n° 59 settembre 2014

Bollettino informativo non periodico della Comunità Cristiana di base di Chieri - Distribuzione gratuita - Stampato c/o Reprograf di Cocco Bruno Corso Casale 123 Torino (To) il settembre 2014
Foglio d’informazione della Comunità Cristiana di Base di Chieri
n° 59
esce dal 1989
Un secolo dopo.
Ma poi cosa c’è di civile in una guerra? Axl Rose
E
’ passato giusto un secolo da quando l’Europa ha
conosciuto quella tremenda follia che fu la prima
guerra mondiale. L’Italia ci entrò un anno dopo lo scoppio delle ostilità, tuttavia il clima era già arroventato.
Basta leggere che cosa scrivevano alcuni intellettuali
dell’epoca, nazionalisti ed interventisti:
…La guerra è spaventosa – e appunto perché spaventosa e tremenda e terribile e distruggitrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi.
Così scriveva Giovanni Papini, il primo ottobre del 1914
sulla rivista “Lacerba”. E a lui faceva eco Filippo Tommaso Marinetti nel “Manifesto dei Futuristi”:
Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del
mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore,
e il disprezzo della donna.
Si andava diffondendo una vera e propria estetica
della guerra, un’esaltazione di truculenti valori militaristi
accompagnati ad atteggiamenti violentemente maschilisti. Vero è che molte forze la osteggiavano o quantomeno prudentemente cercavano di prenderne le distanze: i
socialisti, i cattolici, i liberali al
governo con Giolitti. Ma che
potevano contro la grancassa e
il furore patriottico che trascinava le folle osannanti nelle piazze durante le famose “radiose
giornate di maggio” del 1915?
Qualche anno dopo si contavano le migliaia di giovani
soldati morti al fronte. In Italia,
fu la prima guerra che sanzionò
l’unità: unità di fronte alla morte. Altro che estetica e orgoglio
machista: Ungaretti, combattente in trincea, mise ben in
evidenza, nel soldato, il senso
di fragilità umana, una sommessa richiesta d’aiuto in una
situazione insostenibile:
settembre 2014
Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell'aria spasimante
involontaria rivolta
del'uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli
Il senso di precarietà assoluta della propria vita, legata
al tempo come la foglia d’autunno è legata all’albero:
Si sta/ come d’autunno/ sugli alberi/ le foglie.
E si trattava di vite giovani. Eppure non si era ancora
conosciuto il peggio. Il salto di qualità venne fatto 25
anni dopo quando, sull’onda di retoriche patriottarde e
razziste e sulle illusioni demagogiche di una guerra –
lampo, il mondo visse quella terribile sventura che fu la
seconda guerra mondiale. Allora forse si capì veramente cosa fosse diventata ormai la guerra in epoca moderna! Non più (o non solo) guerra tra eserciti, ma guerra
di piloti nascosti nella complicità delle nuvole contro
formicai di popolazioni civili, inermi e indifese. E ancora:
la possibilità concreta di una conflagrazione finale che,
oltre a distruggere vite e destini, contaminasse in modo
irreversibile le fonti primarie della
vita: l’acqua, l’aria, i suoli, con la
condanna della radioattività nucleare. Come se aria e acqua
conoscessero confini, dogane,
sbarramenti insormontabili!
Allora il mondo, almeno per la
frazione di un secondo, dovette
aprire gli occhi su questa enorme
potenzialità distruttiva, divenuta
non più mito escatologico, ma
realtà. Nacquero così le grandi
Convenzioni Internazionali per la
difesa delle popolazioni civili, per
l’allargamento della sfera dei diritti, per la condanna delle atrocità
ammesse e giustificate dalla
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guerra. In Italia, sulla nuova Costituzione, si scrisse
quella frase meravigliosa: L’Italia ripudia la guerra…
Chi di noi è nato proprio ai margini della fine di
quella strage, ed ha avuto la ventura di nascere
nell’Europa occidentale, può dire di aver goduto di un
sessantennio di pace. E tuttavia, non è che la guerra
sia sparita dallo scenario mondiale. Tutt’altro! Abbiamo
avuto il tempo (e chissà quanto altro ne avremo ancora) per assistere “in diretta” a bombardamenti, genocidi, stupri di massa, pulizie etniche. In diretta, sì, perché
oggi nessuno può dire “ma non lo sapevamo”. E’ come
se tutto si svolgesse a due passi da noi, solo al di là
del teleschermo. E così abbiamo visto sfilarci davanti le
guerre di Corea, del Viet Nam, di Palestina, del Ruanda, e l’orrenda esplosione di una guerra nel cuore stesso dell’Europa, quella che ha distrutto la ex Jugoslavia.
E forse con allibito stupore abbiamo costatato che tutto
poteva ritornare, delle atrocità che avevamo condannato e che speravamo per sempre sepolte sotto il pesante lastrone della condanna della storia.
Forse non si parla più di una estetica della guerra,
di una sua luciferina bellezza, eppure non siamo mai
stati capaci di ripudiarla fino
in fondo, così ne abbiamo
trovato nuove giustificazioni:
la guerra santa, la guerra
giusta, la guerra umanitaria.
E non ci rendiamo conto che
ognuna di queste associazioni semantiche alla guerra crea degli orribili ossimori. E neanche ci siamo potuti illudere
che per noi europei occidentali, essa restasse confinata
al di là del teleschermo, perché poi ha finito per coinvolgerci da vicino. Ne abbiamo
visto gli effetti devastanti in
quelle bare che tornavano,
ricoperte dal tricolore, nel nostro Paese. Un morto è un
morto, non si scherza. E quando i morti cominciano a
diventare venti, trenta, cinquanta, allora si ha la percezione che si sta pagando un tributo enorme, insostenibile. Non ci si chiede però quante vittime ci siano state,
dall’altra parte.
Un bombardamento inopportuno ed ecco una festa
di nozze finire nel sangue. Quanti morti? Un numero,
niente di più che un numero. Non discorsi, non onori,
non sensi di colpa. Li chiamano effetti collaterali. Una
notizia che svanisce su onde elettromagnetiche, tra la
dichiarazione contestata di un nostrano leader politico
e gli ultimi aggiornamenti sul campionato di calcio.
Ma quei morti, tutti quei morti, si sedimentano, gridano
vendetta, fanno storia. Nasce l’altro volto della guerra,
inquietante, rabbioso, imprevedibile, fanatico. Il terrorismo. Chi ne fa le spese? Giovani, donne, bambini che
per un puro caso si trovavano nel posto sbagliato al
momento sbagliato. Ancora vittime innocenti. Sempre
che ci possano essere degli innocenti in questo gioco
al massacro!
Anche qui non illudiamoci. Tutti nascono bambini
assetati di gioia e di giochi. Nessuno nasce terrorista.
Ma se poi vivi tutta la tua vita tra le baracche di lamiera
e i rigagnoli infetti di un campo profughi, o in una pri-
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gione a cielo aperto dove ogni spostamento ti costa
un’agonia di fatica, o se da bambino hai solo respirato,
guardato, ingurgitato scene di guerra e d’inferno, che
cosa ti resta sull’orizzonte del futuro? Poi qualcuno
t’insegna che, se ti fai esplodere, morirai da martire,
che morire da martiri è bello, allora ecco che ritorna la
vieta, orripilante estetica della morte!
Il terrorismo nasce dal terrore e propaga terrore. La
guerra è terrore. E come rovescio della medaglia, produce il terrorismo.
E’ passato un secolo dalla Grande Guerra e dovremmo rifletterci su. Non solo su quello che è stato,
ma sugli scenari che abbiamo davanti oggi, nel nostro
presente. Sappiamo che cosa sono, e che effetti producono, i bombardamenti a tappeto su città e paesi, i
campi di concentramento, le pulizie etniche. I terrorismi
di ogni specie.
Oggi la guerra dovrebbe essere bandita dai codici di
comportamento umani. Oggi non è più guerra tra eserciti ma guerra tra armamenti guidati da esseri invisibili
e folle inermi di civili. E' una strage degli innocenti. Pertanto, è sempre una strage di
Stato. E' contro qualsiasi legge umana. E' un pluriassassinio codificato. Non è più una
barbarie, è il più alto grado di
civiltà disumanizzata. E' la
criminalità eretta a sistema.
C’è un’analogia terribile tra
la guerra codificata e il terrorismo: entrambi colpiscono
vittime a casaccio. Le popolazioni civili ed inermi. Le donne, terra di conquista, da
comprare e da vendere. I
bambini che, posto che sopravvivano, rimarranno lesi
per sempre nella carne e nello spirito. Le minoranze, etniche e religiose.
Un secolo è passato, ma gli scenari di oggi non sono meno inquietanti. Papa Francesco ha parlato di una
terza mondiale già in atto, solo recitata per episodi. E
probabilmente ha ragione.
E i movimenti pacifisti? Ecco, almeno loro, insieme
alle Convenzioni Internazionali di difesa dei diritti umani, hanno rappresentato in questi anni un piccolo avamposto di civiltà. Ma forse non basta più fare testimonianza. Forse occorre elaborare un serio progetto
politico. Che renda credibili e realizzabili le Convenzioni tra gli Stati siglate sulla carta. Un progetto politico
che preveda l’obiezione di coscienza nei confronti delle
spese militari, la creazione di corridoi umanitari o di
zone franche per i civili coinvolti in situazioni di guerra,
un’azione più credibile e incisiva delle diplomazie internazionali per dirimere situazioni di conflitto. La solidarietà pianificata e sistematica per i profughi. La pratica
di atti di resistenza ispirati ai principi della nonviolenza.
Il dialogo, anche con chi si suppone radicalmente diverso, in nome della comune umanità.
Non possiamo arrenderci alla guerra. Mai.
Rita Clemente
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Sulle tracce di Dio - Introduzione al libro di Genesi
Di Franco Barbero
sbobinatura e adattamento non rivisti dall’autore
I
n comunità avete letto altre volte Genesi e allora vi
risparmierò una parte dei suggerimenti, delle impostazioni e notizie di base per chi lo legge per la prima
volta.
Cercherò invece di suggerirvi qualche strumento aggiornato per questa nuova lettura. Una prima riflessione che farei è che l’homo sapiens, intendendo la donna
e l’uomo che diventano consapevoli di sé, non cessa
d’interrogarsi sull’inizio e sulla fine. Sin dalle prime
documentazioni che abbiamo, non ha mai cessato di
ragionare sull’inizio e sulla fine di tutte le cose e di sé.
Il teologo Rahner diceva: “il dove, come, quando”.
Abbiamo radicato dentro di noi degli interrogativi: donde vengo?, donde vado? che ne sarà di me, ecc.
Queste domande sembrano insopprimibili, anzi paiono proprio qualificare la nostra vita e diremmo che è
l’homo “insipiens” quello che non si
interroga. Non è tanto e solo un sapere ma è un porci quesiti di continuo.
La sophia, il sapere latino, era il
concetto di chi dà sapore alla propria vita perché la guarda in profondità, si pone gli interrogativi, le domande essenziali, non le elude. Io
credo che questa sia la sophia, anche
nel concetto biblico espresso nel
libro della Sapienza, dove essa è
addirittura una figlia privilegiata di
Dio.
Quello che noi troviamo nelle culture antiche è molto
ben documentato nei “racconti dell’inizio” di una grande teologa che molto vi raccomando: Van Wolde. Questa studiosa olandese nel suo libro “Genesi 1-11 e altri
racconti della creazione” Ed. Queriniana, in fondo al
volume raccoglie una serie interessante di racconti di
culture antiche, asiatiche e africane, sulle origini. Narrazioni che esprimono le domande fondamentali: Donde veniamo? Donde viene la sessualità? Come mai c’è
il dolore? Che sarà dopo? Che c’era prima? Questi interrogativi sono un’esplorazione continua; le risposte
non sono mai la “fotografia” della realtà, ma delle riflessioni sul vissuto. Il dato sapienziale non è un racconto cronachistico, non è un resoconto, ma il tentativo, attraverso l’immaginazione creativa, di dire quello
che abbiamo capito e che stiamo cercando della vita,
quello che ci lascia inquieti, quello che abbiamo sentito
narrare dai nostri progenitori. C’è una grandissima ric-
chezza nell’umanità pre-biblica, extra-biblica, coeva
della Bibbia.
