Piazza dell'Aracoeli, 12 - 00186 Roma - tel *30 06 6784168 Bollettino del1 del1 ottobre 2014 A cura di Manlio Lo Presti ESERGO Oggigiorno è difficile poter parlare di libertà senza gerarchie e senza secondi fini. Gli uomini liberi hanno uno sguardo diverso, parlano in modo diverso, guardano il potere in modo diverso. ALAIN ELKANN, Giorno dopo giorno, Bompiani, 2005, pag. 74 °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° CHI SIAMO La Lidu è la più antica antica Organizzazione laica che difende i diritti dell’Uomo. Si è aperta la campagna tesseramenti 2014. Sosteniamola affinché non si spenga una delle poche voci indipendenti esistenti in Italia ________________________________________________ _____ L.I.D.U. Lega Italiana dei Diritti dell’uomo TESSERAMENTO 2014 Socio Giovane Socio Ordinario Socio Sostenitore Socio Benemerito quota minima quota minima versamento minimo versamento minimo data ultima di versamento per il rinnovo € 10,00= (fino a 30 anni) € 50,00= € 200,00= € 500,00= 30 GIUGNO NOTA Poiché la L.I.D.U. è un'Associazione Onlus e la quota associativa è stata fissata ad euro 50,00- ogni versamento maggiore della quota suddetta, verrà considerata come versamento liberale e potrà essere dedotta, nei termini di legge, dalla dichiarazione dei redditi. La condizione necessaria è che il versamento debba essere effettuato direttamente alla L.I.D.U. nazionale, in qualsiasi forma, salvo che in contanti. L'attestato del versamento dovrà essere richiesta alla Tesoreria nazionale. si può effettuare il pagamento della quota dovuta a mezzo: contanti; assegno; bollettino di c/c/postale n° 64387004 bonifico bancario IBAN IT 90 W 05216 03222 000000014436 bonifico postale IBAN IT 34 N 07601 03200 000064387004 Intestati a: F.I.D.H. Fédération International des Droits de l’Homme - Lega Italianaonlus ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 5 x 1000 Come previsto dalla legge è possibile destinare il 5 x 1000 del reddito delle persone fisiche a fini sociali. La nostra Associazione è ONLUS e può beneficiare di tale norma. Per effettuare la scelta per la destinazione, occorre apporre la propria firma e indicare il Codice Fiscale 97019060587 nell'apposito riquadro previsto nei modelli dell'annuale denuncia dei redditi. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° COMUNICAZIONI LIDU La “razza superiore lumbarda” In un intervista ad uno dei maggiori quotidiani italiani, pubblicata il giorno 8 agosto 2014, il Sig. Umberto Bossiha affermato: “noi lumbàrd siamo una razza superiore“. Sebbene l’affermazione non si riferisca ad una varietà bovina od avicola, bensì a persone, non risulta, ma potrebbe essere sfuggito, che qualcuno abbia preso netta posizione contro affermazioni palesemente razziste, per altro non nuove ne alla citata persona ne al gruppo politico al quale appartiene. Che un mediocre allevatore di quadrupedi o di pollame usi espressioni del genere non sorprenderebbe, se la citata persona fosse dedita a quelle attività, ma sembra di ricordare che non solo sia ancora un parlamentare ma addirittura abbia ricoperto incarichi di governo per vari anni. Di fatto tale politico usa strumenti analoghi a quelli di Goebbels: paura, degli immigrati e dei “meridionali ladroni” che sono truffatori e tolgono il lavoro; orgoglio dell’appartenenza etnico-razziale, con presunte superiorità (incluse le fantasie celtiche e padane) ed intolleranza verso gli altri; tendenza al culto della personalitàdel capo. Cose che dovrebbero creare almeno un qualche imbarazzo in un Paese nel quale tornano periodicamente in giro scritte antisemite, o di dispregio verso i neri o gli zingari o gli immigrati. E’ lo stesso Paese nel quale i cittadini di altra religione si videro “legalmente” discriminati e segregati (anche quella era questione di “difesa della razza”, no?), e nel quale molti cittadini meridionali sonostati spesso considerati poco meno che “briganti”, in una propaganda-discriminazione mediatica che instilla da anni a piccole dosi separatezza ed arroganza etnica. Oramai è quasi normale leggere o sentire che Napoli è solo rifiuti e camorra, che il mezzogiorno è solo mafia e frode, che lì sono università di scarso livello che regalerebbero titoli, ecc., il tutto sempre nella indifferenza generale. Vero è che per avvertire imbarazzo bisogna presumere un po’ meno, ovvero essere meno ignoranti e meno goffamente arroganti. Non vorremmo però che l’ennesimo teorico, forse “pseudoceltico”, scoprisse pure che la “razza superiore lumbarda” è sostanzialmente ariana e quindi va difesa ed è forse l’unica che merita pieni diritti in Italia. Ci sarebbe poco da continuare a sorridere od a minimizzare in nome di un presunto realismo politico. Realismo ipocrita, dopo tutto anche Hitler era stato regolarmente eletto ed era “espressione della volontà popolare”, secondo una formula cara ad un ex presidente del consiglio. Prof. Antonio Virgili Presidente Commissione Cultura ANALISI GEOPOLITICA DEL PRESENTE Roberto Vismara 1 ottobre 2014 Non è difficile capire che la complessa molteplicità che chiamiamo 'Cultura' di un popolo ha radici storiche, motivazioni economiche e risvolti sociali che la individuano, la identificano, e che col variare di queste anch'essa muta, si trasforma, cede il passo ad altre culture. L'Occidente ha una cultura che poggia su una classe sociale, la borghesia; un sistema economico, il capitalismo liberale; una espressione valoriale che trova nella dichiarazione dei Diritti dell'Uomo del 1789, ed in quelle che seguono, la sua più alta espressione. Lo sviluppo delle scienze e delle tecnologie del '600 e '700 sono le premesse che portano la borghesia dell'epoca ad acquisire una coscienza di classe, a vedersi come motore di progresso e di libertà ( che quindi diventano i suoi valori distintivi, la sua bandiera) e dunque a farsi protagonista di quella serie di rivolgimenti, dalla rivoluzione Americana a quella Francese, alla formazione di Stati nazionali unitari in Italia e in Germania, che portano questa 'nuova classe' a sostituire nobiltà e clero, ormai inadeguati a gestire il mondo nuovo che stava nascendo. Da allora il 'progresso' corre inevitabilmente sui suoi binari: il colonialismo è la conseguenza non solo della necessità di materie prime che alimentino le industrie, ma anche dell'idea illuministica di estendere la 'luce' del progresso e della libertà, valori principi della trionfante borghesia, ai popoli 'primitivi' (che in cambio di tale privilegio vengono spogliati delle loro risorse): insomma, per dirla con Kipling, “il fardello dell'uomo bianco”. Ma non si scappa all'evoluzione e alle sue leggi: i principi di libertà contagiano i popoli soggetti, e la vecchia forma coloniale deve essere sostituita da un nuovo dominio, più subdolo e meno vistoso. Ed ecco il neocolonialismo, che continua lo sfruttamento del terzo mondo con altri metodi, più indiretti e raffinati, finanziando élites locali che garantiscono la prosecuzione del saccheggio. Ai giorni nostri la finanziarizzazione dell'economia, cui non si sono potute o volute dare regole, sta come un cancro minando il nostro mondo. Le sue immense risorse sono tali che la finanza globale può distruggere popoli e paesi, comprare intere classi politiche, dominare l'informazione, miscelarsi con la potentissima economia delle mafie e della criminalità organizzata, tendere al dominio del mondo. Apparentemente non c'è speranza di contrastare il suo 'Progetto' di dominio globale esercitato da élites sempre più ricche su popoli sempre più poveri: un progetto mortale, come quello del cancro appunto, al quale a tutt'oggi però non si vede un fronte di opposizione compatto e consapevole, capace di competere e magari vincere questa 'battaglia finale'. Come corollari di questo teorema si pongono le migrazioni e gli integralismi, segnatamente quello Islamico, ma non solo. Utilissimi, peraltro, a fomentare e sostenere le 'guerre tra poveri' che da sempre fanno parte degli strumenti che qualunque potere usa per sostenersi. Ma c'è poi un vero “progetto”? Penso all'estinzione dei dinosauri: in determinate condizioni essi erano la specie dominante del pianeta; i mammiferi, esclusivamente rappresentati da poche specie di piccoli roditori vivacchiavano a margine dei sauri giganti. Poi un cataclisma di dimensioni planetarie sconvolge la Terra, con un lungo periodo di drammatici sommovimenti, convulsioni e cambiamenti climatici. Quando si ristabilisce un qualche equilibrio, il panorama è completamente cambiato: il clima, la vegetazione, gli habitat non sono più gli stessi. I dinosauri si sono estinti, e, nelle nuove condizioni, specie in precedenza marginali risultano essere quelle più adatte alla sopravvivenza, e dunque si sviluppano, si differenziano, si evolvono diventando dominanti, dando inizio ad una nuova era, quella dei mammiferi. Consideriamo il mondo in cui viviamo: siamo in un'epoca di cambiamenti enormi, in cui i vecchi equilibri si stanno rompendo e quelli nuovi devono ancora affermarsi. In questo mutato habitat vecchie forze, strutture, modalità declinano e si estinguono, e nel vuoto che si determina altre più adatte tendono a sostituirle. Non senza traumi, convulsioni e sconvolgimenti che coinvolgono tutta l'umanità e l'intero pianeta. L'assetto in cui siamo vissuti finora è sostanzialmente quello determinato dalle grandi Potenze dell'epoca alla fine della Grande Guerra, con la spartizione dell'Impero Ottomano; i confini dei nuovi stati, del Nordafrica e del Medio Oriente, tracciati col righello sulle carte geografiche lo indicano chiaramente. All'inizio erano colonie Britanniche e Francesi, ma con la decolonizzazione si trasformarono in stati indipendenti mantenendo gli stessi confini. Confini tracciati dai colonizzatori tenendo anche presente l'interesse ad includere, in uno stesso territorio, popolazioni tradizionalmente diverse e rivali tra loro, per evitare che potessero coalizzarsi contro la potenza colonizzatrice. E dunque oggi il problema dei conflitti interni, religiosi, etnici, economici e culturali, ricade sulle spalle dei nuovi Stati indipendenti, assolutamente impreparati ad affrontarli e risolverli. Si può osservare che nella stessa Europa il problema è presente, e con importanza crescente ed effetti potenzialmente devastanti: l'”esplosione” della Jugoslavia, il conflitto RussoUcraino, le tendenze indipendentiste della Scozia e della Catalogna lo testimoniano. A tutto ciò si aggiunge la 'spartizione' dell'Europa in 'sfere d'influenza' sancite dalla conferenza di Yalta; finché c'è stato un 'Impero Sovietico' l'accordo, in qualche modo, ha funzionato; ma dalla caduta del muro le carte si sono rimescolate aggiungendo un 'Problema Europeo' a quello Africano e Mediorientale. Stati che mal sopportavano il dominio Sovietico, nella cui area di influenza erano ricaduti, cercano oggi una nuova collocazione, e si rivolgono alla Comunità Europea ed alla NATO per tutelare la loro indipendenza, che sentono minacciata dal possente vicino. La Federazione Russa, dal canto suo, superato faticosamente il periodo di assestamento in cui nuove élites sono giunte al potere, ha una politica 'Imperiale', immutata dai tempi degli Zar e dall'era Comunista: sicurezza dei confini attraverso una cintura di 'Stati-cuscinetto', accesso ai 'mari caldi' per la propria flotta, tutela dei confini Orientali. Dunque mal sopporta il sempre più stretto accerchiamento di Paesi già sotto la sua influenza, che vogliono aderire alla NATO ed alla Comunità Europea. In questo contesto la politica estera dell'Europa, tradizionalmente incerta e discorde, sembra invece decisamente sostenere le pretese egemoniche degli Stati Uniti, che, anche attraverso la NATO, tendono a divenire Potenza unica planetaria, anche ritardando e rendendo più difficile il processo di formazione di una vera 'Europa Federale'. Questa serie di rimescolamenti, di vuoti di potere, di sorde lotte di predominio stanno configurando, e sono parole del Papa (!) una sorta di Terza Guerra Mondiale, magari ad intensità e collocazione geografica variabile, ma non per questo meno grave e distruttiva. Movimenti epocali come quello che è da pochi anni iniziato non si risolvono certamente nel giro di mesi o anni; ci vorranno decenni di sconvolgimenti prima di trovare un nuovo assetto mondiale e nuovi equilibri tra le potenze. Nel frattempo tutto, o quasi tutto, può accadere; e non tutte le cose che possono accadere sono positive, anzi. Ma come si è arrivati a questa crisi epocale, paragonabile alla caduta dell'Impero Romano con le invasioni barbariche (ma anche, se vogliamo essere ottimisti, alla Rivoluzione Industriale)? Secondo autorevoli studiosi, le conquiste tecnologiche degli ultimi decenni hanno gradualmente trasformato i parametri usuali di spazio e di tempo che erano rimasti immutati per secoli. Spazio conoscibile, frequentabile senza mediazioni, quello del villaggio, del quartiere, della città; e per estensione della nazione stessa, per lo più con la stessa lingua, cultura religione. E il tempo era quello che si impiegava per gli spostamenti e per le comunicazioni: sempre più veloci, ma comunque non immediate. Con l'avvento delle nuove tecnologie tempo e spazio, categorie fondamentali in cui tutto si inquadra, tendono ad annullarsi: le comunicazioni sono istantanee, le transazioni finanziarie avvengono tramite computer in frazioni di secondo, ogni luogo è vicino, conoscibile e frequentabile in tempo reale, la televisione ed internet annullano veramente le distanze spaziali e temporali; l'individuo perde la necessità e la possibilità di aggregazione con altri individui, trasformandosi in una sorta di monade che si aggrega con altre di volta in volta su progetti, simpatie, mozioni diverse e talora contraddittorie, sempre più privo della guida (sì, proprio 'guida', nel bene e nel male) delle ideologie che dominavano il secolo passato. Che hanno fatto grandi danni, ma comunque erano un sistema di riferimento importantissimo, di identificazione, di creazione di soggetti sociali collettivi (il partito, il sindacato, i lettori di quel giornale, e così via), attraverso i quali, tra l'altro, si formava e si affermava la democrazia. La comunicazione tra potere e popolo si fa univoca, da biunivoca che era, unidirezionale, ingannevole ed illusoria; la ridondanza delle informazioni annega l'analisi, la comprensione, la riflessione ed il giudizio, in poche parole ci trasforma da detentori del potere, attori della politica a spettatori della politica stessa. La quale, peraltro, è diventata soltanto spettacolo, il megafono dei poteri forti, finanziari, reali. Non c'è bisogno di squadracce di giovinastri violenti in camicia nera o bruna o rossa, per fare il fascismo dei nostri giorni, e se si attende, per mobilitarsi, di vederle comparire in strada, sarà troppo tardi. Queste trasformazioni dello spazio e del tempo hanno prodotto grandi cambiamenti anche a livello di coscienza individuale, ma su questo rinvio alla lettura di Revelli, Baumann, Bobbio etc. Quello che interessa notare è che da queste analisi si evince che stiamo assistendo all'inizio di un mutamento epocale, che se non analizzato e gestito potrebbe travolgere la nostra civiltà e trascinarci in un periodo di caos, guerre, sconvolgimenti economici, politici e sociali. La tradizionale aggregazione degli individui in classi, corporazioni, partiti, sindacati e, oserei dire, anche famiglie, a seguito di questi processi di mutazione dello spazio e del tempo si va disintegrando, e al suo posto appare la nuova solitudine dell'uomo post-moderno. Il quale, bersagliato da una 'ressa' mediatica rumorosa e aggressiva, sommerso da informazione disordinata e sovrabbondante, non ha più una sufficiente capacità discriminatoria e selettiva, e si aggrega volta per volta, su singoli problemi o mozioni, quasi esclusivamente su base emotiva e irrazionale, senza più la 'griglia' delle ideologie che in passato contribuivano a determinare le scelte individuali. Questo spiega perché è sempre più frequente vedere persone 'di sinistra' che fanno scelte 'di destra', e viceversa, per poi mutare di nuovo quando si presenta una nuova scelta. Ammesso poi che di scelte si tratti: è osservazione comune che spesso si faccia ricorso al 'tranello' di porre come scelta su cui schierarsi la posizione “A” contro la posizione “B”, quando in realtà l'opzione più corretta o più utile sarebbe una posizione “C” o “D”, che però non vengono neppure proposte. Se a queste considerazioni si aggiunge il fatto che l'individuo è sempre meno 'educato' dalla scuola e dalla collettività all'osservazione critica e alla scelta responsabile e consapevole, e spinto invece con forza verso modelli di omologazione, si vede bene come la tendenza dei tempi sia sempre più sfavorevole alla formazione di quella cittadinanza informata, critica e responsabile che è necessario fondamento di ogni sistema che voglia essere realmente democratico. In questo contesto va analizzata la situazione attuale, che ci costringe ad affrontare situazioni di crisi mondiale con strumenti tradizionali assolutamente inadeguati. Le ideologie del secolo scorso hanno trascinato i popoli in guerre tragiche, ad alta intensità e per periodi limitati, di pochi anni; oggi la prospettiva appare più quella di una guerra a bassa intensità, protratta nel tempo, affidata in gran parte ad “appaltatori” privati e con grande impiego di tecnologia, con danno principalmente alle popolazioni civili ed alla produzione di beni di consumo, ma grandi vantaggi per la produzione di armi e sistemi di offesa e difesa, vantaggi che non ricadrebbero sull'Europa se non marginalmente. Lo si verifica sempre più massicciamente dalle guerre Afghane, all'Irak, ed ora al Califfato. Una situazione dunque che danneggerebbe le popolazioni, arricchendo solo il 'complesso militare-industriale' statunitense. T Contemporaneamente, in particolare in Italia, la istruzione media di cittadini è in grave costante declino, addirittura con un regresso dell'alfabetismo medio, e le politiche della scuola sembrano insufficienti e addirittura controproducenti, aumentando l'ignoranza di massa; ciò rende meno critica la popolazione, e dunque sempre