Il Giornale di diritto amministrativo rivista nr 10 2014

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Giornale di diritto amministrativo
Sommario
EDITORIALE
E` SEMPRE UN BUON INIZIO LA META` DELL’OPERA?
di Francesco Battini
901
NORME
RASSEGNA DELLA NORMATIVA STATALE
a cura di Umberto G. Zingales
903
GIURISPRUDENZA
Unione europea LA SPECIALITA` DEGLI ENTI PUBBLICI FRANCESI: PRIVILEGIO O GARANZIA IMPLICITA
PER I TERZI CREDITORI?
Corte di giustizia dell’Unione europea, prima Sezione, 3 aprile 2014, causa C-559/12 P
Giustizia
amministrativa
Commento di Matteo Gnes
906
L’ADUNANZA PLENARIA RITORNA SUL RICORSO INCIDENTALE ESCLUDENTE
Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 25 febbraio 2014, n. 9; Corte di giustizia dell’Unione europea,
4 luglio 2013, causa C-100/12
918
- Un errore di fondo?
di Leonardo Ferrara
919
- Una decisione poco europea
di Antonio Bartolini
Concorrenza
e mercato
932
L’ABROGAZIONE NEI RAPPORTI FRA LEGGI STATALI E REGIONALI
Consiglio di Stato, sez. V, 27 maggio 2014, n. 2746
Commento di Stefano Battini
939
Osservatori
OSSERVATORIO CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
a cura di Marco Pacini
954
CONSIGLIO DI STATO - DECISIONI
a cura di Luigi Carbone e Mario D’Adamo
956
TRIBUNALI AMMINISTRATIVI REGIONALI
a cura di Giulia Ferrari
961
CORTE DEI CONTI
a cura di Laura D’Ambrosio e Francesco Battini
966
ANAC
a cura di Elisa D’Alterio e Chiara Di Seri
970
DOCUMENTI
Semplificazione LO ‘‘STATO DELL’ARTE’’ DELLA SEMPLIFICAZIONE IN ITALIA
amministrativa Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla semplificazione legislativa e amministrativa, approvato il 31
marzo 2014
Commento di Mariangela Benedetti
Giornale di diritto amministrativo 10/2014
972
899
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Giornale di diritto amministrativo
Sommario
LIBRI
981
SEGNALAZIONI E RECENSIONI
OPINIONI
Qualita`
PRIMA L’UOVO O LA GALLINA? LA SMART REGULATION NELLE DECISIONI
della regolazione DELLE ISTITUZIONI EUROPEE
di Siriana Salvi e Francesco Sarpi
982
Incarichi pubblici LE ‘‘QUOTE DI GENERE’’ ALLA PROVA DEI FATTI: L’ACCESSO DELLE DONNE AL POTERE
E I GIUDICI AMMINISTRATIVI
di Anna Simonati
997
INDICI
1008
INDICE AUTORI, CRONOLOGICO E ANALITICO
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Giornale di diritto amministrativo 10/2014
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Editoriale
Pubblica amministrazione
É sempre un buon inizio la metà
dell’opera?
di Francesco Battini
Il dubbio che il titolo esprime nasce dalla lettura
di una circolare del Ministero della giustizia, Direzione generale della giustizia civile, avente ad oggetto gli adempimenti di cancelleria conseguenti al
combinarsi delle disposizioni sul processo (civile)
telematico dettate dagli artt. 16 bis e seguenti del
d.l. n. 179 del 2012 (legge n. 221) con le modifiche introdotte dall'art. 44 del d.l. n. 90 del 2014
(legge n. 114). In sintesi, mentre il primo provvedimento d’urgenza ha sancito, a decorrere dal 30
giugno 2014, l’obbligo di depositare esclusivamente
in via telematica i documenti processuali presentati da difensori di parti già costituite o provenienti
da soggetti nominati dal giudice, il secondo ha prorogato di sei mesi il termine per i procedimenti
(presso tribunali ordinari) iniziati prima del 30 giugno, temporaneamente ammettendo anche il deposito di documenti cartacei.
Una lettura affrettata della circolare - e il pensiero
di cosa mai potrebbe comprendere di quella prosa
un non addetto ai lavori - può indurre a ironizzare
non tanto per la burocratica ma dovuta meticolosità con la quale sono esaminati i numerosi problemi
sollevati dalle norme, quanto per l’apparente ingenuità di alcuni suggerimenti forniti ai capi degli uffici di cancelleria: quello, ad esempio, di “valutare
la possibilità di sollecitare i magistrati alla piena
osservanza” di alcune disposizioni, ovvero il suggerimento di svolgere celermente i lavori di accettazione dei depositi telematici anche concentrandoli
nelle ore aggiuntive di chiusura al pubblico degli
uffici concesse dal provvido legislatore; ma il tutto
con l'aggiunta che alla riduzione prevista “i dirigenti avranno cura di ricorrere esclusivamente laddove ciò non determini disservizi per l’utenza”.
Ma, come questi primi approfondimenti già in parte dimostrano, il sentimento prevalente che una
più attenta lettura del documento suscita è quello
dell'ammirazione: si inizia infatti a sospettare che,
diplomaticamente giocando con l’uso dell’understatement e della litote, il compilatore, con pacata e
ironica rassegnazione, contempli e rievochi gli infiniti lutti che l’ira di Achille può addurre agli
Achei.
Giornale di diritto amministrativo 10/2014
Nell’esordio, ad esempio, non si lesinano espressioni di soddisfazione per il passo in avanti così compiuto dal legislatore nella direzione di un processo
civile integralmente telematico (PCT), ma non
senza rilevare che ciò “non costituisce, di per sé,
entrata in vigore del (...) PCT e non ne completa
il percorso”, perché dal 30 giugno prossimo “soltanto una, pur rilevante, porzione degli atti e documenti processuali verrà obbligatoriamente depositata mediante invio telematico”, mentre nulla è innovato relativamente alla ricezione (eventualmente telematica e solo per i tribunali abilitati) degli
atti introduttivi o di citazione in giudizio.
La circolare si addentra poi nell’analisi minuziosa
di una situazione confusa, che non a caso è più in
là definita “eccezionalità del momento”, elencando
non soltanto i casi e i tempi in cui ora sussiste l’obbligo o la facoltà di deposito in via telematica di
alcuni documenti processuali, ma anche e soprattutto le eccezioni, non rinunciando anche a enunciare le varie ipotesi in cui a tale obbligo - o a tale
facoltà - sarà ancora necessario, o comunque molto
utile, affiancare corrispondenti documenti cartacei.
La Direzione generale si guarda bene, ovviamente,
dal suggerire alle cancellerie di mantenere in parallelo al fascicolo telematico, per ogni evenienza,
e con finalità di sperimentazione, anche un fascicolo cartaceo (ciò che potrebbe essere sancito solo dal legislatore), ma dalla elencazione dei casi
in cui la duplicazione deve o può verificarsi, tra
l’altro definita non esaustiva, trapela apparentemente proprio quella opportunità. In tema di eccezioni, d’altra parte, la circolare non si sofferma
troppo su quella che riguarda le parti non costituite a mezzo di difensore, che, però, esonera tra l’altro dall’obbligo di deposito telematico tutte le
pubbliche amministrazioni se rappresentate da dipendenti.
Tutto questo sembra rafforzare le probabilità di
una esposizione, istituzionalmente d’altronde necessaria, ma condotta con sottese strizzatine d’occhio. E particolarmente eloquente, in tal senso, è
poi la previsione del trattamento della copia cartacea informale dell’atto depositato telematicamente,
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Editoriale
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Pubblica amministrazione
che va messa a disposizione del giudice secondo
“soluzione o prassi organizzativa adottata a livello
locale” che “non può essere oggetto di statuizioni
imperative, né, in generale, di etero determinazione”. Chiarito, ancora, che “tale prassi, libera da
qualsiasi vincolo di forma...non sostituisce né si aggiunge al deposito telematico, ma costituisce soltanto una modalità pratica di messa a disposizione
del giudice di atti processuali trasposti su carta”,
viene statuito che le copie in discorso non vanno
inserite nel fascicolo processuale. Si aggiunge che,
anche ove non risultino adottate le prassi descritte,
deve tenersi conto che i magistrati saranno tenuti
a modificare in modo rilevante le proprie modalità
di organizzazione del lavoro, con conseguente necessità, per gli uffici di cancelleria, di procedere al-
902
la “stampa di atti e documenti su richiesta del giudice, soprattutto laddove si tratti di ‘file’ di grandi
dimensioni”.
In effetti, appare così comprovato che l’entrata in
vigore definitiva del processo civile telematico resta un appuntamento lontano nel tempo, che pretenderà forse un periodo di preliminare sperimentazione. Ma quale conclusione può per ora trarsi a
commento di un esempio di “costume amministrativo” probabilmente significativo?
Forse che, in un periodo nel quale, da parte dei politici, dei mass media e di gran parte dei cittadini,
la decadenza economica e morale dell'Italia viene
addebitata non già a chi ha a lungo governato, ma
alla burocrazia e alla magistratura, una ironica rassegnazione costituisce la reazione migliore.
Giornale di diritto amministrativo 10/2014
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Norme
Novità in sintesi
Rassegna della normativa
statale
a cura di Umberto G. Zingales
Beni culturali e turismo
Legge 22 luglio 2014, n. 110
«Modifica al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in materia
di professionisti dei beni culturali, e istituzione di elenchi nazionali dei suddetti professionisti» - in G.U. 8 agosto
2014, n. 183
Legge 29 luglio 2014, n. 106
«Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, recante disposizioni urgenti per
la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo» - in G.U. 30 luglio 2014, n. 175
La legge n. 110/2014 introduce una disposizione (art. 9-bis) nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al
d. lgs. n. 42/2004, in materia di professionisti competenti ad eseguire interventi sui beni culturali, e istituisce gli
elenchi nazionali dei suddetti professionisti.
La legge n. 106/2014 converte, con modificazioni, il d.l. n. 83/2014, recante disposizioni varie per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo.
Competitività
Legge 11 agosto 2014, n. 116
«Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, recante disposizioni urgenti per
il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio
e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea» - in G.U. 20 agosto 2014, n. 192, suppl. ord. n. 72/L
Converte, con modificazioni, il d.l. n. 91/2014 (c.d. “decreto competitività”), contenente disposizioni in materia di:
agricoltura; tutela ambientale ed efficientamento energetico; sviluppo delle imprese; energia; semplificazione e
razionalizzazione dei controlli della Corte dei conti. Si segnala che nel decreto convertito sono in parte confluite le
disposizioni, già contenute nel d.l. n. 100/2014, relative alla realizzazione del piano delle misure e delle attività di
tutela ambientale e sanitaria dello stabilimento siderurgico della Società ILVA S.p.A.
Contabilità pubblica
Decreto legislativo 10 agosto 2014, n. 126
«Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, recante disposizioni in materia di
armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a
norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42» - in G.U. 28 agosto 2014, n. 199, suppl. ord. n. 73/L
Il decreto è finalizzato a consentire l’attuazione del titolo primo del d. lgs. n. 118/2011, concernente la riforma del
sistema contabile delle amministrazioni territoriali e dei loro enti strumentali non sanitari, nell’ambito del più ampio processo di armonizzazione dei sistemi contabili delle amministrazioni pubbliche previsto dall’art. 2 della legge n. 196/2009.
Cooperazione internazionale per lo sviluppo
Legge 11 agosto 2014, n. 125
«Disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo» - in G.U. 28 agosto 2014, n. 199
La legge, composta di 34 articoli, contiene la disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo
sostenibile, i diritti umani e la pace, considerata parte integrante e qualificante della politica estera dell’Italia (si
segnala, in proposito, che la denominazione «Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale» sostituisce quella di «Ministero degli affari esteri»).La cooperazione allo sviluppo persegue, in conformità coi programmi e con le strategie internazionali definiti dalle Nazioni Unite, dalle altre organizzazioni internazionali e dall’Unione europea, gli obiettivi fondamentali volti a: a) sradicare la povertà e ridurre le disuguaglianze, migliorare
le condizioni di vita delle popolazioni e promuovere uno sviluppo sostenibile; b) tutelare e affermare i diritti umani,
la dignità dell’individuo, l’uguaglianza di genere, le pari opportunità e i princìpi di democrazia e dello Stato di dirit-
Giornale di diritto amministrativo 10/2014
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Norme
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Novità in sintesi
to; c) prevenire i conflitti, sostenere i processi di pacificazione, di riconciliazione, di stabilizzazione post-conflitto,
di consolidamento e rafforzamento delle istituzioni democratiche. Tra le altre disposizioni, si richiamano quelle relative all’istituzione dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, con personalità giuridica di diritto pubblico, sottoposta al potere di indirizzo e vigilanza del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con compiti di attuazione delle politiche di cooperazione allo sviluppo sulla base dei criteri di efficacia, economicità, unitarietà e trasparenza. La legge attribuisce all’Agenzia autonomia organizzativa, regolamentare, amministrativa, patrimoniale, contabile e di bilancio.
Diritto all’informazione nei procedimenti penali
Decreto legislativo 1° luglio 2014, n. 101
«Attuazione della Direttiva 2012/13/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali» - in G.U. 17 luglio 2014,
n. 164
Il decreto recepisce la Direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 maggio 2012, che stabilisce norme relative al diritto all’informazione delle persone indagate o imputate, sui diritti di cui godono nel
procedimento penale e dell’accusa elevata a loro carico e prevede, altresì, norme relative al diritto all’informazione delle persone soggette al mandato di arresto europeo sui loro diritti.
Energia e ambiente
Decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102
«Attuazione della direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE
e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE» - in G.U. 18 luglio 2014, n. 165
Decreto-legge 16 luglio 2014, n. 100
«Misure urgenti per la realizzazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria per le imprese sottoposte a commissariamento straordinario» - in G.U. 17 luglio 2014, n. 164
Il d.lgs. n. 102/2014, in attuazione della direttiva 2012/27/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, stabilisce un quadro di misure per la promozione e il miglioramento dell’efficienza energetica che concorrono al conseguimento dell’obiettivo nazionale di risparmio energetico. Inoltre, detta norme finalizzate a rimuovere gli ostacoli sul mercato dell’energia e a superare le carenze del mercato che frenano l’efficienza nella
fornitura e negli usi finali dell’energia.
Il d.l. n. 100/2014 prevede disposizioni volte ad assicurare la realizzazione del piano delle misure e delle attività di
tutela ambientale e sanitaria nonché la continuità produttiva ed occupazionale dello stabilimento siderurgico della
Società Ilva s.p.a., in quanto stabilimento industriale di interesse strategico nazionale.
Tortura
Legge 11 agosto 2014, n. 117
«Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 26 giugno 2014, n. 92, recante disposizioni urgenti in
materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell’articolo 3 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché di
modifiche al codice di procedura penale e alle disposizioni di attuazione, all’ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria e all’ordinamento penitenziario, anche minorile» - in G.U. 20 agosto 2014, n. 192
Converte, con modificazioni, il d.l. n. 92/2014, con il quale - al fine di ottemperare a quanto disposto dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo nella sentenza dell’8 gennaio 2013 (causa Torreggiani e altri contro Italia) - sono state previste disposizioni in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un
trattamento in violazione dell’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (proibizione della tortura).
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Giornale di diritto amministrativo 10/2014
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Giurisprudenza
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Unione europea
Aiuti di Stato
La specialità degli enti pubblici
francesi: privilegio o garanzia
implicita per i terzi creditori?
Corte di giustizia dell’Unione europea, Prima Sezione, 3 aprile 2014, causa C-559/12 P - Giud.
rel. A. Tizzano - Avv. gen. N.Jääskinen - Repubblica francese contro Commissione europea
Una garanzia implicita e illimitata concessa dallo Stato a un ente pubblico a carattere commerciale e industriale costituisce un aiuto di Stato illegittimo.
Al fine di verificare l’esistenza di una garanzia implicita e illimitata concessa dallo Stato, la quale non risulta
espressamente da alcun testo legislativo o contrattuale, la Commissione è legittimata a fondarsi sul metodo
del complesso d’indizi seri, precisi e concordanti, per verificare se esista, in diritto interno, un concreto obbligo in capo allo Stato di impegnare le proprie risorse al fine di coprire le perdite di un ente pubblico insolvente
e quindi un rischio economico sufficientemente concreto di oneri gravanti sul bilancio statale.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Tribunale del 26 giugno 2008, SIC - Sociedade Independente de Comunicação SA c. Commissione, causa T-442/03;
Tribunale Ue, 15 dicembre 2009, Électricité de France (EDF) c. Commissione europea, causa T-156/04; Tribunale
Ue, 20 settembre 2012, Repubblica francese c. Commissione europea, causa T-154/10.
Difforme
Non si rinvengono precedenti in termini.
Omissis.
IL COMMENTO
di Matteo Gnes
Nel caso La Poste, prima la Commissione, poi il Tribunale ed infine la Corte di giustizia stabiliscono che
l’impignorabilità dei beni degli enti pubblici, l’impossibilità di utilizzare contro gli stessi le procedure di
esecuzione di diritto comune, oppure un regime di responsabilità dello Stato per cui questo è giuridicamente vincolato a rimborsare il credito di un altro soggetto in caso di insolvenza o fallimento, possono dimostrare l’esistenza di una garanzia statale illimitata implicita incompatibile con la disciplina europea sugli aiuti di Stato. Poiché sussistono tali elementi, dal regime giuridico degli enti pubblici a carattere industriale e commerciale (Epic) francesi emerge l’esistenza di una garanzia implicita dello Stato. Tuttavia, tale
soluzione desta qualche perplessità, in quanto porta a rinvenire una situazione di maggior tutela del privato nell’ambito di un regime di privilegio stabilito dal legislatore per favorire un soggetto pubblico e l’espletamento della missione pubblica ad esso affidata.
Il problema giuridico
L’inapplicabilità delle procedure di insolvenza e
di fallimento ad un ente pubblico costituisce un
privilegio a favore del soggetto pubblico debitore
oppure può attribuire al privato creditore una si-
906
tuazione di vantaggio di cui non godrebbe nei confronti dei debitori privati? Può, quindi, una situazione di privilegio stabilita dal legislatore per favorire un soggetto pubblico, al fine di garantire la
continuità del servizio pubblico da questo espleta-
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to, dare luogo - eventualmente quale contropartita
dei limiti di tutela del privato creditore - ad una situazione di maggior tutela del privato?
In altri termini, in che misura è vera la tradizionale affermazione per cui lo Stato (includendo in
tale espressione tutti i soggetti pubblici), pur non
sapendo quando, prima o poi pagherà? E quali ne
sono le conseguenze sul piano pratico e teorico?
E tale “certezza” (dell’an, pur se non del quando)
può dare luogo alla garanzia, espressa ovvero implicita, che qualsiasi debito di qualsiasi soggetto pubblico troverà - in un modo o in un altro - copertura da parte dello Stato? Ed il fatto che lo Stato formalmente ovvero solo di fatto - garantisca i debiti dei soggetti pubblici, può dare luogo ad un
vantaggio finanziario per questi ultimi? E tale vantaggio può costituire un aiuto di Stato ai sensi del
diritto dell’Unione europea?
La questione è stata affrontata, con riferimento
ad alcuni enti pubblici francesi, dalla Commissione
europea, nonché, con particolare riferimento all’ente pubblico cui è affidato il servizio postale (La
Poste), anche dal Tribunale dell’Unione europea e
dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, così
affermando un preciso orientamento giurisprudenziale in materia.
La giurisprudenza europea, andando oltre alla
tradizionale prospettiva per cui determinate norme
costituiscono un privilegio a favore dei soggetti
pubblici, sottraendo questi ultimi alle ordinarie
procedure di esecuzione, propone una diversa prospettiva del fenomeno.
Il caso La Poste è quindi di grande interesse. Innanzitutto, perché è la prima volta che la Corte di
giustizia si pronuncia sul problema della garanzia
implicita che lo Stato francese concederebbe ai
propri enti pubblici e sulla conseguente configura-
zione della stessa quale aiuto di Stato. In secondo
luogo, perché porta ad un ribaltamento della configurazione del privilegio di cui godono gli enti pubblici (francesi): l’inesecutabilità sui beni degli stessi
non configura uno svantaggio per i creditori, ma,
invero, un vantaggio, dal momento che - a differenza di quanto avviene all’esito delle ordinarie
procedure concorsuali - il credito insoddisfatto non
viene estinto, ma permane l’obbligazione dell’ente
pubblico (oppure dello Stato) di farvi fronte, pur
se in un indeterminato momento successivo. In
terzo luogo perché, pur se la decisione riguarda una
materia particolare, ossia quella degli aiuti di Stato
ai sensi dell’ordinamento europeo, in un momento
in cui i tempi di pagamento delle obbligazioni pecuniarie da parte delle pubbliche amministrazioni
(specie italiane) tendono a dilatarsi e le procedure
di dissesto degli enti pubblici si fanno più frequenti, porta a riflettere sui rapporti finanziari ed obbligatori tra lo Stato e gli altri enti pubblici.
(1) Caso di aiuto di Stato n. E 10/2000. Cfr. lettere della
Commissione dell’8 maggio 2001 e del 27 marzo 2002, consultabili sul sito internet della Commissione europea (all’indirizzo http://ec.europa.eu/competition/elojade/isef/index.cfm). Su
tale vicenda, v. S. Moser e N. Pesaresi, State guarantees to
German public banks: a new step in the enforcement of State
aid discipline to financial services in the Community, in Competition Policy Newsletter, June 2002, 1.
(2) Caso di aiuto di Stato n. C 68/2002. Cfr. lettera della
Commissione del 16 ottobre 2002, in Guue C 280 del 16 novembre 2002, 8; e decisione della Commissione del 16 dicembre 2003, relativa agli aiuti di Stato cui la Francia ha dato esecuzione in favore di Electricité de France (EDF) e del settore delle
industrie dell’elettricità e del gas, in Guue L 49 del 22 maggio
2005, 9.
(3) Dell’invio di una lettera con cui la Commissione aveva
chiesto alla Francia di porre termine al regime di garanzia implicita a favore sia di EDF, sia di GDF, è stata data notizia attraverso un comunicato della commissaria europea Loyola de Palacio del 22 giugno 2004 e dalla stampa.
(4) Caso di aiuto di Stato n. C 24/2005. Cfr. lettera della
Commissione del 5 luglio 2005, in Guue C 263 del 22 ottobre
2005, 22; e decisione della Commissione del 22 novembre
2006, concernente gli aiuti di Stato cui la Francia ha dato esecuzione in favore del Laboratoire national de métrologie et d’essais, in Guue L 95 del 5 aprile 2007, 25.
(5) Caso di aiuto di Stato n. C 42/07. Cfr. lettera della Commissione del 10 ottobre 2007, in Guue C 9 del 15 gennaio
2008, 13; e decisione della Commissione del 13 luglio 2009,
relativa alla riforma delle modalità di finanziamento del regime
pensionistico della RATP al quale la Francia intende dare esecuzione a favore della RATP, in Guue L 327 del 12 dicembre
2009, 21.
(6) Con lettera dell’11 febbraio 2010, la Commissione ha
contestato alla Francia il vantaggio concorrenziale conseguente alla garanzia illimitata prestata dallo Stato a favore della
SNCF: cfr. il Rapport d´information fait au nom du groupe de
travail sur l’avenir du fret ferroviaire, constitué par la commission
de l’économie, du développement durable et de l’aménagement
du territoire, n. 55/2010, consultabile sul sito internet del Sénat,
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La controversia relativa alle poste francesi
Dall’inizio dello scorso decennio, la Commissione europea, anche in applicazione di proprie comunicazioni su aiuti di Stato e garanzie pubbliche (su
cui si tornerà in seguito), ha avviato una serie di
istruttorie in materia. Per esempio, relativamente
alla garanzia pubblica tedesca a favore delle banche (1), nonché, per quello che qui più interessa,
nei confronti di alcune imprese pubbliche francesi,
come Electricité de France - EDF (2), Gaz de France
- GDF (3), Laboratoire national de métrologie et d'essais - LNE (4), La Poste, Régie autonome des transports parisiens - RATP (5) e Société Nationale des
Chemins de fer Français - SNCF (6).
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Giurisprudenza
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A seguito dell’invio delle lettere della Commissione, gli Stati interessati hanno modificato il regime giuridico degli enti pubblici interessati, come è
avvenuto relativamente alla garanzia prestata alle
banche tedesche ed alla garanzia prestata ad alcuni
enti pubblici francesi (con la loro privatizzazione).
Tuttavia, non sempre è stato raggiunto un accordo
tra la Commissione e le autorità nazionali, per cui
in alcuni casi si è giunti ad un contenzioso innanzi
ai giudici europei. Due casi sono di particolare interesse: quello dell’EDF, dove però la decisione della Commissione è stata annullata dal Tribunale (7), la cui sentenza è stata confermata dalla Corte di giustizia (8), portando quindi alla riapertura
della procedura (9); e quello relativo a La Poste,
ove, come si vedrà, la decisione della Commissione
è stata sostanzialmente confermata sia dal Tribunale, sia dalla Corte di giustizia, fissando così i principi di riferimento della materia.
La procedura nei confronti de La Poste fu avviata a seguito della decisione favorevole della Commissione del 21 dicembre 2005 relativa al trasferimento delle attività bancarie e finanziarie de La
Poste alla sua filiale, La Banque Postale (10). In tale
decisione, la Commissione si riservò di esaminare
nell’ambito di un procedimento separato la questione della garanzia illimitata dello Stato a favore
de La Poste. Quindi, con lettera del 21 febbraio
2006, la Commissione, secondo quanto previsto
dall’articolo 17 del regolamento procedurale in materia di aiuti di Stato (11), rendeva note alle autorità francesi le sue conclusioni preliminari circa l’esistenza di una garanzia illimitata dello Stato derivante dallo statuto giuridico de La Poste, tale da
costituire un aiuto di Stato (rientrante tra quelli
esistenti, in quanto previgente all’entrata in vigore
del Trattato Cee), e le invitava a presentare le loro
osservazioni. A seguito della risposta delle autorità
francesi, pervenuta il 24 aprile 2006, la Commissione, con decisione del 4 ottobre 2006, adottata
ai sensi dell’art. 18 del regolamento procedurale,
invitava la Repubblica francese a sopprimere entro
il 31 dicembre 2008 la garanzia di cui beneficiava
La Poste. A seguito della richiesta delle autorità
francesi di avviare una discussione in materia, si
svolse una riunione, il 20 dicembre 2006, tra i servizi della Commissione e le autorità francesi; seguì
una lettera del 16 gennaio 2007 in cui le autorità
francesi, pur contestando le conclusioni della
Commissione, sottoponevano un progetto di modifica della normativa nazionale rilevante; e, quindi,
la decisione della Commissione, con lettera del 29
novembre 2007, di avviare un procedimento di indagine formale (ai sensi dell’articolo 88, c. 2, Tr.
Ce, poi, art. 108, c. 2, del Tr. funz. Ue) (12).
Seguirono successivi scambi di osservazioni tra
la Commissione (che aveva anche affidato, in seguito ad apposita gara d’appalto, la realizzazione di
uno studio ad un esperto esterno) e le autorità
francesi, che, tra l’altro, con una nota del 31 luglio
2009 informarono la Commissione dell’adozione,
da parte del Consiglio dei ministri, di un progetto
di legge in cui si prevedeva anche la trasformazione
de La Poste in società per azioni a partire dal 1°
gennaio 2010. Infine, il 26 gennaio 2010 la Commissione ha adottato la decisione, poi impugnata,
in cui stabiliva che “la garanzia illimitata concessa
dalla Francia a La Poste costituisce un aiuto di Stato incompatibile con il mercato interno. La Francia pone fine al suddetto aiuto entro e non oltre il
31 marzo 2010”, ma, allo stesso tempo, precisava
che “la trasformazione effettiva de La Poste in società per azioni sopprimerà di fatto la garanzia illimitata a vantaggio de La Poste” (13).
La decisione della Commissione è articolata in
quattro parti. Nella prima viene esposto il procedimento; nella seconda viene descritta la misura
francese contestata (in particolare, ritenendo, in
considerazione della natura di ente pubblico de La
Poste, che a questa non siano applicabili le procedure di insolvenza e di fallimento; che a questa sia
invece applicabile una specifica normativa in materia di insolvenza degli organismi pubblici, oltre al
principio della responsabilità dello Stato; che sia
applicabile la procedura di trasferimento degli obblighi di un organismo pubblico ad un altro ente
all’indirizzo http://www.senat.fr/rap/r10-055/r10-0551.pdf.
(7) Sentenza del Tribunale Ue, 15 dicembre 2009, Électricité
de France (EDF) c. Commissione europea, causa T-156/04.
(8) Sentenza della Corte di giustizia Ue, 5 giugno 2012,
Commissione europea c. Électricité de France (EDF), causa C124/10 P.
(9) Cfr. lettera della Commissione del 2 maggio 2013, in
Guue C 186 del 28 giugno 2013, 73.
(10) Decisione adottata nel caso n. 531/05, Misure relative
alla costituzione della “Banque Postale”, in Guue C 21 del 28
gennaio 2006, 2.
(11) Regolamento (Ce) n. 659/1999 del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell'articolo 93 del Trattato Ce (e
poi dell’articolo 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea).
(12) Decisione del 29 novembre 2007, nel caso n. C
56/2007 (ex n. C 49/2007 ed ex n. E 15/2005), in Guue C 135
del 3 giugno 2008, 7.
(13) Decisione della Commissione del 26 gennaio 2010, n.
2010/605/Ue, relativa all’aiuto di Stato C 56/07 (ex E 15/05)
concesso dalla Francia a La Poste, in Guue L 274 del 19 ottobre
2010, 1.
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pubblico o allo Stato; e infine che La Poste, in
quanto ente pubblico, potrebbe avere accesso ai
conti del Tesoro); nella terza sono valutate le contestazioni delle autorità francesi (relativamente all’assenza sia della garanzia, sia di vantaggi) e le loro
proposte (volte a chiarire la portata della normativa da cui si potrebbe dedurre l’esistenza di una garanzia implicita; a prevedere l’apposizione di clausole contrattuali volte a precisare l’assenza di garanzia; ad introdurre un dispositivo di retrocessione
a fronte del supposto vantaggio); nella quarta viene fornita una valutazione dell’aiuto.
In quest’ultima parte, la Commissione rileva innanzitutto l’esistenza di una garanzia implicita dello Stato, che deriva dallo statuto giuridico di organismo pubblico a carattere industriale e commerciale (Epic) de La Poste, dalla certezza dei creditori
di poter essere rimborsati (senza incontrare gli
ostacoli ordinari; potendo essere sicuri che in ogni
caso i loro crediti non potranno essere cancellati,
come invece avviene nelle procedure concorsuali;
potendo eventualmente ricorrere al regime di responsabilità dello Stato), dalla garanzia sul mantenimento de La Poste e dei suoi obblighi. In secondo luogo, che vi è un vantaggio selettivo, dal momento che, per effetto del sostegno pubblico, La
Poste beneficia di condizioni di finanziamento più
favorevoli di quelle di cui godrebbe se fosse valutata esclusivamente in base ai propri meriti; e che,
considerato il carattere illimitato della garanzia,
non è possibile calcolare il prezzo di mercato del
premio che La Poste dovrebbe corrispondere allo
Stato. In terzo luogo, che la misura, in quanto in
grado di comportare una riduzione dei costi di funzionamento de La Poste, la favorisce così falsando
la concorrenza. Si esclude, quindi, che tale aiuto
possa essere dichiarato compatibile sulla base delle
deroghe stabilite dall’art. 107 Tr. funz. Ue.
A seguito dell’impugnazione della decisione, il
Tribunale, con una sentenza del 2012 (14), ha ritenuto che la Commissione abbia correttamente dedotto che dallo statuto giuridico degli Epic emerga
l’esistenza di una garanzia implicita dello Stato;
che, per effetto, dell’inapplicabilità agli Epic delle
procedure di amministrazione controllata e di liquidazione giudiziaria di diritto comune, “una volta
esaurite le risorse proprie dell’organismo pubblico
inadempiente, fondi di Stato verrebbero con tutta
probabilità ad onorare i debiti dell’organismo pubblico debitore” (15); che, in ogni caso, le pretese
del creditore potrebbero trovare soddisfazione impegnando la responsabilità dello Stato in caso di
inadempimento di un Epic; che, come conseguenza
del principio di continuità del servizio pubblico, in
caso di scomparsa di un organismo pubblico, vi sarebbe il trasferimento della missione ad altro organismo, assieme ai connessi diritti ed obblighi; e
che il vantaggio derivante dall’aiuto vada identificato nel miglioramento della posizione finanziaria
e del rating espresso dalle agenzie specializzate.
Anche la Corte di giustizia ha confermato la legittimità della decisione della Commissione, respingendo l’appello contro la sentenza del Tribunale con la sentenza del 3 aprile 2014. Al di là dei
motivi di appello di carattere processuale, respinti
dalla Corte, gli argomenti relativi alla contestazione della decisione riguardavano la prova dell’esistenza dell’aiuto di Stato (ma la Corte ha ritenuto
che il Tribunale abbia fatto ricorso ad un complesso di indizi seri, precisi e concordanti e non ad inversioni della prova od a presunzioni negative), lo
snaturamento dell’interpretazione del diritto francese (che la Corte non ha però rinvenuto, dovendo risultare manifestamente dai documenti di causa, non potendo essa stessa effettuare una nuova
valutazione dei fatti e delle prove) e l’esistenza del
vantaggio derivante dalla presunta garanzia concessa a La Poste. Relativamente a tale ultimo argomento, la Corte ha ritenuto che - pur se il Tribunale aveva errato nel sostenere che non fosse necessario dimostrare gli effetti reali degli aiuti già
concessi - è sufficiente provare la sola esistenza della garanzia implicita illimitata, in quanto ciò può
dar luogo ad una presunzione semplice di miglioramento della situazione finanziaria dell’impresa beneficiaria, che peraltro può essere confermata dai
giudizi delle agenzie di rating (16).
La decisione della Commissione e le sentenze
del Tribunale e della Corte confermano alcuni
principi affermati nei regolamenti e nelle comunicazioni della Commissione: in particolare, oltre a
quelli relativi alla valutazione del vantaggio ed al-
(14) Tribunale Ue, 20 settembre 2012, Repubblica francese
c. Commissione europea, causa T-154/10, con note di commento di D. Berlin, La Poste bénéficiait bien d'une garantie illimitée de l'État constitutive d'une aide d'État, in La semaine juridique, 2012, 1833 ss.; M. Lombard, De la remise en cause du
statut d'établissement public à celle du service public, in AJDA,
2012, 2313 ss.; A. Nucara e E. Gambaro, The La Poste Case. A
Guaranteed EPIC Battle, in European State Aid Law Quarterly,
2013, 568 ss.
(15) Punto 86 della sentenza.
(16) Punti 98-99 e 107-108 (in cui si fa riferimento ai punti
123-124 della sentenza del Tribunale) e 106-108 della sentenza
della Corte.
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l’onere della prova, quello relativo all’individuazione delle garanzie statali, anche se implicite nel regime giuridico di un ente pubblico, quale aiuto di
Stato.
Poiché la questione è strettamente giuridica e riguarda l’interpretazione delle norme europee e
francesi, occorre esaminare brevemente il contesto
normativo, per poi passare all’esame del problema
specifico della garanzia statale implicita.
Gli articoli 107-109 Tr. funz. Ue (e, prima, gli
articoli 87-89 Tr. Ce) stabiliscono la disciplina relativa agli aiuti di Stato, prevedendo che “sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in
cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti
concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di
falsare la concorrenza” (17).
Come precisato dalla giurisprudenza, perché una
misura possa essere qualificata come aiuto di Stato,
devono ricorrere tutte e quattro le condizioni stabilite dal Trattato: “in primo luogo, deve trattarsi di
un intervento dello Stato o effettuato mediante risorse statali. In secondo luogo, tale intervento deve
poter incidere sugli scambi tra Stati membri. In
terzo luogo, deve concedere un vantaggio al suo
beneficiario. In quarto luogo, deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza” (18).
In particolare, per quanto riguarda il criterio del
conferimento di un vantaggio per i beneficiari, la
giurisprudenza ha adottato un criterio molto ampio, ritenendo che “il concetto di aiuto è più ampio di quello di sovvenzione, dato che esso vale a
designare non soltanto prestazioni positive del genere delle sovvenzioni stesse, ma anche interventi
i quali, in varie forme, alleviano gli oneri che normalmente gravano sul bilancio di un'impresa e che
di conseguenza, senza essere sovvenzioni in senso
stretto, ne hanno la stessa natura e producono
identici effetti” (19).
Nell’ambito della nozione di aiuto di Stato rientrano quindi non solo le prestazioni positive, consistenti nel trasferimento di risorse finanziarie dal
soggetto pubblico all’impresa beneficiaria, quali le
sovvenzioni, ma anche operazioni come la concessione di prestiti o di garanzie, ovvero la partecipazione nel capitale di imprese nel caso in cui siano
prestate a condizioni che non sarebbero state accettate da un investitore privato operante in un’economia di mercato.
Tale ultimo criterio è stato elaborato in relazione all’assunzione da parte delle autorità pubbliche
di partecipazioni nel capitale di imprese in difficoltà, e soprattutto di società già a maggioranza azionaria statale (20).
Gli aiuti alle imprese pubbliche costituiscono
uno degli aspetti più delicati della disciplina degli
aiuti di Stato. Infatti, da un lato, la normativa europea stabilisce un principio di neutralità relativamente al regime di proprietà e delle scelte nazionali di regime economico (21); dall’altro lato, prevede che anche le imprese pubbliche siano sottoposte
alla disciplina della concorrenza, pur se, con riferi-
(17) Art. 107, c. 1, Tr. funz. Ue.
(18) Sentenza della Corte di giustizia Ue, del 23 marzo
2006, Enirisorse SpA c. Sotacarbo SpA, causa C-237/04, § 38.
Cfr. anche sentenze della Corte, Grande Sezione, del 17 novembre 2009, Presidente del Consiglio dei ministri c. Regione
Sardegna, causa C-169/08. Sulla disciplina degli aiuti di Stato,
v. C. Quigley, European state aid law and policy, Oxford, Hart,
2014; K. Bacon, European Union law of state aid, Oxford, OUP,
2013, European state aid law, a cura di M. Heidenhain, Oxford,
Hart, 2010; Competition and state aid. An analysis of the EC
practice, a cura di A. Santa Maria, The Hague, Kluwer Law International, 2007; F. Giglioni, Governare per differenza. Metodi
europei di coordinamento, Pisa, ETS, 2012, 83 ss. Inoltre, per
una sintesi, v. L. Daniele, Diritto del mercato unico europeo. Cittadinanza, libertà di circolazione, concorrenza, aiuti di Stato, Milano, 2012, 311 ss.; C. Malinconico, Aiuti di Stato, in Trattato di
diritto amministrativo europeo, diretto da M.P. Chiti e G. Greco,
Milano, 2007, parte speciale, t. I, 65 ss.; e, sugli aspetti procedurali, H.C.H. Hofmann, Administrative governance in state aid
policy, in H.C.H. Hofmann e A.H. Turk (eds.), Legal challenges
in EU administrative law: towards an integrated administration,
Cheltenham, Elgar, 2009,185 ss.; A. Tonetti, I poteri amministrativi comunitari in materia di aiuti di Stato, in Riv. trim. dir.
pubbl., 2007, 443 ss.
(19) Corte di giustizia Ce, 1. dicembre 1998, Ecotrade Srl c.
Altiforni e Ferriere di Servola SpA, causa C-200/97, § 34. Giurisprudenza costante: cfr. le sentenze della Corte di giustizia del
23 febbraio 1961, De Gezamenlijke Steenkolenmijnen in Limburg c. Alta Autorità, causa 30/59, 38; 15 marzo 1994, Banco
Exterior de España, causa C-387/92, § 13; 19 settembre 2000,
Germania c. Commissione, causa C-156/98, § 25; 1° luglio
2008, Chronopost e La Poste c. UFEX e a., cause riunite C341/06 P e C-342/06 P, § 123; 17 novembre 2009, cit., § 56;
16 dicembre 2010, Seydaland Vereinigte Agrarbetriebe GmbH
& Co. KG c. BVVG Bodenverwertungs- und -verwaltungs
GmbH, causa C-239/09, § 30. Tale principio è ripreso anche
dalla giurisprudenza costituzionale italiana: cfr. ad es., Corte
cost., 10 giugno 2011, n. 185, in Giur. cost., 2011, 2398.
(20) V. Corte di giustizia Ce, 13 marzo 1985, Regno dei Paesi bassi e Leuwarder Papierwarenfabriek BV c. Commissione,
cause riunite 296 e 318/82, § 17. Cfr. anche sentenze del 14
novembre 1984, SA Intermills c. Commissione, causa 323/82,
§§ 32 ss.; 10 luglio 1986, Regno del Belgio c. Commissione,
causa 234/84, § 12. Sullo sviluppo del principio, v. la comunicazione della Commissione del 1991, di cui si dirà in seguito,
nonché la sentenza della Corte del 5 giugno 2012, EDF, cit.,
§§ 75 ss,
(21) L’art. 345 del Tr. funz. Ue (già art. 295 Tr. Ce) prevede
che i “trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri”.
La garanzie pubbliche come aiuto di Stato
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mento alle imprese che gestiscono servizi di interesse economico generale o in regime di monopolio
fiscale, nei limiti in cui ciò non osti all’adempimento della specifica missione loro affidata (22).
Da ciò consegue la difficoltà di discernere quando un’operazione economica posta in essere dalle
autorità pubbliche, quale il finanziamento o l’apporto al capitale di un’impresa pubblica, possa essere configurata quale aiuto di Stato. L’approccio
della Commissione, confermato dall’interpretazione giurisprudenziale, è stato quello di utilizzare il
cd. “principio dell’investitore in economia di mercato”, ritenendo che configuri un aiuto di Stato “la
partecipazione dei pubblici poteri […] in condizioni inaccettabili da parte di un investitore privato,
che si orienti in base ai criteri del mercato” (23).
A causa della scarsa trasparenza delle operazioni
e delle relazioni finanziarie tra le autorità pubbliche e le loro imprese, nel 1980 la Commissione
emanò una direttiva sulla trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati membri e le loro imprese
pubbliche (24), più volte modificata ed in seguito
abrogata e sostituita da una direttiva del 2006 con
lo stesso oggetto (25). La direttiva del 1980 - che
fu impugnata da alcuni Stati membri, tra cui la
Francia e l’Italia, pur se la Corte di giustizia ne
confermò la legittimità (26) - imponeva alle autorità nazionali di tenere a disposizione per un quinquennio i dati relativi alle relazioni finanziarie tra i
poteri pubblici e le imprese pubbliche relative a
determinate attività (ossia, il ripiano di perdite di
esercizio, i conferimenti in capitale sociale o dotazione, i conferimenti a fondo perduto od i prestiti
a condizioni privilegiate, la concessione di vantaggi finanziari sotto forma di non percezione dei be-
nefici o di non restituzione dei crediti, la rinuncia
ad una remunerazione normale delle risorse pubbliche impiegate e la compensazione di oneri imposti
dai poteri pubblici).
Tra le ipotesi individuate dalla direttiva del
1980 non rientrava anche la concessione di garanzie da parte dello Stato o delle autorità pubbliche.
Tale ipotesi fu però individuata dalla Commissione
in una comunicazione del 1991 in materia di aiuti
di Stato alle imprese pubbliche dell’industria manifatturiera, in cui si ritenne di applicare la disciplina
sugli aiuti di Stato “a tutte le forme di finanziamento menzionate nella direttiva sulla trasparenza
[…], in particolare di prestiti, alle garanzie e alla rinuncia ad un normale rendimento, e non solo, come finora, alle partecipazioni al capitale” (27). Riprendendo il principio formulato in una specifica
decisione - in cui aveva ritenuto che il fatto che
un’impresa a partecipazione statale diventasse la
sola proprietaria di un'altra società in perdita,
esponendosi, secondo quanto previsto dalla legislazione nazionale (nel caso, italiana) alla responsabilità illimitata, equivalesse ad assumere un rischio
supplementare, prestando di fatto una garanzia illimitata (28) - la Commissione ha ritenuto che rientrassero nel campo di applicazione anche tutte le
garanzie concesse dallo Stato, direttamente o indirettamente attraverso istituzioni finanziarie. Tra
l’altro, si individuava l'elemento di aiuto nella differenza tra l'interesse che il debitore avrebbe dovuto pagare sul mercato libero e quello effettivamente ottenuto grazie alla garanzia, al netto del costo
della garanzia stessa; e si riteneva che “le imprese
pubbliche il cui statuto giuridico esclude la possibilità di fallimento o liquidazione coatta godono di
(22) L’art. 106 Tr. funz. Ue (già art. 86 Tr. Ce) stabilisce che
“1. Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono
diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme
dei trattati, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 18
e da 101 a 109 inclusi. 2. Le imprese incaricate della gestione
di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di
monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in
particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto
e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo
degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi dell'Unione. 3. La Commissione vigila sull'applicazione delle disposizioni del presente articolo rivolgendo,
ove occorra, agli Stati membri, opportune direttive o decisioni”. Sui rapporti tra imprese pubbliche e disciplina della concorrenza v. M. Debene, Entreprises publiques et marché unique, in AJDA, 1992, 243 ss.; e, con specifico riferimento agli
aiuti di Stato, M.T. Cirenei, Disciplina comunitaria degli aiuti alle
imprese pubbliche e privatizzazioni, in Dir. comm. internaz.,
1994, 315 ss.; C. Iannone, Gli aiuti di Stato a favore delle imprese pubbliche e le regole nazionali applicabili al loro stato di crisi,
in Dir. Ue, 2012, 263 ss.; C. Malinconico, Aiuti di Stato, cit., 97
ss.
(23) Corte di giustizia Ue, sentenza 13 marzo 1985, Leuwarder Papierwarenfabriek, cit., § 17.
(24) Direttiva n. 80/723/Cee della Commissione, del 25 giugno 1980, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie fra
gli Stati Membri e le loro imprese pubbliche.
(25) Direttiva n. 2006/111/Ce della Commissione, del 16 novembre 2006 , relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie
tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche e alla trasparenza finanziaria all'interno di talune imprese.
(26) Corte di giustizia, 6 luglio 1982, Repubblica francese,
Repubblica italiana e Regno Unito di Gran Bretagna e d'Irlanda
del Nord c. Commissione, cause riunite 188-190/80.
(27) Comunicazione della Commissione, Applicazione degli
articoli 92 e 93 del Trattato Cee e dell'articolo 5 della direttiva
della Commissione 80/723/Cee alle imprese pubbliche dell'industria manifatturiera, n. 91/C 273/02, in Guue C 273 del 18 ottobre 1991, 2.
(28) Decisione della Commissione, del 25 luglio 1990, n.
92/329/Cee, sull'aiuto concesso dal governo italiano a un produttore di lenti oftalmiche (Industrie ottiche riunite - IOR).
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911
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fatto di un aiuto permanente, equivalente ad una
garanzia su tutti i loro debiti, quando detto statuto
consente all'impresa di ottenere crediti a condizioni più favorevoli di quelle che sarebbero altrimenti
praticate” (29).
La comunicazione, su ricorso proposto dalla
Francia, fu in seguito annullata dalla Corte di giustizia (per motivi procedurali, ossia la mancata indicazione della base giuridica della stessa) (30), ma
la previsione della garanzia fu inserita in una modifica della direttiva del 1980 (31) e, in seguito, nella
direttiva del 2006 che l’ha sostituita, nonché in altre norme (32) e nelle comunicazioni della Commissione del 2000 (33) e del 2008 (34).
In quest’ultima comunicazione la Commissione
ha ribadito i propri orientamenti in materia. Ossia,
innanzitutto, che, in linea di massima, le garanzie
illimitate (contrapposte alle garanzie limitate in
termini di importo e/o di tempo) costituiscono aiuti incompatibili con la normativa europea, e vi
rientrano “anche le condizioni di finanziamento
preferenziali ottenute da imprese il cui regime giuridico escluda il fallimento o altre procedure concorsuali oppure preveda esplicitamente la concessione di garanzie statali o il ripianamento delle perdite da parte dello Stato” nonché “l'acquisizione di
partecipazioni statali in un'impresa con assunzione
di responsabilità illimitata anziché normale responsabilità limitata”. In secondo luogo, che, in applicazione del principio di neutralità sul regime proprietario degli Stati membri, “il mero fatto che
un’impresa sia in ampia misura di proprietà pubblica non è di per sé sufficiente per configurare una
garanzia statale, a condizione che non vi siano elementi di garanzia espliciti o impliciti”. In terzo luogo, che il beneficio derivante dalla garanzia statale
consiste nell’assunzione del relativo rischio da parte dello Stato, con rinuncia (totale o parziale) alla
remunerazione con un adeguato corrispettivo (premio). In quarto luogo, che per valutare l’esistenza
di un aiuto deve essere applicato il principio dell'investitore operante in un’economia di mercato,
per cui, nel caso in cui la garanzia non determini
un vantaggio per l’impresa, non costituisce un aiuto di Stato. Infine, che il vantaggio va quantificato
per valutare la compatibilità sulla base di un’esenzione specifica (35).
In applicazione della disciplina normativa e delle comunicazioni con cui la Commissione ha man
mano precisato la sua posizione in merito agli aiuti
statali in forma di garanzie illimitate è stata adottata la decisione relativa a La Poste. Questa decisione
costituisce il banco di prova per l’applicazione dei
principi europei ad un’intera categoria di soggetti
pubblici francesi (e non solo), ossia gli enti pubblici a carattere industriale e commerciale, in cui
rientra La Poste.
(29) Punto 38.1 della comunicazione del 1991.
(30) Corte di giustizia, 16 giugno 1993, Repubblica francese
c. Commissione, causa C-325/91.
(31) Direttiva n. 93/84/Cee della Commissione del 30 settembre 1993.
(32) Cfr. ad es. il regolamento (Ce) n. 1628/2006 della Commissione del 24 ottobre 2006, relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato agli aiuti di Stato per investimenti a finalità regionale, per cui i regimi di aiuto che comportino garanzie
statali o prestiti pubblici con un elemento di garanzia statale
non sono considerati in linea di principio trasparenti.
(33) Comunicazione della Commissione sull'applicazione degli articoli 87 e 88 del Trattato Ce agli aiuti di Stato concessi sotto forma di garanzie, n. 2000/C 71/07, in Guue C 71 dell’11
marzo 2000, 14.
(34) Comunicazione della Commissione sull'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato Ce agli aiuti di Stato concessi sotto
forma di garanzie, n. 2008/C 155/02, in Guue C 155 del 20 giu-
gno 2008, 10.
(35) V. rispettivamente i punti 1.2 (e 4.1), 1.5, 2.1, 3.1 e 4.1
della comunicazione del 2008.
(36) Nell’ordinamento francese, superando la tradizionale
classificazione delle persone pubbliche in Stato, enti locali ed
enti (od organismi) pubblici (établissements publics), si preferisce ora individuare - accanto allo Stato ed agli enti locali - una
categoria più ampia di persone pubbliche specializzate (personnes publiques spécialisées), accomunate dai caratteri della
personalità giuridica, della personalità pubblica e della specializzazione (spécialisation, in cui rientra anche il principio della
specialità, spécialité). In tale ultima categoria rientrano gli organismi pubblici, i gruppi d’interesse pubblico (groupements d’intérêt public), le autorità indipendenti, la Banque de France e le
“altre” persone pubbliche speciali. Cfr. A. Rouyere, Les personnes publiques spécialisées, in P. Gonod, F. Melleray, P. Yolka (a
cura di), Traité de droit administratif, Paris, Dalloz, 2011, 333
ss.
912
Il regime giuridico e l’impignorabilità
dei beni degli Epic francesi
L’interesse del Governo francese a contestare la
decisione della Commissione è soprattutto nella
necessità di contrastare il principio - su cui è fondata la decisione - per cui il regime giuridico di cui
godono tutti gli enti pubblici a carattere industriale
e commerciale (établissement public industriel et commercial - Epic) comporterebbe l’esistenza di una garanzia implicita illimitata statale, che quindi configurerebbe un aiuto di Stato.
L’Epic costituisce una particolare figura organizzativa del diritto amministrativo francese, che rientra nell’ampia ed eterogenea categoria degli enti
pubblici (a sua volta ricompresa tra le cd. persone
pubbliche specializzate) (36), caratterizzata essen-
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zialmente (oltre che dalla personalità pubblica) per
il legame ad una missione di servizio pubblico (37).
In particolare, gli Epic si distinguono dagli enti
pubblici a carattere amministrativo (établissement
public administratif - Epa). La distinzione si basa
non tanto sulla natura del servizio pubblico affidato (pur se, tendenzialmente, gli enti pubblici a carattere amministrativo svolgono le mansioni tradizionali dell’amministrazione, mentre gli enti pubblici a carattere industriale e commerciale esercitano attività di natura economica), ma sulla qualificazione legislativa, o, in mancanza, su tre criteri
individuati dalla giurisprudenza del Conseil d’État
(oggetto della missione, origine delle risorse e modalità di funzionamento) (38).
Per quanto riguarda La Poste, la legge francese n.
90-568 del 2 luglio 1990, che ha trasformato la Direzione generale delle poste e delle telecomunicazioni in due persone giuridiche di diritto pubblico
(La Poste e France Telecom), l’ha definita quale
persona giuridica di diritto pubblico; ma è stata la
giurisprudenza della Cour de cassation a qualificarla
specificamente quale Epic (39).
Nonostante la distinzione tra enti pubblici a carattere amministrativo ed enti pubblici a carattere
industriale e commerciale, che può rilevare per
l’individuazione della natura delle norme (pubbliche o private) applicabili (ad esempio, in materia
di regime di lavoro dei dipendenti degli stessi), anche gli Epic presentano i tratti essenziali del regime
giuridico degli enti pubblici (e, più in generale,
delle personnes publiques spécialisés) (40). In particolare, per quanto qui interessa, anche il regime giuridico degli Epic presenta alcuni tratti di specialità
(exorbitance), intesa quale deroga rispetto al regime
di diritto comune. Le regole derogatorie più rilevanti sono l’impignorabilità (insaisissabilité) dei beni delle persone pubbliche e l’impossibilità di utilizzare contro le stesse le procedure di esecuzione
di diritto comune. L’impignorabilità dei beni delle
persone giuridiche pubbliche è un principio classico, sviluppato dalla giurisprudenza francese dalla fine del XIX secolo (41), e trova riscontro anche nel
Code général de la propriété des personnes publiques (42). Ne consegue, sia per gli enti pubblici a
carattere amministrativo, sia per quelli a carattere
industriale e commerciale, l’impossibilità di ricorrere agli strumenti di esecuzione di diritto privato,
quali le procedure di insolvenza e di fallimento,
nonché l’amministrazione e la liquidazione giudiziaria delle imprese in difficoltà (43).
All’impignorabilità ed inesecutibilità dei beni
delle persone giuridiche di diritto pubblico non
consegue però un’assoluta mancanza di rimedi a tutela del privato creditore. Infatti, l’art. 1, par. II,
della legge n. 80-539 del 16 luglio 1980, relativa
alle penali comminate in ambito amministrativo
ed all’esecuzione delle sentenze da parte delle persone giuridiche di diritto pubblico (44), stabilisce
una particolare procedura, che si applica alle decisioni giudiziarie di condanna pecuniaria degli enti
locali e degli organismi pubblici passate in giudicato. In sintesi, viene stabilito che, in caso di mancato pagamento, vi provveda d’ufficio il rappresentante dello Stato nel dipartimento o l’autorità di
tutela; che, in caso di attivi insufficienti, tali soggetti inviino all’ente o all’organismo un’ingiunzione a costituire le risorse necessarie; che, in mancanza di tale azione, vi provvedano direttamente
tali soggetti. La procedura è precisata dalla normativa di attuazione (45), nonché da una circolare
del 16 ottobre 1989, che ha previsto che, “in caso
di risorse insufficienti o assenti […] l’ordinatore è
parimenti tenuto, prima della decorrenza del termine di quattro mesi, a comunicarlo al creditore mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, precisando l’ammontare che sarà corrisposto in
un momento successivo. Tale pagamento riguarde-
(37) Secondo le classiche definizioni di M. Hauriou, Précis
de droit administratif et de droit public, Paris, Sirey, 1933 (rist.
2002), 280, per cui rappresenta “un service public spécial personnifié” e di L. Duguit, Traité de droit constitutionnel, Paris,
Boccard, 1928, t. II, 69 ss., 343 ss. e 376 ss. (e soprattutto, Id.,
Les transformations du droit public, Paris, Colin, 1921, 111 ss.),
che lo qualifica come “service public patrimonialisé”.
(38) Cfr. Conseil d’État, Ass., 16 novembre 1956, Union
synd. des industries aéronautiques, in Rec. Lebon, 1956, 434.
(39) Cfr. Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 2001.
(40) Sui quali si rinvia a A. Rouyere, Les personnes publiques spécialisées, cit., 359 ss. e soprattutto 368 ss.
(41) Cfr. Trib. confl., 9 dicembre 1899, Ass synd. du Canal
de Gignac, in Rec. Lebon, 1899, 731; Cass. civ., Sez. I, 21 dicembre 1987, Bureau de recherches géologiques et minières, n.
86-14.167.
(42) Art. L. 2311-1 del codice, emanato con ordonnance n.
2006-460 del 21 aprile 2006.
(43) Cfr. anche l’art. 2 della legge n. 85-98 del 25 gennaio
1985 concernente l’amministrazione e la liquidazione giudiziarie delle imprese e, quindi l’art. L. 620-2 del codice di commercio, che stabilisce che l’amministrazione e la liquidazione giudiziarie sono applicabili ai commercianti, agli iscritti agli ordini
professionali, agli agricoltori e alle persone giuridiche di diritto
privato (così escludendo le persone giuridiche di diritto pubblico, secondo l’interpretazione consolidata data anche dalla giurisprudenza).
(44) Legge n. 80-539 del 16 luglio 1980, relative aux astreintes prononcées en matière administrative et à l’exécution des jugements par les personnes morales de droit public.
(45) V. art. 3-1, c. 4, del decreto n. 81-501 del 12 maggio
1981, abrogato e sostituito dal decreto n. 2008-479 del 20
maggio 2008 (il cui art. 10 riprende quanto stabilito dal vecchio decreto).
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rà l’integralità della somma dovuta in caso di assenza totale di risorse, oppure il saldo in caso di risorse insufficienti” (46).
La questione dell’esistenza di una garanzia implicita dello Stato per i debiti degli enti pubblici è
stata oggetto di dibattito, sollecitato anche dai procedimenti avviati dalla Commissione. Diversi sono
gli elementi - considerati nella decisione della
Commissione - che fanno ritenere che nel regime
giuridico degli Epic si possa ravvisare una garanzia
implicita; ma molti (e forse prevalenti) sono quelli
che fanno dubitare di tale soluzione.
Innanzitutto, la garanzia deriverebbe dall’impignorabilità dei beni e dalla non assoggettabilità alle procedure di fallimento degli enti pubblici, in
quanto, secondo quanto indicato anche nelle comunicazioni della Commissione, ciò darebbe luogo
ad un regime privilegiato anche nei confronti dei
creditori. Questi ultimi, infatti, possono sia usufruire della procedura specifica stabilita dalla normativa del 1980, sia essere certi che, a differenza di
quanto avviene con le procedure concorsuali ordinarie, il proprio credito non verrà mai cancellato,
anche in caso di mancanza di attivi. Ed anche in
caso di scioglimento dell’ente, in applicazione del
principio della continuità del servizio pubblico, all’ente a cui viene affidata la funzione pubblica vengono trasferiti sia il patrimonio, sia i diritti e gli
obblighi dell’ente soppresso.
Tuttavia, secondo l’opinione prevalente nella
scienza giuridica francese, la disciplina del 1980
comporta solo che il soggetto pubblico ivi indicato
attivi le procedure per pervenire al pagamento di
quanto dovuto dall’amministrazione debitrice, ma
non che assicuri il pagamento facendo ricorso al
proprio bilancio e, quindi, non prevede una sostitu-
zione piena dello Stato agli enti pubblici inadempienti. Ed anche nei casi in cui la garanzia dello
Stato è prevista espressamente, si ritiene che quest’ultimo non sia tenuto a farsi carico dei debiti, e
non sia quindi un “débiteur de substitution” (47).
In secondo luogo, del principio che una garanzia
possa derivare dalla natura stessa di organismo pubblico, è stata trovata una (unica) affermazione nella giurisprudenza amministrativa, ed in particolare
in una nota del Conseil d’État, parzialmente riportata nel Rapport 1995 (48). Viceversa, in altri casi
la giurisprudenza ha escluso tale garanzia, ritenendo che lo Stato non sia tenuto a ripianare i debiti
contratti da un ente pubblico (49) (pur se, secondo
la Commissione, tale giurisprudenza sarebbe applicabile solo in ipotesi specifiche) (50).
In terzo luogo, un creditore di un ente pubblico
francese può essere sicuro che il proprio credito verrà soddisfatto, perché lo Stato è tenuto ad intervenire in quanto azionista, ovvero sulla base del principio della responsabilità dello Stato. Tale principio
può essere invocato, nel caso di applicazione della
procedura stabilita dalla legge del 1980, in caso di
non corretto espletamento della stessa; oppure, nel
caso in cui all’esito della stessa non si rendano disponibili le risorse necessarie oppure i soggetti pubblici incaricati dello svolgimento della stessa ritengano di non poterne cedere i beni in quanto indispensabili ad assicurare la continuità del servizio
pubblico, se il pregiudizio riveste un “carattere anomalo e speciale” (51). E secondo altra tesi, il creditore potrebbe anche fare ricorso alla teoria dell’apparenza, per dimostrare l’errore legittimo in cui è incorso ed ottenere quindi un risarcimento (52).
In passato la giurisprudenza aveva ritenuto che
la mancata esecuzione del debito di un comune derivante dalle sue difficoltà finanziarie non costituisse un motivo valido né per sottrarre l’ente ai suoi
obblighi né per trasferire l’onere del debito in capo
allo Stato (53). Tuttavia, in seguito, la responsabi-
(46) Pubblicata in JORF del 20 febbraio 1990.
(47) Cfr. A. Rouyere, Les personnes publiques spécialisées,
cit., 369 ss.
(48) Della nota (riservata) è riportato solo uno stralcio nel
Rapport 1995, 281, ove si afferma che “le Conseil d’État a […]
estimé que la garantie de l’État à cet établissement découlera,
sans disposition législative explicite, de la nature même d’établissement public de l’organisme”.
(49) Sentenza del Conseil d’État, 1 aprile 1938, Société de
l’hôtel d’Albe, in Recueil du Conseil d’État, 1938, 341, per cui
“l’office national du tourisme doté de la personnalité civile et
de l’autonomie financière […] constituait un établissement public, que par suite, l’État ne saurait être tenu d’acquitter les
dettes contractées par cet établissement”. Cfr. anche le sentenze 10 novembre 1999, Société de gestion du port de Cam-
poloro, in Recueil du Conseil d’État, 1999, 348 e 18 novembre
2005, Société de gestion du port de Campoloro, in Recueil du
Conseil d’État, 2005, 515.
(50) Cfr. punti 123-124 e 188 ss. della decisione della Commissione impugnata. In particolare, nella sentenza Campoloro
il Conseil d’État ammette che l’esito negativo della procedura
stabilita dalla legge del 1980 potrebbe dare luogo ad un caso
di responsabilità dello Stato.
(51) Secondo in parametri affermati dal Conseil d’État nella
sentenza del 18 novembre 2005, Campoloro, cit.
(52) Cfr. punti 227-22 della decisione impugnata. Si tratta
solo di un argomento ad abundantiam, come indicato dal Tribunale (punto 99 della sentenza).
(53) Sentenza del Conseil d’État del 25 settembre 1970, Comune di Batz sur Mer.
La garanzia implicita insita nel regime
giuridico degli enti pubblici francesi
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lità dello Stato francese anche per i debiti di altri
soggetti pubblici (in particolare, degli enti territoriali) è stata affermata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza Campoloro del
2006 (54).
Quest’ultima evoluzione può comportare l’assunzione del debito da parte dello Stato. Tuttavia,
non solo ne vanno individuati i limiti e l’esatto
ambito di applicazione, ma in tal modo si configura
un regime di responsabilità, istituto ben diverso da
quello della garanzia. Gli effetti dei due regimi possono essere analoghi e ciò può essere sufficiente ai
fini dell’applicazione del diritto europeo sugli aiuti
di Stato, dal momento che, ai fini dell’applicazione
di quest’ultimo, la giurisprudenza ha ritenuto sufficiente la dimostrazione che lo Stato membro è giuridicamente vincolato a rimborsare il credito di un
altro soggetto in caso di insolvenza o fallimento di
quest’ultimo (55).
Quindi, alla luce del diritto europeo, un regime
di responsabilità dello Stato per l’inadempimento
degli enti pubblici può essere assimilato ad una garanzia, o comunque, producendone i medesimi effetti, può comportare l’applicazione della disciplina
sugli aiuti di Stato.
Viceversa, alla luce del diritto francese, diversi
elementi si oppongono all’esistenza della garanzia
implicita. Innanzitutto, tale garanzia non è espressamente stabilita da alcuna norma (pur se, all’inverso, nessuna norma la esclude). In secondo luogo, la loi organique relative aux lois de finances (Lolf)
del 1° agosto 2001 stabilisce che dal 1° gennaio
2005 solo una disposizione di legge finanziaria può
creare una garanzia (ma ciò non interessa né le garanzie fornite in precedenza; né – secondo la Commissione – quelle derivanti da un obbligo giurisdizionale o implicite in un regime giuridico) (56). In
terzo luogo, se il regime giuridico degli Epic prevedesse la garanzia implicita, non sarebbe necessaria
prevederla espressamente, come invece avvenuto
in alcuni casi.
(54) Sentenza del 6 dicembre 2006, Société de gestion du
port de Campoloro e Société fermière de Campoloro c. Francia,
caso n. 57516/00.
(55) Cfr. sentenza del Tribunale del 26 giugno 2008, SIC Sociedade Independente de Comunicação SA c. Commissione,
causa T-442/03, § 126; nonché, nel caso La Poste, la sentenza
del Tribunale, § 90 e quella della Corte, § 65.
(56) Cfr. punti 125-131 della decisione impugnata. Tuttavia,
il ragionamento della Commissione non convince: una norma
espressa può certamente incidere su norme o principi impliciti
previgenti; e la garanzia prestata dallo Stato quale azionista di
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Privilegio pubblico o aiuto di Stato?
