasso
Con il 43,7% la
coalizione di
centrosinistra
guidata da Stefan
Lofven conquista il
primo posto. Ma
senza ottenere
la maggioranza
assoluta
Il voto
Alleanza (centrodestra)
39,1%
Socialdemocratici
Verdi-sinistra
(centrosinistra)
43,7%
Democratici
svedesi
(estrema destra)
12,9%
CDS
Iniziativa femminista che resta
sotto la soglia del 4% e quindi
non entra nel Parlamento. La
Svezia, dunque, questa mattina
si sveglia senza un governo. Il
primo ministro Fredrik Reinfeldt si è dimesso mezz’ora prima
che parlasse il suo rivale, lasciando anche la guida del partito moderato, sconfitto con il
23,2%, contro il 30,6% ottenuto
nel 2010 e il 26,23% del 2006. La
coalizione di centrodestra si ferma al 39,1%.
Eppure il dato più grave per i
due avversari è un altro: la quota
decisiva è finita nelle mani del
35enne Jimmie Akesson, la promessa mantenuta di queste consultazioni. La sua formazione
estremista e xenofoba, Svedesi
democratici, era data in grande
Governo uscente
I partiti di
centrodestra, guidati
dal primo ministro
uscente Fredrik
Reinfeldt, al potere
dal 2006, hanno
raggiunto il 39,1%
delle preferenze
Estrema destra
Boom dell’estrema
destra di Jimmy
Akesson che si
attesta al 12,9%.
Il partito delle
femministe ha avuto
il 3,1%: non
abbastanza per
entrare in
Parlamento
crescita dai sondaggi. Sensazione confermata dalle urne: percentuale più che raddoppiata rispetto al 2010: dal 5,7 al 12,9%,
ovvero la terza posizione alle
spalle dei socialdemocratici e
dei moderati.
L’exploit di Akesson conferma come il messaggio populista
sia ormai radicato ovunque e
come il modello costruito in
Francia da Marine Le Pen possa
essere replicato in Paesi con storie e tradizioni diverse. Appare
molto improbabile, però, che gli
Svedesi democratici siano adesso in grado di rinunciare all’elmo chiodato dei vichinghi (il loro simbolo elettorale) per proporsi come forza di governo.
Nella notte Akesson si è proclamato «l’ago della bilancia della
politica svedese». Ma nessuno
pare disposto a imbarcarli in
un’alleanza. Certo non il socialdemocratico Lofven, ma neanche il moderato Reinfeldt che ha
aperto la campagna elettorale
invitando gli svedesi «a non
chiudere il cuore e le porte agli
immigrati».
Alla fine, però, il premier
uscente smarrisce nella deriva
populista più schede di quelle
che aveva previsto. Adesso la logica della politica suggerisce solo due possibili soluzioni. La
prima: un governo di minoranza
guidato dall’ex sindacalista Lofven e appoggiato con un meccanismo di «non sfiducia» dalla
coalizione di centro-destra o da
suoi spezzoni. La seconda: un
esecutivo di larghe intese a guida socialdemocratica. Già questa incertezza rappresenta un
trauma, un momento di rottura
della solida governabilità di cui
la Svezia beneficia da 73 anni
(65 anni con i socialdemocratici
e gli ultimi otto con i moderati).
In realtà il dialogo tra Lofven
e Reinfeldt può contare su oggettive assonanze di programma. I socialdemocratici hanno
insistito sulla necessità di ridare
smalto a scuola e ospedali. Per
farlo occorre aumentare le tasse.
Su questo punto i moderati hanno perso la sfida: in un’eventuale trattativa per la formazione
del governo, dal loro punto di
vista, potranno solo limitare il
danno. Ma sull’altro grande tema della campagna, il contrasto
alla disoccupazione, i due rivali
sono oggettivamente più vicini
di quanto sembri. Il tasso di disoccupazione è pari al 7,9%, un
numero invidiabile per almeno
una mezza dozzina di premier
europei, ma che a Stoccolma è
considerato inaccettabile sia per
i socialdemocratici che per i
moderati. Non mancano le idee
e la strumentazione tecnica per
raggiungere un’impostazione di
compromesso.
Più complicato, invece, dare
una risposta all’elettorato che si
è rifugiato nel recinto anti-stranieri di Akesson. I risultati del
voto indicano con chiarezza che
gli Svedesi democratici hanno
pescato più nel bacino conservatore, nei ceti medi impauriti o
per lo meno preoccupati. Ma
l’avanzata del partito socialdemocratico è debole (solo +0,4%
rispetto al 2010), segno che non
è riuscito a intercettare l’allarme
Le femministe
Il partito femminista non
ha superato la soglia del
4% ed è rimasto fuori
dal Parlamento
sociale diffuso anche nelle fasce
più popolari, a cominciare dai
vecchi quartieri operai delle
grandi città.
Il problema è che il flusso di
immigrati non si fermerà. La
Svezia conta 9,5 milioni di abitanti, gli stranieri sono già più
di un milione: secondo le stime
quest’anno ne arriveranno altri
84 mila, calcolando solo le richieste di asilo. Lo Stato stanzia
per l’accoglienza l’1% del bilancio, pari a circa 1 miliardo di euro. Il 12,9% dei votanti considera
esagerate queste spese. Non sarà
facile convincerlo del contrario,
qualunque sia il governo che
prenderà in mano la Svezia.
Giuseppe Sarcina
gsarcina@corriere.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’intervista Lodenius fu autrice con Stieg Larsson del libro che nel ‘91 rappresentò il primo lavoro sull’estrema destra
«Miscela di potere bianco e anti-multiculturalismo»
Gli estremisti ora si presentano
come tutori di una presunta libertà
Mescolano echi del vecchio potere
bianco al nuovo verbo anti-multiculturalista, così i Democratici svedesi (Sd)
sono diventati la terza forza del Parlamento arrivando a uno storico 12,9 per
cento. «Hanno cambiato linguaggio
concentrandosi sulla contrapposizione
tra culture e religioni, ma ancora oggi
resiste l’aspetto della purezza della razza esaltato negli anni Ottanta». AnnaLena Lodenius studia i movimenti dell’estrema destra da allora, autrice con
Stieg Larsson di Extremhögern, libro
che nel 1991 rappresentò il primo lavoro comprensivo sulle dinamiche di
violenza e affiliazione della galassia
estremista. Di fronte al successo del
partito, guidato dal giovane Jimmie
Akesson dal 2005 ed entrato nell’emiciclo nel 2010 con il 5,7 per cento di
consensi, Lodenius ricorda le origini
neonaziste di una formazione che si è
data un’immagine di ufficialità mantenendo però la durezza degli inizi.
Durezza che non resta sottotraccia. Nell’ultima fase della campagna
elettorale esponenti del partito sono
stati costretti alle dimissioni per aver
pubblicato online commenti razzisti
e per aver messo al braccio fasce con
la svastica.
«Scandali arginati dalla nuova leadership che ha promesso tolleranza zero sul razzismo e imposto un codice di
condotta interno molto rigido».
Come spiega l’appeal politico di un
messaggio ostracizzato da tutti gli altri partiti, che hanno escluso qualsiasi cooperazione con i Democratici
svedesi malgrado il sostegno a eventuali alleanze con i moderati espresso dagli elettori negli ultimi sondaggi?
«Gli estremisti hanno gradualmente
modificato le loro parole d’ordine fino
a presentarsi come tutori di una presunta libertà culturale della Svezia. In
più hanno beneficiato della dialettica
tra i partiti tradizionali. I socialdemocratici non sono forti come in passato e
già in questi anni hanno visto una fuga
di sostenitori convinti dall’aggressività
di Sd sui temi sociali. Ora l’ultimo esodo di elettori viene dalla destra conser-
Leader
Jimmie Akesson, 35
anni, è il leader del
partito xenofobo
Democratici svedesi: ha
più che raddoppiato i
voti rispetto al 2010
vatrice indebolita, con i delusi che cercano un’alternativa all’establishment».
Un processo di “normalizzazione”
che ha conquistato cittadini ordinari…
«Ed è stato favorito dal convergere
delle maggiori formazioni su posizioni
di centro che annullano le differenze
tra destra e sinistra».
Qual è la specificità svedese rispetto all’avanzata delle forze estreme e
populiste in altri Paesi europei?
«A differenza che in Danimarca o
Norvegia, in Svezia l’estrema destra
non ha orientato il dibattito politico
costringendo gli altri a seguirla sul
proprio terreno, piuttosto si è adattata
di volta in volta ai toni del confronto».
Ma il premier di centrodestra
uscente, Fredrik Reinfeldt, ha dedicato uno dei più forti discorsi della
campagna proprio alla necessità di
arginare l’ansia per le incertezze economiche e lavorative e «aprire i cuori» alla solidarietà nei confronti dei
profughi dal Medio Oriente, in un
momento tutt’altro che facile con un
totale di 80 mila richieste d’asilo attese per il 2014 e l’Agenzia per l’immigrazione che ha da poco chiesto uno
stanziamento supplementare di oltre
5 miliardi di euro per far fronte all’emergenza.
«Discorso che riaffermava un valore
importante per il Paese, ma soprattutto
in funzione anti-socialdemocratica.
L’immigrazione è un grande tema ormai da decenni, l’ultima ondata paragonabile per dimensioni a questa risale
agli anni Novanta con la fuga dalle
guerre dei Balcani. Sd ha riassorbito
nella sua retorica un razzismo che cova
nel profondo, similmente a quanto fat-
❜❜
Le Pen
Il caso francese è quello
che presenta più
analogie con l’ascesa
dei Democratici svedesi
to dal Front National “ripulito” dalla
generazione di Marine Le Pen. Nonostante l’alleanza con i britannici dell’Ukip di Nigel Farage al Parlamento
europeo, il caso francese è quello che
presenta più analogie con l’ascesa dei
Democratici svedesi».
Maria Serena Natale
msnatale@corriere.it
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Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
Esteri 13
italia: 51575551575557
Il raduno Dopo gli episodi di odio denunciati dalla Comunità
Länder dell’Est
Merkel a Berlino:
«Gli ebrei sono parte
dell’identità tedesca»
Forte avanzata
degli anti-euro
al voto regionale
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
Manifestazione contro l’antisemitismo
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BERLINO — In Germania
non c’è spazio per l’antisemitismo, «una minaccia per la libertà di tutti». È stato un «no»
molto netto, che ha radici profonde nella memoria del passato e si proietta in un futuro da
vivere nel segno della tolleranza, quello che Angela Merkel ha
pronunciato ieri. «Mai più odio
contro gli ebrei», era la parola
d’ordine della grande manifestazione svoltasi alla Porta di
Brandeburgo e sono rimasti pochi dubbi sulla volontà del governo di combattere con forza il
risorgere di un fenomeno vecchio e nuovo, alimentato in
questi ultimi mesi dalle proteste anti-israeliane organizzate
da settori della comunità islamica. «L’ebraismo è parte della
nostra identità», ha detto la
cancelliera. Quindi, «chiunque
colpisce chi indossa una kippah
colpisce tutti noi, chi distrugge
una tomba distrugge la nostra
cultura, chi attacca una sinagoga attacca le basi della nostra
società libera». Stroncare tutto
questo «è un dovere civico, un
obbligo dello Stato».
Il discorso della cancelleria,
più volte interrotto da applausi,
è iniziato proprio con un omag-
La comunità
Mezzo milione
Erano più di
mezzo milione gli
ebrei in Germania
nel 1933, l’anno
dell’ascesa al
potere di Hitler
Distruzione
Il 90% dei 214
mila ebrei rimasti
allo scoppio del
conflitto, fu ucciso
nell’Olocausto.
Oggi in Germania
gli ebrei sono
circa 150 mila, in
crescita grazie
all’immigrazione
da Russia e
Israele
gio agli ebrei che vivono in Germania (è l’unica comunità aumentata di dimensioni in un
Paese europeo) e che hanno fatto una scelta impensabile qualche decennio fa. «Sono oltre
centomila: si tratta di un miracolo — ha detto — e di un regalo che ci riempie di gratitudine». Proprio per questo è «uno
scandalo» che oggi non si sentano più sicuri. È
«inaccettabile», ha
proseguito, che gli
ebrei vengano minacciati e aggrediti
e che le manifestazioni filo-palestinesi si trasformino in
esibizioni di odio,
abusando del diritto alla libera espressione che è una caratteristica di una
società aperta. La Germania, invece, è «la loro casa». Lo è diventata, è stato il ragionamento
di Angela Merkel, «perché abbiamo sempre tramandato da
generazione a generazione la
memoria e la conoscenza di
quel capitolo terribile della nostra storia che è stato l’Olocausto». L’allarme della comunità
israelitica in Germania ha trovato così risposta. Ieri se ne è
fatto nuovamente interprete il
Bandiere
Vessilli israeliani ieri davanti
alla Porta di
Brandeburgo, a
Berlino. A sinistra, Angela
Merkel parla alla manifestazione contro
l’antisemitismo
presidente del consiglio centrale degli ebrei tedeschi, Dieter
Graumann, che ha denunciato il
clima di intimidazione sempre
più minaccioso e il fatto che
«slogan antisemiti così violenti
non risuonavano nelle strade
delle nostre città da molti decenni». Le sue parole erano state
precedute da quelle del rabbino
Daniel Alter che aveva denunciato lo stato di «forte angoscia»
di un numero sempre crescente
di persone, molte delle quali
«stanno pensando di tornare in
Israele», e aveva ricordato un
sondaggio secondo cui il venticinque per cento dei tedeschi
avrebbe sentimenti antisemiti
latenti. Una cifra, questa, che
raddoppia nella comunità islamica. Nel giugno e luglio di quest’anno gli atti di antisemitismo
sono stati 159, tra cui l’incendio
di una sinagoga a Wuppertal e
l’aggressione a un uomo che indossava una kippah a Berlino.
Slogan violenti sono stati gridati in decine di manifestazioni e
la scritta «Hamas, ebrei al gas» è
stata tracciata a pochi metri della sinagoga berlinese di Orianeburger Strasse.
È probabile che il governo tedesco, impegnato nel sostenere
campagne per promuovere la
convivenza, prenda nuove iniziative nella prevenzione dell’estremismo anti-ebraico. In
ogni caso, come ha riconosciuto Graumann, da Berlino è arri-
Joschka Fischer
L’ex ministro degli Esteri
Fischer elogia la
cancelliera: «Per noi è un
dovere combattere l’odio»
vato «un segnale importante».
E una dimostrazione di unità, si
potrebbe aggiungere, perché
alla manifestazione (alla quale
hanno partecipato il presidente
Joachim Gauck e i ministri più
importanti della grande coalizione) hanno aderito tutti i partiti, anche la Linke e i Verdi, le
due forze di opposizione rappresentate in Parlamento. Non
è un caso che, parlando con il
Corriere, il leader storico degli
ambientalisti, l’ex ministro degli Esteri Joschka Fischer,abbia
elogiato il discorso della cancelliera perché «combattere l’antisemitismo è un dovere, soprattutto per noi». «Anche se il pericolo è forse maggiore in Europa
che non in Germania», ha aggiunto. Intanto, però, i tedeschi
hanno dato l’esempio.
Paolo Lepri
© RIPRODUZIONE RISERVATA
BERLINO — Geometrie variabili nella
politica tedesca, con un postcomunista della Linke che potrebbe
diventare ministro-presidente (una
«prima» assoluta) e gli anti-euro di
Alternativa per la Germania che,
rimasti fuori dal Bundestag un anno
fa, continuano a registrare brillanti
risultati a livello regionale. Sono
questi i due dati più importanti
emersi dal voto svoltosi ieri in
Turingia e nel Brandeburgo.
L’elezione dell’ex sindacalista Bodo
Ramelow alla guida della Turingia
potrebbe essere possibile se i risultati
definitivi attribuiranno una
maggioranza di seggi ad una
coalizione «rosso-rosso-verde» e se la
Spd deciderà di voltare le spalle alla
Cdu, sua alleata nel governo
nazionale. Uno scenario, questo,
criticato dalla cancelliera, che aveva
messo in guardia contro «l’arrivo di
Karl Marx al potere». I cristianodemocratici, che secondo gli exit poll
hanno avuto un buon risultato (il
34,4% contro il 31,2% del 2009),
potrebbero così perdere la guida del
Land, dove l’estrema sinistra ha
ottenuto il 27,7 per cento (lievissimo
progresso). In calo socialdemocratici
e Verdi. Alternativa per la Germania
ha confermato il successo conseguito
recentemente in Sassonia. I nemici
dell’euro sono balzati al 10,1% in
Turingia e all’11,9% in Brandeburgo,
entrando per la prima volta nei due
parlamenti. Nel Land che circonda
Berlino, infine, dovrebbe venir
confermata la coalizione tra Spd e
Linke. La Cdu è andata però avanti
rispetto alle ultime elezioni, passando
al 22,1% dal 19,8%.
P. L.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
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Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
Esteri 15
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L’intervento
La regina rompe il silenzio: «Pensate bene al futuro»
DAL NOSTRO INVIATO
LONDRA — Ha detto solo undici
astute parole, però il messaggio è
passato: a tre giorni dal voto
sull’indipendenza della Scozia la
regina ha invitato i suoi elettori sudditi
«a pensare attentamente al futuro».
Non un commento ufficiale (che
avrebbe contrastato con lo status di
sovrana super partes). Non una netta
presa di posizione (Elisabetta
conserverà pur sempre la corona di
Scozia) anche se tutti i media (e il
secessione la regina ha conservato
l’imparzialità istituzionale. Però poi ha
buttato lì la frase sibillina, pardon
regale, pronunciata quasi casualmente
all’uscita della messa, alla Crathie Kirk
vicino al castello scozzese di Balmoral.
Lo spunto gliel’ha offerto una signora
che si è rivolta a Elisabetta chiedendole
di dire qualcosa (ovviamente «senza
pronunciarsi sul referendum»). La
regina invece ha colto l’assist
(qualcuno sosterrà che è stata una
combine?) e ha parlato proprio del
referendum. Non si è sbilanciata molto,
fronte unionista) l’hanno interpretata
come un’allusione alle incognite
separatiste e come un chiaro appoggio
ai no. Astuta Elisabetta: «Sua Maestà
non interverrà sulla questione che
riguarda solo gli elettori» avevano
ripetuto nei giorni scorsi i comunicati
ufficiali da Buckingham Palace,
quando il panico dovuto ai sondaggi
sulla rimonta dei sì aveva scatenato un
appello alla monarchia da parte di
alcuni media (e di alcuni settori
politici). Pur descritta come
«inorridita» dalla possibilità di una
come qualcuno nell’establishment
conservatore aveva sperato. Però la
scelta dei vocaboli («Spero che la gente
penserà attentamente al futuro») lascia
intendere dove voleva andare a parare.
Nigel Farage, il leader del partito
antieuropeo Ukip, che avrebbe tutto da
guadagnare da una dipartita della
Scozia dal Regno Unito, aveva detto che
sarebbe stata utile una presa di
posizione di Buckingham Palace. In
fondo già nel 1977 Elisabetta era
intervenuta nel dibattito sulle spinte
centrifughe nel Regno: capisco le
La diaspora Ci sono
scozzesi ovunque, dalla
Patagonia a Hong Kong
(fondata dagli scozzesi)
inquietudini degli scozzesi, aveva
detto, «ma non posso dimenticare che
sono stata incoronata regina del Regno
Unito di Gran Bretagna e dell’Irlanda
del Nord». E come potrebbe
dimenticarlo? Nel 1977 l’occasione per
l’ammonimento le fu offerta dal suo
giubileo d’argento. Questa volta è stata
la casuale ciarla di una suddita
simpaticona. Di sicuro il leader
indipendentista Alex Salmond non
avrà gradito. Però la regina è la regina,
e sa come seminare casualmente undici
calcolatissime parole.
Michele Farina
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Autoritratto
Due ragazze si scattano un
selfie al confine tra Scozia
e Inghilterra (Getty Images)
di NIALL FERGUSON
Quando sarai partito, spedirai una lettera dall’America?/Alza gli occhi dai binari, da
Miami fino al Canada./Finito il lavoro l’altro
giorno,/ho trascorso la serata a ripensare/a
quanta nostra gente si è riversata oltreoceano/ alla ricerca di una nuova vita…
S
ono le parole di «Lettera dall’America»,
scritta nel 1986 dai Proclaimers, quando la Scozia si qualificava per i Mondiali
di calcio. L’allenatore era un giovanotto
di nome Alex Ferguson. Ma si finiva sempre
eliminati al primo turno dalla Germania dell’Ovest o dalla Danimarca. Questo giovedì, gli
abitanti della mia terra natale esprimeranno il
loro voto se diventare o no come la Danimarca. O forse la Slovacchia. O l’Irlanda. Se i risultati confermeranno il «sì» all’indipendenza, e
se l’Unione Europea accoglierà la Scozia, il
nuovo Paese diventerà il 13° Stato membro
con meno di sei milioni di abitanti. Se decidesse di unirsi agli Stati Uniti, la Scozia sarebbe il 22° Stato per abitanti, appena sopra al
Colorado. È certamente possibile vivere come
piccola nazione in seno all’Europa, e oggi questo è molto più sicuro che in passato. Non dimentichiamo che tutti i 12 Stati membri dell’Unione Europea con meno di 6 milioni di
abitanti, tranne due, furono invasi dai nazisti
o dai sovietici nella Seconda guerra mondiale.
Ma la decisione di fare il passo verso l’indipendenza deve essere affidata ai 4 milioni di
residenti in Scozia con più di 16 anni? La canL’autore
Niall Ferguson,
50 anni, è uno
storico, saggista e giornalista
britannico, docente a Harvard
zone dei Proclaimers parlava appunto delle
decine di migliaia di scozzesi che nel corso dei
secoli hanno cercato una nuova vita oltreoceano.[...]
Nel solo Nuovo Mondo, coloro che si dichiarano scozzesi fuori dalla Scozia ammontano a 18 milioni di individui, 6 milioni negli
Usa (senza contare altrettanti scozzesi-irlandesi, ovvero i discendenti degli abitanti dell’Ulster), 5 milioni in Canada e quasi 2 milioni
in Australia. Ci sono scozzesi ovunque, da Dunedin fino in Nova Scotia, dalla Patagonia a
Hong Kong (fondata appunto dagli scozzesi).
Ci sono più individui di nome Ferguson a Kingston, Giamaica, che a Dundee e Aberdeen
messe insieme. Per la maggior parte di noi, figli di emigranti scozzesi, l’idea di una Scozia
indipendente appare piuttosto come un potenziale suicidio economico. Sulla questione
della moneta (la sterlina? l’euro? il groat?),
sulle entrate della produzione petrolifera, sul
debito, sugli impegni di spesa pubblica, le posizioni del Partito nazionale scozzese non
sembrano affatto realistiche. Se la Scozia voterà «sì», i suoi cittadini dovranno affrontare
uno shock economico di tale gravità che la
metà degli scozzesi non sembra ancora aver
bene afferrato.
E a quale scopo, per l’esattezza? Le giustificazioni avanzate dalla campagna del «sì» sorprendono la maggior parte degli scozzesi residenti all’estero per la loro assurdità. Diventare
«un faro di opinioni progressiste», nelle parole di Alex Salmond, bloccando le politiche imposte dal governo conservatore di Londra? Ma
Tony Blair avrebbe vinto le elezioni del 1997,
2001 e 2005 per il partito laburista anche se
l’intera Scozia si fosse astenuta. E le probabilità di una vittoria laburista nel 2015, con l’appoggio di tutto il Regno Unito, sono notevoli.
MA PER NOI SCOZZESI ALL’ESTERO
L’INDIPENDENZA È SOLO UN SUICIDIO
I punti di forza
PETROLIO E GAS
La Scozia è il maggior
produttore di petrolio
dell’Unione Europea
SERVIZI FINANZIARI
Popolazione
Oceano
Atlantico
5,3
G. BRETAGNA
Il 28% dei computer
venduti in Europa
vengono prodotti qui
SCOZIA
ELETTRICITÀ
È un esportatore netto,
con un grande impulso
riguardo alle energie
rinnovabili
PESCA
Mare
del Nord
Mallaig
2007/
2008
Inverness
Aberdeen
Speyside
Fort
William
Dundee
Loch
Lomond
Maggior produttore,
per la Ue, di salmone
dell’Atlantico
Glasgow
Edimburgo
TURISMO
Questo settore dà lavoro
a circa 200.000 persone.
Rappresenta il 5%
del Pil scozzese
Spesa pubblica
per abitante (euro)
R. Unito
Loch Ness
NORD
IRLANDA
INGHILTERRA
Fonte: Ufficio nazionale di statistica del Regno Unito
[...] In quanto alla tesi che la Scozia sia uno
Stato scandinavo onorario, con una maggior
predisposizione alla giustizia sociale rispetto
all’Inghilterra, si tratta di semplici sciocchezze. [...]
L’idea di una Scozia nazione-Stato è assai
poco scozzese. I più grandi pensatori dell’Illuminismo scozzese furono non nazionalisti,
bensì cosmopoliti. Il filosofo e storico David
Hume scherniva quello che definiva i «volgari
motivi delle antipatie nazionali». «Sono cittadino del mondo», scriveva nel 1764. [...] Il miglior testimone resta tuttavia Adam Smith,
fondatore dell’economia moderna. Smith capiva perfettamente che la Scozia indipendente
sarebbe stata molto diversa dal paradiso del
lavoratore. «Grazie all’unione con l’Inghilterra», scriveva, «le fasce medie e basse della popolazione scozzese sono riuscite a sottrarsi al
potere di un’aristocrazia che le aveva fino ad
allora sempre oppresse». [...] Gli elettori che si
recheranno alle urne questa settimana farebbero bene ad ascoltare il monito lungimirante
di Smith sui politici che promettono «piani di
riforme» destinate soprattutto «a loro vantaggio». Gli elettori dovranno inoltre ricordare
63,7
Regno
Unito
Pil (euro)
R. Unito
29.369
Scozia
28.369
Thurso
WHISKY
Uno dei liquori più
esportati al mondo
Scozia
Londra
Edimburgo e Glasgow
sono il 14esimo centro
finanziario della Ue
TECNOLOGIA
(8,3%)
Isola di
Orkney
2012/
2013
Scozia
11.910
13.540
13.790
15.420
Tasso
di disoccupazione
R. Unito
7,8%
Scozia
7,5%
Rappresentanti
alla Camera
dei Comuni
650 membri
59 rappresentanti
della Scozia D’ARCO
che, per noi scozzesi d’oltreoceano, la visione
di Smith di un mondo interconnesso sulla base di mercati liberi e libero scambio è assai più
accattivante del nazionalismo parrocchiale di
una «Scandland».[...]
Quest’anno commemoriamo l’eroismo della generazione dei nostri nonni. Le reclute
scozzesi non erano molto numerose nei ranghi dell’esercito britannico prima del 1914,
eppure furono loro i primi a presentarsi volontari allo scoppio della Grande guerra. Entro
il dicembre del 1915, poco meno del 27 per
cento degli uomini scozzesi tra i 15 e i 49 anni
si erano arruolati come volontari, ben al di sopra della media del Regno Unito. In alcune comunità delle isole Ebridi, si sfiorò il cento percento. Non appena fu in grado di farlo, mio
nonno John Ferguson si arruolò per combattere con i Seaforth Highlanders. Fu tra gli oltre
mezzo milioni di scozzesi che combatterono
nell’esercito britannico durante la Prima guerra mondiale. Di questi, forse un quarto non fece più ritorno. [...] Anche nella Seconda guerra mondiale gli scozzesi si distinsero per il coraggio e l’audacia. Nel grande disastro del
1940, alcuni soldati scozzesi rifiutarono di arrendersi persino quando venne loro ordinato
di deporre le armi. Testimonianze come questa mi fanno quasi credere alla storia apocrifa
dei due scozzesi che osservano l’evacuazione
della spiaggia di Dunkirk: uno dice al compagno, «Caspita, se gli inglesi si arrendono, la
guerra sarà lunga».
Ma il fatto rilevante è che l’orgoglio di mio
nonno nell’essere scozzese era inseparabile
dall’orgoglio di essere britannico. Si capiva il
complesso di inferiorità degli inglesi, dopo
tutto erano gli scozzesi ad aver invaso l’Inghilterra nel 1603. E sapevamo di essere più tenaci
e in gamba degli inglesi. E grandi lavoratori. Il
nostro problema, anzi, era il complesso di superiorità. Forse tutto questo, al giorno d’oggi,
non fa più presa sugli scozzesi. Forse si tratta
di Quei giorni sono passati/e nel passato rimarranno, nelle melancoliche parole del nostro inno nazionale non ufficiale, scritto dai
Corries durante la prima vera rinascita del nazionalismo scozzese, nel 1967, quando le
squadre scozzesi riuscivano ancora a vincere
le coppe europee.
Eppure, non riesco a credere che gli elettori
decisi per il «sì» abbiano potuto guardare con
indifferenza le riprese storiche del 51° reggimento che sfilava a Saint-Valéry-en-Caux nel
I più grandi pensatori
dell’Illuminismo scozzese
furono non nazionalisti,
bensì cosmopoliti
1944 con tamburi e cornamuse che riempivano di note le strade della stessa cittadina che
aveva visto la loro resa quattro anni prima.
Dopo il D-Day, il reggimento fece ritorno in
veste di liberatore. L’orgoglio per vittorie come queste racchiude l’essenza di ciò che significa essere al contempo scozzese e britannico:
essere, cioè, il più britannico dei britannici. È
motivo di orgoglio pensare di aver opposto resistenza al terrore del nazionalsocialismo e del
fascismo, e in seguito nella lotta contro il comunismo sovietico. Si dica quel che si vuole
del Regno Unito — e anche dell’Impero e del
Commonwealth — ma nella nostra ora migliore non abbiamo avuto uguali. [...]
Quando la Germania invase il Belgio e la
Francia nel 1914 e di nuovo nel 1940, era anche la nostra battaglia. Quando l’Unione Sovietica minacciava il continente europeo e addirittura il mondo intero con le sue mire
espansionistiche dopo il 1945, era anche la
nostra battaglia. Quando i terroristi dell’Ira
seminavano morte e distruzione in Irlanda del
Nord e in Gran Bretagna, era anche la nostra
battaglia. E quando i talebani aiutarono Osama bin Laden a progettare gli attentati terroristici di 13 anni fa, era anche la nostra battaglia.
Ma un domani l’Occidente potrà contare su
Alex Salmond, che si dichiara a favore del disarmo unilaterale e prevede un esercito scozzese di 15 mila uomini? Lo dubito. Dopo tutto,
a marzo ebbe a dire di Putin che il presidente
russo «è più in gamba di quanto sembra… ha
saputo rafforzare l’orgoglio russo, e questo è
certamente una cosa buona».
Mentre scrivo sono in volo da Edimburgo a
Kiev, verso un Paese che sta scoprendo a sue
spese quanto sia pericoloso il mondo per un
nuovo Stato indipendente, e l’Ucraina ha una
popolazione che è otto volte quella della Scozia. I nazionalisti scozzesi si immaginano eredi di William Wallace. Ma la visione di Alex
Salmond per il futuro della Scozia somiglia
più a «Scemo e più scemo» che a «Braveheart». Nel coro malinconico dei Proclaimers, la
Lettera dall’America finiva con Niente più Bathgate, niente più Linwood, niente più Methil,
niente più Irvine… Se siete tra gli elettori scozzesi pronti a votare per il «sì» questa settimana, la canzone dei Proclaimers potrebbe finire
con queste meste parole: «Niente più sterlina,
niente più Regno Unito, niente più Gran Bretagna, niente più Scozia».
(Traduzione di Rita Baldassarre)
© Niall Ferguson 2014
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
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Cronache
Mediterraneo Nuova tragedia in mare. La Guardia costiera italiana recupera 600 persone nelle acque di Tripoli
Affonda barcone: «Morti 200 migranti»
Naufragio davanti alla Libia. «Salvi in 26. Molti corpi che galleggiano»
Ancora una tragedia nel
Mediterraneo, ancora un La vicenda
barcone carico di migranti
che naufraga durante la traversata verso l’Europa. QueL’incidente
sta volta sembra che a bordo
L’ennesima tragedia
dell’imbarcazione affondata
nel Mediterraneo è
ci fossero circa 250 persone.
avvenuta questa volta
Presumibilmente erano apdavanti alle coste della
pena salpate dalle coste libiLibia, poco lontano dalla
che, visto che la tragedia è
capitale Tripoli
avvenuta nelle acque antistanti Tajoura, a est della caIl bilancio
pitale Tripoli. «Sono state
Secondo fonti della
salvate 26
persone — ha
fatto sapere il La mappa
Zona
portavoce
dell’incidente
della marina
Tripoli
libica Ayub
Qassem —. Ci
Tajoura
sono tanti cadaveri che
galleggiano
LIBIA
in mare».
Secondo le
C.D.S.
autorità dello
Stato nordafricano molte
Marina libica
sull’imbarcazione
delle vittime sarebbero donc’erano 250 persone:
ne. Le ricerche di eventuali
salvati 26 naufraghi
sopravvissuti è partita subiIl precedente
to, ma ha dovuto fare i conti
Venerdì un altro barcone
con gli scarsi mezzi a dispoera naufragato in acque
sizione della Guardia costiera
maltesi. In corso le
locale. La maggioranza delle
indagini per stabilire
imbarcazioni in Libia è costiquanti migranti erano a
tuita da battelli da pesca o ribordo
morchiatori presi in prestito
dal ministero del Petrolio.
In missione
Una delle operazioni della
Guardia costiera italiana di recupero e salvataggio di migranti nel mar
Mediterraneo
Solo nelle ultime 24 ore, la
nave Diciotti ha
portato in salvo
in acque di
competenza libica circa 600
migranti in tre
distinte operazioni
Proprio nelle ultime 24
ore, la nave Diciotti della
Guardia costiera italiana ha
salvato in acque di competenza libica circa 600 migranti in tre distinte operazioni.
Nella prima, è stata una chia-
Molte donne tra le vittime
Secondo il portavoce della
Marina libica le vittime
sarebbero soprattutto donne
mata con il telefono satellitare ad allertare la centrale operativa di Roma che ha inviato
i soccorsi a circa 120 miglia
da Bengasi. Salvate 180 persone, tra cui 42 minori e 27
donne.
Non molto lontano dal
luogo dal primo intervento,
sempre nave Diciotti è intervenuta recuperando 209 migranti a bordo di un altro
barcone in difficoltà. Completato il trasbordo, ha rag-
giunto la terza imbarcazione,
questa volta con 203 persone,
tra cui 60 bambini e 44 donne.
Centoundici siriani sono
invece riusciti ad arrivare su
un peschereccio a pochi chilometri dalle coste calabresi,
quando sono stati intercettati da una motovedetta della
Capitaneria di porto di Crotone. Il gruppo era composto
da 61 uomini, 28 donne e 22
minori, tra cui alcuni neonati. Sei donne e sei bambini
sono stati portati nell’ospedale della città calabrese, disidratati e provati dopo un
viaggio durato una settimana. Per fortuna, nessuno è in
pericolo di vita.
Non è andata bene invece
In Calabria
Un peschereccio con 111
siriani è riuscito ad
arrivare a pochi chilometri
dalle coste calabresi
ai quindici migranti, fuggiti
da Gaza, il cui battello si è rovesciato di fronte alla spiaggia di Al-Ajami nei pressi di
Alessandria di Egitto. Altre
72 persone che erano con loro sono state tratte in salvo.
Secondo fonti dell’esercito
egiziano il gruppo era riuscito a uscire dalla Striscia passando sotto i tunnel con
l’Egitto, «ed erano diretti in
Italia».
Riccardo Bruno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
Cronache 19
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Palermo Lo zio di lei è il boss Matteo Messina Denaro
Roma
La chiesa della Regione
concessa per le nozze
tra i nipoti dei capimafia
È gestita dalla Curia. «Non sapevamo»
I due boss
Matteo Messina Denaro
Nato a Castelvetrano
(Trapani), 52 anni, è figlio di
Francesco, che fu capo della
cosca della zona e del
mandamento.
Soprannominato «U siccu»
(il magro), è ricercato dal
1993 per associazione di
tipo mafioso, omicidio,
strage, devastazione,
detenzione e porto di
materie esplodenti, furto ed
altro
Totò Riina
Nato a Corleone
(Palermo), 83 anni, «Totò
u curtu» è considerato il
capo dei capi di Cosa
Nostra. Entra in latitanza
nel 1969, viene arrestato il
15 gennaio 1993.
Condannato più volte
all’ergastolo per
associazione di stampo
mafioso e strage, è
attualmente detenuto nel
carcere milanese di Opera
PALERMO — Coincidenza
vuole che Renzi arrivi oggi a Palermo per l’avvio dell’anno scolastico nella scuola intitolata a
padre Pino Puglisi, proprio nel
giorno dell’anniversario di questo martire e mentre sulla Curia
esplode il boato di un matrimonio tra figli di mafiosi celebrato
all’interno della Cappella Palatina, il gioiello incastonato fra le
meraviglie e le vergogne di Palazzo dei Normanni. Uno scenario dorato nel quale, con le nozze adesso considerate uno scandalo, varcando il portone della
reggia popolata dai 90 deputati
dell’Assemblea regionale, forse
hanno provato ad ostentare potere nientedimenoché le famiglie di Matteo Messina Denaro,
l’imprendibile super latitante, e
di Filippo Guttadauro, il gran
capo di Brancaccio, dei Graviano, dei mandanti che decisero il
delitto di padre Puglisi, adesso
al «carcere duro» e per questo
nell’impossibilità di accompagnare la figlia all’altare, sotto i
mosaici dorati del Cristo Pantocratore.
È in cella il padrino, con il fratello Francesco, altro grande assente alla cerimonia, come lo
zio-fantasma, appunto Messina
Denaro, che ha ancora una volta
deluso i segugi appostati con
massima discrezione. E dei quali forse non si è accorto nemmeno lo sposo, pure lui con uno zio
forzatamente assente, Gaetano
Sansone, il padrino dell’Uditore
che ospitava il capo di Cosa Nostra Totò Riina nel suo residence
di via Bernini, gli stessi giardini
dove, dopo la benedizione del
parroco Michele Polizzi, i cento
invitati si sono trasferiti per il
banchetto.
Nella Palermo attraversata
spesso da intrecci perversi il
matrimonio celebrato nel cuore
del potere politico e religioso,
fra i rampolli di Guttadauro e
Messina Denaro, fra sorelle e
cugini dei boss in ghingheri con
tanto di paggetti, fa indignare il
popolo del web. E filtrano dettagli pure sulla presenza della figlia del superlatitante, ancora
minorenne, 18 anni a dicembre,
abito color turchese. Elegante
come le sorelle del boss. Da Ro-
‘Ndrangheta
Latitante del clan Mancuso
arrestato in Argentina
VIBO VALENTIA — Suo fratello Pantaleone, detto
«l’Ingegnere», era stato arrestato nei giorni scorsi dalla
gendarmeria argentina mentre tentava di attraversare il confine
con il Brasile. Con sé aveva documenti falsi e 100 mila euro.
Poche ore dopo in manette è finito anche un altro Mancuso,
Salvatore, 42 anni, acciuffato dai carabinieri di Limbadi (Vv)
che lo hanno arrestato nella notte tra sabato e domenica.
Salvatore è ritenuto esponente dell’omonimo clan e fratello,
oltreché di Pantaleone, dei più noti boss Giuseppe (che sta
scontando l’ergastolo), Diego (che sconta una condanna
definitiva per associazione mafiosa a 16 anni) e Francesco detto
«Tabacco» (che sconta altre condanne per mafia). L’arresto di
Salvatore non è avvenuto al termine di una fuga, ma di uno
scontro con i carabinieri di Limbadi, il paese della provincia di
Vibo Valentia roccaforte della «famiglia». L’uomo è stato
fermato a bordo di un motociclo privo di assicurazione durante
un posto di blocco in contrada «Vignola» di Limbadi. Alle
contestazioni dei carabinieri, Salvatore avrebbe minacciato i
militari dell’Arma di gravi conseguenze personali se avessero
dato corso agli obblighi di legge. Immobilizzato, Mancuso è
stato quindi arrestato per i reati di resistenza e minaccia a
pubblico ufficiale: in attesa delle determinazioni dell’autorità
giudiziaria, è ora agli arresti domiciliari. Salvatore Mancuso,
detto «lo zoppo», ha diverse condanne sulle spalle ed è
considerato elemento di rilievo all’interno della cosca.
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salia, la mamma della sposa, a
Giovanna e Bice, mentre Patrizia, la più attiva e dura della famiglia è pure lei in carcere, al
«41 bis».
A mettere le mani avanti per
evitare confusione nella corsa a
presunte responsabilità è Francesco Forgione, l’ex segretario di
Rifondazione comunista ed ex
presidente dell’Antimafia, nominato dal presidente dell’Assemblea regionale Giovanni Ardizzone al vertice della Fondazione Federico II, l’ente che gestisce tutti i beni culturali
all’interno di Palazzo dei Normanni, fatta eccezione soltanto
della Cappella Palatina. Come
spiega Forgione, spesso nelle
trattative con la Curia descritto
come il «Peppone» comunista
Delitto nel parco
davanti a bimbi
e sportivi
Una lite scoppiata per futili motivi, s’è conclusa ieri con un
accoltellamento. Davanti a famigliole che passeggiavano nel
parco, bimbi e sportivi che facevano jogging. La vittima è un
rumeno, Dumitrus Pradais, 52 anni che si trovava nell’area
verde di Villa De Sanctis (Prenestino, Roma). Verso le 16.30 la
lite tra le persone che erano con lui. I colpi sarebbero stati
inferti da una sola persona.
interpretato da Gino Cervi in
contrapposizione al «Don Camillo» di Fernandel: «Noi stacchiamo i biglietti ai turisti che
visitano il palazzo reale, ma la
Cappella è una parrocchia gestita dalla Chiesa in totale autonomia...». E don Polizzi che non si
ritrova nella metafora cinematografica respinge ogni sospetto: «Ci sono liste d’attesa da uno
a due anni. Per noi era solo una
coppia di giovani sposi. Cerimonia partecipata, normalissima.
Pagato solo il “dovuto”».
I sacrestani che lavorano con
lui confermano che non è volato
nemmeno un euro in più rispetto ai 300 della tariffa, o meglio
dell’«offerta», ufficiale. Porge
invece un involontario assist a
«Don Camillo» Forgione, riflettendo sui diritti dei figli dei mafiosi: «Capisco che i boss possono cercare di dimostrare anche
così il loro obliquo “prestigio”,
ma se due giovani incensurati si
presentano al municipio di Palermo, Roma o altrove per sposarsi non credo che i sindaci Orlando o Marino possano rifiutarsi...». E padre Polizzi conferma che la stessa regola vale per
la Chiesa, «soprattutto se come
è accaduto non avevamo idea
sull’identità dei parenti degli
sposi, perché non chiedo il certificato Antimafia...».
Felice Cavallaro
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20
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Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
Cronache 21
italia: 51575551575557
Il verbale dell’ex Carolina Kostner
Venezia
«Io, Alex Schwazer e il doping
Dormiva con un macchinario»
DAL NOSTRO INVIATO
BOLZANO — Carolina Kostner e il
suo Alex Schwazer dormivano così: «Lui
aveva un macchinario di colore bianco,
elettrico, dal quale partiva un tubo flessibile collegato a una maschera facciale
che metteva sul viso per l’intera durata
della notte e io ero costretta a mettermi i
tappi alle orecchie dal rumore». Strano,
grottesco, decisamente scomodo. Davanti al magistrato di Bolzano che le
chiedeva del doping del fidanzato, ormai ex, la pattinatrice gardenese ha dovuto svelare particolari un po’ imbarazzanti, per lei che ha sempre fatto della riservatezza uno stile di vita. Il documento, depositato dalla procura a chiusura
delle indagini sul marciatore azzurro, è
la storia inedita del singolare rapporto
fra questi due campioni dello sport che
si trovano a fare i conti quotidianamente
con il rigore professionale di Carolina,
che sembra non sapere nulla dell’Epo al
limite dell’ingenuità, e con la dura legge
dei controlli antidoping per lui. Fra una
piroetta verbale e l’altra, alternando
slanci e pause e ripensamenti come in
un Bolero imperfetto, la ventisettenne di
Ortisei ha parlato per ore. Ci sono le fughe di Schwazer, le loro piccole complicità, gli incontri segreti, gli appuntamenti con medici, tecnici, preparatori.
Al di là delle sostanze proibite confessate dallo stesso Schwazer alla vigilia
delle Olimpiadi di Londra del 2012, gli
inquirenti hanno infatti voluto andare
oltre, sospettando che l’altoatesino sia
ricorso a sistemi poco leciti fin dal 2008,
cioè dai Giochi di Pechino nei quali conquistò lo storico oro nella 50 chilometri.
Avrebbe «fatto uso di una tenda ipossica
in grado di abbassare la percentuale di
ossigeno nell’aria, vietata in Italia dal
ministero della Salute», scrive il pm ricordando il periodo: febbraio, giugno e
luglio 2008, cioè prima dell’Olimpiade.
«Quando veniva a trovarmi in Germania
portava la tenda per sostituire il soggiorno in altura — spiega Carolina —.
Per tenda intendo quel macchinario
elettrico. La prima volta che la vidi fu nel
2012, anche se sapevo che lui la possedeva da prima».