meno capace di valutare i provvedimenti governativi, allentando così il controllo democratico sulle Istituzioni. L'U.E., che doveva marciare, attraverso una unificazione economica, verso la costituzione di uno Stato Federale con una sua Forza Armata ed una sua politica estera, si è fermata in mezzo al guado con l'Euro come unica manifestazione unitaria. L'avvento dell'Euro sul mercato mondiale delle monete ha sconvolto gli equilibri preesistenti, fondati sul Dollaro quale unica moneta di scambio internazionale, lasciando peraltro ad ogni singolo Paese europeo la gestione della politica estera e militare, col conseguente procedere 'in ordine sparso' La Federazione Russa, dopo la lunga crisi seguita al crollo del regime Sovietico, si è riaffacciata all'orizzonte politico come potenza globale, in grado di insidiare o indebolire l'egemonia U.S.A., anche perché buona parte dei Paesi dell'U.E. dipende dalle sue fonti energetiche. Al contrario gli USA si avviano all'autosufficienza energetica, e quindi si svincolano sempre più dalla necessità di una forte presenza politico-militare in Medio Oriente, onerosa ed in prospettiva inutile, mentre la dipendenza energetica dell'Europa da Russia e Paesi Arabi persiste. La possibilità di quotare in Euro anziché in Dollari il mercato mondiale, ed in particolare quello energetico, ha causato grave apprensione circa la supremazia U.S.A. sui mercati; contemporaneamente, l'esigenza di frenare il rinascente espansionismo Russo ha fatto sì che si scatenasse una sotterranea competizione tra i due concorrenti per il controllo degli ex Stati Satelliti dell' U.R.S.S., Polonia, Ucraina e stati Baltici in primis. Il tentativo di inserirli nella Unione Europea e conseguentemente nella NATO è comprensibilmente visto dalla Russia come un tentativo di 'strangolamento' La Germania, ossessionata dal timore dell'inflazione, porta nell'ambito Europeo elementi disaggreganti che frenano il processo di unificazione, unendosi peraltro alla politica della Gran Bretagna, tradizionale 'longa manus' degli U.S.A. e decisa a mantenere, restando fuori dall'Euro con la Sterlina, una sua posizione nell'economia mondiale. Una Europa federale, con un suo mercato interno di 500 milioni di consumatori e una capacità produttiva seconda solo agli U.S.A., rappresenterebbe per questi ultimi un pericoloso competitor, anche perché la sua politica estera potrebbe essere orientata a rapporti redditizi ed amichevoli con la Russia e la Cina, e la sua moneta potrebbe essere un potenziale competitore del Dollaro. La persistenza della N.A.T.O., che attualmente si configura come braccio armato degli U.S.A., nonostante non vi sia più una situazione di guerra fredda tra due blocchi, rappresenta oggettivamente un ulteriore ostacolo alla creazione di una Forza Armata Europea, e quindi allo sviluppo di una politica estera Europea autonoma, oltre che un ulteriore strumento di penetrazione economica degli U.S.A. e del Dollaro. Infatti la NATO, mentre si riducono le spese per armamenti negli USA, richiede sempre maggiori impegni economici agli altri Paesi membri, e l'industria bellica Americana è il quasi esclusivo beneficiario di questo aumento di fatturato. Crollati gli equilibri di Yalta il mondo si avvia ad una redistribuzione di poteri e di confini affidata alla forza e alla determinazione dei singoli 'Attori'; questo è il tipo di situazioni che porta ai conflitti mondiali. In conclusione: l'avanzare del processo di unificazione Europea viene avvertito come un pericolo per la propria supremazia mondiale dagli U.S.A., e pertanto frenare tale processo appare come un oggettivo interesse degli Americani, da perseguire con ogni mezzo. L'abbandono del Medio Oriente assieme al rafforzamento della NATO crea una situazione che sta facendo deflagrare conflitti gravi sia in Europa che nel Mediterraneo, dei quali l'Italia potrebbe essere la vittima principale, data la sua posizione geografica e la sua dipendenza energetica. Penso si possa affermare che gli sviluppi possibili siano tre: mantenere la situazione attuale, con l'Europa “in mezzo al guado”; tornare indietro, alla totale indipendenza nazionale dei Paesi dell'UE; o andare avanti, in tempi stretti, verso un'Europa federale, con una sua politica estera, militare ed economica. Di queste possibili soluzioni le prime due appaiono fallimentari, mentre la terza, quella federalista, ancorché difficile e complessa sembra l'unica a poter garantire uno sviluppo pacifico dell'Europa e del mondo intero. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° RASSEGNA STAMPA http://www.ilmattino.it/ Commissione per i diritti umani: «Indagini, la Procura vigili sul rispetto delle procedure» PER APPROFONDIRE:Bifolco Manconi diritti umani Il presidente della Commissione per il rispetto dei diritti umani e senatore del Pd Luigi Manconi chiede alla Procura di Napoli di vigilare affinché vengano rispettate tutte le procedure previste per casi come quello di Davide Bifolco. «Per carità, non si facciano errori - raccomanda Manconi - non si commettano omissioni e non si tralasci alcunché nella primissima fase di un'indagine così delicata come quella per la morte del diciassettenne Davide Bifolco. Rischiamo di dovercene pentire, creando danni irreparabili e comunque condizioni di confusione e di approssimazione nocive per tutte le parti in causa. Ognuno di noi è interessato all'accertamento più pieno della verità su circostanze e dinamica della morte del diciassettenne napoletano. E proprio per questo, sin dal primo istante è necessario che tutte (ma proprio tutte) le indagini e i rilievi siano condotti con la più oculata e rigorosa attenzione, con lo scrupolo più severo, e con il rispetto minuzioso di tutte le regole». «In queste ore, viene comunicato, sta per essere effettuata l'autopsia sul cadavere. Ma anche questo atto indispensabile va compiuto con la massima prudenza. Pertanto, prima della stessa autopsia, va realizzata una radiografia tridimensionale. Le linee guida universalmente riconosciute e i protocolli internazionali di medicina legale in tutti i casi di decessi per colpo di arma da fuoco - aggiunge - evidenziano quanto sia opportuno consigliato e doveroso effettuare sul cadavere un accertamento preliminare ad ogni operazione autoptica che inevitabilmente ne muterebbe lo stato». «E ciò - conclude - ai fini di un corretto ed attendibile accertamento balistico. Inoltre è necessario effettuare un prelievo dei tessuti e dei vestiti intorno ai fori di entrata e uscita del proiettile per avere indicazioni più precise sulla distanza dello sparo. Quindi mi permetto di chiedere alla Procura di vigilare affinché tutte le procedure siano svolte nella maniera più rapida e accurata» °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.ansa.it/ Tunisia: allarme abusi polizia contro difensori diritti uomo I casi di Lina ed Hela oggetto di una lettera a Marzouki 08 settembre, 10:20 (ANSAmed) - TUNISI, 08 SET - L'Osservatorio per la protezione dei difensori dei diritti umani, progetto coordinato dalla Federazione Internazionale per i Diritti Umani e dall'Organizzazione mondiale contro la tortura, lancia l'allarme per ''gli abusi perpetrati dalla polizia '' nei confronti dei difensori dei diritti umani in Tunisia. In una lettera aperta al Presidente della Repubblica MoncefMarzouki, l'Osservatorio denuncia la violenza e aggressioni verbali e fisiche subite recentemente a Djerba dalla blogger Lina Ben Mhenni in rappresaglia per il suo lavoro in difesa dei diritti umani e da HelaBoujneh, nota attivista della società civile, aggredita e arrestata dalla polizia la notte del 24-25 agosto a Sousse, mentre era in visita a suo fratello in stato di fermo per guida senza patente. Hela verrà giudicata dal Tribunale di Sousse il 15 settembre per ''violenza e oltraggio a un pubblico ufficiale'' e ''disturbo della quiete pubblica'' e rischia oltre un anno di reclusione. ''L'Osservatorio esprime la sua profonda preoccupazione per questi atti di ritorsione nei confronti di persone che esercitano le loro legittime attività in difesa dei diritti umani che riflettono l'attuale clima deleterio in Tunisia, in vista delle elezioni politiche del 26 ottobre'' e domanda alle autorità tunisine di ''prendere tutte le misure necessarie per svolgere un'indagine completa e imparziale sugli atti commessi contro la Ben Mhenni e gli altri difensori dei diritti umani'' Casi di diritti violati come quelli descritti da Lina ed Hela ricordano a molti i vecchi metodi polizieschi del regime di Ben Ali. Nonostante molti passi avanti siano stati fatti anche dal punto di vista legislativo rimangono alcuni ritardi significativi, come ad esempio, in materia di lotta alla tortura. Un anno dopo la promulgazione della legge che ha istituito in Tunisia la Commissione nazionale per la prevenzione della tortura, essa non ha mai visto la luce per via di ragioni legate al disaccordo sulla composizione dei membri della stessa. Mediterraneo: master in diritti umani università del Maghreb Programma formazione finanziato da Commissione Ue 16 settembre, 17:03 (ANSAmed) - MADRID, 16 SET - Un programma di formazione di docenti e lavoratori di varie università maghrebine, per l'istituzione di un master interdisciplinare e internazionale in diritti umani, nell'ambito del programma europeo realizzato dal Consorzio di università Abdem, finanziato dalla Commissione europea. E' quello coordinato dalla direttrice della Cattedra Unesco cittadinanza democratica e libertà culturale dell'Università di La Rioja, Ana Maria Vega, che ha riunito nei giorni scorsi a Logroño (La Rioja) membri del Consorzio Abdem, costituito da 12 campus, del quali la metà europei e altri sei dell'Algeria, del Marocco e della Tunisia. Ana Maria Vega ha annunciato le conclusioni della prima fase del progetto - di durata triennale, avviato nel gennaio scorso - che saranno rese note nel gennaio 2015 in Algeria. La fase iniziale è consistita in un'analisi della situazione nel campo dei diritti umani nei paesi maghrebini partecipanti al programma. La formazione vera e propria dei docenti del futuro master, teorica e pratica, nelle aree del pratica di governo, dell'istruzione e della ricerca, si svolgerà nel primo trimestre del prossimo anno. Al programma partecipano le università di Westminister (Regno Unito), Bergamo (Italia), Saragozza, Estremadura, La Rioja, La Coruña (Spagna), Hassan II Mohammedia di Casablanca (Marocco), il Collegio universitario Henry Dunant (Svizzera), la Scuola Nazionale Superiore di Scienze Politiche di Algeri (Algeria), l'Istituto di Stampa e Scienza dell'informazione di Manouba (Tunisia) e l'Istituto Nazionale del Lavoro e Studi Sociali di Cartagine (Tunisi). Ana Maria Vega, citata dall'agenzia Efe, ha ricordato che la regione del Magreb rappresenta una zona strategica per l'Unione Europea nell'area del Mediterraneo sud, dove le società "stanno sperimentando cambi politici, economici e sociali alla ricerca di una maggiore apertura e democratizzazione". Da qui, l'istituzione dei master in diritti umani nei sistemi universitari nazionali, negli atenei in cui si stanno formando le future élites politiche e sociali della regione. (ANSAmed) °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.rainews.it/ Dal 1994 l'associazione ha curato oltre 6 milioni di persone in 16 Paesi Emergency: da 20 anni dalla parte dei diritti umani Emergency compie 20 anni e ha scelto di ritornare dove è nata. A Milano si incontreranno i medici, i volontari e gli infermieri che in 16 paesi del mondo offrono cure e assistenza Emergency celebra i 20 anni dalla fondazione con una festa a Milano, al Forum di Assago. Tre giorni, dal 12 al 14 ottobre di dibattiti, incontri tra i volontari e un concerto, sabato sera, che vedrà sul palco grandi protagonisti della musica italiana come Fiorella Mannoia, Nada, Cristiano de André e la Premiata Forneria Marconi. "È iniziato tutto 20 anni fa. In questi anni - ha detto Gino Strada - siamo stati a fianco delle vittime, senza fare differenze, e ci siamo opposti alla guerra e alla sua logica di sopraffazione. Abbiamo costruito ospedali e centri sanitari e abbiamo combattuto perché chiunque avesse diritto a essere curato. Sono il sostegno e l'impegno di migliaia di persone che ci hanno permesso di scrivere questa storia. Questi vent'anni sono stati una straordinaria esperienza di medicina e di umanità. Sono stati Emergency". Oggi Emergency ha 45 strutture in 6 Paesi e sta affrontando il virus Ebola in Sierra Leone. Emercency ripudia la guerra (e non solo) Indipendente, neutrale e apartitica, va dove è necessario dare una risposta all’emergenza medica e sociale. Un impegno, quello dell’associazione di Gino Strada, sostenuto grazie al contributo di migliaia di sostenitori e volontari. Emergency in molti angoli del mondo è sinonimo di salvezza. Tutte le strutture sono progettate, costruite e gestite per incrementare la collaborazione internazionale e dare un’opportunità alla formazione del personale locale. «Le guerre ormai abbiamo smesso di contarle, non fai in tempo ad individuarne una che già ne sono scoppiate altre due - dice Gino Strada - Senza contare che non ci rendiamo conto che è in atto una guerra ben più grave: quella che viene fatta sistematicamente contro i poveri, è questa la guerra più difficile da superare». Quelli che formalmente nascono come ospedali da campo vogliono essere un segnale di speranza per chi si sente solo, per chi sembra essere stato abbandonato anche dal destino. Afghanistan, Iraq, Siria, Repubblica Centafricana, Sudan e Sierra Leone: solo alcuni degli angoli della terra dove l'associazione arriva con i propri volontari. Angoli sperduti per la maggior parte delle persone, ma conosciuti palmo a palmo dal Gino Strada e dalla moglie Teresa Sarti, compagna di vita e di missione, fin dall'inizio, scomparsa nel 2009. Emergency in Italia Ogni volta che c'è gente che soffre, arriva anche Emergency: non è un caso che dal 2006 abbia aperto dei centri nel Sud dell'Italia per dare assistenza ai migranti che approdano sulle nostre coste. I migranti, spesso, hanno difficoltà a muoversi all'interno del nostro sistema sanitario e per questo sono nati gli sportelli, gli ambulatori (in alcuni casi anche mobili) in grado di fornire assistenza a chi sbarca in Italia. «In questi anni siamo stati a fianco delle vittime, senza fare differenze - dice il fondatore di Emergency, Gino Strada - missione dopo missione il numero delle persone che hanno scelto di sostenerci è aumentato perché hanno deciso di non voltarsi dall’altra parte davanti alla sofferenza di altri esseri umani». Emergency in cifre E' il 18 luglio 1994, quando i fondatori di Emergency partono per Kigali, in Ruanda, con 5 millioni di lire, il loro primo budget a disposizione. Riaprono l'ospedale, che era stato abbandonato durante il genocidio, e assistono 2.500 donne nel reparto di ostetricia, aiutandole a far nascere i loro bambini. Ad oggi sono circa 4 milioni i pazienti curati gratuitamente in tutto il mondo da Emergency: feriti di guerra, bambini, donne. E sono 2.200 le persone locali impiegate nei vari centri sanitari creati nelle zone di conflitto. Vediamo nel dettaglio alcuni numeri di Emergency nei Paesi in cui opera: al centro chirurgico di Kabul ci sono 95 posti letto, 272 persone locali impiegate e ci sono stati 30.098 ricoveri dall'apertura, nel 2001, al 31 dicembre 2013. Sempre in Afghanistan ci sono 70 posti letto e 217 persone locali impiegate al centro chirurgico per vittime di guerra di Lashkar-gah. Sono stati effettuate lì quasi 90mila visite, 20mila ricoveri e 25mila interventi chirurgici. E 2.690.457 visite ambulatoriali negli altri centri di primo soccorso sparsi nel Paese. E poi c'è l'assistenza ai detenuti con le visite nelle prigioni: 529.306 pazienti trattati al 31 dicembre 2013. A Sulaimaniya, in Iraq, c'è un centro di riabilitazione dal 1998: 41 posti letto, 79 persone locali impiegate e 7.460 pazienti curati. Ad Anabah c'è un centro chirurgico con 56 posti letto, dove sono state effettuate oltre 225mila visite dal 1999, quando è stato creato. E, sempre ad Anabah, c'è un centro di maternità dove sono nati 21.989 bambini dal giugno 2003 e un reparto pediatrico a se stante. Cure specifiche per i bimbi ci sono anche in Sudan, con due centri a Mayo (dal 2005), vicino a Khartoum, e a Port Sudan (dal 2011), per un totale di di 44.569 visite. C'è un complesso pediatrico anche a Bangui, nella Repubblica Centrafricana, dal 2003, dove sono stati effettuati 1.313 interventi chirurgici, e a Goderich, nella Sierra Leone, con 12 posti letto e oltre 177.200 visite ambulatoriali effettuate. A Goderich c'è anche un centro chirurgico più grande, con 85 posti letto nel centro, 330 persone locali impiegate e le visite effettuate dal 2001 sono oltre 245mila. Infine, sono 137.319 le firme raccolte nel 2003 da Emergency per una proposta di legge sull'attuazione del principio del ripudio della guerra, sancito dall'articolo 11 della Costituzione italiana. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://valori.it/ UK, diritti umani violati in crescita dal 2008 Violazioni aumentate del 70% a livello globale secondo il rapporto di una società di analisi britannica. Le Nazioni unite potrebbero chiederne conto alle imprese, e nel Regno unito il problema è sentito A stilare il bilancio tutt’altro che lusinghiero per il Pianeta è la società inglese Maplecroft, specializzata nell’analisi globale dei rischi, ovvero un’attività utile ad indirizzare le politiche dei governi ma, soprattutto, gli investimenti delle società di capitale. Secondo il suo più recente rapporto, Human RightsRisk Atlas 2014, pubblicato pochi giorni fa e analizzato dal quotidiano britannico «The Guardian», dal 2008 ad oggi vi sarebbe stato un aumento senza precedenti delle violazioni dei diritti umani a livello globale, addirittura del 70%. Nel mirino di speculatori e oppressori innanzitutto i diritti dei lavoratori, per la sempre maggior richiesata di manodopera a basso costo, e poi quelli delle comunità rurali e indigene, che subiscono l’accaparramento di terra (landgrabbing) e lo spostamento forzato (displacement) da parte di soggetti a caccia delle più svariate risorse naturali. Proprio l’opinione pubblica britannica sembra tra le più attive e attente sull’argomento, con numerose ong impegnate e una forte pressione, anche di alcuni parlamentari, ad invertire la tendenza degli abusi generalizzati. L’ombrello normativo internazionale all’interno del quale i governi potrebbero agire esiste già, del resto, ed è costituito dai principi guida delle Nazioni unite (UN GuidingPrinciples on Business and Human Rights – UNGPS), approvati all'unanimità dal Consiglio dei diritti umani nel 2011, e tuttavia reso fragile dall’eccesso di meccanismi volontari connessi all’impegno delle imprese in materia di violazioni. Tuttavia le rivelazioni scioccanti piombate in Inghilterra l’estate scorsa, da un'inchiesta delo stesso Guardian sulle pratiche di sostanziale schiavitù adottate nel settore della pesca thailandese, settore che rifornisce di gamberi i supermercati del Regno Unito, hanno forse prodotto qualche effetto "anticiclico". Il governo, che già incentiva economicamente le imprese britanniche ad adeguarsi a certi standard, potrebbe ora introdurre e sostenere una regolamentazione che riduca lo squilibrio giuridico tra le vittime di abusi e le potenti società che li commettono. Sarebbe un passo in controtendenza e particolarmente significativo, dal momento che – sottolinea la testata – il "partito del lavoro forzato" può contare sul peso di una stima di profitti prodotti da 150 miliardi di dollari all'anno. 15 Settembre 2014 Corrado Fontana @ fontana@valori.it °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.ilfattoquotidiano.it Processo Mediaset, “Corte europea per i diritti dell’uomo esaminerà il ricorso” È l'avvocato Niccolò Ghedini che spiega a Panorama che la corte ha deciso di valutare il ricorso "per la violazione delle regole del giusto processo". Dopo la condanna in Cassazione a quattro anni di carcere - di cui tre condonati da indulto - l'ex premier ha iniziato a scontare la pena in affidamento ai servizi sociali nell'istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone per un periodo che, se non violerà le prescrizioni del Tribunale di Sorveglianza di Milano, durerà complessivamente poco più di 10 mesi di Redazione Il Fatto Quotidiano | 19settembre 2014 Era il 7 settembre 2013 quando la difesa di Silvio Berlusconi presentò alla Giunta per le Elezioni e le Immunità il ricorso presentato a Strasburgo per bloccare la procedura di decadenza dell’ex premier. Che arrivò il 27 novembre 2013. Oggi dopo una serie di rigetti, tra cui quella di sospensione della pena accessoria - la Corte europea dei diritti dell’uomo ha invece deciso di trattare almeno uno dei ricorsi presentati dai legali del leader di Forza Italia, dopo la condanna definitiva in Cassazione per frode fiscale del 1° agosto 2013. Quel verdetto ha comportato non solo la decadenza dalla carica di senatore ma gli ha anche impedito, come previsto dalla legge Severino, di candidarsi alle elezioni. È l’avvocato Niccolò Ghedini che – a Panorama – spiega che la corte ha deciso di valutare il ricorso “per la violazione delle regole del giusto processo”. In una lettera inviata ai difensori di Berlusconi, la Corte informa che sono state considerate “degne di valutazione le doglianze” di Berlusconi. I legali del Cavaliere avevano sottolineato più volte il taglio dei testimoni a difesa, deciso dalla Corte d’appello di Milano (che aveva poi condannato l’imputato a 4 anni). Decisione quella dei giudici milanesi che era stata fortemente criticata dai legali dell’ex premier e anche uno degli argomenti usati nell’arringa davanti agli ermellini. Per quanto riguarda la fissazione della discussione Ghedini spera “che questo possa avvenire già entro quest’anno. E siamo fiduciosi che le nostre doglianze possano essere accolte”. Nel ricorsi presentati la difesa Berlusconi sosteneva fossero stati violati gli articoli 3, 7 e 13 della Convenzione. Dopo la condanna in Cassazione per il processo Mediaset a quattro anni di carcere – di cui tre condonati da indulto – Berlusconi da inizio maggio ha iniziato a scontare la pena in affidamento ai servizi sociali nell’istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone per un periodo che, se non violerà le prescrizioni del Tribunale di Sorveglianza di Milano, durerà complessivamente poco più di 10 mesi. Si attende comunque l’ufficializzazione da parte della Corte europea dei diritti umani per conoscere meglio tempi e dispositivo del ricorso, anche per comprendere bene quali scenari giudiziari potrebbero aprirsi. Strasburgo non ha per ora comunicato al governo italiano l’accettazione di alcun ricorso presentato da Berlusconi. La prassi consolidata della Corte – riferiscono fonti della Corte – prevede che un ricorso potenzialmente ritenuto ammissibile venga comunicato allo Stato interessato in modo tale che questi possa difendersi. E finora nessun ricorso a nome dell’ex premier risulta iscritto nella lista di quelli comunicati al governo. Bahrain, l’appello per scarcerare Maryam Al-Khawaja di Riccardo Noury | 15settembre 2014 Commenti (29) Domani, se non ci sarà un nuovo rinvio, Maryam Al-Khawaja comparirà di fronte a un giudice del Bahrain per aver “umiliato e aggredito agenti di polizia nell’esercizio delle loro funzioni”: l’ennesima accusa pretestuosa, un’ulteriore prova dell’accanimento della famiglia reale Al-Khalifa nei confronti degli Al-Khawaja. Abdulhadi, il padre, il più noto difensore dei diritti umani del Bahrein, già presidente del Centro per i diritti umani del Bahrain e fondatore del Centro per i diritti umani del Golfo, sta scontando l’ergastolo per aver organizzato manifestazioni pacifiche e aver denunciato le violazioni dei diritti umani con cui le autorità del regno – aiutate nel 2011 dalle truppe saudite e degli altri paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo – hanno stroncato e continuano a stroncare la rivolta partita il giorno di San Valentino di tre anni fa. Abdulhadi Al-Khawaja è in sciopero della fame dal 24 agosto. Il 28 agosto la sua figlia maggiore, Zainab, al settimo mese di gravidanza, è stata incriminata per “ingresso illegale in una zona ad accesso ristretto”: si era presentata di fronte al carcere per sincerarsi delle condizioni del padre, dopo che questi aveva avuto un collasso al quarto giorno di rifiuto del cibo. Rischia di essere processata a ottobre e, se condannata, di partorire in carcere. Le condizioni del padre hanno spinto Maryam, la figlia più piccola, a rientrare dall’esilio. Il 30 agosto l’hanno bloccata, appena atterrata all’aeroporto internazionale di Manama, perché sul suo passaporto danese non c’era il visto d’ingresso. Maryam, oltre che cittadina della Danimarca, è cittadina del Bahrain. Secondo l’accusa, quando i poliziotti le hanno chiesto di andare a fare il visto, Maryam li avrebbe aggrediti. Il tanto pubblicizzato referto medico che attesterebbe le ferite riportate da un agente non è ancora stato reso pubblico. L’altra versione è che sia stata Maryam a essere aggredita da quattro agenti, che volevano strapparle il telefono dal quale stava twittando in tempo reale cosa stava accadendo. La scandalosa situazione dei diritti umani in Bahrain rimane nascosta a gran parte dell’opinione pubblica internazionale e anche in Italia se ne sa poco. Stati Uniti d’America e Gran Bretagna proteggono il regno. A Washington e a Londra molte agenzie di pubbliche relazioni sono al lavoro, pagate profumatamente, per tutelare l’immagine del regno. Amnesty International ha lanciato un appello per l’annullamento di ogni accusa nei confronti di Maryam Al-Khawaja e per la sua immediata scarcerazione. Aggiornamento del 16/09/2014: l’udienza è stata nuovamente rinviata, a quanto pare al 1° ottobre No Tap, i comitati a Renzi: “Prima del gas si occupi dei diritti umani in Azerbaigian” “La trappola del gas, dall’Azerbaigian al Salento. Sicurezza energetica per chi e a quale costo”. Questo l’argomento dell’evento pubblico promosso dall’associazione “Re: Common” e dalla sezione italiana di Amnesty International che si è svolto a Roma. Uno dei protagonisti del dibattito, cui ha dato un contributo economico la Commissione europea, è stato Gianluca Maggiore del comitato No Tap che si sta battendo da mesi contro la realizzazione del gasdotto il cui approdo è previsto a San Foca, in territorio di Melendugno, uno dei più affascinanti del Salento dal punto di vista paesaggistico. L’infrastruttura continua a essere al centro della polemica politica, nonostante la società, da parte sua, abbia sempre fornito rassicurazioni circa la sua sostenibilità. L’ultimo colpo di scena, in ordine di tempo, è di ieri, quando il ministro dell’Ambiente Galletti, da Bari, ha dichiarato che la decisione è stata già presa e che esiste una valutazione d’impatto ambientale favorevole a quell’approdo. E nella vicenda si inserisce anche la questione del rispetto dei diritti umani. I comitati No Tap chiedono al governo se “davvero questo progetto sia la chiave di svolta per liberarci della dipendenza dal gas russo e quali siano gli impatti di questa mega infrastruttura sull’ambiente e sui diritti umani dei paesi attraversati? In particolare – proseguono – in Azerbaigian, dove la famiglia Aliyev da decenni è al governo e ha costruito le sue fortune sullo sfruttamento di gas e petrolio, sono sempre stati calpestati i diritti della popolazione locale” di Manolo Lanaro °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://gatti.blogautore.espresso.repub blica.it/ Germania, a «l’Espresso» il premio Diritti umani per l’inchiesta sui naufragi di Lampedusa La fondazione tedesca «Pro-Asyl» ha assegnato a «l’Espresso» il premio «Menschenrechtspreis 2014» per l’inchiesta sul naufragio dell’11 ottobre 2013, quando a 60 miglia a Sud di Lampedusa lo scaricabarile tra Italia e Malta e i ritardi nei soccorsi contribuirono alla morte di 260 profughi siriani tra i quali almeno 60 bambini. La notizia al telegiornale Ard delle 20.15 di sabato 13 settembre La notizia sul sito del quotidiano Bild.de «Pro-Asyl» è la principale organizzazione in Germania e tra le più importanti in Europa nel promuovere il rispetto dei diritti umani e nel denunciare violazioni e abusi nell’Unione e lungo i suoi confini. Il premio è stato consegnato a Francoforte a Fabrizio Gatti, autore dell’inchiesta. «Le inchieste di Fabrizio Gatti sulle flagranti violazioni dei diritti umani che coinvolgono i rifugiati in Italia e in altri punti caldi in Europa rappresentano un contributo speciale nel sensibilizzare i cittadini sulla grave situazione dei richiedenti asilo», ha detto Andreas Lipsch, presidente di «Pro-Asyl», davanti ad attivisti e sostenitori durante la cerimonia di consegna del premio, una scultura in bronzo e un assegno di cinquemila euro. Gatti ha rinunciato al premio in denaro affinché venga destinato all’assistenza dei profughi siriani che chiedono asilo in Germania. Senza le indagini de «l’Espresso», «le scandalose circostanze della strage di profughi dell’11 ottobre 2013 sarebbero rimaste sconosciute», è scritto nella motivazione del premio. Alla cerimonia era presente anche MohanadJammo, 41 anni, il medico di Aleppo che nel naufragio dell’11 ottobre (vedi l’intervista) ha perso i figli Nahel, 9 mesi, e Mohamad, 6 anni. Jammo ha ringraziato i tedeschi per aver dato ospitalità e salvezza alla sua famiglia. Per il trasferimento da Malta del medico, della moglie e della figlia di 5 anni, sopravvissuti al naufragio, si è mobilitato il governo di Berlino, grazie soprattutto alla campagna della giornalista KatharinaWindmaißer sulle pagine di «BildamSonntag», l’edizione domenicale del quotidiano «Bild». MohanadJammo ha sottolineato la vicinanza geografica della Siria all’Europa e la necessità di fermare i massacri compiuti sia dal regime, sia da parte dei fanatici dello Stato islamico: «Nonostante i cinquanta anni di repressione da parte del regime di Assad noi, popolo siriano, ci siamo tenuti lontani da estremismo e terrorismo. Noi siamo un popolo che ama la vita…», dice Jammo: «Ma ora il terrorismo non è lontano. Per quanto Ebola vi sembri lontano, forse per voi lo è anche il terrorismo dello Stato islamico. Ma credetemi, può succedere che ci si possa infettare velocemente con queste epidemie. È la triste esperienza che noi siriani abbiamo dovuto scoprire. Uccidere semplicemente i terroristi però non è una soluzione. Vanno combattute le radici. E queste, come è stato per noi, sono l’ingiustizia e la sottomissione a una dittatura. Questo è il terreno di coltura del terrorismo». L’intervento di MohanadJammo (in tedesco) «Un anno dopo i naufragi del 2013», ha spiegato Fabrizio Gatti, «nessun corridoio umanitario è stato aperto verso l’Europa, né dall’Unione Europea né dalle Nazioni Unite. I governi europei si stanno invece rimpallando le responsabilità nell’assistenza dei profughi, sfruttando le peggiori conseguenze del regolamento di Dublino… Nel frattempo, nuovi e pericolosi venti di guerra si levano dal cuore più profondo dell’Europa, tra Ucraina e Russia. E i governi dell’Unione Europea e i membri della Nato soffiano sul fuoco invece di sostenere vere trattative di pace tra le parti». L’intervento di Fabrizio Gatti (in inglese) FabrizioGatti’s address at the Menschenrechtspreis 2014 ceremony: Ladies and Gentlemen, dear members from the Pro-AsylStiftung, dear friends, thank you very much for such a great opportunity to remember again, here together, the ones who have lost their lives in the October 11 shipwreck and in many other shipwrecks which have occured between Europe and North Africa, Italy and Libya, Greece and Turkey, Spain and Morocco before and after Autumn 2013. Thank you for such an honourable award and for your extraordinary job in order to protect and enforce human rights in Germany and all over Europe. I set off along the route of immigration from Africa to Europe on November 6th, 2003. I have travelled for four years as an undercover journalist under different fake names, one of which was Bilal. Bilal Ibrahim El Habib. A journalist from the European Union As a journalist from the European Union, where the right to information is supposed to be protected by most of our national Constitutions or laws, my aim was to give a name, a surname, an age, an ambition, a personal story, an identity, to the ones whom our mass politics and mass media had dehumanized under the new social label of illegal, illegalen, clandestino, sans papier. They were the same ones who crossed the Sahara desert and the sea and reached Lampedusa island searching for humanitarian protection or simply an economic better future which, in my opinion, are the same story, the same situation, the same needs. They were in the majority males and a minority of girls, held by their traffickers who sexually exploited them. All of us travelled along the so called illegal route as there was no legal way to reach Europe, both for the ones looking for a job, and the refugees escaping warfare and dictatorship. What sounded strange eleven years ago, in that November 2003, was that should I have given my real name and occupation to the Italian/European authority at the Lampedusadetention camp, I wouldn’t have had the possibility to go inside what we detainee called the “cage” and witness the democratic violence under which migrants and asylum seekers were held. We do expect democracy would react against its deviations. It actually did. An investigation was carried out on those military who were responsible of violence and abuses, and on myself, too. The military immediately quitted the investigation. I went under trial. The prosecutor asked one year of jail for fake declaration to the authority. The court luckily had another opinion and acquitted my position. Agreements with the worst regimes In the meantime, Eu democratic ministers and commissioner strenghtened their collaboration with the worst Northern African regimes in order to sign deportation agreements of migrants and refugees and to ask those dictators to protect Eu borders. In the meantime, Spain and Greece (and now even Bulgaria) have built up barbed fences along their borders. In the meantime, Italy mantained its friendship with the Eritrean dictatorship. In the meantime, France carried on exploiting at very cheap prices the uranium from Niger – that uranium cake moves one third of French trains, lights up one third of French light bulbs, nourishes one third of French industries while the 90 per cent of people of Niger cannot afford any kind of electricity. In the meantime, a coalition of European States led by the German government decided to heavily punish Greece, guilty of having failed to reimburse its debit after building a German-style airport in Athens and signing different tender with German companies involved in the 2004 Olimpic games works. In the meantime, Spain allowed Morocco military to enter its border territory and four migrants were clubbed to death. It happened last June. Exactly ten years after my departure as Bilal, in November 2003, Europe was waken up by the death of about 640 refugees from Eritrea and Syria in three different incidents. But the October 11 shipwreck, the reason you kindly invited me here today, was not the last one. On that day about 260 Syrian refugees have drowned, amongts whom about sixty children. Italian and Maltese Navy and Coast Guard lost five hours before setting off in the attemp of passing the responsability of the Search and rescue operation. But afterwards, many other shipwrecks occured between Africa and Europe. According to the United Nation Hight Commission for Refugee, other 1.800 asylum seekers have died since January 2014 – 1.600 the ones who have drowned between June and August 2014. 108.000 have reached the Italian coast, rescue by the Italian Navy operation “Mare nostrum”. 