Alla luce della prassi e della giurisprudenza europea, la garanzia concessa da uno Stato costituisce,
in linea di massima, un aiuto di Stato. Ciò anche
nel caso in cui tale garanzia sia implicita - ma ricavabile da un complesso di indizi concordanti - nel
regime giuridico di alcune tipologie di enti pubblici, oppure nel caso si possa individuare (anche dal
complesso dei principi normativi e giurisprudenziali applicabili, sia nazionali sia sovranazionali) un
regime di responsabilità per cui lo Stato sia giuridicamente vincolato a farsi carico dei debiti di tali
enti. Ed il vantaggio derivante dalla garanzia può
essere provato con una presunzione semplice relativa al miglioramento della situazione finanziaria,
eventualmente confermata dal giudizio delle agenzie di rating.
La nozione di “garanzia implicita illimitata”, come sottolineato dall’avvocato generale, non era definitivamente consolidata nel diritto dell’Unione
europea (57). Già da tempo individuata nei provvedimenti della Commissione, riceve ora un definitivo avallo dalla giurisprudenza, ma solo quanto
alla sua configurabilità ed agli elementi essenziali
che ne possono permettere l’individuazione.
L’applicazione di tali principi ha consentito alla
Commissione (ed ai giudici europei) di ritenere
che anche nel regime giuridico degli enti pubblici
a carattere industriale e commerciale (Epic) francesi si possa rinvenire una garanzia implicita illimitata da parte dello Stato francese. Probabilmente,
sia nel procedimento amministrativo, sia in quello
giurisdizionale, non sono stati addotti dalle autorità francesi elementi sufficienti per contestarne il
fondamento, tanto che alcuni argomenti non sono
stati esaminati dai giudici per motivi processuali.
In ogni caso, tale esito desta qualche perplessità.
La conclusione cui sono giunti sia la Commissione, sia i giudici europei, sembra basata, oltre che
su sottili argomentazioni giuridiche, sulla constatazione, se non sull’apparenza, dell’intervento sostitutivo dello Stato in caso di insolvenza degli enti
pubblici. Che ciò avvenga per effetto di una garanuna società non è una garanzia, ma una forma di responsabilità che grava sull’azionista. Si potrebbe sostenere che la LOLF
riguardi solo le garanzie relative ad obbligazioni “concesse”
dall’amministrazione, e non quelle derivanti da altra fonte (normativa o giudiziale), per le quali potrebbe operare un regime di
garanzia implicito: ma ciò porterebbe ad una complicata ed ingiustificabile disparità tra obbligazioni.
(57) Conclusioni dell’avvocato generale Niilo Jääskinen presentate il 21 novembre 2013, nella causa C-559/12 P, Repubblica francese c. Commissione, § 16.
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zia espressa o implicita, in conseguenza di un principio generale di responsabilità dello Stato, per la
qualità di azionista di quest’ultimo ovvero come
conseguenza di una prassi di salvataggi da parte
dello Stato (tale da ingenerare l’affidamento nell’intervento di quest’ultimo) non sembra fare differenza: in tutti i casi si avrebbe una violazione della
disciplina europea sugli aiuti di Stato.
Ciò porta a conseguenze di grande rilievo per gli
ordinamenti nazionali (e non solo per l’ordinamento francese). Infatti, anche laddove non è previsto
un intervento dello Stato a garanzia delle obbligazioni assunte dagli enti pubblici nazionali, lo Stato
rimane libero di intervenire a favore degli stessi, e
tale mera possibilità è in grado - assieme ad altri
elementi - di far ritenere applicabile la disciplina
sugli aiuti di Stato, e, quindi, di imporre un mutamento di regime, quanto meno, con la privatizzazione degli enti (58). Con conseguenze rilevati,
quindi, sul regime proprietario degli Stati membri,
tale da porre in crisi il modello dell’ente pubblico
economico (59).
Invero, costruire una specifica ipotesi di violazione degli aiuti di Stato basata sulla semplice costatazione dell’esistenza di un regime giuridico che
esclude il fallimento o altre procedure concorsuali
pare un’astrazione che non tiene conto della complessa realtà. Occorre una migliore analisi della disciplina degli enti pubblici, ed anche del modo di
intendere il loro regime giuridico, tenendo conto
quanto meno della ratio tradizionale dei regimi di
privilegio e della reale portata del supposto vantaggio a favore dei creditori.
Infatti, la tradizionale applicazione di regole derogatorie (stabilite da ordinamenti come quello
francese e quello italiano), configura una posizione
di privilegio volta a favorire lo svolgimento e la
continuità della funzione pubblica loro affidata,
anche limitando le possibilità di tutela dei loro creditori. Tale limitazione, che impedisce o, comunque, ritarda di molto la soddisfazione dell’interesse
dei creditori, non porta ad un vantaggio per questi
ultimi (60). Invero, anche le procedure di tutela
dei terzi creditori (come nel caso della procedura
francese sopra descritta o di quella italiana in materia di dissesto degli enti locali o di pagamento
dei creditori delle aziende sanitarie), laddove previste, sono lente, complesse e non in grado di offrire una tutela efficace ed effettiva.
Ciò spiega perché - nonostante quanto sembrerebbe emergere dai giudizi delle agenzie di rating nella realtà vi è una crescente preoccupazione relativamente ai pagamenti anche delle amministrazioni e degli enti pubblici. Infatti, quanto alle conseguenze sull’attività di un operatore economico, un
pagamento (molto) ritardato può equivalere ad un
mancato pagamento, tanto che vengono ormai calcolati indici di rischio relativi ai soggetti pubblici e
privati sulla base della loro affidabilità nei pagamenti.
Quindi, ritenere che un regime di privilegio costituisca un aiuto di Stato in quanto favorirebbe i
creditori delle imprese pubbliche, pur se può rispondere ad una accettabile interpretazione del diritto europeo (così come delineato nei regolamenti
e nelle comunicazioni della Commissione), non solo non corrisponde all’impostazione tradizionale
della questione, ma omette di considerare che il
supposto vantaggio derivante dalla garanzia pubblica potrebbe essere quanto meno annullato dai rischi derivanti dal ritardo con cui il credito potrebbe ottenere soddisfazione.
(58) Secondo quanto indicato nella decisione impugnata, la
privatizzazione de La Poste porrebbe fine alla garanzia implicita. Ma, probabilmente, anche il creditore del nuovo soggetto
privatizzato potrebbe comunque aspettarsi, in caso di crisi o
difficoltà finanziarie, un intervento pubblico a salvataggio, e
così la questione non si sposterebbe di molto.
(59) Relativamente all’influenza della questione sul perenne
dibattito sulla crisi degli EPIC ci si può limitare a segnalare, ol-
tre al riepilogo in A. Rouyere, Les personnes publiques spécialisées, cit., 334 ss., lo studio del Conseil d’État su Les établissements publics del 15 ottobre 2009, 9 ss. (consultabile sul sito
internet dello stesso) e M. Lombard, L'établissement public industriel et commercial est-il menacé?, in AJDA, 2006, 79 ss.
(60) Sui privilegi delle amministrazioni pubbliche, v. M.
Gnes, I privilegi dello Stato debitore, Milano, 2012.
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Giurisprudenza
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Giustizia amministrativa
Ordine di esame dei ricorsi
L’Adunanza plenaria ritorna sul
ricorso incidentale escludente
Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 25 febbraio 2014, n. 9 - Pres. Giovannini - Est. Poli - Palumbo s.p.a. c. Autorità portuale di Napoli e N. M. N. s.r.l.
Nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, deve essere esaminato prioritariamente rispetto al ricorso principale il ricorso incidentale escludente che sollevi un’eccezione di carenza di legittimazione del ricorrente principale non aggiudicatario, in quanto soggetto che non ha mai partecipato alla gara, o
che vi ha partecipato ma è stato correttamente escluso ovvero che avrebbe dovuto essere escluso ma non lo
è stato per un errore dell’amministrazione; tuttavia, l’esame prioritario del ricorso principale è ammesso, per
ragioni di economia processuale, qualora risulti manifestamente infondato, inammissibile, irricevibile o improcedibile … Il ricorso incidentale non va esaminato prima del ricorso principale allorquando non presenti
carattere escludente; tale evenienza si verifica se il ricorso incidentale censuri valutazioni ed operazioni di gara svolte dall’amministrazione nel presupposto della regolare partecipazione alla procedura del ricorrente
principale … Sussiste la legittimazione del ricorrente in via principale - estromesso per atto dell’Amministrazione ovvero nel corso del giudizio, a seguito dell’accoglimento del ricorso incidentale - ad impugnare l’aggiudicazione disposta a favore del solo concorrente rimasto in gara, esclusivamente quando le due offerte siano
affette da vizio afferente la medesima fase procedimentale come precisato in motivazione.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Cons. Stato, sez. III, 20 marzo 2014 n. 1364 (successiva).
Difforme
Cons. Stato, Ad. plen., 10 novembre 2008, n. 11; parzialmente difforme: Cons. Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4.
(Omissis)
Corte di giustizia dell’Unione europea, 4 luglio 2013, causa C-100/12 - Pres. Rosas - Rel. Šváby
- Fastweb s.p.a. c. Azienda sanitaria locale di Alessandria
L'accoglimento del ricorso incidentale dell'aggiudicatario non determina il rigetto (rectius: l'inammissibilità)
del ricorso principale dell'offerente qualora l'offerta di entrambi sia contestata nell'ambito del medesimo procedimento e con motivi identici, per l'analogo interesse legittimo di ciascun concorrente all'esclusione dell'offerta dell'altro che può indurre l'amministrazione aggiudicatrice a constatare l'impossibilità di procedere a
un'offerta regolare.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Non constano precedenti.
Difforme
Cons. Stato, Ad. plen., 10 novembre 2008, n. 11; parzialmente difforme: Cons. Stato Ad. plen., 25 febbraio 2014,
n. 9.
(Omissis)
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Giurisprudenza
Giustizia amministrativa
Un errore di fondo?
di Leonardo Ferrara
Con la pronuncia in commento, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato dà ordine alla trattazione dei ricorsi escludenti incrociati attraverso un compromesso per molti profili criticabile. In particolare, la sentenza reitera l’errore di prospettiva dei precedenti, impostando in termini di condizioni dell’azione (legittimazione e interesse ad agire) una questione che appare di merito. Ad avviso di chi scrive, la ricollocazione
della questione sul piano del merito potrebbe condurre a soluzioni più aderenti al diritto sostanziale (nullità della aggiudicazione in caso di accertamento negativo delle situazioni giuridiche vantate dal vincitore e
dal concorrente) e a fare chiarezza sull’effettivo rilievo di principi sovente invocati (concorrenza, parità
delle parti, legalità), nonché sulla natura oggettiva o soggettiva della tutela offerta.
La sentenza che si annota è la terza (1) Adunanza plenaria che cambia indirizzo sulla questione dei
ricorsi escludenti incrociati in meno di sei anni (2). Nel mezzo vi sono stati una pronuncia della
Corte di giustizia (caso Fastweb) (3), un obiter della
Corte di cassazione (4), un’ordinanza del Consiglio
di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia
(di nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di giusti-
zia) (5) e molto altro ancora (6). L’interesse per
l’annotazione non è dimostrato ma si può intanto
presumere.
Il problema alla base di questa «instabilità» giurisprudenziale (7) è costituito dall’ordine di esame
del ricorso principale e di quello incidentale, laddove ricorrente e controinteressato aggiudicatario
impugnino reciprocamente gli atti relativi alla loro
ammissione a una gara pubblica. Il caso più problematico, pertanto, si rivela paradossalmente il più
semplice: siamo, infatti, di fronte a soli due contendenti, che lamentano l’uno la mancata esclusio-
(1) Se non la quarta, volendo considerare anche la meno
nota Cons. Stato, Ad. plen., 15 aprile 2010, n. 1 (vedila per es.
in Dir. proc. amm., 2010, 617 ss., con nota di A. Squazzoni,
L’Adunanza plenaria si pronuncia sul termine per notificare i motivi aggiunti nel rito ex art. 23-bis l. Tar (aggiungendo l’ennesima
considerazione sull’ordine di esame delle censure escludenti incrociate).
(2) Le altre due sono Cons. Stato, Ad. plen., 10 novembre
2008, n. 11 (vedila per es. in Foro it., 2009, III, 2 ss., con nota
di G. Sigismondi) e Cons. Stato, Ad. plen., 7 aprile 2011, n. 4
(vedila per es. in Dir. proc. amm., 2011, 1035 ss., con nota di
A. Squazzoni, Ancora sull’asserito effetto paralizzante del solo ricorso incidentale c.d. escludente nelle controversie in materia di
gare. La Plenaria statuisce nuovamente sul rebus senza risolverlo; di A. Giannelli, Il revirement della Plenaria in tema di ricorsi
paralizzanti nelle gare a due: le nubi si addensano sulla nozione
di interesse strumentale; di F. Follieri, Un ripensamento dell’ordine di esame dei ricorsi principale ed incidentale; di M. Marinelli, Ancora in tema di ricorso incidentale “escludente” e ordine
di esame delle questioni; e con intervento di R. Villata, Annotando gli annotatori). Si veda, tuttavia, anche Cons. Stato, Ad.
plen., 30 gennaio 2014 n. 7, sulla falsariga dell’Ad. plen. n. 4
del 2011.
L’ordinanza di rimessione all’origine della sentenza in commento è Cons. Stato, sez. VI, 17 maggio 2013, n. 2681.
L’orientamento espresso da Cons. Stato, Ad. plen., 30 gennaio 2014, n. 9, in commento, ha trovato applicazione in Cons.
Stato, sez. III, 20 marzo 2014 n. 1364.
(3) Corte di giustizia dell’Unione europea, decima sezione,
4 luglio 2013, in causa C-100/12 (vedila per es. in Urb. e app.,
2013, 1003 ss., con nota di C. Lamberti, Per la Corte di giustizia
l’incidentale non è più “escludente”?; la questione pregiudiziale
era stata sollevata da T.A.R. Piemonte, sez. II, ord. 9 febbraio
2012, n 208, ivi, 2012, 437 ss., con nota di M. Protto, Ordine di
esame del ricorso principale e incidentale in materia di appalti
pubblici: la parola al giudice comunitario).
Su tale sentenza riflette in particolare la nota che segue di
A. Bartolini.
(4) Cass., sez. un. civ., 21 giugno 2012, n. 10294.
(5) Si tratta di CGA, 17 ottobre 2013, n. 848 (vedila per es.
in Urb. e app., 2014, 328 ss., con nota di B. Spampinato, Sui
ricorsi “escludenti incrociati”: uno sguardo “interno” ed uno
“europeo”).
(6) Come le pronunce dei tribunali amministrativi regionali
che si sono discostate dall’Ad. plen. n. 4 del 2011: si vedano,
per esempio, Tar Lazio, 10 gennaio 2012, n. 197; Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 15 novembre 2013, n. 2540 (annotata da
E. Picotti, in Foro amm.-T.a.r., 2013, LXXXV ss.); Tar Veneto,
30 gennaio 2014, n. 128, che assegna «valenza prevalente» alla citata pronuncia della Corte di giustizia, dal momento che «i
principi di diritto espressi dal giudice comunitario devono assumere una prevalente connotazione perché indicano il reale
significato della norma comunitaria», che a sua volta «prevale
su quella nazionale». Tratta con precedenza il ricorso incidentale, in apparenza sulla falsariga di Ad. plen. n. 4 del 2011, ma
invero sul presupposto che, esistendo nella specie un terzo
classificato estraneo al giudizio, il ricorrente principale non potrebbe «comunque ricevere alcun giovamento dall’eventuale
accoglimento del proprio ricorso», Tar Lazio, sez. I ter, 4 novembre 2013, n. 9376.
Da considerare anche Cons. Stato, sez. V, 30 agosto 2013,
n. 4328, la quale sembra anticipare la decisione in commento
nella misura in cui ritiene che l’appello incidentale deve essere
esaminato preliminarmente rispetto a quello principale, sul
presupposto che le rispettive doglianze non abbaino carattere
speculare, dal momento che con il primo è contestato il titolo
per partecipare alla procedura concorsuale e con il secondo la
valutazione delle offerte tecniche.
(7) L’espressione è di C. Benetazzo, Il ricorso incidentale:
oggetto, legittimazione e ordine di esame delle questioni tra disciplina interna e principi comunitari, in Dir. proc. amm., 2014,
158.
La questione, le oscillazioni della
giurisprudenza e la soluzione
dell’Adunanza plenaria
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919
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ne dalla procedura dell’altro, causa l’assenza dei requisiti soggettivi od oggettivi di partecipazione.
Fondamentalmente vi sono due orientamenti
che si alternano (8), con qualche aggiustamento,
inframezzati da soluzioni mediane (9). Da una parte
vi è l’orientamento che assegna la priorità logica al
ricorso incidentale, sul presupposto che questo porrebbe nella specie una questione pregiudiziale di rito (10), relativa alla mancanza di legittimazione (o
di interesse) al ricorso (11) del ricorrente principa-
le (destinata a sfociare, ove fondata, in una declaratoria di inammissibilità dello stesso ricorso principale) (12). Dall’altra l’orientamento che esclude
che l’ordine di trattazione dei ricorsi possa costituire elemento decisivo rispetto all’esito della lite, assumendo nel contempo che l’accoglimento di entrambi i gravami possa soddisfare l’interesse processuale dei due contendenti consistente nell’«interesse strumentale» all’indizione di una gara ulteriore (13).
(8) Nella giurisprudenza italiana: altro discorso dovrà farsi
per quella comunitaria.
(9) Ve ne sarebbe anche un terzo: è l’orientamento che,
partendo dal carattere necessariamente accessorio del ricorso
incidentale, il cui esame risulterebbe sempre subordinato all’accoglimento del ricorso principale, ritiene che, laddove quest’ultimo sia fondato, il controinteressato non sarebbe (più) legittimato a contestare la legittimazione del ricorrente principale (v. per indicazioni di giurisprudenza, R. Gisondi, L’Adunanza
plenaria ridefinisce il rapporto tra il ricorso incidentale escludente
e il ricorso principale, in questa Rivista, 10/2011, 2 nota 2; G. Figuera, Appunti in tema di interesse e legittimazione al ricorso e
brevi note sul ricorso principale e ricorso incidentale, in Dir.
proc. amm., 2008, 1075 ss.). Tuttavia, nella misura in cui l’anzidetta soluzione è motivata alla stregua della circostanza che le
censure del ricorrente principale involgono una fase della procedura di gara (la mancata esclusione per difetto dei requisiti
di ordine generale di partecipazione) preliminare rispetto a
quella contestata dal controinteressato aggiudicatario (esame
delle offerte tecniche), così come avviene nell’Ad. plen. n. 1
del 2010, citata, si tratta piuttosto di un orientamento mediano, che prefigura la sentenza in rassegna.
(10) Da esaminare con precedenza rispetto alle questioni di
merito ai sensi dell’art. 276 c.p.c., cui oggi rinvia l’art. 76, comma 4, c.p.a.
Ritengono che il ragionamento trascuri il dato che anche il
ricorso principale porrebbe coerentemente una questione di rito (relativa alla legittimazione del ricorrente incidentale) F.G.
Scoca, Ordine di decisione, ricorso principale e ricorso incidentale, in Corr. giur., 2012, 114; G.L. Pellegrino, Considerazioni su
rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale dopo Corte di
Giustizia (Fastweb) e la nuova Adunanza Plenaria, in Giustamm.it; A. Squazzoni, Ancora sull’asserito effetto paralizzante, cit.,
1089 ss.; S. D’Ancona, Riflessioni sul rapporto tra ricorso principale e incidentale alla luce della direttiva ricorsi, in Riv. it. dir.
pubbl. comun., 2013, 53; B. Spampinato, Sui ricorsi “escludenti
incrociati”, cit., 340; nonché, ampiamente, F. Follieri, Un ripensamento, cit., 1156 ss., che legge in maniera condivisibile nella
«preferenza per l’esame del ricorso incidentale […] un ingiustificato favore per il contro interessato», finalizzato altresì alla
«più rapida esecuzione dell’appalto».
Per la giurisprudenza che respinge questa obiezione v. indicazioni in L. Perfetti, Legittimazione e interesse a ricorrere nel
processo amministrativo: il problema delle pretese partecipative,
in Dir. proc. amm., 2009, 699 nota 16; per la dottrina, v. R. Gisondi, L’Adunanza plenaria, cit., 12 ss., secondo cui «l’interesse all’annullamento dell’atto di ammissione che sta alla base
del ricorso incidentale non ha natura sostanziale ma esclusivamente processuale», con la conseguenza che la legittimazione
alla proposizione del ricorso non richiede nella specie la qualità
di legittimo partecipante alla gara; R. Villata, Annotando gli annotatori, cit., 1187 ss., che riconduce invece il ricorso principale al merito della controversia.
Circa l’art. 276, c. 2, c.p.c. v., in particolare, P. Biavati, Appunti sulla struttura della decisione e l’ordine delle questioni, in
Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 1301 ss.
(11) Comunque, di una condizione dell’azione.
Circa la giurisprudenza amministrativa meno recente che si
affidava alla carenza dell’interesse al ricorso, in particolare (ma
non solo) in presenza di un terzo concorrente, v. per indicazioni
G. Figuera, Appunti in tema di interesse, cit., 1067 ss.; L. Perfetti, Legittimazione e interesse a ricorrere, cit., 699 nota 16.
(12) E’ la soluzione accolta da Ad. plen. n. 4 del 2011, citata, che prescinde «dal numero dei partecipanti alla procedura
selettiva» e che vale «anche nel caso in cui il ricorrente principale alleghi l’interesse strumentale alla rinnovazione dell’intera
procedura».
Per la giurisprudenza ascrivibile a questo indirizzo v. G. Fidone, Accoglimento del ricorso incidentale escludente e inammissibilità del ricorso principale, in questa Rivista, 12/2011,
1298 ss.; R. Gisondi, L’Adunanza plenaria, cit., 2.
(13) In questo senso l’Ad. plen. n. 11 del 2008, citata, secondo cui il giudice, in base ai «principi della parità delle parti
e di imparzialità», «non può determinare una soccombenza anche parziale in conseguenza dei criteri logici che ha seguito
nell’ordine di trattazione delle questioni», cosicché, «qualunque sia il primo ricorso che esamini e ritenga fondato (principale o incidentale), deve tener conto dell’interesse strumentale
di ciascuna impresa alla ripetizione della gara e deve esaminare anche l’altro, quando la fondatezza di entrambi comporta
l’annullamento di tutti gli atti di ammissione alla gara e, per illegittimità derivata, anche l’aggiudicazione, con il conseguente
obbligo dell’amministrazione di indirne una ulteriore».
Aveva criticato la soluzione opposta (come espressa dall’Ad. plen. n. 4 del 2011, cit.) Cass. n. 10294 del 2012, pure citata, osservando che alla stregua di tale soluzione «l’esercizio
della giurisdizione finisce per convalidare un assetto diverso
da quello che (secondo l’assunto) si sarebbe avuto se la PA
avesse condotto il procedimento secondo le regole» e aggiungendo che «ciò genera delle perplessità che lasciano ancor più
insoddisfatti [considerato] che l’aggiudicazione può dare vita
ad una posizione preferenziale soltanto se acquisita in modo
legittimo e che la realizzazione dell’opera non rappresenta in
ogni caso l’aspirazione dell’ordinamento (v. artt 121/23 cod.
proc. amm.), che in questa materia richiede un’attenzione e un
controllo ancora più pregnanti al fine di evitare distorsioni della
concorrenza e del mercato».
Vi è stata poi la “decisa bocciatura della lettura” dell’Ad.
plen. del 2011 (così S. Toschei, Una scelta in linea con le proposizioni sviluppate dopo il varo della seconda direttiva ricorsi, in
Guida al diritto, Il Sole-24 Ore, n. 32, 3 agosto 2013, 97) da parte della Corte di giustizia nella sentenza Fastweb (Corte di giustizia dell’Unione europea, decima sezione, 4 luglio 2013, cit.),
la quale ha affermato che «l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989 […] deve
essere interpretato nel senso che se, in un procedimento di ricorso, l’aggiudicatario che ha ottenuto l’appalto e proposto ricorso incidentale solleva un’eccezione di inammissibilità fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dell’offerente che
ha proposto il ricorso, con la motivazione che l’offerta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dall’autorità aggiudicatrice per non conformità alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni, tale disposizione osta al fatto che il
suddetto ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza
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L’Adunanza plenaria n. 9 del 2014 muove dalla
salvezza del primo orientamento (14), ma, attraverso l’interpretazione della pronuncia della Corte di
giustizia sul caso Fastweb (e la sua riconduzione al
novero delle «eccezioni»), giunge in una logica di
«contempera[mento]» (15) a sposare il secondo
orientamento, nei limiti in cui il motivo di esclusione addotto da ambedue le parti sia «identico»,
in quanto riconducibile «alla medesima sub fase
del segmento procedimentale destinato all’accertamento del titolo di ammissione alla gara dell’impresa e della sua offerta». A queste condizioni (soltanto) sussisterebbe «la legittimazione del ricorrente in via principale - estromesso per atto dell’Amministrazione ovvero, nel corso del giudizio, a seguito del ricorso incidentale - ad impugnare l’aggiudicazione disposta a favore del solo concorrente
rimasto in gara» (16) e si renderebbe parimenti necessario «l’esame incrociato e l’eventuale accoglimento di entrambi i ricorsi (principale ed incidentale)» (17).
Seppure circoscritto nei suddetti termini torna,
pertanto, in giuoco quell’interesse «strumentale»
alla riedizione della gara che la Plenaria ritiene al
tempo stesso in termini generali e secondo il suo
precedente del 2011 «non […] sufficiente per attribuire la legittimazione al ricorso» (e integrare l’interesse ad agire) (18).
Non può sfuggire, a ulteriore testimonianza dell’interesse per l’annotazione, come sul problema in
esame insistano numerosi istituti, sia sostanziali
che processuali, di particolare rilievo sistematico e
di dubbio inquadramento, che, insieme ai principi
(e ai criteri) variamente invocati dai giudici (oltre
che dalla dottrina), finiscono per fare da cartina di
tornasole del tipo di tutela attualmente offerto dal
processo amministrativo; compresa la sua natura
soggettiva oppure oggettiva. Si tratta, da una parte,
dell’interesse legittimo, del ricorso incidentale, della legittimazione ad agire, dell’interesse al ricorso,
oltre che, ovviamente, dell’ordine della trattazione
delle questioni; dall’altra, del principio di parità
delle parti, della legalità, del favor per l’esito della
gara voluto dalla p.a., dell’interesse pubblico alla
celere esecuzione dell’opera pubblica, del valore
della concorrenza.
Nell’analizzare le motivazioni che sorreggono la
sentenza in commento e nell’intento di allargare la
critica di là da essa, vale la pena di anticipare il
dubbio che il contrasto giurisprudenziale non sia
destinato a sopirsi per effetto di un errore di fondo,
che risiede nel voler ricondurre nell’alveo delle
condizioni dell’azione (della legittimazione e dell’interesse ad agire) una questione che a chi scrive (19) appare essenzialmente di merito (20). Questa collocazione (21) offre una serie di spunti che
dell’esame preliminare di tale eccezione di inammissibilità senza pronunciarsi sulla conformità con le suddette specifiche
tecniche sia dell’offerta dell’aggiudicatario che ha ottenuto
l’appalto, sia di quella dell’offerente che ha proposto il ricorso
principale». Si vedrà, tuttavia, sulla base della motivazione formulata dalla Corte, che questa sentenza è ben lungi dall’essere riconducibile all’orientamento di cui si sta facendo questione (espresso in particolare dall’Ad. plen. n. 11 del 2008).
Per ulteriori indicazioni relative alla giurisprudenza meno recente v. R. Gisondi, L’Adunanza plenaria, cit., 3; G. Figuera,
Appunti, cit., 1070 nota 10.
(14) Dalla «conferma dell’impianto teorico costruito dall’Adunanza plenaria n. 4 del 2011» (punto 8.3): riconoscendo,
dunque, per quel che qui più interessa, precedenza all’esame
del ricorso incidentale escludente.
(15) V. il punto 8.3.6, ove si osserva che «l’Adunanza ritiene
che si debba utilizzare un criterio che, nel rispetto delle vincolanti indicazioni provenienti dalla Corte del Lussemburgo, contemperi la natura eccezionale della regola iuris forgiata dalla
sentenza Fastweb, le esigenze di uguaglianza ed equità sostanziali di cui sono portatrici le imprese in gara, le ragioni di
certezza del diritto e di pronta soluzione dell’accertamento demandato al giudice, le caratteristiche dello sviluppo del procedimento amministrativo posto in essere dalla stazione appaltante e gli interessi sostanziali presidiati dalle varie cause di
esclusione».
Di «mediazione» e «conciliazione, in un rapporto di regola-
eccezione», tra il precedente del 2011 e la sentenza Fastweb
ragiona M. Timo, Il ricorso incidentale escludente nella giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria alla luce dell’ultima pronuncia
del giudice comunitario, in Giustamm.it.
(16) V. punto 8.4.
(17) V. punto 8.3.6.2.
(18) V. rispettivamente punto 8.1 e punto 8.2.3.
(19) Sulla stessa lunghezza d’onda, seppure in termini meno recisi, A. Squazzoni, Ancora sull’asserito effetto paralizzante,
cit., 1081 ss.
(20) Cioè, relativa alla (esclusiva) sussistenza in concreto
della situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo (e
della sua eventuale insoddisfazione). Dovremo semmai constatare che potrà trattarsi di una (altra) condizione dell’azione,
nei limiti in cui venga in giuoco la sussistenza in astratto di tale
situazione soggettiva.
(21) Intesa in senso compiuto, vale la pena di aggiungere,
dato che è diffusa l’osservazione che le condizioni dell’azione
assumano «l’aspetto di un controllo di meritevolezza dell’interesse sostanziale in gioco» (così anche al punto 8.3.3 della
sentenza che si annota).
Ricordato che «la legittimazione a ricorrere viene ancora interpretata dalla giurisprudenza amministrativa non come affermazione della titolarità della posizione qualificata necessaria ai
fini del ricorso […] ma come effettiva titolarità di tale posizione», A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2013,
194, rileva che «in questo modo la pronuncia di inammissibilità
Giornale di diritto amministrativo 10/2014
Gli istituti e i principi coinvolti. Il rito e il
merito. L’interpretazione della sentenza
Fastweb
921
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non possono essere adeguatamente sviluppati entro
i confini di una annotazione, ma che, tuttavia, si
prestano a mettere nell’angolo tutta una serie di
considerazioni fatte, dalla giurisprudenza ma anche
dalla dottrina, sui principi che si sono ricordati, così come sulla natura soggettiva od oggettiva della
tutela offerta.
D’altra parte, sembra che anche la sentenza Fastweb vada (o almeno possa essere) letta nel senso
anzidetto, diversamente da quanto fa l’Adunanza
plenaria (che alle «vincolanti indicazioni» della
stessa intenderebbe conformarsi): la Corte di giustizia, malgrado sia frequentemente tacciata di ricorrere a un’ottica pragmatica e sostanzialista a discapito di ogni tentativo di concettualizzazione (22), afferma, infatti, che nella situazione che
conosciamo «ciascuno dei concorrenti può far valere un analogo interesse legittimo all’esclusione
dell’offerta degli altri, che può indurre a constatare
l’impossibilità di procedere alla scelta di un’offerta
regolare» (23) .
Dunque, non solo si fa chiaramente questione di
interesse legittimo (24) e non di legittimazione al
ricorso, ma, stando all’interpretazione dottrinale
preferibile, il giudice che si pronuncia sui ricorsi
escludenti incrociati perviene all’«accertamento
negativo» della situazione soggettiva di entrambi i
concorrenti (anziché all’annullamento) (25), il che
comporta l’«onere dell’amministrazione di constatare l’impossibilità di aggiudicare a un’offerta regolare» (26).
E’ evidente che se è questa l’interpretazione corretta della sentenza Fastweb, in essa non vi è neppure alcun riconoscimento dell’interesse alla riedizione della gara (27): l’interesse sostanziale delle
parti verte sull’aggiudicazione, ma tale interesse
non è protetto (non è un interesse legittimo) perché non vi sono i requisiti per concorrere alla selezione (facendo così difetto la chance di aggiudicarsi
la gara) (28).
Ma che la controversia secondo la Corte di
Lussemburgo debba sfociare in una pronuncia di
merito che accerta l’infondatezza di entrambi i
ricorsi per l’assenza della causa petendi (29) risulta confermato dal precedente, testualmente citato, costituito dalla sentenza Hackermül-
del ricorso per difetto di legittimazione a ricorrere non risulta
essere semplicemente una pronuncia di rito, come si potrebbe
concludere trattandosi di pronuncia sulle condizioni dell’azione, ma comporta un accertamento negativo di una posizione
soggettiva di ordine sostanziale (considerazioni analoghe potrebbero valere anche per la pronuncia di inammissibilità per
difetto d’interesse)» e che «di conseguenza, per alcuni aspetti,
come l’idoneità del giudicato a produrre effetti esterni al processo, è assimilata alle pronunce di merito».
Da notare che in dottrina si è persino sostenuto che la pronuncia di rito, nel processo amministrativo, «esprime una statuizione non priva di profili di merito, attinenti […] alla immediata prevalenza delle istanze di conservazione dell’atto (quand’anche potenzialmente illegittimo) su quelle di rimozione»:
esula dai confini di queste note l’analisi di siffatta tesi, che tuttavia smentisce la pur affermata caratterizzazione del processo
di fronte al giudice amministrativo come «autentico processo
di parti» (A. Giannelli, Il revirement della Plenaria, cit., rispettivamente, 1148 e 1132).
(22) Così per esempio S. Varone, Corte di giustizia dell’Unione euroea 4 luglio 2013 causa C-100/2012: note minime sui
rapporti fra ricorso principale e ricorso incidentale “escludente”, in Rass. Avv. Stato, 2013, 41 e C. Lamberti, Per la Corte di
giustizia, cit., 1016.
Non molto dissimile quanto si osserva a proposito del legislatore comunitario: v. A. Gentili, La nullità di protezione, in europa dir. priv., 2011, 79, secondo cui «la legislazione comunitaria non ha concetti. Ha politiche»; o anche S. Mazzamuto,
Equivoci e concettualismi nel diritto europeo dei contratti: il dibattito sulla vendita dei beni di consumo, in R. Alessi, La vendita
dei beni di consumo, Milano, 2005, 321, che vede «un legislatore pragmatico che poco si cura delle architetture concettuali
e dei raccordi con i diversi sistemi giuridici che procede ad armonizzare».
(23) Aveva altresì rilevato Cons. Stato, sez. V, ord. 15 aprile
2013, n. 2059, che «in fattispecie come quella in esame il ricorso incidentale porta preliminarmente in giudizio, con la verifica della legittimazione, una parte cospicua del merito della
controversia».
(24) Senza peraltro dimenticare che dovrebbe ragionarsi diversamente a proposito del dispositivo, che è tuttavia tagliato
sulla domanda di pronuncia pregiudiziale.
(25) Come risulterà più chiaro al termine di queste note, all’accertamento negativo della situazione soggettiva non può
però pervenirsi sulla base della ipotizzata trasformazione dell’azione di annullamento in azione di accertamento (C. Lamberti, Per la Corte di giustizia, cit., 1011), per la semplice ragione che anche quest’ultima azione sarebbe infondata per l’assenza della situazione soggettiva, riconducibile all’ «inesistenza delle condizioni di partecipazione alla gara».
(26) C. Lamberti, Per la Corte di giustizia, cit., 1011. Non interessa qui verificare se l’annullamento dell’aggiudicazione (in
autotutela si direbbe) sia doveroso o meno, altra essendo la
soluzione che si intende proporre, seppure solo in termini problematici (infra § 5). Spunti nel senso della doverosità in Cons.
Stato n. 2681 del 2013, cit.
(27) Anche su questo interesse (processuale o sostanziale)
alla riedizione della gara rifletteremo ampiamente più avanti.
(28) Sulla chance di aggiudicarsi l’appalto come bene della
vita tutelato dalle norme inerenti alle procedure di evidenza
pubblica, anche secondo il diritto dell’Unione europea, v., intanto, A. Giannelli, Il revirement della Plenaria, cit., 1134 ss.,
dove si richiamano, tra l’altro, «le recenti norme di matrice comunitaria che, nel formulare specifiche prescrizioni in tema di
svolgimento della procedura di gara, subordinano l’annullamento degli atti emanati in violazione delle predette regole alla
dimostrazione del pregiudizio arrecato al concorrente nelle
proprie chance di aggiudicazione della commessa» (v. in proposito anche le acute osservazioni di F. Trimarchi, Rilevanza
condizionata dei vizi di legittimità, in Dir. proc. amm., 2010,
1117 ss.). Tra i primi a elevare, in termini generali, il concetto
di chance a oggetto dell’interesse legittimo D. Sorace, Notazioni in tema di posizioni giuridiche soggettive e tecniche di tutela
nella giustizia amministrativa, in Foro amm., 1988, 3917.
(29) Si noti che anche l’Adunanza Plenaria afferma che
«nessuna posizione di interesse legittimo è enucleabile dall’esame della causa petendi di un ricorso principale che si risolve,
all’evidenza, nella richiesta di tutela di un interesse materiale
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ler (30), dove, nel riconoscere all’offerente (sulla base dell’art. 1, n. 3, della direttiva del Consiglio 89/665/CEE) il diritto di contestare la
fondatezza del motivo di esclusione (allegato
dall’autorità aggiudicatrice) nell’ambito della
procedura di ricorso avviata contro la legittimità della decisione nella quale la sua offerta non
è stata ritenuta come la migliore, afferma che
«non si può escludere che, al termine di tale
procedura, l’autorità adita pervenga alla conclusione che detta offerta avrebbe dovuto effettivamente essere esclusa in via preliminare e che il
ricorso dell’offerente debba essere respinto in
quanto, tenuto conto di tale circostanza, egli
non è stato o non rischia di essere leso dalla
violazione da lui denunciata» (31).
Molte sono le osservazioni da fare che inducono
a dubitare, dal punto di vista del diritto interno (32), sulla correttezza della costruzione dell’assenza dei requisiti di partecipazione alla gara come
questione di legittimazione.
Intanto, tale costruzione ha ingenerato e ingenera una sorta di impasse nella risoluzione del proble-
ma dell’ordine di trattazione del ricorso principale
e di quello incidentale.
In modo riassuntivo e semplificato può dirsi
che, se fosse realmente in giuoco una questione di
legittimazione, si dovrebbe semplicemente accertare l’inammissibilità del ricorso principale, senza
neppure esaminare quello incidentale, assecondando il fatto che quest’ultimo ha «carattere necessariamente dipendente e pienamente accessorio» (33); oppure, all’opposto, accertare l’inammissibilità prima di quello incidentale e poi di
quello principale (34), a seguire «la regola generale che prevede la preliminare delibazione del ricorso incidentale» (35); o anche accertare l’inammissibilità di entrambi, ammettendo di potere fare
ricorso al principio di parità processuale delle parti (36).
Il punto, però, è che, dovendosi trattare di una
sentenza in rito, essa non dovrebbe dar luogo all’annullamento di nessun atto amministrativo,
diversamente da quanto in genere sostenuto (dalla dottrina come dalla giurisprudenza) (37). Ancora prima, lascia perplessi che la constatazione
dell’assenza di legittimazione postuli l’impugnazione di un provvedimento amministrativo (38).
La (carenza di) legittimazione, infatti, è rilevabi-
contra ius (vedersi aggiudicata una gara cui non si aveva titolo
a partecipare)». Il punto è che interesse legittimo e causa petendi vengono fatti transitare dalla giurisprudenza amministrativa nella legittimazione al ricorso (oltre al ragionarsi del solo ricorso principale e ad abbandonare tale affermazione di fronte
al caso ritenuto “eccezionale” oggetto della sentenza Fastweb).
(30) Corte di giustizia dell’Unione europea, sesta sezione,
19 giugno 2003, C-249/01.
(31) E’ dell’avviso che «il disconoscimento dell’interesse
protetto dovrebbe portare ad una pronuncia che attiene al merito della controversia, e non limitata alla verifica della sussistenza delle condizioni dell’azione», S. Fantini, L’influenza comunitaria sulle condizioni di accesso al giudizio amministrativo,
in Urb. e app., 2003, 11,1279.
Sull’art. 1, n. 3, della direttiva 89/665/CEE si veda, intanto,
in generale, G. Morbidelli, Note introduttive sulla direttiva ricorsi, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1991, 836 ss.
(32) Si noti, tuttavia, che laddove si respingesse l’interpretazione della Corte di giustizia ricordata al paragrafo precedente
e si assumesse come dato di partenza la più comune lettura
del diritto comunitario in termini di “effetto utile” (su cui, per
tutti, M. Chiti, Diritto amministrativo europeo, Milano, 2011,
529 ss.; G. Morbidelli, La tutela giurisdizionale dei diritti nell’ordinamento comunitario, Milano, 2001, 45 ss.), la circostanza
che la possibilità di aggiudicazione, come vedremo meglio più
avanti, sia impedita da una soluzione della questione dei ricorsi escludenti incrociati impostata sulla base del merito processuale (e delle situazioni giuridiche soggettive in giuoco) dovrebbe indurre a riflettere sulla possibilità di leggere il diritto
europeo degli appalti in termini fondamentalmente o primariamente soggettivi. Questa è l’osservazione che sembra si possa
in particolare avanzare di fronte al commento di A. Bartolini,
che segue su queste pagine. Sulle «spinte alla soggettivazione
e quelle alla oggettivizzazione» del diritto dell’Ue, di recente,
B. Marchetti, Il giudice amministrativo tra tutela soggettiva e oggettiva: riflessioni di diritto comparato, in Dir. proc. amm., 2014,
99 ss.
(33) F. Gaffuri, Il ricorso incidentale nel giudizio amministrativo di primo grado: alcune note sulla sua natura e sul rapporto
con il ricorso principale, in Dir. proc. amm., 2009, 1110.
(34) F.G. Scoca, Ordine di decisione, cit., 114.
(35) F. Gaffuri, Il ricorso incidentale, cit., 1048-1049. V. anche A. Romano Tassone, Il ricorso incidentale, cit., 605, secondo cui «il ricorso incidentale-eccezione [deve] essere esaminato prima del ricorso principale».
(36) La cui invocazione, peraltro, è per lo più mediata dalla
considerazione dell’interesse strumentale alla riedizione della
gara, su cui infra.
(37) In tal senso, per tutti, R. Gisondi, L’Adunanza plenaria,
cit., 13. Ritiene che la sentenza in rito non produrrebbe l’effetto retroattivo dell’annullamento C. Lamberti, L'Adunanza Plenaria “boccia” l'interesse strumentale, in Urb. e app., 2011, 674
(la tesi è criticata da R. Villata, Annotando gli annotatori, cit.,
1184).
(38) Prescindendo dal fatto se il ricorso incidentale, nei suoi
termini generali, sia una impugnazione in senso proprio, una
domanda riconvenzionale, un’eccezione, un’eccezione riconvenzionale, tutte queste cose insieme a seconda della fattispecie, o altro ancora. Sul ricorso incidentale si veda, tra molti altri, S. Baccarini, L’impugnazione incidentale del provvedimento
amministrativo fra tradizione ed innovazione, in Dir. proc. amm.,
1991, 633 ss.; C. Benetazzo, L’ordine di esame del ricorso principale e del ricorso incidentale tra “oscillazioni” giurisprudenziali
e questioni irrisolte, in federalismi.it, n. 10/2013; Idem, Il ricorso
incidentale, cit., 107 ss.; F. Gaffuri, Il ricorso incidentale, cit.,
1047 ss.; C. Mignone - P.M. Vipiana, Manuale di giustizia amministrativa, Padova, 2012, 212 ss.; M. D’Orsogna - F. Figorilli,
La legittimazione ad agire
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le ex ufficio (39). L’impugnazione rivela che è
questione di merito (40), non di legittimazione
ad agire (41). In discussione è la sussistenza (o
meno) della situazione giuridica soggettiva (dell’interesse legittimo) dell’una e dell’altra parte,
sulla base dell’esistenza (o meno) dei requisiti di
partecipazione alla gara, che integrano il fatto
costitutivo della pretesa vantata (mentre il «vizio» di legittimità nascente dalla mancata esclusione del concorrente, del quale ragiona la stessa
Adunanza Plenaria (42), integra il fatto lesivo o
l’inadempimento della p.a. (43)) (44): questa discussione dovrebbe a pieno titolo rientrare nel
merito della controversia.
Può inoltre osservarsi, in termini generali,
che l’identificazione tra legittimazione ad agire e titolarità della situazione giuridica soggettiva a cui ricorre la giurisprudenza amministrativa (45) fa perdere quella conquista
della dottrina processualcivilistica moder-
in F.G. Scoca (a cura di), Giustizia amministrativa, Torino, 2013,
329 ss.; A. Romano Tassone, Il ricorso incidentale e gli strumenti di difesa nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm.,
2009, 581 ss. (il quale rileva fra l’altro che «manca tuttora, negli studi di diritto processuale amministrativo, una trattazione
organica della difesa nel giudizio di legittimità», a maggior ragione, vorrebbe aggiungersi, facendosi applicazione delle «nozioni tecniche correnti nella scienza del diritto processuale civile»); A. Saporito, Il ricorso incidentale nel processo amministrativo, in ildirittoamministrativo.it; G. Tropea, Il ricorso incidentale
nel processo amministrativo, Napoli, 2007. Per un’ampia bibliografia sul ricorso incidentale v. anche C. Guacci, Le impugnazioni nel processo amministrativo italiano, in Revista de Derecho
UNED, 2013, 329 nota 2.
Sulla necessità dell’impugnazione, F.G. Scoca, Ordine di decisione, cit., 115.
(39) Afferma A. Romano Tassone, Il ricorso incidentale, cit.,
591 ss., che per una questione di legittimazione così come per
ogni altra relativa a situazione «direttamente considerabile da
parte del giudice» non c’è bisogno del ricorso incidentale.
(40) V. in questo senso G. Tropea, Il ricorso incidentale, cit.,
658.
Potrà semmai dirsi che si tratta di questione passibile di decisione in forma semplificata (ex art. 74 c.p.a.) per manifesta
fondatezza o infondatezza dell’azione.
(41) Aveva auspicato che «oggetto di revisione da parte
della Plenaria rispetto alla posizione del 2011 [fosse] il concetto stesso di legittimazione, che nell’ambito del giudizio amministrativo assume una connotazione particolare ed in gran parte autonoma rispetto all’omologa nozione processual-civilistica» S. Varone, Corte di Giustizia UE, cit., 42.
(42) V. punto 8.3.5.
(43) Che pure individua la causa petendi (c.d. passiva), correlandosi al fatto costitutivo; v., per tutti, C. Mandrioli, Corso di
diritto processuale civile, Torino, 2010, vol. I, 103.
(44) Sempre che, si ripete, si ragioni dell’interesse legittimo
come di una pretesa (se non addirittura di una situazione giuridica soggettiva a struttura creditizia), e non come di un (mero)
diritto all’annullamento (che vedrebbe il suo fatto costitutivo
esclusivamente nel vizio di legittimità): sia consentito rinviare
amplius a L. Ferrara, L'interesse legittimo alla riprova della responsabilità patrimoniale, in Dir. pubbl., 2010, 637 ss., nonché
Domanda giudiziale e potere amministrativo. L’azione di condanna al facere, in Dir. proc. amm., 2013, 617 ss.
Qualifica invece l’assenza dei requisiti fatto preclusivo dell’emanazione di un provvedimento dal contenuto diverso B.
Spampinato, Sui ricorsi “escludenti incrociati”, cit., 341.
(45) Stigmatizza nel diritto amministrativo la confusione tra
condizioni dell’azione ed elementi dell’azione L. Perfetti, Legittimazione e interesse a ricorrere, cit., 690, il quale però poi
(696) sembra aderire all’orientamento che «sostanzia la legittimazione […] nell’accertamento accurato della posizione soggettiva sostanziale» (su cui, tra altri, R. Villata, Legittimazione
processuale (diritto processuale amministrativo), in Enc. giur.,
vol. XVIII, Roma, 1990, 2 ss.; A. Giannelli, Interesse strumentale, motivazione e standstill sostanziale: il TAR Lazio tra innovazione e conservazione, in Urb. e app., 2011, 4; F. Gaffuri, Il ri-
corso incidentale, cit., 1061; di recente, S. Bucello, L’accesso
alla tutela giurisdizionale del terzo concorrente, in Dir. proc.
amm., 2014, 107 ss.). Ritiene che la descrizione della legittimazione ad agire come interesse differenziato “mortifica” l’interesse legittimo F.G. Scoca, Ordine di decisione, cit., 115.
Una serrata critica alla «tendenza a confondere un problema prettamente sostanziale, volto a enucleare una situazione
giuridicamente rilevante, con una questione tipicamente processuale, legata alla spettanza del diritto di azione» in C. Cudia, Gli interessi plurisoggettivi tra diritto e processo amministrativo, Rimini, 2012, 125 ss.
Per alcune indicazioni relative alla giurisprudenza amministrativa non riconducibile a tale tendenza v. B. Spampinato,
Sui ricorsi “escludenti incrociati”, cit., 338 nota 20.
Circa la riconduzione della legittimazione ad agire all’affermazione della titolarità del diritto dedotto in giudizio verso il
convenuto (altra questione essendo quella della sua effettiva
titolarità) si veda, per tutti, nel processo civile, A. Attardi, Legittimazione ad agire, in Dig. disc. priv. (sez. civ.), vol. X, Torino,
1993, 525. Tara la legittimazione sugli “effetti stimati del provvedimento richiesto” al giudice E. Fazzalari, Azione civile (teoria
generale e diritto processuale), in Dig. disc. priv. (sez. civ.), Torino, vol. II, 1988, 33 ss.
Da notare, a proposito della dimostrazione della qualità di
socio che autorizza all’esercizio dell’azione di impugnativa della deliberazione assembleare ex art. 2378, comma 2, c.c., che
si ritiene «non si tratt[i] di legittimazione ad agire quanto di
merito effettivo attinente all’annullamento»: così C. Ferri, Le
impugnazioni di delibere assembleari. Profili processuali, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 2005, 58; similmente, F. Terrusi, L’invalidità
delle delibere assembleari della S.p.a., Milano, 2007, 165;
Idem, Art. 2378, in P. Cendon (a cura di), Commentario di diritto civile, artt. 2363-2396, Società per azioni, assemblea-amministratori, Milano, 2010, 285; A. Scala, Profili processuali dei nuovi artt. 2377 e 2378 in tema di impugnazione delle delibere assembleari invalide, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Franco Campobasso, vol. II, Torino, 2006, 267; contra R.
Villata, Riflessioni in tema di ricorso incidentale nel giudizio amministrativo di primo grado (Con particolare riguardo alle impugnative delle gare contrattuali), in Dir. proc. amm., 2009, 307;
per ulteriori ampie indicazioni di segno contrario si rinvia a G.
D’Attorre, La legittimazione del socio receduto alla impugnazione delle deliberazioni assembleari annullabili di s.p.a. alla luce
della riforma degli artt. 2377 e 2378 c.c., in Giur. comm., 2012,
II, 703. A maggior ragione, si direbbe, la qualità di socio è questione di merito, laddove la perdita di essa è «conseguenza diretta della deliberazione impugnata»: v. G. Carullo, Brevi osservazioni in merito alla legittimazione attiva del socio all’impugnazione delle delibere assembleari, ivi, 2010, II, 278; R. Scuderi,
Qualificazione dell’invalidità delle delibere assembleari derivante
da violazione del diritto di opzione spettante ai soci e presupposti per la relativa legittimazione ad agire, in Riv. notariato, 2009,
476. Quest’ultima evenienza, si noti, avvicina l’azione costitutiva del socio ai ricorsi escludenti incrociati di cui si sta facendo
questione, dove la situazione soggettiva costituisce l’oggetto
del provvedimento impugnato (oltre che del processo amministrativo, almeno secondo il punto di vista di chi scrive). Una ri-
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na (46) che consiste nell’astrazione dell’azione
dal diritto sostanziale (47). Di questa astrazione può cogliersi traccia già nell’art. 2 della
legge di abolizione del contenzioso amministrativo, laddove si ragiona del fare «questione di diritti soggettivi»: formula cui oggi si
ispira, a proposito degli interessi legittimi,
anche l’art. 7 del c.p.a.
Una volta che si sia convenuto (il che però è
lungi dal potersi dire avvenuto in modo compiuto)
che anche l’oggetto del processo amministrativo di
legittimità (così come l’oggetto del processo civile)
consiste nel rapporto giuridico controverso, o nella
situazione giuridica soggettiva controversa (48),
vengono meno le ragioni a fondamento dell’identificazione tra legittimazione ad agire e titolarità dell’interesse legittimo (49): ragioni che, per un verso,
risentono della concezione originaria di questa situazione soggettiva, di cui solo nel tempo si è riconosciuto il carattere sostanziale e la preesistenza rispetto al provvedimento amministrativo lesivo; per
altro verso, rappresentano il portato di un processo
costruito come attacco all’atto e di contenuto oggettivo (50). Basti considerare che anche nel processo
civile la legittimazione «non viene più riconosciuta
“ a chiunque”, ma solo a colui che “si affermi” titolare del diritto, che proponga domanda per un diritto proprio», mentre l’effettiva titolarità di tale
flessione interdisciplinare nei termini appena detti (secondo il
metodo suggerito in particolare da I. Pagni, Tutela specifica e
tutela per equivalente, Milano, 2004) non potrebbe però proseguire senza prendere posizione (ma non è questa, ovviamente,
la sede adatta) sull’assunto secondo cui «le categorie usualmente utilizzate nella dogmatica processualcivilistica, riferendosi ad un processo avente quale oggetto una situazione di diritto soggettivo, entrano in crisi quando vengono in contatto
con un giudizio che ha al suo centro un fenomeno prettamente oggettivo e costituente atto di esercizio di potere qual è la
deliberazione assembleare» (S.A. Villata, Impugnazione di delibere assembleari e cosa giudicata, Milano, 2006, 1 e 111 ss.).
Andrebbe, inoltre, considerato che la qualità di socio (diversamente da quella di titolare di un interesse legittimo) è ritenuta
uno status.
(46) La giurisprudenza amministrativa sembra dunque attardarsi sulla vecchia giurisprudenza della Cassazione civile: v.
in proposito Trib. Torino, sez. III civile, sentenza 21 giugno
2013 n. 4573.
(47) Tale astrazione, se fosse sviluppata fino alle sue estreme conseguenze, porterebbe piuttosto a respingere il concetto
stesso di condizione dell’azione (e, ovviamente, di legittimazione, che alle condizioni viene comunemente ricondotta, insieme alla esistenza obbiettiva del diritto e all’interesse ad agire):
v. in proposito G. Tomei, Legittimazione ad agire, in Enc. dir.,
vol. XXIV, Milano, 1974, 65 ss., il quale rileva anche che «l’affermazione del diritto nella domanda è cosa ben diversa […]
dalla titolarità del diritto»; nel diritto amministrativo, L. Perfetti,
Diritto di azione ed interesse ad agire nel processo amministrativo, Padova, 2004, 168 ss. e 242 ss.
(48) Sia consentito rinviare in proposito a L. Ferrara, Domanda giudiziale e potere amministrativo, cit.
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diritto è accertata dal giudice con la sentenza di
merito, che è la sola sentenza che può, tra l’altro,
impedire la riproponibilità della domanda (risultato escluso o da escludersi sulla base dell’impostazione della giurisprudenza amministrativa) (51).
In questa prospettiva di carattere sistematico dovrebbe, in definitiva, respingersi il pronunciamento
(con sentenza) in rito, anche laddove non si ritenesse necessaria l’impugnazione dell’atto di ammissione, sul presupposto del carattere non provvedimentale di quest’ultimo (52).
L’interesse ad agire e l’interesse
strumentale
Se ora torniamo ad analizzare da vicino la decisione n. 9 del 2014, scopriamo che l’utilizzo della
categoria della legittimazione ad agire è in verità
tradito dalla stessa Adunanza Plenaria, seppure per
un ordine di motivi molto distante da quanto si è
sostenuto nel paragrafo precedente.
Per quanto, infatti, si affermi, alle note condizioni, la sussistenza della legittimazione ad agire del
ricorrente principale, questa, non diversamente da
quanto avvenuto in modo più esplicito nel precedente del 2008, è ricavata dalla sussistenza dell’interesse ad agire, a sua volta identificato nell’interesse strumentale alla riedizione della gara.
(49) Rileva A. Squazzoni, Ancora sull’asserito effetto paralizzante, cit., 1086, che «della legittimazione (quale titolarità effettiva di un interesse legittimo) si potrà facilmente discorrere come di una questione di rito solo a patto di porre al centro del
processo amministrativo esclusivamente il provvedimento e la
questione della sua legittimità-illegittimità».
(50) Si veda A. Attardi, Legittimazione, cit., 525-526, che riconduce tale identificazione ai processi a contenuto oggettivo,
nonché ai processi costitutivi, laddove si segua l’orientamento
secondo cui l’oggetto di questi vada «fissato in relazione alla
situazione giuridica da modificare» (anziché fatto risalire al «diritto ad un dato mutamento giuridico che l’attore fa valere con
la sua domanda»).
(51) V. G. Tomei, Legittimazione, cit., 68 ss., il quale tuttavia
sostiene che anche sulla legittimazione si debba pronunciare
con sentenza di merito. Merita in proposito segnalazione Cass.
civ., sez. III, 22 aprile 2009, n. 9558, secondo cui «la pronuncia
di rigetto della domanda per difetto della legittimazione ad agire va intesa come rigetto per mancanza della titolarità del rapporto giuridico dedotto in giudizio, ossia per inesistenza del diritto, per essere di un terzo il diritto fatto valere, sicché tale
pronuncia è una decisione di merito e non di rito, idonea a
passare in cosa giudicata formale e sostanziale, preclusiva della possibilità di riproporre la stessa domanda in altro giudizio».
(52) In proposito F.G. Scoca, Ordine di decisione, cit., 115.
In tal caso, dal punto di vista dell’attività difensiva del convenuto, più che di eccezione, dovrebbe tuttavia trattarsi di mera
difesa, cioè, di semplice contestazione della situazione giuridica soggettiva dell’attore (non essendo in giuoco un fatto estintivo dell’interesse legittimo, ma piuttosto l’assenza del suo fatto costitutivo).
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Lo dimostrano inequivocabilmente alcuni passaggi motivazionali (53) insieme a considerazioni
di carattere logico (54).
E’ noto l’uso interscambiabile, se non la (vera e
propria) confusione fatta dalla giurisprudenza tra
legittimazione ad agire e interesse processuale (55),
ma quello che lascia stupefatti è che basti l’interesse al ricorso dell’uno e dell’altro ricorrente per produrre l’annullamento della gara. A tali fini sarebbe,
infatti, necessaria la sussistenza dell’interesse legittimo di entrambi, epperò l’interesse alla riedizione
della gara non è elevato dal giudice a situazione
giuridica sostanziale; e neppure rappresenta l’interesse vantato dalle parti (non rientrando, pertanto,
nella causa petendi) (56).
Certamente, si potrebbe con uno sforzo interpretativo ritenere che l’anzidetta elevazione sia figlia
dell’assimilazione tra interesse ad agire e legittimazione ad agire (57) e tra questa e l’interesse legittimo.
La sensazione, tuttavia, non è soltanto che l’Adunanza plenaria pieghi il processo e le categorie
processuali in funzione del risultato dell’annullamento della gara, che ritiene sostanzialmente «giusto» (58); ma anche, e al tempo stesso, che neppure nel caso «eccezionale» postulato se la senta di
riconoscere nell’interesse strumentale (alla riedizione della gara) un interesse legittimo perché tale
non può essere (in astratto, non soltanto in concreto (59)), stando almeno a quanto sostenuto da
una parte significativa della dottrina (60).
Su quest’ultima vale la pena ora di soffermarsi.
In dottrina, infatti, si è in particolarex affermato
che l’interesse strumentale in questione (che non
deve indurre confusione con la generale strumentalità che connota il rapporto tra interesse legittimo
e c.d. bene della vita, laddove sussiste il potere discrezionale della p.a. (61)) è semplicemente un interesse di fatto, non diverso da quello che ha ogni
altro imprenditore di settore che «alla gara non ha
voluto partecipare» (62), dal momento che «il
(53) V. per esempio dove si sostiene in relazione alle ipotesi
«non caratterizzate dalla comunanza del motivo escludente
[…] la caduta dell’interesse del ricorrente principale ad ottenere tutela» (punto 8.3.5).
(54) L’interesse a «vedersi aggiudicata una gara cui non si
aveva titolo a partecipare», considerato «un interesse materiale
contra ius» (punto 8.3.4), non potrebbe, infatti, rappresentare
in alcun modo quell’interesse legittimo, a sua volta integrante
la legittimazione al ricorso (nella logica del Consiglio di Stato),
che produce l’annullamento dell’ammissione dell’aggiudicatario. Tanto più se si considerano la controversia concreta da cui
trae origine la sentenza in commento e l’equiparazione corrispondentemente compiuta tra chi è stato estromesso dalla gara, «nel corso del giudizio, a seguito del ricorso incidentale» e
chi lo è stato «per atto dell’Amministrazione»: una evenienza
quest’ultima che vale a escludere che l’interesse all’aggiudicazione riceva la qualificazione normativa dal provvedimento e
quindi produca l’anzidetto annullamento (ritiene peraltro «disorientante» il risultato del duplice annullamento rimesso a due
pronunce in rito che si impediscono vicendevolmente R. Villata, Annotando gli annotatori, cit., 1189).
(55) In relazione alla tematica dei ricorsi escludenti incrociati, B. Spampinato, Sui ricorsi “escludenti incrociati”, cit., 339; rispetto alla giurisprudenza amministrativa in generale, L. Perfetti, Legittimazione e interesse a ricorrere, cit., 696 ss.
Sull’interesse ad agire, si veda, oltre all’A. da ultimo citato
(di cui pure Diritto di azione, cit.), R. Villata, Interesse ad agire
(diritto processuale amministrativo), in Enc. giur., Roma, 1989
(una riflessione sui rapporti tra interesse ad agire nel processo
amministrativo e in quello civile anche in Riflessioni, cit., 308
ss., cui nondimeno si rinvia per indicazioni bibliografiche relative alla dottrina processualcivilistica); R. Ferrara, Interesse e legittimazione al ricorso (ricorso giurisdizionale amministrativo), in
Dig. disc. pubbl., Torino, 1993, 472 ss.; B. Spampinato, L’interesse a ricorrere, Milano, 2004; F. Trimarchi Banfi, L’interesse
legittimo: teoria e prassi, in Dir. proc. amm., 2013, 1005 ss.
(56) Almeno per quanto riguarda il ricorrente principale non
vi è bisogno di conoscere gli atti di causa: è sufficiente la lettura della sentenza nella parte in fatto.
Nota M. Marinelli, Ricorso incidentale e ordine di esame delle questioni (in margine a Cons. Stato, Ad. plen., 10 novembre
2008 n. 11), in Dir. proc. amm., 2009, 627, che l’aggiudicatario
«mira a conservare la situazione di vantaggio derivante dal
provvedimento impugnato».
(57) Rileva M. Marinelli, Ancora in tema di ricorso incidentale “escludente”, cit., 1179, che «l’interesse strumentale alla caducazione della gara e al suo rifacimento non può fungere, di
per sé, da surrogato della legittimazione al ricorso, che deve
pur sempre essere verificata dal giudice».
(58) All’equità e al sentimento di civiltà giuridica allude M.
Timo, Il ricorso incidentale escludente, cit.
(59) Tanto che se fosse l’interesse vantato potrebbe produrre sì una sentenza in rito (ancora una volta senza annullamento, vale la pena di precisare in questo contesto; e neppure, ovviamente, accertamento in negativo del diritto all’aggiudicazione - supra § 2 -), ma per mancanza di quella condizione dell’azione, che una parte della dottrina processualcivilistica affianca alla legittimazione e all’interesse ad agire, consistente nella
“possibilità giuridica”, cioè nella sussistenza in astratto della
situazione soggettiva vantata (si veda, per tutti, in questo senso, C. Mandrioli, Corso, cit., 41).
Si noti che nella sentenza in commento (punto 8.1) anche la
possibilità giuridica è accostata, se non assimilata alla legittimazione a ricorrere, mettendo sullo stesso piano la qualificazione normativa e la differenziazione (sulla quale non è l’occasione per intrattenersi).
(60) Chiara, dunque, anche l’irrisolta tensione tra il caso
“eccezionale” in discussione e il precedente del 2011.
(61) V., tra altri, P.M. Vipiana, In margine ad un recente
orientamento del Consiglio di Stato sul cosiddetto interesse strumentale a ricorrere, in Dir. proc. amm., 1987, 127.
(62) Così si esprime R. Villata, Riflessioni, cit., 328-329 (ma
dello stesso A. v già In tema di ricorso incidentale e di procedure di gara cui partecipano due soli concorrenti, ivi, 2008, 940 e
946, che può dirsi avere aperto un filone di pensiero; nonché,
L’Adunanza plenaria interviene sui rapporti tra ricorso principale
e ricorso incidentale, ivi, 1187). Similmente, F. Gaffuri, Il ricorso
incidentale, cit., 1059 ss.; A. Giannelli, Interesse strumentale,
cit., 4-5; Idem, Il revirement della Plenaria, cit., 1125 ss.; R. Gisondi, L’Adunanza plenaria, cit., 10 ss.; A. Reggio D’Aci, La IV
sezione del Consiglio di Stato ribadisce che l’effetto paralizzante
del ricorso incidentale non può subire deroghe neanche nel caso
in cui vi siano due soli concorrenti alla gara pubblica. Rimangono, però, non esaminate alcune tematiche che potrebbero sug-
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vantaggio a cui il ricorrente […] mira non deriva
dall’osservanza delle norme che si assumono violate ma da una successiva […] a ttività della
p.a.» (63). Si tratta di una osservazione avanzabile
anche laddove si ritenga che la stazione appaltante
sia obbligata a indire una nuova gara (64), ma che
acquista più evidente pregnanza nel momento in
cui siffatto presupposto viene respinto (65), privando l’interesse alla rinnovazione della gara anche
del requisito dell’attualità (valevole per l’interesse
processuale come per quello sostanziale (66)) (67).
