Network virtuali, ritorno e co-sviluppo: la sperimentazione del progetto Albania Domani Flavia Piperno (CeSPI) Cristiana Paladini (Ipsia) Settembre 2014 Piazza Margana, 39 – 00186 Roma – Tel: +39 066990630 – Fax: +39 066784104 - mail:.cespi@cespi.it – web: www.cespi.it 1 Sommario Abstract 1. Alcuni tratti della migrazione albanese: fuga di cervelli e specializzazione all’estero 2. Il ritorno, da mito a progetto 3. I Diaspora Knowledge Networks e la loro diffusione nel contesto Albanese p. 3 p. 4 p. 6 p. 9 4. Politiche, attori e proposte per la valorizzazione del ruolo delle associazioni della diaspora e dei Diaspora Knowledge networks nel contesto istituzionale albanese p. 13 5. La piattaforma Albania Domani p. 14 Bibliografia p. 18 2 Abstract A partire dall’analisi delle principali tendenze dei flussi migratori albanesi, il presente articolo analizza le potenzialità dei social network gestiti dalle reti della diaspora per le strategie di cosviluppo tra Italia e Albania. Unendo l’analisi dei dati disponibili ad una ricerca sul campo svolta da Ipsia nel Nord dell’Albania, l’articolo accenna non solo ai fenomeni, più conosciuti, di drenaggio dei cervelli e specializzazione all’estero connessi alla migrazione albanese, ma si sofferma anche sui più recenti fenomeni di ritorno. Alcune analisi proposte da J.B Meyer offrono l’occasione per riflettere, in generale, sul fenomeno dei ‘diaspora knowledge network’. A partire da tale base, e nel quadro delle politiche per il rafforzamento della diaspora portate avanti dalle istituzioni albanesi, vengono descritti alcuni progetti specifici, riconducibili all’esperienza dei diaspora knowledge networks, portati avanti in Albania. Su questo sfondo, viene trattata con particolare attenzione l’esperienza della Piattaforma Albania Domani avviata nel 2012, nell’ambito dell’omonimo progetto, grazie a un finanziamento della Fondazione Cariplo. L’analisi si conclude con alcune riflessioni raccolte dal CeSPI attraverso interviste ad alcune associazioni albanesi presenti in Italia sui punti di forza e debolezza di una strategia tesa a rafforzare i diaspora knowledge networks per promuovere il co-sviluppo tra Italia e Albania. 3 1. Alcuni tratti della migrazione albanese: fuga di cervelli e specializzazione all’estero La storia dell’immigrazione albanese in Italia ha un passato importante. Il crollo del regime comunista nel 1991 ha inaugurato il flusso migratorio dall’Albania verso l’Italia che si è mantenuto intenso per oltre un ventennio. Nel 1996, a seguito della regolarizzazione promossa dal governo Martelli, gli albanesi sono divenuti la seconda comunità straniera in Italia e tutt’ora mantengono tale posizione. Con 482.627 residenti, gli albanesi compongono attualmente l’11% della popolazione straniera (dati ISTAT riferiti al 31/12/10) e l’Italia costituisce il secondo polo di attrazione, dopo la Grecia, per gli oltre un milione di emigranti albanesi. La migrazione albanese in Italia è caratterizzata da una popolazione giovane, relativamente istruita e principalmente costituita da uomini (54%). Per quanto riguarda il tasso di istruzione, Mai (2010) ricorda che, a differenza dell’emigrazione verso la Grecia, costituita principalmente da cittadini con un livello di istruzione primaria e provenienti dalle più povere regioni del Sud, l’emigrazione verso l’Italia è maggiormente composta da una popolazione dotata di istruzione secondaria o professionale e proveniente dalle più sviluppate regioni della costa, oltre che dal Nord del paese. L’Italia dunque contribuisce, più di altri paesi, a drenare risorse giovani e istruite dal paese delle Aquile e questo accentua il problema del ‘drenaggio di cervelli’ che, in Albania, risulta particolarmente sentito (secondo le stime del CESS-Centre for Academic and Social Studies di Tirana, infatti, circa la metà degli scienziati e degli accademici albanesi ha lasciato il paese negli anni ’90). D’altra parte è anche vero che l’Italia offre ai cittadini albanesi un’importante opportunità di specializzazione. Nell’anno accademico 2010/2011, su 61.777 studenti stranieri, il primo gruppo (20,2%) era rappresentato dagli albanesi, seguiti, ad una certa distanza, dagli studenti cinesi (7,4%) (Caritas Migrantes, 2011). Per quanto riguarda i lavoratori, è noto che l’Italia offre principalmente lavori nell’ambito di settori scarsamente qualificati e che, dunque, le opportunità di specializzazione aggiuntiva sono ridotte. E’ vero però che gli stranieri che si laureano in Italia hanno maggiori opportunità di ottenere un lavoro qualificato rispetto ai loro connazionali non laureati (sebbene in proporzione più ridotta rispetto agli italiani1). Inoltre, è utile ricordare che gli albanesi, rispetto ad altre comunità straniere residenti in Italia, trovano impiego in un’ampia varierà di settori (c’è una scarsa ‘segmentazione etnica’) e, di conseguenza, aumentano anche le opportunità di acquisire competenze utili per il paese di origine. Come messo in rilievo in un recente articolo di Rando Devole (2010): “Le statistiche confermano che gli albanesi in Italia lavorano in tutti i settori economici. Si evidenziano concentrazioni che variano a seconda dei settori, ma non sono tali da indurci a parlare di “specializzazione etnica” nel mercato del lavoro. Nel settore industriale operano 110.731 lavoratori albanesi, quindi la maggior parte. Si tratta dell’industria meccanica, chimica, edile, elettrica, alimentare, tessile, del legno, ecc. Nel comparto dei servizi risultano 90.056 occupati. Qui sono inclusi i sotto-settori come commercio, trasporto, sanità, pulizie, turismo, assistenza alle famiglie, ecc. Infine, l’agricoltura: in questo settore lavorano non pochi albanesi, 20.158. In percentuale, l’ordine della presenza nei settori economici si presenterebbe così: industria (49,3%), servizi (40,1%), agricoltura (9%)”. L’Italia ha dunque la possibilità di ricompensare, almeno in parte il drenaggio di cervelli, competenze e forza di lavoro attiva, che produce nel contesto albanese, valorizzando e promuovendo la circolazione del patrimonio di conoscenze e del know-how che i cittadini albanesi acquisiscono nella società di accoglienza. A partire da tali analisi, nell’ambito del progetto Albania Domani, finanziato nel triennio 2011-2014 1 ISTAT (2011), I redditi delle famiglie con stranieri, http://www.istat.it/it/archivio/48675 4 dalla Fondazione Cariplo e