Il Primo Testamento non farà su questo tutto da solo,
ma raccoglierà, con una ricchezza straordinaria e con
una libertà assoluta, le tradizioni precedenti, non butterà via nulla. Di tutti i racconti “della mezzaluna fertile”
la Bibbia tenterà di raccogliere il fior fiore. Nel Testo
Sacro trovate di tutto. Chi ha letto Gilgamesh sa bene
che lo si incontra anche nella Bibbia, alcuni racconti
sono “parenti”. Ma basterebbe aver letto l’Iliade,
l’Odissea per capire che alcuni pensieri, alcuni interrogativi tornano sempre, dal De rerum natura di Lucrezio fino al libro biblico della
Sapienza, c’è una parentela.
Una delle caratteristiche che il
“chiasso odierno”, per dirla con
Massimo Recalcati, tenta di far
scomparire dalla nostra vita sono le domande: Da dove vengo?
Che ci sto a fare? Dove vado?
Provando a dire con parole mie
cosa egli intenda per “il chiasso
della vita” individuo due componenti: 1) precipitarti nella goduria del piacere che riesci a
prendere subito, nell’immediato;
2) immergerti in questo infinito
mondo delle notizie, delle cose,
degli oggetti e riempire così la
tua interiorità di vuoto. Fare in
modo che l’uomo e la donna
degli oggetti non si interroghino, perché porre delle
domande diventa pericoloso per chi governa, ma anche
per sé, perché poi bisogna mettersi in cammino: se c’è
un interrogativo devo pur cercare, tentare una risposta.
Per comprendere il mondo, la realtà, noi oggi abbiamo
una scienza che guarda, studia, ragiona, dimostra, tenta
di parlarci della successione degli eventi,
dell’organizzazione della materia. In questo senso occorre fare una grande lode alla scienza che ci dà dei
significati e dei resoconti, ma non ci dà il senso, esso è
ancora un’altra cosa!
Noi accostandoci alla Bibbia troviamo immediatamente la novità dei racconti in essa contenuti; tutto il Testo
è una grande narrazione che descrive le speranze, le
delusioni, le gioie e sono le voci dei nostri progenitori.
In realtà eravamo abituati a dire: “i patriarchi”, “le matriarche”, ma Adriana Valerio, nel suo bel libro Le
ribelli di Dio edito dalla Queriniana, ci suggerisce di
usare il termine di “genitori”, “proto-genitori”. La Bib-
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bia ha questo grande problema al quale vorrei accennare: è una montagna in cui l’oro va cercato, non è un piatto
pronto. E’ una miniera di diamanti, che vanno cercati e per
farlo devi entrare nel codice dei linguaggi del mito,
dell’immagine. E’ quasi un rubare i sensi reconditi della Bibbia e lo dico non per scoraggiare, tutt’altro! ma perché c’è un
problema che voglio evidenziare. Quando noi ascoltiamo o
leggiamo la Bibbia, anche attraverso la predicazione, la catechesi, ci accorgiamo che manca “il ponte”, per fare questo
collegamento occorre sapere cos’è il genere letterario e conoscere la distinzione fra questo e il messaggio. Qual è l’
“inghippo” della nostra tradizione cristiana? E’ che sovente
leggiamo la Bibbia come un resoconto anziché come un racconto mitico, mitizzato, portatore di profondissime verità. Ci
siamo fermati ad una lettura come quella del giornale. La
lettura biblica non ha più dei narratori, ha dei ripetitori: la
catechesi funziona da ripetizione. La Bibbia viene sovente
interpretata in questo modo, semplicemente ignorando il
codice del racconto; così il testo sacro diventa dottrina o
dogma. Adriana Valerio dice che bisogna fare prima di tutto
un’opera di “de-automazione”. Quando leggiamo il racconto
di Adamo ed Eva facciamo scattare un meccanismo, quello
della nostra lettura precedente; “de-automatizzarci” è
un’operazione difficile perché
bisogna dire: “dunque io l’ho
sempre sentita in questo modo,
ma sarà proprio così?”. Bisogna
porre un freno alla nostra
“voluttà” interpretativa, che subito
si precipita sul testo a dire: “è
così, significa questo”. E’
un’operazione difficile, ma esige
soprattutto che io abbia il sospetto
che la mia lettura precedente possa essere discussa, che io sia capace di conoscere un po’ i miei meccanismi, quelli che scattano e che
la predicazione, la catechesi, sovente rinforzano. Devo costruirmi altri strumenti interpretativi, alternativi, che mi possano far dire: “ah! ma ci sono anche altre voci, altri pareri, altri modi di leggere!”.
Come leggerete nei commentari che userete, Genesi fa parte
del Pentateuco. I racconti che la narrano hanno origine da
quattro fonti diverse che voi conoscete bene: la fonte yhavista, la fonte eloista, la fonte deuteronomista, la fonte sacerdotale. Genesi 1 è la fonte più recente, Genesi 2 invece è la
fonte più antica. E’ importante sapere che prima queste tradizioni si tramandavano oralmente. E’ quando c’è la sosta,
sofferta ma anche speranzosa della deportazione a Babilonia,
che nasce il Pentateuco, la cui scrittura ufficiale avverrà nel
dopo esilio, nel VI secolo. Le fonti che partono dal X secolo
e quelle del IX e VIII vengono ripensate, rimescolate, rimesse in discussione, rilette a Babilonia. L’ottica dell’esilio è
quella che ha la caratteristica sapienziale: che cosa ci è successo che siamo qui? come possiamo andare avanti? Perché
il Dio del patto, della fedeltà vuole che noi progrediamo. E’
nell’esilio che l’uomo, la donna, le creature, l’origine, la
fine, il posto che abbiamo nel mondo, tutto questo diventa
fondamentale. Dio continua a creare; solo l’uomo e la donna
sono immagine di Dio, ma tutto sta nella relazione: ecco il
pensiero dominante! Il primo giorno, il secondo, il terzo, …
l’uomo, la donna, Noè, Caino, Abele, ... la relazione a volte è
messa in crisi, attraversa momenti drammatici, ma non fini-
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sce mai. In Genesi Dio continua a creare, a sostenere la sua
creazione, ad accompagnare: Caino e Abele sono quello che
sono, ma non importa! Noè, le tradizione sul diluvio, tutto
sembra finire, ma non la storia, essa non ha termine, perché
il patto Dio lo tiene in mano, la storia non si conclude. Tutto
sta nella “relazione”, ma la relazione cos’è? E’ la beraka, la
benedizione. Stare nella relazione significa che non possiamo uscire dalla benedizione di Dio.
Merita conoscere alcune letture che sono state fatte dei capitoli 1 e 2 di Genesi: 1°) la lettura eco-teologica, contro quella
semplicemente antropocentrica dove tutto era al servizio del
dominio maschile, mentre la Bibbia non parla di potere, ma
di responsabilità; 2°) la lettura femminista, contro una interpretazione maschilista.
Ma qual è l’elemento che ha pervaso poi la coscienza ecclesiale? Come sono interpretati Genesi 1 e 2? Sono stati letti
soprattutto nel brano di Adamo ed Eva, e qual è stata la spiegazione che ne è venuta fuori? Scrive Tertulliano (siamo
ancora nel III secolo): “tu sei la porta del demonio, tu hai
mangiato dell’albero proibito, tu per prima hai disubbidito
alla legge divina, tu hai convinto Adamo, perché il demonio
non era abbastanza coraggioso per attaccarlo, tu hai distrutto l’immagine di Dio; l’uomo, a causa di ciò che hai
fatto, il figlio di Dio è
dovuto morire”. Eva
è stata vista poi, da
sempre, come la tentatrice e nel libro di
Siracide si dirà che il
peccato è entrato nel
mondo attraverso la
donna. Questa sarà la
tradizione che subentrerà nelle chiese
cristiane. Sono molto
belle le pagine di
Adriana Valerio dove
descrive che cosa ha
detto Agostino d’Ippona. Per lui il peccato si trasmette attraverso un atto di intimità sessuale; il concepimento di un figlio o di una figlia è marcato dal peccato; quindi voi immaginate: ogni essere umano nasce segnato dal peccato. In
qualche modo Agostino fraintende totalmente Paolo, il quale
aveva detto che attraverso un uomo è venuto il peccato; ma
non parlava del “peccato originale”, che non esiste
nell’ebraismo! Semmai esiste il “peccato universale” cioè
che tutti e tutte siamo creature dentro una condizione di fragilità e di peccaminosità. Ma anche all’interno del cristianesimo non tutti furono d’accordo; da sempre c’è stato chi ha
detto: - nasce un bambino e la prima cosa che pensate è fare
in modo che gli cancelliamo un peccato! -. Ma la dottrina
diventò talmente pressante che la macula originalis è stata
quella che ha condizionato tutta la teologia. Il battesimo acquisì questo significato e questo linguaggio: cancellare il
peccato originale, dimenticando invece che, nella dottrina
paolina e agli inizi del cristianesimo, il suo significato era
quello di inserire nella comunità dei credenti, cioè rappresentava un segno di partecipazione. Questo ha lasciato un trauma dentro la cristianità.
Un simile modo di vedere è entrato nella peculiarità del pensiero patriarcale: la donna è una tentatrice; c’è qualcosa nel
cuore e nel corpo della donna che spinge al male. Questo è
stato il concetto della prima ascesi cristiana del II secolo, di
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matrice molto platonica, in cui il corpo era la parte degenere.
Successivamente diventò una tradizione terribile ed ecco
perché nacque, nel V secolo, la prima proposta del celibato
dei ministri.
Ancora oggi devo dire che, negli incontri che faccio con i
giovani, trovo che la fede viene vissuta come un tirarsi indietro dalla vita, quasi un aver paura del vivere, mentre invece
la Scrittura non ha questo obiettivo. Per esempio, Eva era
quella che aveva spinto Adamo a trasgredire perché aveva
intuito che di lì passava la loro crescita come esseri umani,
se no sarebbero restati nel gioco di un “paradiso”, sarebbero
stati “nell’erba fresca” tutta la vita, nell’infanzia. Invece che
cosa fa Eva? Dice ad Adamo: “Vai, prendiamo il frutto!”. E’
l’impeto, l’impulso alla conoscenza. Essere cacciati
dall’Eden è l’unica maniera per andare incontro alla vita. Se
non usciamo dal ventre di nostra madre, non camminiamo
verso la vita, se non superiamo l’infanzia, non sviluppiamo
la nostra esistenza. Transire vuol dire andare oltre, muovere
dei passi in avanti. Questa non è una lettura femminista, ma
dei rabbini d’Israele. Una parte di loro disse: “noi siamo debitori ad Eva perché ci ha fatto crescere, altrimenti rimanevamo nella situazione di immaturi”. Guardate quale possibilità
diversa c’è di lettura: nella tradizione Eva è diventata, non
colei che ti spinge alla maturità,
alla crescita, ma chi ti seduce.
E il serpente chi poteva rappresentare? Poteva raffigurare una
buona idea, un’opportunità di Dio,
che voleva spingere l’umanità,
vedere se ce la faceva ad uscire
dall’infanzia. Qualcuno sostiene
che, in realtà, il simbolo del serpente era la divinità di un popolo
vicino. Come è bello sapere che
non si tratta di una “caduta originale”, ma della vocazione
dell’uomo e della donna a crescere! E non ci si evolve se non attraverso le contraddizioni, le
trasgressioni, gli errori.
Non si diventa fratelli se non c’è Caino ed Abele, ma nessuno viene abbandonato, nemmeno Caino. Non c’è la possibilità di essere fratelli e sorelle, non si diventa adulti, non si
cresce se non incontri anche il contrasto, se non osi dirti la
difficoltà, la violenza che c’è nelle relazioni, quella che è la
nostra umanità.
E il diluvio? Il mito ebraico, la tradizione rabbinica dicono
che le cose sono partite nella benedizione, ma la contraddizione non è stata eliminata. Non bisogna mai leggere la benedizione di Dio come qualche cosa che elimina il concreto,
perché anche Dio ha avuto la sua sofferenza e il suo pentimento: un giorno si è pentito di aver creato. Belle le pagine
di Paolo De Benedetti su questo Dio che si pente, però si
converte di nuovo alla benedizione. Dice Dio: “Ho deciso di
non rimanere solo? Guarda in che compagnia mi sono trovato! Però questa è la compagnia; se io voglio continuare a
creare a dare vita, la vita è questa!”.
Ci sono innumerevoli leggende e racconti che commentano
queste pagine. Come quella che dice che la sera dopo la creazione dell’uomo e della donna, gli angeli e gli arcangeli, i
serafini, i troni e le dominazioni vedono Dio un po’ impensierito lassù nell’alto dei cieli, tutto solo, (la trinità non
l’avevano ancora inventata). Gli dicono: “Te l’avevamo detto, potevi startene così bene qui con noi, che non facciamo
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rumore, non ti disturbiamo, siamo puri spiriti!”. Dio risponde: “Sapeste come mi avete annoiato! Io amo la materia!
