SPECIALE ENERGIA E AMBIENTE IN CoLLABoRAzIoNE

Supplemento a Tempi n°51/52 del 30 dicembre 2014 - Poste italiane spa - spedizione in a.p. D.L. 353/03 (conv. L.46/04) art. 1 comma 1, DCB Milano
SPECIALE ENERGIA E AMBIENTE
in collaborazione con
I SIGNORI
DELLA NATURA
DAL FUTURO DEGLI APPROVVIGIONAMENTI ALLA RIDUZIONE DELLE EMISSIONI.
IL DESTINO DEL PIANETA è SCRITTO NELL’AMICIZIA TRA L’UOMO E IL CREATO
SOMMARIO
TEMPI
Reg. del Trib. di Milano
n. 332 dell’11/06/1994
settimanale di cronaca,
giudizio, libera
circolazione di idee
Supplemento a Tempi
- Anno 20 - N. 51/52
dal 18 al 30
dicembre 2014
DIRETTORE
RESPONSABILE
LUIGI AMICONE
A CURA DI
Paolo Togni
PUBBLICITà
Viviana Battaini
PROGETTO GRAFICO
Matteo Cattaneo
FOTOLITO E STAMPA
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37131 Verona
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Tempi, Via Confalonieri,
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CONCESSIONARIA
PER LA PUBBLICITà
Editoriale Tempi Duri Srl
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Responsabilità
e sviluppo.
Le ragioni di
un’amicizia
tra uomo e
creato come
antidoto al
catastrofismo
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I costi della
dipendenza
Prospettive di un
paese vincolato
alle importazioni
e che fatica
a trasformare
le sue risorse in
fonti di crescita
Lo Speciale Energia e Ambiente
di Tempi è stato realizzato in
collaborazione con la Scuola
Superiore Territorio Ambiente
Management (SSTAM). La Scuola
è stata istituita dall’Università degli
Studi di Perugia e dal ministero
dell’Ambiente al fine di promuovere
la formazione e la ricerca sulle
problematiche ambientali
integrando competenze giuridiche,
economiche e ingegneristiche
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La rivoluzione
energetica
Nell’ottica di una
trasformazione
del mix utilizzato
il tema della
flessibilità degli
approvvigionamenti
diventa cruciale
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Abitare
sostenibile
Puntare su
un patrimonio
immobiliare più
qualificato ed
efficiente dal
punto di vista
energetico
conviene a tutti
EDITORIALE
L’UOMO, LA TERRA
E LE RAGIONI DI UNA
AMICIZIA PROFONDA
contro la piaga delle teorie catastrofiste e il mantra
della limitazione dei consumi, occorre recuperare
un binomio VITALe: responsabilità e sviluppo. spunti
per un dibattito serio che sfida soprattutto i cattolici
PAOLO TOGNI
direttore
sstam
Docente
universitario,
dirigente della
Pubblica
amministrazione
centrale e locale,
presidente
e consigliere di
importanti società,
oggi Paolo Togni
è direttore della
Scuola Superiore
Territorio, Ambiente,
Management
(SSTAM)
dell’Università
di Perugia
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S
anni Ottanta si stimavano coprire 28 anni di consumondo ottusa ed egoista, tutti i discorsi sulle mi (quindi avrebbero dovuto essere già esaurite), ed
impronte ambientali e le conseguenti consi- oggi sono accertate per i prossimi 41 anni. Nessuna
derazioni sulla eccessiva quantità di consumi che il preoccupazione è lecita per la disponibilità di carbonostro modo di vita determina, principalmente nei ne, assicurata per svariate centinaia di anni; e parsettori alimentare ed energetico. Così come è sacro- tendo dal carbone è possibile produrre tutti i derivasanto qualunque richiamo ad un uso responsabile del- ti del petrolio. Nel calcolo delle riserve accertate non
le risorse naturali e a un loro non abuso, nello stesso sono comprese, poi, le oil sands, gli scisti bituminosi,
modo ritengo debba considerarsi frutto di irresponsa- il nucleare, l’espansione delle rinnovabili e il migliobilità o di egoismo l’invito alla limitazione dei consu- ramento dell’efficienza energetica. Né, evidentemenmi. Non vale la logora argomentazione, sempre smen- te, eventuali oggi sconosciute tecnologie per la protita dai fatti fin dal momento della sua prima formu- duzione o l’uso dell’energia, delle quali è ragionevolazione, dei “limiti allo
sviluppo”; essa si basaLe risorse ci sono e ci saranno, a condizione
va sulla erronea preche si vogliano sfruttare, e saranno per tutti,
sunzione dell’imposa condizione che le sappiamo dividere equamenTE
sibilità di espansione,
derivante dalla accertata (dai suoi sostenitori) scarsità di combustibili fossili e le prevedere la scoperta nei prossimi decenni.
Sulla base di questi dati, chi parla di una prevedinella insufficiente (secondo gli stessi figuri) produziobile scarsità di energia o di cibo in un futuro ragione e distribuzione di risorse alimentari.
Per quanto riguarda la produzione di beni ali- nevole è un imbecille o un mascalzone. Le risorse ci
mentari, le serie storiche evidenziano non solo sono e ci saranno, a condizione che si vogliano sfrutun continuo sviluppo quantitativo, ma anche una tare, e saranno per tutti, a condizione che le sappiamigliore distribuzione, se è vero, come è vero, che la mo dividere equamente. Naturalmente, il petrolio
percentuale di popolazione con prevedibili difficoltà non estratto (vedi Basilicata e Adriatico) non torna a
ad avere un soddisfacente livello alimentare è passa- vantaggio di nessuno; gli Ogm non seminati non alita dal 25 per cento della popolazione mondiale nel mentano nessuno; e così via.
Accertato che i beni essenziali non mancheran1970 all’11 per cento nel 2012 (dati Fao).
Lo stesso vale per le riserve di combustibili fos- no, è però estremamente importante impegnarsi
sili, che, per quanto riguarda gli idrocarburi, negli per ottenere una migliore – cioè più giusta – distriono poco significativi, e frutto di una visione del
buzione dei beni tra tutti gli uomini; e, poiché non
si può distribuire quello che non si è prodotto, gli
sforzi operativi e di comunicazione orientati ad
aumentare il volume complessivo della produzione
e a migliorarne la qualità sono altamente meritevoli; anzi, sono addirittura necessari. Come meritevoli, del resto, in barba a qualunque congrega sindacale, sono gli sforzi per migliorare la resa della produzione (rapporto tra materie prime utilizzate e quantità di prodotto ottenuto) e la sua produttività (rapporto tra costo, tempo lavorato e quantità di prodotto).
Tutto questo ragionamento, naturalmente, deve
essere attuato senza mai trascurare la necessaria
tutela per l’ambiente, per il quale, peraltro, già le tecnologie attuali, se correttamente utilizzate, ci garantiscono che possa essere mantenuto il rispetto necessario: e figuriamoci quello avvenire. E poiché mi trovo in un contesto cattolico, qui vorrei focalizzare il
ragionamento sulla visione che sull’argomento ha
avuto, ha ed avrà il mondo cattolico.
La Chiesa e il rispetto del mondo
L’amore per il Creato nutrito dai cristiani affonda le
proprie radici nella Genesi, dove esplicitamente tutto ciò che il Padre Eterno, uno e trino prima dell’inizio dei tempi, aveva creato dal nulla e giudicato buono viene affidato ad Adamo, che ne diviene consegnatario a nome dell’umanità, perché lo comandi e lo
usi nell’interesse suo e della sua discendenza. Per lungo tempo tra uomo e ambiente non ci furono grandi
problemi di rapporto, ed essi vissero in perfetto accordo; poi, venendo avanti con i tempi ed aumentando la
presenza e l’impatto degli uomini sulla Terra, cominciarono i primi problemi, aggravati dalla visione platonica dell’umanità, i membri della quale sentivano
di essere composti da anima e corpo attivi non uni|
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editoriale
tariamente, ma in una dialettica dell’una spirituale no a partire da S.S. Pio XII, della Pontificia Commiscon l’altro materiale e quindi più immerso nel mon- sione “Iustitia et Pax”, custode della Dottrina Sociado circostante e nell’ambiente. In conseguenza a que- le Cristiana, e della Pontificia Accademia delle Sciensto atteggiamento, l’uomo non si approcciava in modo ze; da questi atti le fondamenta della visione dell’amunitario agli altri esseri viventi e al Creato. Furono san biente e della sua tutela da parte della Chiesa emerFrancesco d’Assisi e san Tommaso d’Aquino a deter- gono chiare e forti. Esse riposano sui principi dell’anminare, con fede e intelletto particolarissimi, anche tropocentrismo, dell’obiettivo primario della salvezuna migliore determinazione del rapporto tra i figli za delle anime, del rispetto e dell’amore per il Creato
di Dio e il resto del Creato. Si trattò di un’operazione e per tutte le creature del Signore; è chiaro a chiuncontemporaneamente mistica e filosofica, nella quale que abbia anche sommariamente approfondito l’ari due santi si impegnarono pressoché
l’uomo è l’unico essere dotato di intelligenza, anima
nello stesso tempo
e libero arbitrio nel Creato, e perciò gli incombe
anche se da versanuna forte responsabilità verso le altre creature
ti diversi: tra lo spirito più mistico ed
il pensatore più potente che il mondo abbia visto nel- gomento che fondamenta altrettanto forti ne sono la
la sua storia si integrò una nuova visione antropologi- corretta acquisizione dei risultati scientifici raggiunti
ca integrale. I due definirono una visione dell’uomo al momento della pronunzia, e l’assenza di pre-giudied un sistema di vita che, ricomponendo l’uomo nel- zi e posizioni ideologiche di qualunque tipo.
la sua unità, lo mettesse in grado di avere un rapporto sereno, caratterizzato da rispetto ed affetto, con gli Il senso (e la sfida) di questo speciale
altri esseri. Nel corso dei secoli, poi, in molte occasioni Anche dal rapporto tra uomo e ambiente, dunque,
la Chiesa parlò di questo rapporto, ponendone i termi- scaturisce la conferma del principio già affermato
ni in maniera coerente: l’uomo è l’unico essere dota- da san Tommaso e ribadito mirabilmente da Beneto di anima, intelligenza e libero arbitrio esistente nel detto XVI, per il quale scienza e fede, figlie entramCreato, e perciò gli incombe una forte responsabilità be dello stesso Creatore, non possono in alcun modo
verso tutte le altre creature; esse poi non possono esse- trovarsi in contrasto tra di loro. Appare però necesre ritenute titolari di diritti, ma la loro esistenza deter- sario, mentre si attende l’enciclica sull’ambiente e in
mina il sorgere di doveri dell’uomo verso di loro: usar- un momento nel quale il dibattito sull’argomento sta
ne per le proprie necessità, ma non abusarne; garan- tornando ad essere vivace, approfondire e dettagliare
tirne nei limiti del possibile le buone condizioni di una posizione dei cattolici sull’argomento. Coinvolvita; impedire che subiscano violenze o dolori evitabi- gendo le molte menti brillanti che ci sono nel nostro
li, sono tra i principali.