A siffatte obiezioni si è, peraltro, cercato di rispondere facendo valere la «lesione della propria
posizione concorrenziale» (68), che, per evitare
«gli sconvolgimenti del sistema processuale» derivanti dal «considerare l’appartenenza al mercato di
riferimento l’elemento di differenziazione della situazione soggettiva» (69), viene per lo più limitata
alle imprese partecipanti alla gara (70).
E’ agevole notare che a queste condizioni il problema, diversamente da quanto fatto dall’Adunanza plenaria, sembrerebbe coerentemente impostato (71): l’interesse alla rinnovazione della gara rap-
presenta l’interesse al ricorso, dipendente dal numero dei concorrenti (viene meno se vi è un terzo
partecipante), ma il titolo dell’annullamento (72),
che integra la pronuncia di merito, è una situazione giuridica soggettiva che ha per oggetto il rispetto delle regole concorrenziali. Questa soluzione potrebbe dirsi avere il pregio di smontare quel «retaggio della giurisdizione oggettiva», sovente imputato
alla giurisprudenza che perviene (per il tramite delle condizioni dell’azione) al risultato dell’annullamento della gara (73): essa, infatti, si basa sulla soggettivizzazione dell’interesse alla concorrenza e alla
legalità (74), promettendosi di smentire il «riflusso
oggettivizzante» imputato allo stesso valore della
concorrenza (75). Di tale soluzione lascia, però,
perplessi, oltre alla circostanza che è altra la situazione vantata in giudizio dalle parti, la dipendenza
della stessa lesione dal numero dei concorrenti (si
noti: a pari illegittimità del provvedimento amministrativo di mancata esclusione): questa (seconda)
dipendenza appare contraddire la sussistenza dell’interesse legittimo dai confini prospettati (76).
gerire un ragionevole ripensamento di questo orientamento, in
Dir. proc. amm., 2008, 221.
(63) R. Gisondi, L’Adunanza plenaria, cit., 10.
Rileva che la ripetizione della procedura è «un’utilità che
non preesiste all’annullamento giurisdizionale degli atti di gara» A. Giannelli, Il revirement della Plenaria, cit., 1131.
(64) A favore dell’esistenza di tale obbligo, tra altri, A.
Squazzoni, Ancora sull’asserito effetto paralizzante, cit., 10771078.
(65) Escludono la sussistenza dell’obbligo, tra altri, R. Villata, L’Adunanza plenaria, cit., 1188; M. Protto, Ordine di esame,
cit., 449; A. Giannelli, Interesse strumentale, cit., 6; R. Gisondi,
L’Adunanza plenaria, cit., 11.
Da notare che all’obbligo di rinnovare la gara si riferisce,
non è dato capire con quale consapevolezza, l’art. 122 c.p.a.
(66) Afferma in modo condivisibile F. Trimarchi, Rilevanza
condizionata, cit., 1128, che «nei casi nei quali si ravvisa l’assenza di risultato utile ciò che manca è la lesione dell’interesse
legittimo» (non la sussistenza dell’interesse al ricorso).
(67) V. in particolare G. Tropea, I rapporti fra ricorso principale e ricorso incidentale di nuovo dinanzi alla Plenaria. Un revirement atteso dopo un’interessante (e per alcuni versi discutibile) ordinanza di rimessione, in Giur. it., 2011, 1658; Idem, La
Plenaria prende posizione sui rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale (nelle gare con due soli concorrenti). Ma non
convince, in Dir. proc. amm., 2009, 220 ss.
(68) C. Benetazzo, Il ricorso incidentale, cit., 177 ss., dove
anche un’interpretazione dell’art. 1, n. 3, della direttiva
89/665/CEE e una lettura della sentenza Fastweb diverse da
quanto sostenuto supra § 2. Similmente, S. D’Ancona, Riflessioni, cit., 42 ss. e 54 ss.; F. Follieri, Un ripensamento, cit.,
1165 ss.
(69) G. Tropea, L’interesse strumentale a ricorrere: una categoria al bivio?, in Dir. proc. amm., 2010, 706; ma v. già R. Villata, Riflessioni, cit., 316.
(70) V. C. Benetazzo, Il ricorso incidentale, cit., 180 ss.; S.
D’Ancona, Riflessioni, cit., 35 ss. e 43. Nella giurisprudenza, v.
l’ordinanza di rimessione del Cons. Stato n. 2681 del 2013,
cit., all’origine della sentenza in commento.
Supera siffatta limitazione, appuntandosi esclusivamente
sull’«interesse ad esercitare l’impresa» (e sulla relativa generale qualificazione normativa), A. Squazzoni, Ancora sull’asserito
effetto paralizzante, cit., 1111 ss.
(71) Non ancora del tutto risolto, visto che vi sarebbe ancora da dire dell’ordine di trattazione dei ricorsi (su cui comunque infra § 5).
(72) Dell’una e dell’altra ammissione; rispetto all’aggiudicazione sussisterebbe poi una illegittimità derivata a effetto caducante (su cui, ex multis, di recente, Cons. Stato, sez. VI, 6 dicembre 2013, n. 5813).
(73) Così L. Perfetti, Legittimazione e interesse a ricorrere,
cit., 693 e 709. Sulla stessa linea, nella stessa giurisprudenza,
l’Ad. plen. n. 9 del 2011, cit.
(74) Affermano che siffatto interesse “si soggettivizza” nell’imprenditore di settore (che partecipa alla gara) C. Benetazzo,
Il ricorso incidentale, cit., 180 ss.; S. D’Ancona, Riflessioni, cit.,
43; F. Romani, La Corte di giustizia si pronuncia sull’effetto paralizzante del ricorso incidentale c.d. escludente nelle controversie in materia di appalti pubblici dichiarandolo non compatibile
con il diritto dell’Unione, in Dir. pubbl. comp. eur., 2013, 1590;
F. Follieri, Un ripensamento, cit., 1169 e 1171.
(75) A. Giannelli, Interesse strumentale, cit., 5.
(76) Un esempio delle difficoltà che si incontrano a soggettivizzare il bene ‘concorrenza’ può trarsi dal potere di impugnazione riconosciuto all’Antitrust contro atti che violino le
norme a tutela della concorrenza e del mercato, almeno stando all’interpretazione di una parte della dottrina (F. Cintioli,
Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’Autorità garante della
concorrenza e del mercato (art. 21 bis della legge n. 287 del
1990), in Giustamm.it: «non è possibile ritenere che l’Autorità,
in quanto tale, sia titolare di un interesse legittimo in senso
proprio, potendo (e dovendo) attivarsi per la tutela e realizzazione di un interesse generale alla concorrenza che, per un
verso, finisce per coincidere con una sommatoria di interessi
di mero fatto ascrivibili alla collettività e, per altro verso, restando così generico, non soddisfa di certo i caratteri di una si-
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Può in ogni caso a questo punto, intanto, dirsi
che per la strada dell’interesse al ricorso, così come
si era visto per quella della legittimazione ad agire,
non è possibile arrivare in modo convincente alla
rinnovazione della gara.
Carenza di interesse legittimo, assenza di
un valido aggiudicatario e nullità
dell’aggiudicazione
L’insoddisfazione indotta dai percorsi in gran
prevalenza battuti spinge a tentare una risposta al
problema posto dai ricorsi escludenti incrociati che
tenga conto di quanto si è venuti osservando: nella
consapevolezza che ipotizzare una soluzione che sia
più accettabile anzitutto sul piano sostanziale (proprio in quanto riflesso, si direbbe, della imputazione dello stesso problema al diritto sostanziale) significa comunque aprire nuovi fronti di riflessione.
Ebbene, la collocazione della controversia sul
piano della contrapposizione tra interessi legittimi
e parimenti del merito processuale consente, in
primo luogo, di considerare «equiordinate» (77) la
questione posta dal ricorrente principale e quella
posta dal ricorrente incidentale, con la conseguente necessità di esaminarle entrambe ai sensi dell’art. 112 c.p.c. (78): estromettendo altresì dal problema la rilevanza dell’art. 276, comma 2, dello
stesso codice (nella misura in cui tale articolo si limita a porre un ordine relativo al - solo - rapporto
tuazione soggettiva imputabile ad un soggetto di diritto»; ritiene, invece, che l’Autorità antitrust sia portatrice di un interesse
sostanziale che «si soggettivizza in capo ad essa» M. A. Sandulli, Introduzione a un dibattito sul nuovo potere di legittimazione al ricorso dell’AGCM nell’art. 21 bis L. N. 287/1990, in federalisimi.it, n. 12/2012).
(77) Secondo la tesi avanzata in dottrina, con diverso fondamento, da A. Squazzoni, Ancora sull’asserito effetto paralizzante, cit., 1104.
(78) Dove è enunciato, come noto, il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato. In ordine a tale principio,
per tutti, A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2002, 199 ss.
Meriterebbe riflettere anche sul significato e sull’applicazione dell’art. 277, comma 1, c.p.c., secondo cui «il collegio nel
deliberare sul merito deve decidere tutte le domande proposte
e le relative eccezioni, definendo il giudizio».
(79) V. supra § 1, nota 10.
(80) A. Squazzoni, Ancora sull’asserito effetto paralizzante,
cit., 1105, ma già A. Cerri, Spunti e riflessioni sull’ordine delle
domande, l’ordine delle questioni e l’impugnativa incidentale
escludente, in Riv. dir. proc., 2010, 1302-1303.
Al tempo stesso la collocazione di cui al testo non si imbatte nel «paradosso per cui doveva considerarsi comunque decidibile nel merito l’impugnativa proposta da un soggetto (il ricorrente principale) che - in virtù della ritenuta fondatezza del
ricorso incidentale “escludente” - era, invece, privo della necessaria legittimazione» (M. Marinelli, Ancora in tema di ricorso
incidentale “escludente”, cit., 1178).
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tra rito e merito) (79), ma evitando di cadere nella
contraddizione di «dichiarare la stessa domanda ad
un tempo fondata e inammissibile» (contraddizione che non sembra possa essere sciolta saltando la
sentenza di rito e/o osservando che «i fatti che nel
caso sarebbero preordinati alla legittimazione sono
i medesimi preordinati alla fondatezza») (80).
L’ascrizione al merito della controversia porta,
infatti, all’accertamento negativo dell’interesse legittimo all’aggiudicazione dell’uno e dell’altro concorrente, secondo l’interpretazione che da subito
era apparsa preferibile della sentenza Fastweb (81).
Poiché la sussistenza della causa petendi del ricorso
principale è contestata dal ricorrente incidentale,
mentre in modo speculare la situazione soggettiva
dell’aggiudicatario è aggredita dal ricorrente principale, l’«esame congiunto» (82) dell’uno e dell’altro
ricorso non solo è inevitabile ma conduce all’evenienza all’accertamento della infondatezza di entrambi i ricorsi.
La collocazione della controversia sul piano del
merito processuale giustifica, inoltre, l’affermazione
che la soluzione sia «del tutto insensibile alla variazione del numero dei concorrenti in causa» (83).
Nel momento in cui ricorrente principale e aggiudicatario si contendono reciprocamente l’aggiudicazione, affermando il proprio diritto (interesse
legittimo) e contestando quello dell’altro, in una
tipica situazione di litisconsorzio necessario (84)
dove è coinvolta la p.a. (85), la circostanza che alla
(81) Supra § 2.
Rispetto a tale ascrizione, peraltro, risulterebbe neutra anche la natura dell’interesse legittimo; l’equiordinazione di cui al
testo, dunque, sarebbe predicabile pure laddove si sostenesse
l’esistenza in astratto e in concreto del (duplice) diritto d’impresa (supra § 4).
(82) C. Lamberti, Per la Corte di giustizia, cit., 1011.
(83) A. Squazzoni, Ancora sull’asserito effetto paralizzante,
cit., 1105.
(84) “Multipolare”, secondo il linguaggio in voga tra gli amministrativisti. Per un concetto estensivo di «rapporto amministrativo multipolare», M. Protto, Il rapporto amministrativo, Milano, 2008, che vi include diritti inter-privati operanti «come facoltà (…) nei confronti dell’esercizio della potestà amministrativa» (240), nonché interessi privi di riconoscimento normativo,
rilevanti «sul piano degli effetti materiali e non su quelli giuridici» (272, con riferimento alla dichiarazione di inizio attività, ora
segnalazione certificata). L. De Lucia, Provvedimento amministrativo e diritti dei terzi. Saggio sul diritto amministrativo multipolare, Torino, 2005, invece, lega la multipolarità nel diritto
amministrativo alla struttura della norma di riferimento (nella
sua dimensione sostanziale e procedimentale).
(85) Si tratterebbe di una ipotesi di litisconsorzio necessario, in cui il diritto all’aggiudicazione è vantato e, nel caso, sussiste sia nei confronti della pubblica amministrazione che dei
concorrenti (sul litisconsorzio nel processo amministrativo, L.
Cossu, Litisconsorzio (diritto processuale amministrativo), in
Enc. giur., Roma, 1988, 2).
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gara abbia partecipato una terza impresa non altera
il risultato dell’accertamento negativo della situazione giuridica soggettiva vantata (nella misura in
cui siano carenti i requisiti di partecipazione): senza rendere «privo di utilità per entrambi» il ricorso (86), dato che essi per l’appunto ritengono (il
loro intento è) di ottenere o di conservare (rispettivamente) il bene materiale in giuoco. Non può,
in altre parole, giudicarsi l’esistenza dell’interesse
al ricorso sulla base del merito della controversia (87).
Restando al caso dei due soli contendenti, può
ancora notarsi che l’ascrizione al merito della controversia, insieme all’accertamento negativo della
loro situazione giuridica soggettiva (88), consente
di condividere l’esito cui arriva l’Adunanza plenaria in commento almeno in un punto, che è poi
quello su cui molti osservatori anche epidermicamente (vorrebbe dirsi: sostanzialmente) convergono (89): non può esservi un unico vincitore (si
tratti del ricorrente principale o di quello incidentale).
Si tratta ora però di valutare se invece l’assenza
di un vincitore (o di vincitori) scarichi di necessità
sulla p.a. il compito di «constatare l’impossibilità
di procedere alla scelta di un’offerta regolare» e
conseguentemente annullare l’aggiudicazione, così
come statuito dalla Corte di giustizia, sempre secondo l’interpretazione preferibile della sentenza
Fastweb.
Lasciando impregiudicata la questione (90) se la
pubblica amministrazione versi in una situazione di
obbligo o di «onere» rispetto all’anzidetto annullamento (91), pretermettendo pure di considerare le
eventuali varie possibili conseguenze dell’inattività
della stessa p.a., può valere la pena di domandarsi
se il giudice non possa rilevare d’ufficio la nullità
dell’aggiudicazione (92) per mancanza dell’elemento essenziale del soggetto (93). A marcare la differenza in termini di stato invalidante starebbe la
circostanza che secondo la legge (generale e/o speciale) non vi sia (non vi possa essere) alcuna impresa aggiudicataria: circostanza che emerge davanti al giudice nel momento in cui accerta in modo
reciproco l’infondatezza (dovuta all’assenza della situazione soggettiva) di un ricorso sulla base della
contestazione contenuta nell’altro. L’ipotesi acquista ulteriore credito alla luce della particolare (discussa) natura dell’atto di aggiudicazione: in particolare, della sua somiglianza con l’accettazione dell’offerta, di natura privatistica (94), o della sua
(86) F. Gaffuri, Il ricorso incidentale, cit., 1116.
(87) Bisognosa di attenta riflessione è, poi, la questione se
vi sia o meno una differenza che si lega al numero dei concorrenti, consistente nel fatto che, laddove questi siano più di
due, gli ulteriori concorrenti allargano il litisconsorzio necessario o comunque possono essere chiamati in giudizio (così F.
Gaffuri, Il ricorso incidentale, cit., 1116, che ante codicem utilizza gli artt. 102 o, in alternativa, 107 e 270 del codice di procedura civile: oggi semmai potrebbero applicarsi gli artt. 27 e 28
c.p.a.; osservazioni di segno contrario in A.M. Garofalo, posizioni giuridiche e tutele giurisdizionali dei partecipanti alle gare
pubbliche, in Foro amm.-C.d.S., 2013, 1240 ss., in part., 1243),
con l’effetto che all’accertamento negativo dell’interesse legittimo del ricorrente principale e dell’aggiudicatario si affiancherebbe (questa volta sì) l’annullamento dell’aggiudicazione e la
vittoria della terza (o comunque ulteriore) impresa partecipante.
(88) Che, come si è già visto, taglia fuori ogni possibilità di
annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione (con qualche
similitudine rispetto a quanto avviene in applicazione dell’art.
21 octies, secondo comma, l. n. 241 del 1990: per l’interpretazione dell’impossibilità di annullamento ai sensi di tale disposizione quale conseguenza dell’assenza dell’interesse legittimo
v. F. Trimarchi, Rilevanza condizionata, cit., 1117 ss.; L. Ferrara,
La partecipazione tra “illegittimità” e “illegalità”. Considerazioni
sulla disciplina dell’annullamento non pronunciabile, in Dir.
amm., 2008, 103 ss.).
(89) E su cui converge anche la lettura in termini oggettivi
del diritto europeo degli appalti proposta da A. Bartolini, nel
commento che segue.
(90) Che ci porterebbe troppo lontano.
(91) Supra § 2.
(92) Ai sensi dell’art. 31, c. 4, c.p.a. Rispetto a tale disposizione è comune il rilievo che il legislatore abbia optato per una
soluzione di compromesso, estromettendo alcune delle componenti tipiche della nullità civilistica come l’imprescrittibilità e
mantenendone altre quali, appunto, la rilevabilità d’ufficio; il
disallineamento creato non ha mancato di destare forti critiche, sulle quali non è, tuttavia, possibile intrattenersi in questa
occasione. Sull’intera tematica v., tra gli scritti più recenti, F.
Vetrò, L’azione di nullità dinanzi al giudice amministrativo, Napoli, 2012, 219. Sulla rilevabilità d’ufficio della nullità si veda
anche M. Ramajoli, Legittimazione ad agire e rilevabilità d’ufficio della nullità, in Dir. proc. amm., 2007, 999 ss.
(93) Ai sensi dell’art. 21 septies l. n. 241 del 1990. Con l’introduzione di tale disposizione il legislatore, come è noto, ha
previsto la fattispecie della nullità strutturale del provvedimento amministrativo per mancanza degli elementi essenziali. Si
tratta di una categoria che ha originato accesi dibattiti in merito alla sua effettiva estensione, dal momento che, a differenza
di quanto previsto per il contratto dall’art. 1325 c.c., sono rimaste indefinite le caratteristiche dell’essenzialità (v. per tutti
M. D’Orsogna, La nullità del provvedimento amministrativo, in
V. Cerulli Irelli (a cura di), La disciplina generale dell’azione amministrativa, Napoli, 2006, 364). Per quanto riguarda la carenza
del soggetto, dal punto di vista passivo del destinatario del
provvedimento, la nullità di quest’ultimo (con conseguente rilevabilità d’ufficio, oltre il termine di decadenza) è stata, in particolare, sostenuta, laddove la determinazione amministrativa
sia rivolta a un soggetto del tutto diverso dall’interessato: v. D.
Ponte, La nullità del provvedimento amministrativo. Profili sostanziali e processuali, Milano, 2007, 99.
(94) Malgrado l’art. 11, c. 7, del codice dei contratti, di cui
al d.lgs. n. 163 del 2006 respinga l’equivalenza dell’aggiudicazione definitiva all’accettazione dell’offerta, dottrina e giurisprudenza continuano a sostenere la doppia natura dell’atto:
v., in particolare, C. Benetazzo, Contratti della P.A. e annullamento dell’aggiudicazione, Padova, 2012, 24 ss. e 46 ss.
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eventuale valenza di atto amministrativo negoziale (95).
La dichiarazione della nullità dell’aggiudicazione
postula, però, che sia chiara la sorte dell’una e dell’altra ammissione dopo l’accertamento dell’infondatezza di entrambi i ricorsi per assenza della situazione giuridica soggettiva (o comunque che sia definito il rapporto tra questo accertamento e l’anzidetta dichiarazione) (96). La risposta più immediata a questa ulteriore questione è forse la più coerente ma al tempo stesso la più radicale (e quindi
pure la più discutibile): la nullità anche degli atti
di ammissione.
In una fase in cui si è «alla ricerca dei paradigmi
di riferimento della nullità» (97), tendendola a collocare in uno spazio intermedio tra l’inesistenza e
l’annullabilità (anche in termini di disciplina (98)), e in cui, in particolare, si stenta a definire
i contorni della coesistenza tra nullità del provvedimento amministrativo e giudizio di legittimità
(su interessi legittimi), se non a riempirne lo spazio (99), si deve osservare che è stata troppo facilmente respinta la categoria della carenza di potere
in concreto, come pure la sua deducibilità proprio
dal riferimento normativo alla essenzialità degli
elementi dell’atto (100). L’assenza della situazione
soggettiva e l’assenza del soggetto di cui qui si sta
ragionando sembrano, infatti, ascrivibili proprio a
siffatta categoria, la quale si rivelerebbe per questa
via suscettibile di una lunga serie di applicazioni
(con una ricaduta di sistema su cui, nuovamente,
non è possibile neppure lontanamente intrattenersi).
E’ da dire da ultimo che la soluzione della nullità
dell’aggiudicazione per effetto della infondatezza di
entrambi i ricorsi sembra poter superare una diversa obiezione, nascente allorquando si vada a considerare non la fattispecie specifica all’origine della
sentenza in commento, dove il ricorrente principale muoveva altresì rilievi sulla valutazione delle offerte, ma quella per così dire pura, in cui i ricorrenti contestano esclusivamente la reciproca ammissione. In questa ultima ipotesi potrebbe ritenersi
che l’aggiudicatario non abbia alcun interesse (processuale) all’utilizzo del ricorso incidentale, dovendo egli semplicemente dimostrare la titolarità dei
propri requisiti di partecipazione (o la legittimità
dell’atto di ammissione). Anche senza voler considerare che la difesa consistente nel ricorso incidentale sembra essere quella tipica di un contesto in
cui vi è un bene conteso (“sei tu quello che non
ha diritto!”), sembra, infatti, che il fascicolo di
causa consegni comunque al giudice la contestazione sul titolo del ricorso principale, che ne può impedire l’accoglimento, così come la confutazione
della legittimità dell’ammissione dell’impresa vincitrice ricorrente incidentale, rendendo consequenziale la dichiarazione di nullità del provvedi-
(95) G. Greco, Argomenti di diritto amministrativo, Milano,
2008, 135 ss.
(96) Sembra, infatti, presentarsi una situazione rovesciata
rispetto a quella dell’art. 21-octies, secondo comma, dove l’annullamento non è pronunciabile in ragione dell’assenza della
situazione giuridica soggettiva del richiedente (supra nota 89),
ma l’atto è negativo (anziché positivo, come nel nostro caso).
(97) Ma in verità non solo di quelli, vivendo una stagione in
cui molti punti che una volta erano ritenuti fermi sono oggi in
discussione.
La citazione di cui al testo è tratta da A. Bartolini, La nullità
del provvedimento nel rapporto amministrativo, Torino, 2002,
35 ss., ancora fondamentale nella materia, dove, ai fini della
distinzione tra nullità e inesistenza, è dato rilievo alla differenza
tra risultato ed effetto.
(98) Supra nota 92.
(99) La configurabilità dell’interesse legittimo a fronte del
provvedimento amministrativo nullo ha da lungo tempo suscitato l’interesse della dottrina, dando vita a un dibattito che ha
preso nuovo vigore a seguito della previsione dell’azione di
nullità di cui all’art. 31, comma 4, c.p.a. Varie le soluzioni prospettate, che si collocano tra i due estremi della piena compatibilità tra le nozioni in questione, da un lato (v., tra altri, G.
Montedoro, L’azione di nullità del provvedimento amministrativo, in F. Caringella - R. Garofoli - G. Montedoro (a cura di), Le
Tecniche di tutela nel processo amministrativo, Milano, 2006;
M. Balloriani, Nullità del provvedimento bel rapporto giuridico
pubblico tra privato e autorità: la tutela giurisdizionale delle posizioni giuridiche, in F. Caringella - D. De Carolis - G. De Marzo
(a cura di), Le nuove regole dell’azione amministrativa dopo le
Leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, tomo II, Milano, 2005), e della
assoluta negazione di tale compatibilità, dall’altro (v. N. Paolantonio, Nullità dell’atto amministrativo, in Enc. dir., Annali, I,
Milano, 2008; A. Lamorgese, Nullità dell’atto amministrativo e
giudice ordinario, in Giustamm.it; P. Carpentieri, Nullità e teorie
dell’atto amministrativo, ivi), passando per una soluzione intermedia, fatta propria dalla gran parte della giurisprudenza amministrativa, stando alla quale a fronte di un provvedimento
amministrativo nullo potrebbero rintracciarsi soltanto interessi
legittimi pretensivi (v. S. De Felice, Della nullità del provvedimento amministrativo, ivi; D. Ponte, La nullità, cit.); quest’ultima soluzione è stata messa in crisi dal recente riconoscimento
di Cons. Stato, sez. IV, 28 ottobre 2011, n. 5799, dell’efficacia
«interinale» del provvedimento nullo, che «rende possibile la
stessa definizione dell’atto come provvedimento amministrativo dotato di imperatività (e che, pertanto, si impone unilateralmente ai suoi destinatari)» fin tanto che la nullità non venga
accertata con pronuncia giurisdizionale. Sull’intera questione
v. inoltre R. Villata-M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, Torino, 2006, 347 ss.
(100) Fa confluire “la nullità per carenza in concreto di potere nell’odierna ipotesi di nullità dell’atto amministrativo per
mancanza di uno degli elementi essenziali” M.C. Cavallaro, Gli
elementi essenziali del provvedimento amministrativo, 2002,
203 ss., cui si rinvia anche per ulteriori riferimenti bibliografici.
Riconduce la mancanza di presupposti o di condizioni per l’esercizio del potere al difetto assoluto di attribuzione D. Sorace,
Atto amministrativo, in Enc. dir., Annali III, Milano, 2010, 83 ss.
Una valorizzazione della carenza in concreto per violazione
di norme imperative in A. Bartolini, La nullità, cit., 177 ss.
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mento di aggiudicazione per assenza di un valido
aggiudicatario. Inoltre, andrebbe pur sempre considerata la giurisprudenza interna e comunitaria, dalla quale risulta che «il giudice possa prescindere
dall’esame della questione di ricevibilità quando
sia facile statuire l’infondatezza del ricorso nel merito» (101).
lior est condicio possidentis, è agevole osservare che
tra due soggetti privi di interesse legittimo non
può esservi graduazione (107).
Della parità delle parti, infine, è presto detto: in
giuoco non è quella processuale (108), ma quella
sostanziale (è l’esistenza di pretese sostanziali contrapposte all’esclusione dell’altro).
Sui principi invocati
La fase del procedimento
Corollario della soluzione qui problematicamente prospettata è l’espunzione dalla questione dei
principi, criteri e valori variamente invocati dalla
giurisprudenza e dalla dottrina.
Della concorrenza in buona misura si è già detto:
l’ascrizione della controversia al merito (anziché al
rito) ne impedisce la sua rilevanza in termini oggettivi; al tempo stesso, non è sembrato che la concorrenza potesse essere direttamente soggettivizzata
(neppure per il tramite della partecipazione alla gara) (102).
Discorso similare può farsi per la legalità (103), a
meno di non voler sostenere che la rilevabilità
d’ufficio della nullità introduce (o consolida (104))
nel processo amministrativo una giurisdizione di tipo obiettivo: trascurando il fatto che non la introduce nel processo civile (105).
Così sono tagliati fuori dalla contesa tra pretendenti all’aggiudicazione anche il favor per l’esito
voluto dalla p.a. e per la celere esecuzione dell’opera pubblica (106).
Laddove poi il favore per la posizione dell’aggiudicatario venga ricavato (anche) dal brocardo me-
Resta da esprimersi, a proposito dell’Adunanza
plenaria n. 9 del 2014, sui limiti in cui questa abbandona la regola della precedenza di scrutinio del
ricorso incidentale escludente (con la conseguente
inammissibilità del ricorso principale), cioè, sulla
fattispecie che giustificherebbe l’eccezione a tale
regola, nel senso dell’esame incrociato e dell’eventuale accoglimento di entrambi i ricorsi.
Come almeno in parte anticipato (supra § 2), tale fattispecie è ricavata dall’identità dei vizi di ammissione, desunta a sua volta dalla corrispondenza
«cronologic[a] e logic[a]» delle cause generatrici
degli stessi vizi: questi, infatti, apparterrebbero «alla medesima categoria» e renderebbero «comune la
causa di esclusione», allorché afferiscono «alla medesima sub fase del segmento procedimentale destinato all’accertamento del titolo di ammissione alla
gara dell’impresa e della sua offerta» (109).
L’attribuzione di rilevanza alla fase procedimentale (in termini pratici si direbbe anche al tipo di
busta esaminato dall’amministrazione) (110) non è
priva di precedenti (111); deve, però, osservarsi
che, oltre a essere difficilmente ricavabile dall’ellit-
(101) P. Biavati, Appunti sulla struttura della decisione, cit.,
1312; Idem, Diritto processuale dell’Unione europea, Milano,
2005, 89. Per questa utilizzazione del principio di economia
processuale anche M. Marinelli, Ancora in tema di ricorso incidentale “escludente”, cit., 1181.
(102) Supra § 4.
(103) Valore che risulta informare anche l’obiter di Cass. n.
10294 del 2012, cit.
(104) Per chi stenta a riconoscere la portata dell’art. 24
Cost. (sia consentito rinviare per indicazioni a L. Ferrara, Domanda giudiziale, cit., 628 ss.).
(105) Per tutti, G. De Giorgi Cezzi, Interessi sostanziali, parti
e giudice amministrativo, in Dir. amm., 2013, 423 ss.
Circa l’uso non sempre appropriato dell’etichetta di giurisdizione di diritto oggettivo, A. Romano Tassone, Sulla disponibilità dell’ordine di esame dei motivi di ricorso, in Dir. proc. amm.,
2012, 818.
(106) Valorizzato per esempio da Cons. Stato, sez. VI, 18
gennaio 2011 n. 351 (ordinanza di rimessione). Sulla stessa
lunghezza d’onda, in dottrina, M. Protto, Ordine di esame, cit.,
449; G. Tropea, I rapporti, cit., 1658. Coglie invece nel «favore
processuale per l’esito voluto dalla pubblica amministrazione e
la connessa posizione dell’aggiudicatario […] il vizio d’origine
di questa ormai annosa questione» G. Pellegrino, Considerazioni su rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale, cit.
(107) Aveva ragionato di «un eterodosso potere di graduazione degli interessi sostanziali» A. Squazzoni, Ancora sull’asserito effetto paralizzante, cit., 1074-5.
(108) A favore della quale, in particolare, in giurisprudenza,
Ad. Plen. n. 11 del 2008; in dottrina, G.L. Pellegrino, Considerazioni su rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale,
cit. Contra, F. Gaffuri, Il ricorso incidentale, cit., 1066.
(109) V. punto 8.3.6.1.
(110) Che porta l’Adunanza plenaria a costruire le «seguenti
tre, alternative, categorie [di vizi]: a) tempestività della domanda ed integrità dei plichi (trattandosi in ordine cronologico e logico dei primi parametri di validazione del titolo di ammissione
alla gara); b) requisiti soggettivi generale e speciali di partecipazione dell’impresa (comprensivi dei requisiti economici, finanziari, tecnici, organizzativi e di qualificazione); c) carenza di
elementi essenziali dell’offerta previsti a pena di esclusione
(comprensiva delle ipotesi di incertezza assoluta del contenuto
dell’offerta o della sua provenienza)».
(111) V., per esempio, Ad. plen. n. 1 del 2010, cit.; Cons.
Stato, sez. V, 5 giugno 2008, n. 2669 (ordinanza di rimessione). In dottrina aveva puntato sul «tempo logico della pretesa»
G. Tropea, Il ricorso incidentale, cit., 733 ss.; vi aveva colto un
apprezzabile «temperamento» R. Villata, In tema di ricorso incidentale, cit., 947-948.
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tico riferimento ai «motivi identici» cui fa riferimento la sentenza Fastweb (112), risulta «sistematicamente debole» (113), quantomeno nella prospettiva che si è inteso sostenere in queste note.
Una volta ricondotti i requisiti di partecipazione
alla gara al fatto costitutivo dell’interesse legittimo,
inteso quale garanzia di attribuzione della chance di
aggiudicazione dell’appalto (114), è, infatti, evidente che requisiti soggettivi e requisiti di idoneità
dell’offerta incidono in modo analogo sull’esistenza
di tale chance, e quindi sulla sussistenza della situazione giuridica soggettiva (115). La collocazione
della controversia sul piano del merito processuale
se non altro ha il pregio di rendere di palmare evidenza che l’«uguaglianza concorrenziale», invocata
dalla stessa Adunanza plenaria (116), non ammette
distinzioni sulla base della fase genetica del vizio di
ammissione.
Ove, poi, volesse continuarsi a fare affidamento
sull’interesse strumentale alla riedizione della gara,
o almeno sul diritto d’impresa (117), sarebbe ragionevole trarre le conseguenze del fatto che l’impresa
priva dei requisiti di carattere generale di cui all’art. 38 del codice dei contratti pubblici «non potrebbe in alcun caso partecipare alla riedizione della gara» (118).
Una decisione poco europea
di Antonio Bartolini
Il presente commento si propone di esaminare i principi espressi dalla Corte di giustizia con riferimento
al ricorso incidentale nella sentenza C-100/12, passando attraverso l’analisi della configurazione del rito
appalti nel contesto comunitario. La tesi proposta è quella per cui il rito degli appalti costituisce un ambito speciale, conformato a principi diversi da quelli del nostro, attuale, processo amministrativo. In particolare, in una logica che si ritiene essere, per tale rito, quella della giurisdizione oggettiva non può avere cittadinanza il ricorso incidentale escludente.
S’intende dimostrare come, secondo la disciplina europea, il processo sugli appalti rappresenti l’occasione per verificare se il diritto comunitario viene correttamente applicato dalle amministrazioni nazionali
nonché, nel caso in cui emergano delle illegittimità, per sanzionare queste ultime. Si vedrà come anche il
concetto di legittimazione ad agire, proprio per il tramite di tale lettura, assuma l’ampio significato conferitogli dalla Corte del Lussemburgo.
Con il presente commento viene compiuta una
scelta di campo a favore della sentenza della Corte
di giustizia, così evidenziando i limiti della recente
pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di
Stato che, invece, ha fortemente limitato la vis expansiva della pronuncia europea (1).
Per comprendere la sentenza della Corte di giustizia che rigetta il diritto vivente italiano, diretto
ad ammettere il ricorso incidentale escludente, occorre necessariamente partire dalla natura del rito
europeo in materia di appalti, così come configurato dalle direttive ricorsi.
La convinzione di chi scrive è che il processo
europeo sugli appalti sia un giudizio speciale, sottoposto al diritto comunitario e, come tale, conformato a principi diversi da quelli del nostro processo amministrativo.
Mentre, difatti, il processo amministrativo italiano è sempre più informato ad un modello di giurisdizione soggettiva, quello sugli appalti delinea ed
impone (limitatamente al processo sulle procedure
(112) Punto 33.
(113) In questi termini si esprime M. Marinelli, Ricorso incidentale, cit., 624; similmente, R. Villata, Riflessioni, cit., 301 n.
59.
(114) Supra § 3.
(115) Altra questione essendo se possa dirsi costitutivo dell’interesse legittimo, stando alla fattispecie concreta che ha
originato l’Adunanza Plenaria in commento (v. punto 1.3), «la
fotocopia di un valido documento di identità del proprio legale
rappresentante» non acclusa nella busta B (tecnica) e C (economica); tacendo pure del fatto che tale fotocopia deve sup-
porsi ricavabile dalla busta A (amministrativa).
(116) Punto 8.3.5.
(117) V. supra § 4.
(118) R. Caponigro, Le azioni reciprocamente escludenti tra
giurisprudenza europea e nazionale, in Giustamm.it.
(1) Per i termini in fatto e diritto della questione oggetto di
commento si veda la nota che precede di L. Ferrara.
Ringrazio Giuseppe Morbidelli, Giandomenico Comporti,
Anna Laura Giannelli, Stefano Fantini per i suggerimenti che
mi hanno dato a seguito della lettura della prima stesura del
presente contributo.
La tesi
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di aggiudicazione) un modello di giurisdizione oggettiva.
Nella logica della giurisdizione oggettiva, dunque, non può avere cittadinanza il ricorso incidentale escludente, atteso che, per suo tramite, si consentirebbe, nonostante la contestazione contenuta
in un ricorso principale, l’aggiudicazione ad un soggetto il quale, al pari del ricorrente principale, non
avrebbe diritto a partecipare alla procedura di gara:
cioè, si consentirebbe di mantenere ferma l’aggiudicazione a colui che, in ipotesi, non avrebbe potuto conseguirla (almeno secondo le doglianze del ricorrente principale), in chiaro dispregio della normativa europea in materia di appalti.
Invece, il modello di giurisdizione oggettiva impone al giudice di andare a vedere se l’amministrazione ha correttamente applicato il diritto europeo,
sia nei confronti del ricorrente principale che del
ricorrente incidentale: qualora entrambi non abbiano titolo, a livello comunitario è richiesta l'applicazione di una sanzione per la violazione del diritto europeo (con relativa esclusione di entrambi),
al fine, così, di affermare la primazia dello stesso.
In estrema sintesi, si cercherà di dimostrare come, secondo la disciplina europea, il processo sugli
appalti rappresenti l’occasione per verificare se il
diritto comunitario viene correttamente applicato
dalle amministrazioni nazionali nonché, nel caso
in cui emergano delle illegittimità, per sanzionare
queste ultime, come conseguenza dell’affermazione
del principio di supremazia del diritto europeo. Il
ricorso incidentale escludente, proprio in quanto
contrastante con questa logica di fondo, si rivela in
contraddizione con il diritto europeo.
La natura oggettiva del rito europeo in
materia di appalti
La natura obiettiva del processo europeizzato in
materia di appalti emerge chiaramente sin dalla
lettura dei considerando delle direttive ricorsi.
A tal fine, le direttive ricorsi precisano che:
«i meccanismi attualmente esistenti sia sul piano
nazionale che sul piano comunitario per garantire
l’applicazione [delle direttive sostanziali] non sempre permettono di garantire il rispetto delle disposizioni comunitarie» (2);
«se le imprese non avviano le procedure di ricorso ne deriva l’impossibilità di ovviare a determina(2)
(3)
(4)
(5)
2° considerando direttiva 89/665/CEE
6° considerando direttiva ult. cit.
3° considerando direttiva 92/13/CEE
16° considerando direttiva ult. cit.
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te infrazioni a meno di istituire un meccanismo
specifico» (3);
«la mancanza di mezzi di ricorso efficaci o l’inadeguatezza dei mezzi di ricorso esistenti possono
dissuadere le imprese comunitarie dal presentare
offerte» (4);
«se le imprese non avviano una procedura di ricorso risulta impossibile riparare determinate infrazioni» (5).
Dunque, da queste premesse, risulta già chiaro
come il diritto europeo, per affermare l’effettività
del diritto sostanziale degli appalti, “usi” le imprese, attribuendo alle medesime “pretese” da far valere mediante rimedi effettivi innanzi alle Corti nazionali.
Si tratta, in realtà, di un'impostazione e concezione di tutela su cui si poggiano le basi del fondamento costituzionale del diritto europeo e dei rapporti tra Unione, Stati, autorità nazionali ed operatori che agiscono al loro interno.
Come noto, infatti, il diritto europeo, basandosi
sul principio d’integrazione, non ha il potere di affermare la propria volontà, la propria supremazia in
forma specifica e coercitiva nei confronti degli Stati; deve avvalersi, invece, dei soggetti privati come
propri alleati: vengono, pertanto, ad essere attribuiti diritti al fine di tutelare non solo i beni dei
privati, ma soprattutto la supremazia del diritto europeo.
Gli individui, essendo titolari di diritti conferiti
dal diritto europeo, possono azionarli nei confronti
degli Stati e delle autorità nazionali di fronte al
giudice interno: in tal modo il singolo diventa lo
strumento con cui l’ordinamento comunitario spinge, indirettamente, i paesi membri a rispettare le
regole europee. Carol Harlow ci ricorda che in tal
modo i privati diventano una sorta di “unofficial police force to boost Commission manpower”; né, a tale
prospettiva, va dimenticato Giuseppe Morbidelli
quando ci rammenta che nel sistema europeo «l’effettività del diritto amministrativo è sempre il fine,
mentre l’effettività della tutela è il mezzo» (6).
A questo punto, è chiaro perché il processo sugli
appalti emula il modello della giurisdizione oggettiva.
Nella giurisdizione oggettiva, il cui archetipo è
rappresentato dal sistema francese di tutela (7), il
ricorso del privato è preordinato in via primaria al(6) G. Morbidelli, La tutela giurisdizionale dei diritti nell’ordinamento comunitario, 2001, 45.
(7) Per un’ampia ricognizione dei modelli di giurisdizione
amministrativa, specie alla luce della distinzione tra giurisdizio-
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la tutela della legalità ed, in via riflessa, alla tutela
degli interessi dell’individuo.
Nel caso del processo europeo degli appalti la visione oggettiva è, pertanto, pienamente presente
atteso che l’interesse dell’individuo rappresenta un
mezzo e non un fine del processo: in altri termini,
il processo europeizzato degli appalti è di chiara natura oggettiva - di diritto pubblico - in quanto la
situazione soggettiva dell'operatore economico non
è l’oggetto principale del sistema processuale, essendo, piuttosto, solo un mezzo per raggiungere l’obiettivo pubblicistico dell’effettività del diritto europeo degli appalti e dell’apertura alla concorrenza
dei mercati pubblici.
Il ruolo sanzionatorio e non rimediale
del rito europeo in materia di appalti
La controprova di quanto affermato, circa la natura oggettiva del giudizio europeo in materia di
appalti, deriva dalla considerazione che il medesimo non ha carattere esclusivamente rimediale
(cioè non ha come fine la tutela dell’individuo
che, invece, è un mezzo), ma carattere sanzionatorio, cioè tende a colpire gli operatori economici e
le autorità nazionali, in modo da prevenire la violazione del diritto europeo degli appalti e, quindi,
da accrescere il bene pubblico della concorrenza.
Questo aspetto risulta di tutta evidenza dalla lettura della seconda direttiva ricorsi (2007/66/CE)
ove viene affermato che:
«per contrastare l’aggiudicazione di affidamenti
diretti illegittimi … è opportuno prevedere sanzioni effettive» (8);
«per impedire violazioni gravi del termine sospensivo obbligatorio e della sospensione automatica, che sono presupposti essenziali per ricorsi efficaci, si dovrebbero applicare sanzioni effettive» (9).
In questo quadro viene stabilito che la sanzione
principale, per la violazione del diritto europeo degli appalti, è costituita dalla privazione degli effetti
(ex tunc od ex nunc) del contratto, o in mancanza,
dall'irrogazione delle sanzioni alternative quali: a)
le sanzioni pecuniarie o b) la riduzione della durata del
contratto (10). Inoltre, è espressamente previsto che
ne oggettiva e soggettiva, nel diritto comparato, si veda l'interessante ricostruzione di B. Marchetti, Il giudice amministrativo
tra tutela oggettiva e soggettiva: riflessioni di diritto comparato,
in Dir. proc. amm., 2014, 74 ss.
Con riferimento al tema in questione, una diversa impostazione nella configurazione in termini oggettivi o soggettivi della
procedura inerente il rito appalti emerge chiaramente dalla no-
934
la “concessione del risarcimento danni non rappresenta una sanzione adeguata” (11).
Dunque, da questo contesto, emerge come l’annullamento dell’atto di aggiudicazione non sia l’unica forma di sanzione da apprestare in caso di violazione del diritto europeo degli appalti (e delle relative norme di recepimento), potendosi anche disporre la conseguenziale inefficacia - totale o parziale - del contratto, nonché sanzioni alternative,
quali quelle pecuniarie. Inoltre, viene sancito che
il risarcimento pur essendo una sanzione, non risulta di per sé uno strumento dissuasivo ed afflittivo
adeguato.
In base al diritto europeo, quindi, tra le misure
di carattere satisfattivo dell’interesse del ricorrente
e quelle di carattere afflittivo, risultano più rispondenti all’effettività del diritto comunitario - ed alla
sua supremazia -, le seconde, comportanti l’irrogazione di sanzioni pecuniarie, quali pene per il mancato rispetto della legalità.
Sanzioni, giova ricordare, che devono essere pagate dall’amministrazione aggiudicatrice ad un organismo indipendente: anche in questo caso la logica del modello oggettivo è evidente.
L’effettività del diritto europeo richiede
la sanzionabilità anche delle violazioni
di regole meramente formali
La dimensione oggettiva del rito europeo emerge
anche dal peculiare trattamento riservato dalle direttive europee ai vizi formali.
Come noto, il modello della giurisdizione soggettiva tende ad assicurare al ricorrente le utilità connesse al conseguimento del bene della vita, con
conseguente dequotazione dei vizi formali. Logica
che, tra l’altro, è sottesa anche alla pronuncia dell’Adunanza plenaria n. 4 del 2011, a proposito del
ricorso incidentale escludente (12).
Questo modello, peraltro, non è fatto proprio
dalle direttive europee, dove, al contrario, la logica
sanzionatoria tende anche a colpire la violazione
delle regole formali che non comportano utilità al
ricorrente sul piano del conseguimento del bene
della vita.
ta che precede, di L. Ferrara.
(8) 16° considerando direttiva 2007/66/CE.
(9) 18° considerando direttiva ult. cit.
(10) In tal senso art. 2, sexies, § 2, direttive 89/665/CEE e
92/13/CEE, così come introdotto dalla direttiva 2007/66/CE).
(11) Così ancora art. 2, sexies, § 2, cit.
(12) Cons. Stato, Ad. plen., 7 aprile 2011 n. 4.
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membri sono obbligati ad introdurre la disciplina
di privazione degli effetti del contratto; nella seconda evenienza, cioè quella dei vizi meramente
formali, gli ordinamenti interni sono obbligati a
prevedere una sanzione, ma lasciando libertà di
scelta tra la privazione degli effetti e l'irrogazione
delle sanzioni alternative.
Anche in questo caso siamo di fronte ad una
torsione oggettiva della tutela, in quanto l’ordinamento europeo, sapendo che la misura del risarcimento del danno non è una forma adeguata per
sanzionare i vizi meramente formali (cioè quelli
che non comportano l’annullamento dell’atto), si
vede costretto, per ribadire che la violazione del
diritto europeo va comunque sanzionata, a prevedere la sanzione alternativa del pagamento di una
pena pecuniaria da parte dell’amministrazione che
ha posto la violazione.
L’oggettivizzazione del processo è evidente: l’accertamento del vizio non invalidante e non caducante da parte dell’organo di ricorso - che non porta alcuna utilità pratica al ricorrente - non può essere tollerata dal diritto europeo e, pertanto, va
sanzionata con misure afflittive di carattere oggettivo (le sanzioni alternative pecuniarie).
In primo luogo, va considerata la direttiva
92/13/CEE che, nella versione originaria, riconosceva il danno da mera partecipazione. A tal fine
era previsto che «qualora una persona presenti una
richiesta di risarcimento danni in relazione ai costi
di preparazione di un’offerta o di partecipazione ad
una procedura d’appello, essa non deve essere tenuta, alla scopo di ottenere il rimborso delle spese
in questione, a provare che in assenza della violazione di cui trattasi l’appalto le sarebbe stato aggiudicato» (13).
Tra l’altro, va ricordato che, per rendere più oggettiva la responsabilità delle amministrazioni per
danni derivanti dalle procedure di appalto, la Corte di giustizia ha precisato che sono illegittime le
norme nazionali che subordinano il risarcimento
del danno alla prova dell’elemento soggettivo: sicché l’amministrazione può essere condannata al risarcimento dei danni senza dover provare la colpa,
essendo, pertanto, sufficiente che la violazione delle regole europee e nazionali sugli appalti abbiano
causato un danno (14). Tant’è che la stessa giurisprudenza nazionale ha evidenziato come l’oggettivizzazione della responsabilità dell’amministrazione, nel settore appalti, abbia attribuito al risarcimento del danno «una funzione “riparatorio-compensativa” (oltre che sanzionatoria dell’illegittimo
operato della p.a.)» (15).
Successivamente, tuttavia, l’ordinamento europeo ha ritenuto che il risarcimento del danno, anche con questa torsione oggettiva, non rappresenti
una forma sanzionatoria adeguata, spingendosi
dunque più avanti, sopprimendo il danno da partecipazione e prevedendo sanzioni pecuniarie (alternative) per la violazione di regole formali.
Il problema viene sollevato dal 18 ° e 19 ° considerando della direttiva 2007/66/CE, dove si chiarisce che gli ordinamenti nazionali possono sanzionare la violazione della clausola stand still in maniera differenziata, a seconda che l'aggiudicazione
sia colpita da vizi che hanno concretamente influito sull'opportunità di conseguire l'appalto o, invece, da altri vizi formali.
Nel primo caso, cioè quello di vizi sostanziali
che incidano sulla spettanza del contratto, gli Stati
La dimensione oggettiva del processo europeo in
materia di appalti, ove quello che conta è di sanzionare la violazione del diritto europeo anche
quando il ricorrente non possa beneficiare di un rimedio satisfattivo del proprio interesse, comporta
come logica conseguenza una configurazione della
legittimazione d’agire molto ampia (16).
A tal fine le direttive ricorsi stabiliscono che
«gli stati membri provvedono a rendere accessibili
le procedure di ricorso secondo modalità che gli
Stati membri possono determinare a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi
di essere leso a causa di una presunta violazione»
(17).
Si tratta di una legittimazione molto ampia che
«ancorata alla (affermata titolarità della) situazione
(13) 10° considerando ed art. 2, § 7, direttiva 92/13/CEE
(14) Corte di giustizia dell’Unione europea, 30 settembre
2010, C-314/09, Stadt Graz.
(15) Cons. Stato, IV, 31 gennaio 2012, n. 482. Sull’oggettivizzazione della responsabilità per danni nel rito appalti cfr.
G.D., Comporti, La responsabilità oggettiva per esercizio illegittimo della funzione amministrativa: alla ricerca di un modello, in
Giur. it., 2013, 1207 ss.
(16) Sulla nozione di legittimazione ad agire, così come
configurata dal Consiglio di Stato, cfr. ampiamente anche il
commento che precede di L. Ferrara.
(17) Art. 1, § 3, direttiva 89/665/CEE e 92/13/CEE, su cui v.
G. Morbidelli, Note introduttive sulla direttiva ricorsi, in Riv. It.
Dir. Pubbl. Com., 1991, 836 ss., dove, con riferimento all'interesse a ricorrere, l'Autore osserva che l'effetto estensivo della
direttiva è principalmente il portato della dizione «rischi di essere leso». Infatti «è vero che nella nozione di lesione di interesse concreto, diretto ed attuale, tradizionale formuletta che
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L’ampia nozione di legittimazione ad agire
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Viene da dire che la legittimazione non riguarda
l’accesso alla giustizia, ma la possibilità di poter o
non poter beneficiare del rimedio-sanzionatorio: la
legittimazione, da condizione di azione, diviene
condizione di pronuncia. Quello che conta per accedere alla giustizia è solo l’interesse ad agire: cioè
di dimostrare il pregiudizio, potenziale, attuale o
passato, derivante dalla violazione.
lesa dal provvedimento impugnato, si coniuga peraltro con un'ampia accezione di interesse al ricorso, di tipo essenzialmente strumentale»: «in altri
termini il diritto europeo pur riconoscendo la legitimatio ad causam come strumento per l'identificazione del titolare del potere di ricorso, al contempo
sembra però mettere in ombra tale presupposto rispetto all'interesse a ricorrere, che viene ad assumere il ruolo di maggiore centralità come fattore
di legittimazione all'impugnazione, nella sua connotazione, come si diceva in precedenza, di interesse alla mera ridiscussione del rapporto controverso» (18).
Ciò, peraltro, è stato chiarito dalla Corte di giustizia con il caso Hackermüller, dove si è precisato che
il partecipante ad una procedura di gara ha sempre
interesse ad accedere alla giustizia (quando sia leso o
rischi di essere leso da una violazione), sicché il proprio ricorso non può essere respinto per questioni di
rito (inammissibilità per mancanza di legittimazione
derivante dal fatto che il concorrente doveva essere
escluso), dovendo il giudice entrare sempre nel merito della questione: «quando … viene riconosciuto all'offerente il diritto di contestare la fondatezza del
motivo di esclusione nell'ambito della procedura di
ricorso avviata da quest'ultimo per contestare la legittimità della decisione con cui l'autorità aggiudicatrice non ha ritenuto la sua offerta come la migliore,
non si può escludere che, al termine di tale procedura, l'autorità adita pervenga alla conclusione che detta offerta avrebbe dovuto effettivamente essere esclusa in via preliminare e che il ricorso dell'offerente
debba essere respinto in quanto, tenuto conto di tale
circostanza, egli non è stato o non rischia di essere
leso dalla violazione da lui denunciata» (19).
Se si aderisce ad una logica oggettiva del processo, la ratio decidendi è del tutto chiara: essendo scopo della direttiva quello di sanzionare la violazione
del diritto europeo, il giudice deve sempre scendere
nel merito e valutare successivamente se, dall’accertamento della violazione, possano o meno conseguire degli effetti positivi sul ricorrente (la valutazione di merito precede ed esclude quella di rito
sulla legittimazione).
Ricostruito l’ambito sistematico in cui si muove
il processo europeizzato degli appalti, si può passare
ad affrontare la questione del ricorso incidentale
escludente.
Con quest’ultimo l’aggiudicatario contesta la legittimazione del ricorrente (il non aggiudicatario)
a partecipare alla procedura e quindi ad accedere
alla giustizia, in quanto l’amministrazione non lo
ha escluso ed, invece, illegittimamente lo ha ammesso alla gara.
L’Adunanza plenaria n. 4 del 2011 ritiene che il
ricorso incidentale debba essere delibato in via pregiudiziale, poiché l’eventuale accertamento della
causa escludente determinerebbe l’esclusione del
ricorrente dalla gara, venendo così meno la sua legittimazione a proporre il ricorso principale: difatti
la dichiarazione di esclusione lo degraderebbe da
concorrente a mero operatore economico, risolvendosi, così, il suo interesse alla legalità ad un mero
interesse di fatto non tutelabile giuridicamente (sarebbe, dunque, privo della legittimazione).
In questo ambito si muove pure l'Adunanza plenaria n. 9 del 2014 che colloca il dictum della Corte di giustizia nell’ambito della nota formula logica
dell’“eccezione che conferma la regola” (per cui, la
regola rimane quella della giurisdizione di tipo soggettivo che impone di dar preferenza al ricorso incidentale escludente, collocando nell’eccezione
quella dell’incrociato).
Come ci si può accorgere facilmente, quest’impostazione si pone in chiaro contrasto con la dimensione oggettiva del processo europeizzato degli
esprime l'interesse a ricorrere, si ricomprende, oltre all'utilità finale, anche l'utilità strumentale, costituita dalla possibilità di
addivenire ad una nuova determinazione che, se pure in via
astratta, può essere favorevole al ricorrente, ma è indubbio
che la dizione della direttiva costituisce un ulteriore criterio per
l'individuazione della utilità strumentale, e dunque integra in
senso estensivo i principi in tema di interesse a ricorrere».
(18) In tal senso v. S. Fantini, L’influenza comunitaria sulle
condizioni nazionali di accesso al giudizio amministrativo, in Urb.
e app., 2003, 1275 ss. ed in particolare (…), il quale aggiunge
che «con riferimento alla terminologia atecnica, neutra, utilizzata dalla direttiva, sembra corretto ritenere che l'espressione
“interesse all'aggiudicazione” non possa essere fatta coincidere con le categorie concettuali di legittimazione ed interesse al
ricorso degli ordinamenti interni, specie a diritto amministrativo, descrivendo piuttosto una utilitas concreta, ovvero un interesse al risultato, in relazione alla cui violazione gli interessati
devono essere ammessi alla tutela giurisdizionale» (…).
(19) Corte di giustizia della Comunità europea, 19 giugno
2003, C-249/01, Hackermüller.
936
Il ricorso incidentale nel diritto europeo
degli appalti non può essere escludente
Giornale di diritto amministrativo 10/2014
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Giurisprudenza
Giustizia amministrativa
appalti, dove la legittimazione, in pratica, non è
condizione di accessibilità alla giustizia, essendo assorbita nell’interesse ad agire.
Nel caso del ricorso incidentale escludente, l’interesse del ricorrente principale consiste nell’interesse strumentale, cioè nell’interesse a rinnovare la
gara e, quindi, a mantenere in vita la propria chance a conseguire l’appalto.
L’interesse ad agire del ricorrente principale,
consistente nel pregiudizio attuale, potenziale o
passato derivante dalla violazione, si manifesta, per
l’appunto, nel perdere la chance di aggiudicazione
la quale, invece, avrebbe con l’annullamento sia
dell’aggiudicazione che della propria ammissione.
L’interesse strumentale diventa il mezzo per assicurare il fine, cioè l’effettività del diritto comunitario, tramite la sanzione delle violazioni del diritto
sostanziale degli appalti.
La concezione soggettiva del processo, sottesa alle pronunzie del Consiglio di Stato, comporta sotto
il profilo effettuale un risultato non in linea con la
logica oggettiva, ovvero quello di non consentire
di accertare la violazione del diritto europeo denunciata dal ricorrente principale.
Con il rischio, inaccettabile, che la legalità venga calpestata dalla logica soggettiva del processo
amministrativo.
Giornale di diritto amministrativo 10/2014
La necessaria convivenza tra il modello
oggettivo e soggettivo della giustizia
amministrativa
Le conclusioni cui si è approdati, circa la concezione oggettiva del processo europeizzato degli appalti, non possono e non devono, peraltro, tracimare in modo indebito nel nostro ordinamento
processuale, sempre più marcatamente soggettivistico, improntato al modello del processo di parti
ed alle conseguenti regole del principio dispositivo
e del contraddittorio, in cui la situazione soggettiva
protetta è sempre più sganciata dalla figura dell’interesse riflesso ed ancorata al conseguimento del
bene della vita. Il giudizio sul rapporto, insomma.
Né, peraltro, si può negare che il modello comunitario nel campo del processo degli appalti abbia
una concezione e struttura diversa, di derivazione
oggettivistica.
Sicché, bisogna prendere atto di queste differenze ontologiche e tener presente che i due corpi, a
volte, non possono essere comunicanti e devono
rispondere a logiche diverse.
Insomma bisogna decisamente intraprendere la
strada di costruire il rito degli appalti come un processo a sé, di carattere speciale, sorretto da principi
diversi dal modello soggettivo di giustizia amministrativa che connota, invece, il processo amministrativo generale.
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Giurisprudenza
Concorrenza e mercato
Abrogazione e invalidità nei rapporti fra fonti statali e regionali
L’abrogazione nei rapporti fra
leggi statali e regionali
Consiglio di Stato, sez. V, 27 maggio 2014, n. 2746 - Pres. Volpe - Est. Saltelli
Posto che la disciplina della tutela della concorrenza appartiene alla competenza legislativa esclusiva dello
Stato, ogni disposizione normativa regionale contrastante con quella statale è immediatamente incompatibile e pertanto da ritenersi abrogata, a nulla rilevando per converso la potestà della Regione di adeguare le proprie (altre) leggi ai (nuovi) principi fondamentali, adeguamento che evidentemente non può riguardare la legge incompatibile, anche in virtù del principio della non contraddizione in cui verserebbe altrimenti l'ordinamento giuridico (con gravi ricadute anche in tema di immediata applicazione dei principi comunitari e violazione del principio di prevalenza di quest'ultimo sulla normativa nazionale contrastante).
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Corte costituzionale, n. 38 del 2013; Corte costituzionale, n. 299 del 2012 ; Tar Lombardia, sez. I, 14 febbraio 2013,
n. 411
(Omissis)
IL COMMENTO
di Stefano Battini
La pronuncia del Consiglio di Stato nel risolvere un conflitto fra legge statale e legge regionale in termini
di abrogazione, sollecita qualche riflessione sullo spazio che a tale istituto è riservato in un assetto tendenzialmente federale dei rapporti fra Stato e Regioni, qual è quello che la riforma del Titolo V della Costituzione italiana ha inteso (o avrebbe inteso) prefigurare. In base a quale fondamento, e a quali condizioni,
la legge statale successiva può abrogare la legge regionale precedente? A chi spetta verificare la legittimità costituzionale, sotto il profilo della competenza, della legge statale abrogativa (e correlativamente
l’illegittimità costituzionale di quella regionale, conseguentemente abrogata): alla Corte costituzionale o
al giudice comune? E vale la reciproca, nel senso che un’identica forza abrogativa può o deve riconoscersi anche alla legge regionale successiva competente rispetto a leggi statali precedenti incostituzionali?
«[È ] inammissibile che una legge federale ordinaria interferisca nell’ambito delle competenze costituzionalmente garantite al Land, e non meno
inammissibile che la legge di un Land disciplini
materie costituzionalmente riservate alla Federazio-
ne. […]. La soluzione che la Costituzione austriaca
ha dato al conflitto fra legge federale e legge dei
Länder appare così rispondente al principio dello
Stato federale. Non la legge della Federazione come tale prevale sulla legge del Land, ma la legge
costituzionale prevale su quella incostituzionale, si
tratti della Federazione o del Land».
Così, in un saggio pubblicato all’inizio degli anni
’20 dello scorso secolo (1), Hans Kelsen, il maggior
(1) La traduzione italiana è in H. Kelsen, Le giurisdizioni costituzionale e amministrativa al servizio dello Stato federale, se-
condo la Costituzione austriaca del 1° ottobre 1920, in Id., La
giustizia costituzionale, Milano, 1981, 22.
Il principio dello Stato federale: la legge
costituzionale prevale su quella
incostituzionale
Giornale di diritto amministrativo 10/2014
939
Giurisprudenza
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Concorrenza e mercato
teorico dell’assetto gerarchico del sistema delle
fonti del diritto, impostava in termini di pura competenza la relazione fra leggi federali e locali. Ogni
conflitto fra norme poste dalle due fonti implica
l’illegittimità costituzionale di una di esse. E, pertanto, in un sistema di controllo accentrato di costituzionalità delle leggi, quel conflitto si dovrebbe
risolvere con l’annullamento da parte della Corte
costituzionale della legge invalida.
In realtà, le cose, almeno in Italia, non stanno
esattamente in questi termini. Non stavano così
prima della riforma del titolo V della Costituzione;
e continuano a non stare così dopo quella riforma,
la quale pure intendeva rendere il rapporto fra legge statale e legge regionale, per dirla con Kelsen,
più “rispondente al principio dello Stato federale”.
Che i conflitti fra leggi statali e regionali non si risolvano sempre in termini di invalidità costituzionale, e quindi dinanzi alla Corte, è testimoniato
dallo spazio che, nel regolare i rapporti fra le due
fonti, si è ritagliato l’istituto dell’abrogazione, applicato dal giudice comune e anche dall’amministrazione pubblica. In linea teorica, il criterio cronologico di risoluzione delle antinomie, di cui appunto l’abrogazione rappresenta l’effetto, dovrebbe
rimanere estraneo all’area delle relazioni fra norme
poste da “fonti eterogenee”, ciascuna delle quali
competente in una sfera ad essa riservata, presupponendo invece quel criterio «la possibilità di un
valido concorso, sui medesimi oggetti, delle norme
dell’una e dell’altra fonte» (2). Eppure, come si diceva, il criterio cronologico ha sempre trovato applicazione nel governo dei rapporti fra legge statale
e legge regionale nell’ordinamento costituzionale
italiano. Se ne potrebbe inferire - applicando la
massima di Kelsen - che la disciplina dei rapporti
fra legge statale e legge locale non è “rispondente”
al principio dello Stato federale.
La pronuncia del Consiglio di Stato, oggetto di
queste note, nel risolvere un conflitto fra legge statale e legge regionale in termini di abrogazione,
sollecita qualche riflessione sullo spazio che a tale
istituto può, o deve, essere riservato in un assetto
(2) V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, II, 1, L’ordinamento costituzionale italiano. Le fonti normative, Padova, 1984,
196, che come noto riprende le tesi illustrate dall’A. in V. Crisafulli, Gerarchia e competenza nel sistema costituzionale delle
fonti, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1960, 775 e ss.
(3) Tar Lombardia, sez. I, 14 febbraio 2013, n. 411.
(4) Il Consiglio di Stato rileva anche come l’art. 31 del d.l. n.
201 del 2011 abbia, al secondo comma, previsto che «secondo la disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia di
concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale
940
tendenzialmente federale dei rapporti fra Stato e
Regioni, qual è quello che la riforma del Titolo V
della Costituzione italiana ha inteso (o avrebbe inteso) prefigurare.
Tali riflessioni devono essere però precedute, come si conviene, da una breve esposizione della vicenda oggetto della sentenza del Consiglio di Stato, nonché della ratio decidendi di quest’ultima.
La vicenda
Un comune, in applicazione di una legge statale
del 2011, adotta un’ordinanza con la quale, revocando propri precedenti provvedimenti, dichiara l’intervenuta abrogazione della disciplina contenuta in una
legge regionale del 2010, che poneva limiti agli orari
e ai giorni di apertura degli esercizi commerciali.
Il provvedimento è impugnato dal titolare di un
esercizio commerciale di ridotte dimensioni, pregiudicato dall’intervenuta liberalizzazione. Questi
lamenta, fra l’altro, la violazione della legge regionale del 2010, a suo avviso non abrogata, né abrogabile, dalla legge statale del 2011, ritenuta incostituzionale, perché lesiva della competenza regionale residuale in materia di commercio.
Il Tar rigetta il ricorso (3), con sentenza che viene appellata dall’impresa ricorrente dinanzi al
Consiglio di Stato, il quale, a sua volta, respinge
l’appello.
La ratio decidendi
La ratio decidendi della pronuncia di appello è
molto semplice. Forse perfino troppo. Essa si articola essenzialmente in tre passaggi.
Primo passaggio: la norma statale successiva è incompatibile con la norma regionale precedente. Il Consiglio di Stato muove dalla ricostruzione del quadro
normativo. L’asse del ragionamento è rappresentato dalle modifiche introdotte, in tema di orari e
giorni di apertura degli esercizi commerciali, dall’art. 31, c. 1, del d.l. n. 201 del 2011 (e, prima ancora, dall'art. 35, c. 6, del d.l. n. 98 del 2011), all’art. 3, c. 1, lett. d-bis, del d.l. n. 223 del 2006 (4).
la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio
senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali». In questo caso, alle Regioni ed enti locali è concesso un termine per adeguarsi: «Le Regioni e gli enti locali
adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente
comma entro il 30 settembre 2012, potendo prevedere al riguardo, senza discriminazioni tra gli operatori, anche aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree
dove possano insediarsi attività produttive e commerciali».