Obersdorf è un paesino bavarese di
montagna dove Carolina ha una mansarda di proprietà. Fu lì che il 29 luglio
del 2012 capitarono a sorpresa gli ispettori dell’antidoping. «Prima di aprire la
porta Alex mi chiese il favore di dire che
non era in casa ma che si trovava a Racines (in Alto Adige, ndr) dove aveva dato
la reperibilità. Io feci come mi disse e poi
mi arrabbiai con lui». Il Codice mondiale antidoping impone agli atleti di notificare all’inizio di ogni trimestre l’indi-
Chi è lui
Altari e polvere olimpici
Alex Schwazer è nato a Vipiteno nel
1984. L’apice della sua carriera di
atleta è stato l’oro conquistato alle
Olimpiadi di Pechino (2008) nella
50 km di marcia. Alla vigilia di
Londra 2012 viene trovato positivo
a un controllo antidoping a sorpresa
per l’uso di Epo e gli viene inflitta
una squalifica di 3 anni e mezzo
rizzo giorno per giorno al quale gli uomini dell’agenzia possono effettuare i
controlli a sorpresa, pena la squalifica
dopo tre mancati avvisi. Succedeva che
Alex seguisse Carolina nelle sue trasferte
internazionali. «Veniva soprattutto all’inizio: a Vienna e a Mosca nel 2008, a
poi a Helsinki, nel gennaio 2009. Io non
ho mai incoraggiato la sua presenza in
quanto il mio sport richiede grande
concentrazione e quindi nella fase preparatoria della gara ho bisogno di rimanere molto da sola, senza distrazioni».
Ma Schwazer a volte scalpitava e la raggiungeva. «A Helsinki abbiamo dormito
in alberghi diversi. L’ultima notte, dopo
la gara, arrivai seconda, Alex è venuto da
me per la notte». Una notte senza maschera per l’ossigeno, finalmente. «Ma il
suo non fu un trasferimento in piena regola. Decidemmo che si sarebbe fermato
lì solo fino alla fine dei festeggiamenti
senza informare l’albergo». Il fatto è che
proprio quella notte, a Helsinki, compaiono gli ispettori dell’antidoping. Il loro
incubo. E bussano alla porta dell’altro
albergo, perché lui aveva dato quella reperibilità. «Me lo disse dopo». Stessa
cosa a Torino. Lei studiava al Dams, viveva in un residence, Alex si allenava
nella vicina Saluzzo. Quella sera andò da
lei e gli ispettori, puntuali, lo cercarono
Il medico di Armstrong
«Ci incontrammo una volta a
Verona con il dottor Ferrari:
salimmo sul suo camper ma
non vidi strumenti medici»
Chi è lei
Cinque cerchi stregati
Carolina Kostner è nata a Bolzano
nel 1987. Nel corso della sua
carriera ha collezionato un titolo
mondiale e ben 5 europei nel
pattinaggio artistico. Le è sempre
sfuggito l’alloro olimpico: nel suo
palmares c’è solo un bronzo
conquistato proprio quest’anno ai
giochi invernali di Sochi
a Saluzzo. Erano il suo tormento.
Il pm fa un passo indietro: ha mai visto a Obersdorf siringhe o tracce di iniezioni? «Mai». Ma è possibile che si dopasse sistematicamente senza che lei se
ne accorgesse? «Sì, in quanto io mi assentavo da casa per lunghe ore... Ma che
io sappia Alex ha preso farmaci solo per
curare la depressione, dopo lo scandalo.
Prima era una persona sana, usava unicamente vitamine e sali minerali». Infine, il capitolo Michele Ferrari, il medico
inibito per vicende di doping, al quale si
appoggiò il ciclista squalificato a vita
Lance Armstrong. «Io l’ho incontrato
una sola volta in un parcheggio autostradale di Verona — riconosce Carolina
—. Era il 2010, siamo saliti sul suo camper e loro si sono messi a parlare ma non
ho visto strumentazione medica...
Un’altra volta che mi sentivo stanca
Alex, senza dirmi nulla, sottopose il mio
esame del sangue alla sua valutazione...
Penso che anche i genitori di Alex conoscessero Ferrari perché suo padre l’aveva accompagnato a Sankt Moritz».
Ferrari, gli ispettori, i farmaci, la tenda di notte. Che vita d’inferno.
Andrea Pasqualetto
Veltroni
celebrerà
il matrimonio
di Clooney
Dovrebbe essere Walter
Veltroni a celebrare le nozze
di George Clooney con
Amal Alamuddin, il 27
settembre a Venezia.
Clooney e Veltroni sono
amici dal 2009, quando
l’attore incontrò a Roma
l’ex sindaco della Capitale
alla presentazione di un
film: tra i due si era subito
instaurata una simpatia,
dovuta agli interessi
comuni in Africa. E Clooney
in un’intervista aveva
dichiarato che Veltroni gli
era stato utile nella sua
campagna per il Darfur.
Non si sa ancora il luogo
nel quale sarà celebrata la
cerimonia civile, se in
municipio o in una sala di
Ca’ Vendramin Calergi.
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Fiori d’arancio
Festa
ad Alghero
per Canalis
e Perri
In bianco Elisabetta Canalis
Si sono sposati ieri nella
cattedrale di Alghero
Elisabetta Canalis e il
chirurgo ortopedico Brian
Perri. L’ex velina era vestita
in abito bianco tradizionale.
Dopo le nozze ha pubblicato
un tweet con scritto: «#Italia
Ancora non mi rendo conto
ma sto realizzando quanto
tutto questo mi mancherà
#Amici #Famiglia”».
apasqualetto@corriere.it
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La protesta Il Comune vuole riportare i Giardini Estensi all’aspetto originario. «Resto fino a giovedì. Se piove ho un impermeabile per coprirmi»
Tablet, libri e uno scoiattolo per il barone rampante di Varese
Michele, 26 anni, vive da tre giorni
su un cipresso californiano
per scongiurarne l’abbattimento
DALLA NOSTRA INVIATA
VARESE — Un intreccio di rami per dormire, libri per non annoiarsi, un quaderno per scrivere poesie e 40 metri di corda per
tenersi su. È da venerdì scorso
che Michele vede il mondo dalla
cima di un cipresso della California, uno dei 16 che vorrebbe salvare nei bellissimi Giardini
Estensi, cuore verde di Varese.
L’amministrazione e la commissione ambiente hanno deciso
di abbatterli per ridare a quel
luogo l’aspetto originario dei
tempi in cui i 16 «californiani»
non c’erano. Ma il fatto è che
adesso ormai ci sono e non sono
né malati né pericolosi. Quindi,
per dirla con Michele Forzinetti,
«buttarli giù è un insulto al buon
senso».
Per questo da venerdì pomeriggio lui è lì, con i suoi 26 anni
di energia, appollaiato notte e
giorno su questo o su quel ramo:
«Non ho intenzione di scendere
fino a giovedì sera, quando è
convocato un nuovo consiglio
comunale. E da domani (oggi,
ndr) non parlerò più. Su questa
storia è già stato detto tutto,
adesso è ora di fare silenzio e riflettere».
Le giornate
Non mangia, si nutre solo
di succhi di frutta e acqua.
«Mia madre è diventata
la mia prima fan»
Fino a ieri sera lo sciopero era
soltanto quello della fame («bevo acqua e succhi di frutta e
prendo sali minerali») e alla gente arrivata ai piedi dell’albero per
salutarlo lui ha spiegato che «la
mia è una battaglia simbolica
sull’ascolto. Le persone che hanno coscienza civica e chiedono
qualcosa a chi ha il potere di decidere, devono essere ascoltate.
Se proprio devo dirla tutta sono
convinto che alla fine questi alberi li tireranno giù, ma io non
potevo non fare almeno un tentativo per salvarli. E spero che
questo gesto muova le coscienze,
soprattutto quelle dei giovani
come me».
Laureato in scienze motorie,
istruttore di fitness e ginnastica
artistica, esperto di arrampicata
sportiva, Michele racconta che la
poesia è una delle sue grandi
passioni. Abbarbicato al suo ramo a quota dodici metri, «ne ho
scritta una — dice — sulle pagine di uno dei libri che ho qui con
me». Nello zaino di questa spedi-
zione ecologista, oltre al tablet,
ha messo «Walden, ovvero vita
nei boschi» di Henry D. Thoreau
e «La ragazza sull’albero» di Julia
Hill, l’ambientalista della Contea
di Grand (Colorado) diventata
famosa per essere rimasta 738
giorni su una sequoia a 55 metri
di altezza per salvarla dall’abbattimento. Michele non ha portato
con sé Cosimo, «Il barone rampante» che la penna di Italo Calvino ha fatto salire e vivere per
sempre sugli alberi. Ma si tocca
la tempia con l’indice e sorride:
«Non ce l’ho ma è qui, nella mia
testa».
«E se piovesse?» chiedono
tutti guardando il giaciglio improvvisato su, in cima. «Ho materiale impermeabile» risponde
lui incrociando le dita.
Quando ha capito che avrebbe
davvero dormito lassù, sua maSul cipresso
Michele Forzinetti, 26 anni, è
salito venerdì
pomeriggio su
uno dei 16 cipressi che l’amministrazione
comunale vuole
abbattere, a Varese. Resterà
sulla pianta per
protesta, senza
scendere mai,
fino a giovedì,
data del prossimo consiglio
comunale (Fotogramma)
dre ha pianto. Poi ha visto la gente mettersi in fila per venire a fargli un saluto, ha visto crescere le
firme per sostenere la sua protesta, lo ha visto arrampicarsi veloce come un animale selvatico, ed
è diventata la sua più grande fan.
«Sono preparato e sono imbragato, non corro rischi» è sicuro lui. Semmai «la cosa difficile è
gestire il senso di solitudine»,
quello che può svanire anche da
un momento all’altro «davanti a
uno scoiattolo rosso bellissimo
che ho visto zampettare due rami sotto il mio». Il telefonino è in
tasca «ma soltanto per le emergenze». Di notte, nel buio sotto
di lui, ogni tanto si accende una
fonte di luce: «Sono gli innamorati che arrivano anche se il parco oltre una certa ora dovrebbe
essere chiuso. Da quassù li vedo
perché accendono i loro cellulari
per farsi luce». Là in alto le parole
degli amanti non arrivano. I pensieri d’amore, quelli sì.
Giusi Fasano
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22 Cronache
Scuola Parte anche la consultazione online sulle linee guida del governo
Premier e ministri tra i banchi
Giannini: maturità più creativa
L’anno scolastico al via, Renzi alla Puglisi di Palermo
ROMA — «Tutti a scuola», ha
suggerito il premier Matteo
Renzi ai suoi ministri. E loro, o
almeno molti, hanno accolto
l’invito. Tutti in classe, oggi,
alunni e ministri nelle Regioni
italiane (quasi tutte) dove l’anno scolastico comincia proprio
questo lunedì 15 settembre. Un
rientro in classe che coincide
con l’avvio della consultazione
online sulle linee guida varate la
scorsa settimana dal governo.
Il premier è a Palermo, nell’istituto intitolato a don Pino
Puglisi, il prete antimafia ucciso
da Cosa nostra il 15 settembre di
oltre vent’anni fa. Non è una casualità, ovviamente, se il presidente del Consiglio ha scelto
quell’istituto e quella città nel
giorno di un tragico anniversario che tuttavia segna l’inizio,
con le parole della ministra dell’Istruzione Stefania Giannini,
dell’«anno della buona scuola».
«Vogliamo discutere con tutti la
riqualificazione del sistema
educativo — ha detto Giannini
ieri a Ferrara —. Mettiamo sul
piano del dibattito nazionale ciò
che più ci sta a cuore: la scuola».
La ministra ha poi auspicato una
modifica dell’esame di Stato
«soprattutto per gli studenti degli istituti tecnici una prova più
creativa piuttosto che la solita
tesina».
Giannini resta a Roma dove
visita una scuola della periferia,
l’istituto tecnico agrario «Emilio
Sereni», dove da anni si realizza
Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
italia: 51575551575557
Il premier
In classe
Oggi il premier Matteo Renzi
sarà a Palermo, nella scuola di
Don Pino Puglisi, per
inaugurare il nuovo anno
scolastico. Come lui faranno
gli altri ministri di questo
governo nell’anno definito,
dalla ministra Giannini, della
«buona scuola»
Cresima
Nella foto sopra, un Matteo
Renzi bambino nel giorno
della sua cresima. Un’età in cui
il primo giorno di scuola era
appuntamento importante
per il futuro premier
con successo l’alternanza scuola-lavoro e dove oggi sarà inaugurato il birrificio artigianale allestito dentro l’istituto. Questa,
per la ministra, sarà solo la prima tappa dell’annunciato tour
«Buona scuola», che la vedrà
varcare la soglia di molti istituti
e licei d’Italia, anche il suo, a
Lucca. Gli altri ministri, che oggi
entrano dopo anni nelle loro ex
scuole, sono sparpagliati per
tutta la penisola. Gian Luca Galletti, responsabile dell’Ambien-
te, è alla primaria «Marconi» di
Bologna. In Calabria, a Locri, nel
liceo classico «Oliveti», è attesa
Carmela Lanzetta, Affari regionali. Alla elementare «Matilde di
Canossa», a Reggio Emilia, c’è il
sottosegretario alla presidenza
Graziano Delrio, a Laterina, in
provincia di Arezzo, dove è cresciuta, tornerà tra i banchi della
primaria «Goffredo Mameli» la
ministra per i rapporti con il
Parlamento Maria Elena Boschi.
Maurizio Lupi, ministro dei Trasporti, è a Milano, alla «Cabrini», il collega delle Politiche
Agricole, Maurizio Martina è a
Bergamo, all’Istituto tecnico
agrario Rigoni Stern.
Proprio l’istituto agrario ha
registrato un boom di iscrizioni,
con un più 12% rispetto allo
scorso anno. Con l’alberghiero e
gli altri istituti tecnici e professionali supera il 50% dei nuovi
iscritti alle superiori. Solo uno
su due quattordicenni ha scelto
il liceo, per la precisione il
49,8%. Sui banchi, insomma, si
va sì per studiare ma soprattutto
per concedersi una opportunità
professionale concreta. E infatti,
all’istituto tecnico «Scarabelli»
di Imola, in questo primo giorno
di scuola in Emilia-Romagna,
c’è proprio il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, mentre sull’altro versante dello Stivale,
nella sua Genova, Roberta Pinotti, ministro della Difesa, salvo impegni dell’ultimo minuto
sarà allo scientifico «Enrico Fermi», scuola che non soltanto ha
frequentato ma dove ha anche
insegnato per qualche anno. Infine, Federica Guidi, ministra
dello Sviluppo economico, è al
liceo «Muratori» di Modena.
Mariolina Iossa
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La classifica
I migliori atenei del mondo
per le lauree specialistiche
secondo il Financial Times
13.500
Gli studenti della Bocconi.
Di questi, l’11% sono stranieri
3.500
Sono gli studenti della laurea
specialistica alla Bocconi
La graduatoria Il giudizio del «Financial Times»
Bocconi scala la classifica
In due anni risale 11 posizioni
ed è il primo ateneo italiano
MILANO — Prima delle italiane, dodicesima nel mondo. È un nuovo successo quello che mette a segno la Bocconi di Milano in una delle sempre più
diffuse classifiche delle migliori università in cui studiare. L’ateneo di via
Sarfatti sale al 12° posto nel ranking
2014 del Financial Times, relativo ai
master in management, guadagnando 5
posizioni, dalla 17ª dell’anno scorso
(23ª due anni fa). Prima italiana in classifica (la School of Management del Po-
litecnico è invece al 63° posto), la Bocconi è presente nella lista delle eccellenze anche con il programma Cems al
quinto posto (un network di università
che consente agli studenti con i migliori
curricula di completare il programma
«Mim — Master in management» in
uno dei 28 atenei membri).
Il riconoscimento del quotidiano
della City riguarda uno specifico programma, il Master of Science in International Management: una laurea
Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
Cronache 23
italia: 51575551575557
2014
2013
2012
Dopo Inghilterra e Scandinavia
SCUOLA
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
16
18
19
20
University of St Gallen
Svizzera
HEC Paris
Francia
Essec Business School
Francia
WHU Beisheim
Germania
Cems*
*Network di 28 atenei
Esade Business School
Spagna
ESCP Europe
F GB G S
Rotterdam School of Management, Erasmus University Olanda
IE Business School
Spagna
London Business School
Regno Unito
HHL Leipzig Graduate School of Management
Germania
ITALIA
UNIVERSITÀ BOCCONI
Indian Institute of Management, Calcutta
India
EBS Business School
Germania
Grenoble Graduate School of Business
Francia
Edhec Business School
Francia
Indian Institute of Management, Ahmedabad
India
Mannheim Business School
Germania
Imperial College Business School
Regno Unito
EMLyon Business School
Francia
1
4
8
3
7
10
2
5
5
9
17
19
13
14
18
16
12
11
1
4
5
3
7
2
7
6
11
23
13
12
10
14
14
9
PAESE
I
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
D’ARCO
«specialistica» o di secondo livello, di
durata biennale, tenuto in inglese, lanciato nel 2006 e che ha debuttato nel
Ranking Ft nel 2010, al 33° posto. Ma il
giudizio degli analisti si basa sui punti
di forza più spesso citati per sostenere
l’eccellenza complessiva dell’ateneo
milanese. Spiega Stefano Caselli, prorettore per l’internazionalizzazione dell’ateneo di via Sarfatti: «La continua
progressione in classifiche estremamente competitive è un concreto riconoscimento alla capacità della Bocconi
di essere un punto di riferimento per
tanti giovani talenti in Europa».
Sono tra i 20 e i 30 ogni anno, il 20%
del totale, gli stranieri iscritti al corso
Mim: uno dei criteri di valutazione usati
dal Financial Times. Ma ce ne sono in
tutto una ventina. Prosegue Caselli:
«Sono divisi in due famiglie: gli indicatori oggettivi, e cioè numero di pubblicazioni, struttura dei corsi, opportunità
di esperienze internazionali, internship; e quelli comunicati dai laureati a
tre anni dal titolo, attraverso le risposte
a un questionario che sonda livelli di
salario, carriera, grado di soddisfazione
per la propria università». La Bocconi
va fiera in particolare del servizio di placement. Assicura il prorettore: «Nell’aiutare i nostri laureati a trovare lavoro
siamo forti almeno quanto i primi in
classifica». Che sono l’università di St.
Gallen, Svizzera, le francesi Hec (Parigi)
e la Essec Business School. Istituzioni
pubbliche, le due francesi, in un merca-
Distanziato il Politecnico
Tra le italiane, dopo l’università
Bocconi, la School of
Management del Politecnico si
colloca al 63° posto
to in cui brillano soprattutto gli atenei
privati, le cui rette importanti (12 mila
euro l’anno il costo del master Bocconi),
si giustificano solo a fronte di un’elevata occupabilità in tempi ragionevoli.
«Gli atenei pubblici d’Oltralpe —
sottolinea Caselli — ricevono finanziamenti consistenti, e poi sono anche
bravi a fare fundraising. Ma quel che
più conta è che sanno fare molto bene
gioco di squadra».
In classifica compaiono tante europee (francesi, soprattutto, ma anche inglesi, tedesche, belghe, olandesi) e un
paio di eccellenze indiane. Nell’élite dei
primi della classe sono escluse le eccellenze a stelle e strisce, ma solo perché
hanno un’organizzazione dei corsi diversa: non il 3+2, all’italiana, ma corsi di
laurea di quattro anni. Un’assenza che
non durerà molto: gli atenei americani
hanno fiutato il business e, a partire
dalla blasonata Cornell University che
Film attraverso la Rete
Il colosso Usa Netflix
ora sbarca in Francia
debutta quest’anno, stanno iniziando a
proporre i loro Master of Science. Potrebbero iniziare tempi più difficili per
la concorrenza tra università. E anche la
Bocconi dovrà tenere alto il livello di attenzione, soprattutto dopo la delusione
per l’ultimo Academic Ranking of World Universities (Arwu), uno dei più accreditati del mondo, curato dall’ateneo
Jao Tong di Shanghai, pubblicato in
agosto: l’università milanese, assente
nella classifica generale, compariva nel
blocco tra il 101° e il 150° posto per l’insegnamento dell’economia. Grande attesa, intanto, c’è anche per il posizionamento nel World University Ranking
2014 di Qs, che verrà pubblicato nelle
prossime ore: l’anno scorso Bocconi era
29ª tra le migliori facoltà di scienze sociali e management del mondo, nona in
Europa.
Antonella De Gregorio
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PARIGI — «Tranquilli, potremmo produrre House of
Versailles», ha detto settimane fa Reed Hastings,
fondatore e presidente del servizio di video on
demand americano Netflix che oggi (dopo Gran
Bretagna e Scandinavia) arriva in altri Paesi europei
tra cui la Francia (non in Italia). La battuta si riferisce
allo straordinario successo di House of Cards, la serie
tv prodotta dalla stessa Netflix, e all’opposizione che
Netflix ha incontrato in Francia nei mesi precedenti lo
sbarco. Aurélie Filippetti, allora ministra della Cultura,
aveva manifestato perplessità parlando di minaccia
all’«eccezione culturale» francese e inserendo Netflix
nella lista dei colossi americani (da Google a Amazon)
sospettati di voler mettere fuori mercato le aziende
culturali europee. Le trattative tra Parigi e Netflix sono
fallite, la società ha stabilito la sede in Lussemburgo
(nel 2015 si trasferirà ad Amsterdam) e non finanzierà
la creazione culturale locale, anche se ha annunciato
di avere già pronta una serie — Marseille — pensata e
prodotta per il mercato francese. Dopo il rimpasto
governativo di due settimane fa la nuova ministra
della Cultura, Fleur Pellerin, ha cercato toni più
concilianti con l’azienda californiana che ha ormai 50
milioni di abbonati in 40 Paesi del mondo (35 milioni
negli Stati Uniti). «Non dobbiamo insultare Netflix —
ha detto tre giorni fa Pellerin al Festival della fiction tv
de La Rochelle —, né mostrare una mentalità da
assediati. Netflix deve contribuire alla produzione
francese ed europea, dobbiamo dialogare su questo».
L’offerta commerciale, che si preciserà nelle prossime
ore, dovrebbe consistere in un abbonamento mensile
intorno ai 10 euro per vedere in streaming via Internet
(quando si vuole, senza essere legati all’orario di
programmazione) film e serie tv da un catalogo di
circa tremila titoli (negli Stati Uniti sono 10 mila). In
Italia Netflix non è ancora presente per il ritardo del
nostro Paese nella diffusione della banda larga e per
questioni legate ai diritti televisivi.
Stefano Montefiori
Stef_Montefiori
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Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
Cronache 25
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Vaticano
Il Papa sposa venti coppie, ci sono anche conviventi con figli
In San Pietro Alcune delle coppie unite in matrimonio ieri da papa Francesco (AP)
L’evento
CITTÀ DEL VATICANO — «Il matrimonio
è simbolo della vita, della vita reale, non
e una fiction!». Francesco sorride e la «vita
reale» sta lì davanti a lui: venti coppie a
semicerchio intorno all’altare di San Pietro —
gli sposi in nero, le spose in bianco — e tra di
esse ventenni e cinquantenni, la
professionista e la commessa, il dj e il
ballerino, chi si è conosciuto in parrocchia e
chi conviveva già da anni. La coppia più
matura è composta da Guido e Gabriella, lui
alle spalle un matrimonio annullato dalla
Rota romana e lei che da giovane ha avuto
una figlia che ora assiste emozionata alle
nozze. Conviventi, figli già nati: nessun
impedimento canonico, nulla di strano,
sorridono Oltretevere, la Chiesa è ben felice e
«accoglie a braccia aperte» chi, magari
attraverso un lungo percorso, decide di
sposarsi davanti a Dio. Però è la prima volta
per Francesco e del resto è raro che un Papa
celebri pubblicamente le nozze: i soli due
precedenti recenti risalgono a Wojtyla, nel
1994 e nel 2000. La scelta di Francesco è
simbolica, alla vigilia del Sinodo sulla
famiglia che si riunirà dal 5 al 19 ottobre. Una
Chiesa che accoglie, attenta alla vita reale e
anche alle «situazioni difficili» (come i
divorziati risposati, ancora esclusi dalla
comunione). Ieri Francesco ha parlato di
quelli che «non sopportano il cammino» e
sentono «stanchezza», tentati da «infedeltà e
abbandono». E del sacramento come
garanzia, «l’amore di Gesù è in grado di
mantenere il loro amore e di rinnovarlo
quando umanamente si perde, si lacera, si
esaurisce». Del resto «senza conflitti non
sarebbe umano: è normale che gli sposi
litighino». Il Papa ripete il suo consiglio: «Mai
finire la giornata senza fare la pace. Mai!».
G. G. V.
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Il 27 settembre la postulazione per Álvaro del Portillo, che fu il primo successore di Escrivá de Balaguer alla guida della Obra
Ecco perché il prelato dell’Opus Dei
sarà beatificato a Madrid e non a Roma
Chi ha visto una presa di distanza di Francesco non conosce bene il Pontefice
di VITTORIO MESSORI
S
abato 27 settembre, a Madrid, sarà proclamato beato mons. Álvaro del Portillo, Prelato dell’Opus Dei e primo successore del Fondatore, san Josemaría Escrivá de Balaguer. Per disposizione di Benedetto XVI, solo le canonizzazioni sono
celebrate a Roma dal Pontefice, ma non ci
sono norme per il luogo delle beatificazioni,
escludendo solo piazza San Pietro, riservata
al Papa. Monsignor del Portillo è nato a Madrid ma ha passato a Roma tutta la sua vita
sacerdotale, essendo il più stretto collaboratore del Santo aragonese. A Roma è la sede
centrale da cui per 19 anni ha amministrato
un onfalocele, un’ernia a livello ombelicale
che conteneva il fegato ed alcune viscere
addominali. Inoltre, il feto presentava una
«tetralogia di Fallot», cioè un insieme di
ben quattro gravi difetti cardiaci, con il miscelamento del sangue arterioso in quello
venoso.
Né lei né il marito facevano parte dell’Opus Dei ma avevano avuto in dono una
immaginetta con una preghiera a quello che
era ancora soltanto il Servo di Dio Álvaro del
Portillo. Gli Wilson decisero subito di scartare la possibilità di un aborto e di affidarsi
alla preghiera. Così la donna, tra l’altro, fissò sul ventre e portò sempre su di sé il «san-
Álvaro del Portillo è nato
a Madrid nel 1914 ed è
morto a Roma nel 1994
tino» di don Álvaro. Quando il figlio José
Ignazio fu partorito, pesava solo 1 chilo e
750 grammi. Due giorni dopo la nascita fu
operato per l’onfalocele ma durante l’intervento ebbe il primo dei molti arresti cardiaci che si susseguiranno. Nei giorni seguenti
ebbe gravi crisi per la mancanza di ossigeno
nel sangue e per la difficile espansione dei
polmoni. Questi eventi provocarono gravi
conseguenze: una ecografia rivelò lesioni al
cervello. Meno di venti giorni dopo la nascita, José Ignacio ebbe anche una crisi epilettica. I medici decisero di effettuare un intervento cardiochirurgico di tipo palliativo, almeno per stabilizzare la situazione, ma le
condizioni precipitarono anche per un accumulo di sangue attorno al cuore che ne
rendeva difficoltosi i battiti.
In quel povero corpicino devastato gli
eventi traumatici si susseguirono senza tregua. Alle 15.30 del 2 agosto, ecco l’arresto
cardiaco che sembrò decisivo: per ben oltre
mezz’ora il cuore cessò di battere e a nulla
servirono i tentativi per riavviarlo. Dopo
quasi 40 minuti, i medici cessarono le manovre, convinti che il bambino fosse ormai
morto. La madre, intanto, accasciata su una
panca accanto alla porta della sala operatoria, recitava di continuo e a voce alta la preghiera a don Álvaro. A quel punto giunse il
primario del reparto e per prima cosa chiese
a un infermiere a che ora fosse morto quello
sventurato bambino. A suo avviso, infatti,
ogni sforzo per salvarlo sarebbe stato vano.
E invece, proprio mentre i chirurghi lasciavano la sala, il ronzio degli strumenti segnalò che il cuore aveva ricominciato a battere, prima lentamente e poi raggiungendo
il numero normale di pulsazioni. Per tutta la
giornata e poi nella notte le condizioni del
piccolo migliorarono di continuo in modo
spettacolare. Gli esami mostrarono che il
La Chiesa e il miracolo
«Mentre il bimbo cileno era stato
già dato per spacciato dai medici,
la madre continuava a recitare la
preghiera al monsignore spagnolo»
I vent’anni a Roma
È stato il più stretto collaboratore del
Santo aragonense, ha vissuto per 19
anni a Roma dove ha amministrato
i 90 mila membri della prelatura
i 90.000 membri (solo il 2 per cento sacerdoti) della mitica Obra e a Roma resta — e
resterà — il suo corpo. Dunque, si era pensato a una beatificazione nella nostra capitale, ma alla fine ci si decise per Madrid, affermando che non c’era a Roma una piazza
abbastanza grande per contenere l’enorme
folla prevista.
Naturalmente, i soliti dietrologi si sono
affrettati a ipotizzare il divieto di un papa
Francesco ostile all’Opus Dei, ricordando
che la Compagnia di Gesù ostacolò gli inizi
della nuova famiglia religiosa e proprio ad
alcuni gesuiti si deve la «leggenda nera»
giunta alla grande sino a Dan Bown. Per capire come la realtà sia diversa, basterebbe
un’occhiata a una foto di Jorge Bergoglio arcivescovo a Buenos Aires: sulla scrivania,
una immagine incorniciata di un sorridente
sant’Escrivá de Balaguer. Sulla tomba del
santo Fondatore, nella sede ai Parioli dell’Opera , mons. Jorge volle andare a pregare:
ci si aspettava che stesse in ginocchio alcuni
minuti e invece non si rialzò che dopo tre
quarti d’ora di orazione intensa, ad occhi
chiusi. L’attuale prelato, mons. Javier Echevarria , è già stato ricevuto ben tre volte in
lunghi colloqui privati con il nuovo Papa. In
Argentina i rapporti della numerosa comunità dell’Obra con l’arcivescovo Bergoglio
sono stati sempre di stretta collaborazione,
anche perché i seguaci di sant’Escrivá lavorano con la consueta concretezza ed efficacia nelle Villas Miserias della periferia .
Dunque, il prossimo 27 anche Francesco
si rallegrerà di avere firmato, nel luglio dello scorso anno, il decreto per la beatificazione di Álvaro del Portillo. Decreto che riconosceva come miracolosa la guarigione di
un neonato cileno. La Postulazione della
causa ha comunicato di avere ricevuto ben
13.000 segnalazioni da tutto il mondo di favori e grazie ottenuti per intercessione del
candidato agli altari.
La vicenda prescelta fra tante altre — perché giudicata la più indiscutibile e la più significativa — è quella di Susana Ureta Wilson, moglie di un professionista di Santiago
del Cile che, nel 2003, comprese presto che
la sua seconda gravidanza sarebbe stata
molto difficile. Gli esami rivelarono che il
maschietto che attendeva sarebbe nato con
cervello non aveva subito danni, come ci si
aspettava da un arresto cardiaco così prolungato. Un mese dopo, José Ignacio lasciava l’ospedale. Ora è un bel ragazzino biondo
di 11 anni che studia e fa vita normale: impressionano le fotografie mentre gioca a
calcio e a tennis, canta e balla, scherza con i
compagni, va a scuola come tutti. Per dirla
con la mamma (che, assieme al marito, si è
recata in pellegrinaggio a Roma, per ringraziare sulla tomba di don Álvaro): «Mio figlio
è una creatura felice, entusiasta, socievole,
nella sua classe è un piccolo leader. Ogni
madre ne sarebbe orgogliosa».
Furono gli stessi medici che avevano assistito alla sopravvivenza di quell’esserino
di poco più di un chilo e mezzo che si presentarono come testimoni quando il Cardinal Arcivescovo di Santiago istituì un tribunale diocesano che indagò sui fatti. I risultati, inviati a Roma, furono sottoposti alla
Consulta medica internazionale della Congregazione dei Santi che, esaminato con la
cura consueta il dossier sanitario, dichiarò
che la sopravvivenza del neonato, la mancanza di danni cerebrali a causa del prolungato arresto cardiaco, la pronta e piena ripresa sino alla normalità non avevano spiegazione allo stato attuale della scienza med i ca . N o n s i d i m e n t i c h i c h e q u es t i
specialisti di molte nazioni, non necessariamente credenti, quasi tutti docenti universitari e, in ogni caso, luminari nelle varie discipline mediche, seguono una grande prudenza a difesa della loro reputazione professionale. In caso di dubbio, anche lieve,
preferiscono chiedere che il caso sia archiviato.
La pratica fu trasmessa poi alla Consulta
dei Teologi che dichiararono provata, al di
là di ogni ragionevole dubbio, la relazione
tra la guarigione prodigiosa e la richiesta di
intercessione a don del Portillo. Infine, i cardinali e i vescovi membri della Congregazione, riesaminato tutto il dossier, dichiararono fondata la realtà del miracolo. Così, il
Papa sudamericano ha potuto autorizzare
per il prete madrileno (che da giovane laico
fu ingegnere di ponti e strade) la gloria degli altari che sarà proclamata il 27 sulla piazza più grande di Spagna.
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Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
Cronache 27
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Montagna Dalla Val d’Aosta alle Dolomiti, per mesi fuori dal mondo. «Non si soffre la solitudine, è un po’ come stare al Grande fratello»
Da Manhattan
al bar in vetta
Carolina Molin,
25 anni, barista
nel rifugio Città
di Carpi, sui
Cadini di Misurina
Studia
cooperazione
internazionale
a Bologna, ha
lavorato a New
York e Cambridge
A 3269 metri
senza tv
Stefano Alberti,
26 anni, single e
tuttofare (dalla
cucina al
trasporto dei
viveri, con la
jeep o la
motoslitta o la
teleferica) al
rifugio Casati e
Guasti (3269
metri, anche
nella foto sotto),
nel gruppo
dell’OrtlesCevedale, sotto
il ghiacciaio più
vasto d’Europa
Va a letto alle 10
di sera, sveglia
presto e
colazione alle
6.30. Da tre anni
al rifugio c’è
Internet, la tv
invece è a
momenti alterni.
«Abbiamo la
parabola ma
con il brutto
tempo, quando
il vento la gira,
non si vede
niente. È una
vita di sacrifici»
Figlio d’arte
Yanick Favre, 32 anni, del Quintino Sella al Felik
sul Monte Rosa. Ha iniziato nel rifugio del padre
Stefano e i ragazzi dei rifugi
La scommessa di un lavoro
con vista sul ghiacciaio
«Sveglia all’alba e fatica, ma qui ci si sente davvero liberi»
Sognando il mare
Yanick: «È il mestiere più
bello del mondo. Però
a volte sogno di andare
a vivere su una barca»
mano in cambio di vitto e alloggio a un amico architetto a
Manhattan, poi 20 giorni in
Messico, in vacanza. «Faccio soprattutto la cameriera e la barista, ma un po’ tutto quello di cui
c’è bisogno — continua —. A
valle scendo una volta alla settimana, incontro gli amici, non
ho un fidanzato».
Stefano Alberti, 26 anni, single, lavora al rifugio Casati e
abbiamo la parabola ma con il
brutto tempo, quando il vento la
gira, non si vede niente. È una
vita di sacrifici».
Al rifugio Quintino Sella al
Felik, appeso a 3.585 metri di
quota, sul Monte Rosa, lavora
Yanick Favre, 32 anni. Il ghiacciaio passa a 2 metri dalla porta,
giro d’orizzonte a 360°da lasciare a bocca aperta, sul Castore,
sui due Lyskamm, con vista nel-
le giornate di vento fino al Monviso, al Gran Paradiso e al Monte
Bianco. «È il lavoro più bello che
c’è — dice — molto vario, passo
dalla cucina al cambio dell’olio
al generatore, dalla verniciatura
della staccionata a procurare
l’acqua di fusione del ghiacciaio.
Ero un adolescente turbolento,
ho tentato di completare il liceo
scientifico, poi nel rifugio gestito da mio padre Adriano ho trovato la mia dimensione». Yanick, come tutti coloro che lavorano lassù, alterna due settimane
in rifugio e una in fondovalle a
Champoluc: «Dopo 20 giorni a
quella quota non si dorme più, e
poi a casa voglio starmene un
po’ da solo. Anche se pare assurdo, lassù siamo come il Grande
Fratello». Anche lui single («Ma
per 5 anni ho avuto una fidanzata a Roma»). Lavoro duro: quest’estate a ferragosto c’erano
-9°, più che pioggia cade neve.
Cambiarlo con un altro mestiere? «Con il mare probabilmente
sì, vivere in barca, mi piacciono
le immersioni, dove la natura,
come quassù, la fa da padrona».
Sulle montagne lombarde
un’altra storia: «Ogni due giorni
scendo a valle per il pane e l’acqua» racconta Massimo Ma-
Jesolo
La Miss Italia
di Simona
Ventura
È stata scelta tra
venticinque finaliste
Miss Italia 2014.
Quest’anno il
programma è stato
condotto per la prima
volta da Simona
Ventura, nella foto
accanto a Giulia Arena,
la reginetta uscente
(Infophoto).
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Comunicato sindacale
Care lettrici e cari lettori,
in questi giorni, sulle pagine del
Corriere della Sera, è in corso la campagna pubblicitaria per lanciare «GazzaBet», un sito di scommesse online
associato alla Gazzetta dello Sport, il
quotidiano sportivo leader in Italia
edito da RcsMediaGroup.
In calce alle paginate di pubblicità,
scritte con un carattere piccolissimo,
compaiono due avvisi che sono invece
di fondamentale importanza e sui
quali, dunque, richiamiamo la vostra
attenzione. La prima: «Il gioco è vietato ai minori e può causare dipendenza
patologica». Come dire: RcsMedia-
Guasti, nel gruppo dell’OrtlesCevedale, sotto il ghiacciaio più
vasto d’Europa. «Faccio di tutto,
dalla cucina al trasporto dei viveri, con jeep o motoslitta e poi
con la nostra teleferica fino ai
3269 metri del rifugio. A valle
scendo una volta alla settimana,
dai fornitori: frutta, verdura,
carne, bibite». La sera luce spenta alle 10, colazione dalle 6.30.
Internet c’è da 3 anni. «Per la tv
Group si sta avventurando in un campo minato, in un settore controverso,
ad alto tasso di rischio sociale e completamente estraneo all’attività editoriale dell’azienda. Anche la seconda
avvertenza è riportata in una noticina
quasi illeggibile: «GazzaBet non coinvolge le strutture giornalistiche di
Rcs». Le lettrici e i lettori devono sapere che questa iniziativa non solo
«non coinvolge» i giornalisti della
Gazzetta dello Sport, ma anzi è stata
pensata e attuata contro il parere della
redazione.
Certo, un editore è libero di pianificare lo sviluppo della propria intra-
presa. Ma non è questo il tema in discussione. Peraltro né il Comitato di
redazione (Cdr) del Corriere della Sera, né il Comitato di redazione della
Gazzetta dello Sport hanno mai negato negli ultimi due anni la necessità di
trovare nuove fonti di ricavi. Il punto è
che stiamo andando fuori strada. Da
mesi il Cdr della Gazzetta dello Sport
si sta sforzando di dimostrare che
puntare su un sito di scommesse significa semplicemente sfigurare
l’identità, la reputazione, il prestigio
del quotidiano sportivo di gran lunga
più importante in Italia.
Il Cdr del Corriere condivide in pieno e appoggia la protesta dei colleghi
della Gazzetta, e ha sollevato il caso
intervenendo nell’assemblea dei soci
Rcs nel maggio scorso. Inoltre da al-
meno due anni il Cdr del Corriere della Sera chiede all’azienda di mettere al
centro del necessario rilancio i contenuti editoriali, siano essi pubblicati
sull’edizione di carta, sul sito del Corriere o sulle piattaforme digitali. Questo confronto è quanto mai urgente. Il
marketing è una funzione essenziale
per ogni azienda e quindi anche per la
nostra. Ne siamo pienamente consapevoli. Come pure sappiamo che in
Europa e nel mondo esistono decine
di esempi di promozione editoriale
che valorizzano il lavoro giornalistico
nelle sue varie forme, senza scivolamenti in territori estranei e pericolosi
per la reputazione dei giornali.
Il Comitato di redazione
del Corriere della Sera
© RIPRODUZIONE RISERVATA
scheroni ,36 anni di Cantù, custode del rifugio Prabello, una
ex caserma della Guardia di Finanza, dismessa negli anni 70,
sullo spartiacque al confine tra
Italia e Svizzera. Vista incantevole verso il Lago di Como, le
Grigne, fino al Bernina, 24 posti
letto in camerata, aperto tutto
l’anno nei weekend. «Faccio di
tutto e di più. Ogni tanto penso
di cambiare lavoro, ma questo
mi piace e con i tempi che corrono...».
In Piemonte , a Paraloup in
Valle Stura, altri ragazzi intraprendenti gestiscono le ex baite
abbandonate dei partigiani, trasformate in rifugio dalla Fondazione Nuto Revelli. Un borgo
fantasma che rivive. Sono tre
giovani cuneesi, Sara Gorgerino, 32 anni, Manuel Ricca e
Chiara Goletto, entrambi
27enni, che hanno fondato una
società insieme. Dodici posti
letto e 30 coperti. Ma anche mostre e convegni. «Posso dire che
Paraloup è diventata casa mia —
dice Sara —: si incontrano tante
persone, giovani, famiglie, anziani, ogni volta è un confronto
che ti arricchisce».
Massimo Spampani
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Sudoku Difficile
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LA SOLUZIONE DI IERI
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Come si gioca
Bisogna riempire la
griglia in modo che ogni
riga, colonna e riquadro
contengano una sola
volta i numeri da 1 a 9
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Puzzles by Pappocom
Il loro ambiente di lavoro è la
montagna. Non quella «facile»,
del fondovalle, boutique e pizzerie, ma quella d’alta quota,
dove senti il respiro della roccia
e dei ghiacciai. Sulle Alpi, dalla
Valle d’Aosta alle Dolomiti. Non
sono sherpa o guide alpine, ma
ragazzi di oggi, pieni di entusiasmo e contenti del loro stile di
vita, che lavorano nei rifugi.
Mesi e mesi lassù, fuori dal
mondo, ma a contatto con alpinisti ed escursionisti che li raggiungano, che pernottano, che
passano le serate assieme a loro.
Poi, quando staccano, vanno a
New York a imparare le lingue o
in vacanza in Tailandia.
«Prima che iniziasse la stagione ho lavorato per 8 mesi in
una biblioteca di Cambridge»
racconta Carolina Molin, 25 anni, studentessa a Bologna di
Scienze della cooperazione internazionale. Lavora nel rifugio
Città di Carpi, sui Cadini di Misurina a 2110 metri di altitudine. «Non so quali sbocchi professionali mi offra la laurea, ma
l’argomento mi interessa, un
sacco di attualità e storia moderna». Oltre che in Inghilterra,
esperienze di lavoro in Irlanda,
tre mesi, e altri tre a dare una
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Cultura
I dolori del giovane Dostoevskij
Morte e risurrezione di un genio
L’addio agli studi, gli esordi letterari, la mancata esecuzione
di PIETRO CITATI
U
na leggenda, immaginata soprattutto da Freud, circonda la figura di
Mikhail Andreevic Dostoevskij, padre di Fjodor. Non
era affatto, come fantasticò
Freud, un uomo violento, stupratore, assassino:
il modello di Fjodor Karamazov. Era un eccellente medico, che aveva operato durante la guerra
del 1812: un uomo emotivo, che tendeva a identificare i propri desideri con quelli di Dio; un padre severo, che aveva imposto ai figli un rigidissimo codice di moralità. Fjodor non l’aveva ubbidito: o l’aveva disubbidito nel pensiero, con un acuto senso di colpa. Quando il padre fu assassinato
misteriosamente nel giugno 1839, il figlio scrisse
pochissime parole al fratello, come se la cosa gli
fosse indifferente o, invece, lo riguardasse così
da vicino da costringerlo al silenzio.
Contro il desiderio del figlio, che amava soltanto la letteratura, il padre aveva deciso di iscriverlo alla Scuola centrale del Genio di Pietroburgo, che veniva considerato il miglior istituto del
genere in Russia ed offriva grandi vantaggi economici. Fjodor fu ammesso il 16 gennaio 1838:
studiò assiduamente per sei anni: venne arruolato nel corpo del Genio, prestò servizio nel Dipartimento dei disegnatori ingegneri, e promosso
sottufficiale e poi sottotenente. Studiava fisica,
chimica, geognosia, geometria analitica, geometria descrittiva, calcolo differenziale, meccanica
teorica, meccanica applicata, architettura civile e
militare, arte delle fortificazioni. Pensiamo a Carlo Emilio Gadda: a ciò che significò, per lui,
un’educazione scientifica involontaria. Non fu il
caso di Dostoevskij, che soffrì per sei anni in
quelle mura; e non ne trasse la minima suggestione o influenza, come se fosse tempo sciupato.
Di quegli anni, ci restano alcuni ritratti e autoritratti. «Era forte e solido — scrisse K.A. Trutovskij —: il suo passo era brusco, il suo colorito
grigiastro; aveva uno sguardo pensoso e, sul viso,
un’espressione generalmente riflessiva. L’uniforme militare non gli stava bene. Stava sempre lontano dagli altri, solo e pensoso. Aveva l’aria seria,
e non posso immaginarlo ridere od essere lieto
in compagnia dei suoi condiscepoli». «Tuffato
in un libro — aggiunse D.V. Grigorovic — sembrava che cercasse un luogo dove isolarsi. Presto
lo scoprì, e questo diventò il suo soggiorno preferito. Era il vuoto nel muro di una grande classe
le cui finestre davano sulla Fontanka. Durante le
ricreazioni, si era sicuri di trovarlo lì, con il suo
eterno libro in mano».
