La banca centrale europea_mattassoglio

L’azione della Banca centrale europea tra veti e vincoli genetici.
di Francesca Mattassoglio
francesca.mattassoglio@unimib.it
Ricercatore di diritto dell’economia
Università degli Studi di Milano-Bicocca.
Testo provvisorio
Aggiornato febbraio 2014
SOMMARIO: 1. Premessa: il contesto. - 2. Le banche centrali e il ruolo della politica monetaria:
considerazioni di carattere generale. - 3. La particolare genesi della BCE quale banca centrale
senza Stato. - 4. Gli obiettivi della politica monetaria della BCE: stabilità dei prezzi e divieto di
bail-out. – 4.1. Gli strumenti di politica monetaria a disposizione della BCE. - 5. Il vincolo
“organizzativo” della BCE: tra indipendenza e accountability.– 6. Le conseguenze del modello
adottato. – 7. L’azione monetaria della BCE nella difficoltà di conciliare i vincoli genetici e le
nuove esigenze imposte dalla crisi. – 8. Conclusioni.
1. Premessa: il contesto.
Negli ultimi anni, complice la perdurante crisi economico-finanziaria, la governance europea si è
trovata costretta ad adottare una serie di misure straordinarie - tra le quali è d’obbligo ricordare
quelle finalizzate a supportare i debiti degli Stati membri in difficoltà, che hanno dato vita ad
una serie di accordi intergovernativi meglio noti come “Fondi Salva Stati”: lo European
Financial Stability Mechanism (EFSM) 1, lo European Financial Stability Facility (EFSF)2 e lo
European Stability Mechanism (ESM) 3 – che hanno sollevato molteplici dubbi circa la loro
compatibilità con lo statuto comunitario e con i principi costituzionali nazionali, soprattutto da
parte della Germania 4.
Uno dei principi cardine su cui poggia la nostra unione monetaria, infatti, è costituito dal c.d.
divieto di bail out, ossia «l’Unione non risponde né si fa carico degli impegni assunti dalle
amministrazioni statali, dagli enti regionali, locali, o altri enti pubblici, da altri organismi di
Istituito con il regolamento (UE) n. 407/2010 del Consiglio dell’11 maggio 2010, esso costituiva un
meccanismo di stabilizzazione, la cui attivazione prevedeva un sostegno congiunto tra Unione europea e il
Fondo monetario internazionale. Con questo sistema era possibile dare assistenza finanziaria ad uno Stato
membro in difficoltà, su decisione del Consiglio, su proposta della Commissione, previa discussione con la
Commissione europea e la Banca centrale, e predisposizione di una serie di condizioni per ristabilire l’equilibrio
economico-finanziario dello Stato in difficoltà.
2 Adottato con la decisione dell’Ecofin del 9 maggio 2010, esso è costituito da una società anonima con sede in
Lussemburgo che ha come obiettivo quello di fornire finanziamenti agli Stati membri dell’Ue in difficoltà, previo
accordo concluso con la Commissione europea.
3 Introdotto con il Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità, in virtù della modifica all’art. 136 del
TFUE cui è stato aggiunto il seguente paragrafo «gli Stati membri cui la moneta è l’euro possono istituire un
meccanismo di stabilità, da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità dell’intera zona euro. La
concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa
condizionalità»; per una puntuale analisi di questo meccanismo v. G. GRASSO, Il costituzionalismo della crisi. Uno
studio sui limiti del potere e sulla sua legittimazione al tempo della globalizzazione, Napoli, 2012, 132 ss.
4 Sul punto si vedano le osservazioni di M.P. CHITI, La crisi del debito sovrano e le sue influenze per la governance europea,
i rapporti tra stati membri, le pubbliche amministrazioni, in www.studiolegalechiti.it/pubblicazioni/.
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diritto pubblico o da imprese pubbliche di qualsiasi Stato membro… », dal momento che sia
l’unione, sia i singoli Stati «non sono responsabili né subentrano agli impegni
dell’amministrazione statale, degli enti regionali, locali o degli enti pubblici, di altri organismi di
diritto pubblico o di imprese pubbliche di un altro Stato membro … », secondo quanto sancito
dall’art. 125 TFUE.
Come avremo modo di mettere in luce nel prosieguo, questo principio costituisce uno dei punti
nodali per comprendere le attuali tensioni che serpeggiano tra i Paesi dell’eurozona e che sono
animate dal timore che l’Unione Europea finisca per attuare, in concreto e sulla spinta della
crisi, quella mutualizzazione dei debiti tra i suoi membri, che è invece espressamente negata da
molte disposizioni del Trattato.
Una preoccupazione che ha spinto, nel corso del 2011, alcuni esponenti del governo tedesco a
richiedere l’intervento del Tribunale costituzionale federale (Bverfg, con sede a Karlsruhe) sulla
legittimità dell’ESM5, poiché, secondo i ricorrenti, questo meccanismo avrebbe consentito di
superare il principio appena richiamato, costringendo i contribuenti a farsi carico di debiti
contratti da altri Paesi membri. Nonostante la decisione6 abbia riconosciuto la legittimità
costituzionale del meccanismo – pur con alcuni correttivi -, la situazione continua ad essere
estremamente delicata, non soltanto perché a distanza di poco più di due mesi, con la sentenza
27 novembre 2012, causa C 370/12, anche la Corte di giustizia dell’Unione europea ha dovuto
nuovamente intervenire sullo stesso punto 7, ma soprattutto alla luce delle difficoltà che sta
incontrando la realizzazione del Meccanismo unico di vigilanza bancaria 8, su cui, non a caso,
non si è ancora riusciti a raggiungere un accordo sul fondo unico per il salvataggio degli istituti
di credito9.
Più precisamente, il procedimento ha avuto a oggetto la legittimità costituzionale della delibera del Consiglio
europeo 2011/199/UE che ha modificato l’art. 136 TFUE e una serie di atti da esso presupposti.
6 BverfG, 2 BvR 1390/11 vom 11 September 2012, Absatz-Nr (1-319), su cui v. M. BONINI, Il BVERFG, Giudice
costituzionale o «signore dei trattati»? Fondo «Salva Stati», democrazia parlamentare e rinvio pregiudiziale nella sentenza del 12
settembre 2012, in www.aic.it, 4/2012; nonché A. DE PETRIS, La sentenza del Bundesverfassungsgericht sul Meccanismo unico
di stabilità e Fiscal compact. Guida alla lettura, in www.federalismi.it del 15 settembre 2012 e P. RIDOLA, “Karlsruhe
locuta causa finita?”. Il Bundesverfassungsgericht, il Fondo Salva-Stati e gli incerti destini della democrazia federalista in
europa, in www.federalismi.it del 26 settembre 2012.
7 Detta pronuncia ha ritenuto legittimi il MES e la conseguente modifica dell’art. 136 TFUE, in quanto il
principio generale di tutela giurisdizionale non impedirebbe ai singoli Stati membri, la cui moneta è l’euro, di
concludere e ratificare un simile accordo. Per un commento alla pronuncia v. E. CHITI, Il Meccanismo europeo di
stabilità al vaglio della Corte di giustizia, in Giorn. dir. amm., 2012, 148 ss.
8 Detto meccanismo affiderà alla BCE le funzioni di vigilanza sugli istituti di credito c.d. significant ed entrerà in
vigore nell’ottobre 2014. Fino ad ora, la BCE e il Sistema europeo delle banche centrali (SEBEC), da essa diretto,
è stata titolare delle “sole” competenze nell’ambito della politica monetaria. Mentre la funzione di vigilanza era
rimasta saldamente nelle mani degli Stati nazionali. Originariamente, si era a lungo discusso circa la possibilità di
attribuire all’istituzione comunitaria entrambe le tipologie di funzioni, per consentire un indirizzo unitario del
settore, ma alla fine prevalse l’ipotesi della netta separazione che meglio avrebbe potuto rispondere alle esigenze
dei singoli Paesi membri (soprattutto di quanti, per tradizione, ritenevano che il controllo sulla moneta dovesse
essere separato da quella di vigilanza), nonché della salvaguardia del principio dell’home country control, sul punto v.
le osservazioni di Cfr. F. VELLA, Banca centrale europea, banche centrali nazionali e vigilanza bancaria: verso un nuovo assetto
dei controlli nell’area euro, in Banca, borsa e titoli di credito, 2002, 151 ss.; nonché il Rapporto Van Rompuy, del 26
giugno 2012, Towards a genuine economic and monetary union, per la cui analisi si rinvia a G. NAPOLETANO, La risposta
europea alla crisi del debito sovrano: il rafforzamento dell’unione economica e monetaria. Verso l’unione bancaria, in Banca, borsa e
titoli di credito, 2012, 747 ss.
9 Lo scorso 18 dicembre 2013, in sede di Ecofin, i Ministri delle finanze dell’unione sono finalmente riusciti a
concludere un accordo relativo al suddetto meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie che dovrà essere
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In un clima così carico di tensione era inevitabile che anche la Banca Centrale Europea finesse
sul “banco degli imputati” e l’occasione è stata offerta dall’entrata in vigore, lo scorso anno, del
meccanismo di Outright Monetary Transaction (OMT), ossia uno strumento che potrebbe
consentire – il condizionale è necessario visto che la misura, fin’ora, non è mai stata utilizzataalla BCE di attuare un programma di acquisti illimitati, sul mercato secondario, di titoli del
debito dei singoli Stati in difficoltà e su cui, ancora una volta, il Bverfg si è pronunciato nel
febbraio 2014.
In attesa di questa pronuncia della Corte europea, può essere interessante riflettere sul ruolo e
gli effetti della politica monetaria della Banca centrale, pur nella consapevolezza che un simile
tema deve necessariamente addentrarsi su un terreno economico non certo agevole per il
giurista. Ciononostante, questo studio può rivelarsi utile proprio perché le autorità giudiziarie
sono sempre più spesso chiamate a pronunciarsi sulla legittimità/compatibilità delle misure
monetarie, rendendo ormai ineliminabile un produttivo dialogo tra le logiche economiche e
quelle giuridiche10.
Proprio in quest’ottica, è necessario porre un’importante premessa metodologica.
Per le ragioni che si sono appena esposte, il tentativo di formulare un giudizio “giuridicamente
orientato” circa l’attività posta in essere della Banca centrale Europea non ha potuto
prescindere da un’attenta ricostruzione del contesto in cui è maturata la genesi dell’istituto, oltre
che da alcuni cenni su nozioni di carattere più generale relative al ruolo esercitato dalle banche
centrali “tradizionali” e ad alcuni principi fondamentali di politica monetaria.
Si ritiene, infatti, che questa parte non soltanto sia fondamentale per fare maggior chiarezza
sulle già richiamate tensioni che stanno mettendo a rischio la sopravvivenza dell’eurozona, ma,
soprattutto, che essa si ponga come imprescindibile presupposto per giustificare il giudizio
sostanzialmente positivo che in questo lavoro verrà proposto circa l’azione finora posta in
essere dalla BCE.
2. Le banche centrali e il ruolo della politica monetaria: considerazioni di carattere generale.
Nel corso del tempo, secondo un andamento comune alla maggior parte degli ordinamenti
giuridici occidentali, la gestione della politica monetaria, ossia «l’insieme delle scelte relative
all’offerta di moneta e al tasso di interesse» 11, è andata assumendo una propria autonomia,
rispetto alle altre politiche economiche (dei redditi12 e fiscale13), finendo per essere attribuita a
soggetti istituzionali terzi, diversi da Governo e Parlamento, ossia le c.d. banche centrali. In un
primo momento, una simile scelta ha trovato giustificazione nell’esigenza dei Governi di
reperire forme alternative di finanziamento a basso costo (c.d. teoria del public choise)14, con un
sostanziale asservimento della politica monetaria rispetto alle volontà dei governanti (si pensi,
ad esempio, all’obbligo che gravava sulla stessa Banca d’Italia, fino al 1981, di sottoscrivere i
titoli di Stato non collocati presso il pubblico per finanziare il debito). In seguito, invece, il
ruolo delle banche centrali è mutato per rispondere all’urgenza di garantire, in primo luogo, la
stabilità del sistema bancario, diventando i c.d. “prestatori di ultima istanza” (lender of last
ora approvato dal Parlamento europeo entro la fine della legislatura, e che richiederà l’adozione di un apposito
regolamento e di un ulteriore accordo intergovernativo.
