Supplemento a Tempi n°51/52 del 30 dicembre 2014 - Poste italiane spa - spedizione in a.p. D.L. 353/03 (conv. L.46/04) art. 1 comma 1, DCB Milano SPECIALE ENERGIA E AMBIENTE in collaborazione con I SIGNORI DELLA NATURA DAL FUTURO DEGLI APPROVVIGIONAMENTI ALLA RIDUZIONE DELLE EMISSIONI. IL DESTINO DEL PIANETA è SCRITTO NELL’AMICIZIA TRA L’UOMO E IL CREATO SOMMARIO TEMPI Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/06/1994 settimanale di cronaca, giudizio, libera circolazione di idee Supplemento a Tempi - Anno 20 - N. 51/52 dal 18 al 30 dicembre 2014 DIRETTORE RESPONSABILE LUIGI AMICONE A CURA DI Paolo Togni PUBBLICITà Viviana Battaini PROGETTO GRAFICO Matteo Cattaneo FOTOLITO E STAMPA Elcograf Via Mondadori 15, 37131 Verona GESTIONE ABBONAMENTI Tempi, Via Confalonieri, 38 - 20124 Milano, tel. 02/31923730, fax 02/31923799, abbonamenti@tempi.it EDITORE Tempi Società Cooperativa, Via Confalonieri, 38 20124 Milano La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 SEDE REDAZIONE Via Confalonieri, 38 20124 Milano, tel. 02/31923727, fax 02/34538074, redazione@tempi.it CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITà Editoriale Tempi Duri Srl 4 Responsabilità e sviluppo. Le ragioni di un’amicizia tra uomo e creato come antidoto al catastrofismo 14 I costi della dipendenza Prospettive di un paese vincolato alle importazioni e che fatica a trasformare le sue risorse in fonti di crescita Lo Speciale Energia e Ambiente di Tempi è stato realizzato in collaborazione con la Scuola Superiore Territorio Ambiente Management (SSTAM). La Scuola è stata istituita dall’Università degli Studi di Perugia e dal ministero dell’Ambiente al fine di promuovere la formazione e la ricerca sulle problematiche ambientali integrando competenze giuridiche, economiche e ingegneristiche 18 La rivoluzione energetica Nell’ottica di una trasformazione del mix utilizzato il tema della flessibilità degli approvvigionamenti diventa cruciale 30 Abitare sostenibile Puntare su un patrimonio immobiliare più qualificato ed efficiente dal punto di vista energetico conviene a tutti EDITORIALE L’UOMO, LA TERRA E LE RAGIONI DI UNA AMICIZIA PROFONDA contro la piaga delle teorie catastrofiste e il mantra della limitazione dei consumi, occorre recuperare un binomio VITALe: responsabilità e sviluppo. spunti per un dibattito serio che sfida soprattutto i cattolici PAOLO TOGNI direttore sstam Docente universitario, dirigente della Pubblica amministrazione centrale e locale, presidente e consigliere di importanti società, oggi Paolo Togni è direttore della Scuola Superiore Territorio, Ambiente, Management (SSTAM) dell’Università di Perugia 4 | | S anni Ottanta si stimavano coprire 28 anni di consumondo ottusa ed egoista, tutti i discorsi sulle mi (quindi avrebbero dovuto essere già esaurite), ed impronte ambientali e le conseguenti consi- oggi sono accertate per i prossimi 41 anni. Nessuna derazioni sulla eccessiva quantità di consumi che il preoccupazione è lecita per la disponibilità di carbonostro modo di vita determina, principalmente nei ne, assicurata per svariate centinaia di anni; e parsettori alimentare ed energetico. Così come è sacro- tendo dal carbone è possibile produrre tutti i derivasanto qualunque richiamo ad un uso responsabile del- ti del petrolio. Nel calcolo delle riserve accertate non le risorse naturali e a un loro non abuso, nello stesso sono comprese, poi, le oil sands, gli scisti bituminosi, modo ritengo debba considerarsi frutto di irresponsa- il nucleare, l’espansione delle rinnovabili e il migliobilità o di egoismo l’invito alla limitazione dei consu- ramento dell’efficienza energetica. Né, evidentemenmi. Non vale la logora argomentazione, sempre smen- te, eventuali oggi sconosciute tecnologie per la protita dai fatti fin dal momento della sua prima formu- duzione o l’uso dell’energia, delle quali è ragionevolazione, dei “limiti allo sviluppo”; essa si basaLe risorse ci sono e ci saranno, a condizione va sulla erronea preche si vogliano sfruttare, e saranno per tutti, sunzione dell’imposa condizione che le sappiamo dividere equamenTE sibilità di espansione, derivante dalla accertata (dai suoi sostenitori) scarsità di combustibili fossili e le prevedere la scoperta nei prossimi decenni. Sulla base di questi dati, chi parla di una prevedinella insufficiente (secondo gli stessi figuri) produziobile scarsità di energia o di cibo in un futuro ragione e distribuzione di risorse alimentari. Per quanto riguarda la produzione di beni ali- nevole è un imbecille o un mascalzone. Le risorse ci mentari, le serie storiche evidenziano non solo sono e ci saranno, a condizione che si vogliano sfrutun continuo sviluppo quantitativo, ma anche una tare, e saranno per tutti, a condizione che le sappiamigliore distribuzione, se è vero, come è vero, che la mo dividere equamente. Naturalmente, il petrolio percentuale di popolazione con prevedibili difficoltà non estratto (vedi Basilicata e Adriatico) non torna a ad avere un soddisfacente livello alimentare è passa- vantaggio di nessuno; gli Ogm non seminati non alita dal 25 per cento della popolazione mondiale nel mentano nessuno; e così via. Accertato che i beni essenziali non mancheran1970 all’11 per cento nel 2012 (dati Fao). Lo stesso vale per le riserve di combustibili fos- no, è però estremamente importante impegnarsi sili, che, per quanto riguarda gli idrocarburi, negli per ottenere una migliore – cioè più giusta – distriono poco significativi, e frutto di una visione del buzione dei beni tra tutti gli uomini; e, poiché non si può distribuire quello che non si è prodotto, gli sforzi operativi e di comunicazione orientati ad aumentare il volume complessivo della produzione e a migliorarne la qualità sono altamente meritevoli; anzi, sono addirittura necessari. Come meritevoli, del resto, in barba a qualunque congrega sindacale, sono gli sforzi per migliorare la resa della produzione (rapporto tra materie prime utilizzate e quantità di prodotto ottenuto) e la sua produttività (rapporto tra costo, tempo lavorato e quantità di prodotto). Tutto questo ragionamento, naturalmente, deve essere attuato senza mai trascurare la necessaria tutela per l’ambiente, per il quale, peraltro, già le tecnologie attuali, se correttamente utilizzate, ci garantiscono che possa essere mantenuto il rispetto necessario: e figuriamoci quello avvenire. E poiché mi trovo in un contesto cattolico, qui vorrei focalizzare il ragionamento sulla visione che sull’argomento ha avuto, ha ed avrà il mondo cattolico. La Chiesa e il rispetto del mondo L’amore per il Creato nutrito dai cristiani affonda le proprie radici nella Genesi, dove esplicitamente tutto ciò che il Padre Eterno, uno e trino prima dell’inizio dei tempi, aveva creato dal nulla e giudicato buono viene affidato ad Adamo, che ne diviene consegnatario a nome dell’umanità, perché lo comandi e lo usi nell’interesse suo e della sua discendenza. Per lungo tempo tra uomo e ambiente non ci furono grandi problemi di rapporto, ed essi vissero in perfetto accordo; poi, venendo avanti con i tempi ed aumentando la presenza e l’impatto degli uomini sulla Terra, cominciarono i primi problemi, aggravati dalla visione platonica dell’umanità, i membri della quale sentivano di essere composti da anima e corpo attivi non uni| | 5 editoriale tariamente, ma in una dialettica dell’una spirituale no a partire da S.S. Pio XII, della Pontificia Commiscon l’altro materiale e quindi più immerso nel mon- sione “Iustitia et Pax”, custode della Dottrina Sociado circostante e nell’ambiente. In conseguenza a que- le Cristiana, e della Pontificia Accademia delle Sciensto atteggiamento, l’uomo non si approcciava in modo ze; da questi atti le fondamenta della visione dell’amunitario agli altri esseri viventi e al Creato. Furono san biente e della sua tutela da parte della Chiesa emerFrancesco d’Assisi e san Tommaso d’Aquino a deter- gono chiare e forti. Esse riposano sui principi dell’anminare, con fede e intelletto particolarissimi, anche tropocentrismo, dell’obiettivo primario della salvezuna migliore determinazione del rapporto tra i figli za delle anime, del rispetto e dell’amore per il Creato di Dio e il resto del Creato. Si trattò di un’operazione e per tutte le creature del Signore; è chiaro a chiuncontemporaneamente mistica e filosofica, nella quale que abbia anche sommariamente approfondito l’ari due santi si impegnarono pressoché l’uomo è l’unico essere dotato di intelligenza, anima nello stesso tempo e libero arbitrio nel Creato, e perciò gli incombe anche se da versanuna forte responsabilità verso le altre creature ti diversi: tra lo spirito più mistico ed il pensatore più potente che il mondo abbia visto nel- gomento che fondamenta altrettanto forti ne sono la la sua storia si integrò una nuova visione antropologi- corretta acquisizione dei risultati scientifici raggiunti ca integrale. I due definirono una visione dell’uomo al momento della pronunzia, e l’assenza di pre-giudied un sistema di vita che, ricomponendo l’uomo nel- zi e posizioni ideologiche di qualunque tipo. la sua unità, lo mettesse in grado di avere un rapporto sereno, caratterizzato da rispetto ed affetto, con gli Il senso (e la sfida) di questo speciale altri esseri. Nel corso dei secoli, poi, in molte occasioni Anche dal rapporto tra uomo e ambiente, dunque, la Chiesa parlò di questo rapporto, ponendone i termi- scaturisce la conferma del principio già affermato ni in maniera coerente: l’uomo è l’unico essere dota- da san Tommaso e ribadito mirabilmente da Beneto di anima, intelligenza e libero arbitrio esistente nel detto XVI, per il quale scienza e fede, figlie entramCreato, e perciò gli incombe una forte responsabilità be dello stesso Creatore, non possono in alcun modo verso tutte le altre creature; esse poi non possono esse- trovarsi in contrasto tra di loro. Appare però necesre ritenute titolari di diritti, ma la loro esistenza deter- sario, mentre si attende l’enciclica sull’ambiente e in mina il sorgere di doveri dell’uomo verso di loro: usar- un momento nel quale il dibattito sull’argomento sta ne per le proprie necessità, ma non abusarne; garan- tornando ad essere vivace, approfondire e dettagliare tirne nei limiti del possibile le buone condizioni di una posizione dei cattolici sull’argomento. Coinvolvita; impedire che subiscano violenze o dolori evitabi- gendo le molte menti brillanti che ci sono nel nostro li, sono tra i principali. ambiente, e mettendo insieme risorse scientifiche, Nel deposito della fede, tuttavia, non sono sta- operative e politiche dotate di competenza e di espete frequenti nel passato pronunzie esplicite e diret- rienza, l’impresa può essere avviata con ottime spete a proposito di ambiente, e ciò ha determinato il ranze di successo; che, naturalmente, non si misurefatto che molti bravi cristiani abbiano interpretato rà dal numero di pagine che i giornali vorranno dedila scarsità di materiali aventi ad oggetto specifico il care all’iniziativa, ma dalla serietà e dall’impegno rapporto tra uomo e ambiente segno della poca rile- che coloro che vi parteciperanno vorranno mettere vanza dell’argomento; ed in effetti solo negli ultimi nell’impresa e di coloro che se ne renderanno partecidecenni si trovano negli atti del Magistero interventi pi. In questo spirito ricade anche l’aver messo insieme che tocchino direttamente ed esplicitamente il rap- questo speciale, sperando che esso possa essere riteporto tra l’uomo ed il resto del Creato, definendone nuto non solo una panoramica del quadro energetico la visione complessiva e cominciando ad inquadrare attuale, ma anche un piccolo contributo a quanto la sistematicamente la materia. Ricordo in questo sen- Chiesa e il mondo si aspettano da noi. so dichiarazioni e pronunzie dirette dei papi, almetognipaolo@gmail.com 6 | | SPECIALE LE LEGGI NEBULOSE NON HANNO MAI PORTATO IL SERENO LA STORIA della PROTEZIONE E della tutela del territorio è costellata di tentativi di riforma e riscrittura delle regole, spesso naufragati. come il codice ambientale del 2006, affondato da ideologie dure a morire A gli albori del Novecento, per non andare più indietro, l’attenzione al paesaggio ed inconsapevolmente all’ambiente veniva in rilievo soprattutto nella normativa sull’uso ed il contenimento delle acque pubbliche e private, lo sviluppo dei canali di irrigazione, la bonifica delle località malsane, lo sfruttamento delle risorse idriche per la produzione di energia, la costruzione e manutenzione delle vie di comunicazione stradale e ferroviaria; mentre, per i centri urbani funzionavano i regolamenti edilizi comunali con le norme igienico sanitarie sugli insediamenti abitativi e i servizi della viabilità, dell’ordine pubblico e cimiteriali. Faceva caso a sé la legge speciale per il risanamento della città di Napoli, improntata dalla programmazione dell’intervento pubblico. Non si percepivano problematiche ambientali al di là di una non ben definita nozione del territorio, prevalentemente collegata allo sfruttamento della proprietà agraria secondo le norme del diritto privato. Una prima cognizione inerente alla valenza ambientale, cominciò a configurarsi nelle leggi sui beni culturali che codificarono il principio dell’interesse pubblico, l’obbligo di conservazione e poteri strumentali della pubblica amministrazione per le opere d’arte di interesse storico ed archeologico insieme a monumenti ed immobili, e poi (1912) la tutela delle ville, i parchi, i giardini, insieme alle cosiddette “bellezze naturali” e alle “bellezze panoramiche” che furono incluse tra i beni e gli oggetti sottoposti a tutela e valorizzazione del governo nella legislazione sui beni ed attività culturali degli anni ’39-’40, cui facevano da corollario le prime istituzioni dei parchi naturali a protezione della flora e della fauna e della biodiversità; che hanno poi portato a delineare nei prin- 8 | | cipi fondamentali della Costituzione (art. 9) il “programma culturale” unitariamente incentrato sulla valenza del rapporto uomo-cultura ed uomo-ambiente, impegnando la Repubblica a promuovere lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica …. e a tutelare il paesaggio ed il patrimonio storico ed artistico della Nazione. Su tale visione unitaria dei beni culturali e dell’ambiente hanno fatto seguito, tra gli anni Cinquanta e Settanta, gli studi e gli approfondimenti delle Commissioni governative (Franceschini, Papaldo, Chigi e Fanfani) al cui esito la conservazione della natura e delle sue risorse, nonché la tutela degli equilibri ecologici compatibili dell’ambiente e dell’atmosfera prospettarono una nozione di ambiente più articolata e si potrebbe dire differenziata rispetto all’originaria valenza culturale: e da allora, nonostante l’istituzione dell’unico Ministero dei beni culturali ed ambientali (1974), l’ambiente fu inteso non solo e non tanto come paesaggio–bene culturale conformato dall’azione umana, quanto e piuttosto come il circostante intorno agli insediamenti e alle attività, da difendere e valorizzare rispetto ai possibili fattori di aggressione (stravolgimenti, inquinamenti e distruzioni) da allora in avanti sempre più divenuti oggetto della normativa, anche sovranazionale ed internazionale in materia ambientale. Vi è stata infatti tra gli anni Settanta e Ottanta l’intensa attività delle organizzazioni internazionali verso la preservazione e la protezione della natura e la difesa dell’ambiente dall’azione umana, a più riprese codificata e riconosciuta nelle dichiarazioni dei governi dei paesi partecipanti, che oltre agli impegni programmatici ha stimolato, per quanto ci riguar- da, l’Unione Europea e il nostro paese all’emanazione di regolamenti e direttive ed al loro recepimento, con particolare attenzione sia verso la tutela e la valorizzazione delle risorse naturali e del paesaggio, sia verso la tutela dell’ambiente, con disposizioni conformative sempre più stringenti delle attività umane, volte a prevenire disastri ambientali ed inquinamenti oltre i limiti di compatibilità mediante l’intreccio di autorizzazioni, controlli, sanzioni e azioni ricostitutive. Tale specifico profilo delle azioni di governo a tutela, preservazione e valorizzazione dell’ambiente ha dato luogo, nel giro di una decina d’anni, al distacco delle competenze relative alle problematiche ambientali dal complesso funzionale originariamente attribuito al ministero dei Beni multurali ed ambientali, con la creazione del ministero dell’Ambiente (1986) poi evoluto (1999-2006) in ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio del mare. Le denominazioni rispecchiano lo stato dell’evoluzione della disciplina ambientale, mai separata dall’utilizzo del territorio e dall’urbanistica, nell’intricato intreccio di competenze tra enti locali, Regioni, governo centrale esteso, a livello regionale, non funzionano, impantanate nella mostruosa complessità delle procedure, esposte all’inefficace inerzia e, nei casi peggiori, frustrate tra le pieghe infingarde della corruzione. Quell’occasione persa Tutto questo, per dire che, forse, allorché nel 2006 si pose mano all’attuazione della “delega ambientale”, l’illusione di risolvere efficacemente la preoccupazione ambientale con un corpo normativo giusto e coerente al primato dell’uomo, secondo regole e modalità della fruizione riportate alla sua responsabilità, riconducendone il fondamento al contesto dei valori e dei princìpi sanciti nel corpus del diritto naturale, non aveva gran fondamento. Per quanto non ci si sia sottratti alla fascinazione, corretta, dell’idea per la quale la questione relativa all’ambiente non poteva diversamente delinearsi in termini di diritto positivo se non considerando che il corpo delle norme del diritto naturale rileva ai fini della ricognizione e della fondazione della norma morale che porta ai giudizi e alla scala dei valori presupposti alla produzione delle leggi finalizzate alla fruizione comtra gli anni Settanta e Ottanta l’attività delle patibile con la salorganizzazioni internazionali ha puntato alla vaguardia, la tutela preservazione della natura dall’azione umana e la valorizzazione dell’ambiente al serall’esercizio delle funzioni relative alla tutela e valoriz- vizio dell’uomo, e ne costituisce il dato metagiuridico secondo linee che, nel rispetto dello statuto natuzazione del paesaggio a valenza culturale. rale di tutte le componenti, aprano alla concreta posPolverizzazione e istituzioni in conflitto sibilità della “fruizione legittima” intesa come utilizTralasciando anche il benché minimo cenno al com- zo responsabile dell’ambiente improntato al principlicatissimo sistema del frazionamento, e quindi del- pio della conservazione attraverso l’uso amorevole e la confusione delle competenze a tutti i livelli istitu- prudente a garanzia della salvaguardia delle risorse zionali, che ha portato all’estrema difficoltà, se non per le generazioni future. Però, appena nato, il “codialla paralisi, di