Andate via, io voglio piangere questa sera per il male della
terra, ma contento di averla creata!”.
E’ quello che noi chiamiamo la contraddizione che esiste in
Dio: il Dio biblico è un Dio appassionato, un Dio passionale;
in qualche modo sembra dirci: “Mi raccomando, appassionatevi a qualche cosa”.
E Abramo, il mito di Abramo, la tradizione di Abramo è lo
sradicamento continuo. Certo, né Noè né Abramo sono mai
esistiti come figure storiche, sono dei personaggi creati, sono
delle esperienze vissute. Israele ha condensato in Abramo la
vicenda storica concreta, difficile, dello sradicarsi continuo.
Abramo è il simbolo di colui che obbedisce a Dio, lascia la
sua terra, la sua famiglia, la sua patria. Bisogna continuamente sradicarsi. Abramo è la condensazione storica, in questa figura mitica, dell’esperienza dello sradicamento. Se tu
non guardi oltre, se non osservi le stelle, se non ti avventuri,
se non sai deciderti ad andare dove non conosci, la tua vita
non produce nulla. Abramo è parabola del popolo; viene
chiamato il primo patriarca, metafora di Israele che continuamente dovrà cercare, immagine del pio ebreo credente. Dicono alcuni studiosi che forse è parabola dell’uomo e della
donna, che incessantemente devono continuare a
pensare al cammino: c’è
sempre qualcosa oltre, c’è
sempre una voce da ascoltare. Questo è di una bellezza incredibile! Tutta la
vita è un continuo muoversi, alla ricerca delle tracce
di Dio.
Ognuno di noi faccia il
conteggio della propria
esistenza, dei propri anni,
delle proprie esperienze,
ma che cos’è che ci ha accompagnato? La ricerca! Non
l’aver raggiunto chissà che cosa, ma la ricerca di Dio, la ricerca di capire il messaggio di Gesù, la ricerca di essere un
uomo, una donna onesti, di essere solidali. La ricerca: di
questo pane viviamo ogni giorno. Sappiamo pure che è un
travaglio, ma è anche ciò che ha dato senso alle nostre piccole vite.
E Giacobbe che lotta con Dio? Ma poi c’è la scala di Giacobbe, tra il cielo e la terra! Con Dio bisogna lottare, però
c’è una continua comunicazione, “gli angeli che scendono e
salgono”. La relazione con Dio non è mai un rapporto imbambolante. Con Dio si deve pur lottare, con Dio non si fa
mai pace: “C’è troppa ingiustizia su questa terra! Tu sei il
creatore, il liberatore!”. Non c’è mai pace con Dio eppure c’è
sempre la bella metafora degli “angeli che scendono e salgono”. Non si rompe nulla; si rimane in una relazione che continuamente ti mette in crisi, che sempre ti dà pace, ma anche
t’inquieta. Gli scrittori, gli ebrei che hanno vissuto la shoah
sono stati maestri di questa lettura della Bibbia.
E tutte le figure delle saghe! Rebecca, Sara, Isacco. Innanzitutto è giusto, è un atto d’onestà dire che ci sono i patriarchi
e le matriarche, che sono i genitori d’Israele. Che cosa è avvenuto? È accaduto che nella lettura esegetica tradizionale
queste donne sono state obliate - questo va riconosciuto, va
detto - tali donne sono state molto sminuite ed è stata la lettura di genere, femminile, che ha ridato innanzitutto visibili-
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tà, ha ripristinato la loro presenza e la loro compartecipazione, spesso audace ed egualitaria, nella vita d’Israele. Ristabilire, dentro una cultura certamente patriarcale, la comprimarietà di queste donne è una lettura di estremo interesse.
Dobbiamo riprendere queste pagine, riviverle dentro il rapporto di Israele con Jahvè, che è il Dio della creazione, della
relazione. E quale relazione con Lui? Turbata, costante, ininterrotta; noi chiudiamo il capitolo, Egli lo riapre. La fede
d’Israele ci trasmette non delle risposte ad ogni uso, ma ci
ricorda che il patto Dio non lo dimentica, non lo ritira.
L’umanità, tutte le creature stanno in questo abraccio, sovente così misterioso, così invisibile, così deludente per chi ne
registri la effettività storica, ma un abraccio reale.
Che cosa fa il credente che legge Genesi? Le saghe e i miti,
come dice bene Paolo De Benedetti, sono come degli oggetti
che hanno tanti angoli, nessuno cerchi l’unico significato,
ognuno cerchi i vari sensi. Sovente nella vita un racconto ti
dice A, dopo ti dirà B, poi C, perché il mito è sferico, rotola,
si svolge, ci viene accanto, ci parla in maniere diverse. Se io
voglio leggere l’episodio di Abramo in una chiave sola, in
quell’unica, ne faccio una dottrina; se lo prendo come un
mito, mi parlerà nelle diverse stagioni della vita, in un modo
ricchissimo.
Nella Bibbia, che è testimonianza umana di uomini e donne
che hanno vissuto la fede, ci viene incontro Dio, ma Egli ci
viene incontro se noi lo cerchiamo come Dio che ci parla,
non dandoci magicamente delle risposte, ma invitandoci
all’incontro. Genesi è fatta per trovare il Dio della creazione,
non solo per parlare di Lui ma per parlare con Lui. La nostra
meravigliosa fede ci dice questo: che Dio ci accompagna in
modo invisibile, ma ci chiama ad un colloquio, a studiare,
ad agire, a non dimenticare che l’amore va espresso nella
parola, nella preghiera, nella riflessione, nello studio.
Leggere la Bibbia da solo o da sola è un’impresa! Che fortuna abbiamo noi! Ringraziamo Dio di cuore di poterla leggere
insieme. Se io non avessi avuto le comunità, i gruppi, non
avrei potuto leggere la Bibbia. L’aver incontrato donne e
uomini che leggono la Bibbia, che cercano sulle tracce di
Dio, è la cosa più bella che si possa dire, è una cosa straordinaria, perché quello che Dio dice a te, nel tuo cuore, nella
tua esperienza, non lo dice a me e ti ascolterò volentieri, perché nella tua esperienza c’è qualcosa della luce di Dio .
Non dovremmo perdere questa cosa grande che all’inizio
delle Comunità Cristiane di Base fu preziosa e che spero non
si spenga mai: la passione biblica! Ma dovremmo portare
questo in tutta la Chiesa; dappertutto dove possiamo, invitare
le persone a ritornare al testo, a fare questa operazione con
fede. Il tesoro della parola di Dio ci parla ancora, è il luogo
dove Dio ci aspetta per un appuntamento! E ad un appuntamento si va con il cuore in mano.
Libri citati nell’articolo
Ellen Van Wolde - Racconti dell'Inizio Genesi 1-11
e altri racconti di creazione - Editrice Queriniana
Walter Brueggemann - Genesi - Claudiana
Adriana Valerio - Le ribelli di Dio. Donne e Bibbia
tra mito e storia - Feltrinelli
Paolo De Benedetti - A sua immagine. Una lettura
della Genesi - Morcelliana
Paolo De Benedetti; Maurizio Abbà - Anche Dio ha
i suoi guai. Dialogo sulla Genesi - Il Margine
C.D.B. Chieri informa
PERCHE’?
Avrebbe dovuto frenare la sua corsa,
rallentare molto e poi fermarsi.
Anche se il sole era ancora alto
smettere di mietere e tornare verso casa.
Ritirare le reti e dirigere la prua
verso il più vicino porto,
interrompere la sinfonia
e licenziare gli orchestrali.
Avrebbe dovuto buttare il gesso
ai piedi della lavagna,
il martello contro il muro,
lasciar cadere i panni e le mollette,
fermare il pullman con la scusa d’avaria
e liberare i passeggeri,
spegnere le candele in chiesa
e smetterla di biascicare.
Poi cercare un posto solitario,
una stanza buia, una spelonca,
una deserta spiaggia
o un semplice capanno
dove non giungesse suono
né alcun latrar di cane,
spogliarsi di abiti e di scorie
quindi sedersi sulla nuda terra
serrare forte gli occhi
turarsi le orecchie
scacciare ogni pensiero
ed alla fine
anche per un solo istante
esser presente
e nel profondo chiedersi:
perché?
Beppe Ronco
6
Settembre 2014 - n. 59
Percorsi di giustizia
riparativa per minori
Gruppo di Progetto ASAI
N
el mese di Marzo 2012 è stato siglato un protocollo di
intesa tra Procura della Repubblica presso il Tribunale
dei Minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta, la Polizia
Municipale di Torino e l’ASAI, finalizzato ad attivare percorsi di riparazione in attività dell’ambito sociale, rivolti a
quei minori che si sono resi responsabili di reati, per i quali è
possibile evitare l’apertura di un fascicolo giudiziario.
Il protocollo è andato a ufficializzare una collaborazione tra
il Nucleo di prossimità della Polizia Municipale e l’ASAI,
già in atto dalla Primavera del 2011; collaborazione che era
nata per offrire a minori che hanno compiuto atti di bullismo
e prevaricazione all’interno delle scuole (ma non solo),
l’opportunità di inserirsi in percorsi educativi, volti a far
maturare loro una scelta di legalità e di responsabilità, in
alternativa ai tradizionali percorsi
giudiziari che rischiano di attivare
circoli viziosi e favorire una carriera deviante, perché basati essenzialmente sulla punizione e
poco o nulla sull’aspetto educativo della pena.
L’iniziativa attivata, d’altra parte,
s i po n e c on s a p evo l m e n t e
nell’ottica della prevenzione, volendo evitare di stigmatizzare una
ragazza o un ragazzo come deviante per il solo fatto di aver agito
un comportamento definito tale.
Un minore non può essere identificato e/o portato a identificarsi
solo con il reato che ha compiuto. In molti casi, come ci dimostra l’esperienza, si è ancora in tempo per accompagnare i
ragazzi nel processo che li porterà a diventare cittadini attivi,
inseriti in modo consapevole nella società.
Perché ASAI?
Il Nucleo di prossimità della Polizia Municipale aveva già
avviato una proficua collaborazione con ASAI ed ha deciso
di formalizzare questo impegno attraverso la sottoscrizione
del protocollo in quanto ASAI ha dimostrato di essere in
grado di rispondere a qualsiasi tipologia di situazione – sia in
termini di possibilità numeriche che di capacità professionali; inoltre è in grado di garantire una capillarità di interventi
sul territorio di Torino e Provincia, garantendo una risposta
positiva ad ogni intervento richiesto ed ha manifestato una
spiccata capacità di tenere insieme le molteplicità e una forte
capacità di sperimentarsi concretamente in attività di relazione funzionali alla reintegrazione sociale dei ragazzi.
Inoltre ASAI ha maturato una considerevole esperienza a
lavorare in situazioni di disagio, attività di tutoraggio rivolte
ad adolescenti e preadolescenti difficili, nonché da anni è
impegnata in progetti di riparazione fra cui si può citare il
progetto No.M.I.S., attività con il carcere Ferrante Aporti,
progetti di educativa di strada, progetto “Animi- AMO
L’ESTATE AL VALENTINO” finalizzato a recuperare e
valorizzare uno spazio urbano particolarmente importante
C.D.B. Chieri informa
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del Parco del Valentino, spesso difficilmente fruibile poiché
percepito come poco sicuro.
Sulla base di tali premesse e tenuto conto della condivisione
di un’idea comune di prevenzione e non repressione, fra Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni del
Piemonte e della Valle d’Aosta, la Polizia Municipale di
Torino e l’ASAI, si è deciso di avviare questa esperienza.
L’attività di ricomposizione
La giustizia riparativa si basa su un approccio ampio in cui la
riparazione materiale e immateriale dei rapporti disturbati tra
la vittima, la collettività e l'autore del reato costituisce il
principio guida generale del procedimento penale.
L’attività di ricomposizione è uno strumento finalizzato al
sostegno alla parte offesa e alla riduzione del danno e rappresenta un percorso per la risoluzione sostanziale del conflitto.
La ricomposizione tra autore e vittima restituisce alle parti il
potere di discutere del fatto di reato e delle sue conseguenze,
responsabilizza l’autore, dà soddisfazione alla vittima e comporta una deflazione del contenzioso giudiziario. Inoltre si
può connotare anche di un valore sociale, in quanto volge
non solo a beneficio dell’individuo, ma anche dell’intero
sistema comunitario, ricostruendo il
tessuto sociale lacerato dall’atto
deviante; consente di superare la
separazione tra autore del reato e
vittima e può assumere anche una
valenza preventiva dei comportamenti criminali recidivanti.