125.000 is the total amount of refugees who reached European Union from the sea. Racism and fascism of the Islamic state Today, elevent years after November 2003, more country have been undermined by war or poverty due to war, dictatorial regimes, new racist and fascist political group like the Islamic state, landgrabbing or lack of water – Syria, Israel and Palestine, Egyptian Sinai, Libya, North of Niger, North of Nigeria, Mali and many others. The war in Syria alone has forced the deployment of more than six milion people inside the country, almost one million 200 thousands in Lebanon, hundreds of thousands in Turkey, Iraq, Jordan, Egypt, Libya where a total amount of three million refugees from all over Africa and Middle East are said to be stranded. It is one of the severest humanitarian crisis along the Mediterranean Sea since World war two. But one year after 2013 shipwrecks no humanitarian corridor has been opened toward Europe neather by European Union, nor by the United Nation. European governments are passing the responsability in assisting the asylum seekers, by exploiting the worst consequences of the Dublin regulation. The Directive 2001/55 about the «minimum standards for giving temporary protection in the event of a mass influx of displaced persons» is not implemented at all, even by those countries like Italy which should apply European Union for its implementation. New winds of war in the heart of Europe In the meantime, new extremely dangerous winds of war have been blowing in the deepest heart of Europe between Ukraina and Russia. And the European Union goverments and Nato members are blowing on the fire instead of supporting real peace talks between the two parties. Dear friends, after all what we have been witnessing for the last eleven years, I unfortunately believe that Europe is not a democratic Union anymore like it was at the very beginning of our adventure, but rather a kind of cynical technocracy. That is why today we should be honestly aware that we are not here to deal with immigration or refugee issues. On the contrary, we should be aware that in our and your everyday committmentwe are coping with the aftermath of European neoliberism and its colonialism – in Africa, in Middle East, in Ukraina, too. The aftermath of liberism and its colonialism Liberismwithout any mediation of people’s balance is a threat to the humanity. Wild liberism in politics and in economy has destroied the world at least twice already in the past century. As Bilal Ibrahim el Habib I am very pessimist, sorry. But we cannot surrender. Enforcing human rights, fighting racism, campaigning against liberism in favour of human beings and human policy is our main task to prevent the aftermath of the cynical technocracy which is ruling the world today. For this reason, thank you for being here, thank you Pro-Asyl foundation for your committment. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://oltreconfini.blogautore.repubbl ica.it/ Imprese, diritti umani e SDGs (Obiettivi di Sviluppo Sostenibile) Nei prossimi giorni a Palazzo di Vetro di New York, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite concentrerà i propri lavori sulle questioni legate al rinnovo degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDGs) che saranno sostituiti il prossimo anno dai cosiddetti Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs). Con la scadenza prevista per il mese di settembre del 2015, infatti, gli MDGs tutt’altro che raggiunti in questi primi 15 anni del nuovo millennio, lasceranno il passo ad un nuovo accordo globale che la comunità internazionale dovrà siglare per conseguire risultati che consentano la sostenibilità e la vivibilità del futuro dell’umanità e del nostro pianeta. Di conseguenza, questa prossima sessione della Assemblea ONU assumerà un ruolo decisivo per orientare l’ultima tappa negoziale che condurrà alla definitiva adozione dei nuovi Obiettivi. Non a caso, in questi mesi i Governi e le istituzioni internazionali stanno perfezionando le rispettive posizioni negoziali e i diversi attori di società civile intensificano le loro azioni di pressione e di sensibilizzazione per influire sugli ultimi posizionamenti e conclusioni. Tra questi, ovviamente, i soggetti istituzionali e privati della Unione Europea. E’ di poche settimane fa la Comunicazione UE con la quale questa realtà sovrannazionale, collocata ai primissimi posti in quanto a incisività sulle relazioni e le dinamiche globali, ha reso nota la posizione mediata tra i suoi 27 Stati membri che porterà ai tavoli negoziali onusiani. Posizione che vedrà il Governo italiano in prima linea per la sua difesa, visto l’attuale ruolo di Presidente di turno della UE e data la recentissima nomina della Ministro Mogherini alla carica di Alto Rappresentante per la Politica Estera di Bruxelles. La richiesta a più riprese reiterata dalle organizzazioni di società civile europee per avanzare una posizione UE più coraggiosa rispetto alla poca ambizione del documento negoziale approvato dal Gruppo di lavoro organizzato in sede ONU sul quale oggi stanno reagendo i diversi protagonisti sembra essere delusa da un testo con altrettanta scarso coraggio, intessuto di frasi generiche e vaghi principi, che rimanda ad altre sedi i tempi e le proposte per la fissazione di obiettivi chiari, misurabili e vincolanti per tutti. Pur riconoscendo l’inserimento della volontà di definitivamente abbandonare la logica assistenzialista per un più consono approccio basato sul rispetto e la promozione dei diritti umani fondamentali di tutti, infatti, le perplessità circa alcuni nodi sostanziali permangono radicate. In particolare, non voler riconoscere chiaramente come cause delle povertà e della negazione del diritto al cibo le diseguaglianze economiche, sociali e politiche e le discriminazioni e violazioni dei diritti umani come il principale ostacolo ad uno sviluppo sostenibile globale, resta una grande debolezza foriera ancora una volta di incoerenza e libertà di interpretazione su quanto richiesto o inopportuno nella definizione di una agenda di sviluppo improntata a maggior giustizia sociale. Ne è prova il fatto che ancora ci si oppone circa la necessità dell’istituzione di un quadro di riferimento vincolante per l’azione delle imprese, in particolare delle grandi multinazionali, nel loro agire in particolare nelle regioni più povere del mondo. E su questo, purtroppo, il Governo italiano continua a giocare un ruolo di ostruzione opponendosi, ancora recentemente con voto negativo in sede comunitaria, a tale progetto. Nemmeno le recenti indagini avviate dalla magistratura del nostro Paese circa le enormi corruzioni perpetrate dai massimi dirigenti di una delle maggiori imprese nazionali come ENI per ottenere le concessioni per lo sfruttamento di giacimenti petroliferi in Africa, sembrano incrinare questa inaccettabile posizione. Chissà se tra le pieghe della volontà riformatrice del Governo Renzi e nell’agenda della nuova Vice presidente UE Mogherini troveranno spazio anche queste questioni che impattano i destini di milioni di poveri e costituiscono una delle più evidenti prove della veridicità della volontà di cambiamento contenuta a parole nella citata Comunicazione della Unione Europea. Nei prossimi giorni a Palazzo di Vetro di New York, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite concentrerà i propri lavori sulle questioni legate al rinnovo degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDGs) che saranno sostituiti il prossimo anno dai cosiddetti Nei prossimi giorni a Palazzo di Vetro di New York, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite concentrerà i propri lavori sulle questioni legate al rinnovo degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDGs) che saranno sostituiti il prossimo anno dai cosiddetti Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs). Con la scadenza prevista per il mese di settembre del 2015, infatti, gli MDGs tutt’altro che raggiunti in questi primi 15 anni del nuovo millennio, lasceranno il passo ad un nuovo accordo globale che la comunità internazionale dovrà siglare per conseguire risultati che consentano la sostenibilità e la vivibilità del futuro dell’umanità e del nostro pianeta. Di conseguenza, questa prossima sessione della Assemblea ONU assumerà un ruolo decisivo per orientare l’ultima tappa negoziale che condurrà alla definitiva adozione dei nuovi Obiettivi. Non a caso, in questi mesi i Governi e le istituzioni internazionali stanno perfezionando le rispettive posizioni negoziali e i diversi attori di società civile intensificano le loro azioni di pressione e di sensibilizzazione per influire sugli ultimi posizionamenti e conclusioni. Tra questi, ovviamente, i soggetti istituzionali e privati della Unione Europea. E’ di poche settimane fa la Comunicazione UE con la quale questa realtà sovrannazionale, collocata ai primissimi posti in quanto a incisività sulle relazioni e le dinamiche globali, ha reso nota la posizione mediata tra i suoi 27 Stati membri che porterà ai tavoli negoziali onusiani. Posizione che vedrà il Governo italiano in prima linea per la sua difesa, visto l’attuale ruolo di Presidente di turno della UE e data la recentissima nomina della Ministro Mogherini alla carica di Alto Rappresentante per la Politica Estera di Bruxelles. La richiesta a più riprese reiterata dalle organizzazioni di società civile europee per avanzare una posizione UE più coraggiosa rispetto alla poca ambizione del documento negoziale approvato dal Gruppo di lavoro organizzato in sede ONU sul quale oggi stanno reagendo i diversi protagonisti sembra essere delusa da un testo con altrettanta scarso coraggio, intessuto di frasi generiche e vaghi principi, che rimanda ad altre sedi i tempi e le proposte per la fissazione di obiettivi chiari, misurabili e vincolanti per tutti. Pur riconoscendo l’inserimento della volontà di definitivamente abbandonare la logica assistenzialista per un più consono approccio basato sul rispetto e la promozione dei diritti umani fondamentali di tutti, infatti, le perplessità circa alcuni nodi sostanziali permangono radicate. In particolare, non voler riconoscere chiaramente come cause delle povertà e della negazione del diritto al cibo le diseguaglianze economiche, sociali e politiche e le discriminazioni e violazioni dei diritti umani come il principale ostacolo ad uno sviluppo sostenibile globale, resta una grande debolezza foriera ancora una volta di incoerenza e libertà di interpretazione su quanto richiesto o inopportuno nella definizione di una agenda di sviluppo improntata a maggior giustizia sociale. Ne è prova il fatto che ancora ci si oppone circa la necessità dell’istituzione di un quadro di riferimento vincolante per l’azione delle imprese, in particolare delle grandi multinazionali, nel loro agire in particolare nelle regioni più povere del mondo. E su questo, purtroppo, il Governo italiano continua a giocare un ruolo di ostruzione opponendosi, ancora recentemente con voto negativo in sede comunitaria, a tale progetto. Nemmeno le recenti indagini avviate dalla magistratura del nostro Paese circa le enormi corruzioni perpetrate dai massimi dirigenti di una delle maggiori imprese nazionali come ENI per ottenere le concessioni per lo sfruttamento di giacimenti petroliferi in Africa, sembrano incrinare questa inaccettabile posizione. Chissà se tra le pieghe della volontà riformatrice del Governo Renzi e nell’agenda della nuova Vice presidente UE Mogherini troveranno spazio anche queste questioni che impattano i destini di milioni di poveri e costituiscono una delle più evidenti prove della veridicità della volontà di cambiamento contenuta a parole nella citata Comunicazione della Unione Europea. (SDGs). Con la scadenza prevista per il mese di settembre del 2015, infatti, gli MDGs tutt’altro che raggiunti in questi primi 15 anni del nuovo millennio, lasceranno il passo ad un nuovo accordo globale che la comunità internazionale dovrà siglare per conseguire risultati che consentano la sostenibilità e la vivibilità del futuro dell’umanità e del nostro pianeta. Di conseguenza, questa prossima sessione della Assemblea ONU assumerà un ruolo decisivo per orientare l’ultima tappa negoziale che condurrà alla definitiva adozione dei nuovi Obiettivi. Non a caso, in questi mesi i Governi e le istituzioni internazionali stanno perfezionando le rispettive posizioni negoziali e i diversi attori di società civile intensificano le loro azioni di pressione e di sensibilizzazione per influire sugli ultimi posizionamenti e conclusioni. Tra questi, ovviamente, i soggetti istituzionali e privati della Unione Europea. E’ di poche settimane fa la Comunicazione UE con la quale questa realtà sovrannazionale, collocata ai primissimi posti in quanto a incisività sulle relazioni e le dinamiche globali, ha reso nota la posizione mediata tra i suoi 27 Stati membri che porterà ai tavoli negoziali onusiani. Posizione che vedrà il Governo italiano in prima linea per la sua difesa, visto l’attuale ruolo di Presidente di turno della UE e data la recentissima nomina della Ministro Mogherini alla carica di Alto Rappresentante per la Politica Estera di Bruxelles. La richiesta a più riprese reiterata dalle organizzazioni di società civile europee per avanzare una posizione UE più coraggiosa rispetto alla poca ambizione del documento negoziale approvato dal Gruppo di lavoro organizzato in sede ONU sul quale oggi stanno reagendo i diversi protagonisti sembra essere delusa da un testo con altrettanta scarso coraggio, intessuto di frasi generiche e vaghi principi, che rimanda ad altre sedi i tempi e le proposte per la fissazione di obiettivi chiari, misurabili e vincolanti per tutti. Pur riconoscendo l’inserimento della volontà di definitivamente abbandonare la logica assistenzialista per un più consono approccio basato sul rispetto e la promozione dei diritti umani fondamentali di tutti, infatti, le perplessità circa alcuni nodi sostanziali permangono radicate. In particolare, non voler riconoscere chiaramente come cause delle povertà e della negazione del diritto al cibo le diseguaglianze economiche, sociali e politiche e le discriminazioni e violazioni dei diritti umani come il principale ostacolo ad uno sviluppo sostenibile globale, resta una grande debolezza foriera ancora una volta di incoerenza e libertà di interpretazione su quanto richiesto o inopportuno nella definizione di una agenda di sviluppo improntata a maggior giustizia sociale. Ne è prova il fatto che ancora ci si oppone circa la necessità dell’istituzione di un quadro di riferimento vincolante per l’azione delle imprese, in particolare delle grandi multinazionali, nel loro agire in particolare nelle regioni più povere del mondo. E su questo, purtroppo, il Governo italiano continua a giocare un ruolo di ostruzione opponendosi, ancora recentemente con voto negativo in sede comunitaria, a tale progetto. Nemmeno le recenti indagini avviate dalla magistratura del nostro Paese circa le enormi corruzioni perpetrate dai massimi dirigenti di una delle maggiori imprese nazionali come ENI per ottenere le concessioni per lo sfruttamento di giacimenti petroliferi in Africa, sembrano incrinare questa inaccettabile posizione. Chissà se tra le pieghe della volontà riformatrice del Governo Renzi e nell’agenda della nuova Vice presidente UE Mogherini troveranno spazio anche queste questioni che impattano i destini di milioni di poveri e costituiscono una delle più evidenti prove della veridicità della volontà di cambiamento contenuta a parole nella citata Comunicazione della Unione Europea. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.superando.it/ Centocinquantesima ratifica: complimenti, Convenzione! Nei giorni scorsi, infatti, il centocinquantesimo Stato ha ratificato la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, facendo segnare una delle percentuali più alte mai riscontrate finora, nell’àmbito dei trattati internazionali sui diritti umani. E a scorrere l’elenco dei Paesi che hanno provveduto a tale passaggio – l’Italia lo ha fatto nel 2009 – spicca il dato che le ratifiche sono trasversali a tutte le zone e le culture del mondo È certamente un bel traguardo, per la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, quello raggiunto nei giorni scorsi con la ratifica da parte della Guyana, centocinquantesimo Stato che ha proceduto a tale passaggio (l’Italia, lo ricordiamo, ha provveduto nel 2009), facendo segnare una delle percentuali più alte di ratifica mai riscontrate nell’àmbito dei trattati internazionali sui diritti umani. Secondo la cilena MaríaSoledadCisternasReyes, componente del Comitato ONU sui Diritti Umani delle Persone con Disabilità, che provvede a monitorare costantemente come i vari Stati implementino e applichino la Convenzione entro i propri confini, «essere arrivati a centocinquanta ratifiche in circa sei anni sottolinea l’impegno della comunità internazionale nel promuovere e tutelare i diritti umani delle persone con disabilità». «Il fatto che le ratifiche siano state trasversali a tutte le zone e le culture del mondo – sottolinea poi – significa che la strada del riconoscimento universale di tali diritti è ormai stata intrapresa e che su di essi sta crescendo la consapevolezza». «Certo – aggiunge -, il lavoro da fare è ancora tanto, ma come Comitato riteniamo che la decisione da parte di uno Stato di ratificare la Convenzione costituisca un’ottima base per far sì che le varie discriminazioni esistenti vengano finalmente e concretamente affrontate, superando le barriere di ogni genere nell’accesso ai servizi e all’informazione». Oltre quindi a invitare alla ratifica tutti quegli Stati che finora non hanno provveduto, CisternasReyes intende sottolineare anche un altro punto quanto mai importante, ovvero il fatto che «la Convenzione, in questi anni, ha fatto aumentare la consapevolezza dell’importanza di coinvolgere le stesse persone con disabilità nelle decisioni che riguardano le loro vite e i loro diritti». «Non a caso – conclude la componente del Comitato delle Nazioni Unite – uno dei messaggi chiave di questa epoca, da parte delle persone con disabilità, è “Nulla su di Noi senza di Noi”, e anche il nostro Comitato cerca sempre di adottare questo punto di vista, nei confronti degli Stati, della società civile, delle Istituzioni che lavorano per i diritti umani, a livello nazionale e regionale, oltreché di tutte le altre Agenzie dell’ONU». (S.B.) Sono questi i 