Società e diritto n. 2. Febbraio - marzo 2014. 2014. destinato ai soci AGI Questo mese hanno collaborato a questo foglio, oltre al sottoscritto, la dottoressa Francesca Valente, praticante del mio studio, la dottoressa Demelzia Cardellicchio praticante avvocato e consulente del lavoro, la dottoressa Elisa Pachor consulente del lavoro presso lo studio Di Mauro – Tamai – Opara commercialisti e consulenti del Lavoro in Trieste. Segretaria di redazione è a tutti gli effetti la Dottoressa Elisa Alessi segretaria anche del mio studio. Di seguito alcune sentenze del Tribunale di Gorizia e Udine, ritenute significative. Rassegna di alcune sentenze del Tribunale di Gorizia e Udine (il testo è disponibile con offerta libera a favore dell’AGI) Licenziamento Dirigenti Tribunale di Gorizia 06 dicembre 2013 Giudice: Gallo; Ric: G.M.; Res: F V R Impugnazione licenziamento – dirigenti - giustificatezza - giusta causa - giustificato motivo di licenziamento - legittimità licenziamento – obbligo di fedeltà – conflitto di interessi La legittimità del licenziamento di un licenziamento per essere lecito è necessario che esso appaia “giustificato”, non è infatti richiesta l’esistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, come previsto dalla Lg 604/1996 nell’ambito del licenziamento dei lavoratori subordinati. Nella “giustificatezza” del licenziamento di un dirigente si comprende qualsiasi motivo di recesso che ne escluda l’arbitrarietà, con i limiti del rispetto dei principi di correttezza e buona fede nell’esclusione del contratto e del divieto del licenziamento discriminatorio. La sentenza in oggetto concerne un caso di licenziamento di un dirigente avvenuto a causa di consulenze fornite dal ricorrente a favore di aziende agricole concorrenti. Il comportamento del dirigente ha legittimato il licenziamento il quale trova la sua ragione d’essere nella violazione di quel particolare rapporto fiduciario che lega il dirigente ed il datore di lavoro e nello sviluppo delle strategie di impresa che rendono non adeguata la posizione del dirigente nella struttura direttiva dell’azienda. Nota: Nell’ambito del licenziamento dei dirigenti occorre far riferimento alla nozione contrattuale di “giustificatezza” il quale si staccata da quello di giustificato motivo e giusta causa in ragione del rapporto di fiducia che intercorre tra il dirigente e il datore di lavoro. Occorre precisare che non sempre la “giustificatezza” deve coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto di lavoro, in questo caso la legittimità del licenziamento deve coordinarsi con il principio della libertà di iniziativa economia di cui all’art. 41 Cost., quest’ultima infatti verrebbe meno ove si impedisse all’imprenditore, a fronte di razionali di scegliere i propri dirigenti. Questo non vuol dire che il recesso datoriale possa risultare privo di giustificazione, tale comportamento configurerebbe una condotta lesiva della personalità del dirigente. La disciplina contrattuale sulla dirigenza ha si sottratto l’atto di recesso ai vincoli sostanziali del giustificato motivo soggettivo ed oggettivo, lasciando quindi maggior libertà alla cessazione del rapporto ad iniziativa datoriale, ma ha previsto, di contro, che il provvedimento in questione sia sempre adottato con l’osservazione delle regole di trasparenza formale, ove le stesse fossero violate, il licenziamento si considererebbe illegittimo ed arbitrario ritenendo lo stesso privo di giustificazione. 1 L’obbligo di fedeltà, la cui violazione può giustificare il licenziamento, si sostanzia nel dovere di un leale comportamento del lavoratore nei confronti del datore di lavoro. Sulla base del principio di correttezza e buona fede, infatti, il dipendente deve astenersi, oltre che dai comportamenti espressamente vietati dalle disposizioni normative art. 2105 c.c., anche da quelle condotte che, per la loro natura e delle conseguenze, appaiono in contrasto con i doveri connessi al ruolo ricoperto in azienda, ove questi creino conflitto con le finalità e interessi dell’impresa stessa o sono idonei a ledere il presupposto fiduciario del rapporto medesimo. La ratio dell’art. 2105 è quella di impedire qualsiasi attività infedele, in qualunque modo essa venga svolta, ove la stessa possa essere idonea a raggiungere il risultato di potenziare le capacità della concorrenza. Riconoscimento incentivi alla progettazione Tribunale di Udine 20 dicembre 2013 Giudice: Vitulli; Ric: P. G.; Res: ARPA FVG Incentivi progettazione – costituzione fondo corresponsione somme dovute – liquidazione somme – risarcimento del danno. La normativa nazionale in materia di ripartizione dell’incentivo alla progettazione, art. 18 Legge 109/94 e art. 92 comma 5 Dlgvo 163/2006, prevedono che la ripartizione dell’incentivo debba avvenire secondo quanto disposto in sede di contrattazione decentrata ed proposti in apposito regolamento adottato dall’amministrazione. L’art. 14 L.R. 14/2002 precisa che “nelle more dell’emanazione del regolamento, le amministrazioni aggiudicatici applicano il regolamento del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti”. Le nel caso in esame l’amministrazione era inadempiente nell’emanazione del suddetto regolamento, in questi casi il giudice ordinario non potendo condannare la P.A. a costituire un fondo, o sostituirsi ad essa nell’esercizio dell’attività amministrativa quale l’emanazione di un regolamento, può solo riconoscere il risarcimento del danno. Nota: Nell’ambito della P.A. è previsto un compenso incentivante a favore del personale dell’amministrazione per la progettazione di opere pubbliche, esso trova i suoi presupposti dell’apposito fondo interno e nel regolamento per le modalità di erogazione che tali amministrazioni sono chiamate a costituire ed emanare. Qualora il suddetto regolamento non fosse emanato, secondo la Cassazione 3779/2012, sussiste il solo diritto soggettivo al risarcimento del danno dovuto da inottemperanza di un obbligo di legge. Il compenso incentivante, previsto in favore del personale degli uffici tecnici di P.A. per la progettazione di opere pubbliche di cui all’art. 18 comma 1 legge 109/94, posto a carico delle amministrazioni aggiudicatici o titolari di atti di pianificazione generale costituisce trattamento retributivo accessorio a carattere premiale rispetto a quello ordinario ed incentivante dell’attività lavorativa svolta con mansioni di progettazione. La normativa in merito infatti dispone che le amministrazioni sono chiamate ad emanare un regolamento in cui sono disposte la pianificazione la realizzazione dell’opera di cui ci sia stata l’aggiudicazione dell’appalto. Il regolamento in questione non deve limitarsi solo a prevedere la ripartizione del fondo, ma deve dettare una serie dettagliata di disposizioni anche in merito a contenuto e termini delle prestazioni, le quali devono ritenersi strettamente correlate e quindi applicabili solo alle prestazioni future. Il regolamento del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti dispone, in linea generale ed ove vi sia un’inadempienza dell’Amministrazione locale, che la ripartizione del fondo debba essere operata dal dirigente dell’ufficio attuatore dell’interevento, tali somme sono ripartite tra un minimo ed un massimo sulla base del ruolo rivestito dal dipendente nell’ambito della progettazione. 2 Sicurezza sul lavoro Tribunale di Gorizia 2 gennaio 2014 Giudice: Gallo; Ric: V. G.; Res: F. Sicurezza sul lavoro – esposizione aminanto – responsabilità contrattuale – risarcimento del danno – malattia professionale – tutela nei luoghi di lavoro. Le pretese risarcitorie conseguenti a malattia professionale, essendo esse finalizzate a far valere non già una lesione del genere precetto del neminem leadere, bensì la violazione dei doveri di tutela delle condizioni lavorative specificatamente incombenti nel datore di lavoro, essa è di competenza del giudice del lavoro ove si ravvisa una responsabilità contrattuale dell’imprenditore con riferimento agli obblighi di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c. la responsabilità contrattuale si ravvisa quando il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge dalla disposizione che impone l’obbligo di sicurezza. Onere del lavoratore sarà di provare come il danno scaturisca da inadempimento dell’obbligo di sicurezza da parte del datore di lavoro e il conseguente nesso causale. Le caso in esame il ricorrente citava in giudizio il proprio datore di lavoro al risarcimento del danno dovuto da malattia conseguente l’esposizione ad amianto, il datore di lavoro non ha fornito elementi idonei a contrastare le prove, presentate dal lavoratore, le quali dimostrano l’inadempienza circa la sicurezza dei luoghi di lavoro. Nota: Nel caso di qualunque alterazione permanente dell’integrità fisica occorsa al lavoratore esposto ad amianto si configura la colpa specifica del datore di lavoro. Infatti l’art. 21 Dpr 303/56 è una norma generale ed astratta dettata per impedire qualsiasi danno al lavoratore da polveri che si producano nello svolgimento del lavoro. Risulta del tutto ininfluente la conoscenza o meno degli effetti letali dell’amianto anche a basse esposizioni. Il legislatore ha emanato una normativa dettagliata in materia di igiene sul lavoro, essa è un presupposto imprescindibile per tutelare lo stato di salute dei lavoratori ed in particolare delle malattie professionali; il mancato rispetto o l’errata applicazione di tali norme genera responsabilità per i soggetti obbligati qualora da tale omissione derivi qualunque conseguenza pregiudizievole permanente per un dipendente. Per quanto concerne l’aspetto, rilevato nel caso in esame dalla resistente, della conoscenza o meno della pericolosità della lavorazione dell’amianto la Cassazione n° 8970/91 rileva come la pericolosità della lavorazione dell’amianto fosse nota già in tempi passati quando tali lavorazioni erano circondate legislativamente da particolari cautele. Sulla base ti tale intrinseco rischio che si imponeva il concreto accertamento dell’adozione di misure idonee a ridurre il rischio. L’art. 2087 c.c. stabilisce infatti che nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare provvedimenti atti ad impedirne o ridurne, per quanto possibile, lo sviluppo e la diffusione nell’ambiente di lavoro, il tutto in funzione della pericolosità di tali polveri. Per quanto concerne l’elemento soggettivo colposo la prevedibilità dell’evento non riguarda soltanto specifiche conseguenze dannose che da una cerca condotta possono derivare, ma si deve prendere in considerazione tutte le conseguenze dannose che possono derivare da una condotta che sia conosciuta come pericolosa per la salute o per altri beni tutelati dall’ordinamento. Nullità contratto a termine acausale Tribunale di Udine 18 dicembre 2013 Giudice: Berardi; Ric; Z. Res: Poste Italiane 3 Nullità contratto a termine – assenza causale – impugnazione contratto – inefficacia termine – reintegrazione – pagamento somme – termini impugnazione. Il contratto di lavoro per sua natura si considera a tempo indeterminato, vi sono dei casi in cui il legislatore prevede la possibilità di apporre un termine, purché esso sia giustificato. Nel caso in esame il ricorrente dipendente di Poste Italiane ricorre al giudice del lavoro per chiedere la nullità del termine apposto al contratto di lavoro e la reintegrazione in servizio, oltre alla ricostruzione della posizione contributiva ed assistenziale, tale richiesta veniva addotta in quanto il contratto di lavoro in questione non recava la causale giustificativa dell’apposizione del termine, come disposto dall’art. 2 comma 1 bis Dlgs 368/01. Nota: In applicazione dell’art. 32 comma 4 lettera b) della legge 183/10 il contratto a termine, e la relativa cessazione, deve essere impugnato nel termine di 60 giorni dalla scadenza del termine e poi deve essere proposta la relativa azione giudiziale nel successivo termine di 270 giorni. Qualora tali termini non fossero rispettati dal lavoratore, le eventuali domande relative all’invalidità della clausola di apposizione del termine e alla conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato non potranno che essere respinte, con la