efficaci azioni nella tutela e valorizza- ce ambientale” del 2006 finì tra le pregiudiziali ideozione paesaggistico-ambientale, va detto che i tentati- logiche sorrette dallo scadimento culturale innalzavi (2002-2006-2009) di codificazione (rectius, riduzio- to nel vessillo del pecoraro, che non tardò, invocanne a testi unici) delle numerosissime disposizioni legi- do falsamente princìpi e valori di derivazione comuslative nelle materie dei beni culturali, del paesaggio nitaria, a mistificarne il canone fondamentale della e dell’ambiente, seppure hanno portato un po’ di ordi- coerenza all’ordine stabilito dalle leggi di natura che ne non hanno tuttavia risolto il problema della polve- fondano lo statuto normativo di tutte le componenti rizzazione delle competenze e dei relativi conflitti nei onde garantirne il processo vitale naturale ed attingequali beni culturali, paesaggio ed ambiente sono tut- re al bene del fruitore e del fruito che coincide con il tora avviluppati per il limite dell’infelice assetto costi- “bene comune”; l’altro cardine, di natura teleologica, tuzionale della ripartizione dei poteri tra Stato-Regio- che era stato posto a fondamento dell’intero comparto della normazione del “codice ambientale”; valore ni ed Enti locali delineata nelle riforme del 2001. Se si aggiunge il bieco burocratismo formalisti- assolutamente indifferente alle ideologie ambientaco in cui è sempre più precipitata l’amministrazio- liste, notoriamente ispirate alla concezione dell’amne degli interessi della collettività, al quale i nostri biente come bene e fine assoluto fino alla contrapgovernanti si illudono di rimediare attraverso ripe- posizione ed alla prevalenza sul primato umano. Ed tuti interventi legislativi schizofrenici, con il risulta- i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Se non verranto di rendere sempre più vischiosa qualsiasi azione no tempi nuovi, ogni sforzo rimarrà vano, con buona verso la soluzione dei problemi, ci si spiegano facil- pace per l’articolo 9 della Costituzione. mente le ragioni per cui le pur apprezzabili costruGiampaolo Maria Cogo zioni organizzative e funzionali della codificazione consigliere SSTAM | | 9 speciale L’ inquinamento dell’aria è in gran parte SPERIMENTAZIONI INTERESSANTI causato dalle attività umane, in particolare a seguito della combustione di carburanti fossili. Una peculiarità dell’inquinamento atmosferico è quella di non rimanere confinato nell’atmosfera ma di potersi anche depositare al suolo, o sulle acque di superficie, raggiungendo in alcuni casi le acque di falda; mentre non è vero il contrario: l’inquinamento dell’acqua e del suolo, in condizioni normali, non si trasferisce in atmosfera. Inoltre, l’inquinamento, modulato dai fenomeni meteorologici, si propaga e si diffonde in modo rapido, esteso ed incontrollabile anche intervento su molteplici fonti di emissioni variamente distribuida un paese all’altro e da un continente all’altro (inquinamen- te, come l’inquinamento da traffico automobilistico o da riscaldato transfrontaliero). Questo suggerisce di non tralasciare il mo- mento domestico presenti sul territorio urbano. Le fonti distribunitoraggio meteorologico al suolo e in quota in particolare del ite, infatti, singolarmente emettono una quantità molto inferiore movimento delle masse d’aria che devono essere valutati a livel- di inquinanti e l’intervento su ogni singolo elemento, oltre ad eslo locale, regionale e nazionale. Gli esseri viventi assimilano le so- sere di non facile attuazione, produce risultati non certi. stanze inquinanti atmosferiche principalmente attraverso il respiro e in maniera indiretta, attraverso la catena alimentare, con Strategie diverse per emissioni diverse effetti negativi sull’uomo e su tutto il mondo animale e vegetale. In conclusione, l’abbattimento delle emissioni industriali, con Tutto questo mette in evidenza la pericolosità dell’inquinamento particolare riferimento ai grandi impianti, è una strada da perdell’aria e il relativo rischio sanitario da cui l’interesse per lo stu- correre per riuscire ad ottenere un significativo abbattimento dio e l’individuazione di interventi preventivi e/o riparativi. dell’inquinamento dell’aria (come indica la Direttiva europea L’Unione europea, che si occupa da circa 50 anni dell’inqui- 2010/75). Non vanno, al contempo, trascurati interventi di abbatnamento atmosferico, ha dichiarato il 2013 “anno dell’aria”. No- timento delle emissioni per le fonti variamente distribuite che nostante la UE abbia emanato provvedimenti che hanno contri- nel tessuto urbano sono significative e che vanno affrontate con buito ai progressi, sia per migliorare la qualità dei carburanti, sia provvedimenti mirati e diversificati per tipologie di impianti e per controllare le emissioni di sostanze nocive nell’atmosfera, il di utenza (si veda in proposito la direttiva 2008/50/CE). In partiproblema inquinamento colare attraverso un approcdell’aria rimane oggi ancocio sistemico, multidiscipliGLI scienziati di Enea hanno CREATO una nare ed integrato, nuove ra irrisolto. Questo risulta dall’ultimo rapporto sulla linea di ricerca applicata che, GRAZIE metodologie applicative e qualità dell’aria in Europa, modelli matematici più rapA strumenti innovativi, ha portato recentemente pubblicato presentativi del territorio alla messa a punto di metodi e dall’Agenzia Europea per sono stati finalizzati, anche l’Ambiente (Aea), nel quacon l’ausilio delle reti neustrumenti per migliorare la gestione le si evidenzia che un’alta rali, al miglioramento della dell’INQUINAMENTO nei siti industriali percentuale delle persone qualità dell’aria in ambito che vive nelle città dell’Ue industriale. Questo obiettiè esposta a livelli di inquinanti atmosferici, ritenuti nocivi per la vo è stato perseguito anche da alcuni scienziati di Enea che, in salute dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). particolare, con l’analisi e lo studio dei fenomeni fisico-meteoroIl rapporto “Costs of air pollution from European industrial logici e dei meccanismi di dispersione degli inquinanti che avvenfacilities – an updated assessment” evidenzia, inoltre, che l’1 per gono all’interno del Planetary Boundary Layer (Pbl), hanno svicento delle industrie europee da sole producono circa il 50 per luppato una linea di ricerca applicata che, attraverso l’utilizzo di cento dell’inquinamento atmosferico che respiriamo in Europa. strumenti innovativi, ha portato alla realizzazione e messa a punTutto questo si traduce anche in costi per la comunità. Dal rap- to di metodi e strumenti per migliorare la gestione della qualità porto risulta che gli impianti industriali maggiormente inqui- dell’aria nei siti industriali. Tali risultati sono stati sperimentati nanti si trovano in Bulgaria, Polonia, Romania, Germania, In- ed applicati con successo presso il Consorzio industriale della Valghilterra; ma anche l’Italia, con l’Ilva di Taranto ventinovesima, le del Biferno1, con il supporto della Regione Molise e di alcune concorre per le prime posizioni. Tra le fonti di inquinamento im- università italiane, europee, americane e russe, e sono facilmente messe in atmosfera quelle originate da impianti industriali risul- replicabili ad analoghe realtà industriali. Le analisi di tipo “tecnitano essere preponderanti. L’inquinamento atmosferico di tipo co” e i relativi risultati fin qui esposti possono essere una chiave industriale è caratterizzato dal fatto che vengono generate alte di lettura del problema “inquinamento dell’aria” per gli amminiconcentrazioni di inquinanti emesse da un’unica fonte: tipica- stratori locali ed i politici: a questi ultimi il compito di agire per mente la bocca del camino di un impianto. Questa alta quanti- tutelare l’ambiente e la salute dell’uomo. tà di emissioni, circoscritta in un punto definito, ci permette di M.C. Mammarella, G. Grandoni, R.A. Di Marco poter intervenire in modo preciso e diretto per ottenerne un abEnea, Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, battimento (ad esempio con i filtri idonei); più difficile invece un l’energia e lo svilippo economico sostenibile 10 | aria PIù PULITA CON L’AIUTO DELL’INDUSTRIA | il servizio idrico integrato iL QUADRO NORMATIVO CHE FA ACQUA non ci permette di crescere L costituisce un’indispensabile esigenza per garantire il benessere delle generazioni future e la stessa conservazione della civiltà moderna, il cui progresso si è fondato (talvolta non senza abusi) su di uno sfruttamento sempre più intensivo, cui dovrà affiancarsi, oggi più che in passato, una maggiore tutela di tutti quei beni che sono essenziali per la vita. Come ci è stato autorevolmente ricordato dal Santo Padre nella sua visita di fine novembre al Parlamento europeo, «rispettare l’ambiente significa non solo limitarsi ad evitare di deturparlo, ma anche utilizzarlo per il bene». In questa prospettiva, anche le risorse idriche (fonte essenziale di sostentamento e di sviluppo delle collettività) costituiscono un bene naturale che deve ricevere la massima tutela e protezione, ma che, al contempo, deve essere utilizzato al meglio per garantire a tutta la società di poterne beneficiare appieno. a salvaguardia delle risorse naturali Una rete trascurata Secondo gli esperti, la storia moderna dell’infrastrutturazione idrica italiana prende avvio negli ultimi trent’anni del XIX secolo e, da qui in avanti, si caratterizza per una la storia moderna dell’infrastrutturazione serie di interventi realizzati quasi ad “ondate”, senza essere accompagnata da un’adeidrica italiana prende avvio negli ultimi guata e costante opera di conservazione e di trent’anni del XIX secolo e si caratterizza manutenzione. I singoli comuni hanno geper una serie di interventi realizzati quasi stito i servizi idrici in modo frammentato e disomogeneo fino all’avvento della legge ad “ondate”, senza un’adeguata e costante Galli (36/1994), che ha prefigurato una riforopera di conservazione e manutenzione ma radicale del settore attraverso il consolidamento di tutte le componenti (di acquedotto, fognatura e depurazione) nel servizio idrico integrato e d’ambito), nel quale sono individuati gli investimenti necessaun’integrazione orizzontale tra gli enti locali a livello di ambiti ri per garantire ai cittadini servizi adeguati e i livelli tariffari destinati alla copertura di tali investimenti (soprattutto in un territoriali ottimali (Ato). Un territorio più vasto (l’Ato), una programmazione unita- momento, quale quello attuale, in cui le risorse pubbliche soria fra gli enti locali (fino ad arrivare alla costituzione, da ul- no assai limitate). Secondo una recente ricerca condotta dallo timo, dell’ente d’ambito) e un gestore unico incaricato degli Iefe dell’Università Bocconi, il fabbisogno per investimenti stiinvestimenti (di ampliamento e manutentivi) su tutta la filie- mato pro-capite è pari a circa 80 euro all’anno (valore in linea ra idrica. La programmazione del servizio e degli interventi è con quello degli altri paesi avanzati): si tratta di un dato più affidata ad uno strumento di pianificazione unitario (il piano che doppio rispetto a quello mediamente previsto dai piani | | 11 speciale Lo scenario è quindi critico: aumentare sensibilmente le tariffe (fino a raggiungere i livelli degli altri paesi europei) per garantire l’effettiva finanziabilità delle opere (salvo il ricorso a ulteriori prelievi fiscali, quali le tasse di scopo), o mantenere lo status quo, con disservizi e inadeguatezze? d’ambito, che sono già in grande difficoltà nel finanziare gli investimenti con incrementi tariffari (socialmente) accettabili. Lo scenario che ci si pone dinanzi è quindi critico: aumentare sensibilmente le tariffe (fino a raggiungere i livelli degli altri paesi europei) per garantire l’effettiva finanziabilità delle opere (salvo il ricorso ad ulteriori prelievi fiscali, quali le tasse di scopo), oppure mantenere lo status quo, con disservizi e inadeguatezze sempre più croniche (soprattutto nel settore della depurazione). Il compito della politica In questo complicato scenario, la politica è chiamata ad un compito arduo, anzitutto sotto il profilo dell’individuazione di regole certe e stabili. Come ben sappiamo, purtroppo, il quadro normativo in materia di servizio idrico integrato è il risultato della successione e stratificazione di molteplici interventi normativi e di una lunga serie di modifiche legislative e regolamentari. Dopo la legge Galli, vi è stato un unico (e valido) tentativo, volto a dare unità e coordinamento alle norme in materia ambientale, con l’adozione del decreto legislativo 152/2006 (il cosiddetto Testo Unico Ambiente); dopo di esso, il legislatore è tornato, in più occasioni, ad operare interventi frammentati e poco organici, seppur talvolta ispirati a condivisibili istanze di rinnovamento. In questa prospettiva, certamente positiva è la scelta di trasferire all’Autorità per l’energia (oggi Autorità per l’Energia elettrica, il gas e il sistema idrico) le competenze in mate12 | | ria di tariffe del servizio idrico integrato, soprattutto alla luce dell’esperienza maturata nel settore energetico. Più di recente, tuttavia, il legislatore nazionale sembra nuovamente (e improvvidamente) ricaduto nei difetti di un tempo, principalmente imputabili alla scarsa chiarezza degli obiettivi, da cui derivano tentennamenti nelle scelte e instabilità delle regole. Così, dapprima il Parlamento è intervenuto, in sede di conversione del decreto legge Sblocca Italia, al fine di adottare nuove (ed interessanti) misure urgenti a tutela del servizio idrico integrato: da un lato, ripristinando il requisito dell’unicità della gestione per ciascun ambito territoriale ottimale (in luogo di quello, assai meno stringente, dell’unitarietà) e, dall’altro, limitando il ricorso all’in house providing alle sole società partecipate direttamente ed esclusivamente da enti locali ricadenti nell’ambito. Soprattutto quest’ultimo intervento si distingue per la sua valenza politica, in quanto introduce un limite (al ricorso all’in house providing) secondo una logica pro-concorrenziale che è stata pienamente legittimata anche dalla Corte costituzionale, considerato che «al legislatore italiano non è vietato adottare una disciplina che preveda regole concorrenziali (…) di applicazione più ampia rispetto a quella richiesta dal diritto comunitario». Tuttavia, a distanza di pochissimi giorni dall’approvazione delle legge di conversione del decreto, lo stesso parlamento (che aveva testè introdotto i citati limiti) interviene nuovamente sul medesimo argomento (e lo fa, ironia della sorte!,) con la legge di Stabilità, che (nel testo licenziato dalla Camera dei Deputati in sede di prima lettura) elimina il vincolo della partecipazione diretta ed esclusiva degli enti locali, di fatto disconoscendo quanto stabilito dalla medesima Assemblea legislativa solo pochi giorni prima. La schizofrenia, in ambito normativo, è un lusso che davvero non possiamo permetterci e sarebbe auspicabile una maggior consapevolezza, da parte del legislatore, circa le conseguenze delle proprie scelte. In un periodo tanto delicato per la ripresa del nostro sistema paese, al di là dei problemi particolari del settore idrico, una cornice giuridica stabile è uno dei principali fattori di competitività, che può dare certezze agli operatori ed incoraggiare gli investimenti. Luca Guffanti avvocato speciale F ortunatamente, da qualche tempo, pola lezione (incompresa) del santo di assisi nendo il tema del rapporto dell’uomo, dell’umanità, con l’ambiente naturale si “ri”comincia a parlarne nei termini di custodia del Creato, superando, se non totalmente almeno in gran parte, l’ecologismo ideologico emotivo dominante negli ultimi trent’anni. Il tema del positivo rapporto fra l’uomo/umanità e l’ambiente naturale è posto nei termini di custodia e rispetto in tutte le grandi religioni storiche e, per i cristiani, ha fondamenta su tutto l’insegnamento biblico, evangelico, della Chiesa, dagli antichi padri sino ad oggi, come ha mirabilmente dimostrato Paolo Portoghesi nel suo ultimo libro. San Giovanni Paolo II; Benedetto XVI e Francesco, hanno dedicato speciale attenl’uomo sia al centro della creazione, al posto dove Dio – il crezione al tema. Per noi delle fondazione Soatore – lo ha voluto». rella Natura e per tanti altri, il tema della custodia del Creato trova particolare fondaIl rischio di una interpretazione panteistica mento in tutto il messaggio di San Francesco d’Assisi, sintetizzato nel Cantico delle CreaIl cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin nell’intervento, il ture. La moderna traduzione di tutto quan23 Ottobre al convegno dedicato al Codice 338, che ha aperto la to sopra sta nell’espressione “economia solicampagna “Amor Creationis” della nostra fondazione ha detto: dale e sviluppo sostenibile”, che coniuga le «San Francesco d’Assisi, predicava agli uccelli (…) ecco san Frantematiche dell’ecologia umana e dell’ecolocesco d’Assisi che, col Cantico delle creature, apre nella storia gia ambientale-naturalistica. Tutto questo si dell’umanità una sensibilità di lode verso tutta la creazione che colloca in una solida concezione antropoloè fondamento della cultura cristiana e dell’azione della Chiegica, propria dell’insegnamento biblico ed sa oggi in particolare. (…) Tornando a san Francesco d’Assisi e al evangelico e, quindi senCantico delle creature dobza ombra alcuna di dubbiamo ricordare che questo «il Cantico delle creature conferma la canto di lode al Creatore bio, nell’insegnamento di visione teocentrica e antropocentrica conferma la visione teocensan Francesco. Il santo serafico purdi san Francesco d’Assisi, che non può, trica e antropocentrica di troppo è stato ed è strusan Francesco d’Assisi, che non deve esser presentato, come mentalizzato come un non può, non deve esser eco-pacifista biocentrista. presentato, come strumenstrumentalmente alcuni fanno, come Questo è sbagliato, falso; talmente alcuni fanno, cofautore di una cultura biocentrica» spesso in malafede. Non me fautore di una cultura lo diciamo noi ma papa biocentrica, che spesso sciBenedetto XVI nella catechesi ai 9 mila scolari custodi del crea- vola nel relativismo e nel panteismo. Francesco libera le tortoto di Sorella Natura all’udienza del 27 novembre 2012, e papa re, converte il lupo, predica agli uccelli, ama le creature tutte Francesco nel discorso del 19 Marzo 2013: «custodiamo Cristo ma non le confonde con l’uomo. Francesco è vessillifero della nella nostra vita per custodire gli altri, per custodire il creato. pace, di quella del Cristo. Vi do la mia pace… il 29 Novembre, La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi all’inizio del suo pontificato san Giovanni Paolo II, con il breve cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemen- Inter Omnes, proclamava san Francesco d’Assisi celeste patrote umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bel- no dei