ambiente, e mettendo insieme risorse scientifiche,
Nel deposito della fede, tuttavia, non sono sta- operative e politiche dotate di competenza e di espete frequenti nel passato pronunzie esplicite e diret- rienza, l’impresa può essere avviata con ottime spete a proposito di ambiente, e ciò ha determinato il ranze di successo; che, naturalmente, non si misurefatto che molti bravi cristiani abbiano interpretato rà dal numero di pagine che i giornali vorranno dedila scarsità di materiali aventi ad oggetto specifico il care all’iniziativa, ma dalla serietà e dall’impegno
rapporto tra uomo e ambiente segno della poca rile- che coloro che vi parteciperanno vorranno mettere
vanza dell’argomento; ed in effetti solo negli ultimi nell’impresa e di coloro che se ne renderanno partecidecenni si trovano negli atti del Magistero interventi pi. In questo spirito ricade anche l’aver messo insieme
che tocchino direttamente ed esplicitamente il rap- questo speciale, sperando che esso possa essere riteporto tra l’uomo ed il resto del Creato, definendone nuto non solo una panoramica del quadro energetico
la visione complessiva e cominciando ad inquadrare attuale, ma anche un piccolo contributo a quanto la
sistematicamente la materia. Ricordo in questo sen- Chiesa e il mondo si aspettano da noi.
so dichiarazioni e pronunzie dirette dei papi, almetognipaolo@gmail.com
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SPECIALE
LE LEGGI NEBULOSE
NON HANNO MAI
PORTATO IL SERENO
LA STORIA della PROTEZIONE E della tutela del territorio
è costellata di tentativi di riforma e riscrittura delle
regole, spesso naufragati. come il codice ambientale
del 2006, affondato da ideologie dure a morire
A
gli albori del Novecento, per non andare più
indietro, l’attenzione al paesaggio ed inconsapevolmente all’ambiente veniva in rilievo
soprattutto nella normativa sull’uso ed il contenimento delle acque pubbliche e private, lo sviluppo dei
canali di irrigazione, la bonifica delle località malsane, lo sfruttamento delle risorse idriche per la produzione di energia, la costruzione e manutenzione delle vie di comunicazione stradale e ferroviaria; mentre,
per i centri urbani funzionavano i regolamenti edilizi comunali con le norme igienico sanitarie sugli insediamenti abitativi e i servizi della viabilità, dell’ordine pubblico e cimiteriali. Faceva caso a sé la legge speciale per il risanamento della città di Napoli, improntata dalla programmazione dell’intervento pubblico.
Non si percepivano problematiche ambientali al di là
di una non ben definita nozione del territorio, prevalentemente collegata allo sfruttamento della proprietà agraria secondo le norme del diritto privato.
Una prima cognizione inerente alla valenza
ambientale, cominciò a configurarsi nelle leggi sui
beni culturali che codificarono il principio dell’interesse pubblico, l’obbligo di conservazione e poteri
strumentali della pubblica amministrazione per le
opere d’arte di interesse storico ed archeologico insieme a monumenti ed immobili, e poi (1912) la tutela
delle ville, i parchi, i giardini, insieme alle cosiddette
“bellezze naturali” e alle “bellezze panoramiche” che
furono incluse tra i beni e gli oggetti sottoposti a tutela e valorizzazione del governo nella legislazione sui
beni ed attività culturali degli anni ’39-’40, cui facevano da corollario le prime istituzioni dei parchi naturali a protezione della flora e della fauna e della biodiversità; che hanno poi portato a delineare nei prin-
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cipi fondamentali della Costituzione (art. 9) il “programma culturale” unitariamente incentrato sulla
valenza del rapporto uomo-cultura ed uomo-ambiente, impegnando la Repubblica a promuovere lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica ….
e a tutelare il paesaggio ed il patrimonio storico ed
artistico della Nazione.
Su tale visione unitaria dei beni culturali e
dell’ambiente hanno fatto seguito, tra gli anni Cinquanta e Settanta, gli studi e gli approfondimenti
delle Commissioni governative (Franceschini, Papaldo, Chigi e Fanfani) al cui esito la conservazione della
natura e delle sue risorse, nonché la tutela degli equilibri ecologici compatibili dell’ambiente e dell’atmosfera prospettarono una nozione di ambiente più articolata e si potrebbe dire differenziata rispetto all’originaria valenza culturale: e da allora, nonostante
l’istituzione dell’unico Ministero dei beni culturali
ed ambientali (1974), l’ambiente fu inteso non solo e
non tanto come paesaggio–bene culturale conformato dall’azione umana, quanto e piuttosto come il circostante intorno agli insediamenti e alle attività, da
difendere e valorizzare rispetto ai possibili fattori di
aggressione (stravolgimenti, inquinamenti e distruzioni) da allora in avanti sempre più divenuti oggetto
della normativa, anche sovranazionale ed internazionale in materia ambientale.
Vi è stata infatti tra gli anni Settanta e Ottanta
l’intensa attività delle organizzazioni internazionali verso la preservazione e la protezione della natura e la difesa dell’ambiente dall’azione umana, a più
riprese codificata e riconosciuta nelle dichiarazioni
dei governi dei paesi partecipanti, che oltre agli impegni programmatici ha stimolato, per quanto ci riguar-
da, l’Unione Europea e il nostro paese all’emanazione
di regolamenti e direttive ed al loro recepimento, con
particolare attenzione sia verso la tutela e la valorizzazione delle risorse naturali e del paesaggio, sia verso la tutela dell’ambiente, con disposizioni conformative sempre più stringenti delle attività umane, volte
a prevenire disastri ambientali ed inquinamenti oltre
i limiti di compatibilità mediante l’intreccio di autorizzazioni, controlli, sanzioni e azioni ricostitutive.
Tale specifico profilo delle azioni di governo a tutela, preservazione e valorizzazione dell’ambiente ha
dato luogo, nel giro di una decina d’anni, al distacco
delle competenze relative alle problematiche ambientali dal complesso funzionale originariamente attribuito al ministero dei Beni multurali ed ambientali, con la
creazione del ministero dell’Ambiente (1986) poi evoluto (1999-2006) in ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio del mare. Le denominazioni rispecchiano lo stato dell’evoluzione della disciplina ambientale,
mai separata dall’utilizzo del territorio e dall’urbanistica, nell’intricato intreccio di competenze tra enti locali, Regioni, governo centrale esteso, a livello regionale,
non funzionano, impantanate nella mostruosa complessità delle procedure, esposte all’inefficace inerzia
e, nei casi peggiori, frustrate tra le pieghe infingarde
della corruzione.
Quell’occasione persa
Tutto questo, per dire che, forse, allorché nel 2006 si
pose mano all’attuazione della “delega ambientale”,
l’illusione di risolvere efficacemente la preoccupazione ambientale con un corpo normativo giusto e coerente al primato dell’uomo, secondo regole e modalità della fruizione riportate alla sua responsabilità,
riconducendone il fondamento al contesto dei valori e dei princìpi sanciti nel corpus del diritto naturale, non aveva gran fondamento. Per quanto non ci si
sia sottratti alla fascinazione, corretta, dell’idea per
la quale la questione relativa all’ambiente non poteva diversamente delinearsi in termini di diritto positivo se non considerando che il corpo delle norme del
diritto naturale rileva ai fini della ricognizione e della
fondazione della norma morale che porta ai giudizi e
alla scala dei valori presupposti alla produzione delle leggi finalizzate
alla fruizione comtra gli anni Settanta e Ottanta l’attività delle
patibile con la salorganizzazioni internazionali ha puntato alla
vaguardia, la tutela
preservazione della natura dall’azione umana
e la valorizzazione
dell’ambiente al serall’esercizio delle funzioni relative alla tutela e valoriz- vizio dell’uomo, e ne costituisce il dato metagiuridico secondo linee che, nel rispetto dello statuto natuzazione del paesaggio a valenza culturale.
rale di tutte le componenti, aprano alla concreta posPolverizzazione e istituzioni in conflitto
sibilità della “fruizione legittima” intesa come utilizTralasciando anche il benché minimo cenno al com- zo responsabile dell’ambiente improntato al principlicatissimo sistema del frazionamento, e quindi del- pio della conservazione attraverso l’uso amorevole e
la confusione delle competenze a tutti i livelli istitu- prudente a garanzia della salvaguardia delle risorse
zionali, che ha portato all’estrema difficoltà, se non per le generazioni future. Però, appena nato, il “codialla paralisi, di efficaci azioni nella tutela e valorizza- ce ambientale” del 2006 finì tra le pregiudiziali ideozione paesaggistico-ambientale, va detto che i tentati- logiche sorrette dallo scadimento culturale innalzavi (2002-2006-2009) di codificazione (rectius, riduzio- to nel vessillo del pecoraro, che non tardò, invocanne a testi unici) delle numerosissime disposizioni legi- do falsamente princìpi e valori di derivazione comuslative nelle materie dei beni culturali, del paesaggio nitaria, a mistificarne il canone fondamentale della
e dell’ambiente, seppure hanno portato un po’ di ordi- coerenza all’ordine stabilito dalle leggi di natura che
ne non hanno tuttavia risolto il problema della polve- fondano lo statuto normativo di tutte le componenti
rizzazione delle competenze e dei relativi conflitti nei onde garantirne il processo vitale naturale ed attingequali beni culturali, paesaggio ed ambiente sono tut- re al bene del fruitore e del fruito che coincide con il
tora avviluppati per il limite dell’infelice assetto costi- “bene comune”; l’altro cardine, di natura teleologica,
tuzionale della ripartizione dei poteri tra Stato-Regio- che era stato posto a fondamento dell’intero comparto della normazione del “codice ambientale”; valore
ni ed Enti locali delineata nelle riforme del 2001.
Se si aggiunge il bieco burocratismo formalisti- assolutamente indifferente alle ideologie ambientaco in cui è sempre più precipitata l’amministrazio- liste, notoriamente ispirate alla concezione dell’amne degli interessi della collettività, al quale i nostri biente come bene e fine assoluto fino alla contrapgovernanti si illudono di rimediare attraverso ripe- posizione ed alla prevalenza sul primato umano. Ed
tuti interventi legislativi schizofrenici, con il risulta- i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Se non verranto di rendere sempre più vischiosa qualsiasi azione no tempi nuovi, ogni sforzo rimarrà vano, con buona
verso la soluzione dei problemi, ci si spiegano facil- pace per l’articolo 9 della Costituzione.
mente le ragioni per cui le pur apprezzabili costruGiampaolo Maria Cogo
zioni organizzative e funzionali della codificazione
consigliere SSTAM
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speciale
L’
inquinamento dell’aria è in gran parte
SPERIMENTAZIONI INTERESSANTI
causato dalle attività umane, in particolare a seguito della combustione
di carburanti fossili. Una peculiarità dell’inquinamento atmosferico è quella di non rimanere confinato nell’atmosfera ma di potersi anche depositare al suolo, o sulle acque
di superficie, raggiungendo in alcuni casi le
acque di falda; mentre non è vero il contrario: l’inquinamento dell’acqua e del suolo,
in condizioni normali, non si trasferisce in
atmosfera. Inoltre, l’inquinamento, modulato dai fenomeni meteorologici, si propaga e si diffonde in modo rapido, esteso ed incontrollabile anche intervento su molteplici fonti di emissioni variamente distribuida un paese all’altro e da un continente all’altro (inquinamen- te, come l’inquinamento da traffico automobilistico o da riscaldato transfrontaliero). Questo suggerisce di non tralasciare il mo- mento domestico presenti sul territorio urbano. Le fonti distribunitoraggio meteorologico al suolo e in quota in particolare del ite, infatti, singolarmente emettono una quantità molto inferiore
movimento delle masse d’aria che devono essere valutati a livel- di inquinanti e l’intervento su ogni singolo elemento, oltre ad eslo locale, regionale e nazionale. Gli esseri viventi assimilano le so- sere di non facile attuazione, produce risultati non certi.
