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Società e diritto n. 2. Febbraio - marzo 2014.
2014.
destinato ai soci AGI
Questo mese hanno collaborato a questo foglio, oltre al sottoscritto, la dottoressa Francesca
Valente, praticante del mio studio, la dottoressa Demelzia Cardellicchio praticante avvocato e
consulente del lavoro, la dottoressa Elisa Pachor consulente del lavoro presso lo studio Di Mauro
– Tamai – Opara commercialisti e consulenti del Lavoro in Trieste. Segretaria di redazione è a tutti
gli effetti la Dottoressa Elisa Alessi segretaria anche del mio studio.
Di seguito alcune sentenze del Tribunale di Gorizia e Udine, ritenute significative.
Rassegna di alcune sentenze del Tribunale di Gorizia e Udine (il testo è
disponibile con offerta libera a favore dell’AGI)
Licenziamento Dirigenti
Tribunale di Gorizia 06 dicembre 2013
Giudice: Gallo; Ric: G.M.; Res: F V R
Impugnazione licenziamento – dirigenti - giustificatezza - giusta causa - giustificato motivo di
licenziamento - legittimità licenziamento – obbligo di fedeltà – conflitto di interessi
La legittimità del licenziamento di un licenziamento per essere lecito è necessario che esso appaia
“giustificato”, non è infatti richiesta l’esistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo,
come previsto dalla Lg 604/1996 nell’ambito del licenziamento dei lavoratori subordinati. Nella
“giustificatezza” del licenziamento di un dirigente si comprende qualsiasi motivo di recesso che ne
escluda l’arbitrarietà, con i limiti del rispetto dei principi di correttezza e buona fede nell’esclusione
del contratto e del divieto del licenziamento discriminatorio.
La sentenza in oggetto concerne un caso di licenziamento di un dirigente avvenuto a causa di
consulenze fornite dal ricorrente a favore di aziende agricole concorrenti.
Il comportamento del dirigente ha legittimato il licenziamento il quale trova la sua ragione d’essere
nella violazione di quel particolare rapporto fiduciario che lega il dirigente ed il datore di lavoro e
nello sviluppo delle strategie di impresa che rendono non adeguata la posizione del dirigente nella
struttura direttiva dell’azienda.
Nota: Nell’ambito del licenziamento dei dirigenti occorre far riferimento alla nozione contrattuale
di “giustificatezza” il quale si staccata da quello di giustificato motivo e giusta causa in ragione del
rapporto di fiducia che intercorre tra il dirigente e il datore di lavoro. Occorre precisare che non
sempre la “giustificatezza” deve coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto di
lavoro, in questo caso la legittimità del licenziamento deve coordinarsi con il principio della libertà
di iniziativa economia di cui all’art. 41 Cost., quest’ultima infatti verrebbe meno ove si impedisse
all’imprenditore, a fronte di razionali di scegliere i propri dirigenti.
Questo non vuol dire che il recesso datoriale possa risultare privo di giustificazione, tale
comportamento configurerebbe una condotta lesiva della personalità del dirigente.
La disciplina contrattuale sulla dirigenza ha si sottratto l’atto di recesso ai vincoli sostanziali del
giustificato motivo soggettivo ed oggettivo, lasciando quindi maggior libertà alla cessazione del
rapporto ad iniziativa datoriale, ma ha previsto, di contro, che il provvedimento in questione sia
sempre adottato con l’osservazione delle regole di trasparenza formale, ove le stesse fossero violate,
il licenziamento si considererebbe illegittimo ed arbitrario ritenendo lo stesso privo di
giustificazione.
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L’obbligo di fedeltà, la cui violazione può giustificare il licenziamento, si sostanzia nel dovere di un
leale comportamento del lavoratore nei confronti del datore di lavoro. Sulla base del principio di
correttezza e buona fede, infatti, il dipendente deve astenersi, oltre che dai comportamenti
espressamente vietati dalle disposizioni normative art. 2105 c.c., anche da quelle condotte che, per
la loro natura e delle conseguenze, appaiono in contrasto con i doveri connessi al ruolo ricoperto in
azienda, ove questi creino conflitto con le finalità e interessi dell’impresa stessa o sono idonei a
ledere il presupposto fiduciario del rapporto medesimo.
La ratio dell’art. 2105 è quella di impedire qualsiasi attività infedele, in qualunque modo essa venga
svolta, ove la stessa possa essere idonea a raggiungere il risultato di potenziare le capacità della
concorrenza.
Riconoscimento incentivi alla progettazione
Tribunale di Udine 20 dicembre 2013
Giudice: Vitulli; Ric: P. G.; Res: ARPA FVG
Incentivi progettazione – costituzione fondo corresponsione somme dovute – liquidazione somme –
risarcimento del danno.
La normativa nazionale in materia di ripartizione dell’incentivo alla progettazione, art. 18 Legge
109/94 e art. 92 comma 5 Dlgvo 163/2006, prevedono che la ripartizione dell’incentivo debba
avvenire secondo quanto disposto in sede di contrattazione decentrata ed proposti in apposito
regolamento adottato dall’amministrazione.
L’art. 14 L.R. 14/2002 precisa che “nelle more dell’emanazione del regolamento, le
amministrazioni aggiudicatici applicano il regolamento del Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti”.
Le nel caso in esame l’amministrazione era inadempiente nell’emanazione del suddetto
regolamento, in questi casi il giudice ordinario non potendo condannare la P.A. a costituire un
fondo, o sostituirsi ad essa nell’esercizio dell’attività amministrativa quale l’emanazione di un
regolamento, può solo riconoscere il risarcimento del danno.
Nota: Nell’ambito della P.A. è previsto un compenso incentivante a favore del personale
dell’amministrazione per la progettazione di opere pubbliche, esso trova i suoi presupposti
dell’apposito fondo interno e nel regolamento per le modalità di erogazione che tali amministrazioni
sono chiamate a costituire ed emanare. Qualora il suddetto regolamento non fosse emanato, secondo
la Cassazione 3779/2012, sussiste il solo diritto soggettivo al risarcimento del danno dovuto da
inottemperanza di un obbligo di legge. Il compenso incentivante, previsto in favore del personale
degli uffici tecnici di P.A. per la progettazione di opere pubbliche di cui all’art. 18 comma 1 legge
109/94, posto a carico delle amministrazioni aggiudicatici o titolari di atti di pianificazione generale
costituisce trattamento retributivo accessorio a carattere premiale rispetto a quello ordinario ed
incentivante dell’attività lavorativa svolta con mansioni di progettazione. La normativa in merito
infatti dispone che le amministrazioni sono chiamate ad emanare un regolamento in cui sono
disposte la pianificazione la realizzazione dell’opera di cui ci sia stata l’aggiudicazione dell’appalto.
Il regolamento in questione non deve limitarsi solo a prevedere la ripartizione del fondo, ma deve
dettare una serie dettagliata di disposizioni anche in merito a contenuto e termini delle prestazioni,
le quali devono ritenersi strettamente correlate e quindi applicabili solo alle prestazioni future.
Il regolamento del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti dispone, in linea generale ed ove vi
sia un’inadempienza dell’Amministrazione locale, che la ripartizione del fondo debba essere
operata dal dirigente dell’ufficio attuatore dell’interevento, tali somme sono ripartite tra un minimo
ed un massimo sulla base del ruolo rivestito dal dipendente nell’ambito della progettazione.
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Sicurezza sul lavoro
Tribunale di Gorizia 2 gennaio 2014
Giudice: Gallo; Ric: V. G.; Res: F.
Sicurezza sul lavoro – esposizione aminanto – responsabilità contrattuale – risarcimento del danno
– malattia professionale – tutela nei luoghi di lavoro.
Le pretese risarcitorie conseguenti a malattia professionale, essendo esse finalizzate a far valere non
già una lesione del genere precetto del neminem leadere, bensì la violazione dei doveri di tutela
delle condizioni lavorative specificatamente incombenti nel datore di lavoro, essa è di competenza
del giudice del lavoro ove si ravvisa una responsabilità contrattuale dell’imprenditore con
riferimento agli obblighi di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c. la responsabilità contrattuale si ravvisa
quando il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge dalla disposizione
che impone l’obbligo di sicurezza. Onere del lavoratore sarà di provare come il danno scaturisca da
inadempimento dell’obbligo di sicurezza da parte del datore di lavoro e il conseguente nesso
causale.
Le caso in esame il ricorrente citava in giudizio il proprio datore di lavoro al risarcimento del danno
dovuto da malattia conseguente l’esposizione ad amianto, il datore di lavoro non ha fornito elementi
idonei a contrastare le prove, presentate dal lavoratore, le quali dimostrano l’inadempienza circa la
sicurezza dei luoghi di lavoro.
Nota: Nel caso di qualunque alterazione permanente dell’integrità fisica occorsa al lavoratore
esposto ad amianto si configura la colpa specifica del datore di lavoro. Infatti l’art. 21 Dpr 303/56 è
una norma generale ed astratta dettata per impedire qualsiasi danno al lavoratore da polveri che si
producano nello svolgimento del lavoro. Risulta del tutto ininfluente la conoscenza o meno degli
effetti letali dell’amianto anche a basse esposizioni.
Il legislatore ha emanato una normativa dettagliata in materia di igiene sul lavoro, essa è un
presupposto imprescindibile per tutelare lo stato di salute dei lavoratori ed in particolare delle
malattie professionali; il mancato rispetto o l’errata applicazione di tali norme genera responsabilità
per i soggetti obbligati qualora da tale omissione derivi qualunque conseguenza pregiudizievole
permanente per un dipendente.
Per quanto concerne l’aspetto, rilevato nel caso in esame dalla resistente, della conoscenza o meno
della pericolosità della lavorazione dell’amianto la Cassazione n° 8970/91 rileva come la
pericolosità della lavorazione dell’amianto fosse nota già in tempi passati quando tali lavorazioni
erano circondate legislativamente da particolari cautele. Sulla base ti tale intrinseco rischio che si
imponeva il concreto accertamento dell’adozione di misure idonee a ridurre il rischio.
L’art. 2087 c.c. stabilisce infatti che nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di
polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare provvedimenti atti ad impedirne
o ridurne, per quanto possibile, lo sviluppo e la diffusione nell’ambiente di lavoro, il tutto in
funzione della pericolosità di tali polveri.
Per quanto concerne l’elemento soggettivo colposo la prevedibilità dell’evento non riguarda
soltanto specifiche conseguenze dannose che da una cerca condotta possono derivare, ma si deve
prendere in considerazione tutte le conseguenze dannose che possono derivare da una condotta che
sia conosciuta come pericolosa per la salute o per altri beni tutelati dall’ordinamento.
Nullità contratto a termine acausale
Tribunale di Udine 18 dicembre 2013
Giudice: Berardi; Ric; Z. Res: Poste Italiane
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Nullità contratto a termine – assenza causale – impugnazione contratto – inefficacia termine –
reintegrazione – pagamento somme – termini impugnazione.
Il contratto di lavoro per sua natura si considera a tempo indeterminato, vi sono dei casi in cui il
legislatore prevede la possibilità di apporre un termine, purché esso sia giustificato.
Nel caso in esame il ricorrente dipendente di Poste Italiane ricorre al giudice del lavoro per chiedere
la nullità del termine apposto al contratto di lavoro e la reintegrazione in servizio, oltre alla
ricostruzione della posizione contributiva ed assistenziale, tale richiesta veniva addotta in quanto il
contratto di lavoro in questione non recava la causale giustificativa dell’apposizione del termine,
come disposto dall’art. 2 comma 1 bis Dlgs 368/01.
Nota: In applicazione dell’art. 32 comma 4 lettera b) della legge 183/10 il contratto a termine, e la
relativa cessazione, deve essere impugnato nel termine di 60 giorni dalla scadenza del termine e poi
deve essere proposta la relativa azione giudiziale nel successivo termine di 270 giorni.
Qualora tali termini non fossero rispettati dal lavoratore, le eventuali domande relative all’invalidità
della clausola di apposizione del termine e alla conversione del rapporto di lavoro a tempo
indeterminato non potranno che essere respinte, con la conseguenza di veder consolidarsi le vicende
estintive ormai irrevocabilmente intercorse.