cultori dell’ecologia. E il 29 novembre Sorella Natura rilezza del creato… come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è corda ogni anno, specialmente ai giovani e alle scuole, Giovanni l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui Paolo Il. Il Papa santo poneva così un punto fermo nella queviviamo». Ancora papa Francesco nell’omelia alla Messa del 4 stione ambientale, indicando come per i cristiani vi fossero fonOttobre 2013 in Assisi: «San Francesco viene associato da molti damenta ben più solide dell’ideologia, dell’emotività, del cataalla pace ed è giusto… la pace francescana non è un sentimento strofismo, del malthusianesimo e nell’ecologismo che, talvolta, sdolcinato. Per favore questo San Francesco non esiste! E nep- sfocia nella violenza contestataria. Il tema ambientale, declinapure è una specie di armonia panteistica con le energie del co- to nella prospettiva dello sviluppo sostenibile e dell’economia smo… anche questo non è francescano! Anche questo non è solidale, era ed è nelle cure della Chiesa». Altri insegnamenti francescano ma è un’idea che alcuni hanno costruito. Il san- verranno dall’enciclica sulla custodia del creato che papa Franto di Assisi testimonia il rispetto per tutto ciò che Dio ha crea- cesco sta personalmente scrivendo. to, senza sperimentare sul creato per distruggerlo e soprattutRoberto Leoni to testimonia che l’uomo è chiamato a custodire l’uomo, che presidente della fondazione Sorella Natura così SAN FRANCESCO CI INSEGNA A ESSERE CUSTODI DEL CREATO | | 13 speciale LA DIPENDENZA DALL’ESTERO PRESENTA IL CONTO IDROCARBURI, RINNOVABILI, GAS, ELETTRICITà. il destino dell’italia è sempre più legato alle importazioni. LUCI E OMBRE DI UN SISTEMA CHE FATICA A TRASFORMARE LE RISORSE DISPONIBILI IN DRIVER DI SVILUPPO L a domanda energetica accompagna da sempre l’evoluzione economica di un paese, creando un intreccio indissolubile per il suo sviluppo. Il progresso economico, infatti, non può prescindere dalla disponibilità di energia, e quest’ultima dall’andamento economico del paese. In Italia, dal post-dopoguerra, la domanda energetica è cresciuta anno per anno, spinta dalla necessità di ricostruire il paese, poi trainata dal boom economico che si è registrato. Da allora anche l’evoluzione della domanda elettrica non ha fatto registrare nessuna contrazione, almeno fino alla crisi economica innescatasi nel 2008 e che ha colpito l’intera economia mondiale. Limitando l’analisi all’evoluzione del nostro sistema energetico nell’ultimo ventennio, dal 1990 ad oggi, il fabbisogno energetico italiano è cresciuto nel tempo passando da circa 163,4 Mtep del 1990 ai quasi 171 Mtep del 2013. Il nostro paese è stato interessato da un incremento costante della domanda 14 | | energetica che ha subito un rallentamento a seguito della crisi economica che ha colpito le economie mondiali tra il 2008 e il 2010, ma i cui effetti continuano a farsi sentire ancor oggi. La copertura è stata prevalentemente garantita dai prodotti petroliferi, anche se il loro contributo è progressivamente calato, passando dal 56,6 per cento del 1990 al 52 per cento del 2000, per attestarsi a quasi 33 per cento nel 2013. A questa progressiva contrazione è corrisposto un incremento inesorabile della partecipazione alla copertura del fabbisogno del gas naturale. La domanda di gas naturale è, infatti, cresciuta notevolmente passando da circa 39 Mtep del 1990 (pari a circa 47 Gmc) a 57,3 Mtep del 2013 (pari a circa 69,6 Gmc), contribuendo così alla copertura del 33 per cento della domanda energetica nazionale ed approssimandosi così a superare ben presto il contributo dei prodotti petroliferi. Anche il contributo dei combustibili solidi è cresciuto nel tempo passando da 7,7 Mtep del 1990 a 9,27 Mtep del 2013, con una crescita media annua dello 0,85 per cento, ma sono le fonti rinnovabili a registrare la crescita maggiore passando da 9,18 Mtep del 1990 a 30,8 Mtep del 2013, registrando così un tasso di crescita medio annuo di circa 5,4 per cento. Al crescere del fabbisogno energetico nazionale, è cresciuta anche la dipendenza del nostro paese dall’importazione che oggi viaggia sul 75 per cento, un valore decisamente superiore alla media europea che, invece, è stata pari al 55 per cento, nel 2012. La forte dipendenza dall’importazione di combustibili fossili del nostro paese è stata riconosciuta come un elemento prioritario su cui agire dal governo, che l’ha inserito come punto prioritario della Strategia Energetica Nazionale (SEN), approvata lo scorso anno. In particolare, nella SEN si riconosce come l’Italia, pur essendo altamente dipendente dall’importazione di combustibili fossili, disponga, allo stes- so tempo, di ingenti riserve di gas e petrolio. Secondo quanto riporta la SEN, «l’Italia ha importanti risorse nazionali di idrocarburi potenzialmente sfruttabili, soprattutto al Sud, e si colloca tra i primi paesi dell’Europa continentale per riserve disponibili. Le risorse potenziali totali ammontano a 700 Mtep di idrocarburi (peraltro, dato che negli ultimi 10 anni re lo sfruttamento delle risorse nazionali, a settembre 2013 il ministero dello Sviluppo Economico ha pubblicato un nuovo decreto col quale si procede al riordino delle zone marine aperte alla ricerca e valorizzazione di idrocarburi. Tuttavia, avviare attività di produzione energetica e non solo nel nostro paese non è semplice a causa della crescente dif- cresce il fabbisogno energetico e la dipendenza del paese dall’importazione che oggi viaggia sul 75 per cento, contro una media europea del 55 per cento l’attività esplorativa si è ridotta al minimo, è probabile che tali dati di riserve siano definiti largamente per difetto). Ciò equivale, tenendo conto dell’attuale quota di produzione annua di 12 Mtep, ad un periodo di copertura di oltre 50 anni e di oltre 5 anni se confrontati con l’attuale consumo totale annuo di circa 135 Mtep di gas e petrolio». Proprio per stimola- ficoltà legata agli iter autorizzativi non sempre chiari e agli stop determinati da veti locali (che possono intervenire non solo prima dell’approvazione all’insediamento, ma anche in molti casi anche dopo l’approvazione stessa). Il fenomeno del nimby (not in my back yard, “non nel mio cortile”), infatti, ha trovato nel nostro paese un terreno particolarmente fertile tanto che, secondo i dati della 9° edizione dell’Osservatorio Aris, la contestazione ed il blocco della realizzazione di nuove infrastrutture energetiche sono in continua crescita, nonostante la crisi economica e l’aumento della disoccupazione, tanto che il numero degli impianti contestati è passato dai 190 del 2005 ai 336 del 2013. Nel 2013, la produzione nazionale di idrocarburi si è attestata complessivamente intorno agli 11,8 Mtep, comprendendo sia la produzione nazionale di gas naturale che di petrolio, entrambi in declino. Nello specifico, la produzione di gas naturale è passata da 17,3 miliardi di mc del 1990 a 7,6 miliardi di mc del 2013. L’andamento decrescente della produzione nazionale assume una particolare importanza se si considera che fino alla seconda metà degli anni Novanta la produzione nazionale si attestava intorno ai 20 miliardi di mc annui. Ciò significa che dal 1994, anno in cui fu raggiunta | | 15 speciale l’italia è stata interessata da un incremento costante della domanda energetica che ha subito un rallentamento a seguito della crisi economica che ha colpito le economie mondiali tra il 2008 e il 2010, ma i cui effetti continuano a farsi sentire la punta massima di produzione pari a 20,6 miliardi di mc, ad oggi la contrazione della produzione nazionale è avvenuta ad un tasso medio annuo di poco superiore al 5 per cento, pari ad una riduzione complessiva di 13 miliardi di mc. Il declino a cui è sottoposta la produzione nazionale dipende dalla maturità ormai raggiunta dagli antichi campi, non rimpiazzati dalla messa in produzione di nuove risorse, a cui si è aggiunto l’inizio del declino dei giacimenti offshore. La produzione di petrolio ha, invece, registrato una situazione differente. La produzione nazionale è cresciuta passando da 4,6 milioni di tep del 1990 a 5,5 milioni di tep del 2013, con un andamento non proprio lineare. Infatti, ad un primo picco della produzione nazionale del ventennio registrato nel 1997 con 5,9 milioni di tep è seguito un altro registrato nel 2005 di circa 6,1 milioni di tep, per poi tornare nuovamente a decrescere secondo un tasso medio annuo dell’1,3 per cento, a causa della maturità ormai raggiunta dai campi nazionali non sostituiti da nuove risorse. Nonostante le potenzialità rilevate di nuove riserve sia per il petrolio che per il gas, le opposizioni locali e le difficoltà amministrative ed istituzionali legate alla sovrapposizione delle competenze ostacolano oltremodo la ricerca, esplorazione e sfruttamento di tali risorse. Tuttavia, se per la produzione di gas naturale l’apporto principale è fornito dai giacimenti in mare, che costituiscono il 72 per cento della produzione complessiva, per la produzione di petrolio si assiste ad un andamento divergente in cui l’apporto maggiore alla produzione è dato dai giacimenti di terra ferma, che negli ultimi anni forniscono l’85 per cento della produzione nazionale. L’intensità energetica e l’intensità elettrica fanno registrare un trend decrescente, più marcato e costante per l’intensità energetica, più accentuato per quella elet16 | | trica. Nel 2013, l’intensità energetica del sistema, pari al rapporto Cil/Pil, si è attestata sui 105,6 Mtep con una contrazione dell’2,7 per cento media annua rispetto al 2000. In verità, il tasso di contrazione è stato più elevato negli ultimi anni, tanto che l’intensità energetica è passata dai 116,9 Mtep del 2010 ai 105,6 del 2013, registrando così un crollo del 9,7 per cento, dovuto ad una contrazione dei consumi energetici superiore alla contrazione registrata dalla variabile economica. L’intensità elettrica, pari al rapporto tra totale consumi elettrici e Pil, ha anch’essa registrato una contrazione del 2,3 per cento media annua per il periodo 1990-2013, raggiungendo la soglia di circa 196,7 kWh/k, dovuta ad una crescita dei consumi elettrici (+83 TWh avvenuta nell’arco temporale considerato) pari al 35,4 per cento: valore inferiore rispetto alla crescita registrata della variabile economica, che complessivamente ha registrato un +130 per cento. La mappa dei consumi Sul fronte degli impieghi finali, la crescita più elevata è stata registrata dal settore civile, che negli ultimi trent’anni ha registrato un incremento medio annuo dell’1,19 per cento, seguito dal termoelettrico (+0,84 per cento media annua) e trasporti (0,56 per cento media annua). In valore assoluto, il settore a più elevato consumo energetico è quello termoelettrico che da solo, nel 2013, assorbe il 53 per cento dei consumi energetici complessivi. Nel settore “Elettrico”, nel corso degli ultimi trent’anni, il peso dei prodotti petroliferi è progressivamente diminuito, spiazzato dall’ingresso delle tecnologie a gas naturale, più efficienti e a minor impatto ambientale, raggiungendo così, nel 2013, un peso del 27 per cento. A partire dal 2011, il contributo delle fonti rinnovabili, comprensivo dell’idroelettrico, alla generazione elettrica ha superato quella di qualsiasi altra fonte: nel 2013, infatti, il suo contributo si attesta percentualmente intorno al 37 per cento. Forte in Italia rimane il contributo dell’importazione di energia elettrica dall’estero, che nel 2013 risulta essere di 9,3 Mtep pari cioè a circa 42 TWh, uno dei valori più elevati se raffrontato con gli altri paesi Ue. I consumi energetici del settore “Trasporti”, che nel 2013 ha assorbito una quota pari al 20 per cento dei consumi energetici complessivi nazionali, è dipendente completamente dai prodotti petroliferi che coprono così oltre il 90 per cento dei consumi di questo settore. Recentemente, nuove fonti e carburanti stanno incrementando il loro contributo, come metano e gpl, spinti soprattutto dai regolamenti europei sui nuovi carburanti alternativi, volti a ridurre l’impatto sull’ambiente di questo settore. Un particolare interesse, in questo senso, sta riscuotendo il gnl (gas naturale liquido), per i suoi indubbi benefici sia in termini di ridotte emissioni che di maggior efficienza. Non è un caso, dunque, che il nostro governo si sia impegnato, in sede parlamentare, ad adottare iniziative per la realizzazione di centri di stoccaggio e ridistribuzione nonché norme per la realizzazione dei distributori di gnl in tutto il territorio nazionale, anche al fine di ridurre l’impatto ambientale dei motori diesel nel trasporto via mare e su strada, nonché di ridurre i costi di gestione ormai divenuti insostenibili per tutti gli utilizzatori di motori diesel e per sviluppare l’uso del gnl. I consumi energetici del settore “Civile”, costituito dal settore residenziale (o domestico) e dal settore terziario, che nel 2013 ha rappresentato il 24,6 per cento dei consumi energetici finali nazionali, sono soddisfatti prevalentemente dal gas naturale che, a partire dagli anni Novanta, ha sorpassato i consumi di prodotti petroliferi costituendo ora circa il 60 per cento dei consumi del settore civile, segui- Mte Italia: domanda di energia in fonte primaria (Mtep/anno) Mtep 300 250 200 150 100 50 0 3 201 2 201 1 201 Gas naturale 0 201 9 200 8 200 Prodotti petroliferi 7 200 6 200 5 200 4 200 3 200 Rinnovabili 2 200 1 200 0 200 9 199 Energia elettrica 8 199 7 199 6 199 5 199 4 199 3 199 2 199 1 199 0 199 Import di Elettricità Comb. Solidi Nota: dati 2013 provvisori; la voce “energia elettrica” comprende anche le importazioni nette di elettricità. Fonte: Elaborazione su dati BEN to dall’energia elettrica, che copre il 32 per cento. Il contributo delle fonti rinnovabili è in crescita passando da meno di 1 Mtep del 1990 a poco meno di 5 Mtep del 2013, per un incremento medio annuo del 9,2 per cento. I consumi energetici del settore “Agricoltura & pesca” sono diminuiti leggermente passando da 3,1 Mtep del 1990 a 2,7 Mtep del 2013, prevalentemente legati al consumo di prodotti petroliferi pari a 2,1 Mtep nel 2013, a cui si affianca l’impiego di energia elettrica pari a 0,5 Mtep. In leggera caduta l’impiego negli ultimi anni di gas naturale (pari a 0,12 Mtep). Infine, i consumi per bunkeraggi e per usi non energetici risultano in contrazione, in particolare per quanto riguarda i consumi di gas naturale e dei combustibili solidi. In particolare nel 2013 il consumo di combustibili solidi è stato inferiore a 0,1 Mtep ed il consumo di gas naturale si è attestato intorno a 0,5 Mtep. Più elevato, ma anch’esso in con- trazione, risulta essere il consumo di prodotti petroliferi, che si è attestato sui 7,43 Mtep, prevalentemente legato ai bunkeraggi (68 per cento). Ma il futuro è incerto Le prospettive del sistema energetico italiano a breve termine non sembrano rosee. Le incertezze legate all’attuale congiuntura economica non solo italiana ma anche europea determinano una contrazione della domanda energetica in quasi tutti i settori, con conseguente rinvio degli investimenti da parte degli operatori nazionali ed esteri. Le incertezze e le lungaggini normative, assieme ai crescenti comitati di opposizioni locali scoraggiano, infatti, qualunque investimento, rendendo ancor meno attraente il nostro paese ad investitori esteri. Appare, quindi, più semplice affidarsi alle importazioni delle varie commodities energetiche in un atteggiamento wait-and-see che effettuare investimenti ad hoc per i quali è ora difficile valutare i ritorni. In assenza di nuovi investimenti, in presenza di una produzione pressoché costante o in leggera contrazione e di una tassazione elevata che penalizza fortemente il settore energetico, la nostra fattura energetica già fortemente onerosa non potrà che peggiorare. Nel 2013, secondo le stime Up, la nostra fattura energetica è stata pari a 56,1 miliardi di euro, un valore apparentemente positivo se consideriamo che nel 2012 è stata di 64,877 miliardi di euro. Tuttavia, tale riduzione è legata alla contrazione dei consumi energetici che solo per una quota minima è legata al miglioramento della performance energetica del paese, ma prevalentemente alla contrazione delle attività economiche che sono alla base del benessere di una nazione. Le previsioni a lungo termine in questo clima così incerto risultano ancor più meri esercizi accademici. Edgardo Curcio presidente onorario Aiee | | 17 SPECIALE LA RIVOLUZIONE ENERGETICA È GIA INIZIATA lE fonti NON SONO PROSSIME ALL’ESAuRIMENTO E gli stati uniti vivono un iNCREDIBILE sviluppo petrolifero. ecco perché il tema della flessibilità degli approvvigionamenti è diventato cruciale I energetico è sempre stato sempre molto sentito nel nostro paese, poiché la forte dipendenza dall’estero in materia di fonti di energia ha costantemente evocato la prospettiva di un paese bloccato dalla mancanza di rifornimenti e ha spinto verso ipotesi di aumento della produzione interna anche a prescindere dai costi delle soluzioni suggerite. Un esame pacato del problema evidenzia come nell’arco di tempo non breve che va dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi i pericoli di sospensione delle forniture energetiche siano stati molto limitati anche nei momenti più acuti delle crisi petrolifere degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta, quando il peso del petrolio aveva raggiunto valori percentuali molto elevati sul totale del fabbisogno energetico mondiale e, in particolare, su quello italiano. È invece vero che la forte dipendenza dall’estero e specialmente dal petrolio ha significato nei momenti di crisi un forte aumento del costo dell’energia per gli utenti civili e industriali; gli stessi hanno, però, beneficiato delle riduzioni del costo dell’energia importata non appena i prezzi internazionali sono crollati e sono stati meno influenzati da fattori politici o da crisi internazionali. Queste ultime, comunque, non hanno mai comportato riduzioni dei flussi energetici se non per periodi estremamente limitati e senza conseguenze per i consumatori. Si può quindi affermare che il problema della dipendenza è soprattutto riconducibi- 18 | l tema dell’approvvigionamento | le alla necessità di una corretta gestione attraverso strumenti capaci da un lato di far fronte ai momenti di crisi e dall’altro di assicurare un elevato grado di diversificazione delle fonti di energia e dei paesi di provenienza, nel quadro di adeguati accordi internazionali e di una politica di cooperazione con i paesi produttori. Nell’ultimo decennio i termini del problema hanno subìto profonde trasformazioni anche per effetto di notevoli cambiamenti circa la disponibilità di importazioni di greggio sino a determinare un surplus a livello mondiale. Nello stesso tempo il crescente interesse ai temi dell’ambiente ha portato ad un aumento di attenzione per le fonti rinnovabili, interessate anch’esse da un