Una infrastruttura hyper-converged per tutti da HP

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Down to earth report:
Una infrastruttura
hyper-converged per tutti da HP
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Enrico Signoretti
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Dicembre 2013
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Juku consulting - mail: info@juku.it web: http://www.jukuconsulting.com
Jukuconsulting.com
Indice
Executive summary
2
Introduzione
4
Cos’è una infrastruttura scale-out?
4
Perché scale-out è importante per la PMI?
4
Perché è importante
5
Hardware
7
HP ProLiant DL380p Gen8 Server
7
Switch Ethernet HP 2920
8
Perché è importante
8
Software
10
HP StoreVirtual storage VSA
10
Hypervisor e suite di benchmark
11
Perché è importante
14
Architettura
15
Configurazione del nodo e dell’infrastruttura
15
Layout del cluster e dei nodi
16
Perché è importante 16
Risultati dei Benchmark
18
Introduzione
18
Risultati del benchmark
18
Perché è importante
19
Nota finale
21
Juku
23
Perchè Juku
23
Autore
23
Juku consulting srl. This work is licensed under a Creative Commons Attribution 3.0 Unported License
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2
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Executive summary
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Gli utenti finali, di ogni tipo, sono alla continua ricerca di soluzioni che
possano ridurre la complessità e abbassare il TCO (Total Cost of Ownership)
delle loro infrastrutture. Specialmente nella PMI, dove le risorse sono
solitamente limitate e gli skill non sono sviluppati al meglio, c’è molta
attenzione a questo tipo di problemi.
Oggi, la maggior parte delle infrastrutture sono virtualizzate, basate su server
industry standard x86 e reti Ethernet. I costi più importanti di queste
infrastrutture, sia in termini di TCA (Total Cost of Acquisition - Spesa Totale di
Acquisto) che di TCO (Total Cost Of Ownership - che include anche tutte le
spese che si calcolano durante il ciclo di vita delle apparecchiature), si
registrano nella parte di data storage. Infatti, è facile scoprire che spesso
circa il 50% del costo di una infrastruttura virtualizzata risiede nella parte di
storage tradizionale, sia essa NAS o SAN.
Questo report mostra una soluzione, completamente disegnata su
componenti industry standard e software HP, che permette di realizzare una
soluzione totalmente scale-out senza la necessità di uno storage condiviso
tradizionale. In breve: una infrastruttura hyper-converged. La soluzione di cui
stiamo per parlare ha tutte le caratteristiche che ci si vogliono normalmente
indirizzare: TCO, facilità d’uso, scalabilità, efficienza, con un approccio open
e un prezzo basso. Il grande risparmio deriva proprio dalla virtualizzazione
dei dischi interni presenti sugli stessi server x86 che fanno girare l’hypervisor,
presentandoli come una SAN virtuale alle VM.
Un altro vantaggio è che questo stack proviene da un singolo vendor,
garantendo quindi un accesso al servizio di assistenza in modo end-to-end.
Il modello scale-out presentato nelle prossime pagine può avere un impatto
importante per l’utente finale ma anche per il rivenditore della soluzione: ogni
nodo porta con se un preciso quantitativo di risorse (CPU, RAM, spazio
disco e IOPS) e quindi anche un costo ben conosciuto. Aggiungere un
quantitativo preciso di VM è solo questione di acquistare uno o più nodi e
collegarli all’infrastruttura esistente.
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L’obiettivo primario di questo documento è quello di presentare un disegno
di riferimento, la sua potenziale scalabilità e un benchmark standard per
spiegare il suo posizionamento. Juku consulting srl. This work is licensed under a Creative Commons Attribution 3.0 Unported License
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Introduzione
Cos’è una infrastruttura scale-out?
La scalabilità è la capacità di un sistema IT di crescere per sostenere la
maggiore quantità di lavoro che necessita di essere gestita.