stanze inquinanti atmosferiche principalmente attraverso il respiro e in maniera indiretta, attraverso la catena alimentare, con Strategie diverse per emissioni diverse
effetti negativi sull’uomo e su tutto il mondo animale e vegetale. In conclusione, l’abbattimento delle emissioni industriali, con
Tutto questo mette in evidenza la pericolosità dell’inquinamento particolare riferimento ai grandi impianti, è una strada da perdell’aria e il relativo rischio sanitario da cui l’interesse per lo stu- correre per riuscire ad ottenere un significativo abbattimento
dio e l’individuazione di interventi preventivi e/o riparativi.
dell’inquinamento dell’aria (come indica la Direttiva europea
L’Unione europea, che si occupa da circa 50 anni dell’inqui- 2010/75). Non vanno, al contempo, trascurati interventi di abbatnamento atmosferico, ha dichiarato il 2013 “anno dell’aria”. No- timento delle emissioni per le fonti variamente distribuite che
nostante la UE abbia emanato provvedimenti che hanno contri- nel tessuto urbano sono significative e che vanno affrontate con
buito ai progressi, sia per migliorare la qualità dei carburanti, sia provvedimenti mirati e diversificati per tipologie di impianti e
per controllare le emissioni di sostanze nocive nell’atmosfera, il di utenza (si veda in proposito la direttiva 2008/50/CE). In partiproblema inquinamento
colare attraverso un approcdell’aria rimane oggi ancocio sistemico, multidiscipliGLI scienziati di Enea hanno CREATO una nare ed integrato, nuove
ra irrisolto. Questo risulta
dall’ultimo rapporto sulla
linea di ricerca applicata che, GRAZIE metodologie applicative e
qualità dell’aria in Europa,
modelli matematici più rapA strumenti innovativi, ha portato
recentemente pubblicato
presentativi del territorio
alla messa a punto di metodi e
dall’Agenzia Europea per
sono stati finalizzati, anche
l’Ambiente (Aea), nel quacon l’ausilio delle reti neustrumenti per migliorare la gestione
le si evidenzia che un’alta
rali, al miglioramento della
dell’INQUINAMENTO nei siti industriali
percentuale delle persone
qualità dell’aria in ambito
che vive nelle città dell’Ue
industriale. Questo obiettiè esposta a livelli di inquinanti atmosferici, ritenuti nocivi per la vo è stato perseguito anche da alcuni scienziati di Enea che, in
salute dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms).
particolare, con l’analisi e lo studio dei fenomeni fisico-meteoroIl rapporto “Costs of air pollution from European industrial logici e dei meccanismi di dispersione degli inquinanti che avvenfacilities – an updated assessment” evidenzia, inoltre, che l’1 per gono all’interno del Planetary Boundary Layer (Pbl), hanno svicento delle industrie europee da sole producono circa il 50 per luppato una linea di ricerca applicata che, attraverso l’utilizzo di
cento dell’inquinamento atmosferico che respiriamo in Europa. strumenti innovativi, ha portato alla realizzazione e messa a punTutto questo si traduce anche in costi per la comunità. Dal rap- to di metodi e strumenti per migliorare la gestione della qualità
porto risulta che gli impianti industriali maggiormente inqui- dell’aria nei siti industriali. Tali risultati sono stati sperimentati
nanti si trovano in Bulgaria, Polonia, Romania, Germania, In- ed applicati con successo presso il Consorzio industriale della Valghilterra; ma anche l’Italia, con l’Ilva di Taranto ventinovesima, le del Biferno1, con il supporto della Regione Molise e di alcune
concorre per le prime posizioni. Tra le fonti di inquinamento im- università italiane, europee, americane e russe, e sono facilmente
messe in atmosfera quelle originate da impianti industriali risul- replicabili ad analoghe realtà industriali. Le analisi di tipo “tecnitano essere preponderanti. L’inquinamento atmosferico di tipo co” e i relativi risultati fin qui esposti possono essere una chiave
industriale è caratterizzato dal fatto che vengono generate alte di lettura del problema “inquinamento dell’aria” per gli amminiconcentrazioni di inquinanti emesse da un’unica fonte: tipica- stratori locali ed i politici: a questi ultimi il compito di agire per
mente la bocca del camino di un impianto. Questa alta quanti- tutelare l’ambiente e la salute dell’uomo.
tà di emissioni, circoscritta in un punto definito, ci permette di
M.C. Mammarella, G. Grandoni, R.A. Di Marco
poter intervenire in modo preciso e diretto per ottenerne un abEnea, Agenzia nazionale per le nuove tecnologie,
battimento (ad esempio con i filtri idonei); più difficile invece un
l’energia e lo svilippo economico sostenibile
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aria PIù PULITA
CON L’AIUTO
DELL’INDUSTRIA
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il servizio idrico integrato
iL QUADRO NORMATIVO
CHE FA ACQUA non ci
permette di crescere
L
costituisce un’indispensabile esigenza
per garantire il benessere delle generazioni future e la stessa conservazione della civiltà moderna, il cui progresso si è fondato (talvolta non senza abusi) su di uno
sfruttamento sempre più intensivo, cui dovrà affiancarsi, oggi più che in passato, una
maggiore tutela di tutti quei beni che sono
essenziali per la vita.
Come ci è stato autorevolmente ricordato dal Santo Padre nella sua visita di fine novembre al Parlamento europeo, «rispettare l’ambiente significa non solo limitarsi ad
evitare di deturparlo, ma anche utilizzarlo
per il bene». In questa prospettiva, anche le
risorse idriche (fonte essenziale di sostentamento e di sviluppo delle collettività) costituiscono un bene naturale che deve ricevere la massima tutela e protezione, ma che, al
contempo, deve essere utilizzato al meglio
per garantire a tutta la società di poterne beneficiare appieno.
a salvaguardia delle risorse naturali
Una rete trascurata
Secondo gli esperti, la storia moderna
dell’infrastrutturazione idrica italiana prende avvio negli ultimi trent’anni del XIX secolo e, da qui in avanti, si caratterizza per una
la storia moderna dell’infrastrutturazione
serie di interventi realizzati quasi ad “ondate”, senza essere accompagnata da un’adeidrica italiana prende avvio negli ultimi
guata e costante opera di conservazione e di
trent’anni del XIX secolo e si caratterizza
manutenzione. I singoli comuni hanno geper una serie di interventi realizzati quasi
stito i servizi idrici in modo frammentato
e disomogeneo fino all’avvento della legge
ad “ondate”, senza un’adeguata e costante
Galli (36/1994), che ha prefigurato una riforopera di conservazione e manutenzione
ma radicale del settore attraverso il consolidamento di tutte le componenti (di acquedotto, fognatura e depurazione) nel servizio idrico integrato e d’ambito), nel quale sono individuati gli investimenti necessaun’integrazione orizzontale tra gli enti locali a livello di ambiti ri per garantire ai cittadini servizi adeguati e i livelli tariffari
destinati alla copertura di tali investimenti (soprattutto in un
territoriali ottimali (Ato).
Un territorio più vasto (l’Ato), una programmazione unita- momento, quale quello attuale, in cui le risorse pubbliche soria fra gli enti locali (fino ad arrivare alla costituzione, da ul- no assai limitate). Secondo una recente ricerca condotta dallo
timo, dell’ente d’ambito) e un gestore unico incaricato degli Iefe dell’Università Bocconi, il fabbisogno per investimenti stiinvestimenti (di ampliamento e manutentivi) su tutta la filie- mato pro-capite è pari a circa 80 euro all’anno (valore in linea
ra idrica. La programmazione del servizio e degli interventi è con quello degli altri paesi avanzati): si tratta di un dato più
affidata ad uno strumento di pianificazione unitario (il piano che doppio rispetto a quello mediamente previsto dai piani
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speciale
Lo scenario è quindi critico:
aumentare sensibilmente le tariffe
(fino a raggiungere i livelli degli
altri paesi europei) per garantire
l’effettiva finanziabilità delle opere
(salvo il ricorso a ulteriori
prelievi fiscali, quali le tasse di
scopo), o mantenere lo status quo,
con disservizi e inadeguatezze?
d’ambito, che sono già in grande difficoltà nel finanziare gli
investimenti con incrementi tariffari (socialmente) accettabili.
Lo scenario che ci si pone dinanzi è quindi critico: aumentare
sensibilmente le tariffe (fino a raggiungere i livelli degli altri
paesi europei) per garantire l’effettiva finanziabilità delle opere (salvo il ricorso ad ulteriori prelievi fiscali, quali le tasse di
scopo), oppure mantenere lo status quo, con disservizi e inadeguatezze sempre più croniche (soprattutto nel settore della depurazione).
Il compito della politica
In questo complicato scenario, la politica è chiamata ad un
compito arduo, anzitutto sotto il profilo dell’individuazione di
regole certe e stabili. Come ben sappiamo, purtroppo, il quadro normativo in materia di servizio idrico integrato è il risultato della successione e stratificazione di molteplici interventi
normativi e di una lunga serie di modifiche legislative e regolamentari. Dopo la legge Galli, vi è stato un unico (e valido) tentativo, volto a dare unità e coordinamento alle norme in materia ambientale, con l’adozione del decreto legislativo 152/2006
(il cosiddetto Testo Unico Ambiente); dopo di esso, il legislatore è tornato, in più occasioni, ad operare interventi frammentati e poco organici, seppur talvolta ispirati a condivisibili
istanze di rinnovamento.
In questa prospettiva, certamente positiva è la scelta di
trasferire all’Autorità per l’energia (oggi Autorità per l’Energia elettrica, il gas e il sistema idrico) le competenze in mate12
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ria di tariffe del servizio idrico integrato, soprattutto alla luce
dell’esperienza maturata nel settore energetico. Più di recente,
tuttavia, il legislatore nazionale sembra nuovamente (e improvvidamente) ricaduto nei difetti di un tempo, principalmente
imputabili alla scarsa chiarezza degli obiettivi, da cui derivano
tentennamenti nelle scelte e instabilità delle regole.
Così, dapprima il Parlamento è intervenuto, in sede di
conversione del decreto legge Sblocca Italia, al fine di adottare nuove (ed interessanti) misure urgenti a tutela del servizio
idrico integrato: da un lato, ripristinando il requisito dell’unicità della gestione per ciascun ambito territoriale ottimale
(in luogo di quello, assai meno stringente, dell’unitarietà) e,
dall’altro, limitando il ricorso all’in house providing alle sole
società partecipate direttamente ed esclusivamente da enti locali ricadenti nell’ambito.
Soprattutto quest’ultimo intervento si distingue per la
sua valenza politica, in quanto introduce un limite (al ricorso
all’in house providing) secondo una logica pro-concorrenziale che è stata pienamente legittimata anche dalla Corte costituzionale, considerato che «al legislatore italiano non è vietato adottare una disciplina che preveda regole concorrenziali
(…) di applicazione più ampia rispetto a quella richiesta dal
diritto comunitario». Tuttavia, a distanza di pochissimi giorni dall’approvazione delle legge di conversione del decreto, lo
stesso parlamento (che aveva testè introdotto i citati limiti) interviene nuovamente sul medesimo argomento (e lo fa, ironia
della sorte!,) con la legge di Stabilità, che (nel testo licenziato
dalla Camera dei Deputati in sede di prima lettura) elimina il
vincolo della partecipazione diretta ed esclusiva degli enti locali, di fatto disconoscendo quanto stabilito dalla medesima
Assemblea legislativa solo pochi giorni prima.
La schizofrenia, in ambito normativo, è un lusso che davvero non possiamo permetterci e sarebbe auspicabile una maggior consapevolezza, da parte del legislatore, circa le conseguenze delle proprie scelte.
In un periodo tanto delicato per la ripresa del nostro sistema paese, al di là dei problemi particolari del settore idrico, una cornice giuridica stabile è uno dei principali fattori di
competitività, che può dare certezze agli operatori ed incoraggiare gli investimenti.
