Bollettino informativo non periodico della Comunità Cristiana di base di Chieri - Distribuzione gratuita - Stampato c/o Reprograf di Cocco Bruno Corso Casale 123 Torino (To) il settembre 2014 Foglio d’informazione della Comunità Cristiana di Base di Chieri n° 59 esce dal 1989 Un secolo dopo. Ma poi cosa c’è di civile in una guerra? Axl Rose E ’ passato giusto un secolo da quando l’Europa ha conosciuto quella tremenda follia che fu la prima guerra mondiale. L’Italia ci entrò un anno dopo lo scoppio delle ostilità, tuttavia il clima era già arroventato. Basta leggere che cosa scrivevano alcuni intellettuali dell’epoca, nazionalisti ed interventisti: …La guerra è spaventosa – e appunto perché spaventosa e tremenda e terribile e distruggitrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi. Così scriveva Giovanni Papini, il primo ottobre del 1914 sulla rivista “Lacerba”. E a lui faceva eco Filippo Tommaso Marinetti nel “Manifesto dei Futuristi”: Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore, e il disprezzo della donna. Si andava diffondendo una vera e propria estetica della guerra, un’esaltazione di truculenti valori militaristi accompagnati ad atteggiamenti violentemente maschilisti. Vero è che molte forze la osteggiavano o quantomeno prudentemente cercavano di prenderne le distanze: i socialisti, i cattolici, i liberali al governo con Giolitti. Ma che potevano contro la grancassa e il furore patriottico che trascinava le folle osannanti nelle piazze durante le famose “radiose giornate di maggio” del 1915? Qualche anno dopo si contavano le migliaia di giovani soldati morti al fronte. In Italia, fu la prima guerra che sanzionò l’unità: unità di fronte alla morte. Altro che estetica e orgoglio machista: Ungaretti, combattente in trincea, mise ben in evidenza, nel soldato, il senso di fragilità umana, una sommessa richiesta d’aiuto in una situazione insostenibile: settembre 2014 Di che reggimento siete fratelli? Parola tremante nella notte Foglia appena nata Nell'aria spasimante involontaria rivolta del'uomo presente alla sua fragilità Fratelli Il senso di precarietà assoluta della propria vita, legata al tempo come la foglia d’autunno è legata all’albero: Si sta/ come d’autunno/ sugli alberi/ le foglie. E si trattava di vite giovani. Eppure non si era ancora conosciuto il peggio. Il salto di qualità venne fatto 25 anni dopo quando, sull’onda di retoriche patriottarde e razziste e sulle illusioni demagogiche di una guerra – lampo, il mondo visse quella terribile sventura che fu la seconda guerra mondiale. Allora forse si capì veramente cosa fosse diventata ormai la guerra in epoca moderna! Non più (o non solo) guerra tra eserciti, ma guerra di piloti nascosti nella complicità delle nuvole contro formicai di popolazioni civili, inermi e indifese. E ancora: la possibilità concreta di una conflagrazione finale che, oltre a distruggere vite e destini, contaminasse in modo irreversibile le fonti primarie della vita: l’acqua, l’aria, i suoli, con la condanna della radioattività nucleare. Come se aria e acqua conoscessero confini, dogane, sbarramenti insormontabili! Allora il mondo, almeno per la frazione di un secondo, dovette aprire gli occhi su questa enorme potenzialità distruttiva, divenuta non più mito escatologico, ma realtà. Nacquero così le grandi Convenzioni Internazionali per la difesa delle popolazioni civili, per l’allargamento della sfera dei diritti, per la condanna delle atrocità ammesse e giustificate dalla (Continua a pagina 2) Settembre 2014 - n. 59 guerra. In Italia, sulla nuova Costituzione, si scrisse quella frase meravigliosa: L’Italia ripudia la guerra… Chi di noi è nato proprio ai margini della fine di quella strage, ed ha avuto la ventura di nascere nell’Europa occidentale, può dire di aver goduto di un sessantennio di pace. E tuttavia, non è che la guerra sia sparita dallo scenario mondiale. Tutt’altro! Abbiamo avuto il tempo (e chissà quanto altro ne avremo ancora) per assistere “in diretta” a bombardamenti, genocidi, stupri di massa, pulizie etniche. In diretta, sì, perché oggi nessuno può dire “ma non lo sapevamo”. E’ come se tutto si svolgesse a due passi da noi, solo al di là del teleschermo. E così abbiamo visto sfilarci davanti le guerre di Corea, del Viet Nam, di Palestina, del Ruanda, e l’orrenda esplosione di una guerra nel cuore stesso dell’Europa, quella che ha distrutto la ex Jugoslavia. E forse con allibito stupore abbiamo costatato che tutto poteva ritornare, delle atrocità che avevamo condannato e che speravamo per sempre sepolte sotto il pesante lastrone della condanna della storia. Forse non si parla più di una estetica della guerra, di una sua luciferina bellezza, eppure non siamo mai stati capaci di ripudiarla fino in fondo, così ne abbiamo trovato nuove giustificazioni: la guerra santa, la guerra giusta, la guerra umanitaria. E non ci rendiamo conto che ognuna di queste associazioni semantiche alla guerra crea degli orribili ossimori. E neanche ci siamo potuti illudere che per noi europei occidentali, essa restasse confinata al di là del teleschermo, perché poi ha finito per coinvolgerci da vicino. Ne abbiamo visto gli effetti devastanti in quelle bare che tornavano, ricoperte dal tricolore, nel nostro Paese. Un morto è un morto, non si scherza. E quando i morti cominciano a diventare venti, trenta, cinquanta, allora si ha la percezione che si sta pagando un tributo enorme, insostenibile. Non ci si chiede però quante vittime ci siano state, dall’altra parte. Un bombardamento inopportuno ed ecco una festa di nozze finire nel sangue. Quanti morti? Un numero, niente di più che un numero. Non discorsi, non onori, non sensi di colpa. Li chiamano effetti collaterali. Una notizia che svanisce su onde elettromagnetiche, tra la dichiarazione contestata di un nostrano leader politico e gli ultimi aggiornamenti sul campionato di calcio. Ma quei morti, tutti quei morti, si sedimentano, gridano vendetta, fanno storia. Nasce l’altro volto della guerra, inquietante, rabbioso, imprevedibile, fanatico. Il terrorismo. Chi ne fa le spese? Giovani, donne, bambini che per un puro caso si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ancora vittime innocenti. Sempre che ci possano essere degli innocenti in questo gioco al massacro! Anche qui non illudiamoci. Tutti nascono bambini assetati di gioia e di giochi. Nessuno nasce terrorista. Ma se poi vivi tutta la tua vita tra le baracche di lamiera e i rigagnoli infetti di un campo profughi, o in una pri- C.D.B. Chieri informa 2 gione a cielo aperto dove ogni spostamento ti costa un’agonia di fatica, o se da bambino hai solo respirato, guardato, ingurgitato scene di guerra e d’inferno, che cosa ti resta sull’orizzonte del futuro? Poi qualcuno t’insegna che, se ti fai esplodere, morirai da martire, che morire da martiri è bello, allora ecco che ritorna la vieta, orripilante estetica della morte! Il terrorismo nasce dal terrore e propaga terrore. La guerra è terrore. E come rovescio della medaglia, produce il terrorismo. E’ passato un secolo dalla Grande Guerra e dovremmo rifletterci su. Non solo su quello che è stato, ma sugli scenari che abbiamo davanti oggi, nel nostro presente. Sappiamo che cosa sono, e che effetti producono, i bombardamenti a tappeto su città e paesi, i campi di concentramento, le pulizie etniche. I terrorismi di ogni specie. Oggi la guerra dovrebbe essere bandita dai codici di comportamento umani. Oggi non è più guerra tra eserciti ma guerra tra armamenti guidati da esseri invisibili e folle inermi di civili. E' una strage degli innocenti. Pertanto, è sempre una strage di Stato. E' contro qualsiasi legge umana. E' un pluriassassinio codificato. Non è più una barbarie, è il più alto grado di civiltà disumanizzata. E' la criminalità eretta a sistema. C’è un’analogia terribile tra la guerra codificata e il terrorismo: entrambi colpiscono vittime a casaccio. Le popolazioni civili ed inermi. Le donne, terra di conquista, da comprare e da vendere. I bambini che, posto che sopravvivano, rimarranno lesi per sempre nella carne e nello spirito. Le minoranze, etniche e religiose. Un secolo è passato, ma gli scenari di oggi non sono meno inquietanti. Papa Francesco ha parlato di una terza mondiale già in atto, solo recitata per episodi. E probabilmente ha ragione. E i movimenti pacifisti? Ecco, almeno loro, insieme alle Convenzioni Internazionali di difesa dei diritti umani, hanno rappresentato in questi anni un piccolo avamposto di civiltà. Ma forse non basta più fare testimonianza. Forse occorre elaborare un serio progetto politico. Che renda credibili e realizzabili le Convenzioni tra gli Stati siglate sulla carta. Un progetto politico che preveda l’obiezione di coscienza nei confronti delle spese militari, la creazione di corridoi umanitari o di zone franche per i civili coinvolti in situazioni di guerra, un’azione più credibile e incisiva delle diplomazie internazionali per dirimere situazioni di conflitto. La solidarietà pianificata e sistematica per i profughi. La pratica di atti di resistenza ispirati ai principi della nonviolenza. Il dialogo, anche con chi si suppone radicalmente diverso, in nome della comune umanità. Non possiamo arrenderci alla guerra. Mai. Rita Clemente Settembre 2014 - n. 59 BIBBIA C.D.B. Chieri informa BIBBIA 3 BIBBIA Sulle tracce di Dio - Introduzione al libro di Genesi Di Franco Barbero sbobinatura e adattamento non rivisti dall’autore I n comunità avete letto altre volte Genesi e allora vi risparmierò una parte dei suggerimenti, delle impostazioni e notizie di base per chi lo legge per la prima volta. Cercherò invece di suggerirvi qualche strumento aggiornato per questa nuova lettura. Una prima riflessione che farei è che l’homo sapiens, intendendo la donna e l’uomo che diventano consapevoli di sé, non cessa d’interrogarsi sull’inizio e sulla fine. Sin dalle prime documentazioni che abbiamo, non ha mai cessato di ragionare sull’inizio e sulla fine di tutte le cose e di sé. Il teologo Rahner diceva: “il dove, come, quando”. Abbiamo radicato dentro di noi degli interrogativi: donde vengo?, donde vado? che ne sarà di me, ecc. Queste domande sembrano insopprimibili, anzi paiono proprio qualificare la nostra vita e diremmo che è l’homo “insipiens” quello che non si interroga. Non è tanto e solo un sapere ma è un porci quesiti di continuo. La sophia, il sapere latino, era il concetto di chi dà sapore alla propria vita perché la guarda in profondità, si pone gli interrogativi, le domande essenziali, non le elude. Io credo che questa sia la sophia, anche nel concetto biblico espresso nel libro della Sapienza, dove essa è addirittura una figlia privilegiata di Dio. Quello che noi troviamo nelle culture antiche è molto ben documentato nei “racconti dell’inizio” di una grande teologa che molto vi raccomando: Van Wolde. Questa studiosa olandese nel suo libro “Genesi 1-11 e altri racconti della creazione” Ed. Queriniana, in fondo al volume raccoglie una serie interessante di racconti di culture antiche, asiatiche e africane, sulle origini. Narrazioni che esprimono le domande fondamentali: Donde veniamo? Donde viene la sessualità? Come mai c’è il dolore? Che sarà dopo? Che c’era prima? Questi interrogativi sono un’esplorazione continua; le risposte non sono mai la “fotografia” della realtà, ma delle riflessioni sul vissuto. Il dato sapienziale non è un racconto cronachistico, non è un resoconto, ma il tentativo, attraverso l’immaginazione creativa, di dire quello che abbiamo capito e che stiamo cercando della vita, quello che ci lascia inquieti, quello che abbiamo sentito narrare dai nostri progenitori. C’è una grandissima ric- chezza nell’umanità pre-biblica, extra-biblica, coeva della Bibbia. Il Primo Testamento non farà su questo tutto da solo, ma raccoglierà, con una ricchezza straordinaria e con una libertà assoluta, le tradizioni precedenti, non butterà via nulla. Di tutti i racconti “della mezzaluna fertile” la Bibbia tenterà