processo di riduzione dei costi di produzione che è ancora in corso. Il fenomeno dell’allargamento delle risorse energetiche disponibili nel mondo è coinciso con un processo di intensa trasformazione del sistema energeti- quest’anno, pur CON forti tensioni geopolitiche in Medio Oriente e nell’est Europa, i prezzi del petrolio sono scesi ai livelli di quattro anni fa risorse energetiche a livello mondiale, erroneamente considerate, sino a pochi anni fa, prossime all’esaurimento. Questo diffuso convincimento, che aveva reso ancor più drammatico il problema della dipendenza dall’estero di paesi dotati di limitate risorse, come l’Italia, è stato progressivamente smantellato dagli sviluppi delle tecnologie di esplorazione e di estrazione di idrocarburi che hanno aumentato la base di risorse disponibili e la loro diversificazione di provenienza geografica. Nell’anno in corso, pur alla presenza di fortissime tensioni geopolitiche in Medio Oriente e nell’Europa dell’Est, i prezzi del petrolio sono scesi ai livelli di quattro anni fa grazie all’eccezionale e inatteso sviluppo della produzione degli Stati Uniti. Questi ultimi hanno, infatti, drasticamente ridotto le loro co italiano; ed è proprio in questo scenario in continuo cambiamento che vanno valutati i problemi dell’approvvigionamento energetico italiano e della sua sicurezza. Circa dieci anni fa i consumi energetici italiani si muovevano ancora su un trend di crescita che raggiunse il suo massimo nel 2005 con quasi 198 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (tep). In quell’anno il mix energetico del paese era già considerevolmente mutato rispetto ai tempi delle crisi energetiche: la quota del petrolio era scesa al 41 per cento del totale del fabbisogno, mentre quella del gas era salita al 36 per cento. Le fonti rinnovabili all’epoca, prevalentemente tradizionali, ovvero l’energia idroelettrica, erano pari al 7 per cento. Il grado di dipendenza dall’estero era pari all’85 per cento, una condizione peraltro condivisa con altri paesi dell’Unione europea, ma con un sistema infrastrutturale in grado di far fronte a situazioni di emergenza grazie ad un elevato grado di flessibilità. Nel caso del petrolio il grado di sicurezza del sistema era assicurato da un’ampia diversificazione delle provenienze e dalla flessibilità del sistema di raffinazione e dagli stoccaggi, entrambi costruiti per far fronte a una domanda di gran lunga superiore. Nel caso delle importazioni di gas il sistema aveva già raggiunto un elevato grado di sviluppo con un sistema di infrastrutture che collegavano l’Italia al Nord Europa, alla Russia ed all’Africa settentrionale in un’ottica di diversificazione delle provenienze. A completare il quadro della sicurezza dell’approvvigionamento gas, il sistema era dotato di un sistema di stoccaggi, in grado di far fronte sia alla stagionalità della domanda sia all’interruzione prolungata delle vendite di uno dei maggiori fornitori (ad esempio Russia o Algeria) sia a riduzioni di flusso da parte di più di un paese. A partire da quell’anno la domanda di energia in Italia comincia a muoversi su un sentiero inedito: quello del declino, in presenza di un ulteriore cambiamento del ruolo delle fonti primarie a favore delle rinnovabili e, quindi, anche a favore di una riduzione della dipendenza dalle fonti di importazione. La crisi e il calo dei consumi Le cause di questo processo sono molteplici: la prima è purtroppo legata all’inizio di una lunga fase di declino dell’economia italiana che non è ancora terminata e che ha visto una progressiva riduzione del ruolo dell’industria nella formazione del valore aggiunto; il secondo fattore, di segno positivo, è costituito da un aumento di efficienza nell’utilizzo dell’energia (consumo di energia per unità di prodotto interno lordo), che ha ancora molti spazi da sfruttare; il terzo elemento, anche questo di segno positivo, anche se con alcuni rilievi, è rappresentato dallo sviluppo accelerato delle fonti rinnovabili di energia a carattere innovativo (energia eolica e fotovoltaica) in un’ottica di riduzione delle emissioni di Co2. L’impatto di questi fattori sulla domanda energetica e sul mix delle fonti è stato davvero rilevante. Come conseguenza di tutto questo processo la domanda italiana di energia alla fine del 2014 si attesterà a circa 165 milioni di tep con una riduzione di ben 33 milioni di tep rispetto al massimo del 2005. Alla riduzione della domanda complessiva si è anche accompagnata un’ulteriore modifica del ruolo delle fonti primarie con riflessi, in questo caso positivi, sul ruolo della produzione nazionale, in aumento anche se in misura inferiore al potenziale, e sull’approvvigionamento dall’esterno (in riduzione). Alla fine del 2014 la quota del petrolio sarà ancora in diminuzione, sino al 35 per cento del totale, e anche quella del gas si ridurrà al 32 per cento, mentre le | | 19 speciale l’allargamento delle risorse disponibili nel mondo è coinciso con un processo di trasformazione del sistema energetico italiano fonti rinnovabili si porteranno in prossimità del 20 per cento grazie alla forte crescita di quelle innovative (fotovoltaico ed eolico in particolare). L’aumento delle fonti rinnovabili porterà anche a un nuovo calo delle importazioni nette di energia che si attesteranno sui 120 milioni di tep contro i circa 170 del 2005. Dal punto di vista del sistema infrastrutturale questo il calo di importazioni più che problemi di adeguatezza sta ponendo dei problemi di sovracapacità, essendo stato realizzato con prospettive di rialzo e non di ribasso della domanda. Questa situazione di sovracapacità ha comunque costituito una garanzia in più di fronte alle aumentate tensioni internazionali sia in Medio Oriente sia nell’Europa dell’Est, che hanno determinato temporanee riduzioni dei flussi di petrolio e gas dalla Libia. Nel corso dell’anno le tensioni tra Russia e Ucraina hanno fatto temere per gli approvvigionamenti di gas dalla Russia, ma questa minaccia non si è concretizzata. Il sistema sarebbe stato comunque in grado di fronteggiare questa emergenza senza problemi; d’altra parte il mercato internazionale è caratterizzato da un ampio surplus di petrolio e di gas determinato dall’inatteso aumento della produzione degli Stati Uniti che ha cambiato lo scenario mondiale. Nel caso del gas naturale nell’ultimo decennio la flessibilità e, quindi, la sicurezza del sistema di approvvigionamento italiano si è arricchita con la realizzazione di due nuovi impianti (Rovigo e Livorno) per la ricezione di gas naturale liquefatto (Gnl), che può garantire una ancora maggiore diversificazione delle provenienze in momenti di forti tensioni internazionali. Il problema dell’adeguatezza del sistema di approvvigionamento, in una prospettiva di medio termine, va valutato nel quadro delle possibili linee evolutive della domanda di ener20 | | gia e della sua qualità. A questo riguardo attraverso un modello di simulazione sviluppato dall’Associazione Italiana degli Economisti dell’Energia (Aiee) si è valutata la domanda di energia in Italia al 2020 a partire da una ipotesi di superamento dell’attuale crisi economica. I risultati di questo lavoro evidenziano, per il 2020, un fabbisogno di energia ben lontano dal massimo del 2005 e di poco superiore ai livelli del 2014, a causa dell’effetto combinato di nuovi cambiamenti strutturali nel settore industriale e dell’ulteriore calo dell’intensità energetica in tutti i settori di utilizzo, anche in assenza di ulteriori iniziative per il risparmio energetico. Un approvvigionamento flessibile In questa nuova prospettiva e nel quadro di ulteriori cambiamenti nel mix delle fonti utilizzate, i problemi della sicurezza dell’approvvigionamento acquisteranno una nuova dimensione, dove l’aspetto della flessibilità ricoprirà sempre maggior spazio rispetto all’aspetto quantità. Le fonti rinnovabili dopo il balzo in avanti degli ultimi anni dovrebbero, infatti, guadagnare ulteriore spazio a scapito di petrolio e gas naturale, in linea con gli obiettivi dell’Unione europea. Nel caso del petrolio, un’ulteriore compressione della domanda porrebbe addirittura il problema di una drastica riduzione della capacità di raffinazione già esposta ad una forte concorrenza internazionale. Al pericolo di mancanza di materia prima, che appare ridimensionato rispetto al passato, si sostituirebbe quello di un’insufficiente capacità di raffinazione che può avere un ruolo strategico in caso di crisi. Nel caso del gas, una stabilizzazione della domanda intorno agli attuali livelli o un lieve aumento non pone particolari problemi di copertura con le infrastrutture già esistenti; anche in questo caso si pone però un problema che è quello del rischio del loro sotto utilizzo. Questa inattesa difficoltà, però, potrebbe essere risolta con la trasformazione del paese in un centro di smistamento del gas verso altri paesi ovvero nello sviluppo di tecnologie innovative, come quella dell’uso diretto del gas naturale liquefatto a partire dal settore trasporti con notevoli vantaggi sul piano ambientale. In un sistema energetico che sarà molto diverso dal passato il problema della sicurezza non può essere visto solo nella dimensione della gestione della dipendenza dall’esterno, la quale a sua volta andrà gestita in un’ottica europea, ma dovrà riguardare anche la capacità di far fronte alla variabilità e alla diffusione sul territorio degli apporti delle fonti rinnovabili. Una volta la variabilità di queste fonti riguardava prevalentemente gli apporti idroelettrici, condizionati dalla stagionalità e dal clima; oggi i nuovi sistemi energetici, sempre più a carattere decentrato, dovranno essere in grado di fronteggiare la variabilità dell’apporto crescente di fonti come l’eolico e il fotovoltaico, più regolare ma limitato alle ore diurne. Le soluzioni sono tecnologicamente disponibili, ma gli investimenti da realizzare sono molti e onerosi sino a richiedere soluzioni sul piano istituzionale per comporre interessi non sempre convergenti. Si tratta di una sfida ma anche di una grande opportunità di sviluppo, tecnologico e industriale dopo un lungo periodo di crisi. In conclusione, il problema della sicurezza energetica nel prossimo futuro richiederà approcci innovativi in un quadro necessariamente europeo e internazionale. La base di partenza di questo percorso è peraltro migliore di quella del passato, quando i fattori di rischio erano ben maggiori e le capacità di risposta più limitate. Vittorio D’Ermo direttore Osservatorio energia Aiee SPECIALE COSA SPEGNE IL MERCATO ELETTRICO Un settore complesso, segnato da innovazioni e da un processo di liberalizzazione che lo ha arricchito di offerte e operatori. Ma la strada verso un modello realmente aperto e competitivo è ancora lunga N oi accendiamo la luce. Azioniamo il condizionatore d’estate. Utilizziamo gli elettrodomestici, la Tv, il computer, navighiamo in rete. Per farlo, di solito basta premere un pulsante. In tutti questi casi utilizziamo energia elettrica, messa a disposizione da qualcuno, che ha il compito di garantirne la disponibilità quando lo desideriamo. Questo “lui” astratto è il produttore di elettricità, con il supporto di complesse infrastrutture tanto capillari da arrivare fino al nostro domicilio. L’energia elettrica tende gradualmente a sostituire altre forme di energia perché è più comoda da usare, ma soprattutto perché si moltiplicano gli apparecchi che, per funzionare, hanno bisogno di elettricità: frigorifero, lavatrice, lavastoviglie, radio, televisione, telefono, computer, stampante, solo per citare alcuni oggetti a noi familiari. Spesso insostituibile, l’elettricità è stata finora difficilmente immagazzinabile, se non in piccole quantità nelle batterie che alimentano tanti apparecchi di uso quotidiano o alcune funzioni all’interno degli autoveicoli (accensione, spie luminose). Non è un inconveniente da poco, che si spera di rimuovere nel prossimo futuro, grazie al recente sviluppo di tecnologie che consentiranno di immagazzinare a costi accettabili energia elettrica su scala molto maggiore. La situazione è ulteriormente complicata dalla presenza di consumatori con fabbisogni di energia molto eterogenei. Ci sono impianti, come quelli elettro-side- 22 | | rurgici, che funzionano 24 ore su 24 e hanno ininterrottamente bisogno di elevati quantitativi di energia, mentre nelle nostre case accendiamo la luce solo quando fa buio, la Tv prevalentemente di sera e variamo bruscamente la nostra richiesta di elettricità ogni volta che mettiamo in funzione la lavatrice. L’illuminazione pubblica consuma elettricità di notte, molti esercizi commerciali soltanto di giorno. Nei fine settimana, con la chiusura di uffici e impianti, la domanda precipita. La domanda di energia elettrica cam- oltre al prezzo liberamente contrattato sul mercato o spuntato dall’Au, paghiamo i servizi di rete, gli oneri generali di sistema, le imposte bia quindi non solo durante l’arco delle 24 ore, ma anche nel corso della settimana (in particolare nei fine settimana è significativamente inferiore a quella dei giorni lavorativi) e al variare delle stagioni. Per di più, in assenza di adeguate forme di immagazzinamento, l’energia elettrica va prodotta nel momento stesso in cui viene richiesta. Inoltre, si deve avere a disposizione altra potenza elettrica, pronta a sostituire la produzione di impianti che improvvisamente si fermano per guasti o altre cause (ad esempio bacini idroelettrici solo parzialmente ricolmi a seguito di scarse precipitazioni o variazioni della produzione eolica e solare). Orientativamente, per garantire senza interruzioni la fornitura di energia elettrica è necessaria una potenza installata di alme- no il 10-15 per cento superiore al valore della domanda massima durante l’anno, ma è più prudente disporre di un surplus di almeno il 20 per cento. Avere un numero adeguato di impianti però non basta. Questi devono essere sufficientemente flessibili, in grado cioè di entrare rapidamente in servizio. Le centrali nucleari o che bruciano carbone lo sono poco, quindi vengono tendenzialmente impiegate per produrre la quota di energia richiesta dai consumatori 24 ore su 24 (sono chiamate centrali di base). All’estremo opposto troviamo gli impianti idroelettrici alimentati dall’acqua accumulata in bacini montani e protetti da una diga. Basta alzare una paratoia, perché l’acqua scenda rapidamente a valle e produca energia all’interno del- la centrale. In modo altrettanto tempestivo si può ovviamente arrestare di nuovo la produzione (sono chiamate centrali di punta). Altre tipologie di impianto, come i cicli combinati, che bruciano gas naturale, possono coprire anche la domanda di elettricità intermedia fra quella di base e di punta. Insomma, la complessità delle relazioni fra domanda e offerta di energia elettrica ha imposto una gestione altrettanto complessa dell’intero sistema elettrico, che schematicamente può essere suddiviso in: a) impianti di generazione, caratterizzati da un mix di tecnologie il più possibile adeguato a soddisfare l’andamento temporale della domanda; b) rete di trasmissione: linea elettrica ad alta tensione (per ridurre le perdite di energia) che collega gli impianti di generazione alle reti di distribuzione; c) sistema di regolazione e controllo (detto dispacciamento), che allaccia alla rete di trasmissione gli impianti di generazione richiesti per soddisfare la domanda e, quando è necessario, li distacca; d) reti di distribuzione: linee elettriche che portano al consumatore finale l’energia a tensioni progressivamente più basse (fino al valore minimo di 220 volt negli usi domestici). Smart grid e tariffe Recentemente il sistema elettrico è stato reso ancora più complicato dalla diffusione di impianti che sfruttano fonti rinnovabili la cui intensità è variabile nel tempo, come l’energia del vento e del sole. In particolare quelli fotovoltaici, alimentati dalla radiazione solare, hanno potenze elettriche fra pochi kW e qualche MW, mentre le grandi centrali tradizionali sono caratterizzate da potenze tra diverse centinaia e alcune migliaia di MW. Già oggi in Italia abbiamo più di mezzo milione di questi impianti che, a causa della ridotta potenza elettrica, sono collega- ti direttamente alle reti di distribuzione. Queste devono quindi “imparare” a gestire tali impianti, utilizzandone al massimo l’elettricità prodotta, senza mettere a repentaglio il corretto funzionamento delle reti stesse. Si tratta di una radicale trasformazione tecnologica, appena avviata e destinata a durare diversi anni, che va sotto il nome di “smart grid”. A complicare ulteriormente il funzionamento del sistema, nell’ultimo scorcio del secolo passato è intervenuta la liberalizzazione del mercato dell’elettricità. Fino ad allora, le imprese elettriche, sia pubbliche sia private, per la maggior parte erano integrate verticalmente, cioè gestivano la produzione, la trasmissione, la distribuzione e la vendita dell’elettricità in regime di monopolio all’interno di un determinato territorio; per evitare abusi, le tariffe erano fissate da strutture pubbliche indipendenti. Nel caso italiano questo compito era stato affidato da una legge del 1962 all’Enel, allora ente | | 23 SPECIALE una completa liberalizzazione richiederebbe di poter comprare o vendere l’energia in qualsiasi stato membro, ma il trasferimento di elettricità è limitato dalla capacità di trasporto delle reti pubblico, per tutto il territorio nazionale, con l’eccezione dell’energia fornita da alcune aziende municipalizzate e di quella autoprodotta da complessi industriali, mentre le tariffe erano decise dal Comitato Interministeriale Prezzi (Cip). L’integrazione verticale e il conseguente monopolio territoriale erano motivati da una duplice esigenza: da una parte realizzare una maggiore efficienza tecnica e gestionale; dall’altra, raggiungere dimensioni tali da consentire il reperimento delle risorse finanziarie necessarie per i massicci investimenti richiesti dalla crescita della domanda che per decenni è stata molto sostenuta; nei paesi sviluppati raddoppiava sistematicamente ogni dieci anni. Nell’ultimo scorcio del XX secolo il settore elettrico è protagonista di una serie di cambiamenti, che rendono più agevole l’adozione di politiche di liberalizzazione: grazie alla crescita del reddito complessivo e pro capite, un rigido sistema tariffario a protezione dei consumatori diventa economicamente e socialmente meno rilevante. Inoltre, viene significativamente ridotto il fabbisogno di capitali per il rallentamento nella crescita della domanda, dovuto alla saturazione di alcuni consumi, e per l’adozione preferenziale di impianti (cicli combinati) che richiedono investimenti molto inferiori rispetto al nucleare o al carbone. Le dimensioni e i costi più contenuti dei cicli combinati facilitano infine lo sviluppo di una pluralità di imprese attive nella generazione elettrica. Avviata autonomamente in