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Giurisprudenza
Concorrenza e mercato
Quest’ultima disposizione, per effetto delle citate
novelle, prevede ora che «ai sensi delle disposizioni
dell’ordinamento comunitario in materia di tutela
della concorrenza e libera circolazione delle merci
e dei servizi ed al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed
il corretto ed uniforme funzionamento del mercato,
nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell'articolo 117, comma secondo,
lettere e) ed m), della Costituzione, le attività
commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione
di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti
limiti e prescrizioni: […] d-bis) il rispetto degli orari
di apertura e di chiusura, l'obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata
di chiusura infrasettimanale dell’esercizio […]».
La norma statale del 2011, nel prevedere che le
attività commerciali debbano potersi svolgere in
orari e giorni liberamente determinati dall’esercente, si pone, dunque, direttamente in contrasto con
eventuali discipline regionali che limitino l’orario
e i giorni di apertura degli esercizi commerciali.
Tale è appunto la previgente disposizione contenuta nella legge della Regione Lombardia n. 6 del
2010, il cui art. 103, c. 2, dispone in particolare
che «Gli esercizi commerciali di vendita al dettaglio in sede fissa possono restare aperti al pubblico nei
giorni feriali dalle ore sette alle ore ventidue. Nel rispetto di tale fascia oraria l’esercente può liberamente determinare l’orario di apertura e di chiusura del proprio esercizio non superando comunque il
limite di tredici ore giornaliere. L’osservanza della
mezza giornata di chiusura infrasettimanale è facoltativa».
Secondo passaggio: la norma statale successiva è
espressione della potestà legislativa esclusiva in materia
di tutela della concorrenza. Il Consiglio di Stato richiama sul punto la giurisprudenza costituzionale
e, in particolare, la sentenza n. 38 del 2013, la quale, a sua volta, richiama la precedente sentenza n.
299 del 2012. Con tali pronunce, la Corte costituzionale ha, in effetti, stabilito che «l’eliminazione
dei limiti agli orari e ai giorni di apertura al pubblico degli esercizi commerciali [disposta dalla normativa statale in questione] favorisce, a beneficio dei
consumatori, la creazione di un mercato più dinamico e più aperto all'ingresso di nuovi operatori e
amplia la possibilità di scelta del consumatore». Il
legislatore statale ha pertanto introdotto «misure
coerenti con l’obiettivo di promuovere la concor-
Giornale di diritto amministrativo 10/2014
renza, risultando proporzionate allo scopo di garantire l’assetto concorrenziale del mercato di riferimento relativo alla distribuzione commerciale».
Conseguentemente, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma della Provincia
di Bolzano che, «autorizzando la Giunta ad emanare appositi indirizzi in materia di orari di apertura
al pubblico degli esercizi di vendita al dettaglio, si
presta a reintrodurre limiti e vincoli in contrasto
con la normativa statale di liberalizzazione, così invadendo la potestà legislativa esclusiva dello Stato
in materia di tutela della concorrenza e violando,
quindi, l’art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost.».
Terzo e ultimo passaggio, che è conseguenza dei primi due: la norma statale successiva ha abrogato la norma regionale precedente, con essa incompatibile. Secondo il Consiglio di Stato, sia l’ordinanza del comune impugnata, sia la sentenza del Tar appellata,
hanno correttamente ritenuto che la legge statale
del 2011 abbia abrogato la legge regionale del
2010. Conviene riportare per intero la motivazione
resa, sul punto, dal giudice amministrativo: «posto
che la disciplina della tutela della concorrenza appartiene alla competenza legislativa esclusiva dello
Stato, ogni disposizione normativa regionale contrastante con quella statale è immediatamente incompatibile e pertanto da ritenersi abrogata, a nulla rilevando per converso la potestà della Regione
di adeguare le proprie (altre) leggi ai (nuovi) principi fondamentali, adeguamento che evidentemente non può riguardare la legge incompatibile, anche in virtù del principio di non contraddizione in
cui verserebbe altrimenti l’ordinamento giuridico
(con gravi ricadute anche in tema di immediata
applicazione dei principi comunitari e violazione
del principio di prevalenza di quest’ultimo sulla
normativa nazionale contrastante)».
Questa sintetica motivazione solleva tuttavia diversi interrogativi. In base a quale fondamento, e a
quali condizioni, la legge statale successiva può
abrogare la legge regionale precedente? Lo può fare
in ogni caso o solo a condizione che sia costituzionalmente competente? E, in questa seconda ipotesi, a chi spetta verificare la legittimità costituzionale, sotto il profilo della competenza, della legge statale abrogativa (e correlativamente l’illegittimità
costituzionale di quella regionale, conseguentemente abrogata): alla Corte costituzionale o al giudice comune? E vale la reciproca, nel senso che
un’identica forza abrogativa può o deve riconoscersi anche alla legge regionale successiva competente
rispetto a leggi statali precedenti incostituzionali?
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Conviene impostare il ragionamento dapprima
in termini generali, a costo di ricapitolare concetti
molto noti.
Il criterio cronologico - si sa - è recessivo quando collide con gli altri due criteri di composizione
delle fonti, gerarchico e della competenza. La norma successiva non può abrogare quella precedente,
se quest’ultima è posta da fonte gerarchicamente
sovraordinata, oppure se è posta da fonte cui è riservata quella materia, o quel modo di disciplinarla.
Maggiormente problematica è tuttavia l’ipotesi
in cui il criterio cronologico concorre con uno degli altri due criteri a determinare una soluzione dello stesso segno, in punto di individuazione della
norma prevalente. Sono i casi di antinomie in cui
la norma successiva è anche gerarchicamente sovraordinata alla precedente, oppure è anche posta
dalla fonte competente, essendo l’altra, invece,
prodotta da fonte incompetente. Sono queste le
ipotesi in cui ha senso domandarsi in base a quale
titolo la norma successiva valida prevalga sulla pre-
cedente invalida. Qual è la prevalente ragione di
prevalenza? Si può sostenere che prevalga il criterio cronologico, e il conseguente effetto abrogativo, in base all’argomento per cui la questione della
“vigenza” della norma precede logicamente quella
della sua “validità” (5). Ma si potrebbe anche sostenere che prevalga il criterio gerarchico, o quello
della competenza, con conseguente invalidità (sopravvenuta) della norma anteriore, come accade,
ad esempio, nel caso della norma comunitaria, la
quale, se interviene nel proprio ambito di competenza, non abroga, ma rende invalida, e quindi disapplicabile, la norma interna antecedente con essa incompatibile. Oppure ancora si potrebbe affermare che, in realtà, non vi sia un titolo di prevalenza prevalente, potendosi applicare, cumulativamente, i meccanismi predisposti dall’ordinamento
per rimuovere sia la norma abrogata, sia la norma
(divenuta) invalida.
In quest’ultimo senso si era ad esempio orientata, come è noto, la Corte costituzionale, nella sua
prima sentenza, a proposito del contrasto fra la Costituzione e le leggi ad essa anteriori. L’Avvocatura
sosteneva l’incompetenza della Corte a pronunciarsi su quel contrasto, da ricostruirsi in termini di
abrogazione rilevabile dal giudice comune, anziché
di illegittimità costituzionale sopravvenuta, dichiarabile dalla Corte costituzionale. Quest’ultima affermò, invece, la propria competenza, non già sul
rilievo opposto, che cioè l’illegittimità costituzionale dovesse prevalere sull’abrogazione, bensì in
quanto «i due istituti giuridici dell’abrogazione e
della illegittimità costituzionale delle leggi non sono identici fra loro, si muovono su piani diversi,
con effetti diversi e con competenze diverse» (6).
Tuttavia, è proprio questa divaricazione di competenze ed effetti che impone di coordinare l’applicazione del criterio cronologico con quella degli altri due criteri di composizione delle antinomie. I
principali problemi applicativi derivano, infatti,
dall’incidenza che, sull’operare di tali criteri, è prodotta dal regime di invalidità delle leggi in un si-
(5) In questo senso, da ultimo, Corte cost., n. 222 del 2007:
«Il controllo sull'attuale vigenza di una norma giuridica spetta
istituzionalmente al giudice comune e precede ogni possibile
valutazione sulla legittimità costituzionale della medesima norma».
(6) Corte cost., n. 1 del 1956. Interessante anche, al riguardo, la motivazione di Corte cost. n. 153 del 1995: «Questa Corte ha più volte affermato che, ai sensi dell'art. 10, primo comma, della legge 10 febbraio 1953, n. 62, il sopravvenire nelle
leggi statali di norme recanti principi, in grado di costituire un
limite all'esercizio di competenze legislative regionali, comporta, nei casi di accertata e diretta incompatibilità fra la legge regionale e quella statale, l'effetto dell'abrogazione (v. spec. sen-
tenze nn. 498 e 497 del 1993, 50 del 1991, 151 del 1974). Ma,
dal momento che il giudice a quo, competente a rilevare tale
evenienza, afferma espressamente - sulla base di una nozione
di abrogazione di carattere dogmatico anziché di una di diritto
positivo - che le leggi regionali in esame non debbono essere
considerate abrogate, ragioni essenziali di certezza del diritto
inducono questa Corte, di fronte a un diretto contrasto tra le
disposizioni di legge regionale impugnate e i principi di riforma
economico-sociale stabiliti dal ricordato art. 5-bis, a dichiarare
l'illegittimità costituzionale delle norme sottoposte al proprio
giudizio». Il presupposto implicito di questo ragionamento è
che la norma regionale anteriore venga sia abrogata, sia resa
invalida dalla norma statale successiva competente.
Insomma, come si concilia l’applicazione del criterio cronologico con il principio - kelseniano - di
prevalenza della legge costituzionale (nel senso di
conforme alla Costituzione) sulla legge incostituzionale, si tratti della Regione o dello Stato? E ancora: sulla soluzione del problema come incide la
riforma del Titolo V della Costituzione, che ha (o
avrebbe) introdotto il principio dello Stato federale nei rapporti fra fonti statali e regionali ? Possono
ancora applicarsi, dopo tale riforma, le tradizionali
formule, basate sull’abrogazione delle previgenti
leggi regionali di dettaglio ad opera di norme statali che introducano principi nuovi o, anche, cedevoli dettagli ?
L’incompatibilità fra legge successiva
conforme a Costituzione e legge
incostituzionale precedente: abrogazione
e/o invalidità?
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Giurisprudenza
Concorrenza e mercato
stema a sindacato accentrato, nel quale, mentre
l’abrogazione è rilevabile, con effetti limitati al caso deciso, dall’amministrazione e dal giudice comune, chiamati ad applicare la legge, l’invalidità di
quest’ultima costituisce valutazione riservata dall’ordinamento alla Corte costituzionale.
Avrebbe, infatti, poco senso discutere di abrogazione di leggi anteriori, ad opera della Costituzione, in un sistema a sindacato diffuso, nel quale il
giudice comune potesse comunque pervenire allo
stesso risultato disapplicando quelle leggi per invalidità sopravvenuta. Analogamente, del resto, ha
pochissimo rilievo interrogarsi circa l’abrogazione,
oppure la disapplicazione per invalidità sopravvenuta, del regolamento in contrasto con la legge
successiva, in quanto, in entrambi i casi, il giudice
comune deve decidere la controversia senza fare
applicazione della norma anteriore.
In un sistema a sindacato accentrato, invece, i
problemi indicati assumono un notevole rilievo,
non solo teorico, ma anche pratico.
Innanzitutto, insorgono maggiori difficoltà a proposito del già citato rapporto fra abrogazione e/o
invalidità sopravvenuta delle leggi anteriori alla
Costituzione in contrasto con quest’ultima. Posto
che la Corte costituzionale – secondo quanto da
essa affermato fin dalla citata sentenza n. 1 del
1956 - è sempre competente ad annullare le leggi
incostituzionali, anteriori o successive alla Costituzione, è invece lecito dubitare della competenza
del giudice comune (e prima di esso dell’amministrazione) di dichiarare l’abrogazione delle leggi in
contrasto con fonti costituzionali successive. Per
un verso, infatti, l’abrogazione parrebbe in tal caso
necessaria, per evitare che il mancato riconoscimento in capo al giudice comune (e prima di esso
all’amministrazione) del potere di disapplicare la
legge incostituzionale produca esiti assurdi. In
mancanza di quel potere, infatti, negare l’applicazione dell’istituto dell’abrogazione determinerebbe
il seguente paradosso: l’amministrazione e il giudice potrebbero non fare applicazione di una legge
che contrasta con altra legge ordinaria successiva,
ma non altrettanto potrebbero fare nel caso di una
legge che contrasta con una successiva fonte di
rango costituzionale. In questo secondo caso, il giu-
dice potrebbe solo sollevare questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte. L’amministrazione, poi, non avrebbe neanche questa possibilità,
risultando obbligata ad applicare una legge in contrasto con la successiva norma di rango costituzionale, dovendo invece essa non applicare quella
stessa legge, se in contrasto con successiva legge
ordinaria. Si arriverebbe, così, all’assurdo di riconoscere alle norme poste da fonti di rango costituzionale una capacità di innovare al diritto vigente
meno intensa di quella riconosciuta alle norme poste da fonti di rango legislativo. Per altro verso, però, ammettere il potere dell’amministrazione e del
giudice comune di rilevare l’intervenuta abrogazione della legge da parte della fonte successiva, di
rango costituzionale, rischia, a sua volta, di confliggere con i principi del sindacato accentrato di costituzionalità delle leggi: il potere di dichiarare l’abrogazione, infatti, presuppone, comunque, una valutazione di compatibilità fra legge (anteriore) e
Costituzione (successiva), la quale costituisce precisamente il genere di apprezzamento che è riservato dall’ordinamento alla Corte costituzionale (e
consentito al giudice comune solo nei limiti della
manifesta infondatezza e dell’interpretazione conforme) (7).
Il problema non deriva quindi dalla interferenza
fra criterio cronologico e criterio gerarchico, ma
dal disallineamento fra applicazione diffusa del primo criterio e applicazione accentrata del secondo.
Considerazioni non dissimili valgono a proposito
dei rapporti fra criterio cronologico e criterio della
competenza, che, in questa sede, più direttamente
interessano. La norma posta da fonte competente
successiva prevale a doppio titolo sulla norma posta da fonte incompetente antecedente, sicché è
lecito domandarsi, anche in questo caso, se la seconda debba considerarsi abrogata, oppure invalida.
Di nuovo, l’interrogativo avrebbe probabilmente
scarso rilievo in un sistema a sindacato diffuso, nel
quale all’amministrazione e al giudice comune fosse
comunque consentito, disapplicando la norma incompetente, di raggiungere lo stesso risultato che
si conseguirebbe mediante la dichiarazione di intervenuta abrogazione della stessa.
(7) Come afferma V. Crisafulli (Lezioni di diritto costituzionale, cit., 198), rispetto all’ipotesi dell’abrogazione della legge ad
opera di successiva fonte costituzionale, «più grave argomento
in contrario si trae dalla esclusività della competenza della Corte [costituzionale] a giudicare della legittimità costituzionale
delle leggi […]: giacché, fuori dei casi di abrogazione espressa,
per accertare se tra determinate norme di leggi anteriori e de-
terminate norme costituzionali successive ricorra l’incompatibilità che è presupposto dell’abrogazione, il giudice dovrebbe
compiere proprio quel raffronto fra legge e Costituzione (o altra legge costituzionale), che - nel sistema positivamente adottato in Italia - gli è invece precluso, perché «riservato» alla
competenza della sola Corte costituzionale».
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Ma i problemi insorgono a causa del rilevato disallineamento fra applicazione diffusa del criterio
cronologico e applicazione accentrata del criterio
della competenza.
Da una parte, il ricorso all’abrogazione si rende
anche qui necessario per evitare le incongruenze
che si potrebbero determinare a causa della carenza
del potere dell’amministrazione e del giudice di disapplicare la legge costituzionalmente incompetente. Se, infatti, non si ammettesse l’abrogazione della legge incompetente, ad opera della legge competente successiva, si determinerebbe il seguente paradosso. L’amministrazione e il giudice potrebbero
non fare applicazione della legge competente in
contrasto con successiva legge competente (ad
esempio, legge regionale competente abrogata da
successiva legge regionale) ma non potrebbero fare
altrettanto nel caso di una legge incompetente che
si ponesse in contrasto con successiva legge competente (ad esempio, legge regionale incompetente
in contrasto con legge statale competente successiva). In questo secondo caso, infatti, il giudice, non
potendo rilevare direttamente l’intervenuta abrogazione, dovrebbe sollevare dinanzi alla Corte questione di legittimità costituzionale della norma anteriore, ritenuta incompetente. Si arriverebbe così
all’assurdo di attribuire alla norma posta da fonte
incompetente una capacità di resistenza all’innovazione legislativa maggiore di quella riconosciuta alla norma posta da fonte competente. Detto in altri
termini: la norma posta da fonte competente potrebbe prevalere immediatamente, mediante abrogazione, sul diritto anteriore posto da fonte parimenti competente, mentre non potrebbe prevalere
immediatamente sul diritto anteriore posto da fonte incompetente. È dunque per evitare questi assurdi - che non si determinerebbero in un sistema a
sindacato diffuso - che deve ammettersi l’abrogazione della norma anteriore da parte della norma
successiva posta da fonte eterogenea competente.
D’altra parte, però, sarebbe in contrasto con il
carattere accentrato del sindacato di validità delle
leggi un indiscriminato riconoscimento, in capo all’amministrazione e al giudice comune, del potere
di dichiarare l’abrogazione della norma posta da
fonte (ritenuta) incompetente ad opera della successiva norma posta da fonte eterogenea (ritenuta)
competente. L’esercizio di simile potere, infatti,
presuppone necessariamente il previo accertamento di quale sia la fonte competente, dato che l’effetto abrogativo, evidentemente, non può prodursi
qualora la norma successiva sia posta da fonte incompetente. Ma se il riparto di competenza (ad es.
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tra legge statale e regionale) è operato dalla Costituzione, allora siffatto accertamento si risolve, inevitabilmente, in un giudizio di legittimità costituzionale. Giudizio che è riservato alla Corte costituzionale ed è consentito al giudice comune nei soli
limiti della verifica di non manifesta infondatezza
(o dell’interpretazione costituzionalmente orientata), mentre è del tutto precluso all’amministrazione.
Da tutto ciò parrebbe dunque derivare il seguente assetto.
Il giudice comune deve dichiarare l’abrogazione
di una norma legislativa ad opera della successiva
norma, posta da diversa fonte legislativa, a condizione che non sussistano dubbi di sorta circa la competenza di quest’ultima. L’abrogazione della norma anteriore richiede, in altri termini, che il giudice valuti, preliminarmente, la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma posteriore, sotto il profilo del rispetto del riparto di competenze previsto dalla Costituzione. In
mancanza di ciò, cioè in caso di sussistenza del
dubbio, il giudice è invece tenuto, secondo gli ordinari principi, a sollevare questione di legittimità
costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale.
Diversa è poi la posizione dell’amministrazione,
la quale è costretta a scegliere quale delle due norme legislative applicare, senza avere né il potere di
individuare quella costituzionalmente competente,
disapplicando l’altra, né quello di sollecitare l’intervento della Corte costituzionale, cui tale verifica è riservata. Sembra dunque che l’amministrazione debba applicare, in ogni caso, la norma successiva, anche a costo, ad esempio, di far temporaneamente prevalere una legge regionale posteriore, ancorché appaia incompetente, rispetto ad una legge
statale anteriore, quando pure quest’ultima appaia
quella competente. D’altra parte, l’amministrazione
dispone del solo criterio di composizione delle antinomie fra norme di rango legislativo che è ad applicazione diffusa, vale a dire quello cronologico.
Il punto dovrà fra breve essere ripreso, in sede di
analisi dei rapporti fra legge statale e regionale, direzione in cui il discorso si è già, del resto, incamminato. Prima di procedere, è utile tuttavia fissare
un paio di implicazioni del ragionamento sin qui
condotto.
Primo. In un sistema a sindacato accentrato, l’istituto dell’abrogazione è impiegato, per così dire,
anche per un uso improprio, cioè per risolvere antinomie fra norme poste da diverse fonti, i cui rapporti sono retti dal criterio gerarchico o della competenza, e che dovrebbero pertanto risolversi in
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Come anticipato, conviene ora applicare questi
più generali ragionamenti al tema più specifico,
sollevato dalla pronuncia del Consiglio di Stato,
che è quello dell’abrogazione, dichiarata dal giudice comune (in questo caso, il giudice amministrativo), e prima di esso dall’amministrazione, di una
legge regionale in contrasto con legge statale successiva.
Il Consiglio di Stato, come già detto, non si diffonde in troppe spiegazioni, considerando scontato
l’effetto abrogativo: «posto che la disciplina della
tutela della concorrenza appartiene alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ogni disposizione normativa regionale contrastante con quella
statale è immediatamente incompatibile e pertanto
da ritenersi abrogata». Più analitica era stata, invece, sul punto, la motivazione della sentenza appellata, di cui conviene riportare il passaggio rilevan-
te: «Che la forza abrogativa delle disposizioni statali possa esplicarsi anche sulla legislazione regionale
anteriore è assunto che non può essere messo in discussione. Tale regola vigeva prima della riforma
del Titolo V, con riferimento ai rapporti fra leggi
statali di principio e leggi regionali di dettaglio
(art. 10 della legge n. 62 del 1953), e vale oggi anche nel caso in cui la normativa statale di rango
primario, emanata in base ad uno dei titoli di competenza esclusiva previsti dal comma 2 dell’art. 117
Cost., interferisca con gli ambiti di competenza legislativa regionale concorrente o residuale».
Il principio affermato dal giudice amministrativo
è dunque molto semplice: la legge statale competente abroga la previgente legislazione regionale
con essa incompatibile, sia prima, sia dopo la riforma del Titolo V. Si tratta però di un principio che
richiede alcune precisazioni, soprattutto perché
solleva qualche dubbio la lettura “continuista” della riforma del Titolo V, che esso pare presupporre.
Cominciamo dal regime anteriore alla riforma.
In tale regime, l’abrogazione della legge regionale ad opera di legge statale successiva aveva un
espresso fondamento normativo, ritenuto tuttora
vigente e citato dal giudice di primo grado: l’art.
10 della c.d. legge Scelba (l. n. 62 del 1953), secondo cui «le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali … abrogano le norme
regionali che siano in contrasto con esse».
In base a tale disposizione, dunque, nelle materie
assegnate alla potestà legislativa concorrente delle
Regioni, la successiva norma statale di principio
abroga la precedente norma regionale con essa incompatibile. Per verità, la legittimità costituzionale
di questa disposizione venne contestata, sul rilievo
che «stante la separazione di competenze normative tra lo Stato e le Regioni, non sarebbe configurabile che il sopravvenire di nuovi principi delle leggi statali produca un effetto abrogativo di norme
legislative regionali: l’art. 10 avrebbe, invece, potuto prevedere […] la invalidazione successiva di
queste ultime». L’argomento riprendeva le già richiamate tesi di Crisafulli, secondo cui il criterio
cronologico non può trovare applicazione per comporre le antinomie fra norme poste da fonti eterogenee, i cui rapporti sono retti dal criterio della
competenza, dato che esso richiede “la possibilità
di un valido concorso, sui medesimi oggetti, delle
norme dell’una e dell’altra fonte” (8). Ma a tale ar-
(8) Va detto, tuttavia, che Crisafulli non aveva mai ricostruito il rapporto tra legge statale e regionale, così come allora regolato dalla Costituzione, prima della riforma del titolo V, in
termini di pura separazione di competenze e, dunque, non
aveva mai negato completamente che tra le due fonti vi fosse
libero concorso sulle medesime materie. Più precisamente, se-
termini di validità. E ciò allo scopo di evitare contraddizioni e assurdi logici, che invece non si determinerebbero in un sistema a sindacato diffuso,
nel quale all’amministrazione e al giudice comune
fosse consentito disapplicare la norma invalida. Il
ricorso all’abrogazione nei rapporti fra fonti legislative eterogenee, in altre parole, si rende necessario
solo in quanto il meccanismo di rimozione della
norma legislativa invalida non è altrettanto efficace.
Secondo. Tale impiego “suppletivo” dell’istituto
dell’abrogazione, a fini di rimozione della norma
invalida, se per un verso è una conseguenza del sistema di sindacato accentrato, per altro verso, paradossalmente, è suscettibile di porsi in potenziale
conflitto con quel sistema, dato che il giudice comune, per rilevare l’effetto abrogativo, è preliminarmente chiamato a compiere proprio quella verifica di conformità della legge ai principi costituzionali (sulla competenza), che è riservata alla Corte
costituzionale. Più cresce lo spazio che il giudice
comune riconosce all’abrogazione nei rapporti fra
norme poste da fonti legislative disomogenee, più
si accentuano gli elementi di “diffusione” del sistema italiano di sindacato sulla costituzionalità delle
leggi.
Lo spazio dell’abrogazione nei rapporti fra
leggi statali e regionali: prima della riforma
del Titolo V della Costituzione …
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gomento rispose proprio Crisafulli, in qualità di
giudice, estensore della sentenza n. 40 del 1972
della Corte costituzionale: «Tra la competenza legislativa dello Stato e quella delle Regioni sulle
materie elencate nell'art. 117 non c’è netta separazione di materie: sulla stessa materia, al contrario,
devono concorrere la legge statale e la legge regionale, l’una ponendo (e potendo successivamente
modificare) i principi fondamentali, all'altra essendo riservato porre le norme ulteriori. E perciò, in
conseguenza del subentrare, nella legislazione statale, di nuovi principi (espressi od impliciti che
siano), bene può verificarsi l'abrogazione di precedenti norme regionali ove ricorrano in concreto gli
estremi richiesti dall'art. 15 delle disposizioni sulla
legge in generale, premesse al codice civile, per
aversi abrogazione» (9). Si potrebbe obiettare che
la separazione di competenze non è necessariamente per materia, ma anche per modi di disciplina,
sicché, così ragionando, non vi sarebbe comunque
“valido concorso” del legislatore statale e di quello
regionale in ordine allo stesso modo di disciplina
della materia (principio o dettaglio).
Ma tant’è. Ciò che qui preme rilevare è che,
nella logica della legge Scelba, il presupposto, la
condizione dell’effetto abrogativo è, comunque, la
validità, sotto il profilo della competenza, della
norma legislativa statale abrogatrice. La legge statale successiva abroga la legge regionale anteriore,
ma a condizione che essa ponga una norma di principio in una materia attribuita alla potestà ripartita o
concorrente (oppure, a fortiori, a condizione che essa
intervenga in una materia assegnata alla competenza esclusiva, allora residuale, dello Stato). Di
conseguenza, il giudice comune, per dichiarare l’intervenuta abrogazione, deve preliminarmente verificare la validità e competenza della legge statale.
Ma questa è operazione che rientra nella sua disponibilità solo in caso di manifesta validità e competen-
za di tale legge, essendo diversamente riservata alla
Corte costituzonale. Ove il giudice ritenesse, ad
esempio, che, in una materia di legislazione concorrente, la legge statale successiva non abbia una
“manifesta” natura di principio, egli non dovrebbe
dichiarare l’abrogazione delle norme regionali anteriori con essa incompatibili, bensì sollevare la
questione di legittimità costituzionale della legge
stessa.
Quest’ultima eventualità, tuttavia, nell’assetto
costituzionale anteriore alla riforma, era divenuta
del tutto remota. Ciò in virtù di un altro principio,
ben diverso da quello della legge Scelba, oltre che
assai “più audace” (10), sotto il profilo della compatibilità con l’assetto costituzionale delle competenze.
Ci si riferisce, ovviamente, al principio, affermato dalla Corte costituzionale con la nota sentenza
n. 214 del 1985, secondo cui, nelle materie attribuite alla potestà ripartita o concorrente, il legislatore statale può non solo adottare norme di principio, come previsto dalla Costituzione, ma anche
norme di dettaglio, sia pur ad efficacia provvisoria.
Anche questa legislazione statale di dettaglio aveva, inoltre, secondo l’interpretazione della Corte,
la capacità di abrogare la previgente legislazione
regionale, restando salvo solo il potere della Regione di intervenire successivamente, con proprie
norme di dettaglio, conformi ai nuovi principi posti dallo Stato, le quali sostituivano la disciplina di
dettaglio “cedevole”, provvisoriamente adottata dal
legislatore statale. Ad avviso della Corte costituzionale, una diversa lettura, sostenuta peraltro da
buona della dottrina, che precludesse allo Stato di
integrare la legislazione di principio con quella di
dettaglio, avrebbe condotto «all’assurdo risultato
che la preesistente legislazione regionale, in difetto
del necessario adeguamento a quella statale successiva, vanificherebbe in realtà quest’ultima, i cui
condo Crisafulli (Gerarchia e competenza nel sistema costituzionale delle fonti, cit., 807), «sulla medesima materia c’è concorso possibile, ed anzi necessario, dei due ordini di fonti (ciò che
porterebbe a escludere il ricorso alla figura della competenza
[…]); non, però, concorso libero, poiché a ciascuna delle due
fonti è riservato un determinato modo o tipo di normazione ed
il concorso non potrebbe validamente verificarsi che entro i limiti così imposti al loro contenuto rispettivo (ciò che consente,
invece, di parlare di competenza, pur essendo questa ripartita
in base a criteri compositi, nei quali rientrano, ma senza esaurirli, l’elemento territoriale e l’elemento della materia)».
(9) Successivamente, la Corte ha ribadito più volte questo
principio. Si veda, ad esempio: Corte cost. n. 151 del 1974 (
«sussiste la competenza della legge statale, alla forza della
quale inerisce la idoneità ad abrogare, espressamente o implicitamente, qualsiasi norma che su quella materia fosse per
l’innanzi in vigore (non importa se validamente o meno)»; Cor-
te cost. n. 498 del 1993; Corte cost. n. 153 del 1995. Più recentemente, Corte cost. n. 222 e n. 223 del 2007, a proposito
di un conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Veneto
avverso una sentenza del giudice amministrativo, la quale aveva dichiarato l’abrogazione, ai sensi della legge Scelba, di una
legge regionale incompatibile con successiva legge statale di
principio. La Corte, peraltro, in tale occasione, non ha affermato che l’abrogazione sia intervenuta, ma che spetta al giudice
comune accertarlo, con pronuncia che può essere contestata
non già mediante conflitto di attribuzione, bensì secondo gli
ordinari mezzi di impugnazione. Se ne veda anche il commento di F. Corvaja, Abrogazione di legge regionale a mezzo di regolamento sttale e conflitto di attribuzioni, in Le Regioni, n. 6 del
2007.
(10) Così L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna,
1996, 334.
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(nuovi) principi resterebbero senza effettiva applicazione, sicché risulterebbe compromessa l'intera
regolamentazione della materia alla quale essi si riferiscono».
Si potrebbe obiettare che tale risultato è, in realtà, meno assurdo di quanto spesso si sostiene. La
previgente disciplina regionale di dettaglio sarebbe,
infatti, comunque abrogata, ai sensi del principio
della legge Scelba in precedenza illustrato, se incompatibile con i nuovi principi posti dallo Stato,
o colpita da invalidità sopravvenuta, se comunque
difforme rispetto a tali principi. Il problema, pertanto, riguarda non già la presenza di una legislazione regionale difforme rispetto ai nuovi principi statali, ma solo l’assenza di una disciplina regionale
applicativa di quei principi. Si tratta però di un
problema generale, consistente nella mancanza di
rimedi avverso l’inerzia del legislatore. Quali rimedi sono previsti nel caso in cui il legislatore statale
ometta di dare applicazione a principi che sono posti dalla Costituzione ? L’art. 39 della Costituzione,
ad esempio, non è mai stato attuato e i principi da
esso posti sono rimasti privi di effettiva applicazione. Ma tale esito non è mai apparso giuridicamente
assurdo, dal momento che non esiste alcun organo,
diverso dal Parlamento, che possa ad esso sostituirsi nel dettare una disciplina attuativa di quei principi costituzionali. La verità è che la mancata attuazione regionale di principi statali pare, invece,
un esito assurdo, solo ove si presupponga l’esistenza
in capo allo Stato di un potere sostitutivo, esercitabile in caso di inerzia del legislatore regionale nella
propria sfera di competenza. L’esistenza di questo
potere di supplenza statale non è pertanto il rimedio che consente di evitare un risultato assurdo,
ma è la ragione per cui quel risultato viene percepito come assurdo. Ma era assai arduo ricavare dal
previgente testo costituzionale un simile potere sostitutivo dello Stato e, come vedremo, è ancor più
arduo trarlo dal testo attuale.
Ma tant’è: anche quel potere sostitutivo è stato
affermato dalla Corte costituzionale, che ha così
tratto dall’art. 117 Cost. «non già una competenza
riservata alla legislazione locale di dettaglio, ma solo una preferenza per mezzo della quale i consigli
regionali possano recuperare la competenza medesima». (11)
Ciò che qui preme rilevare, comunque, sono le
implicazioni, in ordine al tema affrontato in questo
scritto, del congiunto operare dei due principi illustrati: quello posto dalla legge Scelba, da un lato, e
quello affermato dalla sentenza n. 214 del 1985
della Corte costituzionale, dall’altro.
Per effetto di tali due principi, infatti, nel regime
anteriore alla riforma del Titolo V, alla legge statale successiva era, in pratica, sempre e comunque riconosciuta la capacità di abrogare la previgente legislazione regionale, a prescindere da ogni accertamento circa la competenza della fonte statale abrogatrice. Se si eccettuano le ipotesi di potestà esclusiva delle regioni a statuto speciale (12), infatti, la
legge statale doveva ritenersi sempre competente
ad intervenire, in qualsiasi materia (esclusiva o
concorrente) e secondo qualsiasi modo di disciplina (principio o dettaglio, sia pur cedevole in caso
di materia di potestà concorrente) (13). In questo
assetto, il giudice comune, in caso di accertata incompatibilità fra norma statale successiva e norma
regionale anteriore, poteva senz’altro dichiarare
l’intervenuta abrogazione della seconda. La preliminare verifica circa la competenza della fonte statale successiva - da compiersi alla luce della disciplina costituzionale, e quindi almeno in parte riservata alla Corte costituzionale - non era, infatti, necessaria, una volta svuotata di ogni reale significato
la riserva costituzionale di competenza a favore
della fonte locale.
Nella motivazione della pronuncia del Consiglio
di Stato, così come in quella del giudice di primo
grado, l’abrogazione della legge regionale anteriore,
ad opera della legge statale successiva, è affermata
in modo rapido e apodittico, richiamando orientamenti consolidatisi nel regime anteriore alla riforma del Titolo V della Costituzione, quasi che quest’ultima non avesse inciso, se non marginalmente,
sul problema in questione. Ma questa lettura, come
detto, non risulta pienamente convincente, per le
ragioni che si passa a esporre.
(11) L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, cit., 335.
(12) Relativamente alle quali, peraltro, il rapporto fra principi statali di riforma economico-sociale e le leggi regionali è
stato sostanzialente impostato in termini analoghi rispetto a
quello che intercorre fra principi statali e leggi regionali di det-
taglio nelle materie attribuite alla potestà concorrente delle Regioni a statuto ordinario.
(13) Salvo l’ipotesi, invero rara, di legge statale che intervenga con (sole) norme di dettaglio, senza collegarle anche a
(nuove) disposizioni di principio.
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… e dopo la riforma del Titolo V della
Costituzione
Il principio dello Stato federale, come affermava
Kelsen, richiede che i rapporti fra fonti federali e
fonti locali siano retti dal criterio della competen-
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za: la fonte federale non prevale su quella locale,
ma ciascuna di esse prevale sull’altra nell’ambito
della propria competenza costituzionalmente definita, secondo una relazione di reciproca pari-ordinazione.
Fino alla riforma del Titolo V, l’assetto costituzionale italiano, anche per come interpretato dalla
giurisprudenza costituzionale, era ben lungi dall’accogliere il principio dello Stato federale, tanto da
far ritenere perfino “patetica la stessa idea che le
leggi locali vadano parificate o pariordinate alle
leggi statali” (14). In quel contesto, come appena
visto, nessuna legge regionale, anche se di dettaglio
e in materia di potestà regionale concorrente, poteva ritenersi al riparo dall’abrogazione per mezzo
di successive leggi statali; non valeva, ovviamente,
la reciproca.
Ma la riforma costituzionale del 2001 aveva precisamente l’ambizione di introdurre nell’ordinamento italiano il principio dello Stato federale,
coerentemente improntando ad esso - e quindi al
criterio di una netta separazione di competenze l’assetto dei rapporti fra fonti statali e fonti locali.
Una riforma di tale portata non può non avere
ripercussioni anche in ordine al tema in esame,
cioè al ruolo rivestito dall’istituto dell’abrogazione
nel rapporto fra leggi regionali e leggi statali. In
particolare, le innovazioni che, sul punto, hanno
inciso maggiormente sono due: la nuova formulazione della norma costituzionale sulla potestà concorrente e, soprattutto, l’attribuzione alle Regioni
della potestà residuale esclusiva nelle materie non
espressamente menzionate dall’art. 117 Cost.
Sotto il primo profilo, mentre il vecchio testo
dell’art. 117 Cost. attribuiva alle Regioni, nelle
materie di potestà concorrente, la facoltà di emanare norme legislative «nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato», oggi la
disposizione costituzionale prevede che «spetta alle
Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata
alla legislazione dello Stato». La vecchia norma
circoscriveva i confini della legislazione regionale;
la nuova, invece, circoscrive soprattutto i confini
della legislazione statale, la cui competenza è, ora,
espressamente “limitata alla determinazione dei
principi fondamentali della disciplina” (15). La facoltà del legislatore statale di dettare una disciplina
di dettaglio in materie di legislazione concorrente,
già priva di un solido fondamento costituzionale
prima della riforma, parrebbe ora chiaramente ed
esplicitamente esclusa dal nuovo testo dell’art. 117
Cost. (16). Più in generale, quella facoltà sembra
incompatibile con i principi autonomistici che
hanno ispirato la riforma stessa: non parrebbe possibile, oggi, presupporre una generale funzione di
supplenza dello Stato, nell’esercizio di una potestà
legislativa che la Costituzione assegna alla competenza regionale, in un contesto nel quale non più
allo Stato stesso, bensì alle Regioni, la Costituzione stessa intesta la c.d. competenza residuale (17).
Proprio la competenza esclusiva residuale delle
Regioni rappresenta, poi, come detto, la seconda
innovazione, introdotta dalla riforma, che incide,
in modo forse ancor più significativo, sul problema
dell’abrogazione di leggi regionali ad opera di leggi
statali successive. Il nuovo Titolo V ha, infatti, attribuito alle Regioni ambiti di competenza legislativa effettivamente e completamente riservati (18),
in precedenza inesistenti; con esso, i rapporti fra
(14) Ancora L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, cit., 336.
(15) Così Corte cost., n. 282 del 2002, secondo cui «la nuova formulazione dell’art. 117, terzo comma, rispetto a quella
previgente dell’art. 117, primo comma, esprime l’intento di
una più netta distinzione fra la comptenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina».
(16) In questo senso, G. Falcon, Modello e transizione nel
nuovo Titolo V della Parte seconda della Costituzione, in Le Regioni, n. 6 del 2001, 1247 e ss., secondo cui «la nuova disposizione va intesa come un … riparto: con la conseguenza che in
linea di principio la competenza statale è ora limitata alla determinazione dei principi fondamentali»; per tale ragione, «la
diretta applicazione di regole statali di dettaglio contraddic[e]
la regola di riparto ed [è] in generale da evitare».
(17) La questione rimane comunque controversa nel dibattito scientifico, né dalla giurisprudenza costituzionale si ricavano univoche indicazioni. Sull’uno e sull’altro aspetto, si veda
l’intelligente messa a fuoco di F. Corvaja, La potestà concorrente, tra conferme e novità, in Le Regioni, n. 2/3 del 2011, 287,
specie 326 e ss. Secondo l’A., tuttavia, se si volesse tentare di
razionalizzare la giurisprudenza costituzionale, «si potrebbe
proporre questa formulazione: le norme di dettaglio suppletive
e cedevoli a corredo dei principi fondamentali sono illegittime,
salvo a) che le stesse siano necessarie per l’immediata attivazione di una funzione chiamata in sussidiarietà; oppure b) che
le stesse siano necessarie per la garanzia dei diritti fondamentali; oppure c) che vi sia in materia un particolare intreccio con
titoli di competenza esclusiva». La regola è pertanto divenuta
quella dell’illegittimità delle norme statali di dettaglio, salvo eccezioni, che abbisognano di una particolare giustificazione. In
linea generale, e tendenziale, dunque, «una norma autoapplicativa o è un principio o è illegittima - tertium non datur».
(18) Si prescinde qui dal problema del c.d. intreccio di competenze, per effetto del quale, com’è noto, la potestà legislativa regionale esclusiva può essere comunque limitata da norme poste dal legislatore statale nell’esercizio della propria
competenza esclusiva, specie in materie trasversali o finalistiche, che dunque condizionano la validità di norme regionali.
Tale eventualità, infatti, non esclude che, comunque, esistano
ambiti di competenza che, almeno in linea di principio, sono
del tutto sottratti alla legislazione statale e invece totalmente
riservati a quella regionale.
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fonti statali e fonti locali sono stati riconfigurati,
questa volta inequivocabilmente, in termini di separazione di competenze, secondo il principio kelseniano dello Stato federale.
La combinazione di queste due innovazioni, nel
determinare l’illegittimità (per incompetenza) della
legge statale, sia quando interviene con disposizioni di dettaglio in materie attribuite alla potestà
concorrente delle regioni, sia quando interviene in
materie che rientrano nella potestà esclusiva (residuale) delle stesse, modifica profondamente le condizioni dell’operare dell’istituto dell’abrogazione
nei rapporti fra legge statale successiva e legge regionale anteriore.
Nel previgente assetto, nel quale il legislatore
statale poteva validamente intervenire in ogni materia, e secondo ogni modo di disciplina, il giudice
comune poteva dichiarare l’abrogazione di una
norma regionale, sol che questa fosse incompatibile
con una successiva disposizione legislativa statale
autoapplicativa (19).
Nel nuovo assetto, ispirato invece alla separazione di competenze, come si è avuto modo di chiarire, l’effetto abrogativo si produce solo a condizione
che la legge statale successiva sia competente. Ciò
oggi, diversamente dal passato, non è più scontato,
perché la fonte statale potrebbe intervenire in una
materia, o secondo un modo di disciplina, a essa
precluso. E l’accertamento della fonte competente
non rientra, in un sistema a sindacato accentrato,
interamente nei poteri del giudice comune. Questi
può dichiarare l’abrogazione della norma regionale
anteriore solo in caso di “manifesta” competenza
della norma statale successiva con essa incompatibile, diversamente essendo tenuto a sollevare questione di legittimità costituzionale.
Alla luce di quanto esposto, può ora meglio valutarsi la motivazione della pronuncia del giudice
amministrativo, secondo la quale: a) «posto che la
disciplina della tutela della concorrenza appartiene
alla competenza legislativa esclusiva dello Stato»; allora b) «ogni disposizione normativa regionale contrastante con quella statale è immediatamente incompatibile e pertanto da ritenersi abrogata».
Il problema non è tanto la proposizione sub b):
si è visto quali siano le ragioni che, in un sistema
di sindacato accentrato, il quale non ammette disapplicazione della fonte incompetente, suggerisco-
no di riconoscere al legislatore competente la capacità di abrogare tutte le norme legislative vigenti
nel campo che è ad esso riservato; si perverrebbe,
diversamente, ad esiti assurdi: la norma successiva
competente potrebbe prevalere in via immediata,
mediante abrogazione rilevabile dal giudice comune, sulla previgente norma competente, ma non
sulla previgente norma incompetente, che potrebbe essere, invece, rimossa solo dalla Corte costituzionale.
Il problema è, piuttosto, la proposizione sub a): a
chi spetta stabilire che la legge statale successiva
(nel nostro caso, l’art. 31, c. 1, del d.l. n. 201 del
2011), che ha liberalizzato gli orari di apertura degli esercizi commerciali, rappresenti valido esercizio della potestà esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza e non costituisca, invece,
un’illegittima invasione della competenza residuale
che spetta alle Regioni in materia di commercio e
che era stata esercitata dalla Regione Lombardia
con la disposizione dichiarata abrogata? L’accertamento sulla competenza della legge statale successiva, che costituisce il presupposto e la condizione
dell’abrogazione della legge regionale anteriore, dichiarata dal giudice amministrativo, spettava effettivamente a tale giudice, oppure deve ritenersi riservato alla Corte costituzionale? Dal momento
che l’individuazione della fonte legislativa competente si risolve in un giudizio di legittimità costituzionale, non possono che applicarsi le regole ordinarie: il giudice comune può compiere autonomamente, senza rivolgersi alla Corte, il solo accertamento di manifesta legittimità costituzionale, e,
quindi, di manifesta competenza della legge statale
successiva; diversamente, cioè in caso di sussistenza
di un dubbio, egli deve sollevare questione di legittimità costituzionale.
Ebbene, il Consiglio di Stato, pur senza esplicitarlo, pare aver compiuto precisamente un simile
ragionamento: la legge statale successiva, che ha liberalizzato gli orari di apertura degli esercizi commerciali, è stata ritenuta dal Consiglio di Stato
“manifestamente” competente, in quanto la Corte
costituzionale, in precedenti sentenze, rese nell’ambito di diversi giudizi in via principale, aveva già
avuto modo di ricondurre proprio tale disposizione
alla potestà esclusiva dello Stato, dichiarando costituzionalmente illegittime norme regionali con
essa in contrasto. La giurisprudenza costituzionale
(19) Va sempre precisato, infatti, che quando la disposizione statale successiva non ha carattere autoapplicativo, non ricorrono gli estremi dell’abrogazione, ai sensi dell’art. 15 delle
disposizioni preliminari al codice civile e, quindi, si produce il
solo effetto dell’illegittimità sopravvenuta della norma regionale rispetto ad essa difforme.
Giornale di diritto amministrativo 10/2014
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Giurisprudenza
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Concorrenza e mercato
in questione (specie sentenze n. 299 del 2012 e n.
38 del 2013), è, infatti, puntualmente richiamata
dal giudice amministrativo, che rileva, in particolare, come la Corte abbia affermato che «l’eliminazione dei limiti agli orari e ai giorni di apertura al
pubblico degli esercizi commerciali - prevista appunto dall’art. 31, c. 1, del d.l. n. 201 del 2011 favorisce, a beneficio dei consumatori, la creazione
di un mercato più dinamico e più aperto all’ingresso di nuovi operatori e amplia la possibilità di scelta del consumatore», rappresentando, di conseguenza, una misura «coerent[e] con l’obiettivo di promuovere la concorrenza» e «proporzionat[a] allo scopo di garantire l’assetto concorrenziale del mercato di
riferimento relativo alla distribuzione commerciale».
La legge statale successiva è, dunque, per il giudice amministrativo, “manifestamente” competente, essendo ciò già stato accertato, in diversi giudizi, dalla Corte costituzionale. Di conseguenza, la
legge statale conforme a Costituzione abroga la
previgente legge regionale, costituzionalmente illegittima, per le ragioni ormai più volte illustrate.
Il giudice amministrativo ha dunque ben deciso?
Si. Ma, bisogna aggiungere, si trattava di un caso
facile, appunto perché la Corte costituzionale aveva già in precedenza provveduto, sia pur in altri
giudizi, ad individuare quale fosse, fra le due norme
in contrasto, quella costituzionalmente competente. Cosa sarebbe accaduto se quei “precedenti” non
vi fossero stati? In mancanza di una giurisprudenza
costituzionale consolidata, avrebbe potuto il giudice amministrativo stabilire autonomamente, senza
rivolgersi alla Corte, se la disciplina degli orari di
apertura degli esercizi commerciali rientri nella
materia “concorrenza” (potestà esclusiva statale)
oppure nella materia “commercio” (potestà residuale regionale)? Fino a dove può spingersi il giudice comune nel valutare come (manifestamente)
infondate le questioni di legittimità costituzionale
che si riferiscono alla competenza della legge statale in contrasto con previgente legge regionale?
Ma il caso deciso dal Consiglio di Stato è un caso “facile” anche per una diversa ragione. Esso riguarda, infatti, l’ipotesi “tipica” di abrogazione di
legge regionale in contrasto con legge statale successiva. Ma cosa accade nell’ipotesi inversa, nella
quale cioè sia la legge regionale ad intervenire successivamente?
La fattispecie dell’abrogazione di legge statale ad
opera di legge regionale successiva costituiva un’eventualità del tutto remota e marginale nel previgente assetto costituzionale, il quale non conosce-
950
va una reale riserva di competenza a favore della
fonte locale. A parte l’ipotesi peculiare della sostituzione della disciplina di dettaglio cedevole dettata dalla legge statale, la legge regionale non poteva
evidentemente abrogare previgenti leggi statali, cui
era tenuta, al contrario, a conformarsi.
Anche sotto tale profilo, la situazione è però
cambiata dopo la riforma del Titolo V, che ha tendenzialmente disciplinato il rapporto fra fonti statali e locali secondo il principio federalistico della
separazione di competenze. Nel nuovo contesto,
l’abrogazione della legge statale da parte di successiva legge regionale dovrebbe ammettersi esattamente negli stessi termini in cui è ammessa la reciproca. Se il principio è che la legge può abrogare,
nel proprio ambito di competenza, tutte le leggi
anteriori, valide o invalide che siano, allora tale
principio deve applicarsi per la legge regionale come per la legge statale. Se, in materia di potestà
esclusiva statale, la legge dello Stato abroga la previgente legge regionale incompetente, allora deve
parimenti riconoscersi che, in materia di potestà
residuale regionale, la legge della Regione possa
abrogare, limitatamente al proprio territorio, la
previgente legge statale incompetente. Il problema
sarà, anche in tal caso, quello della distribuzione,
fra giudice comune e Corte costituzionale, del potere di accertare la “competenza” della legge regionale successiva, con correlativa “incompetenza”
della legge statale anteriore.
Ciò posto, ci si può allora chiedere cosa sarebbe
accaduto ove la legge regionale fosse intervenuta a
regolare gli orari di apertura degli esercizi commerciali non prima, ma dopo la legge statale che ha liberalizzato la materia. Come avrebbe dovuto comportarsi, in tal caso, il giudice amministrativo e,
prima di lui, l’amministrazione? L’amministrazione
non avrebbe potuto né disapplicare la legge (regionale) ritenuta incompetente, né sollevare la questione di legittimità costituzionale della stessa, né,
sembra, far prevalere la legge statale anteriore in
base al criterio gerarchico o in base ad alcun altro
titolo. L’amministrazione avrebbe dovuto allora risolvere l’antinomia fra fonte statale e fonte locale
utilizzando il criterio cronologico, cioè applicando
la legge regionale successiva, pur quando ritenuta
manifestamente incompetente. Naturalmente l’atto applicativo della legge regionale avrebbe poi potuto essere impugnato dinanzi al giudice amministrativo, che, non potendo a sua volta disapplicare
la legge ritenuta incompetente, avrebbe potuto: a)
dichiarare l’abrogazione della legge statale precedente, in caso di ritenuta manifesta competenza
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della legge regionale successiva; oppure b) sollevare la questione di legittimità costituzionale della
medesima legge regionale, in caso di ritenuta incompetenza (o comunque di dubbio sulla competenza) della stessa.
Il fatto è che, in un sistema che conosce una effettiva separazione costituzionale di competenze legislative, abbinata ad un sindacato accentrato di
costituzionalità, la fonte competente può prevalere
in modo immediato e “diffuso” su quella incompetente, grazie all’applicazione “suppletiva” dell’istituto dell’abrogazione, quando tale fonte sia, ad un
tempo, successiva e manifestamente competente. Negli altri casi, la risoluzione dell’antinomia fra norme poste da fonti eterogenee richiede, comunque,
un pronunciamento della Corte costituzionale, cui
spetta individuare quale sia la norma competente
e, quindi, valida.
Una ricapitolazione conclusiva …
È venuto il momento di trarre qualche conclusione, ricapitolando.
1. In un sistema ispirato al principio federale
della separazione delle competenze fra legge statale
e legge locale, l’istituto dell’abrogazione non dovrebbe applicarsi, in linea teorica, ai conflitti fra
norme poste dalle due diverse fonti, non essendovi
possibilità di “valido concorso” delle stesse sui medesimi oggetti.
2. L’istituto dell’abrogazione trova tuttavia applicazione quando, in un simile sistema, sia altresì
esclusa la possibilità del giudice, e prima di esso
dell’amministrazione, di disapplicare la fonte costituzionalmente incompetente, a causa della natura
accentrata del sindacato di legittimità costituzionale. In tal caso, la legge competente deve poter
abrogare quella incompetente anteriore, risultando
altrimenti assurdo che essa prevalga sulla legge incompetente anteriore in modo meno intenso ed efficace di quanto non faccia rispetto alla legge competente anteriore. Il principio è, quindi, che la legge, fin quando si mantenga nell’ambito della propria competenza, abroga tutte le norme legislative
previgenti con essa incompatibili: sia quelle poste
da fonti competenti, sia, a fortiori, quelle poste da
fonti incompetenti.
3. Il presupposto e la condizione dell’effetto
abrogativo è, però, che la legge abrogatrice sia, appunto, quella competente in base alla Costituzione.
L’accertamento di tale circostanza, tuttavia, almeno in parte sfugge al giudice comune, essendo riser-
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vato, in un sistema a sindacato accentrato di costituzionalità delle leggi, alla Corte costituzionale.
4. Nell’assetto costituzionale anteriore alla riforma del Titolo V della Costituzione, questo presupposto e condizione dell’effetto abrogativo era rimasto in ombra, perché tale assetto, in realtà, non conosceva una vera riserva di competenza in capo al
legislatore regionale. La legge statale era sempre
competente e, quindi, sempre in grado di abrogare
la legislazione regionale previgente incompatibile.
5. Nel nuovo assetto costituzionale (e, sia detto
per inciso, ancor più in quello che si va prefigurando nei testi di riforma costituzionale attualmente
in discussione), l’introduzione di una effettiva riserva di competenza in capo al legislatore locale ha
riportato in luce quel presupposto e quella condizione dell’effetto abrogativo. La legge statale non è
in grado, in quanto tale, di abrogare la legge regionale anteriore, ma può farlo solo ove ne sia pregiudizialmente accertata la competenza, alla luce della
disciplina costituzionale.
6. Tale accertamento, come detto, compete al
giudice comune solo nei limiti della “manifesta”
competenza, dovendo egli, diversamente, rimettere
la questione alla Corte costituzionale.
7. Sempre nel nuovo assetto costituzionale, deve
inoltre riconoscersi che anche la legge regionale
competente può abrogare, limitatamente al territorio regionale, la legge statale anteriore incompetente, esattamente negli stessi termini e alle stesse
condizioni in cui si verifica la fattispecie inversa.
8. Ne deriva, in conclusione, il seguente assetto.
La legge competente (statale o regionale) prevale
mediante abrogazione su quella incompetente precedente, a condizione che la sua “competenza” sia
ritenuta manifesta dal giudice comune (con una
valutazione di costituzionalità “diffusa”) ovvero
venga previamente accertata dalla Corte costituzionale (con una valutazione di costituzionalità
“accentrata”). La legge competente prevale, invece, mediante annullamento, ad opera della Corte
costituzionale, sulla legge incompetente successiva,
che fino a quel momento deve essere applicata.
… e una proposta
L’assetto descritto è dunque il prodotto della
combinazione di due elementi del sistema costituzionale: separazione di competenze fra leggi statali
e regionali e sindacato accentrato, con accesso in
via incidentale, di legittimità delle leggi. Si tratta
di un assetto che ha una sua coerenza. Ma è anche
molto farraginoso. E presenta non pochi inconve-
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nienti: obbliga l’amministrazione ad applicare leggi
incompetenti, quando successive; garantisce in modo diverso, “diffuso” o “accentrato”, la prevalenza
della legge competente su quella incompetente, secondo che la prima sia precedente o successiva, e
secondo che la competenza sia manifesta o meno;
induce il legislatore incompetente a intervenire in
ambiti ad esso sottratti, potendo sfruttare il criterio
cronologico fino all’intervento della Corte costituzionale; sottrae, più in generale, all’amministrazione e al giudice il potere di individuare autonomamente la norma legislativa applicabile al caso da
decidere.
Si dirà: nulla di nuovo; sono i tratti caratteristici
di qualunque sistema di sindacato accentrato di costituzionalità delle leggi. Vero. Ma è anche vero
che esiste una differenza strutturale fra le questioni
di legittimità costituzionale in cui il parametro è
rappresentato, per così dire, dalla “Costituzione dei
diritti” e quelle nelle quali il parametro è, invece,
rappresentato dalla “Costituzione delle competenze”.
In un sistema a sindacato accentrato, con accesso in via incidentale, sulla conformità delle leggi
alla “Costituzione dei diritti”, il giudice comune è
di norma “padrone” dei conflitti fra norme legislative. Egli è in grado di risolvere tutte le antinomie
fra le disposizioni che si collocano su quel livello,
in tal modo individuando la norma che, prescindendo dal dettato costituzionale, sarebbe applicabile alla controversia. Ove poi dubiti della legittimità costituzionale della norma legislativa applicabile, il giudice deve sollevare la relativa questione dinanzi alla Corte. E la valutazione di legittimità costituzionale, che questa è chiamata a compiere,
consiste di regola nella comparazione fra due norme: la norma legislativa applicabile e la norma costituzionale “parametro”, asseritamente violata.
Ma quando lo stesso sistema a sindacato accentrato, con accesso in via incidentale, si applichi alla conformità delle leggi alla “Costituzione delle
competenze”, il quadro cambia. Il giudice comune
non è più “padrone” dei conflitti fra norme legislative, quando poste da fonti eterogenee e diversamente competenti. Egli non è più in grado di risolvere autonomamente le antinomie fra disposizioni
legislative e, dunque, non è in grado di individuare
autonomamente quale sia la norma legislativa applicabile alla fattispecie sottoposta al suo esame.
Per fare ciò, il giudice deve sollevare la questione
di legittimità costituzionale di una delle due norme
legislative fra loro incompatibili. La questione di
legittimità costituzionale assume in tal caso una di-
952
versa funzione: non serve a verificare la conformità
alla Costituzione (dei diritti) della norma legislativa applicabile al caso, ma serve a individuare quale
sia la norma applicabile al caso in base alla Costituzione (delle competenze). La questione di costituzionalità/competenza, in altri termini, non tanto
presuppone che il giudice abbia individuato la norma legislativa da applicare, quanto è essa stessa il
presupposto di tale operazione. Tale questione,
inoltre, non consiste nel confronto, per così dire
“binario”, fra una norma legislativa e un parametro
costituzionale. Essa si presenta formalmente in
questi termini, perché il giudice solleva la questione di legittimità costituzionale di una delle due
norme legislative fra loro in contrasto, qualificando
l’altra, se del caso, quale parametro interposto. Ma,
nella sostanza, la questione di costituzionalità/competenza, sollevata in via incidentale, coinvolge, di
regola, tre norme: vi sono due norme legislative in
contrasto fra loro e il giudice domanda alla Corte
quale delle due debba ritenersi competente, e quindi applicabile, alla luce di una terza norma, che è
contenuta appunto nella “Costituzione delle competenze”.
Queste differenze strutturali spiegano come i
tratti tipici del sindacato accentrato, con accesso
in via incidentale, quando applicati alla “Costituzione delle competenze”, anziché a quella “dei diritti”, possano assumere un significato diverso, e
produrre inconvenienti maggiori: altro è privare
l’amministrazione e il giudice del potere di disapplicare la norma legislativa ritenuta incostituzionale per il suo contenuto precettivo; altro è privare
quegli stessi soggetti del potere di individuare quale
sia la norma legislativa costituzionalmente competente e, quindi, applicabile al caso che essi devono
decidere.
Di qui una proposta, con la quale, in tempi di riforme costituzionali, sia consentito concludere
questo scritto. La proposta è semplice: introduzione
del sindacato diffuso per la sola “Costituzione delle
competenze”, consentendo all’amministrazione e al
giudice di individuare, in base al dettato costituzionale, la norma legislativa competente, disapplicando quella incompetente contrastante, sia precedente, sia successiva.
Si badi. Ciò non significherebbe escludere che la
Corte costituzionale sia chiamata a pronunciarsi
sulle questioni di legittimità costituzionale relative
al riparto di competenze fra fonti statali e regionali. Significherebbe solo escludere che la Corte si
pronunci su tali questioni “in via incidentale”,
conservando, invece, il potere di risolvere le que-
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stioni di competenza “in via principale”. Lo Stato
e le Regioni, per intenderci, potrebbero sempre impugnare le leggi incompetenti, chiedendo alla Corte di rimuoverle, con efficacia erga omnes. Ma il
mancato annullamento non impedirebbe all’amministrazione e al giudice di disapplicarle, con effetti
limitati al caso deciso, senza necessità di sollevare
questione di legittimità costituzionale in via incidentale.
Si consideri, peraltro, che una divaricazione, sul
piano dei meccanismi di controllo di legittimità
costituzionale, fra Costituzione dei diritti e Costituzione delle competenze già esiste. Com’è noto, la
Corte costituzionale può pronunciarsi, in via principale, sulla conformità di una legge statale alla Costituzione delle competenze, ma non sulla conformità della stessa alla Costituzione dei diritti, non
essendo, nel secondo caso, ammissibile l’impugnazione da parte delle Regioni. Si tratterebbe di prevedere l’ipotesi specularmente opposta: la Corte
costituzionale potrebbe, infatti, pronunciarsi, in via
incidentale, sulla conformità di una legge alla Costituzione dei diritti, ma non sulla conformità della
stessa alla Costituzione delle competenze, potendo,
nel secondo caso, il giudice disapplicare direttamente la legge costituzionalmente incompetente.
Ciò potrebbe ridurre gli inconvenienti di un sistema farraginoso, che mescola abrogazione e invalidità per garantire la prevalenza della fonte competente su quella incompetente. Una volta ammessa la disapplicazione della norma incompetente,
precedente o successiva, da parte del giudice comune, diverrebbe del tutto inutile il ricorso all’istituto
dell’abrogazione, che presumibilmente tornerebbe
nel proprio habitat naturale, che è quello dei rapporti fra fonti omogenee che concorrono validamente a regolare i medesimi oggetti e secondo lo
stesso modo di disciplina.
Vi potrebbero poi essere altre conseguenze. Il
sindacato diffuso sul rispetto delle regole costituzionali sul riparto di competenze, oltre a liberare la
Corte costituzionale delle questioni di competenza
sollevate in via incidentale, potrebbe anche sdrammatizzare l’esigenza dello Stato e delle Regioni di
impugnare in via principale le leggi incompetenti,
confidando nel potere dell’amministrazione e del
giudice di disapplicarle con effetti limitati al caso
deciso. Ciò potrebbe forse consentire alla Corte
costituzionale di tornare a essere principalmente
un «giudice dei diritti» e non, come invece è attualmente divenuto, principalmente un «regolatore
delle zone di confine fra poteri centrali e poteri regionali» (20). Questa però è un’altra storia.
(20) In tal senso S. Cassese, La giustizia costituzionale in Italia: lo Stato presente, in Riv. trim. dir. pubbl., 2012, 3, 610.
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Corte europea dei diritti dell’uomo
Osservatorio della Corte
europea dei diritti dell’uomo
a cura di Marco Pacini
DIRITTI DELL’UOMO
LIBERTÀ RELIGIOSA E DIVIETO DI COPRIRE IL VISO
Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande camera,
sentenza 1° luglio 2014, ricorso n. 43835/11 - Pres.
Spielmann - S.A.S. c. Francia
Non viola i diritti al rispetto della vita privata e di manifestare la propria religione il divieto di indossare il velo
islamico in luoghi pubblici, in quanto diretto a realizzare il valore fondamentale del vivere insieme, non limitativo dell’uso di altri indumenti di significato religioso,
sanzionato non gravemente e, soprattutto, espressione
di una specifica scelta della società garantita da un ampio margine di apprezzamento.
Stante il divieto introdotto da una legge del 2010 di indossare in luogo pubblico indumenti che coprano il volto delle
persone, una cittadina francese si trovava nell’impossibilità
di utilizzare, secondo la propria libera coscienza religiosa, il
burqa e il niqab. Si rivolgeva, dunque, alla Corte europea,
lamentando una violazione del diritto al rispetto della vita
privata e del diritto di manifestare la propria religione. La
Corte europea dichiara il ricorso ammissibile. Sebbene le
autorità non avessero adottato alcun atto specifico nei confronti della ricorrente, la semplice esistenza del divieto ne
condizionava, infatti, il comportamento. Nel merito, tuttavia, la Corte rigetta il ricorso. Il divieto di indossare il velo
nei luoghi pubblici rappresenta una interferenza tanto nel
diritto al rispetto della vita privata che, soprattutto, nel diritto di manifestare la propria religione.
Simile interferenza, per di più continuata, persegue, però, il
fine legittimo di assicurare la pubblica sicurezza nei luoghi
pubblici e di garantire il rispetto del valore fondamentale
del “vivere insieme”, in relazione al quale il viso coperto
rappresenta una forte barriere all’interazione sociale. Appare, poi, proporzionato a quest’ultimo fine pubblico, in quanto non impedisce l’utilizzo di altri abiti connessi al senso religioso, non è specificamente indirizzato al velo islamico e
non è sanzionato in maniera grave. Soprattutto, rappresenta il frutto di una decisione della società, adottata a seguito
di un partecipato dibattito pubblico, in una materia nella
quale gli Stati godono di un margine di apprezzamento e la
Corte è chiamata a serbare un più stretto self-restraint. Non
vi è stata, pertanto, violazione degli articoli 8 e 9, Cedu.
È incompatibile con il diritto a un processo equo l’introduzione di una legge retroattiva, anche se di interpretazione autentica, avente l’effetto di influire sulla definizione dei giudizi in corso, salvo che non sia giustificata
da inderogabili motivi di interesse pubblico.