di raccogliere il fior fiore. Nel Testo Sacro trovate di tutto. Chi ha letto Gilgamesh sa bene che lo si incontra anche nella Bibbia, alcuni racconti sono “parenti”. Ma basterebbe aver letto l’Iliade, l’Odissea per capire che alcuni pensieri, alcuni interrogativi tornano sempre, dal De rerum natura di Lucrezio fino al libro biblico della Sapienza, c’è una parentela. Una delle caratteristiche che il “chiasso odierno”, per dirla con Massimo Recalcati, tenta di far scomparire dalla nostra vita sono le domande: Da dove vengo? Che ci sto a fare? Dove vado? Provando a dire con parole mie cosa egli intenda per “il chiasso della vita” individuo due componenti: 1) precipitarti nella goduria del piacere che riesci a prendere subito, nell’immediato; 2) immergerti in questo infinito mondo delle notizie, delle cose, degli oggetti e riempire così la tua interiorità di vuoto. Fare in modo che l’uomo e la donna degli oggetti non si interroghino, perché porre delle domande diventa pericoloso per chi governa, ma anche per sé, perché poi bisogna mettersi in cammino: se c’è un interrogativo devo pur cercare, tentare una risposta. Per comprendere il mondo, la realtà, noi oggi abbiamo una scienza che guarda, studia, ragiona, dimostra, tenta di parlarci della successione degli eventi, dell’organizzazione della materia. In questo senso occorre fare una grande lode alla scienza che ci dà dei significati e dei resoconti, ma non ci dà il senso, esso è ancora un’altra cosa! Noi accostandoci alla Bibbia troviamo immediatamente la novità dei racconti in essa contenuti; tutto il Testo è una grande narrazione che descrive le speranze, le delusioni, le gioie e sono le voci dei nostri progenitori. In realtà eravamo abituati a dire: “i patriarchi”, “le matriarche”, ma Adriana Valerio, nel suo bel libro Le ribelli di Dio edito dalla Queriniana, ci suggerisce di usare il termine di “genitori”, “proto-genitori”. La Bib- Settembre 2014 - n. 59 BIBBIA C.D.B. Chieri informa BIBBIA bia ha questo grande problema al quale vorrei accennare: è una montagna in cui l’oro va cercato, non è un piatto pronto. E’ una miniera di diamanti, che vanno cercati e per farlo devi entrare nel codice dei linguaggi del mito, dell’immagine. E’ quasi un rubare i sensi reconditi della Bibbia e lo dico non per scoraggiare, tutt’altro! ma perché c’è un problema che voglio evidenziare. Quando noi ascoltiamo o leggiamo la Bibbia, anche attraverso la predicazione, la catechesi, ci accorgiamo che manca “il ponte”, per fare questo collegamento occorre sapere cos’è il genere letterario e conoscere la distinzione fra questo e il messaggio. Qual è l’ “inghippo” della nostra tradizione cristiana? E’ che sovente leggiamo la Bibbia come un resoconto anziché come un racconto mitico, mitizzato, portatore di profondissime verità. Ci siamo fermati ad una lettura come quella del giornale. La lettura biblica non ha più dei narratori, ha dei ripetitori: la catechesi funziona da ripetizione. La Bibbia viene sovente interpretata in questo modo, semplicemente ignorando il codice del racconto; così il testo sacro diventa dottrina o dogma. Adriana Valerio dice che bisogna fare prima di tutto un’opera di “de-automazione”. Quando leggiamo il racconto di Adamo ed Eva facciamo scattare un meccanismo, quello della nostra lettura precedente; “de-automatizzarci” è un’operazione difficile perché bisogna dire: “dunque io l’ho sempre sentita in questo modo, ma sarà proprio così?”. Bisogna porre un freno alla nostra “voluttà” interpretativa, che subito si precipita sul testo a dire: “è così, significa questo”. E’ un’operazione difficile, ma esige soprattutto che io abbia il sospetto che la mia lettura precedente possa essere discussa, che io sia capace di conoscere un po’ i miei meccanismi, quelli che scattano e che la predicazione, la catechesi, sovente rinforzano. Devo costruirmi altri strumenti interpretativi, alternativi, che mi possano far dire: “ah! ma ci sono anche altre voci, altri pareri, altri modi di leggere!”. Come leggerete nei commentari che userete, Genesi fa parte del Pentateuco. I racconti che la narrano hanno origine da quattro fonti diverse che voi conoscete bene: la fonte yhavista, la fonte eloista, la fonte deuteronomista, la fonte sacerdotale. Genesi 1 è la fonte più recente, Genesi 2 invece è la fonte più antica. E’ importante sapere che prima queste tradizioni si tramandavano oralmente. E’ quando c’è la sosta, sofferta ma anche speranzosa della deportazione a Babilonia, che nasce il Pentateuco, la cui scrittura ufficiale avverrà nel dopo esilio, nel VI secolo. Le fonti che partono dal X secolo e quelle del IX e VIII vengono ripensate, rimescolate, rimesse in discussione, rilette a Babilonia. L’ottica dell’esilio è quella che ha la caratteristica sapienziale: che cosa ci è successo che siamo qui? come possiamo andare avanti? Perché il Dio del patto, della fedeltà vuole che noi progrediamo. E’ nell’esilio che l’uomo, la donna, le creature, l’origine, la fine, il posto che abbiamo nel mondo, tutto questo diventa fondamentale. Dio continua a creare; solo l’uomo e la donna sono immagine di Dio, ma tutto sta nella relazione: ecco il pensiero dominante! Il primo giorno, il secondo, il terzo, … l’uomo, la donna, Noè, Caino, Abele, ... la relazione a volte è messa in crisi, attraversa momenti drammatici, ma non fini- 4 BIBBIA sce mai. In Genesi Dio continua a creare, a sostenere la sua creazione, ad accompagnare: Caino e Abele sono quello che sono, ma non importa! Noè, le tradizione sul diluvio, tutto sembra finire, ma non la storia, essa non ha termine, perché il patto Dio lo tiene in mano, la storia non si conclude. Tutto sta nella “relazione”, ma la relazione cos’è? E’ la beraka, la benedizione. Stare nella relazione significa che non possiamo uscire dalla benedizione di Dio. Merita conoscere alcune letture che sono state fatte dei capitoli 1 e 2 di Genesi: 1°) la lettura eco-teologica, contro quella semplicemente antropocentrica dove tutto era al servizio del dominio maschile, mentre la Bibbia non parla di potere, ma di responsabilità; 2°) la lettura femminista, contro una interpretazione maschilista. Ma qual è l’elemento che ha pervaso poi la coscienza ecclesiale? Come sono interpretati Genesi 1 e 2? Sono stati letti soprattutto nel brano di Adamo ed Eva, e qual è stata la spiegazione che ne è venuta fuori? Scrive Tertulliano (siamo ancora nel III secolo): “tu sei la porta del demonio, tu hai mangiato dell’albero proibito, tu per prima hai disubbidito alla legge divina, tu hai convinto Adamo, perché il demonio non era abbastanza coraggioso per attaccarlo, tu hai distrutto l’immagine di Dio; l’uomo, a causa di ciò che hai fatto, il figlio di Dio è dovuto morire”. Eva è stata vista poi, da sempre, come la tentatrice e nel libro di Siracide si dirà che il peccato è entrato nel mondo attraverso la donna. Questa sarà la tradizione che subentrerà nelle chiese cristiane. Sono molto belle le pagine di Adriana Valerio dove descrive che cosa ha detto Agostino d’Ippona. Per lui il peccato si trasmette attraverso un atto di intimità sessuale; il concepimento di un figlio o di una figlia è marcato dal peccato; quindi voi immaginate: ogni essere umano nasce segnato dal peccato. In qualche modo Agostino fraintende totalmente Paolo, il quale aveva detto che attraverso un uomo è venuto il peccato; ma non parlava del “peccato originale”, che non esiste nell’ebraismo! Semmai esiste il “peccato universale” cioè che tutti e tutte siamo creature dentro una condizione di fragilità e di peccaminosità. Ma anche all’interno del cristianesimo non tutti furono d’accordo; da sempre c’è stato chi ha detto: - nasce un bambino e la prima cosa che pensate è fare in modo che gli cancelliamo un peccato! -. Ma la dottrina diventò talmente pressante che la macula originalis è stata quella che ha condizionato tutta la teologia. Il battesimo acquisì questo significato e questo linguaggio: cancellare il peccato originale, dimenticando invece che, nella dottrina paolina e agli inizi del cristianesimo, il suo significato era quello di inserire nella comunità dei credenti, cioè rappresentava un segno di partecipazione. Questo ha lasciato un trauma dentro la cristianità. Un simile modo di vedere è entrato nella peculiarità del pensiero patriarcale: la donna è una tentatrice; c’è qualcosa nel cuore e nel corpo della donna che spinge al male. Questo è stato il concetto della prima ascesi cristiana del II secolo, di Settembre 2014 - n. 59 BIBBIA C.D.B. Chieri informa BIBBIA matrice molto platonica, in cui il corpo era la parte degenere. Successivamente diventò una tradizione terribile ed ecco perché nacque, nel V secolo, la prima proposta del celibato dei ministri. Ancora oggi devo dire che, negli incontri che faccio con i giovani, trovo che la fede viene vissuta come un tirarsi indietro dalla vita, quasi un aver paura del vivere, mentre invece la Scrittura non ha questo obiettivo. Per esempio, Eva era quella che aveva spinto Adamo a trasgredire perché aveva intuito che di lì passava la loro crescita come esseri umani, se no sarebbero restati nel gioco di un “paradiso”, sarebbero stati “nell’erba fresca” tutta la vita, nell’infanzia. Invece che cosa fa Eva? Dice ad Adamo: “Vai, prendiamo il frutto!”. E’ l’impeto, l’impulso alla conoscenza. Essere cacciati dall’Eden è l’unica maniera per andare incontro alla vita. Se non usciamo dal ventre di nostra madre, non camminiamo verso la vita, se non superiamo l’infanzia, non sviluppiamo la nostra esistenza. Transire vuol dire andare oltre, muovere dei passi in avanti. Questa non è una lettura femminista, ma dei rabbini d’Israele. Una parte di loro disse: “noi siamo debitori ad Eva perché ci ha fatto crescere, altrimenti rimanevamo nella situazione di immaturi”. Guardate quale possibilità diversa c’è di lettura: nella tradizione Eva è diventata, non colei che ti spinge alla maturità, alla crescita, ma chi ti seduce. E il serpente chi poteva rappresentare? Poteva raffigurare una buona idea, un’opportunità di Dio, che voleva spingere l’umanità, vedere se ce la faceva ad uscire dall’infanzia. Qualcuno sostiene che, in realtà, il simbolo del serpente era la divinità di un popolo vicino. Come è bello sapere che non si tratta di una “caduta originale”, ma della vocazione dell’uomo e della donna a crescere! E non ci si evolve se non attraverso le contraddizioni, le trasgressioni, gli errori. Non si diventa fratelli se non c’è Caino ed Abele, ma nessuno viene abbandonato, nemmeno Caino. Non c’è la possibilità di essere fratelli e sorelle, non si diventa adulti, non si cresce se non incontri anche il contrasto, se non osi dirti la difficoltà, la violenza che c’è nelle relazioni, quella che è la nostra umanità. E il diluvio? Il mito ebraico, la tradizione rabbinica dicono che le cose sono partite nella benedizione, ma la contraddizione non è stata eliminata. Non bisogna mai leggere la benedizione di Dio come qualche cosa che elimina il concreto, perché anche Dio ha avuto la sua sofferenza e il suo pentimento: un giorno si è pentito di aver creato. Belle le pagine di Paolo De Benedetti su questo Dio che si pente, però si converte di nuovo alla benedizione. Dice Dio: “Ho deciso di non rimanere solo? Guarda in che compagnia mi sono trovato! Però questa è la compagnia; se io voglio continuare a creare a dare vita, la vita è questa!”. Ci sono innumerevoli leggende e racconti che commentano queste pagine. Come quella che dice che la sera dopo la creazione dell’uomo e della donna, gli angeli e gli arcangeli, i serafini, i troni e le dominazioni vedono Dio un po’ impensierito lassù nell’alto dei cieli, tutto solo, (la trinità non l’avevano ancora inventata). Gli dicono: “Te l’avevamo detto, potevi startene così bene qui con noi, che non facciamo 5 BIBBIA rumore, non ti disturbiamo, siamo puri spiriti!”. Dio risponde: “Sapeste come mi avete annoiato! Io amo la materia! Andate via, io voglio piangere questa sera per il male della terra, ma contento di averla creata!”