capofilato dalla ong Celim, è stato promosso un social network virtuale – l’omonima piattaforma Albania Domani - con l’obiettivo di mettere in rete i professionisti della diaspora con il contesto di origine. Attingendo ad una definizione spesso usata in letteratura (Meyer, 2010) potremmo definire questa piattaforma un ‘diaspora knowledge network’. Come sarà meglio chiarito in seguito, l’idea centrale di una strategia di questo tipo è proprio quella di valorizzare le specializzazioni e competenze apprese dai migranti all’estero e contrastare il drenaggio dei cervelli dai paesi di origine, grazie alla possibilità di creare reti di professionisti e gruppi di lavoro transnazionali che si riuniscono attraverso social network costituiti a questo scopo. Lo strumento telematico consente di stimolare tale processo anche in assenza di un ritorno dei professionisti della diaspora e con costi assai contenuti. Nel caso della migrazione albanese abbiamo però riscontrato, nel corso del nostro lavoro, una crescente tendenza al ritorno, sebbene spesso attraverso traiettorie circolari e instabili. Di questa tendenza emergente, inizialmente non considerata, parleremo nel prossimo capitolo, mettendo in evidenza come i diaspora knowledge network’ (inizialmente nati proprio per stimolare processi di co-sviluppo in un assenza di un ritorno dei professionisti della diaspora) possano influire positivamente, ed essere, a loro volta, influenzati positivamente da tali processi di ritorno e dai nuovi processi identitari che ne derivano. 5 2. Il ritorno, da mito a progetto Secondo gli indicatori demografici forniti dall’Istat nel giugno 20132, i flussi di ritorno dei cittadini stranieri residenti in Italia sono aumentati. All’interno di questo dato generale, la crescita del flusso di ritorno verso l’Albania supera quella delle altre comunità, attestandosi su un +23% rispetto all’anno precedente. A questo proposito, il giornalista Paolo Riva commenta: ‘Secondo gli ultimi dati Istat, gli albanesi che hanno lasciato l’Italia nel 2013 sono stati più di duemila. Pochi, se confrontati con i numeri di una comunità straniera che, con i suoi 500mila membri, rimane una delle più radicate e la seconda più numerosa del Belpaese. Tanti, se si scopre che il dato è cresciuto del 23 per cento rispetto all’anno precedente. Inoltre, spiega Antonio Ricci (del centro Idos, ndr) tra il 2002 e il 2011, dalle nostre anagrafi sono stati cancellati circa 24mila cittadini albanesi che, con ogni probabilità, hanno deciso di tornare a casa. Non solo. Per il ricercatore del Centro Idos, a questi numeri vanno sommati quelli delle espulsioni. Quelle dei lavoratori rimasti senza occupazione che diventano irregolari, per esempio. Complessivamente, dal 2008 al 2013, stiamo parlando di 15.500 persone’3. I principali studiosi che si sono occupati del caso albanese convergono nel sostenere che il nesso tra migrazione e sviluppo in Albania può essere agevolato da una parte attraendo le rimesse e l’expertise dei migranti, e dall’altra lavorando sul ritorno non come risposta ai problemi di migrazione nei paesi di arrivo ma come possibile parte del percorso migratorio il cui esito è strettamente legato alle relazioni personali e istituzionali costruite sia nei luoghi di accoglienza che in di ritorno (King e Mai 2004, Mai 2010, Cassarino 2004) Proprio al tema del ritorno, ai fini di mettere in luce alcuni aspetti specifici dei percorsi albanesi e del legame possibile tra rientro e valorizzazione dei network di migranti, è dedicato il presente paragrafo che sintetizza i risultati di un lavoro di ricerca svolto dall’Ong IPSIA nel nord del paese. La ricerca, condotta da Ipsia nella regione di Scutari per 4 anni dal gennaio 2010, con la collaborazione di istituzioni locali e attori della società civile, ha avuto come oggetto l'osservazione dei percorsi dei migranti di ritorno nel paese con l'ausilio di strumenti metodologici di analisi quantitativa e qualitativa4. Il lavoro, volto ad evidenziare, a partire dalle esperienze delle persone incontrate, le caratteristiche principali dei percorsi di rientro messi in atto dagli intervistati, le strategie e le competenze messe in gioco, ci permette di fare emergere alcune tendenze che intervengono nella costruzione delle relazioni che i migranti intrattengono tra Italia ed Albania. Sui percorsi di rientro e di migrazione circolare degli albanesi si sono soffermati negli ultimi anni alcuni autori (King e Mai 2008, Mai 2010, Mai e Paladini 2013) che hanno evidenziato orientamenti e contraddizioni di un fenomeno di frequente presentato come possibile soluzione dei principali problemi legati alla questione migratoria (Triandafyllidou, 2010). Il lavoro svolto da Ipsia si è avvalso di questi contributi e di queste prospettive nell’inquadrare il fenomeno, ma anche della possibilità di affiancare allo studio la pratica di accompagnamento all’inserimento lavorativo di alcuni migranti di ritorno sostenuti attraverso vari progetti coordinati dalla Ong5. Questa duplice prospettiva, nel corso di quattro anni, ha permesso di approfondire i cambiamenti in corso e il ruolo giocato dalla crisi economica internazionale nei percorsi costruiti dai migranti. 2 A questo proposito si veda: http://www.istat.it/it/archivio/126878 Paolo Riva, Ritorno in Albania, Q Cod Mad, 12 luglio 2014. 4 Nel lavoro che si è avvalso di strumenti quantitativi e qualitativi di analisi sono state raccolte: 70 interviste in profondità, fra Italia ed Albania a migranti rientrati o circolari, 10 interviste a testimoni privilegiati, 500 schede biografiche di migranti seguiti nei percorsi di rientro dal progetto Risorse Migranti. (La ricerca è stata coordinata da Cristiana Paladini con la collaborazione di Mauro Platè e dello staff di Acli Ipsia ne Shqiperi). 