Ci sono due tipi di scalabilità: verticale
(scale-up) e orizzontale (scale-out). La
maggiore differenza è che i sistemi di
tipo scale-up sono monolitici mentre gli
altri sono composti da piccoli nodi
interconnessi fra di loro. In pratica,
quando si parla di scalabilità verticale,
si parla della possibilità di aggiungere ulteriori risorse nella stessa scatola
(esempio: aggiungere CPU, RAM, disco, etc. nello stesso computer).
Dall’altra parte, l’espansione di un sistema/infrastruttura scale-out avviene
aggiungendo ulteriori nodi. Ognuno di questi nodi aggiunge le proprie risorse
al cluster.
Entrambi gli approcci hanno i loro vantaggi e svantaggi ma, negli ultimi anni,
la tecnologia ha fatto molti passi avanti e ora i sistemi scale-out sono scelti
molto più frequentemente che in passato e per un numero più ampio di
applicazioni. I potenziali problemi di latenza delle connessioni fra i nodi e la
complessità di gestione non sono più un grande problema, mentre ora è
relativamente facile installare sistemi importanti a prezzi ragionevoli.
Lo scale-out sta diventando estremamente popolare anche nel mondo dello
storage per risolvere problemi di prestazioni e spazio quando i numeri sono
particolarmente grandi: i cluster BigData Hadoop/HDFS sono gli esempi più
eclatanti.
Perché scale-out è importante per la PMI?
La PMI non ha il tipo di problemi appena descritti ma il concetto di scalabilità
è ugualmente importante. Una infrastruttura scale-out permette alla piccola
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media azienda
di pensare solo alle esigenze attuali e investire il meno
possibile all’inizio ed evitare upgrade a piattaforme più potenti quando sarà
necessario (forklift upgrades).
Un altro grosso vantaggio per la PMI è che l’infrastruttura scale-out ha dei
costi e una potenza di calcolo molto più prevedibili quando viene espansa:
infatti ogni nuovo nodo aggiunto all’infrastruttura porta con se un preciso
quantitativo di risorse e la possibilità di gestire una quantità conosciuta di
lavoro.
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Perché è importante
HP ha tutte le componenti (server, networking e software storage) per
costruire un sistema scale-out e hyper-converged. L’indubbio abilitante di
questa soluzione è la componente software, che permette di realizzare un
sistema storage software-defined utilizzando server industry standard, e
tutto prodotto da un unico fornitore primario.
Inoltre, questo approccio “software-defined” permette di ottenere un TCO
più basso e un ROI elevato, quando comparato con soluzioni storage
tradizionali: l’utente gode di tutti i vantaggi di un sistema storage moderno
senza doverne subire la rigidità dell’hardware.
Ultimo ma non ultimo, l’utente finale può espandere il cluster ad un prezzo
molto basso e prevedibile (il costo di un server, dei suoi dischi interni e della
licenza VSA) o sostituire vecchi server con modelli più recenti e veloci
mantenendo le stesse licenze software.
Al contrario di soluzioni simili che si possono trovare sul mercato questa ha
diversi vantaggi interessanti:
• basata al 100% su hardware industry standard;
• compatibile con gli hypervisor più comuni (VMware ESXi e Microsoft HyperV);
• soluzione hardware e software end-to-end di un vendor primario;
• più economica di molte altre soluzioni e perfettamente in linea con le
esigenze della PMI;
• servizi di supporto disponibili a livello globale e di provata qualità;
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Nelle prossime pagine andrò a introdurre tutti i singoli componenti utilizzati
per realizzare questo disegno, disponibili nel catalogo HP.
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Hardware
HP ProLiant DL380p Gen8 Server
L’HP ProLiant DL380p Gen8 è un server 2U, 2-socket da rack per
datacenter. Fa parte dell’ultima famiglia di server x86 HP e ha tutte le
caratteristiche di resilienza, affidabilità e di facilità di manutenzione che
contraddistinguono tutta
questa linea di prodotti. Le
caratteristiche base di
questo server sono:
• fino a 2 Intel Xeon serie E5-2600v2 CPU;
• fino a 768GB di RAM;
• 4 1Gb, o 2 10G Ethernet, o 2 x 10G Flexfabric;
• Differenti configurazioni interne di storage (fino a 25 2,5” HDD SAS o
12 3,5” HDD SATA, support per SSD e opzioni RAID interne);
• 6 PCIe 3.0;
• iLO management engine integrato.