150 Paesi (compresa l’Unione Europea), che ad oggi, 16 settembre 2014, appaiono nell’elenco ufficiale prodotto dall’ONU, come ratificatori della Convenzione. L’ordine è cronologico ed è quello che risulta dalla data pubblicata nel portale dell’ONU: - Giamaica (30 marzo 2007) - Ungheria (20 luglio 2007) - Panama (7 agosto 2007) - Croazia (15 agosto 2007) - Cuba (6 settembre 2007) - Gabon (1° ottobre 2007) - India (1° ottobre 2007) - Bangladesh (30 novembre 2007) - Sudafrica (30 novembre 2007) - Spagna (3 dicembre 2007) - Namibia (4 dicembre 2007) - Nicaragua (7 dicembre 2007) - El Salvador (14 dicembre 2007) - Messico (17 dicembre 2007) - Perù (30 gennaio 2008) - Guinea (8 febbraio 2008) - San Marino (22 febbraio 2008) - Giordania (31 marzo 2008) - Tunisia (2 aprile 2008) - Ecuador (3 aprile 2008) - Mali (7 aprile 2008) - Egitto (14 aprile 2008) Honduras (14 aprile 2008) - Filippine (15 aprile 2008) – Slovenia (24 aprile 2008) - Qatar (13 maggio 2008) - Kenya (19 maggio 2008) - Arabia Saudita (24 giugno 2008) - Niger (24 giugno 2008) - Australia (17 luglio 2008) - Thailandia(29 luglio 2008) - Cile (29 luglio 2008) – Brasile (1° agosto 2008) - Cina (1° agosto 2008) - Argentina (2 settembre 2008) - Paraguay (3 settembre 2008) - Turkmenistan (4 settembre 2008) - Nuova Zelanda (25 settembre 2008) - Uganda (25 settembre 2008) - Austria (26 settembre 2008) - Costarica (1° ottobre 2008) - Vanuatu (23 ottobre 2008) - Lesotho (2 dicembre 2008) - Corea del Sud (11 dicembre 2008) - Ruanda (15 dicembre 2008) - Svezia (15 dicembre 2008) - Oman (6 gennaio 2009) - Azerbaijan (28 gennaio 2009) - Uruguay (11 febbraio 2009) - Germania (24 febbraio 2009) - Yemen (26 marzo 2009) - Guatemala (7 aprile 2009) - Marocco (8 aprile 2009) - Sudan (24 aprile 2009) - Isole Cook (8 maggio 2009) - Mongolia (13 maggio 2009) Italia (15 maggio 2009) - Gran Bretagna (8 giugno 2009) - Belgio (2 luglio 2009) - Siria (10 luglio 2009) - Haiti (23 luglio 2009) - Burkina Faso (23 luglio 2009) - Danimarca (24 luglio 2009) - Serbia (31 luglio 2009) - Repubblica Dominicana (18 agosto 2009) - Malawi (27 agosto 2009) - Portogallo (23 settembre 2009) - Laos (25 settembre 2009) - Repubblica Ceca (28 settembre 2009) - Turchia (28 settembre 2009) - Seychelles (2 ottobre 2009) - Iran (23 ottobre 2009) - Montenegro (2 novembre 2009) - Tanzania (10 novembre 2009) - Bolivia (16 novembre 2009) - Algeria (4 dicembre 2009) - Mauritius (8 gennaio 2010) - Zambia (1° febbraio 2010) - Ucraina (4 febbraio 2010) - Francia (18 febbraio 2010) - Lettonia (1° marzo 2010) - Canada (11 marzo 2010) - Bosnia-Erzegovina (12 marzo 2010) – Emirati Arabi Uniti (19 marzo 2010) - Maldive (5 aprile 2010) - Nepal (7 maggio 2010) - Slovacchia (26 maggio 2010) - Etiopia (7 luglio 2010) - Malaysia(19 luglio 2010) - Lituania (18 agosto 2010) - Senegal (7 settembre 2010) - Moldavia (21 settembre 2010) - Armenia (22 settembre 2010) - Nigeria (24 settembre 2010) - Sierra Leone (4 ottobre 2010) - Saint Vincent e Grenadine (29 ottobre 2010) – Unione Europea (23 dicembre 2010) - Romania (31 gennaio 2011) - Togo (1° marzo 2011) - Colombia (10 maggio 2011) - Belize (2 giugno 2011) - Cipro (27 giugno 2011) - Pakistan (5 luglio 2011) -Bahrein (22 settembre 2011) -Lussemburgo (26 settembre 2011) -Capo Verde (10 ottobre 2011) -Indonesia (30 novembre 2011) -Myanmar (7 dicembre 2011) – Macedonia (29 dicembre 2011) -Bulgaria (22 marzo 2012) -Mozambico (30 gennaio 2012) -Mauritania (3 aprile 2012) -Estonia (30 maggio 2012) -Grecia (31 maggio 2012) -Gibuti (18 giugno 2012) -Nauru (27 giugno 2012) -Benin (5 luglio 2012) -Liberia (26 luglio 2012) -Ghana (31 luglio 2012) -Afghanistan (18 settembre 2012) -Swaziland (24 settembre 2012) -Polonia (25 settembre 2012) -Russia (25 settembre 2012) -Israele (28 settembre 2012) -Dominica (1° ottobre 2012) -Malta (10 ottobre 2012) -Cambogia (20 dicembre 2012) -Albania (11 febbraio 2013) -Barbados (27 febbraio 2013) -Iraq (20 marzo 2013) -Norvegia (3 giugno 2013) -Palau (11 giugno 2013) -Singapore (18 luglio 2013) Kuwait (22 agosto 2013) -Zimbabwe (23 settembre 2013) -Venezuela (24 settembre 2013) Papua Nuova Guinea (26 settembre 2013) -Kiribati (27 settembre 2013) -Tuvalu (18 dicembre 2013) -Costa d’Avorio (10 gennaio 2014) -Giappone (20 gennaio 2014) – Andorra (11 marzo 2014) – Georgia (13 marzo 2014) – Stato di Palestina (2 aprile 2014) – Svizzera (15 aprile 2014) – Angola (19 maggio 2014) – Burundi (22 maggio 2014) – Grenada (27 agosto 2014) – Repubblica Democratica del Congo (2 settembre 2014) – Guyana (10 settembre 2014). Per quanto riguarda invece il Protocollo Opzionale alla Convenzione (testo che consente al Comitato sui Diritti Umani delle Persone con Disabilità di ricevere anche ricorsi individuali – di singoli o di gruppi di individui – e di avviare eventuali procedure d’inchiesta), a ratificarlo sono stati finora i seguenti 82 Paesi: - Ungheria (20 luglio 2007) - Panama (7 agosto 2007) - Croazia (15 agosto 2007) Sudafrica (30 novembre 2007) - Spagna (3 dicembre 2007) - Namibia (4 dicembre 2007) - El Salvador (14 dicembre 2007) - Messico (17 dicembre 2007) - Perù (30 gennaio 2008) Guinea (8 febbraio 2008) - San Marino (22 febbraio 2008) - Tunisia (2 aprile 2008) Ecuador (3 aprile 2008) - Mali (7 aprile 2008) - Slovenia (24 aprile 2008) - Bangladesh (12 maggio 2008) - Arabia Saudita (24 giugno 2008) - Niger (24 giugno 2008) - Cile (29 luglio 2008) - Brasile (1° agosto 2008) - Argentina (2 settembre 2008) - Paraguay (3 settembre 2008) - Uganda (25 settembre 2008) - Austria (26 settembre 2008) - Costarica (1° ottobre 2008) - Ruanda (15 dicembre 2008) - Svezia (15 dicembre 2008) - Azerbaijan (28 gennaio 2009) - Germania (24 febbraio 2009) - Yemen (26 marzo 2009) - Guatemala (7 aprile 2009) Marocco (8 aprile 2009) - Sudan (24 aprile 2009) - Isole Cook (8 maggio 2009) - Mongolia (13 maggio 2009) - Italia (15 maggio 2009) - Belgio (2 luglio 2009) - Siria (10 luglio 2009) Haiti (23 luglio 2009) - Burkina Faso (23 luglio 2009) - Serbia (31 luglio 2009) - Gran Bretagna (7 agosto 2009) - Repubblica Dominicana (18 agosto 2009) - Australia (21 agosto 2009) - Portogallo (23 settembre 2009) - Turchia (28 settembre 2009) - Montenegro (2 novembre 2009) - Tanzania (10 novembre 2009) - Bolivia (16 novembre 2009) - Nicaragua (2 febbraio 2010) - Ucraina (4 febbraio 2010) - Francia (18 febbraio 2010) - BosniaErzegovina (12 marzo 2010) - Nepal (7 maggio 2010) - Slovacchia (26 maggio 2010) Honduras (16 agosto 2010) - Lituania (18 agosto 2010) - Lettonia (31 agosto 2010) Nigeria (24 settembre 2010) - Saint Vincent e Grenadine (29 ottobre 2010) - Turkmenistan (10 novembre 2010) - Togo (1° marzo 2011) -Cipro (27 giugno 2011) -Lussemburgo (26 settembre 2011) -Uruguay (28 ottobre 2011) -Macedonia (29 dicembre 2011) -Mozambico (30 gennaio 2012) -Mauritania (3 aprile 2012) -Estonia (30 maggio 2012) -Grecia (31 maggio 2012) -Gibuti (18 giugno 2012) -Benin (5 luglio 2012) -Ghana (31 luglio 2012) -Afghanistan (18 settembre 2012) -Swaziland (24 settembre 2012) -Dominica (1° ottobre 2012) -Malta (10 ottobre 2012) -Palau (11 giugno 2013) -Zimbabwe (23 settembre 2013) – Andorra (11 marzo 2014) – Angola (19 maggio 2014) – Burundi (22 maggio 2014) – Repubblica Democratica del Congo (2 settembre 2014). Suggeriamo anche la consultazione di: www.un.org/disabilities. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.radicali.it/ Quei diritti negati ai bambini col fucile: torturati, detenuti e privati del futuro Articolo di Domenico Letizia pubblicato su cronache del garantista, il 16/09/14 Lo scenario dell’informazione televisiva e della stampa cartacea sembra aver dimenticato la situazione politica e sociale che sta vivendo la popolazione siriana. In occasione della 27 Sessione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, in corso a Ginevra, "Non c’è Pace senza Giustizia" e il Partito Radicale Nonviolento, con il sostegno delle istituzioni governative italiane e francesi, svolgono un evento sui bambini e i ragazzi nel contesto siriano, con la collaborazione di organizzazioni per la tutela dei diritti umani siriani. L’incontro analizza soprattutto la problematica del reclutamento dei bambini durante le ostilità, le torture e la detenzione di cui sono vittime. Dopo più di tre anni di conflitto, la popolazione siriana vive una situazione disastrosa e continua a peggiorare a una velocità allarmante. Quello che sta accadendo in Siria è una crisi umanitaria, una sistematica violazione dei diritti umani che colpisce la popolazione civile con un particolare terrificante riguardante i bambini e i ragazzi. Nel suo primo rapporto sulla situazione dell’infanzia e dell’adolescenza all’interno del conflitto siriano il segretario generale dell’Onu ha attestato prove e documentazione di esecuzioni sommarie, sparizioni forzate, tortura, stupri, evacuazioni forzate, assedi di città, crimini che incidono con dolorosa forza l’esistenza dei bambini e dei ragazzi. Inoltre, il nuovo rapporto congiunto di Unicef, Unhcr, World Vision e Save the Children, intitolato "L’istruzione interrotta in Siria", dimostra una situazione allarmante per lo stato dell’istruzione dei bambini siriani. Dal 2011, circa tre milioni di bambini siriani sono stati costretti a interrompere il proprio percorso di studi per via dei combattimenti che hanno distrutto edifici, reso pericoloso recarsi a scuola e costretto moltissime famiglie ad abbandonare il paese per trovare rifugio altrove. Negli ultimi tre anni sono stati annullati i progressi compiuti in un intero decennio. La situazione è peggiorata nella provincia di Aleppo e nelle aree controllate dall’Isis. Secondo rapporti dell’Onu, l’Isis obbliga gli abitanti, inclusi i bambini, a partecipare alle esecuzioni pubbliche che avvengono tramite decapitazione oppure con un colpo di arma da fuoco alla testa. Tale spettacolo agghiacciante è divenuto abituale nelle zone sotto controllo dell’Isis, che incide sull’esistenza di bambini, anche perché i corpi delle vittime vengono tenuti in mostra, come trofei, per diversi giorni. Riguardo la Siria, l’obiettivo a lungo termine di "Non c’è Pace senza Giustizia" è quello di promuovere la democrazia, i diritti umani e fondamentali attribuendo decise responsabilità nel processo di risoluzione dei conflitti armati, ponendo fine anche al massacro e alle violazioni dei diritti fondamentali dei bambini e degli adolescenti. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.agoramagazine.it/ Napoli: Festival Cinema dei Diritti Umani e concorso dedicato al Med NAPOLI - Sarà dedicata al Mediterraneo l'edizione 2014 del Festival del Cinema dei Diritti Umani che si inserisce quest'anno nel calendario degli appuntamenti del Forum Universale delle Culture. L'edizione speciale della rassegna cinematografica partenopea si svolgerà dal 20 al 25 ottobre e coinvolgerà diversi luoghi, associazioni, personalità locali ospiti internazionali, per riservare particolare attenzione ai racconti delle lotte per la democrazia e la difesa dei Diritti nei 23 paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Il Concorso cinematografico di quest'anno è infatti intitolato "MediterraneanRights and Fights": "L'intento - spiega Antonio Borrelli, coordinatore del Concorso - è quello di proporre al pubblico napoletano i migliori film, documentari e cortometraggi, che racconaino la necessità di affermare i diritti umani nei nostri giorni nei territori bagnati da un mare che, da sempre, è crocevia di popoli e culture diverse". Il bando del concorso cinematografico "MediterraneanRights and Fights" si rivolge a tutti gli autori di opere audiovisive che descrivono nei lavori proposti la complessità, la diversità e peculiarità dei 23 paesi dell'area, per far conoscere da vicino le condizioni di vita dei popoli, lo stato dei regimi politici, le lotte per il riconoscimento e la tutela dei fondamentali diritti della persona, la situazione sociale, culturale ed economica delle comunità, le problematicità insite nei dialoghi fra le differenti culture. Il bando resterà aperto fino al 19 settembre. Due le tradizionali sezioni di concorso: Human Rights Doc dedicata ai film documentari di almeno 30 minuti e Human Rights Short riservata a cortometraggi di qualsiasi genere fino a 30 minuti. Le opere scelte saranno ufficialmente in concorso e proiettate nelle giornate del Festival per essere valutate dalla Giuria di qualità, che selezionerà i vincitori per le due sezioni, e dalla Giuria Giovani (composta da studenti medi e universitari napoletani e da una rappresentanza di studenti francesi) che assegnerà la Menzione Giovani. Una menzione speciale intitolata all'italiano Vittorio Arrigoni ed all'arabo-israeliano JulianoMer-Khamis - i due attivisti per i diritti del popolo palestinese uccisi tre anni fa, il primo in Cisgiordania e il secondo a Gaza - sarà assegnata all'opera più coraggiosa e innovativa da parte della commissione interna del Festival. Il documentario vincitore della sezione Human Rights Doc riceverà un premio di 1.500 euro, mentre il miglior cortometraggio della sezione Human Rights Short avrà un premio di 1.000 euro. Il Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli garantirà la promozione delle opere vincitrici e di quelle che riceveranno la Menzione Giovani e la Menzione Arrigoni-Mer-Khamis, sia attraverso la rete internazionale dell'HRFN Human Rights Film Network, composta da oltre 30 Festival del Cinema di tutto il mondo, sia attraverso la rete dei Festival del Caffè Sospeso, un esperimento sorto intorno al Cinema due anni fa in Italia. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.viveresenigallia.it/ Al centro sociale Vallone il convegno 'Diritti Umani – Mediterraneo' Il circolo PD Senigallia 3 vi invita, venerdì 19 settembre alle ore 21.15, presso il Centro Sociale Vallone, al convegno, organizzato in collaborazione con i Giovani Democratici della provincia di Ancona, “Diritti Umani – Mediterraneo”. Relatori della serata saranno la senatrice del Partito Democratico Silvana Amati , membro della Commissione Straordinaria per la Tutela e la Promozione dei Diritti Umani, e Paolo Pignocchi , membro del Direttivo Nazionale di Amnesty International. Tutti i cittadini sono invitati! Prenderanno parte al dibattito, portando il proprio contributo in merito, l'assessore ai Servizi Sociali del comune di Senigallia Fabrizio Volpini, il Commissario Straordinario della provincia d'Ancona Patrizia Casagrande, la dottoressa e membro della Società Italiana Medicina dell'Immigrazione Margherita Angeletti, il sindaco di Arcevia Andrea Bomprezzi, Stefania Pagani in rappresentanza della Scuola di Pace, FaisalHayat del Centro Interculturale “Le Rondini”, lo scrittore e giornalista Malih Mohamed e il fotoreporter Enea Discepoli. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.comune.genova.it/ Angela Davis, icona della lotta al razzismo e per la liberazione, a Palazzo Tursi Oggi pomeriggio alle 15, nell’ufficio di rappresentanza di Palazzo Tursi, il sindaco Marco Doria ha incontrato Angela Yvonne Davis, attivista del movimento afroamericano statunitense, negli anni Settanta icona delle lotte di liberazione conosciuta in tutto il mondo Oggi pomeriggio alle 15, nell’ufficio di rappresentanza di Palazzo Tursi, il sindaco Marco Doria ha incontrato Angela Yvonne Davis, attivista del movimento afroamericano statunitense, negli anni Settanta icona delle lotte di liberazione conosciuta in tutto il mondo. Militante femminista e delle “Pantere nere” che si battevano contro la discriminazione razziale, Davis è stata anche esponente del piccolo partito comunista degli Stati Uniti d'America fino agli anni '90. La sua immagine, un po’ come quella di Guevara, accompagnò l’impegno politico e sociale di una larga parte della generazione giovane negli anni Settanta. Davis balza agli onori della cronaca, una prima volta, nei primi anni settanta per la sua dura detenzione in carcere a causa di un presunto coinvolgimento nella rivolta del 7 agosto 1970, in cui Jonathan Jackson e altre Pantere Nere sequestrarono il giudice Harold Haley e poi finita in tragedia. Scagionata da ogni accusa, ricominciò la sua avventura di militanza, focalizzando attività e attenzioni sulle condizioni, oltre le mura, dei detenuti di origine afroamericana nelle carceri statunitensi. Attualmente Davis insegna Storia della Coscienza all'Università di California, dove dirige anche il WomenInstitute, fucina del movimento femminista esploso nell'ultimo cinquantennio nel mondo. Durante una amichevole conversazione con il sindaco, Davis - che questa sera terrà a Savona una conferenza sull'evoluzione del razzismo targato Usa dai primordi ai nostri giorni - ha descritto la situazione contemporanea in Nordamerica dove il razzismo non è più, come agli esordi, contrapposizione sociologicamente netta tra "neri" e "bianchi", ma ha assunto sfaccettature più complesse seguendo il modificarsi delle strutture politica ed economica degli Stati Uniti d'America. Davis ha osservato che, se non si può definire razzista una società che ha eletto un presidente di origini afroamericane, è pur vero che i recentissimi fatti di cronaca nera testimoniano una critica evoluzione del problema - che propone l'attuale contrapposizione tra etnie diverse – suscitando il bisogno di nuovi vocaboli, linguaggio e comunicazione per modificare il senso comune sull'argomento. Il sindaco, nel salutare l’illustre ospite, ha sottolineato l’onore di aver potuto accogliere nel palazzo comunale una protagonista di fama internazionale delle lotte per la giustizia e per i diritti umani. 