5 Oltre al già citato progetto “Risorse Migranti” la Ong italiana lavora da anni nel Paese in collaborazione con le Acli che hanno aperto nel Paese delle Aquile due sportelli (a Tirana e Scutari) di assistenza ai migranti e di orientamento e sostegno al lavoro www.ipsia.acli.it. 3 6 Se è vero che di ritorni, nel Paese delle Aquile, si inizia a parlare dalla seconda metà del 2000 (King e Mai 2008) e gli studi sul campo parlano di una propensione al rimpatrio già alta nel 2007 (European Training Foundation, 2007), il fenomeno, tutt’oggi difficile da quantificare, sembra aumentare solo all’inizio del 2010 per poi subire, stando alle rilevazioni emerse dalla ricerca, una forte accelerata solo negli ultimi due anni. E’ proprio in questo ultimo periodo che avvengono i cambiamenti maggiori sia nelle scelte ruolo ambivalente giocato dalla crisi economica internazionale nei percorsi costruiti dai migranti. che nei tempi di rientro6. Come osservano King e Mai il ritorno, nell’immaginario di chi lo costruisce nel corso degli anni, è in genere definitivo. Tornano innanzi tutto, volontariamente, coloro i quali ritengono di aver portato a termine la propria esperienza migratoria, hanno messo da parte dei risparmi e in genere, accompagnati dalla famiglia hanno pianificato un’attività imprenditoriale in patria. La crisi economica inizialmente ha giocato un ruolo ambiguo su questo tipo di ritorni, rallentandoli in alcuni casi anziché accelerandoli perché ha procrastinato il raggiungimento degli obiettivi economici ritenuti indispensabili per portare a termine il loro progetto (Mai e Paladini 2013). Ritornano i giovani che hanno studiato nelle università italiane e cercano di mettere in gioco le proprie competenze in Albania o i pochi che riescono ad usufruire di progetti di brain gain qualificato. In questi casi, il ritorno avviene prevalentemente verso la capitale in genere le relazioni con l’Italia sono più strette ed è maggiore la ricerca di legami anche lavorativi tra i due paesi. Inevitabilmente più improvviso il percorso di rientro di quanti hanno perso il lavoro e il permesso di soggiorno, o, non sono mai riusciti ad ottenerlo o, ancora, di coloro i quali sono costretti a tornare in patria per problemi personali o familiari di cui occuparsi. Dall’analisi delle testimonianze raccolte, emerge la rilevanza della preparazione del ritorno per la riuscita dei percorsi di reinserimento lavorativo nei luoghi di origine: è proprio su questo aspetto che i diaspora social network possono influire positivamente, attivando, già prima del ritorno, la rete di conoscenze e contatti. Nel panorama di autori e scuole che hanno dibattuto sulle variabili in grado di influenzare la riuscita di un percorso di rientro7 Cassarino ci fornisce un interessante modello di analisi legato alla preparedness del migrante, quella preparazione che, secondo l’autore, si costruisce attraverso diverse condizioni ‘pre’ e ‘post’ ritorno che, insieme, contribuiscono alla riuscita del progetto personale e imprenditoriale del rientrato (Cassarino 2004, p. 274). Modulata sul contesto albanese questa preparazione si costruisce attraverso un insieme di fattori di cui il capitale economico e le competenze acquisite all’estero, rappresentano solo una parte. Accanto ad esse, e in alcuni casi più rilevanti di esse giocano un ruolo fondamentale il capitale sociale e relazionale acquisito e rinnovato in patria, e, soprattutto, la conoscenza del territorio, la reale percezione dei suoi mutamenti, del suo evolversi culturale e della permeabilità del mercato all’innovazione. Se i casi seguiti dimostrano quindi che la capacità di mobilitare risorse di tipo differente pesa nel percorso di reinserimento come e più della disponibilità finanziaria è anche vero che il fattore temporale può diventare rilevante per la raccolta delle informazioni e la costruzione delle relazioni indispensabili ad alimentare il capitale relazionale su cui basare il progetto di ritorno. Il permanere di una situazione di instabilità economica e sociale in Italia, negli ultimi cinque anni ha contribuito a modificare il processo di ritorno: la crisi prolungata, e ancor più, la sfiducia in una ripresa in tempi brevi hanno accelerato a partire dalla fine del 2012 le partenze verso l’Albania. Nonostante la migrazione albanese viva da anni ormai una fase di maturità e stabilizzazione, molti sono stati quelli che sono stati costretti a rientrare, migranti che hanno perso il lavoro, o non sono riusciti a convertire il permesso di studio, uomini o donne che tentano di investire parte dei risparmi 6 Già il Metoikos Project metteva in evidenzia un cambiamento nella tendenza al rientro a partire dall’ultimo semestre del 2012. Cfr. Mai N., Paladini C. (2013). Flexible circularities: integration, return and socio-economic instability within the Albanian migration to Italy. In A. Triandafyllidou, Circular Migration between Europe and its neighbourhood , Oxford University press. 7 Cfr. sul tema Cassarino 2004 p. 267. 7 rimasti in un progetto imprenditoriale in Albania, mentre la famiglia rimane in Italia. Sempre di più sono le famiglie che si dividono: l’80% dei rientrati negli ultimi 5 anni intervistati ha infatti lasciato parte del nucleo familiare dall’altro lato dell’adriatico. In questi casi la circolarità è un obbligo, una via inevitabile per il mantenimento (Mai 2010). Non partono solo precari, ma anche, “nuovi” cittadini italiani8 che non riescono a mantenersi a causa della perdita del lavoro. Molti di loro, pur aprendo un’attività in Albania, tornano in Italia anche per brevi tempi, alla prima occasione di occupazione. Spesso sono i genitori a tornare in Albania, mentre le nuove generazioni restano, studiando o cercando di specializzarsi in Italia. Talvolta però partono anche i figli che, in mancanza di un lavoro in Italia, tentano la fortuna in un paese in cui spesso non hanno mai abitato. Questa accelerazione nei percorsi di ritorno ha complicato il rapporto con il territorio di rientro e il processo di preparazione. La costruzione di una rete, non solo familiare ma anche lavorativa e la capacità di lettura a del territorio, delle sue risorse, dei suoi cambiamenti, condizioni, come accennato, fondamentali per un buon reinserimento, difficilmente si costruiscono nella foga di un ritorno non programmato. Il lavoro sul campo ha evidenziato come l’accompagnamento al percorso migratorio, l’orientamento al lavoro e all’impresa, ma anche la possibilità di inserirsi in una rete relazionale dinamica ed aperta all’innovazione e alle relazioni transazionali agevolino in maniera determinante il processo di reinserimento. I cambiamenti in corso nei percorsi dei migranti influenzano inoltre anche le dinamiche di creazione e rafforzamento delle identità. Inevitabilmente infatti nel momento del rientro in patria quel processo di integrazione - che passa anche per la riunificazione familiare, la stabilizzazione lavorativa, la capacità di progettare sul medio e lungo termine - è rimesso in discussione e con esso