conseguenza di veder consolidarsi le vicende estintive ormai irrevocabilmente intercorse. Occorre sottolineare che, per le cessazioni di contratto, avvenute dopo il primo gennaio 2013, l’art. 11 della L. 92/2012 ha previsto un termine di 120 giorni per l’impugnazione, anche extragiudiziale, ed un termine di 180 giorni per il ricorso. Di seguito un’ordinanza del Tribunale di Udine (resa su ricorso ex D. Lgs. 216/03) ed una sentenza del TAR che accoglie il ricorso per l’annullamento del diniego di congedo straordinario ex art. 42, comma quinto, D. Lgs 151/2001, che ci sono state gentilmente fornite dal socio Avv. Marco Quagliaro del foro di Udine. TRIBUNALE DI UDINE IL GIUDICE DEL LAVORO letti gli atti e i documenti allegati; sciolta la riserva; - considerato che il ricorrente -come emerge chiaramente dall'accertamento sanitario della commissione medica integrata di cui al verbale del 3/6/2011- è stato valutato idoneo ad attività manuali e intellettuali semplici nonché inseribile nel mondo del lavoro attraverso forme di collocamento mirato (legge 68/99) con intervenuti di supporto, quali servizio di mediazione e utilizzazione di strumenti tecnici; - considerato che siffatta concreta e specifica valutazione sanitaria non è suscettibile di essere messa in discussione, sic et simpliciter, dal mero riconoscimento in favore del ricorrente dell'indennità di accompagnamento atteso che siffatta provvidenza è sganciata dalla capacità lavorativa del beneficiario, essendo rivolta a contribuire all'assistenza delle persone non ricoverate in strutture pubbliche che necessitano di assistenza continua, al fine evidente di contenere la spesa pubblica1; - considerato, pertanto, che il mero godimento di siffatta indennità non è idonea, di per sé, a mettere in discussione, senza uno specìfico accertamento sanitario sulla residua capacità lavorativa del ricorrente, le conclusioni cui è giunta sul punto la commissione medica integrata ; - considerato, in ogni caso, che la residua capacità lavorativa del ricorrente è comprovata, tra l'altro, dalla frequentazione volontaria da parte del ricorrente dal luglio 2012 al febbraio 2013 del Dipartimento di Prevenzione dell'ASS n.4 ;edio Friuli, occupandosi, come certificato dal direttore del S.O.S., di attività amministrativa. quali l'inserimento dati, estrazione pratiche e attività di backoffice; 4 - ritenuto, quindi, che il diniego di attivazione in favore del ricorrente del servizio di mediazione del S.I.L. (Servizio Integrazione Lavorativa) da parte del Comitato Tecnico per il Diritto al Lavoro dei Disabili si risolve in un'oggettiva discriminazione nell'accesso del ricorrente al collocamento mirato in ragione di un'aprioristica valutazione della sua residua capacità lavorativa dedotta dal mero godimento di provvidenze pubbliche (indennità di accompagnamento) destinate a finalità diverse rispetto a quelle della legge 68/99 per il collocamento al lavoro dei disabili; - ritenuto che l'assenza nella fattispecie dell'intento discriminatorio è irrilevante atteso che, ai fini dell'applicazione del D.Lgs.216/2003 ("attuazione direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento di occupazione e condizioni di lavoro") rileva 1'oggettiva discriminazione in ragione del handicap, posto che la finalità di siffatta normativa è proprio quella di promuovere il superamento dì ogni forma di emarginazione e di esclusione sociale della persona disabile; - ritenuto, pertanto, che va ordinato alla resistente di attivare, in favore del ricorrente, il Servizio di Integrazione Lavorativa (S.I.L.); - ritenuto che le spese del procedimento seguono la soccombenza; PQM a) ordina alla resistente l'immediata attivazione, in favore del ricorrente, del Servizio di Integrazione Lavorativa (S.I.L.); b) condanna la resistente al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del procedimento che liquida complessivi Euro 1.537,00 dì cui Euro 37,00 per spese e il resto per compenso, oltre agli accessori dì legge. Udine 29/1/14 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 379 del 2012, proposto da: -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'aw. Marco Quagliaro, con domicilio eletto presso Segreteria Generale T.A.R. in Trieste, p.zza Unita' D'Italia 7; contro Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste, presso la quale è domiciliato in Trieste, piazza Dalmazia 3; per l'annullamento della nota -OMISSIS-di rigetto della richiesta di congedo straordinario retribuito per l'assistenza alla madre disabile ai sensi dell'art. 42, comma quinto, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151; di ogni altro atto connesso o collegato, antecedente o successivo; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2013 la dott.ssa Manuela Sinigoi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO La signora -OMISSIS-, assistente capo di polizia penitenziaria in servizio presso la Casa Circondariale di Udine, espone d’aver chiesto aU’Amministrazione d’appartenenza di fruire del congedo straordinario di cui alTart. 42, comma 5, del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 per la durata di 5 due mesi, dal 1° novembre 2012 al 31 gennaio 2013, per poter assistere la madre 76enne, affetta da handicap in situazione di gravità. Espone, inoltre, che la sua istanza è stata rigettata dal direttore regionale per il Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, con provvedimento in data -OMISSIS-, a causa della ritenuta insussistenza del requisito della convivenza, comprovato — ad avviso del medesimo — “solo dalla concomitanza della residenza anagrafica del soggetto beneficiario e della persona disabile”. La ricorrente, che afferma d’aver documentato la convivenza con la madre mediante dichiarazione sostitutiva di certificazione, contesta la legittimità di tale decisione e ne chiede l’annullamento, previa sospensione cautelare, anche in via interinale e provvisoria inaudita altera parte, sulla scorta di censure così riassumibili: - nel prescrivere il requisito della convivenza, il legislatore ha dato la prevalenza alla situazione di fatto rispetto al dato formale risultante dai registri dell’anagrafe, come comprovato — del resto — dalla disposizione di cui al comma 5-bis della norma dianzi indicata che, a determinate condizioni, riconosce il diritto al congedo anche in caso di ricovero a tempo pieno della persona portatrice di handicap; - l’anagrafe può certificare solo la residenza e, al più, lo stato di famiglia, giammai la convivenza; - l’iscrizione nei registri anagrafici non ha efficacia costitutiva della residenza, essendo tale dato un elemento meramente presuntivo, superabile con qualsiasi mezzo di prova; - il rapporto di convivenza non è escluso, in definitiva, dalla diversa residenza anagrafica. Il Ministero della Giustizia si è costituito in giudizio per resistere al ricorso con il patrocinio dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste ed ha concluso per la sua reiezione. Il Presidente di questo Tribunale, con decreto n. 137/2012, ha accolto interinalmente l’istanza incidentale di sospensione del provvedimento impugnato e tale misura è stata confermata dal Tribunale, con ordinanza n. 3/2013, allorché ha ordinato aU’Amministrazione “di provvedere agK adempimenti necessari alla verifica di fatto della dichiarata effettiva convivenza”. Le parti hanno depositato documenti e memorie. La causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 18 dicembre 2013 e, all’esito della discussione, trattenuta in decisione. Il ricorso merita accoglimento. Osserva, invero il Collegio che, contrariamente a quanto ritenuto daU’Amministrazione, la residenza anagrafica, pur potendo essere sintomatica della convivenza tra il soggetto bisognoso di assistenza e il familiare che tale assistenza presta, non esaurisce di per sé le possibilità di comprovare la convivenza, che — si rammenta — è l’unico requisito espressamente richiesto dalla disposizione di cui all’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001 per la concessione del congedo straordinario invocato dalla ricorrente. Nel caso di specie, consta, peraltro, che la ricorrente, in corso di giudizio, abbia chiesto al Comune di Udine di certificare la sua convivenza temporanea con la madre disabile, ma che il Comune le abbia risposto che l’unica certificazione possibile è una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, con cui l’interessata dichiara il proprio domicilio presso l’indirizzo di residenza della madre (vedi all. 24 e 25 — fascicolo doc. ricorrente) ovvero, in sostanza, una dichiarazione del tenore di quella presentata dalla medesima a corredo dell’istanza di congedo (vedi all. 9 e ss. — fascicolo cit.). Consta, inoltre, che, a seguito dell’ordinanza cautelare su indicata, il Provveditorato Regionale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, abbia chiesto all’Anagrafe del Comune di Udine e all’ATER di Udine di effettuare gli accertamenti di competenza al fine di verificare la sussistenza o meno della dichiarata effettiva convivenza di fatto tra la ricorrente e la madre disabile e che tali accertamenti abbiano dato esito positivo, in quanto è stata accertata la presenza della signora OMISSIS-, ai fini dell’assistenza della stessa (vedi nota ATER Udine in data 26 febbraio 2013, prot. n. 4027, e nota Comune di Udine in data 18 febbraio 2013, prot. n. 981 — PG/E 0016062 — all. 4 e 7 — fascicolo doc. Avvocatura). 6 La convivenza tra madre e figlia risulta, inoltre, ulteriormente avvalorata dalle dichiarazioni e dalla documentazione prodotta dal difensore di quest’ultima nel corso dell’odierna udienza e non smentite da controparte, dalle quali è possibile evincrere che la signora -OMISSIS- ha reiteratamente indicato quale indirizzo di reperibilità durante le proprie assenze per malattia dal posto di lavoro quello di residenza della madre e che alle ore 2.00 del 26/11/2013 ha chiamato da tale indirizzo la guardia medica per la madre (vedi all. 26 — fascicolo doc. ricorrente). Tali eloquenti circostanze fattuali paiono, quindi, al Collegio elementi sufficienti ed idonei a comprovare la convivenza richiesta dalla norma di legge ovvero il “vivere insieme, abitare nella stessa casa” tra la ricorrente e la madre disabile, necessaria ad “assicurare continuità nelle cure e nell’assistenza” e ad “evitare vuoti pregiudizievoli alla salute psico-fisica del soggetto diversamente abile”, coerentemente con la ratio della disposizione di cui all’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151/2001, che è, per l’appunto, quella di consentire l’aiuto, laddove vi siano “situazioni di compromissione (...) tali da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale” (in tal senso Corte costituzionale sentenze 8-16 giugno 2005, n. 233; 18 aprile-8 maggio 2007, n. 158; 26-30 gennaio 2009, n. 19). Non va dimenticato, infatti, che la misura prevista dall’art. 42, comma 5, del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 è riconducibile, al pari di quelle contemplate dalla legge 104/1992, ai principi sanciti dall'art. 3, comma 2, e dall’art. 32 Cost.. Trattasi invero, di agevolazioni dirette essenzialmente ad evitare che la persona in situazione di handicap resti priva di assistenza, così confermandosi che, in generale, il destinatario della tutela realizzata mediante il beneficio previsto dalla legge non è il lavoratore onerato dell’assistenza, bensì la persona portatrice di handicap. Si rammenta, infatti, che il nucleo centrale della tutela è il soggetto disabile e che elemento peculiare, caratterizzante il beneficio in esame, è che il soggetto che chiede di fruire del congedo in questione, viva insieme alla persona disabile da assistere. In definitiva, il ricorso è fondato e va accolto e, per l’effetto, annullato il provvedimento impugnato. Sussistono, in ogni caso, giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite. Ai sensi di legge, il Ministero intimato sarà, però, tenuto a rimborsare alla ricorrente (all’atto del passaggio in giudicato della sentenza), ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis.l, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato daU’art. 21 della L. 4 agosto 2006, n. 248, il contributo unificato nella misura versata. A tutela dei diritti e della dignità della ricorrente e della madre della medesima, occorre, infine, ordinare, ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, che, in caso di sua riproduzione in qualsiasi forma, per finalità d’informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, vadano omesse le loro generalità e gli altri dati identificativi che le riguardano. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, Sezione I, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato. Compensa tra le parti le spese e le competenze di giudizio. Dà, tuttavia, atto che il Ministero sarà tenuto a rimborsare alla ricorrente (all’atto del passaggio in giudicato della sentenza), ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis.l, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dall’art. 21 della L. 4 agosto 2006, n. 248, il contributo unificato nella misura versata. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Ordina, inoltre, che a cura della segreteria di questa Sezione sia apposta sull’originale del presente provvedimento l’annotazione contenente l’ordine di omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti nominati nello stesso, in caso di sua riproduzione in qualsiasi forma, per finalità d’informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica. 7 Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati: Umberto Zuballi, Presidente Enzo Di Sciascio, Consigliere Manuela Sinigoi, Primo Referendario, Estensore ARTICOLI Di seguito uno scritto dell’Avvocato Sibelja, Avvocato Tributarista del foro di Trieste. L’imposizione sui redditi del lavoratore dipendente nel diritto interno ed in quello convenzionale: spunti ricostruttivi. • • • • • • • L’imposizione nella Costituzione La tassazione dei redditi nella imposizione diretta: soggetti residenti e non residenti La localizzazione dei redditi nella normativa italiana La nozione di reddito di lavoro dipendente I redditi derivanti da rapporti di lavoro dipendente all’estero secondo la normativa italiana Le convezioni internazionali contro la doppia imposizione Il credito d’imposta previsto dall’art. 165 T.U.I.R. L’imposizione nella Costituzione L’art. 53, comma 1, Cost., collocato nel Titolo IV - Rapporti politici, prevede che: “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Vengono tutelati due interessi di pari rango: quello della collettività al concorso di tutti alle spese pubbliche, espressivo della funzione solidaristica, e quello del singolo al rispetto della propria capacità contributiva, espressivo della funzione garantistica. Secondo il dato testuale l’esercizio della sovranità impositiva si estende fino a ricomprendere “tutti” coloro che in qualche modo entrano in contatto con l’ordinamento dello Stato, anche a coloro che, pur non essendo italiani, “appartengono economicamente” al territorio dello Stato, nel senso che sfruttandone i servizi sono tenuti a concorrere alle spese. Come noto ciascuno Stato per assoggettare ad imposta una determinata fattispecie reddituale ha bisogno di verificare che questa sia riconducibile all’ambito della propria sovranità tributaria. Tale operazione si realizza attraverso i c.d. criteri di collegamento tra le fattispecie tributarie e l’ordinamento giuridico o il territorio. Tali criteri possono essere “personali” (quali la cittadinanza o la residenza) o “reali” (quali il luogo di origine dei redditi o il sito dei beni). Nella maggior parte degli ordinamenti tributari, seppur con vistose eccezioni , si può riscontrare una generale rinuncia al potere impositivo nei riguardi dei cittadini che non siano residenti nel territorio dello Stato. Tuttavia, non può disconoscersi la fondatezza delle tesi che ritengono del tutto giustificata la potestà in campo fiscale esercitata verso i cittadini non residenti, sul presupposto che anche costoro, pur non presenti entro i confini del territorio, cagionano oneri speciali allo Stato (ad es. per consolati, forze armate, istruzione). D’altro canto lo Stato può assoggettare ad imposizione gli stranieri solo in presenza di un loro ragionevole legame con il territorio statale e, in questo senso, rileva la residenza, anziché la cittadinanza, e in generale il collegamento soggettivo ed oggettivo fra gli indici di capacità contributiva e la sfera territoriale di operatività dell’ordinamento statale. 8 Ciò posto dalla norma costituzionale (art. 53) non si ricava alcuna opzione per il legislatore ordinario circa il criterio di collegamento da seguire al fine dell’esercizio della sovranità fiscale, sicché la regola della “residenza” adottata per le persone fisiche in sede di stesura degli artt. 2 e 3 T.U.I.R. (rubricati rispettivamente “Soggetti passivi” e “Base imponibile” ), può ritenersi unicamente una scelta di politica economica e sociale. E’ soprattutto la dottrina nordamericana a sostenere la tassazione mondiale, collegata alla cittadinanza, sulla base della neutralità fiscale e dell’equità. In particolare dalla neutralità discenderebbe che le scelte di investimento, a parità di variabile fiscale si dirigeranno verso quei mercati e verso quei Paesi che garantiscono la massima efficienza economica. La tassazione dei redditi nella imposizione diretta: soggetti residenti e non residenti Sul piano delle premesse si ricorda che un determinato reddito può essere prodotto sia da un soggetto residente sia da un soggetto non residente. Ad esempio un lavoratore dipendente, che risiede in Italia può prestare la propria attività lavorativa all’estero; può accadere poi che un lavoratore subordinato straniero (residente cioè all’estero) venga a lavorare in Italia. Come si vedrà, ciò comporta un rischio teorico di doppia imposizione, nel presupposto che entrambi gli Stati assoggettino ad imposta sia i residenti (per i redditi complessivamente prodotti) sia i non residenti (limitatamente ai redditi prodotti nel territorio). Il paventato rischio può essere evitato utilizzando due strumenti: (a) attraverso un accordo bilaterale contro le doppie imposizioni stipulato tra i diversi Stati; (b) in base alla norma interna che concede, solitamente , ai residenti lo scomputo, totale o parziale, dalle imposte interne delle imposte estere assolte su redditi prodotti all’estero. In termini più generali si può affermare che la c.d. fiscalità internazionale delle imposte dirette comprende tre ordini di norme: (a) le norme interne che disciplinano la tassazione dei redditi dei non residenti ed i rapporti esteri dei residenti; (b) le convenzioni internazionali; (c) la fiscalità comunitaria. La localizzazione dei redditi nella normativa italiana Per quanto concerne l’IRPEF sono soggetti passivi dell’imposta “le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato” (art. 2, T.U.I.R.) L’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i “residenti” da tutti i redditi posseduti (ovunque prodotti), e per i “non residenti” soltanto da quelli prodotti nello Stato (art. 3, comma 1, T.U.I.R.) Abbiamo cioè per i residenti un criterio di collegamento di tipo personale che segue il principio del “reddito mondiale” (c.d. worldwide income taxation), mentre per i soggetti non residenti è stato adottato un criterio di collegamento di tipo reale (c.d. source-based taxation). Non ha alcun rilievo la cittadinanza. Ai fini della corretta determinazione della potestà impositiva di uno Stato piuttosto che di un altro, sarà necessario individuare, con riferimento ad una determinata tipologia reddituale, innanzitutto il luogo di residenza del titolare (o percipiente qualora si tratti, ad esempio, di lavoratore subordinato). Se quest’ultimo non risulta residente nel territorio dello Stato allora dovrà invece essere individuato, caso per caso, il luogo di produzione secondo i criteri fissati dall’art. 23 del D.P.R. n. 917/86, sulla base del tipo di reddito. La nozione fiscale di residenza diverge da quella civilistica; infatti ai fini dell’IRPEF “si considerano residenti le persone che, per la maggior parte del periodo d’imposta, risultano iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza, secondo quanto disposto dal codice civile” . La nozione di reddito di lavoro dipendente nell’ordinamento italiano 9 Secondo l’art. 49, comma 1, T.U.I.R., sono “redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri” . La norma riecheggia gli elementi definitori del reddito di lavoro dipendente individuati nell’art. 2094 c.c., che qualifica prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga, mediante retribuzione, a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore. Peraltro la definizione tributaria è più ampia di quella civilistica, perchè comprende anche il reddito dei pubblici impiegati nonché le pensioni di ogni genere (e gli assegni ad esse equiparati). Costituiscono altresì redditi di lavoro dipendente le somme di cui all’art. 429, u. c., c.p.c. che il datore di lavoro deve pagare a seguito di sentenza di condanna pronunciata dal giudice di lavoro per crediti di lavoro. La locuzione “alle dipendenze e sotto la direzione di altri” utilizzata dal legislatore tributario costituisce anche la chiave di distinzione del lavoro dipendente da quello autonomo. Tale locuzione presuppone, infatti, la compresenza logica e giuridica di almeno due soggetti e l’esistenza di un rapporto ineguale, in cui cioè uno dei due soggetti si trova in una posizione di subordinazione per ragioni di organizzazione e divisione del lavoro . Per quanto concerne la determinazione del reddito di lavoro dipendente, l’art. 51, comma 1, T.U.I.R. dispone che “il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”. La citata disposizione afferma “l’onnicomprensività del concetto di reddito da lavoro dipendente e, quindi, la totale imponibilità di tutto ciò che il dipendente riceve” . La retribuzione fiscalmente imponibile è dunque un concetto “onnicomprensivo”, con le sole deroghe espressamente previste . Nella determinazione del reddito imponibile di lavoro dipendente non sono direttamente rilevanti le spese di produzione: in luogo della deduzione delle spese effettivamente sostenute, il legislatore prevede una detrazione forfetaria dall’imposta lorda . Dal punto di vista dell’imputazione temporale, i redditi di lavoro sono governati dal principio di cassa; sono quindi imponibili non quando maturano, ma nel periodo d’imposta in cui sono percepiti; per i redditi in natura si tiene conto invece del momento in cui il lavoratore fruisce del servizio o riceve il bene. Vi è qui però una deroga rispetto alla scadenza del periodo d’imposta, perché i redditi percepiti entro il 12 gennaio si imputano al periodo d’imposta precedente, purché “maturati” antecedentemente. I redditi derivanti da rapporti di lavoro dipendente all’estero secondo la normativa italiana Nell’affrontare la questione della tassazione, ai fini della imposizione diretta, dei redditi di lavoro dipendente conviene innanzitutto ricordare la norma dell’art. 3, comma 3, lett. c, del T.U.I.R, la quale escludeva dalla base imponibile IRPEF i redditi di lavoro dipendente prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto . Tale disposizione è stata abrogata, ma ha rappresentato il punto di riferimento per l’imposizione in oggetto sino al 31 dicembre 2000 . Pertanto, come precisato anche in una non più recente pronuncia dell’Agenzia delle Entrate , a partire dal 1° gennaio 2001, essendo cessato il vigore della richiamata norma di esenzione, la normativa applicabile al reddito di lavoro dipendente prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro è quella recata dall’art. 51, comma 8-bis, T.U.I.R., così come previsto dall’art. 36, L. 21 novembre 2000, n. 342. Il regime fiscale di cui all’art. 51, comma 8-bis, T.U.I.R., sempre riferito a soggetti che si considerano residenti fiscalmente in Italia , comporta l’applicazione dell’IRPEF su retribuzioni convenzionali, annualmente definite con apposito decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche 10 Sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze , e si applica a quei lavoratori dipendenti che, nell’arco di dodici mesi, soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni . La retribuzione convenzionale non costituisce