Quanto a Dostoevskij, come scrisse nel luglio
1840 al fratello, «non sapeva chi fosse. Non sape-
La vita
Fjodor
Dostoevskij
(1821-1881),
nella foto, è uno
dei più grandi
autori della
letteratura
mondiale. Tra i
suoi capolavori:
«Delitto e
castigo»,
«I Demoni»,
«I fratelli
Karamazov»
Personalità
irrequieta,
tormentato da
problemi di
salute,
Dostoevskij
frequentò da
giovane
ambienti di
opposizione,
venne
condannato a
morte, graziato
e deportato in
Siberia. In
seguito assunse
posizioni
conservatrici
va se l’attività della sua anima fosse pura, giusta,
chiara e limpida; o invece fosse erronea, inutile e
vana, l’aberrazione di un cuore solitario che non
si comprendeva, un bambino insensato, puro e
ardente, ansioso ricercatore di qualche nutrimento spirituale». Leggeva moltissimo: Hoffmann, Balzac, George Sand, Walter Scott, Schiller, Victor Hugo, Cervantes, De Quincey, Sue: si
perdeva e diventava se stesso in quelle letture; e
gli amici ammiravano «la sua erudizione stupefacente». Si sentiva completamente estraneo alla
Scuola del Genio e a se stesso: si annoiava e si
torturava. Il 19 ottobre 1844 diede le dimissioni.
«Non ho vestiti né denaro: non ho nulla per pagare i miei creditori; non ho casa, e per di più sono malato. Ma era impossibile servire più a lungo».
***
Il disperato fuggiasco della Scuola del Genio
non aveva nulla in comune con gli scrittori russi
suoi contemporanei, come Turgenev e Tolstoj. I
suoi fratelli abitavano lontano, in
Francia: Balzac (o, per meglio dire, Lucien de Rubempré, il personaggio degli Splendori e miserie
delle cortigiane), Nerval, Baudelaire, che quasi negli stessi anni
scrissero i loro capolavori. Era
melanconico e nevrastenico: soffriva di depressione; il cuore e il
polso battevano in modo irregolare; e soprattutto credeva, immaginava, temeva di essere malato, sebbene non conoscesse ancora, in quegli anni, l’abisso dell’epilessia. Una ossessione non lo lasciava mai:
cadere in un sonno letargico, ed essere sepolto
vivo. «La mia salute — scriveva nel 1846 — è spaventosamente sconvolta; sono malato di nervi; e
temo una follia calda o una follia nervosa». «Soffro — ripeteva — un’irritazione di tutto il sistema nervoso, e il male è giunto al cuore, trascinando un afflusso di sangue e una congestione».
Un giorno, mentre attraversava una strada di Pietroburgo, vide un corteo funebre: ne fu così
sconvolto, che svenne e fu costretto, con l’aiuto
di qualche passante, a rinchiudersi in una drogheria vicina.
Nell’autunno del 1845, Dostoevskij cominciò a
frequentare i salotti di Pietroburgo. Avdoja Jakovlevna Panaeva lasciò questo ritratto: «Al primo
sguardo si vedeva che era un giovane terribilmente nervoso e sensibile. Era magrissimo, piccolo, biondo, con un colorito malaticcio; i suoi
piccoli occhi grigi correvano, inquieti, da un oggetto all’altro, e le sue labbra pallide trasalivano
nervosamente. All’inizio, aveva l’aria confusa e timida e non partecipava alla conversazione generale. Poi la sua timidezza scomparve, e manifestava perfino un umore provocante, e si impe-
gnava nelle dispute con ciascuno e, visibilmente,
si intestava a contraddire. La sua giovinezza e il
suo nervosismo gli impedivano di dominarsi:
mostrava troppo manifestamente il suo amor
proprio di scrittore e l’alta opinione che aveva di
sé». Forse Dostoevskij non era affatto vanitoso:
era solo cosciente del proprio talento, in un ambiente che non lo comprendeva e non lo riconosceva.
Aveva una mente molteplice, come nessuno
dei suoi contemporanei: mutava ogni momento,
ogni volta che affrontava una nuova persona o un
nuovo soggetto: era insieme sognante ed analitico; cercava l’eccesso e il rischio, perché ognuno
dei suoi racconti doveva essere una avventura e
una sfida. Come Nerval e Baudelaire, spendeva
disperatamente denaro, cercando di distruggere
se stesso: era sempre pieno di debiti; e appena ne
pagava uno, ne apriva un altro, come se il debito
fosse la condizione naturale e necessaria della vita. «Non ho un soldo, e non so come procurarmene», ripeteva. Così, per uccidere i debiti e la
possibilità futura di debiti, proponeva al fratello
e agli amici sempre più improbabili speculazioni
editoriali e non editoriali. «Il guadagno — annunciava — sarà magnifico». Oppure: «Profitto
economico enorme»; e non sappiamo se inventasse questi progetti o li copiasse da quelli, ancora più inverosimili, di Balzac e dei suoi personaggi.
Come Dickens e De Quincey, Balzac e Poe, Nerval e Baudelaire, Dostoevskij era legato al mercato letterario. Era «uno schiavo della penna»: uno
dei primi che esistessero in Russia; da ogni parte, scrittori, editori, direttori di riviste gli chiedevano romanzi, racconti, saggi, feuilletons. Dostoevskij protestava. «Che piaga — scrisse alla fine
del 1846 — questo impiego da lavoratore giornaliero. Perdo tutto, il talento, la giovinezza, e il lavoro ripugna, e mi ritrovo, alla fine, scribacchino
e non scrittore». «Per nulla al mondo — insisteva — accetterò di rovinare il mio romanzo… Voglio liberarmi — ripeteva nel febbraio 1849 — da
questa schiavitù letteraria». Ma, al tempo stesso,
scriveva i mirabili feuilletons dello Schernitore,
dove rideva di tutto, scherniva il teatro, le riviste,
❜❜
Aveva una mente
molteplice: era
insieme sognante e
analitico, cercava
l’eccesso e il rischio
✒
Cultura materiale L’agronomo Cosimo Damiano Guarini con «Lovolio» illustra un patrimonio italiano
la società, la letteratura, gli avvenimenti della
storia, le esposizioni, le notizie dei giornali, le
notizie dello straniero, insomma tutto: imitando
il suo modello mentale, Lucien de Rubempré,
l’eroe delle Illusioni perdute di Balzac. Sapeva
che il feuilleton gli imponeva un dono tremendo:
la fretta. Ma questa fretta dava una specie di felicità alla sua ispirazione: immagini sorprendenti,
raccourcis geniali, rapidissime folgorazioni.
***
Tra il 15 e il 17 maggio 1842 Gogol’ pubblicò il
primo volume delle Anime morte: a partire da
quel momento Dostoevskij dedicò la vita al meraviglioso poema-romanzo di Gogol’. Moltissimi
giovani erano affamati di qualcosa: in attesa di
qualcosa; e potevano soddisfare questo oscuro
desiderio solo con le Anime morte. Così faceva
Dostoevskij: lo leggeva il giorno: passava le ore
della notte rileggendolo sempre di nuovo agli
amici, come se il poema-romanzo non potesse
finire mai. Lo imitò: lo trasformò; e, in pochi anni, le Anime morte diventarono Povera gente, Il
sosia e farse geniali come L’albero di Natale e Lo
sposalizio e La moglie altrui e Il marito sotto il
letto.
Nei primi giorni dell’aprile 1844, nel più grande segreto, Dostoevskij cominciò il romanzo Povera gente: lo corresse nell’aprile 1845, per pubblicarlo all’inizio del 1846 sulla «Raccolta pietroburghese». «Del mio romanzo — scrisse al fratello — sono seriamente soddisfatto. È una cosa
severa ed armonica»: meno soddisfatti sono,
probabilmente, i lettori di oggi.
«Allora avvenne — scrisse Dostoevskij trent’anni dopo — qualcosa di così giovanile, fresco,
buono, una di quelle cose che rimangono per
sempre nel cuore di chi vi partecipa». Portò il
manoscritto di Povera gente all’amico D.V. Gri-
Improvvisi
L’«invaiatura» e altri 25 motivi per amare le olive La perdita dell’Ignoto
di CARLO VULPIO
È
un prezioso libretto che avrebbe fatto la gioia di
Fernand Braudel, centrato com’è sulla «cultura
materiale» della coltivazione dell’ulivo e della
produzione dell’olio, prima nella Mezzaluna fertile e
poi nel Mediterraneo. Ma è anche un libretto che piacerà ai bambini, perché l’ultima parte, VocabOleario, è
dedicata a loro, con 26 voci e altrettanti disegni che li
appassionino proprio a quella cultura materiale che
non si studia a scuola e che si va perdendo, quando invece è utile e necessario sapere, per esempio, che l’invaiatura, essendo «la fase più importante della maturazione delle olive, quella in cui la buccia passa dal verde al rosso-violaceo», è il periodo in cui si ottiene l’olio
migliore per gusto e caratteristiche nutrizionali.
Dell’olio di oliva, fin dall’antichità, si conosce,
oltre all’uso alimentare, quello per la filatura e la
tessitura delle stoffe, per la produzione di sapone,
per la pulizia e la cura del corpo. E si sa anche che è
alla base della celebratissima dieta mediterranea,
nel 2010 inserita dall’Unesco nel patrimonio immateriale dell’umanità. Ma non si sanno un sacco
di SEBASTIANO VASSALLI
di altre cose, che invece Lovolio di Cosimo Damiano Guarini pubblicato dalle edizioni Olio Officina
di Milano (pp. 173, 15) ci fa scoprire, grazie alla
competenza e alla passione dell’autore, un giovane
agronomo che lavora nell’Oleificio cooperativo di
Ostuni, in Puglia, e grazie ai contributi autorevoli
di uomini di scienza quali Massimo Marianetti,
Maurizio Servili, Carlo Franchini, Franco Mandelli
ed esperti di settore come Luca Crocenzi, responsabile del mercato dell’olio di oliva nella Borsa
merci telematica italiana.
Dalla polifonia interdisciplinare di Lovolio si capiscono molte cose, che dovrebbero essere patrimonio culturale comune. Invece a malapena sappiamo cos’è l’olio extravergine di oliva, figuriamoci
se sapremmo darne la definizione corretta, «l’unico grasso vegetale estratto attraverso processi
meccanici», dalla quale passano non solo millenni
di cultura agricola e alimentare (fino alla contemporanea «nutraceutica»), ma anche commerci e
affari (sia leciti che truffaldini) miliardari. Sapere
che la prima raffineria impiantata da Carlo Agnesi
a Oneglia, in Liguria, nel 1820, avviò il processo che
nel Novecento avrebbe portato alla commercializzazione dell’olio di oliva in lattina, significa capire
che ci fu una rivoluzione alimentare, che prima
cambiò le abitudini delle popolazioni della Pianura Padana e poi, attraverso l’insegnamento degli
emigranti, anche quelle dei «barbari» degli Stati
Uniti, dell’Australia e persino della Nuova Zelanda.
Anche l’Italia però, ex primo produttore mondiale di olio di oliva (oggi lo è la Spagna), vive le
sue contraddizioni. Una su tutte: è al tempo stesso
il primo esportatore e il primo importatore di olio.
Come mai? Colpa della rincorsa al ribasso del prezzo dell’olio e dell’invasione di olio comunitario ed
extracomunitario, «magari in belle bottiglie dal
nome italiano», che di italiano — non solo nell’origine del prodotto, ma anche nel modo di lavorarlo — non hanno nulla, visto che tutti i grandi
marchi nazionali sono passati in mani straniere.
Gli Etruschi invece non si facevano ingannare, importavano solo olio greco. Mentre i Romani, imparata l’arte, fecero in modo che in ogni villa vi fosse
un uliveto e un frantoio.
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B
asterà un film per far piacere Leopardi agli italiani? In attesa di
vederlo (il film), proviamo a leggere gualche pagina dello Zibaldone di
pensieri. Per esempio queste righe del 16 giugno 1821 che sembrano
scritte apposta per chi, al termine delle vacanze estive, è appena tornato da
mete lontanissime, dove Dio sa cosa ha visto e cosa ha fatto: «Quanto più
cresce il mondo rispetto all’individuo, tanto più l’individuo impiccolisce. I
nostri antichi conoscendo pochissima parte di mondo, ed essendo in
relazione con molto più piccola parte, e bene spesso colla sola loro patria,
erano grandissimi. Noi conoscendo tutto il mondo ed essendo in relazione
con tutto il mondo siamo piccolissimi. Applicate questo pensiero ai
diversissimi aspetti sotto i quali si verifica che essendo cresciuto il mondo,
l’individuo s’è impiccolito sì fisicamente che moralmente; e vedrete esser
vero in tutti i sensi che l’uomo e le sue facoltà impiccoliscono a misura che il
mondo cresce in riguardo loro». Ora, io non so se «l’individuo s’è
impiccolito fisicamente», anzi sembrerebbe il contrario: ma certamente in
questo pensiero c’è qualcosa di profetico, se si pensa a ciò che ha
rappresentato l’Ignoto per la fantasia umana (per la scienza, per l’arte, per
la poesia): quell’Ignoto che è stato sostituito, nel presente, dalla televisione,
da Internet e dalle agenzie di viaggi.
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Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
NEGATI DOCUMENTI DAL 1939 AL 1960
A sessant’anni dall’assegnazione del primio Nobel per la
letteratura a Ernest Hemingway (1899-1961, nella foto),
i nipoti dello scrittore hanno voluto omaggiare Cojimar, il
piccolo villaggio di pescatori a pochi chilometri dall’Avana
che ispirò Il vecchio e il mare. Ad accompagnare i nipoti un
gruppo di scienziati che sperava di avere accesso
all’archivio marino dello scrittore. Come è noto,
Hemingway fu un abile pescatore. Durante i vent’ anni di
permanenza a Cuba (1939-1960) catturò pesci di ogni
Cuba non rivela
quanti pesci
prese Hemingway
gorovic, che viveva insieme a Nekrasov. I due
amici cominciarono a leggerlo per prova: «Dopo
dieci pagine vedremo». Dopo aver letto dieci pagine, decisero di leggerne altre dieci, e poi, senza
interruzione, rimasero tutta la notte a leggere ad
alta voce, scambiandosi il libro quando erano
stanchi. Alla fine, tutti e due erano entusiasti, e
piansero a calde lacrime (come usava). Erano le
quattro del mattino: una notte bianca di Pietroburgo, chiara come il giorno. Grigorovic supplicò Nekrasov di correre insieme a lui a casa di Dostoevskij, subito, senza esitare, per dirgli il loro
entusiasmo.
Intanto Dostoevskij, che non riusciva a dormire, aprì i vetri, e si sedette presso la finestra. Con
sua grandissima sorpresa, ecco a un tratto suonare il campanello: Grigorovic e Nekrasov salirono le scale, e lo abbracciarono entusiasti e piangenti, salutandolo come «il successore di
Puškin». «Essi rimasero da me — scrisse Dostoevskij — circa mezz’ora, e in questa mezz’ora Dio
sa quanto ci dicemmo comprendendoci l’un l’altro a mezze parole, con esclamazioni, con furia:
parlammo della poesia, della verità, della situazione del momento e, si intende, di Gogol’, ma
soprattutto di Belinskij. Gli porterò oggi il vostro
romanzo, disse Nekrasov, e vedrete che uomo,
che uomo! Farete conoscenza, e vedrete che anima! Bene, adesso dormite, dormite, noi andiamo via! Come se potessi dormire dopo la vostra
visita! commentò Dostoevskij. Quale entusiasmo, quale successo! Sono accorsi con le lacrime
agli occhi, alle quattro del mattino, per svegliarmi, perché il libro era superiore al sonno. Ah, che
bellezza!».
Quando Vissarion G. Belinskij — un critico
mediocre, in quegli anni famosissimo — lesse
Povera gente, ripeté varie volte a Dostoevskij:
Cultura 29
italia: 51575551575557
La città
«Il fiume
Zhdanovka a
Petrograd» di
Veniamin
Pavlovich
Belkin (18841951)
«Ma capite voi, capite voi quello che avete scritto?»: gettando, come era sua abitudine, piccoli
strilli. «Io — racconta Dostoevskij — uscii da casa come ubriaco. Mi fermai all’angolo della strada, guardai il cielo, il giorno chiaro, la gente che
passava, e con tutto il mio essere sentii che nella
mia vita era arrivato un momento solenne, un
mutamento per sempre, qualcosa che non avrei
supposto nemmeno nei miei sogni più appassionati. Ma sarò proprio davvero così grande?, pensavo, con un senso di vergogna».
Per anni, Belinskij esercitò una grande influenza su Dostoevskij: lo educava al socialismo:
gli parlava male di Cristo o bestemmiava di Cristo; ogni volta che sentiva quelle parole, il viso di
Dostoevskij assumeva un’aria dolorosa, come se
stesse per piangere. Nel 1848, ci fu una rottura tra
Dostoevskij e il gruppo di Belinskij. Ma, quando
Belinskij morì nel maggio 1848, Dostoevskij disse: «Qualcosa di terribile è accaduto — Belinskij
è morto».
Quindici giorni dopo Povera gente, il 1° febbraio 1846, Dostoevskij pubblicò Il sosia: il capolavoro della sua giovinezza. Nel Diario di uno
scrittore, disse che l’idea del doppio era «grave e
luminosa»: egli l’avrebbe inseguita per tutta la
vita, dalle Memorie dal sottosuolo fino ai Fratelli
Karamazov. Tutto quello che sentiva e pensava
era doppio: cercava uno specchio: si faceva gioco
di se stesso; si moltiplicava, generando un movimento, dove il vero e il falso, il reale e il fantastico, la sostanza e l’illusione si identificavano follemente. Cominciò a giocare, in modo sempre più
vertiginoso: o, che è lo stesso, a ridere, portando
all’estremo ognuna delle sue risate, fino a che la
logica si perdesse nell’insensatezza e l’insensatezza diventasse logica. Tutti i generi e le forme
letterarie si aprirono davanti a lui, e lui le percorreva con un passo trionfale d’artista. Proprio
questo era, un artista: nessuno tra i suoi contemporanei era artista come lui; sebbene egli si accusasse, contro ogni ragione, di essere più poeta
che artista e di non riuscire ad esprimere nemmeno la ventesima parte di quello che avrebbe
voluto.
***
Le rivoluzioni del 1848 e del 1849 in Europa occidentale sconvolsero Dostoevskij. «In Occidente
— diceva — sta accadendo qualcosa di disastroso, qualcosa di tremendo: un dramma senza precedenti; questo terribile dramma mi interessa
profondamente». Nel marzo 1847 aveva cominciato a partecipare ai venerdì del Circolo Petraševskj: un circolo fourierista, che possedeva
una biblioteca piena di libri proibiti: Babeuf,
Louis Blanc, Fourier, Victor Considérant, Proudhon, Claude de Saint-Simon. Chi veniva da Petraševskij il venerdì sera, trovava libri, samovar,
conversazione. Nessuno cospirava contro lo Stato, sebbene il ministro dell’Interno vi avesse infiltrato una spia italiana. Dostoevskij conosceva
poco e male Petraševskij: ma, in alcuni dei suoi
venerdì, parlò di letteratura, personalità ed egoismo e di Krylov. Non amava, anzi detestava,
l’ateismo diffuso nel Circolo. Ma, una sera, lesse
ad alta voce la Lettera di Belinskij contro i Passaggi scelti dalla corrispondenza di Gogol’: il critico vi affermava che «se guardate più da vicino,
vedrete che, nella sua essenza, il popolo russo è
profondamente ateo». La lettura suscitò un grande entusiasmo: tutto il gruppo fu sconvolto ed
elettrizzato.
Dostoevskij ebbe un amico più insidioso:
Nikolay Spešnev, un ricco proprietario di terre,
che ricordava Stavrogin, il protagonista dei Demoni. «Stavrogin era elegante senza ricercatezza,
mirabilmente modesto e nello stesso tempo sicuro di sé. I suoi capelli erano un po’ troppo neri,
i suoi occhi chiari un po’ troppo quieti e sereni, il
colore del suo viso un po’ troppo delicato e bianco, il rossore un po’ troppo vivo e puro, i denti come perle, le labbra di corallo». Era mite, pensoso, impenetrabile: ispirava confidenza, specialmente alle donne, che impazzivano per lui. Dichiarò apertamente di essere comunista; e fondò
una società segreta, che voleva diffondere la rivoluzione. Per qualche tempo Dostoevskij ne subì
l’influenza: ne era affascinato sebbene lo detestasse; e si fece prestare cinquecento rubli, che
Spešnev non avrebbe mai permesso di restituirgli. «Bisogna che comprendiate — Dostoevskij
disse al suo amico Janovskij —: ormai io ho il
mio Mefistofele; sono con lui e gli appartengo».
Il 23 aprile 1849, alle cinque di mattina, Dostoevskij fu risvegliato dal rumore di una sciabola
militare che urtava un mobile, e da una voce che
trovò «dolce e simpatica». «Alzatevi», disse lo
sconosciuto; e cominciò a frugare tra i libri, le
carte, i vestiti. Insieme a Dostoevskij furono arrestate trenta persone: lo zar Nicola I aveva deciso
di sopprimere la minima manifestazione di pensiero indipendente, eliminando l’insegnamento
di filosofia e metafisica all’università e trasferendo quello di logica alla facoltà di teologia. Il giorno dopo, 24 aprile, Dostoevskij venne portato
nella cella 9 della Fortezza Pietro e Paolo: il comandante era il generale I.A. Nabokov, pro-prozio dell’autore di Lolita, il quale fu gentilissimo e
scrupoloso con lui.
❜❜
«La vita è un dono,
la vita è una felicità;
ogni minuto può
essere un secolo
di felicità»
La vita nella Fortezza ebbe fasi alterne. Dostoevskij dormiva cinque ore al giorno, svegliandosi
quattro volte per notte, e talora non riusciva ad
addormentarsi. Aveva incubi. Ma poi cominciò a
passeggiare tra gli alberi del giardino: «Era una
pura felicità». Ripassò affettuosamente i suoi ricordi: lesse con entusiasmo La conquista del
Messico e La conquista del Perù di William Prescott, Gibbon, Jane Eyre di Charlotte Brontë, che
gli parve «straordinariamente buono», un libro
di Vite dei Santi; e scrisse con affetto un breve
racconto, Piccolo eroe. «Lavoro, scrivo, cosa c’è di
meglio? Mi accorgo che ho ammassato delle riserve di vita così grandi, che non potrei mai esaurirle. Sono cinque mesi, ormai, che vivo sulle mie
risorse, cioè con la mia sola testa, senza null’altro. Pensare costantemente, non fare che pensare, senza nessuna impressione esterna per rigenerare e sostenere il pensiero è duro!...».
Gli interrogatori si protrassero, senza sosta, sino alla fine del maggio 1849: Dostoevskij venne
interrogato a voce e per scritto; il generale Rostovtzev gli disse: «Non posso credere che l’uomo
che scrisse Povera gente abbia simpatia per que-
Profili
L’editore
Castelvecchi
ha appena
ristampato il
libro di Anna
Grigorevna
Dostoevskaja
«Dostoevskij
mio marito»,
a cura di Luigi
Vittorio Nadai
(pagine 430,
22)
Anna
Miltopeus
(18461918), di
origine
scandinava,
fu la seconda
moglie di
Dostoevskij,
che la sposò
nel 1867: la
prima, Marija
Isaeva, era
morta nel
1864
L’opera
più vasta e
completa
sulla vita di
Dostoevskij è
la biografia in
cinque
volumi (mai
tradotta in
Italiano)
di Joseph
Frank (19182013), edita
da Princeton
University
Press tra il
1977 e
il 2002
tipo, annotando considerazioni in diari custoditi dal
governo cubano. Un patrimonio prezioso per il team
americano, che puntava ad apprendere, attraverso essi,
informazioni sulla fauna marina dell’epoca. Ma gli
scienziati sono tornati a casa a mani vuote: il concilio del
patrimonio nazionale culturale di Cuba — con un gesto
che ricorda strascichi di guerra fredda — ha vietato ai
ricercatori l’accesso ai documenti di Hemingway. (c.br.)
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ste persone malvagie». Dostoevskij si difese: redasse una Spiegazione, che doveva completare la
sua deposizione: ammise di aver letto ad alta voce la Lettera di Belinskij contro Gogol’, di aver richiesto la libertà di stampa e di aver aderito al
fourierismo, «sebbene fosse inapplicabile in
Russia». Ma ribadì con insistenza la sua lealtà allo Zar e al sistema monarchico, l’unico che potesse riformare la Russia. Il 17 settembre 1849, la
commissione di inchiesta completò il suo lavoro
e l’11 novembre una corte militare-civile decise di
condannare alla pena capitale quindici accusati,
tra cui Dostoevskij.
Il 22 dicembre 1849, alle sette di mattina, i
condannati furono condotti alla piazza Semenovskij. La piazza era coperta di neve appena caduta; ed era gremita di truppe e di una numerosa
folla in silenzio, che rabbrividiva a ventun gradi
sottozero. I volti dei condannati erano pallidissimi: qualcuno aveva i capelli rasati; e Spešnev, il
più bello e affascinante, aveva un viso oblungo,
malaticcio, giallastro, con le guance cave, senza
più nulla della sua grazia. La voce di un generale
ordinò silenzio: poi un ufficiale del servizio civile, con i documenti in mano, disse i nomi dei prigionieri, e pronunciò il verdetto di morte, a voce
lenta, rivolto ad ognuno di loro. I condannati, indossando le loro bianche bluse di contadini e un
berretto da notte — l’uniforme funebre — si avvicinarono al patibolo. Il sacerdote disse: «Fratelli! Prima di morire, pentitevi. Il Salvatore dimentica i peccati se uno si pente. Vi invito a confessarvi». Nessuno rispose all’invito: solo uno dei
condannati uscì dalla fila, e baciò la Bibbia.
Come Dostoevskij racconta nell’Idiota, quelli
furono i suoi ultimi cinque minuti di vita: quei
cinque minuti gli sembrarono un tempo interminabile, un’immensa ricchezza; gli parve che in
essi avrebbe vissuto tante vite, così che per il momento non doveva pensare all’ultimo istante.
Non lontano, c’era una chiesa, e il suo tetto dorato brillava sotto il cielo fulgido del mattino. Dostoevskij non poteva staccare gli occhi da quei
raggi: gli sembrava che fossero la sua nuova natura, e che di lì a tre minuti si sarebbe fuso con
essi. «Se potessi non perire! Pensava. Se si potesse far tornare indietro la vita, quale infinità». Poi
ricordò L’ultimo giorno di un condannato di
Victor Hugo e disse a Spešnev: «Nous serons
avec le Christ» (saremo con Cristo); con un sorriso triste, Spešnev rispose: «Un peu de poussiére»
(un po’ di polvere). I tamburi rullarono. Dostoevskij, che conosceva il linguaggio militare, comprese che le loro vite erano state risparmiate. Un
aiutante di campo arrivò al galoppo, annunciando il perdono dello Zar: le nuove sentenze vennero lette ad ognuno dei condannati; e le bluse da
contadino e i berretti vennero gettati via.
Quando venne riportato in cella, Dostoevskij
scrisse al fratello, comunicandogli che la pena
capitale era stata trasformata in quattro anni in
Siberia. «La vita — gli disse — è dovunque la vita, la vita è in me, e non nel mondo esterno…La
vita è un dono, la vita è una felicità; ogni minuto
può essere un secolo di felicità». Era esaltato, eccitato, trionfante: voleva essere purificato; e chiedeva di non essere dimenticato, dal fratello, dai
figli di lui e dagli amici. Il 25 dicembre, mise per
la prima volta i ferri: pesavano quattro chili, e gli
rendevano difficile camminare. Nella notte attraversò le strade di Pietroburgo: era diretto ad
Omsk; passò davanti alla casa del fratello, e alle
sue luci natalizie accese.
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Cortocircuiti Il romanzo vincitore del Campiello, «Morte di un uomo felice», si svolge nel 1981, quando nacque l’autore
Fontana, un trentenne negli anni di piombo: ma non scrivo storia
di IDA BOZZI
C
urioso che uno scrittore «giovane», nato nel 1981, anno in cui il
suo protagonista romanzesco
viene ucciso, abbia deciso di occuparsi di un periodo ancora da storicizzare
e da analizzare, cioè la stagione del
terrorismo. Più che il periodo storico,
pur così denso e oscuro, tuttavia, Giorgio Fontana intendeva però analizzare
i conflitti dell’individuo, il tormento
di un uomo in una posizione difficile e
pericolosa, quella raccontata appunto
nel romanzo Morte di un uomo felice
(Sellerio, 2014, pp. 280, 14) che sabato ha conquistato il Campiello con oltre un terzo dei voti dei 300 giurati lettori del Premio (per la precisione 107).
«In realtà — spiega Fontana al
“Corriere” — tutto ha inizio dal romanzo precedente, Per legge superiore (Sellerio, 2011), in cui già compariva
come personaggio secondario il magistrato Giacomo Colnaghi, accanto al
protagonista Roberto Doni. Una figura
fittizia, Colnaghi, ma che mi affascinava. Mi interessava soprattutto indagare il problema della giustizia dal punto
di vista del privato, e così è nato questo
che io considero una sorta di “romanzo da camera”, mentre un giudiziario
classico avrebbe reso il protagonista
un magistrato d’assalto o una figura in
qualche modo epica».
Invece il giudice Colnaghi è un uomo d’altro stampo, ed è proprio questo l’aspetto che di lui colpisce di più.
L’azione del romanzo si svolge appunto nel 1981 a Milano e il magistrato è
un sostituto procuratore incaricato di
indagini di terrorismo, in anni che sono quelli degli omicidi di Emilio Alessandrini e di Guido Galli. Il protagonista non si accontenta di indagare in
modo convenzionale, tra piste da se-
Giorgio Fontana (33 anni) sabato sera
dopo la consegna del Campiello. «Morte di un uomo felice» è edito da Sellerio
guire, sospetti da arrestare e interrogatori: vuole capire a fondo i motivi
che spingono all’azione i terroristi, è
un uomo che medita e si interroga. E
contemporaneamente ricorda la vicenda del padre, partigiano morto ad
appena 23 anni.
«Volevo mostrare in quale modo —
continua lo scrittore — l’esercizio della giustizia si può riverberare nella vita
privata e nella coscienza di un uomo.
Colnaghi è un uomo felice, normale,
con una bella vita, una famiglia. Ma è
una figura tormentata per diversi motivi: innanzitutto, perché vive il rovello
della sua fede cattolica, o meglio il
rapporto tra l’esercizio del giudizio,
del tutto terreno, e la consapevolezza
dell’esistenza di un giudizio superiore,
e che si interroga sulla differenza tra
giustizia e vendetta. L’altro suo rovello
è cercare di comprendere, con l’indagine, le ragioni di questi che per lui
sono dei ragazzi, mentre tutto finirà
per confluire in una lunga scia di sangue».
Colpito dalla possibilità di creare
un personaggio con questo delicato
conflitto interiore, Fontana si è gettato
sulle carte, studiando il periodo attraverso i documenti giudiziari, gli articoli e le cronache dell’epoca. È uno
scrittore che ha già narrato la realtà
contemporanea (da ricordare oltre ai
romanzi anche il suo reportage Babele
56 sugli immigrati, uscito nel 2008 per
Terre di Mezzo), e si è documentato a
Preparazione
«Mi sono tuffato in quel
periodo, però mi interessava
indagare soprattutto la
giustizia in chiave privata»
fondo per rendere efficacemente un
periodo storico distante.
«Ero molto preoccupato di riuscire
a ricostruire la complessità di quel periodo — spiega Fontana — accostandomi con rispetto e responsabilità.
Anche se l’analisi non è il mio mestiere, e non è quello che mi interessa, mi
sono tuffato in quel periodo che definire “oscuro” è errato, perché fa pensare subito all’idea del complotto e alla dietrologia. No: l’urgenza, rispetto a
quel periodo, sta nel bisogno di
un’analisi politica che possa chiudere
determinate ferite ancora aperte. Non
è questo il senso o il motivo del mio
romanzo, io sono partito dal personaggio e poi mi sono tuffato nella storia del periodo. Ma credo che un’analisi di questo tipo sul terrorismo sia ancora da fare (e un’altra questione ancora più complessa è lo stragismo). E
che si debba fare non solo sulle carte
giudiziarie ma con lo studio e l’analisi
seria di storici e di politici».
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Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
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UN PRESTIGIO DA RICONQUISTARE
SEGUE DALLA PRIMA
La differenza tra la vita e il supplizio.
Sul quale oggi litigano gli alleati occidentali.
Raccontano che il presidente Obama
sia «irritato» con quei partner che si piegano al ricatto. Fa trapelare critiche verso
una linea che non solo alimenta le casse
dei tagliagole ma crea fratture nell’opinione pubblica occidentale. Le madri degli ostaggi trucidati si chiedono giustamente «perché ai nostri figli è stata negata la possibilità di vivere?». Genitori che
non possono avere comprensione per la
ragion di Stato e sono intrappolati in un
dilemma vecchio quanto il terrorismo.
La base dal quale si parte è crudele
quanto chiara. Uno Stato non può trasformarsi nel bancomat dei jihadisti. È
giusto provare a tutelare i propri cittadini, tentare di salvarli ma senza garantire
agli incappucciati il successo sin dal primo minuto. A loro basta mettere le catene ad un giornalista o un cooperante,
quindi aspettano l’accordo. Nella maggior parte dei casi sanno già di aver vinto.
Alla fine cambierà solo il prezzo della
preda. Pochi i rischi, molti gli incentivi a
riprovarci. L’atto di umanità per strappare un uomo alla mannaia ha portato sofferenze ad altri.
L’errore è quello di aver creato in questi anni un sistema, ormai consolidato.
Prima nella regione del Sahel, dove anche noi italiani abbiamo lasciato valigie
piene di denaro alle bande di estremistipredoni, quindi in Siria e Iraq. Prolungamento di quanto fatto dopo l’invasione
Usa del 2003 quando fazioni di ogni tendenza si sono lanciate in questo tipo di
industria.
Accettare il baratto comporta conseguenze immediate e nel lungo termine.
Rafforza il potere contrattuale dei criminali. Spacca lo schieramento anti-terrore
tra «duri» e «deboli». Aiuta i ricattatori
sul piano propagandistico e mediatico.
Crea l’economia dei sequestri con ruoli
ben ripartiti. C’è chi va in cerca di ostaggi,
li segnala o li cattura, poi li vende ai gruppi armati. Un mercato nero con i suoi
mediatori, indispensabili quanto interessati che la cuccagna continui.
È poi sbagliato riconoscere ai sequestratori il valore di una controparte che
rispetta un contratto. È vero che il denaro
ha aperto molto spesso le celle degli
ostaggi. Ma ci sono stati casi dove i prigionieri sono stati assassinati comunque. Perché i loro carcerieri hanno deciso così e senza troppi dibattiti.
Guido Olimpio
© RIPRODUZIONE RISERVATA
UN PACIFISMO FORTE E MENO IDEOLOGICO
DOPO L’EPOCA DELLA GUERRA FREDDA
✒
Nei giorni scorsi, il canale Sky
Arte ha proposto ai telespettatori il film splendido e orribile di Joshua
Oppenheimer L’atto di uccidere (2012),
che racconta la strage di un milione di
comunisti e di cinesi seguita in Indonesia, nel 1965-66, al colpo di Stato militare
contro il presidente Sukarno. Ma il film
è sconvolgente perché Oppenheimer
mette la cinepresa nelle mani degli sterminatori di allora, gangster e paramilitari tuttora impuniti e anzi fieri delle loro imprese,
invitandoli a ricostruire
essi stessi il genocidio. E i
killer non si tirano indietro, fornendo una rappresentazione truculenta e
grottesca del massacro,
che oscilla fra torture brutali e carnefici travestiti
da cow boys, corpi incendiati e romantiche musiche americane, orgoglio di stupratori e
scenografie hollywoodiane. L’inferno di
una memoria corrotta, che suscita domande aspre anche nel nostro emisfero.
Impossibile non chiedersi a quante
stragi, nei decenni della Guerra fredda,
gli europei hanno assistito senza neppure rendersene conto, con suprema distrazione, protetti da una distanza che,
ai tempi, era materiale e mentale. Al-
l’ombra della diarchia Usa-Urss, non ce
ne siamo quasi accorti. O abbiamo manifestato nelle piazze pacifiste, ma per
attaccare l’imperialismo (americano),
assai meno perché quelle stragi toccavano la nostra sicurezza e la nostra coscienza.
Oggi invece, nel disordine seguito al
1989, i conflitti entrano nelle case delle
famiglie, sono immagini in tempo reale,
decapitazioni, città sventrate, gas sui civili, volti di donne e bambini presi in ostaggio. E
l’opinione pubblica europea, anche nel pieno di
una grave crisi economica, appare coinvolta,
emozionata, sollecitata.
Un passo avanti, per
quanto amaro.
Forse, rispetto alle manipolazioni psichiche e
ideologiche del passato, il
pacifismo europeo nato all’indomani
della grande morìa del ‘14-18 diventa
sempre meno sostenibile. Culturalmente, prima ancora che politicamente. Del
resto, è lo stesso papa Francesco a chiedere che le vittime della violenza politica siano salvate dagli aguzzini. Nessun
pontefice era mai stato così chiaro.
SEGUE DALLA PRIMA
di ANGELO PANEBIANCO
SEGUE DALLA PRIMA
Il Parlamento, in primo luogo, avrebbe
affrontato da tempo la questione
dell’elezione dei membri delle due
istituzioni senza aspettare il severo
richiamo che è stato costretto a fare il
Presidente della Repubblica. In secondo
luogo, non avrebbe fatto della scelta dei
candidati per le suddette istituzioni, un
terreno di regolamento di conti e di scontri
entro i partiti coinvolti. Per non incorrere
nel biasimo dell’opinione pubblica.
Se il Parlamento può trattare così Corte
costituzionale e Csm è perché nessun
parlamentare o capo-fazione parlamentare
si aspetta di essere «sanzionato»
dall’opinione pubblica. Ed è, il suo, un
calcolo giusto.
Un tempo (nell’epoca della cosiddetta
Prima Repubblica o «Repubblica dei
partiti») si diceva che le istituzioni
repubblicane godessero di basso prestigio
e considerazione a causa dell’esistenza di
partiti politici forti e radicati nella società.
Erano quei partiti, non le istituzioni, i veri
depositari della lealtà e della deferenza dei
cittadini. Finita l’era dei partiti forti, lealtà e
deferenza non si sono però trasferiti sulle
istituzioni, né su quelle rappresentative
(parlamento, governo) né su quelle di
garanzia (come la Corte costituzionale).
Con un’unica eccezione: la Presidenza della
Repubblica. Il suo prestigio è andato
crescendo nel corso dei decenni. E anche i
suoi poteri di fatto sono cresciuti. Nella
prima Repubblica il Presidente era marcato
stretto dai partiti, la sua autonomia e i suoi
poteri di fatto erano molto limitati. Finita
quell’epoca, finiti i partiti forti, il Presidente
ha acquisito sia molto più prestigio di un
tempo sia molta più autonomia. Se il
Presidente della Quinta Repubblica
francese viene tradizionalmente
considerato un «monarca repubblicano»,
in un contesto assai diverso (parlamentare
anziché semi-presidenziale) tale
appellativo può applicarsi anche al
Presidente italiano. Vari fattori hanno
concorso a questo risultato: la durata della
carica, il suo carattere monocratico e le
qualità di alcuni degli ultimi occupanti
della carica (Ciampi, Napolitano).
Perché altre istituzioni non hanno seguito
la strada della Presidenza della Repubblica,
perché non hanno acquisito anche loro
prestigio in concomitanza con il declino
dei partiti? Perché, in particolare, non
l’hanno ottenuto né la Corte costituzionale
né il Csm? Per molte ragioni (compreso il
fatto che si tratta di organi collegiali e non
monocratici). Sicuramente anche perché,
negli ultimi decenni, queste istituzioni non
sono riuscite a conquistarsi con la loro
attività il rispetto dell’opinione pubblica.
Non poteva riuscirci il Csm, organo
lottizzato dalle correnti della magistratura
e, proprio per questo, impossibilitato a
imporsi sulle componenti meglio
organizzate della corporazione o sui
magistrati dotati di maggior seguito
mediatico. L’opinione pubblica non ha mai
individuato nel Csm un organo capace di
svolgere con imparzialità, senza guardare
in faccia nessuno, la sua attività
disciplinare e di contrasto agli abusi
commessi nell’ambito del lavoro
giudiziario.
❜❜
Spetta alla Consulta
e al Consiglio superiore
della magistratura
una riflessione collettiva
sugli errori passati
Ma neanche la Corte costituzionale è
riuscita a conquistarsi con la sua attività
sufficiente prestigio.
A torto o a ragione, non è riuscita a
guadagnarsi quel rispetto che una Corte
costituzionale può acquistare in un solo
caso: se viene universalmente riconosciuta
come un feroce cane da guardia a difesa dei
diritti e delle libertà dei singoli, impegnato
in una costante azione di contrasto degli
abusi commessi dall’amministrazione o
dalla politica parlamentare ai danni dei
cittadini. Le ragioni sono sicuramente
molte. Una di esse può essere, ad esempio,
una certa affinità culturale — che non
predisponeva al conflitto — fra diversi
membri della Corte che si sono succeduti
nel tempo e i funzionari amministrativi.
Comunque sia, è un fatto che i cittadini
non hanno riconosciuto nella Corte una
sicura difesa contro le frequenti angherie
dell’amministrazione.
Si raccoglie ciò che si è seminato. Se non
vorranno essere anche in futuro, come
sono oggi, oggetto di brutali attività
spartitorie, Corte costituzionale e Csm
dovranno dedicare qualche riflessione
collettiva a ciò che non va nel loro rapporto
con l’opinione pubblica e a ciò che
dovrebbe essere fatto per migliorare le
cose.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
ANGELA MERKEL ALLA PORTA DI BRANDEBURGO
L’Europa contro l’antisemitismo
di DAVID BIDUSSA
Paolo Macry
© RIPRODUZIONE RISERVATA
È ORA CHE RENZI FACCIA I NOMI
DI CHI OSTACOLA LE RIFORME
Egli deve spiegare bene ai cittadini le riforme che intende varare, illustrandone
con accuratezza i modi e i vantaggi sperati,
ma non nascondendone anche gli eventuali prezzi da pagare. Promettendo peraltro che tali prezzi saranno equamente ripartiti e facendo vedere che mantiene le
promesse. Deve anche indicare con chiarezza, però, chi sono coloro che si oppongono a quei provvedimenti, e per quale
motivo.
Ripeto, facendo con coraggio i nomi e i
cognomi: non già per darsi un’inutile aria
da Rodomonte, ma perché in un momento
difficile e nella prospettiva di pesanti sacrifici, in un momento in cui sono necessarie
riforme radicali e spesso dolorose, le maggioranze parlamentari non bastano. È necessario che la volontà riformatrice dall’alto sia sostenuta dall’appoggio massiccio e
convinto dell’opinione pubblica, in una
Elezioni per Corte costituzionale e Csm
La commedia che svilisce due istituzioni
DORIANO SOLINAS
PAGARE IL RISCATTO AI TERRORISTI
IL DILEMMA CHE DIVIDE L’OCCIDENTE
battaglia in cui però risulti chiaro chi è l’avversario e quali i suoi interessi. È perciò
che la posta e i giocatori devono essere ben
evidenti: dal momento che proprio la pubblicità è la nemica mortale di tutte le lobby
e di tutti i gruppi d’interesse particolari,
abituati per loro natura ad agire per linee
interne contro l’interesse generale. L’obiettivo di Renzi, invece, deve essere per l’appunto quello di far capire dove sia l’interesse generale spiegando e convincendo giorno per giorno e mobilitando intorno all’interesse generale l’opinione pubblica.
A questo unico fine egli d’ora in poi dovrebbe ispirare il suo rapporto con il Paese
e modellare la propria immagine. Altrimenti prima o poi gli si aprirà davanti la
stessa via percorsa da Berlusconi: che era
tanto simpatico, tanto accattivante, vinceva le elezioni, ma alla fine non ha combinato nulla che meriti di essere ricordato.
Ernesto Galli della Loggia
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L
a scena di ieri alla Porta di Brandeburgo, è destinata ad entrare nelle
fotografie che hanno fatto la storia
della Germania come storia dell’umanità. Per il luogo, ma anche
per la responsabilità che la politica prende
su di sé quando molte voci tacciono.
Il luogo prima di tutto. Si potrebbe pensare alla sera del 9 novembre 1989 quando
migliaia di persone si riversarono laddove
fino a pochi attimi prima si esprimeva il
confine e la frattura della Germania. Oppure alla scena poche ore dopo, sempre lì, sullo spazio improvvisamente aperto che porta Rostropovich a suonare il suo violoncello
di fronte a quella soglia che lo divideva da
quel mondo da cui era fuggito ma verso il
quale sarebbe voluto tornare volentieri, pur
senza nostalgie.
In quelle due immagini, la Germania e
per essa il mondo mettevano il naso guardando al di là del vecchio confine per tentare di ricostruire un ponte e riprendere a dialogare.
La responsabilità, in seconda istanza.
Varsavia, 7 dicembre 1970. Fuori protocollo, il Cancelliere tedesco Willy Brandt si
mette in ginocchio di fronte al monumento
che ricorda il luogo in cui una volta sorgeva
il Ghetto di Varsavia. In quel gesto stavano
molte cose. Quella più evidente: il capo di
un governo che allora corrispondeva a una
parte della Germania, prendeva su di sé
pubblicamente e ufficialmente la responsabilità del passato del suo Paese. Quello meno evidente: Willy Brandt rendeva omaggio
alle vittime di una Germania che non era la
sua, ma di cui doveva e voleva farsi carico.
Brandt, in nome della sua storia, della storia di una Germania, infatti avrebbe potuto
dire: «gli atti di quella parte non mi riguardano. Io ho combattuto dall’altra parte».
Era vero ma una figura pubblica se vuole essere un politico deve essere in grado di andare oltre se stesso e, allo stesso tempo, affermare il senso e il ruolo della responsabilità che lo coinvolge in quanto figura pubblica.
Lo stesso è accaduto a Angela Merkel ieri.
Qualcuno potrà vedervi il gesto reiterato
della Germania democratica che non dimentica il passato e perciò decide di esser-
❜❜
Una presenza che
rimanda ad altre
immagini storiche,
un segnale contro
l’intolleranza
ci. Ma anche decide di non limitarsi a testimoniare con la propria presenza, e dunque
va oltre. Prendere la parola ieri alla Porta di
Brandeburgo non riguardava tanto il passato quanto, soprattutto, il futuro.