lo sono le identità personali, negoziate non solo sul senso di appartenenza al paese di origine, ma su quanto costruito nel territorio di residenza attraverso l’esperienza personale e le possibilità relazionali. Contestualmente, la ricerca sul fronte italiano, ha fatto emergere numerose trasformazioni all’interno della comunità albanese in Italia: circolano maggiori informazioni sull’Albania, più consolidate si fanno le relazioni economiche, crescono le associazioni, più forte diventa la voce della comunità espatriata. Questo processo incide in maniera determinante sulle dinamiche di costruzione identitaria. La negoziazione dell’identità collettiva, per molto tempo prevalentemente relegata al privato, emerge e si fa più visibile (Paladini 2014, p. 115). Al tempo stesso, il più accentuato orientamento al ritorno, riduce la tendenza assimilazionistica e rafforza l’identità nazionale pur all’interno di percorsi di integrazione. L’Albania inizia così, in ritardo rispetto ad altre nazionalità presenti sul territorio italiano, a far emergere la propria identità culturale anche al di fuori dei confini comunitari. Questi processi a loro volta rendono più maturo il percorso che porta alla creazione di social network intesi come cassa di risonanza della voce della comunità albanese in Italia e come ponte con il contesto di origine. La messa in circolo di questo capitale comunitario non può che essere un elemento di forza, non solo per la diaspora albanese ma anche per chi ingaggia percorsi di circolarità e di rientro. In questo senso i diaspora Knowledge Network, di cui la piattaforma Albania Domani è un esempio, possono rappresentare un punto di partenza per questo scambio di informazioni. Al di là dell’esaltazione dei fenomeni di ritorno, per chi progetta in Albania e in Italia con la comunità albanese, tenere conto di questi nuovi percorsi, volontari o obbligati diventa oggi un elemento fondamentale per la costruzione di percorsi di cooperazione efficienti e condivisi. 8 Con l’espressione “nuovi cittadini” si vogliono intendere i migranti che hanno ottenuto la cittadinanza italiana o seconde generazioni di giovani nati in Italia da famiglia di origine albanese. 8 3. I Diaspora Knowledge Networks e la loro diffusione nel contesto Albanese Da più di 40 anni, la questione del drenaggio di cervelli e competenze dai paesi di emigrazione anima il dibattito sul nesso, in questo caso negativo, tra migrazione e sviluppo. Come ricorda Meyer (2010) la preoccupazione per la fuoriuscita di studenti e personale socio-sanitario era già fortemente diffusa negli anni ’70 e ’80, così come la ricerca di possibili soluzioni. Le principali misure dirette a contrastare il drenaggio di cervelli dai paesi di origine venivano ricondotte a tre strategie prioritarie: la tassazione (dunque misure finanziarie compensative); la regolazione dei flussi attraverso norme internazionali; e la ‘conservazione’ (ovvero la limitazione dei flussi attraverso il controllo dell’emigrazione da parte dei paesi di origine). Tutte e tre queste strategie sono di fatto fallite: la tassazione solo raramente è stata tradotta in termini operativi; la regolazione internazionale dei flussi è rimasta inapplicata almeno per quanto riguarda il tentativo di frenare l’importazione di lavoratori qualificati: al contrario, col tempo gli stati occidentali hanno cominciato e privilegiare l’ingresso proprio di tale categoria di migranti; il tentativo di restringere i flussi in uscita è stato promosso da numerosi paesi di origine, ma di fatto con scarsissimi risultati (Meyer, 2010, pp. 100-101). Sempre Meyer ricorda che il fallimento di queste misure ha portato all’adozione di due ulteriori priorità: il ritorno degli espatriati qualificati (opzione del ritorno) e la loro mobilitazione, pur restando in un contesto remoto (opzione della diaspora). La prima opzione ha cominciato a diffondersi già negli anni ’70 ed è stata ulteriormente sviluppata negli anni ’80 e ’90. Non sorprendentemente, tuttavia, le politiche di ritorno sono state applicate con successo solo nei paesi di nuova industrializzazione (come Cina, India, Taiwan, Singapore, Korea), in quanto il settore scientifico e tecnologico e le infrastrutture di base erano già sufficientemente sviluppate e rendevano più appetibile il re-inserimento professionale nel paese di origine. Paesi con livelli di sviluppo inferiore non hanno invece avuto l’opportunità di conseguire un successo analogo. L’opzione della diaspora è stata perseguita a partire dagli anni ‘90 e di essa hanno potuto beneficiare anche Stati con un minore livello di sviluppo. Questa strategia si basa sulla costituzione di network di migranti qualificati, poco propensi al ritorno, ma interessati a promuovere azioni di sviluppo nel contesto di origine o programmi a cavallo tra le due sponde. Relazioni tra intellettuali espatriati e la loro madrepatria sono sempre esistiti nel passato. Ciò che oggi è cambiato è che questi legami sporadici, eccezionali e limitati possono diventare, grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie, sistematici, densi e multipli (Meyer, 2010, p. 102). Uno dei vantaggi dell’opzione della diaspora è che non vi è il bisogno di investimenti infrastrutturali massicci, visto che vengono capitalizzate risorse già esistenti. Si tratta, dunque, di un processo fattibile per ciascun paese che voglia fare uno sforzo sociale, politico, organizzativo e tecnico, per mobilitare la propria diaspora. Un altro vantaggio, viene ricondotto alla possibilità, per il paese di origine che si relaziona ai così detti network della conoscenza (Diaspora Knowledge Networks), di accedere non solo al sapere dei singoli esperti, ma anche ai network sociali e professionali in cui essi sono inseriti all’estero (Meyer, 2010, p. 102). L’opzione della diaspora è andata diffondendosi nel corso del 2000. Attraverso una sintesi delle principali fonti esistenti, Leclerc e Meyer (2007) hanno identificato 98 network attivi su 38 paesi (i dati si riferiscono al 2005 e a soli tre continenti: Africa, Asia e America Latina)9. Al tempo stesso i 9 Il caso cinese e quello indiano sono i più promettenti. La Cina ad esempio ha oltre 200 associazioni di professionisti registrate presso il Council for Overseas Chinese Abroad Office (OCAO); ha avviato una politica specifica (wei guo fuwu) per la promozione dei legami con gli esperiti; ha 5 ministeri e un alto