altro che un’agevolazione, in linea di principio (sebbene ciò non emerga poi così chiaramente dal testo normativo): infatti, essa viene prestabilita senza tener conto degli ulteriori (comunque solo eventuali) riconoscimenti economici attribuiti al dipendente che compie il sacrificio di soggiornare in altro Stato anziché in Italia. Nel caso in cui l’attività svolta dal lavoratore subordinato non rientri tra quelle previste nelle tabelle del decreto ministeriale che determina la retribuzione convenzionale, andrà riportato in dichiarazione il reddito di lavoro dipendente effettivamente percepito. Per quanto concerne il computo dei giorni di effettiva permanenza del lavoratore all’estero, si fa presente che il periodo da considerare non necessariamente deve risultare continuativo: è sufficiente che il lavoratore presti la propria opera all’estero per un minimo di 183 giorni nell’arco di dodici mesi . Ciò posto va quindi precisato che, relativamente ai “lavoratori dipendenti frontalieri”, la Legge Finanziaria 2001 aveva voluto riproporre l’esclusione dalla base imponibile, per gli anni 2001 e 2002 , dei redditi derivanti da lavoro dipendente prestato all’estero, purché la prestazione lavorativa avvenisse: (a) in via continuativa (b) come oggetto esclusivo del rapporto (c) in zone di frontiera ed in altri Paesi limitrofi da soggetti residenti nel territorio dello Stato . Il ricordato regime di totale “esenzione” (rectius esclusione) dalla determinazione della base imponibile IRPEF è stato quindi sostituito da un beneficio limitato ad opera della Legge Finanziaria 2003. Infatti l’art. 2, comma 11, L. 27 dicembre 2003, n. 289, ha previsto che i redditi derivanti da lavoro dipendente prestato dai “frontalieri” concorra a determinare il reddito complessivo del percipiente per l’importo eccedente 8mila euro . Tale beneficio è stato quindi “prorogato” di anno in anno (da ultimo con la Legge Finanziaria 2008), sicché è tutt’ora vigente. Le convezioni internazionali contro la doppia imposizione Come già accennato uno degli strumenti per evitare il rischio di doppia imposizione sullo stesso reddito è quello della convenzione bilaterale. In questo senso l’Italia ha stipulato con altri Stati, sulla base dell’art. 26 del Modello di convenzione redatto dall’OCSE , delle Convenzioni contro le doppie imposizioni le quali appunto hanno lo scopo di evitare fenomeni di doppia imposizione, individuando, per ogni tipo di reddito, il paese al quale spetta la potestà impositiva. In proposito conviene precisare che se la formula utilizzata dal Modello OCSE relativamente ad un certo reddito prevede l’esclusiva tassazione dello stesso in uno Stato (di regola lo Stato di residenza del possessore del reddito – lo Stato della fonte) , allora il reddito sarà tassato solo nello Stato della residenza con la conseguenza che l’altro Stato contraente esenterà quel reddito (ed inoltre la normativa della convenzione prevarrà comunque sulle disposizioni fiscali interne) . Se invece la lettera della norma prevede genericamente l’imponibilità del reddito nello Stato , allora si determina la tassazione concorrente dei due Stati . Il ricordato Modello di convenzione OCSE prevedere due metodi che lo Stato può scegliere per risolvere il problema della doppia imposizione: il metodo dell’esenzione (art. 23A) ed il metodo del credito d’imposta (art. 23B) Nel primo caso non si verifica alcun fenomeno di doppia imposizione in quanto si esclude dall’imposizione i redditi di fonte estera. Nel secondo invece, per evitare la duplicazione di imposta, viene garantita la deducibilità delle imposte assolte all’estero. 11 Va infine chiarito che se la convenzione contro la doppia imposizione stipulata tra due Stati prevede la tassazione del reddito (es. di lavoro dipendente prestato da un italiano all’estero) soltanto nel paese di residenza (es. in Italia) viene riconosciuto il diritto al rimborso delle imposte pagate a titolo definitivo (da richiedere tramite istanza all’Autorità estera competente). Il credito d’imposta previsto dall’art. 165 T.U.I.R. Relativamente ai redditi di lavoro dipendente prodotti all’estero e percepiti da un soggetto residente possono ricorrere le seguenti ipotesi: a) redditi prodotti in un paese estero con il quale non esiste convenzione contro le doppie imposizioni; b) redditi prodotti in un paese estero con il quale esiste convenzione contro le doppie imposizioni, in base alla quale tali redditi devono essere assoggettati a tassazione sia in Italia sia nello Stato estero; c) redditi prodotti in un paese estero con il quale esiste convenzione contro le doppie imposizioni, in base alla quale tali redditi devono essere assoggettati a tassazione esclusivamente in Italia ; d) redditi prodotti in un paese estero con il quale esiste convenzione contro le doppie imposizioni, in base alla quale tali redditi devono essere assoggettati a tassazione esclusivamente all’estero. Nei casi elencati alle lett. a) e b) il contribuente ha diritto al credito per le imposte pagate all’estero a titolo definitivo, ai sensi dell’art. 165 del T.U.I.R. Nel caso previsto invece dalla lett. c), se i redditi hanno subito un prelievo fiscale anche nello stato estero di erogazione, il contribuente residente nel nostro Paese, non ha diritto al credito d’imposta, ma al rimborso delle imposte pagate nello Stato estero da richiedersi all’autorità estera competente . Nel caso indicato alla lett. d) invece il reddito di lavoro dipendente viene tassato esclusivamente nel Paese estero, in quanto la normativa della convenzione prevale sulle disposizioni fiscali interne .Chiarito ciò l’art. 165 del TUIR prevede che, se il reddito prodotto all’estero concorre alla formazione del reddito complessivo del contribuente in Italia, le imposte pagate all’estero a titolo definitivo su tale reddito, possono essere portate in detrazione dall’imposta netta dovuta nella dichiarazione dei redditi presentata in Italia relativa al periodo d’imposta cui appartiene il reddito prodotto all’estero. La detrazione compete fino alla concorrenza della quota di imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo. Le imposte pagate all’estero sono detraibili se divenute “irripetibili” e, di conseguenza, non possono essere considerate tali quelle suscettibili di modificazione a favore del contribuente (es: imposte pagate in acconto o in via provvisoria e quelle per le quali è prevista la possibilità di rimborso totale o parziale). Se sono suscettibili di rimborso, le imposte pagate all’estero si possono detrarre nell’anno in corso, al netto del rimborso, solo se questo è già stato richiesto ed ottenuto prima di effettuare la dichiarazione in Italia e si possa considerare certo nel suo ammontare . Non è invece necessario, al fine della configurazione della definitività del pagamento delle imposte estere, che il relativo reddito sia accertato in maniera definitiva, ovvero che siano decorsi i termini previsti dalla legislazione interna per l’accertamento dello stesso . Inoltre se alla data ultima per la presentazione della dichiarazione dei redditi non sia ancora noto l’importo detraibile delle imposte estere assolte a fronte della retribuzione erogata dal datore di lavoro straniero per l’attività ivi prestata, tale importo potrà essere indicato nel modello di dichiarazione del successivo periodo d’imposta nel quale l’assolvimento di tali imposte sarà divenuto definitivo . BREVI SCRITTI 12 Di seguito, alcuni semplici articoli redatti da Praticanti dello studio Petracci-Marin. PROFESSIONISTI E GESTIONE SEPARATA: NORMATIVA E NOVITA’ SUGLI ACCERTAMENTI a cura della Dott.ssa Demelzia Cardellicchio La Gestione separata nasce con la Legge 335/95 art. 2 comma 26, essa consiste in un particolare fondo pensionistico, operante in seno all’INPS, finanziato con i contributi previdenziali obbligatori dei lavoratori assicurati il quale garantisce l’assicurazione di invalidità, vecchiaia esuperstiti a tutti quei lavoratori autonomi che non svolgono nessuna delle attività rientranti nelle gestioni speciali INPS, né una libera professione in riferimento alla quale è previsto di un’assicurazione presso una specifica Cassa previdenziale di categoria. Ratio della norma era quello di garantire una tutela previdenziale anche a quei lavoratori autonomi i quali, esclusi dalle gestioni INPS, aggregando anche alcune categorie di professionisti a casse professionali già esistenti. Alla gestione separata sono stati assicurati quindi una serie di figure professionali prima non tutelati, ad esempio gli assegnasti di ricerca, i dottorati di ricerca, beneficiari di borse di studio a sostegno della mobilità internazionale degli studenti. Con l’entrata in vigore del DM 166/96 sono soggeggi a iscrizione alla Gestione Separata coloro che hanno un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, siano essi lavoratori a progetto che occasionali, gli associati in partecipazione, i medici con contratto di formazione specialistica, i lavoratori autonomi occasionali che abbiano un reddito annuo superiore a 5.000 €, i liberi professionisti privi di Cassa di previdenza, i professionisti con tutela previdenaile per i redditi non assoggettati alla Cassa di appartenenza La contribuzione si classifica a seconda dello scopo assicurativo da raggiungere: • contributi previdenziali: versamenti effettuati all’ente previdenziale (Inps per settore privato e Inpdap per settore pubblico) al fine di ottenere la prestazione pensionistica; • contributi assistenziali: versamenti effettuati all’Inps o all’Inail al fine di ottenere la copertura dei rischi legati agli infortuni e alle malattie professionali, all’invalidità e alla malattia. La contribuzione può essere di tipo obbligatoria, in questo caso il versamento è imposto dalla legge in relazione al tipo di lavoro, questo garantisce le prestazioni economiche di sostegno al reddito (esempio cessazione del rapporto di lavoro o liquidazione pensione); oppure di tipo volontaria. L’iscrizione avviene mediante comunicazione telematica all’INPS deve essere comunicato l’inizio dell’attività, il tipo di contratto oltre i dati anagrafici. Per quanto concerne l’aspetto contributivo esso è per un 1/3 a carico del collaboratore ed i 2/3 a carico del committente della base imponibile la quale è rappresentata da tutte le some e valori a qualunque titolo corrisposti ai collaboratori, le aliquote sono ad oggi 27,72 % per i professionisti, mentre per pensionati e coloro che sono iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie si applica un’aliquota del 22%,mentre per i collaboratori l’aliquota è pari al 28,72 Gli adempimenti formali sono interamente a carico del committente, sarà suo onere trasmettere all’INPS i dati retributivi di ciascun lavoratore necessari alla determinazione dei contributi dovuti, provvedere al rilascio della certificazione degli stessi mediante modello CUD, versare mensilmente l’intero contributo (composto dai 2/3 a suo carico e l’1/3 trattenuto al collaboratore mediante F24 entro il 16 giorno del mese successivo a quello di corresponsione del compenso. Importanti novità sono state disposte dall’INPS per i professionisti con cassa, questi oggi possono essere tenuti al versamento del contributivo soggettivo all’INPS ove siano iscritti alla Gestione Separata. Sono stati disposti degli accertamenti per i professionisti i quali pur essendo iscritti ad apposita Cassa previdenziale obbligatoria (es. avvocati, ingegneri ecc) non hanno versato il contributo previdenziale soggettivo previsto dalla Cassa di riferimento e sono stati iscritti alla Gestione Separata, per questi è prevista l’applicazione della sanzione per evasione contributiva del 30%, anche nei casi in cui la dichiarazione (UNICO) è stata regolarmente presentata. 