. E’ quello che noi chiamiamo la contraddizione che esiste in Dio: il Dio biblico è un Dio appassionato, un Dio passionale; in qualche modo sembra dirci: “Mi raccomando, appassionatevi a qualche cosa”. E Abramo, il mito di Abramo, la tradizione di Abramo è lo sradicamento continuo. Certo, né Noè né Abramo sono mai esistiti come figure storiche, sono dei personaggi creati, sono delle esperienze vissute. Israele ha condensato in Abramo la vicenda storica concreta, difficile, dello sradicarsi continuo. Abramo è il simbolo di colui che obbedisce a Dio, lascia la sua terra, la sua famiglia, la sua patria. Bisogna continuamente sradicarsi. Abramo è la condensazione storica, in questa figura mitica, dell’esperienza dello sradicamento. Se tu non guardi oltre, se non osservi le stelle, se non ti avventuri, se non sai deciderti ad andare dove non conosci, la tua vita non produce nulla. Abramo è parabola del popolo; viene chiamato il primo patriarca, metafora di Israele che continuamente dovrà cercare, immagine del pio ebreo credente. Dicono alcuni studiosi che forse è parabola dell’uomo e della donna, che incessantemente devono continuare a pensare al cammino: c’è sempre qualcosa oltre, c’è sempre una voce da ascoltare. Questo è di una bellezza incredibile! Tutta la vita è un continuo muoversi, alla ricerca delle tracce di Dio. Ognuno di noi faccia il conteggio della propria esistenza, dei propri anni, delle proprie esperienze, ma che cos’è che ci ha accompagnato? La ricerca! Non l’aver raggiunto chissà che cosa, ma la ricerca di Dio, la ricerca di capire il messaggio di Gesù, la ricerca di essere un uomo, una donna onesti, di essere solidali. La ricerca: di questo pane viviamo ogni giorno. Sappiamo pure che è un travaglio, ma è anche ciò che ha dato senso alle nostre piccole vite. E Giacobbe che lotta con Dio? Ma poi c’è la scala di Giacobbe, tra il cielo e la terra! Con Dio bisogna lottare, però c’è una continua comunicazione, “gli angeli che scendono e salgono”. La relazione con Dio non è mai un rapporto imbambolante. Con Dio si deve pur lottare, con Dio non si fa mai pace: “C’è troppa ingiustizia su questa terra! Tu sei il creatore, il liberatore!”. Non c’è mai pace con Dio eppure c’è sempre la bella metafora degli “angeli che scendono e salgono”. Non si rompe nulla; si rimane in una relazione che continuamente ti mette in crisi, che sempre ti dà pace, ma anche t’inquieta. Gli scrittori, gli ebrei che hanno vissuto la shoah sono stati maestri di questa lettura della Bibbia. E tutte le figure delle saghe! Rebecca, Sara, Isacco. Innanzitutto è giusto, è un atto d’onestà dire che ci sono i patriarchi e le matriarche, che sono i genitori d’Israele. Che cosa è avvenuto? È accaduto che nella lettura esegetica tradizionale queste donne sono state obliate - questo va riconosciuto, va detto - tali donne sono state molto sminuite ed è stata la lettura di genere, femminile, che ha ridato innanzitutto visibili- Settembre 2014 - n. 59 tà, ha ripristinato la loro presenza e la loro compartecipazione, spesso audace ed egualitaria, nella vita d’Israele. Ristabilire, dentro una cultura certamente patriarcale, la comprimarietà di queste donne è una lettura di estremo interesse. Dobbiamo riprendere queste pagine, riviverle dentro il rapporto di Israele con Jahvè, che è il Dio della creazione, della relazione. E quale relazione con Lui? Turbata, costante, ininterrotta; noi chiudiamo il capitolo, Egli lo riapre. La fede d’Israele ci trasmette non delle risposte ad ogni uso, ma ci ricorda che il patto Dio non lo dimentica, non lo ritira. L’umanità, tutte le creature stanno in questo abraccio, sovente così misterioso, così invisibile, così deludente per chi ne registri la effettività storica, ma un abraccio reale. Che cosa fa il credente che legge Genesi? Le saghe e i miti, come dice bene Paolo De Benedetti, sono come degli oggetti che hanno tanti angoli, nessuno cerchi l’unico significato, ognuno cerchi i vari sensi. Sovente nella vita un racconto ti dice A, dopo ti dirà B, poi C, perché il mito è sferico, rotola, si svolge, ci viene accanto, ci parla in maniere diverse. Se io voglio leggere l’episodio di Abramo in una chiave sola, in quell’unica, ne faccio una dottrina; se lo prendo come un mito, mi parlerà nelle diverse stagioni della vita, in un modo ricchissimo. Nella Bibbia, che è testimonianza umana di uomini e donne che hanno vissuto la fede, ci viene incontro Dio, ma Egli ci viene incontro se noi lo cerchiamo come Dio che ci parla, non dandoci magicamente delle risposte, ma invitandoci all’incontro. Genesi è fatta per trovare il Dio della creazione, non solo per parlare di Lui ma per parlare con Lui. La nostra meravigliosa fede ci dice questo: che Dio ci accompagna in modo invisibile, ma ci chiama ad un colloquio, a studiare, ad agire, a non dimenticare che l’amore va espresso nella parola, nella preghiera, nella riflessione, nello studio. Leggere la Bibbia da solo o da sola è un’impresa! Che fortuna abbiamo noi! Ringraziamo Dio di cuore di poterla leggere insieme. Se io non avessi avuto le comunità, i gruppi, non avrei potuto leggere la Bibbia. L’aver incontrato donne e uomini che leggono la Bibbia, che cercano sulle tracce di Dio, è la cosa più bella che si possa dire, è una cosa straordinaria, perché quello che Dio dice a te, nel tuo cuore, nella tua esperienza, non lo dice a me e ti ascolterò volentieri, perché nella tua esperienza c’è qualcosa della luce di Dio . Non dovremmo perdere questa cosa grande che all’inizio delle Comunità Cristiane di Base fu preziosa e che spero non si spenga mai: la passione biblica! Ma dovremmo portare questo in tutta la Chiesa; dappertutto dove possiamo, invitare le persone a ritornare al testo, a fare questa operazione con fede. Il tesoro della parola di Dio ci parla ancora, è il luogo dove Dio ci aspetta per un appuntamento! E ad un appuntamento si va con il cuore in mano. Libri citati nell’articolo Ellen Van Wolde - Racconti dell'Inizio Genesi 1-11 e altri racconti di creazione - Editrice Queriniana Walter Brueggemann - Genesi - Claudiana Adriana Valerio - Le ribelli di Dio. Donne e Bibbia tra mito e storia - Feltrinelli Paolo De Benedetti - A sua immagine. Una lettura della Genesi - Morcelliana Paolo De Benedetti; Maurizio Abbà - Anche Dio ha i suoi guai. Dialogo sulla Genesi - Il Margine C.D.B. Chieri informa PERCHE’? Avrebbe dovuto frenare la sua corsa, rallentare molto e poi fermarsi. Anche se il sole era ancora alto smettere di mietere e tornare verso casa. Ritirare le reti e dirigere la prua verso il più vicino porto, interrompere la sinfonia e licenziare gli orchestrali. Avrebbe dovuto buttare il gesso ai piedi della lavagna, il martello contro il muro, lasciar cadere i panni e le mollette, fermare il pullman con la scusa d’avaria e liberare i passeggeri, spegnere le candele in chiesa e smetterla di biascicare. Poi cercare un posto solitario, una stanza buia, una spelonca, una deserta spiaggia o un semplice capanno dove non giungesse suono né alcun latrar di cane, spogliarsi di abiti e di scorie quindi sedersi sulla nuda terra serrare forte gli occhi turarsi le orecchie scacciare ogni pensiero ed alla fine anche per un solo istante esser presente e nel profondo chiedersi: perché? Beppe Ronco 6 Settembre 2014 - n. 59 Percorsi di giustizia riparativa per minori Gruppo di Progetto ASAI N el mese di Marzo 2012 è stato siglato un protocollo di intesa tra Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta, la Polizia Municipale di Torino e l’ASAI, finalizzato ad attivare percorsi di riparazione in attività dell’ambito sociale, rivolti a quei minori che si sono resi responsabili di reati, per i quali è possibile evitare l’apertura di un fascicolo giudiziario. Il protocollo è andato a ufficializzare una collaborazione tra il Nucleo di prossimità della Polizia Municipale e l’ASAI, già in atto dalla Primavera del 2011; collaborazione che era nata per offrire a minori che hanno compiuto atti di bullismo e prevaricazione all’interno delle scuole (ma non solo), l’opportunità di inserirsi in percorsi educativi, volti a far maturare loro una scelta di legalità e di responsabilità, in alternativa ai tradizionali percorsi giudiziari che rischiano di attivare circoli viziosi e favorire una carriera deviante, perché basati essenzialmente sulla punizione e poco o nulla sull’aspetto educativo della pena. L’iniziativa attivata, d’altra parte, s i po n e c on s a p evo l m e n t e nell’ottica della prevenzione, volendo evitare di stigmatizzare una ragazza o un ragazzo come deviante per il solo fatto di aver agito un comportamento definito tale. Un minore non può essere identificato e/o portato a identificarsi solo con il reato che ha compiuto. In molti casi, come ci dimostra l’esperienza, si è ancora in tempo per accompagnare i ragazzi nel processo che li porterà a diventare cittadini attivi, inseriti in modo consapevole nella società. Perché ASAI? Il Nucleo di prossimità della Polizia Municipale aveva già avviato una proficua collaborazione con ASAI ed ha deciso di formalizzare questo impegno attraverso la sottoscrizione del protocollo in quanto ASAI ha dimostrato di essere in grado di rispondere a qualsiasi tipologia di situazione – sia in termini di possibilità numeriche che di capacità professionali; inoltre è in grado di garantire una capillarità di interventi sul territorio di Torino e Provincia, garantendo una risposta positiva ad ogni intervento richiesto ed ha manifestato una spiccata capacità di tenere insieme le molteplicità e una forte capacità di sperimentarsi concretamente in attività di relazione funzionali alla reintegrazione sociale dei ragazzi. Inoltre ASAI ha maturato una considerevole esperienza a lavorare in situazioni di disagio, attività di tutoraggio rivolte ad adolescenti e preadolescenti difficili, nonché da anni è impegnata in progetti di riparazione fra cui si può citare il progetto No.M.I.S., attività con il carcere Ferrante Aporti, progetti di educativa di strada, progetto “Animi- AMO L’ESTATE AL VALENTINO” finalizzato a recuperare e valorizzare uno spazio urbano particolarmente importante C.D.B. Chieri informa 7 del Parco del Valentino, spesso difficilmente fruibile poiché percepito come poco sicuro. Sulla base di tali premesse e tenuto conto della condivisione di un’idea comune di prevenzione e non repressione, fra Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta, la Polizia Municipale di Torino e l’ASAI, si è deciso di avviare questa esperienza. L’attività di ricomposizione La giustizia riparativa si basa su un approccio ampio in cui la riparazione materiale e immateriale dei rapporti disturbati tra la vittima, la collettività e l'autore del reato costituisce il principio guida generale del procedimento penale. L’attività di ricomposizione è uno strumento finalizzato al sostegno alla parte offesa e alla riduzione del danno e rappresenta un percorso per la risoluzione sostanziale del conflitto. La ricomposizione tra autore e vittima restituisce alle parti il potere di discutere del fatto di reato e delle sue conseguenze, responsabilizza l’autore, dà soddisfazione alla vittima e comporta una deflazione del contenzioso giudiziario. Inoltre si può connotare anche di un valore sociale, in quanto volge non solo a beneficio dell’individuo, ma anche dell’intero sistema comunitario, ricostruendo il tessuto sociale lacerato dall’atto deviante; consente di superare la separazione tra autore del reato e vittima e può assumere anche una valenza preventiva dei comportamenti criminali recidivanti. Ma soprattutto, la ricomposizione è un modo con cui viene restituita alla vittima la dignità di persona, anche attraverso l’esposizione delle sue ragioni e del suo vissuto di dolore, eliminando, così, i rischi di vittimizzazione secondaria, con conseguente perdita di autostima e rischio di compromissione del percorso evolutivo. In ambito minorile è solitamente comprensiva di modalità di attuazione