Occorre sottolineare che, per le cessazioni di contratto, avvenute dopo il primo gennaio 2013, l’art.
11 della L. 92/2012 ha previsto un termine di 120 giorni per l’impugnazione, anche extragiudiziale,
ed un termine di 180 giorni per il ricorso.
Di seguito un’ordinanza del Tribunale di Udine (resa su ricorso ex D. Lgs. 216/03) ed una
sentenza del TAR che accoglie il ricorso per l’annullamento del diniego di congedo
straordinario ex art. 42, comma quinto, D. Lgs 151/2001, che ci sono state gentilmente fornite
dal socio Avv. Marco Quagliaro del foro di Udine.
TRIBUNALE DI UDINE IL GIUDICE DEL LAVORO
letti gli atti e i documenti allegati; sciolta la riserva;
- considerato che il ricorrente -come emerge chiaramente dall'accertamento sanitario della
commissione medica integrata di cui al verbale del 3/6/2011- è stato valutato idoneo ad attività
manuali e intellettuali semplici nonché inseribile nel mondo del lavoro attraverso forme di
collocamento mirato (legge 68/99) con intervenuti di supporto, quali servizio di mediazione e
utilizzazione di strumenti tecnici;
- considerato che siffatta concreta e specifica valutazione sanitaria non è suscettibile di essere messa
in discussione, sic et simpliciter, dal mero riconoscimento in favore del ricorrente dell'indennità di
accompagnamento atteso che siffatta provvidenza è sganciata dalla capacità lavorativa del
beneficiario, essendo rivolta a contribuire all'assistenza delle persone non ricoverate in strutture
pubbliche che necessitano di assistenza continua, al fine evidente di contenere la spesa pubblica1;
- considerato, pertanto, che il mero godimento di siffatta indennità non è idonea, di per sé, a mettere
in discussione, senza uno specìfico accertamento sanitario sulla residua capacità lavorativa del
ricorrente, le conclusioni cui è giunta sul punto la commissione medica integrata ;
- considerato, in ogni caso, che la residua capacità lavorativa del ricorrente è comprovata, tra l'altro,
dalla frequentazione volontaria da parte del ricorrente dal luglio 2012 al febbraio 2013 del
Dipartimento di Prevenzione dell'ASS n.4 ;edio Friuli, occupandosi, come certificato dal direttore
del S.O.S., di attività amministrativa. quali l'inserimento dati, estrazione pratiche e attività di backoffice;
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- ritenuto, quindi, che il diniego di attivazione in favore del ricorrente del servizio di mediazione del
S.I.L. (Servizio Integrazione Lavorativa) da parte del Comitato Tecnico per il Diritto al Lavoro dei
Disabili si risolve in un'oggettiva discriminazione nell'accesso del ricorrente al collocamento mirato
in ragione di un'aprioristica valutazione della sua residua capacità lavorativa dedotta dal mero
godimento di provvidenze pubbliche (indennità di accompagnamento) destinate a finalità diverse
rispetto a quelle della legge 68/99 per il collocamento al lavoro dei disabili;
- ritenuto che l'assenza nella fattispecie dell'intento discriminatorio è irrilevante atteso che, ai fini
dell'applicazione del D.Lgs.216/2003 ("attuazione direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento
di occupazione e condizioni di lavoro") rileva 1'oggettiva discriminazione in ragione del handicap,
posto che la finalità di siffatta normativa è proprio quella di promuovere il superamento dì ogni
forma di emarginazione e di esclusione sociale della persona disabile;
- ritenuto, pertanto, che va ordinato alla resistente di attivare, in favore del ricorrente, il Servizio di
Integrazione Lavorativa (S.I.L.);
- ritenuto che le spese del procedimento seguono la soccombenza;
PQM
a)
ordina alla resistente l'immediata attivazione, in favore del ricorrente, del Servizio di
Integrazione Lavorativa (S.I.L.);
b)
condanna la resistente al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del procedimento
che liquida complessivi Euro 1.537,00 dì cui Euro 37,00 per spese e il resto per compenso, oltre agli
accessori dì legge.
Udine 29/1/14
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 379 del 2012, proposto da: -OMISSIS-, rappresentata e
difesa dall'aw. Marco Quagliaro, con domicilio eletto presso Segreteria Generale T.A.R. in Trieste,
p.zza Unita' D'Italia 7;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge
dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste, presso la quale è domiciliato in Trieste, piazza
Dalmazia 3;
per l'annullamento
della nota -OMISSIS-di rigetto della richiesta di congedo straordinario retribuito per
l'assistenza alla madre disabile ai sensi dell'art. 42, comma quinto, del decreto legislativo 26 marzo
2001, n. 151;
di ogni altro atto connesso o collegato, antecedente o successivo;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia; Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2013 la dott.ssa Manuela Sinigoi e uditi per
le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La signora -OMISSIS-, assistente capo di polizia penitenziaria in servizio presso la Casa
Circondariale di Udine, espone d’aver chiesto aU’Amministrazione d’appartenenza di fruire del
congedo straordinario di cui alTart. 42, comma 5, del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 per la durata di
5
due mesi, dal 1° novembre 2012 al 31 gennaio 2013, per poter assistere la madre 76enne, affetta da
handicap in situazione di gravità.
Espone, inoltre, che la sua istanza è stata rigettata dal direttore regionale per il Veneto, Friuli
Venezia Giulia e Trentino Alto Adige del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del
Ministero della Giustizia, con provvedimento in data -OMISSIS-, a causa della ritenuta
insussistenza del requisito della convivenza, comprovato — ad avviso del medesimo — “solo dalla
concomitanza della residenza anagrafica del soggetto beneficiario e della persona disabile”.
La ricorrente, che afferma d’aver documentato la convivenza con la madre mediante dichiarazione
sostitutiva di certificazione, contesta la legittimità di tale decisione e ne chiede l’annullamento,
previa sospensione cautelare, anche in via interinale e provvisoria inaudita altera parte, sulla scorta
di censure così riassumibili:
- nel prescrivere il requisito della convivenza, il legislatore ha dato la prevalenza alla situazione di
fatto rispetto al dato formale risultante dai registri dell’anagrafe, come comprovato — del resto —
dalla disposizione di cui al comma 5-bis della norma dianzi indicata che, a determinate condizioni,
riconosce il diritto al congedo anche in caso di ricovero a tempo pieno della persona portatrice di
handicap;
- l’anagrafe può certificare solo la residenza e, al più, lo stato di famiglia, giammai la convivenza;
- l’iscrizione nei registri anagrafici non ha efficacia costitutiva della residenza, essendo tale dato un
elemento meramente presuntivo, superabile con qualsiasi mezzo di prova;
- il rapporto di convivenza non è escluso, in definitiva, dalla diversa residenza anagrafica.
Il Ministero della Giustizia si è costituito in giudizio per resistere al ricorso con il patrocinio
dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste ed ha concluso per la sua reiezione.
Il Presidente di questo Tribunale, con decreto n. 137/2012, ha accolto interinalmente l’istanza
incidentale di sospensione del provvedimento impugnato e tale misura è stata confermata dal
Tribunale, con ordinanza n. 3/2013, allorché ha ordinato aU’Amministrazione “di provvedere agK
adempimenti necessari alla verifica di fatto della dichiarata effettiva convivenza”.
Le parti hanno depositato documenti e memorie.
La causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 18 dicembre 2013 e, all’esito della discussione,
trattenuta in decisione.
Il ricorso merita accoglimento.
Osserva, invero il Collegio che, contrariamente a quanto ritenuto daU’Amministrazione, la
residenza anagrafica, pur potendo essere sintomatica della convivenza tra il soggetto bisognoso di
assistenza e il familiare che tale assistenza presta, non esaurisce di per sé le possibilità di
comprovare la convivenza, che — si rammenta — è l’unico requisito espressamente richiesto dalla
disposizione di cui all’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001 per la concessione del congedo
straordinario invocato dalla ricorrente.
Nel caso di specie, consta, peraltro, che la ricorrente, in corso di giudizio, abbia chiesto al Comune
di Udine di certificare la sua convivenza temporanea con la madre disabile, ma che il Comune le
abbia risposto che l’unica certificazione possibile è una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà,
con cui l’interessata dichiara il proprio domicilio presso l’indirizzo di residenza della madre (vedi
all. 24 e 25 — fascicolo doc. ricorrente) ovvero, in sostanza, una dichiarazione del tenore di quella
presentata dalla medesima a corredo dell’istanza di congedo (vedi all. 9 e ss. — fascicolo cit.).
Consta, inoltre, che, a seguito dell’ordinanza cautelare su indicata, il Provveditorato Regionale del
Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, abbia chiesto all’Anagrafe del Comune di Udine
e all’ATER di Udine di effettuare gli accertamenti di competenza al fine di verificare la sussistenza
o meno della dichiarata effettiva convivenza di fatto tra la ricorrente e la madre disabile e che tali
accertamenti abbiano dato esito positivo, in quanto è stata accertata la presenza della signora OMISSIS-, ai fini dell’assistenza della stessa (vedi nota ATER Udine in data 26 febbraio 2013,
prot. n. 4027, e nota Comune di Udine in data 18 febbraio 2013, prot. n. 981 — PG/E 0016062 —
all. 4 e 7 — fascicolo doc. Avvocatura).
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La convivenza tra madre e figlia risulta, inoltre, ulteriormente avvalorata dalle dichiarazioni e dalla
documentazione prodotta dal difensore di quest’ultima nel corso dell’odierna udienza e non
smentite da controparte, dalle quali è possibile evincrere che la signora -OMISSIS- ha
reiteratamente indicato quale indirizzo di reperibilità durante le proprie assenze per malattia dal
posto di lavoro quello di residenza della madre e che alle ore 2.00 del 26/11/2013 ha chiamato da
tale indirizzo la guardia medica per la madre (vedi all. 26 — fascicolo doc. ricorrente).
Tali eloquenti circostanze fattuali paiono, quindi, al Collegio elementi sufficienti ed idonei a
comprovare la convivenza richiesta dalla norma di legge ovvero il “vivere insieme, abitare nella
stessa casa” tra la ricorrente e la madre disabile, necessaria ad “assicurare continuità nelle cure e
nell’assistenza” e ad “evitare vuoti pregiudizievoli alla salute psico-fisica del soggetto diversamente
abile”, coerentemente con la ratio della disposizione di cui all’art. 42, comma 5, del d.lgs. n.
151/2001, che è, per l’appunto, quella di consentire l’aiuto, laddove vi siano “situazioni di
compromissione (...) tali da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo
e globale” (in tal senso Corte costituzionale sentenze 8-16 giugno 2005, n. 233; 18 aprile-8 maggio
2007, n. 158; 26-30 gennaio 2009, n. 19).
Non va dimenticato, infatti, che la misura prevista dall’art. 42, comma 5, del d.lgs. 26 marzo 2001,
n. 151 è riconducibile, al pari di quelle contemplate dalla legge 104/1992, ai principi sanciti dall'art.
3, comma 2, e dall’art. 32 Cost..
Trattasi invero, di agevolazioni dirette essenzialmente ad evitare che la persona in situazione di
handicap resti priva di assistenza, così confermandosi che, in generale, il destinatario della tutela
realizzata mediante il beneficio previsto dalla legge non è il lavoratore onerato dell’assistenza, bensì
la persona portatrice di handicap.
Si rammenta, infatti, che il nucleo centrale della tutela è il soggetto disabile e che elemento
peculiare, caratterizzante il beneficio in esame, è che il soggetto che chiede di fruire del congedo in
questione, viva insieme alla persona disabile da assistere.
In definitiva, il ricorso è fondato e va accolto e, per l’effetto, annullato il provvedimento impugnato.
Sussistono, in ogni caso, giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite.
Ai sensi di legge, il Ministero intimato sarà, però, tenuto a rimborsare alla ricorrente (all’atto del
passaggio in giudicato della sentenza), ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis.l, del d.P.R. 30 maggio
2002, n. 115, come modificato daU’art. 21 della L. 4 agosto 2006, n. 248, il contributo unificato
nella misura versata.