10
Da ultimo sul tema si v. il volume di S. ANTONIAZZI, La Banca centrale europea tra politica monetaria e vigilanza
bancaria, Torino, 2013.
11 Definizione data dal Dizionario di Economia e Finanza, della Treccani.
12 Politica che si attua attraverso la ricerca di un accordo tra le parti sociali.
13 Politica che si attua attraverso la manovra di bilancio.
14 G.B. PITTALUGA, G. CAMA, Banche centrali e indipendenza, Milano, 2004, 24 ss.
3
resort)15, ossia soggetti tenuti a garantire la solvibilità degli istituti di credito di un determinato
ordinamento, prestando loro denaro in caso di illiquidità. La necessità di ricorrere ai capitali dei
mercati internazionali ha progressivamente richiesto di sottrarre, ai governi nazionali,
considerati gestori inaffidabili – a causa della volontà di compiacere l’elettorato-, la moneta, e di
creare una banca centrale “conservatrice”, ossia «un banchiere centrale che non … [avesse] gli
stessi obiettivi di output e di inflazione della società, ma che … [attribuisse] un peso più elevato
all’inflazione rispetto alla società e al Governo»16 (c.d. teoria dell’incoerenza temporale), in
modo tale da permettere al mercato di mantenere la fiducia nel sistema bancario di quel
determinato Paese.
In altre parole, secondo questa impostazione, che poi è stata ulteriormente accentuata
nell’ambito dell’unione monetaria europea, per ottenere una più saggia gestione della politica
monetaria si deve puntare su soggetti terzi, ossia tecnici, indipendenti dal potere politico, il cui
unico scopo sia quello, per l’appunto, della gestione della moneta.
A differenza di altri organi quali governi e parlamenti, i membri delle banche centrali non solo
non sono scelti attraverso un procedimento democratico ma, in seguito, sono (dovrebbero essere)
altresì sottratti al condizionamento politico.
Siffatta indipendenza è «sicuramente un bene, se viene vista correttamente come modo per
consentire … [alla banca centrale] di far valere nei confronti del governo l’esigenza di non
privilegiare l’ottica di breve periodo a scapito di quella di lungo»17.
Nello stesso tempo, però, questo principio deve conciliarsi con la stretta correlazione che lega
la politica monetaria con le “altre” politiche economiche, in primo luogo quella fiscale. Un fatto
che rende allora nodale il tipo di rapporto – e, più precisamente, il grado di indipendenza e di
dialogo18 - che caratterizza l’istituzione preposta al controllo della moneta rispetto agli altri
organi di governo19.
Come insegna la dottrina economica, le autorità monetarie influiscono sui prezzi e, più in
generale, sull’economia nel suo complesso operando sull’offerta di moneta, ovvero sul tasso di
interesse20.
La complessità di raggiungere un simile equilibrio si riverbera, di conseguenza, sulla
correlazione tra banca centrale e controparte politica che, in concreto, può essere, a seconda dei
casi, ricondotta nell’ambito di una relazione principale-agente, ovvero di un mandato fiduciario
che può anche talora attribuire alla banca centrale autonomia e discrezionalità in ordine agli
stessi obiettivi da raggiungere. La storia delle principali banche centrali nazionali, infatti, ci ha
dimostrato come sia praticamente impossibile imbrigliare e costringere entro rigidi schemi simili
G.P. PITTALUGA, G. CAMA, Banche centrali e democrazia, cit., 61.
G.B. PITTALUGA, G. CAMA, Banche centrali e indipendenza, cit., 38.
17 M. ARCELLI, L’economia monetaria e la politica monetaria dell’unione europea, Padova, 2007, 53.
18
Per una ricostruzione delle diverse posizioni della dottrina economica sul tema della relazione tra indipendenza
della banche centrale e le autorità di governo, v. B. PANICO, M. OLIVELLA RIZZA, Fondamenti dell’indipendenza della
banca centrale in un società democratica, in AA.VV., Banche centrali e principio democratico. Quaderni del dottorato di ricerca in
Diritto ed Economia, Napoli, 2007, 35 ss.
19 Un profilo che, come è stato sottolineato, costituisce, a ben vedere, solo una questione particolare della più
generale problematica attinente all’autonomia che deve essere riconosciuta alla politica monetaria, rispetto a
quella economica; ovvero, ancora più in generale, circa l’autonomia dell’economia dalla politica. In questo senso,
v. T. PADOA SCHIOPPA, Il significato di autonomia nell’esperienza delle banche centrali, in D. Masciandaro, S. Ristuccia (a
cura di), L’autonomia delle banche centrali, Milano, 1988, 343 ss.
20 Per un approfondimento, v. A. VERDE, Unione monetaria e nuova governance europea, Roma, 2012, 27 ss.
4
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16
relazioni: esse risentono del contesto in cui si collocano21; della forza dei singoli governi e delle
personalità dei soggetti ad esse preposti22. Variabili che possono dar vita a veri e propri “cicli” 23,
ossia ampliamenti o riduzioni del livello di autonomia e indipendenza riconosciuti all’organo di
governo monetario24.
L’esperienza insegna che «governo e banca centrale si comportano da attori politici ponendo in
atto un rapporto dialettico»25, che talora consente addirittura al soggetto bancario di assumere il
ruolo di “supplente”, nel caso in cui la controparte non riesca ad esprimere «un indirizzo
politico-economico coerente e risoluto»26. Una lettura che, come avremo modo di mettere in
luce, sembra perfettamente adattarsi anche al ruolo che la Banca centrale europea è andata
assumendo negli ultimi anni per far fronte alla crisi economico-finanziaria (su cui v. par. 6 e 7),
sebbene essa presenti elementi fortemente peculiari rispetto al modello “tradizionale” appena
richiamato. La nostra unione monetaria poggia, infatti, su una banca centrale che ha come suoi
interlocutori una serie di Paesi che oltre ad aver mantenuto una propria sovranità nazionale,
ancora controllano, pur con alcuni correttivi, le proprie politiche fiscali e di bilancio. Un fatto
che rende pertanto uniche le dinamiche tra il soggetto preposto alla politica monetaria e la
controparte politica27, sempre più spesso risultato di un compromesso tra le parti coinvolte,
così come ben emerge dalle complesse fasi che ne hanno preceduto la costituzione.
3. La particolare genesi della BCE quale banca centrale senza Stato.
La creazione della Banca centrale europea e del sistema europeo delle Banche centrali (SEBEC),
cui essa è a capo, è il frutto di un lungo processo finalizzato alla costruzione di un’unione
monetaria, iniziato dopo la Seconda Guerra mondiale. Il primo passo fu costituito dall’Unione
europea dei pagamenti che consentì di attuare l’accordo sui tassi di cambio stabili fissato a
Bretton Woods28. Detto sistema garantì la stabilità monetaria fino agli anni ’60, quando entrò
definitivamente in crisi. In seguito, i Paesi europei furono costretti a cercare nuove soluzioni
che trovarono una prima, seppur parziale, risposta nel c.d. piano Werner, presentato nel 1970,
ove si faceva già cenno all’esigenza di un’unica banca centrale. Molti erano, però, i dubbi relativi
alle modalità con cui realizzare un simile obiettivo: se, ad esempio, fosse necessario puntare sui
soli rapporti di cambio tra le monete, oppure se occorresse stabilire direttamente la quantità di
moneta e i tassi di interesse; ovvero, infine, se per aversi una politica monetaria comune,
dovesse prima di tutto raggiungersi una più ampia cooperazione della politica economica dei
singoli Stati.
Sull’esperienza storica di alcune tra le più importanti banche centrali, v. i contributi contenuti nel volume
curato da D. MASCIANDARO, S. RISTUCCIA, L’autonomia delle banche centrali, Milano, 1988.
22 Profilo che ha ben caratterizzato la Banca d’Italia e che sembra perfettamente adattarsi anche alla Bce, che ha
visto, soprattutto all’indomani dell’insediamento di Draghi, una decisa accentuazione delle sue prerogative. Per
quanto riguarda le personalità che hanno guidato nel passato la nostra banca centrale si v. l’interessante opera di
A. GIGLIOBIANCO, Via Nazionale. Banca d’Italia e classe dirigente. Cento anni di storia, Roma, 2006.
23 Sui cicli, v. M. DE CECCO, L’autonomia delle banche centrali in una prospettiva storica, in D. Masciandaro, S. Ristuccia
(a cura di), L’autonomia delle banche centrali, cit., 312 ss.
24 Su questo aspetto v. M. ONADO, L’autonomia delle banche centrali di fronte alla crisi degli anni ottanta, in D.
Masciandaro, S. Ristuccia (a cura di), L’autonomia delle banche centrali, cit., 333.
25 G.B. PITTALUGA, G. CAMA, Banche centrali e indipendenza, cit., 34.
26 Così G. PUCCINI, L’autonomia della Banca d’Italia. Profili costituzionali, Milano, 1978, 72.
27 In particolare, pur avendo mantenuto a livello nazionale la politica di bilancio dell’eurozona, un ruolo
fondamentale è svolto dall’Ecofin, ossia dal Consiglio dei Ministri delle Finanze, e dalla Commissione europea.
28 Per un’attenta ricostruzione delle diverse fasi v. F. PAPADIA, C. SANTINI, La banca centrale europea. L’istituzione
che governa l’euro, Bologna, 2011, 9 ss.
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Simili perplessità spiegano perché l’accordo, che cercò di limitare le fluttuazioni tra i diversi
tassi di cambio, il c.d. Serpente monetario, introdotto nel 1972, non ebbe una grande fortuna e
si dovette attendere il 1979 per la creazione del Sistema monetario europeo (SME) 29. Il nuovo
meccanismo, che permetteva di controllare le oscillazioni di cambio tra le monete, determinò
ben presto la supremazia della Bundesbank e del marco tedesco30.
La consapevolezza che questa situazione non avrebbe potuto durare a lungo spinse, nel 1988, il
Consiglio Europeo a cercare nuove soluzioni e, a questo fine, fu istituito il c.d. Comitato
Delors, dal nome del suo Presidente (allora anche al vertice della Commissione europea), composto dai
12 Governatori delle Banche centrali dei Paesi facenti parte della Comunità, nonché da 3 esperti
esterni, a cui fu affidato il compito di predisporre un piano per il conseguimento dell’unità
monetaria.
Nel 1989 il Comitato concluse il suo operato con la pubblicazione dell’ormai famoso Rapporto
Delors, nell’ambito del quale gli esperti cercarono di offrire alcune soluzioni ai quesiti più sopra
ricordati, pur in presenza di una molteplicità di opinioni.
Come è noto, ad esempio, gli inglesi non solo non ritenevano necessaria l’introduzione di una
moneta comune, ma erano anche contrari a qualsiasi misura che imponesse la stabilizzazione
dei singoli debiti nazionali31, nella convinzione che il mercato avrebbe saputo da solo imporre
agli Stati una politica fiscale virtuosa. Al contrario, secondo una contrapposta corrente di
pensiero, che poi è risultata prevalente, l’Europa sarebbe ormai stata pronta per un’unione
monetaria e per un primo tentativo di controllo delle finanze nazionali32.