Costituite e operanti in aree geografiche svantaggiate, un
insieme di imprese beneficiavano di due diverse forme di
agevolazione fiscale e contributiva introdotte con una legge del 1988. Venutosi a creare un precedente giurisprudenziale secondo il quale le due forme di agevolazione operavano cumulativamente, le ricorrenti richiedevano la restituzione degli importi indebitamente corrisposti all’Inps, che
la negava. In seguito a due sentenze in loro favore, una
legge di interpretazione autentica del 1993 stabiliva con efficacia retroattiva che le due forme di agevolazione operavano alternativamente. Su ricorso dell’Inps, la Corte di cassazione rigettava, dunque, le pretese delle ricorrenti. Queste si rivolgevano, pertanto, alla Corte europea lamentando
una violazione del diritto a un processo equo e del diritto al
rispetto dei propri beni.
La Corte accoglie parzialmente il ricorso. La legge di interpretazione autentica rappresenta un’interferenza nel diritto
a un processo equo, in quanto aveva influito sulla definizione del giudizio, rendendone inutile le prosecuzione. Essa
non appare, tuttavia, giustificata da inderogabili motivi di
ordine pubblico sufficienti a controbilanciare i pericoli insiti
nella legislazione retroattiva. Vi è stata, pertanto, violazione
dell’articolo 6, Cedu. Simile legge rappresenta, altresì,
un’interferenza nel diritto al rispetto dei propri beni. Essa,
però, persegue un fine pubblico legittimo, in particolare
quello di ridurre la spesa a carico dei contribuenti; senza,
per altro verso, comprimere in maniera eccessiva i diritti
dei ricorrenti, che già avevano corrisposto i contributi dovuti. Non vi è stata, pertanto, violazione dell’articolo 1, Protocollo 1, Cedu.
CEDU E PROTEZIONE INTERNAZIONALE DEGLI STRANIERI
Corte europea dei diritti dell’uomo, III sezione, sentenza
22 aprile 2014, ricorso n. 6528/11 - Pres. Casadevall A.C. e altri c. Spagna
A UN PROCESSO EQUO
Confligge con il diritto a un ricorso effettivo l’assenza,
in capo alle autorità competenti in materia di protezione internazionale, di un potere di sospensione dell’espulsione di una persona verso un paese dove corra il
rischio di perdere la vita o essere torturato, qualora simile espulsione non costituisca oggetto di un successivo controllo giurisdizionale nel merito dell’attualità e
gravità di simile rischio
Corte europea dei diritti dell’uomo, II sezione, sentenza
24 giugno 2014, ricorso n. 48357/07 e altri - Pres. Karakas - Azienda Agricola Silverfunghi Sas e altri c. Italia
Fuggiti da un accampamento nella regione sahariana del
Marocco verso le Isole Canarie, un gruppo di 30 marocchini di origine Sahrawi affermavano di essere stati sottoposti
ANCORA SU LEGGI RETROATTIVE E DIRITTO
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Corte europea dei diritti dell’uomo
a violenze psicologiche e, in taluni casi, a violenze sessuali.
Chiedevano, pertanto, protezione internazionale al Ministero degli Interni, che la negava, ordinando contestualmente
la loro espulsione. Ricorrevano, dunque, all’Audiencia Nacional, la quale disponeva la sospensione del diniego di
protezione internazionale ma non anche dell’ordine di
espulsione. Adivano, quindi, in via cautelare, la Corte europea, che disponeva la sospensione dell’espulsione fino alla
definizione del giudizio avanti la Corte suprema. Lamentavano, congiuntamente, una violazione del diritto a un ricorso effettivo, unitamente al diritto alla vita e al divieto di trattamenti inumani e degradanti.
La Corte accoglie il ricorso. Le autorità nazionali devono
impedire l’espulsione di una persona in uno Stato dove cor-
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ra il rischio di essere uccisa o torturata. Nel diritto spagnolo, né l’istanza di protezione internazionale né l’eventuale ricorso avverso il diniego di essa hanno efficacia sospensiva
del connesso provvedimento di espulsione, che deve essere autonomamente impugnato avanti l’Audiencia Nacional.
Nel caso concreto, sebbene l’Audiencia Nacional avesse
sospeso l’esecutività del diniego di protezione internazionale, essa aveva nondimeno rigettato il ricorso avverso il
provvedimento di espulsione, sulla base di una sommaria
valutazione delle circostanze e senza consentire ai ricorrenti di illustrare i rischi cui erano esposti. Vi è stata, pertanto,
una violazione dell’articolo 13, congiuntamente agli articoli
2 e 3, Cedu.
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Consiglio di Stato
Osservatorio delle decisioni
del Consiglio di Stato
a cura di Luigi Carbone e Mario D’Adamo
CONTRATTI PUBBLICI
DICHIARAZIONE SOSTITUTIVA DEL POSSESSO DEI REQUISITI
DI MORALITÀ
Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 30 luglio 2014 n. 16 - Pres. Giovannini - Est. Deodato
La dichiarazione con cui, ai sensi dell’art. 38 del d.lgs. n.
163/2006, le società comunicano alla stazione appaltante il possesso dei requisiti morali da parte delle persone
dotate di rappresentanza legale non deve indicare nominativamente tali persone, se esse sono agevolmente
identificabili mediante la consultazione di registri pubblici o di banche dati ufficiali.
Il Consiglio di Stato interviene ancora sull’art. 38 del Codice
dei contratti pubblici, norma generatrice di innumerevoli
contenziosi, su alcuni aspetti ora disciplinati dall’art. 39 del
d.l. n. 90/2014, recante una procedimentalizzazione del cd.
potere di soccorso istruttorio.
Il Ministero dell’Interno aggiudica la gara per un sistema di
formazione on-line delle forze dell’ordine ad una Rti. La seconda classificata ricorre con successo al Tar Lazio, il quale annulla l’aggiudicazione ritenendo che la vincitrice dovesse essere esclusa, non avendo ottemperato all’obbligo imposto dal citato art. 38 e dal bando di gara - di indicare
nominativamente, nella dichiarazione sostitutiva relativa al
possesso dei requisiti morali, quali fossero le persone munite della rappresentanza legale della società cui andava riferita detta dichiarazione.
La III Sezione del Consiglio di Stato, nell’esaminare il gravame avverso detta sentenza, ritiene doveroso interessare
l’Adunanza plenaria della questione (ordinanza n.
2214/2014).
Con la decisione qui segnalata si osserva, innanzi tutto,
che nella suddetta dichiarazione sostitutiva non è necessario indicare puntualmente l’assenza di tutte le condizioni
ostative dettagliate all’art. 38, essendo sufficiente un rinvio
generico a detta norma che le contempla.
Come sopra accennato, il problema è risolto de futuro dall’art. 39 del d.l. n. 90/2014 (convertito con modificazioni
dalla l. n. 114/2014), secondo cui il cd. potere di soccorso
istruttorio diventa doveroso per ogni ipotesi di mancanza o
di irregolarità delle dichiarazioni sostitutive, disponendo l’esclusione dalla gara come sanzione unicamente legittimata
dall’omessa produzione, integrazione o regolarizzazione
delle dichiarazioni carenti entro il termine assegnato dalla
stazione appaltante (e non più da carenze originarie).
Il quadro normativo di riferimento, invece, va interpretato
nel senso che la sanzione dell’esclusione - contenuta nell’art. 46, c. 1-bis, d.lgs. n. 163/2006, che ha codificato il
principio di tassatività delle cause di esclusione - impone
una sua esegesi ed applicazione tale da ritenerla operativa
non solo nei casi in cui sia stata espressamente prevista
956
dallo stesso cd. Codice dei contratti pubblici, ma anche
quale conseguenza dell’inosservanza di adempimenti doverosi in esso stabiliti, ancorché non espressamente a pena
di esclusione (Ad. plen. n. 9/2014; n. 23/2013; n. 21/2012);
con il corollario dell’inserzione automatica, ai sensi dell’art.
1339 c.c., della clausola espulsiva nel bando, là dove questo ometta di prevedere espressamente l’esclusione quale
conseguenza dell’inosservanza di prescrizioni previste dal
Codice. La formulazione letterale dell’art. 46, c. 1-bis, dunque, impone di applicare la sanzione dell’esclusione sia in
caso di omessa presentazione delle dichiarazioni attestanti
l’assenza delle relative condizioni ostative, quand’anche
queste fossero in concreto inesistenti, sia nelle ipotesi in
cui la lex specialis di gara preveda l’esclusione come conseguenza della sola assenza oggettiva dei requisiti di moralità
e non anche della loro omessa attestazione, con preclusione all’Amministrazione dell’uso del soccorso istruttorio
(che si risolverebbe in una lesione del principio della par
condicio).
Ciò detto, mentre deve escludersi l’ammissibilità di dichiarazioni riferite a persone non identificate e non identificabili, deve, al contrario, giudicarsi consentita, anche in applicazione dei principi civilistici in punto di determinabilità del
contenuto degli atti giuridici mediante rinvii ob relationem
di semplice decifrazione, la presentazione di dichiarazioni
riferite a persone (ancorché non identificate) agevolmente
identificabili mediante la consultazione di registri pubblici o
di banche dati ufficiali. Infatti, nel primo caso, la finalità
della disposizione, agevolmente identificabile nella semplificazione dell’attività dichiarativa ma senza alcun sacrificio
delle esigenze di certezza e di completezza nell’acquisizione delle attestazioni da parte dell’amministrazione, resterebbe irrimediabilmente frustrata (precludendo qualsivoglia
accertamento d’ufficio circa la veridicità delle dichiarazioni). Nella seconda ipotesi, invece, l’interesse pubblico sotteso alla disposizione resterebbe integro e compiutamente
realizzato.
ENTI LOCALI
MISURA DELL’IMPOSTA COMUNALE SUGLI IMMOBILI
Consiglio di Stato, Sez. V, 24 luglio 2014 n. 3930 - Pres.
Volpe - Est. Durante
Né la l. n. 241/1990 né l'art. 6 del d.lgs. n. 504/1992, istitutivo dell’Ici, impongono al Comune di motivare, oltre
ad un rinvio alla motivazione della quantificazione delle
singole voci del bilancio di previsione, la quantificazione della percentuale d'imposta all'interno dell'intervallo
stabilito dalla legge.
Il Tar Calabria accoglie il ricorso promosso da alcuni cittadini del comune di Sangineto (CS) avverso la delibera me-
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Consiglio di Stato
diante cui la Giunta aveva determinato per l’anno 2002
l’ammontare dell’imposta comunale sugli immobili (Ici) in
misura pari al 7 per mille, dunque superiore a quella del 4
per 1000 stabilita dall’art. 6 del d.lgs. n. 504/1992.
Il Consiglio di Stato rifiuta l’impostazione del giudice di primo grado, che aveva annullato l’atto per difetto di istruttoria preventiva volta ad individuare le spese certe ovvero facilmente prevedibili da finanziare e, solo all’esito, stabilire
l’ammontare delle risorse da ricavare con il gettito dei tributi comunali, dando poi contezza in modo congruo e sufficiente delle ragioni che avevano imposto all’ente di applicare l’aliquota più gravosa rispetto ad un’altra.
La scelta comunale in ordine all’aliquota Ici da applicare
per un esercizio finanziario non integra un atto propriamente amministrativo da valutare alla stregua dei parametri fissati dalla l. n. 241/1990, trattandosi di un atto a contenuto
generale che in quanto tale rimane al di fuori della disciplina dettata dalla citata legge che riguarda al contrario gli atti individuali. D’altra parte, né il d.lgs. n. 504/1992 che ha
istituito detta imposta, dando facoltà al comune di graduare l’aliquota tra il 4 e il 7 per mille, né l’art. 4 della l. n.
4211992, che dava delega al Governo di istituire l’imposta
comunale sugli immobili con determinazione di un’aliquota
unica da parte del comune in misura variante dal 4 al 6 per
mille, ha richiesto un particolare obbligo motivazionale.
Il comune, in conclusione, non ha in linea di principio l’obbligo di motivare la quantificazione della misura d’imposta
all’interno dell’ambito stabilito dalla legge, a meno che non
sia questa a vincolare le delibere tariffarie a determinati parametri (cosa che non ricorre in materia di imposta comunale sugli immobili, che è finalizzata al finanziamento delle
spese generali del comune). Il mero riferimento al soddisfacimento delle esigenze di bilancio integra, dunque, la motivazione della scelta di fissare l’aliquota più elevata consentita dalla legge.
QUOTE ROSA NELLA GIUNTA COMUNALE
Consiglio di Stato, Sez. V, 23 giugno 2014 n. 3144 Pres. Volpe - Est. Lotti
Le convenzioni internazionali in materia di equilibrio di
genere e la Costituzione non contengono disposizioni
da cui desumere una soglia quantitativa minima di presenza del sesso femminile nelle compagini di governo
degli enti locali.
Un’associazione ottiene dal Tar Lazio l’annullamento del
decreto del Sindaco del comune di Colleferro, il quale aveva ritirato le deleghe all’unico assessore di sesso femminile, nominando in sua vece un uomo. La sentenza, con cui il
giudice di primo grado aveva altresì stabilito la soglia del
40% nella composizione della Giunta comunale, è ribaltata
in appello dal Consiglio di Stato, che si rifà al suo orientamento giurisprudenziale, confermato anche dalla Corte costituzionale (sentenza n. 81/2012).
In tema di legittimazione al ricorso, si osserva preliminarmente che «il problema è quello di rendere giustiziabili posizioni giuridiche sempre più standardizzate e sempre meno connotate di ‘individualismo’ (almeno in riferimento al
profilo del pregiudizio subito), ampliando nei limiti del possibile i confini dell'azione processuale ed estendendola, se
non a tutti i cittadini, ad una pluralità di soggetti accomunati da un'identica situazione di danno (la classe), o identificati dall'appartenenza ad un particolare contesto ambientale (es. lo stesso mercato) o fisico/spaziale (es. la vicinan-
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za a un bene ambientale compromesso o, nel caso di specie, il sesso), confermando una tendenza all’allargamento
delle situazioni giuridiche giustiziabili sotto il profilo della
legittimazione ad agire». Tra le finalità statutarie della ricorrente vi sono quelle relative alla coscienza e militanza politica delle donne, le quali prevedono ragionevolmente anche
la tutela delle pari opportunità e la promozione del riequilibrio tra i generi nella composizione degli organi collegiali
che ne costituiscono senz’altro espressione. Si giustifica
così la legittimazione ad agire della medesima, a prescindere dal fatto che non sia stata indicata alcuna candidata
di genere femminile, poiché ciò che rileva, nella prospettiva
dell’associazione, è la violazione del principio di tendenziale
parità di genere.
Quanto al merito della questione, lo Statuto comunale non
dispone né predetermina alcun vincolo specifico in ordine
alla composizione degli organi di governo comunale, essendo le sue disposizioni prive di contenuti precettivi, in ragione della loro vaga e generica formulazione, di rilievo puramente enfatico. Esso è inidoneo, dunque, a veicolare in
concreto la discrezionalità politica in questo settore.
Peraltro, il contenuto non precettivo delle norme statutarie
non può nemmeno essere integrato in via interpretativa dai
precetti delle norme costituzionali e internazionali rilevanti
in materia. In primo luogo, l’art. 51, c. 1, Cost. non può che
ritenersi (nella parte che legittima le c.d. azioni positive,
che il legislatore deve, però, formulare in concreto) norma
meramente programmatica, come è evidente dal tenore
letterale della disposizione; né soccorrono disposizioni internazionali con vincoli positivi, trattandosi di norme di
principio non direttamente invocabili quali parametri di legittimità degli atti amministrativi nazionali se non nel significato di vietare ogni condotta discriminatoria. I predetti
principi generali anche di rango sovranazionale riguardanti
l’equilibrio di genere (Preambolo della Carta dell'ONU; Convenzione sui Diritti politici delle donne e Convenzione sull'Eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le
donne, adottate dall'Assemblea generale della Nazioni Unite) possono, semmai, configurare parametri di legittimità
dello Statuto comunale, da far valere con gli strumenti di
tutela previsti dal nostro ordinamento (ad esempio, impugnando lo Statuto nei modi e nei termini di legge), ma non
possono essere direttamente invocati quali parametri di legittimità degli atti amministrativi nazionali né, tanto meno,
come fondamento per una estemporanea ed arbitraria soluzione dell’interprete che stabilisca la soglia quantitativa
minima di presenza del sesso femminile nelle compagini di
governo degli enti locali.
PROCESSO AMMINISTRATIVO
COMPETENZA SUI RICORSI AVVERSO L’INFORMATIVA
ANTIMAFIA INTERDITTIVA E L’ATTO APPLICATIVO
DELLA STAZIONE APPALTANTE
Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, ordinanza 31 luglio 2014 n. 17 - Pres. Giovannini - Est. Russo
Nel caso di contestuale impugnazione dell’informativa
prefettizia positiva e degli atti conseguenziali, esiste
una particolare forma di connessione per accessorietà:
ai fini della determinazione del giudice competente, la
causa principale (con oggetto l'impugnativa prefettizia)
attrae a sé quella accessoria (con oggetto gli atti appli-
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cativi adottati dalla stazione appaltante), senza che a
ciò siano di ostacolo le norme sulla competenza funzionale.
L’Adunanza plenaria, nel mutare il suo precedente orientamento, chiarisce che competente a giudicare della legittimità dell’impugnativa interdittiva antimafia, impugnata da
sola o unitamente agli atti applicativi delle stazioni appaltanti, è sempre il Tar della Prefettura che ha emesso l’atto.
Un’impresa, destinataria di plurime informative antimafia
interdittive adottate dalla Prefettura di Roma ex art. art. 91
del d.lgs. n. 159/2011 (cd. codice Antimafia), ricorre al Tar
Lazio censurando anche i provvedimenti applicativi adottati
dalle stazioni appaltanti ubicate nelle regioni Calabria, Sicilia e Campania ai sensi del successivo art. 94 (revoca dell’autorizzazione o della concessione, o recesso dal contratto).
Il giudice di prime cure declina la propria competenza richiamando la sentenza dell’Adunanza plenaria n. 33/2012,
la quale aveva ritenuto che, nel caso di contestuale impugnativa dell'informativa e degli atti applicativi, l'informativa
esplicasse i propri effetti solo con riferimento al territorio
ove ha sede la stazione appaltante. L’ordinanza è oggetto
di regolamento di competenza ex art 16 c.p.a. innanzi al
Consiglio di Stato, che rimette la questione all’Adunanza
Plenaria.
L’art. 13 c.p.a. disciplina la competenza territoriale inderogabile: il criterio principale è quello della sede dell'autorità
che ha adottato l'atto impugnato, ma è sostituito da quello
inerente agli effetti "diretti" dell'atto qualora essi si esplichino esclusivamente in luogo compreso nella circoscrizione
territoriale di uno specifico Tar. Il c. 4-bis dell'art. 13 cit.,
(introdotto dall'art. 1, lett. a), del d.lgs. n. 160/2012) prevede poi che «la competenza territoriale relativa al provvedimento da cui deriva l'interesse a ricorrere attrae a sé anche
quella relativa agli atti presupposti dallo stesso provvedimento, tranne che si tratti di atti normativi o generali, per
la cui impugnazione restano fermi gli ordinari criteri di attribuzione della competenza».
Secondo un altro precedente della medesima Adunanza
plenaria (n. 3/2013) - intervenuta con riferimento alle previgenti norme - in caso di impugnazione congiunta dell'informativa prefettizia e dei successivi atti applicativi adottati
dalla stazione appaltante, la competenza territoriale spetta
al Tar del luogo ove ha sede quest'ultima.
In caso, invece, di impugnazione della sola interdittiva prefettizia, secondo la pacifica giurisprudenza condivisa anche
con l’ordinanza qui segnalata, la competenza è del Tar del
luogo ove ha sede la Prefettura che ha adottato l'atto.
A seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 159/2011 - che
introduce molteplici profili di novità, con riguardo, tra l'altro, agli effetti soggettivi, alla durata e alla pubblicità delle
informative - ai sensi dell'art. 91 dall'informazione interdittiva possono sorgere una serie di provvedimenti ulteriori,
adottati da altri enti, e non tutti predeterminabili a priori nel
loro contenuto, e dunque con effetti su tutto il territorio nazionale. Avendo ora l’informativa effetti ultraregionali, l’Adunanza plenaria ritiene che la competenza della sua impugnazione sia sempre del Tar del luogo ove ha sede la Prefettura che ha adottato l’atto. Esso rimane competente anche in caso di contestuale impugnazione dell’informativa e
degli atti applicativi adottati dalla stazione appaltante. Non
può trovare, in tal caso, applicazione il citato c. 4-bis dell’art. 13 c.p.a., in quanto l’informativa non può considerarsi
atto presupposto perché è immediatamente lesivo e, per-
958
tanto, suscettibile di autonoma impugnativa (immediati effetti negativi per l’impresa, sia in termini di pregiudizio morale, sia in considerazione delle conseguenze negative che
produce in ordine ai contratti in essere con l’amministrazione ed alla possibilità di stipula di contratti futuri).
La soluzione interpretativa non muta alla luce del combinato disposto degli artt. 14, c. 3, e c. 119 c.p.a., per cui gli atti
relativi alle procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture sono sottoposte alla disciplina della competenza funzionale inderogabile. Il principio della prevalenza della competenza funzionale rispetto a quello della competenza territoriale, è stato chiaramente affermato dall'Adunanza plenaria (Ad. plen n. 4/2013, 23/2013, 29/2013) in considerazione del suo carattere di specialità; ma al contrario, nel caso
di specie, la competenza territoriale prevale su quella funzionale. Se così non fosse, si avrebbe come effetto quello
di rendere competente il Tar del luogo ove ha sede la stazione appaltante che ha adottato gli atti applicativi dell’informativa antimafia: il che determinerebbe che sulla medesima informativa antimafia si radichi la competenza di diversi Tar, con possibili deprecabili occasioni di cd. forum
shopping e violazione dei principi e delle esigenze di concentrazione dei procedimenti e di realizzazione del simultaneus processus, senza garanzia dell'effettività della tutela
giurisdizionale richiesta dagli artt. 24 e 111 Cost. e dai principi comunitari.
In conclusione, poiché l'interesse principale del ricorrente è
quello di contestare in radice la sussistenza dei presupposti
che hanno condotto all'emissione dell'informativa - per cui
il giudizio avente ad oggetto l'informativa avrebbe carattere
principale e il giudizio avente ad oggetto l'atto applicativo
avrebbe carattere accessorio - applicando ex art. 39 c.p.a.
l'art. 31 c.p.c., che disciplina i rapporti di connessione tra
causa principale e causa accessoria, si giunge a ritenere
competente, in caso di contestuale impugnazione dell'informativa prefettizia e dell'atto applicativo, il giudice competente a conoscere della prima.
AVVALIMENTO E OPPOSIZIONE DI TERZO
Consiglio di Stato, Sez. VI, 31 luglio 2014 n. 4056 Pres. Severini - Est. De Felice
L’impresa ausiliaria di un’aggiudicataria di appalto pubblico, non chiamata in causa nel giudizio riguardante
l’irregolarità delle sue attestazioni Soa, può proporre ricorso in opposizione di terzo avverso la sentenza che,
in accoglimento di detta censura, ha annullato gli atti di
gara.
Un’impresa, seconda classificata in una gara indetta dall’INPS per la gestione del suo patrimonio immobiliare, ricorre al Tar Lazio avverso gli atti di gara, lamentando, tra
l’altro, la mancata esclusione della vincitrice, che si era avvalsa di un’impresa le cui attestazioni Soa erano scadute,
in quanto non sottoposte alla verifica triennale prevista dal
cd. Codice degli appalti.
La sentenza di rigetto viene appellata al Consiglio di Stato,
che la riforma accogliendo la censura relativa alla irregolarità delle attestazioni Soa dell’impresa ausiliaria. Quest’ultima propone ricorso in opposizione di terzo ai sensi dell’art.
108 del codice del processo amministrativo (c.p.a.), deducendo la violazione, da parte del giudice di primo grado e
di appello, dell’obbligo di integrare il contraddittorio ex art.
102 del codice di procedura civile (c.p.c.) e art. 49 c.p.a.
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La VI Sezione ricostruisce preliminarmente l’avvalimento,
istituto a base contrattuale di matrice comunitaria espressamente introdotto nell’ordinamento nazionale dal d.lgs. n.
163/2006. Esso ha la sua causa nel consentire che un operatore economico (ausiliato) per comprovare alla stazione
appaltante il possesso dei requisiti economici, finanziari e
tecnici di partecipazione a una gara faccia riferimento alla
capacità non sua ma di un terzo soggetto (ausiliario), cui
ad hoc si lega contrattualmente e che resta solidalmente
responsabile con lui: alla condizione che, davanti alla stazione appaltante, sia in grado di provare di disporre effettivamente dei mezzi di tale terzo soggetto, necessari all’esecuzione del contratto per cui è gara. L’impresa ausiliaria
non è, però, soggetto del tutto estraneo rispetto alla gara.
Essa, spendendo una sua qualità soggettiva e mettendola
contrattualmente a disposizione dell’ausiliato per quella gara, si impegna non soltanto verso quest’ultimo, ma - per il
suo tramite - anche verso la stazione appaltante a garantire
le risorse di cui il concorrente è carente e che sono reputate indefettibili. Il che manifesta un rapporto, seppur secondario, tra lo stesso ausiliario e l’amministrazione.
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Dunque, in via di mero principio, nel processo amministrativo che riguarda l’aggiudicazione di un contratto pubblico,
l’impresa ausiliaria non è da considerare un litisconsorte o
un controinteressato, essendo la sua solo una relazione
contrattuale inter partes, che solo indirettamente può essere toccata dall’eventuale caducazione dell’aggiudicazione e
che di massima resta estranea al rapporto pubblicistico
che si incentra sulla gara e sul contratto pubblico che ne
discende. Invece, nel caso in cui la domanda giudiziale e la
decisione si riverberano immediatamente sulla qualità dell’ausiliario oggetto del prestito in avvalimento, con effetti
qualificatori negativi che travalicano la gara e il contratto di
avvalimento stesso, dispiegandosi erga omnes in pregiudizio dell’ausiliario e suo malgrado quando non a sua insaputa (conseguenze dagli evidenti effetti impeditivi della partecipazione ad altre gare e, dunque, se non imprenditorialmente senz’altro letali, certamente seriamente negative e
pregiudizievoli), detta impresa non può essere estromessa
dal giudizio.
Il Consiglio di Stato, in conclusione, accogliendo l’opposizione di terzo per mancata integrazione del litisconsorzio
necessario, rimette la causa al giudice di primo grado.
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Tribunali amministrativi regionali
Osservatorio dei Tribunali
amministrativi regionali
a cura di Giulia Ferrari
CONTRATTI PUBBLICI
AVVALIMENTO DELLE CERTIFICAZIONI DI QUALITÀ
T.A.R. Latina 4 luglio 2014, n. 524 - Pres. Corsaro - Est.
De Bernardinis
Nelle gare pubbliche la certificazione di qualità può formare oggetto dell’avvalimento ex art. 49, decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163
In occasione dell’impugnazione della clausola della legge
di gara, che vieta l’avvalimento per le certificazioni di qualità, il Tar Latina ricorda che secondo la giurisprudenza maggioritaria nelle gare pubbliche la certificazione di qualità
può formare oggetto dell’avvalimento ex art. 49, decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. La certificazione di qualità,
essendo connotata dal precipuo fine di valorizzare gli elementi di eccellenza dell’organizzazione complessiva, costituisce requisito di idoneità tecnico-organizzativa dell’impresa, da inserirsi tra gli elementi idonei a dimostrarne la capacità tecnico-professionale, assicurando che l’impresa,
cui sarà affidato il servizio o la fornitura, sarà in grado di effettuare la prestazione nel rispetto di un livello minimo di
qualità, accertato da un organismo a ciò predisposto. Ne
consegue che, afferendo essa alla capacità tecnica dell’imprenditore, può formare oggetto di avvalimento. Né sarebbe possibile ritenere che i requisiti di qualità si configurino
alla stregua di requisiti soggettivi, non attinenti alla capacità tecnico-organizzativa dell’impresa. Ciò in quanto tutti i
requisiti di capacità tecnica, economica e professionale
vanno sussunti nella categoria dei requisiti che possono
formare oggetto di avvalimento: anche ove la certificazione
di qualità riguardasse una qualità soggettiva dell’impresa,
ugualmente potrebbe essere oggetto di avvalimento, rientrando tra i requisiti soggettivi che possono essere comprovati con tale strumento, attesa la sua portata generale.
Non rileva, infine, che la certificazione di qualità è requisito
immanente l’impresa, poiché afferendo essa alla capacità
tecnica dell’imprenditore, è coerente all’istituto dell’avvalimento disciplinato dal citato art. 49. Aggiunge il Tribunale
che sul piano letterale il cit. art. 49, nel disciplinare l’avvalimento, non contiene alcuno specifico divieto in ordine ai
requisiti soggettivi che possono essere comprovati con
detto strumento, avente una portata generale.
NUMERO MASSIMO DELLE PAGINE DELLA RELAZIONE
TECNICA ALLEGATA ALL'OFFERTA
T.A.R. Sardegna, sez. I, 17 giugno 2014, n. 461 - Pres.
Monticelli - Est. Rovelli
Non può essere esclusa dalla gara l'impresa che abbia
presentato la relazione illustrativa dell'offerta tecnica
composta da un numero di pagine superiore a quello
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previsto dal bando, qualora tale inosservanza non sia
da questo prevista a pena di esclusione.
In occasione dell’impugnazione degli atti di gara pubblica,
il Tar Sardegna afferma che la prescrizione del bando, sul
numero massimo delle pagine della relazione tecnica allegata all'offerta, deve essere interpretata cum granu salis,
considerando che le ipotetiche violazioni (ad esempio,
un'eccedenza di tre o quattro pagine) non determinano alcuna alterazione valutativa dell'offerta. Ne consegue che
non può essere esclusa dalla gara l'impresa che abbia presentato la relazione illustrativa dell'offerta tecnica composta da un numero di pagine superiore a quello previsto dal
bando, qualora tale inosservanza non sia da questo prevista a pena di esclusione. In altri termini, le prescrizioni del
bando sul numero massimo delle pagine della relazione
tecnica allegata all’offerta devono essere interpretate, laddove non ne sia prescritta la puntuale osservanza a pena di
esclusione, tenendo conto delle ulteriori prescrizioni disciplinanti la presentazione delle offerte. Qualora l’eccedenza
non sia minima, al fine di verificare se il superamento del
numero di pagine previste per la redazione dell’offerta e
dei relativi allegati costituisca, in assenza della predetta
comminatoria di esclusione, violazione della lex specialis,
deve verificarsi se la suddetta eccedenza abbia determinato o non un’alterazione valutativa dell’offerta. In ogni caso,
in assenza di una espressa clausola di esclusione, non può
essere esclusa la concorrente che ha sforato il numero di
pagine indicato nella lex specialis di gara anche allegando
relazioni tecniche depliant, brochure o altri documenti la cui
presentazione possa considerarsi indispensabile per meglio
consentire alla commissione di valutare le offerte proposte.
CONTRIBUTO DELLE STAZIONI APPALTANTI ALL’AVCP
T.A.R. Lazio, sez. III, 11 giugno 2014, n. 6245 - Pres.
Bianchi - Est. Lomazzi
E’ legittima la deliberazione del 26 gennaio 2006 dell’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici, che ha determinato il contributo a carico delle stazioni appaltanti
enti pubblici per finanziare i suoi costi di funzionamento non coperti dal bilancio dello Stato.
Il Comune di Genova impugna dinanzi al Tar Lazio la deliberazione del 26 gennaio 2006 dell’Autorità per la Vigilanza
sui Lavori Pubblici, che ha determinato il contributo a carico delle stazioni appaltanti, che siano enti pubblici, per finanziare i suoi costi di funzionamento non coperti dal bilancio dello Stato, ex art. 1, commi 65 e 67, legge 23 dicembre 2005, n. 266. L’adito Tribunale respinge il ricorso.
Chiarisce che il contributo de quo è correlato all’attività istituzionale di vigilanza dell’Autorità, di rilievo pubblico e a
vantaggio anche del Comune, in veste di stazione appaltante. Aggiunge che ai sensi del c. 65 del citato art. 1, l. n.
266 del 2005, è previsto il parziale finanziamento dell’Auto-
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Tribunali amministrativi regionali
rità da parte del mercato di competenza, in cui sono incluse anche le stazioni appaltanti e che la contribuzione a carico dei soggetti pubblici vigilati è resa esplicita ex art. 1, c.
67, l. n. 266 del 2005. Conclude escludendo che la norma
si ponga in contrasto con l’art. 23 Cost., risultando rispettata la riserva relativa di legge ivi fissata per le prestazioni patrimoniali imposte, giacché nell’art. 1, commi 65 e 67, l. n.
266 del 2005 sono indicati i presupposti del contributo (attivazione delle procedure finalizzate alla realizzazione delle
opere pubbliche), i soggetti passivi (soggetti pubblici e privati sottoposti a vigilanza che operano nel mercato di competenza) ed i criteri di sua quantificazione (entro lo 0,25%
del valore complessivo del mercato di competenza). Quanto all’asserita violazione degli artt. 53, 97, 98 Cost., il contributo in esame, avente natura di prestazione patrimoniale
imposta, soggetta dunque come tale a riserva relativa di
legge, ex art. 23 Cost., non possiede anche tutti i connotati
del tributo, almeno se riferito ai soggetti pubblici. Non risultano violati neanche gli artt. 5 e 119 Cost. perché il contributo è dovuto dal Comune, in veste di stazione appaltante,
per un servizio svolto dall’Autorità anche in suo favore; aggiungasi che la ripartizione delle spese in esame, considerata la quota-parte coperta dal bilancio dello Stato, è ricavabile dal bilancio di previsione dell’Autorità, nell’ambito
degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica, che si
integrano ordinariamente con l’autonomia finanziaria dell’Ente comunale ricorrente.
ESCLUSIONE DA PROCEDURA AD EVIDENZA PUBBLICA
PER ERRONEA INDICAZIONE OGGETTO DELLA GARA
T.A.R. Basilicata, 7 giugno 2014, n. 366 - Pres. Perrelli Est. Nappi
E’ illegittima l’esclusione da una gara del concorrente
che ne ha erroneamente indicato, in alcune dichiarazioni, l’oggetto se dalla restante documentazione era ben
evincibile la procedura alla quale aveva inteso partecipare.
Un concorrente a gara pubblica indetta per l’affidamento
del servizio di gestione del centro diurno per l'infanzia impugna dinanzi al Tar Basilicata la propria esclusione, disposta per avere in alcune dichiarazioni fatto riferimento ad
una gara diversa da quella alla quale partecipava, bandita
contemporaneamente dalla stessa Amministrazione. Il Tar
accoglie il ricorso, applicando il principio del c.d. soccorso
istruttorio ex art. 46, c. 1, decreto legislativo 12 aprile
2006, n. 163. Chiarisce che il perimetro del “soccorso
istruttorio” è definito dai concetti di “regolarizzazione documentale” ed “integrazione documentale”. Come chiarito
dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con decisione
n. 9 del 2014, la linea di demarcazione di dette figure discende naturaliter dalle qualificazioni stabilite ex ante nel
bando, nel senso che il principio del soccorso istruttorio è
inoperante ogni volta che vengano in rilievo omissioni di
documenti o inadempimenti procedimentali richiesti a pena di esclusione dalla legge di gara, dato che la sanzione
scaturisce automaticamente dalla scelta operata a monte
dalla legge, senza che si possa ammettere alcuna possibilità di esercizio del potere di soccorso. Conseguentemente,
l’integrazione non è consentita, risolvendosi in un effettivo
vulnus del principio di parità di trattamento. E’ consentita,
invece, la mera regolarizzazione, che attiene a circostanze
o elementi estrinseci al contenuto della documentazione e
che si traduce, di regola, nella rettifica di errori materiali e
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refusi. In applicazione di tali principi, ad avviso del Tar, nella fattispecie non sussistevano i presupposti per l’esclusione, atteso che la concorrente aveva correttamente individuato, in tutte le altre dichiarazioni rese e nelle due offerte,
economica e tecnica, la gara alla quale aveva inteso partecipare. Si è quindi in presenza di un mero errore, superabile dalla stazione appaltante mediante soccorso istruttorio,
con la conseguenza che illegittimamente la commissione
giudicatrice ha attribuito prevalenza ad un rilievo meramente formale sacrificando in tal modo la partecipazione
di un concorrente, in violazione del principio di massima
possibile partecipazione alla gara, quale strumento di affermazione della più ampia concorrenza.
AVVALIMENTO DI GARANZIA E AVVALIMENTO OPERATIVO
T.A.R. Palermo, sez. III, 5 giugno 2014, n. 1463 - Pres.
Monteleone - Est. Brancatelli
Il concorrente ad una gara pubblica, che fa ricorso al
c.d. contratto di avvalimento operativo, deve indicare in
contratto la messa a disposizione del proprio apparato
organizzativo, in tutte le parti che giustificano l'attribuzione del requisito.
Il concorrente a una gara pubblica impugna l’aggiudicazione della stessa e ne chiede l’annullamento sul rilievo che
l’appalto sarebbe stato affidato sulla base di un contratto
di avvalimento con oggetto generico e astratto. L’adito Tar
Palermo accoglie il ricorso per indeterminatezza dell’oggetto del contratto in questione. Precisa che, mentre in giurisprudenza sussistono divergenti orientamenti giurisprudenziali circa l’ambito di operatività ed il contenuto del c.d. avvalimento “di garanzia”, specie quello avente ad oggetto la
messa a disposizione del requisito relativo al fatturato specifico, non sussistono dubbi sulle caratteristiche che devono essere presenti in caso di avvalimento operativo. In tale
ipotesi, l’impresa ausiliaria deve dedurre in contratto la
messa a disposizione del proprio apparato organizzativo, in
tutte le parti che giustificano l'attribuzione del requisito (a
seconda dei casi: mezzi, personale, prassi e tutti gli altri
elementi aziendali qualificanti: Cons. Stato, sez. V, 3 giugno
2013, n. 3310). Aggiunge il Tar che a tale scopo non possono bastare dichiarazioni meramente formali, perché esse
devono contenere la volontà seria dell’impresa ausiliaria di
fornire effettivamente all'ausiliata, per tutta la durata dell'appalto, i mezzi di cui essa è carente, specificandone l’oggetto e le modalità di fornitura (Cons. Stato, sez. V, 6 agosto 2012, n. 4510). E’ dunque nullo per indeterminatezza
dell’oggetto il contratto di avvalimento privo della specifica
indicazione e dell’effettiva messa a disposizione, da parte
dell’ausiliario, delle risorse e degli elementi della sua azienda da utilizzare nell’esecuzione dell’appalto.
EDILIZIA
CONDIZIONE APPOSTA IN CONCESSIONE EDILIZIA
T.A.R. Piemonte, sez. II, 20 giugno 2014, n. 1099 - Pres.
Salamone - Est. Picone
E’ nulla, per violazione dei principi di legalità e tipicità
dei provvedimenti amministrativi, la condizione apposta ad una concessione edilizia di non vendere o affittare le unità immobiliari ricavate dal progetto.
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Tribunali amministrativi regionali
Il titolare di una concessione per la ristrutturazione di un
complesso immobiliare edilizia agisce in giudizio perché
sia accertata la nullità della condizione ivi apposta consistente nel divieto di «non affittare e/o vendere le unità immobiliari ricavate dal progetto», con la previsione di una
penale di lire 1.000.000.000 in caso di inadempimento. Deduce la violazione degli artt. 42 e 97 Cost., la violazione
dell’art. 11, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e la violazione del
principio di tipicità degli atti amministrativi. L’adito Tar Piemonte accoglie il ricorso. Il Tribunale dichiara nulla la clausola, ai sensi dell’art. 21-septies legge 7 agosto 1990, n.
241, per carenza assoluta di potere, ponendosi la stessa in
insanabile contrasto con i principi di legalità e di tipicità dei
provvedimenti amministrativi. Secondo un principio pacifico in materia urbanistica, considerata la natura essenzialmente vincolata del provvedimento che rimuove i limiti all’esercizio dello ius aedificandi, il Comune non può apporre
condizioni atipiche al titolo edilizio al di fuori dei casi
espressamente previsti dalla legge. Nessuna norma di legge statale o della Regione Piemonte consente al Comune
di vietare, per un tempo illimitato, l’esercizio delle normali
facoltà dispositive rientranti nel contenuto minimo del diritto di proprietà, quali l’affitto a terzi e la vendita del bene.
Ciò che il Comune può legittimamente perseguire, nell’ambito del potere di governo del territorio e di vigilanza sull’edilizia privata, è il rispetto degli indici edificatori e delle destinazioni d’uso stabilite per ciascuna zona dallo strumento
urbanistico, restando viceversa indifferenti a tale potere
pubblicistico la titolarità dei diritti reali sugli immobili e le
vicende della loro circolazione tra privati. Conclude peraltro
il Tar nel senso che la nullità della condizione non inficia la
legittimità ed efficacia della concessione edilizia alla quale
è stata apposta (vitiatur sed non vitiat), dovendo presumersi
che il Comune abbia verificato la conformità al piano regolatore ed alla normativa vigente dell’intervento edilizio assentito.
CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE SU PARCHEGGI
OBBLIGATORI
T.A.R. Bari, sez. III, 18 giugno 2014, n. 756 - Pres. - Est.
Conti
In sede di rilascio della concessione edilizia non sono
assoggettabili al contributo commisurato al costo di costruzione e agli oneri di urbanizzazione i parcheggi c.d.
obbligatori fissati dall'art. 41-sedes, legge 17 agosto
1942, n. 1150.
Una società propone dinanzi al Tar Bari un giudizio di accertamento del diritto alla ripetizione delle somme indebitamente corrisposte a titolo di contributo di costruzione per il
rilascio del permesso di costruire. Il Comune avrebbe infatti
erroneamente computato nella base di calcolo del contributo di concessione anche le superfici destinate a parcheggio c.d. obbligatorio. L’adito Tribunale accoglie il ricorso.
Premette che l'atto con il quale l'Amministrazione comunale liquida - con riferimento ad una determinata concessione
edilizia - i contributi urbanistici, in applicazione di determinazioni generali, ha carattere ricognitivo e contabile, non
presentando alcun margine di discrezionalità. Le relative
controversie - devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo già dall'art. 16, legge 28 gennaio 1977, n. 10 - sono quindi giudizi di carattere civile relativi all'esistenza o all'entità di un'obbligazione legale. Nel merito ricorda che, ai
sensi delle leggi n. 10 del 1977 e 24 marzo 1989, n. 122, in
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sede di rilascio della concessione edilizia non sono assoggettabili al contributo commisurato al costo di costruzione
e agli oneri di urbanizzazione i parcheggi c.d. obbligatori
fissati dall'art. 41-sedes, legge 17 agosto 1942, n. 1150. Invece, i parcheggi costruiti in aree private per libera scelta
speculativa di un imprenditore rappresentano una modificazione edilizia del territorio realizzata su domanda del soggetto interessato, assimilabile a tutte le altre forme di edificazione soggette a concessione e ai relativi oneri. Il Tar
conclude precisando che tale disciplina non è mutata per
effetto dell’entrata in vigore del t.u. dell’edilizia, che contiene disposizioni analoghe.
GIURISDIZIONE
PROVVEDIMENTO DISCIPLINARE INFLITTO AD UN NOTAIO
T.A.R. Milano, sez. I, 3 luglio 2014, n. 1720 - Pres. Mariuzzo - Est. Simeoli
Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un provvedimento disciplinare inflitto ad un notaio.
Il Tar Milano dichiara il proprio difetto di giurisdizione in relazione alla controversia avente ad oggetto un provvedimento disciplinare inflitto ad un notaio. Il ricorso era stato
proposto da un notaio avverso l’attività di vigilanza del
Consiglio notarile di Milano nell’esercizio della quale è stato adottato un atto recante la richiesta d’apertura di procedimento disciplinare a suo carico. Afferma il Tribunale che,
ai sensi dell’art. 158, legge 16 febbraio 1913, n. 89, il procedimento disciplinare nei confronti di un notaio si svolge,
in sede giurisdizionale, avanti alla Corte d’Appello, nonché
eventualmente avanti la Corte di Cassazione. L’istruttoria
preliminare condotta dal Consiglio notarile non è configurabile come un momento esterno al relativo procedimento disciplinare, ma ne è parte. Non è dunque possibile distinguerla e separarla, ai fini della giurisdizione, dal contesto in
cui è inserita, poiché l’illegittimità da cui eventualmente è
inficiata non ha natura e consistenza diversa da quella da
cui in ipotesi sono affetti gli atti successivi. In definitiva, anche se si tratta di atti di un procedimento amministrativo,
si verte comunque, come solitamente avviene nel campo
disciplinare, in tema di diritti soggettivi, la cui tutela è devoluta al giudice ordinario. Ne consegue che la denunciata
sussistenza di violazioni di legge afferenti alla fase istruttoria non può essere fatta valere dinanzi al giudice amministrativo (Cass. civ., sez. un. 30 dicembre 2011, n. 30785).
PROCESSO AMMINISTRATIVO
PROCURA GENERALE ALLE LITI
T.A.R. Lazio, sez. II, 11 giugno 2014, n. 6199 - Pres. Tosti - Est. Mezzacapo
E’ inammissibile, per difetto di valida rappresentanza
tecnica, il ricorso con procura generale alle liti e non
speciale.
Il Tar Lazio dichiara inammissibile il ricorso nel quale sia
stata depositata in giudizio procura generale alle liti. Ricor-
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da che l’art. 40, c. 1, lett. g, c.p.a. prevede che il ricorso deve recare «la sottoscrizione del ricorrente, se esso sta in
giudizio personalmente, oppure del difensore, con indicazione, in questo caso, della procura speciale». La norma
nel prevedere che, se il ricorrente non sta in giudizio personalmente, il ricorso deve essere sottoscritto dal difensore
«con indicazione, in questo caso, della procura speciale» conferma che la procura generale alle liti è insufficiente per
l’attribuzione della rappresentanza tecnica e che la procura
speciale deve essere conferita in data antecedente alla sottoscrizione del ricorso da parte del difensore. Con riferimento alla necessità della procura speciale del difensore,
la Corte costituzionale, con la sentenza n. 82 del 1996, aveva dichiarato infondata la questione di legittimità dell’art.
19, legge 6 dicembre 1971, n. 1034 nella parte in cui non
consente, nel processo amministrativo, l’assistenza a mezzo di procura generale alle liti evidenziando, tra l’altro, che
«non esiste affatto un principio (costituzionalmente rilevante) di necessaria uniformità di regole processuali tra i diversi tipi di processo, rispettivamente davanti alla giurisdizione
civile e alla giurisdizione amministrativa o alle giurisdizioni
speciali sopravvissute, potendo i rispettivi ordinamenti processuali differenziarsi sulla base di una scelta razionale del
legislatore, derivante dal tipo di configurazione del processo e dalle situazioni sostanziali dedotte in giudizio (sentenza n. 191 del 1985), anche in relazione all’epoca della disciplina e alle tradizioni storiche di ciascun procedimento,
avuto riguardo, nella specie, al fatto che il processo amministrativo è strutturato come processo prevalentemente di
impugnazione». Il Tar esclude che tale nullità possa essere
sanata dalla costituzione della parte intimata, in applicazione dell’art. 17, c. 3, r.d. 17 agosto 1907, n. 642 attenendo
tale norma ai vizi del contenuto del ricorso ed essendo,
quindi, applicabile nel caso dell’omessa indicazione nel ricorso della data del mandato speciale, ma non qualora
manchi il mandato speciale, non configurandosi questo come un mero elemento costitutivo del ricorso, bensì come
un negozio autonomo, con il quale viene indefettibilmente
conferita la rappresentanza tecnica nel processo amministrativo.
CORRISPETTIVI DOVUTI PER IL RILASCIO DI ATTI GIUDIZIARI
SU SUPPORTI DIVERSI DA FLOPPY E CD
T.A.R. Lazio, sez. I, 12 maggio 2014, n. 4871 - Pres. Piscitello - Est. Sestini
Nelle more dell’adozione del regolamento previsto dal’art. 40, T.U. 30 maggio 2002, n. 115, gli Uffici giudiziari
possano chiedere, ai fini della copia della documentazione in atti utile alla difesa mediante l’utilizzo di strumenti informatici e telematici diversi da floppy e cd, per
una sola volta l’importo forfetario di € 295,16.
Il Codacons impugna dinanzi al Tar Lazio gli atti applicativi
del diritto di copia previsto dalla tabella di cui all’allegato n.
8, T.U. 30 maggio 2002, n. 115 per floppy disk e cd anche
a supporti informatici diversi da quelli ivi indicati, ivi compresi gli hd. Il Tar accoglie il ricorso. Premette che la fattispecie oggetto del giudizio non è specificamente disciplinata da alcuna norma, in quanto l’allegato 8, richiamato
dall'art. 269 del t.u., disciplina solo il rilascio di copie di documenti su supporto informatico costituito da dischetto informatico da 1,44 MB o compact-disk, prevedendo per
quest’ultimo un diritto di copia oggi fissato in € 295,16.
Non ritiene però condivisibile la tesi dell’Amministrazione
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giudiziaria che ha fatto ricorso all’analogia, applicando l’importo previsto per i cd a ciascuno dei supporti effettivamente copiati, pur avendo gli stessi capacità di memoria di
gran lunga superiori rispetto al cd. Afferma il Tribunale che
il citato T.U. legittimamente commisura il rilascio di copie
su supporto cartaceo al numero di pagine fotocopiate (unità in grado di misurare, sia pure approssimativamente, il
costo pubblico e l’utilità privata dell’approntamento e dello
svolgimento del servizio di fotocopiatura (comprendente
anche la fornitura dei fogli bianchi) e vi equipara poi l’utilizzo dei due nuovi supporti informatici (floppy e cd) resi disponibili dall’evoluzione tecnologica, ugualmente caratterizzati da diversi, ma ben definiti, limiti di capacità di contenimento delle informazioni utili alla difesa in giudizio, ed
ugualmente implicanti una specifica attività “meccanica”
per la copiatura dei contenuti di ciascun supporto detenuto
dall’Amministrazione sul floppy o cd vergini forniti dal richiedente, commisurando quindi il costo del “servizio” al
numero dei supporti copiati ed alla diversa capacità dei
due possibili supporti. Aggiunge però il Tar che la predetta
situazione è mutata radicalmente con la “rivoluzione” informatica e telematica che, mediante la disponibilità di apparati, anche portatili, dotati di capacità di elaborazione e di
memoria potenzialmente illimitata, ha “smaterializzato” i
precedenti supporti cartacei ed informatici, disancorando
la quantità d’informazione disponibile sia dalla tipologia e
dal numero dei supporti meccanici, sia dalle operazioni e
dai tempi di copiatura. A fronte di tale nuova situazione, è
inapplicabile per analogia legis la precedente disciplina che,
ove estesa normativamente, dovrebbe essere sottoposta
ad un preventivo vaglio di costituzionalità, quanto alla sua
ragionevolezza rispetto alle descritte nuove fattispecie ed
alla sua conseguente compatibilità con il diritto costituzionale di difesa in giudizio. In conclusione, il Tar ritiene che,
in attesa dell’adozione del regolamento previsto dall’art.
40, T.U. n. 115 del 2002, gli Uffici giudiziari possano chiedere, ai fini della copia della documentazione in atti utile alla difesa mediante l’utilizzo di tutti gli strumenti informatici
e telematici diversi da floppy e cd (secondo la scelta del
supporto su cui riversare i dati da parte del richiedente, e
non secondo la scelta dell’Amministrazione circa le loro
modalità di archiviazione), esclusivamente e per una sola
volta l’importo forfetario di € 295,16.
ORDINAMENTO GIUDIZIARIO
ORARIO DI APERTURA DELLE SEGRETERIE DEI TRIBUNALI
T.A.R. Toscana, sez. III, 3 giugno 2014, n. 968 - Pres.
Buonvino - Est. Massari
E’ illegittimo il provvedimento del Presidente di Tribunale che, in violazione dell’art. 162, c. 1, legge 23 ottobre 1962, n. 1196, riduce l’orario di apertura degli uffici
giudiziari.
Il Presidente dell’Ordine degli avvocati di Lucca impugna
dinanzi al Tar Toscana il provvedimento del Presidente del
Tribunale di Lucca, che limita l'orario di apertura al pubblico delle cancellerie e degli uffici dello stesso Tribunale. Deduce che, in violazione dell’art. 162, c. 1, legge 23 ottobre
1962, n. 1196 (recante l’”Ordinamento del personale delle
cancellerie e segreterie giudiziarie e dei dattilografi”), con
tale provvedimento sono stati stabiliti orari di apertura degli
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uffici in misura inferiore a quella previsto dalla normativa
vigente. Il Tar accoglie il ricorso. Ricorda che il cit. comma
1 dell’art. 162, l. n. 1196 del 1962 dispone che «le cancellerie e segreterie giudiziarie sono aperte al pubblico cinque
ore nei giorni feriali, secondo l’orario stabilito dai capi degli
uffici giudiziari, sentiti i capi delle cancellerie e delle segreterie interessate». Stante l’inequivoco tenore letterale della
predetta norma, ai capi degli uffici giudiziari spetta il potere
regolamentare di stabilire l’orario di apertura al pubblico
delle cancellerie e segreterie, ma sempre nell’osservanza
del limite della durata dell’orario di apertura di cinque ore
giornaliere, come previsto dal cit. art. 162. Si tratta di una
norma tassativa che ,se da un lato rimette alla discrezionalità del Dirigente il potere di articolare l’orario in questione
nel senso di poter variamente fissare l’ora di inizio dell’apertura al pubblico, dall’altro lato vieta di ridurre la durata
oraria in cui cancellerie e segreterie devono essere aperte
al pubblico (non meno di cinque ore nei giorni feriali). La
norma ha dunque un contenuto assolutamente vincolante,
tale da non lasciare alcun margine di discrezionalità in ordine ad una opzione di durata oraria giornaliera di apertura al
pubblico degli uffici giudiziari diversa da quella fissata direttamente ed inequivocabilmente dal legislatore nazionale
a mezzo di un previsione con una valenza uniforme per tutte le cancellerie e segreterie giudiziarie presenti sull’intero
territorio italiano (Cons. Stato, sez. IV, 20 febbraio 2014, n.
798).
SANITÀ
MEDICINALI INSERIBILI NEL SISTEMA PH-T
T.A.R. Lazio, sez. III-quater, 17 giugno 2014, n. 6384 Pres. Riggio - Est. Ferrari
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E’ legittimo l’inserimento di un farmaco in regime PH-T
ove alla base di tale scelta ci siano ragioni di carattere
sanitario e non esclusivamente economiche.
Federfarma impugna dinanzi al Tar Lazio la decisione dell’Aifa di inserire nel regime di PH-T il farmaco Forsteo utilizzato per le forme particolarmente gravi di osteoporosi. L’adito Tribunale respinge il ricorso. Ricorda che il sistema
PH-T è stato introdotto per garantire continuità assistenziale tra Ospedale (H) e Territorio (T) e pone il paziente al centro della strategia assistenziale, assicurandogli periodici
controlli da parte delle strutture pubbliche. I medicinali,
che possono essere inseriti nel PH-T, sono quelli somministrati a pazienti che necessitano di una diagnostica differenziale, per i quali sussiste una criticità terapeutica e che
hanno bisogno di controllo periodico da parte della struttura specialistica. Il paziente non può, ad avviso dell’Agenzia
del Farmaco, che trarre beneficio da tale tipo di dispensa
del medicinale, perché gli viene contestualmente garantito
il follow-up clinico e la distribuzione diretta del farmaco.
Ciò chiarito, il Tar ritiene che il provvedimento impugnato,
che ha recepito il parere della Commissione Tecnica Scientifica, ha fatto corretta applicazione di tali principi. Precisa
infatti che la continuità assistenziale Ospedale - Territorio
appare particolarmente necessaria con riferimento ad un
farmaco a base di teriparatide, che si utilizza nelle situazioni di osteoporosi grave, che si accompagnano a fratture
vertebrali, e che è quindi destinato a soggetti con patologia
clinica di rilevante gravità, per i quali è particolarmente importante seguire la somministrazione farmacologica. Ritiene poi irrilevante che a questa motivazione sia stata aggiunta una connotazione fattuale, e cioè che un tale sistema di dispensa porterà anche vantaggi economici. E’ assorbente la considerazione che la motivazione di carattere
sanitario è di per sé sola sufficiente a supportare la determinazione impugnata.
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Corte dei conti
Osservatorio della Corte
dei conti
a cura di Laura D’Ambrosio e Francesco Battini
CONTROLLI
L'ARMONIZZAZIONE DEI SISTEMI CONTABILI
Corte dei conti, sezione delle Autonomie, elementi per
l'audizione del 29 maggio 2014 sullo schema di decreto
legislativo in materia di armonizzazione dei sistemi contabili delle regioni e degli enti locali
Nell’ambito della sperimentazione di cui all'art. 36 del
d.lgs. n. 118 del 2011, posta in essere presso alcuni
enti locali ed estesa a tutto il 2014 con la proroga di
cui al d.l. n. 102/2013 (legge n. 124), sono emerse alcune problematiche sulle quali si sofferma in particolare il contributo della Corte. Si tratta della esigenza
di fare chiarezza sulle posizioni debitorie degli enti
territoriali; di profili problematici in materia di residui
attivi e della necessità assoluta di istituire un fondo a
fronte dei crediti di dubbia esigibilità, i problemi della
gestione delle anticipazioni di tesoreria e dell’impiego
dei fondi vincolati. Le accennate problematiche risultano ancor più rilevanti nel comparto regionale, in cui
- nonostante il modello tendenzialmente uniforme delineato con il decreto legislativo n. 76 del 2000 - sono
presenti sistemi contabili variamente articolati. Resta
centrale il nodo del processo di consolidamento dei
bilanci per rendere trasparente le connessioni tra dati
contabili ed ambito effettivo della gestione. Ciò vale
segnatamente per le Regioni, con particolare riferimento ai raccordi con i bilanci degli Enti sanitari, nella
prospettiva anche della costruzione di un “consolidato” del settore sanitario, che, come noto, costituisce
la quota nettamente prevalente delle risorse gestite
in ambito regionale.
Su invito della Commissione parlamentare sull'attuazione
del federalismo fiscale, la Corte ha in data 29 maggio 2014
premesso di essersi già espressa sullo schema del decreto
legislativo originario nel maggio 2011 e di volere in questa
successiva occasione fornire uno specifico contributo, relativamente anche alle modifiche intervenute, sugli aspetti di
carattere marcatamente tecnico e su alcuni punti problematici.
Rileva altresì la Corte che il tema dell'armonizzazione, ripetutamente enunciato nell'ultimo trentennio da fonti legislative, ma, di fatto, lasciato in ombra forse perché considerato ristretto all’ambito delle mere tecnicalità, rappresenta invece uno snodo essenziale per il concreto avvio ed il consolidamento del federalismo fiscale.
L'esigenza di migliorare la trasparenza dei conti pubblici,
cui è preordinata l’armonizzazione avviata con il d.lgs. n.
118/2011 (bilancio consolidato delle amministrazioni
pubbliche) trova d'altronde corrispondenza nella normativa comunitaria (direttiva n. 2011/85/UE del Consiglio, in
data 8 novembre 2011), relativa ai requisiti per i quadri di
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bilancio degli Stati membri, secondo cui (art. 3) «gli Stati
membri si dotano di sistemi di contabilità pubblica che
coprono in modo completo e uniforme tutti i sotto-settori
dell’amministrazione pubblica e contengono le informazioni necessarie per generare dati fondati sul principio di
competenza».
In tale ottica si pone dunque la necessità di una maggiore
coerenza fra il sistema contabile dello Stato e quello degli
enti territoriali, con riferimento, soprattutto, all’adozione
della competenza finanziaria potenziata, tenuto anche conto che il c.d. principio della competenza “a scadenza”, introdotto per gli enti territoriali e loro organismi partecipati,
deve in prospettiva trovare applicazione anche per le altre
amministrazioni pubbliche secondo il decreto legislativo n.
91 del 2011 e che l’art. 42 della legge 196 del 2009 segna
il superamento del principio della competenza giuridica,
propria del bilancio dello Stato, a favore del principio della
competenza potenziata.
Restano sullo sfondo, osserva la Corte, sia l'esigenza di
pervenire a bilanci consolidati tra enti e organismi partecipati, sia il tema di un graduale superamento dell’attuale contabilità finanziaria a favore di un sistema di contabilità economica ispirato al sistema europeo dei conti
pubblici, di recente affinato col passaggio dal SEC 95 al
SEC 2010 che sarà operativo a decorrere dal settembre
2014.
Nell’ambito della sperimentazione di cui all'art. 36 del
d.lgs. n. 118 del 2011, posta in essere presso alcuni enti locali ed estesa a tutto il 2014 con la proroga di cui al d.l. n.
102/2013 (legge n. 124), sono emerse alcune problematiche sulle quali si sofferma in particolare il contributo della
Corte.
Si tratta della esigenza di fare chiarezza sulle posizioni debitorie degli enti territoriali; di profili problematici in materia
di residui attivi e della necessità assoluta di istituire un fondo a fronte dei crediti di dubbia esigibilità, i problemi della
gestione delle anticipazioni di tesoreria e dell’impiego dei
fondi vincolati.
Inoltre, avverte la Corte, da un lato il riaccertamento
straordinario dei residui e l’accantonamento al fondo crediti di dubbia e difficile esazione possono determinare
eventuali disavanzi di amministrazione, anteriormente
"nascosti", per i quali si va prospettando, in varie sedi,
l’esigenza di appropriate azioni di accompagnamento,
dall'altro, il nuovo sistema di contabilizzazione degli impegni rende problematico il loro raffronto nel tempo e, di
fatto, rende superata la definizione dei vincoli legislativi
basati sulla spesa storica.
È da considerare, infine, che il principio della competenza
finanziaria potenziata implica che l'ente proceda ad una
programmazione dei propri flussi monetari anche nel rispetto dei vincoli che caratterizzano le entrate, la cui riscossione subisce spesso ritardi anche di carattere fisiologico, sulle cui cause la Corte si è in altre occasioni pronunciata.
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Corte dei conti
Le accennate problematiche risultano ancor più rilevanti
nel comparto regionale, in cui - nonostante il modello tendenzialmente uniforme delineato con il decreto legislativo
n. 76 del 2000 - sono presenti sistemi contabili variamente
articolati. In particolare, le Regioni scontano la mancanza
di esperienza sul piano della classificazione economica e
patrimoniale.
Resta centrale il nodo del processo di consolidamento dei
bilanci per rendere trasparente le connessioni tra dati contabili ed ambito effettivo della gestione. Ciò vale segnatamente per le Regioni, con particolare riferimento ai raccordi con i bilanci degli Enti sanitari, nella prospettiva anche
della costruzione di un “consolidato” del settore sanitario,
che, come noto, costituisce la quota nettamente prevalente
delle risorse gestite in ambito regionale.
Conclude la Corte che il periodo della sperimentazione non
può ulteriormente prolungarsi e che la riforma, peraltro assai impegnativa, richiede un innovativo approccio culturale
e il pieno coinvolgimento della classe dirigente locale e
non solo delle specifiche figure tecnico-professionali. Di
qui l’esigenza di appropriati investimenti formativi, che dovrebbero essere favoriti anche con temperamenti della normativa vincolistica in vigore. Cruciale rilevanza riveste la
copertura dei fabbisogni informatici legati all’attuazione del
processo riformatore, che richiede il potenziamento dei sistemi informativi automatizzati, da ricondurre, comunque,
nella specifica sezione della banca dati unitaria della pubblica amministrazione contemplata dalla legge n. 196 del
2009.
Un progetto di tale complessità esige, infine, un continuo e
sistematico monitoraggio per adottare, se necessario, risolutivi interventi in corso d’opera. L’avvio a regime - alla prevista data del 1° gennaio 2015 - della riforma contabile degli enti territoriali, rappresenta una tappa fondamentale del
percorso di miglioramento della trasparenza dei conti pubblici. Ne risulterebbe rafforzato lo stesso coordinamento
della finanza pubblica e ne trarrebbero vantaggio le attività
connesse con la revisione della spesa e la determinazione
di fabbisogni e costi standard. Una conoscenza puntuale
degli effetti delle manovre di finanza pubblica sugli enti territoriali e loro organismi gestionali consentirebbe inoltre di
comparare l’effettivo concorso al risanamento della finanza
pubblica da parte dei vari livelli di governo e di calibrare le
manovre in base alla reale situazione economico - finanziaria degli enti.
CONCORSO IN DANNO ERARIALE DEL NUCLEO DI
VALUTAZIONE
Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione
Lazio, sentenza 3 aprile - 5 maggio 2014, n. 403/2014
La colpa grave di aver retribuito un incarico dirigenziale di studio pur in assenza di previste periodiche
relazioni circa il suo stato di avanzamento si configura, a carico dell'interessato e dei vertici regionali responsabili, anche se l'assegnazione dell'incarico, poi
prorogato, costituisce attuazione di sentenza del giudice del lavoro emessa in materia di spoil system. Circa l'erogazione dell'indennità di risultato sono responsabili anche i componenti del Nucleo di valutazione per il parere, pur non vincolante, al riguardo
espresso.
In data 28 ottobre 2013, la Procura regionale competente,
sulla scorta di una relazione della Guardia di finanza, aveva
Giornale di diritto amministrativo 10/2014
citato in giudizio, per danno erariale determinato da condotte gravemente colpose poste in essere dal 1 giugno
2009 all’aprile 2013, oltre che il Presidente pro tempore e il
Segretario generale della Regione, che avevano conferito e
poi confermato un incarico dirigenziale di studio, anche il
dirigente incaricato e i componenti del Nucleo di valutazione, per non aver riscontrato le irregolarità poi emerse e
aver espresso giudizio positivo in ordine al raggiungimento
dei risultati del dirigente, così consentendo la attribuzione
della indennità di risultato per un importo complessivo di
€. 123.884,00.
In ordine all'oggetto dello studio (“Autonomia del Consiglio
regionale alla luce del nuovo Statuto e delle specifiche leggi settoriali. Analisi ed eventuali proposte di modifica dei
regolamenti consiliari vigenti”), il contratto aveva previsto
la presentazione semestrale di relazioni, delle quali soltanto
due poi acquisite su richiesta della Guardia di finanza, per
un compenso totale erogato nel periodo pari a €
628.591,00.