Inghilterra a cavallo fra fine anni 80 e inizio anni 90, nel 1996 una Direttiva europea rende obbligatorio per tutti gli Stati membri l’avvio della liberalizzazione elettrica entro il 1999. Tuttavia, la liberalizzazione del settore può essere soltanto parziale. Si è in grado di promuovere la concorrenza nella generazione e nella vendita di energia elettrica, mentre le reti (di 24 | | trasmissione e distribuzione) sono necessariamente, con qualche sporadica eccezione, monopoli. Qualsiasi tentativo di promuovere la concorrenza nella generazione e nella vendita di elettricità presuppone pertanto l’esistenza di regole di funzionamento di reti che garantiscano la libertà di accesso a tutti i fornitori e acquirenti di energia, senza discriminazioni o distorsioni e in un regime di massima trasparenza. Le medesime condizioni devono essere garantite per il prezzo di vendita dell’energia al consumatore finale. Di qui l’esigenza di costituire un’Autorità indipendente, che vigili sul corretto funzionamento del mercato: in Italia è l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e i sistemi idrici (Aeegsi). I vincoli alla compravendita Con l’apertura del mercato elettrico, sono ormai molti i soggetti che operano direttamente: i produttori di energia elettrica, che possono vendere la propria energia a grossisti o direttamente al consumatore finale; gli importatori di energia elettrica dall’estero; l’azienda preposta alla trasmissione e dispacciamento, gestita in regime di monopolio (in Italia da Terna), regolata dall’Aeegsi; i distributori, monopoli locali, pure regolati dall’Aeegsi; i grossisti che, senza esercitare attività di produzione, trasmissione e distribuzione, acquistano energia elettrica all’ingrosso e la rivendono ai propri clienti, attraverso contratti di fornitura liberamente stipulati fra le parti. Per l’energia elettrica che non viene acquistata o venduta direttamente a un altro soggetto sulla base di contratti bilaterali, le compravendite si svolgono in una speciale Borsa elettrica, dove il prezzo si forma mediante un particolare meccanismo d’asta, che contrappone domanda e offerta di energia. Attualmente tutti (privati e aziende) sono liberi di stipulare contratti di acquisto dell’elettricità con un fornitore a loro scelta, anche se in Italia quelli domestici (e le piccolissime imprese) possono scegliere di rimanere tutelati, cioè di pagare una tariffa fissata dall’Aeegsi. L’energia necessaria se la procura per loro l’Acquirente Unico (Au), una società pubblica istituita a questo scopo, che di fatto è un grossista con una sola categoria di consumatori finali. In realtà paghiamo l’energia elettrica a un prezzo che, oltre a quello liberamente contrattato sul mercato o spuntato dall’Au, è costituito da altre tre componenti principali: i servizi di rete; gli oneri generali di sistema; le imposte. Per servizi di rete si intendono i costi sostenuti per la trasmissione e la distribuzione dell’energia elettrica fino al contatore del cliente e per la lettura dei consumi. Questa componente è determinata sulla base di tariffe stabilite dall’Autorità per l’energia, con criteri uniformi per l’intero territorio nazionale. Gli oneri di sistema sono fissati per legge, vengono pagati in misura diversa da tutti i clienti finali e sono destinati alla copertura di spese specifiche, come ad esempio lo smantellamento delle centrali nucleari, gli incentivi alla produzione con fonti rinnovabili, gli sconti tariffari alle aziende grandi consumatrici di elettricità. La completa liberalizzazione del mercato elettrico europeo richiederebbe di poter comprare o vendere l’energia in qualsiasi stato membro, ma il trasferimento di elettricità è limitato dalla capacità di trasporto delle reti. Questo vincolo si verifica anche all’interno del territorio italiano, quando la domanda di elettricità è molto alta e in alcuni tratti della rete di trasmissione si verificano congestioni, che impediscono il trasporto di tutta l’energia richiesta. In tal caso, invece di un prezzo di produzione nazionale si determinano prezzi zonali, differenti da zona a zona. Giovan Battista Zorzoli Coordinamento Free speciale LE VIE DEL GAS NON SONO INFINITE il crollo dei consumi europei, il fenomeno shale gas, la crescita delle rinnovabili. tutte le promesse e le minacce che pesano sul futuro della più pulita delle fonti fossili D a fratello povero del petrolio a combustibile chiave della transizione energetica verso le rinnovabili. Questa la parabola nell’ultimo trentennio del gas naturale, la più pulita delle fonti fossili. Un’ascesa destinata a proseguire a livello globale ma che in alcuni casi mostra già segni di riflusso. Dove la crisi economica insieme a un transizione alla green economy più veloce del previsto hanno colto impreparato il settore energetico tradizionale. Nel corso del Novecento, il secolo del petrolio, il metano è stato spesso considerato un prodotto di scarso o nullo valore, bruciato sulle torce dei pozzi petroliferi o reiniettato nel sottosuolo per facilitare l’estrazione dell’oro nero. In tempi più recenti però molto è cambiato e il gas ha iniziato a recuperare posizioni sul greggio, addirittura scalzandolo in molti settori, a cominciare dalla generazione di elettricità. Le ragioni sono diverse, non ultima il minore contenuto di anidride carbonica negli usi domestici, industriali e termoelettrici: bruciare metano produce il 30 per cento di emissioni di Co2 in meno rispetto al petrolio e meno della metà rispetto al carbone. Ma hanno contato pure l’ampia disponibilità e la relativa economicità della materia prima e delle tecnologie per il suo impiego, dai motori a combustione interna alle centrali a ciclo combinato. Il risultato è che nel periodo 19732012 la quota del gas sul totale dell’energia primaria mondiale è salita dal 16 al 21 per cento mentre il petrolio arretrava dal 26 | | 46 al 31 per cento. Una dinamica anche più pronunciata nell’area Ocse, dove il metano è balzato dal 19 al 26 per cento a scapito del greggio, sceso dal 53 al 36 per cento, e del carbone. A livello globale i maggiori produttori sono oggi gli Stati Uniti davanti di un’incollatura alla Russia, cui hanno da poco strappato il primato grazie al boom del gas estratto dagli scisti (shale gas). Usa e ex Urss coprono da soli due quinti del totale, seguiti a distanza da Qatar, Iran e Canada con poco meno del 5 per cen- dal 2008-2009 in poi il mercato del gas in europa si è trasformato per le imprese di fornitura da miniera d’oro in una specie di trappola mangiasoldi to a testa. Circa un 30 per cento della produzione totale va all’export e i maggiori esportatori sono Russia, Qatar e Norvegia. Quanto ai consumi, l’area Ocse assorbe quasi la metà dell’offerta mondiale e l’Europa da sola circa il 15 per cento. I primi consumatori sono Stati Uniti, Russia, Giappone e, nel Vecchio Continente, Germania, Gran Bretagna e Italia. Negli ultimi anni però hanno guadagnato posizioni gli emergenti, come Cina, India, Sud America e Medio Oriente, dove è attesa la maggiore crescita della domanda nei prossimi anni. Da un punto di vista commerciale il gas presenta una complessità maggiore rispetto ad altre commodity, essenzialmente per una ragione fisica, la sua natura gassosa, che ha ostacolato fino ad oggi la nascita di un mercato globale paragonabile a quello petrolifero. La possibilità di scambiare gas è infatti limitata dalla collocazione geografica dei giacimenti e dall’estensione delle infrastrutture per il trasporto. Quest’ultimo può avvenire in due modi: via gasdotto e via nave, in questo caso portando prima il gas allo stato liquido (gnl) con un processo di compressione e raffreddamento. Ciò ha portato alla nascita di tre grandi mercati macroregionali – Nord America, Europa e Asia – caratterizzati da forti differenze di prezzo e struttura degli approvvigionamenti. L’Europa copre un terzo del suo fabbisogno con la produzione interna, da tempo in declino. I maggiori produttori Ue sono Olanda, Gran Bretagna, Germania, Romania e Italia. Tra le importazioni dominano quelle via gasdotto (oltre l’80 per cento). Il primo fornitore è la Russia, che soddisfa da sola il 27 per cento della domanda, seguita da Norvegia (23 per cento) e Algeria (8 per cento). Tra fornitori via nave il più rilevante è il Qatar (6 per cento dei consumi). Sotto il profilo contrattuale, buona parte del gas europeo è approvvigionato con contratti pluriennali di importazione. Negli ultimi anni però si sono fortemente sviluppati a valle dell’import mercati a breve termine, particolarmente vivaci in Nord Europa, da cui dipende ormai il prezzo di oltre la metà del gas scambiato in Ue. Situazione diversa in Asia, dove gran parte delle forniture viaggiano via nave allo stato liquido; per ragioni geografiche il Giappone è stato tra i primi a sviluppare su vasta scala l’import di gnl. Quest’ultimo viene scambiato per lo più con contratti pluriennali a prezzi legati al greggio e ai prodotti derivati, anche se in anni recenti si è andato sviluppando anche qui un mercato parallelo di carichi “spot”. Un altro mondo ancora, infine, è il Nord America, dove l’offerta è dominata dalla produzione interna. I prezzi, strettamente correlati alle dinamiche di domanda e offerta, negli ultimi anni sono crollati sotto l’effetto del boom delle estrazioni domestiche. La condanna “take or pay” Le differenze tra questi modelli hanno prodotto, in particolare negli ultimi cinque o sei anni, una forte divergenza tra i prezzi del gas nelle tre macroregioni. Ed è proprio dai più recenti sviluppi del mercato – dal crollo dei consumi europei per la crisi al fenomeno shale gas Usa alla crescita delle fonti rinnovabili – che sono venute nuove promesse ma anche inattese minacce al ruolo del gas nel futuro energetico globale. Anche su questo punto è indispensabile distinguere tra le tendenze globa- li e le realtà regionali. A livello mondiale l’Agenzia Internazionale dell’Energia prevede che entro il prossimo trentennio la domanda di metano crescerà di oltre la metà a 5.400 miliardi di metri cubi. Tuttavia i grandi venditori di gas potranno brindare solo se riusciranno a rifornire i paesi emergenti, dove si concentrerà la crescita, mentre in Europa i consumi stagneranno. Già, perché nel Vecchio Continente dal 2008-2009 in poi il mercato del gas si è trasformato per le imprese di fornitura da miniera d’oro in una specie di trappola mangiasoldi. Fino ad allora la concentrazione della fornitura all’ingrosso nelle mani di pochi, la segmentazione in mercati nazionali poco o per nulla comunicanti tra loro e l’assenza di offerta in eccesso avevano garantito margini elevati. La crisi economica però ha falcidiato i consumi industriali ed elettrici proprio mentre lo sviluppo delle fonti rinnovabili e dell’efficienza, trainate dalle politiche Ue per gli obiettivi ambientali al 2020, | | 27 speciale erodevano spazio al gas nella produzione di elettricità. Terzo elemento, l’esplosione dello shale gas rendeva gli Usa di colpo indipendenti dalle importazioni, inondando i terminali del Nord Europa di gnl in cerca di compratori. La bolla di offerta che ne è derivata ha fatto crollare i prezzi sui mercati Ue di breve termine, penalizzando i margini operativi degli importatori storici come E.On, Eni, RWE e Gdf Suez. I cui contratti di importazione da Russia, Algeria, Norvegia etc, li obbligano a ritirare comunque un gas sempre più difficile da vendere (o a pagare le penali cosiddette take or pay) e a prezzi legati al greggio, molto superiori a quelli delle borse spot. Questo stato di cose ha indotto le grandi compagnie a ingaggiare coi fornitori esteri un duro confronto sulla revisione dei contratti, per ottenere un allentamento degli obblighi take or pay, una riduzione dei prezzi e eliminare le perdite. Un negoziato, sfociato spesso in arbitrati internazionali, che è tutt’ora in corso e sta portando a una progressiva separazione del prezzo del gas da quello del petrolio cui era storicamente legato. L’inutile rigassificatore di Livorno Per i consumatori, in compenso, il nuovo contesto ha prodotto degli obiettivi vantaggi, soprattutto per i grandi acquirenti industriali e termoelettrici in grado di approvvigionarsi direttamente sul mercato all’ingrosso. Per i piccoli, famiglie e Pmi, i benefici del calo delle quotazioni a breve termine sono arrivati dopo, per l’Italia solo da fine 2013, quando è entrata in vigore una riforma dei prezzi finali elaborata dall’authority per l’energia. Anche sul cosiddetto mercato libero – tutti i clienti italiani, anche le famiglie, hanno la possibilità di scegliersi il fornitore già dal 2003 – negli ultimi anni si sono viste diverse offerte competitive, specialmente nelle formule con sottoscri28 | | zione online. Ad oggi tuttavia il livello di apertura del mercato europeo al dettaglio varia molto da Stato a Stato, con l’Italia agli ultimi posti per numero di clienti che cambiano venditore. L’abbondanza di offerta ha inoltre attenuato le preoccupazioni Ue sulla sicurezza delle forniture. Non che la dipendenza da pochi fornitori, Russia in testa, abbia smesso di dare pensieri, specie in alcuni paesi dell’Est. Tuttavia il 20 per cento circa di domanda perso dalla Ue dal 2008 a oggi ha obiettivamente aumentato il potere contrattuale europeo verso Mosca, rendendo meno allarmante – almeno lato gas – perfino il conflitto russo-ucraino. Per citare ancora il caso italiano, nel 2013 i consumi nazionali sono scesi a circa 70 mld mc, sotto i livelli 2003. E nel ti ora fermi o sottoutilizzati, aprendo la strada a un riassetto del settore termoelettrico Ue in cui gli operatori più esposti finiranno per uscire dal mercato. Sostituire il diesel col metano? In ogni caso è ormai chiaro che il calo della domanda è da considerarsi strutturale. La recessione si è mangiata per sempre una fetta di consumi industriali, con chiusure e delocalizzazioni. Intanto le fonti pulite, che fino a poco tempo fa si tendeva a considerare un fenomeno marginale, che non avrebbe insidiato il primato delle fonti fossili ancora a lungo, sono diventate una realtà di rilievo e parte integrante del sistema. Insomma l’impressione è che, almeno in alcune realtà, l’etichetta di combu- Nel 2013 i consumi sono scesi a circa 70 miliardi di metri cubi. E nel 2014 potrebbero scendere sotto i 63 miliardi, un valore da fine anni novanta 2014, secondo una recente proiezione del quotidiano specializzato Staffetta Quotidiana, potrebbero scendere sotto i 63 mld mc, un valore da fine anni 90, inferiore anche alle già pessimistiche stime ufficiali (65). Anche il tasso di utilizzo delle infrastrutture di import si è ridotto in misura corrispondente, aumentando la sicurezza relativa degli approvvigionamenti. Ma anche rendendo meno necessari nuovi investimenti e spiazzando quelli in corso. Come nel caso del rigassificatore di Livorno, completato lo scorso anno ma rimasto ad oggi inutilizzato. Nel contempo il crollo dei consumi elettrici e il forte sviluppo di impianti solari ed eolici specialmente in alcuni paesi, come Germania, Italia e Spagna, ha messo in seria difficoltà i proprietari di centrali a gas, che nell’ultimo decennio hanno investito intensamente in impian- stibile “di transizione” si sia ritorta contro il metano come una nemesi: la transizione verso un mix energetico sempre più rinnovabile, considerata un obiettivo remoto solo dieci anni fa, si è infatti affacciata sulla scena con molta più decisione, costringendo il mercato del gas a ripensare il proprio futuro. Le prospettive del resto non mancano, anche in Ue. Ad esempio sostituire il diesel con il metano nelle automobili, una realtà ancora marginale, ne ridurrebbe le emissioni di Co2 almeno del 20 per cento. E proprio l’uso del gas come carburante, nel trasporto stradale leggero e pesante e in quello navale, potrebbe far recuperare buona parte della domanda bruciata, secondo un recente studio dell’agenzia europea Acer. Una storia comunque ancora tutta da scrivere. Gionata Picchio condirettore di Staffetta Quotidiana speciale ABITARE HA TUTTO UN ALTRO VALORE UN patrimonio immobiliare Più efficiente DAL PUNTO DI VISTA ENERGETICO PERMETTE DI RIDURRE LE SPESE DI GESTIONE DI INQUILINI E PROPRIETARI. E IL MERCATO RINGRAZIA I n Italia, secondo i dati forniti da Enea, sono presenti circa 11 milioni e mezzo di edifici residenziali, per 32 milioni di abitazioni, di cui oltre 5 milioni non occupate. A questi si aggiungono oltre 100 mila edifici nel terziario per 3 milioni e mezzo di unità immobiliari. Il 70 per cento circa degli immobili è stato costruito prima dell’entrata in vigore delle leggi sui consumi energetici (in particolare la legge 373/1976). Più in generale circa un terzo dei consumi energetici finali del paese sono legati agli usi civili. Al di là dell’impatto sui consumi globali, che si traduce in un obiettivo di riduzione al 2020 di oltre 7 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep) su un totale nazionale di circa 135 Mtep, un edificio inefficiente dal punto di vista energetico grava sui costi di gestione delle famiglie e delle organizzazioni che lo occupano (o lo possiedono), aggravando il bilancio economico di questi soggetti in un momento di crisi. Inoltre contribuisce alle emissioni climalteranti e nocive e in genere presenta un minore comfort ambientale (maggiore il ricorso alla climatizzazione o alla illuminazione artificiali, maggiore il rischio di fastidi e di insorgenza di malattie, come dimostrano gli shock termici a cui ci sottopongono 30 | | impianti di climatizzazione mal progettati o mal gestiti). Per questi motivi intervenire sul patrimonio immobiliare per renderlo più efficiente non risponde solo agli obblighi introdotti dalle direttive europee, ma offre un’opportunità ai proprietari e agli occupanti per ridurre le spese di gestione ed accrescere il valore dell’immobile, elemento che in alcuni paesi ha consentito di superare anche il problema degli La maggior parte dei consumi di energia avviene in città ed è legato ai trasporti, al riscaldamento e alle caratteristiche strutturali degli edifici split incentives (proprietà e utilizzatore dell’edificio disgiunti). Le soluzioni disponibili I nuovi edifici possono essere progettati con criteri che riducano al minimo il fabbisogno di energia (non a caso a partire dal 2020 sarà obbligatorio che siano “nearly zero energy buildings” in accordo con la direttiva 2010/31/Ue). Ciò si ottiene con un insieme di accorgimenti che coinvolgono la forma dell’edificio, le caratteristiche superficiali dell’involucro e le prestazioni delle superfici vetrate, l’utilizzo di opportuni isolanti e materiali costruttivi, l’orientamento e l’inserimento nel contesto ambientale circostante, la progettazione dei sistemi di illuminazione e degli impianti di climatizzazione, associati all’utilizzo delle fonti rinnovabili disponibili in loco. Le due esigenze fondamentali in questo contesto sono la disponibilità di progettisti e società edilizie qualificati