Il tema era estremamente delicato. Una volta messa in minoranza l’opinione della Gran
Bretagna, che del resto è tutt’ora fuori dell’area euro, non fu semplice trovare un accordo sulle
caratteristiche e sui pilastri su cui avrebbe dovuto poggiare un simile accordo.
All’epoca in ambito europeo erano presenti due diversi modelli di banca centrale che
presentavano profonde differenze sia dal punto di vista degli obiettivi, sia strutturali. Nel primo,
che potremmo definire “anglo-francese”, all’autorità monetaria erano affidati una pluralità di
fini, che comprendevano la stabilità dei prezzi, la stabilizzazione del ciclo economico, il
mantenimento del livello di occupazione nonché la stabilità finanziaria. Ad una simile
eterogeneità di scopi si accompagnava una sorta di subordinazione della banca centrale agli
organi politici, posto che le decisioni di politica monetaria erano in ultimo soggette alla diretta
approvazione del governo. Nel modello “tedesco”, invece, alla banca centrale era attribuito il
fine primario di mantenere la stabilità dei prezzi, mentre obiettivi diversi (quali per l’appunto
l’occupazione e/o la stabilità finanziaria) potevano essere perseguiti soltanto in via subordinata, ossia
Per una riflessione sui risultati ottenuti dallo SME, v. T. PADOA SCHIOPPA, Che cosa ci ha insegnato lo Sme, in ID.,
La lunga via dell’euro, Bologna, 2004, 53 ss.
30 Con la nascita dello SME venne introdotto anche l’ECU (ossia l’European Currency Unit), «basato su un
paniere di importi fissi di tutte le monete della Comunità», così M. SPINELLA, Alle origini dell’Unione europea e della
Costituzione della BCE, in F. Belli, V. Santoro (a cura di), La banca centrale europea, Milano, 2003, 259.
31 Sul tema, v. C. GOODHART, The Delors Report: Was Lawson’s Reaction Justifiable, in LSE Financial Markets Group,
Special Paper, 15, 1989.
32 È di questa opinione, ad esempio, T. PADOA SCHIOPPA, Disciplina fiscale e costituzione monetaria, in id., La lunga via
dell’euro, cit., 171 ss., in quanto secondo l’A. «politiche fiscali divergenti possono generare contrasti di preferenze
circa l’orientamento della politica monetaria dell’unione: i paesi finanziariamente più deboli … potrebbero volere
una politica monetaria permissiva, al fine di facilitare il finanziamento del loro deficit di bilancio e/o ridurre il
peso del debito; b) conflitti ancor più gravi possono emergere in materia di distribuzione del credito e delle
risorse reali: alcuni paesi potrebbero temere che il ruolo e le funzioni attribuiti alla Banca centrale europea
possano comportare, in linea di fatto, un obbligo al sostegno finanziario – o addirittura al salvataggio – dei paesi
che si trovino in serie difficoltà» (173).
6
29
senza mettere in pericolo l’obiettivo primario. In questo caso, inoltre, alla banca era garantita
una posizione di indipendenza rispetto al potere politico33.
Il Rapporto Delors aderì alla seconda delle opzioni appena richiamate riconoscendo non
soltanto la necessità di una Banca centrale europea, a cui affidare la politica monetaria comune,
ma precisando anche che questa avrebbe dovuto essere caratterizzata da un’ampia indipendenza
rispetto alle influenze politiche comunitarie e dei singoli Stati membri, oltre a dover garantire la
stabilità dei prezzi34. Profili su cui avremo modo di tornare più diffusamente in seguito.
Visto l’impatto che una simile scelta ha avuto nella determinazione delle caratteristiche della
BCE, è necessario svolgere alcune ulteriori precisazioni in ordine alle ragioni che spinsero a
prediligere il modello tedesco rispetto a quello anglo-francese, pur più diffuso tra i diversi Paesi
membri.
Secondo opinione condivisa 35, in questo caso, non soltanto ha giocato un ruolo determinante la
posizione strategica ricoperta dalla Germania in fase di costituzione dell’unione monetaria, ma
soprattutto una simile scelta è stata avvalorata dall’affermarsi delle tesi economiche monetariste.
Negli anni ‘50 e ’60 l’azione delle autorità monetarie e fiscali era stata orientata al
raggiungimento di un elevato livello di crescita accompagnato da un basso tasso del livello di
inflazione (secondo politiche espansive di ispirazione keynesiana); nel decennio successivo, sulla spinta
di numerose prove empiriche che avrebbero dimostrato effetti di distorsione inflazionistica, gli
economisti della scuola di Chicago 36 cominciarono a sostenere la necessità che le banche
centrali dovessero occuparsi esclusivamente del livello dei prezzi, unico fattore che avrebbero
potuto controllare. Detta tesi comportava importanti riflessi anche sui rapporti tra banca
centrale e politica, imponendo una netta separazione tra le due funzioni e richiedendo, pertanto,
l’indipendenza dell’autorità monetaria. Negli anni ’80, in fase di costituzione dell’Unione
monetaria europea, la maggior parte dei banchieri centrali aveva ormai aderito a questa
impostazione e guardava alla Bundesbank come all’«incarnazione del nuovo paradigma
monetarista»37. Un modello che, a sua volta, si era affermato in Germania fin dal 1957, con la
legge del 26 luglio, e che affondava le radici nella terrificante svalutazione monetaria che aveva
portato, negli anni ’20, ad un cambio tra marco e dollaro, dall’iniziale 2 a 1, alla cifra di 4
milioni di marchi per un dollaro 38. Un episodio che ha reso la Germania particolarmente
avversa ai fenomeni speculativi e che probabilmente tutt’ora giustifica, unitamente alla
situazione del suo sistema bancario 39, le posizione assunte dal governo tedesco in questi ultimi
anni nei confronti delle già citate azioni della governance comunitaria.
Il ruolo di leader riconosciuto alla Germania e la già richiamata avversione per i fenomeni
inflattivi non si sono però limitati a incidere su questo profilo. Essi hanno avuto un peso
determinante anche nell’ambito del coordinamento della politica fiscale40, ossia sul secondo
In questo senso, v. P. DE GRAUWE, Economia dell’unione monetaria, Bologna, 2006, 181 ss.
Così F. MERUSI, Governo della moneta e indipendenza della banca centrale nella federazione monetaria dell’europa, in Studi e
note di economica, 1997, 9 ss.
35 Su questo tema v. P. DE GRAUWE, Economia dell’unione monetaria, cit., 181 ss
36 Il riferimento è soprattutto alle tesi esposte da M. FRIEDMAN nello scritto The role of Monetary Policy, in American
Economic Review, 1967, 1 ss.
37 Su questi temi, v. ancora P. DE GRAUWE, Economia dell’unione monetaria, cit. 182 ss.
38 A. PREDIERI, Euro, poliarchie democratiche e mercati monetari, Torino, 1998, 243.
39 Approfonditamente su questo profilo, così come sulla “fobia” tedesca per l’inflazione, v. G. DI GASPARE,
Teoria e critica della globalizzazione finanziaria, Padova, 2011, 381 ss.
40 Su questo punto v. infra par. 6.
7
33
34
pilastro su cui poggia l’accordo della c.d. Unione Economica e Monetaria (UEM) 41, che si
concluse nel 1992 con la firma del Trattato e dei Protocolli di Maastricht. In questa sede, più
precisamente, si stabilì che siffatta unione avrebbe dovuto raggiungersi nel rispetto dei principi
del “gradualismo” e della “convergenza”.
Con il Trattato siglato nel 1992 si decise di trasferire la politica monetaria 42 alla Banca Centrale
Europea43 e al SEBEC, che entrarono però ufficialmente in funzione soltanto il 1° gennaio
1999, mentre per la circolazione dell’euro si dovette attendere ancora fino al 1° gennaio del
2002. Una simile scansione temporale fu determinata, ancora una volta, dal desiderio di
impedire spinte inflazionistiche; timori che determinarono, altresì, l’esigenza di condizionare
l’accesso alla futura unione monetaria al preventivo raggiungimento di una serie di criteri di
convergenza relativi al tasso di inflazione 44, al tasso di interesse45, al tasso di cambio46, nonché
al raggiungimento di un disavanzo di bilancio non superiore al 3% del Pil e a un debito
pubblico non superiore al 60% del Pil.
Per un Paese a bassa inflazione come la Germania, infatti, sarebbe stato impossibile aderire
all’unione monetaria senza costringere gli altri Paesi, con tassi più alti, a una sua riduzione47.
Una posizione che, come ben emerge dalle vicende degli ultimi anni, è rimasta sostanzialmente
immutata.
Ciò detto, è ora possibile analizzare, più nel dettaglio, quali sono state le scelte relative alla
struttura della BCE.
4. Gli obiettivi della politica monetaria della BCE: stabilità dei prezzi e divieto di bail-out.
41
In proposito può essere utile richiamare il par. 24 del Rapporto Delors ove si precisa che «the establishment of
a monetary union would have far-reaching implications for the formulation and execution of monetary policy in
the Community. Once permanently fixed exchange rates had been adopted, there would be a need for a common
monetary policy, which would be carried out through new operating procedures. The coordination of as many
national monetary policies as there where currencies participating in the union would not be sufficient. The
responsibility for the single monetary policy would have be vested in a new institution, in which centralized and
collective decisions would be taken on the supply of money and credit as well as on the other instruments of
monetary policy, including interest rates».
42 Circa gli effetti del trasferimento della politica monetaria a livello europeo, v. A. PREDIERI, Euro poliarchie
democratiche, cit., 304 ss. Sulla legittimità costituzionale di un simile trasferimento si è espresso il Tribunale
costituzionale tedesco nella sentenza del 12 ottobre 1993. In questa pronuncia, il giudice ha ritenuto che
l’«autonomo affidamento della politica monetaria alla competenza sovrana della Banca centrale europea
indipendente – secondo un modello non trasferibile ad altri settori politici – rispetta i limiti costituzionali entro i
quali può essere modificato il principio democratico», grazie alla formulazione dell’art. 88 Cost. tedesca, in Giur
Cost., 1994, II, 677 ss.
43 Per quanto riguarda la struttura, gli organi della BCE sono costituiti da un Presidente, un vicepresidente e 4
membri nominati dal Consiglio Europeo, a maggioranza qualificata (Comitato esecutivo); e da un Consiglio
direttivo composto dal comitato esecutivo e dai governatori delle banche centrali dei 17 Paesi che attualmente
hanno adottato l’euro. Di conseguenza, anche il nostro attuale governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco fa
parte di quest’organo cui sono attribuite le funzioni di: 1. adottare indirizzi e prendere decisioni al fine di
assicurare lo svolgimento dei compiti affidati all’Eurosistema; nonché indicare la politica monetaria dell’area euro
(che comporta, ad esempio, l’assunzione di decisioni circa gli obiettivi monetari, ai tassi di interesse e all’offerta di
riserve nell’euro sistema). Infine, all’interno della BCE è previsto anche un Consiglio Generale che accoglie, oltre
ai soggetti già richiamati, anche i governatori delle banche centrali dei Paesi comunitari che non hanno ancora
aderito all’euro (quale, ad esempio, la Gran Bretagna).
44 Non superiore all’1,5% della media dei 3 Paesi membri con i tassi più bassi.
45 Nel lungo termine, non superiore al 2% della media dei 3 Paesi membri con i tassi più bassi.
46 Nessuna svalutazione della moneta negli ultimi 3 anni prima dell’ingresso.
47 Cfr. P. DE GRAUWE, Economia dell’unione monetaria, cit., 158 ss.
8
Come è noto, uno degli aspetti più problematici legati all’attività delle banche centrali concerne
la difficoltà di comprendere e prevedere la trasmissione degli impulsi di politica monetaria
all’economia e, di conseguenza, l’individuazione degli obiettivi e, in seguito, delle strategie con
cui perseguirli.