Per questo report abbiamo scelto questo server perché ha le giuste
caratteristiche di storage interno (fino a 25 HDD 10K RPM 2,5”) e la
connettività esterna di cui abbiamo bisogno. Ha anche slot PCIe per ospitare
schede di rete addizionali (NIC) e schede di memoria flash.
Per massimizzare l’uso del JBOD interno SAS abbiamo anche deciso di
aggiungere un HP Smart Array Controller modello 420 (equipaggiato con
1GB di memoria cache). Il controller aiuterà ad ottimizzare le operazioni di IO
grazie alla gestione del RAID di base e della cache.
E’ possibile trovare ulteriori informazioni sul sito web dedicato al server HP
ProLiant DL380p Gen8.
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Switch Ethernet HP 2920
Per questa soluzione è stato
scelto di adottare lo switch
Ethernet HP 2920-24G, uno fra
quelli suggeriti nella
documentazione di HP StoreVirtual.
Questo è uno switch 1GbE top-of-the-rack ad alta densità, economico e
scalabile con la capacità di supportare fino a 4 porte 10Gbit Ethernet, come
anche due moduli per lo stacking.
Lo switch in questione supporta anche jumbo frames (fino a 9220 bytes),
IPv4, IPv6, VLAN, layer 3 routing, QoS e il protocollo OpenFlow: tutte
caratteristiche utili ad evitare colli di bottiglia e garantire la massima flessibilità
in termini di configurazioni e future espansioni. L’alimentatore, benché non
ridondato, è rimovibile e sostituibile. La garanzia a vita e gli aggiornamenti
software gratuiti rendono questo switch particolarmente attraente per gli
utenti sensibili ai costi.
E’ possibile trovare ulteriori informazioni sugli switch HP 2920 sul sito web di
HP.
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Perché è importante
L’hardware potente, conveniente e ben costruito è alla base di questo tipo di
installazioni, HP è il produttore di server più importante e fornisce servizi di
supporto nella maggior parte del mondo. L’importanza di avere a che fare
con fornitori primari e affidabili è un fattore chiave per le PMI che hanno
bisogno di essere continuamente rassicurate sulla presenza di rivenditori
locali e system integrator anche per le implementazioni di base e i servizi
tecnici che ne conseguono.
Dall’altra parte, la componente di networking è fondamentale per garantire le
prestazioni necessarie alla virtualizzazione di server e storage. Gli Switch HP
2920 sono certificati end-to-end con tutte le altre componenti
dell’infrastruttura, forniscono quindi throughput e funzionalità di prossima
generazione tese ad ottimizzare la qualità dello storage e del traffico delle
VM. Inoltre, questi particolari switch possono ospitare fino a 4 porte 10Gbit
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Ethernet ad un prezzo molto conveniente, abilitando di fatto un backend di
rete semplificato e particolarmente potente.
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Software
HP StoreVirtual storage VSA
HP StoreVirtual Storage è una famiglia di soluzioni storage disegnate per
risolvere i bisogni delle piccole e medie aziende. Il portafoglio prodotti mostra
due tipi di soluzioni: HP StoreVirtual 4000 (prodotti hardware basati su server
standard x86) e un HP StoreVirtual VSA (Virtual Storage Appliance). Le
funzionalità software dei due prodotti sono identiche.
HP StoreVirtual 4000 è un array
iSCSI scale-out con tutte le
caratteristiche che ci si
potrebbe aspettare da un
sistema di storage moderno
(come, per esempio, thin
provisioning, snapshot, replica
re m o t a , i n t e g r a z i o n e c o n
VMware, ecc.). Proprio per la natura della sua architettura, i dati di ogni nodo
del cluster sono distribuiti e replicati su altri nodi grazie ad un meccanismo
chiamato Network RAID. Questo approccio consente di ottenere un sistema
storage scalabile ed altamente resiliente con hardware commodity.