Il passato. Prendere la parola ieri ha significato assumere su di sé il compito di rispondere preventivamente ai piccoli o limitati segni di un possibile ritorno dell’antisemitismo nel proprio territorio.
Il futuro. Nelle parole e nella presenza di
Angela Merkel alla Porta di Brandeburgo ieri c’era anche molto di più. Questo di più
non riguarda solo i tedeschi, ma anche cittadini di una cosa che si chiama Unione europea. Insomma noi. Angela Merkel era lì e
ha preso la parola per tutti noi europei che
di fronte ai segnali delle nuove intolleranze
che qua e là per l’Europa tornano a segnare
luoghi carichi di memoria e di storia non
abbiamo parlato. C’era un segnale da dare e
a darlo doveva essere l’Europa. Non l’ha dato il presidente della Commissione europea
e allora in sostituzione lo ha dato la figura
che molti guardano con sospetto essere il
leader politico dell’Europa. Anche questo
c’era nella scena di ieri. E forse questo, fra
tutti i segnali, evidenti e meno evidenti, è
quello che ci dovrebbe dare da pensare su
cosa significa oggi assumersi la responsabilità di fare una politica europea.
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Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
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REGIONE TOSCANA - Giunta Regionale
Direzione Generale Presidenza
Settore Programmazione
e Controllo Finanziario
Via di Novoli 26 - 50127 Firenze, Italia
ESTRATTO DI BANDO DI GARA
Procedura e criterio di aggiudicazione:
Asta Pubblica - metodo delle “offerte segrete” - prezzo più elevato rispetto alla base
d’asta. Oggetto: Cessioni di azioni societarie delle seguenti società partecipate dalla
Regione Toscana: ENTE VALORIZZAZIONE
ACQUE MINERALI EVAM S.P.A - FIRENZE
PARCHEGGI S.P.A. - GOLF LA VECCHIA
PIEVACCIA S.P.A.. Luogo di esecuzione
della prestazione: Firenze - Italia. Durata o
termine d’esecuzione: Al termine dell’espletamento delle procedure di prelazione
e/o gradimento da parte dei soci, previste
dagli statuti societari. Importo stimato: €
554.180,49. Termine per la presentazione
delle offerte o della presentazione delle
domande: ore 12,00 del 10 Ottobre 2014.
L’avviso di asta pubblica è pubblicato e
sulla GURI e sul BURT. Il disciplinare di
gara, insieme ai documenti di gara, sono
disponibili ai seguenti indirizzi Internet:
http://www.regione.toscana.it/bandi.
Il Dirigente responsabile del contratto
Paola Bigazzi
INVESTMENT MANAGEMENT
ESTRATTO BANDO DI GARA
Oggetto: : Fornitura di cordoni per la connessione dei gruppi di misura ai TA e TV per forniture MT e per la connessione dei gruppi di misura per forniture MT su quadro DY808.
Procedura e Criterio di Aggiudicazione: Prezzo più basso.
Denominazione conferita all’appalto dall’ente aggiudicatore: APR000112240.
Tipo di Appalto: Fornitura.
Luogo di consegna: Tutto il territorio nazionale italiano.
CPV (vocabolario comune per gli appalti): 31321220.
Divisione in lotti: no
Quantitativo o entità totale: 1000 cordoni per la connessione dei gruppi di misura ai
TA e TV per forniture MT di lunghezza m 6 Matr. Enel 539003, n. 2500 cordoni per la
connessione dei gruppi di misura ai TA e TV per forniture MT di lunghezza m 12 Matr.
Enel 539005, n. 400 cordoni per la connessione dei gruppi di misura per forniture MT su
quadro DY808 Matr. Enel 539006. Su tali quantitativi è prevista una tolleranza del 20%.
Opzioni: Sì.- Fino ad un massimo del 50% dell’importo del contratto, tolleranza compresa, da esercitare entro il periodo di validità contrattuale.
Durata della fornitura: 12 mesi.
Tipo di procedura: Negoziata.
Termine per il ricevimento delle domande di partecipazione: 18.09.2014.
Testo integrale del Bando: Il testo integrale del Bando è stato pubblicato sul supplemento alla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea (GU/S) del 09.08.2014 numero
2014/S 152-273835.
AVVISO
Fondi comuni di investimento immobiliari chiusi
“BNL Portfolio Immobiliare”
“Estense – Grande Distribuzione”
Il valore unitario della quota di partecipazione al 30 giugno 2014 è
pari a:
- Euro 975,570 per il fondo BNL Portfolio Immobiliare;
- Euro 1.103,524 per il fondo Estense – Grande Distribuzione.
La Relazione semestrale al 30 giugno 2014 dei suddetti Fondi, è a disposizione del pubblico presso la sede di BNP Paribas REIM SGR p.A., sul
sito internet www.reim.bnpparibas.it, presso la sede di BNP Paribas Securities Services – Succursale di Milano (Banca depositaria) e sul meccanismo di stoccaggio autorizzato all’indirizzo www.1info.it.
I Fondi “BNL Portfolio Immobiliare” e “Estense – Grande Distribuzione”
sono quotati sul MIV – segmento Fondi Chiusi di Borsa Italiana S.p.A..
Milano, 15 settembre 2014
ENEL Servizi s.r.l.
Maurizio Mazzotti
SERVIZIO APPALTI - CONTRATTI
ASSICURAZIONI
DEMANIO E PATRIMONIO
Il Comune di Salerno indice gara per l’affidamento dei lavori di “Realizzazione dei
nuovi Uffici Giudiziari - Cittadella Giudiziaria - 2° stralcio - Completamento”, mediante procedura aperta ad evidenza
pubblica, l’aggiudicazione avverrà con il
criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa. Il testo integrale e le modalità
di partecipazione, è disponibile sul sito internet www.comune.salerno.it - sezione
bandi e concorsi. Il termine ultimo per la
presentazione delle Istanze di partecipazione alla procedura aperta scade il
30/10/2014 ore 12.00.
IL DIRIGENTE DEL SERVIZIO
Avv. Luigi Mea
Per la pubb
pubblicità
legale e finanziaria
fina
rivolgersi a:
Via Rizzoli, 8 - 20132 Milano
Tel. 02 2584 66
6665/6256 - Fax 02 2588 6114
Via Campani
Campania, 59 - 00187 Roma
8650 - Fax 06 6882 8682
Tel. 06 6882 86
Vico II San N
Nicola alla Dogana, 9
80133 Napoli
Napo
Tel. 081 49 777 11 - Fax 081 49 777 12
Via Villari, 50 - 70122 Bari
Tel. 080 5760 111 - Fax 080 5760 126
RCS MediaGroup S.p.A.
Via Rizzoli, 8 - 20132 Milano
BNP Paribas REIM SGR p. A.
Via Carlo Bo, 11 - 20143 Milano
ESTRATTO BANDO DI GARA
Friuli Venezia Giulia Strade Spa ha avviato la procedura aperta 03-2014, suddivisa in nove lotti, avente ad
oggetto “Servizio di manutenzione ordinaria ricorrente e di pronto intervento. Opzione ripetizione servizi
analoghi per ulteriori due anni”. Luogo di esecuzione: Province di Trieste, Udine Gorizia e Pordenone Tempo
utile: giorni 365 Importo complessivo € 1.660.000,00 di cui € 60.391,74 per oneri sicurezza (€
4.980.000,00 con eventuali rinnovi) Cat. servizi 1. L’aggiudicazione verrà effettuata con il criterio del prezzo
più basso ai sensi dell’art. 82, co. 2 lett. a) del d.lgs. 163/06 e s.m.i. Il bando è stato inviato alla G.U.C.E. il
21/08/14 e pubblicato sulla G.U.R.I. n. 98 del 29/08/14, all’Albo Pretorio dei Comuni di TS,GO,UD,PN, all’Albo
Stazione appaltante e sui siti www.fvgstrade.it www.regione.fvg.it www.serviziocontrattipubblici.it ed è disponibile, unitamente al disciplinare di gara e gli altri allegati, presso U.O. Gare e Contratti della Società, Via
Mazzini, 22 34121 TRIESTE tel. 040-5602208 fax 040-764502. Le offerte dovranno pervenire presso questa
Società entro le ore 12.00 del giorno 14/10/14, la prima seduta pubblica si terrà il giorno 16/10/2014.
IL PRESIDENTE - avv. Roberto Paviotti
AZIENDA OSPEDALIERA S. CAMILLO FORLANINI
AZIENDA OSPEDALIERA S. CAMILLO FORLANINI
P.zza Carlo Forlanini, 1 00151 ROMA
TEL. 06/55552580 - 55552588 - FAX 06/55552603
ESTRATTO BANDO DI GARA
Questa Azienda ha indetto una gara a procedura
aperta per la “fornitura biennale di Dispositivi medici
per elettrofisiologia ed Elettrostimolazione” per
un importo pari a € 2.926.600,00 s/iva. La gara
verrà aggiudicata ai sensi del D.Lgs. n. 163/06
art. 83. Le offerte e la documentazione amministrativa dovranno pervenire all’Azienda - c/o l’Ufficio
Protocollo - P.zza Carlo Forlanini, 1 - 00151 Roma entro e non oltre le ore 12 del 05/11/2014
pena l’esclusione. Il bando è stato pubblicato sui siti
internet www.regione.lazio.it, http://www.serviziocontrattipubblici.it e http://www.scamilloforlanini.rm.it/benieservizi a quest’ultimo indirizzo
verranno rese pubbliche le comunicazioni inerenti la
presente gara; Data d’invio GUCE: 05/09/2014; Il responsabile del procedimento: Dott. Paolo Farfusola.
IL DIRETTORE GENERALE
Dott. Antonio D’Urso
P.zza Carlo Forlanini, 1 00151 ROMA
TEL. 06/55552580 - 55552588 - FAX 06/55552603
ESTRATTO BANDO DI GARA
Questo Azienda ha indetto una gara a procedura
aperta per la “fornitura biennale di Dispositivi medici
e protesi per neuroradiologia” per un importo pari
a € 1.896.660,00 s/iva. La gara verrà aggiudicata ai
sensi del D.Lgs. n. 163/06 art. 83. Le offerte e la documentazione amministrativa dovranno pervenire
all’Azienda - c/o l’Ufficio Protocollo - P.zza Carlo
Forlanini, 1 - 00151 - Roma entro e non oltre le ore
12 del 12/11/2014 pena l’esclusione. Il bando è
stato pubblicato sui siti internet www.regione.lazio.it, http://www.serviziocontrattipubblici.it
e http://www.scamilloforlanini.rm.it/benieservizi
a quest’ultimo indirizzo verranno rese pubbliche le
comunicazioni inerenti la presente gara; Data d’invio
GUCE: 05/09/2014; Il responsabile del procedimento: Dott. Paolo Farfusola.
IL DIRETTORE GENERALE
Dott. Antonio D’Urso
www.reim.bnpparibas.it
TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
SEZIONE FALLIMENTARE
FALLIMENTO GICO COSTRUZIONI SPA N. 1218/04
Con ordinanza del 16 aprile 2014, il Dott. Umberto Gentili, Giudice Delegato al fallimento
GICO Costruzioni S.p.A. n.1218/04, ha disposto la vendita con incanto dell’immobile sito
in Via del Gesù n. 58-59, come meglio descritto nella relazione peritale redatta dall’Ing.
Lello Anav e depositata presso la Cancelleria, lotto unico, al prezzo base di euro
3.150.000,00 (tremilionicentocinquantamila/00), con rialzo minimo obbligatorio di euro
150.000,00 (centocinquantamila/00). Le offerte in aumento non potranno essere inferiori ad euro 150.000,00 (centocinquantamila/00). La vendita con incanto è fissata per
il giorno 30 ottobre 2014, alle ore 12,30 avanti al Giudice Delegato Dott. Umberto Gentile,
nell’aula di udienza della Sezione Fallimentare del Tribunale di Roma in viale delle Milizie
3/E. Per partecipare all’incanto ogni offerente dovrà depositare in Cancelleria, entro
le ore 12,00 del 29 ottobre 2014, un’offerta, in bollo, in busta chiusa con versamento,
tramite assegno non trasferibile e a titolo di cauzione, di un importo pari ad un decimo
del prezzo a base d’asta. Il prezzo di acquisto dovrà essere depositato entro 60 giorni
dall’aggiudicazione mediante bonifico bancario sul c/c intestato alla procedura. Entro lo
stesso termine andrà versato l’importo, determinato dal curatore, che risulterà dovuto
per oneri fiscali e spese di vendita. Tutti gli interessati all’acquisto possono visitare
l’immobile posto in vendita telefonando al Curatore Prof. Avv. Emmanuele F.M. Emanuele
al n. 0664790322 o inviando richiesta a mezzo fax al n. 0698871934. Il Curatore provvederà
direttamente, o tramite il proprio coadiutore, ad accompagnare l’interessato nella visita
dell’immobile entro 10 giorni dalla richiesta. L’ordinanza di vendita e la perizia di stima
sarà visibile sul sito “www.astegiudiziarie.it” almeno 45 giorni prima della data
dell’incanto.
Roma, 18 giugno 2014
Il Curatore
Prof. Avv. Emmanuele Francesco Maria Emanuele
Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
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italia: 51575551575557
Lettere al Corriere
Le lettere, firmate con nome, cognome e città, vanno inviate a:
«Lettere al Corriere» Corriere della Sera
via Solferino, 28 20121 Milano - Fax al numero: 02-62.82.75.79
CORRUZIONE INTERNAZIONALE
UNA ASIMMETRIA GIURIDICA
Risponde
Sergio Romano
Vengo a conoscenza
dell’ennesimo caso di
indagine da parte delle
procure nei confronti di
amministratori aziendali
per l’ipotesi di «corruzione
internazionale». Ritengo
che nel mondo certe
pratiche siano purtroppo
quasi necessarie per la
riuscita di certi affari; gli
italiani si comportano come
tutti gli altri — americani,
francesi, cinesi o tedeschi
che siano — per portare a
casa il risultato ed è un
idealista chi volesse
affermare che in realtà nel
mondo la concorrenza si
basa su principi di lealtà.
Per quanto riguarda
l’ambito interno, sono
assolutamente d’accordo nel
sostenere l’idea secondo cui
tra ditte italiane che danno
lavoro ad italiani ci debba
essere una competizione
leale e legale: qualora una si
avvalesse della corruzione
per spuntarla sulle altre,
dovrebbe essere severamente
condannata. Nell’ambito
internazionale, però, visto
come funzionano le cose,
non si potrebbe chiudere un
occhio e lasciare che le
nostre aziende, facendo i
loro interessi, riportino un
successo anche per la nostra
comunità nazionale?
Luca Polles
luca.polles@virgilio.it
detrazione dei redditi.
Perché soltanto in Italia ci
comportiamo da ipocrite
anime belle?
Fausto Floreani
Majano (Ud)
«C
Leggo che i vertici dell’Eni
sono stati indagati per fatti
corruttivi in Nigeria. Senza
entrare nel merito, preciso
che ho lavorato per diversi
anni in quel Paese dove, se le
aziende non pagano
(americani compresi), non
fanno affari né grandi né
piccoli. Tutti i governi ne
sono a conoscenza, tanto che
alcuni di essi, addirittura,
riconoscono gli extracosti in
CASO DEI MARÒ
per la mancanza di lavoro che
porta a limitare allo zero
virgola l’ipotetica crescita
economica. Il lavoro non c’è
perché mancano i consumi che
sono legati al lavoro: manca, in
sostanza, il denaro. Senza una
drastica e immediata riduzione
della spesa pubblica e una
saggia privatizzazione di
strutture pubbliche per liberare
risorse da investire in opere
che favoriscano l’occupazione,
il Paese non si risolleva.
Desideri incompatibili
Caro Romano, la Corte indiana
ha permesso a Massimiliano
Latorre, uno dei due marò
trattenuti in India con l’accusa
di avere ucciso due pescatori,
di tornare a casa per curarsi.
Sembra però che il tribunale
abbia chiesto un impegno
scritto al nostro Paese per un
rientro a New Delhi entro 4
mesi. Visti i precedenti, mi
auguro che Latorre, una volta
guarito, non torni. E spero
vivamente che l’altro fuciliere
torni presto in Italia, senza
aspettare che si ammali!
Giorgio Galli, Fenegrò (Co)
STIPENDI / 1
Militari in missione
Il sistema di pagare così così
i militari in patria e
strapagarli quando in
missione costituisce una
Silvano Stoppa
silvano.stoppa@gmail.com
Temo che i due desideri possano rivelarsi incompatibili.
IMMEDIATE E DRASTICHE
Misure per la ripresa
La tua opinione su
sonar.corriere.it
Ogni giorno tutti gli organi
competenti ci dicono che
abbiamo bisogno di crescita
per risollevare il Paese. È vero:
il Paese è in ginocchio sia per il
mostruoso debito pubblico, sia
Maroni sull’eterologa
a pagamento: «Decido
io come spendere
i soldi della Regione».
Siete d’accordo?
Cari lettori,
hiudere un occhio» non è ciò
che le società democratiche dovrebbero
chiedere ai loro governi e
non è sempre, comunque,
una pratica efficace. Gli
scandali scoppiano, prima o
dopo, e costringono i governi ad assumere una pubblica
posizione. Alcuni Paesi, fra
cui la Germania, avevano
constatato l’esistenza di un
problema e avevano giudica-
to opportuno approvare una
legge che consentiva d’iscrivere in bilancio le somme
spese per «oliare le ruote» di
un Paese in cui gli affari si
fanno soltanto comprando la
buona volontà di uomini politici e alti burocrati. Ma anche la Germania dovette fare
un passo indietro quando
l’Organizzazione per la Cooperazione economica e lo
Sviluppo patrocinò alla fine
degli anni Novanta una convenzione sulla corruzione
nei rapporti d’affari internaz i o n a l i . Q u a l c h e P a es e
espresse dubbi e perplessità,
ma la convenzione venne
presentata alla pubblica opinione come lo strumento
che avrebbe dato un decisivo
contributo alla moralità dei
mercati in epoca di crescente
globalizzazione, un esempio
di civiltà che l’Occidente
aveva il dovere di dare al
mondo. Per il timore di esse-
re esposti a una sorta di linciaggio morale, gli scettici si
lasciarono convincere e la
convenzione risulta essere
stata ratificata da 41 Paesi.
L’Italia ha depositato la sua
ratifica il 15 dicembre 2000 e
l’ha resa operante nel febbraio 2001.
Temo che gli scettici non
avessero torto. È stato dimenticato che esistono ancora nel mondo numerosi
Stati patrimoniali, ovvero
Stati in cui i ceti che amministrano e governano si considerano proprietari delle risorse nazionali e le trattano
come beni personali. Si è
creata così una asimmetria
giuridica. Quali che siano gli
strumenti previsti dalla legge, non sarà mai facile punire i politici e i burocrati stranieri, ma sarà più facile, grazie alla Convenzione, punire
gli imprenditori italiani.
dell’indennità di missione ai
livelli degli altri eserciti? Ho
qualche dubbio.
il governo.
Maresciallo Guido
Guasconi, Borgonovo (Pc)
maliziosa anomalia tutta
italiana. Anche negli altri Paesi
sono previsti incentivi per i
soldati in zona di operazioni:
nella «Légion étrangère«, ad
esempio, la paga raddoppia,
non sestuplica come da noi. Il
personale delle Forze armate
chiede, giustamente,
l’aumento delle paghe
tabellari, però si tace sulle
paghe di fatto le quali, grazie
alle missioni estere cui a turno
quasi tutti partecipano, sono
assai più alte. Accetterebbero,
gli interessati, un aumento
stipendiale anche consistente,
a fronte della riduzione
Forze dell’ordine
Premesso che sono favorevole
all’aumento dello stipendio alle
Forze dell’ordine e a dotarle di
migliori mezzi, se andrà in
porto lo sblocco salariale come
promesso dal ministro
Alfano,questo scatenerà le
proteste (alcune giuste, altre
meno) e la gelosia delle altre
categorie che attendono
anch’esse da anni lo sblocco
dei contratti. Paradossalmente
questo atto, di per sé giusto,
potrebbe essere un autogol per
La domanda
di oggi
Sì
La regina Elisabetta sul
referendum in Scozia:
«Pensate al vostro
futuro». Ha fatto bene
a intervenire?
No
59
Fabio Todini
fabiotdn@gmail.com
CARCERI SOVRAFFOLLATE
Qual è la soluzione?
STIPENDI / 2
SUL WEB Risposte alle 19 di ieri
41
© RIPRODUZIONE RISERVATA
La presidente della Camera ci
informa che le carceri sono
piene e la riabilitazione dei
detenuti ostacolata. Parole
sacrosante. Ma se l’indulto
non è, giustamente, una
priorità e la costruzione di
nuove prigioni non è
nell’agenda governativa come
se ne esce?
Umberto Gaburro
Guidizzolo (Mn)
SPESE DA TAGLIARE
L’imbarazzo della scelta
Renzi chiede a tutti i ministri
dove intendono tagliare per
rispettare l’impegno di ridurre
i costi (o meglio gli sprechi) del
3%. Visto che c’è tanto «grasso
che cola» (dichiarazione del
premier) il vero e unico
problema credo rimanga
l’imbarazzo della scelta...
Piera Bonadonna
piera.bonadonna@gmail.com
Interventi & Repliche
Pd: il rapporto politica e giustizia
Forse è sbrigativa la tesi secondo la quale
il Pd sarebbe passato dal giustizialismo al
garantismo. Anche perché quelle parolecategorie di uso (e abuso) comune sono
generiche e incerte. E tuttavia non si può
negare il problema, sollevato da Polito e
Verderami, di una qualche difformità di
approccio del Pd a una vasta casistica
recente. Come tacere l’impressione che il
tenore delle parole renziane di oggi si
discosti, che so, da quello adottato nel caso
Cancellieri? Urge tematizzare, cioè
discutere ed elaborare una visione del
rapporto tra politica e giustizia ancorata a
principi saldi e dichiarati. In breve, urge
dotarsi di una bussola che valga «erga
omnes» e che ci metta al riparo da
oscillazioni ispirate a mera convenienza
opportunistica e dettate dai mobili umori
della pubblica opinione. Ovvero affidate a
estemporanei tweet. Ha ragione Renzi
quando sostiene che spetta alla politica la
scelta dei candidati e, nel caso del Pd, ai
cittadini-elettori emiliani o calabresi con le
primarie. Ma spetta al partito nazionale di
darsi la bussola di cui si diceva e di
applicarla con rigore. Cavando dal cassetto
il severo Codice etico che fu stilato all’atto
della fondazione del Pd e rammentando
che il popolo del Pd vanta una sensibilità
singolarmente acuta in tema di
trasparenza e legalità dei comportamenti
degli uomini pubblici. Una sensibilità che è
risorsa e non problema.
Franco Monaco, deputato Pd
Nessuna linea Fs Sicignano-Lagonegro
Nell’articolo «I minitreni: elogio della
lentezza» (Corriere, 5 settembre), c’è
un’inesattezza: non è vero (purtroppo) che
il treno è tornato nel Vallo di Diano. Ma non
siamo né arrabbiati né indispettiti per
l’errore: per noi, infatti, rivedere i convogli in
attività rimane un obiettivo da raggiungere.
Questo è lo spirito che anima il Comitato
per la riattivazione della ferrovia Sicignano
– Lagonegro, composto da centinaia di
persone e guidato da un direttivo
qualificato. Ne approfittiamo per ricordare
che la tratta, distante 70 km dalla stazione
di Salerno dell’Alta Velocità e situata in un
bacino di utenza di 100 mila abitanti, fu
sospesa temporaneamente il 1° aprile
1987 per consentire l’elettrificazione della
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Particelle elementari
di Pierluigi Battista
Amarcord di un cinefilo
che non odia il profitto
D
a cinefilo compulsivo, soffro atrocemente ogni
volta che chiude un cinematografo (si chiamano
ancora così?) dove ho visto i più bei film della mia
vita. Rievoco nella memoria i nomi delle sale
scomparse, dei cinema d’essai oramai sbarrati,
delle seconde e terze visioni inghiottite nel nulla, e sento lo
strazio della visita a un cimitero della memoria. Il «Rouge et
Noir», che fine ha fatto? E il Cola di Rienzo, l’Ariston, l’Arlecchino, l’Etoile, il Rialto e chissà quanti altri? Un dolore terribile, una perdita incancellabile, un pezzo della vita e della cultura strappato via. Emozioni forti, raccontate da Ettore Scola
e Peppino Tornatore nelle scene indimenticabili di Splendor
e di Nuovo Cinema Paradiso. Ma la colpa di questa moria di
chi è? Dei proprietari avidi e ottusi che per riprovevole fame
di profitto e di speculazioni redditizie chiudono a cuor leggero i cinema? La colpa è di Jordan-Mastroianni, il proprietario
dello Splendor di Scola che è costretto a rinunciare alla passione della sua vita e a mettere il catenaccio alla porta? Oppure è colpa di chi non va più al cinema, della società civile affamata di cultura e non di profitto come i biechi proprietari
delle sale e che tuttavia non stacca più un biglietto nemmeno
sotto tortura?
Ecco, dare la colpa ai proprietari della chiusura di una sala
è puerile, ingiusto, superficiale. Non tiene conto che se il cinema America a Roma avesse avuto le sale piene, non avrebbe dato forfait nel 1999. E allora
che si fa? Si denuncia come un
nemico della cultura chi ha la
proprietà di una sala, e con crudeltà smisurata la chiude, maLa scomparsa
gari per farci supermercati e gadi tante sale
rage (si dice sempre «supermercati» e «garage» per attiznon è colpa
zare il rimprovero sociale sugli
di proprietari
ingordi speculatori, colpevoli di
voler disporre di un loro bene,
avidi
nell’ambito delle leggi e del rispetto della proprietà privata. Si
potrebbe però provare con una bottega del «commercio
equo» o con un presidio Slow Food, per evitare la deplorazione pubblica). Si cerca di costringere chi è titolare delle sale a
dissanguarsi con un’attività in perdita. Oppure a rinunciare,
mediante occupazione abusiva, all’uso di una proprietà, una
volta espletate, come è ovvio, tutte le disposizioni della legge,
anche le più farraginose e cervellotiche e che contribuiscono
a fare di questo Paese il campione dell’immobilismo e del
«non si può fare» (altro che «sblocca Italia»).
Nella mia vita sono andato all’America innumerevoli volte.
La sua chiusura fa piangere il cuore. Ma se volessi disporre di
quella sala, organizzerei una cordata di volenterosi per acquistarla, o chiederei al Comune uno spazio dove proiettare film
che altrove non circolano. Previa presentazione di un programma credibile. E pagamento di tasse e bollette, come si
deve fare sempre. Senza smettere, per chi ha una certa età, di
rimpiangere il passato. Che è sentimento umano, senza dare
la colpa ai mostri del profitto.
❜❜
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DEL LUNEDÌ
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Battipaglia – Potenza. Senza mezzi termini,
è rimasta lì ad arrugginire. La politica se n’è
fregata e nessuno ha mai mosso un dito,
nonostante le numerose richieste delle
comunità interessate. Ma ora ci attendiamo
una svolta e, soprattutto, i fatti.
Rocco Della Corte
Sicignano degli Alburni (Sa)
Programmi Rai sullo sport
A quanto lamentato da un lettore sulla
scarsa attenzione della Rai per lo sport,
salvo il calcio (Corriere di ieri), aggiungo che
la Rai ha creato per lo sport due canali: Rai
Sport 1 e Rai Sport 2. Peccato che siano
trasmessi a ripetizione eventi del passato!
Giuliano Sassa, Milano
EDIZIONI TELETRASMESSE: RCS Produzioni Milano S.p.A. 20060 Pessano con Bornago
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Sette + CorFi € 0,62 + € 0,50 + € 0,78; sab. Corsera + Io Donna + CorFi € 0,62 + € 0,50 + €
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La tiratura di domenica 14 settembre è stata di 471.151 copie
ISSN 1120-4982 - Certificato ADS n. 7682 del 18-12-2013
Thailandia THB 190; UK Lg. 1,80; Ungheria Huf. 700; U.S.A. USD 5,00. ABBONAMENTI: Per informazioni sugli abbonamenti nazionali e per l’estero tel. 0039-0263.79.85.20 fax 02-62.82.81.41 (per gli Stati Uniti tel. 001-718-3610815 fax 001-718-3610815). ARRETRATI: Tel. 02-99.04.99.70. SERVIZIO CLIENTI: 02-63797510 (prodotti collaterali e promozioni).
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Guerra” € 14,30; con “Alle radici del male” € 11,30; con “Skylander” € 11,30; con “Diabolik. Nero su nero” € 8,39; con “Grande Guerra. 100 anni dopo” € 12,39; con “Geronimo Stilton. Viaggio nel tempo” € 8,30; con “Tiziano Terzani” € 10,30; con “I capolavori dell’Arte” € 7,30; con “Ufo Robot” € 11,39; con “James Bond collection” € 11,39; con “Scrivi Vecchioni, scrivi canzoni” € 11,39;con “English Express” € 12,39
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italia: 51575551575557
Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
35
italia: 51575551575557
Spettacoli
A Londra
Una statua per Amy Winehouse
Una statua a grandezza naturale di Amy Winehouse è stata
svelata a Londra ieri, in occasione di quello che sarebbe stato
il 31esimo compleanno della cantante. La scultura è nel suo
amato quartiere di Camden Town, nella zona nord della città.
La diva a Toronto
Protagonista di «A
Little Chaos», storia
di una studiosa
che lotta per le proprie
idee a Versailles
TORONTO — Ride Kate Winslet,
diventata star perché nel ruolo di
Rose nel Titanic sognava di volare
altrove, allargando le braccia, sorretta da Leonardo DiCaprio. «Sono
ancora nei poster di adolescenti ormai cresciuti — ammette — che
non hanno scordato il nostro film».
A Toronto è la protagonista di A
Little Chaos, storia di una donna
che lotta per imporre le sue idee tra
mille intrighi politici, alla corte del
Re Sole. «Io, che sono una ribelle rispetto a tante convenzioni sociali,
mi diverto davvero sui set a indossare corsetti, bustini e crinoline nonché cappelli con piume capaci di fare invidia alle dame dell’aristocrazia
inglese. Nel film diretto da Alan Rickman ho abiti d’epoca, copricapi
stravaganti perché tutto si svolge alla corte di Luigi XIV e nel Palazzo di
Versailles. Però, io sono una donna
diversa, ossia Madame de Barra, un
architetto, una appassionata studiosa di arte incaricata di rendere
omaggio alla “grandeur” francese
progettando ed edificando i giardini di Versailles».
Il film a poco a poco svela la personalità e il passato della protagonista, in anticipo sui tempi. Sabine de
Barra viene convocata dal paesaggista André Le Notre e tra loro è subito
scontro di personalità, anche se una
profonda stima e una
opposta concezione
dell’architettura di
esterni li avvicina e allontana al tempo stesso. «Mi ha conquistato anche questo dissidio, che nasconde
una attrazione — dice
Kate — perché Sabine
ha una forza istintiva
e alle regole dell’architettura del tempo
preferisce, appunto,
la libertà creativa della natura. Aveva un enorme talento
che esprimeva nei suoi disegni, con
libertà e razionalità al tempo stesso».
«Di sicuro Sabine mi assomiglia
— osserva — perché in ogni situazione, anche quando una pioggia
torrenziale distrugge una gran parte
del suo lavoro e bisogna ricominciare tutto da capo, l’artista e la donna
rivelano voglia di combattere. Il film
Il verdetto del pubblico
Il Festival premia
Cumberbatch
genio perseguitato
Con una rosa
L’attrice
premio Oscar
Kate Winslet
(38 anni) in
una scena di
«A Little
Chaos» di
Alan Rickman
Kate Winslet: sul set del Re Sole
esalto la creatività delle donne
«Sono ribelle e anticonformista come il mio personaggio»
Il sovrano
Alan Rickman (68 anni): oltre
ad essere il regista di «A Little
Chaos», interpreta anche la
parte di re Luigi XIV, il sovrano
che nel film chiede la
costruzione di una fontana a
Versailles a due paesaggisti
intreccia toni tragici ad altri da
commedia e Alan sul set mi faceva
leggere i testi di Jean Racine, commediografo e scrittore francese dotato anche di ironia. Potrei fare mia
la sua battuta: l’innocenza e la colpa
hanno entrambe i loro gradi di valore».
Sempre spontanea, serena nella
vita privata, Kate sa bene di appartenere con i suoi successi e con la sua
famiglia al Gotha della società britannica. Sceglie impegni da lei
«sentiti e vissuti sin dalla prima volta in cui leggo la sceneggiatura» e
non è cambiata dai tempi dei suoi
primi successi quando, figlia di attori, iniziò la carriera.
«Tra i miei film, quello che prediligo — dice — non è il Titanic, anche se ho bellissimi ricordi dei set
spericolati di Cameron. Preferisco
Ragione e sentimento di Ang Lee e
mai dimenticherò Peter Jackson che
mi volle nel 1994 per Creature del
cielo. Cosa chiedo oggi al cinema?
Belle storie, un impegno da coniugare senza eccessi con la mia famiglia e film capaci di regalare emozioni e di accendere il desiderio di
cultura e informazione. Inoltre, in
tutti i miei film ho cercato di dare
qualcosa alle donne con i miei personaggi. Questo lo considero il mio
primo merito».
Ma perché è stata conquistata dal
copione di A Little Chaos? «Il film di
Rickman vede una donna combat-
❜❜
I sogni di «Titanic»
Sono ancora nei poster
degli adolescenti ormai
cresciuti che non hanno
dimenticato il film
tere per imporre la sua creatività e
raggiungere i suoi obiettivi. Intorno
a lei c’erano gelosie femminili,
scontri di classe, profondissime rivalità. Ci sono in ogni campo, specie nella mia professione, che si affida anche a carica di vanità, di autoaffermazione. Però io sono sempre
andata per la mia strada e ho bellissime amicizie, a cominciare da Leo
DiCaprio, un attore coraggioso».
Confida che per lei è stato davvero stimolante studiare l’architettura
del tempo in cui si svolge A Little
Chaos. E conclude: «Vorrei che il cinema non fosse solo sostenuto da
kolossal, supereroi e personaggi
femminili voluttuosi e da fumetto.
Bisogna riscoprire sullo schermo
pagine di storia. Andare alla ricerca
di personaggi nascosti nel tempo è
una conquista per noi attori e per gli
spettatori».
TORONTO — È stata anche la
finissima e profonda prova di
Benedict Cumberbatch, nei panni
e nella mente del matematico e
crittografo britannico Alan Turing
(1912-1954) a far vincere a The
imitation game il premio del
pubblico al 39esimo Festival di
Toronto. L’inquietante film, che
denuncia anche i crimini e
l’emarginazione perpetuati a quel
tempo dal governo britannico
sugli omosessuali, entra così di
diritto nella corsa ai prossimi
Oscar (l’anno scorso, qui in
Canada, fu premiato 12 anni,
schiavo) e porterà nel mondo la
storia di questo sensibile,
appartato studente di Cambridge,
considerato da tanti il vero padre
dell’informatica, che nella sua vita
sin da giovanissimo studiò il
potenziale dei computer. Quando
la Seconda guerra mondiale
Matematico Benedict Cumberbatch
iniziò, Alan fu chiamato a
sviluppare le sue idee e a metterle
in pratica per decodificare le
comunicazioni delle flotte navali e
dell’esercito tedesco. Molto brava
nel film è anche Keira Knightley
che interpreta un’amica di Turing:
voleva sposarlo, ma Alan le
confessò la sua omosessualità.
Battuti altri titoli che potevano
puntare alla vittoria: Foxcatcher
con Steve Carell, Nightcrawler con
Jake Gyllenhaal e il film su
Stephen Hawking The Theory of
everything con Eddie Redmayne.
Il premio dei critici internazionali
di cinema della Fipresci è andato
sia a May Allah bless France
diretto da Abd Al Malik in bianco
e nero che a Time out of mind di
Oren Moverman con una
eccellente interpretazione di
Richard Gere nella solitudine e
povertà di un senzatetto (il film è
stato tra i più venduti nel mondo).
Giovanna Grassi
G. Gs.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il conduttore Ogni giorno in onda sulla seconda rete con il meglio della popolare trasmissione. «Un esperimento, lo spettacolo non cambia formula»
Max Giusti e quaranta minuti di varietà: così la radio diventa uno show tv
Voci
Da Pif alla Dandini
la carica dei nuovi dj
Il palinsesto di Radio2 diventa
sempre più pop. La campagna
acquisti dell’emittente ha fatto sì
che molti volti della tv e del cinema
abbiano ora il loro programma
radio. Come Pif, che debutta oggi
(dalle 10.00 alle 10.30) con
I Provinciali. Ma tra le nuove voci
ci saranno anche Serena Dandini
(che nel pomeriggio condurrà
#staiserena, dalle 15 alle 16.30),
Costantino della Gherardesca (che
in Acapulco, dalle 16.35 alle 17 si
concentrerà sui ritmi reggae) e il
regista Giovanni Veronesi.
Q
uaranta minuti di televisione fatti dalla radio.
Stanno andando in onda,
tra le 17 e le 17.40, su Rai2. Da cinque anni SuperMax è tra i programmi radiofonici più popolari
al punto che ora il meglio dello
show di Radio2 (dal lunedì al venerdì, dalle 10.30 alle 12) va in tv.
«È stata una sorpresa», commenta Max Giusti. «All’inizio ero
titubante. Quando il direttore di
Rai2 mi ha detto: “Possiamo farvi
vedere al pubblico della tv?”, mi
sembrava strano... Però bello».
Qualche avvisaglia c’era stata:
«Molti ospiti in questi anni chiedevano perché non mostrassimo
lo spettacolo in tv. Io non l’avrei
mai proposto, non sono capace». Non c’è stato bisogno. Ma il
conduttore ha imposto una condizione: «La formula doveva re-
stare invariata. Dovevamo continuare a fare quello che abbiamo
sempre fatto».
Che, in fondo, «non è altro
che il backstage della tv classica.
Sono come le prove di un varietà:
c’è l’orchestra, il pubblico, ci sono i momenti comici, le interviste, i cantanti. Tutte cose che oggi in tv non si possono più produrre». Al suo fianco, Gioia Marzocchi: «Di solito si parla di chi
va a Sky, noi ci siamo presi il loro
volto (era la conduttrice di Sky
Inside, ndr)». Con le telecamere
non teme di faticare a convincere
gli ospiti a venire? «Non credo.
Di diverso c’è solo Rai2 che viene
a sbirciare. Il nostro resta uno
show radiofonico». Mandarlo in
onda in tv è un esperimento: «La
tv del pomeriggio di solito parla
di cronaca nera... SuperMax lo
Coppia
Max Giusti (46 anni)
e Gioia Marzocchi
(33) sono i conduttori
di «SuperMax»: tra i
loro ospiti di oggi, Pupi Avati e Capotondi
vedrei bene anche in una seconda serata. Sarà comunque un
programma di nicchia, il mio
cruccio è fare un bello spettacolo». Con la soddisfazione di tenere a battesimo «il primo prodotto Rai davvero cross mediale.
Per la prima volta faccio una cosa
per primo». E poi c’è il vanto di
«intrattenere il pubblico con i
miei personaggi; invitare artisti
senza dover chiedere loro: con
chi ti sei fidanzato?; di avere
ospiti come James Taylor, i Negramaro o Laura Pausini che
cantano dal vivo. Capita solo in
radio». Ci saranno nuovi personaggi per le sue parodie? «Oltre
ai classici, da Terence Hill a Bono
Vox, ci sarà un Biagio Antonacci
che tacchina le signore di una
certa età. Giocherò sul suo modo
di vestirsi, finto emaciato, con
questi maglioni scollati che mostrano un petto grande come
Campovolo che tutte le cinquantenni sognano. Poi ci sarà un
centro d’ascolto per i genitori
che vogliono uscire dal tunnel di
Peppa pig e molto altro. E se
qualcuno non la prende bene,
problemi suoi: le imitazioni le
faccio per il pubblico». Se potesse scegliere un ospite? «La Boschi. Dovrebbe venire anche perché porto fortuna: Renzi è stato
da noi due volte ed è diventato
premier. Se viene lei niente niente e diventa presidente della Camera». Nostalgia per Affari tuoi?
«I pacchi mi mancheranno sempre. Non è detto che in futuro
non tornino. Ma dopo cinque anni era giusto staccare». Progetti
per il futuro? «Ripartirà la mia
tournée teatrale. E da metà novembre condurrò una nuova prima serata, su Rai2: un programma di divulgazione scientifica...
ma a modo mio. Piero Angela e
famiglia sono avvisati».
Chiara Maffioletti
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36
Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
italia: 51575551575557
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FERRUCCIO DE BORTOLI
Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
Spettacoli 37
italia: 51575551575557
Fiction Anteprima di «Qualunque cosa succeda». In platea anche Grasso e Visco
Gli intrighi, la famiglia, il killer:
l’ultima notte di Ambrosoli
ROMA — «Se penso che Giulio Andreotti ebbe a dire di lui
“è uno che se le andava a cercare”.... La dice lunga sui rapporti
diciamo ambigui tra finanza e
politica». Finanza sporca? «Direi finanza e punto. Francamente non riesco a distinguere
tra quella pulita e quella sporca».
Pierfrancesco Favino è Giorgio Ambrosoli nella miniserie
«Qualunque cosa succeda»,
una storia vera, coprodotta da
Rai Fiction e Matteo Levi, con la
regia di Alberto Negrin in onda
a ottobre su Rai1 e presentata ieri sera, con il tappeto rosso delle grandi occasioni, al Roma
FictionFest. In prima fila, in Sala Sinopoli, il presidente Giorgio Napolitano: «Ambrosoli —
ha detto — rappresenta un
esempio per l’Italia». In platea,
tra gli altri, il presidente del Senato Pietro Grasso e il Governatore di Bankitalia Ignazio Visco.
La fiction è liberamente ispirata al libro omonimo scritto
dal figlio dell’avvocato Ambrosoli, Umberto. «Quando l’ho
letto — racconta Favino — mi
ha molto colpito anche la prefazione che era tratta dalla tesi di
laurea di Ambrosoli padre.
Scritta molti anni fa, preconizzava l’attualissimo dibattito sulla magistratura». Osserva Negrin: «Ambrosoli sottolineava
la necessità che il magistrato
non deve essere politicizzato».
La storia pubblica e privata di
Giorgio Ambrosoli, l’«eroe borghese», già rappresentato nel
film di Michele Placido del
1995, commissario liquidatore
della Banca Privata Italiana travolta dal crack finanziario di
Michele Sindona, nella fiction
viene raccontata a partire da
una lettera che scrisse alla moglie nel 1975, quattro anni prima di essere freddato da un killer: «Anna carissima, sono
pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I., atto che
ovviamente non soddisferà
molti e che è costato una bella
fatica. È indubbio che pagherò
a caro prezzo l’incarico... Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e
I volti
Favino protagonista. Napolitano: esempio per l’Italia
Cuccia
Il presidente di
Mediobanca è
impersonato da
Roberto
Herlitzka
Sindona
Popolizio
interpreta il banchiere,
mandante del delitto Ambrosoli
sono certo saprai fare benissimo».
Nell’ultima scena della miniserie, è la notte tra l’11 e il 12 luglio 1979. Ambrosoli torna a casa fischiettando: è felice, ha
concluso il suo lavoro, è riuscito
a trovare tutte le prove sul coinvolgimento di Sindona (inter-
pretato da Massimo Popolizio),
quindi non vede l’ora di raggiungere la famiglia che si trova
già in vacanza. Dal buio emerge
la figura di un uomo, il sicario
italo americano Joseph Aricò, la
cui mano è armata dallo stesso
Sindona: «Scusi, avvocato», lo
chiama l’assassino, poi parte un
Ucciso nel ‘79
Pierfrancesco
Favino (45) è
l’avvocato
Ambrosoli in
«Qualunque
cosa succeda»
colpo. Sul volto di AmbrosoliFavino si legge tutto lo stupore
di chi non riesce a capacitarsi di
quanto gli sta accadendo. E in
un flash, l’immagine serena
dell’abbraccio con i suoi cari in
partenza per il mare, l’auspicio
di trascorrere con loro un’estate
tranquilla. «Non li raggiunse
Danièle Watts
«Scambiata per una prostituta». Arrestata attrice di «Django»
Su Facebook Danièle e il marito
Nel film più famoso in cui ha recitato, Django,
Tarantino racconta le storture del razzismo. Ma
l’attrice afroamericana Danièle Watts, l’11
settembre, le ha vissute in prima persona. Stava
camminando con il marito a Hollywood mentre
faceva una telefonata al padre. Ma, fermata dalla
polizia, è stata arrestata. Secondo la versione dei
due (scritta su Facebook) l’attrice sarebbe stata
fermata perché sospettata di prostituzione. Il
dettaglio è che il marito della Watts, Brian James
Lucas, è bianco. Sulla pagina Facebook dell’attrice
si legge: «Stavo parlando con mio padre al
cellulare quando due ufficiali dello Studio City
Police Department mi si sono avvicinati e mi
hanno ammanettata e costretta a salire sulla loro
auto». Il marito Brian James Lucas ha aggiunto:
«Forse qualcuno vedendoci scambiare effusioni
ha sospettato qualcosa di equivoco. Ho dato ai
poliziotti le mie generalità. Danièle si è rifiutata
perché non le sembrava di fare nulla di illegale.
Loro, in risposta al rifiuto, l’hanno ammanettata e
costretta con modi rudi a salire sulla loro auto».
mai — riprende il protagonista
—. Ambrosoli era consapevole
della pericolosità delle sue indagini, aveva più volte ricevuto
minacce e in quel “qualunque
cosa succeda” sintetizzava la
sua apprensione, però pensava
di aver risolto tutto. Non si
aspettava che quella notte sarebbe stata l’ultima».