numero di Enti Locali impegnati in programmi con professionisti espatriati; promuove un alto numero di progetti in questo campo (brevi visite, consulenze, condivisione di progetti tra associazioni di professionisti e Autorità istituzionali in loco, reclutamento attraverso Fiere, 9 due studiosi, attraverso l’analisi delle principali esperienze in atto, hanno identificato anche alcune raccomandazioni rilevanti. Si sottolinea, in particolare, come sia difficile trattenere i professionisti all’interno dei networks a causa dello scarso tempo che essi hanno a disposizione e come siano, dunque, privilegiate le strategie che puntano sull’efficacia e concretezza degli obiettivi e sulla chiara identità dei gruppi che si costituiscono. La rapidità della comunicazione è un ulteriore elemento cruciale. Da questo punto di vista, la tecnologia, offre un sostegno notevole in quanto rendendo possibile garantire la rapidità nel passaggio delle informazioni. Gli autori rilevano inoltre come spesso i membri dei Diaspora Knowledge Networks si sentano delusi dalla passività dei governi di origine, mentre la motivazione (e l’efficacia delle azioni) aumenta se vengono coinvolti policy makers e altri attori del territorio operanti a livello locale e nazionale nei contesti di origine. Il successo delle iniziative è in gran parte legato alla capacità di coinvolgere un bacino ampio ed eterogeneo di attori, operanti in contesti territoriali diversi, e disposti a relazionarsi con la diaspora e a valorizzarne gli sforzi: amministrazioni locali, Accademia e Centri di Formazione, Uffici del Lavoro, ONG, Camera di commercio, imprese, singoli professionisti, etc.. L’eterogeneità degli attori coinvolti consente infatti un adattamento ‘fluido’ alle diverse e specifiche potenzialità dei networks, che devono essere considerati come soggetti differenziati tra loro e al loro interno e mutevoli nel tempo, e dunque poco adatti a riferirsi ad un unico referente istituzionale centrale (del resto anche l’istituzione centrale è soggetta a trasformarsi nel tempo per via dei mutamenti elettorali e delle diverse politiche adottate). Il ruolo dello stato centrale è tuttavia cruciale in termini di governance, coordinamento e promozione della molteplice azione degli attori locali. Lo Stato può intervenire con la costituzione di database, portali, strumenti informativi, ma anche cofinanziando le attività, fornendo supporto logistico, organizzativo o simbolico (premi, esposizioni, etc); può attrarre gli sforzi della diaspora verso obiettivi sociali o economici prioritari nel paese; attraverso i propri servizi, può intervenire come intermediario tra attori molteplici in loco e all’estero. Un altro elemento evidenziato dagli autori riguarda la possibile convergenza, nell’ambito di un unico paese, di molteplici network di espatriati qualificati: questo, secondo gli studiosi, non costituisce un problema, ma al contrario un vantaggio: viene infatti promossa una molteplicità di interventi e la possibilità di scambi fertili e trasversali tra le diverse iniziative. La politica di cooperazione allo sviluppo promossa dai paesi di destinazione è un ulteriore elemento centrale per la riuscita dell’opzione della diaspora. Uno dei suggerimenti indicati dalla letteratura consiste nel promuove ‘luoghi’ di incontro (fisici e virtuali) dove far convergere potenziali partner interessati a promuovere progetti di comune interesse dentro o fuori dal paese di accoglienza (Meyer, 2010, pp. 108-110). L’opzione della diaspora lascia aperte alcune domande (ampiezza del fenomeno, sostenibilità delle iniziative e loro impatto effettivo), ma ad oggi viene ritenuta una delle strategie più praticabili nell’ambito di politiche tese a legare la migrazione allo sviluppo di paesi che sono ancora lontani da una significativa crescita economica. Per questo il supporto alle reti della diaspora è un obiettivo che deve essere attentamente esaminato dagli Stati e divenire parte di una politica pubblica per lo sviluppo (Meyer, 2010, p.86). In Albania, alcune sperimentazioni possono essere ricondotte all’esperienza dei diaspora knowledge networks. Recentemente l’OIM, attraverso il progetto MIDWEB, ha avviato un programma che punta a favorire il ritorno temporaneo o virtuale di emigranti qualificati in alcuni paesi Est Europei tra cui l’Albania. Il progetto avrà corso fino al Novembre 2012. Nella selezione dei candidati, che devono avere un alto livello d’istruzione, vengono tenute in considerazione le necessità e le richieste specifiche delle aree geografiche target del progetto, tra cui l’Albania. Le persone che partecipano internship, etc). 10 al MIDWEB ricevono supporto logistico e finanziario per la durata del loro incarico da parte dell’OIM. Il supporto prevede il rimborso delle spese di viaggio, alloggio e spese di sussistenza nelle aree geografiche target; assistenza nella gestione e compilazione di documenti ufficiali; orientamento e assistenza prima e dopo la partenza; organizzazione del trasferimento nelle aree di riferimento; monitoraggio durante il periodo dell’incarico. Altri interventi che non puntano sul ritorno fisico dei migranti, ma piuttosto sull’opzione della diaspora (Meyer, 2010), sono stati rilevati in una ricerca condotta da Germenji e Gedeshi nel 2008). Gli autori, ad esempio, ricordano che in anni recenti sono stati creati diversi network come AlbSchenka Forum (con 850 membri), Alb-Student (una rete internazionale di associazioni di studenti), il Forum Albanese, etc. Questi network promuovono (oltre a progetti di circolazione, ritorno e incontro tra domanda e offerta di lavoro) anche dibattiti, incontri e workshop a livello internazionale, soprattutto grazie allo strumento virtuale. I membri di Alb-Schenka, ad esempio, “discutono tra loro degli attuali problemi dell’Albania e si rendono disponibili ad offrire un contributo volontario per il progresso della scienza e della tecnologia nel paese” (Germenji e Gedeshi, 2008, pp. 25). Si tratta di una strategia promettente se è vero, come emerge da una ricerca del CESS (2004), che circa l’89% degli albanesi che hanno ottenuto un dottorato all’estero desidera collaborare con il paese di origine. Una delle principali sfide per migliorare la valorizzazione della diaspora qualificata, consiste nell’ottenere maggiori informazioni sui ‘cervelli’ espatriati. Anche da questo punto di vista, negli ultimi anni, si sono registrati