Aggiungere spazio addizionale o aumentare le prestazioni del cluster è
veramente semplice e nuovi nodi possono aggiungersi a quelli esistenti con
facilità e poche limitazioni, anche quando si tratta di cluster di vecchia
generazione.
La versione VSA (Virtual Storage Appliance) di HP StoreVirtual permette di
usare una VM come controller storage virtuale e si avvantaggia dei dischi
locali del server per fornire IOPS e spazio.
La VSA ha visto molti miglioramenti negli ultimi due anni. Le versioni più
recenti del sistema operativo LeftHand (v.10) sono state parzialmente riscritte
e ora sono mutlithread, con la conseguenza che molte operazioni di IO sono
più veloci che in passato. La VSA sfrutta a pieno il miglioramento del
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software e ora questa è configurata con due virtual CPU, mostrando quindi
incrementi notevoli in termini di velocità e scalabilità.
LeftHand OS versione 11, di recente rilascio, ha anche introdotto la Adaptive
Optimization. Questo è un sistema di tiering automatico a livello di subvolume che permette di utilizzare contemporaneamente memoria flash e
dischi rigidi tradizionali nella stessa configurazione. L’Adaptive optimization
può migliorare drammaticamente le prestazioni dello storage, facendo
aumentare le prestazioni dell’intero cluster e permettendo quindi di ottenere il
massimo da tutte le risorse di calcolo a disposizione.
HP StoreVirtual VSA è licenziata in funzione della capacità, questo significa
che l’utente finale, usando i dischi interni di ciascun server, può configurare
un quantitativo di storage importante ad un costo decisamente limitato. Al
momento, ci sono tre diversi tipi di licenza e ognuna di queste ha un limite
massimo di spazio da considerare:
• 4TB: questa è la più economica, è limitata ad un massimo di 3 nodi per
cluster e non include la Adaptive Optimization;
• 10TB: Questa è la più diffusa, non ci sono limiti nel numero di nodi del
cluster ed è quella più adatta per la grande maggioranza delle installazioni;
• 50TB: Quest’ultima è stata aggiunta di recente per le installazioni che
necessitano di molto spazio e, anche in questo caso, non ci sono limiti al
numero di nodi che possono unirsi al cluster.
HP fornisce percorsi di upgrade per tutte le licenze: un utente, per esempio,
può acquistare oggi la licenza da 10TB per poi migrare a quella da 50TB
pagando la differenza quando necessario. Recentemente è stato anche
introdotta una licenza da 1TB rilasciata gratuitamente insieme all’acquisto di
alcuni tipi di server HP (questa licenza ha limitazioni simili a quella da 4TB).
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Hypervisor e suite di benchmark
HP StoreVirtual VSA supporta entrambi gli hypervisor Microsoft Hyper-V e
VMware ESXi.
Per il nostro test abbiamo deciso di utilizzare VMware ESXi così da poter
eseguire un benchmark standard utilizzando la suite VMware VMmark.
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Presentiamo i dati di questo test solo
al fine di dare uno strumento di
valutazione e questi non sono stati
sottoposti ad un processo di
certificazione ufficiale VMware.
Dall’altro lato, questo documento
riporta tutte le informazioni
necessarie per riprodurre i test e
sottoporli ad un processo di revisione
ufficiale da parte di VMware.
Non utilizzeremo VMmark
per
mostrare una sterile misurazione,
visto che questo è assolutamente inutile per gli utenti SMB. Il test VMmark
viene eseguito facendo girare un adeguato numero di tile sull’infrastruttura
oggetto del test e misurandone la risposta. Un tile è un set completo di VM
che riproduce stack applicativi standard e workload di diverse dimensioni e
complessità.