Un onesto avvocato, ma soprattutto un marito e padre
amorevole: «Era un professionista rigoroso — continua Favino — e dietro quella sua timidezza, quel suo nascondersi
dietro le sigarette si intravedeva
un’enorme umanità. Per un attore — aggiunge — è sempre
un’intrusione quella che si
compie nell’intimità di un personaggio e mi vergogno un po’
nel riproporre la figura di un
marito, alla moglie che lo ha
perso, e quella di un padre ai figli che lo hanno perso. Quando
la signora Anna e la figlia Francesca vennero a trovarci, a sorpresa, sul set sono andato lette-
ralmente in panne: non ricordavo più le battute!».
Un onesto avvocato, un «fedele servitore dello Stato — sottolinea il direttore Rai Fiction
Andreatta — che è molto importante ricordare soprattutto
per le nuove generazioni: la vicenda Ambrosoli è uno snodo
fondamentale di quanto poi è
successo nei rapporti tra malavita, finanza, politica». Interviene in proposito Negrin che sottolinea: «Nella fiction, niente
censure: parliamo di Andreotti,
di Gelli, di Calvi, di Cuccia, dei
rapporti dello Ior di Marcinkus
con la mafia... ». Conclude Favino: «Perché è l’onda lunga di
quella realtà finanziaria e politica che ci ha portato alla disastrosa crisi di oggi. Ambrosoli
non si considerava un eroe, ma
la sua onestà morale lo ha condannato alla fine che ha fatto.
Purtroppo, all’eroe capita spesso di morire».
Emilia Costantini
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Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
Spettacoli 39
italia: 51575551575557
Le iniziative del Corriere
«Scrivi Vecchioni, scrivi canzoni»
In edicola Da oggi 14 cd e un dvd che attraversano quarant’anni di storia dell’artista
Passioni, fede, ansia del futuro
Vecchioni svela i suoi segreti
Il cantautore rivisita il repertorio con una collezione inedita
R
oberto Vecchioni è uno dei cantautori più dotati e longevi del panorama artistico italiano. La sua produzione, in quarant’anni di attività, comprende canzoni di rara bellezza che il
grande pubblico conosce. Ma ve ne sono
tante, meno note, che si rivelano, a distanza di anni, autentici camei ancora da
scoprire. La poetica di Vecchioni continua
a emozionare nel profondo.
Si è così pensato, assieme all’artista, di
creare una sorta di opera omnia attraverso un riassemblaggio tematico di tutta la
sua produzione. Non dunque un greatest
hits, ma un viaggio ragionato nel repertorio di uno straordinario poeta per canzone. «Scrivi Vecchioni, scrivi canzoni» è
una collana di 14 cd e 1 dvd in vendita ogni
settimana con Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport a 9,99 euro più il prezzo
del quotidiano a partire da oggi. Insieme
Il profilo
Chi è
Roberto Vecchioni è
nato a Carate Brianza
(Mi) il 25 giugno 1943.
Nel 1971 debutta
come cantautore con
Parabola , album che
«Parabola»,
contiene la celebre
«Luci a San Siro»
I premi
Ha vinto tra gli altri il
Premio Tenco (1983),
Festivalbar (1992), il
Festival di Sanremo
(2011) e il Premio
Mia Martini della
critica
a ciascun cd un fascicolo che contiene
scritti di Vecchioni, note illustrative, foto.
Per questo viaggio sentimentale senza
uguali, di ogni canzone è stato scelto di
citare solo uno dei versi più significativi.
Un «distillato», in 140 caratteri. Il florilegio è abbinato a immagini dell’archivio
personale del cantautore. I contenuti di
ogni canzone sono evocati con un richia-
mo grafico. «Non assalta treni perché
non ne passan mai. Non rapina banche
perché i soldi sono i suoi» è il verso scelto
per sintetizzare la canzone «Il bandolero
stanco». Oppure «Scommetto che ti giochi il cielo a dadi anche con Dio. E accetterà lo giuro, perché in cielo, dove sta, se
non ti rassomiglia che ci fa?» per «L’uomo che si gioca il cielo a dadi».
In ogni numero l’artista spiega il senso
dell’assemblaggio tematico che ha comportato una sorta di rifondazione del repertorio e il ragionamento sul perché di
certi temi come il divino, i grandi personaggi epici, il senso della vita, del futuro
e della morte. Il titolo di ciascun disco
richiama con chiarezza il tema trattato: gli amori fortunati, quelli sfortunati, l’universo femminile, i figli, la
famiglia, il fato. Vecchioni si mette
a nudo, raccontando in dettaglio
Note e parole
il retroscena, spesso doloroso, di una
canzone, offrendo anche originali e inedite chiavi di lettura. Uno dei brani più
struggenti del cd di apertura è «Le cinque
stagioni» che Vecchioni, ispiratosi a Vivaldi, descrive cosi: «La primavera è la fase iniziale, quella dell’innamoramento;
l’estate l’esplosione della passione; l’autunno è la scoperta del primo tradimento;
l’inverno è l’addio, quando l’amore si fa
malattia e violenza». Ma aggiunge un’altra stagione, la quinta, quella in cui l’uomo impazzisce a causa dell’abbandono.
Il titolo della collana, «Scrivi Vecchioni,
scrivi canzoni» è tratta da un verso della
celeberrima «Luci a San Siro» che troviamo sia nella versione originale, che in
quella eseguita in duetto con Mina nel
primo cd, intitolato «Chiamali ancora
amori». A Eros sono dedicati altri cd come «Per amore» (il 4°) e «Stranamore»
(5°); alle figure femminili, «Donne» (3°);
a Dio, alla fede e al senso della vita e della
morte «Le vie del signore» (6°), «Il bandolo della matassa»(9°) e «La nera signora» (11°). La dimensione più onirica
emerge nell’album «Ho sognato di vivere» (8°), il senso dell’effimero in «Passa la
bellezza» (10°); mentre ai personaggi storici, letterari o leggendari è dedicato «Da
Ulisse a Robinson» (14°).
Mario Luzzatto Fegiz
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Il primo 45 giri nel 1968
Dopo un’esperienza con i Pop
Seven, Vecchioni pubblica il
primo 45 giri nel 1968, «La
pioggia e il parco». Nel ‘71 il
primo album, «Parabola», che
contiene «Luci a San Siro»
L’inno per l’Inter con Bertini
Roberto Vecchioni è un grande
appassionato di calcio e tifoso
dell’Inter. Nel 1971 scrive
l’inno della squadra nerazzurra,
«Inter spaziale», cantato
dal calciatore Mario Bertini
Con la chitarra
Roberto Vecchioni
ha da sempre
unito musica
e insegnamento
Un professore in cattedra
Vecchioni non ha mai
rinunciato, fino alla pensione, al
suo ruolo di professore di
lettere. Ha insegnato a lungo al
liceo Beccaria di Milano e poi al
Bagatta di Desenzano del Garda
La vittoria a Sanremo
Il cantautore, vincitore del
Festival di Sanremo 2011 con il
brano «Chiamami ancora
amore», premiato sul palco
dell’Ariston con Belén
Rodriguez ed Elisabetta Canalis
L’intervista Viaggio e scelte del musicista tra le pagine di una carriera: c’è un effetto magnifico, i ricordi spezzettati e confusi hanno ripreso consistenza
«In quei 160 brani scorre il tempo tra gioie e debolezze»
MILANO — Vecchioni, che effetto
le ha fatto questo viaggio trasversale
nel suo repertorio?
«Un effetto magnifico. Quel che era
un ricordo spezzettato e confuso ha ripreso consistenza. Così ho capito come nel tempo si cambia pelle e anche
il modo di percepire i sentimenti muta. Stabilisci quale debolezze sei riuscito a superare e quali ti resteranno
per sempre. Centosessanta canzoni
sono una vita intera. E non parlano solo d’amore, ma di come affronti gli altri, le paure, le angosce, le gioie, quel
che ti tieni dentro, gli esempi da seguire».
E quali sono?
«Borges, Pessoa, Van Gogh. Intendiamoci: per la loro vita singolare. Io
non mi sento un maudit della canzone, ma una cosa è certa: l’artista è
sempre un eroe tragico: o vince o
muore».
Cosa ha comportato questa rivisitazione di tutta la sua produzione
artistica?
«Tutto il tormento e l’ironia che
comporta il sentirti un uomo del ‘900,
non del 2000. E questa incertezza sul
secolo comprende la scoperta dell’io,
il relativo, le grandi trasformazioni a
cominciare dalla mie. Partito da un illuminismo razionalista, sono arrivato
all’idea di Dio, che non solo mi conforta, ma accende di significato molte
cose che prima non capivo».
E l’amore che aleggia in una gran
parte delle sue canzoni?
«Si tende a concentrare la propria
attenzione sui due momenti fondamentali dell’amore: l’inizio e la fine.
Tutto quel che c’è in mezzo secondo
alcuni non serve a niente. Qualcuno
sostiene addirittura che è solo una ripetizione di minuti. Per altri è la con-
danna per chi non è capace di rimanere solo. In realtà non si vive da soli e
alla meta si arriva in due. Ogni minuto
dell’amore contiene anche inizio e fine: ogni giornata dell’amore è una sfida».
Una canzone della raccolta che
squarcia il cuore?
«“Le rose blu”. Ovvero cosa si è di-
Quindici uscite
Q
Oggi
«Chiamali ancora
amori»
22 settembre
«Giudici, comici
e farfalle»
29 settembre
«Donne»
6 ottobre
«Per amore»
13 ottobre
«Stranamore»
20 ottobre
«Le vie del Signore»
27 ottobre
«Album di famiglia»
3 novembre
«Ho sognato
di vivere»
10 novembre
«Il bandolo
della matassa»
17 novembre
«Passa la bellezza»
24 novembre
«La nera signora»
1 dicembre
«Amici miei»
8 dicembre
«Poesia, musica
e follia»
15 dicembre
«Da Ulisse
a Robinson»
22 dicembre
«Camper» (dvd)
sposti a fare per la salvezza di un figlio
malato. Ho scritto questa canzone
promettendo tutto quello che ho costruito in vita mia, in cambio delle rose, che sono il fiore preferito da mio
figlio, metaforicamente la parte sana
della sua vita».
Ma si prega per ottenere?
«No. Penso che faccia bene pregare
perché ti dà una specie di tensione interna del tipo “io ho fatto tutto quello
che potevo fare. Se mi ascolta, ottengo. Se non mi ascolta non fa nulla”.
Però bisogna in qualche modo parlare, chiacchierare con la Provvidenza e
con Dio o con qualcosa che è più in alto o speri sia più in alto. Ha presente i
canti primitivi? Lo stesso verso per
dieci volte. Probabilmente pensavano:
metti che Dio sia sordo, se lo cantiamo dieci volte, alla decima lo capirà».
Nella collana non manca la canzone vincitrice a Sanremo «Chiamami ancora amore».
«È arrivata subito al cuore della
gente. Sembra una canzone d’amore e
anche politica e un po’ lo è, ma è so-
prattutto una canzone esistenziale. Il
“maledetto buio” non è solo il buio di
Berlusconi o il buio della politica di
destra, è il buio in cui siamo messi
tutti noi, è un buio esistenziale. Anche
se le cose vanno male, se tutto finisce
in un certo modo, l’importante è
amarsi, tenersi per mano e prima o
poi questo buio si diraderà. È il buio
della notte ungarettiana, il buio della
notte di Pascoli, il buio dell’incomprensione del mondo. È il buio di
Kafka perché nella grotta non si entra».
Dei personaggi citati nelle sue
canzoni chi le è più simpatico?
«Alessandro Magno (nella canzone
“Alessandro e il mare”), Rimbaud, Alda Merini, Marco Aurelio».
I più antipatici?
«Sono quasi sempre figure di contorno: Marco Polo, Garibaldi, i fascisti
violenti di “Calabuig”».
Che cos’è la canzone?
«Una specie di stregoneria, una
magia, un rito apotropaico che scaccia
il dolore...».
M.L.F.
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Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
italia: 51575551575557
Eventi
DALLA LIRICA
ALLA DANZA
L’appuntamento Il 18 e il 20
La struttura Il Teatro Grande ha
settembre l’opera di Puccini e una riaperto nel giugno scorso dopo
riduzione per balletto della Carmen quattro anni con le tragedie greche
Pompei
✒
E i Pink Floyd
ridiedero vita
alle rovine
di ENZO d’ERRICO
anni fa,
Q uarantadue
un’altra era geologica per
la musica e per tutto ciò che le
girava intorno. L’industria
discografica aveva spalle
solide e rischiava in proprio
sulla qualità, pur tenendo
sempre d’occhio il mercato. I
gruppi rock sperimentavano
nuove sonorità destinate a
sposarsi con l’aspetto visivo
delle loro esibizioni. Il mondo
dei videoclip era agli albori e le
band si affidavano ai film per i
progetti più ambiziosi. E quei
film avevano un pubblico che
oggi non esiste: a parte pochi
reduci del passato, infatti,
nessuno entrerebbe più in una
sala per assistere a due ore
ininterrotte di concerto. Siamo
condannati al frammento, ai
singhiozzi di una fruizione
parcellizzata, alla girandola
delle playlist. Eppure, per chi
naviga oltre il promontorio dei
cinquant’anni, quei quattro
giorni d’ottobre del 1972 che
scandirono le riprese di «Pink
Floyd at Pompei» sono ancora
un ricordo da custodire
gelosamente. A Napoli il film
venne proiettato in una sala
d’essai chiamata «No» (una
particella avversativa ormai
desueta, ma che all’epoca
veniva pronunciata di
frequente) e si faceva la fila
per entrare a vederlo. Quel
cinema non esiste più: al suo
posto, da tempo, c’è un
parcheggio sotterraneo. Roger
Waters e compagni suonarono
dal 4 al 7 ottobre nell’antico
anfiteatro deserto, superando
un mucchio di problemi
tecnici. Basta dire che per
portare l’energia elettrica fra i
ruderi dell’arena fu necessario
un lunghissimo cavo che
collegasse l’amplificazione alla
centralina degli uffici
comunali, attraversando le
strade del paese come un
serpente. Ma, rivedendo oggi
la pellicola, l’anfiteatro rimane
il protagonista principale:
respira, splende, incanta.
Come tutti i luoghi accarezzati
dall’alito della vita. Perché non
è archeologia lo scavo dei
reperti, ma l’ottusità di chi si
ostina a tenere lontano il
presente, temendo che possa
distruggere il passato.
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città aperta
(al teatro)
Veronesi porta Bohème. Un anticipo del Festival del 2015
P
ompei, è come un portale
spazio-temporale unico
nel suo genere. Un luogo
evocativo come pochi. «Organizzare un festival negli spazi
dell’antica città — dice il direttore d’orchestra Alberto Veronesi — è un messaggio internazionale, anzi universale. Mi
trovavo in Cina qualche giorno
fa e ho scoperto che la storia di
Pompei è sui loro libri di testo».
L’area degli scavi ospiterà un
festival triennale che verrà
inaugurato il 18 settembre con
la Bohème. Sul podio il maestro
Veronesi che ha già diretto orchestre in situazioni analoghe.
«L’idea di un Festival lirico a
Pompei riprende un esperimento da me fatto in precedenza nel sito archeologico di Giar-
dini Naxos — dice —. Ho notato che con operazioni simili si
crea una connessione particolare tra il sito archeologico e il
pubblico, perché il luogo esalta
il lato artistico». La musica della Bohème è affidata all’orchestra del teatro Bellini di Catania
con Vittorio Grigolo che impersonerà Rodolfo, la soprano Jessica Nuccio sarà Mimì e Maria
Canfora, Musetta. Sabato 20, il
Balletto del Sud con coreografie di Fredy Franzutti metterà
in scena una riduzione coreografica della Carmen di Bizet.
«Sarà anche il gemellaggio
tra due vulcani — continua Veronesi — se il luogo del concerto è sotto al Vesuvio, l’orchestra
arriva da una provincia etnea. Il
cast è prestigioso e devo rin-
Sul podio
Il direttore Alberto Veronesi
(Milano, 1967): a Pompei
dirigerà l’orchestra del Teatro
Massimo Bellini di Catania
graziare artisti come Vittorio
Grigolo che per l’occasione viene da New York, e tutti gli altri.
È un evento importante, altri
miei amici come Placido Domingo, Roberto Alagna, An-
Il ritratto Il Rodolfo del titolo pucciniano che ripercorre la fama di Pavarotti
Grigolo, tenore-guascone amato negli Usa
che sogna di scrivere una «pop-opera»
V
ittorio Grigolo è Rodolfo, il protagonista maschile della Bohème che riporta
la grande musica a Pompei. «È un evento incredibile — dice — questo luogo potrebbe
diventare l’Arena dell’opera del Sud». Grigolo rinverdisce la figura del tenore-guascone,
riveduta e corretta nel segno dei tempi.
Trentasette anni, nato ad Arezzo ma cresciuto a Roma, è il tipico cantante solare, estroverso, impetuoso, impulsivo, spontaneo,
furbo, poco diplomatico, italianissimo. Dice
che le vecchie signore in platea deve farle
sentire amate come Giulietta. Di bell’aspetto
e guascone sì, ma simpatico, magari un po’
kitsch, ma non sbruffone. Ha un modo di
porsi tagliato su misura per gli spettatori
americani, che stravedono per lui, l’hanno
pure soprannominato (sbagliando) «Pavarottino». A Roma debuttò a 13 anni, come
Pastorello nella Tosca proprio con Pavarotti.
Lo conobbe, Lucianone, a Pesaro, un mese
prima della sua morte: era a letto, aveva la
flebo, gli disse: «Ciccio, tu non sei un tenore
ma un signor tenore. Non ce ne sono tanti.
Vai in America e prenditi il successo che meriti». Al Metropolitan Grigolo è di casa, lo
scorso anno ha cantato un Rigoletto che un
regista di Broadway ha ambientato in un casinò di Las Vegas, e il direttore Fabio Luisi,
ligure serio e riservato formatosi in Germania, ha mandato giù il rospo. Ma lui la pensa
esattamente come Angela Gheorghiu: il
pubblico va all’opera per l’acuto del cantan-
te, prima che per l’autorevolezza del direttore. Grigolo si considera un entertainer,
il palco come il ring,
il pubblico devi conquistartelo sera dopo sera.
Una volta riuscì a far cantare «Torna a
Surriento» e «Arrivederci Roma» a
Oprah Winfrey, la popolare conduttrice
Usa, a bordo dello yacht che li ospitava entrambi, di proprietà di Barry Diller, marito
di Diane von Furstenberg. Negli Usa ha lavorato con il gruppo femminile Pussycat Dolls,
nate come corpo di ballo burlesque; aveva
un progetto con Robin Williams, che era suo
amico e ogni tanto strapazzava a calcetto.
Quando incontrò a Windsor Carlo d’Inghilterra, scavalcando il protocollo lo apostrofò
con «Hi Carlo, come va?», e gli mise tra le
mani un suo cd autografato. Ha la passione
per le automobili, guida una Porsche da lui
costruita, riconosce un modello e una marca
dal rumore di uno sportello. Dice che per restare in cima bisogna rinnovarsi. Gli piace
scompigliare i generi, mischiare le carte. Ha
perseguito per anni l’idea di rinfrescare la lirica «poppizzandola», portandola al grande
pubblico. Voleva scrivere proprio una «popopera», sognando un linguaggio contemporaneo tutto da immaginare: «Non è il crossover alla Bocelli: il protagonista è un vero
cantante d’opera che fa melodie poppeggianti con la voce allenata di chi lavora senza
microfoni», ci disse in una lontana intervista. Ci ha dovuto rinunciare, «ma siccome
sono un testardo, vado avanti per fare tutto
quello che si può per avvicinare sempre di
più i giovani alla lirica». Alla fine lo salva
l’istinto. Anni fa il discografico e produttore
tv Simon Cowell, l’inventore di X Factor, gli
propose di entrare nel Divo, un ensemble di
tenori pop. Vittorio registrò una cover di
Mariah Carey, poi capì che il sistema lirica
l’avrebbe fatto fuori, si sarà ricordato della
Scala, e rinunciò a quella tentazione.
Valerio Cappelli
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drea Bocelli, Jonas Kauffman,
Maria Agresta, He Hui, Norma
Fantini, Daniela Dessí, Angela
Gheorghiu saranno invitati e
hanno già dimostrato interesse
ad essere presenti».
I teatri della città sepolta dal
Vesuvio sono stati utilizzati in
passato per eventi analoghi e
per altri generi musicali. Dai
Pink Floyd, che lo usarono come set agli inizi degli anni Settanta, a Frank Sinatra che nel
1991 cantò per una diretta di
Rai 1. La musica classica è stata
spesso ospitata nella spettacolare arena con il maestro Riccardo Muti e l’orchestra Luigi
Cherubini, l’ensemble del teatro di San Carlo, i Carmina Burana, ma anche la musica etnica come quella degli Inti Illima-
ni e Violeta Parra fino ad arrivare a Claudio Baglioni ed eventi
pop seguiti da polemiche come
lo show di Alessandro Siani. Il
Teatro Grande ha riaperto nel
giugno scorso ospitando l’Agamennone e le Coefore/Eumenidi di Eschilo, dopo quattro anni
di sequestro della struttura ordinato dalla magistratura di
Torre Annunziata per indagini
sugli appalti relativi alla ristrutturazione.
«Non è escluso che in programma potrebbero esserci altri generi musicali — dice il
maestro Veronesi — intanto
anche il cartellone programmato da giugno 2015 è prestigioso e contiamo su spettatori
italiani e stranieri. Ho già in
mente di mettere i sottotitoli in
Mattatore
Il tenore Vittorio Grigolo
(Arezzo, 1977). Sotto nel
ruolo di Rodolfo in una
Bohème di qualche anno
fa al Met di New York
Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
Eventi 41
italia: 51575551575557
La guida Il Pompei Festival si apre il 18
settembre alle 21 con La Bohème di
Puccini al Teatro Grande. Coro e
orchestra del Teatro Massimo Bellini di
Catania diretti dal maestro Alberto
Veronesi. Sabato 20 alle 21 in scena il
balletto in due atti Carmen con musiche
di Bizet con la compagnia Balletto del
Sud e le coreografie di Fredy Franzutti.
Nel giugno 2015 in programma «L’ultimo
giorno di Pompei» di Pacini, «Carmen» di
Bizet, «Tosca» di Puccini, i danzatori del
Bolshoi e del Royal Ballet. Nell’Anfiteatro,
Aida e il Requiem di Verdi
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Il passato Pompei e l’intensa attività teatrale, come rivelano graffiti e affreschi
Methe, Cestilia e le altre
Le donne di scena come star
Prima dell’eruzione, una città che amava le sue attrici
di EVA CANTARELLA
N
Suggestivo
Una panoramica del Teatro
Grande di Pompei: poteva
contenere 5.000 spettatori. Nei
pressi, l’Odeion o Teatro Piccolo
cinese per l’anno prossimo». Il
calendario del 2015 prevede tra
l’altro Carmen e l’Aida. La stagione prenderà il via il primo
giugno con un’opera ispirata al
luogo, L’Ultimo Giorno di Pompei, di Giovanni Pacini. «Nel
grande spazio dell’antico teatro
— aggiunge Veronesi — siamo
Platea allargata
«Il luogo esalta il lato
artistico e attira la gente,
per il futuro penso ai
sottotitoli in cinese»
Il sovrintendente
«In programma il
recupero dell’arena da
20 mila posti: avverrà
grazie ai soldi dei privati»
alla ricerca di una connessione,
di un ponte fra due civiltà:
quella dei pompeiani e quella
contemporanea. Ma c’è anche
l’idea, contenuta nella legge
Franceschini, di perseguire, oltre alla tutela anche la valorizzazione dei Beni Archeologici e
Museali, attraverso l’ArtBonus,
che metterà in grado chi investe di ottenere il 65% del credito
di imposta entro il 15% dell’imponibile: questo è stato un altro
degli elementi decisivi».
Grazie a questo stimolo ora
Pompei guarda a un altro spazio da destinare agli spettacoli,
l’arena. «Il suo recupero avverrà grazie a finanziamenti privati — dice il Soprintendente
Massimo Osanna — c’è uno
studio sull’agibilità della struttura da 20 mila posti, commissionato all’architetto Paolo
Portoghesi».
Biagio Coscia
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La composizione
el 79 d.C., quando scomparve,
Pompei era una città fiorente,
vivace e cosmopolita, nella
quale diverse etnie e culture si
erano nel tempo incontrare e al di là
degli inevitabili problemi (e a volte veri e propri conflitti bellici) si erano alla
fine amalgamate. Il primo nucleo di
abitanti del luogo, nel VII sec. a.C., era
composto da popolazioni osche. Grazie alla posizione particolarmente felice dello stanziamento, allo sbocco marittimo della ricca e produttiva area
agricola dell’entroterra campano, la
comunità divenne presto una fiorente
cittadina, che nei primi secoli della sua
vita subì l’influsso sia degli Etruschi
(all’epoca ampiamente presenti nella
zona), sia dei Greci la cui cultura (a seguito della sconfitta degli Etruschi da
parte di una coalizione cumano-siracusana, nel 474 a.C.) prese peraltro il
sopravvento. Verso la fine del V secolo
una nuova popolazione, i Sanniti, calò
dalle sue povere montagne stanziandosi tra l’altro anche a Pompei, e per finire nell’81 (secondo alcuni l’80) a.C.
giunsero i Romani. Pompei, infatti, insieme agli altri alleati italici di Roma (i
socii italici), stanchi di essere di fatto
trattati come dei sudditi, aveva preso
le armi per ottenere la cittadinanza romana, ma nell’89 era stata assediata da
Silla, che dopo averla espugnata vi
aveva stanziato una colonia. Pompei,
insomma era un amalgama di etnie e
di culture diverse, ciascuna delle quali
aveva lasciato le sue tracce, contribuendo a renderla una città aperta, viva e pronta a recepire le novità.
La sua economia era fiorente. La
straordinaria fertilità dell’agro campano aveva consentito di sviluppare diverse industre che esportavano i suoi
Il terzetto Affresco con attrici comiche nella villa di Cicerone a Pompei
prodotti. Il vino locale veniva venduto
oltre che in Italia in Francia, Spagna,
Africa e Germania. Fiorenti anche l’industria della ceramica e quella tessile ,
nonché la produzione di calzature.
Tutto contribuiva a consentire agli
abitanti della città una vita piacevole e
varia, arricchita da una intensa vita
culturale e da una serie di svaghi tra i
quali, in particolare, frequenti rappresentazioni teatrali. Dopo un lungo periodo nel quale queste avevano avuto
❜❜
Il ruolo
❜❜
I soprannomi
Non potevano recitare
nelle tragedie e nelle
commedie, dominavano
nelle pantomime
Arrivavano spesso
con le compagnie dei
girovaghi: dall’Atellana
a Novella Primigenia
luogo in strutture provvisorie di legno
erette nelle piazze e davanti ai templi,
nel secolo a.C. la città si dotò di un edificio teatrale in muratura, il Teatro
Grande, eretto presso il margine meridionale della città, la cui capienza, a
seguito dei restauri di età augustea, arrivò fino a 5.000 persone. A darci
un’idea delle popolarità di queste rappresentazioni sono i graffiti conservati
sui muri della città, che testimoniano,
in particolare, dell’entusiasmo dei
pompeiani per le attrici che giungevano al seguito di compagnie girovaghe.
Anche se non potevano recitare nelle
tragedie e nelle commedie, ma solo
nelle pantomime e nei mimi vi erano
infatti numerose donne che calcavano
le scene pompeiane: una certa Methe,
ad esempio, definita attrice della «atellana» (un tipo di commedia di origine
italica, così chiamata da Atella, in
Campania); una Histrionica Actica,
della compagnia di Aniceto; una Novella Primigenia, forse identificabile
con una Primigenia di Nocera, il cui
nome appare insieme a una serie di
graffiti di saluto di una troupe di attori
girovaghi. E poi una Cestilia, evidentemente molto apprezzata e popolare al
punto da essere salutata come «la regina dei pompeiani».
L’attività teatrale a Pompei, insomma, era intensa, non solo nel Teatro
Grande ma anche nell’Odeion (che poteva ospitare circa 1.500 persone), costruito a fianco del teatro nei primi decenni della colonia sillana, verosimilmente destinato ad audizioni musicali,
scene mimiche, recitazioni e forse anche declamazioni letterarie e poetiche.
L’interesse per il teatro dei pompeiani traspare anche dalle raffigurazioni
parietali con soggetti tratti da tragedie
e commedie, e dall’ingente numero di
maschere realizzate in marmo, in mosaico e in pittura, che decorano molte
case della città. È bello, a distanza di
quasi due millenni, vedere questo teatro tornare a vivere. Peccato solo (impossibile tacerlo) che ciò accada in un
edificio, come il Teatro Grande, irrimediabilmente devastato da improvvide (a dir poco) opere di cosiddetto
restauro.
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A Pompei un balletto ispirato all’opera di Bizet. Che conferma così la sua fortuna
Danza, musical e pubblicità
Lo «spirito» libero di Carmen
Scelta da ogni media. Per la passione e il virtuosismo
di GIAN MARIO BENZING
I
n fondo è giusto così: «Libre elle est
née et libre elle mourra!», «Libera è
nata e libera morrà», canta di se stessa
la zingara-sigaraia in faccia a Don José, a un passo dalla morte. Carmen
non appartiene al doganiere come
non appartiene al torero, forse non
appartiene completamente neppure a
Bizet (e non solo perché, sappiamo, la
famosa «Habanera» rivisita un’omonima pagina di Sebastián Iradier).
Carmen è libera, la donna come l’opera, e le sue avventure non finiscono
mai. Può trasformarsi in balletto, è
successo varie volte: succederà al festival di Pompei il 20 settembre, con la
«Carmen» firmata dal coreografo Fredy Franzutti, a conferma di una fortuna che rasenta l’«universalità».
Per narrare sulle punte i colori, la
passione e la tragedia di Carmen,
Franzutti, con la collaborazione di un
fine pianista quale Francesco Libetta,
accosta gli highlights dell’opera di Bi-
zet ad altri «sguardi» spagnoli: nella
scena della rosa, ad esempio, ascoltiamo «España» di Chabrier, e via via si
scoprono anche spunti da Massenet e
da Albéniz. Trasformazioni, contaminazioni: «Carmen» è open source.
Interpretazioni
Le rivisitazioni e le fantasie
musicali sul soggetto non si
contano: acrobatica quella
per violino di Sarasate
Lo è oggi e lo è stata nella storia. Le
statistiche del sito operabase.com
parlano chiaro: anche in queste ultime cinque stagioni (2008-2013), se
l’opera più rappresentata al mondo risulta «La traviata», con 553 allestimenti (per forza, c’era in corso il centenario verdiano), «Carmen» è pur
sempre seconda (su 2.415 titoli), con
ben 477 allestimenti. La fama dell’opera, esaltata da Nietzsche contro
Wagner, ha conosciuto fin dal debutto
(1875) un’estrema popolarità e un
amplissimo campo di rivisitazioni.
Tutti ricorderanno lo spot del detersivo liquido che, sulle note di
«L’amour est enfant de Bohème», intonava «Igiene sì, fatica no»; lo stesso
tema sui cui danzano il notaio e Adelaide Bonfamille, la canuta Madame
degli «Aristogatti» (ex cantante, che
proprio con «Carmen» ha conosciuto
un grande successo: per questo uno
dei gattini, nella versione italiana, si
chiama Bizet...); i bambini di oggi
sanno che, nei «Little Einsteins» della
Ironia
Un’illustrazione di Carmen per il
Journal
Amusant
(1875); a sinistra Georges Bizet
(1838-1875)
Disney, il canguro Joy salta sul refrain
«Toreador, en garde!»...
Da qui in su, la musica di «Carmen»
sembra la più citata e rielaborata della
storia (testa a testa forse solo con certi
corali luterani...). Al polo opposto rispetto al detersivo potremmo porre la
«Kammerfantaisie» del dottissimo
Ferruccio Busoni (1920): una Sonatina per pianoforte, in cui la romanza
del fiore, la Habanera e il tema del Destino si intrecciano con modulazioni
abrasive, dissonanze, spunti politonali, in una costruzione di scheggiata
drammaticità.
Nel mezzo, c’è di tutto. Per la scena
e non. A Bizet si rifanno Oscar Hammerstein II, con il musical «Carmen
Jones», che nel film omonimo (1954)
ha la voce di Marilyn Horne; o la curiosa versione tanguera di Daniel Pacitti, «Carmen de los Corrales», ambientata nella malavita di Buenos Aires, con i recitativi in «lunfardo», lo
slang dei banditi locali...
Uno dei cavalli di battaglia di James
Galway è da sempre la «Fantaisie brillante sur “Carmen”» di François Borne per flauto e piano, la cui vetta di
pazzesco virtuosismo è la variazione
sulla chanson «Les tringles des sistres
tintaient» nel finale. Ma è soprattutto
il violino, con la sua aura tziganoispanica, il più incline a ispirarsi alla
fatale sigaraia: variazioni ad altissimo
tasso acrobatico sono la scoppiettante
«Fantasia da concerto» di Pablo de Sarasate (1883), con le temibili volate su
«Près des remparts de Séville» e il finale, al limite del sovrumano, ancora
sui temi della chanson nella taverna di
Lillas Pastia; e così la «Fantasia brillante» di Jenö Hubay o quella di Waxman per violino e orchestra (1947).
Senza dimenticare le riletture sinfoniche come la «Chanson Bohème»
di Moritz Moszkowski (1906) o la trascinante «Carmen-Quadrille» di
Eduard Strauss op. 134, che traduce
Bizet in puro spirito viennese (1876),
citando, con la Habanera e le melodie
più famose, anche il coro «Avec la garde montante...» o il concertato
«Quand il s’agit de tromperie...». La
fortuna di «Carmen» perdura ai nostri
giorni, ben oltre i cartoon: pensiamo
al «Capriccio» (1989) del giapponese
Shinichiro Ikebe, a «La tragédie de
Carmen» di Marius Constant rappresentata da Peter Brook (‘81) o alla
«Carmen-Fantasy» per violoncello e
piano di Buxton Orr (‘87): Carmen è
come l’amore, «un oiseau rebelle», e
continua a volare dove vuole...
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Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
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italia: 51575551575557
Sportlunedì
Serie A
2a giornata
CAGLIARI-ATALANTA
EMPOLI-ROMA
FIORENTINA-GENOA
INTER-SASSUOLO
JUVENTUS-UDINESE
1-2
0-1
0-0
7-0
2-0
LAZIO-CESENA
NAPOLI-CHIEVO
PARMA-MILAN
SAMPDORIA-TORINO
VERONA-PALERMO
3-0
0-1
4-5
2-0
oggi
Classifica
MILAN
JUVENTUS
ROMA
INTER
SAMPDORIA
*una partita in meno
6
6
6
4
4
ATALANTA
LAZIO
NAPOLI
UDINESE
CHIEVO
4
3
3
3
3
CESENA
PALERMO*
VERONA*
CAGLIARI
GENOA
3
1
1
1
1
FIORENTINA
TORINO
SASSUOLO
EMPOLI
PARMA
1
1
1
0
0
MotoGp A Misano trionfo del pilota italiano
Rossi
Vale
ancora
Il Dottore torna a vincere
davanti ai suoi tifosi
dopo un anno di attesa
e 18 dal suo primo successo
Felice Valentino Rossi, 35 anni, di nuovo vittorioso
nella MotoGp sul circuito di Misano (Epa)
Serie A Le due milanesi danno spettacolo nella seconda giornata, la squadra di Inzaghi trascinata da Ménez raggiunge in testa Juventus e Roma
Inter Milan show
I nerazzurri si scatenano I rossoneri passano in dieci
Sassuolo battuto con 7 reti sul Parma di Cassano
come nella scorsa stagione soffrendo ma segnando 5 gol
Il commento Il Napoli sta vivendo una crisi ambientale, la Fiorentina si trincera dietro la solita sfortuna
Punti e gioco, è il ritorno di Milano
di MARIO SCONCERTI
È
Tripletta
Mauro Icardi
21 anni,
3 gol con
il Sassuolo
(Pegaso)
tornata Milano, la vera notizia è
questa. È tornata nei punti (10 non
ne ha messi insieme nessuno, né Roma, né Torino, Genova o Verona), è
tornata nel gioco e in una completezza
di schemi che si faceva fatica a immaginare. Non è chiaro quanto abbiano
contato gli avversari. Il Sassuolo è
parsa una foglia al vento, ma era lo
stesso che si è salvato pochi mesi fa. Il
Parma è quasi irriconoscibile, poco
equilibrato in mezzo e senza una difesa che sappia rimediare, ha cambiato
molto, è un po’ troppo gonfio di vecchie glorie. Ma Milan e Inter hanno
avuto il merito di giocare bene, in modo chiaro, quasi inevitabile. Nell’Inter
Mazzarri ha corretto l’errore di base
dell’esordio. Molto difficile giocare
con due fantasisti dietro a un attaccante come Icardi. I fantasisti hanno
bisogno di appoggiarsi e qualche volta
riavere la palla. Icardi è un attaccante
che tira, non gli interessa il dialogo.
Così la parte offensiva si spacca un po’
in due. Col Sassuolo il rimedio è stato
Osvaldo, il secondo attaccante. Hernanes e Kovacic sono potuti partire
pochi metri più indietro e hanno avuto
più spazio per far pesare le idee e le
conclusioni. Non contano molto i sette
gol, potevano essere tre sarebbe stato
lo stesso.
L’Inter adesso è una squadra che sa
stare anche in una metà campo affollata di gente che vuole solo difendersi,
dandosi velocità. Dodò ha portato altra energia, Medel è un riferimento
per tutti. Si vedono equilibrio e sufficiente fantasia. In più c’è Icardi. Questo è un grande attaccante, aumenta
bagaglio tecnico a ogni partita. In 55
gare ha segnato 22 gol, media 0,40, al-
ta per chiunque, quasi impossibile per
un ragazzo.
Il Milan ha meno abitudine a se
stesso, fa ancora un po’ confusione,
prende tanti gol perché è un po’ storto,
ma è cambiato tanto. Sembrava solo
dedito al contropiede, a Parma ha vinto facendo la partita. Non ha più grandi campioni, ma è pieno di gente che sa
giocare a calcio. In un torneo un po’
freddo come questo può diventare
competitivo. La domanda adesso è
quella solita: dove possono arrivare?
La prima risposta è che sono ancora
sotto Juve e Roma, ma rispetto a un
anno fa sono cresciute molto. Se continuano questa piccola scia iniziale possono trovarsi dentro altre doti, comin-
Il gap da colmare
Juve e Roma sono sempre
davanti, ma i gruppi
di Mazzarri e Inzaghi stanno
crescendo velocemente
Punti di forza e debolezze
I rossoneri fanno ancora
un po’ di confusione, ma tanto
è cambiato. I nerazzurri sono
equilibrati e con un Icardi super
ciare a chiudere il distacco. È quasi inutile
ricordare che la prossima giornata c’è Milan-Juve. Mi sembra comunque più avanti
l’Inter, più lavorata, già sufficientemente discussa, complessivamente
più pronta a raccogliere.
Intanto cede improvvisamente il
Napoli. Tira molto ma nemmeno in
modo irresistibile. Sembra una vera
crisi ambientale. Tutti sono scettici su
tutto, dalla gente alla squadra. Tutto è
un po’ bizzarro. Mai sentito di un allenatore che se ne va per una settimana
e torna tre giorni prima della partita.
Stanno arrivando i limiti di chi fa fatica a cambiare dimensione. Fatto un risultato, si pensa non ci sia più bisogno
di riconquistarlo. Qualcosa del genere
sta capitando anche a Firenze. Gomez
viene sostituito, la squadra non segna. Anche a Firenze mi sembra abbiano già la sfortuna come grande lavandino. Più che dei martiri, ogni tanto servirebbero anche gli eroi.
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Top Keisuke
Honda, 28,
ha segnato
anche
con il Parma
(Liverani)
44 Sport
Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
italia: 51575551575557
Mondiali di basket
Serbia strapazzata
L’oro resta agli Usa
Il miracolo da compiere, questa
volta, era troppo grande. Non è
riuscito: la rinnovata e giovane
Serbia di Sasha Djordjevic non ha
potuto impedire che Team Usa
conquistasse l’oro al Mondiale di
basket, confermando quello del
2010. 129-92 il punteggio, non c’è
stata storia perché i serbi hanno
tenuto solo nei minuti iniziali (15-7).
Ma quando si è scatenato Kyrie
Irving (foto), la partita è diventata a
senso unico: con un parziale di 15-0
gli statunitensi hanno ribaltato il
punteggio e preso il comando, per
poi imprimere una svolta al termine
del primo quarto (35-21). Il
martellamento è proseguito e già nel
finale del secondo quarto il
vantaggio era salito a 30 punti (6535). Il resto è stato una passerella
per celebrare i campioni, ma anche
per rendere omaggio all’argento dei
serbi, che in un anno sono riusciti a
cancellare il deludente 7° posto
europeo, lasciando solo il bronzo alla
Francia campione continentale.
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MotoGp Il Dottore trionfa a Misano e supera Capirossi per età tra primo e ultimo successo
Rossi il campione infinito
si riprende la vittoria in casa
Vale domina, Marquez cade, Lorenzo si arrende
Ora è il pilota più longevo della storia del Mondiale
✒
mesi e 12 giorni fra la prima e
l’ultima vittoria. Oggi c’è Rossi. L’ex recordman, un signore,
si è complimentato con Valentino in diretta tv. Giacomo
Agostini al muretto Yamaha lo
aveva fatto addirittura a 10 giri
dalla fine della corsa, quando
già sorrideva sereno intorno a
tanti volti tesi: abituato ai
trionfi, da mito a mito, Ago sapeva in anticipo come sarebbe
finito questo giorno perfetto
con il cielo blu, l’aria elettrica,
il popolo giallo nell’arena piena, una Yamaha che andava da
paura e il polso di Vale in stato
di grazia.
A cinque anni dalla sua ultima vittoria italiana (6 settembre 2009, sempre qui) e a oltre
un anno dall’ultima in assoluto (29 giugno
2013 ad Assen),
Rossi ha trionfato in grande stianni e 27 giorni
le, partendo da
dalla prima vittoria di
lontano. Da un
Rossi nel Motomondiale
weekend di lavoro senza errori; da una super
Yamaha nata per
questo asfalto;
anno e 77 giorni
da un grande
dall’ultima vittoria
stato di forma
di Rossi in MotoGp
psicofisica; dalla
spinta della proLo sport non mente mai, e pria terra, che storicamente ha
fonda l’epica sui fatti. Senza il sempre moltiplicato i suoi già
cronometro, i gol, i sorpassi e i notevoli talenti. Sicuro di sé
canestri, non c’è chance di di- alla vigilia, primo anche nel
ventare leggenda. Il fatto indi- warm-up del mattino, il camscutibile di ieri — che vola so- pione è partito con la sicurezza
pra il tifo e le opinioni delle dei tempi antichi e, quando
gente che ne invocava addirit- Lorenzo è scattato dalla pole,
tura il ritiro durante il terribile gli si è messo subito dietro in(e però istruttivo) biennio in seguito da Marquez. Da qui,
Ducati — è che nessuno è co- tre sono state le scene madri
me Valentino perché, a parte il memorabili. Prima, al secondo
palmares ben noto, nessun pi- e al terzo giro, due spettacolari
lota di motociclette è mai stato scambi di sorpassi e controcosì ad alto livello per così tan- sorpassi con Marquez da cui
to tempo. Prima di lui c’era Lo- Rossi è uscito vincente: «Lui
ris Capirossi, con 17 anni, 5 ama le mosse teatrali, come a
DAL NOSTRO INVIATO
Mai dire
al migliore
che è finito
di ROBERTO DE PONTI
S
arà magari soltanto una
questione di cognome, Rossi,
ma con Valentino l’effetto
Spagna ’82 è sempre dietro
l’angolo. O meglio, dietro
l’ultima curva. Mai dire che il
Dottore è arrivato, che il
Fenomeno è finito, che la
meravigliosa e vincente carriera
di Vale è ormai al capolinea: con
un colpo di gas, Valentino Rossi
sposterà il traguardo ancora
più lontano, e scendendo dalla
moto dopo un’altra vittoria vi
guarderà con l’aria beffarda di
chi pensa «ve l’avevo detto, io».
L’effetto Spagna ’82 è quella
combinazione di sensazioni che
impedisce, anche nei momenti
più bui, di considerare finita
un’avventura sportiva: ne fu
protagonista la Nazionale
italiana di calcio, che dopo una
disonorevole prima fase si mise
in silenzio stampa e infilò
quattro vittorie quattro e un
titolo mondiale che nessuno,
nemmeno il tifoso più
ottimista, avrebbe mai
pronosticato. Da allora,
nessuno più si azzarda a dare
per spacciata una squadra
italiana, anche se moribonda,
perché non si sa mai. Valentino
Rossi, nove titoli conquistati in
tutte le classi del
Motomondiale, ha dovuto
digerire più di un invito a
scendere dalla sella e a lasciare
spazio ai giovani, soprattutto
ora che il suo erede Marquez ha
dimostrato di essere pronto a
diventare il nuovo cannibale. Si
è sentito dire che era vecchio,
che non aveva più stimoli, che
non aveva più il polso di un
tempo. Ha incassato le critiche,
ha fatto sommessamente
notare (inascoltato) che si
sentiva ancora un giovincello,
si è rimesso al lavoro e con
umiltà ha cominciato a studiare
il suo nuovo rivale, per arrivare
a batterlo. E ieri l’ha battuto,
indiscutibilmente. Vecchio a
chi? Oggi, dopo questa vittoria,
si potrebbe pensare che il
Dottore non è più da corse a
tappe (leggi Mondiale), ma di
sicuro può fare ancora qualcosa
nelle gare di un giorno. Ma
Rossi ha già obiettato: «L’anno
prossimo lotterò per il titolo». È
ormai chiaro che solo una
persona potrà dire che
Valentino Rossi è finito: si
chiama Valentino Rossi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
MISANO ADRIATICO —
Quando un giorno ti chiameranno vecchio, prendi esempio da Valentino e ti sentirai
un Highlander. Era il 18 agosto
1996 quando Rossi vinceva la
sua prima gara a Brno in 125:
un ragazzetto biondo di 17 anni che non pensava al futuro
«perché a quell’età del futuro
non me ne fregava niente».