Relativamente alla citazione dei componenti il Nucleo di
valutazione, la Procura aveva in particolare considerato
che la funzione del Nucleo era quella di verificare in concreto il raggiungimento degli obiettivi assegnati al dirigente, e che sarebbe stato dunque necessario acquisire le previste relazioni, tenendo anche conto che, in audizione, l'interessato aveva espresso dubbi sulla propria professionalità in relazione all’attività assegnata e negato l’esistenza
contrattuale di specifici obiettivi da raggiungere. Tali manifestazioni di disagio e l’anomalia di un incarico privo di
obiettivi avrebbero dovuto indurre i membri del Nucleo ad
effettuare un’istruttoria più approfondita prima di asseverare il giudizio positivo sui risultati.
Nella memoria difensiva, il dirigente incaricato aveva tra
l'altro eccepito la giurisdizione del giudice ordinario, rilevando che l'incarico era stato a lui assegnato in attuazione
di una sentenza del giudice del lavoro che lo aveva visto
vittorioso nei confronti dell’Amministrazione - che ingiustificatamente aveva risolto il precedente contratto in applicazione dello spoyl sistem - e aveva imposto all'amministrazione di garantirgli un trattamento economico equivalente
a quello precedentemente fruito. Il Presidente pro-tempore
del Nucleo di valutazione aveva invece sostenuto il valore
istruttorio e non deliberativo dell'attività dell'organismo, ritenendo sufficiente l’audizione dell'interessato e il confronto tra le sue dichiarazioni e quelle comunicate dall’Amministrazione.
La Sezione, dopo aver preliminarmente respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione, non ha condiviso altre
prospettazioni difensive, osservando che la totale assenza di documentato svolgimento di una prestazione impedisce di erogare una retribuzione basata unicamente su
affermazioni verbali, prive di riscontro documentale. Ha
considerato, di conseguenza, che il dirigente aveva ottenuto un incarico dirigenziale di studio avente uno specifico oggetto e un preciso e concreto obiettivo da raggiungere; che era stato altresì previsto l’obbligo di relazionare semestralmente sulle modalità di svolgimento
dell’incarico, sulle tematiche affrontate, sulle problematiche sollevate e sulle soluzioni prospettate. Sarebbe stato, pertanto, onere degli organi conferenti richiedere,
con rispetto della scadenza semestrale, relazioni di rendicontazione delle attività svolte e degli obiettivi che gradualmente venivano raggiunti e, ciò, sia al fine di effettuare il necessario monitoraggio previsto contrattualmente sull’attività del dirigente, sia al fine di disporre l’e-
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Corte dei conti
ventuale proroga dell’incarico che poi risulta essere stata accordata alla scadenza del termine biennale.
La responsabilità dell’evento dannoso, determinato dalla
condotta spregiudicata e temeraria dei convenuti è, quindi,
correttamente da attribuire in parti uguali a tutti e tre i soggetti, i quali hanno in piena coscienza e volontà ritenuto di
conferire ed accettare l’incarico di studio nonché successivamente di prorogarlo e di accettarlo nuovamente, disinteressandosi i primi, poi completamente, di verificare le attività svolte dal dirigente al quale è stata conferita, con il suo
pieno consenso, una retribuzione priva di ogni ragione giustificativa.
Con riferimento, poi, all’attribuzione dell’indennità di risultato e all'affermata responsabilità del Nucleo di valutazione, la Sezione ha condiviso l'impostazione della Procura
circa la colpa di aver limitato il proprio compito di verifica e
controllo alla semplice audizione del dirigente, pur avendo
egli espresso le perplessità sopra esposte, sintomatiche di
una prestazione anomala. I membri del Nucleo avrebbero
dovuto dunque trarre delle conclusioni diverse rispetto a
quelle contenute nella scheda di valutazione predisposta
dove sono state, per ciascuna categoria assegnati i valori
massimi o, quantomeno, avrebbero dovuto svolgere un’accurata istruttoria prima di giungere alla formulazione di una
proposta valutativa così positiva da attribuire al dirigente
un’indennità di risultato. L’approfondimento istruttorio era
obbligatorio anche in considerazione della tipologia dell’incarico che, essendo di studio, avrebbe comportato l’acquisizione di documentazione comprovante l’effettivo svolgimento della prestazione come risultante, ad esempio, da
relazioni, verbali di riunioni, note istruttorie inviate e risposte pervenute da parte dell’Amministrazione e da Istituzioni
diverse ecc. mentre la totale assenza di elementi concreti
da cui desumere l’effettività dell’incarico svolto hanno correttamente indotto la Procura a ritenere il parere favorevole
rilasciato come assolutamente privo di fondamento e,
quindi, idoneo a fuorviare la decisione dell’organo di vertice. In sostanza, secondo la Sezione, la sottoscrizione della
scheda di valutazione è avvenuta con macroscopica superficialità e senza minimamente preoccuparsi che, a fronte di
tale sottoscrizione, sarebbero state ingiustificatamente erogate risorse pubbliche.
Per i componenti del Nucleo, tuttavia, la Sezione ha ridotto
la condanna riconoscendo la corresponsabilità, anche per
il danno relativo alla retribuzione di risultato, degli organi di
vertice, considerato che il parere favorevole formulato dal
Nucleo non è vincolante.
LE SPESE DI MANUTENZIONE DEGLI IMMOBILI
MINISTERIALI
Corte dei conti, sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato I, II e Collegio
per il controllo sulle entrate, deliberazione 18 marzo - 7
aprile 2014, n. 3/2014/G
Attraverso un'indagine condotta sulla attuazione, nel
quinquennio 2008-2012, delle disposizioni recate dalla
legge finanziaria 2008 e relative al contenimento delle
spese di manutenzione degli immobili utilizzati dai
Ministeri, la Sezione ha riscontrato una situazione di
assai differenziata applicazione delle regole di contenimento che, complessivamente considerata, conduce
a ritenere non raggiunte le finalità perseguite dal legislatore, così come confermano apposite analisi condotte dalla RGS sui rendiconti, dalle quali non emer-
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gono, per le spese considerate, effetti di apprezzabile
contenimento. La Corte rileva, in particolare, la necessità di meglio rappresentare in bilancio le spese stesse, attraverso la depurazione di alcuni capitoli ad oggetto promiscuo, nonché attraverso una più accurata
rilevazione in corso d’anno dei relativi impegni di spesa, rilevazione che viene affrontata spesso senza continuità, con ritardi specie riguardo alle strutture periferiche e in base a metodologie di monitoraggio disomogenee, anche, addirittura nell’ambito di una stessa
amministrazione.
Attraverso un'indagine condotta sulla attuazione, nel quinquennio 2008-2012, delle disposizioni recate dalla legge finanziaria 2008 (art.2, commi 618 e ss. l. n. 244 del 2007) e
relative al contenimento delle spese di manutenzione degli
immobili utilizzati dai Ministeri, la Sezione ha riscontrato
gravi e diffuse difficoltà incontrate inizialmente dalle amministrazioni per conformarsi alle nuove regole, anche in ragione di incertezze interpretative soltanto in parte risolte,
nel 2010, da alcuni aggiustamenti, nonché da deroghe introdotte, in casi specifici, rispetto ai rigorosi limiti di spesa
imposti in origine indistintamente per tutte le amministrazioni pubbliche.
Ne risulta, secondo la Corte, una situazione di assai differenziata applicazione delle regole di contenimento che,
complessivamente considerata, conduce a ritenere non
raggiunte le finalità perseguite dal legislatore, così come
confermano apposite analisi condotte dalla RGS sui rendiconti, dalle quali non emergono, per le spese considerate,
effetti di apprezzabile contenimento.
L'indagine della Corte rileva, in particolare, la necessità di
meglio rappresentare in bilancio le spese stesse, attraverso
la depurazione di alcuni capitoli ad oggetto promiscuo ove
esse sono classificate, nonché attraverso una più accurata
rilevazione in corso d’anno dei relativi impegni di spesa, rilevazione che viene affrontata spesso senza continuità, con
ritardi specie riguardo alle strutture periferiche e in base a
metodologie di monitoraggio disomogenee, anche, addirittura nell’ambito di una stessa amministrazione.
Il conseguente mancato controllo degli andamenti gestionali impedisce di adottare tempestivamente le correzioni
volte ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa fissati dal
legislatore e di impostare la programmazione per gli esercizi successivi.
Si riscontrano, ancora agli inizi del 2013, considerevoli lacune nella stessa ricognizione degli immobili in uso e nella
individuazione delle loro specifiche destinazioni e non completate sono altresì le procedure di determinazione del valore di ciascun cespite, sulla cui base vanno altresì calcolate le spese manutentive.
Al di là dei casi in cui le riduzioni di spesa per manutenzione derivano da minori stanziamenti, e non da scelte organizzative (la Corte ritiene che ogni amministrazione debba
procedere ad un'attenta valutazione delle priorità e predisporre un piano razionale e suddiviso in fasi anche temporali di intervento), si rileva da ultimo che negli esercizi 2011
e 2012 è stato avviato in tutti i ministeri un percorso mirato
a una più corretta applicazione delle norme tale, tendenzialmente, da condurre a un più razionale utilizzo del patrimonio immobiliare pubblico, in stretta rispondenza alle effettive esigenze.
L’Agenzia del demanio, individuata come unico manutentore degli immobili ministeriali (articolo 12 del d.l. n. 98 del
2011), ha in particolare quasi completato la determinazione
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Corte dei conti
del loro valore, mentre recenti normative in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, di eco-compatibilità ambientale e
di risparmio energetico, spingono le amministrazioni ad accelerare le attività ricognitive degli edifici utilizzati e dei loro
fabbisogni.
Giornale di diritto amministrativo 10/2014
La Sezione di controllo, in conclusione, ha formulato osservazioni e raccomandazioni specifiche per ciascuna delle
amministrazioni interessate, chiedendo ad esse di comunicare alla Corte e al Parlamento, entro sei mesi, le misure
correttive conseguenziali.
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Autorità indipendenti
Osservatorio A.N.AC.
a cura di Chiara Di Seri e Elisa D’Alterio
ANTICORRUZIONE, TRASPARENZA E INTEGRITÀ
DISPOSIZIONI ORGANIZZATIVE E PER IL FUNZIONAMENTO
IN ATTUAZIONE DEL D.L. N. 90 DEL 2014
A.N.AC. - Delibere 25 giugno 2014, n. 101, 26 giugno
2014, n. 102 e 3 luglio 2014, n. 104.
Il Presidente dell’A.N.AC. ha dettato disposizioni per lo
svolgimento dei nuovi compiti e funzioni assegnati all’Autorità dal d.l. n. 90/2014, a seguito della soppressione dell’Autorità per la vigilanza dei contratti pubblici di
lavori servizi e forniture (Avcp).
In relazione alle attribuzioni, in capo al Presidente dell’A.N.AC., di sorveglianza e garanzia della correttezza e trasparenza delle procedure per la realizzazione di “EXPO Milano
2015” (art. 30, d.l. n. 90/2014), la delibera n. 101 istituisce
un’Unità operativa speciale, composta, in una prima fase,
da personale già in servizio presso l’Autorità e in comando
dalla Guardia di Finanza.
Nella delibera n. 102 è stabilito che, in sede di prima applicazione, le attività dell’A.N.AC. connesse ai compiti e alle
funzioni della soppressa Avcp (art. 19 d.l. n. 90/2014) siano
svolte in regime di separazione rispetto alle attività in materia di anticorruzione e trasparenza, con tutto ciò che ne
consegue in termini di gestione contabile, sedi, comunicazione sui siti istituzionali, protocollo. Con la stessa delibera,
il Segretario generale dell’A.N.AC. è investito del ruolo di
vertice amministrativo dell’Avcp, i cui uffici di diretta collaborazione del Presidente e dei componenti sono soppressi
dalla delibera n. 104.
MONITORAGGIO IN MATERIA DI TRASPARENZA
A.N.AC. - Rapporti di monitoraggio, maggio-giugno
2014
L’Autorità, a seguito dell’attività di vigilanza sull’assolvimento di alcuni obblighi di trasparenza previsti dal
d.lgs. n. 33/2013, ha pubblicato gli esiti delle verifiche
svolte sui siti istituzionali dei Ministeri e di quindici
grandi Comuni, nonché di un campione di trenta aziende sanitarie locali.
Nei mesi di maggio-giugno 2014, l’Autorità ha pubblicato
specifici rapporti di monitoraggio sullo stato di pubblicazione di alcuni obblighi di trasparenza stabiliti dal d.lgs. n. 33
del 2013, in relazione a ciascuna amministrazione esaminata e alle osservazioni ricevute nel corso dell'esame.
Con riferimento ai Ministeri, l’Autorità ha rilevato un tendenziale adeguamento della pubblicazione dei dati oggetto
di verifica alle indicazioni impartite dalla stessa Autorità e
alla legge, sebbene risultino ancora alcune «criticità in termini di completezza e di qualità dei contenuti della pubblicazione di alcuni dati», riguardanti soprattutto le informazioni
relative ai procedimenti e alle società partecipate.
970
Per quanto riguarda, invece, i grandi Comuni, l’Autorità ha
riscontrato, in via generale, un limitato adeguamento della
pubblicazione dei dati oggetto di esame; in particolare, gli
inadempimenti più gravi attengono alla mancata pubblicazione dei dati relativi alle categorie degli “Organi di indirizzo politico-amministrativo”, dei “Consulenti e collaboratori”, del “Monitoraggio dei tempi medi procedimentali”.
Infine, in relazione alle Asl, lo stato di pubblicazione delle
informazioni riguardanti, specialmente, le categorie dei
“Pagamenti”, delle “Tipologie di procedimento” e dei “Servizi erogati” risulta ancora molto carente.
PERFORMANCE
RELAZIONE ANNUALE SULLA PERFORMANCE
DELLE AMMINISTRAZIONI CENTRALI
A.N.AC. - Relazione del 21 marzo 2014
L’A.N.AC. ha pubblicato un’analisi del ciclo della performance 2012 sulla base delle risultanze dei Piani e Relazioni sulla performance delle amministrazioni centrali,
dei Programmi triennali per la trasparenza e l’integrità,
degli standard di qualità dei servizi e dei monitoraggi
svolti da parte degli OIV.
Il documento esamina per “comparti” (ministeri, enti previdenziali, enti di ricerca ed enti parco nazionali, altri enti) gli
esiti del processo di pianificazione degli obiettivi e di valutazione delle performance organizzativa e individuale.
Dal monitoraggio emerge che il 75% delle Amministrazioni
ha adottato il Piano 2012-2014 e la Relazione sulla performance (ancorché solo la metà nel rispetto delle scadenze
previste), il 9% è totalmente inadempiente, il restante non
ha concluso il ciclo. Alcune amministrazioni hanno anche
provveduto all’aggiornamento dei Sistemi di misurazione e
valutazione. Sedici amministrazioni su cinquantasette non
hanno approvato il Programma triennale per la trasparenza
e l’integrità 2012-2014. È scesa dal 47% al 34% la percentuale di mancata adozione di standard di qualità e delle carte di servizi.
Quanto agli obiettivi strategici, l’analisi è concentrata sui
seguenti aspetti: contenimento della spesa, digitalizzazione, standard di qualità e carte di servizi, pari opportunità,
trasparenza. La maggior parte delle amministrazioni ha definito obiettivi in termini di riduzione dei costi e informatizzazione dei processi interni.
Complessivamente, l’Autorità ha rilevato un elevato grado
di raggiungimento degli obiettivi strategici dichiarato dalle
amministrazioni e un sufficiente collegamento tra obiettivi,
indicatori e target per tutti i “comparti”; più debole, invece,
il collegamento tra ciclo della performance e ciclo di bilancio, fatta eccezione per i ministeri (grazie al progressivo allineamento con le Note Integrative). L’Autorità ha segnalato, tuttavia, come in molti casi manchi il riferimento anche
agli obiettivi operativi. Inoltre, la riduzione delle risorse non
si traduce in una rimodulazione di obiettivi e target, eviden-
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ziando potenzialmente una non corretta assegnazione delle
risorse agli obiettivi. Peraltro, la rendicontazione della performance organizzativa in relazione alle articolazioni territoriali (ove presenti) e il benchmarking risultano ancora parziali, tranne che per gli enti previdenziali.
Quanto alla valutazione della performance individuale, i dati
non risultano completi e non è trascurabile il numero delle
amministrazioni che non ha realizzato una valutazione del
personale non dirigenziale. Quanto ai ministeri, solo cinque
(Mae, Mise, Mlps, Mpaaf E e Msal) hanno valutato tutto il
personale, ma con scarso grado di differenziazione dei giudizi. Inoltre non sempre vi è un collegamento tra la valutazione individuale e forme di incentivo stipendiale. Un modello virtuoso è quello dell’Inail, in linea con i principi dell’art. 18 d.lgs. n. 150/2009.
Per ciascuna amministrazione, l’A.N.AC. ha predisposto
una scheda su criticità e aree di miglioramento. Nella rela-
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zione - oltre ad una sintesi delle principali criticità riscontrate nei vari “comparti” (stratificazione normativa degli obblighi a carico di amministrazioni e OIV, carenza di sistemi informativi a supporto della misurazione della performance,
difficoltà nell’implementazione del sistema di misurazione,
scarsa incidenza del processo nella strategie di governo,
non adeguata definizione di obiettivi, indicatori e target
“sfidanti”, mancata attuazione della valutazione individuale
con riferimento al personale non dirigenziale e difficoltà di
differenziazione delle valutazioni, scarsa trasparenza dei
dati sulla gestione dei servizi e sulle modalità di applicazione della premialità) - l’Autorità ha ribadito l’esigenza di una
semplificazione degli adempimenti relativi al ciclo della performance, sia sotto il profilo della sovrapposizione con gli
strumenti di programmazione esistenti, sia in relazione alle
caratteristiche dimensionali delle amministrazioni.
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Semplificazione amministrativa
Politiche di semplificazione
Lo “stato dell’arte” della
semplificazione in Italia
COMMISSIONE PARLAMENTARE PER LA SEMPLIFICAZIONE, 31 MARZO 2014
Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla semplificazione legislativa e amministrativa.
(Omissis)
IL COMMENTO
di Mariangela Benedetti
La Commissione parlamentare bicamerale per la semplificazione ha concluso i lavori dell’indagine conoscitiva sulla semplificazione legislativa e amministrativa approvando all’unanimità il documento
conclusivo nella seduta del 31 marzo 2014. Si tratta di un documento che, in modo sintetico chiaro ed
efficace, riassume il lavoro svolto dalla Commissione in soli tre mesi di lavoro, dando conto dei principali risultati conseguiti. Particolare rilevanza è data ai rimedi necessari per risolvere i problemi che ancora oggi impediscono una piena efficacia delle politiche di semplificazione. Si tratta di interventi diversi che possono essere incentivati dalla stessa Commissione in una logica di valorizzazione dell’attività di impulso e monitoraggio della politica di semplificazione, e più in generale di better regulation,
da parte del Parlamento.
Il 31 marzo 2014 è stato approvato all’unanimità
il “Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla semplificazione legislativa e amministrativa” promossa dalla Commissione parlamentare bicamerale per la semplificazione. L’indagine, che si
è svolta tra il 4 dicembre 2013 e il 14 marzo 2014,
è stata avviata «per consentire al Parlamento di
prendere coscienza dello stato dell'arte della semplificazione, al fine di individuare le migliori pratiche da diffondere e le criticità da superare» (1).
Si tratta dell’ultima iniziativa - in ordine di tempo - avviata per riportare al centro del dibattito
politico e istituzionale il tema della semplificazione
come leva strategica per la modernizzazione della
pubblica amministrazione e volano della crescita
del sistema competitivo del Paese. Il tema è entrato nell’agenda dei governi almeno da un ventennio, ovvero a partire dall’approvazione della legge
n. 241 del 1990 che ha riconosciuto la semplificazione quale principio generale ordinante l’azione
amministrativa. Dagli anni Novanta si è aperta la
«stagione della semplificazione» ed è diventata
condivisa l’idea secondo cui la semplificazione contribuisce alla riduzione del rischio amministrativo,
aumenta la trasparenza dell’azione amministrativa
e diventa elemento trainante di una più ampia riforma della pubblica amministrazione (2).
(1) Commissione parlamentare per la semplificazione, Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla semplificazione legislativa e amministrativa, in Atti parlamentari, XVII Legislatura, Bollettino delle Giunte e delle Commissioni Parlamentari,
Lunedì 31 marzo 2014, p. 27 (disponibile alla pag. web
http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/ProcANL/ProcANLscheda28340.htm).
(2) S. Amorosino, La semplificazione amministrativa e le recenti modifiche normative alla disciplina generale del procedi-
mento, in Foro amm. - Tar, 2005, 2635 ss. Sul tema si vedano,
più in generale, A. Natalini e G. Tiberi (a cura di), La tela di Penelope. Primo rapporto Astrid sulla semplificazione legislativa e
burocratica, Bologna, 2010; S. Cassese, La semplificazione amministrativa e l’orologio di Taylor, in Riv. trim. dir. pubb., 1998,
699 ss; G. Vesperini, La semplificazione dei procedimenti amministrativi, in Riv. trim. dir. pubb., 1998, 655 ss; L. Torchia, Tendenze recenti della semplificazione amministrativa, in Dir. amm.,
1998, 385 ss.; V. Cerulli Irelli, F. Luciani, La semplificazione del-
Premessa
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Documenti
Semplificazione amministrativa
La Commissione parlamentare per la semplificazione ha stabilito di avviare l’indagine conoscitiva
all’indomani dell’istituzione del relativo ufficio di
presidenza approvando il programma di attività il
19 novembre 2013.
Si tratta, dunque, della prima decisione adottata
dall’ufficio dimostrando, in tal modo, sia la rilevanza politica dell’indagine, sia la volontà di assicurare
un ruolo alla Commissione che, esaurita la delega
del cosiddetto «taglia-leggi», non avrebbe altrimenti avuto altro lavoro.
Non si tratta della prima iniziativa di questo genere. Già durante la XVI Legislatura, infatti, la
Commissione bicamerale per la semplificazione
aveva avviato un’indagine conoscitiva; in quel caso, tuttavia, si trattò essenzialmente di un approfondimento finalizzato a supportare l’attività istituzionale della stessa Commissione che, in ossequio
all’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n.
246, aveva il compito di verificare lo stato di attuazione del procedimento per l’abrogazione generalizzata delle norme anteriori al 1970 («taglia-leggi») ed esprimere pareri sugli schemi di decreti legislativi di riordino normativo (4).
Rispetto a quest’ultima esperienza si rilevano,
dunque, alcuni significativi elementi di differenziazione. Se ne indicano in particolare tre.
Il primo è la finalità dell’indagine; mentre, come
detto, la precedente ha discusso problemi applicativi legati al «taglia-leggi», in questa Legislatura la
Commissione ha avviato un’indagine più ampia, finalizzata a conoscere e approfondire tutti i vari
aspetti della semplificazione, non solo legislativa
ma anche amministrativa. L’obiettivo, dichiarato
nello stesso documento, è quello di fornire al Parlamento, sin dall’inizio della Legislatura, le informazioni utili allo svolgimento della propria attività
istituzionale in materia.
Il secondo elemento di differenziazione è il tempo in cui è stata realizzata l’indagine. Mentre quella sull’attuazione dell’articolo 14 della l. n.
246/2005 è stata condotta in un intervallo temporale di circa tre anni (5), quella svolta dall’attuale
Commissione si è svolta in soli tre mesi. In un ci-
l’azione amministrativa, in Dir. amm., 2000, 617 ss.; G. Vesperini, La riforma dei procedimenti amministrativi, in G. de Caprariis, G. Vesperini (a cura di), L’Italia da semplificare. Le regole e
le procedure, Bologna, 1998; A. Natalini, Le semplificazioni amministrative, Bologna, 2002; M. Clarich, La semplificazione dei
procedimenti amministrativi, in Riv. trim. dir. pubb., 1998, 655
ss.
(3) Commissione parlamentare per la semplificazione, Documento conclusivo, cit., 34.
(4) Sul cd. «taglia-leggi» si vedano, tra gli altri, N. Lupo,
B.G. Mattarella, La codificazione e il Taglia-Leggi a livello statale:
immagine o sostanza?, in A. Natalini, G. Tiberi, La tela di Pene-
lope, cit., pp. 391 ss.; N. Lupo, Dalla delega ai decreti legge
“Taglia-leggi”: continuità o rottura?, in questa Rivista, 2009, 7,
701 ss.; L. Carbone, L’esperienza “Taglia-leggi” a metà del suo
cammino, in questa Rivista, 2008, 5, 573 ss.; A. D’atena, F.
Sorrentino, Attuazione del procedimento Taglia Leggi, in
www.federalismi.it, 2009, n. 10; M. Cecchetti, Il “taglio” delle
leggi tra deleghe legislative, decretazione d’urgenza, clausole
“ghigliottina” e abrogazioni espresse, in S. Pajno, G. Verde (a
cura di), Studi sulle fonti del diritto, vol. I, Milano, 2010, 95 ss.
(5) La prima seduta si è tenuta il 28 luglio 2008 mentre
l’ultima il 14 settembre 2011. I resoconti di tutte le sedute
sono disponibili alla pag. web http://www.parlamento.i-
Eppure, nonostante i numerosi interventi adottati in questi ultimi anni, i risultati raggiunti non
si sono rivelati all’altezza delle aspettative e degli
impegni politici assunti: la semplificazione sembra
ancora oggi, in special modo in alcuni settori, un
miraggio da raggiungere, un proclama di difficile
attuazione o un risultato da ottenere “faticosamente”, spesso al prezzo di nuovi oneri amministrativi
a carico degli utenti o di una maggiore complessità
normativa.
Il dato è stato confermato dalle audizioni svolte
nel corso dell’indagine. Ad avviso della Commissione, emerge in modo chiaro e condiviso “un quadro drammatico, soprattutto in una prolungata situazione di crisi economico-sociale, che avrebbe
dovuto spronare a porre in essere tutte le misure di
semplificazione possibili per dare nuova energia - a
costo zero, ed anzi con evidenti risparmi - ai cittadini ed alle imprese”. Il Paese, come Lemuel Gulliver di Jonathan Swift, risulta «auto-avviluppato in
una miriade di lacci e lacciuoli rappresentati da
leggi nazionali e regionali, normative europee recepite sempre parzialmente e sempre in ritardo dal
Parlamento e provvedimenti amministrativi di varia natura, origine e portata» (3).
Sulla base delle risultanze dell’indagine, descritte
in maniera approfondita nella prima parte del documento, la Commissione affronta tre interrogativi
principali: quali sono i problemi che ostacolano,
ancora oggi, l’attuazione della politica di semplificazione? Quali sono le possibili linee d’azione necessarie a dare nuovo slancio alla stagione della
semplificazione? Quali azioni e quali strumenti potrebbero essere utilizzati dalla Commissione stessa
per dare un contributo utile?
Di seguito, dopo una breve descrizione del lavoro svolto dalla Commissione, sono analizzate le risposte fornite.
Il lavoro della Commissione
Giornale di diritto amministrativo 10/2014
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Semplificazione amministrativa
clo serrato di audizioni distribuite in trenta sedute,
la Commissione ha ascoltato una platea ampia e
differenziata di soggetti: le istituzioni, i rappresentanti del governo, le organizzazioni rappresentative
del mondo imprenditoriale, sindacale, cooperativo,
delle professioni e dei consumatori, gli esperti e i
professori universitari. In realtà, il diverso orizzonte
temporale dipende dalle diverse finalità perseguite
dalle due indagini. Mentre nella XVI Legislatura,
l’indagine, supportando le attività istituzionali della Commissione, è stata naturalmente diluita nel
corso del tempo; in questa Legislatura la Commissione ha utilizzato l’indagine per definire un proprio ruolo e aprire un dialogo istituzionale sulla
trattazione di un tema ritenuto urgente e non più
procrastinabile.
Il terzo elemento di distinzione è il prodotto dell’attività svolta; a differenza della precedente esperienza, l’indagine è terminata con l’elaborazione di
un documento conclusivo che riassume, in modo sintetico, chiaro ed efficace, il lavoro svolto e i risultati conseguiti. È evidente che, anche in questo caso, la finalità dell’indagine ha contribuito a distinguere le due esperienze: nell’attuale Legislatura, infatti, le audizioni sono state programmate per descrivere l’esistente e individuare, sulla base delle
indicazioni e i suggerimenti forniti dagli auditi,
eventuali strumenti per far fronte ai problemi riscontrati. Si tratta dunque di un’attività ampia di
carattere valutativo e ricognitivo che, secondo
quanto indicato dallo stesso Presidente della Commissione durante il Convegno di presentazione del
documento, risponde al motto einaudiano “conoscere per deliberare”. L’indagine, infatti, è stata
considerata dalla Commissione attività imprescindibile per condividere tra le varie forze politiche
l’impegno a tenere alta l’attenzione sulla semplificazione anche in ragione dello stretto legame tra
questa politica e quella, più ampia, sulle riforme
amministrative.
In questa prospettiva, il documento conclusivo
rappresenta un fondamentale strumento di natura
politica sia perché nasce con l’apporto di tutti i
gruppi parlamentari, sia perché - sulla base delle
sue risultanze - sono state presentate e approvate
t/825?indagine=8.
(6) Il 9 giugno 2014 l’Assemblea della Camera, nella seduta
numero 241, ha svolto la discussione generale su 4 mozioni riguardanti la semplificazione normativa ed amministrativa (nn.
1/00487, Cozzolino; 1/00491, Prataviera; 1/00493, Balduzzi;
1/00487; 1-00509, Tabacci). Nella successiva seduta del 18
giugno, poi, è stata presentata un’ulteriore mozione, che costi-
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specifiche mozioni parlamentari sul tema (6) ed
elaborate specifiche proposte normative.
I risultati dell’indagine: le patologie della
semplificazione
Le audizioni svolte nel corso dell’indagine hanno consentito di far emergere, o più propriamente
di far riemergere, le principali patologie che ostacolano, ancora oggi, l’attuazione della politica di
semplificazione in Italia.
La diagnosi mette in risalto tre grandi questioni:
1) la qualità del legiferare; 2) lo stato della pubblica amministrazione; 3) la frantumazione territoriale.
1) La qualità del legiferare. Alla qualità del legiferare è dedicata la maggiore attenzione del documento. Si tratta di un tema complesso che coinvolge diversi problemi strutturali della legislazione
tra loro strettamente connessi, ovvero: l’eccesso, la
volatilità e il disordine della produzione normativa,
la mancata o parziale attuazione delle disposizioni,
il non funzionamento e la cattiva qualità delle norme.
L’indagine rileva, innanzitutto, che l’ordinamento giuridico italiano è caratterizzato da un “numero
eccessivo e tutt’oggi inconoscibile di norme, spesso
instabili e soggette a continue modifiche” (7). Tale
stratificazione normativa deriva da una molteplicità di fattori. Ad esempio, la disciplina nazionale di
recepimento di quella europea è più restrittiva e
dettagliata di quanto necessario, determinando
inutili costi ulteriori per cittadini e imprese in relazione ai quali il Parlamento accorda sovente proroghe o dispone correttivi. Inoltre, la prassi legislativa, privilegiando l’utilizzo della decretazione d’urgenza anche per la definizione di interventi ordinamentali, aumenta la volatilità dei testi normativi,
cioè la necessità di loro continue messe a punto, in
ragione dell’assenza di una progettazione legislativa
a monte e di un’adeguata istruttoria parlamentare
a valle.
Il disordine della regolazione italiana dipende
principalmente dal fatto che essa risulta «dispersa
in numerosissimi provvedimenti, sempre più spesso
a contenuto ommibus o multisettoriale» (8), ovvero
tuisce una sorta di testo unificato delle mozioni in discussione,
che è stata sottoscritta da rappresentanti di tutti i gruppi (n.
1/00509, Tabacci) e approvata all’unanimità.
(7) Commissione parlamentare per la semplificazione, Documento conclusivo, cit. 35.
(8) Ibidem, 36.
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sparsa in un sistema di fonti scarsamente coordinate tra loro e caratterizzata da rimandi continui a
fonti di rango inferiore la cui adozione è differita
nel tempo (9). I provvedimenti legislativi restano
di frequente inapplicati a causa della tardiva emanazione dei regolamenti e degli altri decreti ai quali spesso viene affidata l’attuazione delle proprie disposizioni.
L’instabilità che deriva dall’eccesso e dal disordine normativo, seppur fisiologica in ordinamenti
giuridici multilivello come il nostro, ostacola l’individuazione delle norme da applicare e rende il diritto incerto e la sua attuazione arbitraria. Effetti
negativi sono rilevati anche sulla qualità del testo
normativo. L’indagine mostra la tendenza a utilizzare norme poco chiare «formulate con ricorso ad
un dizionario per iniziati, spesso ambigue, il più
delle volte comprensibili soltanto attraverso la
consultazione delle disposizioni in esse richiamate,
talora così astruse che anche il legislatore necessita
che gli vengono spiegate» (10).
Ma quali sono le cause di questo fallimento che
permane, o addirittura risulta aggravato negli ultimi anni, nonostante gli strumenti adoperati per
migliorare e razionalizzare la qualità della regolazione?
Dalle audizioni svolte sono emerse tre cause
principali. La prima è l’effetto “tela di Penelope”.
Gli strumenti per una migliore normativa e per la
predisposizione di regole efficaci sono stati prima
introdotti e poi disapplicati in un meccanismo alternante di “regola e deroga” in base al quale ciò
che viene fatto con fatica un giorno viene rapidamente disfatto nei giorni successivi. Ne rappresentano un esempio le disposizioni sull’analisi di impatto della regolamentazione (Air) o sulla verifica
ex post di impatto della regolazione (Vir) la cui applicazione è stata vanificata dalle “necessità politiche che hanno (quasi sempre) imposto di prescindere da essa” (11).
La seconda causa è l’incapacità di cogliere appieno le potenzialità del «taglia-leggi». Poiché l’attenzione è stata concentrata sull’effetto spettacolare
degli interventi di riduzione dello stock normativo,
si è finito per trascurare l’opportunità più impor-
tante offerta dalla legge n. 246/2005, ossia la raccolta di norme per materie omogenee in vista di
un’eventuale codificazione.
La terza causa è l’inflazione normativa che spesso ha caratterizzato le disposizioni adottate per
semplificare. In realtà, il numero di volte in cui
viene riscritta una misura di semplificazione può
indicare non solo l’assenza di una visione chiara e
unitaria del legislatore, ma anche la manutenzione
necessaria a migliorarne la funzionalità. Tuttavia, è
evidente che l’instabilità produce l’effetto di aumentare l’incertezza tra i suoi destinatari come accaduto, ad esempio, per gli interventi sulla Denuncia di inizio di attività (Dia), sulla Segnalazione
certificata di inizio di attività (Scia) e sulla Comunicazione di inizio lavori asseverata (Cila) che
«non sovrapponendosi esattamente aumentano il
livello di confusione normativa» (12).
2) Lo stato della pubblica amministrazione. Una seconda patologia individuata nel documento conclusivo dell’indagine ha ad oggetto lo stato della
pubblica amministrazione. Su questo aspetto, viene
rilevato che «la problematica della semplificazione
deve essere inquadrata nel crocevia dei rapporti
che legano politica, amministrazione, magistratura,
imprese e cittadini» (13). La complicazione normativa e amministrativa è, infatti, in parte riconducibile al processo decisionale e al modo in cui sono
ripartite le responsabilità tra organi politici e amministrativi.
Due sono i problemi principali indicati: la perdita di autorevolezza e competenza tecnica della pubblica amministrazioni e la deresponsabilizzazione
della struttura burocratica.
Il documento rileva che ad incidere negativamente sulla valorizzazione delle competenze tecniche è stata l’applicazione dello spoils system. Si tratta di una pratica che, seppur non esclude di per sé
selezioni meritocratiche, è stata applicata nel corso
degli anni per ampliare e valorizzare il rapporto fiduciario tra il livello politico - eletto pro tempore e il livello amministrativo.
Questa scelta ha determinato evidenti ricadute
in termini sia qualitativi che quantitativi. Sul piano qualitativo, il documento individua la perdita
(9) Si tratta della cd. legislazione “a cannocchiale” su cui
vedi R. Zaccaria, Fuga dalla legge? Seminari sulla qualità della
legislazione, Brescia, Grafo edizioni, 2011, 15.
(10) Commissione parlamentare per la semplificazione, Documento conclusivo, cit., 38.
(11) Vedi in particolare Commissione parlamentare per la
semplificazione, Indagine conoscitiva, Seduta del 15 gennaio
2014, Audizione del Presidente della V Sezione del Consiglio di
Stato, Alessandro Pajno, p. 4 «[…] le procedure di controllo
della qualità della regolazione sono state o dimenticate o normalizzate dalle pubbliche amministrazioni, o messe nel nulla
dall’affermazione dell’esistenza di specifiche necessità politiche che imponevano di prescindere da esse. Tutta la decretazione d’urgenza degli ultimi tempi è stata adottata con questo
criterio».
(12) Ibidem, p. 4.
(13) Commissione parlamentare per la semplificazione, Documento conclusivo, cit., p. 43.
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della terzietà del processo decisionale che, piegato
al criterio della fedeltà al potere politico, finisce
per produrre norme e provvedimenti che non hanno la capacità di rimanere validi nel tempo, assicurando la necessaria certezza e stabilità del diritto e
dei rapporti giuridici. Analoghi gli effetti sul piano
quantitativo: «l’avvicendarsi senza sosta dei dirigenti amministrativi porta con sé un inevitabile
stimolo a produrre ad ogni piè sospinto nuove norme e nuovi regolamenti»; ciò al fine sia di «lasciare un’impronta del proprio passaggio nell’Amministrazione, sia per adeguare il funzionamento dell’amministrazione ai nuovi indirizzi politici che via
via si stratificano, quando non si contrappongono» (14). Si tratta, dunque, di un’attività che, privilegiando gli interessi individuali e settoriali, non
consente la formazione di un comune acquis sulla
semplificazione che, invece, permetterebbe l’adozione di una politica di lunga durata e maggiormente coerente con le scelte fatte.
Per altro verso, il documento ha indicato il problema della deresponsabilizzazione dei funzionari
amministrativi e delle strutture burocratiche. Ci si
riferisce alle resistenze che ostacolano l’attuazione
della semplificazione, in particolar modo quella di
tipo amministrativo. L’applicazione delle semplificazioni amministrative determina, tra l’altro, l’eliminazione di fasi procedimentali, la concentrazione del potere decisionale in un unico soggetto e la
riduzione delle sfere di imputazione delle responsabilità. La struttura burocratica, preoccupata della
maggiore responsabilità individuale - soprattutto
sul versante penale ed erariale - che segue a queste
misure produce la controspinta alla riduzione di tale rischio. I dirigenti e i pubblici funzionari, infatti,
attuano una strategia difensiva che si avvale di due
strumenti: il primo, è l’irrigidimento del procedimento attraverso la moltiplicazione e la ripetizione
di fasi deliberative o di momenti decisionali per
condividere la responsabilità (15); il secondo, è il
rifugio nella copertura legislativa che presenta norme sempre più di dettaglio. Si tratta, dunque, di
un problema che trova terreno fertile nella cattiva
qualità delle regole; quest’ultime, lungi dal rilevarsi
efficaci in ragione del loro livello di dettaglio,
«hanno finito per alimentare un contenzioso giurisdizionale arrivato a livelli insostenibili», se non
addirittura «diffusi fenomeni corruttivi» (16).
3) La frantumazione territoriale. La terza patologia
individuata dall’indagine conoscitiva è quella della
frantumazione territoriale. Si tratta di uno degli
aspetti più discussi durante le audizioni, che hanno
rilevato gli effetti negativi prodotti sul sistema amministrativo dalla modifica del Titolo V della Costituzione.
In particolare, è stato posto in risalto che «la riforma del Titolo V ha costituito un ibrido irrazionale, in cui l’intrecciarsi dei diversi livelli di governo ha duplicato o triplicato le responsabilità su
una stessa materia» finendo per generare «costi impropri, incertezza, inefficienza e poteri di veto» (17).
Gli effetti più rilevanti riguardano due aspetti:
innanzitutto, quello della complessità organizzativa
e degli assetti istituzionali che è andata progressivamente aumentando in termini di enti e soggetti
presso i quali sono allocate le funzioni legislative e
amministrative; in secondo luogo quello procedimentale, in quanto si è persa l’uniformità territoriale di procedure e prassi operative. Sul piano della prassi sono emersi i dati più significativi (18).
Occorre considerare che i “costi” sostenuti dagli
utenti per richiedere e ottenere autorizzazioni amministrative è determinato solo in parte da norme,
mentre sempre più rilevante risulta il peso delle richieste di dati tecnici, di formulari e di modulari
che, in ragione dell’autonoma potestà regolamentare degli enti locali, si sono sempre più differenziati. Così ad esempio, i trasporti eccezionali hanno
ancora oggi bisogno di un permesso per ogni Regione che attraversano; e l’istanza di un titolo abilitativo, in materia edilizia o commerciale, è accompagnata da un modulo specifico per ciascuno
dei circa 8.000 comuni italiani (19).
(14) Ibidem, p. 44.
(15) Su questi aspetti si veda anche A. Police, Riflessioni sui
tortuosi itinerari della semplificazione nell’amministrazione della
complessità, in Aperta Contrada. Riflessioni su società, diritto
economia, 16 febbraio 2013, disponibile alla pag. web
http://www.apertacontrada.it/2013/02/16/riflessioni-sui-tortuosi-itinerari-della-semplificazione-nellamministrazione-della-complessita/.
(16) Commissione parlamentare per la semplificazione, Documento conclusivo, cit., p. 44.
(17) Commissione parlamentare per la semplificazione, Indagine conoscitiva, Seduta del 4 febbraio 2014, Audizione del
Presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, p. 8.
(18) Su questi aspetti si veda in particolare Commissione
parlamentare per la semplificazione, Indagine conoscitiva, Seduta del 10 febbraio 2014, Audizione del Tavolo istituzionale
per la semplificazione.
(19) Proprio sui moduli in materia di edilizia, il Dipartimento
della funzione pubblica ha avviato un lavoro con le Regioni per
la predisposizione di un modulo unico (Cfr. Accordo tra il Governo, le Regioni e gli Enti locali, concernente l’adozione di
moduli unificati e semplificati per la presentazione dell’istanza
del permesso di costruire e della segnalazione certificata di inizio di attività edilizia, Rep. atti n. 67/CU del 12 giugno 2014).
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La Commissione individua alcuni rimedi che, alla luce delle indicazioni raccolte nelle audizioni,
sono ritenuti necessari per risolvere i problemi che
impediscono una piena efficacia delle politiche di
semplificazione. Si tratta di interventi diversi, in
parte già adottati nel passato, dal carattere sia puntuale, sia trasversale, quali, in particolare: prevedere norme sempre più auto-applicative; rilanciare la
digitalizzazione e la de-materializzazione dei flussi
informativi e documentali; utilizzare la cd. Agenda
per la semplificazione (20); rendere più operativi
l’Air, la Vir e l’Atn; incentivare il ricorso alle migliori pratiche; abbandonare le norme manifesto e
la legislazione per annunci; consolidare l’istituto
delle consultazioni pubbliche per individuare le
priorità della semplificazione; rafforzare la cooperazione inter-istituzionale; varare un programma di
liberalizzazioni; ridurre i tempi di adozione dei regolamenti tramite procedure per superare il dissenso da parte dei ministeri concertati; introdurre, anche tramite riforma costituzionale, leggi organiche
che regolino i diritti di cittadini e imprese.
Più in generale, tuttavia, il documento rileva la
necessità di effettuare un salto culturale nel modo
di concepire la politica di semplificazione che oggi
si presenta ancora troppo settorializzata e poco integrata alla riforma della pubblica amministrazione.
È necessario, dunque, avere il coraggio di incidere
con una logica di sistema «sulle macro-questioni
attinenti agli snodi istituzionali con particolare riguardo alle complicazioni derivanti dall’assetto territoriale e ai rapporti tra politica e amministrazione» (21), al numero eccessivo dei soggetti dotati di
potestà legislativa (22), alle tecniche legislative
adottate, spesso, in modo caotico e improvvisato (23).
Tre sono gli snodi principali su cui occorre intervenire.
Il primo è rappresentato dai rapporti tra politica
e amministrazione: occorre superare la logica del
rapporto fiduciario - esasperato dallo spoils system -,
rafforzando, in sede di accesso all’impiego, lo strumento concorsuale, e, in costanza di rapporto, introducendo «sistemi di valutazione periodica del
lavoro, del raggiungimento degli obiettivi e del
grado di soddisfazione dei cittadini, dai quali far dipendere la conferma o meno dei dirigenti amministrativi» (24).
Il secondo, è il superamento della diffidenza reciproca tra amministrazione, istituzioni politiche e
cittadini che, fino ad oggi, ha prodotto la moltiplicazione degli adempimenti formali e la gestione
dell’attività amministrativa «in termini punitivi o
di scoraggiamento per qualunque attività intrapresa
dai soggetti privati» frenata da «controlli preventivi più che altro meramente cartacei e formali» (25).
Il terzo, infine, è rappresentato dal superamento
della paralisi decisionale delle istituzioni cui hanno
supplito i meccanismi procedimentali; si tratta di
far leva sulla responsabilità politica per definire
precise «gerarchie tra gli interessi pubblici che
spesso confliggono tra di loro in modo da avere
chiaro - anche per periodi di tempo determinati gli interessi che devono prevalere» (26).
Da ultimo, tra i rimedi indicati merita una specifica menzione, per la sua logica di integrazione tra
tecniche di semplificazione normativa e amministrativa, il cd. programma di codificazione settoriale
attraverso la predisposizione di testi unici compilativi.
Si tratta di un programma articolato in tre fasi:
1) la ricognizione della legislazione vigente nei singoli settori e nella elaborazione di testi unici compilativi a norma dell’art. 17-bis della legge 23 ago-
(20) L’agenda è uno strumento per programmare gli interventi di semplificazione indicando obiettivi, responsabilità, scadenze e modalità di verifica del raggiungimento dei risultati attesi, da ultimo disciplinata dall’art. 24 del d.l. 24 giugno 2014,
n. 90, Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari.
(21) Commissione parlamentare per la semplificazione, Documento conclusivo, cit., p. 35.
(22) Secondo i dati forniti dalla Corte dei conti, per ogni
norma abrogata entrano in vigore 1,2 nuove norme (Cfr. particolare Commissione parlamentare per la semplificazione, Indagine conoscitiva, Seduta del 12 marzo 2014, Audizione del
Presidente della Corte dei conti, Raffaele Squitieri).
(23) «Si è progressivamente passati dal primato della legge
alla fuga dalla legge, dal ricorso alla procedura di delegificazione al ricorso al regolamento, alla fuga dal regolamento, alla
scelta a favore dell’atto non regolamentare, al continuo ricorso
al decreto legge, all’uso del maxiemendamento, al ricorso
sempre più pervasivo alle ordinanze normative» (Cfr. Commissione parlamentare per la semplificazione, Indagine conoscitiva, Seduta del 15 gennaio 2014, Audizione del Presidente della
V Sezione del Consiglio di Stato, Alessandro Pajno, p. 4).
(24) Commissione parlamentare per la semplificazione, Documento conclusivo, cit., p. 44.
(25) Ibidem, p. 45.
(26) Ibidem, pp. 45-46.
Questa complicazione inficia soprattutto l’attività imprenditoriale: i continui adattamenti richiesti
dalle amministrazioni per consentire alle imprese
di lavorare in più realtà territoriali costituiscono
una vera e propria barriera commerciale che porta
alla frantumazione del mercato interno.
I rimedi proposti dalla Commissione
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Inoltre, alla luce dell’esperienza fino ad oggi maturata dal governo sulla misurazione degli oneri (29), dovrebbero essere preliminarmente individuate le aree di regolazione più onerose al fine di
applicare la Moa esclusivamente ad esse. Si tratta,
infatti, di utilizzare in modo selettivo e parsimonioso una tecnica, come la misurazione degli oneri,
che si presenta particolarmente complessa poiché
di lunga durata, che implica l’intervento di diversi
soggetti con competenze di vario tipo, ma comunque a valenza specialistica e che richiede la costruzione di archivi e di banche dati (30).
sto 1988, n. 400, introdotto nella scorsa legislatura
dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, ma che ad oggi
non ha visto ancora sfruttate le sue potenzialità; 2)
la misurazione degli oneri amministrativi
(Moa) (27) derivanti dalle disposizioni vigenti; 3)
l’individuazione e l’adozione delle misure di semplificazione.
La previsione di questo percorso presenta molti
pregi. Innanzitutto, come accennato, quello di coniugare, in linea con gli orientamenti dell’Ocse, le
due declinazioni della semplificazione - normativa
e amministrativa - superando la tradizionale impostazione che, invece, tende a concepirle come parallele distinte.
Inoltre, l’utilizzo dei testi unici compilativi valorizza l’attività di manutenzione permanente dello
stock normativo poiché consente al Governo di
operare, a prescindere da una specifica - e limitata
nel tempo - delega, al fine di ordinare e sistematizzare le diverse disposizioni normative aventi ad oggetto la stessa materia. Si tratta dunque di un impegno continuativo che garantisce il riordino del
diritto esistente seppur rinunciando (almeno in
una prima fase) a modifiche di tipo sostanziale.
Come osservato, questo tipo di codificazione necessita di un «forte supporto politico, per superare
le inevitabili resistenze e i pericolosi fattori di inerzia». Il problema deriva dal fatto che si tratta di
«un’opera poco attraente per i governi» poiché «i
suoi effetti positivi si vedono in un termine che va
al di là delle singole tornate elettorali e non sono
facilmente imputabili» (28).
Per potenziare questo programma - quale base
conoscitiva per impostare le misure di semplificazione - potrebbe essere utile valorizzare ulteriormente l’attività di ricognizione della normativa
che, essendo propedeutica alla compilazione del testo unico, è già in grado di evidenziare i “colli di
bottiglia” e i maggiori problemi legati all’esercizio
dell’azione dei pubblici poteri.
In Italia non è ancora sviluppata una cultura di
stimolo, monitoraggio e controllo della politica di
semplificazione e, più in generale, di quella di better regulation da parte delle assemblee legislative (31).Fino ad oggi, dunque, il tema della qualità
della regolazione e della semplificazione è stato di
esclusivo appannaggio dei governi che, peraltro, lo
hanno sovente utilizzato in modo strumentale, con
finalità mediatiche.
Poco incisivo finora si è invece dimostrato l’impegno del Parlamento e la storia della stessa Commissione bicamerale ne costituisce una prova significativa. Quest’organo ha avuto un ruolo pregnante
solo nella sua prima stagione - durante la XIII Legislatura - in occasione dell’attuazione della legge
n. 59 del 1997 quando, tuttavia, la semplificazione
non costituiva l’oggetto principale dei suoi lavori,
ma solo una delle politiche della complessiva riforma organizzativa dello Stato e del suo disegno istituzionale. Viceversa, nelle ultime Legislature quando la Commissione per la semplificazione ha
avuto come interesse pressoché esclusivo l’attuazione del «taglia-leggi» - si è dovuto registrare un diffuso disinteresse per i suoi lavori da parte dei suoi
stessi componenti, al punto che, in varie occasioni,
(27) La Moa è una metodologia originariamente sviluppata
nei Paesi Bassi e attualmente adottata sia dai paesi dell’UE,
che dalla Commissione europea. Su questo tema, in italiano,
si veda F. Sarpi, La crociata contro gli oneri amministrativi. Attori, processi, tecniche e risultati della misurazione degli oneri amministrativi in alcuni paesi europei: un’analisi comparata, in A.
Natalini, G. Tiberi (a cura di), La Tela di Penelope, cit., 333 ss.;
S. Barbieri, I piani di riduzione degli oneri amministrativi in Europa: esperienze a confronto, ivi, 355 ss.
(28) Cfr. M. Clarich, B.G. Mattarella, Leggi più amichevoli:
sei proposte per rilanciare la crescita, in Centro studi Confindustria, Slegare l’Italia. Per liberare lo sviluppo da troppe norme
confuse, in Scenari economici, vol. 8, 2010, 68.
(29) Le attività di misurazione sono coordinate dall’apposita
task-force dell’Ufficio semplificazione del Dipartimento della
funzione pubblica con l’assistenza tecnica dell’Istat. La misura-
zione degli oneri amministrativi è stata introdotta in via sperimentale nel 2005 e in modo sistematico nel 2007 quando il
Piano d’azione per la semplificazione e la qualità della regolazione ha recepito l’obiettivo di riduzione proposto dal Consiglio
europeo ed ha individuato le aree di regolazione sulle quali avviare la Moa.
(30) Su questi aspetti si veda, Commissione parlamentare
per la semplificazione, Indagine conoscitiva, Seduta del 13
marzo 2014, Audizione del prof. Giulio Vesperini, p. 5.
(31) In verità, anche all’interno dello stesso esecutivo gli
strumenti di supervisione sono alquanto deboli, essenzialmente limitati alle funzioni di verifica delle AIR predisposte dai ministeri, attribuite al DAGL. Su questi aspetti sia consentito rinviare a M. Benedetti, Controllo e indirizzo della regolazione: gli
oversight bodies, in Riv. trim. dir. pubb., vol. 4, 2012, pp.
1057ss.
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Parlamento e politica di semplificazione
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non è stato nemmeno possibile rendere un formale
parere sugli schemi dei decreti legislativi di riordino normativo presentati dal Governo, per mancanza del numero legale; i pareri trasmessi, poi, contenevano solo osservazioni e mai condizioni (che, ai
sensi dell’art. 14, c. 22, l. n. 246 del 2005, avrebbero avuto efficacia semi-vincolante) sintomo di una
evidente strategia di self-restraint dell’organo (32).
Occorre dunque rilanciare il ruolo e il coinvolgimento del Parlamento nella programmazione e nell’attuazione delle politiche di semplificazione, adeguando l’ordinamento italiano alle migliori pratiche internazionali che, anche in questo campo, vedono affidare al potere legislativo, nell’ambito dei
propri poteri di indirizzo e di controllo, un’indispensabile funzione di guardiano e di pungolo del
sistema decisionale. Particolarmente significativa,
tra le altre, è l’esperienza statunitense, dove alla
“Subcommittee on Investigation, oversight and Regulation” del Congresso è affidato il compito di assicurare che le istanze di semplificazione a favore delle
piccole e medie imprese siano tenute in adeguata
considerazione durante l’istruttoria legislativa; e
tramite l’opera di monitoraggio e reporting del Government Accountability Office (Gao), il potere legislativo è in grado di verificare ex post l’efficace attuazione delle politiche di better regulation da parte
dell’amministrazione presidenziale (33).
In questa logica, deve essere rafforzato il legame
inter-istituzionale tra Governo e Parlamento al fine di assicurare la condivisione delle politiche di
semplificazione lungo tutto il percorso dalla progettazione, all’approvazione e fino all’attuazione degli
interventi. Lungo questa linea di azione si muove
il documento conclusivo dell’indagine che, nel par. 7
(Linee di azione della Commissione), riconosce la necessità di affidare alla Commissione bicamerale per
la semplificazione «un ruolo a tutto campo, che le
permetta di vigilare sulla attuazione delle norme
vigenti, sollecitando il Governo all’attuazione delle
migliori pratiche» (34).
Si tratta di una proposta ambiziosa per la cui
realizzazione occorre adottare apposite iniziative legislative (ordinarie e costituzionali); modificare i
regolamenti parlamentari; modificare la stessa prassi di lavoro della Commissione. In particolare è necessario, da un lato, integrare gli strumenti di indirizzo e controllo a disposizione della Commissione
bicamerale, così da renderla un effettivo watchdog a
presidio della semplificazione; dall’altro lato rendere maggiormente vincolanti per il Governo le indicazioni, i pareri e le risultanze delle indagini effettuate dalla Commissione stessa. Tra le misure concrete indicate dal documento per rilanciare il ruolo
della Commissione bicamerale, si segnalano: l’intensificazione della azione di indirizzo nei confronti
del Governo, anche tramite un maggiore coinvolgimento dei membri della Commissione e il più incisivo e frequente ricorso alla presentazione di mozioni, risoluzioni ed ordini del giorno per porre al
centro dell’agenda parlamentare le questioni prioritarie in materia di semplificazione; prevedere che
la Commissione possa pronunciarsi, in sede consultiva, su tutti i provvedimenti (leggi, decreti legislativi e regolamentari governativi) che incidono sugli oneri amministrativi a carico di cittadini e imprese; introdurre per legge apposite procedure di
programmazione degli interventi normativi, affidando proprio alla Commissione i compiti di monitoraggio della normativa vigente, al fine di formulare «le proposte ritenute opportune per rendere
più coordinata ed incisiva l’iniziativa dello Stato
in materia di semplificazione normativa e amministrativa».
(32) Un’analisi della funzione consultiva della Commissione
bicamerale per la semplificazione nella XV e XVI Legislatura è
in B. Cimino, S. Morettini, T. Palma, La delegazione legislativa,
in L. Duilio (a cura di), Politiche della legislazione. Oltre la crisi,
Bologna, 2013, 152 ss.
(33) Nel Rapporto del 2003, ad esempio, il GAO ha verificato la qualità dell’attività svolta dall’Office of Information and
Regulatory Affairs (OIRA), valutando, a campione, il controllo
svolto sulle analisi di impatto della regolazione predisposte da
nove agenzie federali (OMB’s Role in Reviews of Agencies’
Draft Rules and the Transparency of Those Reviews, GAO-03-
929, September 22, 2003). Il GAO ha emanato rapporti sull’attività di oversight dell’OIRA anche nel 2005 (Prior Reviews of
Federal Regulatory Process Initiatives Reveal Opportunities for
Improvements, GAO-05-939T, July 27, 2005), nel 2007 (Opportunities Exist to Improve Effectiveness and Transparency of Retrospective Reviews, GAO-07-791, July 16, 2007) e nel 2009
(Improvements Needed to Monitoring and Evaluation of Rules
Development as Well as to the Transparency of OMB Regulatory
Reviews, GAO-09-205, April 20, 2009).
(34) Commissione parlamentare per la semplificazione, Documento conclusivo, cit., p. 48.
Giornale di diritto amministrativo 10/2014
979
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Rubriche
Libri
Segnalazioni e recensioni
LE AVVENTURE DEL GIOVANE GIURISTA. GUIDA
ALLA RICERCA NEL DIRITTO
Giulio Napolitano (a cura di), Editoriale Scientifica, Napoli, 2014, p. 131, € 10
Esce la seconda edizione di questo utilissimo volumetto,
che intende offrire “un insieme ragionato di buoni consigli”
ai giovani che si avventurano nella ricerca giuridica.
Vi sono numerosi suggerimenti che riguardano non soltanto la metodologia di ricerca, ma anche i contenuti che il ricercatore deve costruire. Preziosi quelli che sottolineano la
necessità di non fermarsi all’analisi delle norme, della giurisprudenza e della dottrina, ma di formulare valutazioni critiche sulle disfunzioni del diritto vigente. Non meno utili i
suggerimenti sullo stile della scrittura: la concisione è essenziale e lo è anche il saper guidare il lettore con un’esposizione chiara, non appesantita da terminologie escludenti,
che nel diritto continuano ad avere un peso eccessivo.
Il volume contiene, poi, vere e proprie prescrizioni: ad
esempio, sulla redazione delle note e delle bibliografie. Esistono ormai sistemi uniformi di citazioni giuridiche con regole e criteri precisi, molto usati nel mondo angloamericano e utili da importarsi in Italia. La “Guida” ne dà conto
con minuziosa chiarezza.
Consigli sono forniti anche sulle letture: il giovane ricercatore non può mai trascurare i classici e, al tempo stesso,
deve sempre tenersi aggiornato sulle evoluzioni più recenti:
e deve aprirsi alla letteratura giuridica straniera, non dimenticando che il tradizionale nazionalismo e il carattere
domestico degli studi giuridici non sono ancora superati.
La proiezione internazionale è ormai indispensabile, in
un’epoca in cui si è diffusa la globalizzazione non solo economica, ma anche giuridica: non basta leggere contributi
stranieri; esperienze di lavoro e di ricerca giuridica all’estero sono essenziali e la “Guida” indica mete rilevanti.
In definitiva, nel fornire consigli e prescrizioni, il volume individua i tratti che devono caratterizzare il buon ricercatore:
la capacità di analisi critica del sistema giuridico; la terminologia chiara e aperta anche a cultori di altre discipline; la
cura nella redazione del testo e delle note; la conoscenza
dell’esperienza giuridica europea e globale. (Marco D’Alberti)
L’ISTRUZIONE PROBATORIA NEL PROCESSO
UNA LETTURA ALLA LUCE
DELL’ART. 111 DELLA COSTITUZIONE
AMMINISTRATIVO.
Raffaella Briani, Giuffrè, Milano, 2013, p. 373, € 38
La disciplina dell’istruttoria nel codice del processo amministrativo suscita ancora diversi interrogativi, poiché ambigua e incerta. Sembra permanere, infatti, una tendenza ad
armonizzare direttrici opposte: da un lato, l’attrazione verso
il modello processual-civilistico; dall’altro, la conferma del
metodo acquisitivo - elaborato da Benvenuti - quale modello proprio del processo amministrativo e in grado di assicurarne la specialità. Il tentativo dell’a. sta proprio nel superare questa ambiguità, adottando una lettura del codice
Giornale di diritto amministrativo 10/2014
orientata al principio costituzionale del giusto processo.
L’indagine si propone di verificare sul campo la specialità
della disciplina dell’istruttoria amministrativa rispetto ad altri modelli processuali, come quello del lavoro, tributario o
contabile. Sono esaminati i bilanciamenti tra i poteri officiosi del giudice e il principio della domanda e della terzietà,
nonché di parità delle parti, che sono essenziali per il giusto processo. Alla luce di ciò emerge chiaramente come
non potrà il giudice attivare poteri istruttori per finalità
esplorative atte a ricercare fatti nuovi, ulteriori rispetto alle
domande introdotte dalle parti. Né è tralasciato il rapporto
tra iniziativa probatoria delle parti e iniziative del giudice, in
cui si dimostra come non sia possibile ridurre le possibilità
di cognizione del fatto ai fini del sindacato sulla legittimità
dell’atto. In conclusione, la ricerca dimostra come le problematiche dell’istruttoria siano oggi poco riconducibili a
ragioni di specialità e come i poteri istruttori del giudice
siano condizionati a presupposti non frequenti, che si registrano allorquando la prova non sia nella disponibilità della
parte che può avvalersene. (Marco Macchia)
CONSENSO INFORMATO E INCAPACITÀ. GLI STRUMENTI
DI ATTUAZIONE DEL DIRITTO COSTITUZIONALE
ALL’AUTODETERMINAZIONE TERAPEUTICA
Benedetta Vimercati, Giuffrè, Milano, 2014, p. 354, €
36
Può il medico tramutarsi in un mero esecutore dell’autodeterminazione del paziente? Fin dove può spingersi il diritto
all’autodeterminazione terapeutica? Muovendo dal consenso informato nel rapporto medico - paziente, il volume approfondisce i meccanismi di attuazione del diritto costituzionale all’autodeterminazione terapeutica, sviscerando la
casistica di più difficile inquadramento, ossia le fattispecie
relative agli incapaci di intendere e di volere. Nella prima
parte del volume è indagata la disciplina europea e internazionale del consenso informato - considerato strumento
principe dell'“alleanza terapeutica” - nel suo statuto costituzionale, sia nella Convenzione di Oviedo che nella Carta
di Nizza, nonché il percorso della giurisprudenza, soprattutto della Corte costituzionale. A partire, infatti, dalla nota
sentenza n. 438 del 2008 del giudice delle leggi, il consenso informato è riconosciuto quale autonomo diritto soggettivo, rafforzato da una triplice copertura costituzionale,
espressione a sua volta della c.d. autodeterminazione terapeutica.
L’attenzione al riconoscimento del consenso informato
quale “diritto” dischiude a sua volta nuove e diverse questioni, connesse ai limiti di esso allorquando ad avvalersene siano soggetti poco abili a manifestare la propria volontà. Quali sono allora gli strumenti per tutelare il diritto all'autodeterminazione terapeutica degli incapaci? Prendendo spunto dalle proposte di legge sul testamento biologico,
nonché dall'istituto civilistico dell'amministrazione di sostegno, la ricerca getta luce sulla ricostruzione ex post della
volontà dell'incapace, nelle more di una auspicata regolamentazione per via legislativa delle direttive anticipate di
trattamento. (Marco Macchia)
981
Opinioni
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Unione europea
Strumenti di regolazione
Prima l’uovo o la gallina? La
smart regulation nelle decisioni
delle istituzioni europee
di Siriana Salvi e Francesco Sarpi
Il ricorso agli strumenti di smart regulation è ormai divenuto parte integrante dei processi decisionali europei,
condizionando anche l’attenzione dedicata a questi temi da parte degli Stati membri. Questo lavoro analizza
le decisioni assunte in questo ambito a livello europeo in relazione all’ultimo quinquennio. L’obiettivo è duplice: da un lato, ricostruire i principali orientamenti espressi in tali decisioni, evidenziando le tematiche affrontate in modo prioritario e la relativa evoluzione nel tempo; dall’altro, osservare in quale modo questi si sono
prodotti nelle interazioni tra le istituzioni che coordinano gli indirizzi e le politiche espresse dagli Stati membri
(il Consiglio europeo e il Consiglio dell’Unione europea), da un lato, e quella che rappresenta gli interessi dell’Unione europea nel suo complesso (la Commissione europea), dall’altro. Ciò che emerge è l’immagine di
un processo in buona misura guidato dalla Commissione e in cui le istituzioni che dovrebbero fornire gli input procedono con cautela, formulando indicazioni frutto di compromessi tra interessi contrapposti e in grado di determinare al massimo dei cambiamenti incrementali. Di un processo, in sostanza, il cui gioco di richiami e di rimandi ricorda assai da vicino il famoso paradosso dell’uovo e della gallina.
1. Premessa
Negli ultimi anni gli strumenti di qualità della regolazione hanno assunto un ruolo determinante
nella conformazione dei processi decisionali europei. Ciò ne ha incentivato il ricorso anche da parte
degli Stati membri, alcuni dei quali ormai riconoscono in tali strumenti anche un mezzo per aumentare la propria capacità di incidere sulle scelte assunte dalle istituzioni europee.
A riprova del crescente interesse per questi temi,
quasi tutti gli ultimi programmi delle presidenze di
turno dell’Unione annunciano iniziative sulla qualità della regolazione (smart regulation, nel più recente “linguaggio europeo”). Tuttavia, al di là dei
propositi, ciò che conta sono le decisioni assunte
dalle istituzioni europee e, soprattutto, le azioni
concretamente poste in essere dalla Commissione.