13 Con una circolare del 04 febbraio 2014 l’INPS ha cercato di porre rimedio al caos informativo in merito. Nella circolare n° 18 l’Istituto Previdenziale afferma il principio per cui l’obbligo di contribuzione, sulla base di regolamenti interni alle Casse previdenziali autonome, può venir meno, quindi il professionista può non l’obbligo alla contribuzione previdenziale autonoma ove sia soggetto all’obbligo contributivo presso la Gestione Separata. Sulla base di tale disposizione si può dedurre che il professionista deve effettuare l’iscrizione alla Gestione Separata nel caso in cui non c’è obbligo di pagamento della contribuzione soggettiva o nel caso in cui il professionista si è avvalso della facoltà di non iscrizione presso la propria Cassa. Altro obbligo in seno al professionista è quello di dover compilare il quadro RR del modello unico relativo alla persone fisiche, in esso infatti è determinata la base imponibile ai fini previdenziali. La mancata compilazione del quadro RR comporta l’applicazione della sanzione per evasione, in questo caso per l’Agenzia dell’Entrate la dichiarazione è considerata correttamente inviata, mentre l’INPS provvede sulla base delle disposizioni di cui all’art. 83 comma 1 del Dl. 112/2008 a verificare l’eventuale omissione contributiva. Qualora il professionista ometta volutamente l’iscrizione o la determinazione delal contribuzione nella dichiarazione fiscale verrà applicata la sanzione di evasione fiscale, tale orientamento è anche avallato dalla giurisprudenza, come ad esempio la Cassazione Sezione Lavoro n° 28966/11, Cassazione 305/09, la quale ravvisa la fattispecie dell’evasione in quanto fa presumere l’esistenza di una specifica volontà di sottrarsi al versamento dei contributi dovuti, non avendo valore, ai fini giustificativi, la regolare presentazione della mera denuncia fiscale. Tale orientamento è anche supportato da quanto disposto dall’art. 116 comma 8 legge 338/2000 il quale nel disciplinare le sanzioni di omissione ed evasione contributiva dispone l’applicazione di sanzioni sia nel caso in cui vi è un mancato o ritardo nel pagamento dei contributi e dei premi, in questo caso la sanzione non può essere superiore al 40% dell’importo dei contributi non corrisposti, sia nell’eventualità in cui vi sia stata un’evasione connessa a registrazioni o denuncie obbligatorie o non conformi al vero, in questo caso è prevista l’applicazione di una sanzione civile pari al 30%. La circolare INPS ha cercato di porre rimedio anche alle difformità relative ai regolamenti interni delle casse previdenziali autonome prevedendo la possibilità del pagamento della sanzione ridotta ove il professionista produca un’apposita istanza motivata per l’ottenimento della riduzione della sanzione civile al tasso degli interessi legali, si impegni a versare la contribuzione dovuta in un’unica soluzione o con l’avvio di una formale rateizzazione, non vi siano in capo al richiedente altri debiti diversi da quelli connessi alla fattispecie in esame. RIENTRO DEI CERVELLI INCENTIVI FISCALI: CHIARIMENTI, DISTINZIONE TRA LAVORATORI E RICERCATORI a cura della Dott.ssa Demelzia Cardellicchio Il legislatore ha previsto due norme che si prefiggono un comune scopo, il rientro in Italia delle eccellenze, siano essi ricercatori/docenti universitari che lavoratori/studenti, i quali abbiano maturato esperienze non occasionali all’estero. Attraverso la legge n° 238/2010 riferita ai lavoratori, e la legge n°269/2003 la quale prende come riferimento i ricercatori ed i professori universitari, garantisce a chi “rientra” una serie di benefici attraverso l’applicazione di agevolazioni fiscali sotto forma di riduzione dell’imponibilità del reddito. Per poter beneficiare delle privilegi fiscali il legislatore ha previsto dettagliati requisiti. Per quanto concerne la legge 238/2010 essa individua come soggetti beneficiari delle agevolazioni fiscali i cittadini dell’Unione Europea che vengano assunti, avviano un’attività di lavoro autonomo o d’impresa in Italia trasferendovi il proprio domicilio, o residenza entro 3 mesi dall’assunzione o avvio dell’attività. 14 Il decreto di riferimento fa un ulteriore distinzione nell’ambito dei beneficiari a seconda che questi dopo aver risieduto in Italia abbiano svolto attività di lavoro post lauream oppure abbiano acquisito all’estero un titolo di studio post laurea. Nel primo caso per poter beneficiare degli incentivi fiscali è necessario che il soggetto abbia: risieduto almeno 2 anni in Italia, negli ultimi due anni abbia risieduto e prestato la propria attività lavorativa continuativamente, fuori dal proprio Paese d’origine e dell’Italia; nella seconda ipotesi invece oltre alla residenza di 24 mesi in Italia è necessario che il soggetto abbia conseguito fuori dal suo paese di origine e dall’Italia un titolo di laurea o una specializzazione post lauream. In entrambi i casi per poter beneficiare dell’agevolazione è necessario che il soggetto sia assunto o avvii un’attività di impresa o di lavoro autonomo in Italia. Rientrano in tale ambito non solo le attività di lavoro dipendente, ma anche le attività, che a fini fiscali, producono redditi di lavoro assimilati a quelli di lavoro dipendente sulla base di quanto disposto dall’art. 52 TUIR, l’agevolazione sarà quindi applicabile anche ai redditi derivanti dai contratto di collaborazione a progetto. La prima differenza che si può riscontrare con le disposizioni normative relative al rientro dei cervelli previste per i ricercatori è che per poter beneficiare degli incentivi in esame ai lavoratori che rientrano in Italia non è posto alcun limite circa l’attività che andrà a svolgere, mentre nel caso dei ricercatori è necessario che le mansioni che quest’ultimo andrà a svolgere nel territorio dello stato dovrà essere attinente con l’attività di studio o di lavoro svolto all’estero. Questo stesso principio vale anche se l’attività svolta in Italia è di tipo autonomo, sia essa professionale che artistica. Fondamentale al fine di ottenere le agevolazioni di cui sopra è il trasferimento della propria residenza e domicilio in Italia entro 3 mesi dall’assunzione o dall’avvio dell’attività autonoma, cioè il soggetto deve risultare nelle liste dei soggetti residenti e trasferire il centro principale dei propri affari e interessi in Italia, occorre precisare che ove la residenza o il domicilio sia stato trasferito prima dell’assunzione o dell’avvio dell’attività questo deve essere avvenuto in funzione del lavoro. Per quanto concerne la all’estero per 24 mesi è un requisito comune ad entrambe le figure, studenti e lavoratori, i due anni devono essere ininterrotti, inoltre occorre precisare che il beneficio non compete qualora un soggetto presti la propria attività all’estero alle dipendenze di un datore straniero ed in forza di tale rapporto, rientri nel territorio dello Stato, continuando a lavorare per il medesimo datore di lavoro. Le agevolazioni che si ottengono in questi casi consistono nella riduzione della base imponibile ai fini dell’applicazione dell’IRPEF, per cui è previsto il 20% dell’imponibile per le donne e il 30% per i lavoratori. I beneficiari di tali incentivi decadono ove gli stessi trasferiscano la propria residenza fuori dal Territorio Nazionale prima che siano trascorsi 5 anni dalla fruizione del beneficio, da ciò si desume un altro importante requisito fondamentale, cioè la permanenza della residenza o domicilio in Italia pari a 5 anni, qualora questo requisito non fosse soddisfatto l’Amministrazione Finanziaria provvederà al recupero dei benefici fruiti con l’applicazione delle relative sanzioni e interessi. Le disposizioni in materia di rientro per i docenti e ricercatori esteri, disciplinati dagli artt. 17 Dl. 185/08 e art. 44 DL 78/10 prevedono che, per il periodo dal 29 novembre 2008 al 31 dicembre 2017 i docenti universitari e i ricercatori, siano essi Italiani o stranieri, in questo caso non è posto il limite dell’appartenenza all’Unione Europea, i quali prestino la propria attività di ricerca a favore di Università Italiane o altri centri di ricerca, siano essi pubblici o privati, nonché di imprese o enti, purchè queste dispongano strutture atte alla ricerca, possano beneficiare di incentivi fiscali, alla presenza di determinati requisiti. Per poter beneficiare delle agevolazioni fiscali è necessario che il ricercatore abbia conseguito un titolo di studio universitario o equiparato, abbia risieduto all’estero in modo continuativo e non occasionale, presenti un’accertata documentazione nella quale si illustri l’attività di ricerca presso centri di ricerca pubblici o privati all’estero per almeno due anni continuativi e svolgano in Italia la propria attività o ne diventino fiscalmente residenti. Alla presenza di tali requisiti il soggetto beneficerà dell’agevolazione dei redditi di lavoro dipendente o assimilato, o di lavoro automono, in 15 questo caso i redditi percepiti sono imponibili nella misura del 10% del loro ammontare. L’agevolazione spetta per un massimo di tre periodi di imposta, cioè per l’anno d’imposta in cui il ricercatore diviene fiscalmente residente in Italia e per i due periodi d’imposta successivi purchè permanga la residenza fiscale nel Territorio dello Stato. L’opzione per il regime fiscale agevolato non è vincolante per i periodi d’imposta successivi. Il destinatario deve mantenere la residenza fiscale in Italia per il periodo in cui usufruisce dell’agevolazione, altrimenti decade dal momento in cui trasferisce la residenza. Non è quindi prevista per i ricercatori una clausola di stabilizzazione minima come nell’ambito delle disposizioni per i lavoratori/studenti i quali hanno l’obbligo di mantenere la residenza in Italia per un periodo complessivo di 5 anni dalla data della fruizione del primo beneficio, in caso contrario esso decade ex ante dal beneficio. IL DISTACCO DEL LAVORATORE a cura della Dott.ssa Francesca Valente Il distacco del lavoratore, come noto, è un istituto del diritto del lavoro italiano. Esso consiste nel mettere temporaneamente da parte di un datore di lavoro detto distaccante, a disposizione di un altro datore, detto distaccatario, uno o più lavoratori per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa. È il decreto legislativo 276/2003 (emanato a seguito della Riforma Biagi), nello specifico l’art. 30, a disciplinare per la prima volta nell’ambito del lavoro subordinato privato l’istituto in esame. Precedentemente, infatti, il distacco era unicamente regolato dalla contrattazione collettiva; la precedente previsione di cui all’art. 8 della legge n. 236/1993 era strettamente connessa alla fattispecie “di evitare le riduzioni di personale”. Requisiti di legittimità per un corretto ricorso all’istituto del distacco I requisiti di legittimità del distacco ai sensi dell’art. 30 del d. lgs. 276/2003, ribaditi nella Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 15 gennaio 2004 n.3 e da ultimo con l’interpello n.1/2011, sono: • L’interesse del distaccante: il distacco infatti può essere giustificato da un interesse produttivo del distaccante, di carattere anche non economico, il quale non deve coincidere con l’interesse alla mera somministrazione del lavoro. La Circolare n. 28/2005 del Ministero del Lavoro ha precisato che tale interesse deve essere specifico, rilevante, concreto e persistente ed andrà accertato con riguardo al caso specifico, più precisamente in base alla natura dell’attività espletata e non solo in relazione all’oggetto sociale dell’impresa. Nel caso in cui manchi questa condizione di legittimità, il distacco sarebbe illegittimo e comporterebbe la violazione del divieto di intermediazione di mano d'opera ex L. 1369/60. Più precisamente, l'art. 1 dispone che i lavoratori occupati in violazione del citato divieto devono essere considerati alle dipendenze dell'imprenditore che effettivamente abbia utilizzato la loro prestazione. Pertanto, nel caso in cui il distacco sia privo della indicata condizione di legittimità, il rapporto di lavoro si trasferisce automaticamente e definitivamente alle dipendenze del datore di lavoro che di fatto utilizzi la prestazione del lavoratore distaccato, con conseguente applicazione nei suoi confronti dei contratti di lavoro dei dipendenti di quest'ultimo. • La temporaneità del distacco: deve essere una soluzione per natura non definitiva. • Lo svolgimento di una determinata attività lavorativa: il lavoratore distaccato deve essere adibito ad attività specifiche e funzionali al soddisfacimento dell’interesse proprio del distaccante. Laddove il distacco sia privo di tali requisiti, il comma 5-bis dell’art. 18 