Oggi — 18 anni e 27 giorni dopo — quel ragazzetto con un
po’ più di barba ma con lo
stesso lampo negli occhi azzurri è ancora qui che vince, e
stupisce, e stavolta un po’ si
stupisce pure lui, il Freddo per
antonomasia: «Un giorno quasi commovente».
18
1
Laguna Seca l’anno scorso. Ma
stavolta gli è andata male»,
sorriderà Vale alla fine. Poi, al
quarto giro, Rossi e Marquez
che passano in sequenza Lorenzo: è lì che Jorge perderà la
sua corsa, accumulando uno
svantaggio decisivo. Infine, al
decimo giro, la caduta di Marquez mentre inseguiva a tre
decimi di distanza: in piega
estrema come sempre, l’anteriore della Honda si è chiuso e
stavolta cordolo e gomito non
hanno aiutato il gatto a sconfiggere la gravità. Crash. Marc
si sarebbe rialzato dopo una
vita, ripartendo e finendo 15°,
con un solo punto e il manto
spelacchiato. «Mi sono rilassato, ho commesso un errore,
sorry», spiegherà MM. «Ha
voluto fare “all-in” — ha chiosato Rossi —. Ma comunque
avrei vinto lo stesso».
Sullo scivolone di Marquez
la gara è finita. A un tratto, intorno a metà, è parso che Lorenzo potesse accorciare le distanze, ma era solo suggestione. Rossi ne aveva di più e il
La prima volta
È il 18 agosto 1996 quando il 17enne Valentino Rossi conquista la sua prima gara mondiale, il Gp della Rep. Ceca
nella classe 125. Da allora
107 Gp vinti
suo ormai ex capitano non
l’avrebbe acchiappato nemmeno se i due avessero continuato a correre fino a notte.
Quanto a Pedrosa, terzo, o alle
splendide Ducati di Dovizioso
(quarto a soli 5’’5 dal primo, il
segnale di una crescita continua) e Iannone (quinto), per
favore non scherziamo: bravi,
ma in un’altra Lega.
E così si torna all’origine:
quanti campioni conosciamo
capaci di restare a questo livello così a lungo? Anzi, quanti ne
conosciamo capaci di passare,
dopo anni di gloria, attraverso
infortuni, errori, rottamazioni
anticipate, sconfitte tremende
e, anziché crollare, rinascere
più forti? Intanto che ci pensiamo senza trovare un altro
nome, Rossi è convinto di una
verità che apre nuovi scenari
per il futuro: «Sono il migliore
Valentino di sempre». Poi si dà
all’ultima impresa della sua
giornata perfetta: attraversare
con lo scooter l’oceano paddock invaso dai suoi tifosi.
Battere Marquez è stato più facile.
Alessandro Pasini
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Le parole del Dottore Un muro giallo di tifosi, in pista, al paddock e in tribuna: «Che emozione, mi sono sentito come il Papa»
«Penso di essere il miglior Valentino di sempre»
L’emozione per la coppa dedicata al Sic
«Il mio pensiero è sempre per Simoncelli»
DAL NOSTRO INVIATO
MISANO ADRIATICO — «A un certo punto mi sono sentito come il Papa». Francesco, uomo di sport e adunatore di folle, capirà. Quel muro
giallo sotto il podio, in pista, nel paddock, sui prati, era un delirio che ha
emozionato anche Valentino. «Una
botta di adrenalina, avevo gli occhi
lucidi, a fare il giro d’onore ho impegato un quarto d’ora. Non potrei
chiedere di più...».
Quando ha capito che ce l’avrebbe fatta?
«Sabato notte ho sognato che passavo all’ultimo giro con 2’’2 su Lorenzo, ci sono andato vicino...».
E finalmente ha battuto Marquez.
«Mi chiedevo se avrebbe preferito
controllare la corsa in funzione del
Mondiale. Invece ha voluto fare il “fenomeno” e gli è andata male. Ma
avrei vinto comunque».
La chiave della vittoria?
«Il grande lavoro del team, di Silvano Galbusera (il capotecnico che ha
preso il posto di Jeremy Burgess,
ndr), della Yamaha che mi tratta benissimo. Lottare qui con Lorenzo e
vincere come 5 anni fa è stato fantastico».
Ha battuto il record di Capirossi.
Ne è fiero?
«Bello, ma io sinceramente non
corro per i record».
Se torna indietro di 18 anni e 27
giorni che cosa ricorda?
«A quell’epoca non pensavo a nulla, men che meno a diventare campione del mondo. La cosa più bella
adesso è che sono passato attraverso
tanti momenti difficili, la delusione
Ducati, gli infortuni, il dolore. Essere
di nuovo qui è una scommessa vinta,
perché ci ho sempre creduto».
Ma come si fa a resistere così tanto tempo a questo livello?
«Non bisogna arrendersi né ascoltare chi ti dice che sei vecchio. Importante è continuare a sognare, ma
guardando le cose con la mente lucida».
La ragione che cosa le diceva?
«Che venivo da tre podi di fila, che
avevo fatto quattro secondi posti, che
eravamo in crescita e che il giorno in
cui Marquez non fosse stato a posto,
be’, io ci sarei stato. Questa vittoria è
speciale perché è venuta dopo un lavoro step-by-step che mi rende molto orgoglioso. E poi quella Coppa con
il numero 58 di Simoncelli significa
tanto. Il mio pensiero va sempre al
Sic».
Ha temuto di non vincere neanche una gara quest’anno?
«Sì. E non mi piaceva, perché in
carriera, periodo Ducati a parte, ci ero
sempre riuscito».
❜❜
Bacchettata a Marquez
Stavolta Marc ha fatto
il fenomeno e gli è
andata male. Ma avrei
vinto comunque io
Gli obiettivi per la stagione?
«Lottare con Pedrosa per il secondo posto nel Mondiale, fare altre belle
gare».
In futuro il decimo Mondiale è un
sogno o una possibilità?
«L’obiettivo per cui ho firmato per
altri due anni con la Yamaha è vincere
il Mondiale. Un pilota ci pensa sempre, anche se è ultimo in classifica. Se
non avessi questo obiettivo, farei meglio a stare a casa. È dura, ma ci devo
provare».
A 35 anni è tornato quello di una
volta?
«Io penso di essere il miglior Valentino di sempre. Il problema sono
gli avversari: più giovani, più forti,
più affamati. Ma se vivi bene, da professionista, e ti alleni seriamente, bé,
allora puoi sfidarli. E pure batterli».
al.p.
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Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
Sport 45
italia: 51575551575557
#
Vuelta, tris di Contador. Aru è 5°
Catania, Sannino nuovo allenatore
Come nel 2008 e nel 2012, Alberto Contador conquista la Vuelta davanti a Froome (a 1’10’’) e Valverde (a 1’50’’). Nella 21ª tappa (crono di 9,7 km a Santiago de
Compostela), ha vinto Malori. Nella classifica finale, Aru chiude 5° a 4’48”.
VOLLEY — L’Italia chiude il Mondiale al 13°posto: 3-1 all’Australia nell’ultima
sfida della 2a fase. Alla fase finale Brasile, Russia, Germania, Francia, Polonia e Iran.
In serie B è già tempo di esoneri. Il Catania, ultimo con un solo punto, ha
esonerato Maurizio Pellegrino: fatale la sconfitta interna contro il Perugia
(1-0), capolista del campionato a punteggio pieno. A suo posto ci sarà Giuseppe Sannino, fresco di divorzio con il Watford. In passato aveva allenato il
Palermo. Pellegrino resta al Catania come responsabile del settore giovanile.
Il ritorno Dopo un anno, Valentino Rossi
è tornato a vincere. A Misano ha tagliato
il traguardo davanti a Lorenzo e Pedrosa
(Action Images)
Dietro al successo
La pozione magica del Dottore
e il mix tra moto, pista e lavoro
Dentro questa vittoria ritrovata c’è una fame che Valentino
custodisce nell’età adulta. C’è una ricetta magica, fatta di
ingredienti tecnici. Misano è territorio Yamaha (6 successi negli
ultimi 7 anni). È un circuito che non costringe a continue
ripartenze da curve lente, punto di forza Honda. Piuttosto, curve
veloci, che esaltano telaio e accelerazione Yamaha, migliorati
costantemente quest’anno. In che termini l’ha mostrato Rossi ieri,
sfruttando grip e stabilità nelle pieghe lunghe e veloci. Marquez e
Pedrosa guidano moto strepitose in termini di gestione elettronica
di cambio e motore; Valentino a Misano ha guidato una Yamaha in
costante miglioramento ciclistico e meccanico dopo scelta corretta
della gomma anteriore (a differenza di Lorenzo). Che fosse il posto
adatto per cacciar via ogni titubanza, nell’approccio mentale,
Rossi e il suo tecnico Silvano Galbusera l’hanno compreso nelle
prove libere sull’asciutto, sabato. Cosa che ha ripristinato un
atteggiamento molto aggressivo di Rossi, come segnalato dal
miglior tempo nel warm up, una rarità negli ultimi quattro anni.
Galbusera, del resto, in questo
ritorno alla vittoria di Vale, ha
L’evoluzione
un ruolo decisivo: è un
La Yamaha è in costante mastino, ha ripristinato
miglioramento ciclistico e passione e lavoro nel box, dopo
l’ultima faticosa stagione di
meccanico. Scelta giusta Jeremy Burgess, capotecnico
della gomma anteriore
storico di Rossi. In aggiunta,
Galbusera ha trovato una forma
di relazione con il suo pilota
molto redditizia, basata su decisioni più rapide e fiducia. Un
atteggiamento che si accompagna alla voglia di Rossi — anni 35 –
di migliorare. «Sto imparando» disse ridendo qualche mese fa. A
muovere il corpo spostandosi rapidamente più all’interno della
curva, avanzando nel contempo la posizione della testa, scopo
abbassamento del baricentro. Lo stile è naturale per Marquez, è
una fatica per lui, sostenuta grazie al lavoro quotidiano in palestra
con Carlo Casabianca, il suo fedelissimo preparatore atletico. Cosa
abbiamo dunque? Una moto evoluta, una pista adatta, un gruppo
di collaboratori in palla, molto lavoro. Poi abbiamo Rossi che tiene
in serbo la sua pozione magica. Da bere per dare la birra a tutti,
ancora, come fa un eterno, felicissimo ragazzino.
Giorgio Terruzzi
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Le classifiche
MotoGp
1. Rossi (Ita) Yamaha
in 44’14’’586
(media 160,4 km/h)
2. Lorenzo (Spa) Yamaha
a 1’’578
3. Pedrosa (Spa) Honda
a 4’’276
4. Dovizioso (Ita) Ducati
a 5’’510
5. Iannone (Ita) Ducati
a 11’’771
6. P. Espargaro (Spa)
a Yamaha a 18’’999
7. Smith (Gbr) Yamaha
a 23’’100
8. Bautista (Spa) Honda
a 36’’458
9. Crutchlow (Gbr) Ducati
a 38’’480
10. Hernandez (Col) Ducati
a 45’’878
Giro più veloce
Il 4° di Marquez (Spa)
Honda in 1’34’’108,
media 161,6 km/h
Mondiale piloti
1. M. Marquez (Spa) 289
2. Pedrosa (Spa)
215
3. Rossi (Ita)
214
4. Lorenzo (Spa)
177
5. Dovizioso (Ita)
142
6. P. Espargaro (Spa) 98
7. A. Espargaro (Spa) 92
8. Iannone (Ita)
92
9. Bradl (Ger)
74
10. Smith (Gbr)
74
Moto2
1. Rabat (Spa) Kalex
in 42’48’’724
2. Kallio (Fin) Kalex
a 2’’271
3. Zarco (Fra) Suter
a 4’’268
4. M. Viñales (Spa) Kalex
a 7’’448
5. Luthi (Svi) Suter
a 9’’679
6. Aegerter (Svi) Suter
a 11’’587
7. Morbidelli (Ita) Kalex
a 21’’899
Mondiale piloti
1. Rabat (Spa)
258
2. Kallio (Fin)
236
3. M. Viñales (Spa) 179
4. Aegerter (Svi)
133
5. Luthi (Svi)
103
6. Corsi (Ita)
100
7. Zarco (Fra)
88
8. West (Aus)
65
9. Salom (Spa)
63
10. Cortese (Ger)
62
Moto3
1. Rins (Spa) Honda
in 39’50’’694
2. A. Marquez (Spa) Honda
a 0’’042
3. Miller (Aus) Ktm
a 3’’403
4. I. Viñales (Spa) Ktm
a 4’’459
5. Bastianini (Ita) Ktm
a 4’’485
6. Binder (Rsa) Mahindra
a 4’’671
7. Masbou (Fra) Honda
a 9’’406
8. Migno (Ita) Mahindra
a 9’’543
11. Fenati (Ita) Ktm
a 10’’108
Mondiale piloti
1. Miller (Aus)
195
2. A. Marquez (Spa) 186
3. Rins (Spa)
175
4. Vazquez (Spa)
151
5. Fenati (Ita)
140
6. Masbou (Fra)
134
7. I. Viñales (Spa)
112
8. Bastianini (Ita)
98
9. Oliveira (Por)
84
10. Binder (Saf)
77
11. Kent (Gbr)
77
Prossimo appuntamento
28/9: Gp d’Aragona
Tennis Barazzutti: «Battuti, ma abbiamo dimostrato di esserci»
Fognini le prova tutte
ma non può rovinare
la festa di re Federer
Roger porta la Svizzera in finale di Davis
DAL NOSTRO INVIATO
GINEVRA — Non c’è miracolo,
c’è Roger Federer. L’unica apparizione, ahinoi, è quella del numero
3 del mondo, del tennista più vincente della storia. Anche con un
tennis riservato, talvolta a bassa
intensità, o ben contrastato da Fabio Fognini finalmente fuori dallo
spleen, vicino a quello di Napoli
con Murray, RF è di una categoria
superiore.
La resa è onorevole, l’Italia di
Coppa Davis ferma il suo cammino alla semifinale, troppo forte la
Svizzera che sente di avere la
grande occasione, alla seconda finale della storia (a Lilla con la
Francia), 22 anni dopo quella
persa nel 1992 negli Stati Uniti
dalla squadra guidata da Marco
Rosset, ora commentatore tv. Fabio Fognini ha perso giorno dopo
giorno quella flaccidità manifestata con Wawrinka all’esordio e
ora si prende gli applausi del pubblico e i complimenti di Federer
che si getta sul capitano Séverin
Lüthi in un abbraccio liberatorio.
Fabio combatte, estrae dal suo
repertorio più di un buon colpo,
regge perfino lo scambio prolungato con sua maestà (ottimi e abbondanti quello del quinto gioco
del terzo set e quello nel tie break
In trionfo Roger Federer sulle spalle di Lüthi e Wawrinka (Epa)
Finisce 3-2
Semifinali gruppo mondiale
Francia-Repubblica Ceca 4-1
Svizzera-Italia
3-2
Ieri a Ginevra
Federer (Svi) b. Fognini (Ita)
6-2, 6-3, 7-6; Seppi (Ita)
b. Lammer (Svi) 6-4, 1-6, 6-4
Finale Coppa Davis
Francia-Svizzera
dal 21 al 23 novembre, a Lilla
quando recupera un mini break,
3-4), prende i suoi rischi. Troppi,
però, sono gli errori non forzati,
soprattutto con il diritto, e la vera
differenza la fa il servizio. Quello
di Fabio è lento e prevedibile, soprattutto con la seconda. Federer,
invece, si aggrappa alla battuta
quando si trova a dover affrontare
una palla break. Fognini ne ha 5,
ma non ne sfrutta neanche una,
mentre le 4 del terzo set, se trasformate, avrebbero potuto aprire
uno scenario diverso: Federer
non è impeccabile, appare incer-
to, soffre il ritorno di Fabio che in
questo set gioca un tennis che
non mostra da tempo.
Peccato. Ma il senso di questa
semifinale è che i nostri dovevano essere perfetti, stare sopra le
nuvole e non fare neanche un errore. La prova dell’Italia è sempre
nella ridotta, mai all’attacco. Possiamo sono resistere e lo facciamo
come possiamo dimostrando una
certa solidità di squadra. «Abbiamo dimostrato di esserci» conferma capitan Barazzutti. Fognini si
spinge fin dove può, 6-5 del terzo,
recuperando da 0-30 e portando
Roger 17 al tie break. Qui lo svizzero viene anche aiutato dalla
sorte e da Fognini che, dopo aver
chiesto il challenge senza mai essere aiutato dall’aggeggio, evita di
reclamarlo proprio quando viene
convalidato un ace di Federer con
palla abbondantemente fuori.
La fine è nota (6-2, 6-3, 7-6)
ma meno lineare di quello che si
legge. Roger viene portato in
trionfo dai suoi compagni. C’è
molta goliardia svizzera e RF se la
ride. «Fa un enorme piacere dividere con tutti. E con la squadra si
può fare finalmente i cretini. Bene. Spero di fare una buona finale.
Non l’abbiamo ancora vinta? Certo che no, ma io ho una mentalità
vincente, non vado certo a giocare per perdere. Ora festa, ma poi
concentrati». Fabio Fognini si
consola. «Ho messo in difficoltà
Federer, non l’ho visto tranquillo,
soprattutto da fondocampo. Certo c’è sempre qualcosa da migliorare, a cominciare dal servizio,
questa è la mia priorità, ma esco a
testa alta». È stata la miglior Davis
italiana dal 1998 ma dietro quel
risultato (finale) c’era un ambiente litigioso e avvelenato. Meglio
questa squadra, meglio questi
tempi.
Roberto Perrone
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Il personaggio L’ex ferrarista, che guida l’Aci Milano, è ottimista: «Da Ecclestone buoni segnali»
Capelli: «Il mio Gp per battere Bernie»
La battaglia per dare un futuro a Monza
«Le istituzioni devono fare la loro parte»
Non è stata una settimana qualunque per
nessun ferrarista al mondo, tanto meno per
Ivan Capelli. Ha superato il primo Gp di
Monza della sua terza vita, da presidente
dell’Aci Milano (dopo gli anni da pilota e
commentatore tv), è sopravvissuto a una
discussione d’affari con Bernie Ecclestone e
infine ha assistito al cambio al vertice della
Rossa. «Una svolta epocale, ora mi auguro
che Marchionne riesca a stare vicino alla
Scuderia».
Partiamo da Monza: com’è andata?
«Bene, abbiamo riscontrato tanta attenzione e disponibilità, che ora non dobbiamo
disperdere».
Gli spettatori sono calati: sarà mai possibile abbassare il prezzo dei biglietti?
«Purtroppo anche i prezzi dei biglietti
vengono indicati dalla Fom, quindi da Ecclestone. La gestione precedente aveva provato a seguire una politica al ribasso: ha ricevuto un richiamo ufficiale».
E lei a Ecclestone aveva cose più urgenti
da chiedere, visto il rischio di perdere
Monza.
«Al primo incontro io e Andrea Dell’Orto,
presidente Sias, abbiamo ottenuto due cose
fondamentali. Abbiamo riaperto un dialogo
che si era interrotto. Bernie l’ha detto chiaro:
non aveva più interlocutori. E poi abbiamo
ottenuto di restare fino al 2016 con gli stessi
accordi contrattuali. Questo ci dà il tempo
per prepararci alle richieste di Ecclestone».
Che pretende il doppio. Giusto?
«Non è lontano dalla realtà. Però le trattative si fanno in due. Io ho cercato di fargli
capire che Monza vale Montecarlo. Gli ho
detto: se questo paddock è glamour è meri-
Presidente Ivan Capelli, 51 anni (Colombo)
to tuo, ma noi italiani avevamo inventato i
paparazzi prima di te».
L’ha convinto?
«A Bernie della storia frega poco. Però
credo che quell’invasione di pista e quel podio, con Massa e Rosberg emozionati, abbiano un valore anche commerciale».
Com’è Bernie durante una trattativa?
«Mentre gli parlavo dei problemi del passato, mi toccava la mano e mi diceva “don’t
worry”; appena abbiamo iniziato a parlare
di soldi, ha sibilato “Monza is like everybody
else”, “Monza è come tutti gli altri”».
Come si trovano i 10 milioni?
«Con l’appoggio delle istituzioni. E studiando un percorso non facile, ma possibile,
perché Monza genera un indotto e perché
resta uno degli eventi internazionali più importanti del Paese. Troppo spesso lo pensiamo come il Gp di Monza e ci dimentichiamo
che è il Gp d’Italia».
La F1, nonostante gare belle, perde
spettatori ovunque. Perché?
«I perché sono tanti, il difficile è trovare
la soluzione. Quando all’inizio dell’anno la
gente ha sentito i protagonisti lamentarsi ha
bocciato la F1. E poi i piloti di oggi non stimolano la fantasia come quelli di una volta,
sono ingabbiati. Per questo una delle cose
più belle è il sorriso di Ricciardo».
La crisi della Ferrari di oggi le ricorda
quella che ha vissuto lei nel ’92?
«È difficile confrontare epoche diverse,
posso immaginare che l’aria che si respira
sia simile, anche allora poche cose funzionavano, nonostante lo sforzo di tutti».
Prospettive?
«Tutti questi stravolgimenti allungano i
tempi di reazione. Chi arriva deve imparare
prima di agire. La Ferrari ha un problema al
cuore, la power unit, e col cuore malato non
vai lontano. Ma ora conoscono il problema e
sono sicuro che durante l’inverno riusciranno a colmare il divario».
Chi vince il Mondiale?
«Rosberg. A proposito, a Monza non ha
sbagliato apposta».
Com’è la vita da presidente dell’Aci?
«Solo una volta eletto capisci quanto è
complesso il meccanismo: sono rimasto
tutto agosto a Milano a studiare. Ora voglio
aumentare le iniziative, anche assieme al
Comune di Milano: penso a corsi di sicurezza stradale, a partire dai più giovani che
vanno in bici».
Arianna Ravelli
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46 Sport
Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
italia: 51575551575557
Sprint in vetta Il Parma rientra in gioco quattro volte. La squadra di Inzaghi trascinata da un grande Ménez
Parma
Milan
4
5
5 MIRANTE Travolto da una marea di palloni, è colto di sorpresa
soprattutto dal tiro di Bonaventura.
5 RISTOVSKI Sostituisce Cassani, infortunato, è decisivo nel
disturbare Bonaventura nell’occasione di testa, non è altrettanto
pronto a fermare Honda, sempre di testa, ed è ingenuo su Ménez.
5,5 LUCARELLI La sua spintarella su Ménez, dopo che si era visto
superato in velocità, lancia il Milan. Sembrava già fuori posizione
sulla rete di Honda. Si riscatta con il gol che riaccende le speranze.
5,5 FELIPE Insegue Ménez dappertutto e ogni tanto lo abbatte.
Pronto a insaccare da due passi l’assist di Jorquera, poi si fa espellere
per doppio giallo, anche se il secondo cartellino sembra ingiusto.
4,5 DE CEGLIE Serataccia: non incide sulla fascia, subisce Honda,
lascia crossare Abate ed è lui a dare la palla male a Cassano.
6 ACQUAH Ha il merito di alzare il ritmo con veloci accelerazioni,
che mandano sempre in sofferenza il Milan, recupera palle ovunque.
5 LODI Lanci e visione di gioco, sparisce quando si alzano i ritmi.
6,5 JORQUERA Cerca la profondità e, anche se non sempre si
capisce con Belfodil, entra in tutte le azioni del gol: suo l’assist per la
testa di Cassano, diventa un assist per Felipe il suo tiro svirgolato.
5,5 GHEZZAL L’azione del primo gol parte dal suo piede, ma non
fa il salto di qualità.
PARMA (4-3-3): Mirante 5; Ristovski
5, Lucarelli 5,5, Felipe 5,5, De Ceglie
4,5; Acquah 6, Lodi 5, Jorquera 6,5
(Coda s.v. 27’ s.t.); Ghezzal 5,5
(Palladino 5 20’ s.t.), Cassano 6,5,
Belfodil 5,5 (Bidaoui s.v. 34’ s.t.). All.:
Donadoni 6
MILAN (4-3-3): Diego Lopez 5;
Abate 6,5, Alex 6 (Zapata 6 17’ s.t.),
Bonera 4,5, De Sciglio 5; Poli 6, De
Jong 6,5, Muntari 6; Honda 7 (Rami
5,5 17’ s.t.), Ménez 8 (Niang s.v. 41
s.t.), Bonaventura 7. All.: Inzaghi 6,5
Classe Jeremy Ménez, 27 anni, nella gara del Tardini contro il Parma ha realizzato due gol. Il primo su rigore, il secondo di tacco (Getty Images)
Al festival dei gol e delle follie
vince il Milan dai due volti
Monica Colombo
Diavolo: il cross da sinistra è di
Jorquera, l’inserimento del barese perfetto, pari alla dormita
di Bonera e De Sciglio. Una curiosità: Antonio per il quinto
anno segna alla seconda di
campionato. Una rete che però
non serve a salvare il Parma. Il
Diavolo infatti è abile a intuire
le difficoltà emiliane e affonda
già nel primo tempo: Ménez
apre per Abate il cui cross trova
Honda solo a centro area, pronto a infilare Mirante di testa. E
poi Ménez si procura il rigore
che vale il terzo gol, un istante
prima dell’intervallo: il fallo di
Lucarelli è evidente, ma il francesino si lascia cadere dopo aver
fatto due passi ed essere entrato
in area. Il Parma si consola con
la mancata espulsione del suo
difensore, mentre Ménez dal
dischetto è implacabile.
La partita sembra finita qui. E
invece il secondo tempo è più
ricco di emozioni (e di errori) di
quanto sia lecito attendersi. Altre cinque reti, due espulsi (Bonera e Felipe per doppia ammonizione), una traversa del solito
irresistibile Ménez. Il Parma
non ha equilibrio, ma cuore e
non molla. Felipe sorprende
Bonera e riapre i giochi per la
seconda volta (6’), De Jong ruba
palla a Cassano e allunga di
nuovo (23’), poi segnano Lucarelli di testa e Ménez di tacco, in
un’altalena da infarto. L’ultimo
acuto è in realtà un’autorete firmata da De Sciglio con la grave
complicità del distratto Diego
Lopez. Inzaghi, dopo aver sofferto nel lunghissimo recupero,
esulta. Contro la Juve ci vorrà lo
stesso cuore, ma molta attenzione in più.
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Alessandro Bocci
Rossoneri formidabili in attacco ma imbarazzanti dietro
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
PARMA — Al festival del gol e
delle scelleratezze difensive, il
Milan mette in fila la seconda
vittoria consecutiva, raggiunge
Juve e Roma in testa alla classifica e sabato a San Siro misurerà
le proprie reali ambizioni contro il vecchio amico Allegri,
guardandolo dritto negli occhi.
Inzaghi non poteva cominciare
meglio la sua avventura di allenatore. Lo sprint rossonero, dopo un’estate tribolata, è fulminante: due partite, due vittorie.
Ma i numeri sono effimeri e non
raccontano tutta la verità.
Il Milan è un gigante con i
piedi d’argilla, formidabile dalla
cintola in su, ma imbarazzante
in difesa e nella gestione del risultato se, alla fine di un 5-4 da
perderci la testa, fa rientrare in
gioco il Parma ben quattro volte
nell’arco dei novanta minuti.
La squadra di Inzaghi in attacco è lucida, incisiva e conferma le buone indicazioni dell’esordio contro la Lazio. Pippo
perde Fernando Torres alla vigilia che, sommato all’infortunio
di El Shaarawy, lo costringe a
presentarsi in Emilia senza una
punta vera e propria. Ma Ménez
falso nove è l’asso nella manica
e manda in tilt l’acerba difesa di
Donadoni, che non recupera
Paletta e perde Cassani prima di
da uno dei nostri inviati a Parma
Cassano lascia ancora il segno
Marcatori: Bonaventura 25’, Cassano
27’, Honda 37’, Ménez (rig.) 45’ p.t.;
Felipe 6’, De Jong 23’, Lucarelli 28’,
Ménez 34’, De Sciglio (aut.) 44’ s.t.
Arbitro: Massa 5
Espulsi: Bonera 13’, Felipe 32’ s.t.
Ammoniti: Lucarelli, De Jong, De
Ceglie, Acquah. Recuperi: 0’ più 6’
Le pagelle Parma
arrivare allo stadio. Il francese è
decisivo e devastante: segna
due gol (il secondo con un colpo di tacco pazzesco), colpisce
una traversa, accende l’azione
che Honda trasforma nel provvisorio 2-1. Indolente a Roma,
formidabile a Milano, svaria su
tutto il fronte senza dare punti
di riferimento agli avversari.
Davanti il Milan non perdona,
anche se bisogna tenere conto
degli imbarazzi avversari. Honda segna di testa, incredibile ma
vero e regala l’assist per l’1-0. Il
primo gol, quello che accende la
miccia, lo segna l’ultimo arrivato, vale a dire Bonaventura, timido all’inizio, lesto a prendere
in contropiede Mirante dopo il
suggerimento del giapponese a
cui regala involontariamente il
pallone Belfodil.
Il Milan fa male quando affonda nello spazio, ma è un disastro in difesa. E infatti Cassano lo perfora con grande facilità
due minuti dopo il vantaggio
rossonero, segnando di testa e
mostrandosi il perfetto anti-
Il dopopartita
Il tecnico: «Ricordiamoci da dove veniamo
Con la Juve proveremo a colmare il gap»
PARMA — Nonostante le maledette caviglie, il
Milan vince in maniera brillante (e
avventurosa) la seconda partita consecutiva e si
prepara alla sfida con la Juve alla pari, da prima
in classifica. Non bastava il forfait di El
Shaarawy. Ieri Fernando Torres è stato costretto
ad assistere alla gara dalla tribuna, seduto
accanto ad Adriano Galliani dopo che nel finale
della rifinitura di sabato aveva rimediato un
trauma distorsivo alla caviglia sinistra. È stato
sostituito da uno strepitoso Ménez che si è
procurato e ha battuto un rigore, ha realizzato
una rete di tacco, ha preso l’incrocio dei pali e
pure i complimenti di Berlusconi al telefono. A
fine gara Adriano Galliani ha passato il cellulare
all’ex giocatore del Psg e si è poi congedato
dall’ex Cavaliere sospirando: «Presidente, un gol
pazzesco». Il francese ha dichiarato: «È stata una
6 DONADONI Galliani si affretta a precisare ogni volta che non è
mai stato in corsa per la panchina del Milan e viene da chiedersi
perché. Il suo Parma rientra in partita quattro volte, fa il massimo
con quello che ha a disposizione.
Arianna Ravelli
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Le pagelle Milan
da uno dei nostri inviati a Parma
Bonera non ne azzecca una
5 LOPEZ I primi tre gol sono omaggi della sua difesa, sull’autorete
di De Sciglio è distratto (e si fa pure male).
6,5 ABATE Due partite, due cross di fila perfetti che si trasformano
in assist (è la prima volta che gli riesce, dicono gli statistici).
6 ALEX La versione cattiva di Aldo (quello di Giovanni e Giacomo)
svirgola al volo una punizione al bacio di Honda. Dietro è di gran
lunga il più sicuro. Non a caso, Cassano gli gira al largo. Brutto colpo
il suo infortunio (alla coscia).
4,5 BONERA Preferito al gran numero di centrali di cui il Milan è
dotato, non fa niente per giustificare la scelta. Fa fallo su Cassano
(giallo), lo fa segnare di testa, ha qualche colpa sul gol di Felipe,
ferma una palla di mano e prende il rosso.
5 DE SCIGLIO Male nelle azioni dei primi due gol del Parma,
clamorosa l’autorete nel finale. Cassano gli scappa spesso.
6 POLI Molta lotta, poco governo.
6,5 DE JONG Regista si sapeva, contropiedista no: scardina una
palla dai piedi di Cassano, poi s’invola in velocità e fa secco Mirante.
6 MUNTARI Battaglia dura a centrocampo, fatica con Acquah.
7 HONDA Continua a migliorare: punizioni, movimento, assist, fino
al sigillo del gol (il secondo in due gare). Scusate il ritardo.
8 MÉNEZ Fa tutto: torna a metà campo ad avviare l’azione
(l’apertura del 2-1), si conquista e realizza un rigore (come contro
la Lazio), prende una traversa, giganteggia su quel che resta della
difesa del Parma segnando di tacco. Chi lo toglie più?
7 BONAVENTURA Va vicino a lasciare il segno di testa, ci riesce
con un diagonale non potentissimo ma preciso. Già inserito.
6 ZAPATA Prende sicurezza man mano, respinge gli ultimi assalti
del Parma.
5,5 RAMI Un po’ incerto.
6,5 INZAGHI Primo: dare certezze. Così, replica (El Shaarawy a
parte) la formazione vincente con la Lazio. Il Milan è sì brillante, ma
concede troppe vite all’avversario.
a.rav.
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Prestazione super Con il Cesena a segno anche Parolo e Mauri
Candreva ispira la Lazio
Un gol per convincere Conte
ROMA — Un gol, un assist e due convocazioni, la prima al c.t. e la seconda al
suo presidente. Quella di Antonio Candreva, la locomotiva della Lazio nel 3-0
senza se e senza ma sul Cesena tenerello
di Bisoli, è una storia strana, che ricomincia sempre. A giugno doveva spaccare il Mondiale per poi realizzare il sogno
dichiarato, la Champions: i top club si
erano messi in fila per averlo, Lotito gli
aveva promesso più soldi perché restasse
onde evitare sconquassi ambientali (ieri
l’Olimpico è tornato pieno dopo sei mesi
di astinenza del tifo), mentre Conte lo teneva in palmo di mano per la sua nuova
Nazionale. Invece, alla fine, l’esterno
biancoceleste si è ritrovato senza Europa,
senza ritocco di stipendio e pure senza
nemmeno un minuto di azzurro nella vittoria dell’Italia in Norvegia. Tutto da rifare. Così, se al 18’ Candreva ha scaricato in
partita incredibile. Nessuno ha mollato, è stata
una vittoria sofferta, il gruppo sta diventando
forte. In questa posizione mi trovo benissimo
perché posso andare da tutte le parti del campo.
Ma riuscirò a giocare anche con Torres». Inzaghi
è stravolto: «Non avremmo meritato di
pareggiare. Ricordiamoci da dove veniamo e ora
la Juve: in una partita secca davanti al nostro
pubblico colmeremo il gap tecnico con altre
qualità». Donadoni protesta: «Il fallo di Lucarelli
su Ménez era fuori area. Era da rosso? Ma allora
Massa non avrebbe concesso il rigore. Il fallo di
mano di Bonera era dentro l’area, allora ci stava
anche il penalty. Certi episodi, come il secondo
giallo a Felipe, cambiano l’andamento di una
partita. Gli errori arbitrali sono stati clamorosi».
6,5 CASSANO Quando vede rossonero si scatena: è l’ottavo gol
che segna al Milan. Mobile finché ce la fa, si fa però rubare palla da
De Jong.
5,5 BELFODIL Un po’ impacciato, un po’ sfortunato quando a
centrocampo perde la palla che va a Honda e poi si trasformerà nel
gol di Jack. Davanti Abate lo contrasta bene.
5 PALLADINO Combina poco, dà solo un po’ di vigore alle spinte.
porta il cross del deb olandese Braafheid
e poi è corso sotto la tribuna con le mani
alle orecchie in stile Dumbo, qualche laziale si è stizzito, sì, ma nessuno si è sorpreso: ora è lui a reclamare attenzione, si
sente «top» e non più gregario.
Quest’anno i fatti gli danno ragione. E,
del resto, c’è di nuovo la sua impronta sul
riscatto della Lazio di Pioli dopo la prima
(bruttina) di San Siro. Il gol e l’esultanza
rabbiosa, ma mica si è fermato. Nel secondo tempo, molto prima della rete con
cui Mauri ha ratificato il 3-0 allo scadere,
Candreva l’ha messa morbida a Parolo sul
secondo palo, all’11’. E poi ha continuato
nell’opera di demolizione della difesa del
Cesena, una delle sue ex squadre, uno dei
club da cui è partita la sua rincorsa infinita. Ce la farà stavolta ad arrivare al top?
Andrea Arzilli
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Lazio
Cesena
3
0
Marcatori: Candreva 18’ p.t.;
Parolo 11’, Mauri 45’ s.t.
LAZIO (4-3-3): Berisha 5,5; Basta
6, De Vrij 6, Gentiletti 6,5,
Braafheid 6,5; Parolo 6, Biglia 5,5,
Lulic 6 (Mauri 6 25’ s.t.); Candreva
7, Djordjevic 5,5 (Klose 6 15’ s.t.),
Keita 5 (Felipe Anderson s.v. 42’
s.t.). All.: Pioli 6,5
CESENA (4-3-1-2): Leali 6,5;
Capelli 5, Volta 5, Lucchini 5,
Renzetti 5 (Giorgi 6 20’ s.t.); De
Feudis 5 (Mazzotta 5,5 1’ s.t.),
Cascione 5,5, Coppola 5,5; Brienza
5; Rodriguez 5,5 (Djuric 5 1’ s.t.),
Marilungo 5,5. All.: Bisoli 5,5
Arbitro: Irrati 6
Ammoniti: Lucchini, Parolo, Biglia,
Braafheid
Recuperi: 2’ più 3’
Senza storia Gabbiadini e Okaka stendono un deludente Torino
Doppia vittoria della Samp
Metà incasso per la ricerca Sla
GENOVA — Ferrero in tribuna, con
Ricky Tognazzi e Simona Izzo, si esalta
come se la sua Samp avesse centrato
già un posto per la Champions League.
Invece ha solo battuto 2-0 un Torino
che con Larrondo, Quagliarella e poi
Amauri là davanti neppure assomiglia
alla squadra che ha conquistato l’Europa grazie ai gol di Immobile (Borussia) e la vivacità di Cerci (Atletico Madrid).
La vittoria di Mihajlovic è però incoraggiante e strameritata, grazie a un
gol per tempo, sempre al 34’. Il primo
di Gabbiadini che, istruito dal suo tecnico da bordo campo, scaglia una punizione (fallo di Glik su Soriano) nell’angolino opposto con Padelli in ritardo. Poi il doriano sfiora il bis ma stavolta la punizione centra la traversa. Il
secondo gol, di Okaka, è un gioiello di
tecnica, velocità e potenza. L’italo-nigeriano fa mezzo campo saltando tutti, con Moretti che lo tiene inutilmente
per la maglietta, e poi realizza con un
diagonale perfetto. Mihajlovic ha una
versione spietata: «Okaka è bravo, forte e generoso. Ancora però non ha fatto nulla, ha buttato sei-sette anni e ora
deve recuperare il terreno perduto».
I 20 mila del Ferraris fanno festa e
hanno ragione, anche perché metà
dell’incasso è finito nella ricerca sulla
Sla, doppia vittoria per il presidente
Massimo Ferrero. Ventura si arrende
all’evidenza: «La Samp ha meritato di
vincere, su ogni pallone loro avevano
decisamente più rabbia e convinzione.
Dobbiamo intervenire e reagire al più
presto. Amauri? Ha bisogno di tempo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Sampdoria
Torino
2
0
Marcatori: Gabbiadini 34’ p.t.; Okaka
34’ s.t.
SAMPDORIA (4-3-3): Viviano 6; De
Silvestri 6, Silvestre 6,5, Gastaldello
6,5 (Romagnoli s.v. 37’ s.t.),
Cacciatore 6; Soriano 6, Palombo 6,
Obiang 7 (Krsticic s.v. 30’ s.t.);
Gabbiadini 7, Okaka 7,5 (Bergessio
s.v. 37’ s.t.), Eder 5,5. All.: Mihajlovic
6,5
TORINO (3-5-2): Padelli 5,5; Bovo
5,5, Glik 6, Moretti 5,5; Maksimovic 5,
Nocerino 6, Vives 5, El Kaddouri 6,
Molinaro 5,5 (Darmian 5 13’ s.t.);
Larrondo 5 (Amauri 5 16’ s.t.),
Quagliarella 5 (Martinez 6 32’ s.t.).
All.: Ventura 5
Arbitro: Mazzoleni 5,5
Ammoniti: Bovo, Obiang, Glik, De
Silvestri, Vives, Soriano, El Kaddouri
Recuperi: 1’ più 3’
Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
Sport 47
italia: 51575551575557
Festa nerazzurra La squadra di Mazzarri travolge un avversario allo sbando
Replica Inter un anno dopo
Il Sassuolo incassa altri 7 gol
Tris di Icardi, doppietta di Osvaldo e super Kovacic
MILANO — È passato un
anno, sono cambiati gli interpreti e il teatro (da Reggio
Emilia a San Siro), ma lo scenario (Moratti in tribuna) e la
conclusione della storia sono
stati identici: 7-0 al Sassuolo il
22 settembre 2013 e 7-0 il 14
settembre 2014. «Di una cosa
sono sicuro; magari perderemo, ma non succederà come
un anno fa», aveva detto Eusebio Di Francesco. Invece è capitato, perché a Reggio Emilia
l’Inter aveva trovato il gol dopo
otto minuti (Palacio) e questa
volta addirittura dopo tre
(Icardi), con il Sassuolo, che ha
ripetuto l’errore di presentare
un velleitario 4-3-3, troppo rischioso per resistere alla forza
d’urto interista. E come un anno fa, dopo aver subito al 21’ il
secondo gol (il primo di Kovacic da interista in campionato
alla 47ª partita), il Sassuolo è
franato, consegnandosi anche
mentalmente all’avversario,
nella speranza che tutto finisse
in fretta.
L’Inter aveva troppi motivi
di rivalsa per accontentarsi di
gestire la vittoria: le critiche
per lo 0-0 di Torino giudicate
eccessive; la grande attesa di
San Siro per l’esordio in casa in
campionato (curva Nord ancora chiusa); la necessità di portare a casa i tre punti e dare
concretezza al rinnovamento
pilotato dalla società e da Mazzarri; la curiosità intorno agli
attaccanti del Sassuolo (Zaza
fresco di gol in Nazionale, ma
anche Berardi e Sansone), ricoperti da una valanga di gol. Il
Sassuolo non ha vinto un contrasto nemmeno per sbaglio e i
difensori hanno offerto agli in-
teristi spazi e soluzioni che
non si vedono nemmeno in allenamento. Icardi si è scatenato: dopo il primo gol, ha segnato quello del 3-0 («il mio
gol più bello») e del 5-0 ed era
dal 6 maggio 2012 (Milito) che
un interista non firmava una
tripletta; Osvaldo, preferito a
Palacio (in recupero dopo l’infortunio mondiale, 16’ nel finale), ha segnato quello del
4-0 (con la solita finta mitragliata) e del 6-0; Guarin ha
chiuso il festival interista, mirando il palo interno della porta di Consigli.
7
0
Inter
Sassuolo
Marcatori: Icardi 3’, Kovacic 21’,
Icardi 30’, Osvaldo 43’ p.t.; Icardi 8’,
Osvaldo 27’, Guarin 29’ s.t.
INTER (3-5-2): Handanovic s.v.;
Andreolli 6, Ranocchia 6,5, Juan Jesus
6,5; Nagatomo 7 (Mbaye 6 17’ s.t.),
Hernanes 6, Medel 7,5, Kovacic 8
(Guarin 6,5 20’ s.t.), Dodò 7 (Palacio
s.v. 31’ s.t.); Icardi 8, Osvaldo 7. All.:
Mazzarri 8
SASSUOLO (4-3-3): Consigli 5;
Vrsaljko s.v. (Gazzola 4 18’ s.t.),
Terranova 4, Ariaudo 4, Peluso 4,5;
Biondini 5, Magnanelli 5, Missiroli 5
(Taider 6 1’ s.t.); Berardi 4, Zaza 5
(Pavoletti s.v. 20’ s.t.), N. Sansone 6.
All.: Di Francesco 4
Doppietta Pablo Osvaldo, 28 anni, a segno contro il Sassuolo (Forte)
Arbitro: Calvarese 6
Espulso: Berardi 14’ s.t.
Ammonito: Ariaudo
Recuperi: 1’ più 2’
Le pagelle Inter
Mazzarri ha spiegato: «Questo è il calcio che mi piace.
L’obiettivo è avere sempre
questo approccio; dobbiamo
essere veloci e svelti a fare le
giocate che conosciamo». E ha
scherzato anche sul metacarpo
della mano sinistra fratturata:
«Se porta bene, quando leverò
il gesso, posso sempre rompermi l’altra mano». Esagerata
l’Inter ed esagerato nella ricerca dell’espiazione il suo allenatore. È vero che se una squadra
non gira, fatica a battere anche
un avversario tipo il Sassuolo
visto a San Siro e che sette gol
non si segnano mai per caso,
ma sarà comunque necessario
attendere le prossime partite
(a cominciare da domenica sera, con Palermo, poi l’Atalanta)
per capire il reale valore di
questa squadra ridisegnata da
Mazzarri, che di certo ha grande entusiasmo e voglia di fare.
La partita ha esaltato il pressing e l’aggressività dei nerazzurri; la spinta offensiva sulle
corsie esterne, con Nagatomo
e Dodò che non hanno mai
smesso di correre; le qualità di
Medel, centrale di centrocampo, eccezionale nel catturare
palloni, nel giocarli in modo
semplice e per questo efficace
per i compagni; il senso dell’azione verticale di Kovacic,
che, al di là della fragile opposizione del Sassuolo, è in evidente crescita (ha appena 20
anni); l’intesa offensiva fra
Icardi (che vede la porta come
pochi altri attaccanti in giro
per l’italia) e Osvaldo.