passi in avanti. Un recente progetto promosso dall’ONG ‘Albanian Students Abroad Network’ (AS@N) e sostenuto dalle Nazioni Unite (UNICEF; ILO; UNDO) e dall’OIM,10 nell’ambito dello ‘YEM programme’, ha promosso opportunità di internship destinate a studenti albanesi residenti all’estero, nel settore pubblico e privato in Albania, attraverso una piattaforma on-line che incrocia domanda e offerta di lavoro11. AS@N, nell’ambito di tale progetto, ha effettuato una mappatura degli studenti albanesi all’estero che costituisce una base feconda per la creazione di network della conoscenza. Nella stessa direzione va un progetto dell’AIIS (Albanian Institute for International Studies), che ha costituito un database con almeno 300 esperti interessati al ritorno. Il CESS, grazie ai finanziamenti della Soros Foundation, ha, a sua volta, creato un database con oltre 1000 studenti di Master e dottorato interessati in programmi di cooperazione o ritorno (Chaloff, 2008). I Progetti fin qui menzionati, sono senz’altro degni d’interesse, ma spesso restano limitati a una piccola scala di beneficiari, sono scarsamente coordinati tra loro, non sono parte di un sistema di governance complessivo e non sempre sono in grado di comunicare con gli attori che promuovono programmi di cooperazione allo sviluppo nei contesti di arrivo. Una più efficace valorizzazione dei Diaspora knowledge networks albanesi dovrebbe divenire parte di una più attenta strategia istituzionale perseguita, a livello nazionale e locale, in Albania. A questo proposito, le principali richieste formulate da un gruppo composto da alcune delle più importanti associazioni albanesi presenti sul territorio italiano12, e rilevate attraverso alcune interviste in profondità condotte dal CeSPI nel 2012, convergono principalmente su tre raccomandazioni. Le istituzioni dovrebbero: 1) Favorire un maggiore coordinamento tra i diversi network della conoscenza esistenti 2) Facilitare il coinvolgimento di attori strategici albanesi potenzialmente interessati alle attività dei network della conoscenza (ad esempio i principali attori albanesi interessati a fare progetti o a reclutare professionisti o consulenti in uno dei quattro campi promossi dalla 10 All’iniziativa collaborano anche: la Camera di Commercio e dell’industria albanese, l’Unione delle Camere di Commercio e dell’Industria, associazioni di imprenditori locali e stranieri, e diverse imprese private. 11 Maggiori informazioni sono reperibili sul sito: http://www.punesimirinor.com/ 12 Ci riferiamo in particolare alle seguenti associazioni: Dora e Pajtimit (Milano); New Age Era (Milano), Juvenilia (Forlì); Rete Fare(rete di associazioni dell’Emilia ROmagna);RAT (Rete di associazioni della Toscana), Il paese di fornte (Ancona), Teuta (Trento); Rinia (Padova); Vatra (Torino); Asat (Trieste). 11 piattaforma ‘Professionisti per l’Albania’ dovrebbero essere mobilitati e coinvolti) 3) Condizionare l’adesione a partenariati europei (promossi nell’ambito di grandi progetti di sviluppo specialmente attraverso i fondi di pre-adesione) alla presenza, nel partenariato medesimo, di una o più associazioni della diaspora attive in uno dei network della conoscenza che collaborano con l’Albania. La crescente attenzione politica da parte delle Istituzioni albanesi al tema del nesso tra migrazione e sviluppo e della diaspora qualificata, offre, da questo punto di vista, alcune opportunità di rilievo. Nel paragrafo che segue esaminiamo le principali politiche promosse a tale riguardo. 12 4. Politiche, attori e proposte per la valorizzazione del ruolo delle associazioni della diaspora e dei Diaspora Knowledge networks nel contesto istituzionale albanese Il quadro legislativo e strategico che regola i processi migratori dall’Albania è in rapida trasformazione. Nel 2003 l’Albania ha approvato una legge (L. 9034) che regola la migrazione dei cittadini albanesi per motivi di lavoro. La legge afferma il diritto di emigrare e promette supporto e servizi agli emigranti attraverso accordi bilaterali e servizi consolari. Più significativa per la politica corrente è la Strategia Nazionale sulla Migrazione (d’ora in poi SNM), approvata nel 2004 in accordo ai principi stabiliti nell’ambito dell’Accordo di Associazione e Stabilizzazione con l’Unione Europea (Nomisma, 2008) e oggi in fase di revisione e rinnovo da parte del Governo. La Strategia, che viene elaborata attraverso una programmazione quinquennale è volta a promuovere una gestione più integrata e sistemica del fenomeno migratorio e un più stretto legame tra migrazione e sviluppo. Tra gli obiettivi prioritari della prima SNM vanno ricordati: la protezione dei diritti dei migranti all’estero; il rafforzamento del rapporto con la diaspora; la valorizzazione delle rimesse per lo sviluppo locale (soprattutto in ambito produttivo); la promozione della migrazione circolare e di ritorno, specialmente se qualificata; una migliore presa in carico dei migranti di ritorno (anche attraverso una migliore regolazione a livello legislativo); l’agevolazione nella politica dei visti; lo sviluppo di un quadro legale e istituzionale più adeguato. Come ricorda Mai (2010) sebbene la SNM abbia ricevuto notevoli critiche (l’assenza di fondi dedicati e l’insufficiente ownership da parte degli attori locali sono tra le principali criticità osservate - Totozani et al. 2007; Chaloff 2008), non vanno sottostimati gli obiettivi ambiziosi che essa si pone. La SNM ha, a sua volta, portato alla creazione di un Piano di Azione Nazionale sulla migrazione. Nel piano sono elencate le diverse azioni che devono essere intraprese per conseguire i diversi obiettivi posti dalla Strategia e gli attori che devono svolgerle; inoltre vengono individuati i costi e le risorse necessarie. Nel giugno 2010, l’Albania si è inoltre dotata di una Strategia (e di un relativo piano di azione) per la reintegrazione dei cittadini albanesi di ritorno (2010-2015). La strategia, giudicata positivamente dalla Commissione Europea, è stata criticata dalla società civile in quanto gli attori non statali sono stati scarsamente coinvolti. La politica migratoria albanese è attualmente gestita da istituzioni differenti. Il Dipartimento Migrazione, Ritorno e Re-integrazione afferente al Ministero del lavoro, degli Affari Sociali e delle Pari Opportunità è responsabile della Strategia Nazionale sulla Migrazione, dell’Action Plan e della Strategia