La Federal Reserve Americana, ad esempio, indirizza la propria azione alla simultanea «lotta
all’inflazione e .. alla promozione della crescita economica, attribuendo a questi obiettivi pari
dignità»48.
Alla politica monetaria della BCE, in ossequio alle indicazioni fornite dal Rapporto Delors, è
invece stato attribuito l’obiettivo prioritario del mantenimento della «stabilità dei prezzi» (art.
127 TFUE)49, sebbene il medesimo articolo 127 precisi che, fatta salva detta finalità, il SEBEC
debba anche sostenere «le politiche economiche generali nell’Unione al fine di contribuire alla
realizzazione degli obiettivi … definiti dall’art. 3 del trattato …», ossia «lo sviluppo sostenibile
dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su
un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al
progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento dell’ambiente» (art. 3
TUE).
Nel perseguire siffatti obiettivi, il SEBEC deve agire in conformità al principio di un’economia
di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo un’efficace allocazione delle risorse e
rispettando i principi di cui all’art. 119 TFUE: «prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni
monetarie sane nonché bilancia dei pagamenti sostenibile» (art. 119, 3° comma).
Di conseguenza, una simile formulazione avrebbe, in linea teorica, consentito50 di attenuare
l’importanza dell’obiettivo primario della stabilità dei prezzi, a vantaggio del sostegno di
politiche economiche più generali.
Tuttavia, la lettura che la Banca centrale europea ha dato delle sue finalità è stata, almeno fino al
recente passato, profondamente orientata al solo perseguimento dell’obiettivo primario, di cui
peraltro, il Trattato di Maastricht non fornisce un’ulteriore specificazione. La BCE ha così
potuto definirlo autonomamente nell’ambito della sua “Strategia di politica monetaria orientata
alla stabilità” del 1999, come «un aumento sui 12 mesi dell’indice armonizzato dei prezzi al
consumo (IAPC) per l’area dell’euro inferiore al 2%». In seguito, nel 2003, è stato ulteriormente
precisato che con detta scelta ci «si propone di mantenere tale obiettivo nel medio periodo, per
tener conto dei ritardi incerti e variabili con i quali gli effetti delle politiche monetarie si
manifestano, come pure gli shock che influenzano i prezzi, come gli aumenti del prezzo dei
prodotti petroliferi, contro i quali non è del tutto opportuno che la BCE intervenga
aggressivamente poiché non dipende dalla domanda»51.
La grande importanza attribuita alla stabilità dei prezzi, di conseguenza, è finalizzata a rispettare
il divieto di utilizzo della leva monetaria a scopi distributivi, al fine di «impedire qualsiasi
coinvolgimento della Bce nella situazione finanziaria dei diversi Paesi membri. In questo modo,
i mercati finanziari [avrebbero avuto] … la certezza che né la banca centrale né qualsiasi altra
istituzione comunitaria si … [sarebbe posta] – anche solo implicitamente – a sostegno degli
M. ARCELLI, L’economia monetaria e la politica monetaria dell’unione europea, Padova, 2007, 59.
BCE, La strategia di politica monetaria dell’eurosistema, orientata alla stabilità, in Bollettino mensile della BCE, gennaio,
1999, 41.
50 P. DE GRAUWE, Economia dell’unione monetaria, cit., 158 ss.; e E. DOMINGO SOLANS, Should the ECB have broder
objectioves beyond price stability, www.ecb.int.
51 Cfr. A. VERDE, Unione monetaria, cit., 192 ss.
9
48
49
impegni finanziari dei governi nazionali» 52. Una conferma di questa impostazione si rinviene
direttamente in alcune fondamentali disposizioni del Trattato.
Come si è anticipato, infatti, l’assioma su cui si basa la realizzazione dell’Unione monetaria
consiste nel fatto che né la BCE, né gli altri Stati partecipanti possono essere, in nessun caso,
ritenuti responsabili, o tenuti a farsi carico, degli impegni assunti dagli altri soggetti partecipanti
all’unione (art. 125) .
Il Trattato di Maastricht ha così introdotto un regime che induce (dovrebbe indurre?) i singoli
Paesi all’adozione di comportamenti virtuosi, “costringendoli”, in primo luogo, a finanziare i
propri debiti pubblici esclusivamente a prezzo di mercato, secondo il principio per cui «se non è
ammesso il finanziamento in base monetaria del deficit e se il tesoro non dispone di accessi
privilegiati al credito e di altre forme di facilitazione creditizia, la conduzione della politica
monetaria non è ostacolata nel conseguimento dell’obiettivo della stabilità monetaria e la Banca
centrale gode di un’elevata autonomia»53.
La nostra unione monetaria54, da questo peculiare punto di vista, vieta pertanto alla BCE di
svolgere la funzione di lender of last resort (prestatore di ultima istanza) per lo meno con
riferimento al mercato dei titoli dei debiti degli Stati sovrani. A fini di maggior chiarezza, deve
precisarsi che, nell’ambito economico, la nozione di prestatore di ultima istanza può assumere
due diversi significati. Da Bagehot55 in poi, infatti, uno dei ruoli fondamentali, che
tradizionalmente competono a una banca centrale, consiste nel garantire prestiti alle banche in
crisi di liquidità, svolgendo per l’appunto la funzione di prestatore di ultima istanza nei
confronti del sistema creditizio di un determinato ordinamento. Detto compito viene
solitamente svolto anche dalla nostra Banca centrale europea attraverso le c.d. operazioni di
rifinanziamento, che saranno oggetto di analisi del prossimo paragrafo. Una funzione diversa,
invece, è costituita dalla possibilità di agire come prestatore di ultima istanza nei confronti dei
governi nazionali, ossia acquistando titoli del debito dei Paesi membri, nel caso in cui non siano
assorbiti nell’ambito del libero mercato, perché ritenuti eccessivamente rischiosi e, di
conseguenza, collocabili solo a fronte di tassi di interesse eccessivamente onerosi per i singoli
emettitori. L’art. 125 TFUE, appena richiamato, e soprattutto l’art. 123 TFUE, di cui si dirà
infra, vietano espressamente alla BCE di svolgere questo secondo tipo di attività (almeno fino
all’attuale crisi economico-finanziaria)56, finendo per impedire qualunque misura tesa a garantire la
stabilità finanziaria dei singoli Paesi partecipanti all’unione 57.
Un simile divieto ha, a sua volta, rilevanti effetti sul tipo di politica monetaria perseguibile.
Secondo l’impostazione tradizionale di cui si è dato conto in precedenza, infatti, la politica
monetaria dovrebbe essere considerata separata, ma allo stesso tempo subordinata, rispetto alle
istanze di politica economica, soprattutto nei momenti di crisi.
T. PADOA SCHIOPPA, Disciplina fiscale e costituzione monetaria, cit., 191.
M. ARCELLI, L’economia monetaria e la politica, cit., 53.
54 Per una impostazione più possibilista v. M. PACINI, La “vigilanza prudenziale, 381 ss. e la dottrina da esso citata
nonchè G.B. PITTALUGA, La Banca centrale europea e la gestione della politica monetaria e della crisi di liquidità, in Bancaria,
n. 1/1999, 12 ss.
55 W. BAGEHOT, Lombard Street. A Description of the Money Market, London, 1873.
56 Per questa posizione v. P. DE GRAUWE, Stop this Guerillas, cit. e spt il paragrafo 7 e 8.
57 In questo senso, «la separazione della banca centrale da quella propriamente discrezionale del governo spiega
anche come sia possibile mettere in comune le monete nell’Unione europea pur senza un vero e proprio governo
europeo. La necessità di un sistema di checks and balance, controlli e contrappesi, nei confronti dell’autorità
monetaria risulta attenuata se questa viene totalmente privata della discrezionalità quanto al fine della propria
azione», così F. PAPADIA, C. SANTINI, La banca centrale europea, Bologna, 2006, 31.
10
52
53
Nel caso dell’UME, invece, la politica monetaria non può essere in alcun modo utilizzata per
soccorrere quella economica58, determinando, in concreto, una sorta di preminenza della
stabilità, e quindi della politica monetaria, rispetto alla più generale politica economica tout
court59.
L’integrazione monetaria e, più in particolare, l’assioma della sua stabilità avrebbero così
comportato, secondo alcuni, una vera e propria “inversione” di tendenza rispetto alle società
occidentali contemporanee, alimentando dubbi circa la compatibilità delle disposizioni
comunitarie contenute nel Trattato relative all’Unione monetaria, con le norme costituzionali in
materia economica dei singoli Paesi membri60, oltre a produrre rilevanti effetti di tipo
economico.
Più precisamente, proprio con riferimento a questo profilo, il rigido perseguimento
dell’obiettivo della stabilità dei prezzi e il divieto di bail-out avrebbero privato la BCE – e di
conseguenza l’intera unione – della possibilità di utilizzare la politica monetaria per stimolare la
crescita e l’occupazione61; potere che rientra, invece, pienamente nel mandato della Federal
Reserve62, oltre a costituire, in passato, una prassi comune per molti paesi dell’eurozona che,
soprattutto negli anni ’80 e ’90, avevano di frequente fatto ricorso alla correzione di eventuali
“shock economici asimmetrici”, tramite interventi sui tassi di cambio o di interesse 63 e con
l’acquisto dei titoli del debito dei rispettivi Paesi. La BCE, diversamente, in virtù del quadro
normativo che si è appena tratteggiato, può anche essere costretta ad adottare – come è
A. MALATESTA, La Banca centrale europea. Gli aspetti istituzionali della banca centrale della Comunità europea, Milano,
2003, 31 ss. Dal rapporto Delors sembrava, invece, emergere una diversa impostazione. Con riferimento alla
politica macroeconomica, infatti, il par. 33 sottolienava come «the broad objective of economic policy
coordination would be to promote growth employment and external balance in an environment of price stability
and economic cohesion. For this porpose coordination would involve defining a medium term framework for
budgetary policy within the economic and monetary union; managing common policies with a view to structural
and regional development; formulating in cooperation with the ESCB Council the Community’s exchange rate
policy and participating in policy coordination at the international level».
59 L. MELICA, Il sistema europeo della banche centrali e la sovranità degli stati membri della comunità europea: riflessioni
sull’ordinamento italiano, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 1995, 2, 403 ss. Posizione in linea con l’interpretazione offerta
da Merusi fin dal 1980, relativa ad una rilettura dei rapporti tra l’art. 47 Cost. e l’art. 4., in Commentario alla
Costituzione, in G. Branca (a cura di), sub art. 47, 156. Sul tema v. anche le osservazioni di A. PREDIERI, Non di solo
euro. Appunti sul trasferimento di poteri al Sistema europeo delle banche centrali e alla Banca centrale europea, in Dir. un eur.,
1998, 1, 7 ss.
60 Cfr. G. BUCCI, Implicazioni dei rapporti tra ordinamento giuridico italiano ed ordinamento comunitario sul ruolo della Banca
d’Italia, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 1998, 1 93 s. e ancora più criticamente v. sempre ID., Diritto e politica nella crisi
della “globalizzazione”, in www.marxi21.it, pubblicato il 22 febbraio 2010, ove denuncia come «la prospettiva
dell’europeizzazione è stata assunta … come motivazione per alterare il quadro dei principi relativi alla “forma di
governo” contenuti nella “seconda parte” della Costituzione, anche se si perseguiva, in realtà, lo scopo di
sostituire le norme della “prima parte” volte alla socializzazione della proprietà e dell’impresa, con altre
improntate al primato “dell’economia” sulla “socialità”».