dirette alla riparazione del reato con atti risarcitori, percorsi riparatori concreti posti in essere dall’autore a favore della vittima o della collettività. Il percorso di riparazione intende dunque: 1) accompagnare il minore nella valutazione della portata del proprio comportamento; 2) aiutarlo a elaborare il significato della riparazione nei confronti della vittima e della società; 3) stimolare una seria riflessione sul concetto di responsabilità e sul legame che sussiste tra un’azione e le sue conseguenze; 4) favorire la crescita personale e sociale del minore; 5) scommettere sulla responsabilizzazione del minore nei confronti delle persone (bambini o coetanei) con cui è tenuto a “lavorare”, valorizzando il più possibile le risorse personali che può mettere in gioco. Metodologia dell’intervento Gli interventi di riparazione riguardano reati di bullismo o altri reati (ad es. aggressioni, furti, etc..) compiuti da ragazzi o ragazze minorenni. Le segnalazioni vengono inviate all’ASAI dal nucleo di Prossimità della Polizia Municipale di Torino e dalla Procura presso il Tribunale dei Minorenni. Settembre 2014 - n. 59 Gli interventi vengono avviati sia qualora venga presentata querela da parte della parte offesa, sia quando manca la querela ma il fatto viene segnalato alle autorità. Nel caso in cui è stata presentata querela si cerca di intervenire per tentare il ritiro della medesima al fine di avviare un percorso di riparazione che si sviluppi anche in un percorso di sensibilizzazione della collettività. Il nucleo di prossimità espleta le prime indagini. Successivamente viene preso contatto con ASAI per avviare il percorso. Si procede dunque, previo un primo contatto fra chi ha effettuato la segnalazione e l’ASAI, ad un incontro fra i soggetti interessati. Se i reati sono stati realizzati nella scuola, gli incontri possono essere sul gruppo classe, a seconda delle situazioni. L’obiettivo è quello di coinvolgere in questo primo incontro i gruppi di riferimento dei ragazzi (scuola, famiglia). Nel corso del primo incontro, a cui presenziano i vigili di prossimità e l’ASAI, viene ricapitolato il reato davanti ai presenti, i ragazzi vengono presentati all’ASAI e viene stipulato un patto educativo fra aggressore, famiglia, ASAI e Vigili di prossimità, finalizzato alla riparazione del reato al fine di codificare un impegno formale fra le parti. La sottoscrizione del patto viene proposto come “ultima chance”, diversamente si avvia il procedimento penale tradizionale. Il patto comporta impegni reciproci fra le parti. ASAI offre: la possibilità di operare in modo accompagnato all’interno di una delle proprie attività (lavoro socialmente utile), valorizza le risorse di ciascun ragazzo/a dando risalto alla loro parte positiva e cercando di farla emergere (elemento che normalmente viene offuscato dal reato commesso) un tutoraggio realizzato da un accompagnatore/ educatore occasioni di formazione e riflessione (ad. Es.incontri con criminologi, formazione per la gestione dell’estate ragazzi, lavoro sulla legalità con i vigili di prossimità, incontri con esperti e percorsi formativi specifici) responsabilizzazione, capacità di rispondere delle proprie azioni, presa di coscienza finalizzata ad un cambiamento positivo, possibilità di ricominciare in modo diverso, presa di coscienza del reato (elemento che manca soprattutto quanto viene realizzato in “branco”) Ai ragazzi/e viene richiesto: puntualità capacità di mettere in gioco le proprie competenze relazionali continuità qualità della presenza rispetto del lavoro altrui (ad es. avvisare quando non può partecipare, al pari di una prestazione lavorativa) C.D.B. Chieri informa 8 fare in modo che venga mantenuto il rapporto di fiducia. Ogni anno vengono coinvolti in progetti di riparazione 35/40 ragazzi/e circa, a seconda delle necessità che emergono. Partendo dalla loro volontà di “recuperare” la situazione critica, i percorsi di riparazione loro proposti hanno riguardato le seguenti attività: accompagnamento allo studio di minori delle scuole elementari e medie; animazione con gruppi aggregativi dai 6 ai 13 anni, nel periodo coincidente con l’anno scolastico; animazione estiva, all’interno del progetto “Estate Ragazzi”; Attività di gruppo quali laboratori artistici (teatro, musica, circo sociale…), incontri formativi, percorsi di educazione alla cittadinanza. Ruoli e mansioni sono concordati direttamente tra l’educatore di riferimento (tutor) e il minore, tenendo conto della predisposizione del ragazzo, delle esigenze dell’associazione, dei suggerimenti di insegnanti e degli operatori del Nucleo di Prossimità della Polizia Municipale. Per favorire una loro responsabilizzazione viene inserito/a in attività con bambini più piccoli o con coetanei a seconda del reato commesso. Nei percorsi inoltre vengono coinvolte anche le vittime e per questo è fondamentale il lavoro di gruppo. A seconda della tipologia di reato l’attività riparatoria si sviluppa su due pomeriggi alla settimana per 3 - 6 mesi. A volte la presa in carico è maggiore se il reato commesso necessita di un intervento più strutturato. Il percorso consiste un una restituzione alla collettività ed alla comunità afferente e permette al ragazzo/a di compiere una azione di riflessione sulle azioni commesse. Fondamentale è l’aggancio relazionale con le figure di riferimento (tutor, educatore). Si segnala come negli ultimi anni si stia manifestando un drastico abbassamento dell’età dei giovani sui quali occorre intervenire con azioni riparatorie. In particolare mentre fino a qualche anno fa in prevalenza si trattava di minori in fase adolescenziale, ora l’età si sta abbassando ad 11-13 anni, e si segnalano alcuni casi anche nelle classi delle scuole elementari dove si sta procedendo con attività sul gruppo classe. Le provenienze dei ragazzi/e è molteplice: italiani, stranieri e seconde generazioni sono coinvolti in misura quasi equipollente. Nella maggior parte dei casi si tratta di situazioni di disagio pregresso (familiare, culturale, economico, etc..) anche se occorre segnalare che questo non costituisce l’elemento determinante in quanto vi sono casi che provengono da situazioni famigliari agiate senza evidenti problematiche particolari e dove invece si evidenzia un forte disagio esistenziale. Settembre 2014 - n. 59 C.D.B. Chieri informa Molto spesso gli aggressori sono a loro volta vittime di un contesto sociale che non li favorisce e che li porta a trovare altre forme (non lecite) per crearsi un proprio ruolo (identità deviante). Si tratta di ragazze e ragazzi cosiddetti “normali”, non per forza con esperienze di disagio alle spalle, che si sono trovati coinvolti in situazioni in cui non hanno saputo valutare le conseguenze delle proprie azioni e il peso di quelle stesse azioni. Ragazzi che sono impalliditi di fronte al numero e alla gravità delle violazioni del Codice Penale elencate loro dalla Polizia al momento della convocazione. Una volta ultimato il percorso in molti hanno manifestato il desiderio di continuare le attività anche dopo il termine del periodo di servizio ripartivo, avendola vissuta come un’esperienza coinvolgente di volontariato e di impegno sociale Alla presenza di insegnanti, famiglie, Vigili, educatori dell’ASAI, e talvolta delle parti offese, l’ultimo atto del percorso è culminato, per tutti, in una vera e propria cerimonia finale, dove l’esperienza è stata rielaborata dall’inizio della vicenda alla fine, attraverso il racconto dei ragazzi e dei soggetti coinvolti, in modo da sancire in modo ufficiale la chiusura di un cerchio che ha visto i ragazzi diventare un po’ più adulti, riconoscendo le proprie colpe e lavorando con impegno e consapevolezza per riparare i danni arrecati. Elisa Lupano Antiche come le montagne Dio ha creato fedi diverse così come ne ha creato i rispettivi fedeli. Come posso anche segretamente accogliere il pensiero che la fede del mio prossimo è inferiore alla mia e desiderare che rinunci alla sua fede e che abbracci la mia? Come suo vero e fedele amico, posso soltanto desiderare e pregare che egli viva e cresca perfetto nella propria fede. Nella casa di Dio ci sono molte dimore e tutte ugualmente sante. Gandhi 9 Quello che rimane C osa è rimasto di quel voto referendario che nel 2011 riuscì a muovere un paese nell'entusiasmo generale? Lo abbiamo spesso ribadito, vi sono stati finora processi che hanno disatteso l'esito referendario. Non vi è stato nessun governo dal 2011 che abbia preso una posizione chiara e favorevole agli esiti referendari, anche l'attuale governo, che nei discorsi pubblici spesso appare più progressista dei precedenti, non è stato da meno. Appena insediatosi il nuovo ministro dell'ambiente del governo Renzi, Gian Luca Galletti, esponente di spicco dell'UDC, ha dimostrato immediata ostilità per quelli che sono stati i risultati referendari ed è quasi ovvio che a fronte di una tale ostilità non vi sia nessun atto per adempiere alle scelte referendarie: o non si agisce o, se si agisce, si va in direzione contraria e ostinata. Inoltre rimane ancora una domanda di fondo: che fine ha fatto il Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua? Non si può nascondere che esiste attualmente una certa difficoltà da parte del movimento di influenzare, con i temi riguardanti la gestione del servizio idrico e la sua ripubblicizzazione, l'agenda setting (termine tecnico per definire l'ordine del giorno che viene imposto dai mass media al pubblico). La crisi del movimento ispiratore dei referendum del 2011 in realtà nasconde una trasformazione silenziosa alla ricerca di un consolidamento che lo rende meno visibile. Vi è sempre più un processo di rimescolamento con altri movimenti simili che determinano in un periodo di medio-breve termine la costruzione di un nuovo spazio politico. In parole povere, se si sente parlare sempre più spesso di un movimento dei beni comuni ciò è connesso con questo processo dove il movimento per l'acqua si è mescolato ed ha incontrato nuovi gruppi con radici simili. Mentre è in atto il lento processo di cambiamento del movimento ci sono all'orizzonte riforme che possono sia interrompere il cammino di rivendicazione dei beni comuni sia essere una grave minaccia per la gestione dei servizi idrici. L'attuale governo con il “pacchetto 12” contenuto nello “Sblocca Italia” impone non solo l'obbligo di privatizzazione, ma anche l'obbligo di quotazione in Borsa, cioè gli enti locali che gestiscono il trasporto pubblico locale o il servizio rifiuti dovranno collocare in Borsa o direttamente il 60%, oppure una quota ridotta, a patto che privatizzino la parte eccedente fino alla cessione del 49,9%. Ciò può essere una grave minaccia per l'eventuale effetto domino che si innescherà e le vecchie volpi politiche sono ben consapevoli dell'esistenza degli innumerevoli enti pubblici che gestiscono sia acqua che rifiuti, le cosiddette multiutility, che inevitabilmente saranno coinvolte. A Chieri la situazione per ora rimane congelata. La nuova giunta comunale che si è insediata da poco non ha ancora avuto modo di dibattere sul tema dell'acqua. Se negli anni precedenti c'erano sicuramente persone meno sensibili a questo tema, oggi il nuovo consiglio comunale vede in seno a sé stesso la presenza di esponenti che in un modo o nell'altro sentono l'esigenza di rispettare gli esiti referendari. Non si tratta solo della positiva notizia di avere come vice-sindaco Ugo Mattei, ma dell'intero schieramento che va dall'opposizione alla maggioranza in cui sono presenti nuove sensibili- Settembre 2014 - n. 59 C.D.B. Chieri informa tà. Tuttavia, la strada del nuovo consiglio comunale è piena di ostacoli, non bastano di certo pochi nomi per fermare l'establishment interessato a non adempire alla richiesta di ripubblicizzazione dei servizi idrici avanzata dalla cittadinanza e dai comitati né a quanto pare bastano i nomi prestigiosi per allontanare le titubanze del neo-sindaco Claudio Martano che durante