In questo scritto si analizzano gli obiettivi di qualità della regolazione fissati a livello europeo e si cerca di ricostruire in che modo essi sono stati definiti
nelle interazioni tra le diverse istituzioni, verificando, in particolare: 1. se i programmi delle presidenze di turno costituiscano un buon indicatore delle
decisioni assunte dal Consiglio dell’Unione europea (Ue); 2. in quale misura e con quali modalità
gli input politici, anche per come formulati dal
982
Consiglio europeo, si siano poi tramutati in iniziative della Commissione.
A tal fine, con riferimento all’ultimo quinquennio
(2010-2014), sono stati esaminati i documenti ufficiali più significativi: programmi delle presidenze,
conclusioni del Consiglio Ue (formazione Competitività, d’ora innanzi COMPET), conclusioni del Consiglio europeo. L’indagine è stata realizzata attraverso
l’individuazione dei temi più rilevanti per le politiche
di smart regulation, l’analisi della loro distribuzione nel
tempo e delle connessioni tra i diversi documenti.
L’analisi mostra una scarsa corrispondenza tra gli
esiti dei lavori del COMPET e gli orientamenti
delle presidenze di turno. Essa indica, in particolare, che c’è una correlazione debole tra la rilevanza
della smart regulation nelle conclusioni e la rilevanza degli impegni assunti con i programmi semestrali. Inoltre, mentre in genere le presidenze di turno
si sono concentrate su alcuni strumenti (per lo più
riduzione degli oneri regolatori e analisi d’impatto), le conclusioni del COMPET riguardano sempre una pluralità di temi e, sebbene emergano nel
tempo alcune tendenze generali (ad esempio, il peso crescente attribuito a strumenti quali il Refit, il
Test Pmi, la riduzione degli oneri regolatori e le
valutazioni congiunte tra Stati membri e Commissione), esse non sono esenti da oscillazioni (ad
Giornale di diritto amministrativo 10/2014
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Unione europea
esempio, in materia di analisi di impatto) e da veri
e propri ripensamenti.
Appare inoltre difficile stabilire una relazione causale specifica e costante tra conclusioni del Consiglio e iniziative adottate dalla Commissione. In diversi casi appare evidente come le indicazioni del
Consiglio appoggino la strategia elaborata dalla
Commissione; e anche quando le conclusioni formulano raccomandazioni più “originali”, difficilmente queste riescono a segnare una rottura rispetto alle strade già intraprese dall’esecutivo.
Nelle conclusioni del Consiglio europeo, nonostante la costanza degli orientamenti espressi (riduzione degli oneri regolatori, tutela delle Pmi e, più
di recente, programma Refit), è ancora più evidente il legame con le iniziative già avviate o annunciate dalla Commissione, le quali sono fatte oggetto, a seconda dei casi, di un semplice apprezzamento o, al limite, di una richiesta di accelerazione.
Ciò che emerge è quindi l’immagine di un processo
in gran parte dei casi guidato dalla Commissione e
in cui le istituzioni che dovrebbero fornire gli input
procedono con cautela, formulando indicazioni
frutto di compromessi tra interessi contrapposti e
in grado di determinare al massimo dei cambiamenti incrementali. Di un processo, in sostanza, il
cui gioco di richiami e di rimandi ricorda assai da
vicino il famoso paradosso dell’uovo e della gallina.
2. Obiettivi della ricerca e metodo
di indagine
Questo lavoro analizza le decisioni in materia di
qualità della regolazione assunte negli ultimi anni
a livello europeo. L’obiettivo è duplice. Per un verso, se ne vogliono ricostruire i principali orientamenti, evidenziando le tematiche affrontate in modo prioritario e la relativa evoluzione nel tempo.
Per un altro verso, si vuole osservare in quale modo tali orientamenti si sono prodotti nelle interazioni tra le istituzioni che coordinano gli indirizzi e
le politiche espresse dagli Stati membri (il Consiglio europeo e il Consiglio dell’Unione europea),
(1) COM(2010) 543 final.
Sebbene questo articolo sia il frutto del lavoro congiunto
dei due autori, S. Salvi ha scritto i parr. 1, 2, 3 e 5 e F. Sarpi i
parr. 4, 6 e 7. Le opinioni espresse e gli eventuali errori sono
da attribuirsi solo agli autori.
(2) Tale rilievo è cresciuto sensibilmente con la Strategia di
Lisbona, soprattutto in seguito alla Comunicazione Better Reg u l a t i o n f o r G ro w t h a n d J o b s i n t h e E u r o p e a n U n i o n
(COM(2005) 97 final).
(3) In merito va segnalato una disparità nei livelli di trasparenza e accessibilità delle informazioni relative alla qualità della
regolazione da parte delle diverse istituzioni. In particolare,
Giornale di diritto amministrativo 10/2014
da un lato, e quella che rappresenta gli interessi
dell’Unione europea nel suo complesso (la Commissione europea), dall’altro.
L’analisi si riferisce al quinquennio 2010-2014 (fino al mese di luglio 2014 compreso). Si tratta di
un periodo che si distingue dai precedenti in relazione sia ai contenuti che al grado di interesse per
le politiche di smart regulation.
Il 2010 ha infatti rappresentato uno spartiacque nelle politiche europee di qualità della regolazione. In
quell’anno, con la comunicazione “Smart Regulation in the European Union” (1), la Commissione
ha ridefinito il proprio approccio al tema, introducendo una visione ciclica del processo di elaborazione delle politiche (prima concentrato prevalentemente sulla fase ex ante rispetto all’adozione delle
scelte regolatorie) ed enfatizzando la condivisione
di responsabilità tra le istituzioni europee e gli Stati
membri. Ne sono derivate una maggiore attenzione,
rispetto al passato, per alcune tematiche (ad esempio, il c.d. “golplating”) e l’arricchimento dell’azione europea con nuovi strumenti, soprattutto nelle
fasi relative all’attuazione e alla revisione delle politiche (ad esempio, i fitness checks).
D’altra parte, il 2010 è anche l’anno dell’allargamento della crisi economica ai debiti sovrani dell’Eurozona. Considerato il rilievo riconosciuto alla
qualità della regolazione come fattore di competitività e crescita dell’economia europea (2), è ragionevole attendersi che il quinquennio considerato si
caratterizzi, rispetto al passato, per una maggiore
attenzione a livello politico per il tema.
L’indagine si è basata sui documenti mediante i
quali le tre istituzioni considerate esprimono le
proprie posizioni, così come pubblicati sui rispettivi
siti web istituzionali (3).
Per il Consiglio Ue, in particolare, sono state prese
in considerazione due tipologie di documenti: i
programmi semestrali delle presidenze di turno, in
cui queste definiscono le linee direttrici lungo le
quali intendono orientare i lavori del Consiglio e
dei suoi organi preparatori (par. 3), e le conclusiomentre la Commissione europea ha realizzato una sezione del
proprio sito web dedicata al tema (http://ec.europa.eu/smartregulation/index_en.htm), nel caso del Consiglio Ue i documenti delle conclusioni sono consultabili dalla pagina del sito
web dedicata ai comunicati stampa (http://www.consilium.europa.eu/press/press-releases/latest-press-releases) e sono filtrabili soltanto per formazione del Consiglio. Diverso è il caso del
Consiglio europeo, che non produce documenti specificamente dedicati al tema ma conclusioni generali al cui interno esso
può o meno trovare spazio (http://www.european-council.europa.eu/council-meetings/conclusions.aspx).
983
Opinioni
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ni del COMPET (4) (par. 4). E’ infatti a quest’ultima formazione del Consiglio che spetta affrontare
il tema della qualità della regolazione inteso come
politica generale (5), sebbene esso, per il suo carattere trasversale, possa risultare rilevante e, quindi,
essere affrontato, in relazione a specifiche materie,
anche da altre formazioni.
Per il Consiglio europeo, sono stati presi in considerazione i documenti di conclusioni generali (6)
prodotti al termine delle riunioni ordinarie e
straordinarie (par. 5).
Per la Commissione, infine, sono stati analizzati le
comunicazioni, i documenti di lavoro (“staff working document”) e i principali documenti di consultazione (par. 6).
Nel caso del Consiglio Ue e del Consiglio europeo (7) per ogni tipologia di documento sono stati
predisposti prospetti di sintesi che consentono di
rilevare la presenza di alcuni temi rilevanti. Tali
temi sono stati distinti tra principi e strumenti e riguardano gli aspetti che nel dibattito europeo sulla
qualità della regolazione degli ultimi anni hanno
assunto maggiore rilevanza.
Tra i principi sono stati considerati, in particolare:
- la proporzionalità (di cui il principio “Think
small first” è una particolare declinazione derivante
dallo Small Business Act e riferita alla necessità di
pensare anzitutto alle esigenze delle Pmi);
- la certezza normativa;
- la prevenzione o la riduzione del c.d. “goldplating” (ovvero l’aggiunta, in sede di trasposizione di
nazionale, di ulteriori adempimenti ed oneri non
previsti dalla disciplina europea);
- la trasparenza e l’ accessibilità della normativa,
innanzi tutto attraverso il ricorso a banche dati
pubbliche on-line;
- la semplificazione;
- il ricorso a decisioni basate sull’evidenza empirica.
Si tratta ovviamente soltanto di una selezione del
complesso dei principi che governano le politiche
di smart regulation, in cui si è cercato di concentra(4) Il Consiglio Ue si riunisce in dieci diverse formazioni, a
seconda dell'argomento trattato: Affari generali, Affari esteri,
Economia e finanza, Giustizia e affari interni, Occupazione, politica sociale, salute e consumatori, Competitività, Trasporti, telecomunicazioni e energia, Agricoltura e pesca, Ambiente,
Istruzione, gioventù, cultura e sport.
La formazione Competitività, in particolare, è stata creata
nel 2002 dalla fusione di tre diverse formazioni (Mercato interno, Industria e Ricerca).
(5) Il termine, di conio relativamente recente, che meglio
esprime il concetto è probabilmente quello di “meta-regolazione”, intesa come “sets of rules on the process of rule-formulation, adoption, implementation, and evaluation” (cfr. C. Radaelli, Better regulation and the Lisbon agenda, paper presenta-
984
re l’attenzione su quelli più significativi e più facilmente riconducibili in modo univoco al tema (8).
Quanto agli strumenti, si è tenuto conto dell’approccio ciclico alla qualità della regolazione oramai
assunto come standard condiviso a livello internazionale e sono quindi stati inclusi sia strumenti di
analisi ex ante della regolazione (in primo luogo,
l’analisi di impatto), sia di analisi ex post, nonché
strumenti trasversali quali la consultazione. In ogni
caso, si è tenuto conto soltanto degli strumenti riferiti alla gestione del ciclo decisionale e non anche alle soluzioni concretamente attuabili per il
miglioramento dell’ambiente regolatorio (ad esempio, digitalizzazione, SUAP, ecc.).
Questa schematizzazione ha agevolato l’esame diacronico degli orientamenti espressi da ciascuna istituzione e l’esame delle reciproche connessioni (par. 7).
3. I programmi in tema di smart
regulation dei paesi presidenti di turno
dell’Ue
Nel periodo 2010-2014 si sono avvicendati alla
presidenza dell’Unione europea dieci paesi: Spagna, Belgio, Ungheria, Polonia, Danimarca, Cipro,
Irlanda, Lituania, Grecia e Italia (9).
L’analisi dei relativi programmi consente di effettuare alcune valutazioni sulla rilevanza accordata
(almeno nei propositi) al tema della smart regulation e sulle intenzioni formulate da ciascuno in relazione a eventuali specifiche iniziative da intraprendere nell’ambito del COMPET.
Di seguito si formulano alcune osservazioni di sintesi, basate sulle parti dei programmi dei semestri
riferite alla smart regulation in generale o agli specifici temi (principi e strumenti) su cui si è scelto di
concentrare l’analisi (cfr. supra, par. 2). Nella selezione si è tenuto conto esclusivamente delle sezioni
dei documenti che affrontano la qualità della regolazione intesa come politica generale, da applicare,
cioè, trasversalmente a tutti i settori di attività
pubblica; sono state di conseguenza escluse le seto alla conferenza della European evaluation society “Evaluation in society: critical connections”, Londra 4-6 ottobre 2006).
(6) Cfr. nota 3.
(7) I documenti della Commissione sono, per loro natura,
orientati su alcune tematiche in modo più evidente.
(8) Non è stato ad esempio considerato il tema della partecipazione, che pur rappresentando uno dei principi fondamentali delle politiche di better regulation, è spesso menzionato in
relazione a politiche più ampie, relative alla promozione della
vita democratica dell’Unione.
(9) La presidenza italiana, sebbene tuttora in corso, può essere inclusa nell’analisi in relazione alle intenzioni esposte nel
programma del semestre, reso noto all’inizio di luglio 2014.
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- quelli che si sono limitati a richiami piuttosto generici alla rilevanza del tema (Ungheria e Cipro) (11) o ad alcuni suoi principi fondamentali
(Belgio e Irlanda; cfr. Tabella 1) (12);
- quelli che si sono invece spinti ad assumere impegni riferiti alla promozione di specifici strumenti di
qualità della regolazione (Spagna, Polonia, Lituania, Grecia e Italia; cfr. Tabella 1) (13).
zioni in cui questa è riferita a singoli contesti o
aree di regolazione (10).
Un primo dato di fondo che emerge dalla lettura
dei programmi è che tutte le presidenze oggetto di
analisi, ad eccezione di quella danese (primo semestre 2012), hanno previsto espliciti riferimenti alla
smart regulation. E’ possibile tuttavia, distinguere
due gruppi di paesi:
Tabella 1 - Temi oggetto dei programmi delle presidenze
Temi
2010
ES
2011
BE
HU
2012
PL
DK
2013
CY
2014
IE
LT
EL
IT
Principi
Proporzionalità
“Think small first”
X
X
X
X
X
Certezza normativa
Goldplating
Trasparenza e accessibilità
X
Semplificazione
X
X
X
Evidence-based decisions making
Strumenti
Consultazione
X
Oneri regolatori
X
Oneri amministrativi
X
X
X
X
X
ABRplus
Test competitività
X
Analisi di impatto
X
X
X
Alternative alla regolazione
Test Pmi
X
Altri test specifici (es. sociale,
genere, ecc.)
Impatto su Stati membri
AI su emendamenti
Valutazione ex post
Refit e fitness check
Valutazioni congiunte C-SM
X
X
X
X
Semplificazione del linguaggio
(10) Tali riferimenti “settoriali” sono in genere riferiti ad
azioni di semplificazione e di riduzione degli oneri regolatori.
(11) Ad esempio, il programma della presidenza ungherese
si limita, in tema di smart regulation, al seguente riferimento:
“We consider it important that the methods and tools of Smart
Regulation be used systematically in the European decisionmaking process, in order to strengthen the competitiveness of
Europe”.
(12) Ad esempio, il programma della presidenza belga contiene il seguente riferimento: “The Belgian Presidency will con-
Giornale di diritto amministrativo 10/2014
tinue the work carried out under previous presidencies to implement the Treaty of Lisbon. It will ensure this work is performed in a such way as to fully meet a prime objective: to make
the Union’s activity more efficient, coherent and transparent”.
(13) Ad esempio, il programma della presidenza spagnola
contiene il seguente riferimento: “The Spanish Presidency wishes to continue improving the regulation and design legislative
proposals assessing their impact. Likewise, reducing companies’ administrative burdens by 25% in 2012 is deemed a priority”.
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Opinioni
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- in una prima fase (presidenze spagnola, belga, ungherese, polacca e cipriota) sono stati collegati al
tema della realizzazione del mercato unico;
- in una seconda fase (presidenze irlandese e, in
parte, lituana) sono stati messi in relazione alle politiche a favore delle Pmi;
- in una terza, e per ora ultima, fase (in parte presidenza lituana e presidenze greca e italiana) hanno
viceversa formato oggetto di un interesse più specifico per il tema, testimoniato dalla previsione, all’interno dei programmi, di paragrafi ad esso dedicati.
Sembra quindi che la qualità della regolazione, che
pure continua a essere affrontata come prevalentemente funzionale alla competitività e alla crescita
e, quindi, concepita a beneficio delle imprese (17),
abbia iniziato a essere considerata un interesse pubblico autonomo, meritevole di un’attenzione dedicata e della formulazione di una strategia specifica.
Le presidenze che hanno assunto impegni più numerosi e puntuali sono quella lituana e quella italiana. La prima, in particolare, oltre a diversi riferimenti al miglioramento dell’ambiente regolatorio a
favore delle Pmi (inclusa l’applicazione del principio “Think Small First”), ha menzionato nel proprio programma la riduzione degli oneri regolatori,
il test Pmi, il test competitività e la valutazione ex
post (14). La seconda ha fatto riferimento a un novero ancora più ampio di principi e strumenti, includendo, oltre ai temi della proporzionalità, della
riduzione degli oneri regolatori e della valutazione
ex post, anche la semplificazione, la consultazione,
l’analisi d’impatto e il Refit (15).
In linea generale, tuttavia, guardando all’insieme
dei programmi, i riferimenti a specifici strumenti
della smart regulation sono stati per lo più limitati a
due temi: riduzione degli oneri regolatori (o amministrativi) e analisi d’impatto (cfr. Tabella 1).
Considerata l’enfasi posta in ambito europeo, a
partire dalla comunicazione della Commissione
sulla smart regulation del 2010 (cfr. par. 6), sull’esigenza di accompagnare con appositi strumenti di
analisi l’intero ciclo politico (16), colpisce in particolare l’assenza (con la già menzionata eccezione
del programma italiano) di riferimenti alla valutazione ex post (inclusi Refit e fitness check).
Dal punto di vista dell’evoluzione temporale, è
possibile notare come l’attenzione dedicata alle
questioni legate alla smart regulation, piuttosto elevata nel 2010 (presidenza spagnola e, in parte, belga), sia calata nel biennio 2011-2012, per aumentare poi in modo piuttosto vistoso a partire dal secondo semestre del 2013.
Parallelamente, si è verificato un mutamento nella
collocazione del tema all’interno dei programmi.
Infatti, pur rimanendo disposti prevalentemente
nella sezione dedicata all’attività del COMPET, i
riferimenti alla smart regulation:
4. Le conclusioni del COMPET
(14) “The Presidency will seek to ensure that the implementation of Smart Regulation initiatives would promote a favourable environment for business, in particular Small and Medium
Enterprises (SME), and contribute to enhanced competitiveness and the cutting the compliance costs. In consulting with
social partners and based on the best practice of the Member
States, efforts will be taken to improve the application of smart
regulation tools, such as SME test, competitiveness proofing
and ex-post evaluation. These aspects will be reflected in the
Council conclusions expected for adoption”.
(15) “The Presidency will strengthen efforts to ensure that
EU legislation is “fit for purpose” through the effective use of
smart regulation tools (regulatory costs reduction, impact assessment, evaluation and stakeholder consultation), particularly for SMEs and micro-enterprises, also on the basis of stakeholder consultation. The Italian Presidency will pay special attention to progress made by the Commission’s REFIT pro-
gramme, focusing on cooperation between the European
Commission and Member States in producing joint evaluations.”
(16) “[…] from the design of a piece of legislation, to implementation, enforcement, evaluation and revision” (European
Commission, Smart Regulation in the European Union, Brussels, 8.10.2010, COM(2010) 543 final).
(17) In materia di riduzione degli oneri, ad esempio, soltanto la presidenza ungherese ha menzionato un programma dedicato ai cittadini, comunque limitato al settore giustizia (“Last
but not least, in order to identify and minimise the administrative burden citizens face in their everyday life in a cross-border
context (marriages, divorces, succession), we will organize a
debate concerning the rights of the citizens of the EU”; Operational programme – Sezione “3. Justice and Home Affairs” –
Paragrafo “Justice”).
986
Lo strumento generalmente utilizzato dal COMPET per fornire indicazioni e raccomandazioni alle
varie istituzioni europee (incluso il Consiglio stesso) e agli Stati membri è un documento di “conclusioni” che, pur non avendo natura legislativa,
esprime un orientamento politico uniforme dei governi dell’Unione. Tali conclusioni sono, infatti,
adottate all’unanimità e continueranno ad esserlo
anche dopo la modifica del sistema di voto prevista
dal 1 novembre 2014.
Le conclusioni sono, quindi, il frutto di un lavoro
di negoziazione coordinato dalla presidenza di turno e che formalmente si svolge nell’ambito dei
gruppi di lavoro competenti per materia (dunque,
in primo luogo il Council working party on better regulation). In concreto, tuttavia, le trattative avvengono anche in modo informale, attraverso incontri
tra la presidenza e vari gruppi di paesi che esprimo-
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no posizioni divergenti, nonché con la Commissione, che è presente ai lavori dei working parties. Se
la presidenza, con il supporto del segretariato generale del Consiglio, è in grado di trovare un accordo
su una serie di punti e a formulare un testo condiviso, si giunge ad una proposta di conclusioni che
viene prima approvata dal Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri (il Coreper) e
poi definitivamente adottata dal Consiglio.
Ciò premesso, i documenti di conclusioni del
COMPET qui considerati sono otto (Tabella 2), di
cui uno adottato nel 2010, quattro nel 2011, uno
nel 2012 e due nel 2013. Quattro documenti riguardano la Smart regulation, mentre uno (quello
del dicembre 2011) riguarda in modo specifico l’analisi di impatto. Dei restanti, quello sullo Small
Business Act e quelli sulla competitività, pur non
riferendosi prioritariamente alla qualità della regolazione, contengono importanti richiami ed indica-
zioni su questo tema. Inoltre, è utile ricordare le
conclusioni sulla better regulation adottate il 3-4 dicembre 2009 che, sebbene non rientrino nel campo di osservazione prescelto, hanno ad oggetto
molti temi rilevanti ed hanno verosimilmente avuto un ruolo significativo nella definizione dell’agenda europea sulla qualità della regolazione degli
anni successivi (cfr. infra).
Infine, occorre richiamare il Consiglio del 29 settembre 2011, nel corso del quale si è preso atto di
una relazione della presidenza sulla riduzione degli
oneri amministrativi; tale soluzione è in genere utilizzata quando in Consiglio non si trova un accordo per adottare conclusioni, ma la presidenza di
turno ritiene comunque di lasciare agli atti la propria personale posizione su un determinato tema. È
evidente che il valore delle indicazioni riportate in
tali documenti è marginale e non impegna alcuna
istituzione.
Tabella 2 - Conclusioni del COMPET oggetto di analisi
Data
Titolo
12/2010
Council Conclusions on an integrated industrial policy for the globalisation era Putting competitiveness and sustainability at centre stage
05/2011
Conclusions on Smart Regulation
05/2011
Conclusions on the review of the "Small Business Act" for Europe
09/2011
Conclusions on a competitive European economy: Industrial competitiveness in the light of resource efficiency
12/2011
Conclusions on impact assessment
02/2012
Conclusions on a future smart regulation agenda with a strong end-user focus
05/2013
Council Conclusions on Smart Regulation
12/2013
Conclusions on Smart Regulation
Dalla lettura dei documenti di conclusioni emerge
il frequente ricorso a formule “di rito”, con cui
molto spesso si richiamano iniziative già intraprese
in passato o si rinvia a precedenti conclusioni del
Consiglio europeo e dello stesso COMPET, oppure
con cui si esprime una generica condivisione rispetto ad iniziative della Commissione già realizzate o in fase di sviluppo. Si tratta di espressioni che,
seppur non forniscono nuove indicazioni o richieste, sono in genere indispensabili per raggiungere
un accordo tra i vari paesi, in quanto assicurano
un equilibrio tra i vari interessi in gioco e garantiscono il compromesso necessario per giungere all’a-
dozione delle conclusioni. Accanto a queste vi sono poi, in misura più o meno numerosa ed incisiva,
vere e proprie raccomandazioni o richieste, che costituiscono il vero nucleo delle conclusioni e sono,
quindi, le più significative.
Per tali motivi, nell’analisi dei contenuti delle conclusioni sono stati distinti, da un lato, i meri riferimenti (18) ad iniziative svolte ed attività in corso
e, dall’altro, le indicazioni e le richieste espresse
nella forma di raccomandazioni indirizzate alle altre istituzioni europee o di impegni del Consiglio
stesso (19). All’interno di quest’ultima categoria, è
stata segnalata anche l’istituzione a cui esse sono
(18) È il caso di formule del tipo “The Council emphasises”,
“The Council recognises”, “The Council recalls”, ecc. Non sono stati comunque considerati i riferimenti che si limitano a riportare contenuti dei documenti richiamati (es. Conclusioni del
Consiglio europeo o documenti della Commissione).
(19) Adottati con formule del tipo “The Council commits itself”.
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D’altra parte, in diversi casi è evidente la forte collaborazione tra Consiglio e Commissione; in particolare, alcuni inviti o richieste che il Consiglio ha rivolto alla Commissione sono palesemente in linea con
iniziative che quest’ultima a breve distanza dalle conclusioni avrebbe adottato o aveva già adottato (21).
Una sintesi dei risultati dell’analisi è riportata nella
Tabella 3.
dirette: Parlamento europeo, Commissione, Consiglio Ue o Stati membri.
Nonostante il tentativo di classificare i vari contenuti dei documenti presi in esame, è utile sottolineare che a volte sono usate formule ambigue, a
fronte delle quali è più difficile stabilire se si è dinanzi ad un mero riferimento o ad un vero e proprio invito (20).
Tabella 3 - Temi oggetto delle conclusioni dei Consigli UE
Temi
2010
2011
2012
2013
12/10
05/11*
05/11
09/11
12/11
02/12*
05/13*
12/13*
BE
HU
HU
PL
PL
DK
IE
LT
Principi
Proporzionalità
R
“Think small first”
C
R
C, S
Certezza normativa
Goldplating
S
Trasparenza e accessibilità
P, I, C, S
Semplificazione
R
Evidence-based decisions making
R
R
R
C, S
R
R
S
R
C
R
S
S
S
C
C
R
R
R
R
Strumenti
Consultazione
P, I, C, S
Oneri regolatori
C
R
Oneri amministrativi
P, I, C, S
R
R
C, S
R
C
C
C
C
I, P, S
R
ABRplus
Test competitività
R
C
Analisi di impatto
C
R
C
C, I , S
(b)
C, S
Alternative alla regolazione
R
Test Pmi
R
Altri test specifici (es. sociale,
genere, ecc.)
R
Impatto su Stati membri
C
AI su emendamenti
P, I
Valutazione ex post
(d)
P ,I
S
Refit e fitness check
C
C, I , S
C, S
C
C
C, I
(b)
C
R
R
C
R
C
C
C
R
C, S(c)
C
C
I
(d)
, C,
(20) Si considerino, ad esempio, le conclusioni adottate a
maggio 2013, in cui si afferma che il Consiglio “PROPOSES
that the Commission and Member States work more closely
together to share good IA practice, with the aim to develop
comparable, transparent and flexible methodologies for IA
across all EU Institutions and Member States (…)”. Altro
esempio è fornito dalle conclusioni di dicembre 2012, dove il
Consiglio “STRONGLY SUPPORTS the recommendation of the
Impact Assessment Board for the Commission to make full
use of the new operational guidance documents to provide a
robust assessment of the impacts of proposals on competiti-
988
(a)
C
C
C
C
C
veness and SMEs, particularly on micro-enterprises”.
(21) Un esempio è fornito dalle conclusioni del dicembre
2013, in cui il Consiglio chiedeva alla Commissione “to publish
in its annual work programme all legislative initiatives deriving
from REFIT, including simplification of existing EU law, withdrawals, repeals and consolidations”. Ad ottobre 2013, nell’ambito della comunicazione “REFIT: Next steps” (COM 682
(2013)) la Commissione aveva appunto affermato che “The
Commission will identify all REFIT legislative initiatives including withdrawals, repeals and consolidations in its annual
work programme”.
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Temi
2010
2011
2013
12/10
05/11*
05/11
09/11
12/11
02/12*
05/13*
12/13*
BE
HU
HU
PL
PL
DK
IE
LT
Valutazioni congiunte C-SM
Semplificazione del linguaggio
2012
S
C, S
P, I, C, S
Legenda: R = mero riferimento; P = invito al Parlamento Europeo; C = invito o richiesta alla Commissione; S = invito o richiesta agli Stati membri; I
= invito o richiesta al Consiglio UE
(*) = Conclusioni specificamente dedicate alla smart regulation
(a) = La “I” si riferisce all’utilizzo da parte del Consiglio UE dei test competitività della Commissione
(b) = La “I” si riferisce all’utilizzo da parte del Consiglio UE dell’analisi di impatto della Commissione
(c) La “S” si riferisce all’uso nell’ambito dei lavori del Consiglio dell’analisi di impatto della Commissione (“CALLS ON Member States to extend the
practice of using impact assessments fully in Council discussions”)
(d) La “P” si riferisce all’utilizzo da parte del Parlamento delle valutazioni ex post della Commissione
(e) La “I” si riferisce all’utilizzo da parte del Consiglio UE delle valutazioni ex post della Commissione
Innanzi tutto, dal punto di vista temporale, emerge
una distribuzione disomogenea delle conclusioni
specificamente dedicate alla smart regulation: mentre nel 2010 non ci sono documenti di conclusioni
(probabilmente a motivo de già ricordato documento di dicembre 2009), ne figurano ben due nel
2013. Peraltro, questa distribuzione non coincide
con quella delle presidenze che avevano preso più
impegni in materia di qualità della regolazione nei
propri programmi per il semestre (cfr. par. 3).
Passando ai temi affrontati, le conclusioni che si
presentano più ricche di contenuti sono, come prevedibile, quelle dedicate alla smart regulation; altrettanto prevedibile è il diverso accento sui vari
strumenti e principi in base al focus principale
(smart regulation, analisi di impatto o competitività) delle conclusioni.
Più in dettaglio, nelle conclusioni riferite in modo
specifico alla “industrial competitiveness” (cioè
quelle di dicembre 2010 e di maggio e settembre
2011) è sempre richiamato il principio “Think
small first” e, in riferimento agli strumenti, le
principali raccomandazioni riguardano l’uso del
test competitività e dell’analisi di impatto; assente, invece, qualunque riferimento alla fase di valutazione ex post, nonché agli ultimi strumenti approntati dalla Commissione per la valutazione e
la semplificazione della regolazione (Refit e fitness
check).
Quanto, invece, alle quattro conclusioni dedicate
alla smart regulation, i principi su cui pongono
l’accento sono il “Think small first”, la trasparenza ed accessibilità della regolazione, la semplificazione e la necessità di ridurre o prevenire il goldplating nella trasposizione delle norme europee. In
merito agli strumenti, l’accento è posto soprattutto sul test Pmi, sulla riduzione degli oneri regolatori, sulla consultazione degli stakeholders e, da
quando è stato introdotto (dicembre 2012), sul
programma Refit. Tra i quattro documenti, il più
denso di contenuti, non solo dal punto di vista
degli strumenti menzionati, ma soprattutto delle
istituzioni coinvolte, è quello approvato dal Consiglio del maggio 2011. Inoltre, analizzando l’andamento nel periodo di tempo considerato dell’attenzione posta sui diversi strumenti di smart regulation, si osserva un peso crescente del Test Pmi e
delle valutazioni congiunte tra Stati membri e
Commissione che dovrebbero essere svolte nell’ambito di Refit, mentre un minore rilievo pare
attribuito agli oneri amministrativi (sostituiti di
recente da quelli regolatori, di cui sono comunque
parte). Assenti o marginali temi quali la semplificazione del linguaggio e l’ABRplus. Inoltre, si
possono osservare alcune oscillazioni nelle indicazioni fornite dal COMPET: l’analisi di impatto,
ad esempio, a cui era stata addirittura dedicata
una conclusione ad hoc nel secondo semestre
2011, è praticamente scomparsa nel 2012 e nel
primo semestre del 2013, per poi ricomparire nel
dicembre 2013. Infine, ci sono esempi di veri e
propri “ripensamenti”, come sulla valutazione di
impatto sugli Stati membri, che nelle conclusioni
del dicembre 2011 è richiamata, ma “in negativo” (22).
Ulteriori indicazioni circa le intenzioni espresse dal
COMPET nelle conclusioni esaminate provengono
dalla distribuzione delle richieste per tipologia di
istituzione a cui sono rivolte (cfr. Tabella 4).
(22) “[The Council] CONSIDERS that gathering of data on
the impact of draft legislative provisions on Member States,
may be costly and time-consuming when compared to its be-
nefits, possibly infringing the proportionality requirement in
such an exercise”.
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che emergono dall’analisi svolta forniscono un
quadro abbastanza puntuale delle tendenze in
corso.
In generale, oltre il 50% delle richieste contenute
nelle conclusioni del Consiglio è rivolto alla Commissione; seguono gli Stati membri (26%) ed il
Consiglio stesso (13%). Solo sporadicamente - ed
in modo assolutamente incostante nel tempo - il
Consiglio ha rivolto delle richieste al Parlamento.
Naturalmente, la concentrazione in determinate
conclusioni di raccomandazioni, richieste ed inviti del Consiglio su un particolare tema o rispetto ad una determinata istituzione non vuol dire
che non ci siano conclusioni che, sebbene “quantitativamente” meno rilevanti, non siano comunque significative dal punto di vista “qualitativo”
(cioè del rilievo specifico delle richieste avanzate
e dei contenuti) (23). In generale, però, i risultati
Tabella 4 - Numero di richieste rivolte alle diverse istituzioni nelle conclusioni del COMPET (1)
Istituzione
2010
2011
2012
2013
Totale
12/10
05/11*
05/11
09/11
12/11
02/12*
05/13*
12/13*
BE
HU
HU
PL
PL
DK
IE
LT
Principi
Parlamento UE
1
1
Consiglio UE
1
1
Commissione
1
Stati membri
1
1
2
2
2
2
2
1
7
1
8
Strumenti
Parlamento UE
5
Consiglio UE
5
Commissione
2
Stati membri
Totale
3
1
6
10
2
2
1
2
7
3
9
35
2
1
2
13
15
7
12
82
8
2
3
5
1
2
28
6
7
4
(1) Sono incluse le “richieste” e gli “inviti” di cui alla Tabella 3; sono esclusi i “meri riferimenti”.
I documenti che contengono il maggior numero di
richieste o inviti a porre in essere azioni in materia
di qualità della regolazione sono, come prevedibile,
quelli espressamente dedicati a questo tema e, in
particolare, quelli approvati nel corso della presidenza ungherese (oltre il 30%), di quella danese e
di quella lituana. Al riguardo, è utile ricordare che
quelle adottate a maggio 2011 furono le prime conclusioni successive alla pubblicazione della comunicazione della Commissione sulla smart regulation
di ottobre 2010 (24).
Ricorrendo anche in questo caso alla distinzione
tra principi e strumenti è possibile osservare che
gli inviti e le richieste rivolti alle istituzioni europee riguardano in particolar modo gli strumenti di
qualità della regolazione, mentre quelli rivolti agli
Stati membri sono distribuiti in modo più omoge-
neo tra principi e strumenti, sebbene permanga
una prevalenza di richieste riferite al ricorso a determinati strumenti.
Incrociando le informazioni contenute nelle Tabelle 3 e 4 emerge che la maggior parte delle richieste
avanzate alla Commissione riguarda tre strumenti:
test competitività, analisi di impatto e test Pmi.
Tuttavia, avuto anche riguardo all’andamento nel
tempo delle richieste formulate dal Consiglio, risulta uno spostamento nel corso degli anni dell’attenzione dagli strumenti di analisi ex ante a quelli
di analisi ex post, come risulta dall’aumento degli
inviti riferiti al Refit ed alla riduzione degli oneri
regolatori. Questa evoluzione è peraltro coerente
con le azioni messe in campo dalla Commissione
nel tempo (cfr. par. 6)
(23) Così, ad esempio, le conclusioni del maggio 2013 sono
le prime in cui il Consiglio chiede agli Stati membri di partecipare alle valutazioni congiunte con la Commissione.
(24) European Commission, Smart Regulation in the European Union, COM/2010/0543, 8 October 2010.
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coordinate a livello europeo (25) fin dall’ideazione
del programma d’azione del 2007 (26).
Il tema della riduzione degli oneri regolatori risulta
inoltre in genere collegato al principio “Think
small first”, mediante la richiesta, rivolta alla Commissione e agli Stati membri, di una particolare attenzione alle esigenze di semplificazione delle Pmi.
Nella prima parte del periodo considerato, tale
principio è declinato, in particolare, nella promozione di esenzioni e regimi semplificati per le microimprese (conclusioni del 24/25 marzo, 23/24
giugno e 23 ottobre 2011) e del test Pmi (conclusioni del 23/24 giugno e 23 ottobre 2011).
A partire dal marzo 2013, ossia circa tre mesi dopo
la comunicazione della Commissione europea “EU
Regulatory Fitness” (cfr. infra, par. 6), accanto alla
riduzione degli oneri regolatori, e anzi in forte connessione con questo strumento, emerge chiaramente come tema prioritario il programma Refit. In
merito, in particolare, il Consiglio europeo esorta a
più riprese la Commissione e il Parlamento ad una
rapida attuazione dell’iniziativa e alla semplificazione della vigente legislazione europea anche attraverso il ritiro delle proposte pendenti ormai superate e l’abrogazione degli atti legislativi obsoleti.
Nelle conclusioni del giugno 2014, infine, particolare attenzione è dedicata all’esigenza di completare le misure stabilite dalla Commissione europea
nell’ambito del Refit con iniziative a livello nazionale (27); in questo ambito, il Consiglio europeo
invita gli Stati membri a sfruttare appieno, in particolare, le previsioni di flessibilità normativa «for
the benefit of small and medium-sized entreprises
in the implementation of EU legislation».
5. Le conclusioni del Consiglio europeo
Non è infrequente che le conclusioni del Consiglio
europeo menzionino, nella sezione dedicata alla
politica economica o (secondo l’articolazione più
recente) alla crescita e alla competitività, l’esigenza di provvedere al miglioramento dell’ambiente
regolatorio europeo.
Nel periodo analizzato, in particolare, si contano
nove conclusioni con riferimenti alla smart regulation, distribuite in modo piuttosto disomogeneo nel
tempo e concentrate, per lo più, nel 2011 (cfr. Tabella 5).
Dall’esame delle parti dei documenti riferite a questo tema emerge che in materia di smart regulation
il Consiglio europeo tende a riferirsi a iniziative
già avviate o annunciate dalla Commissione, le
quali sono quindi fatte oggetto, a seconda dei casi,
di un semplice apprezzamento o di una richiesta di
accelerazione.
Dalla scelta delle tematiche affrontate e dall’enfasi
posta su alcune di queste emergono tuttavia in modo piuttosto nitido le priorità e gli orientamenti
del Consiglio europeo in materia di qualità della
regolazione.
Come risulta evidente dalla seguente tabella, il tema largamente più menzionato, tra gli strumenti, è
quello della riduzione degli oneri regolatori, rispetto al quale il Consiglio europeo auspica in modo
pressoché costante un’azione intensa e congiunta
da parte degli Stati membri e della Commissione.
Si conferma, così, il ruolo di primo piano che il
Consiglio ha inteso rivestire nella promozione di
iniziative di misurazione e riduzione degli oneri
Tabella 5 - Temi oggetto delle conclusioni del Consiglio europeo
2010
-
2011
03/11
06/11
2012
10/11
12/11
10/12
2013
03/13
10/13
2014
03/14
06/14
Principi
Proporzionalità
X
“Think small first”
X
X
X
X
X
X
X
X
Certezza normativa
(25) Già nelle conclusioni del 23 marzo 2005, il Consiglio
europeo aveva invitato la Commissione e il Consiglio “to consider a common methodology for measuring administrative
burdens with the aim of reaching an agreement by the end of
2005”. Due anni dopo, nelle conclusioni dell’8/9 marzo 2007, il
Consiglio ha accolto la proposta della Commissione di fissare
un obiettivo di riduzione del 25% degli oneri amministrativi entro il 2012, invitando gli Stati membri a fissare target analoghi
a livello nazionale.
(26) Commission of the European Communities, Action Programme for Reducing Administrative Burdens in the European
Giornale di diritto amministrativo 10/2014
Union, Brussels, 24.1.2007, COM(2007) 23 final.
(27) Un riferimento all’esigenza di coordinare le misure di
semplificazione è contenuto anche nelle conclusioni dell’ottobre 2013, nelle quali il Consiglio europeo sottolinea l’esigenza
di un monitoraggio del Refit mediante uno scoreboard omnicomprensivo dei progressi compiuti a livello europeo e nazionale e accoglie con favore i passi già intrapresi dagli Stati
membri e dall'Ue “aimed at better identification of excessively
burdensome regulation, noting in this respect the subsidiarity
and proportionality principles”.
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2010
-
2011
03/11
06/11
2012
10/11
12/11
10/12
Goldplating
2013
03/13
10/13
2014
03/14
06/14
X
Trasparenza e accessibilità
X
Semplificazione
X
X
X
Evidence-based decisions making
Strumenti
Consultazione
Oneri regolatori
X
X
Oneri amministrativi
X
X
X
X
X
X
X
ABRplus
Test competitività
X
Analisi di impatto
X
Alternative alla regolazione
Test Pmi
X
X
Altri test specifici (es. sociale,
genere, ecc.)
Impatto su Stati membri
AI su emendamenti
Valutazione ex post
X
Refit e fitness check
X
X
X
X
Valutazioni congiunte
C-SM
Semplificazione del linguaggio
6. Le azioni della Commissione
Nel periodo di tempo qui considerato, la Commissione europea ha pubblicato, con un andamento
crescente, 26 documenti relativi alla qualità della
regolazione (cfr. Tabella 6): di questi, 12 sono comunicazioni, 8 documenti di lavoro e 5 documenti
di consultazione (di cui 3 relativi a documenti metodologici).
Tabella 6 - Documenti Commissione su smart regulation 2011-2014 (*)
Data
Rif. documento
Titolo/Oggetto
18.6.2014
COM(2014) 368 final
REFIT: state of play and outlook
18.6.2014
SWD(2014) 192 final
Commission Staff Working Document accompanying the document “REFIT: state of
play and outlook” (REFIT Scoreboard)
1.7.2014
-
Public consultation on Commission's Stakeholder Consultation guidelines
1.7.2014
-
Public consultation on Revised impact assessment guidelines
11.11.2013
-
Public consultation on Commission Evaluation Policy Guidelines
2.10.2013
COM(2013) 685 final
Regulatory Fitness and Performance (REFIT): Results and Next Steps
2.10.2013
COM(2013) 686 final
Strengthening the foundations of Smart Regulation – improving evaluation
1.8.2013
SWD(2013) 401 final
Regulatory Fitness and Performance Programme (REFIT): Initial Results of the Mapping
of the Acquis
30.7.2013
COM(2013) 566 final
Annual Report 2012 on Subsidiarity and Proportionality
992
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Data
Rif. documento
Titolo/Oggetto
18.6.2013
COM(2013) 446 final
Commission follow-up to the "TOP TEN" Consultation of SMEs on EU Regulation
7.3.2013
COM(2013) 122 final
Smart regulation - Responding to the needs of small and medium - sized enterprises
7.3.2013
SWD(2013) 60 final
Monitoring and Consultation on Smart Regulation for SMEs
17.1.2013
SWD(2013) 3 final
Assessing territorial impacts: Operational guidance on how to assess regional and local
impacts within the Commission Impact Assessment System
12.12.2012
COM(2012) 746 final
EU Regulatory Fitness
12.12.2012
SWD(2012) 422 final
Review of the Commission Consultation Policy
12.12.2012
SWD(2012) 423 final
Action Programme for Reducing Administrative Burdens in the EU Final Report
28.9.2012
-
Consultation: “Which are the TOP10 most burdensome EU legislative acts for SMEs?”
10.7.2012
COM(2012) 373 final
Report from the Commission on Subsidiarity and Proportionality
(19th report on Better Lawmaking covering the year 2011)
27.6.2012
-
Stakeholder consultation on smart regulation in the EU - Follow up to the 2010 communication on Smart Regulation
7.5.2012
-
Operational guidance on assessing impacts on micro-enterprises in Commission Impact Assessments
27.1.2012
SEC(2012) 91 final
Operational Guidance for assessing impacts on sectoral competitiveness within the
Commission impact assessment system - A "Competitiveness Proofing" Toolkit for use
in Impact Assessments
23.11.2011
COM (2011) 803 final
Minimizing regulatory burden for SMEs. Adapting EU regulation to the needs of microenterprises
10.6.2011
COM(2011) 344 final
Report from the Commission on Subsidiarity and Proportionality (18th report on Better
Lawmaking covering the year 2010)
6.5.2011
SEC(2011) 567 final
Operational Guidance on taking account of Fundamental Rights in Commission Impact
Assessments
8.10.2010
COM(2010) 547 final
Report from the Commission on Subsidiarity and Proportionality (17th report on Better
Lawmaking covering the year 2009)
8.10.2010
COM(2010)543
Smart Regulation in the European Union
(*) Sono esclusi i documenti periodici che la Commissione pubblica in attuazione della politica di smart regulation (ad es. relazioni sull’analisi di impatto, roadmpas, IAB reports, ecc.).
Tra i documenti considerati, la comunicazione sulla “smart regulation” (28) ha avuto un ruolo molto
significativo non solo perché ha ridefinito la politica della Commissione e le azioni poste in essere
negli anni successivi, ma anche perché ha inciso in
modo significativo sulle le posizioni espresse dal
Consiglio UE. Le tre priorità definite in questa comunicazione (rilevanza della qualità della regolazione durante l’intero policy cycle; responsabilità
congiunta di istituzioni europee e Stati membri per
garantire un migliore ambiente regolatorio; ruolo
delle consultazioni) hanno in effetti orientato tutta
la strategia di smart regulation degli anni a venire.
Date queste premesse, la Commissione ha innanzi
tutto proseguito il programma di misurazione e riduzione degli oneri amministrativi lanciato nel
2007 (29) e, nel corso del 2011, si è concentrata
sulla riduzione degli oneri per le Pmi (tema peraltro continuamente ripreso e a tutt’oggi in cima all’agenda) e sull’introduzione di documenti metodologici relativi alla valutazione, nell’ambito dell’analisi di impatto, di specifici effetti. Nel 2012 la
Commissione ha posto in essere azioni significative: dopo aver lanciato una consultazione pubblica
sul follow-up della smart regulation ed una sulle dieci norme più onerose per le Pmi europee, a dicembre ha adottato la comunicazione “EU Regulatory
fitness”, con cui è stato annunciato il programma
Refit, volto ad “eliminare i costi superflui della regolamentazione (gli oneri) e a garantire che il corpus legislativo europeo resti idoneo allo scopo”, individuando “oneri, incoerenze, lacune e misure
(28) La COM (2010)543 fu preceduta il 10 febbraio 2010
dalla comunicazione C(2010) 1100 del Presidente della Commissione “The Working Methods of the Commission 2010-
2014” che dedicava un paragrafo apposito alla nuova politica
di qualità della regolazione.
(29) Cfr. nota 26.
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inefficaci”. Il 2013 è stato dedicato all’avvio del
Refit, attualmente ancora al centro degli sforzi della Commissione, completando la “mappatura” della
regolazione europea e definendo le prime azioni di
semplificazione. Nei primi mesi del 2014 la Commissione (oramai a fine mandato) ha agito su due
fronti: ha lanciato consultazioni pubbliche su alcuni documenti metodologici ed è andata avanti con
il Refit, pubblicando anche il primo scoreboard,
cioè l’elenco dettagliato di tutte le azioni di semplificazione, riordino, ritiro e valutazione delle norme europee realizzate e previste, indicando le iniziative di Parlamento e Consiglio che, a suo giudizio, hanno peggiorato le proposte che inizialmente
aveva formulato, riducendo i benefici per i destinatari.
Al termine di questa ricostruzione pare opportuno
segnalare brevemente alcuni elementi.
Innanzi tutto, diversi strumenti introdotti negli ultimi anni (ad esempio, la misurazione degli oneri
amministrativi) riflettono richieste avanzate dagli
Stati membri o dagli stessi stakeholders (si pensi all’accento sulla consultazione). E in effetti, come
noto, le scelte adottate dalla Commissione non sono prese in modo isolato rispetto alle posizioni
espresse dai vari paesi (non solo attraverso le conclusioni del Consiglio Ue).
In secondo luogo, le azioni della Commissione (o
meglio, le intenzioni espresse nei documenti pubblicati) sono state anche influenzate dalla situazione economica europea, come emerge dalla sempre
maggiore enfasi posta su temi quali la riduzione dei
costi regolatori, la tutela delle Pmi ed il rilancio
della competitività.
Inoltre, è utile evidenziare il maggior peso assunto
nel corso degli anni dalla valutazione ex post e dall’attuazione delle policies. Al riguardo, va ricordato
che dapprima la Commissione ha introdotto, in
modo sperimentale e decisamente lento, i c.d. fitness checks, che consistono in valutazioni di interi
settori normativi realizzate sulla base di metodologie a lungo poco chiare. Dopo circa due anni, è
stato avviato il programma Refit ed è stata lanciata
la consultazione sulle nuove linee guida per la valutazione ex post.
Infine, questo nuovo accento sulla valutazione degli impatti prodotti dalle norme in vigore si è accompagnato ad un maggiore coinvolgimento degli
Stati membri, ai quali già sono stati chiesti numerosi dati per valutare gli effetti delle misure di sem(30) Da ultimo, nel programma presentato al Parlamento
europeo il 15 luglio 2014 il Presidente Junker ha confermato
994
plificazione degli oneri amministrativi (nell’ambito
del programma ABRplus) e che in futuro dovrebbero svolgere “valutazioni congiunte” con la Commissione nell’ambito di Refit.
Conclusioni
La politica di qualità della regolazione a livello europeo ha assunto nel corso degli ultimi anni un
ruolo molto significativo: temi quali l’analisi di impatto e la valutazione ex post della regolazione europea, la riduzione degli oneri e la semplificazione
delle norme non sono più solo argomento di studio, ma oramai saldamente al centro delle azioni
che la Commissione e, in misura sempre maggiore,
anche le altre istituzioni europee pongono in essere. Mentre in passato (sostanzialmente, sino a metà
degli anni 2000) le iniziative volte a migliorare
l’ambiente normativo erano sporadiche, contraddittorie, prive di un quadro complessivo e fortemente frenate dalle burocrazie comunitarie, nel
corso degli ultimi anni esse sono state messe a sistema, assumendo, per una serie di motivi ben noti
e che qui non sono riportati, una valenza politica
significativa (30) ed una incidenza crescente nella
definizione e revisione delle norme europee (dunque, in ultima istanza, delle regole valide in tutti
gli Stati membri).
La definizione della politica in esame dipende sia
dall’interazione tra una pluralità di istituzioni europee (Commissione, Consiglio Ue e Consiglio europeo), sia dalle priorità espresse dagli Stati membri
e dai diversi stakeholders. Essa è, dunque, il frutto
di compromessi tra interessi a volte fortemente
contrapposti, esattamente come accade per le altre
politiche dell’Unione.
Nel presente lavoro è stato analizzato l’esito di tali
negoziazioni che spesso assume contorni poco definiti, ricorre ad un linguaggio poco diretto e procede in genere per via incrementale. A tal fine, in riferimento agli ultimi cinque anni, sono stati analizzati i più significativi documenti ufficiali sulla qualità della regolazione.
L’obiettivo della ricerca è stato quello di verificare
i principali input per le politiche di smart regulation, da quali istituzioni provengono e a quali azioni conducono, verificando la coerenza tra le indicazioni fornite nei documenti finali adottati.
L’analisi dei programmi delle presidenze ha rivelato
che, ad eccezione del caso danese, sono sempre
l’importanza della better regulation annunciando la delega ad
un Vice Presidente su questo tema.
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presenti riferimenti alla smart regulation, in alcuni
casi in modo generico, in altri (come nel caso dell’Italia) in modo molto più specifico. Nel complesso, le presidenze di turno si sono concentrate su
due argomenti: riduzione degli oneri regolatori (o
amministrativi) e analisi d’impatto. È interessante,
inoltre notare, che la collocazione della qualità
della regolazione all’interno dei programmi di presidenza è mutata: dapprima collegata alle iniziative
per il mercato unico, essa è stata successivamente
messa in relazione alle politiche a beneficio delle
Pmi e, da ultimo, ha assunto una posizione autonoma.
Quando si guarda alle conclusioni del COMPET
emerge chiaramente una scarsa corrispondenza tra
queste ultime e i programmi delle presidenze di turno. L’analisi ha mostrato che, in effetti, non c’è
correlazione tra l’adozione di conclusioni del Consiglio e la rilevanza degli impegni presi con i suddetti programmi: presidenze che non avevano previsto azioni specifiche in tema di qualità della regolazione (come quella danese), o che avevano assunto impegni molto blandi o generici al riguardo
(come nel caso di Belgio, Ungheria e Irlanda),
hanno portato all’approvazione di conclusioni,
spesso specificamente dedicate alla smart regulation;
viceversa, paesi che avevano annunciato proposte
puntuali (come la Spagna e la Grecia) non sono
stati in grado di (o non hanno voluto) condurre all’adozione di conclusioni del Consiglio.
Una maggiore coincidenza si osserva, limitatamente ad alcuni casi, tra le priorità delle presidenze e i
contenuti delle conclusioni, laddove adottate. Così, ad esempio, la Polonia ha dato seguito all’impegno sull’analisi di impatto riuscendo a far approvare un’apposita conclusione del Consiglio dedicata a
questo strumento; contemporaneamente, sotto la
presidenza polacca, il Consiglio ha adottato anche
conclusioni più generali sulla smart regulation in
cui sono stati affrontati temi ulteriori rispetto all’analisi di impatto e la presidenza ha presentato una
relazione sulla riduzione degli oneri amministrativi
(di cui ha preso atto il Consiglio nel settembre
2011). Allo stesso modo, le conclusioni adottate
nel dicembre 2013 affrontano tutti (sebbene non
solo) i temi rientranti nel programma della presidenza lituana (oneri regolatori, test di competitività, valutazioni ex post, test Pmi e principio “Think
small first”).
In definitiva, quindi, è possibile affermare che i
programmi delle presidenze di turno non sono un
buon anticipatore della adozione di conclusioni del
COMPET. Ciò non deve sorprendere: al di là delle
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intenzioni di un paese, conclusioni, come quelle in
materia di smart regulation, che devono essere prese
all’unanimità, dipendono fondamentalmente dalla
concreta possibilità di trovare un accordo tra ben
28 paesi. E così, anche (o forse proprio) paesi che
non hanno programmi particolarmente ambiziosi
su questo tema possono avere una capacità negoziale tale da consentire l’adozione di conclusioni
del Consiglio, tenuto anche conto delle relazioni
che si vengono a creare tra Stati membri e istituzioni europee durante il semestre che si presiede.
L’analisi delle conclusioni del Consiglio Ue, in cui
sono stati distinti i meri “riferimenti” (ovvero semplici richiami) a determinati temi dalle vere e proprie richieste avanzate dal Consiglio, propone più
piani di lettura.
Innanzi tutto, emerge l’importanza del linguaggio
utilizzato. Un linguaggio spesso retorico e ripetitivo, attento al ricorso a determinati termini piuttosto che ad altri, frutto evidentemente della necessità di assicurare il necessario equilibrio tra paesi (tipicamente quelli del nord Europa e alcuni paesi del’est) che pongono l’accento su un approccio più
“aggressivo”, che concentri l’attenzione sulla quantificazione degli impatti, la riduzione degli oneri regolatori e un minor peso della regolazione europea
e paesi (molti di quelli mediterranei, ma anche
Belgio, Lussemburgo ed alcuni paesi del’est) che
hanno un atteggiamento più prudente, centrato sul
valore aggiunto della regolazione europea e attento
ad un maggiore equilibrio tra la competitività e la
tutela di interessi pubblici quali l’ambiente, la sicurezza sociale, ecc.
In secondo luogo, passando ai contenuti delle conclusioni, in linea generale essi riguardano sempre
una pluralità di strumenti e richiamano molteplici
principi di qualità della regolazione. Nel corso del
tempo si osserva un peso crescente attribuito a
strumenti quali il Refit, il Test Pmi, la riduzione
degli oneri regolatori e le valutazioni congiunte tra
Stati membri e Commissione che dovrebbero essere svolte nell’ambito del Refit, mentre un minore
rilievo è attribuito agli oneri amministrativi. Oltre
il 50% delle richieste formulate dal Consiglio è rivolto alla Commissione.
In terzo luogo, appare difficile stabilire una relazione causale specifica e costante tra conclusioni del
Consiglio e iniziative adottate dalla Commissione.
In diversi casi (si pensi alle conclusioni del maggio
2011 e del maggio 2013) è particolarmente evidente che le conclusioni del Consiglio seguano le iniziative della Commissione e sostanzialmente appoggino la strategia posta in essere da quest’ultima:
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il testo adottato non solo è ricco di espressioni che
sottolineano il sostegno del Consiglio alla Commissione, ma anche quando si formulano richieste,
in realtà si riferiscono ad azioni che la Commissione ha già realizzato o che si appresta a porre in essere. In altri casi (ad esempio, conclusioni del febbraio 2012 e del dicembre 2013), il Consiglio sembra aver scelto una strategia più autonoma, con richieste alla Commissione meno scontate (si pensi,
ad esempio, alla previsione di target di riduzione
degli oneri, alla richiesta di consultare gli stakeholders anche sulle opzioni di intervento incluse nell’analisi di impatto o alla rilevanza delle differenze
territoriali nell’analisi di impatto). Tuttavia, anche
quando le conclusioni del Consiglio si spingono a
formulare raccomandazioni meno uniformate alle
strategie della Commissione, spesso quest’ultima
non ne tiene conto e, comunque, il Consiglio non
ha mai preso una posizione di rottura che segni un
vero e proprio cambio di passo rispetto all’esecutivo, a conferma di un processo sostanzialmente guidato dalla Commissione e in cui il Consiglio procede con compromessi che portano al più a modifiche incrementali.
Nelle conclusioni del Consiglio europeo è ancora
più evidente il riferimento alle iniziative già avviate o annunciate dalla Commissione. Analizzando
le priorità espresse dai Capi di Stato e di Governo
emerge chiaramente che i temi prevalenti sono
quelli della riduzione degli oneri regolatori, della
tutela delle Pmi e, da ultimo, del programma Refit,
a cui da ultimo il Consiglio europeo del 27 giugno
2014 ha espresso pieno appoggio, pur prevedendone un esame dettagliato da parte del Consiglio Ue.
Al termine dell’esame, emergono due riflessioni
conclusive.
La prima è che, al di là delle formule usate nei documenti ufficiali, il ricorso agli strumenti di qualità
della regolazione è oramai parte integrante dei processi decisionali europei. Se ciò è oramai scontato
per la Commissione, tende ad essere sempre più
vero anche per il Consiglio, come dimostrato dalla
conclusione, lo scorso giugno, di tre progetti pilota
sull’utilizzo dell’analisi di impatto nei working parties che preparano i dossier legislativi (31). Conseguenza diretta di questo processo di diffusione è
che gli Stati membri che sono più avanti nel ricorso agli strumenti di smart regulation avranno, a parità di altre condizioni, maggiori opportunità e capacità di incidere nei processi negoziali europei. Il
maggiore investimento in strumenti di qualità della
regolazione che si è registrato negli ultimi anni anche in paesi (come Francia e Germania) tradizionalmente meno attenti a questi temi può in parte
dipendere da questa considerazione.
La seconda è che, sebbene in questo lavoro non si
sia esaminata l’efficacia e la qualità delle azioni poste in essere a livello europeo, è innegabile che su
temi quali la riduzione dei costi della regolazione,
la competitività delle Pmi e la consultazione, l’esame dei documenti e delle decisioni delle istituzioni
europee riveli un eccesso di retorica e l’abitudine a
ribadire continuamente le stesse priorità e finalità,
mettendo in evidenza un circuito di richiami, rinvii e raccomandazioni che danno l’impressione di
un netto distacco dai problemi e dalle urgenze dei
cittadini e delle imprese europee. Si tratta di un fenomeno certamente non limitato alla politica di
qualità della regolazione e che, come in altri campi, rischia di sminuire il valore delle decisioni prese
e di compromettere la reputazione delle istituzioni
europee.
(31) Si noti che anche il Parlamento europeo, che non è
stato incluso nell’analisi svolta in questo lavoro, ha di recente
lanciato una serie di iniziative in tema di smart regulation, con
particolare riguardo all’analisi di impatto, come testimoniato
anche dalla costituzione di una apposita direzione.
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Pubblica amministrazione
Quote di genere
Le “quote di genere” alla prova
dei fatti: l’accesso delle donne
al potere e i giudici
amministrativi
di Anna Simonati
Questo contributo si propone di esaminare la giurisprudenza amministrativa degli ultimi anni sulle cosiddette “quote di genere”, che riservano alle donne una parte dei seggi disponibili in vari ambiti. L’obiettivo
è la comprensione dell’atteggiamento tenuto dai giudici a fronte dell’aspirazione femminile al raggiungimento, in regime di parità di chances rispetto agli uomini, dei cosiddetti “luoghi del potere”. L’analisi della giurisprudenza amministrativa può offrire, infatti, un’interessante chiave di lettura per “misurare” l’efficacia degli strumenti giuridici predisposti dall’ordinamento. Il primo filo rosso dell’indagine è rappresentato dall’attenzione al grado di consapevolezza dimostrato dai giudici a proposito della configurazione
delle singole disposizioni puntuali come espressione settoriale di principi generali. Un altro profilo di
estrema rilevanza ha a che fare con l’ampiezza della legittimazione processuale attiva.
L’obiettivo e l’ambito dell’indagine
Questo contributo si propone di esaminare la giurisprudenza amministrativa (1) degli ultimi anni sulle cosiddette “quote di genere”, che riservano alle
donne una parte dei seggi disponibili in vari ambiti, dalle commissioni di concorso nel pubblico im-
piego agli organi politici degli enti territoriali e oggi anche agli organi direttivi delle società pubbliche. L’obiettivo è la comprensione dell’atteggiamento tenuto dai giudici (2) a fronte dell’aspirazione femminile al raggiungimento, in regime di parità di chances rispetto agli uomini, dei cosiddetti
(1) Pertanto, non saranno oggetto di questo contributo le
sentenze dei giudici civili relative alla parità fra i generi, benché
nella giurisprudenza recente siano comunque ravvisabili pronunce interessanti. Sul punto, merita almeno un cenno, per
esempio, la sentenza della Corte di cassazione relativa alle modalità di computo del ritardo nella redazione degli atti di sua
competenza accumulato da una magistrata, perciò sottoposta
a sanzione amministrativa. La peculiarità della fattispecie risiede nella circostanza che l’interessata si trovava in congedo per
maternità e, almeno in parte, da questo era dipeso il ritardo lamentato. Pertanto, Cass. civ., sez. un., 11 settembre 2013, n.
20815, in D&G, 12 settembre 2013 riconosce l’illegittimità della sanzione disciplinare irrogata in applicazione del d.lgs. 23
febbraio 2006, n. 109, proprio in quanto nella fattispecie non
si è tenuto conto del diritto al congedo parentale ex art. 32,
d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151. Va quanto meno richiamato, poi,
l’orientamento relativo all’illegittimità costituzionale delle disposizioni che non prevedono la possibilità che la cittadinanza
italiana sia trasmessa ai discendenti, in base al criterio dello
jus sanguinis, anche per linea femminile: v., per esempio, Trib.
Roma, I, 14 febbraio 2011, n. 3008, nonché, nella giurisprudenza recente della Suprema Corte, Cass. civ., I, 13 ottobre
2011, n. 21154, in CED Cass., 2011, e Cass. civ., sez. un., 25
febbraio 2009, n. 4466, in Giust. civ., 2009, 7-8, I, 1545, ma già
Cass. civ., I, 10 luglio 1996 n. 6297, in Giust. civ., 1997, I, 748,
con nota di R. Pellati, Un révirement della Cassazione in ordine
all’efficacia temporale delle pronunce di incostituzionalità di leggi
anteriori alla Costituzione, ivi, 10, 2581 ss., Cass. civ., lav., 18
novembre 1996 n. 10086, in Giust. civ., 1997, I, 1874, e Cass.
civ., I, 22 novembre 2000 n. 15062, in Foro it., 2001, I, 2299
(contra, per esempio, Cass. civ., sez. un., 19 febbraio 2004, n.
3331, in Giust. civ., 2004, I, 1228). Per quanto riguarda la questione della possibile assegnazione del cognome di entrambi i
genitori ai figli (recentemente riesaminata in parte dal legislatore con il d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, in vigore dal 7 febbraio 2014: v. soprattutto artt. 27 e 103), riconosce un principio immanente all’ordinamento che impone la parità fra uomo
e donna anche nello svolgimento dei compiti genitoriali, per
esempio, Trib. min. Milano, 10 gennaio 2011, in Giur. merito,
2011, 10, 2388, con nota di A. Conti, Note intorno all’attribuzione del cognome paterno, 2392 ss.
(2) A questo proposito, merita di essere segnalato un contributo interessante e originale, mirato a verificare le possibili
implicazioni della violazione delle norme a tutela della parità di
genere sulla responsabilità amministrativo-contabile di competenza della Corte dei conti: v. A. Mondera, Normativa e giurisprudenza in materia di parità di genere: il ruolo della magistratura contabile nell’attuazione dell’art. 51 della Costituzione, in
http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/chi_siamo/consiglio_di_presidenza/incontri_studio_e_formazione/roma_1_2_dicembre_2011_mondera.pdf (consultato il 22
maggio 2014).
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“luoghi del potere”. In verità, tale espressione evidentemente può essere applicata a una vasta gamma di posizioni - ben più ampia di quella su cui
questo contributo è incentrato - che ricomprende
in sostanza (quanto meno) l’assunzione di tutte le
cariche pubbliche e dei ruoli dirigenziali e di vertice negli organismi privati (3) coinvolti nello svolgimento di attività di interesse della collettività (4). L’ambito dell’indagine è stato però volutamente circoscritto in modo molto rigoroso. Precisamente, alla luce dell’obiettivo prescelto, si è ritenuto di delimitare l’analisi ai settori in cui il quadro legislativo presenta profili avanzati di maturazione e costituisce il punto d’arrivo di un processo
di elaborazione normativa sedimentato; inoltre, si
è deciso di esaminare esclusivamente i campi in
cui risulta maggiormente significativo il contributo
della giurisprudenza amministrativa.
Proprio poiché l’oggetto specifico della trattazione
riguarda la protezione in sede giurisdizionale dell’aspirazione delle donne ad occupare i ruoli “di pote-
re”, non saranno prese in considerazione le pronunce che hanno a che fare con le possibili discriminazioni per sesso nell’attività lavorativa (5) ampiamente intesa (6). Ci si soffermerà, invece, sulle
decisioni relative all’ottenimento da parte delle
donne di posizioni di spicco in ambito pubblicistico.