Il futuro dirà se l’Inter, così
come è stata costruita in estate, può sopportare anche contro avversari forti due interni
come Hernanes e Kovacic ai lati di Medel, ai quali aggiungere
due attaccanti. Ma la disponibilità al sacrificio mostrata in
campo dal gruppo può aiutare
Mazzarri nella ricerca di soluzioni che garantiscano equilibrio, legato però ad una forza
offensiva che può fare la differenza.
Fabio Monti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Prima tripletta
Mauro felice
«Una dedica
a Maradona?
No, alla mia
famiglia»
MILANO — Sette a zero, proprio come il 22
settembre 2013 a Reggio Emilia. Stesso
risultato, diverse le indicazioni. Quella era
un’Inter crepuscolare, con Milito (due gol)
e Cambiasso (uno) al canto del cigno,
questa è la squadra di Icardi e Kovacic, 41
anni in due, e tante chance di lasciare un
segno importante nella storia interista. «È
la prima tripletta in carriera e sono felice di
averla fatta a San Siro», ha precisato il
bomber argentino tenendo in mano il
pallone della partita prima di portarselo a
casa, come da tradizione, dopo averlo
messo sotto la maglia per simulare la
gravidanza della moglie Wanda Nara. Le
eccessive ed esasperate esternazioni del
recente passato sembrano un ricordo per
Maurito Icardi, che ora vuole esagerare solo
con i gol. È cresciuto in fretta il ragazzo e la
conferma arriva dalla sua risposta alla
domanda se la tripletta contro il Sassuolo
fosse dedicata a Maradona (che non perde
occasione per criticarlo in pubblico): «No,
soltanto alla mia famiglia». Tre gol, due
splendidi, e il terzo da grandissimo
attaccante. «Sbloccato in fretta il risultato,
tutto è stato più facile, magari abbiamo
avuto un po’ di fortuna, però questa
squadra cresce bene», ha ricordato Icardi,
applaudito anche da Massimo Moratti che
sabato sera ha cenato con la squadra e
Mazzarri e che ieri è andato negli spogliatoi
prima e dopo la partita. Quando si è
consapevoli delle proprie qualità non ci si
Zeman ko Il Cagliari si sveglia nel finale con Cossu, ma non basta
Estigarribia e Boakye a segno
L’Atalanta vince al Sant’Elia
CAGLIARI — Così non va. Sarà stato
questo il pensiero di Zdenek Zeman nel
vedere il suo Cagliari perdere 2-1 al
Sant’Elia contro l’Atalanta. Il risveglio
nel finale non basta ai sardi per riagguantare la squadra di Stefano Colantuono. Una partita bella e combattuta
che l’Atalanta sblocca già al 4’ con il gol
di Estigarribia: assist a sinistra di
Dramé, uno dei migliori in campo, e rete dell’ex juventino (14 presenze e un
gol in bianconero nel 2011-12). Il Cagliari reagisce (rete annullata a Farias,
occasioni per Crisetig e Sau), ma è l’Atalanta a sfiorare il raddoppio con D’Alessandro. Prima dell’intervallo la squadra
di Zeman si fa vedere con Avelar, ma il
risultato non cambia.
Nella ripresa è subito Sportiello il
protagonista salvando il vantaggio su
una conclusione di Farias. Zeman inse-
risce Ibarbo e il colombiano ripaga la fiducia del tecnico boemo con un assist al
bacio per Sau, ma Biava salva sulla linea
con un bellissimo intervento.
Nel momento migliore del Cagliari,
però, arriva il 2-0 dell’Atalanta. Errore a
centrocampo di Dessena e rete di Boakye, al secondo gol in serie A dopo
quello siglato a 17 anni con il Genoa
(era il 2010). Ibarbo si fa vedere al 39’
s.t., quando entra e subisce un fallo da
Cherubin. Per l’arbitro Cervellera è calcio di rigore: dal dischetto si presenta
Cossu che accorcia le distanze. Nel finale il Cagliari si butta in avanti alla disperata ricerca del pareggio e a 4’ dalla fine
Sportiello salva su una conclusione ravvicinata di Dessena. La risposta dell’Atalanta è sui piedi di Denis, ma il terzo gol dei bergamaschi non arriva.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Cagliari
Atalanta
1
2
Marcatori: Estigarribia 4’ p.t.; Boakye
22’, Cossu (rig.) 41’ s.t.
CAGLIARI (4-3-3): Colombi 6.5;
Balzano 5,5, Rossettini 6, Ceppitelli
5,5, Avelar 6; Crisetig 5,5 (Dessena
5,5 15’ s.t.), Conti 6, Ekdal 5,5 (Joao
Pedro 5,5 7’ s.t.); Farias 6 (Ibarbo 6,5
15’ s.t.), Sau 5,5, Cossu 7. All.: Zeman
5
ATALANTA (4-4-2): Sportiello 6,5;
Zappacosta 6,5, Benalouane 6, Biava
7 (Cherubin 5 23’ s.t.), Dramé 7;
Estigarribia 6,5, Carmona 6, Cigarini
6, D’Alessandro 6 (Raimondi 6 4’
s.t.); Denis 6, Boakye 7 (Baselli s.v.
30’ s.t.). All.: Colantuono 6,5
Arbitro: Cervellera 6
Ammoniti: Conti, Estigarribia,
Crisetig, D’Alessandro, Avelar, Ibarbo,
Dramé, Cigarini
esalta mai a sproposito. Proprio come
fanno Icardi e pure Kovacic, alla sua prima
rete in campionato, dopo la tripletta con lo
Stjarnan. «Siamo partiti molto bene e il
mio gol è stato importante dopo quelli nel
playoff di Europa League. In squadra c’è
tanta qualità, resta solo da migliorare la
fase difensiva. Meno male che c’è Medel,
lui non fa passare nessuno». E al cileno
sono arrivati anche i complimenti di
Mazzarri: «Medel è stato fantastico, sempre
al posto giusto, grande intelligenza tattica:
un vero metodista, proprio quello che ci
serve per poter schierare sei giocatori con
chiare caratteristiche offensive».
Medel è già indispensabile
S.V. HANDANOVIC Mezza parata su Taider sul 5-0. Nient’altro.
6 ANDREOLLI Sostituisce Vidic squalificato, ha il merito di
giocare attento e concentrato su Sansone, senza voler strafare .
6,5 RANOCCHIA Prende subito le misure a Zaza (la vicinanza in
Nazionale gli ha fatto bene) e domina la situazione.
6,5 JUAN JESUS Conferma di avere mezzi tecnici e atletici
notevoli. La situazione favorevole ne esalta umore e qualità.
7 NAGATOMO Gioca a destra e non smette mai di spingere;
nell’occasione più che il terzino fa l’ala. San Siro lo applaude.
6 HERNANES Ha ancora difficoltà nel costruire gioco; per uno
delle sue qualità, gli errori nei passaggi restano troppi.
7 MEDEL Decisivo come centromediano metodista; è l’uomo che
Mazzarri cercava e voleva. Recupera una quantità infinita di palloni.
8 KOVACIC Si presenta con l’assist per l’1-0 di Icardi e con il suo
primo gol in campionato in 47 partite in nerazzurro. Poi si diverte e
diverte il pubblico, che ne sottolinea sempre le giocate geniali.
7 DODÒ Anche lui, come Nagatomo, gioca da ala (sinistra)
piuttosto che da terzino, sfruttando lo spazio che il Sassuolo gli
lascia. Il 4-0 nasce da una sua percussione, conclusa da un tiro
respinto da Consigli e ripreso da Osvaldo.
8 ICARDI Il 14 settembre gli porta fortuna. nel 2013 aveva
segnato un gol alla Juve (1-1); questa volta le reti sono tre, con
notevole varietà di colpi: da opportunista il primo gol; con tecnica
d’alta scuola il secondo (destro); con un grande sinistro il terzo.
7 OSVALDO Gioca e fa giocare. I due gol sono la sintesi di tutto il
lavoro che fa anche per la squadra, che apprezza molto.
6 MBAYE Rileva Nagatomo e gioca con notevole disinvoltura.
6,5 GUARIN Rileva Kovacic: regala l’assist del 6-0 a Osvaldo e ne
riceve uno per il 7-0, che segna con un tiro dl limite.
8 MAZZARRI Il Sassuolo esce dalla partita dopo il secondo gol,
però quella che si è vista è un’Inter che funziona. In attesa della
controprova, è giusto riconoscere che sta costruendo una squadra.
f. mo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Le pagelle Sassuolo
Anche Zaza sbaglia partita
5 CONSIGLI Non ha grandi responsabilità sui 7 gol, però non è
inappuntabile né sul primo, né sul quarto gol.
S.V. VRSALJKO Comincia con un buon assist per Sansone, ma
si fa male subito e deve uscire dopo 18 minuti.
4 TERRANOVA Viene preferito ad Antei, ma sbaglia il primo
intervento e arriva il primo gol. E la sua partita è tutta un errore.
4 ARIAUDO Partita disastrosa: come tutti i compagni di linea, è
sempre fuori tempo e fuori posizione.
4,5 PELUSO Dà qualche segnale di reattività fino al 2-0 (un
tiro neanche male al 10’), poi anche lui smette di giocare.
5 BIONDINI È abituato a non mollare, però non può certo
arginare da solo gli interisti che scappano via da tutte le parti.
4 MAGNANELLI Una partita inconsistente, nella quale perde
un gran numero di contrasti. Partecipa alla frana generale.
5 MISSIROLI Di Francesco lo aggiunge ai tre attaccanti, ma
non riesce mai a incidere nel match. Sostituito nell’intervallo.
4 BERARDI Non entra mai in partita. Si innervosisce e dopo 14’
di ripresa, si fa espellere per una gomitata a Juan Jesus.
5 ZAZA Arrivato a San Siro sulla spinta di tutto quanto aveva
fatto di bello e di importante in Nazionale, vive un pomeriggio da
incubo, perché non riesce a combinare niente di buono. Di
Francesco lo sostituisce a metà ripresa, perché ha finito le energie
fisiche e nervose. La squadra lo ha abbandonato a se stesso.
6 N. SANSONE Il solo (con Taider) a limitare i danni. Ha
l’occasione per una deviazione verso Handanovic sull’1-0 che
potrebbe anche lasciare il segno. Lotta fino alla fine.
4 GAZZOLA Rileva Vrsaljko e si fa notare oltre che per gli errori
per un intervento scomposto (e inutile) su Dodò.
6 TAIDER Gioca da ex il solo secondo tempo, sullo 0-4. Si
impegna, prova anche a tirare.
4 DI FRANCESCO È bravo e preparato, ma quando vede l’Inter
perde la bussola. Squadra troppo offensiva e troppo presuntuosa.
f. mo.
Franco Fiocchini
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Al Bentegodi Questa sera il Verona ospita i siciliani: Saviola scalpita
Mandorlini non si fida del Palermo
VERONA — Non sarà una passeggiata per nessuno. Un messaggio chiaro da
parte di Andrea Mandorlini e Giuseppe
Iachini. Il Verona si affida al collaudato
4-3-3, ma soltanto stamattina saprà se
tra i pali potrà avere a disposizione il
brasiliano Rafael, fermo negli ultimi
giorni per fastidi alla cervicale. «Loro
hanno grande entusiasmo», avvisa
Mandorlini. «Non sarà facile contro il
Palermo. Se ho visto le altre gare di serie A? No, sono stato davanti alla tv per
la vittoria di Valentino Rossi».
Nel tridente ci sarà Toni, il grande ex
della gara, con Gomez (favorito su Nico
Lopez) e Saviola (ballottaggio con Lazaros) ai suoi fianchi: «Nella sua carriera Javier ha fatto cose incredibili. Sta
bene, così come sta bene Nico Lopez
insieme a tutti gli altri. Saviola può ricoprire ogni ruolo, si è reso disponibile
a occupare qualsiasi posizione in attacco. In generale, sarà importante gioca-
re con intensità fin dal primo minuto».
Anche il Palermo ha i suoi problemi.
Ieri sera Maresca è stato ricoverato in
ospedale per dolori addominali e, in
attesa di riscontri, salterà la gara. In difesa non ci saranno Muñoz e Gonzalez.
In campo ci sarà Feddal con Andelkovic
e Terzi. A destra il dubbio è tra Pisano e
Morganella, mentre in attacco confermato il tandem Vazquez-Dybala. Belotti, protagonista in Under 21, è pronto a
entrare dalla panchina. «La rosa del Palermo? Non faccio il mago e nemmeno
il santo. Su questi giocatori andrà fatto
un lavoro importante di valorizzazione, in questo momento bisogna essere
squadra. Ci vorrà un po’ di tempo, ma
quando questi ragazzi avranno le giuste conoscenze daranno un grosso
contributo al Palermo. Contro il Verona
proveremo a fare risultato, come sempre», ha spiegato Iachini.
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Verona, ore 20.45
Verona
Palermo
(4-3-3)
1 Rafael
71 Martic
4 Marquez
18 Moras
33 Agostini
8 Obbadi
77 Tachtsidis
10 Hallfredsson
21 Gomez
9 Toni
7 Saviola
(3-5-2)
70 Sorrentino
4 Andelkovic
19 Terzi
23 Feddal
3 Pisano
15 Bolzoni
27 Rigoni
8 Barreto
33 Daprelà
20 Vazquez
9 Dybala
Arbitro: Rocchi di Firenze
Tv: 20.45, Sky Calcio 1 e Premium Calcio
Internet: www.corriere.it
48 Sport
Sconfitta Gli azzurri escono tra i fischi dei tifosi
Chievo
Marcatori: Maxi Lopez 3’ s.t.
NAPOLI (4-2-3-1): Rafael 6;
Maggio 6, Albiol 5, Koulibaly
5,5, Zuniga 5,5; Inler 6, Jorginho
5,5 (De Guzman s.v. 25’ s.t.);
Callejon 4,5 (Duvan s.v. 32’ s.t.),
Hamsik 5,5, Insigne 5,5
(Mertens 6 12’ s.t.); Higuain 5,5.
All.: Benitez 4,5
Tante occasioni, poco gioco
Serie A / 2ª giornata
0
1
Napoli
Il Napoli assente
ingiustificato
Passa il Chievo
NAPOLI — Alla vigilia della
partita interna con il Chievo,
Rafa Benitez aveva scelto di fare
una sorta di chiamata alle armi,
ribadendo la forza del suo Napoli, invocando l’appoggio incondizionato del pubblico e individuando nei «giornalisti stipendiati da testate del Nord»
quei nemici di cui spesso gli allenatori hanno bisogno per
compattare il proprio gruppo.
Tralasciando l’ininfluente ruolo che i giornali, di qualsiasi
area geografica, possono avere
sul rendimento di una squadra,
ora che il Chievo torna a Verona
con i tre punti conquistati al
San Paolo resta da vedere come
si sono comportati gli altri protagonisti del discorso del tecnico azzurro. Il pubblico la parte
sua l’ha fatta: cinque minuti
iniziali di silenzio nelle curve in
memoria di Davide Bifolco (il
17 enne ucciso da un carabiniere dopo un inseguimento al
Rione Traiano), 90 minuti (la
partita è durata 95’) di tifo come da tradizione del San Paolo,
e un minuto di fischi a fine gara
ad accompagnare gli sconfitti
verso gli spogliatoi.
A venir meno è stata la squadra. Una totale assenza che i
numeri non spiegano. Il Napoli
— secondo le statistiche diffuse dopo la partita — ha avuto
venti minuti di possesso palla
in più degli avversari e ha tirato
trentatré volte verso la porta
del Chievo. Il portiere ospite,
Bardi, è stato decisamente il
migliore in campo: ha parato
un rigore a Higuain (al 26’ del
primo tempo) ed è stato strepi-
Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
italia: 51575551575557
CHIEVO (4-5-1): Bardi 7,5; Frey
6, Dainelli 6, Cesar 6,5, Biraghi
6; Birsa 6 (Botta s.v. 23’ s.t.),
Izco 6,5 (Gamberini s.v. 35’ s.t.),
Radovanovic 6, Hetemaj 6,5,
Lazarevic 6 (Cofie s.v. 25’ s.t.);
Maxi Lopez 6. All.: Corini 7
Arbitro: Giacomelli 6,5
Ammoniti: Maggio, Cesar,
Dainelli, Inler
Recuperi: 1’ più 5’
La gioia
Maxi
Lopez,
30 anni,
con il suo
gol ha
regalato
al Chievo
una
prestigiosa
vittoria al
San Paolo
contro
il Napoli
(Ap)
toso in almeno altre sei o sette
circostanze. Benitez sostiene
che «il primo tempo poteva finire 3-0 per noi», ma è finito
zero a zero, segno che lo schieramento del Chievo preparato
da Corini — nove uomini dietro la linea di centrocampo e il
solo Maxi Lopez dalle parti di
Rafael — ha funzionato.
Risultato alla mano, è il Napoli che non ha funzionato. In
fase realizzativa e anche in difesa, quell’unica volta che ce ne
sarebbe stato bisogno, quando
una incertezza tra Albiol e Zuniga ha dato a Izco l’opportunità di servire Maxi Lopez che ha
battuto Rafael.
Era il 3’ del secondo tempo e
il Napoli aveva quindi metà ga-
ra a disposizione per riequilibrare il risultato. Ed è stato nello sconclusionato assalto verso
la porta avversaria che la squadra di Benitez ha mostrato tutti
i suoi limiti di gioco. Certo, le
prodezze di Bardi (nel primo
tempo su Higuain, Hamsik e
Insigne, nella ripresa su Inler,
Hamsik e Duvan) sono state
determinanti, non lo sono stati
invece gli attaccanti del Napoli.
Quindi non lo è stato il Napoli,
che, per quanto fosse difficile
penetrare una difesa affollatissima, non ha mai mostrato determinazione adeguata alle circostanze, né chiarezza di idee.
Cose fondamentali se davvero,
come ha detto il presidente De
Laurentiis, si mira allo scudetto, e se davvero, come ha detto
Benitez, è stato fatto «un mercato stupendo» che ha «rinforzato la squadra rispetto allo
scorso anno». Però la Champions è finita subito e il campionato, nonostante la vittoria
a tempo scaduto conquistata a
Genova alla prima giornata, comincia male. E Juve e Roma sono già tre punti avanti.
f.b.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
■ Punti totali ■ In casa ■ Fuori casa
Serie A Classifica
Pari deludente Il Genoa resiste in 10 per 21’
La Fiorentina
non sa più segnare
e sbatte su Perin
Montella: «Sbagliamo troppo»
DAL NOSTRO INVIATO
FIRENZE — Alla fine dell’ultima stagione, chiusa al quarto
posto, la Fiorentina aveva segnato 65 gol, oltre 1,7 a partita:
sostenendo che l’attacco è stato uno dei suoi punti di forza,
non si va molto lontano dal vero. L’annata 2014/15 è partita
invece allo slow-motion: 2 gare, zero gol fatti, una sconfitta
e un pari, quest’ultimo ieri
contro un accorto Genoa in un
Franchi popolato dalla bellezza di 34.058 spettatori. Siamo
solo all’alba, c’è ancora tutto il
tempo del mondo, ma Montella farà bene a trovar presto una
soluzione a questa tendenza:
non può essere solo malasorte,
e lo sa anche lui. «Abbiamo
sbagliato troppo, mi sarei accontentato anche di un mezzo
autogol», ha commentato. La
sua squadra ha goduto di almeno 7-8 chance per smontare il labirinto tattico di Gasperini («punto che fa morale», ha
poi sorriso il coach rossoblù) il
quale, dopo 5 minuti, ha avuto
l’accortezza di arretrare Antonelli in marcatura fissa su Cuadrado. Il talentuoso giocoliere
— alzi la mano chi avrebbe
scommesso due pesos colombiani sulla sua permanenza
sull’Arno — ha provato a spostarsi di qua e di là, sopra e
sotto, in mezzo e davanti, ma
non è stato risolutivo come sa.
Irriconoscibile Gomez, fiacco e
titubante dopo i 6 mesi di calvario per l’infortunio al ginocchio. Al 15’ ha sciupato un
ghiotto colpo di testa su tra-
Punti
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In affanno
Mario
Gomez,
29 anni,
ha deluso
contro
il Genoa.
Dopo molti
errori,
Vincenzo
Montella
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richiamato
in panchina
(Ansa)
G giocate V vinte N nulle P perse F reti fatte S reti subite
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CARPI
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FROSINONE
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EMPOLI
ROMA
0-1
Sepe (Em) aut. 46’ Arbitro: Gervasoni di
Mantova
JUVENTUS
UDINESE
2-0
Tevez (Ju) 8’, Marchisio (Ju) 30’ s.t.
Arbitro: Damato di Barletta
SAMPDORIA
TORINO
2-0
Gabbiadini (Sa) 34’, Okaka (Sa) 34’ s.t.
Arbitro: Mazzoleni di Bergamo
CAGLIARI
ATALANTA
1-2
Estigarribia (At) 4’, Boakye (At) 22’ s.t.,
Cossu (Ca) rig. 40’ s.t. Arbitro: Cervellera di
Taranto
FIORENTINA
GENOA
0-0
Arbitro: Orsato di Schio (Vi)
INTER
SASSUOLO
7-0
Icardi (In) 4’, Kovacic (In) 21’, Icardi (In)
30’, Osvaldo (In) 43’, Icardi (In) 8’ s.t.,
Osvaldo (In) 27’ s.t., Guarin (In) 29’ s.t.
Arbitro: Calvarese di Teramo
LAZIO
CESENA
3-0
Candreva (La) 19’, Parolo (La) 11’ s.t., Mauri
(La) 45’ s.t. Arbitro: Irrati di Pistoia
NAPOLI
CHIEVO
0-1
Maxi Lopez (Ch) 4’ s.t. Arbitro: Giacomelli
di Trieste
PARMA
MILAN
4-5
Bonaventura (Mi) 25’, Cassano (Pa) 27’,
Honda (Mi) 37’, Menez (Mi) rig. 45’, Felipe
(Pa) 6’ s.t., De Jong (Mi) 23’ s.t., Lucarelli
(Pa) 28’ s.t., Menez (Mi) 34’ s.t., De Sciglio
(Mi) aut. 44’ s.t. Arbitro: Massa di Imperia
VERONA
PALERMO
oggi 20,45
Arbitro: Rocchi di Firenze
MARCATORI 3 RETI: Icardi (INT), Menez (MIL) 2 RETI: Di Natale (UDI), Honda (MIL), Osvaldo (INT) 1 RETE: Boakye
(ATA), Bonaventura (MIL), Callejon (NAP), Candreva (LAZ), Cassano (PAR), De Guzman (NAP), De Jong (MIL),
Dybala (PAL), Estigarribia (ATA), Felipe (PAR), Gabbiadini (SAM), Gastaldello (SAM), Gervinho (ROM), Guarin (INT),
Kovacic (INT), Lucarelli (PAR), Marchisio (JUV), Mauri (LAZ), Maxi Lopez (CHI), Muntari (MIL), Nainggolan (ROM),
Okaka (SAM), Parolo (LAZ), Pinilla (GEN), Rodriguez (CESENA), Sau (CAG), Tevez (JUV), Zaza (SAS), Cossu (CAG)
3ª giornata
PESCARA-BOLOGNA
FROSINONE-BARI
TRAPANI-CITTADELLA
VICENZA-TERNANA
PROSSIMO TURNO: Sabato 20/9, ore 18.00: Cesena-Empoli. ore 20.45: MilanJuventus. Domenica 21/9, ore 12.30: Chievo-Parma. ore 15.00: Genoa-Lazio,
Roma-Cagliari, Sassuolo-Sampdoria. ore 18.00: Atalanta-Fiorentina, UdineseNapoli. ore 20.45: Palermo-Inter, Torino-Verona.
PROSSIMO TURNO: Venerdì 19/9, ore 19.00: Carpi-Trapani. ore 21.00: SpeziaVirtus Entella. Sabato 20/9, ore 15.00: Bari-Livorno, Bologna-Crotone, BresciaTernana, Catania-Modena, Cittadella-Pescara, Latina-Avellino, Perugia-Vicenza,
Pro Vercelli-Varese, Virtus Lanciano-Frosinone.
Spagna
Inghilterra
Lega Pro 1ª div./A
ALMERIA
CORDOBA
1-1
BARCELLONA
ATHLETIC BILBAO
2-0
MALAGA
LEVANTE
0-0
REAL MADRID
ATLETICO MADRID
1-2
CELTA VIGO
REAL SOCIEDAD
2-2
RAYO VALLECANO ELCHE
2-3
VALENCIA
ESPANYOL
3-1
SIVIGLIA
GETAFE
2-0
GRANADA
VILLARREAL
0-0
oggi 20,45
EIBAR
DEPORTIVO
Classifica: 9 Barcellona 7 Valencia, Siviglia,
Atletico Madrid 5 Celta Vigo, Granada 4 Real
Sociedad, Villarreal, Elche, Malaga 3 Eibar, Athletic Bilbao, Real Madrid, Getafe 2 Rayo Vallecano, Almeria, Cordoba 1 Deportivo, Espanyol,
Levante
MILAN
JUVENTUS
ROMA
INTER
SAMPDORIA
ATALANTA
LAZIO
UDINESE
NAPOLI
CHIEVO
CESENA
PALERMO
VERONA
CAGLIARI
GENOA
FIORENTINA
TORINO
SASSUOLO
PARMA
EMPOLI
ARSENAL
MANCHESTER CITY
2-2
CHELSEA
SWANSEA
4-2
CRYSTAL PALACE
BURNLEY
0-0
SOUTHAMPTON
NEWCASTLE UNITED 4-0
STOKE CITY
LEICESTER CITY
0-1
TOTTENHAM HOTSPUR 2-2
SUNDERLAND
WEST BROMWICH ALBION EVERTON
0-2
LIVERPOOL
ASTON VILLA
0-1
MANCHESTER UNITED QPR
4-0
HULL CITY
WEST HAM UNITED oggi21.00
Classifica: 12 Chelsea 10 Aston Villa 9 Swansea 7
Southampton, Manchester City, Tottenham Hotspur 6 Arsenal, Liverpool 5 Manchester United,
Everton, Leicester City 4 Hull City, Stoke City 3 West
Ham United, Sunderland, Qpr 2 Crystal Palace,
Burnley, West Bromwich Albion, Newcastle United
Germania
BAYER LEVERKUSEN
WERDER BREMA
3-3
BAYERN MONACO
STOCCARDA
2-0
BORUSSIA DORTMUND
FRIBURGO
3-1
HERTHA BERLINO
MAINZ 05
1-3
HOFFENHEIM
WOLFSBURG
1-1
PADERBORN
COLONIA
0-0
BORUSSIA MÖNCHENGLADBACH
SCHALKE 04
4-1
EINTRACHT FRANCOFORTE
AUGSBURG
0-1
HANNOVER 96
AMBURGO
2-0
Classifica: 7 Bayer Leverkusen, Bayern Monaco,
Hannover 96 6 Borussia Dortmund 5 Borussia
Mönchengladbach, Paderborn, Mainz 05, Hoffenheim, Colonia 4 Eintracht Francoforte 3 Werder Brema, Augsburg 2 Wolfsburg 1 Friburgo,
Hertha Berlino, Schalke 04, Stoccarda, Amburgo
2-3
1-1
2-1
0-1
AVELLINO-SPEZIA
MODENA-PRO VERCELLI
VARESE-VIRTUS LANCIANO
LIVORNO-LATINA
oggi
SUDTIROL
MONZA
1-0
PORDENONE
BASSANO
0-3
MANTOVA
VENEZIA
0-1
ALBINOLEFFE
COMO
0-2
RENATE
AREZZO
1-1
PAVIA
FERALPI SALÒ
3-1
TORRES
LUMEZZANE
1-0
GIANA ERMINIO
ALESSANDRIA
0-2
NOVARA
CREMONESE
0-0
REAL VICENZA
PRO PATRIA
oggi 20.45
Classifica: 10 Pavia 8 Como 7 Bassano,
Venezia, Monza, Alessandria, Sudtirol, Torres
6 Feralpi Salò 5 Cremonese, Novara 4 Real
Vicenza, Giana Erminio, Lumezzane, Renate
3 Pro Patria 2 Arezzo 1 Albinoleffe, Mantova,
Pordenone
Genoa
0
0
FIORENTINA (4-3-3): Neto s.v.;
Tomovic 6, Rodriguez 6, Savic 6
(Pasqual s.v. 35’ s.t.), Alonso
6,5; Aquilani 6, Pizarro 6, Borja
Valero 6,5; Cuadrado 6,5,
Gomez 5 (Bernardeschi 5,5 12’
s.t.), Babacar 5,5 (Ilicic s.v. 25’
s.t.). All.: Montella 6
GENOA (4-3-3): Perin 7,5;
Roncaglia 5, De Maio 6,5,
Burdisso 6, Antonelli 6,5;
Edenilson 6, Bertolacci 5
(Rincon 6 1’ s.t.), Sturaro 6;
Perotti 5,5 (Rosi s.v. 37’ s.t.),
Pinilla 5 (Matri s.v. 20’ s.t.),
Kucka 6. All.: Gasperini 6
Arbitro: Orsato 6,5
Ammoniti: Bertolacci, Rincon,
Tomovic, Perotti
Espulso: Roncaglia 26’ s.t.
Recuperi: 1’ più 3’
■ Punti totali ■ In casa ■ Fuori casa
Serie B Classifica
G giocate V vinte N nulle P perse F reti fatte S reti subite
Fiorentina
0-0 CROTONE-CARPI
1-0 PERUGIA-CATANIA
1-1 VIRTUS ENTELLA-BRESCIA
20.30
S
1
1
2
4
4
1
0
4
5
3
3
3
3
3
6
4
2
4
7
3
4
4
1-1
1-0
0-1
Lega Pro 1ª div./B
L'AQUILA
PRATO
1-1
PISTOIESE
PRO PIACENZA
1-0
GROSSETO
REGGIANA
0-0
SAN MARINO
CARRARESE
1-1
FORLÌ
TERAMO
0-1
SPAL
SANTARCANGELO
3-0
ANCONA
PONTEDERA
0-0
TUTTOCUOIO
ASCOLI
0-0
LUCCHESE
SAVONA
2-2
PISA
GUBBIO
3-1
Classifica: 7 Pisa, Pontedera, Ascoli 5 Tuttocuoio, Savona, Lucchese 4 Grosseto, Pistoiese, Reggiana 3 Carrarese, Spal, Teramo, Forlì 2 San Marino, L’Aquila, Ancona,
Prato, Santarcangelo 1 Gubbio -2 Pro Piacenza -8
versone di Aquilani accartocciandosi maldestramente su
se stesso: forse era indeciso se
prenderla di testa o di piede,
fatto sta che il colpo gli è rimasto in canna. Quando Montella
dopo un’ora l’ha levato per far
posto al debuttante Bernardeschi, 20 anni, i fiorentini sono
stati più magnanimi dei suoi
connazionali che il 3 settembre scorso a Düsseldorf contro
l’Argentina l’avevano svillaneggiato per i tre gol trangugiati in un’amichevole: qui invece niente fischi, solo applausi d’incoraggiamento, che però non hanno modificato
l’esito della contesa. Senza
Rossi (che ha postato un video
dal Colorado in cui canta e
«suona» una stampella) e con
un Babacar operoso ma acerbo, il 4-3-3 del nuovo corso
appare in via di digestione. Regna una certa confusione, non
manca l’idea ma la fluidità nel
metterla in pratica. Il Genoa, in
10 negli ultimi 21 minuti per il
doppio giallo dell’ex Roncaglia, ha invece rispettato il proposito di giornata — prendersi
almeno un punto — grazie a
una gara scrupolosa incentrata
su pressing robusto e rinvii a
cercare l’estro di Pinilla. Gli è
capitata una palla buona al 19’
della ripresa, su cross di Edenilson, ma chissà perché, invece di andare di testa, ha tentato un’ardita rovesciata, finita
alta; Gasperini l’ha immediatamente spedito a lavarsi, inserendo al suo posto Matri, ex
pure lui, al quale i 4 gol su 15
gare fra gennaio e maggio non
hanno evitato un uragano viola di fischi. Nota di merito per
Perin, formidabile in almeno 5
occasioni: due volte su Aquilani, una su Babacar, una su Rodriguez. Il punto è suo per metà. Almeno.
Carlos Passerini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Fischio finale
di Paolo Casarin
Regolamento libero
gli arbitri s’arrangiano
P
arma-Milan è diretta
dall’arbitro Massa, la cui
crescita è stata, negli
ultimi campionati, molto
rapida. Nei primi minuti fischia
tutto e smorza una diffusa
scorrettezza. Non basta: al 15’
arriva il giallo per Bonera e poi
per Felipe. Chiaro il rigore per il
Milan per fallo su Menez:
Lucarelli, solo giallo, resta in
campo. Nella ripresa Massa
mostra correttamente il
secondo giallo a Bonera per
fallo di mani. Il successivo
secondo giallo a Felipe è un fallo
discutibile, come tanti altri
fischiati da Massa. In JuveUdinese le decisioni tecniche di
Damato si sono rivelate
condivisibili. Nei provvedimenti
disciplinari, ha scelto la via
della cautela: prevale in lui il
tentativo di limitarli. Invece
l’assistente Musolino ha dovuto
misurare il fuorigioco sulla base
dei centimetri; in particolare, la
capacità di cogliere quelli di
Bubnjic, confermati anche dalla
tv, è da applausi. Ora si impone
all’arbitro un approccio
moderato, mentre ai
guardalinee viene chiesta,
inevitabilmente, l’istantaneità
del provvedimento. Agli
assistenti, per il fuorigioco,
andrebbe concessa sempre
l’assoluzione, salvo errori di
metri. Gervasoni (EmpoliRoma) ha mostrato la tendenza
a dirigere e a non intervenire di
fronte a molti episodi dentro e
fuori area. Tutto è finito nel
pentolone degli interventi
(mani e contrasti) involontari
tra calciatori animati da buoni
propositi, ma comunque fallosi.
Corrette le decisioni più
importanti prese da Giacomelli
in Napoli-Chievo: netto il rigore
di Cesar su Higuain, mentre
alcune cadute, nel finale, di
azzurri nell’area del Chievo non
meritavano provvedimenti
favorevoli. La collaborazione
tra i cinque arbitri è la strada
adottata da Mazzoleni in
Samp-Torino. Una
collaborazione vistosa che ha
visto Mazzoleni ascoltare i suoi
guardalinee anche su falli da lui
considerati inesistenti. Nel caso
di un contrasto in area della
Samp ai danni di Quagliarella,
l’arbitro ha mostrato, dal
movimento, qualche dubbio che
il collega di fondo campo ha
cancellato. Niente rigore. Tanti
modi diversi di interpretare
l’arbitraggio: più ci si allontana
dalle regole e più fioriscono le
diversità di lettura dei fatti
obiettivi di gioco.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
Sport 49
italia: 51575551575557
Prima vittoria dei rossi di Manchester
Finalmente United, 4 gol ma Van Gaal critica la star Di Maria
Good morning United. La parte
rossa di Manchester si è svegliata,
alla buon’ora. Dopo tre gare tristi e
senza vittorie, che l’avevano fatta
piombare all’ultimo «storico»
posto in classifica, la squadra di
Louis Van Gaal torna a galla, con
un 4-0 al Queens Park Rangers al
cospetto di sir Ferguson
accomodato tra i 75 mila dell’Old
Trafford. Tante prime volte per i
Red Devils: primo gol per Di Maria,
un fenomeno che il Real rimpiange
di già, e per Herrera, servito da
Rooney che, a fine primo tempo,
insacca personalmente il 3-0. Dopo
la quarta rete, di Mata (assist Di
Maria), arriva la prima volta anche
per il deb Falcao che entra a metà
ripresa e fa in tempo a sbagliare un
gol comodo, su respinta corta del
portiere Green. Ma non è il caso di
sottilizzare, se i due attaccanti più
attesi (a secco anche van Persie)
non segnano e se l’avversario, il
Qpr di Redknapp, è un serio
candidato alla retrocessione. L’orso
Van Gaal si dichiara felice e ha una
dedica speciale: «È il compleanno
di mia moglie, le avevo fatto un
regalo ma mi ha detto che avrebbe
gradito di più una vittoria. L’ho
accontentata». E così, grazie al
regalo per Truus, il Manchester
United può ridare un senso a
questa Premier, che ha vinto 20
volte, ovviamente record
d’Inghilterra, ma che l’anno scorso
ha chiuso al settimo posto, fuori
anche dall’Europa. Balza a metà
classifica a meno 7 dalla capolista
Chelsea ma in mezzo ci sono sette
squadre, fra cui City, Arsenal e
Liverpool. Il tecnico si gode però i
tre punti («Sono felicissimo per il
risultato e per il gioco») ma sa che
la squadra non è ancora guarita:
«Abbiamo perso molti palloni e
In gol Angel Di Maria, 26 anni (Reuters)
non abbiamo concretizzato diverse
occasioni. Possiamo fare molto
meglio». E ce l’ha perfino con Di
Maria, protagonista della partita.
«Quando segni e fai segnare, non
puoi certo aver giocato male ma
alle volte dà via la palla senza che
ce ne sia bisogno. Aveva un
crampo ed è un buon segno,
significa che almeno ha dato
tutto». Anche il Real Madrid, nella
Liga, si ritrova più vicino al fondo
che alla cima con 3 punti in 3 gare,
superato ieri perfino dall’Elche che
ha battuto 3-2 fuori casa il Rayo
Vallecano, mentre il Valencia (3-1
Domani il Malmoe Il tecnico si gode vittorie e nuovi acquisti ma prepara la mutazione
La Juve cambia pelle per l’Europa
«Più gestione e ritmi meno folli»
Rivoluzione graduale di Allegri, alla prima in Champions
Così in Europa
Champions League
Il calendario della prima
giornata della fase a gironi
di Champions League
Gruppo A
Domani, ore 20.45
Olympiacos-Atletico Madrid
(Sky Calcio 4)
JUVENTUS-Malmoe
(Sky Sport 1, Sky Calcio 1)
Gruppo B
Domani, ore 20.45
Liverpool-Ludogorets
(Sky Calcio 5)
Real Madrid-Basilea
(Sky Sport Plus, Sky Calcio 2)
Gruppo C
Domani, ore 20.45
Monaco-Bayer Leverkusen
(Sky Sport 3)
Benfica-Zenit S. Pietroburgo
(Sky Calcio 7)
Gruppo D
Domani, ore 20.45
Galatasaray-Anderlecht
(Sky Calcio 6)
Borussia Dortmund-Arsenal
(Sky Calcio 3)
Gruppo E
Mercoledì, ore 20.45
ROMA-Cska Mosca
(Canale 5)
Bayern-Manchester City
(Sky Sport 1, Sky Calcio 1)
Gruppo F
Mercoledì, ore 20.45
Barcellona-Apoel
(Sky Sport Plus, Sky Calcio 2)
Ajax-Paris St. Germain
(Sky Calcio 4)
Gruppo G
Mercoledì, ore 20.45
Chelsea-Schalke
(Sky Sport 3, Sky Calcio 3)
Maribor-Sporting Lisbona
(Sky Calcio 7)
Gruppo H
Mercoledì, ore 20.45
Porto-Bate Borisov
(Sky Calcio 6)
Athl. Bilbao-Shakhtar Donetsk
(Sky Calcio 5)
Europa League
Il programma delle italiane
nella prima giornata della fase
a gironi di Europa League
Giovedì, ore 19
Bruges-TORINO
(Premium Calcio 1)
Dnipro-INTER
(Premium Calcio)
Giovedì, ore 21.05
NAPOLI-Sparta Praga
(Premium Calcio)
FIORENTINA-Guingamp
(Premium Calcio 1)
DAL NOSTRO INVIATO
TORINO — L’evoluzione
della specie dei campioni non si
ferma mai. E anche la Juventus
sta cambiando pelle: la missione, non facile, è quella di diventare un predatore ancora più
forte, specialmente nella foresta
europea. È un processo graduale, senza scossoni, anche perché
alcuni capibranco — Pirlo, Vidal, Barzagli e Chiellini — sono
ancora fuori dal recinto. La ferocia perfetta della squadra plasmata da Antonio Conte, dopo
tre stagioni sta lasciando spazio
a un approccio più ragionato,
meno dispendioso, comunque
efficace e spettacolare, con la Juve capace di andare in vantaggio
nei primissimi minuti sia contro
il Chievo sia contro l’Udinese e
di tenere molto il pallone.
Alla vigilia del suo debutto
europeo — domani a Torino
contro il Malmoe — Massimiliano Allegri comincia a mettere
nero su bianco i punti del suo
manifesto bianconero, in attesa
che il ritorno di tutti i titolari gli
consenta di passare alla fase
successiva, quella del cambio di
modulo con la difesa a 4. E in attesa anche che lo Stadium e la
parte più calda della tifoseria gli
riservino un coro o almeno un
saluto di benvenuto.
«Dobbiamo migliorare molto
nella gestione della partita — ha
spiegato il tecnico dei tricampioni d’Italia — . I ragazzi stanno facendo abbastanza bene
questa cosa che gli chiedo, però
sicuramente per le qualità e le
caratteristiche dei giocatori credo che ci sia la possibilità di migliorare ancora molto. Perché le
partite durano 95 minuti e non
si può pensare di giocare 95 minuti cercando sempre di andare
a fare gol: ci sono momenti in
cui bisogna tentare di abbassare
i ritmi e la lettura della partita
diventa fondamentale. I ragazzi,
visto che hanno ottime qualità
tecniche e fisiche, questo lo possono fare meglio».
La Juve di Allegri ha avuto un
possesso palla altissimo contro
il Chievo e alto contro l’Udinese,
attaccando a tratti con sei uomini. Ha avuto finora solo segnali
Istruzioni
Allegri parla
con Marchisio durante
una pausa
della partita
(Afp)
positivi da quattro nuovi acquisti: Coman a Verona, Pereyra
(squalificato per la prima di
Champions League), Evra e Morata sabato sera. La panchina, in
cui è arrivato anche il prezioso
jolly Romulo, è più lunga e meglio assortita. Con più uomini a
disposizione e un gioco più manovrato e meno verticale di
quello voluto da Conte, l’obiettivo è quello di essere più freschi
di gamba e più autorevoli nel
gioco in Champions: «Un po’ di
tiki taka? Perché no...» sorrideva
sabato notte Claudio Marchisio,
che sta svolgendo al meglio il
ruolo di vice Pirlo.
Peccato che solo sei giorni fa
ad Oslo un certo Antonio Conte
abbia affossato con malcelata
ironia la ricerca del gioco e del
gol attraverso la manovra: «Non
è certo un tiki taka il nostro, voglio uomini capaci di andare
verso la porta dritto per dritto»,
aveva detto il neo c.t. Difficile
stabilire chi abbia ragione, an-
all’Espanyol) si candida, insieme
all’Atletico di Simeone, come anti
Barça, unica a punteggio pieno.
Anche in Germania c’è la
guastafeste di turno, si chiama
Hannover e ieri, battendo 2-0
l’Amburgo, si è assestata al
comando insieme a Bayern
Monaco e Bayer Leverkusen. In
Francia, il Lilla (titolo nel 2011)
supera 2-0 il Nantes e resta da solo
al comando (2 punti sul Psg),
sventando l’assalto del Bordeaux,
sconfitta 2-1 sul campo del
Guingamp. Ma l’Europa sta ancora
scaldandosi.
Federico Pistone
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Un paracarro
mobile
ma puntuale
di LUCA BOTTURA
che se è abbastanza chiaro che la
qualità tecnica juventina è superiore a quella media della Nazionale. E il riferimento di Conte
ovviamente era all’Italia brasiliana di Prandelli: l’eliminazione con l’Uruguay arrivò proprio
con una imbarazzante e improvvisata applicazione del 3-5-2 e
con una serie inutile di passaggi
orizzontali.
E dunque? Dunque la ricerca
della gestione della palla richiesta da Allegri passa giocoforza
per un cambio di sistema di gioco. Ma non ora, non qui. E nel
sottile confine tra la una migliore gestione della palla e il modulo attuale che prevede comunque azioni più profonde, intense e veloci, l’importante è non
inciampare mai.
NERO E NON SOLO Ieri Tavecchio
era ospite a «Quelli che» e ha fatto
un selfie con Manfredini. Poi, pare
abbia chiesto se l’iPhone avesse
l’antivirus.
ISTITUTO LUCE A SAN SIRO Accuse di razzismo anche a «Novantesimo» per le statistiche sui minuti giocati da italiani e stranieri, conteggiati
per incentivare l’uso di talenti locali
— ieri le più tricolori erano Cesena e
Sassuolo che ne hanno presi 10 —.
Ma la rubrica andrà avanti. Anzi, come avrebbe detto qualcuno, tira diritto.
TILT Si potrebbe davvero definire
innovativa la nuova grafica «a tema
flipper» di Sky Calcio Show. Si potrebbe se uno non avesse mai visto
TikiTaka su Italia 1.
GUFOS Y ROSICONES «Magari potrebbe avere un problema Marquez:
un lungo, una scivolata» (Carlo Pernat poco prima della caduta di Marquez, MotoGp Misano, Sky).
SOPRA LA CRAMPA «Ecco Biava
che si incrampa ma salva il gol» (Luca Boschetto, Cagliari-Atalanta, Diretta Gol Sky).
LARGHE VEDATE «Vale è stato
consistente nel warm up (...) vedavamo che la vittoria era fattibile (Massimo Meregalli, Paddock Live, Sky).
STRADE PERICOLOSE «Su Okaka
arriva, puntuale come un paracarro
mobile, Glik» (Tarcisio Mazzeo, «Tutto il calcio», Radiouno Rai).
E SOTTOLINEO CHE «Ero molto curioso che la squadra riusciva a vincere» (Massimiliano Allegri, JuventusUdinese, Sky).
COSCE DELL’ALTRO MONDO «Questa mattina la coscia di Tevez
ha dato risposte importanti» (Giovanni Guardalà, Juventus-Udinese,
Sky).