Ma soprattutto, la ricomposizione è
un modo con cui viene restituita
alla vittima la dignità di persona,
anche attraverso l’esposizione delle
sue ragioni e del suo vissuto di dolore, eliminando, così, i rischi di
vittimizzazione secondaria, con
conseguente perdita di autostima e
rischio di compromissione del percorso evolutivo.
In ambito minorile è solitamente comprensiva di modalità di
attuazione dirette alla riparazione del reato con atti risarcitori, percorsi riparatori concreti posti in essere dall’autore a
favore della vittima o della collettività.
Il percorso di riparazione intende dunque:
1) accompagnare il minore nella valutazione della portata
del proprio comportamento;
2) aiutarlo a elaborare il significato della riparazione nei
confronti della vittima e della società;
3) stimolare una seria riflessione sul concetto di responsabilità e sul legame che sussiste tra un’azione e le sue
conseguenze;
4) favorire la crescita personale e sociale del minore;
5) scommettere sulla responsabilizzazione del minore nei
confronti delle persone (bambini o coetanei) con cui è
tenuto a “lavorare”, valorizzando il più possibile le
risorse personali che può mettere in gioco.
Metodologia dell’intervento
Gli interventi di riparazione riguardano reati di bullismo o
altri reati (ad es. aggressioni, furti, etc..) compiuti da ragazzi
o ragazze minorenni.
Le segnalazioni vengono inviate all’ASAI dal nucleo di
Prossimità della Polizia Municipale di Torino e dalla Procura presso il Tribunale dei Minorenni.
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Gli interventi vengono avviati sia qualora venga presentata
querela da parte della parte offesa, sia quando manca la querela ma il fatto viene segnalato alle autorità.
Nel caso in cui è stata presentata querela si cerca di intervenire per tentare il ritiro della medesima al fine di avviare un
percorso di riparazione che si sviluppi anche in un percorso
di sensibilizzazione della collettività.
Il nucleo di prossimità espleta le prime indagini. Successivamente viene preso contatto con ASAI per avviare il percorso.
Si procede dunque, previo un primo contatto fra chi ha effettuato la segnalazione e l’ASAI, ad un incontro fra i soggetti
interessati. Se i reati sono stati realizzati nella scuola, gli
incontri possono essere sul gruppo classe, a seconda delle
situazioni.
L’obiettivo è quello di coinvolgere in questo primo incontro
i gruppi di riferimento dei ragazzi (scuola, famiglia).
Nel corso del primo incontro, a cui presenziano i vigili di
prossimità e l’ASAI, viene ricapitolato il reato davanti ai
presenti, i ragazzi vengono presentati all’ASAI e viene stipulato un patto educativo fra aggressore, famiglia, ASAI e
Vigili di prossimità, finalizzato alla
riparazione del reato al fine di codificare un impegno formale fra le
parti. La sottoscrizione del patto
viene proposto come “ultima
chance”, diversamente si avvia il
procedimento penale tradizionale.
Il patto comporta impegni reciproci
fra le parti.
ASAI offre:
la possibilità di operare in modo accompagnato all’interno di
una delle proprie attività
(lavoro socialmente utile),
valorizza le risorse di ciascun
ragazzo/a dando risalto alla
loro parte positiva e cercando
di farla emergere (elemento
che normalmente viene offuscato dal reato commesso)
un tutoraggio realizzato da un accompagnatore/
educatore
occasioni di formazione e riflessione (ad. Es.incontri
con criminologi, formazione per la gestione dell’estate
ragazzi, lavoro sulla legalità con i vigili di prossimità,
incontri con esperti e percorsi formativi specifici)
responsabilizzazione, capacità di rispondere delle proprie azioni, presa di coscienza finalizzata ad un cambiamento positivo, possibilità di ricominciare in modo
diverso, presa di coscienza del reato (elemento che
manca soprattutto quanto viene realizzato in “branco”)
Ai ragazzi/e viene richiesto:
puntualità
capacità di mettere in gioco le proprie competenze relazionali
continuità
qualità della presenza
 rispetto del lavoro altrui (ad es. avvisare quando non
può partecipare, al pari di una prestazione lavorativa)
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 fare in modo che venga mantenuto il rapporto di fiducia.
Ogni anno vengono coinvolti in progetti di riparazione
35/40 ragazzi/e circa, a seconda delle necessità che
emergono.
Partendo dalla loro volontà di “recuperare” la situazione critica, i percorsi di riparazione loro proposti hanno
riguardato le seguenti attività:

accompagnamento allo studio di minori delle
scuole elementari e medie;

animazione con gruppi aggregativi dai 6 ai 13
anni, nel periodo coincidente con l’anno scolastico;

animazione estiva, all’interno del progetto “Estate
Ragazzi”;

Attività di gruppo quali laboratori artistici (teatro,
musica, circo sociale…), incontri formativi, percorsi di educazione alla cittadinanza.
Ruoli e mansioni sono concordati direttamente tra
l’educatore di riferimento (tutor)
e il minore, tenendo conto della
predisposizione del ragazzo, delle
esigenze dell’associazione, dei
suggerimenti di insegnanti e degli
operatori del Nucleo di Prossimità della Polizia Municipale.
Per favorire una loro responsabilizzazione viene inserito/a in attività con bambini più piccoli o
con coetanei a seconda del reato
commesso. Nei percorsi inoltre
vengono coinvolte anche le vittime e per questo è fondamentale il
lavoro di gruppo.
A seconda della tipologia di reato l’attività riparatoria si sviluppa
su due pomeriggi alla settimana
per 3 - 6 mesi. A volte la presa in
carico è maggiore se il reato
commesso necessita di un intervento più strutturato.
Il percorso consiste un una restituzione alla collettività ed
alla comunità afferente e permette al ragazzo/a di compiere
una azione di riflessione sulle azioni commesse. Fondamentale è l’aggancio relazionale con le figure di riferimento
(tutor, educatore).
Si segnala come negli ultimi anni si stia manifestando un
drastico abbassamento dell’età dei giovani sui quali occorre
intervenire con azioni riparatorie. In particolare mentre fino
a qualche anno fa in prevalenza si trattava di minori in fase
adolescenziale, ora l’età si sta abbassando ad 11-13 anni, e si
segnalano alcuni casi anche nelle classi delle scuole elementari dove si sta procedendo con attività sul gruppo classe.
Le provenienze dei ragazzi/e è molteplice: italiani, stranieri e
seconde generazioni sono coinvolti in misura quasi equipollente.
Nella maggior parte dei casi si tratta di situazioni di disagio
pregresso (familiare, culturale, economico, etc..) anche se
occorre segnalare che questo non costituisce l’elemento determinante in quanto vi sono casi che provengono da situazioni famigliari agiate senza evidenti problematiche particolari e dove invece si evidenzia un forte disagio esistenziale.
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C.D.B. Chieri informa
Molto spesso gli aggressori sono a loro volta vittime di un
contesto sociale che non li favorisce e che li porta a trovare
altre forme (non lecite) per crearsi un proprio ruolo (identità
deviante).
Si tratta di ragazze e ragazzi cosiddetti “normali”, non per
forza con esperienze di disagio alle spalle, che si sono trovati
coinvolti in situazioni in cui non hanno saputo valutare le
conseguenze delle proprie azioni e il peso di quelle stesse
azioni. Ragazzi che sono impalliditi di fronte al numero e
alla gravità delle violazioni del Codice Penale elencate loro
dalla Polizia al momento della convocazione.
Una volta ultimato il percorso in molti hanno manifestato il
desiderio di continuare le attività anche dopo il termine del
periodo di servizio ripartivo, avendola vissuta come
un’esperienza coinvolgente di volontariato e di impegno
sociale
Alla presenza di insegnanti, famiglie, Vigili, educatori
dell’ASAI, e talvolta delle parti offese, l’ultimo atto del percorso è culminato, per tutti, in una vera e propria cerimonia
finale, dove l’esperienza è stata rielaborata dall’inizio della
vicenda alla fine, attraverso il racconto dei ragazzi e dei soggetti coinvolti, in modo da sancire in modo ufficiale la chiusura di un cerchio che ha visto i ragazzi diventare un po’ più
adulti, riconoscendo le proprie colpe e lavorando con impegno e consapevolezza per riparare i danni arrecati.
Elisa Lupano
Antiche come le montagne
Dio ha creato fedi diverse così come ne ha creato i rispettivi fedeli.
Come posso anche segretamente
accogliere il pensiero che la fede
del mio prossimo è inferiore alla
mia e desiderare che rinunci alla
sua fede e che abbracci la mia?
Come suo vero e fedele amico,
posso soltanto desiderare e pregare che egli viva e cresca perfetto nella propria fede. Nella casa
di Dio ci sono molte dimore e tutte
ugualmente sante.
Gandhi
9
Quello che rimane
C
osa è rimasto di quel voto referendario che nel 2011 riuscì a muovere un paese nell'entusiasmo generale?
Lo abbiamo spesso ribadito, vi sono
stati finora processi che hanno disatteso
l'esito referendario. Non vi è stato nessun governo dal 2011 che abbia preso
una posizione chiara e favorevole agli
esiti referendari, anche l'attuale governo, che nei discorsi pubblici spesso appare più progressista
dei precedenti, non è stato da meno. Appena insediatosi il
nuovo ministro dell'ambiente del governo Renzi, Gian Luca
Galletti, esponente di spicco dell'UDC, ha dimostrato immediata ostilità per quelli che sono stati i risultati referendari ed
è quasi ovvio che a fronte di una tale ostilità non vi sia nessun atto per adempiere alle scelte referendarie: o non si agisce o, se si agisce, si va in direzione contraria e ostinata.
Inoltre rimane ancora una domanda di fondo: che fine ha
fatto il Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua? Non si
può nascondere che esiste attualmente una certa difficoltà da
parte del movimento di influenzare, con i temi riguardanti la
gestione del servizio idrico e la sua ripubblicizzazione, l'agenda setting (termine tecnico per definire l'ordine del giorno che viene imposto dai mass media al pubblico). La crisi
del movimento ispiratore dei referendum del 2011 in realtà
nasconde una trasformazione silenziosa alla ricerca di un
consolidamento che lo rende meno visibile. Vi è sempre più
un processo di rimescolamento con altri movimenti simili
che determinano in un periodo di medio-breve termine la
costruzione di un nuovo spazio politico. In parole povere, se
si sente parlare sempre più spesso di un movimento dei beni
comuni ciò è connesso con questo processo dove il movimento per l'acqua si è mescolato ed ha incontrato nuovi
gruppi con radici simili.
Mentre è in atto il lento processo di cambiamento del movimento ci sono all'orizzonte riforme che possono sia interrompere il cammino di rivendicazione dei beni comuni sia
essere una grave minaccia per la gestione dei servizi idrici.
L'attuale governo con il “pacchetto 12” contenuto nello
“Sblocca Italia” impone non solo l'obbligo di privatizzazione, ma anche l'obbligo di quotazione in Borsa, cioè gli enti
locali che gestiscono il trasporto pubblico locale o il servizio
rifiuti dovranno collocare in Borsa o direttamente il 60%,
oppure una quota ridotta, a patto che privatizzino la parte
eccedente fino alla cessione del 49,9%.
Ciò può essere una grave minaccia per l'eventuale effetto
domino che si innescherà e le vecchie volpi politiche sono
ben consapevoli dell'esistenza degli innumerevoli enti pubblici che gestiscono sia acqua che rifiuti, le cosiddette multiutility, che inevitabilmente saranno coinvolte.
A Chieri la situazione per ora rimane congelata. La nuova
giunta comunale che si è insediata da poco non ha ancora
avuto modo di dibattere sul tema dell'acqua. Se negli anni
precedenti c'erano sicuramente persone meno sensibili a questo tema, oggi il nuovo consiglio comunale vede in seno a sé
stesso la presenza di esponenti che in un modo o nell'altro
sentono l'esigenza di rispettare gli esiti referendari. Non si
tratta solo della positiva notizia di avere come vice-sindaco
Ugo Mattei, ma dell'intero schieramento che va dall'opposizione alla maggioranza in cui sono presenti nuove sensibili-
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C.D.B. Chieri informa
tà. Tuttavia, la strada del nuovo consiglio comunale è piena
di ostacoli, non bastano di certo pochi nomi per fermare l'establishment interessato a non adempire alla richiesta di ripubblicizzazione dei servizi idrici avanzata dalla cittadinanza
e dai comitati né a quanto pare bastano i nomi prestigiosi per
allontanare le titubanze del neo-sindaco Claudio Martano
che durante la campagna elettorale non è mai sembrato sicuro di riprendere in mano la proposta di trasformazione della
SMAT S.p.A. in ente di diritto pubblico. È ancora presto per
lanciare giudizi perentori sull'operato della nuova giunta
comunale. Le speranze sono molte, così come possono essere tante le delusioni.