Luca Guffanti
avvocato
speciale
F
ortunatamente, da qualche tempo, pola lezione (incompresa) del santo di assisi
nendo il tema del rapporto dell’uomo,
dell’umanità, con l’ambiente naturale
si “ri”comincia a parlarne nei termini di custodia del Creato, superando, se non totalmente almeno in gran parte, l’ecologismo
ideologico emotivo dominante negli ultimi
trent’anni. Il tema del positivo rapporto fra
l’uomo/umanità e l’ambiente naturale è posto nei termini di custodia e rispetto in tutte le grandi religioni storiche e, per i cristiani, ha fondamenta su tutto l’insegnamento
biblico, evangelico, della Chiesa, dagli antichi padri sino ad oggi, come ha mirabilmente dimostrato Paolo Portoghesi nel suo
ultimo libro.
San Giovanni Paolo II; Benedetto XVI e
Francesco, hanno dedicato speciale attenl’uomo sia al centro della creazione, al posto dove Dio – il crezione al tema. Per noi delle fondazione Soatore – lo ha voluto».
rella Natura e per tanti altri, il tema della
custodia del Creato trova particolare fondaIl rischio di una interpretazione panteistica
mento in tutto il messaggio di San Francesco
d’Assisi, sintetizzato nel Cantico delle CreaIl cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin nell’intervento, il
ture. La moderna traduzione di tutto quan23 Ottobre al convegno dedicato al Codice 338, che ha aperto la
to sopra sta nell’espressione “economia solicampagna “Amor Creationis” della nostra fondazione ha detto:
dale e sviluppo sostenibile”, che coniuga le
«San Francesco d’Assisi, predicava agli uccelli (…) ecco san Frantematiche dell’ecologia umana e dell’ecolocesco d’Assisi che, col Cantico delle creature, apre nella storia
gia ambientale-naturalistica. Tutto questo si
dell’umanità una sensibilità di lode verso tutta la creazione che
colloca in una solida concezione antropoloè fondamento della cultura cristiana e dell’azione della Chiegica, propria dell’insegnamento biblico ed
sa oggi in particolare. (…) Tornando a san Francesco d’Assisi e al
evangelico e, quindi senCantico delle creature dobza ombra alcuna di dubbiamo ricordare che questo
«il Cantico delle creature conferma la canto di lode al Creatore
bio, nell’insegnamento di
visione teocentrica e antropocentrica conferma la visione teocensan Francesco.
Il santo serafico purdi san Francesco d’Assisi, che non può, trica e antropocentrica di
troppo è stato ed è strusan Francesco d’Assisi, che
non deve esser presentato, come
mentalizzato come un
non può, non deve esser
eco-pacifista biocentrista.
presentato, come strumenstrumentalmente alcuni fanno, come
Questo è sbagliato, falso;
talmente alcuni fanno, cofautore di una cultura biocentrica»
spesso in malafede. Non
me fautore di una cultura
lo diciamo noi ma papa
biocentrica, che spesso sciBenedetto XVI nella catechesi ai 9 mila scolari custodi del crea- vola nel relativismo e nel panteismo. Francesco libera le tortoto di Sorella Natura all’udienza del 27 novembre 2012, e papa re, converte il lupo, predica agli uccelli, ama le creature tutte
Francesco nel discorso del 19 Marzo 2013: «custodiamo Cristo ma non le confonde con l’uomo. Francesco è vessillifero della
nella nostra vita per custodire gli altri, per custodire il creato. pace, di quella del Cristo. Vi do la mia pace… il 29 Novembre,
La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi all’inizio del suo pontificato san Giovanni Paolo II, con il breve
cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemen- Inter Omnes, proclamava san Francesco d’Assisi celeste patrote umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bel- no dei cultori dell’ecologia. E il 29 novembre Sorella Natura rilezza del creato… come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è corda ogni anno, specialmente ai giovani e alle scuole, Giovanni
l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui Paolo Il. Il Papa santo poneva così un punto fermo nella queviviamo». Ancora papa Francesco nell’omelia alla Messa del 4 stione ambientale, indicando come per i cristiani vi fossero fonOttobre 2013 in Assisi: «San Francesco viene associato da molti damenta ben più solide dell’ideologia, dell’emotività, del cataalla pace ed è giusto… la pace francescana non è un sentimento strofismo, del malthusianesimo e nell’ecologismo che, talvolta,
sdolcinato. Per favore questo San Francesco non esiste! E nep- sfocia nella violenza contestataria. Il tema ambientale, declinapure è una specie di armonia panteistica con le energie del co- to nella prospettiva dello sviluppo sostenibile e dell’economia
smo… anche questo non è francescano! Anche questo non è solidale, era ed è nelle cure della Chiesa». Altri insegnamenti
francescano ma è un’idea che alcuni hanno costruito. Il san- verranno dall’enciclica sulla custodia del creato che papa Franto di Assisi testimonia il rispetto per tutto ciò che Dio ha crea- cesco sta personalmente scrivendo.
to, senza sperimentare sul creato per distruggerlo e soprattutRoberto Leoni
to testimonia che l’uomo è chiamato a custodire l’uomo, che
presidente della fondazione Sorella Natura
così SAN FRANCESCO
CI INSEGNA A ESSERE
CUSTODI DEL CREATO
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13
speciale
LA DIPENDENZA
DALL’ESTERO
PRESENTA IL CONTO
IDROCARBURI, RINNOVABILI, GAS, ELETTRICITà. il destino
dell’italia è sempre più legato alle importazioni.
LUCI E OMBRE DI UN SISTEMA CHE FATICA A TRASFORMARE
LE RISORSE DISPONIBILI IN DRIVER DI SVILUPPO
L
a domanda energetica accompagna da
sempre l’evoluzione economica di
un paese, creando un intreccio indissolubile per il suo sviluppo. Il progresso
economico, infatti, non può prescindere
dalla disponibilità di energia, e quest’ultima dall’andamento economico del paese.
In Italia, dal post-dopoguerra, la domanda energetica è cresciuta anno per anno,
spinta dalla necessità di ricostruire il paese, poi trainata dal boom economico che
si è registrato. Da allora anche l’evoluzione della domanda elettrica non ha fatto registrare nessuna contrazione, almeno fino alla crisi economica innescatasi
nel 2008 e che ha colpito l’intera economia mondiale. Limitando l’analisi all’evoluzione del nostro sistema energetico
nell’ultimo ventennio, dal 1990 ad oggi,
il fabbisogno energetico italiano è cresciuto nel tempo passando da circa 163,4
Mtep del 1990 ai quasi 171 Mtep del 2013.
Il nostro paese è stato interessato da
un incremento costante della domanda
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energetica che ha subito un rallentamento a seguito della crisi economica che ha
colpito le economie mondiali tra il 2008
e il 2010, ma i cui effetti continuano a farsi sentire ancor oggi. La copertura è stata prevalentemente garantita dai prodotti petroliferi, anche se il loro contributo
è progressivamente calato, passando dal
56,6 per cento del 1990 al 52 per cento del
2000, per attestarsi a quasi 33 per cento
nel 2013. A questa progressiva contrazione è corrisposto un incremento inesorabile della partecipazione alla copertura del
fabbisogno del gas naturale. La domanda
di gas naturale è, infatti, cresciuta notevolmente passando da circa 39 Mtep del
1990 (pari a circa 47 Gmc) a 57,3 Mtep del
2013 (pari a circa 69,6 Gmc), contribuendo così alla copertura del 33 per cento
della domanda energetica nazionale ed
approssimandosi così a superare ben presto il contributo dei prodotti petroliferi.
Anche il contributo dei combustibili
solidi è cresciuto nel tempo passando da
7,7 Mtep del 1990 a 9,27 Mtep del 2013,
con una crescita media annua dello 0,85
per cento, ma sono le fonti rinnovabili
a registrare la crescita maggiore passando da 9,18 Mtep del 1990 a 30,8 Mtep del
2013, registrando così un tasso di crescita
medio annuo di circa 5,4 per cento.
Al crescere del fabbisogno energetico nazionale, è cresciuta anche la dipendenza del nostro paese dall’importazione che oggi viaggia sul 75 per cento, un
valore decisamente superiore alla media
europea che, invece, è stata pari al 55
per cento, nel 2012. La forte dipendenza dall’importazione di combustibili fossili del nostro paese è stata riconosciuta come un elemento prioritario su cui
agire dal governo, che l’ha inserito come
punto prioritario della Strategia Energetica Nazionale (SEN), approvata lo scorso anno. In particolare, nella SEN si riconosce come l’Italia, pur essendo altamente dipendente dall’importazione di
combustibili fossili, disponga, allo stes-
so tempo, di ingenti riserve di gas e petrolio. Secondo quanto riporta la SEN, «l’Italia ha importanti risorse nazionali di
idrocarburi potenzialmente sfruttabili,
soprattutto al Sud, e si colloca tra i primi
paesi dell’Europa continentale per riserve disponibili. Le risorse potenziali totali ammontano a 700 Mtep di idrocarburi (peraltro, dato che negli ultimi 10 anni
re lo sfruttamento delle risorse nazionali, a settembre 2013 il ministero dello Sviluppo Economico ha pubblicato un nuovo decreto col quale si procede al riordino delle zone marine aperte alla ricerca e
valorizzazione di idrocarburi.
Tuttavia, avviare attività di produzione energetica e non solo nel nostro paese
non è semplice a causa della crescente dif-
cresce il fabbisogno energetico e la dipendenza del
paese dall’importazione che oggi viaggia sul 75 per
cento, contro una media europea del 55 per cento
l’attività esplorativa si è ridotta al minimo, è probabile che tali dati di riserve siano definiti largamente per difetto). Ciò
equivale, tenendo conto dell’attuale quota di produzione annua di 12 Mtep, ad un
periodo di copertura di oltre 50 anni e di
oltre 5 anni se confrontati con l’attuale
consumo totale annuo di circa 135 Mtep
di gas e petrolio». Proprio per stimola-
ficoltà legata agli iter autorizzativi non
sempre chiari e agli stop determinati da
veti locali (che possono intervenire non
solo prima dell’approvazione all’insediamento, ma anche in molti casi anche
dopo l’approvazione stessa). Il fenomeno del nimby (not in my back yard, “non
nel mio cortile”), infatti, ha trovato nel
nostro paese un terreno particolarmente
fertile tanto che, secondo i dati della 9°
edizione dell’Osservatorio Aris, la contestazione ed il blocco della realizzazione
di nuove infrastrutture energetiche sono
in continua crescita, nonostante la crisi
economica e l’aumento della disoccupazione, tanto che il numero degli impianti contestati è passato dai 190 del 2005 ai
336 del 2013.
Nel 2013, la produzione nazionale
di idrocarburi si è attestata complessivamente intorno agli 11,8 Mtep, comprendendo sia la produzione nazionale di
gas naturale che di petrolio, entrambi
in declino. Nello specifico, la produzione
di gas naturale è passata da 17,3 miliardi di mc del 1990 a 7,6 miliardi di mc del
2013. L’andamento decrescente della produzione nazionale assume una particolare importanza se si considera che fino
alla seconda metà degli anni Novanta la
produzione nazionale si attestava intorno
ai 20 miliardi di mc annui. Ciò significa
che dal 1994, anno in cui fu raggiunta
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speciale
l’italia è stata interessata da un incremento
costante della domanda energetica che ha subito
un rallentamento a seguito della crisi economica
che ha colpito le economie mondiali tra il 2008
e il 2010, ma i cui effetti continuano a farsi sentire
la punta massima di produzione pari a
20,6 miliardi di mc, ad oggi la contrazione della produzione nazionale è avvenuta ad un tasso medio annuo di poco superiore al 5 per cento, pari ad una riduzione
complessiva di 13 miliardi di mc. Il declino a cui è sottoposta la produzione nazionale dipende dalla maturità ormai raggiunta dagli antichi campi, non rimpiazzati dalla messa in produzione di nuove risorse, a cui si è aggiunto l’inizio del
declino dei giacimenti offshore.