Tale scelta non solo consente di circoscrivere l’oggetto dell’indagine (compatibilmente con le esigenze di sintesi di questo contributo), ma punta
anche ad evidenziare un problema assai spinoso,
quale la difficoltà delle donne ad ottenere i ruoli
professionali e decisionali di vertice, in particolare
nel settore pubblico. Nonostante il legislatore italiano si sia mosso su più fronti, soprattutto recentemente, per cercare di colmare il divario fra i generi
nell’accesso al potere (7), la questione non può
certamente dirsi risolta (8).
L’analisi della giurisprudenza amministrativa può
offrire, a mio parere, una interessante chiave di lettura per “misurare” l’efficacia degli strumenti giuri-
(3) Per un tentativo di applicare al settore privato del credito
e delle assicurazioni il bilancio di genere quale meccanismo di
misurazione della concreta efficienza delle pari opportunità fra
uomo e donna (con evidenti possibili implicazioni anche sull’emersione di dati relativi all’accesso delle donne ai ruoli professionali di vertice), sia consentito rinviare ad A. Simonati, L’adozione del bilancio di genere: una sfida reale (e realistica) per
banche e assicurazioni? Riflessioni sparse di una giurista, in Istit.
Federalismo, 2012, 461 ss.
(4) Per l’analisi dei dati recenti relativi alla consistenza della
presenza femminile nei vari comparti della pubblica amministrazione (in Italia e in alcuni ordinamenti europei alla luce della normativa e delle politiche dell’U.E., talora anche con riferimento all’intensità della tutela giurisdizionale praticabile), v.,
per esempio, E. Morlino (coord.), M. Benedetti, G. Bertezzolo,
H. Caroli Casavola, M. De Bellis, E. Morlino, S. Pellizzari, La
parità di genere nella pubblica amministrazione, Rapporto
I.R.P.A. 2013, n. 1, reperibile in http://www.irpa.eu/wp-content/uploads/2013/05/irpa_rapporto_4_parita_di_genere_nella_pa_1_2013.pdf (consultato il 10 luglio 2014).
(5) Per esempio, un aspetto interessante (che non sarà preso in considerazione in questo contributo) ha a che fare con le
discriminazioni salariali di genere. Per alcuni dati aggiornati in
materia, v., per esempio, il comunicato stampa pubblicato dalla Commissione Ue il 28 febbraio 2014, Giornata per la parità
retributiva: in Europa il differenziale retributivo di genere è fermo
al 16,4%, in http://europa.eu/rapid/press-release_IP-14190_it.htm (consultato il 10 luglio 2014).
(6) È abbastanza cospicua, per esempio, la giurisprudenza
amministrativa sulla legittimità dei bandi di concorso per l’accesso all’impiego pubblico. È interessante Tar Sardegna, Cagliari, II, 25 novembre 2008, n. 2025, in Foro amm - Tar, 2008,
11, 3190, ove è stato ritenuto illegittimo il bando per la copertura di posti di agente di polizia municipale che prevedeva tra i
requisiti di ammissione il possesso della patente di categoria A
e non l’obbligo, per i soggetti utilmente collocati in graduatoria, di conseguire tale tipo di patente quale condizione ai fini
dell’assunzione definitiva; ciò è stato considerato discriminatorio alla luce del fatto che, secondo i dati pubblicati dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, solo il 10% dei titolari di
patente A è rappresentato da donne. La sentenza sarda, però,
è stata ribaltata in appello, ove il giudice ha ritenuto che il ban-
do fosse legittimo poiché il possesso della patente di guida di
categoria A assumeva il carattere dell’essenzialità in vista dello
svolgimento delle funzioni: v. Cons. Stato, V, 10 maggio 2010,
n. 2754, in Lavoro nella giur., 2010, 9, 931 ss., con nota di R.
Squeglia, Accesso al pubblico impiego e discriminazione di genere: il punto di vista del Consiglio di Stato. Piuttosto significativa è anche la giurisprudenza sulla legittimità dei bandi che richiedono alcuni requisiti di prestanza fisica (frequentemente,
un’altezza minima) per poter rivestire determinati ruoli: v. per
esempio Cons. Stato, III, 3 dicembre 2013, n. 5739, in
www.giustizia-amministrativa.it, che riconosce la legittimità
della previsione contenuta nel bando di concorso per posti di
vigile del fuoco del limite di altezza minima di 165 cm. anche
per le donne. Analogamente, con riferimento al bando di concorso per l’assunzione di allievi marescialli dell’Aeronautica
Militare, v., per esempio, Tar Lazio, Roma, I, 5 maggio 2009,
n. 4628, in Foro amm. - Tar, 2009, 5, 1430. In prospettiva generale, v. per esempio M. D’Amico, La lunga strada della parità
fra fatti, norme e principi giurisprudenziali, in AIC, 2013, n. 3,
http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/sites/default/files/rivista/articoli/allegati/3_2013_DAmico.pdf (consultato il 22
maggio 2014), ove sono reperibili ampi riferimenti ulteriori.
(7) Per completezza, si segnala anche che l’art. 13, c. 3,
d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 (come emendato dall’art. 5, c. 5,
d.l. 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla
l. 30 ottobre 2013, n. 125) prevede oggi che la composizione
della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche debba essere stabilita «tenuto conto del principio delle pari opportunità di genere».
(8) Ogni anno il Forum economico mondiale quantifica la
disparità di genere riscontrabile in ogni Nazione, prendendo
come riferimento vari fattori, fra cui indice di salubrità, accesso all’istruzione, partecipazione alla vita economica e impegno
in politica delle cittadine e dei cittadini. Il gap gender index è
calcolato in modo tale che il coefficiente pari a 1 rappresenta
la parità fra uomo e donna. Nel 2013 l’Italia occupa un (poco
onorevole) settantunesimo posto in graduatoria, con un coefficiente complessivo pari a 0,688. Il Global Gender Gap Report
2013 è reperibile online all’indirizzo web http://reports.weforum.org/global-gender-gap-report-2013/, consultato il 24 maggio
2014.
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dici predisposti dall’ordinamento. Il primo filo rosso dell’indagine è rappresentato dall’attenzione al
grado di consapevolezza dimostrato dai giudici a
proposito della configurazione delle singole disposizioni puntuali come espressione settoriale di principi generali. Un altro profilo di estrema rilevanza,
in parte connesso a quello a cui si è appena fatto
cenno, ha a che fare con l’ampiezza della legittimazione processuale attiva. In altri termini, per verificare l’intensità della tutela è utile ricostruire l’orientamento giurisprudenziale a proposito della
gamma dei soggetti che possono far valere in sede
processuale la (presunta) violazione delle previsioni sulla parità di genere. Le buone intenzioni palesate sul piano del diritto sostanziale dal legislatore,
infatti, possono facilmente essere ridimensionate o
addirittura neutralizzate da un atteggiamento di
chiusura da parte dei giudici, che sull’effettività di
quelle disposizioni sono chiamati a vigilare nel momento contenzioso.
Infine, è necessario evidenziare che un profilo di
per sé interessante resterà quasi completamente
escluso dall’ambito di questo contributo, in quanto
per il momento non risulta avere dato adito a significativi sviluppi in sede giurisdizionale. Si tratta
della disciplina della riserva di quote di genere nella composizione degli organi di governo delle società partecipate da enti pubblici o quotate in borsa, che, a regime, dovrebbe determinare la presenza
femminile in almeno un terzo dei posti disponibili (9). A tale proposito, può essere utile notare che
- benché la vigilanza sul rispetto della l. n.
120/2011 sia affidata al presidente del Consiglio
dei Ministri (o, su sua delega, al Ministro per le pari opportunità) - la mancanza di equilibrio fra i generi può essere segnalata al governo «da chiunque
(9) V. la legge 12 luglio 2011, n. 120, che sarà in pieno vigore a partire dal 2015, nonché il regolamento attuativo
(d.P.R. 30 novembre 2012, n. 251) applicabile alle società non
quotate in borsa partecipate e controllate da enti pubblici. Per
l’analisi della situazione esistente prima dell’entrata in vigore
della riforma, v., per esempio, M. Bianco, A. Ciavarella, R. Signoretti, Women on boards in Italy, Quaderni di finanza Consob, n. 70, ottobre 2011, in http://www.consob.it/main/consob/pubblicazioni/studi_analisi/quaderni_finanza/qdf70.html,
consultato il 24 maggio 2014. Al momento, la presenza femminile nei consigli d’amministrazione e nei collegi sindacali
delle società quotate in borsa è ferma al 15% circa del totale,
come risulta da una recente rilevazione statistica svolta da un
soggetto indipendente (v. i dati nel dettaglio in http://redazione.finanza.com/2014/03/11/quote-rosa-in-italia-solo-il-157-deimembri-di-cda-e-donna/, consultato il 10 luglio 2014; v. anche
G. Mancini, In aumento il numero delle donne presenti nei cda
delle aziende. Ma l’Italia resta sotto la media europea, in
http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2014-0308/in-aumento-numero-donne-presenti-cda-aziende-ma-italiaresta-sotto-media-europea–155243.shtml?uuid=ABTSZh1, con-
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vi abbia interesse» (10). L’ampia locuzione utilizzata dal legislatore sembra preludere a una notevole
estensione della legittimazione, che parrebbe ricomprendere componenti dello stesso governo,
parlamentari, consigliere/i di parità, soggetti titolari di incarichi istituzionali nell’ambito dell’amministrazione controllante la società, nonché, probabilmente, associazioni rappresentative dell’aspirazione
al pieno rispetto del principio di parità di genere.
Inoltre, dovrebbero essere pienamente legittimate
a presentare la segnalazione anche le donne candidate ma non elette/nominate (o addirittura non
candidate, benché titolate) alle cariche societarie,
così come tutti i componenti degli organi e i singoli soci, in capo ai quali dovrebbe riconoscersi un
interesse qualificato al rispetto della normativa da
parte dell’ente. Più discutibile, invece, appare la legittimazione del quisquis de populo - a prescindere
dal genere di appartenenza - che dipenderà dall’intensità dell’immediata vincolatività giuridica riconosciuta alla disposizione. Emerge, pertanto, la
portata estensiva dell’orientamento normativo, che
parrebbe dimostrare la tendenza a ricondurre le disposizioni della legge n. 120 a un interesse - se non
generale, quanto meno - comune a varie componenti della collettività.
La composizione delle commissioni
di pubblico concorso
Come è noto, la partecipazione femminile, nella
quota di almeno un terzo dei posti disponibili, nelle commissioni di concorso per le assunzioni nel
pubblico impiego è oggi imposta - salvo motivata
impossibilità - dall’art. 57, c. 1, lett. a), decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che recepisce una
serie di disposizioni previgenti (11). Si tratta di
sultato il 10 luglio 2014). Per un commento alla disciplina del
2012, v., per esempio, C. Garilli, Le azioni positive nel diritto societario. Le quote di genere nella composizione degli organi delle società per azioni, in Europa e dir. priv., f. 3, 2012, 885 ss.; v.
anche A. Busani, G.O. Mannella, “Quote rosa” e voto di lista, in
Società, 2012, in particolare 56 ss., nonché M. Benedetti, Le
quote nei consigli di amministrazione delle imprese a partecipazione pubblica, in questa Rivista, 2013, 719 ss., e D. Stanzione,
In tema di “equilibrio tra generi” negli organi di amministrazione
e controllo di società quotate, in Giur. comm., 2013, 190 ss.
(10) V. art. 4, c. 4, d.P.R. n. 251/2012.
(11) La norma attualmente vigente corrisponde a quella originariamente consacrata nell’art. 61, c. 1, lett. a), d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, dapprima sostituita dall’art. 29, d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546, e successivamente modificata prima dall’art. 43, c. 8, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e poi dall’art. 17,
d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387. L’art. 61 dispone che «le pubbliche amministrazioni, al fine di garantire pari opportunità tra uomini e donne per l’accesso al lavoro ed il trattamento sul lavoro»
tra l’altro «riservano alle donne, salva motivata impossibilità, almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni di
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uno dei primi risultati di spessore ottenuti in ambito legislativo a presidio della parità di genere. Proprio la continuità nel tempo della previsione rappresenta un elemento assai utile, poiché permette
di analizzare i contributi giurisprudenziali in una
prospettiva diacronica di medio termine.
Nella prassi degli enti pubblici, la violazione della
norma si è rivelata in passato piuttosto frequente.
Di conseguenza, i giudici amministrativi sono stati
aditi abbastanza spesso per l’annullamento dei
provvedimenti che rappresentavano l’esito della selezione svolta da commissioni immotivatamente
composte da soli uomini.
In alcune occasioni, la giurisprudenza - pur escludendo, sulla base dell’immediata natura precettiva
delle fonti primarie, che la regola potesse assumere
portata vincolante solo se trasfusa nella contrattazione collettiva (12) - ha negato che la lesione delle norme sulle pari opportunità di genere producesse un immediato effetto invalidante sui provvedimenti emessi dalla commissione. Questo risultato
deriva in massima parte da valutazioni sull’ampiezza della legittimazione a far valere in giudizio l’illegittimità. Precisamente, i giudici hanno dato per
scontato - senza peraltro motivare adeguatamente
tale assunto - che l’interesse a tutela del quale la
disciplina è stata posta non fosse radicato in capo
(in prima istanza) alle candidate o addirittura (in
seconda istanza) a tutti i candidati (compresi quelli
di sesso maschile) partecipanti alla selezione. Si è
ritenuto, invece, che l’interesse sussistesse esclusivamente in capo ai commissari (13). Ciò, tuttavia,
non può non suscitare qualche perplessità. Non è
affatto chiaro quali sarebbero, secondo questa ricostruzione, i soggetti legittimati a presentare il ricorso: i singoli commissari, che potrebbero contestare
la regolare composizione dell’organo a cui appartengono, impugnando la nomina dei loro colleghi?
Oppure le “commissarie mancate”, ovvero le donne che ritengono di possedere i requisiti richiesti
per sedere in commissione ma lamentano di non
esservi state convocate? Se la seconda soluzione è
in concreto difficilmente praticabile (tranne forse
laddove l’ente abbia proceduto a una valutazione
“procedimentalizzata” dei curricula prima di effettuare le nomine), la prima appare in realtà quasi
paradossale.
Del resto, queste sentenze appaiono incompatibili
con l’idea per cui il pluralismo di vedute nell’ambito dell’organo decisore costituisce comunque un
valore aggiunto a tutela dell’intera collettività.
Dall’accoglimento di tale impostazione deriverebbe
che, a fronte della violazione di legge, i possibili ricorrenti dovrebbero essere individuati quanto meno in tutti i candidati (uomini e donne) partecipanti alla selezione. Evidentemente, si tratta di
una visione (per così dire) assai “avanzata” e certamente non da tutti condivisa. Infatti, la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente contraddetto questa linea.
Rileva, in proposito, la sentenza (non recentissima) con cui il Consiglio di Stato (14) - accogliendo l’appello proposto contro la decisione di primo
grado (15) di annullamento dell’atto di composizione di una commissione concorsuale, immotivatamente costituita da tre uomini - non ha contestato
l’illegittimità denunciata, ma ha negato la legittimazione a farla valere in capo al candidato autore
del ricorso. Il giudice ha dichiarato di apprezzare
«che un concorrente rinvenga l’illegittimità insita
nella privazione immotivata delle concorrenti di
uno degli strumenti ipotizzati per dare attuazione
alle pari opportunità volute dall’ordinamento»; nel
contempo, tuttavia, ha affermato che il ricorso
non può che essere presentato dai soggetti titolari
di un interesse qualificato, «che nella specie può
riconoscersi esclusivamente alla componente di genere femminile, nell’ambito dei partecipanti al
concorso, collocandosi, al contrario, l’originario ricorrente alla stregua di chi si fa portatore in giudizio, non avendone titolo, di un interesse generale».
La linea per cui la disciplina che impone la presenza di componenti di genere femminile in commissione tutela esclusivamente le candidate sicuramente appare un po’ riduttiva. Del resto, è forse
addirittura paradossale - il “filone” giurisprudenziale che neutralizza l’efficacia della riserva di una
quota dei posti disponibili alle donne proprio configurandola come espressione di un principio generale posto a garanzia di interessi sovraindividuali.
Tali interessi infatti - secondo un orientamento
che emerge in varie decisioni, anche relativamente
recenti (16) - sarebbero inidonei a legittimare i singoli all’esperimento di un ricorso in sede giurisdi-
concorso».
(12) V. in questi termini, per esempio, Cons. Stato, V, 6 giugno 2002, n. 3184, in Foro amm. - CdS, 2002, 1447, con nota
di W. Giulietti, Vizi delle forme sostanziali e giurisdizione di spettanza, 2090 ss.
(13) V. così, per esempio, Tar Sicilia, Catania, II, 19 ottobre
1999, n. 2092, in Ragiusan, 2000, nn. 204-205, 251.
(14) V. Cons. Stato, VI, 18 dicembre 2001, n. 6280, in Foro
amm., 2001, 3207.
(15) V. Tar Campania, III, 1 giugno 2000, n. 1757, in
www.giustizia-amministrativa.it.
(16) Per esempio, v.: Cons. Stato, V, 6 giugno 2002, n.
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zionale. In altri termini, in queste pronunce il legame con i principi generali dell’ordinamento è attentamente valorizzato e si afferma che la regola
della riserva alle donne di un terzo dei posti nella
commissione esaminatrice opera a protezione di
«interessi collettivi concernenti i rapporti di servizio con le amministrazioni» (17). Tuttavia, da ciò
si desume l’assenza di qualsiasi collegamento fra gli
interessi sottesi alla norma e una posizione giuridica soggettiva tutelabile in sede processuale.
Le perplessità e le contraddizioni emerse nella giurisprudenza amministrativa hanno condotto nel
2004 alla rimessione alla Corte costituzionale della
questione di legittimità della previsione (18). La
Consulta si è espressa con una pronuncia di manifesta inammissibilità (19) per sopravvenienza, ad
opera della legge costituzionale 30 maggio 2003, n.
1, della nuova formulazione dell’art. 51, c. 2, Cost.,
in base al quale, come è noto, spetta alla Repubblica promuovere con appositi provvedimenti le pari
opportunità tra donne e uomini. A seguito di questa sentenza, la giurisprudenza amministrativa opportunamente ha iniziato a configurare la disciplina sulla presenza femminile nelle commissioni di
pubblico concorso come azione positiva (20). È vero che l’opinione per cui le concorrenti e i concorrenti dovrebbero necessariamente sentirsi più protette/i dalla presenza in commissione di persone
appartenenti al loro stesso genere appare un po’ arbitraria. È altrettanto vero, però, che proprio questa sembra essere, almeno in parte, la ratio della
scelta a suo tempo effettuata dal legislatore, benché - oggi più che mai - essa possa apparire semplicistica. Pertanto, il riferimento all’istituto dell’azione positiva può essere visto comunque come un significativo passo avanti.
Questo risultato, tuttavia, non si è sedimentato. In
epoca successiva, infatti, il Consiglio di Stato ha
asserito che la violazione della disposizione in questione non produce di per sé alcun effetto invali-
dante sull’esito della procedura concorsuale, dovendo all’uopo essere fornita l’ulteriore dimostrazione dell’assunzione da parte della commissione
(di soli uomini) di condotte discriminatorie nei
confronti delle candidate (21).
Pare di poter dire, pertanto, che sul terreno dell’accesso delle donne alle commissioni di concorso,
pur a fronte di un impianto normativo nel complesso abbastanza soddisfacente, il contributo giurisprudenziale è deludente. Colpisce non tanto la
pluralità e l’eterogeneità dei percorsi interpretativi
sperimentati nel corso del tempo, quanto piuttosto
la compattezza dell’esito prodotto, nettamente in
contrasto con la piena efficacia del principio di parità di genere.
Eppure, paradossalmente, dall’atteggiamento di
chiusura prevalentemente dimostrato dai giudici
amministrativi è scaturito un effetto almeno in
parte positivo.
Proprio la discontinuità dell’attenzione e della sensibilità dimostrate dai giudici amministrativi, infatti, sta forse parzialmente alla base dell’intervento
legislativo con cui, di recente (22), a presidio della
futura effettività della tutela, si sono inserite nel
testo dell’art. 57, d.lgs. n. 165/2001 una serie di
precisazioni. In primo luogo, sono oggi indicate
con esattezza le modalità di calcolo della quota di
seggi spettante a componenti di sesso femminile.
In tal modo, si configurano in capo alle autorità
veri e propri doveri di adempimento; pertanto, la
via dell’esclusione dell’immediata vincolatività del
principio di parità di genere a fronte della genericità della formulazione normativa, in passato seguita
da una parte della giurisprudenza, non risulterà più
praticabile. Inoltre, a garanzia ulteriore del rispetto
del principio da parte degli enti pubblici, si pongono l’istituzione obbligatoria al loro interno del Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la
valorizzazione del benessere di chi lavora e contro
le discriminazioni (23) e il potere del/la consiglie-
3184 cit.; Tar Lazio, Roma, III, 28 maggio 2003, n. 4779, in Foro amm. - Tar, 2003, 1680; Cons. Stato, V, 23 ottobre 2007, n.
5572, in Foro amm. - CdS, 2007, 2818; Tar Campania, Napoli,
III, 3 febbraio 2010, n. 558, in Red. amm. Tar, 2010 n. 2. V. anche, per esempio: Tar Sicilia, Catania, II, 19 ottobre 1999, n.
2092, in Ragiusan, 2000, 251; Tar Lazio, Roma, III, 12 gennaio
2007, n. 149, in Foro amm. - Tar, 2007, 181; Cons. Stato, VI,
18 dicembre 2001, n. 6280, in Foro amm., 2001, 3207.
(17) V. così Tar Lazio, Roma, III, 28 maggio 2003 , n. 4779,
in Foro amm. - Tar, 2003, 1680.
(18) V. Cons. Stato, V, 13 gennaio 2004, n. 50, in Foro
amm. - CdS, 2004, 127.
(19) V. Corte cost., 27 gennaio 2005, n. 39, in Giur. cost.,
2005, 1, 310, con nota di A. Di Blasi, Anche il Consiglio di Stato
inciampa sulla parità dei sessi, nonché in Foro amm. - CdS,
2005, II, 4, 993, con nota di M. Micheletti, La Corte Costituzio-
nale e le riserva alle donne di quote dei componenti delle commissioni di concorso: una questione da riproporre.
(20) V., per esempio, Cons. Stato, V, 11 ottobre 2005, n.
5487, in Foro amm. - CdS, 2005, 2950. V. anche, per esempio,
Tar Liguria, II, 10 dicembre 2005, n. 1648, in Foro amm. - Tar,
2005, 3869
(21) V. così, per esempio, Cons. Stato, VI, 27 dicembre
2006, n. 7962, in Foro amm. - CdS., 2006, 3322. Nella stessa
direzione, v. già, per esempio, Cons. Stato, V, 6 giugno 2002,
n. 3184 cit.
(22) V. art. 5, c. 1, legge 23 novembre 2012, n. 215.
(23) A proposito del Comitato, che riunisce su di sé tutte le
funzioni precedentemente attribuite ai comitati per le pari opportunità e ai comitati paritetici competenti in materia di mobbing e svolge compititi propositivi, consultivi e di verifica dei risultati raggiunti, v. S. Petrilli, I Comitati unici di garanzia per le
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re/a di parità (24) competente per territorio (al/la
quale l’atto di nomina della commissione di concorso deve essere inviato, pena la possibile responsabilità del dirigente inadempiente) di diffidare la
pubblica amministrazione alla rimozione della
commissione ove ne ravvisi l’illegittima composizione e di adire, qualora tale diffida sia disattesa, le
vie giudiziarie (25).
La riserva alle donne di una quota dei seggi disponibili nelle competizioni elettorali è uno strumento
molto controverso nel panorama complessivo dei
meccanismi posti a tutela della parità di genere (26). Previsioni eccessivamente rigide in tal sen-
so, infatti, potrebbero determinare un’invasione
troppo significativa nella libertà della vita politica
e nell’autodeterminazione dei partiti e degli stessi
elettori. I rischi connessi a un utilizzo indiscriminato dell’istituto sono ben presenti alla Corte costituzionale, la quale, dopo aver preso posizione in un
primo momento in senso parzialmente critico (27),
ha più recentemente (28) precisato che i vincoli
imposti dalla legge per conseguire l’equilibrio dei
generi nella rappresentanza politica sono legittimi
purché non incidano sulla «parità di chances delle
liste e dei candidati e delle candidate nella competizione elettorale» (29).
Il legislatore nazionale (30) ha via via introdotto
varie disposizioni in materia (31). La riforma più
incisiva è senza dubbio quella realizzata con la l. n.
pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e
contro le discriminazioni - Linee guida, in Azienditalia - Il personale, 2011, 5, 238 ss., nonché Idem, Parità e pari opportunità
di genere: il ruolo dei Comitati unici di garanzia, ivi, 2012, 5, 233
ss.
(24) Incidentalmente, sul ruolo istituzionale del/la Consigliere/a di parità, è interessante richiamare un sentenza abbastanza recente del Consiglio di Stato, in cui il giudice afferma che
tale soggetto non si trova in posizione di totale autonomia rispetto al potere di indirizzo politico del governo - e segnatamente del Ministro per le pari opportunità - e quindi deve attenersi, fra l’altro, agli orientamenti espressi in seno al Comitato
nazionale per la parità (organismo con funzioni tecnico-consultive operante presso l’esecutivo). V. Cons. Stato, VI, 29 luglio
2010, n. 5031 (che conferma sul punto Tar Lazio, Roma, III
bis, 18 giugno 2009, n. 5780, in F. amm. Tar, 2009, 9, 2507,
con nota di C. Tubertini, Organismi di garanzia e confini del c.d.
spoils system), in Foro amm. - CdS, 2010, 7-8, 1637. In generale, v. anche L. Iero, Discriminazione di genere nel rapporto di lavoro pubblico e ruolo del Consigliere di parità, nota a Trib. Firenze, lav., 15 febbraio 2011, in Lav. giur., 2011, n. 10, 1046.
(25) V. c. 1 bis dell’art. 57, d. lgs. n. 165/2001, come risultante dalla modifica apportata dall'art. 5, c. 1, lett. b), l. n.
215/2012.
(26) In generale sul tema delle quote di genere elettorali, v.,
per esempio: S. Leone, L’equilibrio di genere negli organi politici. Misure promozionali e principi costituzionali, Franco Angeli,
Milano, 2014; P. Faraguna, Recenti sviluppi dell’esperienza costituzionale italiana in tema di c.d. quote rosa, in F. Spitaleri (a
cura di), L’eguaglianza alla prova delle azioni positive, Torino,
2013, 41 ss.; A. Del Re, Le quote necessarie, in http://www.ingenere.it/articoli/sesso-e-potere-le-quote-necessarie, consultato
il 24 maggio 2014; G. Chiola, Pari opportunità e riforme costituzionali: analisi e prospettive, in Sociologia dir., 2008, 107 ss.; I.
Salza, Le regole sulla partecipazione delle donne in politica: dalle
cosiddette “quote rosa” al rinnovato quadro costituzionale, in
Rass. parl., 2008, 81 ss.; G. Brunelli, Donne e politica. Quote rosa? Perché le donne in politica sono ancora così poche, Bologna, 2006; M. Montalti, La rappresentanza dei sessi in politica
diviene rappresentanza protetta, tra riforme e interpretazione costituzionale, in Le regioni, 2003, 491 ss.; M.T. Silvestrini, C. Simiand, S. Urso (cur.), Donne e politica: la presenza femminile
nei partiti politici dell’Italia repubblicana. Torino, 1945-1990, Milano, 2005
(27) V. Corte cost., 12 settembre 1995, n. 422, in Foro it.,
1995, I, 3386.
(28) V. anche Corte cost., 14-20 gennaio 2010, n. 4, in Giur.
cost., 2010, 1, 63, con note di C. Meoli, 80, di L. Carlassare, La
legittimità della “preferenza di genere”: una nuova sconfitta della
linea del governo contro la parità, 81 ss., di M. Olivetti, La c.d.
“preferenza di genere” al vaglio del sindacato di costituzionalità. alcuni rilievi critici, 84 ss., e di S. Leone, La preferenza di
genere come strumento per “ottenere, indirettamente ed eventualmente, il risultato di un’azione positiva”, 93 ss. V., inoltre, le
note di L. Califano, L’assenso “coerente” della Consulta alla
preferenza di genere, in http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/giurisprudenza/2010/0006_nota_4_2010_califano.pdf (consultato il 22 maggio 2014), di G. Ferri, Le pari opportunità fra donne e uomini
nell’accesso alle cariche elettive e la “preferenza di genere” in
Campania, in Le Regioni, 2010, 902 ss., e di L. Ferraro, Le pari
opportunità e le giunte regionali: il caso Campania, in
http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/wp-content/uploads/2012/11/Ferraro_Pari-opportunita.pdf, consultato il 24
maggio 2014.
(29) V. Corte cost., 13 febbraio 2003, n. 49, in Riv. giur. lavoro prev. soc., 2003, IV, 675 ss., con nota di E. Stenico (e presentazione di S. Scarponi), Eguaglianza di genere e pari opportunità: nuovi spunti di riflessione offerti dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 49 del 2003; in dottrina, v. sul punto G. Passaniti, Pari opportunità tra Corte Costituzionale e revisione della
Costituzione (a margine della ordinanza n. 39 del 2005 della
Corte Costituzionale) , in http://www.g iust amm.it/new_2005/ART_2200.htm, consultato il 24 maggio 2014.
(30) Molto ricca è anche la disciplina regionale. Su questo
tema, in dottrina, v., esempio: L. Carlassare, L’integrazione della rappresentanza: un obbligo per le Regioni, in L. Carlassare, A.
Di Blasi, M. Giampieretti (curr.), La rappresentanza democratica
nelle scelte elettorali delle Regioni, Padova, 2002, 47 ss.; G.
Brunelli, Le “quote” riprendono quota? A proposito di azioni positive in materia elettorale regionale, in Le regioni, 2006, 531
ss.; E. Palici Di Suni Prat, Le ragioni delle donne e le donne nelle Regioni, in Riv. dir. pubbl. comp. ed europeo, 2001, 605 ss.;
Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra
uomo e donna (cur.), Regioni: quali statuti e quali leggi elettorali, Roma, 2003; M. Cosulich, Il sistema elettorale del Consiglio
regionale tra fonti statali e fonti regionali, Padova, 2008, 64 ss.
(31) Per quanto concerne l’elezione del Senato della Repubblica, nell’art. 2, d.lgs. 20 dicembre 1993, n. 533 è previsto un
generico favor per l’equilibrio della rappresentanza fra donne e
uomini. È più incisiva la disciplina delle elezioni degli europarlamentari contenuta nell’art. 56, d.lgs. 11 aprile 2006, n. 198,
ove si prevede che, «nelle prime due elezioni dei membri del
Parlamento europeo spettanti all’Italia, successive alla data di
entrata in vigore della legge 8 aprile 2004, n. 90, nessuno dei
due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due
Le “quote di genere” nella composizione
degli organi politici degli enti locali
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215/2012 (32), che ha modificato varie norme del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo
unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali)
intensificando le misure a garanzia della presenza
femminile nelle istituzioni, pur nel rispetto dell’autonomia degli enti territoriali e dell’interesse pubblico alla loro governabilità. Nel Tuel si affiancano
oggi previsioni di portata generale (33) e regole più
specifiche, in particolare relative alla presentazione
delle liste per l’elezione del sindaco e dei consiglieri comunali (34).
La sensibilità dimostrata dal legislatore è da tempo
condivisa dalla giurisprudenza amministrativa, che
è stata chiamata a pronunciarsi soprattutto sugli atti di composizione delle giunte degli enti territoriali contrastanti con il principio di parità fra i generi.
Normalmente, quest’ultimo è ritenuto immediata-
mente vincolante; di conseguenza, i giudici abbastanza frequentemente annullano gli atti impugnati (35).
Per quanto concerne la composizione delle giunte
regionali, la sovrarappresentazione del genere maschile è stata ritenuta incompatibile con il combinato disposto dell’art. 51, Cost. (36), dell’art. 117,
c. 7, Cost. e dell’art. 1, decreto legislativo 11 aprile
2006, n. 198 (Codice della pari opportunità tra uomo e donna) (37); talora a questi riferimenti normativi si affianca il rinvio a previsioni di rango sovranazionale, come gli artt. 21 e 23 della Carta europea dei diritti dell’uomo (che vietano qualsiasi
forma di discriminazione fondata sul sesso e sanciscono che la parità tra uomini e donne deve essere
assicurata in tutti i campi) (38). Naturalmente, ove
tali previsioni siano richiamate e specificate nello
terzi dei candidati»; la sanzione prevista per «i movimenti e i
partiti politici presentatori di liste che non abbiano rispettato la
proporzione» consiste nella riduzione del «rimborso per le spese elettorali […], fino ad un massimo della metà, in misura direttamente proporzionale al numero dei candidati in più rispetto a quello massimo consentito» e «sono, comunque, inammissibili le liste circoscrizionali composte da più di un candidato che non prevedono la presenza di candidati di entrambi i
sessi». Inoltre, «la somma eventualmente derivante dalla riduzione […] è erogata ai partiti o gruppi politici organizzati che
abbiano avuto proclamata eletta […] una quota superiore ad
un terzo di candidati di entrambi i sessi». In base all’art. 1,
comma 1, l. 22 aprile 2014, n. 65, poi, nelle elezioni per il Parlamento europeo successive all’entrata in vigore della legge,
ove siano espresse tre preferenze «queste devono riguardare
candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della terza preferenza». Lo stesso art. 1, l. n. 65/2014, infine, modifica in senso conforme la l. 24 gennaio 1979, n. 18.
(32) In prospettiva, per quanto riguarda l’elezione dell’organo consiliare nelle città metropolitane, v. art. 1, c. 27 e c. 38,
della l. n. 56/2014. Per quanto riguarda l’elezione del Consiglio
provinciale, v. art. 1, c. 71 e c. 77, della l. n. 56/2014.
(33) V. art. 6, c. 3, d.lgs. n. 267/2000, ove, senza imporre il
rispetto di quote minime per la presenza femminile, si stabilisce che gli statuti indichino le azioni positive idonee ad «assicurare condizioni di parità fra uomo e donna», anche nella
composizione delle giunte e degli organi collegiali non elettivi
dell’ente e di aziende e istituzioni da questo dipendenti Del tutto coerente è l’art. 4, c. 4, lett. c-bis, l. 2 luglio 2004, n. 165, in
base al quale le regioni, nel disciplinare il sistema di elezione
del presidente della giunta e dei consiglieri regionali, devono
anch’esse assicurare la «promozione della parità tra uomini e
donne nell’accesso alle cariche elettive». Analogamente, v.
l’art. 46, c. 2, Tuel, in base al quale «il sindaco e il presidente
della provincia nominano, […] garantendo la presenza di entrambi i sessi, i componenti della giunta», e l’art. 17, c. 5, in
cui si richiede, nei comuni con più di 300.000 abitanti, «il rispetto del principio della parità di accesso delle donne e degli
uomini alle cariche elettive […] e agli uffici pubblici» nella predisposizione da parte degli statuti delle modalità di elezione e
di nomina dei componenti dei collegi espressione di decentramento di livello comunale.
(34) V., in particolare, gli artt. 71 e 73, d. lgs. n. 267/2000
(entrambi modificati nel 2012). Le “quote di genere” si applicano nella fase della formazione delle liste dei candidati, ove «è
assicurata la rappresentanza di entrambi e sessi» e, se la popolazione supera i 5.000 abitanti, nessun genere «può essere rap-
presentato in misura superiore ai due terzi dei candidati». Successivamente, al momento del voto, ove l’elettore possa esprimere fino a due preferenze, «esse devono riguardare candidati
di sesso diverso della stessa lista, pena l'annullamento della
seconda preferenza».
(35) V. M. Cerroni, Il principio di pari opportunità nell’accesso alle cariche elettive alla luce della giurisprudenza amministrativa del 2011, in http://www.federalismi.it/ApplMostraDoc.cfm?Artid=20329, consultato il 24 maggio 2014, ove sono reperibili numerosi riferimenti dottrinali e giurisprudenziali.
(36) V. nuovamente M. Cerroni, Il principio di pari opportunità nell’accesso alle cariche elettive alla luce della giurisprudenza
amministrativa del 2011 cit., il quale sottolinea come l’art. 51,
Cost. sia stato ritenuto immediatamente precettivo. V., infatti,
Corte cost. 14 gennaio 2010, n. 4 cit. e Tar Campania, Napoli,
I, 24 marzo 2010, n. 12668, in www.giustizia-amministrativa.it,
nonché Idem, 10 marzo 2011, n. 1427, in Giur. mer., 2011, 5,
1415, e Idem, 7 aprile 2011, n. 1985, in Foro amm. - Tar.,
2011, 4, 1318; Tar Sardegna, Cagliari, II, 4 febbraio 2013, n.
84, in Giur. mer., 2013, 5, 1154, con nota di D. Lamanna Di
Salvo, E. Gilberti Barbon, Spunti di riflessione sull’interpretazione dell’art. 51 Cost. Nella giurisprudenza amministrativa recente, v., però, per esempio, Tar Umbria, Perugia, I, 20 giugno
2013, n. 338, in Foro amm. - Tar, 2013, 6, 1897, ove il giudice
assume al riguardo una posizione, per così dire, intermedia.
Afferma, infatti, che «l’invocato art. 51, comma 1, della Costituzione, sul principio della cd. parità democratica nella rappresentanza, contiene una previsione priva di cogenza piena, ma
neppure solamente programmatica; si tratta di una previsione
"promozionale", che cioè impone una "positive action" di tipo
promozionale, che richiede peraltro, pur sempre, l’intermediazione legislativa». Per la configurazione degli statuti provinciali
e comuni quali fonti normative attuative dell’art. 51 Cost., v.,
per esempio, Tar Campania, Napoli, I, 3 giugno 2013, n. 2869,
in Foro amm. - Tar, 2013, 6, 2017. In dottrina, v. infine A. Enrichens, C. Manassero, Donne, discriminazione di genere e partecipazione politica democratica: un rapporto ancora stridente, ,
in Giur. mer., 2013, 774 ss., nonché F. Lisena, «Simul stabunt
homines, simul cadent»: cadono le giunte comunali composte
da soli membri maschili in applicazione diretta della Costituzione, in Giur. merito, 2012, 944 ss.
(37) È particolarmente significato il c. 4, in base al quale
«l’obiettivo della parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere tenuto presente nella formulazione e
attuazione, a tutti i livelli e ad opera di tutti gli attori, di leggi,
regolamenti, atti amministrativi, politiche e attività».
(38) V. così, per esempio, Tar Sardegna, Cagliari, II 2 ago-
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statuto dell’ente, il riconoscimento della loro immediata vincolatività giuridica è ulteriormente
agevolato (39).
Per quanto concerne la composizione delle giunte
di province e comuni (40), l’unico limite alla piena
operatività della parità di genere è riposto nella necessità di garantire la governabilità. Pertanto, l’atto
di nomina della giunta in contrasto con il principio è legittimo a due condizioni. In primo luogo,
esso deve essere adeguatamente motivato con riferimento ad esigenze di rispetto delle coalizioni di
partito e degli equilibri politici (41). In secondo
luogo, deve esservi evidenziato che nella fase
istruttoria sono stati svolti tutti gli sforzi necessari
all’auspicata acquisizione della disponibilità di persone di sesso femminile all’assunzione di ruoli di
governo (42). I giudici amministrativi bocciano invece senza riserve la ricostruzione, a volte prospettata dall’amministrazione resistente, della nomina
degli assessori da parte del sindaco (ovvero, mutatis
mutandis, del presidente della provincia) come atto
politico, in quanto tale insindacabile in sede processuale (43).
Per quanto concerne, infine, la legittimazione alla
promozione del ricorso, essa è riconosciuta in capo
agli elettori dell’ambito territoriale di riferimento (44). Del resto, nella giurisprudenza del Consiglio di Stato (45) si registra sul punto un’importante apertura anche nei confronti delle associazioni
sto 2011, n. 864, in Foro amm. - Tar, 2011, 2617, nonché
Idem, 4 febbraio 2013, n. 84 cit.
(39) Per esempio, con riferimento alla composizione della
giunta regionale lombarda, v. Cons. Stato, V, 21 giugno 2012,
n. 3670, in Foro amm. - CdS, 2012, 1620 (che annulla Tar
Lombardia, Milano, I, 4 febbraio 2011, n. 354, in Foro amm. Tar, 2011, 354, con nota di C.M. Saracino, Il principio di pari
opportunità tra ordine vigente e possibilità evolutive: il ruolo del
giudice, ivi, 2011, 1829 ss.); per quanto concerne l’esperienza
campana, v. Cons. Stato, V, 27 luglio 2011, n. 4502, in Giur. it.,
2012 (con nota di S. Foà, L. Fascio, Nomina assessorile in violazione dell’equilibrata rappresentanza di genere, alta amministrazione e legittimazione al ricorso cit., 4 ss.), a seguito della quale
la regione Campania ha presentato ricorso per conflitto di attribuzione - poi dichiarato inammissibile - presso la Corte costituzionale (v. Corte cost., 5 aprile 2012, n. 81, in Giur. cost., 2012,
2, con nota di F. Bilancia, Ancora sull’”atto politico” e sulla sua
pretesa insindacabilità giurisdizionale. Una categoria tradizionale
al tramonto?, 1163 ss.; sulla sentenza v. anche R. Chieppa,
Una inammissibilità di ricorso per conflitto di attribuzioni rivestita
da una opportuna motivazione sugli stretti limiti della discrezionalità politica non soggetta ad alcun sindacato giurisdizionale, in
Giur. cost., 2012, 1158 ss.). V. anche Cons. Stato, V, 5 dicembre 2012, n. 6228, in Foro amm. - CdS, 2012, 12, 3242. In proposito, in dottrina, v. per esempio: M. Belletti, “Torniamo allo
Statuto”…regionale. La rappresentanza di genere nelle Giunte
regionali tra atto politico, atto di alta amministrazione e immediata precettività delle disposizioni statutarie, in Le regioni, 2012,
1016 ss.
(40) V., per esempio: Tar Puglia, Bari, III, 18 dicembre
2008, n. 2913, in www.giustizia-amministrativa.it e Idem, Lec-
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per la salvaguardia delle “quote di genere”. Tale
dato dimostra la crescente propensione dei giudici
amministrativi a ricondurre in questo settore all’intera collettività la titolarità dell’interesse all’applicazione concreta del principio di parità fra uomo e
donna.
Le “quote di genere” fra norme
e applicazione giurisprudenziale:
luci e ombre
Come si è visto, la giurisprudenza amministrativa
degli ultimi vent’anni in materia di “quote di genere” appare nel complesso piuttosto altalenante.
Emergono dunque luci e ombre, con una distribuzione discontinua nei due campi esaminati. Le ombre certamente prevalgono nelle sentenze relative
alla riserva alle donne dei posti nelle commissioni
di concorso per l’accesso al pubblico impiego. Per
quanto concerne la questione della presenza femminile negli organi di governo degli enti locali, invece, il rapporto fra livello normativo e livello applicativo è improntato indubbiamente a una spiccata sinergia.
In questo settore, almeno due importanti risultati
sembrano essersi sedimentati. In primo luogo, i giudici amministrativi accolgono oggi con una certa
larghezza la tesi per cui le discriminazioni di genere
sono vietate non solo dalle disposizioni specifiche,
ce, I, 23 settembre 2009, n. 740, in Guida dir., 2009, n. 40,
100; Tar Campania, Napoli, I, 10 marzo 2011, n. 1427, in Giur.
mer., 2011, 1415; Tar Campania, Napoli, I, 7 aprile 2011, n.
1985, in Foro amm. - Tar, 2011, 1318; Tar Sardegna, Cagliari, II
2 agosto 2011, n. 864 cit.; Tar Lazio, Roma, II, 26 luglio 2011,
n. 6673, in Guida dir., 2011, n. 33-34, 77; Tar Calabria, Reggio
Calabria, I, 26 ottobre 2011, n. 750, in Red. amm. Tar, 2011 n.
10.
(41) Per quanto riguarda l’entità e l’intensità dell’onere motivazionale che incombe sull’amministrazione, è interessante
Tar Umbria, Perugia, I, 20 giugno 2013, n. 338 cit., ove l’importanza di tale fattore appare notevolmente ridimensionato, a
fronte del riconoscimento di un’ampia «discrezionalità politica».
(42) Nella giurisprudenza recente, v. per esempio: Tar Puglia, Lecce, I, 7 febbraio 2013, n. 289, Idem, 14 dicembre
2012, n. 2025, e Idem, 11 dicembre 2013, n. 2420, tutte in
www.giustizia-amministrativa.it, nonché Tar Umbria, Perugia, I,
20 giugno 2012, n. 242, in Foro amm. - Tar, 2012, 1915, e Tar
Sardegna, Cagliari, II, 4 febbraio 2013, n, 84 cit..
(43) Con particolare chiarezza, v. per esempio Tar Campania, Salerno, II, 5 dicembre 2012, n. 2251, in Foro amm. - Tar,
2012, 12, 3987.
(44) Con particolare chiarezza, v. per esempio Tar Lazio, Roma, II, 25 luglio 2011, n. 6673, in www.giustizia-amministrativa.it.
(45) V. Cons. Stato, V, 21 giugno 2012, n. 3670 cit., ove peraltro, a seguito della revoca dei provvedimenti impugnati, il
giudice si limita a pronunciare soltanto una condanna risarcitoria. V. anche, più recentemente, Tar Lazio, Roma, II, 11 settembre 2013, n. 8206, in Foro amm. - Tar, 2013, 9, 2757.
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ma anche dai principi fondamentali dell’ordinamento, ai quali per lo più è riconosciuta una valenza vincolante immediata e diretta. In secondo luogo, si registra un orientamento ancora embrionale
ma sempre più diffuso, che proprio dalla portata
generale e dal primario rilievo sostanziale del principio di parità di genere fa derivare il progressivo
ampliamento della legittimazione a farne valere in
sede processuale la violazione. Evidentemente,
quest’ultimo profilo assume, sul piano dell’effettività, notevole importanza.
Nonostante si tratti di conquiste recenti, è doveroso riconoscere che le loro fondamenta sono ben radicate in alcune - coraggiose e isolate - pronunce
più risalenti.
Per certi versi, il punto di partenza ideale dell’evoluzione può forse essere rappresentato da una sentenza del 1992 (46), in cui il giudice amministrativo ha affermato che le associazioni aventi fra i propri fini statutari la rimozione delle discriminazioni
di genere sono titolari di un interesse legittimo ad
ottenere che le componenti delle commissioni regionali per le pari opportunità fra uomo e donna
siano scelte fra candidate non solo depositarie di
esperienze oggettive, ma anche rappresentative dei
vari movimenti organizzati e di diversa ispirazione
culturale. Si riscontra già, dunque, una percezione,
per così dire, “universalistica” dell’interesse sotteso
agli istituti di pari opportunità e indirettamente si
profila l’idea per cui l’aspirazione partecipativa tutelata dagli enti esponenziali è radicata in capo - se
non all’intera collettività - quanto meno a tutte le
donne. Una linea in parte simile emerge, benché
in prospettiva diversa, in una sentenza, anch’essa
risalente, del Tar Lazio (47), in cui, interrogandosi
a proposito della natura dell’attività svolta dai
componenti designati dalle associazioni sindacali
in seno ai comitati per le pari opportunità, il giudice ha escluso che questa possa essere considerata
espressione del mandato sindacale. Il Tar ha sottolineato, infatti, che i comitati sono portatori di un
interesse «proprio dello Stato e, quindi, facente capo a tutti i cittadini».
Come si è segnalato, le recenti riforme legislative
hanno presidiato di ulteriori garanzie la parità fra
donne e uomini in vari settori della vita pubblica.
Gli interventi normativi, del resto, spesso sono il
prodotto di una relazione di stampo latamente dialogico con le posizioni di matrice giurisprudenziale.
In alcuni casi, il legislatore ha inteso fare chiarezza
e intensificare l’effettività delle disposizioni, su impulso probabilmente anche delle incertezze emerse
in sede processuale. Si pensi, per esempio, alla disciplina della riserva alle donne di un terzo dei posti disponibili nelle commissioni concorsuali per
l’accesso al pubblico impiego, ove (lo si è segnalato) le novità introdotte di recente possono essere
lette, almeno in parte, proprio come una reazione
all’orientamento (o, meglio, agli orientamenti)
precedentemente seguiti dai tribunali amministrativi.
In altri casi, l’applicazione giurisprudenziale ha di
fatto anticipato (e, in tal modo, forse incentivato)
l’emanazione delle disposizioni normative. Per
esempio, merita di essere segnalata la sentenza,
precedente all’entrata in vigore della l. n.
120/2011 (48), ove coraggiosamente il Tar Puglia
ha accolto il ricorso avanzato contro i decreti comunali di nomina del consiglio di amministrazione
e del collegio sindacale di una società partecipata,
a composizione totalmente maschile nonostante alcune donne si fossero candidate. Il giudice (49) ha
argomentato alla luce dell’art. 1, c. 4, d.lgs. n.
198/2006 (in base al quale la parità di chances fra
donne e uomini deve essere tenuta presente nello
svolgimento di qualsiasi attività normativa e amministrativa) (50) e ha ritenuto, pur in assenza al
momento di previsioni puntuali, che quella norma
racchiudesse un principio generale dell’ordinamento.
Più in generale, nel corso del tempo si è manifestato un orientamento che riconosce alla parità fra i
generi una valenza ulteriore rispetto a quella che
deriva dalle disposizioni specifiche in cui essa è di
volta in volta declinata.
Nelle sentenze più recenti in tema di quote di genere nella composizione degli organi politici degli
enti locali, i giudici amministrativi riaffermano
proprio che le norme in tema di pari opportunità
sono poste a presidio dell’interesse generale (51). Il
(46) V. Tar Marche, 17 settembre 1992, n. 500, in I Tar,
1992.
(47) V. Tar Lazio, I, 11 giugno 1997, n. 915, in Foro amm. Tar, 1998, 183.
(48) V. supra, sinteticamente, nel paragrafo introduttivo di
questo scritto.
(49) V. Tar Puglia, Lecce, I, 24 febbraio 2010, n. 622, in Foro
amm. - Tar, 2010 n. 2, 626. È interessante anche Tar Lombar-
dia, Brescia, II, 15 gennaio 2010, n. 47, in Giur. merito, 2010
(con nota di S. Pieroni, La “rappresentanza di genere” negli organi collegiali degli enti locali, 1683 ss.), ove però il giudice non
è stato altrettanto coraggioso.
(50) Per il testo della disposizione, v. supra a nt. 36.
(51) V., per esempio, da ultimo, Tar Calabria, Reggio Calabria, I, 14 febbraio 2013, n. 105, in Foro amm. - Tar, 2013, 683.
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fondamento giuridico della tutela è individuato al
livello costituzionale, non soltanto nel combinato
disposto degli artt. 3 e 51 (52), ma anche dell’art.
97 (53), giacché l’equilibrata rappresentanza di entrambi i generi all’interno degli organi amministrativi è garanzia di buon andamento, poiché è condizione indefettibile per l’acquisizione nella prassi del
patrimonio professionale e umano che proprio dalla differenziazione e dall’articolazione delle sensibilità trae la fonte del suo perdurante arricchimento.
Inoltre, dal momento che ritengono le disposizioni
degli statuti e dei regolamenti dell’ente attuative
di principi dotati di immediata ed autonoma vincolatività, i giudici talora si sentono autorizzati a
rafforzare la loro portata precettiva mediante l’indicazione di soglie minime di effettività. In qualche
occasione, precisamente, essi hanno quantificato la
quota minima di presenze femminili negli organi di
governo degli enti locali nella percentuale del 40%
ad appannaggio di persone del genere sottorappresentato; si ritiene, infatti, che solo un limite prossimo alla metà della totalità dei seggi disponibili sia
sufficientemente garantistico dell’effettività del
principio di uguaglianza (54).
Nel complesso, dunque, benché tuttora permangano alcune significative sacche di ambiguità e incertezza, la giurisprudenza frequentemente opera alla
luce sia delle previsioni di dettaglio vigenti, sia dei
parametri costituzionali e dei principi di pluralismo, uguaglianza e parità di trattamento su cui l’intero sistema giuridico è radicato. È auspicabile che,
su queste basi, proprio la sensibilità dei giudici possa determinare, in una logica “dei piccoli passi”, la
formazione di una nuova mentalità presso l’opinione pubblica, ancor oggi troppo spesso ancorata a
pregiudizi antichi che impediscono alle donne di
concorrere con gli uomini in regime di reale parità
per il raggiungimento delle posizioni di potere.
(52) Non va sottaciuto, peraltro, che in dottrina, anche recentemente, la valenza concettuale e normativa dell’art. 51,
Cost. è oggetto di precisazioni e distinguo. Per esempio, merita in questa sede almeno un cenno, per completezza, l’opinione di A.L. Tarasco, Le ocaiole delle Contrade di Siena tra consuetudini e formalismi giuridici cit., 1226 ss., a parere del quale
«deve rilevarsi come dal combinato disposto degli artt. 3 e 51
Cost. si desume che le “pari opportunità” sono fissate nella
Costituzione in funzione anti-discriminatoria e non già per imporre una replicazione al femminile di ogni attività maschile».
Questa affermazione, di per sé piuttosto ambigua, si presta
evidentemente ad interpretazioni e applicazioni quanto mai pericolose. Pare potersi ritenere, peraltro, che il rischio di sterile
“replicazione al femminile” di attività tradizionalmente maschili
paventata dall’autore sarà nella maggior parte dei casi evitata
dalla capacità delle donne di declinare il proprio operato, a parità di ruoli e competenze con gli uomini, in base a paradigmi
comportamentali loro propri.
(53) V., per esempio, Tar Lazio, Roma, II, 21 gennaio 2013,
n. 633, in Foro. amm. - Tar, 2013, 138.
(54) In questi termini, nella giurisprudenza amministrativa
recente, v., per esempio, Tar Lazio, Roma, II, 21 gennaio 2013,
n. 633 cit. V. il commento di C. Pinelli, Il principio di pari opportunità fra legislatori e giudici, in Giust. civ., 2013, 1250. L’orientamento ora indicato, però, non è unanimemente condiviso
dai giudici amministrativi. Nella giurisprudenza recente, cfr.,
per esempio, Tar Lombardia, Milano, I, 14 febbraio 2014, n.
482, in www.giustizia-amministrativa.it, ove si è precisato che il
principio della parità di genere non necessariamente richiede
che la presenza di componenti donne nella giunta degli enti locali sia prossima alla metà dei seggi disponibili; nella fattispecie, dunque, il tribunale ha ritenuto che la nomina di una donna in un gruppo di sei assessori fosse sufficiente a garantire la
parità fra i sessi.
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Indici
INDICE DEGLI AUTORI
Corte di giustizia Ue e Tribunale Ue
4 luglio 2013, causa C-100/12 ...........................
Bartolini Antonio
L’Adunanza plenaria ritorna sul ricorso incidentale
escludente. Una decisione poco europea .............
3 aprile 2014, prima sezione, causa C-559/12 P .....
932
Battini Francesco
E` sempre un buon inizio la meta` dell’opera? .........
Battini Stefano
L’abrogazione nei rapporti fra leggi statali e regionali
23 giugno 2014 n. 3144, sez. V .........................
24 luglio 2014 n. 3930, sez. V ...........................
939
30 luglio 2014 n. 16, Ad. plen. ..........................
31 luglio 2014 n. 17, Ad. plen., ordinanza .............
Benedetti Mariangela
Lo ‘‘stato dell’arte’’ della semplificazione in Italia ....
Consiglio di Stato (decisioni)
25 febbraio 2014, n. 9, Ad. plen. ........................
27 maggio 2014, n. 2746, sez. V .......................
901
972
31 luglio 2014 n. 4056, sez. VI ..........................
Ferrara Leonardo
Tribunali amministrativi
L’Adunanza plenaria ritorna sul ricorso incidentale
escludente. Un errore di fondo? ........................
12 maggio 2014, n. 4871, Tar Lazio, sez. I ............
919
La specialita` degli enti pubblici francesi: privilegio o
garanzia implicita per i terzi creditori? ..................
7 giugno 2014, n. 366, Tar Basilicata ..................
906
17 giugno 2014, n. 6384, Tar Lazio, sez. III-quater ..
982
20 giugno 2014, n. 1099, Tar Piemonte, sez. II ......
982
998
INDICE CRONOLOGICO
DEI PROVVEDIMENTI
Norme
Decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102 ...............
Decreto-legge 16 luglio 2014, n. 100 ...................
Legge 22 luglio 2014, n. 110 ............................
Legge 29 luglio 2014, n. 106 ............................
Decreto legislativo 10 agosto 2014, n. 126 ...........
Legge 11 agosto 2014, n. 116 ..........................
Legge 11 agosto 2014, n. 117 ..........................
Legge 11 agosto 2014, n. 125 ..........................
904
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904
903
903
903
903
904
903
Giurisprudenza
24 giugno 2014, ricorso n. 48357/07, II sezione ......
18 luglio 2014, ricorso n. 43835/11, Grande camera .
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963
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Corte dei conti
18 marzo - 7 aprile 2014, n. 3/2014/G, sez. centrale
di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello
Stato I, II e Collegio per il controllo sulle entrate, deliberazione ..................................................
968
29 maggio, sezione delle Autonomie, elementi per
l’audizione ..................................................
966
3 aprile - 5 maggio 2014, n. 403/2014, sez. giurisdizionale per la Regione Lazio, sentenza ................
967
21 marzo 2014, relazione ................................
25 giugno 2014, n. 101, delibera .......................
26 giugno 2014, n. 102, delibera .......................
3 luglio 2014, n. 104, delibera ...........................
maggio-giugno 2014, rapporti di monitoraggio .......
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Documenti
31 marzo 2014 - Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla semplificazione legislativa e amministrativa .................................................
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INDICE ANALITICO
Corte europea dei diritti dell’uomo
22 aprile 2014, ricorso n. 6528/11, III sezione ........
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A.N.A.C.
Normativa statale
Decreto legislativo 18 luglio 2014, n. 101 ..............
3 luglio 2014, n. 1720, Tar Milano, sez. I ..............
4 luglio 2014, n. 524, Tar Latina ........................
Simonati Anna
Le ‘‘quote di genere’’ alla prova dei fatti: l’accesso
delle donne al potere e i giudici amministrativi .......
17 giugno 2014, n. 461, Tar Sardegna, sez. I .........
18 giugno 2014, n. 756, Tar Bari, sez. III ..............
Sarpi Francesco
Prima l’uovo o la gallina? La smart regulation nelle
decisioni delle istituzioni europee .......................
11 giugno 2014, n. 6199, Tar Lazio, sez. II ............
11 giugno 2014, n. 6245, Tar Lazio, sez. III ...........
Salvi Siriana
Prima l’uovo o la gallina? La smart regulation nelle
decisioni delle istituzioni europee .......................
3 giugno 2014, n. 968, Tar Toscana, sez. III ..........
5 giugno 2014, n. 1463, Tar Palermo, sez. III .........
Gnes Matteo
918
906
954
954
954
Anticorruzione, trasparenza e integrita`
Disposizioni organizzative e per il funzionamento in
attuazione del d.l. n. 90 del 2014 - Osservatorio
A.n.ac. .......................................................
970
Giornale di diritto amministrativo 10/2014
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Giornale di diritto amministrativo
Indici
Monitoraggio in materia di trasparenza - Osservatorio A.n.ac. ...................................................
970
2013, causa c-100/12 ) - Una decisione poco europea, commento di Antonio Bartolini ....................918, 932
Relazione annuale sulla performance delle amministrazioni centrali - Osservatorio A.n.ac. ................
970
Ordinamento giudiziario
Orario di apertura delle segreterie dei tribunali - Osservatorio Tar ..............................................
Concorrenza e mercato
L’abrogazione nei rapporti fra leggi statali e regionali
(Consiglio di Stato, sez. V, 27 maggio 2014, n.
2746), commento di Stefano Battini ....................
Processo amministrativo
939
Contratti pubblici
Avvalimento delle certificazioni di qualita` - Osservatorio Tar .....................................................
961
Avvalimento di garanzia e avvalimento operativo Osservatorio Tar ...........................................
962
Contributo delle stazioni appaltanti all’Avcp - Osservatorio Tar ...................................................
961
Dichiarazione sostitutiva del possesso dei requisiti
di moralita` - Osservatorio CdS ...........................
956
Esclusione da procedura ad evidenza pubblica per
erronea indicazione oggetto della gara - Osservatorio
Tar ............................................................
962
Numero massimo delle pagine della relazione tecnica allegata all’offerta - Osservatorio Tar ...............
961
Controlli
Avvalimento e opposizione di terzo - Osservatorio
CdS ..........................................................
Competenza sui ricorsi avverso l’informativa antimafia interdittiva e l’atto applicativo della stazione appaltante - Osservatorio CdS .............................
Corrispettivi dovuti per il rilascio di atti giudiziari su
supporti diversi da floppy e cd - Osservatorio Tar ...
Procura generale alle liti - Osservatorio Tar ...........
E` sempre un buon inizio la meta` dell’opera? di Francesco Battini ...............................................
Le ‘‘quote di genere’’ alla prova dei fatti: l’accesso
delle donne al potere e i giudici amministrativi, di
Anna Simonati .............................................
Lo ‘‘stato dell’arte’’ della semplificazione in Italia
(Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva
sulla semplificazione legislativa e amministrativa, approvato il 31 marzo 2014), di Mariangela Benedetti .
967
L’armonizzazione dei sistemi contabili - Osservatorio
Corte dei conti .............................................
966
Sanita` pubblica
968
Medicinali inseribili nel sistema PH-T - Osservatorio
Tar ...........................................................
Relazione annuale sulla performance delle amministrazioni centrali - Osservatorio A.n.ac. ................
Edilizia ed urbanistica
Semplificazione amministrativa
Condizione apposta in concessione edilizia - Osservatorio Tar ...................................................
v. Pubblica amministrazione
962
Contributo di costruzione su parcheggi obbligatori Osservatorio Tar ...........................................
963
Enti locali
Misura dell’imposta comunale sugli immobili - Osservatorio CdS .............................................
956
Quote rosa nella giunta comunale - Osservatorio
CdS ..........................................................
957
958
957
964
963
Pubblica amministrazione
Concorso in danno erariale del nucleo di valutazione
- Osservatorio Corte dei conti ...........................
Le spese di manutenzione degli immobili ministeriali
- Osservatorio Corte dei conti ...........................
964
901
998
972
970
965
Unione europea
La specialita` degli enti pubblici francesi: privilegio o
garanzia implicita per i terzi creditori? (Corte di giustizia dell’Unione europea, prima Sezione, 3 aprile
2014, causa C-559/12 P), commento di Matteo
Gnes .........................................................
Prima l’uovo o la gallina? La smart regulation nelle
decisioni delle istituzioni europee, di Siriana Salvi e
Francesco Sarpi ............................................
906
982
Giurisdizione ecompetenza
Provvedimento disciplinare inflitto ad un notaio - Osservatorio Tar ...............................................
963
Giustizia amministrativa
L’Adunanza plenaria ritorna sul ricorso incidentale
escludente (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria,
25 febbraio 2014, n. 9; Corte di Giustizia Ue, 4 luglio
2013, causa c-100/12 ) - Un errore di fondo? Commento di Leonardo Ferrara ...............................
918
L’Adunanza plenaria ritorna sul ricorso incidentale
escludente (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria,
25 febbraio 2014, n. 9; Corte di Giustizia Ue, 4 luglio
Giornale di diritto amministrativo 10/2014
1009
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Giornale di diritto amministrativo
Indici
Hanno collaborato:
A. Bartolini
F. Battini
S. Battini
M. Benedetti
L. Carbone
E. Chiti
M. D’Adamo
E. D’Alterio
L. D’Ambrosio
C. Di Seri
L. Ferrara
G. Ferrari
M. Gnes
M. Pacini
S. Salvi
F. Sarpi
A. Simonati
U. G. Zingales
1010
Professore ordinario di diritto amministrativo nell’ Universita` di Perugia
Presidente onorario della Corte dei conti
Professore di diritto amministrativo nell’Universita` della «Tuscia»
Dottore di ricerca in diritto amministrativo presso l’Universita` degli studi di Roma "La Sapienza"
Presidente di sezione del Consiglio di Stato
Professore straordinario di diritto amministrativo nell’Universita` della «Tuscia»
Dirigente amministrativo presso la regione Campania
Ricercatore di diritto amministrativo nell’Universita` degli studi di Catania
Consigliere della Corte dei conti
Dottore di ricerca in diritto amministrativo nell’Universita` «Roma Tre»
Professore ordinario di diritto amministrativo nell’ Universita` degli studi di Firenze
Magistrato dei Tar
Professore associato di diritto amministrativo nell’Universita` di Urbino «Carlo Bo»
Dottore di ricerca in organizzazione e funzionamento della p.a. nell’Universita` «Sapienza» di Roma
Componente della Task-force MOA (Misurazione degli oneri amministrativi) istituita presso il Dipartimento
della funzione pubblica
Esperto in materia di qualitA´ della regolazione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri
Professoressa associata di diritto amministrativo nell’Universita` di Trento
Consigliere della Corte Costituzionale
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CODICE
DEGLI APPALTI
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Trattazione approfondita di tutti gli
istituti previsti dall’ordinamento per
i contratti degli appalti pubblici,
attraverso l’analisi sulla ricostruzione
del regime giuridico e delle fattispecie
espressamente delineate dal codice e
dalla legislazione speciale.
In particolare, dopo avere esaminato
il dato normativo, viene riservato
ampio spazio allo studio della prassi
contrattuale attraverso gli apporti
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più accreditata e dall’interpretazione
derivante dall’attività degli organi
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UTET GIURIDICA ® è un marchio registrato e concesso in licenza da De Agostini Editore S.p.A. a Wolters Kluwer Italia S.r.l.
a cura di A. Cancrini – C. Franchini e S. Vinti
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L’opera commenta, con sapiente
sintesi degli autori, gli articoli del
Codice Civile e delle disposizioni
attuative, dando conto delle relative
discipline speciali, alla luce delle
numerose novellazioni intervenute
su tutti i Libri del Codice (non meno
da ultimo il d.l. 21 marzo 2014 n.34
in tema di contratti a termine e
apprendistato e la sentenza della
Corte Costituzionale del 9 aprile
2014 in tema di fecondazione
eterologa).