del d. lgs. 276/2003 prevede che l’utilizzatore ed il somministratore siano puniti con la pena della ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. Se vi è sfruttamento dei minori, la pena è dell’arresto fino a 18 mesi e l’ammenda è aumentata fino al sestuplo (D. Lgs. 251/2004). Ed ancora, il nuovo comma 4-bis dell’art. 30, D.Lgs. 276/2003, aggiunto dal D. Lgs. 251/2004 prevede, in questi casi, che il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a 16 norma dell’art. 414 c.p.c., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo. In tale ipotesi si applica il disposto dell’art. 27, comma 2, D.Lgs. 276/2003 che, applicato alla fattispecie, prevede che tutti i pagamenti effettuati dal distaccante irregolare, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Inoltre tutti gli atti compiuti dal distaccante irregolare per la costituzione o la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale il distacco ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione. La norma ha senz’altro una notevole utilità poiché gli enti previdenziali, accertata l’imputazione del rapporto di lavoro direttamente in capo all’utilizzatore, tendevano a restituire i contributi versati dal datore di lavoro formale, e a richiederli con le relative sanzioni al datore di lavoro effettivo. Trattamento economico e retribuivo In caso di distacco, il datore di lavoro distaccante resta responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore, anche quando in concreto il distaccatario si sia obbligato al pagamento ed all’erogazione della retribuzione. Inoltre, il distaccante mantiene l’obbligazione contributiva nei confronti degli enti previdenziali. La Circolare INPS del 13.3.2006 n. 41 evidenzia, in particolare, che il distaccato avrà ugualmente diritto agli assegni per il nucleo famigliare, all’eventuale indennità di malattia, maternità, disoccupazione o mobilità, ma non potrà usufruire delle integrazioni salariali eventualmente elargite dal distaccatario, considerato il fatto che, a tutti gli effetti, rimane dipendente dell’azienda d’origine. Per quanto concerne l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie, i premi INAIL, pur se a carico del distaccante, dovranno essere calcolati sulla base dei premi e delle tariffe che sono applicate al distaccatario. Nella nota INAIL del 10.6.2005 e successiva Circolare INAIL del 2.8.2005 si legge che il datore di lavoro distaccante è tenuto a calcolare il premio dovuto per il personale distaccato, applicando la corrispondente voce di tariffa rientrante nella Gestione tariffaria in cui è inquadrata l’impresa distaccataria. L’orientamento giurisprudenziale in materia di distacco La giurisprudenza di legittimità meno recente aveva avuto occasione di esprimersi, con sentenza Cass. Civ. 15.6.1992 n. 7328, in tema di distacco; nello specifico, con riguardo al secondo dei requisiti di legittimità di tale istituto: la temporaneità. L’orientamento in esame era piuttosto consolidato nel ritenere che la temporaneità del distacco significasse non definitività, e che la durata del distacco dovesse coincidere con quella dell’interesse del datore di lavoro a che il proprio dipendente prestasse la sua opera in favore di un terzo (in tal senso anche una pronuncia della giurisprudenza di merito: Corte d’Appello di Milano del 4.5.2011). Tuttavia tale opinione non era unanimemente accolta in seno alla giurisprudenza. In particolare, sugli specifici requisiti della durata del distacco e del tipo di interesse del datore distaccante, la giurisprudenza aveva ritenuto, in talune occasioni, che l’istituto del distacco richiedesse anche l’occasionalità della dislocazione del lavoratore presso altro datore di lavoro (Cass. 24.10.2000 n. 13979) o che non qualsivoglia interesse fattuale al cd. distacco potesse giustificare il medesimo (Trib. Venezia, 20.11.1995). A tal proposito occorre sottolineare come, contrariamente, la Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali 3/2004 afferma che la non definitività è indipendente dall’entità del periodo di distacco, purché sia funzionale alla persistenza dell’interesse del distaccante, il che equivale a dire che il datore di lavoro distaccante può avere interesse ad una più o meno lunga permanenza del proprio dipendente presso terzi, per motivi o con modalità anche non occasionali. Differenze tra trasferimento e distacco Il trasferimento del lavoratore da una sede di lavoro ad un'altra è disciplinato dall’art. 2103 del Codice Civile, modificato dall’art. 13 della L. 300\1970 o Statuto dei lavoratori. Esso dispone che il trasferimento, ovvero lo spostamento del lavoratore da una unità produttiva ad un'altra della medesima azienda, possa essere attuato dal datore di lavoro solo in presenza di 17 comprovate ragioni tecniche organizzative o produttive. Ciò significa, per giurisprudenza costante, che un dipendente può esser trasferito solo a condizione che il datore di lavoro possa dimostrare: • l'inutilità di tale dipendente nella sede di provenienza; • la necessità della presenza di quel dipendente, con la sua particolare professionalità, nella sede di destinazione; • la serietà delle ragioni che hanno fatto cadere la scelta proprio su quel dipendente e non su altri colleghi che svolgano analoghe mansioni. Il giudice, tuttavia, non ha alcun potere di controllo nel merito delle suddette ragioni, ma deve limitare il proprio sindacato a verificare l’effettiva presenza delle ragioni e l’esistenza di un nesso di causalità tra queste e il provvedimento adottato: non è richiesta la prova circa l’inevitabilità del trasferimento. Il trasferimento potrebbe essere disposto anche oralmente, ma la contrattazione collettiva prescrive, tuttavia, nella maggioranza dei casi la forma scritta. Salva diversa indicazione del contratto collettivo, il datore di lavoro non ha l'onere di indicare nell'atto di trasferimento le ragioni tecniche, organizzative e produttive poste a fondamento del trasferimento stesso. L'onere di indicare tali ragioni, infatti, sorge solo ove il lavoratore ne faccia richiesta. In tal caso, pena la inefficacia del trasferimento, il datore dovrà comunicare i motivi del trasferimento entro 5 giorni successivi dalla richiesta del lavoratore. Ove il lavoratore non faccia richiesta dei motivi da parte del lavoratore, peraltro, non comporta acquiescenza al trasferimento e pertanto il lavoratore potrà contestare innanzi al Giudice del lavoro la illegittimità del trasferimento stesso. Stante quanto sopra detto si possono, conseguentemente, così riassumere le fondamentali differenze che intercorrono tra i due istituti del distacco e del trasferimento. Il primo è caratterizzato da: • carattere temporaneo; • mobilità dei dipendenti esterna; • le comprovate ragioni tecniche, organizzative o produttive si rendono necessarie solo ove il distacco comporti un trasferimento del dipendente a più di 50 km. Il trasferimento, invece, è caratterizzato da: • carattere definitivo; • mobilità dei lavoratori interna (da una sede ad un’altra attività produttiva di titolarità del medesimo datore di lavoro); • sono sempre necessarie (a pena di nullità) le comprovate ragioni tecniche, organizzative o produttive. LEGGE DI STABILITÀ 2014: CONSEGUENZE NEL PUBBLICO IMPIEGO (brevi considerazioni) a cura della Dott.ssa Demelzia Cardellicchio Al fine di contenere la spesa pubblica la legge di stabilità 2014 ha apportato importanti limitazioni ai costi nell’ambito del Pubblico Impiego tra cui: 1. Il blocco delle indennità di vacanza contrattuale, qualificabile come un elemento provvisorio della retribuzione previsto al fine di tutelare i lavoratori nel caso di ritardi nella stipula dei rinnovi contrattuali. Dopo un periodo di vacanza contrattuale pari a 3 mesi dalla data di scadenza del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori dipendenti ai quali si applica il contratto medesimo non ancora rinnovato sarà corrisposto, a partire dal mese successivo ovvero dalla data di presentazione delle piattaforme ove successiva, un elemento provvisorio della retribuzione. L’importo di tale elemento sarà pari al 30% del tasso di inflazione programmato, applicato ai minimi retributivi contrattuali vigenti, inclusa la ex indennità di contingenza. Dopo 6 mesi di vacanza contrattuale, detto importo sarà pari al 50% dell’inflazione programmata. Essa per il 18 triennio 2015-2017 resta invariata rispetto agli importi in godimento al 31 dicembre 2013. serie di interventi quali 2. il trattamento accessorio del personale pubblico, l’importo in questione non potrà superare quanto corrisposto nel 2010 3. la limitazione del turn over, questo limiterà le assunzioni nell’ambito della Pubblica Amministrazione, inoltre è previsto il pagamento degli straordinari solo al personale presente in amministrazione e con un tetto massimo previsto da ogni Pubblica Amministrazione 4. il limite massimo retributivo annuo del personale della P.A. 5. la riduzione delle indennità di servizio all’estero e dei rimborsi per le spese di viaggio per il personale delle Ambasciate e dei consolati. MASSIME GIURISPRUDENZIALI FAMIGLIA E MINORI Corte di Cassazione, 6 febbraio 2014 n. 2539 Non può essere addebitata al marito la separazione per la relazione extraconiugale se la moglie aveva interrotto i rapporti sessuali con lui alla nascita del primo figlio. Corte di Cassazione, 5 febbraio 2014 n. 2542 L’eredità paterna dopo il divorzio fa scattare la revoca dell'assegno perché costituisce una rendita: la successione dopo la cessazione della convivenza ben può essere considerata per valutare la capacità economica degli ex coniugi. Corte di Cassazione, 22 gennaio 2014 n. 1277 Il sostegno economico all'interno di una coppia di fatto è un «dovere morale e sociale», soprattutto se uno dei due conviventi vive una condizione di «precarietà: eventuali contribuzioni di un convivente all'altro vanno intese come adempimenti che la coscienza sociale ritiene doverosi nell'ambito di un consolidato rapporto affettivo che non può non implicare forme di collaborazione e di assistenza morale e materiale. Corte di Cassazione, 17 gennaio 2014 n. 927 Il giudice può ridurre l’importo dell’assegno di mantenimento a carico dell’ex coniuge se l’obbligato è anziano e in precarie condizioni di salute. In questo caso, infatti, è prevedibile che l’onerato debba andare incontro a crescenti spese di carattere medico e assistenziale. COMUNIONE, CONDOMINIO E LOCAZIONI Corte di Cassazione, 5 febbraio 2014 n. 2619 Incombe sull'affittuario dimostrare che i danni riscontrati dal proprietario dell'appartamento non sono imputabili a lui. Infatti, in assenza di prova contraria, si presume il «buono stato» dell'immobile. Corte di Cassazione, 23 gennaio 2014 n. 1439 In mancanza di tabelle millesimali, la delibera assembleare adottata in via provvisoria per la ripartizione delle spese condominiali va considerata annullabile e deve dunque essere impugnata entro 30 giorni. Corte di Cassazione, 16 gennaio 2014 n. 821 19 L'amministratore revocato può ben conferire all'avvocato la procura per difendere il condominio nelle more del passaggio di consegne con il successore chi gestisce l'ente collettivo in prorogatio può esercitare anche i poteri processuali fino all'avvenuta sostituzione. Corte di Cassazione, 16 gennaio 2014 n. 820 Per il generale divieto di autotutela nei rapporti privati, è nulla la clausola del regolamento di condominio che, superando l’eccezionale autorizzazione di cui all’art. 70 disp. att. cod. civ., preveda, per le infrazioni dei condomini (nella specie, parcheggio irregolare in area comune), sanzioni diverse da quella pecuniaria (nella specie, rimozione dell’autovettura). Corte di Cassazione, 13 gennaio 2014 n. 466 Deve considerarsi legittima la costruzione di una piccola veranda da parte del proprietario dell’ultimo piano se non reca pregiudizi estetici all’edificio e non compromette in termini di ariosità e luminosità le abitazioni dei piani sottostanti. OBBLIGAZIONI E CONTRATTI Corte di Cassazione, 31 gennaio 2014 n. 2153 Non ha diritto a ulteriori compensi per la transazione l’avvocato che ha ricevuto da un condominio l’incarico di agire in via monitoria nei confronti di due condomini morosi se non