18 settembre 2014 °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.swissinfo.ch/ Intervista con Carla Del Ponte Siria: «Non ci sono procedimenti perché non c‘è un tribunale» La commissione d’inchiesta dell’ONU sulla Siria ha presentato a Ginevra il suo ottavo rapporto davanti al Consiglio dei diritti umani. «La responsabilità delle autorità di Damasco permane, ma i crimini commessi dai gruppi terroristi aumentano», dichiara a swissinfo.ch la svizzera Carla Del Ponte, membro della commissione. Per la prima volta dalla sua istituzione tre anni fa, la commissione d’inchiesta dell’ONU sulla Siria ha pubblicato il 16 settembre una selezione di testimonianze di vittime della guerra. Il presidente della commissione, Paulo Pinheiro, spera che questi resoconti possano contribuire a porre fine al conflitto. «Non ho più parole per descrivere la gravità dei crimini perpetrati in Siria. Il numero delle vittime continua ad aumentare e le loro storie e le loro sofferenze sembrano sempre più essere soffocate dall’ampiezza della tragedia», ha constatato Paulo Pinheiro, presentando il suo ottavo rapporto davanti al Consiglio dei diritti dell’uomo. Membro della commissione, l’ex procuratrice della Confederazione e dei tribunali internazionali per l’ex-Jugoslavia e il Ruanda, Carla Del Ponte, non nasconde il suo sgomento. swissinfo.ch: Cosa l’ha scioccata di più raccogliendo queste testimonianze? Carla Del Ponte: La crudeltà e la gravità dei crimini commessi soprattutto da gruppi terroristi come lo Stato islamico (IS), Al Nosra e altri. Ciò che mi sciocca è anche che la comunità internazionale non riesca ad adire le vie legali. Non possiamo quindi emanare degli atti d’accusa nei confronti dei responsabili politici e militari di questi crimini. Il fatto che il governo siriano non cooperi con noi, rende il nostro compito più difficile. Ho parlato con il nuovo ambasciatore siriano all’ONU a Ginevra, HussamEddinAaala, facendogli presente la necessità di avere una collaborazione con noi. Sembra però che sia impossibile, poiché Damasco ritiene che la commissione d’inchiesta non sia indipendente. Gli ho risposto che la situazione è un po’ cambiata, perché vi sono molti crimini di guerra commessi dagli avversari del regime. Spero che il governo siriano capisca la necessità di cooperare con noi. Soprattutto per quanto concerne i crimini commessi sull’altro fronte. Ho sottolineato che è proprio perché Damasco ci impedisce di entrare in Siria che abbiamo difficoltà a provare i crimini commessi dagli avversari. swissinfo.ch: Un capitolo del rapporto è dedicato all’IS, responsabile tra l’altro della decapitazione di diversi ostaggi occidentali. La vostra inchiesta contro questo gruppo proseguirà? C.D.P.: Naturalmente sì, per quanto concerne i crimini commessi in Siria. Presteremo un’attenzione ancora più grande a questo genere di crimini, per i quali fanno addirittura pubblicità. Tutte queste torture e uccisioni di massa sono qualcosa di semplicemente incredibile. Aspettiamo una risoluzione del Consiglio dei diritti umani, che sembra volerci attribuire un mandato specifico per i crimini commessi dall’IS. swissinfo.ch: La pubblicità data a queste esazioni rappresenta una regressione importante per il rispetto dei diritti umani? C.D.P.: Assolutamente sì. È una tragedia, una non presa in considerazione del rispetto dei diritti umani. In questo territorio, i diritti umani sono spazzati via. È quindi molto importante che la nostra commissione si interessi da vicino a questo genere di crimini. swissinfo.ch: Nel rapporto menzionate la responsabilità degli Stati limitrofi nel finanziamento di questi gruppi. Questi paesi possono essere perseguiti? C.D.P.: Non vi possono essere dei procedimenti, poiché non vi è un tribunale. Come commissione, ciò che possiamo fare è dare l’allarme. Non vi sarà però nessuna soluzione fino a quando non si deciderà di portare davanti alla giustizia i responsabili di questi crimini. swissinfo.ch: La Svizzera si è adoperata affinché la Corte penale internazionale (CPI) si occupasse del dossier. A che punto siamo? C.D.P.: Siamo bloccati. Da sempre, a dire il vero. Il Consiglio di sicurezza ha adottato una serie di risoluzioni, ma non quella di deferire alla giustizia i responsabili. Forse, piuttosto della CPI, ci vorrebbe un tribunale ad hoc. Vedremo se qualcosa cambierà entro la prossima volta che ci presenteremo davanti al Consiglio di sicurezza, forse in ottobre. Di Mohamed Cherif, Ginevra, swissinfo.ch (traduzione di Daniele Mariani) °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.tempi.it/ Gender in classe, anche Amnesty International lancia il suo opuscolo sull’omofobia perché «tutta la scuola chiede una legge» settembre 19, 2014 Benedetta Frigerio Per il nuovo anno scolastico Amnesty International ha presentato una “guida per docenti” delle scuole superiori perfettamente in linea con la “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015)” varata dal governo Monti. L’iniziativa, si legge nell’introduzione del manuale, intitolato Scuole attive contro l’omofobia e la transfobia. Diritti Lgbti, diritti umani, nasce dall’assunto che «in Italia la condizione delle persone Lgbti non ha conosciuto nessun miglioramento» e che la situazione «viene oggettivamente aggravata dall’assenza di un’adeguata legislazione in materia di discriminazione omofobica». IL MANIFESTO. Il progetto, ha spiegato il direttore generale di Amnesty International Italia Gianni Rufini, intende rappresentare un’attuazione della convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che considera i bambini «in grado di esprimere idee proprie e di prendere decisioni». Di qui l’idea di insegnare loro che possono seguire l’orientamento sessuale che preferiscono, secondo la visione diffusa dal sito scuole-lgbti.amnesty.it, il cui “manifesto” recita «tutta la scuola chiede che la legge italiana tuteli i diritti delle persone Lgbti». Un sito dove è possibile trovare «news, recensioni e materiali utili sui temi Lgbti» insieme a filmati che raccontano l’amore lesbico a scuola e immagini che ricordano che «l’amore non sboccia fra sessi ma fra persone». «DIFFONDERE IMMAGINI POSITIVE». Dopo l’introduzione in cui si accusa l’Italia di essere fra i paesi che più odiano le persone con pulsioni omosessuali (secondo valutazioni costruite in base alla permissività delle legislazioni su matrimonio gay o lotta all’omofobia), la “guida per docenti” di Amnesty spiega ai docenti quanto «sia necessario innanzitutto capire in prima persona che i diritti delle persone Lgbti sono diritti umani». E che se un alunno in classe «si sta interrogando sul proprio orientamento sessuale o identità di genere» è «fondamentale dare anche immagini positive della vita delle persone Lgbti». Inoltre, «parlare di diritti Lgbti significa anche parlare di violazioni di diritti, di odio, di discriminazioni subite da persone in tutto il mondo». LE TESTIMONIANZE. Ovviamente poi non si può «parlare di diritti Lgbti» senza educare gli scolari innanzitutto alla controversa “teoria del gender” e senza spiegare loro «la differenza fra sesso biologico e genere». Proprio su questo però gli insegnanti e i loro alunni potrebbero trovarsi in difficoltà, mette in guardia Amnesty, perché «persone molto vicine agli studenti (le loro famiglie, fidanzati/fidanzate, il gruppo di amici) potrebbero avere idee e comportamenti apertamente discriminatori nei confronti delle persone Lgbti». Occorrerà dunque insistere che l’omosessualità «non è un problema», come recita una delle “frasi consigliate” da Amnesty. O magari basterà tranquillizzare l’alunno che trova il coraggio di fare “coming out” con un tranquillizzante «posso capire quanto sia stato difficile per te dirmelo, ora non ci resta che trovarti un fidanzato/una fidanzata». Sempre per agevolare la “libertà di scelta” degli alunni si consiglia inoltre agli insegnanti di contattare «un’associazione Lgbti locale» per organizzare incontri con testimonianze «in cui giovani omosessuali raccontino la propria esperienza di coming out». FILM SULL’IPOCRISIA CATTOLICA. Il vademecum “antiomofobia” di Amnesty si presenta come un manuale di rispetto e neutralità, e infatti raccomanda continuamente ai prof di «non giudicare» le situazioni che si troveranno a trattare. Eppure la guida una visione ce l’ha eccome: «Le aspettative sociali – vi si legge – costringono donne e uomini in ruoli che non sono naturali ma socialmente costruiti». Pertanto occorre aiutare «a riflettere su come tali aspettative siano spesso l’origine di discriminazioni nei confronti delle persone Lgbti». Allo scopo di abbattere tali “stereotipi” gli esperti di Amnesty hanno studiato appositi test e perfino una lista di “film consigliati”. Spicca fra questi The Perfect Family, che racconta l’ipocrisia di una donna cattolica che fa di tutto per apparire perfetta la propria famiglia agli occhi del vescovo, ma che entra in crisi quando scopre di avere un figlio adultero e una nipote lesbica. Alle scuole è proposto poi l’amore fra adolescenti lesbiche raccontato in FuckingAmal. Raccomandato anche Mine Vaganti, incentrato sulle difficoltà di un giovane omosessuale del Meridione incompreso dai suoi «genitori borghesi» e da una «società bigotta». OBIETTIVO MATRIMONIO. Il volumetto racconta la storia e la nobiltà del Gay Pride, insegnando a tutti quanto sia importante sensibilizzare le persone, non solo su blog, siti e forum, ma anche «amici, parenti e la comunità locale», tramite la progettazione e l’esposizione di poster, la scrittura di articoli, i cineforum, i dibattiti, la radio. Ancora più importante è l’attività di controllo «del contesto in cui si vive» e di denuncia di violazioni dei diritti Lgbt. Infine, una scuola che voglia essere veramente «attiva contro l’omofobia» deve inculcare negli studenti i concetti giusti affinché «sia eliminata ogni forma di discriminazione nella legislazione sul matrimonio civile per le coppie omosessuali e garantiti pari diritti ai figli e alle figlie delle persone omosessuali» e sia introdotta una legislazione punitiva dei «crimini motivati da discriminazione per orientamento sessuale» (ddl Scalfarotto?). Tutto si potrà concludere con un bel quiz con il quale ragazzi dovranno dimostrare di avere imparato «il nome di un/a attivista per i diritti delle persone Lgbti», «la data in cui ricorre la giornata mondiale dell’omofobia e la transfobia» o «un paese con una legge contro i trattamenti medici forzati sulle persone omosessuali». @frigeriobenedet °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.ilgiornale.it/ Fondazione Stelline, lancia tre grandi progetti per Milano Presentate le iniziative elaborate dal "cantiere" dell'Associazione Amici delle Stelline dopo il primo anno di attività: il 29 settembre tavola rotonda sulla Città metropolitana e la mostra-percorso L'Alfabeto metropolitano. A novembre 2015 prima edizione delle Giornate per i Diritti umani. Da aprile a settembre 2015 nel Chiostro della Magnolia padiglione multimediale dedicato al Cenacolo e allo studio di Leonardo firmato da Peter Greenaway Alberto Taliani - Ven, 19/09/2014 Tre grandi progetti per Milano, idee che si concretizzano in azione per la città e non solo: dalla Città metropolitana alle Giornate per i Diritti umani fino a Leonardo genio "milanese". Sono stati svelati e presentati alla Fondazione Stelline durante la prima assemblea pubblica della Community Amici delle Stelline alla quale hanno preso parte sia i soci fondatori che i nuovi associati. E sono il risultato dell'intensa attività svolta dai gruppi di lavoro creati nel primo anno di vita dell'associazione, un cantiere dove tante proposte e azioni sono state discusse ed elaborate fino a tradursi nei tre macro progetti che saranno realizzati nei prossimi attraverso sponsorship e partnership private e istituzionali. Si parte con il focus dedicato alla Città metropolitana, nuovo livello di amministrazione locale che presto diventerà realtà ma di cui i cittadini milanesi e dell'hinterland interessato sanno poco. Tema invece che è necessario affrontare con un approccio che deve partire con una serie di iniziative finalizzate al coinvolgimento dei cittadini lombardi e milanesi nel processo della sua costituzione. Una piattaforma in grado di delineare il perimetro della vision del nuovo importante soggetto territoriale che non può essere solo una nuova articolazione amministrativa ma una realtà da costruire attraverso processi di conoscenza e condivisione larghi. Il 29 settembre si terrà una tavola rotonda sul tema Città metropolitana: dalla politica, alle politiche, con la partecipazione dei più alti rappresentanti delle istituzioni milanesi. Sarà preceduta preceduta dalla presentazione in anteprima della ricerca Orientamenti e reazioni degli attori istituzionali e politici alla realizzazione della Città metropolitana milanese che è stata realizzata dai professori Luciano Fasano e Nicola Pasini dell’Università Statale di Milano per conto dell’Istituto per la scienza dell’amministrazione pubblica (Isap). E ci sarà anche un evento particolare e innovativo, la mostra - percorso dell’Alfabeto metropolitano, che racconterà la Milano contemporanea attraverso una serie di lemmi, uno per ciascuna lettera dell’alfabeto e sarà arricchita di contenuti grazie alla collaborazione di giovani fotografi milanesi e video interviste nelle quali racconteranno la propria idea di Città metropolitana. Il tutto per la costruzione di una grande cloud che rappresenterà i termini identificabili con il significato di Città metropolitana. "L’idea di diventare propulsore di proposte concrete e laboratorio di dialogo tra cittadini e istituzioni è nel Dna dell’associazione e, proprio su un tema come quello della Città metropolitana che a breve diventerà una realtà di fatto, abbiamo voluto investire impegno, risorse e un coinvolgimento importante – ha spiegato Giovanni Battista Benvenuto, presidente Associazione Amici delle Stelline –. Siamo certi che il percorso di costruzione debba essere il più partecipativo possibile, ma deve anche essere trasmesso in maniera efficace e diretta ai cittadini, il convegno e la mostra multidisciplinare sono un primo importante passo che mettiamo a disposizione della città". La seconda tappa del percorso progettuale deciso dagli Amici delle Stelline sono le Giornate di Milano per i diritti umani, evento internazionale promosso dal Comune di Milano e organizzato dalla Fondazione Stelline in collaborazione con Fondazione Giangiacomo Feltrinelli che si terrà nel novembre 2015. Diventerà un appuntamento annuale della durata di tre giorni, come ha spiegato Silvana Sermisoni segretario generale dell’associazione che ha ricordato la grande tradizione di solidarietà e di inclusione di Milano citando, non a caso il Beccaria e la storia delle Stelline, nel corso dei quali si svolgeranno incontri, dibattiti, discussioni fra i cittadini e chi si batte in prima linea per l’applicazione, il rispetto e l'affermazione dei diritti a livello mondiale. L’iniziativa si pone anche come ulteriore fulcro di aggregazione che pone al centro la città nel solco della sua vocazione internazionale, subito dopo i mesi di Expo Milano 2015, per continuare a guardare al mondo come palcoscenico con cui confrontarsi da protagonisti. Infine il progetto Leonardo alle Stelline, che proprio qui ha una genesi naturale basta pensare agli Orti di Leonardo - anche grazie alla posizione strategica di Palazzo delle Stelline che invita a pensare alla funzione di questo luogo come spazio di accoglienza e approfondimento culturale della visita all’Ultima Cena non solo in vista di Expo 2015, ma anche e soprattutto nel dopo Esposizione universale, per far vivere un’esperienza del Genio Leonardo innovativa, multimediale, emozionale. Una delle prime tappe di questo nuovo modo di accogliere chi arriva a Milano dall'Italia e dall'estero sarà il collegamento con Santa Maria delle Grazie attraverso un percorso di comunicazione che condurrà da aprile a settembre 2015, al Chiostro della Magnolia dove un padiglione appositamente costruito ospiterà un’edizione multimediale del Cenacolo e dello studio di Leonardo, realizzato con le più aggiornate tecnologie digitali e arricchito dalla visione di un grande artista e filmaker contemporaneo come Peter Greenaway. La Fondazione Stelline sta lavorando con ChangePerformingArts alla stesura di un accordo con la Sovrintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggisti. Tra le idee legate a questa iniziativa che vuole valorizzare Milano come città leonardesca - oggi non così evidente al grande pubblico - c'è quella di allargare la valorizzazione dei luoghi del territorio lombardo che hanno visto all'opera Leonardo. "La Fondazione Stelline segue da sempre un percorso che la vede al centro del rapporto e del dialogo tra territorio, cittadinanza, istituzioni e nuove forme espressive” – ha spiegatoPierCarlaDelpiano, presidente della Fondazione Stelline – . Lo stimolo costante che i membri della Community rappresentano per la Fondazione è una incredibile fonte di idee e progetti su alcuni dei quali partecipiamo in maniera diretta, poiché rappresentano un passo concreto e coerente verso l’affermarsi di Milano come città di successo nel panorama internazionale. Non si tratta solamente di iniziative a termine, ma di un lascito socio culturale che deve essere significativo anche per le generazioni future". Sono diversi gli interventi e spunti di riflessione emersi durante la serata: dalla richiesta di creare un luogo di dialogo che possa nascere dalla contaminazione e dall’eclettismo, fino alla proposta di creare uno State of the City partendo e lanciandolo direttamente da Milano – State of Milano - come realtà che annualmente si interroga e pone al centro della narrazione proprio gli indicatori delle proprie eccellenze. Il primo appuntamento da mettere in agenda il 29 settembre (ore 18.00) dedicato a "Città metropolitana: dalla politica, alle politiche", ne precede un altro assolutamente da non perdere: il 20 ottobre (ore 18.30) #IceBucketChallenge...and then? realizzato insieme a Fondazione Telethon e la ricerca sulle malattie genetiche – Charity event. Fondazione Stelline: www.stelline.it °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.superando.it/ Lavoro di cura familiare: una nuova udienza a Roma Verrà discusso il 22 settembre al Tribunale di Roma – dopo che qualche mese fa a Milano non si sono avuti gli esiti sperati – il ricorso collettivo nazionale presentato per ottenere il riconoscimento e la tutela del lavoro di cura dei caregiver familiari, di coloro cioè che in àmbito domestico si prendono cura di un congiunto affetto da grave disabilità e non in grado di compiere autonomamente gli atti necessari alla propria sopravvivenza e al proprio