61 In questo senso v. T. PADOA SCHIOPPA, Unione monetaria e unione politica, in id., La lunga via dell’euro, Bologna,
2004, 196-197, che sottolinea come «nella preparazione del Trattato è stato raggiunto fin dalle fasi iniziali un
consenso sul principio che la politica monetaria unica della Comunità sarebbe stata condotta da una banca
centrale europea (BCE), indipendente sia dalle istituzioni comunitarie, sia dalle istituzioni nazionali. La bce
avrebbe come obiettivo la stabilità dei prezzi e, compatibilmente con quest’ultima, darebbe il proprio sostegno
alla politica economica generale della Comunità. Viene così accettato il principio che la dimensione politica della
politica monetaria comunitaria sarà relativamente contenuta».
62 Detta istituzione, infatti, assume un duplice obiettivo potendo adottare manovre del tasso di interesse in
funzione degli scostamenti sia dell’inflazione, sia del reddito rispetto ai valori obiettivo.
63 Per queste riflessioni v. A. PREDIERI, Euro, poliarchie democratiche, cit., 304-305.
11
58
accaduto – «misure che comunque salvaguardino la stabilità della moneta a scapito di altre che,
almeno in prospettiva contingente, sarebbero invece d’aiuto alle politiche generali» 64, oltre a
non poter intervenire come lender of last resort dei debiti dei propri membri.
Tutti limiti che si sono manifestati con prepotenza nel momento in cui l’eurozona ha
cominciato a essere investita dagli effetti della crisi economico-finanziaria del 2008.
4.1. Gli strumenti di politica monetaria a disposizione della BCE.
Individuato l’obiettivo primario della stabilità dei prezzi, occorre ora passare a considerare le
modalità scelte dalla BCE per perseguirlo.
Per meglio comprendere l’operato della nostra autorità monetaria, infatti, occorre ricordare
come, secondo la dottrina economica, la stabilità dei prezzi può essere raggiunta tramite due
diverse strategie ossia il monetary targeting o l’inflaction targeting. Il primo modello di intervento
prevede la fissazione di un tasso di variazione della quantità di moneta ritenuta rilevante e
richiede successivi interventi correttivi, qualora ci siano degli scostamenti rispetto a questi
valori. Diversamente, nel secondo caso, l’autorità monetaria annuncia un tasso di interesse per il
futuro e gli interventi correttivi sono posti in essere soltanto in caso di inflazione effettiva
diversa da quella programmata.
La politica monetaria intrapresa dalla BCE, almeno in un primo momento, ha seguito una via
intermedia tra i due orientamenti appena richiamati, perseguendo la stabilità dei prezzi
attraverso tre diversi elementi: in primo luogo, la banca ha fissato l’obiettivo della stabilità dei
prezzi in termini quantitativi, inteso come valore obiettivo del tasso di inflazione da raggiungere
nel medio periodo pari al 2% (secondo il modello dell’inflaction targeting); nello stesso tempo, però, la
sua politica antinflazionistica ha previsto l’annuncio del tasso di variazione della quantità di
moneta desiderata ritenuto coerente con l’obiettivo della stabilità dei prezzi (c.d. monetary
targeting), anche se in questo caso, la quantità di moneta si è limitata a divenire una variabile di
riferimento e non ha vincolato la banca centrale all’intervento 65; infine, sempre a fini
antinflazionistici, la strategia della BCE ha previsto il monitoraggio di una serie di indicatori
(quali andamento dei salari, tassi di cambio, indicatori della politica fiscale e risultati di inchieste
condotte sui comportamenti di imprese o consumatori) che si ritenevano utili per prevedere
l’andamento del tasso di inflazione.
Nel corso degli ultimi anni, invece, la BCE ha progressivamente smesso di indicare il tasso di
variazione della quantità di moneta, finendo per assumere una strategia più orientata all’inflation
targeting, in quanto limitata a raggiungere un obiettivo inflazionistico in termini quantitativi
perseguito manovrando il tasso di interesse.
A ciò si deve aggiunge un’ulteriore considerazione. Le tradizionali autorità monetarie possono
di norma operare facendo variare l’offerta di moneta avendo a disposizione la creazione di base
monetaria per il finanziamento del deficit pubblico (c.d. tesoro); il finanziamento del sistema
bancario a fronte dell’emissione di titoli e cambiali (c.d. economia); infine, la creazione di base
monetaria finalizzata a coprire i saldi della bilancia dei pagamenti (c.d. estero) 66.
Nella caso della BCE, invece, opera il già citato divieto di finanziare il debito pubblico dei
singoli Stati membri tramite emissione di moneta, che trova formalizzazione nell’art. 123 (ex
art. 101) del Trattato. La norma proibisce la concessione di «scoperti di conto o qualsiasi altra
A. MALATESTA, La Banca Centrale Europea, cit., 33.
BCE, La strategia, cit., 48 secondo cui «nel fissare un valore di riferimento non è implicito un impegno da parte
dell’eurosistema a correggere, nel breve periodo, deviazioni della crescita monetaria da quel valore».
66 Per un approfondimento, v. A. VERDE, Unione monetaria e nuova governance europea, Roma, 2012, 27 ss.
12
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65
forma di facilitazione creditizia da parte della BCE o da parte delle banche centrali nazionali, a
istituzioni o agli organi della comunità, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o
altri enti pubblici, ad altri organismi del settore pubblico o ad imprese pubbliche degli Stati
membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli del debito da parte della BCE o delle banche
centrali nazionali [corsivo nostro]».
Una simile proibizione comprende anche l’impossibilità di adottare «qualsiasi misura, non
basata su considerazioni prudenziali, che offra alle istituzioni, agli organi o agli organismi
dell’Unione, alle amministrazioni statali… un accesso privilegiato alle istituzioni finanziarie».
Se a siffatto divieto si aggiunge la scelta di lasciare i tassi di cambio alla determinazione del
mercato, si comprende come in realtà la BCE sia costretta ad operare pressoché esclusivamente
tramite l’immissione (o il ritiro) di liquidità dal sistema bancario, ossia con le c.d. operazioni di
mercato aperto e quelle con le controparti67, oltre alla manovra della riserva obbligatoria, tesa a
modificare il coefficiente di riserva cui è soggetta ciascuna azienda di credito.
La BCE e le nostre singole Banche centrali, infatti, possono «operare sui mercati finanziari
comprando e vendendo a titolo definitivo (a pronti e a termine), ovvero con operazioni di
pronti contro termine, prestando o ricevendo in prestito crediti e strumenti negoziabili, in
valute sia comunitarie che di altri paesi, nonché metalli preziosi; effettuare operazioni di credito
con istituti creditizi ed altri operatori di mercato, erogando i prestiti sulla base di adeguate
garanzie» (art. 18 Statuto SEBEC). In altre parole, il SEBC può porre in essere solo una serie di
operazioni finalizzate ad immettere liquidità nel sistema, acquistando dalle banche o vendendo
ad esse titoli contro moneta68.
Più precisamente, il secondo comma dell’art. 18 appena richiamato, mette a disposizione diversi
strumenti di politica monetaria per il rifinanziamento del sistema bancario, ossia le già
richiamate operazioni di mercato aperto, che sono finalizzate a «controllare i tassi di interesse,
determinare le condizioni di liquidità sul mercato e segnalare l’orientamento della politica
monetaria»69 e che, a loro volta, si distinguono in operazioni: di rifinanziamento principale, di
rifinanziamento a più lungo termine70, di fine-tuning71 e di tipo strutturale72.
In condizioni “normali”, ossia fino al 2008, la Banca centrale ha potuto influire sui tassi di
interesse del mercato monetario dell’eurozona “limitandosi” a fissare i tassi di interesse di
A. VERDE, Unione monetaria e nuova governance europea, cit., 184-185.
Sul punto v. S. DE DONNO, La politica monetaria della BCE, in F. Belli, V. Santoro (a cura di), La Banca Centrale
Europea, Milano, 2003, 427.
69 S. DE DONNO, La politica monetaria della BCE, cit., 429.
70 In questi casi «si tratta di operazioni temporanee di finanziamento svolte mediante la stipula di contratti di
finanziamento garantiti da pegno su attività idonee, utilizzando la procedura d’asta ordinaria …. Le operazioni di
rifinanziamento principali hanno normalmente la durata di una settimana»; quelle più a lungo termine di 3 mesi,
così BANCA D’ITALIA, Strumenti di politica monetaria dell’eurosistema-Guida per gli operatori, versione aggiornata del 6
marzo 2013, 16,.in www.bancaditalia.it.
71 Questo tipo di operazioni viene utilizzato per «ridurre gli effetti di fluttuazioni impreviste della liquidità sui
tassi di interesse … [esse] possono essere sia di finanziamento sia di assorbimento di liquidità e sono condotte
normalmente dalle banche centrali nazionali tramite asta veloce o procedure bilaterali», BANCA D’ITALIA,
Strumenti di politica monetaria dell’eurosistema, cit., 17.
72 Le operazioni strutturali, invece, «sono utilizzate dall’Eurosistema per modificare la posizione strutturale del
sistema bancario nei propri confronti. Tali operazioni non sono svolte secondo un calendario standard e
comprendono: a) operazioni temporanee di rifinanziamento …; b) emissioni di certificati di debito della BCE; c)
acquisti e vendite definitivi di titoli», BANCA D’ITALIA, Strumenti di politica monetaria dell’eurosistema, cit., 18.
13
67
68
riferimento e a regolare le condizioni di liquidità del mercato monetario dell’eurozona, tramite
le citate operazioni di rifinanziamento, eseguite con aste competitive 73.
Simile attività è divenuta, tuttavia, insufficiente con l’insorgere della crisi.
Prima però di passare a considerare questo profilo, è necessario ancora offrire alcuni cenni a
proposito del vincolo organizzativo posto alla BCE, ossia la sua indipendenza.
5. Il vincolo “organizzativo” della BCE: tra indipendenza e accountability.
Il modello di BCE, forgiato dagli accordi di Maastricht, è completato dal vincolo organizzativo
dell’indipendenza che deve essere garantito all’autorità monetaria 74, non soltanto a causa della
pluralità degli Stati membri suoi referenti 75, ma soprattutto, come si è anticipato, in base alle tesi
economiche monetariste76. Questo principio si trova ben esplicitato nell’art. 130 TFUE (ex art.
108)77, secondo cui «nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro
attribuiti dai trattati e dallo statuto del SEBEC e della BCE, né la banca centrale europea né una
banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o
accettare istruzioni dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione, dai governi degli
Stati membri né da qualsiasi altro organismo78. Le istituzioni, gli organi e gli organismi
dell’unione i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non
cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della banca centrale europea o delle
banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti».
Detto principio acquista, nel caso della BCE, una valenza particolarmente ampia a tal punto da
giustificarne sue quattro diverse accezioni: ossia istituzionale, strumentale, personale e
finanziaria. La prima declinazione del principio di indipendenza sembra trovare diretta
connessione con l’appena citato art. 130 TFUE, relativo al divieto di accettare istruzioni o
sollecitazioni da qualunque altro soggetto. Con la nozione di strumentale, invece, ci si riferisce
Sul punto v. BCE, Bollettino del mese di ottobre 2010, consultabile su www.ecb.europa.eu.
Circa l’eccezione al principio democratico, alla base dell’impostazione che prevede che la politica monetaria
debba essere attribuita ad un soggetto come la banca centrale, indipendente rispetto al potere politico, v. ancora
una volta la sentenza del Tribunale tedesco del 1993.
75 Membri che potevano al più apparire come partecipanti ad una confederazione. Per questa opinione v. U.
LEANZA, Gli aspetti istituzionali dell’unione economica e monetaria, in Scritti in onore di Giuseppe Federico Mancini, Vo. II,
Diritto dell’Unione Europea, Milano, 1998, 568 ss. secondo cui «una sua eventuale dipendenza avrebbe potuto
configurarsi soltanto nei confronti del Consiglio dei Ministri, mentre non è stata accettata dai Paesi comunitari
l’idea di una sua dipendenza dalla Commissione, non solo in quanto tale istituzione non è dotata del potere
decisionale ma anche in quanto quest’ultima è indipendente dagli Stati membri».