e il monitoraggio delle prestazioni di casi pilota, onde evitare che un clima variabile come quello italiano possa portare a sgradite sorprese nelle performance abitative, specie mutuando esperien- | | 31 speciale LE OFFERTE PER RIQUALIFICARE La tabella qui a lato indica i diversi canali di offerta impiegabili per contribuire alla riqualificazione del patrimonio urbano. La tabella è tratta dallo studio “Energy efficiency in the building sector: skills, business models and public private partnerships” realizzato da Fire per la Fondazione Enel, che tratta una serie di casi studio collegati a modelli di business che cercano di superare le barriere citate. (fonte tabella: FIRE. Le ESCO sono società specializzate nel progettare e realizzare interventi di efficienza energetica). ze realizzate in paesi nordici. L’efficientamento degli edifici esistenti si fonda in generale su un miglioramento delle capacità di isolamento dell’involucro e su un’azione rivolta all’impiantistica (climatizzazione, illuminazione, sistemi di building automation e domotica). La replicabilità delle soluzioni è il principale alleato in questi contesti, mentre la grande variabilità delle soluzioni disponibili e delle condizioni di partenza rappresenta il principale ostacolo, comunque superabile da bravi professionisti e aziende. L’importanza dell’educazione In ogni caso vale la pena di ricordare che un edificio, per quanto intelligente e realizzato secondo criteri di sostenibilità, presenterà consumi legati al suo utilizzo e alla sua gestione. Dunque non basta realizzarlo o riqualificarlo bene, ma occorre anche che chi lo occupa sappia utilizzarlo al meglio e che gli impianti siano ben gestiti e manutenuti. Un sistema di automazione può aiutare, ma non è sufficiente, come l’esperienza insegna, e andrebbe affiancato da programmi di sensibilizzazione degli occupanti. Sebbene le potenzialità dell’uso razionale dell’energia negli edifici siano consistenti, non è così facile conseguire i risultati auspicati. Fra le principali barriere da superare si possono citare: la scarsa conoscenza delle opportunità di fare efficienza energetica; la complessità della tematica, che richiede professionisti e organizzazioni qualificati, non ancora sufficientemente diffusi; la carenza di dati sui consumi degli edifici, che rende difficile costruire business 32 | | Grande distribuzione Come canale di business è quello cresciuto di più. Buoni risultati sul fronte dell’illuminazione e dell’etichettatura degli elettrodomestici. Ancora poco coperto il tema degli stand-by e delle cucine ad induzione. Installatori e micro ditte distribuite sul territorio Sebbene le detrazioni fiscali al 55 e 65 per cento abbiano stimolato la conoscenza delle tecnologie di base e un minimo di formazione, la scarsa qualificazione di questi operatori in termini di media rimane il principale handicap di questo canale commerciale, peraltro essenziale per le utenze residenziali. Società di ingegneria Anche in questo ambito gli incentivi hanno stimolato una crescita, che risulta però ancora insufficiente se si considera l’esigenza di sapere progettare interventi per nuovi edifici e per il retrofit di quelli esistenti in modalità integrata, coniugando involucro e impianti. La qualificazione non adeguata e le regole sui compensi che favoriscono i professionisti tradizionali rispetto agli innovativi sono i principali freni alla crescita di questa categoria. Costruttori e imprese di ristrutturazione La legislazione e i regolamenti edilizi indirizzano sempre più gli operatori tradizionali del settore edile verso interventi di efficientamento energetico, anche aiutandosi con gli incentivi disponibili. Il livello di qualificazione non è però adeguato, così come la mentalità di molti costruttori, rimasta incollata a schematismi di qualche decennio fa. ESCO Sono chiamate in causa da più parti, ma sono in generale ancora lontane dalle esigenze del mercato, prevalentemente per scarsità di capitalizzazione e fondazione troppo recente, aspetti che limitano il ricorso al finanziamento tramite terzi, ossia alla caratteristica più attesa in questa situazione di mercato. Fornitori di energia elettrica e gas Sono i soggetti che si sono mossi per ultimi, per cui il limite fondamentale è la mancanza di know how, unito alla difficoltà di formare in tale senso reti commerciali abituate a vendere prodotti molto più facili. Puntare su semplici accordi commerciali con partner tecnici non si è invece rivelato vincente. Stanno partendo i primi progetti strutturati di sviluppo di questa filiera, che potrebbe essere efficace anche per le SME. Banche e fondi Sebbene alcuni soggetti avessero intuito le potenzialità di questo mercato, gli incentivi eccessivi al fotovoltaico hanno distratto il necessario sviluppo di know how, che dunque è in ritardo rispetto alle necessità. La dimensione limitata degli investimenti in efficienza energetica, la sua complessità e le caratteristiche degli operatori dell’offerta rendono complicato lo sviluppo di pacchetti finanziari di facile accesso. plan credibili e solidi e dunque finanziabili da soggetti terzi (con o senza ricorso al modello delle Eesco, le società di servizi energetici. Infine anche i lunghi tempi di ritorno di alcune soluzioni di efficientamento – in particolare di quelle per l’involucro edilizio – e di impianti a rete – come il teleriscaldamento –, che si scontrano sia con il problema degli split incentives, sia con la scarsa propensione agli investimenti di molti proprietari immobiliari. A parte il ruolo fondamentale dell’informazione (a tutti i livelli) e della formazione di qualità, per rispondere a queste problematiche occorre sviluppare modelli di business dedicati, eventualmente supportati da opportune politiche governative. La riqualificazione degli edifici esistenti ha beneficiato negli ultimi anni di diversi strumenti di supporto, che aiutano a mitigare le barriere economiche. I principali a livello nazionale, che si escludono a vicenda, sono: le detrazioni fiscali, disponibili al momento sia al 65 per cento per interventi di riqualificazione un edificio inefficiente dal punto di vista energetico grava sui costi di gestione delle famiglie e delle organizzazioni che lo occupano energetica, sia al 50 per cento per interventi di ristrutturazione ordinaria (in cui possono essere ricompresi interventi che non accedono all’aliquota maggiore). C’è poi il conto energia termico, che copre in media un 30-40 per cento dei costi di investimento, mirato prevalentemente alla pubblica amministrazione, che ne può beneficiare sia per interventi di efficientamento energetico, sia per l’installazione di fonti rinnovabili termiche (gli utenti privati possono avvalersene solo per queste ultime). Un altro aiuto interessan- te sono i cosiddetti certificati bianchi, che in genere coprono dal 10 al 30 per cento dei costi di investimento, disponibili per tutte le tipologie di intervento collegate all’efficienza energetica, ma in presenza di più immobili serviti. A questi strumenti si aggiungono i fondi comunitari messi a disposizione sia attraverso il programma Horizon 2020 (attività di diffusione, progetti pilota e ricerca), sia attraverso la Banca europea degli investimenti (Elena, Jessica e finanziamenti alle imprese) e l’Energy efficien- cy fund (rivolti prevalentemente agli edifici pubblici e mirati a progetti di grandi dimensioni, quali la riqualificazione del parco edifici di una provincia). L’attuazione della direttiva sull’efficienza energetica, e in particolare del decreto legislativo 102/2014 che l’ha recepita in Italia, prevede che venga istituito un fondo di garanzia a tutela degli investimenti di efficientamento energetico. Si tratta di una misura che potrà aiutare a migliorare soprattutto gli impianti, mentre per gli involucri potrebbe esse| | 33 speciale re utile l’introduzione di mutui agevolati concessi dagli istituti di credito o di programmi dedicati. La direttiva 2010/31/Ue sulle prestazioni energetiche degli edifici e la direttiva 2012/27/Ue sull’efficienza energetica assegnano un ruolo fondamentale alla pubblica amministrazione, che deve essere d’esempio verso il cittadino e le imprese. Nello svolgere il proprio compito istituzionale, la pubblica amministrazione si vede assegnato un duplice ruolo: privatistico e pubblicistico. Rispetto al primo ruolo essa è responsabile della gestione immobiliare e di una serie di servizi, tra i quali gli uffici pubblici (municipio, scuole inferiori e medie, piscine, strutture sanitarie, etc.), l’illuminazione pubblica e semaforica, le infrastrutture di servizio (raccolta e trattamento rifiuti, acquedotti) e i trasporti. Tali servizi possono essere forniti direttamente oppure tramite un terzo al quale siano affidati. La conoscenza del patrimonio pubblico e dei servizi offerti è indispensabile per predisporre i bilanci energetici, proporre delle soluzioni e fare delle scelte, misurare i risultati, e, in termini più specifici, predisporre bandi per la riqualificazione degli edifici attraverso il finanziamento tramite terzi e sfruttare meccanismi incentivanti tra i quali il conto termico e i certificati bianchi. Fra gli strumenti importanti nell’ambito della gestione del patrimonio pubblico è importante segnalare: •certificazione energetica (primo passo per la conoscenza dei fabbisogni/ consumi e prima tipologia di indicatore energetico); •diagnosi energetiche e monitoraggio (la contabilità energetica è determinante sia per la possibilità di accedere al finanziamento tramite terzi, sia per definire gli indicatori di performance energetica – EnPI – essenziali per gestire al meglio i consumi); 34 | | •energy manager articolo 19 legge 10/91 (la presenza di un responsabile della gestione dell’energia è fondamentale per attuare delle azioni efficaci); •Iso 50001, sistema di gestione dell’energia (Sge è il parallelo del Patto dei sindaci applicato al patrimonio immobiliare pubblico; adottare un sistema di gestione dell’energia porta a risultati più consistenti nel tempo); •contratti di rendimento energetico e finanziamento tramite terzi (consentono di riqualificare energeticamente gli edifici anche in assenza di dotazioni finanziarie adeguate agli investimenti necessari); •green procurement e life cycle cost analysis – Lcca (l’efficienza energetica si coniuga con gli aspetti ambientali e promozione delle fonti rinnovabili e all’uso efficiente dell’energia); •gestione attiva delle concessioni pubbliche (al momento del rinnovo periodico dei contratti di concessione è opportuno riconsiderare le condizioni del contratto stesso al fine di imporre obbligazioni in termini di efficienza energetica); •pianificazione territoriale contrattata (nuovi insediamenti o importanti riqualificazioni consentono di realizzare impianti integrati ed energeticamente efficienti – impianti trigenerativi che servano i nuovi edifici – a costi ridotti; è quindi importante prevedere tali soluzioni nella fase di pianificazione); •finanziamenti e bandi (nell’attua- non basta CHE UN EDIFICIO SIA RIQUALIFICATO O COSTRUITO BENE. oCCORRE CHE Chi lo occupa sappia utilizzarlo al meglio e gli impianti siano ben gestiti con la corretta valutazione degli investimenti); •incentivi (conto termico, certificati bianchi e tariffe per fonti rinnovabili aiutano a finanziare la riqualificazione del parco immobiliare e delle utenze tecniche). Il secondo aspetto, quello pubblicistico, riguarda la possibilità di incidere sui consumi energetici delle utenze distribuite sul territorio dell’amministrazione. La maggior parte dei consumi di energia nei paesi industrializzati avviene infatti in città ed è strettamente correlato ai trasporti, al riscaldamento e alle caratteristiche strutturali degli edifici. I principali strumenti disponibili in questo caso sono i seguenti: •patto dei sindaci (adozione di una politica di efficientamento di almeno il 20 per cento e di un sistema di gestione dell’energia territoriale); •regolamenti edilizi (orientati alla le contesto di limitate risorse, è fondamentale concentrare i finanziamenti su diagnosi energetiche nel territorio e nelle imprese, in attività di formazione e comunicazione, nel controllo e monitoraggio dei programmi attuati, nel favorire l’incontro fra domanda e offerta di soluzioni per l’efficientamento, nel proporre fondi di garanzia a sostegno del finanziamento tramite terzi); •controlli (in assenza di verifiche sul campo la maggior parte degli obblighi rischia di venire applicata solo formalmente). L’utilizzo corretto degli strumenti segnalati consente alle amministrazioni di conseguire i migliori risultati sia con riferimento al proprio patrimonio immobiliare, sia relativamente allo sviluppo del territorio. Dario Di Santo direttore Fire, Federazione italiana per l’uso razionale dell’energia SPECIALE lo studio di politecnico e centro studi enel L’Efficienza energetica per rimettere in moto l’economia italiana L’ e sistemi per l’efficienza energetica potrebbero generare un impatto sul sistema economico nazionale pari al 2 per cento del Pil e un risparmio compreso tra 50 e 72 milioni di tonnellate di Co2 al 2020. A ciò si aggiungerebbe un aumento degli occupati fino al 2 per cento a fronte di una riduzione dei consumi totali di energia compresi tra il 12 e il 18 per cento. È quanto emerge dallo studio “Stato e prospettive dell’efficienza energetica in Italia” realizzato dalla Fondazione Centro Studi Enel e dall’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano. Le principali difficoltà, rivela lo studio, nella realizzazione di politiche che aumentino l’efficienza energetica riguardano fattori culturali, economici, regolatorio-normativi e tecnologici. Si va dalla scarsa efficienza nell’allocazione degli incentivi rispetto alle reali esigenze del mercato, come gli aiuti destinati a tecnologie diffuse e ormai mature, alla difficoltà di accesso e alla scarsa aderenza alle reali esigenze degli operatori. A questo si aggiunge la complessità regolatoria, in particolare nei casi di tecnologie legate all’utilizzo di energia elettrica, accompagnate dalla misure in questo senso potrebbero mancanza di un sistema paese a supporto dell’effigenerare un impatto pari al 2 per cento cienza energetica. del Pil e un risparmio compreso tra 50 Sul fronte dei benefici, e 72 milioni di tonnellate di Co2 al 2020. numerosi sono soprattutto quelli legati alla riduA ciò si aggiungerebbe un aumento zione dei consumi enerdegli occupati fino al 2 per cento getici, sia in termini di decarbonizzazione di alcuni settori come quello dei trasporti e del riscaldamento, sia di dell’efficienza energetica. Le aziende elettriche, infatti, possodiminuzione degli inquinanti, specie nelle città. Tuttavia, come no agire come system integrator delle tecnologie su scala nasottolinea lo studio presentato oggi, questi miglioramenti sono zionale in un’ottica di lungo periodo che favorisca lo sviluppo limitati da una serie di fattori economici e regolatori, tra cui la di una filiera industriale integrata. Infine, unendo scala e capilstruttura della tariffa elettrica fortemente progressiva e le diffi- larità, le utility possono fungere da hub per offrire un servizio coltà di accesso a forme contrattuali diverse da quelle standard. “chiavi in mano” al cliente con caratteristiche di economicità, Inoltre, lo studio riconosce alle utility un ruolo importan- competenza tecnica, affidabilità, semplificazione e disponibilite nell’abbattimento delle barriere che ostacolano la diffusione tà finanziaria. applicazione di strumenti A CURA DI ETD | 35 SPECIALE LA SFIDA BIO DELLA MOBILITà bioCARBURANTE E BIOMETANO. SONO QUESTE LE ALTERNATIVE PIù IMPORTANTI ALL’USO DI GASOLIO E BENZINA. MA COSA SONO? COME SI OTTENGONO? E L’ITALIA SI STA IMPEGNANDO IN QUESTA DIREZIONE? Q energetici si è subito portati a pensare ai problemi connessi alla produzione e distribuzione dell’energia elettrica, e questo vale anche per un’opinione pubblica che quasi sempre associa il concetto di “fonti rinnovabili” all’immagine di un impianto fotovoltaico o di un campo eolico. In realtà le cose stanno piuttosto diversamente: i consumi elettrici rappresentano complessivamente poco più di un quarto del totale, che vede il contributo prevalente degli usi termici (calore di processo nell’industria e riscaldamento nel settore civile), seguiti dai trasporti. In Italia, il settore dei trasporti, che comprende tutte le forme di mobilità privata e collettiva incluso il trasporto delle merci, è responsabile del 31 per cento circa dei consumi finali di energia (2013), per la maggior parte sotto forma di combustibili fossili (più di 35 milioni di tonnellate nel 2013) e in misura minore energia elettrica (di cui il 28 per cento circa da fonti rinnovabili) e biocarburanti. I biocarburanti – che nella terminologia ufficiale sono tutti i “carburanti liquidi o gassosi per i trasporti derivati dalla biomassa” – rappresentano oggi in Italia (1.366.000 tonnellate equivalenti di petrolio contro 186.000 di consumi elettrici nel 2012) e nel mondo l’alternativa di gran lunga più importante ai prodotti di origine fossile, principalmente gasolio e benzina, ma anche metano, e i quantitativi utilizzati sono in costante crescita, anche se costituiscono ancora una piccola percentuale dei consumi totali (4,7 per cento nell’Unione Europea nel 2103). 