per la reintegrazione dei cittadini albanesi di ritorno. Il Servizio Nazionale per l’Impiego (NES) è il principale ente responsabile per le politiche dell’impiego a livello nazionale e gestisce gli Uffici Regionali per l’Impiego che sono responsabili di accogliere le domande di lavoro all’estero presentate dai cittadini albanesi che desiderano partire. Il Ministero dell’Interno è uno degli attori chiave nel campo della politica migratoria del paese, specialmente per quanto riguarda il controllo delle frontiere e l’implementazione degli accordi di riammissione. Il Ministero degli Esteri è un altro attore chiave, specialmente per quanto riguarda la negoziazione degli accordi bilaterali con i paesi di immigrazione, e sotto la sua responsabilità lavora l’Istituto per la Diaspora, incaricato di mantenere le relazioni con gli albanesi all’estero e le loro associazioni (Nomisma, 2008). Per quanto riguarda le amministrazioni locali, Chaloff (2008) nota come esista un più ampio margine di azione rispetto al livello nazionale, anche grazie ad una maggiore stabilità politica (resa possibile dallo spoil system che non si applica a livello nazionale), ma raramente la tematica migratoria rientra nell’ambito di strategie formali di sviluppo locale. 13 5. La piattaforma Albania Domani A partire dalla consapevolezza degli scenari sopra descritti, come accennato all’inizio, una rete di ONG ed Enti Locali italiani13, nell’ambito dell’omonimo progetto, finanziato dalla Fondazione Cariplo, ha promosso la costituzione del social network ‘Albania Domani’ (www.albaniadomani.net) il cui obiettivo è mettere in rete gli attori che, a partire da molteplici punti di partenza, puntano a promuovere collaborazioni tra Italia e Albania. In particolare la piattaforma si rivolge a: professionisti e studenti albanesi; associazioni della diaspora; e altri attori strategici, sia italiani che albanesi, quali: imprese, istituzioni e ONG/Attori non Statali14. Chiunque può iscriversi al registro, entrando attraverso una propria password e parola chiave. Nella piattaforma è possibile inserire dati relativi alla propria struttura di appartenenza oppure al proprio curriculum (formazione, esperienza lavorativa, adesione a strutture associative, tipo di collaborazione che si intende stabilire tra Italia e Albania). Come in qualsiasi social network, la piattaforma consente non solo di inserire i propri dati, ma anche di creare gruppi di discussione o inviare files o informazioni a un bacino di lettori ampio, così come di cercare professionisti potenzialmente interessanti inserendo delle semplici parole chiave. La piattaforma si rivolge a soggetti che operano in qualsiasi settore lavorativo, ma un particolare incentivo all’iscrizione è offerto a coloro che intendono stabilire collaborazioni transnazionali in 4 settori specifici ritenuti strategici: il turismo, il settore dei servizi sociali e sanitari, il settore del commercio e vendita di prodotti tipici, il settore delle energie rinnovabili e dell’elettronica. Sono stati scelti questi ambiti perché si tratta di campi strategici per l’Albania e che consentono opportunità di collaborazione transnazionale tra l’Italia e il Paese delle Aquile; si tratta inoltre di settori su cui lavorano molte ONG ed Enti Locali italiani impegnati in Albania (anche nell’ambito del progetto Albania Domani): un elenco aggiornato dei professionisti della diaspora operanti in questo settore può quindi essere utile ad aprire nuovi spazi di collaborazione. Grazie all’utilizzo di ‘menù a tendina’, la piattaforma si dota di un sistema di parole chiave che consente di individuare con facilità esperti che possono avere interessi simili: ad esempio cliccando sulla parola chiave ‘turismo’ comparirà la lista dei professionisti, dei membri di associazione o degli studenti che, in Italia o in Albania, si occupano di turismo o vogliono sviluppare attività di cosviluppo nel settore turistico. Cliccando sulla parola chiave ‘associazionismo’ o ‘cooperativa sociale’, troveremo tutti coloro che lavorano nell’ambito di associazioni o cooperative sociali, e così via. Ad oggi la Piattaforma ha 350 membri e un database con oltre 45 associazioni attive sul territorio italiano. Abbiamo discusso in altre sedi i risultati della Piattafroma Albania Domani conseguiti a due anni dal suo lancio15. In questo paragrafo riteniamo utile riportare le considerazioni sui punti di forza e di debolezza di una strategia di Social network per il co-sviluppo tra Italia e Albania formulate da alcune delle più promettenti realtà associative della diaspora albanese in Italia. Tali testimonianze sono state raccolte dal CeSPI nella fase di lancio della piattaforma (marzo 2012), attraverso un focus group e alcune successive consultazioni telefoniche16. 13 Celim, Oxfam-Italia, CeSPI, ARCI, Acli-IPSIA, CGM, Comune di Forlì, ISCOS, Psicologi per i Popoli del Mondo, LVIA, Università Cà Foscari di Venezia, Politecnico di Milano, con il coordinamento del CeSPI. 14 In Italia e in Albania, i professionisti a cui viene rivolto l’invito di iscriversi alla piattafroma on-line saranno inizialmente identificati attraverso la collaborazione con attori strategici, quali: le associazioni e le reti di associazioni albanesi; associazioni, ricercatori, ONG ed Enti locali italiani che hanno lavorato tra Italia e Albania (compresi i partner del progetto); funzionari di strutture pubbliche o private che hanno accesso a database di professionisti importanti a livello nazionale (ricorreremo in particolare a dati di Union Camere e Camera di Commercio, CNA World, Consorzi di cooperative sociali, IPASVI). L’obiettivo è che, con il tempo, i professionisti si iscrivano spontaneamente accedendo direttamente attraverso internet e rendendo così la piattaforma auto-sostenibile. 15 Per un’analisi più completa dei risultati ottenuti dalla piattaforma è possibile scaricare l’articolo di F. Piperno ‘La piattaforma Albania Domani e i suoi 350 membri’ sul sito www.albaniadomani.net). 