NON È UN CAPELLO A Miss Italia,
assieme al campione Nba Belinelli,
ieri era in giuria anche Sandro Mayer
con la sua acconciatura acrilica. Conte evidentemente non poteva.
(ha collaborato Francesco Carabelli)
Paolo Tomaselli
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Tiki taka sì o no?
Marchisio: «Un po’
di tiki taka, perché no?»
Ma Conte pochi giorni
fa lo aveva bocciato
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Mercoledì il Cska Il Ninja vuole bissare il brillante debutto in campionato. In attacco tornano Totti, Gervinho e Iturbe
La Roma di Coppa esalta l’ex riserva Nainggolan
ROMA — Radja Nainggolan, appena sbarcato a Roma
da Cagliari, il 10 gennaio
scorso, rispose così a un giornalista che gli chiedeva se si
considerava la riserva più pagata del mondo: «Allora tu mi
consideri già una riserva? Io
invece penso di potermela
giocare con tutti». Nove mesi
dopo nessuno gli rifarebbe la
stessa domanda.
Pensavano in tanti che a
Roma fosse arrivato un mediano di quantità, ottimo per
dare un turno di riposo, ogni
tanto, a quello che era il centrocampo inamovibile: Pjanic, De Rossi, Strootman. E
invece, anche prima del grave
infortunio dell’olandese, che
dovrebbe ritornare a novembre, il Ninja si è guadagnato la
stessa considerazione degli
altri. Altro che riserva!
Nainggolan, in un contesto
più competitivo, ha dimostrato anche grandi doti tecniche: «Sono nato trequarti-
Il carattere di Radja
«Magari alla musichetta
mi emozionerò un po’,
ma poi passa tutto. Ho
fatto le mie esperienze»
sta e da giovane il mio idolo
era Ronaldinho. Poi ho cominciato ad apprezzare anche
la grinta e mi è sempre piaciuto Gattuso. Cerco di miscelare le due cose e di essere utile per la squadra». Garcia gradisce. Compreso il gol contro
la Fiorentina, con un tiro al
volo da attaccante consumato, e il «mezzo gol» di sabato a
Empoli, quando un suo tiro
da fuori area è finito prima sul
palo, poi sulla schiena del
portiere Sepe e infine in rete.
Un bel bottino e un piccolo
rimpianto: «Un gol in più sarebbe stato, parlando di cifre,
importante personalmente.
Tatuato Radja Nainggolan (Ansa)
Ma ciò che conta è la vittoria
di squadra e il carattere che
abbiamo dimostrato, perché
abbiamo trovato difficoltà
contro una squadra che è tornata in serie A quest’anno e
gioca senza problemi perché
non ha nulla da perdere. L’importante è aver portato comunque a casa i tre punti, sarà importante per la fine del
campionato. L’anno scorso
siamo arrivati secondi perché
queste partite non le vincevamo, le pareggiavamo».
L’obiettivo è chiaro: lo scudetto. Anche se Radja non fa
lo spaccone: «Per me la favorita rimane sempre la Juve,
perché sono tre anni che vince. Ha cambiato allenatore,
ma la squadra è rimasta la
stessa e chi va in campo sono
sempre i giocatori. Pensiamo
a noi stessi e cerchiamo di arrivare davanti a loro a fine
campionato».
Intanto c’è la Champions
League, dopodomani contro
il Cska Mosca. Un altro debutto per il Ninja: «Magari alla
musichetta mi emozionerò
un po’, ma poi passa tutto. Ho
fatto le mie esperienze». Garcia farà turnover in attacco,
dove torneranno Totti, Gervinho e Iturbe. Nainggolan
sarà con Pjanic e Keita (squalificato De Rossi) a centrocampo. Difficile il recupero di
Castan in difesa.
Luca Valdiserri
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50
Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
italia: 51575551575557
CorriereMotori
Prova Debutta la
fuoristrada erede della
mitica Willys. A due o
quattro ruote motrici
La scheda
DIMENSIONI
Lunghezza: 424
cm; larghezza:
181 cm; altezza:
167 (4x2), 170
(Trailhawk); passo:
257 cm; altezza
da terra: 175 cm
(4x2), 198 (4x4),
210 (Trailhawk)
MOTORI
Turbo benzina
Multiair2 1.4
Stop&Start 140
cv; Multijet II
Turbodiesel 1.6
Stop&Start 120
cv; Multijet II
Turbodiesel 2.0
Stop&Start 140 e
170 cv. Cambio
manuale 6 marce
(automatico 9
marce per la
Multijet 2.0 4x4)
TRAZIONE
4x2 o integrale
PREZZI
Da 20.000 euro
DAL NOSTRO INVIATO
BALOCCO (Vercelli) — «Ci sono auto
camuffate da fuoristrada, versioni da
sterrato di citycar e poi ci sono le Jeep».
Mike Manley, il numero uno del marchio americano, non usa giri di parole
nel definire la nuova Renegade.
«È un Suv, un veicolo potente che può
essere guidato da tutti». Come dire: non
fatevi ingannare dalle dimensioni —
424 cm, quasi come una Golf — questa
Jeep s’arrampica ovunque. Sulle pietraie
di Moab nello Utah, il «Nürburgring dell’offroad», dove i tecnici americani hanno sviluppato la variante estrema Trailhawk, più alta da terra delle altre e piena di protezioni in acciaio sul fondo per
difendere gli organi vitali dalle botte.
Guai a dire che è piccola: divora salite
con pendenze che sfiorano il 60%, si rotola nel fango, supera ostacoli facendo
danzare una ruota per aria mentre le altre tre si aggrappano al suolo qualunque
cosa ci sia sotto. Basta girare il manettino sotto al cruscotto, impostare una delle modalità e fa quasi tutto da sola: «Auto» (adatta all’asfalto o alle strade di
ghiaia, disinserisce automaticamente la
trazione integrale quando non serve),
«Neve», «Sabbia», «Fango» o «Rocce».
Quest’ ultima impostazione ce l’ha solo
la Trailhwak, un «giocattolo» da intenditori: una volta selezionata, entrano
anche le marce ridotte e la «baby» Jeep
avanza poderosa con in sottofondo il
frullio del 2 litri turbodiesel da 170 cv
abbinato a un cambio automatico a nove
marce. Finezze tecniche che fanno capire di che pasta è fatta.
Gli americani la considerano l’erede
della capostipite Willys — dalla quale ha
ripreso molti dettagli, a partire dalla griglia con le sette feritoie sul muso — la
Jeep con cui gli alleati sbarcarono in Italia settant’anni fa. E il caso ha voluto che
Italia 4x4
la Renegade nasca proprio qui da noi,
nella fabbrica di Melfi. Team di ingegneri di Detroit e Torino l’hanno sviluppata
insieme partendo dall’architettura
Small Wide 4x4. «È l’esempio di come
Fiat e Chrysler dopo cinque anni siano
realtà ormai unite», spiega Mauro Pierallini, capo dell’ingegneria dell’area
Emea di Fca.
Fiat Panda Cross Derivata dalla
4x4 (17.460 euro), ha trazione integrale inseribile e controllo della
velocità in discesa. Da 19.460 euro
La Jeep Renegade, prodotta a Melfi,
si aggiunge alla gamma del gruppo Fca
ricca di prodotti dedicati all’off-road
Fiat Freemont Cross Protezioni in
evidenza, barre sul tetto, interni in
pelle, trazione 4x4 a controllo elettronico o anteriore. Da 32 mila euro
Jeep Wrangler L’essenza del
fuoristrada Made in Usa: 3 o 5
porte, trazione posteriore e integrale inseribile. Da 35.200 euro
Jeep Grand Cherokee È l’ammiraglia: lussuosa ed efficace nel
fuoristrada, è stata aggiornata
l’anno scorso. Da 52.100 euro
Ma torniamo al «fuori pista». La sensazione nell’affrontare brutali saliscendi
è quella di un dolce dondolio, l’auto fa
sembrare tutto semplice. Assorbe scossoni, probabilmente è merito del telaio
monoscocca costruito in materiali speciali — per la maggior parte acciai ad alta resistenza — che hanno limitato i chili in più sulla bilancia. Perché va bene
l’animo da «dura e pura» con il nome
che riprende un allestimento «cattivo»
della «Cj» utilizzato negli anni Settanta,
ma ai giorni nostri bisogna anche viaggiare comodi, soprattutto in strada. Ed è
qui che il marchio americano dimostra
di aver compiuto i progressi più grandi:
plastiche morbide al tatto, rifiniture in
metallo, sistema multimediale a schermo tattile.
Del resto la Renegade è una tessera
fondamentale nel mosaico del nuovo
gruppo che debutterà a Wall Street a
metà ottobre. Distribuita in 100 mercati
è uno di quei modelli dal quale si attendono guadagni importanti.
Eppure il prezzo, grazie alle sinergie
industriali, è molto competitivo, soprattutto se le concorrenti sono Mini Countryman e Skoda Yeti: si parte da 20 mila
euro per la versione d’entrata a benzina
a trazione anteriore. Ma per avere le
quattro ruote motrici e sfruttarne le capacità si sale ai 27.500 della 2 litri Multijet da 140 cv 4x4.
Daniele Sparisci
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Prova 3 Nella versione Rocks la piccola Opel si trasforma in un mini crossover, con molte possibilità di personalizzazione: «Non ne vedrete mai due uguali»
Tutti i colori della Adam per affrontare anche strade sterrate
RIGA (Lettonia) — Non ne
vedrete mai due uguali. O almeno questa è la promessa di
Opel, che assicura che le possibilità di personalizzazione
della nuova Adam Rocks tendono all’infinito. Venti colori
per la carrozzeria, da associare
ai sei del tetto e dei montanti;
sei tipi di cerchi in lega da 18
pollici (o 19 opzionali); nove
tinte delle barre sulla calandra;
ventidue finiture per l’abitacolo; tre colorazioni per i sedili in
pelle. Il tutto coronato dal tetto
in tela apribile elettricamente,
di serie, che scorre fino a scoprire quasi tutto l’abitacolo:
soluzione che permette di
viaggiare con il classico «vento
fra i capelli» senza indebolire
la struttura dell’auto, che non
perde i montanti centrali e po-
steriori e non riduce lo spazio
nel bagagliaio. Ma oltre i 110
km/h l’aria provoca fastidiose
risonanze: a quell’andatura,
meglio chiudere.
Rispetto alla Adam «normale», la Rocks ha l’aspetto del
crossover, con la maggiore altezza da terra e i paracolpi in
plastica lungo tutta la parte in-
feriore della carrozzeria. Anche sterzo e sospensioni sono
stati modificati per consentire
qualche tratto fuori dall’asfalto, ma non ci sono aiuti eletSi fa notare
Vistosi cerchi
in lega da 18
o 19 pollici e
maxi tetto
apribile elettricamente,
che scopre
quasi tutto
l’abitacolo: la
Adam Rocks
non passa
inosservata
tronici per migliorare la trazione su fondi scivolosi: insomma, sterrati magari sì,
fuoristrada vero no. La Adam
sta bene in città, con le sue dimensioni contenute (i 3,7 metri ne fanno il crossover più
corto del mercato) e il selettore
«City» per alleggerire lo sterzo
in manovra. Pensato per gli
ambienti urbani anche il dispositivo per il parcheggio semiautomatico: il conducente
deve solo modulare acceleratore e freno.
Opel ha scelto Riga, capitale
della Lettonia, per il debutto
della Adam Rocks probabilmente anche tenendo conto
delle pessime condizioni delle
strade: «ideali» per scoprire la
bontà della specifica taratura
delle sospensioni. Originale
Scheda tecnica
DIMENSIONI
Lunghezza: 375 cm;
larghezza: 181 cm; altezza:
149 cm; passo: 231 cm
BAGAGLIAIO
Da 170 a 663 litri
PESO
A secco: 1.156 kg (1.0)
MOTORI
A benzina: 1.0 a 3 cilindri
da 90 o 115 cv; 1.2 a 4
cilindri da 70 cv; 1.4 a 4
cilindri da 87 (anche a Gpl)
o 100 cv
PREZZI
Da 16.750 euro a 19.550
euro (fino a fine anno,
sconto di 2 mila euro)
anche il tre cilindri turbo da 1
litro, disponibile in versione
da 90 e 115 cavalli, che sarà
utilizzato anche da altri modelli della famiglia Opel. Un
motore svelto e frizzante, senza i difetti tipici (rumorosità e
vibrazioni) dei motori a tre cilindri. In questo caso prevalgono di gran lunga i pregi, a
partire dai consumi che —
stando alle dichiarazioni della
Casa — si attestano sulla media di 4,5 l/100 km nella versione meno potente.
Il debutto commerciale è
previsto per la metà di novembre: la Adam Rocks sarà nelle
concessionarie a un prezzo che
parte da 16.750 euro con il motore 1.2 quattro cilindri aspirato da 70 cavalli, per toccare i
19.550 con il nuovo tre cilindri. Prezzo di lancio scontato
di 2 mila euro fino a fine anno.
Stefano Marzola
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Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
Motori 51
italia: 51575551575557
Il Goodwood
Revival nelle
foto di Weber
Difficile spiegare il Goodwood Revival (l’edizione 2014 è finita ieri)
a chi non l’ha mai vissuto. Auto e moto dagli Anni 30 ai 60;
appassionati (bimbi compresi) in abiti vintage; una tenuta nel West
Sussex inglese degna di un film di James Ivory. Difficile, non
impossibile. Nel libro Goodwood Revival-Portraits (Skira, 204
pagine, 49 euro: a destra alcuni scatti), il fotografo Uli Weber coglie
l’entusiasmo e la nostalgia di questa festa che si ripete ogni anno.
Prova 2 Prevista anche una speciale versione prodotta in soli cento esemplari e intitolata a Nuvolari
La strategia
Il «piccolo» Suv
che va all’attacco
di cento mercati
BALOCCO (Vercelli) — «La nuova Jeep Renegade amplia la
gamma dei nostri modelli e ci permette di entrare nel crescente
segmento dei small Suv in più di 100 mercati del mondo, per fissare nuovi standard in termini di efficienza e prestazioni di guida,
assicurando allo stesso tempo le capacità off-road del marchio»,
ha dichiarato Mike Manley, presidente e ceo di Jeep Brand, Chrysler Group LLC. La Renegade è stata progettata in America, costruita in Italia, nello stabilimento di Melfi (è la prima Jeep a non essere assemblata negli Usa), insieme alla Fiat 500X che sarà presentata a Parigi, all’inizio di ottobre, e verrà commercializzata nei primi
mesi del 2015.
Renegade esprime la strategia e le ambizioni globali del marchio, tanto da coprire tutte le fasce del mercato dei Suv e offrire 16
combinazioni di motore e trasmissione, oltre al primo cambio automatico a nove rapporti nel segmento B. «Jeep con Renegade,
Grand Cherokee, Cherokee, Compass e Wrangler è il primo marchio ad avere a disposizione una gamma molto estesa — ha ricor-
Fino a 310 cavali
Rivale delle Bmw Z4 e Mercedes
Slk, la Audi TT è una sportiva
«2+2» posti. L’auto sarà
disponibile dal prossimo
novembre, con motori a benzina
(2.0 Tfsi da 230 cavalli) e a
gasolio (2.0 Tdi ultra da 184 cv).
Nel febbraio 2015 si affiancherà
la versione più potente TTs
(foto), con il 2.0 turbo da 310 cv
TT: Tradizione e Tecnologia
nel segno della sportività
Un’immagine al computer della Fiat 500X: debutterà in ottobre
dato Alfredo Altavilla, responsabile Emea di Fca — in grado di intercettare l’utenza più variegata».
Il marchio americano che si identifica da sempre, in campo automobilistico, nei valori di libertà e avventura, garantendo le migliori prestazioni su strada e fuoristrada, è considerato una delle
colonne portanti del piano industriale di Fca. Renegade verrà costruita dal prossimo anno anche nel nuovo stabilimento brasiliano di Pernambuco e in Cina, l’area più importante per Jeep dopo
gli Usa, in collaborazione con Guangzhou Automobile Group
(GAC Group), insieme ad altri due nuovi modelli Jeep studiati per
il mercato interno.
Secondo il piano presentato da Marchionne il 6 maggio, Patriot
e Compass (solo quest’ultima viene venduta anche in Italia) verranno sostituite nel 2016 da un solo modello, mentre la Wrangler
dovrebbe essere presentata nel 2017 insieme al nuovo Grand Cherokee, a cui nel 2018 seguirà la Grand Wagoneer, l’ammiraglia, con
tre file di sedili e 7/8 posti. La rete verrà di conseguenza ampliata
per passare dagli attuali 4.700 punti vendita ad almeno seimila.
Erano state ipotizzate per quest’anno 800 mila vendite, ora la barra
è stata portata sopra al milione di unità, per arrivare nel 2018 ad
almeno 2 milioni. È sempre Manley a sottolineare che «siamo sulla
buona strada per raggiungere l’obiettivo». Previsione sorretta dai
numeri: durante il 2014, nel mondo, Jeep ha aumentato le vendite
del 40% e nella sola regione Emea l’incremento ha superato il 30%.
L’Italia è il primo mercato in cui il piccolo Suv viene messo in
vendita, con due «porte aperte»: il 27 settembre e il 4 ottobre. Dopo inizierà la commercializzazione in Europa, Francia e Germania
in primo luogo, mentre in Usa e Cina arriverà nel primo trimestre
del 2015.
Bianca Carretto
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Arriva la terza generazione della coupé Audi
MARBELLA (Spagna) — L’Audi ci crede. Nel mondo ci sono ancora tanti automobilisti sognatori. A loro è dedicata
la TT capitolo III, una sportiva che non
costringe a dissanguarsi per acquistarla
(il listino, con il 2.0 diesel da 184 cv, 4,2
litri per 100 km, parte da 40.990 euro),
capace di soddisfare le esigenze del web
designer, che passa ore e ore in auto e
desidera immagine cristallina e costi di
esercizio accettabili, e del gentleman
driver tutto casa-ufficio-pista che vuole
sound e prestazioni (la TTs 2.0 turbo da
310 cv scatta da 0 a 100 in 4,6 secondi).
Diversa dall’icona che cambiò il modo di pensare le piccole coupé a partire
dal 1998, anche se la parentela si vede,
oggi è più spaziosa (è lunga 418 cm) e
più granturismo da guidare (il passo è
stato portato a 251 cm). «La TT è un
must di Audi, venduta finora in oltre
mezzo milione di pezzi nel mondo di cui
20 mila in Italia — dice Fabrizio Longo,
direttore Audi Italia —, che saprà attrarre ancora gli amanti delle piccole sportive premium, anche se in questi anni di
crisi le loro immatricolazioni sono scese
da cinquemila a 500 l’anno». La TT 2014,
acronimo di «Tradizione e Tecnologia»,
cambia il muso con la nuova maxi calandra single frame esagonale alta e
piatta, alza i fari che si riconoscono per
due linee di led verticali. Dietro luci con
il leit motiv dei listelli verticali e scarichi
differenti in base alle versioni: due doppi alle estremità per la TTs, due singoli
per Tdi e Tfsi (2.0 benzina da 230 cv).
L’abitacolo mantiene la disposizione
2+2 posti, anche se raggiungere i sedili
non è proprio agevole, e aumenta la capacità del lungo bagagliaio a 305 litri. La
visibilità è più che discreta, merito del
Nata nel 1998
La prima Audi TT fu lanciata nel
1998. La seconda risale al 2006.
Nel complesso l’auto ha avuto molto
successo: a tutt’oggi, il costruttore
tedesco ne ha vendute oltre mezzo
milione nel mondo, 20 mila in Italia.
Nella foto, la nuova Audi TT
generoso lunotto integrato nel portellone. Si sta seduti bene, tutto è razionale,
semplificato al massimo. Cancellati i comandi secondari al centro della plancia.
«Info e intrattenimento si leggono e si
scelgono sul display da 12,3 pollici che
si trova al posto del vecchio cruscotto
analogico, davanti al guidatore — spiega Longo —. Merito di una prima mondiale in casa Audi: il Virtual Cockpit. La
modalità classica mette in primo piano
tachimetro e contagiri, quella infotainment la mappa di Google Earth».
Altri dettagli che evocano il sapore
delle corse sono il grande contagiri digitale al centro del cruscotto, lo sportellino tondo senza tappo da svitare per il rifornimento, la pedaliera racing. La TT
2014, sottoposta a una dieta dimagrante
che ha riguardato tutte le componenti,
dai sedili (-5 kg) alle ruote (via mezzo
chilo), per un taglio totale di 50 kg, pesa
ora 1.230 kg.
Sulla pista Ascari di Ronda, la TTs ha
dato un saggio delle sue potenzialità. Lo
sterzo a cremagliera consente di pennellare le traiettorie, la trasmissione automatica a doppia frizione cambia le
marce in modo fulmineo e senza che siano percepibili interruzioni nel flusso di
potenza anche usando le palette al volante, la frenata è buona e la tenuta di
strada elevata, per effetto della trazione
integrale quattro, che nella guida sportiva invia più coppia alle ruote posteriori e in pratica spinge la TTs nelle curve.
«La ciliegina sulla torta? La TT Tdi Gp
Nuvolari riservata ai clienti italiani —
dice Longo —, tirata in 100 esemplari e
dedicata al grande pilota italiano che fece 100 volte in gara il giro più veloce».
Paolo Artemi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Prova 4 I motori della berlina e della station wagon sono tutti turbo Euro 6 a cominciare dal rinnovato tricilindrico mille EcoBoost da 100 e 125 cavalli
La Ford Focus tira fuori la grinta e dà un taglio al listino
MALAGA (Spagna) — Le auto
diventano come telefonini e il
ciclo vita si accorcia. Dopo tre
anni Ford è pronta a cambiare la
Focus e la scommessa non è da
poco. Non solo è l’auto più venduta al mondo (1,1 milioni nel
2013) ma è l’unica Ford globale,
uguale nei 140 Paesi in cui viene
venduta e deve accontentare
tutti, single e famiglie, sfidando
modelli come Golf e Giulietta
(che hanno il 43% del segmento
C, la Focus è al 9%) e attraendo
anche chi cerca il comfort.
L’aspetto è più aggressivo,
con un frontale basso e largo caratterizzato da una grande griglia frontale e un cofano scolpito. Il telaio ha una maggiore rigidità torsionale anteriore rispetto al modello precedente
che gli consente inserimenti in
curva degni di auto più prestanti. I motori sono brillanti, tutti
turbo Euro 6 a partire dal rinnovato tricilindrico mille EcoBoost
da 100 e 125 cavalli. A seguire il
1.5 da 150 cv, il 1.6 gpl da 120 e
le versioni a gasolio 1.5 TDCi da
95 e 120 cv e 2.0 da 150. Chiude
la gamma il 1.5 a benzina da 182
cv, che difficilmente vedremo in
Italia. Tanta aggressività è controbilanciata da sospensioni
morbide che aumentano il
comfort, vani portaoggetti generosi e tanti assistenti alla guiMuscolosa
Disponibile
nelle versioni
a 5 porte e
station wagon (foto), la
nuova Ford
Focus ha un
frontale più
grintoso, dominato dall’ampia mascherina
da, a partire dall’Enhanced
Transitional Stability, sistema di
controllo dinamico della stabilità che «intuisce» quando l’auto
sta per sbandare. Il Pre Collition
Assistent frena se ci si avvicina
troppo alla macchina che precede (entro i 50 km/h), i fari xenoadattivi seguono le curve e
l’assistente al parcheggio esegue
anche manovre a spina di pesce.
Segno dei tempi, l’elettronica di
bordo è centrale. Due prese da
12 volt e due porte USB consentono di ricaricare e connettere
smartphone, tablet e lettori
MP3. Ma la punta di diamante è
il sistema di intrattenimento, il
Sync 2. Realizzato con Microsoft, ha un display touch da 8
pollici e consente di gestire a voce navigatore, musica e telefono. Basta pigiare un tasto sul vo-
Scheda tecnica
DIMENSIONI
Lunghezza: 436 cm (456 la
wagon); larghezza: 201 cm;
altezza: 148 cm (151);
passo: 265 cm
MOTORI
Benzina: 1.0 EcoBoost 100
cv; 1.0 EcoBoost 125 cv; 1.5
EcoBoost 150 cv. Diesel:
1.5 TDCi 95 cv; 1.5 TDCi 120
cv; 2.0 TDCi 150 cv.
GPL: 1.6 120 cv
PREZZI
Da 18.750 euro (1.0
EcoBoost 100 cv) a 28.750
euro (2.0 TDCi 150 cv
Start&Stop Powershift). La
wagon: 1.000 euro in più
lante e dire Suona per far partire
la musica, Chiama... più il nome
per telefonare, citare la destinazione per farne la meta del viaggio, Ho fame per vedere i ristoranti della Guida Michelin nei
dintorni. I comandi vocali hanno tolto dalla plancia molti pulsanti, ma ora il display sopra al
volante è colmo di informazioni
e il volante è pieno di bottoni. La
chiave elettronica MyKey consente di impostare una sorta di
controllo genitori: in pochi tocchi si setta la velocità, si inserisce un cicalino per il limite e si
definisce il volume dello stereo.
I consumi vanno dai 4,6 litri/100 km del 1.0 100 cv ai 5,5
del 1.5 benzina da 150, passando per i 3,8 del 1.5 diesel. L’arrivo in Italia è previsto per il 22
novembre. Il nuovo listino parte
dall’allestimento Plus, a 18.750
euro: 250 in meno dell’attuale.
Alessio Lana
© RIPRODUZIONE RISERVATA
52
italia: 51575551575557
Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
Gabriella Censi
Coraggio, generosità, intelligenza, dolcezza e
bontà... Mimma ed Alberto hanno avuto il privilegio dell’amicizia di una creatura bellissima come te.- Grazie
Il giorno 14 settembre 2014 è mancata all’affetto dei suoi cari
Antonietta Picalarga Baglioni
Rag. Pietro Rota
Gabry
di 88 anni .- Ne danno il triste annuncio la nuora
Sandra, i nipoti Luca Bartolomeo con Maria Paola
e Elena Sofia, Andrea con Eleonora, Francesca,
il fratello Arnaldo, le cognate e i parenti tutti.- I
funerali si svolgeranno nella chiesa San Giovanni
Battista in Campagnano di Roma lunedì 15 settembre ore 15.45.- Non fiori ma donazioni all’associazione amici dell’università Campus Bio Medico
di
Roma
Onlus
Iban
IT95G0569603211000020266X94 causale "un
respiro per la vita".
- Campagnano di Roma, 15 settembre 2014.
Ne danno il doloroso annuncio la moglie Enrica,
i figli Mauro e Fabio con Simona e i parenti tutti.Il suo ricordo rimarrà sempre nei nostri cuori.- I
funerali saranno celebrati nella chiesa dei
SS.Quattro Evangelisti, per il giorno e l’ora chiamare Impresa San Siro al numero 02.32867.
- Milano, 14 settembre 2014.
mamma e nonna di grande intelligenza, generosità e tenacia.- Sarà possibile dare un saluto a
Gabriella martedì 16 settembre alle ore 14 presso la camera ardente in via Francesco Sforza 38.
- Milano, 14 settembre 2014.
- Milano, 14 settembre 2014.
Partecipano al lutto:
– Fulvio e Vittoria Nembrini.
– Giuseppe e Vittoria Daveri.
– Attilio e Maria Letizia Lentati.
sei stata una cara e preziosa amica, non ti dimenticheremo mai e ci uniamo al dolore di Carlo
con affetto.- Titti, Laura e Romolo.
- Milano, 14 settembre 2014.
Carlo disperato piange la sua
Piero e Ornella si stringono con affetto a Carlo
nel dolore per l’improvvisa perdita dell’amata
Gabriella
Gabry
Arnaldo, Annabruna ed Elena Picalarga con le
famiglie tutte partecipano al lutto per la scomparsa dell’amata sorella e zia
Gabriella
- Milano, 14 settembre 2014.
- Milano, 14 settembre 2014.
Ciao cara
Antonietta Picalarga Baglioni
Achille, Paola, Lorenza, Giorgio profondamente addolorati sono vicini a Carlo e Alberto per
l’improvvisa perdita dell’amatissima
Gabry
sei stata un’amica e una mamma, sempre presente e sempre disponibile, lasci un grande vuoto
nelle nostre vite, ti vogliamo bene, Cristina e Alberto. - Milano, 14 settembre 2014.
con immenso dolore, ricordandone la fede, il carisma e la bontà d’animo che hanno sempre contraddistinto il suo percorso di vita.
- Campagnano di Roma, 14 settembre 2014.
Gabriella
- Milano, 14 settembre 2014.
Ciao nonna
Amore mio grazie!- Mi hai regalato trent’anni
di gioie e serenità.- Paola annuncia con immenso
dolore la perdita del suo
Gabry
ci mancherai tanto, tutte le cose che ci hai insegnato, il burraco, le ricette, i lavoretti che facevamo insieme, il tuo sorriso e le tue coccole.- Rimarrai sempre nei nostri cuori, Francesca e
Jacopo. - Milano, 14 settembre 2014.
Carletto
La camera ardente è allestita presso la Casa Funeraria San Siro di Milano in via Amantea 3 (fronte cimitero Baggio), dalle 8 alle 19.- Per il giorno
e l’ora del funerale contattare il numero
02.32867. - Milano, 14 settembre 2014.
Angiolamaria, Claudio e Mariella abbracciano
con tanto affetto Carlo per l’improvvisa scomparsa dell’amatissima, dolce
- Milano, 14 settembre 2014.
Partecipa al lutto:
– Silvio Fasanotti.
Laura e Paolo, Federico e Giulia, Alessandro e
Luisa abbracciano affettuosamente lo zio Carlo
ricordando la carissima
- Milano, 14 settembre 2014.
Carlo
Gabriella
Nel nostro cuore e nei ricordi più belli e felici
rimarrà l’affetto per il nostro amato
- Milano, 14 settembre 2014.
I cugini Calvi di Bergolo e Donà dalle Rose ricorderanno sempre la carissima
Gabriella
L’agenzia Open Pubblicità con i suoi collaboratori partecipa al cordoglio dei famigliari per la
scomparsa del
Carlo
Dott. Luigi Cassinari
Sandra e Pietro, Pupi e Michele si stringono con
affetto e tenerezza a Paoletta nel ricordo di
Gabriella
- Milano, 14 settembre 2014.
Carletto
Il Presidente Davide Corritore, il Direttore Generale Stefano Cetti, il Consiglio di Amministrazione, i dirigenti e i dipendenti tutti di Metropolitana Milanese SpA sono vicini alla famiglia, in
questo momento di grande dolore, per la perdita
dell’
- Monza - Verbania, 14 settembre 2014.
Cara
Ciao
Gabry
Carletto
con tanto amore ti ricorda la cugina Graziella con
i cugini Pieri. - Mestre, 14 settembre 2014.
La moglie Monica e la suocera Olga annunciano con profondo dolore la scomparsa di
Carlo Gardelli
Piero Baldesi
- Almenno San Bartolomeo, 14 settembre
2014.
La camera ardente sarà allestita da lunedì 15 settembre presso la scuola di Scienze Aziendali, via
Tagliamento 16, Firenze.- Le esequie saranno celebrate martedì 16 settembre alle ore 15 nella
chiesa di San Francesco di Paola, piazza San
Francesco di Paola.
- Firenze, 15 settembre 2014.
Partecipano al lutto:
– Roberto Rusconi.
– Gerardo Vitali.
– Paolo Zanetti.
– Federico Goj.
– Achille Ripamonti.
Gabriella Censi Piona
- Milano, 13 settembre 2014.
Nel ricordo dei momenti belli e luminosi delle
nostre estati e vacanze assieme, rimarrai sempre
nel nostro cuore, cara
Gabriella
Il giorno 14 settembre 2014 è venuta a mancare nella sua casa
Amedeo, Susanna, Mario, Cate, Giorgio, Gabriella, Alberto, Gege.
- Milano, 14 settembre 2014.
Ezia Magri Melegatti
Gabriella
Nicola Romano
Tina, Alfredo e Marina con le loro famiglie lo ricordano con immutato affetto e infinita nostalgia. - Milano, 15 settembre 2014.
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DA COPIA DI UN DOCUMENTO DI IDENTITA’
TARIFFE BASE IVA ESCLUSA:
PER
PAROLA:
Franca Maria Castiglioni
I funerali avranno luogo martedì 16 settembre
presso la chiesa Santa Maria Incoronata, corso
Garibaldi 116 Milano.- Per l’orario si prega di
telefonare a Impresa San Siro 02.32867.
- Milano, 13 settembre 2014.
I cugini Gabriella, Claudia, Davide, Antonio,
Beppe, Alberto e Carlo con zia Anelida e famiglie
piangono la scomparsa dell’amata
Mauro e Clementina ricordano con grande affetto e rimpianto la cara
Emilio Laura, Giulio Laura, Camilla, Alberto Mariangela, Margherita, Vito Rina, Carlo Lidia,
Gianni Carla, Filippo Orietta, Alberto Francesca,
Gianfranco Annalisa, Anna Fabio, Gianni Paola.
- Milano, 14 settembre 2014.
Nel venticinquesimo anniversario della scomparsa di
Luca e Marco Citelli annunciano la scomparsa
della loro adorata mamma
Lo annuncia con commozione Marilena Romanelli con i figli Alberto e Francesca.- Le esequie
avranno luogo martedì 16 settembre presso la
parrocchia di San Giovanni Crisostomo, via Padova 116, Milano, alle ore 9.
- Milano, 14 settembre 2014.
Increduli ed addolorati ci stringiamo a Carlo ed
al figlio Alberto per l’improvvisa scomparsa della
carissima
Struggente e solare come la "tua isola", così Rena
ti ricorderemo questa sera con gli amici più cari,
Ubaldomaria.- Ore 18 presso Maria SS. Assunta
in Cielo, Le Forna.
- Isola di Ponza, 15 settembre 2014.
storico dirigente della società.- La sua professionalità ha contribuito in modo significativo alla
realizzazione delle più importanti opere infrastrutturali della città di Milano.
- Milano, 14 settembre 2014.
Il Presidente, il Consiglio Direttivo, la Comissione Sportiva, i soci ed il personale del Golf Club
Bergamo "L’Albenza" sono vicini alla signora
Giordani ed ai familiari nel triste e doloroso momento della scomparsa del caro socio
Gianni e Pinuccia Gadda partecipano al dolore
di Alberto Lara e Carlo per l’improvvisa scomparsa di
Renata Margherita
Vimercati de Capitani
Longoni
Ing. Ugo Amagliani
Alessio, Antonella, Alain, Cristina, Rossella.
- Milano, 15 settembre 2014.
Gabriella
amica mia, ricorderò sempre la tua positività, la
tua forza morale, la tua vivacità intellettuale, il
tuo essere speciale.- In questo triste momento sono affettuosamente vicina a Carlo e a tutta la famiglia.- Silvana. - Milano, 14 settembre 2014.
15 settembre 2012 - 15 settembre 2014
- Milano, 14 settembre 2014.
- Milano, 14 settembre 2014.
- Milano, 14 settembre 2014.
I famigliari tutti ne danno il triste annuncio.
- Varazze, 13 settembre 2014.
Gigi Cassinari
Patrizia, Marina, Antonio e Beatrice piangono
con Paola la scomparsa di
- Milano, 14 settembre 2014.
È mancato all’affetto dei suoi cari
Giorgio Tocchi
Giuseppe, Francesca, Matteo e Beatrice Locatelli si uniscono al dolore della famiglia ricordando con affetto l’intelligente creatività, generosità
e simpatia dell’amico
Silvia, Fabrizio, Cristiano, Edoardo, Lucia, Manu
e tutti i nipoti. - Milano, 14 settembre 2014.
Fabio con Annalisa, Laura con Alberto e i loro
figli annunciano con immenso dolore la scomparsa dell’amatissima sorella
Antonia (Kika) Lori in Ziantoni
Beatrice
e sono vicini con affetto a Alessandra, Livia e Cristina. - Milano, 14 settembre 2014.
Carletto
Collaboratori e dipendenti dello Studio Piona
e dell’Amministrazione Piona partecipano al
grande dolore del Dottor Carlo per la scomparsa
della signora
Giovanna Rostagno Bisin
È venuta a mancare all’affetto dei suoi cari Kika.Ne danno il triste annuncio il marito Violenzio ed
i familiari tutti. - Roma, 14 settembre 2014.
Beatrice Manzutto Archinto
- Milano, 15 settembre 2014.
ci mancherai, sarai sempre con noi.- Alessandro
con Bibo, Giordana con Alexander insieme ai ragazzi Nicolas, Ginevra, Natalie e Leone.
- Milano, 14 settembre 2014.
Antonietta Bertani
Vicini come a Chicago pieni di futuro nel cuore
e negli occhi, soli e tristissimi oggi senza
Alberto ci stringiamo forte a te e Vittorio.- Paolo
e Betty Nucci. - Milano, 14 settembre 2014.
La sorella Cristina con Ettore, Lavinia, Mario,
Ivana, Alessandro e nipoti ricorda commossa
Gianna Trabattoni con Giusy e Carlo, Laura e
Gianni con le figlie, profondamente addolorati
sono vicini con affetto a Carlo per l’improvvisa
scomparsa di
Maria Monica Donato
Il consorzio universitario CINEAS è vicino al
proprio presidente Adolfo Bertani nel triste momento della scomparsa della sorella
Lo annunciano le figlie Livia e Alessandra con
Amedeo Lavinia e Eduardo.
- Milano, 14 settembre 2014.
- Milano, 14 settembre 2014.
Maurizio Ghelardi, Monia Manescalchi, Francesco Muchetti, Susanne Muller partecipano con
profondo cordoglio alla scomparsa di
Il 14 settembre è mancata all’affetto dei suoi
cari
Ugo Andrea con Manuela e Giulia, Manuela
con Matilde e la cara sorella Ada piangono la
scomparsa del loro amato
Carlo (Puci)
Ennio Carzaniga
amica e collega carissima.
- Pisa, 14 settembre 2014.
Beatrice Archinto
Ciao
Il pittore
ci ha lasciati.- La moglie Gianna, i figli Silvia,
Chicco, Mario, Fulvio ringraziano amici e conoscenti per la vicinanza spirituale.
- Milano, 15 settembre 2014.
Antonietta Picalarga Baglioni
Partecipano al lutto:
– Mimma, Ilaria, Monica, Stefania.
Gabriella
Il giorno 14 è mancato all’affetto dei suoi cari
I dipendenti e i collaboratori di Baglioni S.r.l. si
uniscono al dolore di Sandra, Luca, Andrea e
Francesca per la perdita della loro adorata nonna Tetta.
- Campagnano di Roma, 15 settembre 2014.
e si stringono commossi ad Alberto e Lara nel
ricordo della carissima mamma.
- Milano, 14 settembre 2014.
Gabriella
il
Renata Cantù
Ezia
e sono vicini al dolore dei cari Pietro e Titti con
Vittoria. - Seregno, 14 settembre 2014.
- Milano, 14 settembre 2014.
Il Tempo
A
MODULO:
Corriere della Sera
Necrologie: € 5,00
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al lutto: € 10,00
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trigesimi e
ringraziamenti:€ 540,00
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Design A+G
Alberto, con Lara e Federico, annuncia la perdita di
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Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera
italia: 51575551575557
Tv in chiaro
Teleraccomando
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di Maria Volpe
PER CAPIRE
PER DISTRARSI
Riprende Formigli Al via le avventure
E anche la Merlino del pupazzo Tino
Oggi ripartono due
programmi di informazione
molto seguiti: la mattina
«L’aria che tira» con Myrta
Merlino che si occupa come
sempre di attualità e
politica, e in prima serata
«Piazzapulita» con Corrado
Formigli ( foto) che ha
voluto tornare alle origini
ovvero ha deciso che in
questa edizione non farà
solo il conduttoregiornalista del talk show ma
anche l’inviato. E’ stato in
Kurdistan per affrontare
l’orrore fondamentalista
del Califfato nero e mostrerà
la tragedia umanitaria delle
popolazioni in fuga dai
massacri.
Sembra proprio la vecchia tv
dei bambini. Da oggi, tutti i
giorni dal lunedì al venerdì, va
in onda il nuovo programma a
target prescolare condotto da
due pupazzi molto amati del
canale: Tino (foto) il
simpatico puppet che era al
fianco di Tata Adriana e
Ciuffetto il dj di «Radio
Crock’n’dolls» . Il programma
racconta cosa succede nella
cameretta di Tino quando
Tata Adriana, proprietaria di
casa, non c’è. L’amico
Ciuffetto arriverà tutti i giorni
per giocare insieme e
combinare tante marachelle. I
due si rivolgeranno ai piccoli
spettatori a casa, complici dei
loro giochi e dei loro scherzi.
L’aria che tira, La7, ore 11
Piazzapulita, La7, ore 21.10
A tutto Tino
DeAJunior, ore 20
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Film e programmi
Lo sguardo indiscreto Ebola e altre epidemie
di James Stewart
Ne parla Capuozzo
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Un fotoreporter di successo
(James Stewart, foto) è
costretto su una sedia a rotelle
dopo un incidente. Nel suo
riposo a casa avrà modo di
osservare i suoi vicini di casa...
La finestra sul cortile
Iris, ore 21
Dall’Ospedale Sacco di Milano,
centro di riferimento
nazionale per le emergenze
epidemiologiche, Toni Capuozzo
(foto) racconta i timori degli
italiani su mali come l’Ebola.
Terra!
Rete4, ore 23.55
Sfide in Myanmar
Del Debbio intervista
con della Gherardesca Renato Brunetta
Dopo l’eliminazione della
scorsa settimana della coppia
dei «benestanti», per i
viaggiatori di Costantino della
Gherardesca l’avventura nel
Myanmar continua nello Shan.
Pechino Express
Rai2, ore 21.10
Un faccia a faccia tra il
capogruppo di Forza Italia alla
Camera Renato Brunetta e il
conduttore Paolo Del Debbio
aprirà il nuovo appuntamento
con l’approfondimento.
Quinta Colonna
Rete4, ore 21.15
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Corriere della Sera Lunedì 15 Settembre 2014
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Film
e programmi
I film di Sophia Loren
in vista del compleanno
Con il film di De Sica in cui Sophia
Loren recita al fianco di Marcello
Mastroianni (insieme nella foto)
inizia un ciclo dedicato all’attrice
per i suoi 80 anni: andranno in
onda i suoi film per una settimana.
Ieri, oggi, domani
Sky Cinema Classics, ore 21
Violante Placido
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Gli imitatori di Conti
specchio dell’Italia
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rmai è chiaro, «Tale e quale show» condotto da
Carlo Conti, l’alter ego «artistico» del direttore
Gianka Leone, è il programma televisivo che in
questo momento rappresenta meglio l’Italia, un
Paese che non è più capace di proporre modelli
originali ma solo meste imitazioni. Il successo convinto del
programma, tornato con una nuova edizione su Rai1 il venerdì sera, lo testimonia: perso lo slancio creativo, assopito
da tempo lo spirito innovatore,
sembriamo ormai solo capaci
Vincitori e vinti
di interpretare stanche «cover», irrimediabilmente ripieMassimo
gati sul passato (ore 21.20).
Ranieri
E fossero almeno cover di
Il ritorno
pregio! Quale miglior specdi Massimo
chio dell’immobilismo del PaRanieri
ese dell’interpretazione di
supera i Segreti di
«Ragazza di periferia», un sucCanale 5. Torna lo
cesso sanremese di Anna Tashow del sabato sera
tangelo, fatta da Serena Rossi?
su Rai1, con «Sogno
Quale migliore metafora della
o son desto 2»:
stagnazione, anche ideale, in
per Massimo Ranieri
cui siamo impelagati di Raffa3.734.000 spettatori,
ella Fico che si trasforma in un
e uno share
clone ancheggiante di Shakira
del 19,7%
con parrucca bionda? E cosa
dire di Gabriele Cirilli che imiMegan
ta Suor Cristina e tutta la giuria
Montaner
di «The Voice»?
I segreti di
Bisogna però riconoscere
Canale 5
che il programma, il cui forsuperati dal
mat è tratto dallo spagnolo
ritorno di Ranieri.
«Tu cara me suena», è profesProsegue il sabato
sionalmente molto ben realizsera la saga de «Il
zato, una produzione di qualiSegreto», la fictiontà che è cresciuta nel corso delsoap con protagonista
le stagioni, lontana da modelli
Megan Montaner:
di intrattenimento che è già
per lei 3.193.000
capitato di vedere in Rai.
spettatori,
Nel tempo, le esibizioni dei
16,2% di share
concorrenti sono diventate
meno amatoriali e la competizione si è alzata di livello. Il meccanismo è talmente forte
(una gara tra personaggi noti che devono trasformarsi, con
l’ausilio di protesi, trucco e parrucco, in celebri cantanti e
interpretarne i successi) che la struttura viene mantenuta
identica stagione dopo stagione. Confermata anche la giuria con Christian De Sica (Leone, a quando le serate promesse su Cinecittà?), Loretta Goggi e Claudio Lippi.
La storia avvolta nel mistero di
uno dei personaggi più estremi e
contraddittori della nostra storia
recente: Violante Placido (foto)
è la «divina» Moana, la regina
indiscussa del cinema porno.
Moana
Sky Cinema Hits, ore 21.10
L’indiano Johnny Depp
salva la vita di Hammer
Caduto in un’imboscata, Lone
Ranger (Armie Hammer) viene
lasciato in fin di vita nel deserto.
Lo salva Tonto (Johnny Depp, foto
con Hammer), indiano comanche:
i due diventano amici inseparabili.
The Lone Ranger
Sky Cinema Max, ore 21
Laborie, la cuoca
voluta da Mitterrand
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Una cuoca di provincia (Hortense
Laborie) viene chiamata all’Eliseo
da François Mitterrand.
Conquista l’Eliseo con una cucina
basata sulla tradizione,
nonostante la gelosia dei colleghi.
La cuoca del presidente
Sky Cinema Passion, ore 21
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Lunedì 15 Settembre 2014 Corriere della Sera