La produzione di petrolio ha, invece, registrato una situazione differente.
La produzione nazionale è cresciuta passando da 4,6 milioni di tep del 1990 a
5,5 milioni di tep del 2013, con un andamento non proprio lineare. Infatti, ad un
primo picco della produzione nazionale
del ventennio registrato nel 1997 con 5,9
milioni di tep è seguito un altro registrato
nel 2005 di circa 6,1 milioni di tep, per poi
tornare nuovamente a decrescere secondo un tasso medio annuo dell’1,3 per cento, a causa della maturità ormai raggiunta dai campi nazionali non sostituiti da
nuove risorse.
Nonostante le potenzialità rilevate di
nuove riserve sia per il petrolio che per
il gas, le opposizioni locali e le difficoltà
amministrative ed istituzionali legate alla
sovrapposizione delle competenze ostacolano oltremodo la ricerca, esplorazione e
sfruttamento di tali risorse. Tuttavia, se
per la produzione di gas naturale l’apporto
principale è fornito dai giacimenti in mare,
che costituiscono il 72 per cento della produzione complessiva, per la produzione di
petrolio si assiste ad un andamento divergente in cui l’apporto maggiore alla produzione è dato dai giacimenti di terra ferma,
che negli ultimi anni forniscono l’85 per
cento della produzione nazionale.
L’intensità energetica e l’intensità elettrica fanno registrare un trend decrescente, più marcato e costante per l’intensità
energetica, più accentuato per quella elet16
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trica. Nel 2013, l’intensità energetica del
sistema, pari al rapporto Cil/Pil, si è attestata sui 105,6 Mtep con una contrazione
dell’2,7 per cento media annua rispetto al
2000. In verità, il tasso di contrazione è stato più elevato negli ultimi anni, tanto che
l’intensità energetica è passata dai 116,9
Mtep del 2010 ai 105,6 del 2013, registrando così un crollo del 9,7 per cento, dovuto
ad una contrazione dei consumi energetici superiore alla contrazione registrata dalla variabile economica.
L’intensità elettrica, pari al rapporto tra totale consumi elettrici e Pil, ha
anch’essa registrato una contrazione del
2,3 per cento media annua per il periodo 1990-2013, raggiungendo la soglia di
circa 196,7 kWh/k, dovuta ad una crescita dei consumi elettrici (+83 TWh avvenuta nell’arco temporale considerato) pari
al 35,4 per cento: valore inferiore rispetto
alla crescita registrata della variabile economica, che complessivamente ha registrato un +130 per cento.
La mappa dei consumi
Sul fronte degli impieghi finali, la crescita più elevata è stata registrata dal settore civile, che negli ultimi trent’anni ha
registrato un incremento medio annuo
dell’1,19 per cento, seguito dal termoelettrico (+0,84 per cento media annua) e
trasporti (0,56 per cento media annua).
In valore assoluto, il settore a più elevato
consumo energetico è quello termoelettrico che da solo, nel 2013, assorbe il 53 per
cento dei consumi energetici complessivi.
Nel settore “Elettrico”, nel corso degli
ultimi trent’anni, il peso dei prodotti
petroliferi è progressivamente diminuito, spiazzato dall’ingresso delle tecnologie a gas naturale, più efficienti e a minor
impatto ambientale, raggiungendo così,
nel 2013, un peso del 27 per cento. A partire dal 2011, il contributo delle fonti rinnovabili, comprensivo dell’idroelettrico, alla
generazione elettrica ha superato quella
di qualsiasi altra fonte: nel 2013, infatti, il
suo contributo si attesta percentualmente intorno al 37 per cento. Forte in Italia
rimane il contributo dell’importazione di
energia elettrica dall’estero, che nel 2013
risulta essere di 9,3 Mtep pari cioè a circa
42 TWh, uno dei valori più elevati se raffrontato con gli altri paesi Ue.
I consumi energetici del settore “Trasporti”, che nel 2013 ha assorbito una quota pari al 20 per cento dei consumi energetici complessivi nazionali, è dipendente completamente dai prodotti petroliferi
che coprono così oltre il 90 per cento dei
consumi di questo settore. Recentemente, nuove fonti e carburanti stanno incrementando il loro contributo, come metano e gpl, spinti soprattutto dai regolamenti europei sui nuovi carburanti alternativi, volti a ridurre l’impatto sull’ambiente
di questo settore. Un particolare interesse,
in questo senso, sta riscuotendo il gnl (gas
naturale liquido), per i suoi indubbi benefici sia in termini di ridotte emissioni che
di maggior efficienza. Non è un caso, dunque, che il nostro governo si sia impegnato, in sede parlamentare, ad adottare iniziative per la realizzazione di centri di
stoccaggio e ridistribuzione nonché norme per la realizzazione dei distributori di
gnl in tutto il territorio nazionale, anche
al fine di ridurre l’impatto ambientale dei
motori diesel nel trasporto via mare e su
strada, nonché di ridurre i costi di gestione ormai divenuti insostenibili per tutti
gli utilizzatori di motori diesel e per sviluppare l’uso del gnl.
I consumi energetici del settore “Civile”, costituito dal settore residenziale (o
domestico) e dal settore terziario, che nel
2013 ha rappresentato il 24,6 per cento
dei consumi energetici finali nazionali,
sono soddisfatti prevalentemente dal gas
naturale che, a partire dagli anni Novanta, ha sorpassato i consumi di prodotti
petroliferi costituendo ora circa il 60 per
cento dei consumi del settore civile, segui-
Mte
Italia: domanda di energia in fonte primaria (Mtep/anno)
Mtep 300
250
200
150
100
50
0
3
201
2
201
1
201
Gas naturale
0
201
9
200
8
200
Prodotti petroliferi
7
200
6
200
5
200
4
200
3
200
Rinnovabili
2
200
1
200
0
200
9
199
Energia elettrica
8
199
7
199
6
199
5
199
4
199
3
199
2
199
1
199
0
199
Import di Elettricità
Comb. Solidi
Nota: dati 2013 provvisori; la voce “energia elettrica” comprende anche le importazioni nette di elettricità. Fonte: Elaborazione su dati BEN
to dall’energia elettrica, che copre il 32
per cento. Il contributo delle fonti rinnovabili è in crescita passando da meno di 1
Mtep del 1990 a poco meno di 5 Mtep del
2013, per un incremento medio annuo del
9,2 per cento.
I consumi energetici del settore “Agricoltura & pesca” sono diminuiti leggermente passando da 3,1 Mtep del 1990 a
2,7 Mtep del 2013, prevalentemente legati al consumo di prodotti petroliferi pari
a 2,1 Mtep nel 2013, a cui si affianca l’impiego di energia elettrica pari a 0,5 Mtep.
In leggera caduta l’impiego negli ultimi
anni di gas naturale (pari a 0,12 Mtep).
Infine, i consumi per bunkeraggi e
per usi non energetici risultano in contrazione, in particolare per quanto riguarda i consumi di gas naturale e dei combustibili solidi. In particolare nel 2013
il consumo di combustibili solidi è stato inferiore a 0,1 Mtep ed il consumo di
gas naturale si è attestato intorno a 0,5
Mtep. Più elevato, ma anch’esso in con-
trazione, risulta essere il consumo di prodotti petroliferi, che si è attestato sui 7,43
Mtep, prevalentemente legato ai bunkeraggi (68 per cento).
Ma il futuro è incerto
Le prospettive del sistema energetico italiano a breve termine non sembrano
rosee. Le incertezze legate all’attuale congiuntura economica non solo italiana ma
anche europea determinano una contrazione della domanda energetica in quasi tutti i settori, con conseguente rinvio
degli investimenti da parte degli operatori nazionali ed esteri. Le incertezze e
le lungaggini normative, assieme ai crescenti comitati di opposizioni locali scoraggiano, infatti, qualunque investimento, rendendo ancor meno attraente il
nostro paese ad investitori esteri. Appare,
quindi, più semplice affidarsi alle importazioni delle varie commodities energetiche in un atteggiamento wait-and-see
che effettuare investimenti ad hoc per i
quali è ora difficile valutare i ritorni. In
assenza di nuovi investimenti, in presenza di una produzione pressoché costante o in leggera contrazione e di una tassazione elevata che penalizza fortemente il
settore energetico, la nostra fattura energetica già fortemente onerosa non potrà
che peggiorare. Nel 2013, secondo le stime Up, la nostra fattura energetica è stata pari a 56,1 miliardi di euro, un valore
apparentemente positivo se consideriamo che nel 2012 è stata di 64,877 miliardi di euro. Tuttavia, tale riduzione è legata alla contrazione dei consumi energetici che solo per una quota minima è legata al miglioramento della performance
energetica del paese, ma prevalentemente alla contrazione delle attività economiche che sono alla base del benessere di
una nazione. Le previsioni a lungo termine in questo clima così incerto risultano
ancor più meri esercizi accademici.
Edgardo Curcio
presidente onorario Aiee
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17
SPECIALE
LA RIVOLUZIONE
ENERGETICA
È GIA INIZIATA
lE fonti NON SONO PROSSIME ALL’ESAuRIMENTO
E gli stati uniti vivono un iNCREDIBILE sviluppo
petrolifero. ecco perché il tema della flessibilità
degli approvvigionamenti è diventato cruciale
I
energetico è sempre stato sempre molto sentito nel nostro paese, poiché la forte
dipendenza dall’estero in materia di fonti di energia ha costantemente evocato
la prospettiva di un paese bloccato dalla mancanza di rifornimenti e ha spinto verso ipotesi di aumento della produzione interna anche a prescindere dai
costi delle soluzioni suggerite. Un esame pacato del problema evidenzia come
nell’arco di tempo non breve che va dalla fine della seconda guerra mondiale ad
oggi i pericoli di sospensione delle forniture energetiche siano stati molto limitati anche nei momenti più acuti delle
crisi petrolifere degli anni Settanta e dei
primi anni Ottanta, quando il peso del
petrolio aveva raggiunto valori percentuali molto elevati sul totale del fabbisogno energetico mondiale e, in particolare, su quello italiano.
È invece vero che la forte dipendenza
dall’estero e specialmente dal petrolio ha
significato nei momenti di crisi un forte aumento del costo dell’energia per gli
utenti civili e industriali; gli stessi hanno,
però, beneficiato delle riduzioni del costo
dell’energia importata non appena i prezzi internazionali sono crollati e sono stati meno influenzati da fattori politici o
da crisi internazionali. Queste ultime,
comunque, non hanno mai comportato riduzioni dei flussi energetici se non
per periodi estremamente limitati e senza conseguenze per i consumatori. Si può
quindi affermare che il problema della dipendenza è soprattutto riconducibi-
18
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l tema dell’approvvigionamento
|
le alla necessità di una corretta gestione
attraverso strumenti capaci da un lato di
far fronte ai momenti di crisi e dall’altro
di assicurare un elevato grado di diversificazione delle fonti di energia e dei paesi di provenienza, nel quadro di adeguati accordi internazionali e di una politica di cooperazione con i paesi produttori.