prova di aver avuto anche uno specifico mandato a transigere. Corte di Cassazione, 30 gennaio 2014 n. 2076 La ricevitoria è tenuta a pagare la schedina a chi di fatto esibisce il titolo anche se un terzo sostiene di aver subito la sottrazione del cedolino vincente. Corte di Cassazione, 27 gennaio 2014 n. 1636 Delle obbligazioni verso terzi, assunte da una società consorziata nell’esecuzione dell’appalto ad essa assegnato dalla società consortile (nella specie, società cooperativa consortile ammessa ai pubblici appalti), non risponde quest’ultima con il suo patrimonio, non configurandosi alcun rapporto di immedesimazione organica fra essa e la società consorziata conseguente alla delega conferita per l’assegnazione dei lavori, in quanto ciò non trova riscontro nella disciplina generale dei consorzi dettata dal codice civile, né in quella di settore riguardante i consorzi di cooperative e la loro partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici. Corte di Cassazione, 16 gennaio 2014 n. 809 Dalla co-intestazione del conto corrente tra marito e moglie non può desumersi l’animus donandi delle somme versate nel tempo da un solo coniuge, essendo vietata dall’ordinamento la donazione di beni futuri. Mentre, la presunzione della divisione a metà delle somme presenti al momento della costituzione del conto stesso può essere superata attraverso presunzioni semplici. RESPONSABILITA’ CIVILE, DANNI E RISARCIMENTI Corte di Cassazione, 19 febbraio 2014 n. 3964 I genitori possono essere chiamati a pagare i danni causati dai figli anche se i ragazzi sono prossimi alla maggiore età: impartire insegnamenti adeguati e sufficienti ad affrontare correttamente la vita di relazione deve essere assolto con maggiore rigore proprio in ragione dei tempi in cui avviene l'emancipazione dal controllo diretto dei genitori. Corte di Cassazione, 6 febbraio 2014 n. 2716 20 Il danneggiato deve essere risarcito dal fondo vittime della strada anche se omette di denunciare il sinistro alla polizia. Corte di Cassazione, 4 febbraio 2014 n. 2413 L'alunno che si infortuna in gita scolastica ha diritto al risarcimento del danno biologico e morale perchè vengono in rilievo pregiudizi diversi. Corte di Cassazione, 27 gennaio 2014 n. 1608 Deve essere risarcito il danno morale ed esistenziale per la violazione del diritto alla riservatezza anche se i protagonisti del servizio giornalistico pur non citati esplicitamente sono comunque riconoscibili Corte di Cassazione, 15 gennaio 2014 n. 687 Alla stregua del diritto vivente segnato dall'arresto delle Sezioni Unite civili del 2008, la liquidazione del danno non patrimoniale deve essere complessiva, e cioè tale da coprire l'intero pregiudizio a prescindere dai nomina iuris dei vari tipi di danno, i quali non possono essere invocati singolarmente per un aumento dell'anzidetta liquidazione. Il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ. preclude la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona (danno alla vita di relazione, danno estetico, danno esistenziale, ecc.) che costituirebbero vere e proprie duplicazioni risarcitorie. Corte di Cassazione, 14 gennaio 2014 n. 485 La contumacia della parte non preclude il riconoscimento del diritto all’equa riparazione per irragionevole durata del processo. DIRITTO DEL LAVORO Corte di Cassazione, 11 febbraio 2014 n. 3027 Le somme spettanti a titolo di risarcimento danni per violazione dei molteplici obblighi facenti carico al datore di lavoro, hanno natura retributiva solo quando derivino da un inadempimento, il quale, pur non riguardando direttamente l'obbligazione retributiva, tuttavia incida immediatamente su di essa in quanto determini la mancata corresponsione di compensi dovuti al dipendente. Viceversa, le attribuzioni patrimoniali che il lavoratore riceve, come nel caso di cui all'art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010, a titolo di risarcimento del danno per violazione degli altri obblighi del datore, sebbene siano anch'esse dipendenti dal rapporto di lavoro non hanno natura retributiva. Ne deriva che sull'indennità ex art. 32 della citata legge n. 183 non spettano né la rivalutazione monetaria, né gli interessi legali, se non dal momento della pronuncia giudiziaria dichiarativa dell'illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato. Corte di Cassazione, 3 febbraio 2014 n. 2298 Nei licenziamenti collettivi il datore di lavoro è obbligato ad indicare i criteri seguiti in modo trasparente rendendo immediatamente possibile una verifica delle scelte fatte da parte di dipendenti, sindacati e organi amministrativi coinvolti nell'accordo. Corte di Cassazione, 30 gennaio 2014 n. 2055 E’ errata la pronuncia del Giudice di merito che, chiamato ad accertare la eventuale configurabilità della natura simulata del piano di inserimento professionale, in realtà dissimulante un rapporto di lavoro di natura subordinata, ignori del tutto il dato, provato in giudizio, della prestazione dell'attività lavorativa subordinata, da parte del lavoratore ed in favore di quella parte datoriale, già prima dell'inserimento del medesimo nel piano predetto. 21 Corte di Cassazione, 28 gennaio 2014 n. 1725 In caso di licenziamento illegittimo, il datore non può detrarre dal risarcimento del danno il trattamento pensionistico percepito dal lavoratore non potendo ritenersi tale attribuzione acquisita, se non in modo apparente e del tutto precario, al suo patrimonio Corte di Cassazione, 17 gennaio 2014 n. 902 In materia di licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva - nella quale rientra il licenziamento conseguente alla soppressione del posto di lavoro - il datore di lavoro ha l'onere di provare, con riferimento alla capacità professionale del lavoratore ed alla organizzazione aziendale esistente all'epoca del licenziamento, anche mediante elementi presuntivi o indiziari ovvero attraverso fatti positivi, l'impossibilità di adibire utilmente il lavoratore in mansioni diverse da quelle che prima svolgeva o in posti di lavoro confacenti alle mansioni dallo stesso svolte, giustificandosi il recesso solo come extrema ratio. Corte di Cassazione, 17 gennaio 2014 n. 898 Il mobbing è integrato dalla condotta del datore di lavoro consistente, in violazione degli obblighi di protezione di cui all'art. 2087 c.c., in reiterati e prolungati comportamenti ostili, di intenzionale discriminazione e persecuzione psicologica, con mortificazione ed emarginazione del lavoratore, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità di una siffatta condotta assumono, pertanto, rilievo elementi quali la molteplicità dei comportamenti a carattere persecutorio illeciti, o anche leciti se singolarmente considerati, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio. Corte di Cassazione, 13 gennaio 2014 n. 471 L'atto di intimazione del licenziamento per superamento del periodo di comporto, che non precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, attribuisce al lavoratore, il quale ha l'esigenza di poter opporre propri rilievi specifici, la facoltà di chiedere alla parte datoriale la specificazione di tale aspetto fattuale delle ragioni del licenziamento. Ove, invece, il lavoratore abbia direttamente impugnato il licenziamento, il datore di lavoro può precisare in giudizio i motivi di esso ed i fatti che hanno determinato il superamento del periodo di comporto, non essendo in ciò ravvisabile una integrazione o modificazione della motivazione del recesso. FALLIMENTO E ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI Corte di Cassazione, 24 gennaio 2014 n. 1513 In tema di concordato con cessione dei beni, la prededucibilità dei crediti sorti “in occasione” della procedura, prevista dall’art. 111, secondo comma, legge fall., va riconosciuta al credito del proprietario di locali occupati senza titolo da beni ceduti dal debitore ai creditori nella procedura. PROCEDURE ESECUTIVE Corte di Cassazione, 7 gennaio 2014 n. 61 Nel processo di esecuzione forzata, a cui partecipino più creditori concorrenti, le vicende relative al titolo esecutivo del creditore procedente (sospensione, sopravvenuta inefficacia, caducazione, estinzione) non possono ostacolare la prosecuzione dell’esecuzione sull’impulso del creditore intervenuto il cui titolo abbia conservato forza esecutiva, salvo che il difetto del titolo posto a fondamento dell’azione esecutiva del creditore procedente sia originario. 22 DIRITTO PROCESSUALE CIVILE Corte di Cassazione, 18 febbraio 2014 n. 3838 Il rito Fornero si sostanzia in un procedimento speciale relativo a talune controversie concernenti i licenziamenti, strutturato in una fase a cognizione sommaria, in un eventuale giudizio di primo grado a cognizione piena introdotto con l’opposizione ed in un giudizio di secondo grado introdotto da un reclamo. In tale rito il giudizio a cognizione piena è solo eventuale in quanto si attiva con l’opposizione per cui, ove essa non venga proposta, l’ordinanza conclusiva della fase sommaria è idonea a formare il giudicato. Corte di Cassazione, 10 febbraio 2014 n. 2883 La sussistenza delle gravi ed eccezionali ragioni per la compensazione delle spese del giudizio va valutata ex ante e, dunque, con riferimento alla situazione giurisprudenziale esistente all'epoca di proposizione della domanda. Corte di Cassazione, 24 gennaio 2014 n. 1464 Si applica anche alle controversie tra avvocato e cliente il foro del consumatore, previsto dal Codice del consumo e ciò anche quando il cliente rivesta, a sua volta, la qualità di professionista o imprenditore ma abbia conferito il mandato al legale per esigenze non riconducibili a tali attività. Corte di Cassazione, 7 gennaio 2014 n. 76 Nel ricorso per cassazione per violazione di legge, la parte che deduce l’inosservanza in proprio danno delle disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (nella specie, gli artt. 6 e 14), ha l’onere di indicare la regola desumibile dalla Convenzione o dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in casi analoghi e di allegare in che modo il giudice di merito si sia discostato dai parametri della Convenzione, indicando gli elementi concreti di analogia tra il proprio caso e gli altri nei quali in sede europea siano stati applicati i parametri più adeguati e comunque più favorevoli che invoca. DIRITTO E PROCEDURA PENALE Corte di Cassazione, 18 febbraio 2014 n. 7614 Il giudice penale non è vincolato all’accertamento del giudice tributario, ma non può prescindere dalla pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria al fine di verificare la soglia di punibilità prevista dall’art. 