36 | uando si parla di consumi | Esistono diverse motivazioni a favore di un uso crescente dei biocarburanti, con un peso relativo di volta in volta diverso a seconda dell’epoca e del paese. La prima è ovviamente quella di sostituire prodotti fossili, per la maggior parte importati da aree geopolitiche soggette a forte instabilità, come il Medio Oriente, con carburanti rinnovabili di origine nazionale o, comunque, di diversa provenienza: questa motivazione, che è stata all’origine dell’interesse per i biocarburanti a partire dagli anni successivi alla crisi petrolifera dei primi anni Settanta, è ancor oggi quella più importante per gli Stati Uniti. Per quel che riguarda invece l’Europa, il ricorso ai biocarburanti viene giustificato soprattutto per i possibili benefici ambientali, in termini di riduzione dell’inquinamento a livello locale e – nel quadro più generale dello sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili – di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. È considerato importante anche il contributo alla diversificazione delle produzioni agricole, con ricadute positive sull’intero comparto, anche se in misura minore rispetto alle forti discussioni e scontri di interessi contrastanti verificatosi intorno alla metà degli anni Ottanta in coincidenza con la crisi di sovrapproduzione di alcune “commodities” agricole, in primo luogo cereali. I biocarburanti attualmente utilizzati in Italia sono sostanzialmente due: biodiesel e bio-ETBE. In entrambi i casi si tratta di prodotti che non vengono ricavati direttamente dalla biomassa, ma sono ottenuti con semplici trasformazioni chimiche, IN ITALIA il settore dei trasporti è responsabile del 31 per cento dei consumi finali di energia (2013), per la maggior parte sotto forma di combustibili fossili e in misura minore di energia elettrica e biocarburanti nel primo caso di oli (e grassi) vegetali e/o animali e nel secondo di etanolo, prodotto a sua volta dalla fermentazione di materie prime amidacee (cereali) o zuccherine (canna e barbabietola da zucchero). Il processo industriale di produzione del biodiesel si basa sulla reazione degli oli e grassi (trigliceridi) con alcol metilico, che porta a una miscela di esteri metilici e glicerina (10 per cento in peso circa della materia prima utilizzata), un sotto- prodotto che trova diverse utilizzazioni industriali, e potrebbe avere nel prossimo futuro anche applicazioni energetiche. Lo stesso termine “biodiesel” è in realtà un nome di fantasia, che ne richiama direttamente l’uso come sostituto del gasolio, mentre in tutta la normativa tecnica questo biocarburante è indicato come FAME (Fatty Acid Methyl Ester). Rispetto agli oli vegetali puri, che vengono comunque utilizzati in qualche misura – ma non in Ita- lia – come carburanti per trattori e altre macchine agricole, il biodiesel presenta una minore viscosità, maggiore stabilità e un comportamento migliore alle basse temperature. Dal momento che le sue caratteristiche e proprietà chimiche sono molto simili a quelle degli idrocarburi che costituiscono il gasolio, può essere miscelato con quest’ultimo praticamente in qualsiasi proporzione, e usato anche puro in autoveicoli opportunamente | | 37 SPECIALE modificati con la sostituzione di quei componenti (elastomeri, materiali plastici e vernici) che possono essere danneggiati dal contatto diretto con questo biocarburante e l’adozione di accorgimenti per mantenere una viscosità sufficientemente elevata nei climi freddi. La principale differenza rispetto al gasolio consiste nel fatto che il biodiesel contiene una certa quantità di ossigeno (11 per cento in peso), cosa che si traduce in un contenuto energetico minore (86 per cento circa) di quello del gasolio: questo elemento, insieme alla citata reattività verso alcuni materiali e alla maggiore viscosità è all’origine del cosiddetto “blending wall” (barriera alla miscelazione) in base al quale, per essere immesso al consumo in miscela con il gasolio nella rete pubblica di distribuzione del carburante, il biodiesel deve rispettare una serie di specifiche molto stringenti e, in base alla normativa vigente, miscelato nella percentuale massima del 7 per cento in volume. In Italia il biodiesel è stato immesso sul mercato per la prima volta nel 1993 (poco più di 36.000 tonnellate), ma fino al 2000 era usato quasi esclusivamente come combustibile per riscaldamento (68.000 tonnellate su un totale di 70.000 immesse al consumo) e in misura molto minore per l’alimentazione di mezzi di trasporto pubblici. A partire dal 2001 ha iniziato a diffondersi l’uso generalizzato in miscela con il gasolio in percentuali limitate (<5 per cento), che costituisce oggi praticamente l’unica modalità di impiego di questo biocarburante (1.429.000 tonnellate nel 2012). Parallelamente, è nata e si è sviluppata un’industria del settore – che è stata per diversi anni fra le prime a livello mondiale – con numerosi stabilimenti e una capacità produttiva di circa 2.300.000 t/anno, oggi utilizzata solo al 12,5 per cento (solo 287.000 tonnellate di biodiesel prodotte nel 2012) per problemi legati al costo delle materie 38 | | prime e alla presenza sul mercato di prodotto a costi concorrenziali proveniente da paesi extraeuropei con politiche aggressive di sostegno alle esportazioni. L’utilizzo dell’etanolo L’etanolo, impiegato in sostituzione della benzina per l’alimentazione dei motori a scoppio, ha un contenuto di ossigeno pari al 35 per cento in peso, ed è una molecola con caratteristiche chimiche molto diverse da quelle degli idrocarburi, che lo rendono ad esempio completamente solubile in acqua. Per questi motivi, pur essendo un buon carburante (fu il primo carburante liquido usato in un motore a scoppio e, per inciso, il carburante che alimentava il primo razzo moderno, la famosa V2, in grado di volare oltre l’atmosfera terrestre) in Europa si preferisce non miscelarlo direttamente alla ben- denti a 138.000 tonnellate di etanolo. Come si è detto precedentemente, il consumo di biocarburanti nel nostro paese è andato costantemente aumentando negli ultimi anni, come richiesto dalla legislazione vigente in materia, che deriva direttamente dal recepimento della direttiva CE n. 28/2009 del 23 aprile 2009 sulla promozione delle fonti rinnovabili, e prevede una quota obbligatoria progressivamente crescente di energia rinnovabile nei trasporti a partire dal 2007. Un riepilogo dei consumi di biocarburanti e altre fonti rinnovabili nel settore dei trasporti negli ultimi anni è riportato nella tabella in alto a destra, dove si può notare che – oltre al fatto che i biocarburanti sono largamente preponderanti rispetto all’elettricità da FER – la maggior parte dei prodotti utilizzati è di importazione e solo una frazione minore, cor- Il GOVERNO HA STABILITO le quote OBBLIGATORIE di immissione in consumo di biocarburanti E biocarburanti AVANZATI per gli anni dal 2015 al 2022 zina, ma solo sotto forma di ETBE (etere etil-ter butilico), ottenuto dalla reazione fra etanolo e isobutene, un sottoprodotto della raffinazione del petrolio. Dal momento che l’etanolo prodotto a partire dalla biomassa prende il nome di bioetanolo, l’ETBE che ne deriva viene anche chiamato bio-ETBE ed è considerato rinnovabile per il 47 per cento in peso, corrispondente alla parte della molecola proveniente dall’etanolo. L’ETBE, essendo un etere, presenta minori problemi di “blending wall” rispetto all’etanolo. Di conseguenza, mentre l’etanolo può essere aggiunto alla benzina nella percentuale massima del 10 per cento in volume, per l’ETBE si può arrivare fino al 22 per cento. In Italia sono state immesse al consumo nel 2012 293.000 tonnellate di ETBE, corrispon- rispondente al 25 per cento circa, deriva da materie prime no-food, per la maggior parte oli alimentari esausti (UCOs, Used Cooking Oils) da raccolta differenziata. Quest’ultima categoria di biocarburanti gode del cosiddetto “double counting”, in base al quale il loro contenuto energetico viene contabilizzato con un valore doppio di quello effettivo ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di sostituzione. Il “double counting” trova una sua giustificazione nel riconoscimento di una maggiore sostenibilità dei biocarburanti ricavati da materie prime “no-food” rispetto a quelli tradizionali prodotti a partire da mais o altri cereali (bioetanolo) o colture oleaginose come colza, soia e palma da olio (biodiesel). Infatti, una delle maggiori critiche che vengono mosse nei riguardi dei biocarburanti tradizio- CONSUMI BIOCARBURANTE Fonte: Ministero dello Sviluppo Economico 2013 e 2014 2009 2010 2011 2012 Bioetanolo/bio-ATBE 92 122 114 103 - di cui da biomasse no-food 0 0 7 3 - di cui importati 51 50 50 45 1052 1297 1296 1262 38 38 57 338 - di cui importati 346 592 764 1009 Elettricità da FER 145 153 175 186 0 4 5 5 Totale 1289 1617 1575 1552 Totale con i fattor moltiplicativi 1327 1617 1647 1899 % FER sui consumi finali 3,69 4,58 4,69 5,84 3 3,5 4 4,5 Biodiesel - di cui da biomasse no-food - di cui per trasporto su strada Quota obbligatoria prevista nali è quella di non presentare vantaggi significativi rispetto ai carburanti di origine fossile che andrebbero a sostituire, in termini sia di bilanci energetici che di emissioni di gas a effetto serra, quando si considera l’intera filiera produttiva, insieme al rischio sempre presente di entrare in conflitto con le produzioni alimentari per l’uso dei terreni agricoli. Un esempio di successo Per queste ragioni, si cerca di promuovere l’uso dei biocarburanti di seconda generazione, o biocarburanti avanzati, prodotti da materiali lignocellulosici, ivi incluse le colture da biomassa, scarti e rifiuti di varia natura, colture di microalghe eccetera. In questo senso, un caso di successo del nostro paese nel settore dei biocarburanti di seconda generazione è rappresentato dall’impianto dimostrativo di Crescentino (AL) della Società Chemtex, primo al mondo a produrre su scala industriale (40.000 t/anno) etanolo da materiali lignocellulosici di scarto e da colture dedicate. Più in generale, l’impegno dell’Italia su questo terreno è dimostrato anche dal recentissimo decreto del ministero dello Sviluppo Economico (10 ottobre 2014) che stabilisce le quote obbligatorie di immissione in consumo di biocarburanti per gli anni dal 2015 al 2022 e, all’interno di queste, una percentuale obbligatoria di biocarburanti avanzati come è riportato nella tabella qui sotto. % immissione biocarburanti cosiddetti “drop-in biofuels”, rappresenta l’oggetto di numerose e importanti attività di ricerca condotte in Italia e in tutto il mondo, anche nella prospettiva di arrivare a produrre biocarburanti compatibili con gli elevatissimi standard di qualità richiesti dal trasporto aereo. Infine, un discorso a parte deve essere fatto per il biometano, che costituisce al momento l’alternativa più promettente per la produzione di quantitativi significativi di biocarburanti a partire da materie prime disponibili sul territorio nazionale. Infatti, il biometano si ottiene tramite il processo cosiddetto di “upgrading” del biogas, che consiste nella rimozione dei contaminanti, in primo luogo H2S e nella separazione del CH4 dalla Co2, arrivando a ottenere un gas costituito da metano praticamente puro (≥9798 per cento), con le stesse caratteristiche di quello immesso nella rete nazionale di distribuzione e utilizzato per l’alimentazione degli autoveicoli a metano. Il biometano, prodotto a partire da biomasse residuali disponibili sul territorio circostante l’impianto di conversione, è un esempio di biocarburante sostenibile e producibile a livello locale, senza necessità di trasportare grandi quantità di biomasse in 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021 2022 51 5,5 6,5 7,5 9,0 10,0 10,0 10,0 1,2 1,2 1,6 1,6 2,0 % immissione biocarburanti avanzati Lo sviluppo di tecnologie e processi innovativi per ottenere da queste materie prime sia i biocarburanti attualmente in uso che nuove tipologie di prodotti, costituiti da miscele di idrocarburi praticamente indistinguibili e totalmente miscelabili con i carburanti tradizionali, i complessi industriali di grandi dimensioni. Il biometano è attualmente prodotto in diversi paesi europei ed extraeuropei, e rappresenta quasi l’1 per cento del totale dei biocarburanti utilizzati nella Ue. Vito Pignatelli presidente Itabia | | 39 SPECIALE OLTRE IL 2030 C’è UN MONDO c’è chi dibatte su come arrivare al domani e chi lavora già per costruirlo. ecco perché il primo fattore di sostenibilità ambientale è la capacità di innovare. la mappa delle opportunità che non soffrono la crisi «C osì come l’energia è la base del- la vita stessa, e le idee la fonte dell’innovazione, così l’innovazione è la scintilla vitale di tutti i cambiamenti, i miglioramenti e il progresso umano». Il pensiero dell’economista americano Theodore Levitt mette evidentemente sulle spalle di tutti noi una grande responsabilità nei confronti delle generazioni future e ci ricorda il valore e il potere dell’innovazione. L’analisi etimologica della parola probabilmente non ci aiuta a capire fino in fondo quanto innovare significhi molto più che rendere nuovo, e sia invece più vicino al concetto della frontiera nella mente del pioniere. Vedere oltre, immaginare, focalizzare lo sguardo su ciò che può divenire piuttosto che su ciò che è oggi la realtà. Anche il settore energetico è impegnato in questo tipo di ricerca e così come 40 | | nella frontiera dello spazio di kennediana memoria, si tratta di una «new frontier of unknown opportunities and perils, the frontier of unfilled hopes and unfilled threats». La spinta all’innovazione nel settore energetico prende origine da una serie di cambiamenti che lo stanno interessando ormai da anni e che, soprattutto per quanto riguarda il comparto elettrico, comportano un cambio di paradigma sostanziale nel modo in cui l’energia viene prodotta, distribuita e consumata. La domanda energetica mondiale è prevista in crescita, per effetto prima di tutto dell’aumento demografico (2 miliardi di persone in più al 2035), con ovvie e sostanziali differenze rispetto alla geografia e alla composizione del mix energetico. L’Agenzia internazionale per l’energia (International Energy Agency - Iea) prevede, infatti che, tra il 2010 e il 2035, l’economia globale crescerà a un tasso medio annuo del 2,8 per cento comportando un aumento della domanda energetica del 33 per cento. Si stima che a crescere maggiormente in futuro saranno i paesi non-Ocse, in particolare la Cina, con un contributo sempre maggiore da parte delle energie rinnovabili per quanto riguarda la composizione della domanda stessa. Al 2035, la domanda di energia primaria dei paesi non-Ocse farà registrare una crescita di circa il 65 per cento rispetto ai livelli del 2010, trainata soprattutto dalle economie dei paesi in via di sviluppo dove tra l’altro si fa sempre più accentuata la migrazione della popolazione dalle zone rurali alle città, con conseguente aumento dei consumi in particolare elettrici. Le previsioni prospettano una crescita del 30 per cento della domanda energetica nel settore residenziale e com- «Così come l’energia è la base della vita stessa, e le idee la fonte dell’innovazione, così l’innovazione è la scintilla vitale di tutti i cambiamenti, i miglioramenti e il progresso umano» (theodore Levitt) merciale. Nel settore residenziale, in particolare, i cambiamenti più significativi riguardano la transizione verso l’utilizzo di fonti di energia convenzionali in sostituzione di biomasse – legno e rifiuti agricoli. Anche la domanda di energia legata al settore trasporti farà registrare una crescita considerevole, oltre il 40 per cento, per effetto soprattutto del commercio internazionale che prevede l’utilizzo di mezzi pesanti. Tuttavia, sebbene si preveda nel breve periodo un raddoppio nel numero di veicoli presenti sulle strade, quelli ad uso privato stanno migliorando la propria efficienza con riduzioni sensibili nei consumi di carburante e minori emissioni. Perciò, mentre i progressi della tecnologia automobilistica, quali ad esempio i veicoli ibridi, manterranno la domanda globale di energia nel trasporto privato relativamente stabile, la domanda di energia nel trasporto commerciale (mezzi pesanti, aerei, navi e treni) aumenterà sensibilmente nell’immediato futuro. Nel corso dei prossimi trent’anni, la domanda energetica del settore industriale è attesa svilupparsi in maniera consistente. Come accennato, dato l’aumento demografico e la crescente domanda di beni e servizi, i settori “energy intensive” (acciaio, cemento, materie plastiche e prodotti chimici) saranno i protagonisti della domanda dei prossimi anni. Sempre nel medesimo periodo, l’espansione del settore industriale, porterà con sé una crescita dei consumi di elettricità di quasi l’80 per cento, spinti anche dall’ampia diffusione di dispositivi elettronici di varia natura e di elettrodomestici. Tra le fonti energetiche, il gas naturale assumerà un ruolo chiave soprattutto nella generazione elettrica, grazie anche al suo minore impatto ambientale con emissioni di Co2 inferiori fino al 60 per cento rispetto al carbone. Nel 2035 coprirà fino al 30 per cento della produzione globale di energia elettrica, rispetto a circa il 20 per cento attuale. Oltre all’utilizzo del gas naturale, un ruolo chiave lo giocheranno l’energia nucleare e le fonti rinnovabili, mentre diminuirà progressivamente l’utilizzo di carbone e di petrolio. Per capire meglio come sia possibile soddisfare in futuro una domanda energetica crescente, è necessario fare i conti con numerosi fattori che ne influenzano l’andamento: la disponibilità effettiva delle fonti e delle infrastrutture per renderle fruibili, i costi dell’energia, lo sviluppo tecnologico e dei mercati, il ruolo dell’efficienza energetica, le politiche ambientali, gli equilibri geopolitici, ecc. Ad esempio è evidente il ruolo direttivo delle stringenti politiche europee di riduzione delle emissioni nella costruzione dell’offerta futura di energia nei paesi dell’Unione. Infatti gli auspicati processi di decarbonizzazione ed elettrificazione richiedono importanti e imponenti cambiamenti nel settore elet- trico, in termini di produzione, distribuzione e mercati. Non solo, per raggiungere l’obiettivo di tagliare dell’80 per cento le emissioni di Co2 al 2050 saranno necessarie profonde modifiche sia nel settore della generazione elettrica che in quello industriale, agricolo, dei trasporti etc. Di fatto dunque la crescente penetrazione delle rinnovabili, il primario ruolo del vettore elettrico, gli stringenti vincoli ambientali e i limiti intrinseci dell’attuale sistema di generazione rappresentano i principali fattori di cambiamento che rendono necessaria una accelerazione dei processi di innovazione. Il protagonismo delle aziende Se analizzare un mix così complesso di fattori appare più che complesso, soprattutto perché non si può immaginare il futuro semplicemente traslando in avanti gli andamenti attuali, si può concordare sul fatto che uno dei punti di forza per il raggiungimento dell’obiettivo di fornire energia ad un numero crescente di persone a condizioni sostenibili economicamente e ambientalmente, è costituito dall’innovazione tecnologia e dalla ricerca di soluzioni nuove. Così l’innovazione entra anche nei percorsi di sviluppo delle aziende energetiche per immaginare quali possono essere i nuovi trend di mercato e le nuove tecnologie del futuro atte a portare sul piano industriale e applicativo le migliori soluzioni al vaglio di scienziati e ricercatori. In particolare per quanto riguarda il comparto elettrico numerose sono le attività di ricerca che mirano a trovare soluzioni innovativa nella generazione, nello stoccaggio e nella distribuzione dell’energia. Nell’ambito del suo principale programma formativo, Safe e i partecipanti alla XV edizione del Master in “Gestione delle Risorse Energetiche” hanno realizzato una ricognizione delle principali tecnologie energetiche d’avanguardia al momento in fase di ricerca o di svilup| | 41 SPECIALE po. Ne è scaturita una vasta e interessante panoramica, caratterizzata da esperienze di ricerca e di applicazione diverse per le fasi di generazione, accumulo e distribuzione di energia elettrica. Il lavoro ha permesso infine di tracciare una mappa dei progetti mettendone in evidenza la loro posizione in una ideale matrice tridimensionale che ha come variabili la maturità tecnologica, il costo dell’investimento e la sostenibilità ambientale. Progetti in fase di