• 1 Mail server: Exchange Server 2007 su Windows 2008 R2 Enterprise
Edition,
• 1 Web server per una applicazione di Social Networking (Olio): SLES11 64
bit,
• 1 Database server per l’applicazione di Social Networking application
(Olio): MySQL DBs su SLES11 64 bit,
• 3 Web server per una applicazione di eCommerce (DVD Store 2): SLES11
64 bit,
• 1 Data base server per l’applicazione di eCommerce (DVD Store 2):
SLES11 64 bit,
• 1 Stand-by server: Windows 2003 server senza applicazioni che girano al
suo interno,
• 1 Windows server che viene i stanziato e poi ritirato cancellato durante il
test.
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Mentre il test è in corso, alcuni client esterni generano i carichi di lavoro
necessari ad ogni stack applicativo. In particolare, per il server Microsoft
Exchange viene simulato un workload di 1000 utenti (heavy profile). E’ ovvio
che questo carico è eccessivo per una piccola azienda, specialmente
quando questo viene replicato ogni volta che aggiungiamo risorse al cluster.
D’altra parte però Exchange è una applicazione complessa con un DB che
può facilmente essere assimilata ad altre applicazioni con carichi pesanti
come, ad esempio, gli ERP.
L’obiettivo finale è quello di mostrare quante VM possono girare in ogni
singolo nodo del cluster e ottenere uno scenario veritiero di quello che
succederebbe in un ambiente reale.
Per i nostri benchmark abbiamo utilizzato un cluster a due nodi e poi
abbiamo aggiunto un terzo e un quarto nodo per mostrare la progredire
verso configurazioni scale-out più grandi.
Visto la natura della soluzione e i modelli di licenza di VMware, abbiamo
eseguito tutti i test utilizzando la versione standard di ESXi. Questa versione
è la più adatta alle piccole aziende garantendo comunque un set di
funzionalità di tutto rispetto.
In ogni caso, l’obiettivo non è quello di dare un punteggio VMmark ma di
rispondere a due semplici, per quanto ostiche, domande. Il tipo di domande
che la maggior parte degli utenti SMB chiede al proprio reseller:
• Quante Virtual Machine possono girare su un nodo?
• Di quanti nodi ho bisogno per far girare tutte le mie VM?
Solitamente è molto difficile rispondere a queste domande ed è necessario
una conoscenza profonda dell’infrastruttura, dei workload coinvolti e della
tecnologia. Al contrario, con questo tipo di infrastruttura pre-testata,
cerchiamo un approccio totalmente diverso: l’abbiamo testata con un carico
di lavoro che può essere confrontato con la maggior parte dei casi d’uso,
dando una media di VM che ogni nodo può far girare.
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Perché è importante
L’idea dietro questo white paper è di mostrare le possibilità offerte da una
architettura facile da usare LEGO®-like. L’abilitante di questa architettura è il
software e HP StoreVirtual VSA si adatta perfettamente a questa visione.
Questa soluzione storage software-defined ha tutte le caratteristiche del
modello hardware ma è più economica, permettendo anche di ottenere
configurazioni flessibili e upgrade hardware trasparenti.
Ultimo ma non ultimo, la disponibilità di HP StoreVirtual VSA su entrambi gli
hypervisor più diffusi sul mercato garantisce una grande libertà di scelta per
l’utente finale.
Questo approccio è molto adatto agli utenti finali più piccoli dove gli skill per
disegnare e configurare una infrastruttura virtualizzata sono spesso assenti.
Inoltre i rivenditori possono trarre il massimo vantaggio da questa tipo di
soluzione grazie alla drammatica semplificazione del processo di vendita.
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Architettura
Configurazione del nodo e dell’infrastruttura
Per la reale implementazione della nostra infrastruttura abbiamo deciso di
configurare dei nodi di fascia
media in termini di CPU, RAM e
dischi. Il nostro obiettivo non è
quello di spingerci verso la
configurazione più estrema ma,
al contrario, di provare il valore
d i u n a s o l u z i o n e h y p e rconverged per i piccoli utenti.