Nell’ultimo decennio i termini del
problema hanno subìto profonde trasformazioni anche per effetto di notevoli cambiamenti circa la disponibilità di
importazioni di greggio sino a determinare un surplus a livello mondiale. Nello
stesso tempo il crescente interesse ai temi
dell’ambiente ha portato ad un aumento di attenzione per le fonti rinnovabili,
interessate anch’esse da un processo di
riduzione dei costi di produzione che è
ancora in corso.
Il fenomeno dell’allargamento delle
risorse energetiche disponibili nel mondo è coinciso con un processo di intensa trasformazione del sistema energeti-
quest’anno, pur CON forti tensioni geopolitiche
in Medio Oriente e nell’est Europa, i prezzi
del petrolio sono scesi ai livelli di quattro anni fa
risorse energetiche a livello mondiale,
erroneamente considerate, sino a pochi
anni fa, prossime all’esaurimento.
Questo diffuso convincimento, che
aveva reso ancor più drammatico il problema della dipendenza dall’estero di
paesi dotati di limitate risorse, come l’Italia, è stato progressivamente smantellato
dagli sviluppi delle tecnologie di esplorazione e di estrazione di idrocarburi che
hanno aumentato la base di risorse disponibili e la loro diversificazione di provenienza geografica. Nell’anno in corso, pur
alla presenza di fortissime tensioni geopolitiche in Medio Oriente e nell’Europa dell’Est, i prezzi del petrolio sono scesi ai livelli di quattro anni fa grazie all’eccezionale e inatteso sviluppo della produzione degli Stati Uniti. Questi ultimi hanno, infatti, drasticamente ridotto le loro
co italiano; ed è proprio in questo scenario in continuo cambiamento che vanno valutati i problemi dell’approvvigionamento energetico italiano e della sua
sicurezza.
Circa dieci anni fa i consumi energetici italiani si muovevano ancora su
un trend di crescita che raggiunse il suo
massimo nel 2005 con quasi 198 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio
(tep). In quell’anno il mix energetico del
paese era già considerevolmente mutato rispetto ai tempi delle crisi energetiche: la quota del petrolio era scesa al 41
per cento del totale del fabbisogno, mentre quella del gas era salita al 36 per cento. Le fonti rinnovabili all’epoca, prevalentemente tradizionali, ovvero l’energia
idroelettrica, erano pari al 7 per cento. Il
grado di dipendenza dall’estero era pari
all’85 per cento, una condizione peraltro condivisa con altri paesi dell’Unione
europea, ma con un sistema infrastrutturale in grado di far fronte a situazioni
di emergenza grazie ad un elevato grado
di flessibilità. Nel caso del petrolio il grado di sicurezza del sistema era assicurato
da un’ampia diversificazione delle provenienze e dalla flessibilità del sistema di
raffinazione e dagli stoccaggi, entrambi
costruiti per far fronte a una domanda
di gran lunga superiore.
Nel caso delle importazioni di gas il
sistema aveva già raggiunto un elevato
grado di sviluppo con un sistema di infrastrutture che collegavano l’Italia al Nord
Europa, alla Russia ed all’Africa settentrionale in un’ottica di diversificazione
delle provenienze. A completare il quadro della sicurezza dell’approvvigionamento gas, il sistema era dotato di un
sistema di stoccaggi, in grado di far fronte sia alla stagionalità della domanda sia
all’interruzione prolungata delle vendite
di uno dei maggiori fornitori (ad esempio
Russia o Algeria) sia a riduzioni di flusso da parte di più di un paese. A partire
da quell’anno la domanda di energia in
Italia comincia a muoversi su un sentiero inedito: quello del declino, in presenza di un ulteriore cambiamento del ruolo delle fonti primarie a favore delle rinnovabili e, quindi, anche a favore di una
riduzione della dipendenza dalle fonti di
importazione.
La crisi e il calo dei consumi
Le cause di questo processo sono molteplici: la prima è purtroppo legata all’inizio
di una lunga fase di declino dell’economia italiana che non è ancora terminata
e che ha visto una progressiva riduzione
del ruolo dell’industria nella formazione
del valore aggiunto; il secondo fattore, di
segno positivo, è costituito da un aumento di efficienza nell’utilizzo dell’energia (consumo di energia per unità di prodotto interno lordo), che ha ancora molti spazi da sfruttare; il terzo elemento,
anche questo di segno positivo, anche se
con alcuni rilievi, è rappresentato dallo
sviluppo accelerato delle fonti rinnovabili di energia a carattere innovativo (energia eolica e fotovoltaica) in un’ottica di
riduzione delle emissioni di Co2. L’impatto di questi fattori sulla domanda energetica e sul mix delle fonti è stato davvero rilevante.
Come conseguenza di tutto questo
processo la domanda italiana di energia
alla fine del 2014 si attesterà a circa 165
milioni di tep con una riduzione di ben
33 milioni di tep rispetto al massimo del
2005. Alla riduzione della domanda complessiva si è anche accompagnata un’ulteriore modifica del ruolo delle fonti primarie con riflessi, in questo caso positivi, sul ruolo della produzione nazionale,
in aumento anche se in misura inferiore
al potenziale, e sull’approvvigionamento
dall’esterno (in riduzione).
Alla fine del 2014 la quota del petrolio sarà ancora in diminuzione, sino al
35 per cento del totale, e anche quella del
gas si ridurrà al 32 per cento, mentre le
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speciale
l’allargamento delle risorse disponibili
nel mondo è coinciso con un processo
di trasformazione del sistema energetico italiano
fonti rinnovabili si porteranno in prossimità del 20 per cento grazie alla forte
crescita di quelle innovative (fotovoltaico
ed eolico in particolare). L’aumento delle
fonti rinnovabili porterà anche a un nuovo calo delle importazioni nette di energia che si attesteranno sui 120 milioni di
tep contro i circa 170 del 2005.
Dal punto di vista del sistema infrastrutturale questo il calo di importazioni più che problemi di adeguatezza sta
ponendo dei problemi di sovracapacità,
essendo stato realizzato con prospettive
di rialzo e non di ribasso della domanda. Questa situazione di sovracapacità ha
comunque costituito una garanzia in più
di fronte alle aumentate tensioni internazionali sia in Medio Oriente sia nell’Europa dell’Est, che hanno determinato temporanee riduzioni dei flussi di petrolio e
gas dalla Libia.
Nel corso dell’anno le tensioni tra
Russia e Ucraina hanno fatto temere per
gli approvvigionamenti di gas dalla Russia, ma questa minaccia non si è concretizzata. Il sistema sarebbe stato comunque in grado di fronteggiare questa emergenza senza problemi; d’altra parte il
mercato internazionale è caratterizzato
da un ampio surplus di petrolio e di gas
determinato dall’inatteso aumento della
produzione degli Stati Uniti che ha cambiato lo scenario mondiale.
Nel caso del gas naturale nell’ultimo
decennio la flessibilità e, quindi, la sicurezza del sistema di approvvigionamento
italiano si è arricchita con la realizzazione di due nuovi impianti (Rovigo e Livorno) per la ricezione di gas naturale liquefatto (Gnl), che può garantire una ancora maggiore diversificazione delle provenienze in momenti di forti tensioni
internazionali. Il problema dell’adeguatezza del sistema di approvvigionamento, in una prospettiva di medio termine, va valutato nel quadro delle possibili linee evolutive della domanda di ener20
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gia e della sua qualità. A questo riguardo
attraverso un modello di simulazione sviluppato dall’Associazione Italiana degli
Economisti dell’Energia (Aiee) si è valutata la domanda di energia in Italia al 2020
a partire da una ipotesi di superamento dell’attuale crisi economica. I risultati
di questo lavoro evidenziano, per il 2020,
un fabbisogno di energia ben lontano dal
massimo del 2005 e di poco superiore ai
livelli del 2014, a causa dell’effetto combinato di nuovi cambiamenti strutturali
nel settore industriale e dell’ulteriore calo
dell’intensità energetica in tutti i settori
di utilizzo, anche in assenza di ulteriori
iniziative per il risparmio energetico.
Un approvvigionamento flessibile
In questa nuova prospettiva e nel quadro
di ulteriori cambiamenti nel mix delle
fonti utilizzate, i problemi della sicurezza dell’approvvigionamento acquisteranno una nuova dimensione, dove l’aspetto della flessibilità ricoprirà sempre maggior spazio rispetto all’aspetto quantità.
Le fonti rinnovabili dopo il balzo in avanti degli ultimi anni dovrebbero, infatti,
guadagnare ulteriore spazio a scapito di
petrolio e gas naturale, in linea con gli
obiettivi dell’Unione europea.
Nel caso del petrolio, un’ulteriore
compressione della domanda porrebbe
addirittura il problema di una drastica riduzione della capacità di raffinazione già esposta ad una forte concorrenza
internazionale. Al pericolo di mancanza
di materia prima, che appare ridimensionato rispetto al passato, si sostituirebbe
quello di un’insufficiente capacità di raffinazione che può avere un ruolo strategico in caso di crisi.
Nel caso del gas, una stabilizzazione
della domanda intorno agli attuali livelli o un lieve aumento non pone particolari problemi di copertura con le infrastrutture già esistenti; anche in questo caso si
pone però un problema che è quello del
rischio del loro sotto utilizzo.
Questa inattesa difficoltà, però,
potrebbe essere risolta con la trasformazione del paese in un centro di smistamento del gas verso altri paesi ovvero nello sviluppo di tecnologie innovative, come quella dell’uso diretto del gas
naturale liquefatto a partire dal settore
trasporti con notevoli vantaggi sul piano
ambientale. In un sistema energetico che
sarà molto diverso dal passato il problema della sicurezza non può essere visto
solo nella dimensione della gestione della dipendenza dall’esterno, la quale a sua
volta andrà gestita in un’ottica europea,
ma dovrà riguardare anche la capacità di
far fronte alla variabilità e alla diffusione sul territorio degli apporti delle fonti rinnovabili. Una volta la variabilità di
queste fonti riguardava prevalentemente gli apporti idroelettrici, condizionati
dalla stagionalità e dal clima; oggi i nuovi sistemi energetici, sempre più a carattere decentrato, dovranno essere in grado di fronteggiare la variabilità dell’apporto crescente di fonti come l’eolico e
il fotovoltaico, più regolare ma limitato
alle ore diurne.
Le soluzioni sono tecnologicamente
disponibili, ma gli investimenti da realizzare sono molti e onerosi sino a richiedere soluzioni sul piano istituzionale per
comporre interessi non sempre convergenti. Si tratta di una sfida ma anche di
una grande opportunità di sviluppo, tecnologico e industriale dopo un lungo
periodo di crisi. In conclusione, il problema della sicurezza energetica nel prossimo futuro richiederà approcci innovativi in un quadro necessariamente europeo e internazionale. La base di partenza di questo percorso è peraltro migliore
di quella del passato, quando i fattori di
rischio erano ben maggiori e le capacità
di risposta più limitate.
Vittorio D’Ermo
direttore Osservatorio energia Aiee
SPECIALE
COSA SPEGNE
IL MERCATO
ELETTRICO
Un settore complesso, segnato da innovazioni e da
un processo di liberalizzazione che lo ha arricchito
di offerte e operatori. Ma la strada verso un modello
realmente aperto e competitivo è ancora lunga
N
oi accendiamo la luce. Azioniamo il
condizionatore d’estate. Utilizziamo gli elettrodomestici, la Tv, il
computer, navighiamo in rete. Per farlo,
di solito basta premere un pulsante. In
tutti questi casi utilizziamo energia elettrica, messa a disposizione da qualcuno,
che ha il compito di garantirne la disponibilità quando lo desideriamo. Questo
“lui” astratto è il produttore di elettricità, con il supporto di complesse infrastrutture tanto capillari da arrivare fino
al nostro domicilio.