16 Hanno partecipato al focus group e alle successive interviste telefoniche: Endri Xheferaj (Associazione di II livello ‘Fare’ in Emilia Romagna e Juvenilia, Forlì); Besmir Rrjolli (Dora j Pajtimit, Milano-Scutari); Sokol Dhana e Ertil Gani 14 I punti di forza sottolineati dalle associazioni relativamente alla creazione di un social Network tra Italia e Albania orientato al co-sviluppo tra le due sponde, sono essenzialmente due. 1) La creazione di un social network per il co-sviluppo si presenta come il luogo virtuale di incontro e scambio tra associazioni della diaspora: non sempre le associazioni della diaspora sono informate sulla reciproca azione, navigano sui rispettivi siti o cooperano tra loro; la Piattaforma rende possibile trovare associazioni e singoli professionisti/studenti con cui, nell’ambito delle rispettive attività, è interessante mettersi in rete. E’ inoltre più facile veicolare le informazioni, che possono essere diffuse sia inserendole nella home-page della piattaforma, che inviandole ai gruppi di ‘amici’ mediante mailing list. 2) Un social netowrk per il co-sviluppo, come quello rappresentato dalla Piattaforma ‘Albania Domani’ si configura inoltre come un luogo che consente di mettere in rete progetti simili e lanciare nuovi progetti, grazie alla messa in rete di attori molteplici. Tra i fattori che, fino ad oggi, hanno limitato la riuscita dei progetti di co-sviluppo dobbiamo ricordare: a) la mancanza di rapporti solidi, sistematici e diffusi tra istituzioni/ONG italiane e, soprattutto, albanesi che promuovono strategie di co-sviluppo e le associazioni della diaspora (in Italia non esistono database pubblici dell’associazionismo); b) la scarsa conoscenza delle qualifiche di cui i migranti (e i loro connazionali in loco) si fanno portatori e delle loro aspirazioni transnazionali; c) la mancanza di informazioni precise sulle collaborazioni transnazionali che sono già state instaurate dalle associazioni della diaspora o da altri soggetti strategici nell’ambito di settori specifici, e che potrebbero essere potenziate o messe a sistema attraverso nuovi progetti di cosviluppo; d) spesso, inoltre ogni nuova progettazione rende necessario ovviare una nuova mappatura sui professionisti e le associazioni presenti in un dato territorio: le informazioni accumulate raramente restano patrimonio comune. La piattaforma risponde a questi limiti e intende facilitare la possibilità di creare cordate che uniscono tutti i principali soggetti (ONG/Istituzioni/Associazioni della diaspora) che, nel corso degli ultimi, hanno operato su simili filoni di intervento, in diverse parti di Italia o di Albania. Naturalmente le associazioni indicano anche alcuni rischi e punti di debolezza che occorre tenere in considerazione. In primo luogo, un Social network aperto, costituito sul modello linkedlin, presenta in sé alcuni limiti strutturali, come ad esempio la possibilità che i profili non siano di alta qualità: se non c’è un filtro su chi si iscrive, è possibile che i singoli professionisti abbiano esperienze poco interessanti o inseriscano informazioni non veritiere. E’ stata sottolineata la possibile reticenza a mettere in rete il proprio profilo, sia da parte di professionisti o singoli imprenditori o studenti; ma anche la possibilità che le associazioni della diaspora, la cui funzione è fondamentale per estendere la rete dei profili inseriti sulla piattaforma, siano poco propense a rendere visibili e pubblici i propri contatti, spesso accumulati in anni di lavoro e dunque parte di un capitale sociale faticosamente costruito nel tempo. Le Associazioni mettono infine in luce il rischio che non ci sia un avvicinamento spontaneo da parte della comunità albanese e dei suoi professionisti alla Piattaforma, e ad altri eventuali social network di questo tipo, in mancanza di un vantaggio concreto ad esso connesso. Dato il momento di crisi economica e la difficoltà di trovare un impiego in Italia e in Albania, si riduce il numero di professionisti interessati a portare avanti azioni di collaborazione tra Italia e Albania a titolo volontario e cresce il numero di coloro che cercano lavoro. Un social network che non nasce per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, ma piuttosto per sostenere l’incontro tra associazioni e individui con interessi simili o complementari, e che hanno interesse a proiettare le proprie attività tra le due sponde, rischia in questo momento di non essere capito. Da non sottovalutare inoltre il ruolo giocato dai social network generalisti (Facebook, Instangram), molto utilizzati in Albania non solo da privati ma anche dal mondo dell’associazionismo per pubblicizzare le proprie iniziative. Considerando queste ultime (New Age Era, Milano); Eralba Cela e Besiana Ninka (Il Paese di fornte, Ancona); Leonora Zefi e Marlen Bunaj (Teuta, Trento); Renalto Murati (Rinia, Padova)-; Arlind DOberdolani e Ilir Batalli (Asat, Trieste); Ismail Ademi (Associazione di II livello in Toscana RAT). 15 osservazioni è importante rafforzare gli obiettivi concreti, attraverso un inziale ruolo di facilitazione che aiuti i membri del social network ad aggregarsi su percorsi e progettazioni condivise e concrete. Le risposte degli intervistati sono state sintetizzate nella tabella swot che proponiamo subito a seguire. 16 Tab. 1 Analisi swot sulle potenzialita dei diaspora knowledge network svolta dalle associazioni Punti di forza Punti di Debolezza Luogo virtuale di incontro e scambio tra Scarso incentivo ad iscriversi e scarsa associazioni della diaspora chiarezza degli obiettivi concreti e dei vantaggi che la piattaforma comporta. Luogo che consente di mettere in rete progetti simili e lanciare nuovi progetti Associazioni poco coinvolte o scavalcate nel momento in cui si scelgono i profili Luogo che facilita la conoscenza tra sulla piattaforma Associazioni della diaspora e ONG/Amministrazioni locali italiane e albanesi che promuovono progetti di sviluppo in Albania Strumento che consente alle associazioni di offrire una maggiore visibilità ai propri aderenti Opportunità Minacce Presenza in rete di associazioni con contatti e Reticenza a mettere in rete i propri contatti partnership in corso con istituzioni locali Presenza possibile di profili di bassa qualità Diffusione di buone prassi: la presenza di Presenza di altri network che pur se con associazioni che partecipano a progetti di ruoli diversi possono divenire competitivi cosviluppo o cooperazione decentrata può Difficoltà a fare rete e scambiare risorse innescare meccanismi di replica delle buone prassi Aumento di rientrati dall’Italia (molti dei quali studenti), che hanno mantenuto contatti con il mondo associativo e che ricercano reti di informazioni e contatti 17 Bibliografia Barjaba, K. 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