A tutela dei diritti e della dignità della ricorrente e della madre della medesima, occorre, infine,
ordinare, ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, che, in caso di sua riproduzione in
qualsiasi forma, per finalità d’informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o
mediante reti di comunicazione elettronica, vadano omesse le loro generalità e gli altri dati
identificativi che le riguardano.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, Sezione I, definitivamente
pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il
provvedimento impugnato.
Compensa tra le parti le spese e le competenze di giudizio.
Dà, tuttavia, atto che il Ministero sarà tenuto a rimborsare alla ricorrente (all’atto del passaggio in
giudicato della sentenza), ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis.l, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,
come modificato dall’art. 21 della L. 4 agosto 2006, n. 248, il contributo unificato nella misura
versata.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Ordina, inoltre, che a cura della segreteria di questa Sezione sia apposta sull’originale del presente
provvedimento l’annotazione contenente l’ordine di omettere le generalità e gli altri dati
identificativi dei soggetti nominati nello stesso, in caso di sua riproduzione in qualsiasi forma, per
finalità d’informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di
comunicazione elettronica.
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Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2013 con l'intervento dei
magistrati:
Umberto Zuballi, Presidente
Enzo Di Sciascio, Consigliere
Manuela Sinigoi, Primo Referendario, Estensore
ARTICOLI
Di seguito uno scritto dell’Avvocato Sibelja, Avvocato Tributarista del foro di Trieste.
L’imposizione sui redditi del lavoratore dipendente nel diritto interno ed in
quello convenzionale: spunti ricostruttivi.
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L’imposizione nella Costituzione
La tassazione dei redditi nella imposizione diretta: soggetti residenti e non residenti
La localizzazione dei redditi nella normativa italiana
La nozione di reddito di lavoro dipendente
I redditi derivanti da rapporti di lavoro dipendente all’estero secondo la normativa italiana
Le convezioni internazionali contro la doppia imposizione
Il credito d’imposta previsto dall’art. 165 T.U.I.R.
L’imposizione nella Costituzione
L’art. 53, comma 1, Cost., collocato nel Titolo IV - Rapporti politici, prevede che: “tutti sono tenuti
a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.
Vengono tutelati due interessi di pari rango: quello della collettività al concorso di tutti alle
spese pubbliche, espressivo della funzione solidaristica, e quello del singolo al rispetto della propria
capacità contributiva, espressivo della funzione garantistica.
Secondo il dato testuale l’esercizio della sovranità impositiva si estende fino a ricomprendere “tutti”
coloro che in qualche modo entrano in contatto con l’ordinamento dello Stato, anche a coloro che,
pur non essendo italiani, “appartengono economicamente” al territorio dello Stato, nel senso che
sfruttandone i servizi sono tenuti a concorrere alle spese.
Come noto ciascuno Stato per assoggettare ad imposta una determinata fattispecie reddituale ha
bisogno di verificare che questa sia riconducibile all’ambito della propria sovranità tributaria.
Tale operazione si realizza attraverso i c.d. criteri di collegamento tra le fattispecie tributarie e
l’ordinamento giuridico o il territorio. Tali criteri possono essere “personali” (quali la cittadinanza o
la residenza) o “reali” (quali il luogo di origine dei redditi o il sito dei beni).
Nella maggior parte degli ordinamenti tributari, seppur con vistose eccezioni , si può riscontrare una
generale rinuncia al potere impositivo nei riguardi dei cittadini che non siano residenti nel territorio
dello Stato. Tuttavia, non può disconoscersi la fondatezza delle tesi che ritengono del tutto
giustificata la potestà in campo fiscale esercitata verso i cittadini non residenti, sul presupposto che
anche costoro, pur non presenti entro i confini del territorio, cagionano oneri speciali allo Stato (ad
es. per consolati, forze armate, istruzione).
D’altro canto lo Stato può assoggettare ad imposizione gli stranieri solo in presenza di un loro
ragionevole legame con il territorio statale e, in questo senso, rileva la residenza, anziché la
cittadinanza, e in generale il collegamento soggettivo ed oggettivo fra gli indici di capacità
contributiva e la sfera territoriale di operatività dell’ordinamento statale.
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Ciò posto dalla norma costituzionale (art. 53) non si ricava alcuna opzione per il legislatore
ordinario circa il criterio di collegamento da seguire al fine dell’esercizio della sovranità fiscale,
sicché la regola della “residenza” adottata per le persone fisiche in sede di stesura degli artt. 2 e 3
T.U.I.R. (rubricati rispettivamente “Soggetti passivi” e “Base imponibile” ), può ritenersi
unicamente una scelta di politica economica e sociale.
E’ soprattutto la dottrina nordamericana a sostenere la tassazione mondiale, collegata alla
cittadinanza, sulla base della neutralità fiscale e dell’equità. In particolare dalla neutralità
discenderebbe che le scelte di investimento, a parità di variabile fiscale si dirigeranno verso quei
mercati e verso quei Paesi che garantiscono la massima efficienza economica.
La tassazione dei redditi nella imposizione diretta: soggetti residenti e non residenti
Sul piano delle premesse si ricorda che un determinato reddito può essere prodotto sia da un
soggetto residente sia da un soggetto non residente.
Ad esempio un lavoratore dipendente, che risiede in Italia può prestare la propria attività lavorativa
all’estero; può accadere poi che un lavoratore subordinato straniero (residente cioè all’estero) venga
a lavorare in Italia.
Come si vedrà, ciò comporta un rischio teorico di doppia imposizione, nel presupposto che entrambi
gli Stati assoggettino ad imposta sia i residenti (per i redditi complessivamente prodotti) sia i non
residenti (limitatamente ai redditi prodotti nel territorio).
Il paventato rischio può essere evitato utilizzando due strumenti: (a) attraverso un accordo bilaterale
contro le doppie imposizioni stipulato tra i diversi Stati; (b) in base alla norma interna che concede,
solitamente , ai residenti lo scomputo, totale o parziale, dalle imposte interne delle imposte estere
assolte su redditi prodotti all’estero.
In termini più generali si può affermare che la c.d. fiscalità internazionale delle imposte dirette
comprende tre ordini di norme: (a) le norme interne che disciplinano la tassazione dei redditi dei
non residenti ed i rapporti esteri dei residenti; (b) le convenzioni internazionali; (c) la fiscalità
comunitaria.
La localizzazione dei redditi nella normativa italiana
Per quanto concerne l’IRPEF sono soggetti passivi dell’imposta “le persone fisiche, residenti e non
residenti nel territorio dello Stato” (art. 2, T.U.I.R.)
L’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i “residenti” da tutti i redditi
posseduti (ovunque prodotti), e per i “non residenti” soltanto da quelli prodotti nello Stato (art. 3,
comma 1, T.U.I.R.)
Abbiamo cioè per i residenti un criterio di collegamento di tipo personale che segue il principio del
“reddito mondiale” (c.d. worldwide income taxation), mentre per i soggetti non residenti è stato
adottato un criterio di collegamento di tipo reale (c.d. source-based taxation). Non ha alcun rilievo
la cittadinanza.
Ai fini della corretta determinazione della potestà impositiva di uno Stato piuttosto che di un altro,
sarà necessario individuare, con riferimento ad una determinata tipologia reddituale, innanzitutto il
luogo di residenza del titolare (o percipiente qualora si tratti, ad esempio, di lavoratore subordinato).
Se quest’ultimo non risulta residente nel territorio dello Stato allora dovrà invece essere individuato,
caso per caso, il luogo di produzione secondo i criteri fissati dall’art. 23 del D.P.R. n. 917/86, sulla
base del tipo di reddito.
La nozione fiscale di residenza diverge da quella civilistica; infatti ai fini dell’IRPEF “si
considerano residenti le persone che, per la maggior parte del periodo d’imposta, risultano iscritte
nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la
residenza, secondo quanto disposto dal codice civile” .
La nozione di reddito di lavoro dipendente nell’ordinamento italiano
9
Secondo l’art. 49, comma 1, T.U.I.R., sono “redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da
rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto
la direzione di altri” .
La norma riecheggia gli elementi definitori del reddito di lavoro dipendente individuati nell’art.
2094 c.c., che qualifica prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga, mediante retribuzione, a
collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto
la direzione dell'imprenditore.
Peraltro la definizione tributaria è più ampia di quella civilistica, perchè comprende anche il reddito
dei pubblici impiegati nonché le pensioni di ogni genere (e gli assegni ad esse equiparati).
Costituiscono altresì redditi di lavoro dipendente le somme di cui all’art. 429, u. c., c.p.c. che il
datore di lavoro deve pagare a seguito di sentenza di condanna pronunciata dal giudice di lavoro per
crediti di lavoro.
La locuzione “alle dipendenze e sotto la direzione di altri” utilizzata dal legislatore tributario
costituisce anche la chiave di distinzione del lavoro dipendente da quello autonomo. Tale locuzione
presuppone, infatti, la compresenza logica e giuridica di almeno due soggetti e l’esistenza di un
rapporto ineguale, in cui cioè uno dei due soggetti si trova in una posizione di subordinazione per
ragioni di organizzazione e divisione del lavoro .
Per quanto concerne la determinazione del reddito di lavoro dipendente, l’art. 51, comma 1,
T.U.I.R. dispone che “il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in
genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali,
in relazione al rapporto di lavoro”.
La citata disposizione afferma “l’onnicomprensività del concetto di reddito da lavoro dipendente e,
quindi, la totale imponibilità di tutto ciò che il dipendente riceve” .
La retribuzione fiscalmente imponibile è dunque un concetto “onnicomprensivo”, con le sole
deroghe espressamente previste .
Nella determinazione del reddito imponibile di lavoro dipendente non sono direttamente rilevanti le
spese di produzione: in luogo della deduzione delle spese effettivamente sostenute, il legislatore
prevede una detrazione forfetaria dall’imposta lorda .
Dal punto di vista dell’imputazione temporale, i redditi di lavoro sono governati dal principio di
cassa; sono quindi imponibili non quando maturano, ma nel periodo d’imposta in cui sono percepiti;
per i redditi in natura si tiene conto invece del momento in cui il lavoratore fruisce del servizio o
riceve il bene. Vi è qui però una deroga rispetto alla scadenza del periodo d’imposta, perché i
redditi percepiti entro il 12 gennaio si imputano al periodo d’imposta precedente, purché “maturati”
antecedentemente.
I redditi derivanti da rapporti di lavoro dipendente all’estero secondo la normativa italiana
Nell’affrontare la questione della tassazione, ai fini della imposizione diretta, dei redditi di
lavoro dipendente conviene innanzitutto ricordare la norma dell’art. 3, comma 3, lett. c, del T.U.I.R,
la quale escludeva dalla base imponibile IRPEF i redditi di lavoro dipendente prestato all’estero in
via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto .
Tale disposizione è stata abrogata, ma ha rappresentato il punto di riferimento per
l’imposizione in oggetto sino al 31 dicembre 2000 .
Pertanto, come precisato anche in una non più recente pronuncia dell’Agenzia delle Entrate ,
a partire dal 1° gennaio 2001, essendo cessato il vigore della richiamata norma di esenzione, la
normativa applicabile al reddito di lavoro dipendente prestato all’estero in via continuativa e come
oggetto esclusivo del rapporto di lavoro è quella recata dall’art. 51, comma 8-bis, T.U.I.R., così
come previsto dall’art. 36, L. 21 novembre 2000, n. 342.
Il regime fiscale di cui all’art. 51, comma 8-bis, T.U.I.R., sempre riferito a soggetti che si
considerano residenti fiscalmente in Italia , comporta l’applicazione dell’IRPEF su retribuzioni
convenzionali, annualmente definite con apposito decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche
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Sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze , e si applica a quei lavoratori
dipendenti che, nell’arco di dodici mesi, soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a
183 giorni .
La retribuzione convenzionale non costituisce altro che un’agevolazione, in linea di principio
(sebbene ciò non emerga poi così chiaramente dal testo normativo): infatti, essa viene prestabilita
senza tener conto degli ulteriori (comunque solo eventuali) riconoscimenti economici attribuiti al
dipendente che compie il sacrificio di soggiornare in altro Stato anziché in Italia.
Nel caso in cui l’attività svolta dal lavoratore subordinato non rientri tra quelle previste nelle tabelle
del decreto ministeriale che determina la retribuzione convenzionale, andrà riportato in
dichiarazione il reddito di lavoro dipendente effettivamente percepito.