L’energia elettrica tende gradualmente a sostituire altre forme di energia perché è più comoda da usare, ma soprattutto perché si moltiplicano gli apparecchi che, per funzionare, hanno bisogno
di elettricità: frigorifero, lavatrice, lavastoviglie, radio, televisione, telefono, computer, stampante, solo per citare alcuni oggetti a noi familiari. Spesso insostituibile, l’elettricità è stata finora difficilmente immagazzinabile, se non in piccole quantità nelle batterie che alimentano tanti apparecchi di uso quotidiano
o alcune funzioni all’interno degli autoveicoli (accensione, spie luminose). Non
è un inconveniente da poco, che si spera di rimuovere nel prossimo futuro, grazie al recente sviluppo di tecnologie che
consentiranno di immagazzinare a costi
accettabili energia elettrica su scala molto maggiore.
La situazione è ulteriormente complicata dalla presenza di consumatori con
fabbisogni di energia molto eterogenei.
Ci sono impianti, come quelli elettro-side-
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rurgici, che funzionano 24 ore su 24 e
hanno ininterrottamente bisogno di elevati quantitativi di energia, mentre nelle
nostre case accendiamo la luce solo quando fa buio, la Tv prevalentemente di sera
e variamo bruscamente la nostra richiesta di elettricità ogni volta che mettiamo in funzione la lavatrice. L’illuminazione pubblica consuma elettricità di notte, molti esercizi commerciali soltanto di
giorno. Nei fine settimana, con la chiusura di uffici e impianti, la domanda precipita. La domanda di energia elettrica cam-
oltre al prezzo liberamente contrattato sul
mercato o spuntato dall’Au, paghiamo i servizi
di rete, gli oneri generali di sistema, le imposte
bia quindi non solo durante l’arco delle 24
ore, ma anche nel corso della settimana
(in particolare nei fine settimana è significativamente inferiore a quella dei giorni
lavorativi) e al variare delle stagioni.
Per di più, in assenza di adeguate forme di immagazzinamento, l’energia elettrica va prodotta nel momento stesso in
cui viene richiesta. Inoltre, si deve avere a
disposizione altra potenza elettrica, pronta a sostituire la produzione di impianti
che improvvisamente si fermano per guasti o altre cause (ad esempio bacini idroelettrici solo parzialmente ricolmi a seguito di scarse precipitazioni o variazioni
della produzione eolica e solare). Orientativamente, per garantire senza interruzioni la fornitura di energia elettrica è
necessaria una potenza installata di alme-
no il 10-15 per cento superiore al valore
della domanda massima durante l’anno,
ma è più prudente disporre di un surplus
di almeno il 20 per cento.
Avere un numero adeguato di impianti però non basta. Questi devono essere sufficientemente flessibili, in grado
cioè di entrare rapidamente in servizio.
Le centrali nucleari o che bruciano carbone lo sono poco, quindi vengono tendenzialmente impiegate per produrre la
quota di energia richiesta dai consumatori 24 ore su 24 (sono chiamate centrali
di base). All’estremo opposto troviamo gli
impianti idroelettrici alimentati dall’acqua accumulata in bacini montani e protetti da una diga. Basta alzare una paratoia, perché l’acqua scenda rapidamente
a valle e produca energia all’interno del-
la centrale. In modo altrettanto tempestivo si può ovviamente arrestare di nuovo
la produzione (sono chiamate centrali di
punta). Altre tipologie di impianto, come
i cicli combinati, che bruciano gas naturale, possono coprire anche la domanda
di elettricità intermedia fra quella di base
e di punta.
Insomma, la complessità delle relazioni fra domanda e offerta di energia elettrica ha imposto una gestione altrettanto complessa dell’intero sistema elettrico, che schematicamente può essere suddiviso in:
a) impianti di generazione, caratterizzati da un mix di tecnologie il più possibile adeguato a soddisfare l’andamento
temporale della domanda;
b) rete di trasmissione: linea elettrica
ad alta tensione (per ridurre le perdite di
energia) che collega gli impianti di generazione alle reti di distribuzione;
c) sistema di regolazione e controllo
(detto dispacciamento), che allaccia alla
rete di trasmissione gli impianti di generazione richiesti per soddisfare la domanda e, quando è necessario, li distacca;
d) reti di distribuzione: linee elettriche che portano al consumatore finale
l’energia a tensioni progressivamente più
basse (fino al valore minimo di 220 volt
negli usi domestici).
Smart grid e tariffe
Recentemente il sistema elettrico è stato
reso ancora più complicato dalla diffusione di impianti che sfruttano fonti rinnovabili la cui intensità è variabile nel tempo, come l’energia del vento e del sole. In
particolare quelli fotovoltaici, alimentati dalla radiazione solare, hanno potenze elettriche fra pochi kW e qualche MW,
mentre le grandi centrali tradizionali
sono caratterizzate da potenze tra diverse centinaia e alcune migliaia di MW. Già
oggi in Italia abbiamo più di mezzo milione di questi impianti che, a causa della
ridotta potenza elettrica, sono collega-
ti direttamente alle reti di distribuzione.
Queste devono quindi “imparare” a gestire tali impianti, utilizzandone al massimo l’elettricità prodotta, senza mettere
a repentaglio il corretto funzionamento delle reti stesse. Si tratta di una radicale trasformazione tecnologica, appena
avviata e destinata a durare diversi anni,
che va sotto il nome di “smart grid”.
A complicare ulteriormente il funzionamento del sistema, nell’ultimo scorcio del secolo passato è intervenuta la
liberalizzazione del mercato dell’elettricità. Fino ad allora, le imprese elettriche,
sia pubbliche sia private, per la maggior
parte erano integrate verticalmente, cioè
gestivano la produzione, la trasmissione, la distribuzione e la vendita dell’elettricità in regime di monopolio all’interno di un determinato territorio; per evitare abusi, le tariffe erano fissate da strutture pubbliche indipendenti. Nel caso italiano questo compito era stato affidato da
una legge del 1962 all’Enel, allora ente
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SPECIALE
una completa liberalizzazione richiederebbe di
poter comprare o vendere l’energia in qualsiasi
stato membro, ma il trasferimento di elettricità
è limitato dalla capacità di trasporto delle reti
pubblico, per tutto il territorio nazionale, con l’eccezione dell’energia fornita da
alcune aziende municipalizzate e di quella autoprodotta da complessi industriali,
mentre le tariffe erano decise dal Comitato Interministeriale Prezzi (Cip). L’integrazione verticale e il conseguente monopolio territoriale erano motivati da una
duplice esigenza: da una parte realizzare
una maggiore efficienza tecnica e gestionale; dall’altra, raggiungere dimensioni
tali da consentire il reperimento delle
risorse finanziarie necessarie per i massicci investimenti richiesti dalla crescita della domanda che per decenni è stata molto
sostenuta; nei paesi sviluppati raddoppiava sistematicamente ogni dieci anni.
Nell’ultimo scorcio del XX secolo il
settore elettrico è protagonista di una
serie di cambiamenti, che rendono più
agevole l’adozione di politiche di liberalizzazione: grazie alla crescita del reddito
complessivo e pro capite, un rigido sistema tariffario a protezione dei consumatori diventa economicamente e socialmente meno rilevante. Inoltre, viene significativamente ridotto il fabbisogno di capitali per il rallentamento nella crescita
della domanda, dovuto alla saturazione
di alcuni consumi, e per l’adozione preferenziale di impianti (cicli combinati)
che richiedono investimenti molto inferiori rispetto al nucleare o al carbone.
Le dimensioni e i costi più contenuti dei
cicli combinati facilitano infine lo sviluppo di una pluralità di imprese attive nella generazione elettrica.
Avviata autonomamente in Inghilterra a cavallo fra fine anni 80 e inizio anni
90, nel 1996 una Direttiva europea rende obbligatorio per tutti gli Stati membri l’avvio della liberalizzazione elettrica entro il 1999. Tuttavia, la liberalizzazione del settore può essere soltanto parziale. Si è in grado di promuovere la concorrenza nella generazione e nella vendita di energia elettrica, mentre le reti (di
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trasmissione e distribuzione) sono necessariamente, con qualche sporadica eccezione, monopoli. Qualsiasi tentativo di
promuovere la concorrenza nella generazione e nella vendita di elettricità presuppone pertanto l’esistenza di regole di
funzionamento di reti che garantiscano
la libertà di accesso a tutti i fornitori e
acquirenti di energia, senza discriminazioni o distorsioni e in un regime di massima trasparenza. Le medesime condizioni devono essere garantite per il prezzo di
vendita dell’energia al consumatore finale. Di qui l’esigenza di costituire un’Autorità indipendente, che vigili sul corretto funzionamento del mercato: in Italia è
l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e i
sistemi idrici (Aeegsi).
I vincoli alla compravendita
Con l’apertura del mercato elettrico, sono
ormai molti i soggetti che operano direttamente: i produttori di energia elettrica, che possono vendere la propria energia a grossisti o direttamente al consumatore finale; gli importatori di energia elettrica dall’estero; l’azienda preposta alla
trasmissione e dispacciamento, gestita in
regime di monopolio (in Italia da Terna),
regolata dall’Aeegsi; i distributori, monopoli locali, pure regolati dall’Aeegsi; i grossisti che, senza esercitare attività di produzione, trasmissione e distribuzione, acquistano energia elettrica all’ingrosso e la
rivendono ai propri clienti, attraverso contratti di fornitura liberamente stipulati
fra le parti. Per l’energia elettrica che non
viene acquistata o venduta direttamente
a un altro soggetto sulla base di contratti
bilaterali, le compravendite si svolgono in
una speciale Borsa elettrica, dove il prezzo
si forma mediante un particolare meccanismo d’asta, che contrappone domanda
e offerta di energia.
Attualmente tutti (privati e aziende)
sono liberi di stipulare contratti di acquisto dell’elettricità con un fornitore a loro
scelta, anche se in Italia quelli domestici (e le piccolissime imprese) possono scegliere di rimanere tutelati, cioè di pagare una tariffa fissata dall’Aeegsi. L’energia necessaria se la procura per loro l’Acquirente Unico (Au), una società pubblica
istituita a questo scopo, che di fatto è un
grossista con una sola categoria di consumatori finali. In realtà paghiamo l’energia elettrica a un prezzo che, oltre a quello liberamente contrattato sul mercato o
spuntato dall’Au, è costituito da altre tre
componenti principali: i servizi di rete;
gli oneri generali di sistema; le imposte.
Per servizi di rete si intendono i costi
sostenuti per la trasmissione e la distribuzione dell’energia elettrica fino al contatore del cliente e per la lettura dei consumi. Questa componente è determinata sulla base di tariffe stabilite dall’Autorità per l’energia, con criteri uniformi
per l’intero territorio nazionale. Gli oneri di sistema sono fissati per legge, vengono pagati in misura diversa da tutti i
clienti finali e sono destinati alla copertura di spese specifiche, come ad esempio
lo smantellamento delle centrali nucleari, gli incentivi alla produzione con fonti
rinnovabili, gli sconti tariffari alle aziende grandi consumatrici di elettricità.
La completa liberalizzazione del mercato elettrico europeo richiederebbe di
poter comprare o vendere l’energia in
qualsiasi stato membro, ma il trasferimento di elettricità è limitato dalla capacità di trasporto delle reti. Questo vincolo si verifica anche all’interno del territorio italiano, quando la domanda di elettricità è molto alta e in alcuni tratti della rete di trasmissione si verificano congestioni, che impediscono il trasporto di
tutta l’energia richiesta. In tal caso, invece di un prezzo di produzione nazionale
si determinano prezzi zonali, differenti
da zona a zona.