sviluppo o di prima commercializzazione sono presenti ovunque in giro per il mondo. Particolarmente attivi sono gli Stati Uniti, il Giappone e in Europa, Germania, ma anche l’Italia con diverse sperimentazioni innovative, soprattutto nella generazione e nello sviluppo delle smart grid. Proprio nell’ambito dei sistemi di generazione non convenzionale esistono percorsi innovativi per molte delle modalità di produzione dell’energia. Si va da processi di fissione nucleare di IV generazione (dai reattori raffreddati ad elio, piombo ai reattori veloci raffreddati a sodio o sali fusi) ai famigerati processi di fusione. Di particolare interesse anche le realizzazioni nel campo della gassificazione o della pirolisi. Ad ancor più elevato tasso innovativo sono le applicazioni nel comparto di generazione rinnovabile. Si passa dalle più avanzate soluzioni per catturare l’energia del mare a quelle per migliorare l’efficienza delle tecnologie fotovoltaiche, fino alle innovazioni in ambito geotermico dove, per la prima volta all’inizio del 2014, si è addirittura riusciti a sfruttare il vapore proveniente direttamente da una sacca di magma. Scatenano fantasia (e spesso anche significativi investimenti) le applicazioni dell’eolico dove si moltiplicano i progetti per lo sfruttamento del vento ad alta quota o dell’umidità dell’aria. Varia il captatore, si modificano i suoi profilli alari ma l’idea di base di catturare il vento più consistente e più potente che si trova ad alta quota, ha permesso lo sviluppo di soluzio42 | | ni nuove da parte di piccole start-up che sono riuscite ad attirare l’interesse di investitori internazionali. È il caso dell’azienda giapponese Makani Power acquisita da Google, e del suo progetto Wing7 che consiste in una macchina composta da una turbina volante a forma ibrida tra un elicottero ed un aereo di circa 8 metri di lunghezza e 56 kg di peso con potenza nominale prossima ai 20 kW posizionata a 500 metri dal suolo. Di grande attualità anche gli sviluppi in area accumuli per far fronte, fra l’altro, al già ben conosciuto problema dell’intermittenza produttiva delle fonti rinnovabili. Le innovazioni in questo ambito sono te i comportamenti e le azioni degli utenti ad essa collegati in modo da aumentare l’efficienza del sistema elettrico dal punto di vista economico, ridurre le perdite, aumentare la sicurezza e garantire la continuità e la qualità di fornitura di energia elettrica. Un elemento della complessa costruzione di una smart grid è costituito in Italia dal progetto “Telegestore” sviluppato da Enel. Il progetto non solo consente agli utenti finali la telelettura dei consumi e la telegestione del contratto, ma contribuisce ad un indispensabile processo di consapevolezza del consumatore rispetto ai propri comportamenti di consumo e di capacitazione, fattore importan- l’idea di catturare il vento scatena fantasia e attira investitori. è il caso dell’azienda giapponese Makani Power, acquisita da Google, e del progetto Wing7 veramente sorprendenti: si va da supercapacitori a nano tubi di carbonio che permettono di aumentare la superficie disponibile per l’accumulo e quindi di migliorarne le prestazioni, a batterie costituite da molecole organiche, vera fantascienza per i non addetti ai lavori, ma motivo d’orgoglio per l’Università di Harvard che se ne sta occupando con un promettente progetto di batterie che utilizzano chinoni, molecole organiche che presentano il duplice vantaggio del basso costo e della compatibilità ambientale. “Telegestore”, un primato italiano Guardando al sistema energetico del futuro non poteva infine mancare un focus sull’implementazione di sistemi smart. L’obiettivo è creare una rete controllata in maniera più intelligente che sappia gestire in maniera efficiente flussi di energia tramite l’integrazione di diverse tecnologie quali l’Ict, l’elettronica di potenza e lo stoccaggio. La smart grid è una rete in grado di integrare e gestire in maniera più efficien- tissimo dell’auspicato cambio di paradigma del sistema elettrico. Con tale progetto inoltre l’Italia fissa un primato essendo l’unico paese al mondo ad aver completamente digitalizzato la rete di distribuzione con l’istallazione di 36 milioni di contatori digitali all’interno di un sistema completamente digitalizzato. Ne viene fuori la mappa di un mondo di opportunità con spazi per applicazioni migliorative talmente vasti da suggerire che vale sempre la pena fare ogni sforzo per raggiungere la frontiera. Spesso in momenti di crisi economica pesante e perdurante, i primi costi ad essere tagliati sono quelli che impattano sul lungo periodo, nella miope convinzione che salvare il presente sia più importante che salvare il futuro. Non la pensavano e non la pensano così, per fortuna, i pionieri dell’innovazione in giro per il mondo, la speranza è che trovino sul loro percorso decisori e finanziatori altrettanto fiduciosi nel futuro. Laura Cardinali Centro studi Safe Non perdere le uscite speciali di Tempi in occasione delle festività Il numero di Natale, in uscita a partire da giovedì 18 dicembre, resterà nelle edicole per due settimane Il tradizionale “Te Deum” di fine anno uscirà in via eccezionale a partire da mercoledì 31 dicembre e farà compagnia ai lettori fino a mercoledì 14 gennaio. Da giovedì 15 gennaio riprenderanno regolarmente le uscite settimanali SPECIALE DIAMO CREDITO ALL’IMPRESA GREEN nel 2013 le popolari hanno erogato 140 milioni di euro in favore di uno sviluppo sostenibile delle comunità, la salvaguardia dell’ambiente e un uso responsabile delle risorse naturali L a riscoperta negli ultimi tempi dei princìpi e dei valori della solidarietà e della sussidiarietà è un fenomeno naturale conseguente al perdurare della crisi economica e finanziaria che attanaglia il nostro paese ormai da circa 6 anni, e che ha visto alternarsi momenti di stagnazione ad altri di profonda recessione. Questa rinnovata sensibilità da parte degli operatori economici attivi sia dal lato dell’offerta che della domanda su ideali economici che si fondano sull’inclusione e sulla partecipazione nasce dalle difficoltà sempre più ampie che un numero crescente di persone si trova a dovere affrontare in un momento di congiuntura economica che appare ancora lontano da una sua riproposizione e riaffermazione in termini espansivi. Una presa di coscienza collettiva che per le imprese appare dettata sempre di più non solo da argomenti di immagine e di opportunità, ma anche e soprattutto da concrete ragioni economiche, in virtù di una consapevolezza e di un’attenzione crescente da parte dell’opinione pubblica verso tematiche di equità e di rispetto dell’ambiente che tendono, pertanto, a premiare chi dimostra di avere sviluppato su tale materia una sensibilità maggiore rispetto ad altri operatori economici. 44 | | mance economica e a quella patrimoniale, alla gestione sviluppo e formazione del personale, ai rapporti con i soci e «Seguiamo le linee gli investitori istituzionali, alla società e guida promosse dalla alle comunità locali e alla responsabiliGlobal Reporting Initiative», spiega il tà di prodotto. Il tutto attraverso il ricorsegretario generale so ad una serie di indicatori standardizdell’Associazione zati conformi alle indicazioni provenienti Nazionale fra le dal Gri. Ambiti, questi, nei quali le Banche Banche Popolari Popolari si sono sempre riconosciute fin dalin tre anni abbiamo ridotto del le loro origini in misu10 per cento il consumo di energia ra costante e continua e per dipendente, del 15 per cento il non seguendo le necessiconsumo delle risorse idriche e del tà contingenti derivanti 14 per cento la produzione di rifiuti da situazioni economiche congiunturali più o In questo contesto si inserisce l’intro- meno favorevoli. D’altronde, non poteva duzione delle nuove linee guida per il essere diversamente se si considera che Reporting di Sostenibilità emanati dal- da sempre l’attività delle Banche Popolala Global Reporting Initiative (Gri), orga- ri è quella di avvicinare al credito intere nizzazione internazionale non-profit con comunità e di promuovere lo sviluppo delsede in Olanda attiva nel campo delle le economie locali. Una mission che gli istipolitiche di sostenibilità, al fine di rende- tuti della categoria hanno portato avanre facilmente confrontabili soggetti diver- ti arrivando ad operare in contesti e realsi tra loro e verificare il grado di aderen- tà lontane dai grandi centri abitati e che za e la conformità delle diverse politiche si è tradotto in opportunità e prospettive aziendali ai principi che stanno alla base di crescita e benessere, rese possibili dalla costruzione di un rapporto fiduciario e di uno sviluppo sostenibile. Attenzione, quindi, viene prestata agli di lungo periodo con la propria clientela. Nel campo ambientale il Gri ha introaspetti sociali ed ambientali, alla perforGiuseppe De Lucia Lumeno | | 45 speciale dotto una serie di indicatori (circa 30) che sono stati recepiti dalle Banche Popolari e presenti nei bilanci sociali che gli istituti della categoria predispongono con cadenza annuale. Tali indicatori riguardano l’utilizzo delle materie prime o di quelle riciclabili, il consumo diretto ed indiretto di energia ed il risparmio energetico, il consumo di acqua, le strategie adottate per gestire gli eventuali impatti sulla biodiversità, le emissioni totali dirette ed indirette di gas serra, i rifiuti e le emissioni di sostanze nocive, le spese e gli investimenti per la protezione dell’ambiente. Sulla base di tali linee guida le Banche Popolari perseguono un comportamento virtuoso e costruttivo in accordo con i criteri stabiliti dal Gri al fine di essere sempre più in sintonia con i parametri di riferimento che possono attestare l’attitudine “green” dell’impresa. Negli ultimi tre anni, ad esempio, gli istituti della categoria hanno ridotto del 10 per cento il consumo di energia per dipendente, del 15 per cento il consumo delle risorse idriche e del 14 per cento la quantità di rifiuti prodotti. Un percorso, questo, nel quale le Banche Popolari dimostrano di trovarsi particolarmente a loro agio visto il loro radicamento territoriale e la loro propensione ad identificarsi con la comunità di appartenenza, grazie alla loro natura cooperativa e ad una compagine sociale che è espressione dell’economia locale in cui la banca opera. Proprio per questo, le tematiche ambientali sono per le Banche Popolari già da tempo parte integrante della responsabilità sociale d’impresa, che negli istituti della categoria assume una valenza implicita, ossia la Csr è parte centrale del modello di business della banca popolare perché essenziale nell’assicurare uno sviluppo durevole e sostenibile del territorio di riferimento. Ciò spiega come l’attenzione delle Banche Popolari per il territorio non sia determinata solo dal rischio reputazione, come invece avviene per tante altre 46 | | imprese che rimangono per scelta estranee dall’area d’insediamento, ma sia derivante da un intreccio di legami e di rapporti con la comunità e con il tessuto produttivo così profondo da rendere correlati gli interessi della banca stessa con quelli della collettività e, di conseguenza, dell’ambiente circostante. Una politica che le Banche Popolari conducono valutando sia i possibili impatti diretti che indiretti. Nel primo caso, gli istituti della categoria agiscono in accordo con alcune linee guida che devono tenere conto del miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici della banca, una riduzione del consumo della carta e dei consumi idrici, e l’introduzione sempre più ampia di fonti energetiche rinnovabili. Nel secondo caso, impatti indiretti, l’attività creditizia della banca tende a pri- gli istituti della categoria. In essi, infatti, sono presenti norme focalizzate al rispetto dell’ambiente e alla propensione a sviluppare rapporti con fornitori qualificati e sensibili ai temi ambientali. Rappresentare gli interessi della comunità e del territorio significa anche per la banca popolare difendere e valorizzare le specificità dell’area di riferimento, la sua storia e le sue tradizioni. Un compito, questo, svolto dalle Popolari attraverso l’erogazione di una quota dell’utile netto, che l’anno passato è stata pari a 140 milioni di euro, in favore di uno sviluppo sostenibile delle comunità e che, chiaramente, comprende anche la salvaguardia dell’ambiente e un uso responsabile delle risorse naturali. Tematiche che possono essere pienamente comprese in tutte le sue diverse l’attività creditizia tende a privilegiare chi agisce per migliorare i processi produttivi o investe in beni e progetti con ricadute positive per l’ambiente vilegiare tutte quelle imprese che agiscono per il miglioramento dei processi produttivi o la cui produzione è rivolta a beni che riducono l’impatto ambientale o che vogliono investire in progetti con ricadute positive per l’ambiente. Molte Banche Popolari, all’interno delle linee guida di Csr alle quali si attengono, predispongono poi policy aziendali specificatamente riferite alle tematiche ambientali con l’obiettivo non solo di verificare le ricadute dirette ed indirette della propria attività commerciale sull’ambiente, ma anche per responsabilizzare maggiormente il personale e promuoverne il coinvolgimento attraverso programmi di formazione, l’erogazione di contributi a iniziative di tutela e di recupero del patrimonio ambientale. L’importanza dell’ambiente e delle sue risorse per le Banche Popolari è riscontrabile anche nei codici etici di cui si dotano diramazioni solo da chi è realmente parte ed espressione del territorio e che proprio per esserne così legato non può fare a meno di considerarlo come parte integrante di se stesso, della sua storia e della sua vitalità. Salvaguardare l’ambiente significa salvaguardare le comunità in cui queste vivono, comunità che attraverso le figure dei soci e dei clienti formano l’essenza, grazie alla governance democratica assicurata dal modello cooperativo, delle Banche Popolari. Per questo le banche della categoria sono così impegnate su tale tema, comprendendo prima di altri l’importanza che tale aspetto riveste non solo in termini di immagine, ma soprattutto in termini di crescita di quel capitale sociale che è alla base dello sviluppo degli stessi istituti cooperativi. Giuseppe De Lucia Lumeno segretario generale Associazione Nazionale fra le Banche Popolari SPECIALE LA MISSION DI EUROENERGY lA SOLUZIONE ENERGETICA PERSONALIZZATA O ggi non si diventa più ricchi guadagnando, bensì risparmiando. Per molti anni si è pensato che il rapporto tra capitale ed ecologia fosse negativo e che la componente green rappresentasse un ulteriore vincolo alla produzione di ricchezze di un paese. Tale postulato si è rivelato falso se si considerano le spese che l’Italia sta affrontando per colmare i diversi lustri di noncuranza dell’ambiente. Ma per realizzare un sistema competitivo dal punto di novabili di San Giorgio Canavese, vista ambientale, bisogna partire dal basinaugurato nel dicembre dell’anso e occorrono soggetti specializzati in gra- TRA GLI obiettivI di no scorso. La sua realizzazione è do di assistere le imprese verso le scelte più EUROENERGY C’è QUELLO stata importante in termini sia di adeguate. DI fornire soluzioni riqualificazione ambientale sia di Euroenergy fa parte di Eurogroup, una società nata per sostenere lo sviluppo del- complete nel campo delle costruzione di impianti per la prole imprese. Euroenergy è nata nel 2010 e ha rinnovabili attraverso IL duzione di energia. Gli impianuno fotovoltaico e l’altro a biorealizzato 50 impianti per un valore di proprogettO e l’installazione ti, massa, forniscono circa 2.130.000 duzione pari a circa 70 milioni di euro con KW/h all’anno, che corrispondono 30 MW di potenza complessiva. La società ha di impianti fotovoltaici, l’obiettivo di fornire alle aziende di tutta Ita- biomasse, cogenerazione, al fabbisogno annuo di 800 famiglie italiane, ed evitano l’immislia soluzioni complete nel campo delle energie rinnovabili attraverso la progettazione e mini eolico, idroelettrico sione in atmosfera di 676 tonnellate di Co2. l’installazione di impianti fotovoltaici, bioLa riqualificazione ambientale è stata condotta su una vasta masse, cogenerazione, mini eolico e idroelettrico. In forza delle sinergie che in Eurogroup si possono trovare area a destinazione agricola presso l’azienda Cascina del Sol di nelle aziende partecipate, il grande valore aggiunto del servi- San Giorgio Canavese in provincia di Torino ed è avvenuta attrazio di Euroenergy è la capacità di integrare competenze diverse, verso la realizzazione di quattro distinti interventi. Prima di tutfinanziarie, progettuali, tecniche e realizzative, al fine di con- to è avvenuta la bonifica di 7.500 metri quadrati di amianto in seguire la soluzione ottimale per il profilo di investimento del tredici capannoni in disuso, con la contestuale realizzazione sui cliente. Grazie a interventi ad hoc, inoltre, si garantisce un effi- tetti di un impianto fotovoltaico da 1 MWp per la produzione ciente equilibrio tra capitale dei soci, debito e garanzie richieste. di energia elettrica. Si è successivamente costruito un impianto Euroenergy effettua inoltre interventi finalizzati a miglio- a biomassa per la produzione di energia elettrica e termica delrare l’efficienza energetica di una azienda, razionalizzandone i la potenza di 165 kWe; si è sviluppata una rete di teleriscaldaconsumi. L’attenzione all’efficienza, al contenimento dei costi, mento che, attraverso il recupero dell’energia termica prodotal miglioramento delle performance in campo sia civile sia indu- ta dall’impianto di biomassa, riscalda le stalle avicole. Infine è striale, ha avviato un nuovo ciclo del settore della cosiddetta gre- avvenuto il recupero e la ristrutturazione tecnologica dei capanen economy, quello dell’efficienza energetica. Con questo termi- noni avicoli, ripristinando l’originaria attività. La somma complessiva degli investimenti realizzati da Eurone si deve intendere quell’insieme di soluzioni tecniche e comportamentali che portano a un risparmio dei propri consumi energy ammonta a 3,6 milioni di euro. Gli interventi sono duradei vettori energetici. Obiettivo primario di Euronergy è quindi ti circa 18 mesi e il sito su cui si è intervenuti risultava abbanottenere un risparmio attraverso il miglioramento dell’efficien- donato e in condizioni di degrado. L’energia elettrica prodotta za energetica, per conto della propria clientela, rappresentata dagli impianti fotovoltaico e biomassa viene ceduta alla rete e pagata dal Gestore dei Servizi Energetici (Gse) sia in termini di da piccole e medie imprese utenti di energia. Una delle recenti realizzazioni più significative di Euroe- vendita pura sia di incentivo previsto per le fonti energetiche nergy riguarda il polo tecnologico specializzato in energie rin- rinnovabili. [mg] | | 47
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