Per quanto concerne il computo dei giorni di effettiva permanenza del lavoratore all’estero, si fa
presente che il periodo da considerare non necessariamente deve risultare continuativo: è sufficiente
che il lavoratore presti la propria opera all’estero per un minimo di 183 giorni nell’arco di dodici
mesi .
Ciò posto va quindi precisato che, relativamente ai “lavoratori dipendenti frontalieri”, la
Legge Finanziaria 2001 aveva voluto riproporre l’esclusione dalla base imponibile, per gli anni
2001 e 2002 , dei redditi derivanti da lavoro dipendente prestato all’estero, purché la prestazione
lavorativa avvenisse:
(a) in via continuativa (b) come oggetto esclusivo del rapporto (c) in zone di frontiera ed in altri
Paesi limitrofi da soggetti residenti nel territorio dello Stato .
Il ricordato regime di totale “esenzione” (rectius esclusione) dalla determinazione della base
imponibile IRPEF è stato quindi sostituito da un beneficio limitato ad opera della Legge Finanziaria
2003.
Infatti l’art. 2, comma 11, L. 27 dicembre 2003, n. 289, ha previsto che i redditi derivanti da lavoro
dipendente prestato dai “frontalieri” concorra a determinare il reddito complessivo del percipiente
per l’importo eccedente 8mila euro .
Tale beneficio è stato quindi “prorogato” di anno in anno (da ultimo con la Legge Finanziaria
2008), sicché è tutt’ora vigente.
Le convezioni internazionali contro la doppia imposizione
Come già accennato uno degli strumenti per evitare il rischio di doppia imposizione sullo stesso
reddito è quello della convenzione bilaterale.
In questo senso l’Italia ha stipulato con altri Stati, sulla base dell’art. 26 del Modello di convenzione
redatto dall’OCSE , delle Convenzioni contro le doppie imposizioni le quali appunto hanno lo
scopo di evitare fenomeni di doppia imposizione, individuando, per ogni tipo di reddito, il paese al
quale spetta la potestà impositiva.
In proposito conviene precisare che se la formula utilizzata dal Modello OCSE relativamente ad un
certo reddito prevede l’esclusiva tassazione dello stesso in uno Stato (di regola lo Stato di residenza
del possessore del reddito – lo Stato della fonte) , allora il reddito sarà tassato solo nello Stato della
residenza con la conseguenza che l’altro Stato contraente esenterà quel reddito (ed inoltre la
normativa della convenzione prevarrà comunque sulle disposizioni fiscali interne) .
Se invece la lettera della norma prevede genericamente l’imponibilità del reddito nello Stato , allora
si determina la tassazione concorrente dei due Stati .
Il ricordato Modello di convenzione OCSE prevedere due metodi che lo Stato può scegliere per
risolvere il problema della doppia imposizione: il metodo dell’esenzione (art. 23A) ed il metodo del
credito d’imposta (art. 23B)
Nel primo caso non si verifica alcun fenomeno di doppia imposizione in quanto si esclude
dall’imposizione i redditi di fonte estera.
Nel secondo invece, per evitare la duplicazione di imposta, viene garantita la deducibilità delle
imposte assolte all’estero.
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Va infine chiarito che se la convenzione contro la doppia imposizione stipulata tra due Stati prevede
la tassazione del reddito (es. di lavoro dipendente prestato da un italiano all’estero) soltanto nel
paese di residenza (es. in Italia) viene riconosciuto il diritto al rimborso delle imposte pagate a titolo
definitivo (da richiedere tramite istanza all’Autorità estera competente).
Il credito d’imposta previsto dall’art. 165 T.U.I.R.
Relativamente ai redditi di lavoro dipendente prodotti all’estero e percepiti da un soggetto residente
possono ricorrere le seguenti ipotesi:
a)
redditi prodotti in un paese estero con il quale non esiste convenzione contro le doppie
imposizioni;
b)
redditi prodotti in un paese estero con il quale esiste convenzione contro le doppie
imposizioni, in base alla quale tali redditi devono essere assoggettati a tassazione sia in Italia sia
nello Stato estero;
c)
redditi prodotti in un paese estero con il quale esiste convenzione contro le doppie
imposizioni, in base alla quale tali redditi devono essere assoggettati a tassazione esclusivamente in
Italia ;
d)
redditi prodotti in un paese estero con il quale esiste convenzione contro le doppie
imposizioni, in base alla quale tali redditi devono essere assoggettati a tassazione esclusivamente
all’estero.
Nei casi elencati alle lett. a) e b) il contribuente ha diritto al credito per le imposte pagate all’estero
a titolo definitivo, ai sensi dell’art. 165 del T.U.I.R.
Nel caso previsto invece dalla lett. c), se i redditi hanno subito un prelievo fiscale anche nello stato
estero di erogazione, il contribuente residente nel nostro Paese, non ha diritto al credito d’imposta,
ma al rimborso delle imposte pagate nello Stato estero da richiedersi all’autorità estera competente .
Nel caso indicato alla lett. d) invece il reddito di lavoro dipendente viene tassato esclusivamente nel
Paese estero, in quanto la normativa della convenzione prevale sulle disposizioni fiscali interne
.Chiarito ciò l’art. 165 del TUIR prevede che, se il reddito prodotto all’estero concorre alla
formazione del reddito complessivo del contribuente in Italia, le imposte pagate all’estero a titolo
definitivo su tale reddito, possono essere portate in detrazione dall’imposta netta dovuta nella
dichiarazione dei redditi presentata in Italia relativa al periodo d’imposta cui appartiene il reddito
prodotto all’estero. La detrazione compete fino alla concorrenza della quota di imposta
corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo.
Le imposte pagate all’estero sono detraibili se divenute “irripetibili” e, di conseguenza, non possono
essere considerate tali quelle suscettibili di modificazione a favore del contribuente (es: imposte
pagate in acconto o in via provvisoria e quelle per le quali è prevista la possibilità di rimborso totale
o parziale).
Se sono suscettibili di rimborso, le imposte pagate all’estero si possono detrarre nell’anno in corso,
al netto del rimborso, solo se questo è già stato richiesto ed ottenuto prima di effettuare la
dichiarazione in Italia e si possa considerare certo nel suo ammontare .
Non è invece necessario, al fine della configurazione della definitività del pagamento delle imposte
estere, che il relativo reddito sia accertato in maniera definitiva, ovvero che siano decorsi i termini
previsti dalla legislazione interna per l’accertamento dello stesso .
Inoltre se alla data ultima per la presentazione della dichiarazione dei redditi non sia ancora noto
l’importo detraibile delle imposte estere assolte a fronte della retribuzione erogata dal datore di
lavoro straniero per l’attività ivi prestata, tale importo potrà essere indicato nel modello di
dichiarazione del successivo periodo d’imposta nel quale l’assolvimento di tali imposte sarà
divenuto definitivo .
BREVI SCRITTI
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Di seguito, alcuni semplici articoli redatti da Praticanti dello studio Petracci-Marin.
PROFESSIONISTI E GESTIONE SEPARATA: NORMATIVA E NOVITA’ SUGLI
ACCERTAMENTI
a cura della Dott.ssa Demelzia Cardellicchio
La Gestione separata nasce con la Legge 335/95 art. 2 comma 26, essa consiste in un particolare
fondo pensionistico, operante in seno all’INPS, finanziato con i contributi previdenziali obbligatori
dei lavoratori assicurati il quale garantisce l’assicurazione di invalidità, vecchiaia esuperstiti a tutti
quei lavoratori autonomi che non svolgono nessuna delle attività rientranti nelle gestioni speciali
INPS, né una libera professione in riferimento alla quale è previsto di un’assicurazione presso una
specifica Cassa previdenziale di categoria. Ratio della norma era quello di garantire una tutela
previdenziale anche a quei lavoratori autonomi i quali, esclusi dalle gestioni INPS, aggregando
anche alcune categorie di professionisti a casse professionali già esistenti. Alla gestione separata
sono stati assicurati quindi una serie di figure professionali prima non tutelati, ad esempio gli
assegnasti di ricerca, i dottorati di ricerca, beneficiari di borse di studio a sostegno della mobilità
internazionale degli studenti.
Con l’entrata in vigore del DM 166/96 sono soggeggi a iscrizione alla Gestione Separata coloro che
hanno un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, siano essi lavoratori a progetto che
occasionali, gli associati in partecipazione, i medici con contratto di formazione specialistica, i
lavoratori autonomi occasionali che abbiano un reddito annuo superiore a 5.000 €, i liberi
professionisti privi di Cassa di previdenza, i professionisti con tutela previdenaile per i redditi non
assoggettati alla Cassa di appartenenza
La contribuzione si classifica a seconda dello scopo assicurativo da raggiungere:
•
contributi previdenziali: versamenti effettuati all’ente previdenziale (Inps per settore privato
e Inpdap per settore pubblico) al fine di ottenere la prestazione pensionistica;
•
contributi assistenziali: versamenti effettuati all’Inps o all’Inail al fine di ottenere la
copertura dei rischi legati agli infortuni e alle malattie professionali, all’invalidità e alla malattia.
La contribuzione può essere di tipo obbligatoria, in questo caso il versamento è imposto dalla legge
in relazione al tipo di lavoro, questo garantisce le prestazioni economiche di sostegno al reddito
(esempio cessazione del rapporto di lavoro o liquidazione pensione); oppure di tipo volontaria.
L’iscrizione avviene mediante comunicazione telematica all’INPS deve essere comunicato l’inizio
dell’attività, il tipo di contratto oltre i dati anagrafici.
Per quanto concerne l’aspetto contributivo esso è per un 1/3 a carico del collaboratore ed i 2/3 a
carico del committente della base imponibile la quale è rappresentata da tutte le some e valori a
qualunque titolo corrisposti ai collaboratori, le aliquote sono ad oggi 27,72 % per i professionisti,
mentre per pensionati e coloro che sono iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie si applica
un’aliquota del 22%,mentre per i collaboratori l’aliquota è pari al 28,72
Gli adempimenti formali sono interamente a carico del committente, sarà suo onere trasmettere
all’INPS i dati retributivi di ciascun lavoratore necessari alla determinazione dei contributi dovuti,
provvedere al rilascio della certificazione degli stessi mediante modello CUD, versare mensilmente
l’intero contributo (composto dai 2/3 a suo carico e l’1/3 trattenuto al collaboratore mediante F24
entro il 16 giorno del mese successivo a quello di corresponsione del compenso.
Importanti novità sono state disposte dall’INPS per i professionisti con cassa, questi oggi possono
essere tenuti al versamento del contributivo soggettivo all’INPS ove siano iscritti alla Gestione
Separata.
Sono stati disposti degli accertamenti per i professionisti i quali pur essendo iscritti ad
apposita Cassa previdenziale obbligatoria (es. avvocati, ingegneri ecc) non hanno versato il
contributo previdenziale soggettivo previsto dalla Cassa di riferimento e sono stati iscritti alla
Gestione Separata, per questi è prevista l’applicazione della sanzione per evasione contributiva del
30%, anche nei casi in cui la dichiarazione (UNICO) è stata regolarmente presentata.
13
Con una circolare del 04 febbraio 2014 l’INPS ha cercato di porre rimedio al caos
informativo in merito.
Nella circolare n° 18 l’Istituto Previdenziale afferma il principio per cui l’obbligo di
contribuzione, sulla base di regolamenti interni alle Casse previdenziali autonome, può venir meno,
quindi il professionista può non l’obbligo alla contribuzione previdenziale autonoma ove sia
soggetto all’obbligo contributivo presso la Gestione Separata. Sulla base di tale disposizione si può
dedurre che il professionista deve effettuare l’iscrizione alla Gestione Separata nel caso in cui non
c’è obbligo di pagamento della contribuzione soggettiva o nel caso in cui il professionista si è
avvalso della facoltà di non iscrizione presso la propria Cassa.
Altro obbligo in seno al professionista è quello di dover compilare il quadro RR del modello unico
relativo alla persone fisiche, in esso infatti è determinata la base imponibile ai fini previdenziali.