Vi è l'esigenza perentoria, però, di rimettere il tema dell'acqua nei prossimi mesi di nuovo al centro del dibattito chierese con la speranza che il coraggio della politica vinca contro
i venti tempestosi dei grandi centri del potere economico.
Salvio Calamera
Comitato Acqua Pubblica Chieri
sgambettando qua e là
offre il suo corpo
nel mattino uggioso.
Avete forse gli stessi anni
forse lo stesso color degli occhi
le stesse bambole magari
si son fatte pettinare
dalle vostre dita bambine
avete certo anche danzato
le stesse canzoncine.
Angela non so con bianche mani
accarezzando i tasti
racconta la sua anima,
resuscita Ravel
rendendolo immortale;
tu, ragazza bruna
quasi non senti i piedi
su quegli alti trampoli
ed un profumo troppo forte
ti fa da schermo
quasi a proteggerti
da sguardi di sfida o di pietà.
Quale vento maligno
soffiò sui tuoi mattini
da condannarti a questo asfalto
per offrire la tua bianca pelle
a laide mani da profanazione,
a menti di disperate solitudini?
L’OMBRELLO ROSSO
Se è pioggia fine non lo so,
forse son lacrime di foglie
quelle che lente m’accompagnano
nel mio girovagare
guidando nella grigia nebbiolina
di una Torino come sempre antica.
Alla radio una giovane pianista
tale Angela e non so
suona un pezzo di Ravel:
un dolcissimo “prelude”.
All’angolo del corso
una ragazza bruna
stivali a tacco alto
in calzamaglia nera
sotto un ombrello rosso
Non so che angelo
sta suonando per te
la sua anima dolente,
Ravel canta
per la tua disperazione
il suo dolcissimo “prelude”
e come carezze
sulla tua carne profanata
le note sfiorano
i tuoi occhi troppo truccati,
i tuoi tacchi troppo alti,
quel tuo ombrello rosso
che quasi brilla
in questa uggiosa nebbiolina
o pioggia fine non lo so.
Beppe Ronco
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LA SCALA
I
l compito della Scienza è, in ultima analisi, quello di trovare delle leggi che possano spiegare e descrivere la Natura. Si procede formulando un’ipotesi su un particolare problema ed andando poi a verificare con l’esperimento la sua
solidità. Se l’ipotesi ottiene un buon numero di conferme e
nessuna contraddizione, allora possiamo dire di avere trovato una legge in grado di descrivere quel fenomeno.
Mi piace pensare ad un’organizzazione gerarchica delle leggi
della Scienza, cioè che ci siano, in un ipotetico primo gradino di una scala, leggi generali che hanno una validità su una
gamma molto ampia di fenomeni; in un secondo gradino
delle leggi più specifiche applicabili in un ambito più ristretto, e così via.
Potremmo aggiungere che ogni gradino è insito nel precedente, nel senso che le sue leggi sono ottenibili sulla base di
quelle dell’ordine gerarchico superiore.
Il compito di Dio, in questo senso, sarebbe stato solo quello di
dotare l’Universo delle leggi del
primo gradino, con tutto il resto
che viene di conseguenza.
Spieghiamo meglio: in virtù della natura (n minuscola) della
materia, i fisici sono stati in grado di descrivere quattro forze
fondamentali (primo gradino): la
forza gravitazionale; elettromagnetica; nucleare forte e nucleare
debole. Da queste derivano tutte
le altre leggi (gradini), le quali si
configurano come ampliamenti e
applicazioni del primo gradino.
Le leggi di Keplero sulle orbite
dei pianeti non sono che estensioni del concetto di forza gravitazionale, così come l’urto tra un
air-bag e il cranio di un automobilista è teoricamente spiegabile con la repulsione elettromagnetica fra gli atomi della
cute dell’incidentato e quelli della plastica del palloncino.
In questo senso la creazione dei gradini è, se vogliamo, superflua, visto che le leggi più generali sono necessarie e sufficienti per spiegare la Natura – costituiscono cioè una teoria
completa.
Nella realtà, la precisazione delle leggi successive (la costruzione della scala) è utile al debole intelletto umano per porre
dei paletti nella complessità della Natura, ottenendo delle
linee guida ben specifiche con cui orientarsi nella vita di tutti
i giorni: poche persone saprebbero dedurre in quattro e
quattr’otto la potenza di una lampadina a partire esclusivamente dalla nozione di campo elettromagnetico!
Questa piccola battuta è anche utile per mettere in risalto la
difficoltà pratica che troviamo nel superare l’ordine di pochi
gradini nella conoscenza scientifica: il nostro muratorescienziato si trova presto di fronte a una particolarità tale che
diventa impossibile descrivere, nei termini rigorosi della
Scienza, sistemi così complessi e con un così elevato numero
di variabili. Il successivo gradino non può essere posto e la
scala della Scienza si ferma. Per fare un esempio: è impossibile formalizzare una legge che spieghi in modo completo i
sentimenti e le altre bizzarrie dell’animo sulla base delle
correnti elettriche nei neuroni, ma questo non significa che
C.D.B. Chieri informa
11
essa non esista: se la teoria iniziale è veramente completa,
allora essa è in grado di prevedere anche le pulsioni che governano le nostre azioni quotidiane, per mezzo di leggi poste
in qualche gradino, molto in alto, che non siamo in grado di
raggiungere. La mente di Dio, che ha posto il primo gradino
tempo fa, deve aver potuto scorgervi la Divina Commedia, la
Rivoluzione Francese, e i bombardamenti di Gaza.
Uno dei motivi per cui ho deciso di dedicarmi alle materie
scientifiche si può sintetizzare dicendo che ho preferito rimanere ai gradini accessibili: siamo cioè in grado - sulla base
delle leggi che possediamo - di spiegare e riprodurre in modo accettabile i fenomeni che avvengono a quel livello. Non
significa aridità o determinismo, perché c’è moltissimo da
scoprire e su cui progredire, e così sarà sempre. Si può lavorare per ampliare un gradino e costruire quello successivo,
ma la scala non sarà mai né abbastanza larga, né completa.
La Scienza permette piuttosto, e non è poco, di comprendere
il perché (in senso meccanicistico, mai teleologico) e il come
accadono alcune cose: una legge scientifica è inesorabile e
precisa.
Non si può dire altrettanto delle leggi
dell’Uomo, cioè le regole con cui egli
organizza fenomeni complessi - oltre
i limiti della Scienza - come la convivenza civile.
Queste ultime suscitano da un po’ di
tempo la mia diffidenza, tanto che ero
in dubbio se meritassero in effetti il
loro nome: sono tutt’altro che inesorabili e precise; a volte sono contraddittorie o ingiuste (ma questo non
importa, giacché soggettivamente
anche le leggi della Scienza potrebbero esserlo).
C’è una certa presunzione di fondo
nelle leggi umane, perché sono un
tentativo dell’Uomo di plasmare la
Natura a suo piacimento, essendo
formulate dalla pura ragione, a prescindere dall’osservazione e dal processo scientifico di ipotesi-esperimento.
Eppure, nelle intenzioni dell’Uomo, queste leggi arbitrarie
sarebbero in grado di organizzare lo stato delle cose, e pretende quindi che siano rispettate dalla Natura. Poiché ciò non
succede, ha previsto lo strumento della sanzione: è un po’
come se uno scienziato mettesse in punizione le proprie provette perché gli hanno fornito un risultato diverso da quello
atteso dalla sua teoria.
Ma che razza di legge è un’ imposizione che non vale per
tutti? Come mai c’è chi non paga mai le tasse o inquina o
uccide e vive come se nulla fosse? Il colmo è che l’Uomo
non solo non è stato in grado di trovare leggi che siano rispettate (altro che inesorabili), ma non è nemmeno in grado
di applicare le sanzioni! Quando leggo il primo articolo della
Costituzione – non l’ultimo cavillo di qualche Azzeccagarbugli - sorrido amaramente e penso a quanto è misera la nostra comprensione della Natura e debole il nostro controllo
su di Essa.
Il fatto stesso delle sanzioni, confuta queste leggi: se una
legge funziona, non ha bisogno di sostegni per evitare che
venga infranta. Non è che una cellula sia allettata -ma frenata
da qualche timore! - a evadere i principi della termodinamica
per prosperare più delle altre: non lo fa semplicemente per-
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ché non è concepibile, non è nella sua natura (si può anche
intendere Natura).
Il guaio è che invece l’Uomo è spesso propenso a evadere le
regole che si è posto, rendendole automaticamente inadeguate. Le opzioni per questa incompatibilità sono due: o sono
sbagliate le leggi, oppure è sbagliato l’Uomo ed esse si riferiscono a qualchedun altro. Alcuni filosofi hanno proposto
che l’Uomo potrebbe essere soggetto ad altro tipo di leggi,
quelle dell’egoismo (homo homini lupus): ciò non è molto
edificante, ma è più in accordo con la Scienza, la quale osserva e non edifica.
Dicevo che ero in dubbio sul loro nome -leggi-: la cosa curiosa, riflettendoci, è che, nonostante tutto, esso è assolutamente lecito, perché, dal momento che esistono, sono
senz’altro comprese in qualche gradino della scala: la teoria
completa prevedrebbe perfino il Porcellum calderolico. E’
stuzzicante pensare che una mente soprannaturale, o perlomeno molto sveglia, potrebbe risalire, per dire, al campo
gravitazionale a partire dal suddetto Porcellum e che, nei
piani di Dio quando ha posto in essere il campo gravitazionale, il Porcellum ne era una logica conseguenza.
Noi, purtroppo, non possiamo cogliere questa logicità, e così
ci troviamo il problema della difficile convivenza tra le fragili leggi, e l’Uomo, senza nessuna possibilità di scorgere il
Disegno originario.
Il rasoio di Occam vuole quindi che la si smetta di accostare
la Scienza alle stranezze dei fenomeni complessi, di giocare
con gli elettroni a fare gli avvocati (o i poeti o gli psicologi).
Le facce della Natura sono troppo lontane per vederle insieme.
Resta comunque lo sconforto per questo mondo che è un
ingranaggio che non funziona, ma troppo grande perché lo si
possa riparare: si può reagire con un atteggiamento di rifiuto
e chiusura, come il chimico di Lee Masters e De Andrè, che,
disgustato e impaurito (“Gli uomini mai mi riuscì di capire”)
si allontana dall’umanità intesa come fenomeno complesso,
per dedicarsi alle leggi - quelle vere: “Ma guardate
l’idrogeno tacere nel mare/guardate l’ossigeno al suo fianco
dormire/soltanto una legge che io riesco a capire/ha potuto
sposarli senza farli scoppiare”.
Oppure ci si fa una ragione delle mille incongruenze e irregolarità, e si va avanti con più pragmatismo, su per la scala
della vita, ma senza dimenticare la prudenza, perché, curiosamente, mancano i gradini.
Alberto Rossetti
C.D.B. Chieri informa
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E’ tutto possibile
Noi nati ai margini d’una guerra
Ancora stillante ferite e canti partigiani
Dentro le foto in bianco e nero
Noi ci avventurammo su strade sterrate
In cappotti di lanetta a poco prezzo
Per scoprire di lì a poco la sorpresa
Di utilitarie sfreccianti nel sole
Sulle autostrade superbe
Noi che, figli d’impiegati e d’operai,
abbiamo vissuto da ragazzi
fatica e magia di studi superiori
noi che da bimbi sgranavamo gli occhi
su meraviglie di cose viste
per la prima volta,
di cose nostre,
noi abbiamo scoperto dai libri
quanta poca distanza ci tenesse lontani
dal ghigno di dittature in pose di cera
con le bandiere svettanti
al sole di vittorie fatiscenti
da adunate di folle oceaniche
disperse come foglie in vortici
di scomposta freddezza
da urla semisfatte e grigiore
di morti quotidiane.
Noi che allora eravamo soltanto
Dei punti interrogativi
Nelle viscere delle nostre madri
Ci siamo poi chiesti, strada facendo,
Ci siamo chiesti quale pensiero atroce
Dominasse le menti
Nel programmare il sogno funesto
D’una “soluzione finale”
Mentre pupe bionde ballavano nei varietà.
Ce lo siam sempre chiesto
Faticando a trovare una risposta
In un’aria rarefatta di democrazia progressista.