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000. Corte di Cassazione, 17 febbraio 2014 n. 7324 Vi è concorso di reato per chi emette le fatture false e le utilizza nella propria dichiarazione dei redditi. Corte di Cassazione, 11 febbraio 2014 n. 6384 Le telefonate e gli sms possono integrare il reato di stalking se pongono il destinatario in un perdurante stato di ansia e di paura. Corte di Cassazione, 11 febbraio 2014 n. 6378 In ordine al reato di omesso versamento delle trattenute previdenziali ed assistenziali, deve evidenziarsi come possa ritenersi tempestivo, ai fini del verificarsi della causa di non punibilità, il versamento delle ritenute previdenziali effettuato dall'imputato nel corso del giudizio, allorché risulti che lo stesso non ha ricevuto dall'ente previdenziale la contestazione o la notifica dell'accertamento delle violazioni o non sia stato raggiunto nel corso del procedimento penale da un 23 atto contenente gli elementi essenziali dell'avviso di accertamento. Se poi il procedimento sia pervenuto in sede di legittimità, senza che l'imputato sia stato posto in grado di fruire dalla causa di non punibilità, deve essere disposto l'annullamento con rinvio della sentenza per consentirgli di fruire della facoltà concessa dalla legge. Corte di Cassazione, 10 febbraio 2014 n. 6145 Il rappresentante legale di una società a partecipazione pubblica locale non è un pubblico ufficiale di conseguenza non si configurano i presupposti soggettivi per l'esercizio dell'azione penale, volta a perseguire i delitti tipici contro la PA. Corte di Cassazione, 4 febbraio 2014 n. 5481 Il danno all'immagine della Pubblica Amministrazione, sia esso perseguito dinanzi alla Corte dei Conti o dinanzi ad altra Autorità Giudiziaria, va configurato come danno patrimoniale da perdita di immagine, di tipo contrattuale, avente natura di danno-conseguenza, la cui prova può essere fornita anche per presunzioni e mediante il ricorso a nozioni di comune esperienza. Corte di Cassazione, 4 febbraio 2014 n. 5227 Se è vero che il reato di ingiuria si perfeziona per il sol fatto che l'offesa al decoro o all'onore della persona avvenga alla sua presenza, è altrettanto vero che non integrano la condotta di ingiuria le espressioni che si risolvano in dichiarazioni di insofferenza rispetto all'azione del soggetto nei cui confronti sono dirette e sono prive di contenuto offensivo nei riguardi dell'altrui onore e decoro, persino se formulate con terminologia scomposta ed ineducata. Corte di Cassazione, 28 gennaio 2014 n. 3680 Nell'ipotesi in cui viene omessa la notifica al difensore del decreto penale di condanna, il vizio è sanato dalla presentazione dell’opposizione che sfugge al termine dei quindici giorni. Corte di Cassazione, 28 gennaio 2014 n. 3655 Qualsiasi difformità significativa rispetto all’opera autorizzata integra un reato paesaggistico: il Codice dei beni culturali infatti non distingue tra parziale e totale difformità dell’opera effettuata. Corte di Cassazione, 24 gennaio 2014 n. 3572 In un campeggio la struttura mobile agganciata al suolo deve ritenersi abusiva soltanto quando l’aggancio non è temporaneo: il reato di costruzione edilizia abusiva è difatti configurabile anche nell’ipotesi di installazione di case mobili aventi una destinazione duratura per soddisfare esigenze abitative. Corte di Cassazione, 23 gennaio 2014 n. 3253 Se il procedimento è da considerarsi identico va escluso il divieto di utilizzazione delle intercettazioni quando tra il contenuto dell’originaria notizia di reato, alla base dell’autorizzazione, e quello dei reati per cui si procede vi sia una stretta connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio, o finalistico. Corte di Cassazione, 20 gennaio 2014 n. 2326 Non bastano tre episodi di violenza, due sul figlio e uno sulla moglie, in un periodo di tre anni per configurare il reato di maltrattamenti in famiglia: il reato de quo richiede per la sua configurazione, una serie abituale di condotte che possono estrinsecarsi in atti lesivi dell’integrità psicofisica, dell’onore, del decoro o di mero disprezzo e prevaricazione del soggetto passivo, attuati anche in un arco temporale ampio, ma entro il quale possono agevolmente essere individuati come espressione di un costante atteggiamento dell’agente di maltrattare o denigrare il soggetto passivo. 24 DIRITTO AMMINISTRATIVO Consiglio di Stato, 22 gennaio 2014 n. 330 La mancanza della dichiarazione sugli oneri sulla sicurezza non comporta l'esclusione dalla gara qualora non vi siano oneri di sicurezza, quando la prestazione posta in gara prevede una prestazione avente natura prettamente intellettuale e nessuna attività era richiesta al di fuori della sede di lavoro della aggiudicataria o, comunque, presso le sedi della stazione appaltante e il bando di gara non preveda niente in proposito. T.A.R. Lazio, 16 gennaio 2014 n. 612 L'Amministrazione è tenuta a pronunciarsi sulla domanda di concessione della cittadinanza italiana entro la scadenza del termine di 730 giorni previsto dal D.P.R. n. 362 del 1994 e dal D.M. n. 228 del 1995 e, in difetto, l'interessato può promuovere azione avverso il silenzio, ai sensi dell'art. 117 c.p.a., al fine di far dichiarare l'illegittimità del silenzio serbato dalla p.a. sull'istanza in questione e ottenere la condanna all'adozione di un provvedimento espresso conclusivo del relativo procedimento. DIRITTO TRIBUTARIO Corte di Cassazione, 20 febbraio 2014 n. 4024 Nel calcolo dei metri quadrati per usufrutire delle agevolazioni prima casa si tiene conto solo dei metri quadrati abiltabili. Il seminterrato non abitabile, per mancanza di altezza minima, non va quindi computato nella superficie dell'abitazione ai fini del raggiungimento della metratura massima per usufruire delle agevolazioni fiscali per la prima casa. Corte di Cassazione, 19 febbraio 2014 n. 3954 In tema di imposta di registro, deve essere esclusa la possibilità di definizione agevolata della lite, ex art. 11 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, qualora non emerga alcuna maggiore imposta da pagare rispetto a quella assolta in sede di registrazione degli atti. Corte di Cassazione, 19 febbraio 2014 n. 3931 In tema di benefici fiscali collegati all’acquisto della prima casa, al verificarsi della separazione legale, la comunione tra coniugi di un diritto reale su un immobile, ancorchè originariamente acquistato in regime di comunione legale, deve essere equiparata alla contitolarità indivisa dei diritti sui beni tra soggetti tra loro estranei, che è compatibile con le agevolazioni, atteso che la facoltà di usare il bene comune, che non impedisca a ciascuno degli altri comunisti “di farne parimenti uso” ex art. 1102 cod. civ., non consente di destinare la casa comune ad abitazione di uno solo dei comproprietari, per cui la titolarità di una quota è simile a quella di un immobile inidoneo a soddisfarne le esigenze abitative. Corte di Cassazione, 12 febbraio 2014 n. 3142 L'accertamento è nullo se l’ufficio non dimostra le ragioni per cui non ha chiuso le operazioni di verifica per tempo: l fisco deve emettere l’atto entro sessanta giorni anche se l’ispezione si è protratta oltre il termine a meno che non dimostri di aver tardato perché la sua attività è stata in qualche modo ostacolata dal contribuente o da circostanze contingenti. Corte di Cassazione, 4 febbraio 2014 n. 2481 La fattura è documento idoneo a rappresentare un costo dell'impresa, attesa la disciplina del suo contenuto ex art. 21, D.P.R. n. 633 del 1972, tale che in ipotesi di fatture che l'Amministrazione ritenga relative ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ha l'onere di provare che le operazioni commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere. Tale prova, ex artt. 25 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600 del 1973 e 54, comma 2, D.P.R. n. 633 del 1972, potrà essere fornita anche mediante presunzioni, nel qual caso passerà a carico del contribuente l'onere di dimostrare la effettiva esistenza delle operazioni contestate. Commissione Tributaria di Perugia, 10 febbraio 2014 n. 215 L'Agenzia del territorio può notificare la revisione della rendita catastale anche senza sopralluogo presso l'abitazione, essendo sufficiente tener conto delle caratteristiche e dell'ubicazione dell'immobile. Commissione Tributaria Lazio, 31 gennaio 2014 n. 194 I redditi di locazione devono essere dichiarati indipendentemente dalla loro percezione ed entrano nell'imponibile Irpef. Corte di Cassazione, 17 gennaio 2014 n. 956 L’art. 138 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 consente ai contribuenti coinvolti nel sisma del 1990 un’ampia rateazione per il versamento dei tributi dovuti, ma non ha, per ciò solo, prorogato il termine per procedere all’emissione degli atti impositivi dell’ufficio. Corte di Cassazione, 17 gennaio 2014 n. 860 L’agevolazione fiscale prevista dall’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 per gli atti esecutivi degli accordi intervenuti tra i coniugi, sotto il controllo del giudice, per regolare i loro rapporti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio o alla separazione personale (ivi compresi quelli aventi ad oggetto il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva mobiliare od immobiliare) spetta solo per gli accordi tra i coniugi e le prestazioni esecutive rese da un coniuge nei confronti dell’altro e non anche rispetto a terzi. Corte di Cassazione, 9 gennaio 2014 n. 200 In tema di nuovi investimenti in aree svantaggiate ex art. 8 della legge 23 dicembre 2000, il credito di imposta ivi disciplinato non è cumulabile con altri benefici afferenti i medesimi beni che fruiscono di detto credito; è da escludersi, altresì, l’applicabilità, in tal caso, della regola de minimis. FORMAZIONE. Di seguito il programma di un interessante convegno di due giornate organizzato dall’Università di Maribor. Laddove si volesse partecipare, si forniscono i seguenti recapiti: University of Maribor, Faculty of Law Mladinska ulica 9, 2000 Maribor, Slovenia Tel: +38622504269 E-mail: katya.drnovsek@um.si Further information at: http://www.acj.si Institute for Civil, Comparative and Private International Law Faculty of Law University in Mariboru With financial support from the Civil Justice/Criminal Justice 26 Programme of the European Union MARIBOR 20- 22 MARCH 2014 INTERNATIONAL SCIENTIFIC CONFERENCE DIMENSIONS OF EVIDENCE IN EUROPEAN CIVIL PROCEDURE 20 – 22 March 2014 MARIBOR Thursday, 20 March 2014, 9:00 – 19:00: INTRODUCTION 9.00 – 9.30 Welcoming speeches (rector, deans…) 9:30 –10.30 Continental versus common law System with regard to EU unification process in civil procedure (Tomaž Keresteš, Robert Turner, Jose Gomes) Discussion with national reporters Break (10.30 – 11.00) 11.00 – 14.00 Principles of evidence taking in civil procedure - common core of civil procedures or not? (principle of hearing, principle of directness, presence and participation of the parties, direct and indirect type of evidence, written evidence, witness preparation and communication with the witness during the hearing) (Wolfgang Jelinek, Vesna Rijavec, Remco Van Rhee) Discussion with national reporters PARALLEL SESSION (A) – EVIDENCE TAKING (CONTINUATION) [GREAT HALL] 15.00 – 16.30 Evidence in general (methods of proof, means of proof, prima facie evidence, preclusions, eventual maxim from cross border perspective) (Alan Uzelac, Frederik Waage) PARALLEL SESSION (B) – IT WORKSHOP (with VIDEO-CONFERENCE) [FRAN MIKLOŠIČ HALL] 15.00 – 16.30 IT equipment (types, special rules related to each type, who operates the equipment, training on correct use of equipment) (Boštjan Kežmah) Security measures (e.g. the procedural rules for verifying the identity of the person to be examined) Specific differences between the procedure with IT equipment and ordinary procedure (Urška Kežmah) 27 Break (16.30 – 17.00) 17.00 – 19.00 Burden of proof (proof standards, extension of the duty to contest facts and evidence) (Aleš Galič, Bettina Nunner Krautgasser) 17.00 – 19.00 Austrian legal situation and the Austrian daily practice (in the form of a videoconference) (Wolfgang Fellner and AlexanderSchmidt), Slovenian experience (Sabina Klaneček) -----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Friday, 21 March 2014, 9:00 – 14:00 09:00 – 10.30 Issues of implementation of Regulation on evidence taking (1206/2001), its relationship to Brussels I Regulation (44/2000, 1216/2012) (Jasnica Garašić, Darius Bolzanas) Break (10.30 – 11.00) 11.00- 12.00 Experts, Language obstacles in evidence taking, other topics (David Sehnálek, Robert Fucik) 12:00 – 14:00 IT Workshop Aleksandra Maganič, Jorg Sladič Who can be examined by videoconference (legal, moral, religious obstacles), Oath (requirements and procedure), Protection of personal data Costs (who and when) Language (translators, language of operation) Notifications on time and place of the hearing (how, when, consequences of failure to notify) Coercive measures Eduard Kunštek, Tatjana Hajtnik: Authenticity of documents, their delivery to the court and their preserving in longer period Enforcement proceedings in Russian legislation: theoretical approach and practical problems (Vladimir Gureev) Lunch break (14.00 – 15.00) 15:00 Afternoon excursion with dinner organized for all the participants -----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------The main aim of the event is presentation of national reports. National reporters are present and are actively participating in all parts of the conference. Speakers in all the panels are encouraging national reporters to provide information and their opinion about topics of individual panels. 28 Cari saluti a tutti, Fabio Petracci. 29
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