La mancata compilazione del quadro RR comporta l’applicazione della sanzione per
evasione, in questo caso per l’Agenzia dell’Entrate la dichiarazione è considerata correttamente
inviata, mentre l’INPS provvede sulla base delle disposizioni di cui all’art. 83 comma 1 del Dl.
112/2008 a verificare l’eventuale omissione contributiva.
Qualora il professionista ometta volutamente l’iscrizione o la determinazione delal
contribuzione nella dichiarazione fiscale verrà applicata la sanzione di evasione fiscale, tale
orientamento è anche avallato dalla giurisprudenza, come ad esempio la Cassazione Sezione Lavoro
n° 28966/11, Cassazione 305/09, la quale ravvisa la fattispecie dell’evasione in quanto fa
presumere l’esistenza di una specifica volontà di sottrarsi al versamento dei contributi dovuti, non
avendo valore, ai fini giustificativi, la regolare presentazione della mera denuncia fiscale.
Tale orientamento è anche supportato da quanto disposto dall’art. 116 comma 8 legge
338/2000 il quale nel disciplinare le sanzioni di omissione ed evasione contributiva dispone
l’applicazione di sanzioni sia nel caso in cui vi è un mancato o ritardo nel pagamento dei contributi
e dei premi, in questo caso la sanzione non può essere superiore al 40% dell’importo dei contributi
non corrisposti, sia nell’eventualità in cui vi sia stata un’evasione connessa a registrazioni o
denuncie obbligatorie o non conformi al vero, in questo caso è prevista l’applicazione di una
sanzione civile pari al 30%.
La circolare INPS ha cercato di porre rimedio anche alle difformità relative ai regolamenti
interni delle casse previdenziali autonome prevedendo la possibilità del pagamento della sanzione
ridotta ove il professionista produca un’apposita istanza motivata per l’ottenimento della riduzione
della sanzione civile al tasso degli interessi legali, si impegni a versare la contribuzione dovuta in
un’unica soluzione o con l’avvio di una formale rateizzazione, non vi siano in capo al richiedente
altri debiti diversi da quelli connessi alla fattispecie in esame.
RIENTRO DEI CERVELLI INCENTIVI FISCALI: CHIARIMENTI, DISTINZIONE TRA
LAVORATORI E RICERCATORI
a cura della Dott.ssa Demelzia Cardellicchio
Il legislatore ha previsto due norme che si prefiggono un comune scopo, il rientro in Italia delle
eccellenze, siano essi ricercatori/docenti universitari che lavoratori/studenti, i quali abbiano
maturato esperienze non occasionali all’estero. Attraverso la legge n° 238/2010 riferita ai lavoratori,
e la legge n°269/2003 la quale prende come riferimento i ricercatori ed i professori universitari,
garantisce a chi “rientra” una serie di benefici attraverso l’applicazione di agevolazioni fiscali sotto
forma di riduzione dell’imponibilità del reddito. Per poter beneficiare delle privilegi fiscali il
legislatore ha previsto dettagliati requisiti.
Per quanto concerne la legge 238/2010 essa individua come soggetti beneficiari delle agevolazioni
fiscali i cittadini dell’Unione Europea che vengano assunti, avviano un’attività di lavoro autonomo
o d’impresa in Italia trasferendovi il proprio domicilio, o residenza entro 3 mesi dall’assunzione o
avvio dell’attività.
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Il decreto di riferimento fa un ulteriore distinzione nell’ambito dei beneficiari a seconda che questi
dopo aver risieduto in Italia abbiano svolto attività di lavoro post lauream oppure abbiano acquisito
all’estero un titolo di studio post laurea. Nel primo caso per poter beneficiare degli incentivi fiscali
è necessario che il soggetto abbia: risieduto almeno 2 anni in Italia, negli ultimi due anni abbia
risieduto e prestato la propria attività lavorativa continuativamente, fuori dal proprio Paese
d’origine e dell’Italia; nella seconda ipotesi invece oltre alla residenza di 24 mesi in Italia è
necessario che il soggetto abbia conseguito fuori dal suo paese di origine e dall’Italia un titolo di
laurea o una specializzazione post lauream. In entrambi i casi per poter beneficiare
dell’agevolazione è necessario che il soggetto sia assunto o avvii un’attività di impresa o di lavoro
autonomo in Italia. Rientrano in tale ambito non solo le attività di lavoro dipendente, ma anche le
attività, che a fini fiscali, producono redditi di lavoro assimilati a quelli di lavoro dipendente sulla
base di quanto disposto dall’art. 52 TUIR, l’agevolazione sarà quindi applicabile anche ai redditi
derivanti dai contratto di collaborazione a progetto.
La prima differenza che si può riscontrare con le disposizioni normative relative al rientro dei
cervelli previste per i ricercatori è che per poter beneficiare degli incentivi in esame ai lavoratori
che rientrano in Italia non è posto alcun limite circa l’attività che andrà a svolgere, mentre nel caso
dei ricercatori è necessario che le mansioni che quest’ultimo andrà a svolgere nel territorio dello
stato dovrà essere attinente con l’attività di studio o di lavoro svolto all’estero. Questo stesso
principio vale anche se l’attività svolta in Italia è di tipo autonomo, sia essa professionale che
artistica.
Fondamentale al fine di ottenere le agevolazioni di cui sopra è il trasferimento della propria
residenza e domicilio in Italia entro 3 mesi dall’assunzione o dall’avvio dell’attività autonoma, cioè
il soggetto deve risultare nelle liste dei soggetti residenti e trasferire il centro principale dei propri
affari e interessi in Italia, occorre precisare che ove la residenza o il domicilio sia stato trasferito
prima dell’assunzione o dell’avvio dell’attività questo deve essere avvenuto in funzione del lavoro.
Per quanto concerne la all’estero per 24 mesi è un requisito comune ad entrambe le figure, studenti
e lavoratori, i due anni devono essere ininterrotti, inoltre occorre precisare che il beneficio non
compete qualora un soggetto presti la propria attività all’estero alle dipendenze di un datore
straniero ed in forza di tale rapporto, rientri nel territorio dello Stato, continuando a lavorare per il
medesimo datore di lavoro.
Le agevolazioni che si ottengono in questi casi consistono nella riduzione della base imponibile ai
fini dell’applicazione dell’IRPEF, per cui è previsto il 20% dell’imponibile per le donne e il 30%
per i lavoratori.
I beneficiari di tali incentivi decadono ove gli stessi trasferiscano la propria residenza fuori dal
Territorio Nazionale prima che siano trascorsi 5 anni dalla fruizione del beneficio, da ciò si desume
un altro importante requisito fondamentale, cioè la permanenza della residenza o domicilio in Italia
pari a 5 anni, qualora questo requisito non fosse soddisfatto l’Amministrazione Finanziaria
provvederà al recupero dei benefici fruiti con l’applicazione delle relative sanzioni e interessi.
Le disposizioni in materia di rientro per i docenti e ricercatori esteri, disciplinati dagli artt. 17 Dl.
185/08 e art. 44 DL 78/10 prevedono che, per il periodo dal 29 novembre 2008 al 31 dicembre 2017
i docenti universitari e i ricercatori, siano essi Italiani o stranieri, in questo caso non è posto il limite
dell’appartenenza all’Unione Europea, i quali prestino la propria attività di ricerca a favore di
Università Italiane o altri centri di ricerca, siano essi pubblici o privati, nonché di imprese o enti,
purchè queste dispongano strutture atte alla ricerca, possano beneficiare di incentivi fiscali, alla
presenza di determinati requisiti.
Per poter beneficiare delle agevolazioni fiscali è necessario che il ricercatore abbia conseguito un
titolo di studio universitario o equiparato, abbia risieduto all’estero in modo continuativo e non
occasionale, presenti un’accertata documentazione nella quale si illustri l’attività di ricerca presso
centri di ricerca pubblici o privati all’estero per almeno due anni continuativi e svolgano in Italia la
propria attività o ne diventino fiscalmente residenti. Alla presenza di tali requisiti il soggetto
beneficerà dell’agevolazione dei redditi di lavoro dipendente o assimilato, o di lavoro automono, in
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questo caso i redditi percepiti sono imponibili nella misura del 10% del loro ammontare.
L’agevolazione spetta per un massimo di tre periodi di imposta, cioè per l’anno d’imposta in cui il
ricercatore diviene fiscalmente residente in Italia e per i due periodi d’imposta successivi purchè
permanga la residenza fiscale nel Territorio dello Stato. L’opzione per il regime fiscale agevolato
non è vincolante per i periodi d’imposta successivi. Il destinatario deve mantenere la residenza
fiscale in Italia per il periodo in cui usufruisce dell’agevolazione, altrimenti decade dal momento in
cui trasferisce la residenza. Non è quindi prevista per i ricercatori una clausola di stabilizzazione
minima come nell’ambito delle disposizioni per i lavoratori/studenti i quali hanno l’obbligo di
mantenere la residenza in Italia per un periodo complessivo di 5 anni dalla data della fruizione del
primo beneficio, in caso contrario esso decade ex ante dal beneficio.
IL DISTACCO DEL LAVORATORE
a cura della Dott.ssa Francesca Valente
Il distacco del lavoratore, come noto, è un istituto del diritto del lavoro italiano. Esso consiste nel
mettere temporaneamente da parte di un datore di lavoro detto distaccante, a disposizione di un
altro datore, detto distaccatario, uno o più lavoratori per l'esecuzione di una determinata attività
lavorativa.
È il decreto legislativo 276/2003 (emanato a seguito della Riforma Biagi), nello specifico l’art. 30, a
disciplinare per la prima volta nell’ambito del lavoro subordinato privato l’istituto in esame.
Precedentemente, infatti, il distacco era unicamente regolato dalla contrattazione collettiva; la
precedente previsione di cui all’art. 8 della legge n. 236/1993 era strettamente connessa alla
fattispecie “di evitare le riduzioni di personale”.
Requisiti di legittimità per un corretto ricorso all’istituto del distacco
I requisiti di legittimità del distacco ai sensi dell’art. 30 del d. lgs. 276/2003, ribaditi nella Circolare
del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 15 gennaio 2004 n.3 e da ultimo con
l’interpello n.1/2011, sono:
•
L’interesse del distaccante: il distacco infatti può essere giustificato da un interesse
produttivo del distaccante, di carattere anche non economico, il quale non deve coincidere con
l’interesse alla mera somministrazione del lavoro. La Circolare n. 28/2005 del Ministero del Lavoro
ha precisato che tale interesse deve essere specifico, rilevante, concreto e persistente ed andrà
accertato con riguardo al caso specifico, più precisamente in base alla natura dell’attività espletata e
non solo in relazione all’oggetto sociale dell’impresa. Nel caso in cui manchi questa condizione di
legittimità, il distacco sarebbe illegittimo e comporterebbe la violazione del divieto di
intermediazione di mano d'opera ex L. 1369/60. Più precisamente, l'art. 1 dispone che i lavoratori
occupati in violazione del citato divieto devono essere considerati alle dipendenze dell'imprenditore
che effettivamente abbia utilizzato la loro prestazione. Pertanto, nel caso in cui il distacco sia privo
della indicata condizione di legittimità, il rapporto di lavoro si trasferisce automaticamente e
definitivamente alle dipendenze del datore di lavoro che di fatto utilizzi la prestazione del lavoratore
distaccato, con conseguente applicazione nei suoi confronti dei contratti di lavoro dei dipendenti di
quest'ultimo.
•
La temporaneità del distacco: deve essere una soluzione per natura non definitiva.
•
Lo svolgimento di una determinata attività lavorativa: il lavoratore distaccato deve essere
adibito ad attività specifiche e funzionali al soddisfacimento dell’interesse proprio del distaccante.
Laddove il distacco sia privo di tali requisiti, il comma 5-bis dell’art. 18 del d. lgs. 276/2003
prevede che l’utilizzatore ed il somministratore siano puniti con la pena della ammenda di euro 50
per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. Se vi è sfruttamento dei minori, la
pena è dell’arresto fino a 18 mesi e l’ammenda è aumentata fino al sestuplo (D. Lgs. 251/2004). Ed
ancora, il nuovo comma 4-bis dell’art. 30, D.Lgs. 276/2003, aggiunto dal D. Lgs. 251/2004
prevede, in questi casi, che il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a
16
norma dell’art. 414 c.p.c., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la
costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo.