Oggi noi, nati ai margini d’una guerra mondiale,
noi che abbiamo ripudiato la guerra
noi che abbiamo esecrato gli stermini
in tutti i programmi educativi, in tutte
le cerimonie ufficiali,
noi che abbiamo proclamato il lavoro un diritto
Vediamo altre guerre, a due passi da noi,
vediamo stermini di migranti
nelle acque tranquille di vacanze programmate
sappiamo che il tempo non è più scandito
come tempo di lavoro e tempo di riposo
tempo di libertà umana
perché il lavoro ha ingoiato il tempo
e il tempo è un deserto d’ossessione
Settembre 2014 - n. 59
per un vano miraggio all’orizzonte.
E sentiamo che in tutto questo
C’è logica, programmazione, desiderio
Dei popoli che votano
Dei poteri che decidono
Al riparo di democrazie
Da avanspettacolo perenne.
E noi sappiamo sgomenti
che oggi tutto è ancora possibile.
Daisy T.
IL TORCICOLLO
E’
già notte al Valentino, una notte di fine agosto; la
luna è tramontata dietro i Cappuccini, nel cielo terso
brillano mille stelle tremolanti e le luci intermittenti di un
aereo che romba lontano. Più in basso scorre il Po, nero e
silenzioso.
Saranno state le nove-nove e mezzo quando il professore e
l’ingegnere si sono incontrati all’incrocio di Via Valperga
Caluso con Corso Massimo D’Azeglio e hanno incominciato
a correre: hanno attraversato e il traffico era quasi nullo (più
tardi è leggermente cresciuto); ora proseguono nel loro jogging nell’oscurità del Valentino; sotto le loro Adidas leggere
la ghiaia scricchiola, sommessamente come la timida risacca
sulle rive di un lago. Come prescrivono le regole del jogging un po’ corrono e un po’ marciano speditamente, passando da un cono all’l’altro dei coni giallognoli dei lampioni;
intanto chiacchierano del più e dl meno e scherzando, sono
amici da anni e in tono lievemente canzonatorio si chiamano
reciprocamente
^^^
Hanno già compiuto alcuni giri del parco da un estremo
all’altro, e ancora una volta sostano a dissetarsi a una fontanella. Il professore si china in avanti sostenendosi sulle ginocchia con i palmi delle mani:
“Han bevuto profondamente ai fonti alpestri”, scherza, “tu
prosegui, io mi fermo per un giro;-ti aspetto lì”; indica un
piccolo spiazzo con una panchina. “ non ce la faccio, sono
fuori allenamento ma Dio che rottame che sono diventato”-.
C.D.B. Chieri informa
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“O.K professore., ma più di un giro non lo faccio nemmeno
io, ho appena bevuto ma ho ancora sete, non vedo l’ora di
scolarmi una bottiglia di acqua frizzante di frigo …che sapor
d’acqua natia rimanga ne’ cuori esuli a conforto, a lungo
illuda la lor sete in via”, conclude ripartendo
Sulla panchina c’è già un individuo con gli occhiali scuri.
Come ogni sera all’ingresso del parco ha liberato il suo cane
che immediatamente si è lanciato in una corsa apparentemente dissennata, ma a ben vedere metodica, scientifica, per
successivi tentativi alla ricerca degli angoli più stimolanti
per le tantissime pisciatine liberatorie di questa sera. In quella panchina isolata nell’angolo più buio dello slargo a pochi
passi dalla fontana l’uomo se ne sta tranquillo con le mani
intrecciate dietro la nuca e le gambe stese in avanti. Tutto è
silenzio, si odono solo il tubare di due tortore e lo stormire
sommesso degli ippocastani all’esile brezza serale che sfrega
al suolo le prime foglie secche e accartocciate, simili a minuscole tartarughe rovesciate che tentano invano di rimettersi
diritte.
“Permette?” fa il nuovo arrivato.
“Prego”, e si sposta per fargli spazio.
Il cane torna e stirandosi pare fare una serie di esercizi di
streaching come i corridori al temine delle fatiche poi siede
con il muso appoggiato sui piedi dell’uomo. “E’ buono?non
morde?” fa l’altro.
“No, stia tranquillo, ma guai a chi mostra di avere cattive
intenzioni nei miei confronti.” Il Professore si sposta un po’
di lato: “E’ un labrador?” “ Con tanto di pedigree, sì.”
“Bella bestia, per quello che si può vedere con questo buio.
Si sta bene qui, finalmente si respira, che Paradiso eh?“
“Magnificamente, sì.“
Dai vialetti giungono altri podisti che vanno a mettersi in
coda davanti alla fontanella: a turno il primo della fila si
china a bere mentre gli altri aspettano continuando la corsa
sul posto, respirando a fondo e allargando le braccia per dilatare i polmoni.
-“Isciacquio, scalpiccio, dolci romori” riprende l’uomo del
cane. L’altro scoppia a ridere. – “Perfetto,” - commenta,
“perfetto.“ Ma che notte eh?”
“ Il suo amico l’ha chiamata professore, lei è professore?“
- “Sì ma non di lettere, di Educazione tecnica, comunque ora
in pensione.”
- “E’ bella la poesia sui pastori d’Abruzzo, non tutta secondo
me, ma nel complesso molto molto bella.”.
- “Non tutta ossia?”
- “Io non ho studiato come lei, ho dovuto fermarmi molto
presto, certe sfumature mi restano oscure.”
- “-Per esempio.”
- “Adesso non mi viene, non so….”
- “Io non la conosco ma mi sa che lei è innamorato della poesia e probabilmente in genere della cultura, ben più della
maggior parte degli allievi con cui ho avuto a che fare in
tanti anni, a maggior ragione considerando che è stato costretto a interrompere gli studi….. ha notato quanto si sono
già accorciate le giornate?”
- “Sì lo so, alle otto era chiaro e in un batter d’occhio era
notte, ma io sono come certi neonati che scambiano il giorno
per la notte; voglio dire che in fondo è tutto uguale.”
- “Ma….. lei lavora di notte? di cosa si occupa?”
- “Attualmente ho un contratto a termine in un call center,
non di notte, di giorno, prima facevo il centralinista e prima
ancora il massaggiatore.”
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- “Mi ci vorrebbe a me un bel massaggio, dopo un po’ che
corro i muscoli mi si irrigidiscono, spesso mi vengono i
crampi.”
….Ecco per esempio nel verso dell’Adriatico selvaggio che
verde è come i pascoli dei monti non ci vedo niente di …non
so come dire, niente. Fa piacere però incontrare persone istruite come lei.”
“Vorrei vedere che uno si debba vergognare se non arriva a
penetrare dalla prima all’ultima riga una poesia, del resto
gliel’ho detto che non insegnavo lettere ma Educazione Tecnica, altro che colto…ma che calura oggi, alle due ho dovuto
uscire di casa e in pochi secondi ero già fradicio di sudore mi
sentivo puzzare da vergognarsi, il sole accecava, da
….adesso invece…. I Promessi Sposi l’ha letto? Non è un
capolavoro?”
“Sarà anche un capolavoro ma io nella Provvidenza del
Manzoni non ci credo; e nemmeno nel suo Dio.”
Il professore alza lo sguardo alla volta celeste: “No, io non
riesco a restare indifferente di fronte a spettacoli straordinari
come quello del firmamento, con le stelle che brillano così
intensamente: come non scorgervi la mano di un Essere superiore?”
“Merito del vento”.“Merito del vento? E Dio?
Gliel’avranno insegnato anche a lei
da bambino: due cose al mondo non
ti abbandonano mai: l’occhio di Dio
che ti vede ovunque e il cuore della
mamma, eccetera….ma guardi guardi che sfolgorio, da lasciar senza
fiato, no?”
“ Non riesco a guardare in alto, ho il
torcicollo, non gliel’avevo detto.”
“Non riesco a immaginare che dietro tutto ciò non ci sia un Essere
Superiore: è Lui che ci guida, Lui
che ci rincuora, Lui che non si dimentica mai di noi né ci dimenticherà, nemmeno quando saremo morti e
di noi nessuno al mondo serberà memoria. E se penso che da
un lato noi abbiamo bisogno di Lui ma dall’altro anche Lui
ha bisogno di noi, mi commuovo fino alle lacrime. Ma guardi, guardi!
“Gliel’ho appena detto, ho un forte torcicollo, non riesco.”
“Ah sì, mi spiace. Non sarà proprio per il vento? Magari era
sudato.”
“Mica solo stasera.”
…Ma il Signore è unico, è amore per il Creato e soprattutto
per gli uomini: le meraviglie che appaiono sotto i nostri occhi è Lui che ce le ha donate, Lui che per noi è arrivato a
dare la vita sacrificandosi sulla Croce Ce l’ha spesso, il
torcicollo? Ha provato con il Voltaren?”
“No non spesso, sempre. Il Voltaren per me è acqua fresca
che poi alla lunga rovina lo stomaco, dia un’occhiata al bugiardino.”
“Ma da quando ce l’ha?”
“Dalla nascita, beh non parliamone. Volevo chiederle: Dio,
quello che dice lei, il settimo giorno della creazione si riposò, no?”
“Certo, si riposò.”
“Nel senso che chiuse gli occhi?”
“Se vuole metterla in questi termini, ma francamente…. Cerco di chiarirle come la vedo io: tutti noi o quasi tutti camminiamo con lo sguardo fisso in avanti, oppure a volte a testa
C.D.B. Chieri informa
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bassa per non inciampare o perché impegnati a mandare
messaggini sul cellulare, mai (quasi mai) con gli occhi rivolti
in alto a contemplare il cielo; l’opera dell’uomo può essere
bella finché si vuole ma non potrà mai essere paragonata a
quella divina che ci è dato di contemplare. Per questo il Signore il primo giorno creò la luce, e l’ultimo si riposò, come
ha detto lei; e se vuole chiuse gli occhi.”
“Io non credo che le opere divine siano superiori a quelle
umane: tante composizioni musicali create da uomini sono
probabilmente più divine di quelle di Dio“Ma il vento l’ha nominato lei e quando soffia soffia in armonia con le leggi della natura che a loro volta per forza di
cose devono essere state poste dall’Essere superiore che dicevo.”
“Certo, il vento, per me comunque viene prima la musica.
Ah Mozart, Mozart! Sa qual è la più straordinaria delle arie
di Mozart? è il terzetto “Soave sia il vento e placida l’onda
nel Così fan tutte: in poche battute la musica e in poche parole il canto sospingono il nostro amore come il vento soffia
sulle vele delle barche nel mare. Il vento sospinge le vele e le
nuvole e porta i semi i profumi i canti e ristora e asciuga il
sudore e perfino le lacrime… e il mare dal canto suo quando ti ci immergi
ti accoglie nelle sue braccia e ti culla… Quanto all’amore, beh l’amore è
un’altra cosa, l’amore carnale è quanto di più straordinariamente terreno si
possa immaginare: nel buio copro di
coccole la mia donna e la stringo fra
le mie braccia, con le mani la accarezzo e accarezzandola la plasmo e
mi par di essere un Dio scultore, eh
Bisìn?”
“Perfettamente d’accordo, ma già
quando le spoglio io tocco il cielo con
un dito.”
“Ma il piacere non nasce ancora prima quando lei si limita a spogliarle
solo con gli occhi? Dica lei.”
Il cane va a posare il muso in grembo al padrone; anche lui
adora le coccole e il padrone lo accontenta grattandolo dietro
le orecchie e sotto il mento. “Senza affetto non riesce a vivere”, dice.
Nel piccolo slargo passano altri podisti coppiette abbracciate
uomini che portano a passeggio il cane o soli del tutto.
“Qui è pieno di guardoni,” fa il professore.
“Se lo dice lei, quanto a me non riesco a immedesimarmi in
un guardone; piuttosto in un serial killer.”
Il labrador adesso salta attorno al padrone chiedendo di giocare, non gli bastano più le coccole: l’uomo gli dà il bastone
che sin qui ha tenuto posato accanto a sé e che ora il cane
addenta ringhiando giocoso ogni volta che l’uomo lo scrolla.
Per prudenza il professore si sposta ancora di lato, ma riprende la conversazione: “Che idee come dire? particolari, comunque…Io per la musica non ho molto orecchio, preferisco
le arti figurative o la letteratura. E così a lei I Promessi Sposi
non piacciono, peccato, è un gran libro. Ma allora nel campo
della letteratura cos’è che le piace, per esempio?”
“Amo moltissimo l’Iliade, l’Odissea, l’Edipo Re e l’Edipo a
Colono, ma per la verità leggo poco, i libri costano, se ne
trovo uno in biblioteca che intuisco che fa per me lo prendo,
sennò ne faccio a meno, pace. Quanto alla pittura per me è
come per lei la musica: diciamo che non ho orecchio.”