Allo stesso tempo, abbiamo scelto switch con porte a 10Gbit Ethernet per
semplificare la configurazione, eliminando tecniche di teaming (link
aggreagation) e facilitare il percorso di eventuali upgrade nel futuro. 10Gbit
Ethernet può sembrare strano per ambienti così piccoli ma, al contrario, è
perfetto perché l’hardware di networking HP che abbiamo scelto (2920) è
decisamente conveniente e ci da anche l’opportunità di utilizzare 24 porte
1Gb Ethernet su ogni switch.
I nodi server per la nostra infrastruttura scale-out saranno così configurati:
• 2 Intel Xeon E5-2640 (6c/2.5GHz) CPUs;
• 64GB di RAM;
• 2 10G Ethernet ports;
• 18 2,5” 450GB/10K RPM SAS disks;
• HP Smart Array Controller model 420 con 1GB di cache.
Questa configurazione, in un cluster di base a tre nodi, presenta 36 CPU
core, 192GB di RAM e 45 dischi rigidi attivi supportati da una cache di 3GB
(che teoricamente significano 9TB di spazio libero con una buona quantità di
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IOPS nel peggiore degli scenari): discuteremo le prestazioni misurate sul
cluster nei prossimi capitoli.
Sul lato networking, la configurazione che andremo ad adottare per il nostro
test è una coppia di switch HP 2920-24G ognuno con 4 porte 10Gbit attive.
Le porte a 10Gbit sono dedicate alla connessione dei nodi del cluster mentre
le restanti 24 porte da 1Gbit sono libere e disponibili per collegare il cluster
ad altri server e client.
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Layout del cluster e dei nodi
Il layout del cluster è decisamente semplice: ogni nodo del cluster ha una
connessione Ethernet 10Gbit ad ogni switch. Negli ambienti più piccoli i due
switch possono essere utilizzati come switch di core oppure possono
provvedere a fornire un numero adeguato di up-link ad un infrastruttura
network già in essere.
Anche la configurazione del singolo nodo è semplice ed è particolarmente
incentrata sullo storage interno. Seguendo la documentazione fornita dal
produttore, Il controller HP SmartArray può essere configurato con la writeback cache abilitata perché, nel nostro caso, è il meccanismo di Network
RAID implementato dalle VSA che garantisce contro le perdite di dati. I dischi
interni al server (18) sono configurati con un disco di spare, un piccolo
volume in RAID 1 per il boot dell’hypervisor e un gruppo RAID 50 composto
di 15 dischi per ospitare i Datastore VMware. C’è anche spazio per future
espansioni di disco o SSD opzionali (meno performanti delle schede PCIe
ma anche più economici).
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Perché è importante
Semplicità e facilità di gestione sono fra le caratteristiche più importanti di
questo tipo di implementazione. L’obiettivo è stato quello di mantenere tutto
il più semplice possibile e di seguire tutte le procedure standard riportate
nella documentazione e sui siti web pubblici di HP. L’abbiamo fatto per dare
all’utente finale, e al rivenditore, una soluzione facile da riprodurre senza il
bisogno di un sistemista particolarmente esperto.
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Eliminare la complessità quando si implementa una infrastruttura 100%
scale-out concorre a ridurre i costi di management, anche quando si parla di
pochi nodi.
Sul lato storage, HP StoreVirtual VSA si adatta perfettamente a questa
visione: un prodotto solido, facile da usare e maturo. Disegnato fin dall’inizio
con questo tipo di architettura in mente e con tutti i tool necessari per
integrarsi con gli hypervisor.
Ultimo ma non meno importante, i link ridondati a 10Gbit permettono di
avere una banda decisamente elevata e facilità di gestione a livello hypervisor
senza il bisogno di configurazioni complesse.
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Risultati dei Benchmark
Introduzione
L’obiettivo di questo paper è di fornire una metrica semplice per valutare
questo tipo di soluzione. Per ottenere questo risultato abbiamo utilizzato il
tool di benchmarking VMmark e abbiamo raccolto le informazioni per ogni
differente configurazione del cluster.