la campagna elettorale non è mai sembrato sicuro di riprendere in mano la proposta di trasformazione della SMAT S.p.A. in ente di diritto pubblico. È ancora presto per lanciare giudizi perentori sull'operato della nuova giunta comunale. Le speranze sono molte, così come possono essere tante le delusioni. Vi è l'esigenza perentoria, però, di rimettere il tema dell'acqua nei prossimi mesi di nuovo al centro del dibattito chierese con la speranza che il coraggio della politica vinca contro i venti tempestosi dei grandi centri del potere economico. Salvio Calamera Comitato Acqua Pubblica Chieri sgambettando qua e là offre il suo corpo nel mattino uggioso. Avete forse gli stessi anni forse lo stesso color degli occhi le stesse bambole magari si son fatte pettinare dalle vostre dita bambine avete certo anche danzato le stesse canzoncine. Angela non so con bianche mani accarezzando i tasti racconta la sua anima, resuscita Ravel rendendolo immortale; tu, ragazza bruna quasi non senti i piedi su quegli alti trampoli ed un profumo troppo forte ti fa da schermo quasi a proteggerti da sguardi di sfida o di pietà. Quale vento maligno soffiò sui tuoi mattini da condannarti a questo asfalto per offrire la tua bianca pelle a laide mani da profanazione, a menti di disperate solitudini? L’OMBRELLO ROSSO Se è pioggia fine non lo so, forse son lacrime di foglie quelle che lente m’accompagnano nel mio girovagare guidando nella grigia nebbiolina di una Torino come sempre antica. Alla radio una giovane pianista tale Angela e non so suona un pezzo di Ravel: un dolcissimo “prelude”. All’angolo del corso una ragazza bruna stivali a tacco alto in calzamaglia nera sotto un ombrello rosso Non so che angelo sta suonando per te la sua anima dolente, Ravel canta per la tua disperazione il suo dolcissimo “prelude” e come carezze sulla tua carne profanata le note sfiorano i tuoi occhi troppo truccati, i tuoi tacchi troppo alti, quel tuo ombrello rosso che quasi brilla in questa uggiosa nebbiolina o pioggia fine non lo so. Beppe Ronco 10 Settembre 2014 - n. 59 LA SCALA I l compito della Scienza è, in ultima analisi, quello di trovare delle leggi che possano spiegare e descrivere la Natura. Si procede formulando un’ipotesi su un particolare problema ed andando poi a verificare con l’esperimento la sua solidità. Se l’ipotesi ottiene un buon numero di conferme e nessuna contraddizione, allora possiamo dire di avere trovato una legge in grado di descrivere quel fenomeno. Mi piace pensare ad un’organizzazione gerarchica delle leggi della Scienza, cioè che ci siano, in un ipotetico primo gradino di una scala, leggi generali che hanno una validità su una gamma molto ampia di fenomeni; in un secondo gradino delle leggi più specifiche applicabili in un ambito più ristretto, e così via. Potremmo aggiungere che ogni gradino è insito nel precedente, nel senso che le sue leggi sono ottenibili sulla base di quelle dell’ordine gerarchico superiore. Il compito di Dio, in questo senso, sarebbe stato solo quello di dotare l’Universo delle leggi del primo gradino, con tutto il resto che viene di conseguenza. Spieghiamo meglio: in virtù della natura (n minuscola) della materia, i fisici sono stati in grado di descrivere quattro forze fondamentali (primo gradino): la forza gravitazionale; elettromagnetica; nucleare forte e nucleare debole. Da queste derivano tutte le altre leggi (gradini), le quali si configurano come ampliamenti e applicazioni del primo gradino. Le leggi di Keplero sulle orbite dei pianeti non sono che estensioni del concetto di forza gravitazionale, così come l’urto tra un air-bag e il cranio di un automobilista è teoricamente spiegabile con la repulsione elettromagnetica fra gli atomi della cute dell’incidentato e quelli della plastica del palloncino. In questo senso la creazione dei gradini è, se vogliamo, superflua, visto che le leggi più generali sono necessarie e sufficienti per spiegare la Natura – costituiscono cioè una teoria completa. Nella realtà, la precisazione delle leggi successive (la costruzione della scala) è utile al debole intelletto umano per porre dei paletti nella complessità della Natura, ottenendo delle linee guida ben specifiche con cui orientarsi nella vita di tutti i giorni: poche persone saprebbero dedurre in quattro e quattr’otto la potenza di una lampadina a partire esclusivamente dalla nozione di campo elettromagnetico! Questa piccola battuta è anche utile per mettere in risalto la difficoltà pratica che troviamo nel superare l’ordine di pochi gradini nella conoscenza scientifica: il nostro muratorescienziato si trova presto di fronte a una particolarità tale che diventa impossibile descrivere, nei termini rigorosi della Scienza, sistemi così complessi e con un così elevato numero di variabili. Il successivo gradino non può essere posto e la scala della Scienza si ferma. Per fare un esempio: è impossibile formalizzare una legge che spieghi in modo completo i sentimenti e le altre bizzarrie dell’animo sulla base delle correnti elettriche nei neuroni, ma questo non significa che C.D.B. Chieri informa 11 essa non esista: se la teoria iniziale è veramente completa, allora essa è in grado di prevedere anche le pulsioni che governano le nostre azioni quotidiane, per mezzo di leggi poste in qualche gradino, molto in alto, che non siamo in grado di raggiungere. La mente di Dio, che ha posto il primo gradino tempo fa, deve aver potuto scorgervi la Divina Commedia, la Rivoluzione Francese, e i bombardamenti di Gaza. Uno dei motivi per cui ho deciso di dedicarmi alle materie scientifiche si può sintetizzare dicendo che ho preferito rimanere ai gradini accessibili: siamo cioè in grado - sulla base delle leggi che possediamo - di spiegare e riprodurre in modo accettabile i fenomeni che avvengono a quel livello. Non significa aridità o determinismo, perché c’è moltissimo da scoprire e su cui progredire, e così sarà sempre. Si può lavorare per ampliare un gradino e costruire quello successivo, ma la scala non sarà mai né abbastanza larga, né completa. La Scienza permette piuttosto, e non è poco, di comprendere il perché (in senso meccanicistico, mai teleologico) e il come accadono alcune cose: una legge scientifica è inesorabile e precisa. Non si può dire altrettanto delle leggi dell’Uomo, cioè le regole con cui egli organizza fenomeni complessi - oltre i limiti della Scienza - come la convivenza civile. Queste ultime suscitano da un po’ di tempo la mia diffidenza, tanto che ero in dubbio se meritassero in effetti il loro nome: sono tutt’altro che inesorabili e precise; a volte sono contraddittorie o ingiuste (ma questo non importa, giacché soggettivamente anche le leggi della Scienza potrebbero esserlo). C’è una certa presunzione di fondo nelle leggi umane, perché sono un tentativo dell’Uomo di plasmare la Natura a suo piacimento, essendo formulate dalla pura ragione, a prescindere dall’osservazione e dal processo scientifico di ipotesi-esperimento. Eppure, nelle intenzioni dell’Uomo, queste leggi arbitrarie sarebbero in grado di organizzare lo stato delle cose, e pretende quindi che siano rispettate dalla Natura. Poiché ciò non succede, ha previsto lo strumento della sanzione: è un po’ come se uno scienziato mettesse in punizione le proprie provette perché gli hanno fornito un risultato diverso da quello atteso dalla sua teoria. Ma che razza di legge è un’ imposizione che non vale per tutti? Come mai c’è chi non paga mai le tasse o inquina o uccide e vive come se nulla fosse? Il colmo è che l’Uomo non solo non è stato in grado di trovare leggi che siano rispettate (altro che inesorabili), ma non è nemmeno in grado di applicare le sanzioni! Quando leggo il primo articolo della Costituzione – non l’ultimo cavillo di qualche Azzeccagarbugli - sorrido amaramente e penso a quanto è misera la nostra comprensione della Natura e debole il nostro controllo su di Essa. Il fatto stesso delle sanzioni, confuta queste leggi: se una legge funziona, non ha bisogno di sostegni per evitare che venga infranta. Non è che una cellula sia allettata -ma frenata da qualche timore! - a evadere i principi della termodinamica per prosperare più delle altre: non lo fa semplicemente per- Settembre 2014 - n. 59 ché non è concepibile, non è nella sua natura (si può anche intendere Natura). Il guaio è che invece l’Uomo è spesso propenso a evadere le regole che si è posto, rendendole automaticamente inadeguate. Le opzioni per questa incompatibilità sono due: o sono sbagliate le leggi, oppure è sbagliato l’Uomo ed esse si riferiscono a qualchedun altro. Alcuni filosofi hanno proposto che l’Uomo potrebbe essere soggetto ad altro tipo di leggi, quelle dell’egoismo (homo homini lupus): ciò non è molto edificante, ma è più in accordo con la Scienza, la quale osserva e non edifica. Dicevo che ero in dubbio sul loro nome -leggi-: la cosa curiosa, riflettendoci, è che, nonostante tutto, esso è assolutamente lecito, perché, dal momento che esistono, sono senz’altro comprese in qualche gradino della scala: la teoria completa prevedrebbe perfino il Porcellum calderolico. E’ stuzzicante pensare che una mente soprannaturale, o perlomeno molto sveglia, potrebbe risalire, per dire, al campo gravitazionale a partire dal suddetto Porcellum e che, nei piani di Dio quando ha posto in essere il campo gravitazionale, il Porcellum ne era una logica conseguenza. Noi, purtroppo, non possiamo cogliere questa logicità, e così ci troviamo il problema della difficile convivenza tra le fragili leggi, e l’Uomo, senza nessuna possibilità di scorgere il Disegno originario. Il rasoio di Occam vuole quindi che la si smetta di accostare la Scienza alle stranezze dei fenomeni complessi, di giocare con gli elettroni a fare gli avvocati (o i poeti o gli psicologi). Le facce della Natura sono troppo lontane per vederle insieme. Resta comunque lo sconforto per questo mondo che è un ingranaggio che non funziona, ma troppo grande perché lo si possa riparare: si può reagire con un atteggiamento di rifiuto e chiusura, come il chimico di Lee Masters e De Andrè, che, disgustato e impaurito (“Gli uomini mai mi riuscì di capire”) si allontana dall’umanità intesa come fenomeno complesso, per dedicarsi alle leggi - quelle vere: “Ma guardate l’idrogeno tacere nel mare/guardate l’ossigeno al suo fianco dormire/soltanto una legge che io riesco a capire/ha potuto sposarli senza farli scoppiare”. Oppure ci si fa una ragione delle mille incongruenze e irregolarità, e si va avanti con più pragmatismo, su per la scala della vita, ma senza dimenticare la prudenza, perché, curiosamente, mancano i gradini. Alberto Rossetti C.D.B. Chieri informa 12 E’ tutto possibile Noi nati ai margini d’una guerra Ancora stillante ferite e canti partigiani Dentro le foto in bianco e nero Noi ci avventurammo su strade sterrate In cappotti di lanetta a poco prezzo Per scoprire di lì a poco la sorpresa Di utilitarie sfreccianti nel sole Sulle autostrade superbe Noi che, figli d’impiegati e d’operai, abbiamo vissuto da ragazzi fatica e magia di studi superiori noi che da bimbi sgranavamo gli occhi su meraviglie di cose viste per la prima volta, di cose nostre, noi abbiamo scoperto dai libri quanta poca distanza ci tenesse lontani dal ghigno di dittature in pose di cera con le bandiere svettanti al sole di vittorie fatiscenti da adunate di folle oceaniche disperse come foglie in vortici di scomposta freddezza da urla semisfatte e grigiore di morti quotidiane. Noi che allora eravamo soltanto Dei punti interrogativi Nelle viscere delle nostre madri Ci siamo poi chiesti, strada facendo, Ci siamo chiesti quale pensiero atroce Dominasse le menti Nel programmare il sogno funesto D’una “soluzione finale” Mentre pupe bionde ballavano nei varietà. Ce lo siam sempre chiesto Faticando a trovare una risposta In un’aria rarefatta di democrazia progressista. Oggi noi, nati ai margini d’una guerra mondiale, noi che abbiamo ripudiato la guerra noi che abbiamo esecrato gli stermini in tutti