76 BCE, La strategia di politica monetaria dell’eurosistema, orientata alla stabilità, cit., 43 secondo cui «la politica
monetaria raggiunge la massima efficacia quando è credibile, quando cioè, vi è la piena fiducia nel fatto che essa è
integralmente votata al raggiungimento dell’obiettivo della stabilità dei prezzi ed è attuata in modo da raggiungere
efficacemente tale obiettivo».
77 Sull’interpreazione del principio di indipendenza della BCE sancito da quest’articolo, v. la sentenza della Corte
di giust. 10 luglio 2003, in causa C-11/00, in Commissione europee c. BCE, ove il giudice ha sancito che «il
riconoscimento alla BCE dell’indipendenza di cui all’art. 108 non ha la conseguenza di distaccarla completamente
dalla Comunità europea, né di sottrarla a qualsiasi controllo o potere del legislatore comunitario, poiché, ai sensi
degli artt. 8 e 105 TCE, agendo nei limiti ad essa conferiti dal Trattato dallo Statuto, deve contribuire alla
realizzazione degli obiettivi della comunità europea»; per un commento alla pronuncia v. F. SUCAMELI,
L’indipendenza della Banca centrale europea fra separazione ed equilibrio istituzionale, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2004, 2,
694 ss.
78
Per un’analisi comparata delle riforme introdotte dai singoli ordinamenti nazionali al fine di adeguarsi
all’introduzione della moneta unica v., E. PAPARELLA, Governo della moneta in Europa: la “convergenza normativa” in
materia di banche centrali, in Riv. ital. dir. pubbl. comun., 2001, 321 ss.
14
73
74
alla necessità che la BCE, in ossequio all’art. 127 TFUE, persegua l’obiettivo primario della
stabilità dei prezzi, astenendosi dal finanziare eventuali disavanzi pubblici, ex art. 123 TFUE79;
mentre le accezioni relative all’indipendenza personale e finanziaria si riferiscono
rispettivamente alle garanzie di stabilità dei soggetti che operano per l’istituzione e alla sua
capacità di poter gestire e godere di proventi propri.
Il Trattato richiede inoltre che queste caratteristiche siano garantite anche alle banche nazionali
dei singoli Paesi membri; di conseguenza l’art. 131 impone a ciascuno di essi di adeguare la
propria legislazione nazionale al modello previsto per la BCE.
Dalle disposizioni appena richiamate emerge la volontà di garantire al sistema delle banche
centrali un ampio grado di indipendenza rispetto alle influenze del livello politico, sia esso
nazionale o comunitario, finendo per trasformare la BCE in un’autorità monetaria “più
indipendente” non soltanto della Federal Reserve America, ma della stessa Bundesbank che ne è
stata il modello80.
Quest’ampia indipendenza, però, rischia di generare un pericoloso deficit dal punto di vista
dell’accountability dell’istituto, ossia della possibilità che la Bce sia tenuta a rispondere delle azioni
e delle politiche da essa adottate. Un fatto rilevante soprattutto se si considerano gli ampi poteri
che le sono stati attribuiti. Come è stato sottolineato nei paragrafi precedenti, infatti, non
soltanto la Bce può determinare pressoché liberamente gli obiettivi della propria politica
monetaria, a fronte di una formulazione del Trattato assolutamente generica (si veda in
proposito il già richiamato documento sulla Strategia di politica monetaria), ma è anche priva, di
fatto, di una controparte politica che possa esercitare un effettivo controllo sul suo operato. A
dimostrazione della veridicità di questo assunto, si consideri che l’unico modo per modificare lo
statuto della Bce è tramite un intervento sullo stesso Trattato, che richiede il voto unanime di
tutti i Paesi membri. Nel sistema americano, diversamente, gli obiettivi della Fed sono fissati
direttamente dal livello politico, mentre il Congresso ha il potere, a maggioranza semplice, di
modificarne l’atto costitutivo81.
Per sottolineare la pericolosità di una simile mancanza di controllo sulla nostra autorità
monetaria, può essere utile ricordare le famose lettere che Claude Trichet, governatore uscente
della BCE, e Mario Draghi, suo successore, hanno inviato al Governo italiano e a quello
spagnolo, nell’agosto 2011, in cui erano dettate tutta una serie di misure necessarie ad assicurare
la stabilità delle finanze dei due Paesi. Interventi che ricomprendevano, nel caso nostrano, la
«piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali … il sistema di
contrattazione salariale collettiva … [nonché] un’accurata revisione delle norme che regolano
l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti». Indicazioni che hanno finito per incidere
profondamente sulle linee politiche di intervento economico dei due Stati membri e che sono
giunte da un soggetto (ossia il governatore della BCE) che dovrebbe essere preposto a guidare la
“sola” stabilità monetaria82, per giunta in una posizione di piena indipendenza rispetto al potere
politico.
Sul punto, F. PAPADIA, C. SANTINI, La banca centrale europea, cit., 30.
Concordano su questa opinione anche L. BINI SMAGHI, D. GROSS, Open Issues in European Central Banking, 1999
e S. EIJFFINGER, J. DE HAAN, European Monetary and Fiscal Policy, Oxford, 2000.
81 Con riferimento a questi profili, v. P. DE GRAUWE, Economia dell’unione, cit., 196.
82 Per un’analisi che si focalizza sui profili di incostituzionalità di questa missiva, v. il commento di G. GRASSO, Il
costituzionalismo della crisi, cit., 82 ss.; per una diversa lettura della posizione assunta dalla BCE v. invece, L. BINI
SMAGHI, Guadagnare tempo, in id., Morire di austerità. Democrazie europee con le spalle al muro, Bologna, 2013, 168 ss.
15
79
80
Non è pertanto un caso che, nel momento attuale, in cui la politica monetaria della BCE si è
fatta più incisiva, a chiedere conto dei suoi comportamenti non sia stato un altro organismo
comunitario, ma piuttosto un singolo Stato membro, la Germania, che ha chiesto alla propria
Corte Costituzionale di valutare la legittimità (costituzionale) degli atti adottati dalla Banca
centrale alla luce della propria Carta fondamentale. Questa può essere la dimostrazione di come,
effettivamente, il meccanismo dell’Unione monetaria sia stato edificato con il chiaro intento di
proteggere e isolare la BCE dalle influenze politiche, dimenticando però di introdurre i
necessari correttivi finalizzati a rendere possibile un suo puntuale controllo. Un problema
inevitabilmente destinato ad acuirsi in futuro, anche in vista dei nuovi poteri in materia di
vigilanza bancaria che andranno ad accrescere le sue funzioni83.
6. Le conseguenze del modello adottato.
Le riflessioni fin qui condotte hanno consentito di mettere in luce i principi che hanno guidato
la costituzione dell’Unione monetaria europea, una sorta di esperimento, vista la presenza di
una serie di Stati che hanno sì ceduto la loro sovranità monetaria, ma hanno, pur con
importanti limiti, mantenuto il controllo sugli altri “settori” della politica economica, prima fra
tutti la politica fiscale.
Cercando di fare il punto, si può allora ricordare come la politica monetaria comune nasca sotto
l’egida di una banca centrale vincolata al pressoché esclusivo mantenimento della stabilità dei
prezzi, una finalità che viene ulteriormente garantita dallo statuto di indipendenza nei confronti
delle istituzioni comunitarie e dei singoli governi nazionali, che non le consente in alcun modo
di operare, almeno a livello teorico, con finalità diverse, quali, in primis, in supporto delle
economie di singoli Paesi membri. Ad ulteriore conferma di questa impostazione, alla banca
centrale sono stati imposti una serie di divieti che sono finalizzati a negare il ruolo di prestatore
di ultima istanza dei debiti sovrani. Siffatta scelta impone, inoltre, il perseguimento di una serie
di principi cardine, per il perseguimento dell’unione monetaria, costituiti, oltre che dal fine della
stabilità dei prezzi, da «finanze pubbliche e condizioni monetarie sane nonché bilancia dei
pagamenti sostenibile», secondo il disposto dell’art. 119 TFUE.
Siffatti obiettivi hanno così contemporaneamente giustificato l’introduzione di una serie di
meccanismi di coordinamento delle politiche economiche dei diversi Paesi partecipanti, quali il
c.d. Patto di stabilità e crescita, approvato con il Trattato di Amsterdam nel 199784, finalizzato
ad «assicurare il continuo rispetto dei criteri di convergenza relativi al disavanzo e al debito
pubblico, che devono mantenersi rispettivamente nei limiti del 3% del PIL e del 60% del PIL, e
di rafforzare la sostenibilità del progetto d’integrazione monetaria europea»85. In particolare, il
Patto poggiava su tre diversi pilastri, rispettivamente costituiti da obiettivi quantitativi imposti ai
83
In proposito si v., da ultimo, il Regolamento n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, che attribuisce
alla Banca centrale europea specifici compiti in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti
creditizi.
84 Con la risoluzione del Consiglio europeo di Amsterdam del 17 giugno 1997 sul Patto di stabilità e crescita,
pubblicata in GUCE C-236 del 2 agosto 1997 e con i regolamenti del Consiglio n. 1466/97 CE del 7 luglio 1997,
per il rafforzamento della vigilanza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento
delle politiche economiche, e n. 1467/97 CE del 7 luglio 1997, per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità
di attuazione della procedura sui disavanzi eccessivi, entrambi in GUCE L-209 del 2 agosto 1997, 1 ss.
85 A. VITERBO, La riforma del Patto di stabilità e crescita, in Il diritto dell’economia, 1/2012, pubb. on line, nonché sul
tema V. GIOMI, F. MERUSI, Politica economica e monetaria, in M.P. Chiti, G. Greco (a cura di), Trattato di diritto
amministrativo europeo, Milano, 2007, 1463.
16
diversi paesi membri (regole numeriche), da una sorveglianza multilaterale nonché da una
procedura che sanziona disavanzi eccessivi.
Dette misure sono culminate, nel dicembre 2011, nella firma del c.d. Fiscal compact86, ossia di
quell’accordo intergovernativo, denominato Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla
governance nell’Unione economica e monetaria europea, finalizzato ad imporre «una serie di
regole intese a rinsaldare la disciplina di bilancio, attraverso un patto di bilancio; a potenziare il
coordinamento delle loro politiche economiche e a migliorare la governance della zona euro,
sostenendo in tal modo il conseguimento degli obiettivi dell’Unione europea, in materia di
crescita sostenibile, occupazione, competitività e coesione sociale» 87.
Non è certo questa la sede per soffermarsi sul contenuto estremamente vincolante, per i bilanci
dei Paesi firmatari, delle disposizioni ivi contenute; qui può essere sufficiente ricordare come
esso imponga di raggiungere una posizione di pareggio di bilancio o di avanzo che «si considera
rispettata se il saldo strutturale annuo della pubblica amministrazione è pari all’obiettivo di
medio termine specifico per il Paese, quale definito nel patto di stabilità e crescita rivisto, con il
limite inferiore di un disavanzo strutturale dello 0,5% del prodotto interno lordo». Un fine che
deve essere perseguito in tempi brevi e che impone agli Stati, in un momento già difficile, un
aggravio della situazione.
Alla luce delle osservazioni fin qui poste, possiamo allora comprendere come l’unione
monetaria, così ricostruita, rappresenti una «precisa scelta politica … “costituzionale”» 88 che ha
imposto ai singoli Paesi membri di privarsi della possibilità di utilizzare la leva monetaria,
sottoponendosi ad un controllo sempre più rigoroso della propria condizione economicofinanziaria89.
Da un diverso punto di vista, e proprio in ragione di queste peculiarità, gli economisti avevano
inizialmente sottovalutato il ruolo della BCE e, soprattutto, la sua capacità di tramutarsi in un
autorevole attore sulla scena politica comunitaria e internazionale, data la già richiamata assenza
della fondamentale funzione di prestatore di ultima istanza90. Una situazione che avrebbe
potuto determinare un suo isolamento, relegandola in una posizione di sostanziale debolezza91.