In tale ipotesi si applica il disposto dell’art. 27, comma 2, D.Lgs. 276/2003 che, applicato alla
fattispecie, prevede che tutti i pagamenti effettuati dal distaccante irregolare, a titolo retributivo o di
contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la
prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata.
Inoltre tutti gli atti compiuti dal distaccante irregolare per la costituzione o la gestione del rapporto,
per il periodo durante il quale il distacco ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto
che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione.
La norma ha senz’altro una notevole utilità poiché gli enti previdenziali, accertata l’imputazione del
rapporto di lavoro direttamente in capo all’utilizzatore, tendevano a restituire i contributi versati dal
datore di lavoro formale, e a richiederli con le relative sanzioni al datore di lavoro effettivo.
Trattamento economico e retribuivo
In caso di distacco, il datore di lavoro distaccante resta responsabile del trattamento economico e
normativo a favore del lavoratore, anche quando in concreto il distaccatario si sia obbligato al
pagamento ed all’erogazione della retribuzione. Inoltre, il distaccante mantiene l’obbligazione
contributiva nei confronti degli enti previdenziali. La Circolare INPS del 13.3.2006 n. 41 evidenzia,
in particolare, che il distaccato avrà ugualmente diritto agli assegni per il nucleo famigliare,
all’eventuale indennità di malattia, maternità, disoccupazione o mobilità, ma non potrà usufruire
delle integrazioni salariali eventualmente elargite dal distaccatario, considerato il fatto che, a tutti
gli effetti, rimane dipendente dell’azienda d’origine.
Per quanto concerne l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie, i premi INAIL,
pur se a carico del distaccante, dovranno essere calcolati sulla base dei premi e delle tariffe che sono
applicate al distaccatario. Nella nota INAIL del 10.6.2005 e successiva Circolare INAIL del
2.8.2005 si legge che il datore di lavoro distaccante è tenuto a calcolare il premio dovuto per il
personale distaccato, applicando la corrispondente voce di tariffa rientrante nella Gestione tariffaria
in cui è inquadrata l’impresa distaccataria.
L’orientamento giurisprudenziale in materia di distacco
La giurisprudenza di legittimità meno recente aveva avuto occasione di esprimersi, con sentenza
Cass. Civ. 15.6.1992 n. 7328, in tema di distacco; nello specifico, con riguardo al secondo dei
requisiti di legittimità di tale istituto: la temporaneità.
L’orientamento in esame era piuttosto consolidato nel ritenere che la temporaneità del distacco
significasse non definitività, e che la durata del distacco dovesse coincidere con quella dell’interesse
del datore di lavoro a che il proprio dipendente prestasse la sua opera in favore di un terzo (in tal
senso anche una pronuncia della giurisprudenza di merito: Corte d’Appello di Milano del 4.5.2011).
Tuttavia tale opinione non era unanimemente accolta in seno alla giurisprudenza. In particolare,
sugli specifici requisiti della durata del distacco e del tipo di interesse del datore distaccante, la
giurisprudenza aveva ritenuto, in talune occasioni, che l’istituto del distacco richiedesse anche
l’occasionalità della dislocazione del lavoratore presso altro datore di lavoro (Cass. 24.10.2000 n.
13979) o che non qualsivoglia interesse fattuale al cd. distacco potesse giustificare il medesimo
(Trib. Venezia, 20.11.1995).
A tal proposito occorre sottolineare come, contrariamente, la Circolare del Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali 3/2004 afferma che la non definitività è indipendente dall’entità del periodo
di distacco, purché sia funzionale alla persistenza dell’interesse del distaccante, il che equivale a
dire che il datore di lavoro distaccante può avere interesse ad una più o meno lunga permanenza del
proprio dipendente presso terzi, per motivi o con modalità anche non occasionali.
Differenze tra trasferimento e distacco
Il trasferimento del lavoratore da una sede di lavoro ad un'altra è disciplinato dall’art. 2103 del
Codice Civile, modificato dall’art. 13 della L. 300\1970 o Statuto dei lavoratori.
Esso dispone che il trasferimento, ovvero lo spostamento del lavoratore da una unità produttiva ad
un'altra della medesima azienda, possa essere attuato dal datore di lavoro solo in presenza di
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comprovate ragioni tecniche organizzative o produttive. Ciò significa, per giurisprudenza costante,
che un dipendente può esser trasferito solo a condizione che il datore di lavoro possa dimostrare:
•
l'inutilità di tale dipendente nella sede di provenienza;
•
la necessità della presenza di quel dipendente, con la sua particolare professionalità, nella
sede di destinazione;
•
la serietà delle ragioni che hanno fatto cadere la scelta proprio su quel dipendente e non su
altri colleghi che svolgano analoghe mansioni.
Il giudice, tuttavia, non ha alcun potere di controllo nel merito delle suddette ragioni, ma deve
limitare il proprio sindacato a verificare l’effettiva presenza delle ragioni e l’esistenza di un nesso di
causalità tra queste e il provvedimento adottato: non è richiesta la prova circa l’inevitabilità del
trasferimento.
Il trasferimento potrebbe essere disposto anche oralmente, ma la contrattazione collettiva prescrive,
tuttavia, nella maggioranza dei casi la forma scritta.
Salva diversa indicazione del contratto collettivo, il datore di lavoro non ha l'onere di indicare
nell'atto di trasferimento le ragioni tecniche, organizzative e produttive poste a fondamento del
trasferimento stesso. L'onere di indicare tali ragioni, infatti, sorge solo ove il lavoratore ne faccia
richiesta. In tal caso, pena la inefficacia del trasferimento, il datore dovrà comunicare i motivi del
trasferimento entro 5 giorni successivi dalla richiesta del lavoratore. Ove il lavoratore non faccia
richiesta dei motivi da parte del lavoratore, peraltro, non comporta acquiescenza al trasferimento e
pertanto il lavoratore potrà contestare innanzi al Giudice del lavoro la illegittimità del trasferimento
stesso.
Stante quanto sopra detto si possono, conseguentemente, così riassumere le fondamentali differenze
che intercorrono tra i due istituti del distacco e del trasferimento.
Il primo è caratterizzato da:
•
carattere temporaneo;
•
mobilità dei dipendenti esterna;
•
le comprovate ragioni tecniche, organizzative o produttive si rendono necessarie solo ove il
distacco comporti un trasferimento del dipendente a più di 50 km.
Il trasferimento, invece, è caratterizzato da:
•
carattere definitivo;
•
mobilità dei lavoratori interna (da una sede ad un’altra attività produttiva di titolarità del
medesimo datore di lavoro);
•
sono sempre necessarie (a pena di nullità) le comprovate ragioni tecniche, organizzative o
produttive.
LEGGE DI STABILITÀ 2014: CONSEGUENZE NEL PUBBLICO IMPIEGO
(brevi considerazioni)
a cura della Dott.ssa Demelzia Cardellicchio
Al fine di contenere la spesa pubblica la legge di stabilità 2014 ha apportato importanti limitazioni
ai costi nell’ambito del Pubblico Impiego tra cui:
1.
Il blocco delle indennità di vacanza contrattuale, qualificabile come un elemento provvisorio
della retribuzione previsto al fine di tutelare i lavoratori nel caso di ritardi nella stipula dei rinnovi
contrattuali. Dopo un periodo di vacanza contrattuale pari a 3 mesi dalla data di scadenza del
contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori dipendenti ai quali si applica il contratto
medesimo non ancora rinnovato sarà corrisposto, a partire dal mese successivo ovvero dalla data di
presentazione delle piattaforme ove successiva, un elemento provvisorio della retribuzione.
L’importo di tale elemento sarà pari al 30% del tasso di inflazione programmato, applicato ai
minimi retributivi contrattuali vigenti, inclusa la ex indennità di contingenza. Dopo 6 mesi di
vacanza contrattuale, detto importo sarà pari al 50% dell’inflazione programmata. Essa per il
18
triennio 2015-2017 resta invariata rispetto agli importi in godimento al 31 dicembre 2013. serie di
interventi quali
2.
il trattamento accessorio del personale pubblico, l’importo in questione non potrà superare
quanto corrisposto nel 2010
3.
la limitazione del turn over, questo limiterà le assunzioni nell’ambito della Pubblica
Amministrazione, inoltre è previsto il pagamento degli straordinari solo al personale presente in
amministrazione e con un tetto massimo previsto da ogni Pubblica Amministrazione
4.
il limite massimo retributivo annuo del personale della P.A.
5.
la riduzione delle indennità di servizio all’estero e dei rimborsi per le spese di viaggio per il
personale delle Ambasciate e dei consolati.
MASSIME GIURISPRUDENZIALI
FAMIGLIA E MINORI
Corte di Cassazione, 6 febbraio 2014 n. 2539
Non può essere addebitata al marito la separazione per la relazione extraconiugale se la moglie
aveva interrotto i rapporti sessuali con lui alla nascita del primo figlio.
Corte di Cassazione, 5 febbraio 2014 n. 2542
L’eredità paterna dopo il divorzio fa scattare la revoca dell'assegno perché costituisce una rendita:
la successione dopo la cessazione della convivenza ben può essere considerata per valutare la
capacità economica degli ex coniugi.
Corte di Cassazione, 22 gennaio 2014 n. 1277
Il sostegno economico all'interno di una coppia di fatto è un «dovere morale e sociale», soprattutto
se uno dei due conviventi vive una condizione di «precarietà: eventuali contribuzioni di un
convivente all'altro vanno intese come adempimenti che la coscienza sociale ritiene doverosi
nell'ambito di un consolidato rapporto affettivo che non può non implicare forme di collaborazione
e di assistenza morale e materiale.
Corte di Cassazione, 17 gennaio 2014 n. 927
Il giudice può ridurre l’importo dell’assegno di mantenimento a carico dell’ex coniuge se
l’obbligato è anziano e in precarie condizioni di salute. In questo caso, infatti, è prevedibile che
l’onerato debba andare incontro a crescenti spese di carattere medico e assistenziale.
COMUNIONE, CONDOMINIO E LOCAZIONI
Corte di Cassazione, 5 febbraio 2014 n. 2619
Incombe sull'affittuario dimostrare che i danni riscontrati dal proprietario dell'appartamento non
sono imputabili a lui. Infatti, in assenza di prova contraria, si presume il «buono stato»
dell'immobile.
Corte di Cassazione, 23 gennaio 2014 n. 1439
In mancanza di tabelle millesimali, la delibera assembleare adottata in via provvisoria per la
ripartizione delle spese condominiali va considerata annullabile e deve dunque essere impugnata
entro 30 giorni.
Corte di Cassazione, 16 gennaio 2014 n. 821
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L'amministratore revocato può ben conferire all'avvocato la procura per difendere il condominio
nelle more del passaggio di consegne con il successore chi gestisce l'ente collettivo in prorogatio
può esercitare anche i poteri processuali fino all'avvenuta sostituzione.
Corte di Cassazione, 16 gennaio 2014 n. 820
Per il generale divieto di autotutela nei rapporti privati, è nulla la clausola del regolamento di
condominio che, superando l’eccezionale autorizzazione di cui all’art. 70 disp. att. cod. civ.,
preveda, per le infrazioni dei condomini (nella specie, parcheggio irregolare in area comune),
sanzioni diverse da quella pecuniaria (nella specie, rimozione dell’autovettura).
Corte di Cassazione, 13 gennaio 2014 n. 466
Deve considerarsi legittima la costruzione di una piccola veranda da parte del proprietario
dell’ultimo piano se non reca pregiudizi estetici all’edificio e non compromette in termini di ariosità
e luminosità le abitazioni dei piani sottostanti.
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI
Corte di Cassazione, 31 gennaio 2014 n. 2153
Non ha diritto a ulteriori compensi per la transazione l’avvocato che ha ricevuto da un condominio
l’incarico di agire in via monitoria nei confronti di due condomini morosi se non prova di aver
avuto anche uno specifico mandato a transigere.
Corte di Cassazione, 30 gennaio 2014 n. 2076
La ricevitoria è tenuta a pagare la schedina a chi di fatto esibisce il titolo anche se un terzo sostiene
di aver subito la sottrazione del cedolino vincente.