i programmi educativi, in tutte le cerimonie ufficiali, noi che abbiamo proclamato il lavoro un diritto Vediamo altre guerre, a due passi da noi, vediamo stermini di migranti nelle acque tranquille di vacanze programmate sappiamo che il tempo non è più scandito come tempo di lavoro e tempo di riposo tempo di libertà umana perché il lavoro ha ingoiato il tempo e il tempo è un deserto d’ossessione Settembre 2014 - n. 59 per un vano miraggio all’orizzonte. E sentiamo che in tutto questo C’è logica, programmazione, desiderio Dei popoli che votano Dei poteri che decidono Al riparo di democrazie Da avanspettacolo perenne. E noi sappiamo sgomenti che oggi tutto è ancora possibile. Daisy T. IL TORCICOLLO E’ già notte al Valentino, una notte di fine agosto; la luna è tramontata dietro i Cappuccini, nel cielo terso brillano mille stelle tremolanti e le luci intermittenti di un aereo che romba lontano. Più in basso scorre il Po, nero e silenzioso. Saranno state le nove-nove e mezzo quando il professore e l’ingegnere si sono incontrati all’incrocio di Via Valperga Caluso con Corso Massimo D’Azeglio e hanno incominciato a correre: hanno attraversato e il traffico era quasi nullo (più tardi è leggermente cresciuto); ora proseguono nel loro jogging nell’oscurità del Valentino; sotto le loro Adidas leggere la ghiaia scricchiola, sommessamente come la timida risacca sulle rive di un lago. Come prescrivono le regole del jogging un po’ corrono e un po’ marciano speditamente, passando da un cono all’l’altro dei coni giallognoli dei lampioni; intanto chiacchierano del più e dl meno e scherzando, sono amici da anni e in tono lievemente canzonatorio si chiamano reciprocamente ^^^ Hanno già compiuto alcuni giri del parco da un estremo all’altro, e ancora una volta sostano a dissetarsi a una fontanella. Il professore si china in avanti sostenendosi sulle ginocchia con i palmi delle mani: “Han bevuto profondamente ai fonti alpestri”, scherza, “tu prosegui, io mi fermo per un giro;-ti aspetto lì”; indica un piccolo spiazzo con una panchina. “ non ce la faccio, sono fuori allenamento ma Dio che rottame che sono diventato”-. C.D.B. Chieri informa 13 “O.K professore., ma più di un giro non lo faccio nemmeno io, ho appena bevuto ma ho ancora sete, non vedo l’ora di scolarmi una bottiglia di acqua frizzante di frigo …che sapor d’acqua natia rimanga ne’ cuori esuli a conforto, a lungo illuda la lor sete in via”, conclude ripartendo Sulla panchina c’è già un individuo con gli occhiali scuri. Come ogni sera all’ingresso del parco ha liberato il suo cane che immediatamente si è lanciato in una corsa apparentemente dissennata, ma a ben vedere metodica, scientifica, per successivi tentativi alla ricerca degli angoli più stimolanti per le tantissime pisciatine liberatorie di questa sera. In quella panchina isolata nell’angolo più buio dello slargo a pochi passi dalla fontana l’uomo se ne sta tranquillo con le mani intrecciate dietro la nuca e le gambe stese in avanti. Tutto è silenzio, si odono solo il tubare di due tortore e lo stormire sommesso degli ippocastani all’esile brezza serale che sfrega al suolo le prime foglie secche e accartocciate, simili a minuscole tartarughe rovesciate che tentano invano di rimettersi diritte. “Permette?” fa il nuovo arrivato. “Prego”, e si sposta per fargli spazio. Il cane torna e stirandosi pare fare una serie di esercizi di streaching come i corridori al temine delle fatiche poi siede con il muso appoggiato sui piedi dell’uomo. “E’ buono?non morde?” fa l’altro. “No, stia tranquillo, ma guai a chi mostra di avere cattive intenzioni nei miei confronti.” Il Professore si sposta un po’ di lato: “E’ un labrador?” “ Con tanto di pedigree, sì.” “Bella bestia, per quello che si può vedere con questo buio. Si sta bene qui, finalmente si respira, che Paradiso eh?“ “Magnificamente, sì.“ Dai vialetti giungono altri podisti che vanno a mettersi in coda davanti alla fontanella: a turno il primo della fila si china a bere mentre gli altri aspettano continuando la corsa sul posto, respirando a fondo e allargando le braccia per dilatare i polmoni. -“Isciacquio, scalpiccio, dolci romori” riprende l’uomo del cane. L’altro scoppia a ridere. – “Perfetto,” - commenta, “perfetto.“ Ma che notte eh?” “ Il suo amico l’ha chiamata professore, lei è professore?“ - “Sì ma non di lettere, di Educazione tecnica, comunque ora in pensione.” - “E’ bella la poesia sui pastori d’Abruzzo, non tutta secondo me, ma nel complesso molto molto bella.”. - “Non tutta ossia?” - “Io non ho studiato come lei, ho dovuto fermarmi molto presto, certe sfumature mi restano oscure.” - “-Per esempio.” - “Adesso non mi viene, non so….” - “Io non la conosco ma mi sa che lei è innamorato della poesia e probabilmente in genere della cultura, ben più della maggior parte degli allievi con cui ho avuto a che fare in tanti anni, a maggior ragione considerando che è stato costretto a interrompere gli studi….. ha notato quanto si sono già accorciate le giornate?” - “Sì lo so, alle otto era chiaro e in un batter d’occhio era notte, ma io sono come certi neonati che scambiano il giorno per la notte; voglio dire che in fondo è tutto uguale.” - “Ma….. lei lavora di notte? di cosa si occupa?” - “Attualmente ho un contratto a termine in un call center, non di notte, di giorno, prima facevo il centralinista e prima ancora il massaggiatore.” Settembre 2014 - n. 59 - “Mi ci vorrebbe a me un bel massaggio, dopo un po’ che corro i muscoli mi si irrigidiscono, spesso mi vengono i crampi.” ….Ecco per esempio nel verso dell’Adriatico selvaggio che verde è come i pascoli dei monti non ci vedo niente di …non so come dire, niente. Fa piacere però incontrare persone istruite come lei.” “Vorrei vedere che uno si debba vergognare se non arriva a penetrare dalla prima all’ultima riga una poesia, del resto gliel’ho detto che non insegnavo lettere ma Educazione Tecnica, altro che colto…ma che calura oggi, alle due ho dovuto uscire di casa e in pochi secondi ero già fradicio di sudore mi sentivo puzzare da vergognarsi, il sole accecava, da ….adesso invece…. I Promessi Sposi l’ha letto? Non è un capolavoro?” “Sarà anche un capolavoro ma io nella Provvidenza del Manzoni non ci credo; e nemmeno nel suo Dio.” Il professore alza lo sguardo alla volta celeste: “No, io non riesco a restare indifferente di fronte a spettacoli straordinari come quello del firmamento, con le stelle che brillano così intensamente: come non scorgervi la mano di un Essere superiore?” “Merito del vento”.“Merito del vento? E Dio? Gliel’avranno insegnato anche a lei da bambino: due cose al mondo non ti abbandonano mai: l’occhio di Dio che ti vede ovunque e il cuore della mamma, eccetera….ma guardi guardi che sfolgorio, da lasciar senza fiato, no?” “ Non riesco a guardare in alto, ho il torcicollo, non gliel’avevo detto.” “Non riesco a immaginare che dietro tutto ciò non ci sia un Essere Superiore: è Lui che ci guida, Lui che ci rincuora, Lui che non si dimentica mai di noi né ci dimenticherà, nemmeno quando saremo morti e di noi nessuno al mondo serberà memoria. E se penso che da un lato noi abbiamo bisogno di Lui ma dall’altro anche Lui ha bisogno di noi, mi commuovo fino alle lacrime. Ma guardi, guardi! “Gliel’ho appena detto, ho un forte torcicollo, non riesco.” “Ah sì, mi spiace. Non sarà proprio per il vento? Magari era sudato.” “Mica solo stasera.” …Ma il Signore è unico, è amore per il Creato e soprattutto per gli uomini: le meraviglie che appaiono sotto i nostri occhi è Lui che ce le ha donate, Lui che per noi è arrivato a dare la vita sacrificandosi sulla Croce Ce l’ha spesso, il torcicollo? Ha provato con il Voltaren?” “No non spesso, sempre. Il Voltaren per me è acqua fresca che poi alla lunga rovina lo stomaco, dia un’occhiata al bugiardino.” “Ma da quando ce l’ha?” “Dalla nascita, beh non parliamone. Volevo chiederle: Dio, quello che dice lei, il settimo giorno della creazione si riposò, no?” “Certo, si riposò.” “Nel senso che chiuse gli occhi?” “Se vuole metterla in questi termini, ma francamente…. Cerco di chiarirle come la vedo io: tutti noi o quasi tutti camminiamo con lo sguardo fisso in avanti, oppure a volte a testa C.D.B. Chieri informa 14 bassa per non inciampare o perché impegnati a mandare messaggini sul cellulare, mai (quasi mai) con gli occhi rivolti in alto a contemplare il cielo; l’opera dell’uomo può essere bella finché si vuole ma non potrà mai essere paragonata a quella divina che ci è dato di contemplare. Per questo il Signore il primo giorno creò la luce, e l’ultimo si riposò, come ha detto lei; e se vuole chiuse gli occhi.” “Io non credo che le opere divine siano superiori a quelle umane: tante composizioni musicali create da uomini sono probabilmente più divine di quelle di Dio“Ma il vento l’ha nominato lei e quando soffia soffia in armonia con le leggi della natura che a loro volta per forza di cose devono essere state poste dall’Essere superiore che dicevo.” “Certo, il vento, per me comunque viene prima la musica. Ah Mozart, Mozart! Sa qual è la più straordinaria delle arie di Mozart? è il terzetto “Soave sia il vento e placida l’onda nel Così fan tutte: in poche battute la musica e in poche parole il canto sospingono il nostro amore come il vento soffia sulle vele delle barche nel mare. Il vento sospinge le vele e le nuvole e porta i semi i profumi i canti e ristora e asciuga il sudore e perfino le lacrime… e il mare dal canto suo quando ti ci immergi ti accoglie nelle sue braccia e ti culla… Quanto all’amore, beh l’amore è un’altra cosa, l’amore carnale è quanto di più straordinariamente terreno si possa immaginare: nel buio copro di coccole la mia donna e la stringo fra le mie braccia, con le mani la accarezzo e accarezzandola la plasmo e mi par di essere un Dio scultore, eh Bisìn?” “Perfettamente d’accordo, ma già quando le spoglio io tocco il cielo con un dito.” “Ma il piacere non nasce ancora prima quando lei si limita a spogliarle solo con gli occhi? Dica lei.” Il cane va a posare il muso in grembo al padrone; anche lui adora le coccole e il padrone lo accontenta grattandolo dietro le orecchie e sotto il mento. “Senza affetto non riesce a vivere”, dice. Nel piccolo slargo passano altri podisti coppiette abbracciate uomini che portano a passeggio il cane o soli del tutto. “Qui è pieno di guardoni,” fa il professore. “Se lo dice lei, quanto a me non riesco a immedesimarmi in un guardone; piuttosto in un serial killer.” Il labrador adesso salta attorno al padrone chiedendo di giocare, non gli bastano più le coccole: l’uomo gli dà il bastone che sin qui ha tenuto posato accanto a sé e che ora il cane addenta ringhiando giocoso ogni volta che l’uomo lo scrolla. Per prudenza il professore si sposta ancora di lato, ma riprende la conversazione: “Che idee come dire? particolari, comunque…Io per la musica non ho molto orecchio, preferisco le arti figurative o la letteratura. E così a lei I Promessi Sposi non piacciono, peccato, è un gran libro. Ma allora nel campo della letteratura cos’è che le piace, per esempio?” “Amo moltissimo l’Iliade, l’Odissea, l’Edipo Re e l’Edipo a Colono, ma per la verità leggo poco, i libri costano, se ne trovo uno in biblioteca che intuisco che fa per me lo prendo, sennò ne faccio a meno, pace. Quanto alla pittura per me è come per lei la musica: diciamo che non ho orecchio.” Settembre 2014 - n. 59 “L’Iliade l’Odissea e l’Edipo Re? ma lo sa che io l’Edipo Re non l’ho mai letto? Conosco la storia di Edipo ma la tragedia non l‘ho letta né vista a teatro, e tanto meno l’Edipo a Colono; dell’Iliade e soprattutto dell’Odissea rammento degli episodi ma di qui a ricordarle bene ci corre Non per insistere sulla pittura, ma nemmeno gli affreschi della Cappella Sistina o le storie di San Francesco di Giotto a Assisi?” “Gliel’ho detto: il torcicollo. Sono come il firmamento: troppo in alto, troppo lontano. Mozart sì, Così fan tutte e direi tutte le sue composizioni, assolutamente tutte, ma anche Schubert, l’Ave