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“L’Iliade l’Odissea e l’Edipo Re? ma lo sa che io l’Edipo Re
non l’ho mai letto? Conosco la storia di Edipo ma la tragedia
non l‘ho letta né vista a teatro, e tanto meno l’Edipo a Colono; dell’Iliade e soprattutto dell’Odissea rammento degli
episodi ma di qui a ricordarle bene ci corre Non per insistere
sulla pittura, ma nemmeno gli affreschi della Cappella Sistina o le storie di San Francesco di Giotto a Assisi?”
“Gliel’ho detto: il torcicollo. Sono come il firmamento: troppo in alto, troppo lontano. Mozart sì, Così fan tutte e direi
tutte le sue composizioni, assolutamente tutte, ma anche
Schubert, l’Ave Maria cantata da Andrea Bocelli mi fa venire le lacrime agli occhi.”
- “Ossia lei ama la musica nel senso di musica classica, proprio quella per cui io sono del tutto negato?”
- “No, anzi, se vuole due nomi di artisti rock per cui stravedo
les voilà: Stevie Wonder e Ray Charles.”
- “Al cinema ci va? Io non molto, ma i film che sono piaciuti
alla critica cerco di non perdermeli ”
- “Anche gli schermi sono in alto.”
- “A maggior ragione niente campanile di Giotto a Firenze né
Torre di Pisa, suppongo.”
- “Già, ma ce n’è tante altre di cose belle
nella vita, per esempio il cioccolato fondente con le nocciole intere di Peyrano mi
fa impazzire.”
- “Il cioccolato di Peyrano….scusi ho perso il filo, cosa volevo dire? Ah sì, fino al
mese scorso c’era una bellissima mostra di
impressionisti qua alla Promotrice, soprattutto due Renoir e uno stupendo Monet,
nelle mostre in linea di massa i dipinti li
mettono all’altezza dei occhi di una persona di mezza statura.”
“Oggi gli uomini di mezza statura sono
sugli uno e settantotto-uno e ottanta, io
non arrivo a uno e sessantacinque, non
sono di mezza statura, no nelle mostre e
nei musei non mi ci vedo comunque.
“Lei è proprio un originale, sa?....Se le
potesse interessare, nel 1890 Monet, a
Rouen, in Francia....”
Dal corso arriva a ondate il rombo delle auto, che frenano
stridendo all’altezza delle prostitute; gli uomini contrattano
un po’ e poi ripartono sgommando, da soli o con su la ragazza.
- “Ho capito bene: il cioccolato, non mi sta prendendo un po’
in giro?” sta dicendo il professore (la conversazione ha preso
un’altra piega).
“Non mi permetterei mai; lo spirito e il corpo; il cioccolato
era un esempio di cose che amo, ma amo anche il profumo e
il sapore del basilico di Prà, e il Nebbiolo d’Alba, e le tagliatelle fatte in casa, ma fatte come Dio comanda : non un goccio d’acqua e quindici uova per ogni chilo di farina.”
- “Immagino che Dio abbia altre cose di cui occuparsi, però
continuo a non capire cosa c’entrano il cioccolato il basilico
il bergamotto con Mozart e il cioccolato di Peyrano.”
- “Sì, ma anche di Certosio, il bergamotto non l’ho nominato.
Però d’accordo, ma non mi guardi di traverso, non c’entrano,
dicevo solo come piaceri della vita.”
“Insomma riassumendo per lei la musica viene addirittura
prima del cielo stellato, scusi la franchezza ma da non crederci. Ma chissà, anche lei un giorno all’improvviso avrà la
sua illuminazione, riconoscerà l’esistenza di Dio e ne rimarrà
C.D.B. Chieri informa
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abbagliato----simpatico il suo cane.” Gli dà una timida carezza: “Vuoi bene al padrone?”
“Mi vuole bene ma non sono il suo padrone.”
“E di chi è? ”
“ Di nessuno”.“L’ingegnere appare alla vista: “Oh finalmente, era l’ora,” lo
accoglie il professore.
“Dai, sei tu che volevi riposarti, ti sei riposato?”
“Sì, perfettamente”.
“Allora si va?”
“Quanti chilometri hai fatto?”
L’altro controlla il contapassi: “circa dodici, compresi quelli
di prima: allora ti alzi? “
Il professore saluta l’uomo del cane: “Grazie per la compagnia e complimenti per il cane, spero di rivederla presto, lei
rimane ancora un po’ a godersi il fresco?”
“Sì noi restiamo ancora un pochino, dieci minuti al massimo,
non abbiamo ancora cenato e siamo digiuni da stamattina,
non ci vediamo dalla fame vero Bisìn? grazie a lei, arrivederci.”
^^^
Il professore e l’ingegnere si avviano
verso il Corso: “Allora come ti è parso
questo tipo?“ s’informa l’ingegnere.
“Poveretto ha un torcicollo che lo tormenta di continuo, da un lato mi faceva
pena, giorno dopo giorno dev’essere un
bel tormento, mettiti nei suoi panni, ma
dall’altro un’angoscia…: qualsiasi pensiero esprimessi su qualsiasi oggetto
non era mai d’accordo, provavo a cambiare argomento e subito dai a polemizzare, mezz’ora a menarmela sul vento,
è a te no, che fa venir il mal di testa? su
qualsiasi tema anche alla lontana religioso si chiudeva a riccio…. non incolto guarda ma odioso,fondamentalista,
per le arti figurative interesse zero via
zero, geni del calibro di Caravaggio
Vermeer De Latour Rembrant non gli
dicono nulla, dice che darebbe Il pranzo del canottieri di Renoir in cambio di una tavoletta di cioccolato fondente, da non poterne. E poi un amore scriteriato
per quella bestia, nota: neanche sua, con tutto il bene che
anch’io gli voglio agli animali, ma c’è un limite a tutto, prima i cristiani, dico bene? di calcio non gliene frega un tubo,
idem di qualsiasi altro sport; e va beh, ma non possiede nemmeno un televisore, o almeno sostiene di non averlo; un televisore da ventun pollici senza tanti ammennicoli a Media
World te lo tirano dietro, non mi dica che non può permetterselo. Se tanto mi dà tanto vuoi vedere che non ha nemmeno
il PC? Un lavoro bene o male ce l’ha, non ha carichi di famiglia, un micragnoso così non l’ho mai visto in vita mia, ma
però - ripeto: sempre che sia vero quel che dice – si è comprato uno stereo che deve costare una fortuna e che io e te
non potremmo permetterci. Poi saltava come se niente fosse
da un argomento all’altro …e il posto fisso ai concerti della
Rai, e il vento, e le tagliatelle fatte a mano…aspetta: dice che
la dose è di quindici uova per chilo di farina: ti pare possibile? ”
“Quindici uova mi pare un’esagerazione, voglio vedere poi il
colesterolo. E che rapporto ci sarebbe fra gli impressionisti e
le tagliatelle?”
“Bella domanda: chiedilo a lui.”
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“Possibile che per il torcicollo con i progresso della medicina che ci sono stati negli ultimi anni anche nel campo della
terapia del dolore non ci sia niente da fare?”
“Non so, d’altro canto ci sono anche tante malattie di cui una
volta non si conosceva l’esistenza. Non so non me ne intendo, comunque al mondo c’è chi ha ben altro che un po’ di
torcicollo.”
^^^
Anche l’uomo del cane finalmente si alza. “Si è fatto tardi
anche per noi, eh, tu che dici? Ti prego, portami a casa.”
Rimette il guinzaglio al cane, assieme si avviano verso casa,
lui con la punta del bastone va saggiando il terreno per evitare di incespicare nelle radici affioranti dei pini . “Insomma
questo Monet” riprende , “ce n’è di gente stramba a questo
mondo, eh? racconta che ha dipinto la bellezza di trenta quadri della facciata della Cattedrale di Rouen nelle varie condizioni di luce della giornata, mi sa che è lui che si è tagliato
un orecchio, non quell’altro. Beh sai cosa ti dico? Solo per
sfizio, ma mi piacerebbe andarci con te, in quella galleria,
farti annusare tutti i dipinti, e io toccarli, però aspetta: tutto
questo quindici volte, sia io che te, nelle varie ore della giornata eh, tu che dici? Perché questa
gente deve avere un Dio esclusivamente suo e non anche nostro, come
i bambini dei ricchi che hanno le
macchinine elettriche che guai se un
compagno gli chiede di salirci su un
momento senza nemmeno metterle
in moto? C’è caso che glielo rompiamo, il loro Dio? Oppure, e è la
cosa più probabile, non ci sono né
quel loro Dio né le macchinine, erano solo delle enormi panzane, eh, tu
che dici? Parlo troppo? Ti annoio?
Insomma cosa vogliono dire
“rosso”, e “rossastro che sfuma nel
viola” e “verdognolo”, e “ azzurro
pallido”? Ma prima ancora cosa
significano le parole brillante splendente scintillante sfavillante sfolgorante raggiante luminoso
smagliante lucente bianco? Domani in una battaglia supponi
io mi trovo circondato da ogni lato da forze superiori: vorrei
issare la bandiera bianca, ma fra tante bandiere di ogni colore che ho a disposizione come fare a scegliere quella bianca?
Perfino il diritto di arrendersi è un privilegio loro, io ne sono
escluso. Cos’hanno in comune la farina la neve il latte le
nuvole lo zucchero i water di ceramica? Mistero, buio assoluto. E se avessero stipulato una specie di patto con quel loro
Dio - supponiamo per un momento che esista -convenendo
che lo zucchero la farina la neve il latte lo zucchero le nuvole
i denti il sale bisogna dichiarare che sono bianchi, però occhio: tutto questo quando è presente uno di noi; perché se
voltiamo l’angolo riconoscono che sono tutti neri, indistintamente. Perché? Dirai tu. Ma per confonderci, no? e per appropriarsi della parte del mondo che ci spetterebbe di diritto:
qualcosa come una congiura, vedi? Perfino questo bastone
che mi aiuta nel cammino sarebbero pronti a giurare che è
bianco; ma cosa c’entra un bastone che non è freddo non è
dolce non è fluido non ci si fa il pane, con la neve lo zucchero le nuvole eccetera? Il bastone è roba mia, non loro, saprò
ben io di che colore è. Che male gli avevamo fatto? Chi lo
sa? E cosa significa bianchissimo? e opaco? e trasparente?
E che cosa erano “gli occhi tuoi ridenti e fuggitivi” e “le tue
limpide nubi” e “l’Adriatico selvaggio che verde è come i
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pascoli dei monti” e “Ella sen va sentendosi laudare”?
Sproloquiava di Dio e io pensavo: guardiamoci negli occhi,
chi è codesto vostro Dio? Un essere superiore, dice, che ha
creato il firmamento (o meglio dico io quel nulla che chiamano firmamento) e i prati e la neve e i colori
dell’arcobaleno, però facci caso: loro stessi che in nostra
presenza sostengono di “vedere” i colori e il firmamento e
tutto il creato candidamente poi confessano di non aver mai
“visto” in faccia il loro stesso Dio, di non averlo mai potuto
toccare, accarezzare, ascoltare, fiutare. Dice: “Io sono un Dio
geloso”, sai perché? Perché ha potuto riposarsi, ossia chiudere gli occhi, soltanto il settimo giorno, prima no. E geloso di
chi? di me, del mio buio che mi ripara dalla luce che Lui
stesso ha creato per accecarci e farci perdere l’orientamento,
questo ci invidiano Lui e tutta questa gente, fatta a sua immagine e somiglianza, ricordiamolo. Tu sei la mia vera guida, non Lui; neppure io ti vedo, certo, ma posso toccarti e
ascoltare i tuoi urli di gelosia o di gioia e i tuoi gemiti di
dolore o di riconoscenza perché siamo sullo stesso livello,
non tu lassù e io quaggiù, e la certezza che tu sempre mi sei
vicino mi rincuora, e so che mai mi lascerai né ti dimenticherai di me, nemmeno quando sarò
morto e sepolto e fra gli uomini della
mia persona della mia voce del mio
odore non sarà rimasta la più piccola
memoria. Io ho bisogno di te ma anche Tu di me: e questo pensiero mi
commuove perché mi rendo conto di
aver delle responsabilità, sì delle responsabilità immense nei Tuoi confronti. Tu sei unico, tu sei potenza e
amore, Tu perdoni ogni offesa che
possa averti fatto o farti in futuro, e
daresti la vita per me, sarei pronto a
giurarlo. Ci chiamano cane e padrone:
padrone! vogliono metterci l’uno
contro l’altro, capisci? Ma tu non ti
curar di loro ma guarda e passa. Che
ne dici?”