L’art. 4 dello Statuto prevede che la BCE possa venir consultata «in merito a qualsiasi proposta di atto
comunitario che rientra nelle sue competenze» nonché dalle singole autorità nazionali «sui progetti di disposizioni
legislative che rientrano nelle sue competenze, ma entro i limiti e alle condizioni stabiliti dal Consiglio…».
Inoltre, «la BCE può formulare pareri da sottoporre alle istituzioni o agli organismi comunitari competenti o alle
autorità nazionali su questioni che rientrano nelle sue competenze».
87 Art. 1, Fiscal compact.
88 F. MERUSI, Governo della moneta e indipendenza, cit., 10.
89
In Italia si pensi, ad esempio, alla modifica art. 81 Cost. sul c.d. pareggio di bilancio. In generale su questa
tematica si vedano gli scritti di C. BUZZACCHI tra cui si può ricordare Copertura finanziaria e pareggio di bilancio: un
binomio a rime obbligate?, in Rivista AIC, n. 4/2012, su www.rivistaaic.it. In proposito può essere ancora utile ricordare
come l’art. 8 del trattato attribuisca alla Corte di giustizia il potere di sindacare il corretto inserimento della regola
di bilancio, dei paesi firmatari, nell’ambito dei rispettivi ordinamenti. In particolare, «tali disposizioni dovrebbero
avere “preferibilmente” natura costituzionale e avere efficacia entro un anno dall’entrata in vigore del trattato
(articolo 3, paragrafo 2). Inoltre, il riferimento operato dall’articolo 8 all’intero articolo 3, paragrafo 2, dovrebbe
coprire anche l’inserimento a livello nazionale del meccanismo di correzione automatico che dovrà scattare nel
caso di significative deviazioni dall’obiettivo di medio termine, sulla base di principi comuni elaborati dalla
Commissione europea», così come specifica il Dossier 94/DN del 24 aprile 2012, p. xii-xiii, presentato al Senato
della Repubblica dal Titolo Il Trattato sul Fiscal compact e consultabile sul sito www.senato.it.
90 G.P. PITTALUGA, G. CAMA, Banche centrali e democrazia, cit., 201.
91 L. CHIEFFI, Banca centrale e sviluppi della governance europea, in Rassegna Parlamentare, 2005, 125.
17
86
Le vicende degli ultimi anni mostrano, invece, uno scenario completamente diverso in cui,
stante la perdurante mancanza di una governo politico comunitario, la banca centrale è andata
ampliando il proprio ambito di intervento fino a giungere talora a incidere e influenzare la
stessa gestione della politica economica degli Stati nazionali, così come già si è detto nel corso
del precedente paragrafo, con le lettere al governo spagnolo e italiano del 2011 nonché,
soprattutto, con gli interventi diretti a fronteggiare l’attuale crisi economico-finanziaria, di cui è
giunto il momento di parlare.
7. L’azione monetaria della BCE nella difficoltà di conciliare i vincoli genetici e le nuove esigenze imposte
dalla crisi.
La struttura dell’unione monetaria, così congegnata, ha potuto funzione per quasi un decennio,
garantendo un periodo di sostanziale tranquillità e sicurezza, testimoniato dal forte cambio sul
dollaro, oltre che da interessi particolarmente bassi sui debiti dei singoli stati sovrani. Siffatta
situazione è però velocemente mutata a partire dal 2008, quando gli effetti della crisi dei mutui
sub-prime, scoppiata negli USA, ha cominciato ad aggredire dapprima il sistema bancario
europeo e, in seguito, gli Stati più deboli dell’eurozona.
In risposta a questo contesto, l’azione monetaria della BCE si è fatta più incisiva, cominciando
a forzare i limiti giuridici di cui si è detto (finendo per offrire un’interpretazione più elastica dello stesso
principio di stabilità monetaria)92, nel tentativo di immettere liquidità per sostenere il sistema
bancario e per supportare i debiti degli Stati sovrani in difficoltà.
Per quanto riguarda il primo tipo di misure, essa ha proceduto a rifinanziare il sistema bancario
facendo ricorso a tutti gli strumenti a sua disposizione, tramite, ad esempio, l’acquisto di covered
bond bancari, per poi passare ad ampliare i c.d. collaterali, ossia gli assets, utilizzati dalle banche
come garanzia per i finanziamenti93. Si noti che fino alla crisi del 2010, alla BCE, e alle altre
banche centrali, era vietato acquistare titoli dei governi nazionali e le operazioni di
rifinanziamento potevano riguardare esclusivamente titoli privati; in seguito, invece, detto
divieto è stato rimosso e sempre più spesso le operazioni hanno avuto ad oggetto, o hanno
utilizzato come garanzia, proprio i titoli pubblici dei diversi paesi 94.
Più nel dettaglio, nell’ottobre 2008, la Banca europea è intervenuta con una serie di prestiti a
lungo termine, tramite aste di liquidità a tasso fisso (c.d. special long term refinancing operation o
SLTRO), che, rispettivamente, nel dicembre 2011 e nel febbraio 2012 hanno raggiunto
l’eccezionale durata di tre anni con un tasso all’1%. In questi casi, inoltre, la Bce ha accettato
come garanzia anche titoli governativi non aventi un rating di credito elevato, purché già
sottoposti ad un programma approvato dall’Unione Europea e dal Fondo monetario
internazionale.
In proposito si vedano le opinioni di M. PACINI, nel suo articolo La “vigilanza prudenziale”, cit., 381-382,
secondo cui, in caso di crisi temporanea di liquidità, il quadro normativo del Trattato e dello Statuto non
avrebbero impedito, a priori, alla Bce di sostenere la stabilità finanziaria, anche se sacrificando, nel minor modo
possibile, gli obiettivi monetari.
93 Sul punto v. F. NUGNES, L’Europa e la crisi. Gli interventi della Banca centrale europea e la creazione del Meccanismo
europeo di stabilità, in www.forumdiquadernicostituzionali.it.
94 Cfr. A. VERDE, Unione monetaria, cit., 190 ss.
18
92
Sul piano dei tassi di interesse, si deve invece ricordare che sempre a partire dal dicembre 2011,
la BCE ha proceduto ad un costante taglio del costo del denaro giunto, attualmente, al minimo
storico dello 0,25%95.
Finché, però, la BCE si è “limitata” a questa tipologia di interventi, esercitando, di fatto, la
funzione di lender of last resort nei confronti del solo sistema bancario europeo, la sua azione non
ha incontrato particolari opposizioni da parte dei singoli Governi nazionali 96.
La situazione è invece profondamente mutata quando la Banca centrale ha inaugurato una
politica tesa a supportare i singoli Paesi in difficoltà, intervenendo, in concreto, come lender of
last resort sul mercato dei titoli dei debiti degli Stati sovrani.
A partire dal 2010, infatti, con l’eccezionale misura nota come Securities Market Programme
(SMP)97, ossia il Programma per i mercati dei titoli finanziari, è stato consentito alle Banche
centrali dell’eurozona e alla stessa BCE di intervenire nei mercati secondari dei titoli di debito
pubblici e privati dei paesi aderenti all’euro 98.
Inoltre, nel corso del 2012, la Banca europea ha deciso di adottare un nuovo sistema di
operazioni di acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario, ossia il già menzionato Outright
Monetary Transactions,99, subentrato al precedente SMP, allo scopo di ridare fiducia ai mercati e
consentire una calmierazione dello spread relativo ai debiti degli Stati sovrani più in difficoltà.
In questo caso, il programma – che, come già si è detto, non è mai stato utilizzato - prevede la
possibilità di acquisti illimitati di obbligazioni sovrane, a breve termine, emessi dai Paesi in
“grave e conclamata” difficoltà economica, dimostrata dal fatto che il richiedente ha avviato un
programma di aiuto precauzionale con il MES, ovvero con la SESF. Si noti che siffatto
strumento, a differenza del precedente SMP, non prevede un massimale per gli interventi e non
trasforma la BCE in un creditore privilegiato in caso di default.
I due meccanismi appena richiamati hanno permesso alle banche di acquistare titoli di debito
degli stati membri sul “mercato secondario”, ossia titoli di Stato che sono già in circolazione,
acquistandoli dalle banche a prezzi di mercato, sul presupposto che il divieto contenuto nell’art.
123 TFUE, più volte citato, si riferisse esclusivamente al c.d. “acquisto diretto”, ossia l’acquisto
dei titoli al momento dell’emissione tramite un’asta organizzata da un’istituzione pubblica
comunitaria.
Un’interpretazione che, però, alla luce del quadro fin qui descritto, appare come un vero e
proprio escamotage, che si basa esclusivamente sulla possibilità di distinguere tra acquisto sul
mercato primario e secondario dei titoli.
Era pertanto inevitabile che l’OMT, soprattutto per la mancata previsione di un massimale per
le operazioni e per l’assenza di idonee garanzie alla BCE, incontrasse l’aperta ostilità dei Paesi
più virtuosi e, in particolare, della Germania, che si è vista ancora una volta costretta a
L’ultimo ribasso si è avuto lo scorso 8 novembre 2013 con una mossa a sorpresa della BCE. In generale su
questi profili, v. G. VERGA, M.G. SOANA, A. MONTICINI, La politica monetaria nell’eurozona e negli USA, in
Osservatorio monetario, 1/2013.
96 Salvo ancora una volta la Germania; in risposta a queste critiche v. M. DRAGHI, Intervento alla giornata in ricordo
di Federico Caffè, speech del 24 maggio 2012
97 Sul punto si veda la decisione della BCE 14 maggio 2010, BCE/2010/5.
98 Su questi temi si rinvia all’analisi di G.L. TOSATO, L’integrazione europea ai tempi della crisi dell’euro, in Riv. dir.
internaz., 2012, 3, 681 ss.
99 Strumento annunciato dal Consiglio direttivo della BCE il 2 agosto 2012 e illustrato il 6 settembre dello stesso
anno. Per un’analisi più dettagliata degli interventi che la Bce ha rivolto nei confronti del sistema bancario
italiano, v. A. BANFI, F. DI PASQUALI, Il contributo italiano all’operatività della banca centrale europea, in Osservatorio
monetario, 2013.
19
95
impugnare detto meccanismo di fronte alla propria Corte costituzionale, che dovrà decidere se
esso costituisca un ennesimo pericolo per i suoi contribuenti100. In sintesi, il giudice di Karlsruehe
dovrà stabilire se lo strumento ideato dalla Banca centrale viola il divieto di bail-out, di cui all’art.
123 cit., con gravi conseguenze in caso di sua bocciatura 101.
In attesa della pronuncia, può essere utile ricordare come già nel 2012, a proposito del MES, la
Corte costituzionale tedesca ha dato alcune indicazioni circa la politica monetaria della nostra
Banca centrale europea affermando che secondo il giudice dalla disciplina comunitaria sarebbe
desumibile «la volontà dell’EU e degli Stati membri di limitare strettamente i compiti della BCE
alla cornice prestabilita dal diritto dell’unione», aggiungendo inoltre che «un acquisto di titoli
statali sul mercato secondario da parte della BCE, volto a finanziare i bilanci degli Stati membri
indipendentemente dai mercati dei capitali, rappresenta un’elusione del divieto di finanziamento
monetario dei bilanci ed [è quindi] vietato» 102. Una posizione che, se confermata anche dalla
nuova pronuncia, potrebbe scatenare rilavanti effetti sull’area euro, fino a giungere a realizzare
addirittura l’uscita della stessa Germania dall’unione monetaria, del resto già profetizzata da
alcuni autorevoli economisti103. Un’ipotesi non irrealistica se si considera che, fin dalla sentenza
Maastricht104 del 1993, il giudice costituzionale tedesco ha continuato a ribadire che il passaggio
alla terza fase dell’Unione economica e monetaria sarebbe stato possibile solo se nell’ottica di
una “comunità di stabilità”, fondata sugli art. 127, c. 1 e 130 del TFUE105, e rimarcando che
siffatta adesione non avrebbe fatto in alcun modo venire meno «il dovere dello Stato di
garantire l’osservanza dei diritti fondamentali dei suoi cittadini»106.