benessere Il nastro arancio-blu per i diritti dei caregiver familiari, che ha ottenuto molto consenso anche all’estero Nuovo “round” per il ricorso collettivo nazionale presentato allo scopo di ottenere il riconoscimento e la tutela del lavoro di cura dei caregiver familiari, di coloro cioè che in àmbito domestico si prendono cura di un congiunto affetto da grave disabilità e non in grado di compiere autonomamente gli atti necessari alla propria sopravvivenza e al proprio benessere. Dopo infatti che a Milano non si sono avuti gli esiti auspicati dal Comitato Promotore dell’iniziativa, l’udienza presso il Tribunale di Roma è prevista ora per la mattina di lunedì 22 settembre, occasione per la quale si sta anche spontaneamente organizzando un incontro tra caregiver familiari provenienti da tutta Italia, a sostegno dell’iniziativa legale. «Il caregiver familiare (noto a livello internazionale come Family Caregiver) è sostanzialmente colui che a costo di non avere una vita propria non intende istituzionalizzare il proprio caro per consentirgli di fare una vita dignitosa tra i propri affetti e nel proprio ambiente», esordisce una nota prodotta dal Comitato Promotore Ricorso Family Caregiver, sostenuto principalmente dal blog La Cura Invisibile e dal Coordinamento Nazionale Famiglie di Disabili Gravi e Gravissimi. «Il ricorso – si legge ancora nel comunicato – mira al riconoscimento dei diritti umani più elementari per i Family Caregiver, attualmente e irragionevolmente negati, tra i Paesi civili, solamente in Italia, quali quello al riposo, alla salute, alla vita sociale, in un contesto di “moderna schiavitù sommersa”, perpetrata quotidianamente proprio accanto a noi e di cui molti sono all’oscuro, indotta dalla costrizione operata da Amministrazioni assenti e sotto la costante minaccia che le persone care possano restare senza alcuna assistenza». In questi mesi, tra l’altro, i caregiver familiari del nostro Paese stanno anche denunciando la propria situazione all’estero, con l’intenzione di arrivare, se necessario, alla Corte Europea per i Diritti Umani e al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. «A livello internazionale – viene in tal senso annotato dai promotori – ha già trovato molto consenso l’iniziativa legata al nastro arancio-blu a sostegno dei diritti del Family Caregiver e i colori scelti hanno un significato profondo: arancio per i diritti umani e blu navy contro la schiavitù». (S.B.) °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.dazebaonews.it/ Venerdì, 19 Settembre 2014 Aerei made in Italy al Ciad dei diritti umani violati di Antonio Mazzeo MESSINA - Le forze armate del Ciad, uno dei paesi più poveri del continente africano, sta per ricevere dall’azienda italiana Alenia Aermacchi (gruppo Finmeccanica) un nuovo esemplare dell’aereo di trasporto tattico C-27J “Spartan”. In questi giorni, il velivolo da guerra sta effettuando gli ultimo test di volo dall’aeroporto di Torino Caselle; un altro C-27J è stato consegnato al Ciad nel dicembre 2013. Per i due velivoli, il regime di N’Djamena ha sborsato più di 106 milioni di dollari; l’accordo con Alenia Aermacchi prevede la fornitura di un anno di supporto logistico, di parti di ricambio per due anni, due kit di protezione balistica, un kit di ricerca e soccorso e uno di evacuazione medica. Lo “Spartan” è in grado di effettuare molteplici missioni militari tra cui il trasporto truppe, merci e sanitario, il lancio di materiali e di paracadutisti, il supporto alle operazioni di protezione civile. Può imbarcare sino a 11 tonnellate di carico (compresi 60 militari o 46 paracadutisti), ha una velocità di crociera di 583 Km/h e un raggio d’azione compreso tra i 4.260 e i 5.926 Km, a secondo del carico trasportato. Il Ciad è il secondo paese africano dopo il Marocco ad acquistare il velivolo di Alenia Aermacchi. I C-27J sostituiranno la coppia di Antonov An-26 di produzione russa entrati in servizio nel 1989. Grazie ai nuovi velivoli da trasporto made in Italy, le forze armate del Ciad potranno estendere il loro raggio d’azione sino al Mediterraneo o all’equatore, coprendo un’area dell’Africa caratterizzata dai sempre più numerosi conflitti. Secondo quanto rivelato da alcuni dispacci inviati a Washington dal corpo diplomatico Usa residente a ‘Ndiamena, il governo del Ciad avviò le procedure d’acquisto con l’azienda italiana a fine 2008, dopo aver preferito lo “Spartan” al C-130J “Super Hercules” prodotto negli Stati Uniti da Lockheed Martin. “Scegliere i C-27J sarebbe più economico per le autorità del Ciad che acquistare i C-130J e non dovrebbe essere più costoso che comprare C-130H riadattati”, si legge nel cable Usa. “I C-27J possono atterrare in molti più aeroporti del Ciad dei più grossi C-130, sia nella versione J o H, così da complementare gli sforzi del Governo degli Stati Uniti a rendere i militari del Ciad pronti a combattere il terrorismo nelle vaste, remoti, scarsamente popolate e non governate regioni settentrionali del Sahara e del Sahel”. Il Dipartimento di Stato ha investito importanti risorse umane e finanziare per consolidare la partnership con le autorità del Ciad. A fine maggio, l’amministrazione Obama ha autorizzato l’invio a N’Djamena di un contingente militare di 80 unità e di un velivolo-spia a pilotaggio remoto “Predator” per concorrere alle attività d’intelligence e “antiterrorismo” e operare nell’individuazione delle fazioni islamiche radicali accusate del rapimento in Nigeria di 275 giovani studentesse. “La task force resterà in Ciad fino a quando non sarà risolta la vicenda del sequestro”, ha spiegato il presidente Obama in una nota inviata al portavoce della Camera dei Rappresentanti, John Boehner. A metà aprile un team della Special-Purpose Marine Air-Ground Task Force Africa 14, la forza di pronto intervento del Corpo dei Marines istituita di recente nella base siciliana di Sigonella per intervenire negli scacchieri più critici del continente africano, è intervenuta nello Zakouma National Park, per addestrare un centinaio di ranger ciadiani in “piccole operazioni tattiche, pattugliamento, tiro, mobilità terrestre e contrasto ai traffici illeciti”. Sempre dall’Italia sono partiti a giugno i reparti di US Army Africa, il Comando delle forze terrestri statunitensi per il continente africano di stanza a Vicenza, che insieme alla 2^ Brigata di fanteria Usa di Fort Riley, Kansas, hanno svolto un intenso ciclo addestrativo nel deserto a favore di più di 4.000 militari di Ciad, Guinea e Malawi. Sempre nel 2014, US Army Africa Vicenza e un team di medici dell’esercito provenienti dagli Stati Uniti d’America hanno condotto una lunga esercitazione di “pronto intervento sanitario” presso l’Ospedale militare di N’Djamena. L’alleanza tra le autorità governative del Ciad, l’amministrazione Obama e il complesso militare industriale occidentale si rafforza nonostante aumentino a livello internazionale le denunce sulle gravissime violazioni dei diritti umani perpetrate nel paese africano. “In Ciad, sindacalisti, giornalisti e difensori dei diritti umani hanno subito arresti arbitrari, minacce, vessazioni, intimidazioni e il sistema di giustizia penale è stato usato per vessare oppositori politici”, riporta l’ultimo rapporto annuale di Amnesty International. Le libertà d’espressione sono negate anche ai diversi leader religiosi. Il 14 ottobre 2013, il governo ha ordinato l’espulsione dal paese del vescovo cattolico di Doba, monsignor Michele Russo, a seguito di un’omelia pronunciata durante una messa, in cui si denunciava la malversazione delle autorità e l’iniqua distribuzione delle ricchezze derivanti dai proventi petroliferi nella regione. “Nel corso del 2013 sono proseguiti gli arresti arbitrari e le detenzioni preprocessuali per lunghi periodi”, aggiunge Amnesty. “Si sono succedute notizie secondo cui nelle file dell’esercito nazionale del Ciad venivano reclutati minori, anche in numeri massicci. È proseguito anche il reclutamento e l’impiego di minori da parte di gruppi armati ciadiani e sudanesi”. In particolare, sempre secondo l’organizzazione non governativa, molti bambini nei dipartimenti di Assoungha e Kimiti, nella regione orientale del Ciad, si sarebbero recati in Sudan per prestare servizio in diversi gruppi armati. “Le forze di sicurezza e le guardie carcerarie hanno continuato a infliggere punizioni crudeli, disumane e degradanti, comprese percosse, nella pressoché totale impunità”. Penitenziari come gironi infernali, superaffollati, senza assistenza medica, dove il cibo e l’acqua sono insufficienti e i rischi di contagio delle malattie come la tubercolosi sono altissimi. “Nella maggior parte delle carceri, uomini, donne e minori venivano tenuti indiscriminatamente assieme, mentre ad Abéché, Sarh e Doba, i reclusi spesso venivano incatenati”, denuncia Amnesty. Ancora più gravi le condizioni di vita dei sempre più numerosi rifugiati che riescono a raggiungere il Ciad dai paesi confinanti. Secondo l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR), al 31 dicembre 2013, 281.000 cittadini sudanesi erano “ospiti” in dodici campi profughi nella regione orientale del Ciad, mentre 79.000 rifugiati provenienti dalla Repubblica Centrafricana risiedevano nel sud del paese. In quasi tutti i casi si tratta d’insediamenti “informali”, dove i rifugiati arrivano stremati e denutriti, alcuni con evidenti segni di ferite d’arma da fuoco o affetti da dissenteria, scabbia e malattie infettive. Come rileva ancora l’UNHCR, “gli scarsi aiuti e le condizioni d’insicurezza generale che regnano nei campi rifugiati alla frontiera con la Repubblica Centrafricana rischiano di generare una seconda crisi umanitaria in Ciad, oltre quella che si vive oggi nel vicino paese”. Ciononostante, l’11 maggio 2014 il presidente ciadiano IdrissDéby ha annunciato la chiusura dei 1.000 chilometri di frontiera con la Repubblica Centrafricana, decisione che secondo Amnesty International “avrà un impatto devastante su uomini, donne e bambini in fuga da un conflitto in cui la violenza peggiora di giorno in giorno”. Un mese prima, le forze armate del Ciad avevano formalizzato il ritiro del contingente di 850 soldati dalla forza di peacekeeping dell’Unione africana nella Repubblica Centrafricana, dopo che alcuni militari ciadiani erano stati accusati, sulla base di prove credibili, di aver aperto il fuoco in modo indiscriminato contro i civili. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° https://www.news.admin.ch/dokumen tation/ Modificata l’ordinanza sul materiale bellico Berna, 19.09.2014 - Il 19 settembre 2014 il Consiglio federale ha deciso di adeguare i criteri di autorizzazione per le esportazioni di materiale bellico allo scopo di ridurre le norme che discriminano l’industria svizzera degli armamenti in confronto agli Stati europei. Le disposizioni, rivedute in seguito a una mozione della Commissione della politica di sicurezza del Consiglio degli Stati, entreranno in vigore il 1° novembre 2014. La mozione della Commissione della politica di sicurezza del Consiglio degli Stati del 25 giugno 2014 «Porre fine alla discriminazione dell'industria svizzera degli armamenti» (13.3662), trasmessa al Consiglio federale il 6 marzo 2014, si prefigge di conferire al Consiglio federale un maggior margine di manovra per autorizzare le esportazioni di materiale bellico. Il governo procederà a una valutazione globale che deve riguardare sia i principi della politica estera e gli obblighi internazionali della Svizzera (art. 1 della legge sul materiale bellico) sia gli aspetti economici e le considerazioni in materia di politica della sicurezza. A tale scopo la mozione riformula l'enunciato dell'articolo 5 capoverso 2 lettere da a) a d) dell'ordinanza sul materiale bellico (OMB). Nel proprio parere il Consiglio federale aveva espresso il suo sostegno alla Commissione, facendo peraltro notare che la mozione era attuabile con pochi interventi nell'ordinanza. Infine, aveva ribadito di non voler rinunciare minimamente alla tutela dei diritti umani né alla tradizione umanitaria della Svizzera. La modifica varata dal Consiglio federale riguarda da un lato l'articolo 5 capoverso 2 lettera b) OMB, la quale vieta le esportazioni destinate a Paesi che violano in modo grave e sistematico i diritti umani. Dall'altro, ciò comporta una modifica dell'articolo 5 capoverso 2 lettera c) OMB, la quale vieta le esportazioni di materiale bellico verso gli Stati che figurano tra i Paesi meno sviluppati nell'elenco OCSE dei Paesi beneficiari dell'aiuto pubblico allo sviluppo. In virtù di questi cambiamenti, l'autorizzazione potrà essere rilasciata dopo un esame dettagliato di ciascun caso e solo se c'è un rischio esiguo che il materiale serva a commettere gravi reati contro i diritti umani. Contrariamente al passato, dunque, la valutazione verterà sulla violabilità dei diritti umani. È quanto prevede ad esempio anche la Posizione comune del Consiglio dell'UE sul controllo delle esportazioni di attrezzature militari[1]. Per quanto riguarda le richieste di esportare materiale bellico nei Paesi beneficiari dell'aiuto pubblico allo sviluppo, si dovrà verificare in particolare se figurano nell'elenco OCSE dei Paesi meno sviluppati. In determinate circostanze, le esigenze di sicurezza degli Stati destinatari oppure altri interessi importanti possono legittimare un'esportazione. Infine, la definizione legale di «armi» di cui all'articolo 5 capoverso 2 lettere d) e e) OMB è stata sostituita dal termine «materiale bellico» secondo l'articolo 5 della legge sul materiale bellico. Si tratta di una semplice modifica redazionale che non ha alcuna incidenza sulla prasi delle autorizzazioni. La modifica dell'ordinanza approvata dal Consiglio federale migliora il quadro giuridico per l'esportazione di materiale bellico e dunque consente di attuare il principale obiettivo della mozione 13.3662, continuando ad assicurare la coerenza tra la politica estera e la politica di tutela dei diritti umani. L'ordinanza modificata entrerà in vigore il 1° novembre 2014. [1] Posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio, dell'8 dicembre 2008, che definisce norme comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari. Link: http://eur-lex.europa.eu/legalcontent/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32008E0944&qid=1409040753066 Indirizzo cui rivolgere domande: Isabel Herkommer, portavoce SECO, tel. +41 58 465 03 49 Pubblicato da Il Consiglio federale Internet: http://www.admin.ch/br/index.html?lang=it Dipartimento federale dell'economia, della formazione e della ricerca Internet: http://www.wbf.admin.ch °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://lavocedeltrentino.it/ Venerdì, 19 Settembre 2014 14:59 L'impatto della crisi e delle politiche di austerità sui diritti Di grande rilevanza il tema dell'incontro di studio con dibattito aperto al pubblico che analizzerà quale sia la situazione in Italia e in Europa, quali siano i cittadini e le situazioni meno garantiti, in quali casi si possa parlare di violazioni, di chi siano le principali responsabilità, quali contromisure si possano mettere in atto per arginare il problema. L'appuntamento è per lunedì 22 settembre dalle ore 9 nell'aula B della Facoltà di Giurisprudenza (Trento - Via Verdi, 53). Si prenderà spunto dal rapporto presentato da uno dei relatori, Andreas Fischer-Lescano, giurista, professore dell'Università di Brema, e pubblicato nello scorso febbraio. Nel rapporto, "Human Rights in Times of Austerity Policy", si affermava che le politiche di austerità violavano i diritti umani fondamentali. I relatori si concentreranno sulle conseguenze per i cittadini degli interventi di austerità richiesti dalla cosiddetta "Troika" (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) a una serie di Paesi (in particolare Grecia, Irlanda, Portogallo, Romania, Spagna e Cipro). Spiegheranno quindi le responsabilità delle istituzioni europee che, con i Memoranda, avrebbero violato la Carta dei diritti fondamentali dell'UE ed esposto a maggiori rischi e precarietà i gruppi sociali più deboli. Si parlerà di eventuali violazioni all'autonomia contrattuale delle parti sociali, al diritto alla retribuzione, alla casa, alla sicurezza sociale, all'istruzione. Si e samineranno le conseguenze giuridiche, politiche e sociali di politiche di austerità e i possibili rimedi fino al ricorso alla Corte di giustizia dell'UE e ad altre istanze internazionali per l'annullamento degli atti. Il workshop su crisi e violazioni dei diritti fondamentali è organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza e dalla Scuola di Studi internazionali dell'Università di Trento in collaborazione con il CIDU - Comitato interministeriale per i diritti umani del Ministero degli Affari esteri. A introdurre i lavori sarà il presidente del CIDU, Gianludovico de Martino (nella foto). Dopo le relazioni si svolgerà una tavola rotonda aperta al pubblico, anche tramite web. A concludere l'incontro saranno Christian Joergesdell'Università di Brema e Giuseppe Nesi, preside della Facoltà di Giurisprudenza di Trento. Prevista la traduzione simultanea in italiano/inglese e lo streaming. Ingresso libero e gratuito, ma con prenotazione online. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.ladigetto.it/ Crisi europea: l'austerità è violazione dei diritti fondamentali? 