^^^
“Fatti vedere, hai una cera….” sta dicendo l’ingegnere, “te la
sei vista brutta, di’ la verità, strambo è dir poco, uno che
sembra che nel buio ci sguazzi, non me la contare: sembrava
una pasta d’uomo e invece… mi sembra di vedere che ti tormenti: che sia un serial killer dei professori che di notte si
avventurano nel buio del Valentino? e tremi come una foglia.”
“Serial killer?”
“Sì serial killer. Dai che scherzo. Del resto scherzi a parte
non sarebbe il primo malato di mente che per anni nasconde
la sua follia e poi senza preavviso perde il lume della ragione
si scatena e fa fuori il primo malcapitato che incontra.”
“Dai non esagerare. No, senza scherzi non vedevo l’ora che
arrivassi tu, d’accordo, ma paura nel vero senso della parola
non l’ho avuta. Voglio dire paura di lui. Piuttosto del cane.”
L’uomo del cane continua: “Secondo te dove sta la bellezza?
negli occhi di chi guarda, dicono loro, e invece io e te rispondiamo: nossignori, la bellezza sta nelle narici di chi annusa, dico bene?”
Sai però una cosa? Pensavo: se sono così astiosi ci sarà un
motivo, e…insomma, proviamo a metterci al loro posto:
voglio dire che probabilmente il buio gli manca intollerabilmente, insomma poveracci anche loro. “
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In quel momento a una distanza di una cinquantina di metri
il professore e l’ingegnere scorgono di nuovo l’uomo e il
cane che stanno girando verso corso Marconi: “Chi si ritrova, ” grida il professore, “arrivederci di nuovo.”
L’altro ricambia il saluto agitando il bastone: “Arrivederci;
rinnovato han la verga d’avellano,vede? Ma occhio alle motociclette!”
FINE
Federico De Benedetti
C.D.B. Chieri informa
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Io, ebreo e i diritti
dei palestinesi
di Moni Ovadia
Da il “il Fatto Quotidiano” del 29 agosto 2014
I
l conflitto israelo-palestinese è uno dei problemi centrali del nostro tempo sul piano reale ma
ancor di più sul piano della percezione simbolica,
anche se tutto sommato riguarda un numero limitato di persone rispetto alle moltitudini dei grandi
scacchieri incandescenti. Perché è tanto importante? A mio parere perché, oltre alle ragioni fattuali
che lo definiscono, evoca ripetutamente nella dimensione fantasmatica, lo spettro dell’antisemitismo,
tempi di fraternità
donne e uomini in ricerca
e confronto comunitario
Fondato nel 1971 da fra Elio Taretto
Contribuisci al progetto
CAITH La casa famiglia
fondata da Vittoria Savio
a Cusco in Perù
Per informazioni: Maria 349.7206529
quello del suo esito catastrofico, la Shoah, ma anche quello
del suo doppio negativo, la vittima che diventa carnefice. La
Shoah non solo ha espresso in sé il male assoluto, ma ha
cambiato definitivamente la nostra visione antropologica del
mondo e ha sconvolto le categorie del pensiero e del linguaggio. Oggi, la memoria della Shoah entra nel conflitto sul
piano dell’immaginario producendo rebound psicopatologici
che mettono in scacco non solo il dialogo fra posizioni diverse, ma la possibilità stessa di elaborare un approccio critico
senza provocare reazioni isteriche o furiose.
Molti ebrei in Israele e nella diaspora, reagiscono psicologicamente a ogni riflessione severa come se, invece di vivere a
Tel Aviv o a Parigi nel 2014, vivessero a Berlino nel 1935.
Ora, essendo ebreo anch’io, per dovere di onestà intellettuale
è giusto che dichiari la mia posizione perché essa è tutt’altro
che neutrale. Sostengo con piena adesione i diritti del popolo
Palestinese, non contro Israele, ma perché il loro riconoscimento è, a mio parere, precondizione per ogni trattativa che
porti alla pace. Ritengo che la responsabilità principale (non
unica) dell’attuale disastro, abbia origine nella cinquantennale occupazione da parte dell’esercito e dell’Autorità israeliana e la relativa illegittima colonizzazione delle terre che appartengono ai palestinesi secondo i decreti della legalità internazionale. Su Gaza, l’“occupazione” è esercitata sempre
da parte dell’autorità civile e militare di Israele con un ininterrotto assedio e comporta il totale controllo dell’entrata e
uscita delle merci e delle persone, dello spazio aereo, marittimo, delle risorse idriche, energetiche e persino dell'anagrafe.
I tunnel, in qualche misura, sono una risposta a questo stato
di cose. I missili lanciati contro la popolazione civile di Israele sono atto di guerra illegale secondo le convenzioni internazionali, ma non si può far finta di dimenticare che un assedio è esso stesso atto di guerra. È stata pratica sistematica
degli ultimi governi israeliani il mantenimento dello status
quo attraverso
la politica dei fatti compiuti e il mantenimento dello status
quo impedisce, de facto, ogni altro sbocco come quello della
trattativa. Lo dimostra il reiterato nulla di fatto con Abu Mazen che, in cambio della sua superdisponibilità a trattare, ha
ricevuto solo umiliazioni anche dal finto mediatore statunitense. Ora, la politica dello status quo significa contestualmente il suo peggioramento e l’ineludibile scoppio dei ciclici
conflitti con Hamas che terminano con la devastazione di
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Gaza, una micidiale conta di vittime civili palestinesi e, fortunatamente sul piano umanitario, un esiguo numero di vittime israeliane, soprattutto militari. Ciò non significa che non
siano vittime e che la loro morte non sia un lutto.
Gli zeloti pro israeliani quando ascoltano o leggono queste
mie opinioni critiche, reagiscono immancabilmente con insulti, maledizioni e invettive. Il genere è: “Sei un rinnegato,
nemico del popolo ebraico, ebreo antisemita o ebreo che odia
se stesso”. La critica da parte di un ebreo della diaspora alla
politica di governi israeliani può essere considerata tradimento, antisemitismo od odio verso se stessi solo se collocata nel quadro di un’identificazione nazionalista di ebreo,
israeliano, popolo ebraico, popolo d’Israele, Stato d'Israele,
suo governo e “terra promessa”. Ma se qualcuno osa fare
notare, da posizioni critiche, tale pericolosa identificazione,
ecco arrivare addosso all’incauto le accuse infamanti di antisemita o antisionista, che, per molti “amici di Israele” – anche persone di indiscutibile livello culturale –, sono la stessa
cosa. Il carattere fantasmatico della percezione della critica
come minaccia innesca irrazionali reazioni furiose che producono alluvioni di tweet, di email rivolte agli organi di
stampa e di esternazioni su Facebook
dove il diritto all’incontinenza mentale è garantita dell’indipendenza
della Rete.
L’ossessione della nuova Shoah dietro la porta scatena processi di permanente vittimizzazione che si sinergizzano con i complessi di colpa occidentali, legittimando un’“industria
dell’Olocausto” che fa un uso strumentale e ricattatorio della memoria
dell’immane catastrofe per fini di
propaganda, come bene spiega un
saggio fondamentale di Norman Finkielstein, uno scrittore ebreo statunitense.
Questa, a mio parere, è una delle
derive più allarmanti e ciniche della
memoria stessa a cui si prestano non
pochi politici europei reazionari o expost fascisti, magari facendosi intervistare all’uscita da una
visita al memoriale di un lager nazista per dichiarare: “Mi
sento israeliano!”.
Questo è un modo per trarre “profitto” dall’orrore a vantaggio degli eredi delle classi politiche europee che non si opposero allora al nazismo e all’antisemitismo e oggi lasciano
sguazzare indisturbati, nell’Europa comunitaria, neonazisti
di ogni risma. L’infame Europa del mainstream delle sue
classi dirigenti conservatrici allora stette a guardare lo sporco
lavoro dei nazisti collaborando o, nel migliore dei casi, rimanendo indifferenti. Dopo la guerra questi signori hanno progressivamente trattato “il problema ebraico” “esportandolo”
con piglio colonialista in medioriente. Oggi cercano credibilità e verginità israelianizzando tout court l’ebreo con una
mortificante omologazione.
A questa operazione si prestano purtroppo le dirigenze della
gran parte delle istituzioni ebraiche, come ha dimostrato il
caso della cantante Noa. L’artista israeliana doveva tenere un
concerto a Milano organizzato dall’Adei Wizo,
un’organizzazione femminile ebraica. Ma Noa, per il solo
fatto di avere espresso l’opinione che la colpa dell’ultimo
conflitto di Gaza era degli estremisti delle due parti, si è vista cancellare il concerto. Questo episodio dimostra che nep-
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pure una dichiarazione equilibrata, neanche se fatta da una
cittadina israeliana, sia accettabile per chi vuole omologare
l’ebreo all’israeliano, salvo poi infuriarsi indignato con chi
smaschera l’intento. Dall’altra parte, ultras “filopalestinesi”
si esercitano nella gratificante impresa di fare di Auschwitz,
del nazismo e della svastica, oggetti contundenti da scagliare
contro l’ebreo in Israele e spesso contro l’ebreo tout court,
ma soprattutto contro il vagheggiato ebreo onnipotente della
mitica lobby ebraica. L’intento è quello di dimostrare che
Israele è come la Germania di Hitler e che ebrei si comportano come SS. Sotto sotto c’è la vocazione impossibile e sconcia di pareggiare i conti per neutralizzare il deterrente della
Memoria. Ma questa sottocultura pseudopolitica, prima di
scandalizzare, colpisce per la sua deprimente rozzezza. Sarebbe facile dimostrare l’assurdità di simili farneticazioni,
inoltre finisce sempre per rivelarsi una sorta di boomerang
che danneggia la causa palestinese. Tutto ciò poco interessa
a chi deve placare il proprio narcisismo militante, inoltre,
questo tipo di militanza che si esprime con slogan di
“estrema sinistra” e di roghi di bandiere ha inquietanti punti
di contatto con quella dei neonazisti che, pur di soddisfare la
loro inestinguibile sete di antisemitismo, si iscrivono fra gli ultras filopalestinesi. Per denunciare l’oppressione del popolo palestinese ci sono un linguaggio
puntuale e concetti giuridici elaborati dal diritto internazionale.
È
dissennato
proiettare
l’immaginario della memoria
della Shoah in paragoni inaccettabili. Anche i proclami di antisionismo sono poco sensati, poco
centrati e non tengono conto delle articolazioni del fenomeno.
A mio parere, il sionismo in
quanto tale si è estinto da un pezzo. Anche di esso sono rimaste
proiezioni fantasmatiche mentre
nella realtà l’ideologia della destra reazionaria dominante in
Israele è un ultranazionalismo del “grande Israele” compromesso con il fanatismo religioso. Del sionismo è rimasto lo
spirito dell’equivoco slogan delle origini: “Un popolo senza
terra per una terra senza popolo”. Ancora oggi, a distanza di
più di un secolo, la destra reazionaria di Netanyahu ha re
imbracciato quella miopia militante che vorrebbe cancellare
nei palestinesi lo status di nazione e di popolo. Ma in questi
ultimi giorni perfino il falco Bibi, mettendo la mordacchia ai
più falchi di lui nel suo governo, ha intuito che nella sanguinosa polveriera mediorientale una tregua “duratura e permanente” con Hamas è più auspicabile che far scempio di civili
innocenti. Secondo me, ciò di cui c’è vitale bisogno in Israele è che la sua classe dirigente si armi di coscienza critica e
di lungimirante pragmatismo per dismettere vittimizzazione
e propaganda e ascoltare anche le critiche più dure come un
contributo e non come un pericolo. Certo, una tregua non fa
primavera né la fa una manifestazione della fragile opposizione che in giorni recenti è coraggiosamente tornata a mostrarsi in piazza Rabin per fare ascoltare una lingua diversa
da quella dello sciovinismo militare.
Ma sono barlumi di una possibile alternativa all’asfissia della guerra.
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O Dio,
non c'è nome
che possa “nominarTi”,
non c'è religione
che possa “contenerTi”,
non c'è immagine
che possa “esprimerTi”.
Tu sei il mistero
che da milioni di anni
genera e sospinge
il cammino del creato:
prima di tutte le cose
e dentro tutte le cose:
Dio totalmente altro
e compagnia sempre vicina.
Le religioni dentro le quali
compiamo il cammino verso di Te,
portano i segni della parzialità:
una parzialità che ci ricorda
che Tu ami il creato, lo cerchi,
lo animi, lo sorreggi, lo avvolgi
con il Tuo calore
per mille strade diverse.
Semestrale di formazione comunitaria
“Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani e
stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho
Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori
dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei
stranieri”.
Don Lorenzo Milani
Franco Barbero
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