Corte di Cassazione, 27 gennaio 2014 n. 1636
Delle obbligazioni verso terzi, assunte da una società consorziata nell’esecuzione dell’appalto ad
essa assegnato dalla società consortile (nella specie, società cooperativa consortile ammessa ai
pubblici appalti), non risponde quest’ultima con il suo patrimonio, non configurandosi alcun
rapporto di immedesimazione organica fra essa e la società consorziata conseguente alla delega
conferita per l’assegnazione dei lavori, in quanto ciò non trova riscontro nella disciplina generale
dei consorzi dettata dal codice civile, né in quella di settore riguardante i consorzi di cooperative e
la loro partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici.
Corte di Cassazione, 16 gennaio 2014 n. 809
Dalla co-intestazione del conto corrente tra marito e moglie non può desumersi l’animus donandi
delle somme versate nel tempo da un solo coniuge, essendo vietata dall’ordinamento la donazione
di beni futuri. Mentre, la presunzione della divisione a metà delle somme presenti al momento della
costituzione del conto stesso può essere superata attraverso presunzioni semplici.
RESPONSABILITA’ CIVILE, DANNI E RISARCIMENTI
Corte di Cassazione, 19 febbraio 2014 n. 3964
I genitori possono essere chiamati a pagare i danni causati dai figli anche se i ragazzi sono prossimi
alla maggiore età: impartire insegnamenti adeguati e sufficienti ad affrontare correttamente la vita
di relazione deve essere assolto con maggiore rigore proprio in ragione dei tempi in cui avviene
l'emancipazione dal controllo diretto dei genitori.
Corte di Cassazione, 6 febbraio 2014 n. 2716
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Il danneggiato deve essere risarcito dal fondo vittime della strada anche se omette di denunciare il
sinistro
alla polizia.
Corte di Cassazione, 4 febbraio 2014 n. 2413
L'alunno che si infortuna in gita scolastica ha diritto al risarcimento del danno biologico e morale
perchè vengono in rilievo pregiudizi diversi.
Corte di Cassazione, 27 gennaio 2014 n. 1608
Deve essere risarcito il danno morale ed esistenziale per la violazione del diritto alla riservatezza
anche se i protagonisti del servizio giornalistico pur non citati esplicitamente sono comunque
riconoscibili
Corte di Cassazione, 15 gennaio 2014 n. 687
Alla stregua del diritto vivente segnato dall'arresto delle Sezioni Unite civili del 2008, la
liquidazione del danno non patrimoniale deve essere complessiva, e cioè tale da coprire l'intero
pregiudizio a prescindere dai nomina iuris dei vari tipi di danno, i quali non possono essere invocati
singolarmente per un aumento dell'anzidetta liquidazione. Il carattere unitario della liquidazione del
danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ. preclude la possibilità di un separato ed autonomo
risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona (danno alla vita di relazione,
danno estetico, danno esistenziale, ecc.) che costituirebbero vere e proprie duplicazioni risarcitorie.
Corte di Cassazione, 14 gennaio 2014 n. 485
La contumacia della parte non preclude il riconoscimento del diritto all’equa riparazione per
irragionevole durata del processo.
DIRITTO DEL LAVORO
Corte di Cassazione, 11 febbraio 2014 n. 3027
Le somme spettanti a titolo di risarcimento danni per violazione dei molteplici obblighi facenti
carico al datore di lavoro, hanno natura retributiva solo quando derivino da un inadempimento, il
quale, pur non riguardando direttamente l'obbligazione retributiva, tuttavia incida immediatamente
su di essa in quanto determini la mancata corresponsione di compensi dovuti al dipendente.
Viceversa, le attribuzioni patrimoniali che il lavoratore riceve, come nel caso di cui all'art. 32,
comma 5, della legge n. 183 del 2010, a titolo di risarcimento del danno per violazione degli altri
obblighi del datore, sebbene siano anch'esse dipendenti dal rapporto di lavoro non hanno natura
retributiva. Ne deriva che sull'indennità ex art. 32 della citata legge n. 183 non spettano né la
rivalutazione monetaria, né gli interessi legali, se non dal momento della pronuncia giudiziaria
dichiarativa dell'illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato.
Corte di Cassazione, 3 febbraio 2014 n. 2298
Nei licenziamenti collettivi il datore di lavoro è obbligato ad indicare i criteri seguiti in modo
trasparente rendendo immediatamente possibile una verifica delle scelte fatte da parte di dipendenti,
sindacati e organi amministrativi coinvolti nell'accordo.
Corte di Cassazione, 30 gennaio 2014 n. 2055
E’ errata la pronuncia del Giudice di merito che, chiamato ad accertare la eventuale configurabilità
della natura simulata del piano di inserimento professionale, in realtà dissimulante un rapporto di
lavoro di natura subordinata, ignori del tutto il dato, provato in giudizio, della prestazione
dell'attività lavorativa subordinata, da parte del lavoratore ed in favore di quella parte datoriale, già
prima dell'inserimento del medesimo nel piano predetto.
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Corte di Cassazione, 28 gennaio 2014 n. 1725
In caso di licenziamento illegittimo, il datore non può detrarre dal risarcimento del danno il
trattamento pensionistico percepito dal lavoratore non potendo ritenersi tale attribuzione acquisita,
se non in modo apparente e del tutto precario, al suo patrimonio
Corte di Cassazione, 17 gennaio 2014 n. 902
In materia di licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni
inerenti all'attività produttiva - nella quale rientra il licenziamento conseguente alla soppressione del
posto di lavoro - il datore di lavoro ha l'onere di provare, con riferimento alla capacità professionale
del lavoratore ed alla organizzazione aziendale esistente all'epoca del licenziamento, anche
mediante elementi presuntivi o indiziari ovvero attraverso fatti positivi, l'impossibilità di adibire
utilmente il lavoratore in mansioni diverse da quelle che prima svolgeva o in posti di lavoro
confacenti alle mansioni dallo stesso svolte, giustificandosi il recesso solo come extrema ratio.
Corte di Cassazione, 17 gennaio 2014 n. 898
Il mobbing è integrato dalla condotta del datore di lavoro consistente, in violazione degli obblighi di
protezione di cui all'art. 2087 c.c., in reiterati e prolungati comportamenti ostili, di intenzionale
discriminazione e persecuzione psicologica, con mortificazione ed emarginazione del lavoratore,
con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della
configurabilità di una siffatta condotta assumono, pertanto, rilievo elementi quali la molteplicità dei
comportamenti a carattere persecutorio illeciti, o anche leciti se singolarmente considerati, posti in
essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;
l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; il nesso eziologico tra la condotta del
datore di lavoro o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; la
prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio.
Corte di Cassazione, 13 gennaio 2014 n. 471
L'atto di intimazione del licenziamento per superamento del periodo di comporto, che non precisi le
assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro,
attribuisce al lavoratore, il quale ha l'esigenza di poter opporre propri rilievi specifici, la facoltà di
chiedere alla parte datoriale la specificazione di tale aspetto fattuale delle ragioni del licenziamento.
Ove, invece, il lavoratore abbia direttamente impugnato il licenziamento, il datore di lavoro può
precisare in giudizio i motivi di esso ed i fatti che hanno determinato il superamento del periodo di
comporto, non essendo in ciò ravvisabile una integrazione o modificazione della motivazione del
recesso.
FALLIMENTO E ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI
Corte di Cassazione, 24 gennaio 2014 n. 1513
In tema di concordato con cessione dei beni, la prededucibilità dei crediti sorti “in occasione” della
procedura, prevista dall’art. 111, secondo comma, legge fall., va riconosciuta al credito del
proprietario di locali occupati senza titolo da beni ceduti dal debitore ai creditori nella procedura.
PROCEDURE ESECUTIVE
Corte di Cassazione, 7 gennaio 2014 n. 61
Nel processo di esecuzione forzata, a cui partecipino più creditori concorrenti, le vicende relative al
titolo esecutivo del creditore procedente (sospensione, sopravvenuta inefficacia, caducazione,
estinzione) non possono ostacolare la prosecuzione dell’esecuzione sull’impulso del creditore
intervenuto il cui titolo abbia conservato forza esecutiva, salvo che il difetto del titolo posto a
fondamento dell’azione esecutiva del creditore procedente sia originario.
22
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE
Corte di Cassazione, 18 febbraio 2014 n. 3838
Il rito Fornero si sostanzia in un procedimento speciale relativo a talune controversie concernenti i
licenziamenti, strutturato in una fase a cognizione sommaria, in un eventuale giudizio di primo
grado a cognizione piena introdotto con l’opposizione ed in un giudizio di secondo grado introdotto
da un reclamo. In tale rito il giudizio a cognizione piena è solo eventuale in quanto si attiva con
l’opposizione per cui, ove essa non venga proposta, l’ordinanza conclusiva della fase sommaria è
idonea a formare il giudicato.
Corte di Cassazione, 10 febbraio 2014 n. 2883
La sussistenza delle gravi ed eccezionali ragioni per la compensazione delle spese del giudizio va
valutata ex ante e, dunque, con riferimento alla situazione giurisprudenziale esistente all'epoca di
proposizione della domanda.
Corte di Cassazione, 24 gennaio 2014 n. 1464
Si applica anche alle controversie tra avvocato e cliente il foro del consumatore, previsto dal Codice
del consumo e ciò anche quando il cliente rivesta, a sua volta, la qualità di professionista o
imprenditore ma abbia conferito il mandato al legale per esigenze non riconducibili a tali attività.
Corte di Cassazione, 7 gennaio 2014 n. 76
Nel ricorso per cassazione per violazione di legge, la parte che deduce l’inosservanza in proprio
danno delle disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (nella specie, gli artt. 6 e
14), ha l’onere di indicare la regola desumibile dalla Convenzione o dalla giurisprudenza della
Corte europea dei diritti dell’uomo in casi analoghi e di allegare in che modo il giudice di merito si
sia discostato dai parametri della Convenzione, indicando gli elementi concreti di analogia tra il
proprio caso e gli altri nei quali in sede europea siano stati applicati i parametri più adeguati e
comunque più favorevoli che invoca.
DIRITTO E PROCEDURA PENALE
Corte di Cassazione, 18 febbraio 2014 n. 7614
Il giudice penale non è vincolato all’accertamento del giudice tributario, ma non può prescindere
dalla pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria al fine di verificare la soglia di punibilità
prevista dall’art. 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000.
Corte di Cassazione, 17 febbraio 2014 n. 7324
Vi è concorso di reato per chi emette le fatture false e le utilizza nella propria dichiarazione dei
redditi.
Corte di Cassazione, 11 febbraio 2014 n. 6384
Le telefonate e gli sms possono integrare il reato di stalking se pongono il destinatario in un
perdurante stato di ansia e di paura.
Corte di Cassazione, 11 febbraio 2014 n. 6378
In ordine al reato di omesso versamento delle trattenute previdenziali ed assistenziali, deve
evidenziarsi come possa ritenersi tempestivo, ai fini del verificarsi della causa di non punibilità, il
versamento delle ritenute previdenziali effettuato dall'imputato nel corso del giudizio, allorché
risulti che lo stesso non ha ricevuto dall'ente previdenziale la contestazione o la notifica
dell'accertamento delle violazioni o non sia stato raggiunto nel corso del procedimento penale da un
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atto contenente gli elementi essenziali dell'avviso di accertamento. Se poi il procedimento sia
pervenuto in sede di legittimità, senza che l'imputato sia stato posto in grado di fruire dalla causa di
non punibilità, deve essere disposto l'annullamento con rinvio della sentenza per consentirgli di
fruire della facoltà concessa
dalla legge.
Corte di Cassazione, 10 febbraio 2014 n. 6145
Il rappresentante legale di una società a partecipazione pubblica locale non è un pubblico ufficiale
di conseguenza non si configurano i presupposti soggettivi per l'esercizio dell'azione penale, volta a
perseguire i delitti tipici contro la PA.