Questi risultati mostrano due cose importanti: il numero delle VM che
possono girare contemporaneamente nel cluster e la sua scalabilità. Allo
stesso tempo, come nelle configurazioni reali, non abbiamo mai spinto i test
e le configurazioni al limite dell’hardware. La nostra scelta è stata quella di
lasciare abbastanza spazio all’utente per riallocare VM e avere prestazioni
decenti nel caso di un guasto di un nodo.
L’unico problema che abbiamo trovato con la suite VMmark è che il singolo
tile (gruppo di VM) non può essere diviso su nodi differenti, un tile può girare
su un solo nodo alla volta. Questo significa che nelle configurazioni più
piccole c’è un certo spreco di risorse ma, come menzionato in precedenza,
questa è una configurazione per il mondo reale e dobbiamo comunque
considerare un certo ammontare di risorse per sostenere l’infrastruttura in
caso succedesse il fallimento di un nodo.
Risultati del benchmark
La figura che segue mostra il grafico con il numero di Virtual Machines che
questo cluster è capace di far girare, espresso in “numero di tile”. Si noterà
immediatamente la progressione lineare del cluster. Ogni nodo aggiunto alla
configurazione permette di aggiungere sempre lo stesso numero di VM. CPU
e RAM non sono mai un problema: il limite è sempre dal lato dischi. Nel caso
della configurazione a 4 nodi otteniamo il massimo vantaggio dal numero più
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VMmark results
5
Tiles
4
3
2
1
2
3
4
Cluster nodes
elevato di dischi e ci sarebbe spazio per far girare ulteriori VM ma, purtroppo,
non abbastanza per far girare un singolo tile su un nodo.
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Perché è importante
Il grafico da un’idea chiara di quante VM possono girare su ogni singola
configurazione testata.
La scalabilità, come previsto all’inizio di questo documento, è totalmente
lineare e l’aggiunta di ulteriori nodi ha un impatto postivi immediato sulle
prestazioni.
Gli utenti finali possono facilmente individuare il numero di nodi del cluster
più adatto alle proprie necessità semplicemente guardando al numero di VM
già in essere. Configurazioni più grandi hanno anche il vantaggio di portare
un utilizzo delle risorse ancora più efficiente; questo è buono a sapersi in
caso di future espansioni del sistema.
Al momento di questa pubblicazione, lo street price di un cluster a tre nodi
simile a quello utilizzato per i test è probabilmente al di sotto di 25.000 € (i
prezzi sono suscettibili a variazioni e non considerano le VSA, gli hypervisor e
il costo degli switch di rete). HP offre anche una licenza gratuita da 1TB
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sull’acquisto di alcuni tipi di server e questo può essere considerato un buon
punto di partenza per i ROBO (remote office, brach office) e le installazioni
più piccole (il sito web di HP fornisce ulteriori informazioni a proposito).
Anche aggiungendo il costo della licenza VSA (questo dipende dalla quantità
di dischi che sono necessari) il prezzo rimane decisamente basso. Per una
soluzione entry level questo si può facilmente posizionare sotto i 30.000 €. In
molti contesti questo prezzo può essere comparato con una configurazione
entry level di una SAN senza considerare i server!
Tutte le configurazioni testate, compresa quella di base a due nodi, sono
affidabili e resilienti. Infatti, nel caso un nodo dovesse fallire, la VSA non
subisce un fermo e il sistema rimane attivo e funzionante. I disservizi, e i
relativi costi correlati a questa eventualità, sono legati ai soli minuti necessari
per la ripartenza (automatica) delle VM su un altro nodo.
Altri risparmi possono essere trovati anche guardando allo spazio occupato
nei rack e, specialmente quando paragonato a SAN FC tradizionali, alla
minor complessità in generale dell’intera infrastruttura.