Maria cantata da Andrea Bocelli mi fa venire le lacrime agli occhi.” - “Ossia lei ama la musica nel senso di musica classica, proprio quella per cui io sono del tutto negato?” - “No, anzi, se vuole due nomi di artisti rock per cui stravedo les voilà: Stevie Wonder e Ray Charles.” - “Al cinema ci va? Io non molto, ma i film che sono piaciuti alla critica cerco di non perdermeli ” - “Anche gli schermi sono in alto.” - “A maggior ragione niente campanile di Giotto a Firenze né Torre di Pisa, suppongo.” - “Già, ma ce n’è tante altre di cose belle nella vita, per esempio il cioccolato fondente con le nocciole intere di Peyrano mi fa impazzire.” - “Il cioccolato di Peyrano….scusi ho perso il filo, cosa volevo dire? Ah sì, fino al mese scorso c’era una bellissima mostra di impressionisti qua alla Promotrice, soprattutto due Renoir e uno stupendo Monet, nelle mostre in linea di massa i dipinti li mettono all’altezza dei occhi di una persona di mezza statura.” “Oggi gli uomini di mezza statura sono sugli uno e settantotto-uno e ottanta, io non arrivo a uno e sessantacinque, non sono di mezza statura, no nelle mostre e nei musei non mi ci vedo comunque. “Lei è proprio un originale, sa?....Se le potesse interessare, nel 1890 Monet, a Rouen, in Francia....” Dal corso arriva a ondate il rombo delle auto, che frenano stridendo all’altezza delle prostitute; gli uomini contrattano un po’ e poi ripartono sgommando, da soli o con su la ragazza. - “Ho capito bene: il cioccolato, non mi sta prendendo un po’ in giro?” sta dicendo il professore (la conversazione ha preso un’altra piega). “Non mi permetterei mai; lo spirito e il corpo; il cioccolato era un esempio di cose che amo, ma amo anche il profumo e il sapore del basilico di Prà, e il Nebbiolo d’Alba, e le tagliatelle fatte in casa, ma fatte come Dio comanda : non un goccio d’acqua e quindici uova per ogni chilo di farina.” - “Immagino che Dio abbia altre cose di cui occuparsi, però continuo a non capire cosa c’entrano il cioccolato il basilico il bergamotto con Mozart e il cioccolato di Peyrano.” - “Sì, ma anche di Certosio, il bergamotto non l’ho nominato. Però d’accordo, ma non mi guardi di traverso, non c’entrano, dicevo solo come piaceri della vita.” “Insomma riassumendo per lei la musica viene addirittura prima del cielo stellato, scusi la franchezza ma da non crederci. Ma chissà, anche lei un giorno all’improvviso avrà la sua illuminazione, riconoscerà l’esistenza di Dio e ne rimarrà C.D.B. Chieri informa 15 abbagliato----simpatico il suo cane.” Gli dà una timida carezza: “Vuoi bene al padrone?” “Mi vuole bene ma non sono il suo padrone.” “E di chi è? ” “ Di nessuno”.“L’ingegnere appare alla vista: “Oh finalmente, era l’ora,” lo accoglie il professore. “Dai, sei tu che volevi riposarti, ti sei riposato?” “Sì, perfettamente”. “Allora si va?” “Quanti chilometri hai fatto?” L’altro controlla il contapassi: “circa dodici, compresi quelli di prima: allora ti alzi? “ Il professore saluta l’uomo del cane: “Grazie per la compagnia e complimenti per il cane, spero di rivederla presto, lei rimane ancora un po’ a godersi il fresco?” “Sì noi restiamo ancora un pochino, dieci minuti al massimo, non abbiamo ancora cenato e siamo digiuni da stamattina, non ci vediamo dalla fame vero Bisìn? grazie a lei, arrivederci.” ^^^ Il professore e l’ingegnere si avviano verso il Corso: “Allora come ti è parso questo tipo?“ s’informa l’ingegnere. “Poveretto ha un torcicollo che lo tormenta di continuo, da un lato mi faceva pena, giorno dopo giorno dev’essere un bel tormento, mettiti nei suoi panni, ma dall’altro un’angoscia…: qualsiasi pensiero esprimessi su qualsiasi oggetto non era mai d’accordo, provavo a cambiare argomento e subito dai a polemizzare, mezz’ora a menarmela sul vento, è a te no, che fa venir il mal di testa? su qualsiasi tema anche alla lontana religioso si chiudeva a riccio…. non incolto guarda ma odioso,fondamentalista, per le arti figurative interesse zero via zero, geni del calibro di Caravaggio Vermeer De Latour Rembrant non gli dicono nulla, dice che darebbe Il pranzo del canottieri di Renoir in cambio di una tavoletta di cioccolato fondente, da non poterne. E poi un amore scriteriato per quella bestia, nota: neanche sua, con tutto il bene che anch’io gli voglio agli animali, ma c’è un limite a tutto, prima i cristiani, dico bene? di calcio non gliene frega un tubo, idem di qualsiasi altro sport; e va beh, ma non possiede nemmeno un televisore, o almeno sostiene di non averlo; un televisore da ventun pollici senza tanti ammennicoli a Media World te lo tirano dietro, non mi dica che non può permetterselo. Se tanto mi dà tanto vuoi vedere che non ha nemmeno il PC? Un lavoro bene o male ce l’ha, non ha carichi di famiglia, un micragnoso così non l’ho mai visto in vita mia, ma però - ripeto: sempre che sia vero quel che dice – si è comprato uno stereo che deve costare una fortuna e che io e te non potremmo permetterci. Poi saltava come se niente fosse da un argomento all’altro …e il posto fisso ai concerti della Rai, e il vento, e le tagliatelle fatte a mano…aspetta: dice che la dose è di quindici uova per chilo di farina: ti pare possibile? ” “Quindici uova mi pare un’esagerazione, voglio vedere poi il colesterolo. E che rapporto ci sarebbe fra gli impressionisti e le tagliatelle?” “Bella domanda: chiedilo a lui.” Settembre 2014 - n. 59 “Possibile che per il torcicollo con i progresso della medicina che ci sono stati negli ultimi anni anche nel campo della terapia del dolore non ci sia niente da fare?” “Non so, d’altro canto ci sono anche tante malattie di cui una volta non si conosceva l’esistenza. Non so non me ne intendo, comunque al mondo c’è chi ha ben altro che un po’ di torcicollo.” ^^^ Anche l’uomo del cane finalmente si alza. “Si è fatto tardi anche per noi, eh, tu che dici? Ti prego, portami a casa.” Rimette il guinzaglio al cane, assieme si avviano verso casa, lui con la punta del bastone va saggiando il terreno per evitare di incespicare nelle radici affioranti dei pini . “Insomma questo Monet” riprende , “ce n’è di gente stramba a questo mondo, eh? racconta che ha dipinto la bellezza di trenta quadri della facciata della Cattedrale di Rouen nelle varie condizioni di luce della giornata, mi sa che è lui che si è tagliato un orecchio, non quell’altro. Beh sai cosa ti dico? Solo per sfizio, ma mi piacerebbe andarci con te, in quella galleria, farti annusare tutti i dipinti, e io toccarli, però aspetta: tutto questo quindici volte, sia io che te, nelle varie ore della giornata eh, tu che dici? Perché questa gente deve avere un Dio esclusivamente suo e non anche nostro, come i bambini dei ricchi che hanno le macchinine elettriche che guai se un compagno gli chiede di salirci su un momento senza nemmeno metterle in moto? C’è caso che glielo rompiamo, il loro Dio? Oppure, e è la cosa più probabile, non ci sono né quel loro Dio né le macchinine, erano solo delle enormi panzane, eh, tu che dici? Parlo troppo? Ti annoio? Insomma cosa vogliono dire “rosso”, e “rossastro che sfuma nel viola” e “verdognolo”, e “ azzurro pallido”? Ma prima ancora cosa significano le parole brillante splendente scintillante sfavillante sfolgorante raggiante luminoso smagliante lucente bianco? Domani in una battaglia supponi io mi trovo circondato da ogni lato da forze superiori: vorrei issare la bandiera bianca, ma fra tante bandiere di ogni colore che ho a disposizione come fare a scegliere quella bianca? Perfino il diritto di arrendersi è un privilegio loro, io ne sono escluso. Cos’hanno in comune la farina la neve il latte le nuvole lo zucchero i water di ceramica? Mistero, buio assoluto. E se avessero stipulato una specie di patto con quel loro Dio - supponiamo per un momento che esista -convenendo che lo zucchero la farina la neve il latte lo zucchero le nuvole i denti il sale bisogna dichiarare che sono bianchi, però occhio: tutto questo quando è presente uno di noi; perché se voltiamo l’angolo riconoscono che sono tutti neri, indistintamente. Perché? Dirai tu. Ma per confonderci, no? e per appropriarsi della parte del mondo che ci spetterebbe di diritto: qualcosa come una congiura, vedi? Perfino questo bastone che mi aiuta nel cammino sarebbero pronti a giurare che è bianco; ma cosa c’entra un bastone che non è freddo non è dolce non è fluido non ci si fa il pane, con la neve lo zucchero le nuvole eccetera? Il bastone è roba mia, non loro, saprò ben io di che colore è. Che male gli avevamo fatto? Chi lo sa? E cosa significa bianchissimo? e opaco? e trasparente? E che cosa erano “gli occhi tuoi ridenti e fuggitivi” e “le tue limpide nubi” e “l’Adriatico selvaggio che verde è come i C.D.B. Chieri informa 16 pascoli dei monti” e “Ella sen va sentendosi laudare”? Sproloquiava di Dio e io pensavo: guardiamoci negli occhi, chi è codesto vostro Dio? Un essere superiore, dice, che ha creato il firmamento (o meglio dico io quel nulla che chiamano firmamento) e i prati e la neve e i colori dell’arcobaleno, però facci caso: loro stessi che in nostra presenza sostengono di “vedere” i colori e il firmamento e tutto il creato candidamente poi confessano di non aver mai “visto” in faccia il loro stesso Dio, di non averlo mai potuto toccare, accarezzare, ascoltare, fiutare. Dice: “Io sono un Dio geloso”, sai perché? Perché ha potuto riposarsi, ossia chiudere gli occhi, soltanto il settimo giorno, prima no. E geloso di chi? di me, del mio buio che mi ripara dalla luce che Lui stesso ha creato per accecarci e farci perdere l’orientamento, questo ci invidiano Lui e tutta questa gente, fatta a sua immagine e somiglianza, ricordiamolo. Tu sei la mia vera guida, non Lui; neppure io ti vedo, certo, ma posso toccarti e ascoltare i tuoi urli di gelosia o di gioia e i tuoi gemiti di dolore o di riconoscenza perché siamo sullo stesso livello, non tu lassù e io quaggiù, e la certezza che tu sempre mi sei vicino mi rincuora, e so che mai mi lascerai né ti dimenticherai di me, nemmeno quando sarò morto e sepolto e fra gli uomini della mia persona della mia voce del mio odore non sarà rimasta la più piccola memoria. Io ho bisogno di te ma anche Tu di me: e questo pensiero mi commuove perché mi rendo conto di aver delle responsabilità, sì delle responsabilità immense nei Tuoi confronti. Tu sei unico, tu sei potenza e amore, Tu perdoni ogni offesa che possa averti fatto o farti in futuro, e daresti la vita per me, sarei pronto a giurarlo. Ci chiamano cane e padrone: padrone! vogliono metterci l’uno contro l’altro, capisci? Ma tu non ti curar di loro ma guarda e passa. Che ne dici?” ^^^ “Fatti vedere, hai una cera….” sta dicendo l’ingegnere, “te la sei vista brutta, di’ la verità, strambo è dir poco, uno che sembra che nel buio ci sguazzi, non me la contare: sembrava una pasta d’uomo e invece… mi sembra di vedere che ti tormenti: che sia un serial killer dei professori che di notte si avventurano nel buio del Valentino? e tremi come una foglia.” “Serial killer?” “Sì serial killer. Dai che scherzo. Del resto scherzi a parte non sarebbe il primo malato di mente che per anni nasconde la sua follia e poi senza preavviso perde il lume della ragione si scatena e fa fuori il primo malcapitato che incontra.” “Dai non esagerare. No, senza scherzi non vedevo l’ora che arrivassi tu, d’accordo, ma paura nel vero senso della parola non l’ho avuta. Voglio dire paura di lui. Piuttosto del cane.” L’uomo del cane continua: “Secondo te dove sta la bellezza? negli occhi di chi guarda, dicono loro, e invece io e te rispondiamo: nossignori, la bellezza sta nelle narici di chi annusa, dico bene?” Sai però una cosa? Pensavo: se sono così astiosi ci sarà un motivo, e…insomma, proviamo a metterci al loro posto: voglio dire che probabilmente il buio gli manca intollerabilmente, insomma poveracci anche loro. “ Settembre 2014 - n. 59 In quel momento a una distanza di una cinquantina di metri il professore e l’ingegnere scorgono di nuovo l’uomo e il cane che stanno girando