Corte di Cassazione, 4 febbraio 2014 n. 5481
Il danno all'immagine della Pubblica Amministrazione, sia esso perseguito dinanzi alla Corte dei
Conti o dinanzi ad altra Autorità Giudiziaria, va configurato come danno patrimoniale da perdita di
immagine, di tipo contrattuale, avente natura di danno-conseguenza, la cui prova può essere fornita
anche per presunzioni e mediante il ricorso a nozioni di comune esperienza.
Corte di Cassazione, 4 febbraio 2014 n. 5227
Se è vero che il reato di ingiuria si perfeziona per il sol fatto che l'offesa al decoro o all'onore della
persona avvenga alla sua presenza, è altrettanto vero che non integrano la condotta di ingiuria le
espressioni che si risolvano in dichiarazioni di insofferenza rispetto all'azione del soggetto nei cui
confronti sono dirette e sono prive di contenuto offensivo nei riguardi dell'altrui onore e decoro,
persino se formulate con terminologia scomposta ed ineducata.
Corte di Cassazione, 28 gennaio 2014 n. 3680
Nell'ipotesi in cui viene omessa la notifica al difensore del decreto penale di condanna, il vizio è
sanato dalla presentazione dell’opposizione che sfugge al termine dei quindici giorni.
Corte di Cassazione, 28 gennaio 2014 n. 3655
Qualsiasi difformità significativa rispetto all’opera autorizzata integra un reato paesaggistico: il
Codice dei beni culturali infatti non distingue tra parziale e totale difformità dell’opera effettuata.
Corte di Cassazione, 24 gennaio 2014 n. 3572
In un campeggio la struttura mobile agganciata al suolo deve ritenersi abusiva soltanto quando
l’aggancio non è temporaneo: il reato di costruzione edilizia abusiva è difatti configurabile anche
nell’ipotesi di installazione di case mobili aventi una destinazione duratura per soddisfare esigenze
abitative.
Corte di Cassazione, 23 gennaio 2014 n. 3253
Se il procedimento è da considerarsi identico va escluso il divieto di utilizzazione delle
intercettazioni quando tra il contenuto dell’originaria notizia di reato, alla base dell’autorizzazione,
e quello dei reati per cui si procede vi sia una stretta connessione sotto il profilo oggettivo,
probatorio, o finalistico.
Corte di Cassazione, 20 gennaio 2014 n. 2326
Non bastano tre episodi di violenza, due sul figlio e uno sulla moglie, in un periodo di tre anni per
configurare il reato di maltrattamenti in famiglia: il reato de quo richiede per la sua configurazione,
una serie abituale di condotte che possono estrinsecarsi in atti lesivi dell’integrità psicofisica,
dell’onore, del decoro o di mero disprezzo e prevaricazione del soggetto passivo, attuati anche in un
arco temporale ampio, ma entro il quale possono agevolmente essere individuati come espressione
di un costante atteggiamento dell’agente di maltrattare o denigrare il soggetto passivo.
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DIRITTO AMMINISTRATIVO
Consiglio di Stato, 22 gennaio 2014 n. 330
La mancanza della dichiarazione sugli oneri sulla sicurezza non comporta l'esclusione dalla gara
qualora non vi siano oneri di sicurezza, quando la prestazione posta in gara prevede una prestazione
avente natura prettamente intellettuale e nessuna attività era richiesta al di fuori della sede di lavoro
della aggiudicataria o, comunque, presso le sedi della stazione appaltante e il bando di gara non
preveda niente in proposito.
T.A.R. Lazio, 16 gennaio 2014 n. 612
L'Amministrazione è tenuta a pronunciarsi sulla domanda di concessione della cittadinanza italiana
entro la scadenza del termine di 730 giorni previsto dal D.P.R. n. 362 del 1994 e dal D.M. n. 228
del 1995 e, in difetto, l'interessato può promuovere azione avverso il silenzio, ai sensi dell'art. 117
c.p.a., al fine di far dichiarare l'illegittimità del silenzio serbato dalla p.a. sull'istanza in questione e
ottenere la condanna all'adozione di un provvedimento espresso conclusivo del relativo
procedimento.
DIRITTO TRIBUTARIO
Corte di Cassazione, 20 febbraio 2014 n. 4024
Nel calcolo dei metri quadrati per usufrutire delle agevolazioni prima casa si tiene conto solo dei
metri quadrati abiltabili. Il seminterrato non abitabile, per mancanza di altezza minima, non va
quindi computato nella superficie dell'abitazione ai fini del raggiungimento della metratura massima
per usufruire delle agevolazioni fiscali per la prima casa.
Corte di Cassazione, 19 febbraio 2014 n. 3954
In tema di imposta di registro, deve essere esclusa la possibilità di definizione agevolata della lite,
ex art. 11 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, qualora non emerga alcuna maggiore imposta da
pagare rispetto a quella assolta in sede di registrazione degli atti.
Corte di Cassazione, 19 febbraio 2014 n. 3931
In tema di benefici fiscali collegati all’acquisto della prima casa, al verificarsi della separazione
legale, la comunione tra coniugi di un diritto reale su un immobile, ancorchè originariamente
acquistato in regime di comunione legale, deve essere equiparata alla contitolarità indivisa dei diritti
sui beni tra soggetti tra loro estranei, che è compatibile con le agevolazioni, atteso che la facoltà di
usare il bene comune, che non impedisca a ciascuno degli altri comunisti “di farne parimenti uso”
ex art. 1102 cod. civ., non consente di destinare la casa comune ad abitazione di uno solo dei
comproprietari, per cui la titolarità di una quota è simile a quella di un immobile inidoneo a
soddisfarne le esigenze abitative.
Corte di Cassazione, 12 febbraio 2014 n. 3142
L'accertamento è nullo se l’ufficio non dimostra le ragioni per cui non ha chiuso le operazioni di
verifica per tempo: l fisco deve emettere l’atto entro sessanta giorni anche se l’ispezione si è
protratta oltre il termine a meno che non dimostri di aver tardato perché la sua attività è stata in
qualche modo ostacolata dal contribuente o da circostanze contingenti.
Corte di Cassazione, 4 febbraio 2014 n. 2481
La fattura è documento idoneo a rappresentare un costo dell'impresa, attesa la disciplina del suo
contenuto ex art. 21, D.P.R. n. 633 del 1972, tale che in ipotesi di fatture che l'Amministrazione
ritenga relative ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ha l'onere di provare
che le operazioni commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere. Tale prova, ex artt.
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39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600 del 1973 e 54, comma 2, D.P.R. n. 633 del 1972, potrà essere
fornita anche mediante presunzioni, nel qual caso passerà a carico del contribuente l'onere di
dimostrare la effettiva esistenza delle operazioni contestate.
Commissione Tributaria di Perugia, 10 febbraio 2014 n. 215
L'Agenzia del territorio può notificare la revisione della rendita catastale anche senza sopralluogo
presso l'abitazione, essendo sufficiente tener conto delle caratteristiche e dell'ubicazione
dell'immobile.
Commissione Tributaria Lazio, 31 gennaio 2014 n. 194
I redditi di locazione devono essere dichiarati indipendentemente dalla loro percezione ed entrano
nell'imponibile Irpef.
Corte di Cassazione, 17 gennaio 2014 n. 956
L’art. 138 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 consente ai contribuenti coinvolti nel sisma del
1990 un’ampia rateazione per il versamento dei tributi dovuti, ma non ha, per ciò solo, prorogato il
termine per procedere all’emissione degli atti impositivi dell’ufficio.
Corte di Cassazione, 17 gennaio 2014 n. 860
L’agevolazione fiscale prevista dall’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 per gli atti esecutivi
degli accordi intervenuti tra i coniugi, sotto il controllo del giudice, per regolare i loro rapporti
patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio o alla separazione personale (ivi
compresi quelli aventi ad oggetto il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva
mobiliare od immobiliare) spetta solo per gli accordi tra i coniugi e le prestazioni esecutive rese da
un coniuge nei confronti dell’altro e non anche rispetto a terzi.
Corte di Cassazione, 9 gennaio 2014 n. 200
In tema di nuovi investimenti in aree svantaggiate ex art. 8 della legge 23 dicembre 2000, il credito
di imposta ivi disciplinato non è cumulabile con altri benefici afferenti i medesimi beni che
fruiscono di detto credito; è da escludersi, altresì, l’applicabilità, in tal caso, della regola de
minimis.
FORMAZIONE.
Di seguito il programma di un interessante convegno di due giornate organizzato dall’Università
di Maribor.
Laddove si volesse partecipare, si forniscono i seguenti recapiti:
University of Maribor, Faculty of Law
Mladinska ulica 9, 2000 Maribor, Slovenia
Tel: +38622504269
E-mail: katya.drnovsek@um.si
Further information at: http://www.acj.si
Institute for Civil, Comparative and Private International Law
Faculty of Law
University in Mariboru
With financial support from the Civil Justice/Criminal Justice
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Programme of the European Union
MARIBOR 20- 22 MARCH 2014
INTERNATIONAL SCIENTIFIC CONFERENCE
DIMENSIONS OF EVIDENCE IN EUROPEAN CIVIL PROCEDURE
20 – 22 March 2014
MARIBOR
Thursday, 20 March 2014, 9:00 – 19:00: INTRODUCTION
9.00 – 9.30 Welcoming speeches (rector, deans…)
9:30 –10.30 Continental versus common law System with regard to EU unification process in
civil procedure
(Tomaž Keresteš, Robert Turner, Jose Gomes)
Discussion with national reporters
Break
(10.30 – 11.00)
11.00 – 14.00
Principles of evidence taking in civil procedure - common core of civil
procedures or not? (principle of hearing, principle of directness, presence and participation of the
parties, direct and indirect type of evidence, written evidence, witness preparation and
communication with the witness during the hearing)
(Wolfgang Jelinek, Vesna Rijavec, Remco Van Rhee)
Discussion with national reporters
PARALLEL SESSION (A) – EVIDENCE TAKING (CONTINUATION)
[GREAT HALL]
15.00 – 16.30 Evidence in general (methods of proof, means of proof, prima facie evidence,
preclusions, eventual maxim from cross border perspective)
(Alan Uzelac, Frederik Waage)
PARALLEL SESSION (B) – IT WORKSHOP (with VIDEO-CONFERENCE)
[FRAN MIKLOŠIČ HALL]
15.00 – 16.30 IT equipment (types, special rules related to each type, who operates the equipment,
training on correct use of equipment)
(Boštjan Kežmah)
Security measures (e.g. the procedural rules for verifying the identity of the person to be examined)
Specific differences between the procedure with IT equipment and ordinary procedure
(Urška Kežmah)
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Break
(16.30 – 17.00)
17.00 – 19.00
Burden of proof (proof standards, extension of the duty to contest facts and
evidence)
(Aleš Galič, Bettina Nunner Krautgasser)
17.00 – 19.00 Austrian legal situation and the Austrian daily practice (in the form of a videoconference)
(Wolfgang Fellner and AlexanderSchmidt),
Slovenian experience (Sabina Klaneček)
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Friday, 21 March 2014, 9:00 – 14:00
09:00 – 10.30 Issues of implementation of Regulation on evidence taking (1206/2001), its
relationship to Brussels I Regulation (44/2000, 1216/2012)
(Jasnica Garašić, Darius Bolzanas)
Break
(10.30 – 11.00)
11.00- 12.00 Experts, Language obstacles in evidence taking, other topics
(David Sehnálek, Robert Fucik)
12:00 – 14:00 IT Workshop
Aleksandra Maganič, Jorg Sladič
Who can be examined by videoconference (legal, moral, religious obstacles), Oath (requirements
and procedure), Protection of personal data Costs (who and when)
Language (translators, language of operation)
Notifications on time and place of the hearing (how, when, consequences of failure to notify)
Coercive measures
Eduard Kunštek, Tatjana Hajtnik: Authenticity of documents, their delivery to the court and their
preserving in longer period
Enforcement proceedings in Russian legislation: theoretical approach and practical problems
(Vladimir Gureev)
Lunch break
(14.00 – 15.00)
15:00
Afternoon excursion with dinner organized for all the participants
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------The main aim of the event is presentation of national reports. National reporters are present and are
actively participating in all parts of the conference. Speakers in all the panels are encouraging
national reporters to provide information and their opinion about topics of individual panels.
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Cari saluti a tutti, Fabio Petracci.
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