19/09/2014 L’impatto della crisi e delle politiche di austerità sui diritti. Questo il tema dell’incontro di studio con dibattito aperto al pubblico che analizzerà quale sia la situazione in Italia e in Europa, quali siano i cittadini e le situazioni meno garantiti, in quali casi si possa parlare di violazioni, di chi siano le principali responsabilità, quali contromisure si possano mettere in atto per arginare il problema. L’appuntamento è per lunedì 22 settembre dalle ore 9 nell’aula B della Facoltà di Giurisprudenza (Trento - Via Verdi, 53). Si prenderà spunto dal rapporto presentato da uno dei relatori, Andreas Fischer-Lescano, giurista, professore dell’Università di Brema, e pubblicato nello scorso febbraio. Nel rapporto, «Human Rights in Times of Austerity Policy», si affermava che le politiche di austerità violavano i diritti umani fondamentali. I relatori si concentreranno sulle conseguenze per i cittadini degli interventi di austerità richiesti dalla cosiddetta «Troika» (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) a una serie di Paesi (in particolare Grecia, Irlanda, Portogallo, Romania, Spagna e Cipro). Spiegheranno quindi le responsabilità delle istituzioni europee che, con i Memoranda, avrebbero violato la Carta dei diritti fondamentali dell’UE ed esposto a maggiori rischi e precarietà i gruppi sociali più deboli. Si parlerà di eventuali violazioni all’autonomia contrattuale delle parti sociali, al diritto alla retribuzione, alla casa, alla sicurezza sociale, all’istruzione. Si esamineranno le conseguenze giuridiche, politiche e sociali di politiche di austerità e i possibili rimedi fino al ricorso alla Corte di giustizia dell’UE e ad altre istanze internazionali per l’annullamento degli atti. Il workshop su crisi e violazioni dei diritti fondamentali è organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza e dalla Scuola di Studi internazionali dell’Università di Trento in collaborazione con il CIDU - Comitato interministeriale per i diritti umani del Ministero degli Affari esteri. A introdurre i lavori sarà il presidente del CIDU, Gianludovico de Martino. Dopo le relazioni si svolgerà una tavola rotonda aperta al pubblico, anche tramite web. A concludere l’incontro saranno Christian Joerges dell’Università di Brema e Giuseppe Nesi, preside della Facoltà di Giurisprudenza di Trento. Prevista la traduzione simultanea in italiano/inglese e lo streaming. Ingresso libero e gratuito, ma con prenotazione online. Informazioni, programma e abstract: http://webmagazine.unitn.it/evento/giurisprudenza/1646/crisisand-rights-in-italy-andeurope °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.senato.it/ Tutela dei diritti umani: prosegue indagine in Commissione straordinaria 25 Settembre 2014 Nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui livelli e i meccanismi di tutela dei diritti umani, vigenti in Italia e nella realtà internazionale, la Commissione Diritti umani mercoledì 24 settembre, ha approvato il rapporto sui Centri di identificazione ed espulsione in Italia e ha svolto l'audizione dell'ammiraglio Giuseppe De Giorgi, capo di Stato maggiore della Marina militare, sulla operazione "Mare Nostrum". Giovedì 25, è intervenuta Maria Teresa Agati, presidente del Centro Studi e Ricerca ausili tecnici per persone disabili della Confindustria, sull'aggiornamento del nomenclatore tariffario. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.disabili.com/ L’Italia riconosca il lavoro di chi assiste un familiare disabile! Lunedì l’udienza sul ricorso collettivo dei Family Caregiver, e i promotori promettono di portare la questione in Europa Si appresta a sbarcare oltre i confini nazionali la protesta dei Caregiver familiari italiani, per trovare una sponda nella azione per il riconoscimento dei loro diritti. Il Family Caregiver è colui che si prende cura in ambito domestico di un familiare non autosufficiente a causa di una grave disabilità. E’ colui il quale, a costo di non avere una vita propria, non intende istituzionalizzare il proprio caro per consentirgli di fare una vita dignitosa tra i propri affetti e nel proprio ambiente. In Italia questa figura non è riconosciuta né valorizzata con adeguata retribuzione e inquadramento pensionistico, facendone un esempio di mancati diritti. Da tempo i Family Caregiver chiedono questo riconoscimento, e quasi due anni fa è partita una azione legale collettiva che giunge ora a un punto decisivo. Lunedì 22 settembre, alle 9,00, presso il Tribunale del Lavoro di Roma in Via Lepanto 4, si terrà infatti l’udienza sul ricorso a favore dei Caregiver Familiari, dove si sta spontaneamente organizzando un incontro tra i Family Caregiver provenienti da tutta Italia che vogliono assistere all’udienza e a sostegno dell’iniziativa legale. Il ricorso, ricorda il gruppo che fa capo al Coordinamento Nazionale Famiglie di Disabili Gravi e Gravissimi, “mira al riconoscimento dei diritti umani più elementari per i Family Caregiver, attualmente e irragionevolmente negati, tra i paesi civili, solamente in Italia, quali quello al riposo, alla salute, alla vita sociale, in un contesto di moderna schiavitù sommersa, perpetrata quotidianamente proprio accanto a noi e di cui molti sono all’oscuro, indotta dalla costrizione operata da amministrazioni assenti e sotto la costante minaccia che le persone care possano restare senza alcuna assistenza”. Dicevamo che la denuncia della situazione italiana si sta estendendo anche fuori dai confini nazionali. Così il gruppo: “Cosa farà questa volta la Giustizia per mettere la politica di fronte alle proprie responsabilità? Nell’attesa i Caregiver Familiari italiani stanno denunciando la propria situazione anche all’estero dove nessuno fino a poco fa sapeva nulla della vergognosa assenza dello stato italiano e non si fermeranno fino ad arrivare alla Corte Europea per i Diritti Umani e al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite”. Si tratta di una questione di civiltà, sottolineano i promotori, che concludono: “A livello internazionale ha già trovato molto consenso e sostegno l’iniziativa legata al nastro arancio-blu a sostegno dei diritti del Family Caregiver e i colori scelti hanno un significato profondo: arancio per i diritti umani e blu navy contro la schiavitù. Ed è l’ennesima figuraccia per l’Italia che si protrarrà fino all’estirpazione di questa palese ingiustizia indegna di un paese che agli occhi del mondo continua a professarsi civile”. Per Info: Comitato Promotore Ricorso Family Caregiver Chiara Bonanno lacurainvisibile@gmail.com M.Simona Bellini presidenza@famigliedisabili.org °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://centroastalli.it/ Convenzione di Istanbul: finalmente riconosciuta la violenza sulle donne come persecuzione e violazione dei diritti umani L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) intervenendo oggi alla conferenza internazionale “Salve Dalla Paura, Salve Dalla Violenza”, che si è tenuta a Montecitorio, ha ribadito il proprio apprezzamento per l’entrata in vigore della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. La Convenzione di Istanbul è il primo trattato internazionale che riconosce la violenza contro le donne come violazione dei diritti umani, e come forma di persecuzione ai sensi della Convenzione di Ginevra sui Rifugiati. La violenza sessuale e di genere colpisce soprattutto le donne e le ragazze, e le migranti forzate sono particolarmente a rischio. Molte delle richieste di asilo che vengono presentate da donne e ragazze riguardano il timore di persecuzioni basate sul genere, tra cui la tratta a fini di sfruttamento sessuale e di lavoro, il matrimonio forzato, la sterilizzazione forzata, le mutilazioni genitali femminili, la minaccia di delitti “d’onore”, la violenza sessuale e lo stupro. “La Convenzione di Istanbul rappresenta un’opportunità importante per affrontare il bisogno urgente di protezione da parte delle donne e delle ragazze rifugiate, richiedenti asilo e apolidi”, ha dichiarato LaurensJolles, rappresentante dell’UNHCR per il Sud Europa. “Tutti gli Stati dovrebbero aderirvi e metterla in pratica”, ha aggiunto. La convenzione impone agli Stati contraenti di adottare misure di natura legislativa e pratica per prevenire e combattere la violenza contro le donne, nonché di coordinare le misure intraprese attraverso politiche globali. La convenzione stabilisce inoltre l’obbligo di introdurre una particolare attenzione alle questioni di genere nelle procedure, nelle linee guida e nei servizi di supporto nel processo di asilo. 19 settembre 2014 °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.korazym.org/ La persona come fondamento ‘pre-politico’ dei diritti umani 20 settembre 2014 Il terzo giorno delle II Giornate sociali cattoliche per l’Europa, che si stanno svolgendo a Madrid da giovedì scorso fino a domani, inizia con una sessione intitolata “La persona umana e la famiglia come base della società e dei diritti umani” . Il primo intervento è affidato al professor BalázsSchanda dell’Università di Budapest, con una relazione su La persona umana come fondamento ‘pre-politico’ dei diritti umani. Hanno i diritti umani bisogno di un fondamento? “No” risponde il prof. Schanda perché “i diritti umani sono pre-politici, nel senso che essi non sono dati o concessi da politici ai loro cittadini. Essi sono ‘scoperti’ attraverso il ragionamento umano come costitutivi dell’essere umano in sé”. Secondo il professore ungherese la domanda centrale di oggi, quando discutiamo di diritti umani, non è il concetto di diritto, ma il concetto di umano. Infatti “oggi assistiamo da una parte al fatto che alcuni aspetti inattesi della vita della persona umana diventano incerti, e dall’altra parte al fatto che il linguaggio dei diritti umani diventa più forte. Siamo di fronte ad una situazione in cui il concetto di diritti umani è sempre più distaccato dai suoi fondamenti e i diritti umani diventano sempre più controversi”. Questo è chiaramente evidente – ha dichiarato il prof. Schanda – “se ci concentriamo sulla questione della dignità”. Anche se la dignità umana sembra essere centrale nella maggior parte dei documenti internazionali sui diritti dell’uomo, la questione sollevata oggi è in primo luogo se questa dignità è inerente alla persona o è creata da sé stessa: “sperimentiamo oggi – dice Schanda – la sfida di una mentalità relativista e soggettivista che ci collega alla domanda se la natura dei diritti è ancora accettata”. Secondariamente: anche se la dignità è riconosciuta come inviolabile, nuovi diritti derivano dalla dignità come il diritto all’autodeterminazione. Alcuni delle attuali discussioni controverse, come quelle sull’aborto, in particolare di bambini con diagnosi di sindrome down, l’eutanasia e anche la questione dell’indipendenza di uno Stato sono tutte questioni sollevate da questa mancanza di chiarezza. In breve, per il professore ungherese, anche se la libertà sembra crescere, in realtà sta scomparendo. Tutti questi nuovi diritti hanno un prezzo imprevedibile e “le prime vittime sono i diritti come la libertà di espressione e la libertà religiosa”. Come soluzione, il professore Schanda suggerisce che “per quanto riguardano i fondamenti della nostra convivenza sociale, la nostra proposta può essere una nuova enfasi sulla legge naturale”, perché siamo in una cultura e in una società che “spesso non sente nemmeno più che i diritti umani devono essere difesi”. E siccome in molti paesi europei si assistono a cambiamenti giuridici che sono più liberali rispetto al consenso sociale, abbiamo bisogno: di ricostruire questo consenso sociale con una presenza originale, perché “non è sufficiente solo reagire alle sfide”; ritornare alle questioni più essenziali e fondamentali che “sono determinate dentro e dalla famiglia” e questo ha bisogno di “una testimonianza convinta, di proposte radicali e di un dialogo coraggioso. L’essere solamente conservatori non aiuta”. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.ncr-iran.org/ • Iran: 17 esecuzioni in un giorno, tra le quali 5 impiccagioni pubbliche, a Kerman, Shiraz, Marvdasht e Bandar Abbas Il capo della magistratura dei mullah: “Chi è il Segretario Generale per dire stop alle esecuzioni. Queste sono parole meschine, infondate e prive di raziocinio. L'esecuzione dei corruttori della terra è una questione interna” All'alba di giovedì 18 Settembre, diciassette prigionieri sono stati impiccati a Kerman, Shiraz, Marvdasht e Bandar Abbas. Cinque delle vittime (quattro a Shiraz e una a Marvdasht) sono state impiccate in pubblico. Otto detenuti della prigione di Shahab a Kerman sono stati impiccati collettivamente. Quattro prigionieri sono stati giustiziati nella prigione di Bandar Abbas. Il 10 Settembre sette prigionieri, quasi tutti tra i 21 e i 24 anni, sono stati giustiziati nelle città di Karaj (con esecuzione pubblica) e Hamedan. Il 1° Settembre quindici detenuti sono stati impiccati nelle prigioni di Hamedan e Zahedan e nella prigione di GhezelHessar a Karaj. Dieci erano i prigionieri che avevano preso parte alle proteste nella prigione di GhezelHessar. Il 26 e 28 Agosto tredici detenuti sono stati impiccati nella prigione centrale di Bandar Abbas in due gruppi da otto e da cinque. Il mullah Larijani, l'aguzzino capo della magistratura del regime, parlando in risposta al rapporto annuale del Segretario Generale dell'ONU nel quale si fa riferimento ad alcuni aspetti della catastrofica situazione dei diritti umani nel regime teocratico, ha detto: “Chi è il Segretario Generale per dire che si devono fermare le esecuzioni? Chi sono loro per dirlo? La pena di morte per i corruttori della terra è una questione interna... molte di queste cose sono state dette in un rapporto ufficiale di un'importante organizzazione internazionale. Queste parole sono meschine, infondate e prive di raziocinio... Non avete il diritto di dire, neanche sulla base dei diritti umani, perché siete credenti!” L'immobilismo della comunità internazionale, in particolare dei paesi occidentali, nei confronti dei crimini del regime teocratico, tra i quali vi sono più di 1000 esecuzioni da quando il mullah Rouhani ha assunto la sua carica, ha incoraggiato il regime teocratico a continuare ed aumentare le torture, le esecuzioni e la repressione. Il dossier sulle violazioni dei diritti umani in Iran dovrà essere presentato al Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Questo non è solo un passo essenziale da fare per interrompere questo ciclo di crimini ed esecuzioni, ma è necessario per l'adesione ai valori a difesa dei quali le Nazioni Unite sono state create. Segretariato del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana 19 Settembre 2014 °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://sociale.corriere.it/ 29 settembre 2014 Supermarket della tortura. Diritti umani addio di: Pierluigi Battista La difesa dei diritti umani è oramai all’ultimo posto nell’agenda internazionale e nell’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. E dunque non susciterà alcuna reazione il boom dell’industria della tortura che, ne scriveva su queste pagine Guido Santevecchi, sta facendo sorridere l’azienda statale cinese ChianXinxing con un volume di esportazioni alle dittature del mondo che l’anno scorso ha toccato la soglia dei 100 milioni di dollari. Un grande viavai di «manette, sedie rigide per gli interrogatori, bastoni elettrici che possono essere usati per infliggere scariche estremamente dolorose per genitali, gola, orecchie». Possiamo immaginarcelo, il commesso viaggiatore che presso 40 nazioni africane (la clientela più entusiasta), in Cambogia e in Thailandia e in Nepal, illustra con orgoglio aziendale il campionario dei suoi preziosi prodotti per l’export: mazze «anti-sommossa» con punte metalliche, catene per il collo che riducono la circolazione del sangue, attrezzature per somministrare scariche elettriche su un uomo nudo e immobilizzato, strumenti per il congelamento del torturato e così via. Possiamo immaginare anche il brivido del virtuoso fustigatore del mercato spietato e del capitalismo disumano. Purché non si colga il centro della questione: i consumatori non sono utenti abbacinati dalle sirene del consumismo, ma Stati che fanno parte dell’Onu, che cercano, spesso ottenendola, una certa reputazione mondiale e che comunque possono agire indisturbati, anzi quasi incoraggiati dalla comunità internazionale, nella pratica della tortura e della violazione dei diritti fondamentali. Noi sappiamo benissimo quali sono gli Stati che praticano la tortura: diciamo che sono Stati sotto il cui tallone vive oltre la metà della popolazione mondiale, altro che staterelli periferici, o cattivi confinati nell’asse del Male. Anzi, dopo il fallimento delle primavere arabe (che peraltro sono esplose in Paesi dove la tortura di Stato, come nell’Egitto di Mubarak, aveva raggiunto vertici di perfezione professionale), abbiamo cominciato a fare il tifo per regimi autoritari che almeno potevano arginare i pericoli del fondamentalismo fanatico e oscurantista. Facciamo tifo per regimi che guardano con ammirazione al catalogo della China Xinxing (presumibilmente forte anche nel mercato interno) e che partecipano con entusiasmo all’internazionale della tortura. Diritti umani adieu. Deve essere questa la «globalizzazione dell’indifferenza denunciata da Papa Francesco? °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.internazionale.it/ Turchia. Human Rights Watch, con Erdogan limitazioni diritti umani • 29 settembre 2014 (ASCA) – Roma, 29 set 2014 – Con ilgoverno del presidenteRecepTayyipErdogan, la Turchiastasperimentandouna “preoccupantelimitazione” deidirittiumani, con un aumento di “intolleranzaneiconfrontidell’opposizionepolitica, delleprotestepubbliche e dei media cheassumonoposizionicritiche”. A sostenerlo e’ un rapportodell’organizzazione Human Rights Watch (HRW), nel quale siaccusailgoverno di Ankara di aver cercatonegliultimimesianche di piegarel’indipendenza del sistemagiudiziarioneltentativo di fermareun’inchiestasullacorruzioneche ha coinvoltoalcunipersonaggivicini a Erdogan. “Il governo non ha alcunaesitazione a intervenirenelsistemagiudiziariopenalequando i suoiinteressivengonominacciati”, sostieneilrapporto di HRW, citandogliavvicendamenti di migliaia di impiegatidelleforze di sicurezza e del sistemagiudiziarioche non avevanomostratosufficientefedelta’ al regime. “La Turchia non riuscira’ ad avvicinarsiall’Europafino a quando i leader turchi non prenderannodelleiniziative per ribaltare la riduzionedeidirittiumani e per rafforzare le leggi”. HRW ricordainoltre la “quasi impunita’” delleviolenzecommessedallapoliziadurante le protestedell’annoscorso, con un solo agentecondannato per l’uccisione di un manifestante e almeno 5.500 personerinviate a giudizio per illorocoinvolgimentonelleproteste. (fonte AFP). Questa è unanotiziadell’agenziaAsca. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
© Copyright 2024 Paperzz