Le riflessioni fin qui condotte, del resto, evidenziano come la posizione della Germania sia
rimasta ancorata all’impostazione originaria dell’unione monetaria e, fatto ancor più rilevante,
probabilmente ad un’interpretazione “giuridicamente corretta” delle cornice normativa in cui
opera la Bce.
8. Conclusioni.
Negli ultimi anni, la crisi economico-finanziaria ha indotto la BCE ad assumere misure
straordinarie107, che hanno risvegliato l’attenzione, e spesso le critiche, dell’opinione pubblica e
dei tecnici.
Molti economisti giudicano negativamente la posizione assunta dalla BCE, poiché ritengono
che essa non avrebbe fatto abbastanza per sostenere la crescita nell’eurozona, a differenza,
invece, della politica attuata dalla Federal Reserve Americana108.
Per una confutazione di questa tesi v. P. DE GRAUWE, Fiscal implication of the ECB’s Bond Buying Program, Paper,
June 2013, in www.voxeu.org.
101 Sui rischi che l’Eurozona potrebbe correre, qualora la Corte Federale costituzionale Tedesca dovesse
pronunciarsi contro l’OMT, v. F. GIAVAZZI, R. PORTES, B. WEDER DI MAURO, C. WYPLOSZ, The wisdom of
Karlsruhe: The OMT Court case should be dismesse, in www.astrid-online.it.
102 Cfr. A. DI MARTINO, La sentenza del Bundesverfassungsgericht sul Meccanismo Europeo di stabilità e sul Fiscal
Compact, cit., 7.
103 Per questa posizione v. P. DE GRAUWE, Stop this Guerrilla Campain Against ECB Policy, in Financial Times,
October, 2012.
104 BVerfGE 89, 155, del 12 ottobre 1993.
105 Sul punto v. A. DI MARTINO, La sentenza del Bundesverfassungsgericht sul Meccanismo Europeo di stabilità, cit. 5.
106 Per questo richiamo v. ancora A. DI MARTINO, La sentenza del Bundesverfassungsgericht, cit., 5.
107 Spesso affiancandosi al lavoro della Commissione europea e del Fondo monetario internazionale, con cui
costituisce l’ormai famigerata Troika; per una ricostruzione di queste vicende v. ancora G. GRASSO, Il
costituzionalismo della crisi., cit., 67 ss.
20
100
Nell’ottica giuridica, però, simili critiche appaiono quanto mai ingiuste.
L’analisi offerta in questo scritto, infatti, ha consentito di evidenziare gli ostacoli che
imbrigliano la politica monetaria della BCE. La nostra Banca centrale ha fatto tutto ciò che era
ed è in suo potere per svolgere un ruolo di supporto al sistema europeo, senza sfuggire alle
proprie responsabilità, anche se è evidente che i vincoli genetici, di cui si è dato conto nei
paragrafi precedenti, - quali in primis l’obiettivo prioritario della stabilità dei prezzi e il divieto di
bail out -, rappresentano ostacoli che non possono essere ignorati.
Gli interventi posti in essere per fronteggiare l’emergenza dimostrano come la Banca centrale
abbia addirittura operato come lender of last resort nei confronti dei debiti pubblici dei Paesi
membri, nonostante l’esplicito divieto contenuto nel suo statuto, adottando una serie di azioni
che hanno probabilmente impedito a una situazione già difficile, di divenire ancora più
disperata, ma che non per questo possono dirsi coerenti con il dettato normativo contenuto nel
Trattato109.
A dimostrazione della difficoltà di conciliare questi due aspetti – ossia la compagine giuridica e
le esigenze contingenti –si possono richiamare le vere e proprie “acrobazie” interpretative che
la BCE ha dovuto porre in essere, come dimostrano le parole che Jorg Asmussen ha utilizzato,
lo scorso 11 giugno 2013, per difendere proprio l’OMT di fronte alla Corte di Karlsruehe110. Il
membro dell’executive board dell’ECB, infatti, a proposito della compatibilità di detta misura con
le norme del Trattato, si è limitato a sottolineare come essa non sia in contrasto con il divieto di
bail out poiché l’acquisto dei titoli di debito, da parte della BCE, non avviene nel mercato
primario, ma soltanto in quello secondario. Un’interpretazione che è certo giustificata
dall’importanza e dall’impatto che questo strumento – anche se soltanto annunciato – ha avuto
sull’eurozona (in termini di calmierazione dello spread relativo ai titoli del debito pubblico di
alcuni Paesi, tra cui l’Italia), ma che appare, come si è già detto, nulla più di un mero
escamotage111.
Per un richiamo di queste critiche, v. F. SARACENO, BCE e FED, Quantitative Easing o Prestatore di ultima
istanza? La confusione regna sovrana, in www.keynesblog.org.; nonché le osservazioni di P. DE GRAUWE in The European
Central Bank: Lender of Last Resort in the Government Bond Market?, Cesifo working paper, n. 3569, sept. 2011, 13
secondo cui «The ECB has been unduly influenced by the theory that inflation should be the only concern of the
central bank. Financial stability should also be on the radar screen of a central bank. In fact, most central banks
have been created to solve an endemic problem of stability of financial systems. With their unlimited firing
power, central banks are the only institutions capable of stabilizing the financial system. It is time that ECB
recognizes this old truth instead of fleeing from its responsibility».
109 Per questa posizione si v. F. DEBENEDETTI, Dubbi in punto di diritto sulle tesi degli anti Karlsruhe, in www.astridonline.it.
110 Introduction statement by the ECB in the proceeding before the Federal Constitutional Court, consultabile su www.astridonline.it, ove si precisa che «our mandate is clearly formulated in Article 127 …: to maintain price stability.
According to the primary EU law, the ECB and the National central banks of the Eurosystem are already
permitted to purchase government bonds in the financial markets in the contest of their monetary policy tasks
…. While the Treaty clearly states the objective the ECB has to pursue, it describes just as clearly what the ECB
is not allowed to do. Article 123 of the Treaty prohibits monetary financing. In particular, we are not allowed to
buy any government binds directly, i.e. on the primary market. Government bonds can only be purchased if they
are already on the market and traded freely. The market mechanism – the basic principle Member States have to
follow to finance themselves independently – should apply. We therefore also interpret the prohibition of
monetary financing as being comprehensive insofar as ways to circumvent it are addressed. It is not possible to
purchase newly issued government bonds at certain times».
111 Le stesse perplessità solleva anche la già citata pronuncia della Corte di Giustizia C-370/12 sul MES sempre
con riferimento alla sua compatibilità con l’art. 125 del Trattato. Come sottolinea, infatti, E.CHITI (Il meccanismo
di stabilità, cit., 152), grazie ad un’interpretazione funzionale dell’art. 125 TFUE, inteso come norma finalizzata a
21
108
La BCE cerca di sfruttare tutte le “armi” a sua disposizione, ma è evidente l’urgenza di rapidi
cambiamenti, a partire probabilmente proprio dal divieto di intervento nei confronti dei debiti
pubblici e dello stesso fine esclusivo della sua politica monetaria.
Come del resto ormai professano la maggior parte degli economisti, il mantra della sola stabilità
dei prezzi non può più essere sufficiente 112, ma deve comprendere anche la responsabilità della
stabilità finanziaria113. La nostra banca centrale non può adottare misure che incidono, seppur
momentaneamente, sulla politica monetaria, in vista del sostegno alla politica economica
generale114. Senza considerare che il suo ruolo deve comprendere anche la funzione di lender of
last resort sia nei confronti del sistema bancario, sia sul mercato dei titoli dei debiti sovrani 115.
Una prospettiva più ampia che non è del resto estranea neppure al Trattato europeo che, all’art.
119, richiama espressamente il “sostegno delle politiche economiche degli Stati” 116, in vista della
stabilizzazione dei cicli economici e della promozione delle economie nazionali117.
Del resto, come la storia ci ha insegnato, le Banche centrali non rappresentano un’autorità
sempre uguale a se stessa, ma mutano nel corso del tempo118. Le vicende degli ultimi anni
dimostrano quanto questa asserzione sia vera nel caso della Banca centrale europea, che è
divenuta una vera protagonista della scena internazionale e, proprio per questo, si ritiene che sia
ormai arrivato il momento di fare chiarezza sui suoi poteri e i limiti entro cui devono essere
esercitati, superando una volta per tutte l’antico timore inflazionistico.
A questo deve senz’altro aggiungersi una maggior attenzione per i profili di accountability
dell’istituto, al fine di consentire maggiori controlli sul suo operato e misure correttive in caso di
accertate inefficienze.
In sintesi, e pur nella consapevolezza della difficoltà di una simile soluzione, sembrerebbe ormai
giunto il momento – anche in vista dell’attuazione dell’Unione bancaria – di ripensare alla
funzione della BCE, e dell’unione monetaria da essa diretta, cercando di fare tesoro
dell’insegnamento che la crisi ci ha imposto e riassegnando alla politica monetaria, e al suo
regista, il ruolo che dovrebbero essere loro propri, superando i veti e i vincoli contenuti nel
Trattato e riallineando così le esigenze “economiche” al dettato giuridico.
«garantire che gli Stati membri rispettino una “politica di bilancio virtuosa”, nel superiore interesse del
mantenimento della stabilità finanziaria dell’unione monetaria», la Corte giunge ad affermare che essa «non vieta
la concessione di un’assistenza finanziaria da parte di uno o più Stati membri ad uno Stato membro che resta
responsabile dei propri impegni nei confronti dei suoi creditori e purché le condizioni collegate a siffatta
assistenza siano tali da stimolarlo all’attuazione di una politica di bilancio virtuosa».
112 Per una posizione particolarmente critica v. ancora l’opinione espressa da G. BUCCI, Le fratture inferte dal potere
monetario e di bilancio europeo agli ordinamenti democratico-sociali, in www.costituzionalismo.it, 3/2012.
113 P. DE GRAUWE, The European Central Bank, cit.
114 In tema v. A. MALATESTA, La banca centrale europea, cit., 33.
115 Per questa opinione v. ancora P. DE GRAUWE, Stop this Guerrillas, cit., secondo cui «if financial stability is to be
maintained, because the sovereign and the banks hold each other in a deadly embrace. When the banking system
collapses, this threatens the solvency of the sovereign. When the sovereign defaults on its debt, it pulls the banks
into default. This means that the banking sector cannot be stabilized if the sovereign is unstable. A central bank
that wishes to stabilize the banking sector is condemned to also stabilize the government bond market. Failure to
do so leads to a banking crisis, forcing the central bank to provide huge amounts of liquidity to banks that it
refuses to provide to the sovereign».
116 E. DOMINGO SOLANS, Should the ECB have broder objectioves beyond price stability, www.ecb.int.
117 In questo senso v. M. PACINI, La “vigilanza prudenziale, cit., 378 secondo cui nello svolgimento di questo
compito le banche centrali verrebbero «ad assumere la posizione di regolatori di ultima istanza; è ad esse, infatti,
che spetta decidere in che misura gli effetti prodotti dalle scelte adottate dai singoli soggetti pubblici e privati ».
118 Su questo punto v. C. GOODHART, The Changing Roles of Central Banks, in LSE Financial Markets Group, Special
Paper, n. 197, 2010.
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Una strada che, però, vista l’aperta opposizione della Germania, si presenta tutta in salita.
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