verso corso Marconi: “Chi si ritrova, ” grida il professore, “arrivederci di nuovo.” L’altro ricambia il saluto agitando il bastone: “Arrivederci; rinnovato han la verga d’avellano,vede? Ma occhio alle motociclette!” FINE Federico De Benedetti C.D.B. Chieri informa 17 Io, ebreo e i diritti dei palestinesi di Moni Ovadia Da il “il Fatto Quotidiano” del 29 agosto 2014 I l conflitto israelo-palestinese è uno dei problemi centrali del nostro tempo sul piano reale ma ancor di più sul piano della percezione simbolica, anche se tutto sommato riguarda un numero limitato di persone rispetto alle moltitudini dei grandi scacchieri incandescenti. Perché è tanto importante? A mio parere perché, oltre alle ragioni fattuali che lo definiscono, evoca ripetutamente nella dimensione fantasmatica, lo spettro dell’antisemitismo, tempi di fraternità donne e uomini in ricerca e confronto comunitario Fondato nel 1971 da fra Elio Taretto Contribuisci al progetto CAITH La casa famiglia fondata da Vittoria Savio a Cusco in Perù Per informazioni: Maria 349.7206529 quello del suo esito catastrofico, la Shoah, ma anche quello del suo doppio negativo, la vittima che diventa carnefice. La Shoah non solo ha espresso in sé il male assoluto, ma ha cambiato definitivamente la nostra visione antropologica del mondo e ha sconvolto le categorie del pensiero e del linguaggio. Oggi, la memoria della Shoah entra nel conflitto sul piano dell’immaginario producendo rebound psicopatologici che mettono in scacco non solo il dialogo fra posizioni diverse, ma la possibilità stessa di elaborare un approccio critico senza provocare reazioni isteriche o furiose. Molti ebrei in Israele e nella diaspora, reagiscono psicologicamente a ogni riflessione severa come se, invece di vivere a Tel Aviv o a Parigi nel 2014, vivessero a Berlino nel 1935. Ora, essendo ebreo anch’io, per dovere di onestà intellettuale è giusto che dichiari la mia posizione perché essa è tutt’altro che neutrale. Sostengo con piena adesione i diritti del popolo Palestinese, non contro Israele, ma perché il loro riconoscimento è, a mio parere, precondizione per ogni trattativa che porti alla pace. Ritengo che la responsabilità principale (non unica) dell’attuale disastro, abbia origine nella cinquantennale occupazione da parte dell’esercito e dell’Autorità israeliana e la relativa illegittima colonizzazione delle terre che appartengono ai palestinesi secondo i decreti della legalità internazionale. Su Gaza, l’“occupazione” è esercitata sempre da parte dell’autorità civile e militare di Israele con un ininterrotto assedio e comporta il totale controllo dell’entrata e uscita delle merci e delle persone, dello spazio aereo, marittimo, delle risorse idriche, energetiche e persino dell'anagrafe. I tunnel, in qualche misura, sono una risposta a questo stato di cose. I missili lanciati contro la popolazione civile di Israele sono atto di guerra illegale secondo le convenzioni internazionali, ma non si può far finta di dimenticare che un assedio è esso stesso atto di guerra. È stata pratica sistematica degli ultimi governi israeliani il mantenimento dello status quo attraverso la politica dei fatti compiuti e il mantenimento dello status quo impedisce, de facto, ogni altro sbocco come quello della trattativa. Lo dimostra il reiterato nulla di fatto con Abu Mazen che, in cambio della sua superdisponibilità a trattare, ha ricevuto solo umiliazioni anche dal finto mediatore statunitense. Ora, la politica dello status quo significa contestualmente il suo peggioramento e l’ineludibile scoppio dei ciclici conflitti con Hamas che terminano con la devastazione di Settembre 2014 - n. 59 Gaza, una micidiale conta di vittime civili palestinesi e, fortunatamente sul piano umanitario, un esiguo numero di vittime israeliane, soprattutto militari. Ciò non significa che non siano vittime e che la loro morte non sia un lutto. Gli zeloti pro israeliani quando ascoltano o leggono queste mie opinioni critiche, reagiscono immancabilmente con insulti, maledizioni e invettive. Il genere è: “Sei un rinnegato, nemico del popolo ebraico, ebreo antisemita o ebreo che odia se stesso”. La critica da parte di un ebreo della diaspora alla politica di governi israeliani può essere considerata tradimento, antisemitismo od odio verso se stessi solo se collocata nel quadro di un’identificazione nazionalista di ebreo, israeliano, popolo ebraico, popolo d’Israele, Stato d'Israele, suo governo e “terra promessa”. Ma se qualcuno osa fare notare, da posizioni critiche, tale pericolosa identificazione, ecco arrivare addosso all’incauto le accuse infamanti di antisemita o antisionista, che, per molti “amici di Israele” – anche persone di indiscutibile livello culturale –, sono la stessa cosa. Il carattere fantasmatico della percezione della critica come minaccia innesca irrazionali reazioni furiose che producono alluvioni di tweet, di email rivolte agli organi di stampa e di esternazioni su Facebook dove il diritto all’incontinenza mentale è garantita dell’indipendenza della Rete. L’ossessione della nuova Shoah dietro la porta scatena processi di permanente vittimizzazione che si sinergizzano con i complessi di colpa occidentali, legittimando un’“industria dell’Olocausto” che fa un uso strumentale e ricattatorio della memoria dell’immane catastrofe per fini di propaganda, come bene spiega un saggio fondamentale di Norman Finkielstein, uno scrittore ebreo statunitense. Questa, a mio parere, è una delle derive più allarmanti e ciniche della memoria stessa a cui si prestano non pochi politici europei reazionari o expost fascisti, magari facendosi intervistare all’uscita da una visita al memoriale di un lager nazista per dichiarare: “Mi sento israeliano!”. Questo è un modo per trarre “profitto” dall’orrore a vantaggio degli eredi delle classi politiche europee che non si opposero allora al nazismo e all’antisemitismo e oggi lasciano sguazzare indisturbati, nell’Europa comunitaria, neonazisti di ogni risma. L’infame Europa del mainstream delle sue classi dirigenti conservatrici allora stette a guardare lo sporco lavoro dei nazisti collaborando o, nel migliore dei casi, rimanendo indifferenti. Dopo la guerra questi signori hanno progressivamente trattato “il problema ebraico” “esportandolo” con piglio colonialista in medioriente. Oggi cercano credibilità e verginità israelianizzando tout court l’ebreo con una mortificante omologazione. A questa operazione si prestano purtroppo le dirigenze della gran parte delle istituzioni ebraiche, come ha dimostrato il caso della cantante Noa. L’artista israeliana doveva tenere un concerto a Milano organizzato dall’Adei Wizo, un’organizzazione femminile ebraica. Ma Noa, per il solo fatto di avere espresso l’opinione che la colpa dell’ultimo conflitto di Gaza era degli estremisti delle due parti, si è vista cancellare il concerto. Questo episodio dimostra che nep- C.D.B. Chieri informa 18 pure una dichiarazione equilibrata, neanche se fatta da una cittadina israeliana, sia accettabile per chi vuole omologare l’ebreo all’israeliano, salvo poi infuriarsi indignato con chi smaschera l’intento. Dall’altra parte, ultras “filopalestinesi” si esercitano nella gratificante impresa di fare di Auschwitz, del nazismo e della svastica, oggetti contundenti da scagliare contro l’ebreo in Israele e spesso contro l’ebreo tout court, ma soprattutto contro il vagheggiato ebreo onnipotente della mitica lobby ebraica. L’intento è quello di dimostrare che Israele è come la Germania di Hitler e che ebrei si comportano come SS. Sotto sotto c’è la vocazione impossibile e sconcia di pareggiare i conti per neutralizzare il deterrente della Memoria. Ma questa sottocultura pseudopolitica, prima di scandalizzare, colpisce per la sua deprimente rozzezza. Sarebbe facile dimostrare l’assurdità di simili farneticazioni, inoltre finisce sempre per rivelarsi una sorta di boomerang che danneggia la causa palestinese. Tutto ciò poco interessa a chi deve placare il proprio narcisismo militante, inoltre, questo tipo di militanza che si esprime con slogan di “estrema sinistra” e di roghi di bandiere ha inquietanti punti di contatto con quella dei neonazisti che, pur di soddisfare la loro inestinguibile sete di antisemitismo, si iscrivono fra gli ultras filopalestinesi. Per denunciare l’oppressione del popolo palestinese ci sono un linguaggio puntuale e concetti giuridici elaborati dal diritto internazionale. È dissennato proiettare l’immaginario della memoria della Shoah in paragoni inaccettabili. Anche i proclami di antisionismo sono poco sensati, poco centrati e non tengono conto delle articolazioni del fenomeno. A mio parere, il sionismo in quanto tale si è estinto da un pezzo. Anche di esso sono rimaste proiezioni fantasmatiche mentre nella realtà l’ideologia della destra reazionaria dominante in Israele è un ultranazionalismo del “grande Israele” compromesso con il fanatismo religioso. Del sionismo è rimasto lo spirito dell’equivoco slogan delle origini: “Un popolo senza terra per una terra senza popolo”. Ancora oggi, a distanza di più di un secolo, la destra reazionaria di Netanyahu ha re imbracciato quella miopia militante che vorrebbe cancellare nei palestinesi lo status di nazione e di popolo. Ma in questi ultimi giorni perfino il falco Bibi, mettendo la mordacchia ai più falchi di lui nel suo governo, ha intuito che nella sanguinosa polveriera mediorientale una tregua “duratura e permanente” con Hamas è più auspicabile che far scempio di civili innocenti. Secondo me, ciò di cui c’è vitale bisogno in Israele è che la sua classe dirigente si armi di coscienza critica e di lungimirante pragmatismo per dismettere vittimizzazione e propaganda e ascoltare anche le critiche più dure come un contributo e non come un pericolo. Certo, una tregua non fa primavera né la fa una manifestazione della fragile opposizione che in giorni recenti è coraggiosamente tornata a mostrarsi in piazza Rabin per fare ascoltare una lingua diversa da quella dello sciovinismo militare. Ma sono barlumi di una possibile alternativa all’asfissia della guerra. Settembre 2014 - n. 59 C.D.B. Chieri informa O Dio, non c'è nome che possa “nominarTi”, non c'è religione che possa “contenerTi”, non c'è immagine che possa “esprimerTi”. Tu sei il mistero che da milioni di anni genera e sospinge il cammino del creato: prima di tutte le cose e dentro tutte le cose: Dio totalmente altro e compagnia sempre vicina. Le religioni dentro le quali compiamo il cammino verso di Te, portano i segni della parzialità: una parzialità che ci ricorda che Tu ami il creato, lo cerchi, lo animi, lo sorreggi, lo avvolgi con il Tuo calore per mille strade diverse. Semestrale di formazione comunitaria “Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri”. Don Lorenzo Milani Franco Barbero AGENDA CDB DI CHIERI Chi volesse inviare lettere, articoli, o collaborare al giornalino, scriva a: Silvano Leso via Reaglie 18 Torino 10132 - e.mail: cdbchieri@cdbchieri.it - cell. 339.5723228 Segnalateci amici a cui credete possa interessare “CdB informa”, lo spediremo gratis ai loro indirizzi. - Chi vuole contribuire può farlo su c/c postale n° 40759151 intestato a Leso Silvano - causale: contributo a cdb informa La comunità cristiana di base di Chieri si ritrova ogni mercoledì alle ore 21 presso la sede a Chieri - gli incontri sono aperti a tutti L’eucarestia viene celebrata l’ultimo sabato o domenica di ogni mese Il “Perdono comunitario” due volte all’anno, prima di Natale e prima di Pasqua Lettura biblica. Una ricerca e una riflessione attraverso lo studio delle scritture ebraiche e cristiane libera da ogni condizionamento dogmatico o istituzionale: quest’anno leggiamo Genesi Per informazioni sulle serate e sulla comunità - telefonare a Maria 011.9472882 o al 339.5723228 - e.mail: cdbchieri@cdbchieri.it - altre informazioni su comunità ed iniziative sono presenti e aggiornate periodicamen te sul sito web: www.cdbchieri .it 19
© Copyright 2024 Paperzz