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Nota finale
Parole come hyper-converged e software-defined sono spesso abusate e
possono facilmente perdere di significato ma, in questo caso, sono
decisamente confidente sul fatto che abbiamo realizzato quello che
pensavamo di fare: una soluzione entry level di tipo hyper-converged e
software-defined per la piccola e media impresa.
Un’altro aspetto chiave è che tutto lo stack hardware (server, storage e
networking) è composto da componenti standard off-the-shelf prodotti da un
fornitore primario. Questo ha conseguenze dirette su come i servizi di
supporto vengono erogati e porta automaticamente ad una migliore
esperienza d’uso sul supporto da parte dell’utente.
Questo è il tipo di soluzione che può aiutare il piccolo dipartimento IT a
coprire tutte le sue esigenze o può essere vista come una soluzione
economica e facile da dispiegare negli uffici remoti delle organizzazioni più
grandi.
Inoltre, nel caso dei ROBO, i benefici di questa soluzioni non sono da
sottovalutare anche sotto altri aspetti. Per esempio, la facilità di
implementazione di piani di DR grazie alle funzionalità di replica offerte da HP
StoreVirtual VSA oppure la possibilità di utilizzare altre VSA, come ad
esempio HP StoreOnce VSA che permette di risolvere il problema dei
backup remoti e il loro trasporto verso il sito primario.
Con la recente introduzione di HP StoreVirtual versione 11, è anche possibile
migliorare sensibilmente le prestazioni di questo stack hardware
aggiungendo un piccolo quantitativo di memoria flash su ogni nodo,
mantenendo comunque i costi ad un livello ragionevole.
La soluzione descritta nelle pagine precedenti si adatta perfettamente a
piccoli ambienti virtualizzati al 100% lasciando comunque ampi spazi di
crescita in caso di espansione o di crescita dell’azienda.
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Molti vendor stanno lavorando a solution simili a questa ma, al momento, HP
è ben posizionata sul mercato e può offrire una soluzione che può partire da
un livello di costi molto basso.
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Juku
Perchè Juku
I Juku sono scuole, private, giapponesi che hanno l’obiettivo di aiutare gli studenti a
migliorare il rendimento nelle loro normali attività scolastiche e di preparazione. Il nostro
obiettivo è proprio quello di non sostituirci all’informazione istituzionale ma di aiutare chi deve
prendere le decisioni per il proprio IT con articoli, informazione e confronto sulle tematiche
tecnologiche che conosciamo meglio: l’infrastruttura IT ed in particolare virtualizzazione,
cloud computing e storage.
Non è più come una volta, chi lavora nell’IT deve guardarsi intorno: le cose cambiano
velocemente e c’è la necessità di rimanere informati, o informarsi velocemente, per
sostenere decisioni importanti. Come fare? E’ semplice: le nostre idee, il risultato del
confronto quotidiano che abbiamo globalmente sul web e sui social network con vendor,
analisti, blogger, giornalisti e consulenti. Ma il nostro lavoro non si ferma qui, il confronto e la
ricerca è globale ma la condivisione e l’applicazione delle nostre idee deve essere locale: ed
è qui che la nostra esperienza quotidiana, con aziende radicate sul territorio italiano, diviene
fondamentale per offrire una visione sincera ed utile. Ecco perché abbiamo scelto “think
global, act local” come payoff per Juku.
!
Autore
Enrico Signoretti, Consulente indipendente, Trusted Advisor e
blogger (non necessariamente in questo ordine). Frequenta gli
ambienti IT da oltre 20 anni, la sua carriera è iniziata con l’assembler
nella seconda metà degli anni 80 per poi passare allo Unix, ma
sempre con il Mac nel cuore, fino ad approdare al Cloud dei giorni
nostri. Nel 2012 ha fondato Juku consulting SRL, una nuova società
di advising e consulenza pensata per fornire supporto ad aziende,
vendor e terze parti nello sviluppo delle loro strategie IT. Attento alle
evoluzioni del mercato è alla costante ricerca di idee e soluzioni innovative. Enrico raccoglie i
suoi profili Social qui: http://about.me/esignoretti.
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