Giovan Battista Zorzoli
Coordinamento Free
speciale
LE VIE DEL GAS
NON SONO
INFINITE
il crollo dei consumi europei, il fenomeno
shale gas, la crescita delle rinnovabili.
tutte le promesse e le minacce che pesano
sul futuro della più pulita delle fonti fossili
D
a fratello povero del petrolio a
combustibile chiave della transizione energetica verso le rinnovabili. Questa la parabola nell’ultimo trentennio del gas naturale, la più pulita delle fonti fossili. Un’ascesa destinata a proseguire a livello globale ma che in alcuni casi mostra già segni di riflusso. Dove
la crisi economica insieme a un transizione alla green economy più veloce del previsto hanno colto impreparato il settore
energetico tradizionale.
Nel corso del Novecento, il secolo del
petrolio, il metano è stato spesso considerato un prodotto di scarso o nullo valore, bruciato sulle torce dei pozzi petroliferi o reiniettato nel sottosuolo per facilitare l’estrazione dell’oro nero. In tempi più recenti però molto è cambiato e il
gas ha iniziato a recuperare posizioni sul
greggio, addirittura scalzandolo in molti settori, a cominciare dalla generazione
di elettricità. Le ragioni sono diverse, non
ultima il minore contenuto di anidride
carbonica negli usi domestici, industriali e termoelettrici: bruciare metano produce il 30 per cento di emissioni di Co2
in meno rispetto al petrolio e meno della
metà rispetto al carbone. Ma hanno contato pure l’ampia disponibilità e la relativa economicità della materia prima e delle tecnologie per il suo impiego, dai motori a combustione interna alle centrali a
ciclo combinato.
Il risultato è che nel periodo 19732012 la quota del gas sul totale dell’energia primaria mondiale è salita dal 16 al 21
per cento mentre il petrolio arretrava dal
26
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46 al 31 per cento. Una dinamica anche
più pronunciata nell’area Ocse, dove il
metano è balzato dal 19 al 26 per cento a
scapito del greggio, sceso dal 53 al 36 per
cento, e del carbone.
A livello globale i maggiori produttori
sono oggi gli Stati Uniti davanti di un’incollatura alla Russia, cui hanno da poco
strappato il primato grazie al boom del
gas estratto dagli scisti (shale gas). Usa e
ex Urss coprono da soli due quinti del
totale, seguiti a distanza da Qatar, Iran
e Canada con poco meno del 5 per cen-
dal 2008-2009 in poi il mercato del gas in europa
si è trasformato per le imprese di fornitura da
miniera d’oro in una specie di trappola mangiasoldi
to a testa. Circa un 30 per cento della produzione totale va all’export e i maggiori
esportatori sono Russia, Qatar e Norvegia.
Quanto ai consumi, l’area Ocse assorbe quasi la metà dell’offerta mondiale e
l’Europa da sola circa il 15 per cento. I primi consumatori sono Stati Uniti, Russia,
Giappone e, nel Vecchio Continente, Germania, Gran Bretagna e Italia. Negli ultimi anni però hanno guadagnato posizioni gli emergenti, come Cina, India, Sud
America e Medio Oriente, dove è attesa
la maggiore crescita della domanda nei
prossimi anni.
Da un punto di vista commerciale il
gas presenta una complessità maggiore
rispetto ad altre commodity, essenzialmente per una ragione fisica, la sua natura gassosa, che ha ostacolato fino ad oggi
la nascita di un mercato globale paragonabile a quello petrolifero. La possibilità di scambiare gas è infatti limitata dalla collocazione geografica dei giacimenti
e dall’estensione delle infrastrutture per
il trasporto. Quest’ultimo può avvenire in
due modi: via gasdotto e via nave, in questo caso portando prima il gas allo stato
liquido (gnl) con un processo di compressione e raffreddamento. Ciò ha portato
alla nascita di tre grandi mercati macroregionali – Nord America, Europa e Asia
– caratterizzati da forti differenze di prezzo e struttura degli approvvigionamenti.
L’Europa copre un terzo del suo fabbisogno con la produzione interna, da
tempo in declino. I maggiori produttori
Ue sono Olanda, Gran Bretagna, Germania, Romania e Italia. Tra le importazioni
dominano quelle via gasdotto (oltre l’80
per cento). Il primo fornitore è la Russia,
che soddisfa da sola il 27 per cento della domanda, seguita da Norvegia (23 per
cento) e Algeria (8 per cento). Tra fornitori via nave il più rilevante è il Qatar (6 per
cento dei consumi).
Sotto il profilo contrattuale, buona
parte del gas europeo è approvvigionato con contratti pluriennali di importazione. Negli ultimi anni però si sono fortemente sviluppati a valle dell’import
mercati a breve termine, particolarmente vivaci in Nord Europa, da cui dipende
ormai il prezzo di oltre la metà del gas
scambiato in Ue.
Situazione diversa in Asia, dove gran
parte delle forniture viaggiano via nave
allo stato liquido; per ragioni geografiche
il Giappone è stato tra i primi a sviluppare su vasta scala l’import di gnl. Quest’ultimo viene scambiato per lo più con contratti pluriennali a prezzi legati al greggio e ai prodotti derivati, anche se in anni
recenti si è andato sviluppando anche qui
un mercato parallelo di carichi “spot”.
Un altro mondo ancora, infine, è il
Nord America, dove l’offerta è dominata
dalla produzione interna. I prezzi, strettamente correlati alle dinamiche di domanda e offerta, negli ultimi anni sono crollati sotto l’effetto del boom delle estrazioni domestiche.
La condanna “take or pay”
Le differenze tra questi modelli hanno
prodotto, in particolare negli ultimi cinque o sei anni, una forte divergenza tra
i prezzi del gas nelle tre macroregioni.
Ed è proprio dai più recenti sviluppi del
mercato – dal crollo dei consumi europei
per la crisi al fenomeno shale gas Usa alla
crescita delle fonti rinnovabili – che sono
venute nuove promesse ma anche inattese minacce al ruolo del gas nel futuro
energetico globale.
Anche su questo punto è indispensabile distinguere tra le tendenze globa-
li e le realtà regionali. A livello mondiale
l’Agenzia Internazionale dell’Energia prevede che entro il prossimo trentennio la
domanda di metano crescerà di oltre la
metà a 5.400 miliardi di metri cubi. Tuttavia i grandi venditori di gas potranno brindare solo se riusciranno a rifornire i paesi
emergenti, dove si concentrerà la crescita,
mentre in Europa i consumi stagneranno.
Già, perché nel Vecchio Continente
dal 2008-2009 in poi il mercato del gas si
è trasformato per le imprese di fornitura
da miniera d’oro in una specie di trappola mangiasoldi. Fino ad allora la concentrazione della fornitura all’ingrosso nelle mani di pochi, la segmentazione in
mercati nazionali poco o per nulla comunicanti tra loro e l’assenza di offerta in
eccesso avevano garantito margini elevati. La crisi economica però ha falcidiato
i consumi industriali ed elettrici proprio
mentre lo sviluppo delle fonti rinnovabili e dell’efficienza, trainate dalle politiche
Ue per gli obiettivi ambientali al 2020,
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speciale
erodevano spazio al gas nella produzione di elettricità. Terzo elemento, l’esplosione dello shale gas rendeva gli Usa di
colpo indipendenti dalle importazioni,
inondando i terminali del Nord Europa
di gnl in cerca di compratori. La bolla di
offerta che ne è derivata ha fatto crollare
i prezzi sui mercati Ue di breve termine,
penalizzando i margini operativi degli
importatori storici come E.On, Eni, RWE e
Gdf Suez. I cui contratti di importazione
da Russia, Algeria, Norvegia etc, li obbligano a ritirare comunque un gas sempre più difficile da vendere (o a pagare le
penali cosiddette take or pay) e a prezzi
legati al greggio, molto superiori a quelli
delle borse spot.
Questo stato di cose ha indotto le
grandi compagnie a ingaggiare coi fornitori esteri un duro confronto sulla revisione dei contratti, per ottenere un allentamento degli obblighi take or pay, una
riduzione dei prezzi e eliminare le perdite. Un negoziato, sfociato spesso in arbitrati internazionali, che è tutt’ora in corso e sta portando a una progressiva separazione del prezzo del gas da quello del
petrolio cui era storicamente legato.
L’inutile rigassificatore di Livorno
Per i consumatori, in compenso, il nuovo
contesto ha prodotto degli obiettivi vantaggi, soprattutto per i grandi acquirenti industriali e termoelettrici in grado di
approvvigionarsi direttamente sul mercato all’ingrosso. Per i piccoli, famiglie e
Pmi, i benefici del calo delle quotazioni
a breve termine sono arrivati dopo, per
l’Italia solo da fine 2013, quando è entrata in vigore una riforma dei prezzi finali elaborata dall’authority per l’energia.
Anche sul cosiddetto mercato libero – tutti i clienti italiani, anche le famiglie, hanno la possibilità di scegliersi il
fornitore già dal 2003 – negli ultimi anni
si sono viste diverse offerte competitive,
specialmente nelle formule con sottoscri28
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zione online. Ad oggi tuttavia il livello di
apertura del mercato europeo al dettaglio varia molto da Stato a Stato, con l’Italia agli ultimi posti per numero di clienti che cambiano venditore. L’abbondanza
di offerta ha inoltre attenuato le preoccupazioni Ue sulla sicurezza delle forniture.
Non che la dipendenza da pochi fornitori,
Russia in testa, abbia smesso di dare pensieri, specie in alcuni paesi dell’Est. Tuttavia il 20 per cento circa di domanda perso
dalla Ue dal 2008 a oggi ha obiettivamente aumentato il potere contrattuale europeo verso Mosca, rendendo meno allarmante – almeno lato gas – perfino il conflitto russo-ucraino.
Per citare ancora il caso italiano, nel
2013 i consumi nazionali sono scesi a circa 70 mld mc, sotto i livelli 2003. E nel
ti ora fermi o sottoutilizzati, aprendo la
strada a un riassetto del settore termoelettrico Ue in cui gli operatori più esposti
finiranno per uscire dal mercato.
Sostituire il diesel col metano?
In ogni caso è ormai chiaro che il calo
della domanda è da considerarsi strutturale. La recessione si è mangiata per sempre una fetta di consumi industriali, con
chiusure e delocalizzazioni. Intanto le
fonti pulite, che fino a poco tempo fa si
tendeva a considerare un fenomeno marginale, che non avrebbe insidiato il primato delle fonti fossili ancora a lungo,
sono diventate una realtà di rilievo e parte integrante del sistema.
Insomma l’impressione è che, almeno in alcune realtà, l’etichetta di combu-
Nel 2013 i consumi sono scesi a circa 70 miliardi
di metri cubi. E nel 2014 potrebbero scendere sotto
i 63 miliardi, un valore da fine anni novanta
2014, secondo una recente proiezione del
quotidiano specializzato Staffetta Quotidiana, potrebbero scendere sotto i 63
mld mc, un valore da fine anni 90, inferiore anche alle già pessimistiche stime
ufficiali (65).
Anche il tasso di utilizzo delle infrastrutture di import si è ridotto in misura
corrispondente, aumentando la sicurezza relativa degli approvvigionamenti. Ma
anche rendendo meno necessari nuovi
investimenti e spiazzando quelli in corso.
Come nel caso del rigassificatore di Livorno, completato lo scorso anno ma rimasto ad oggi inutilizzato.
Nel contempo il crollo dei consumi
elettrici e il forte sviluppo di impianti solari ed eolici specialmente in alcuni
paesi, come Germania, Italia e Spagna, ha
messo in seria difficoltà i proprietari di
centrali a gas, che nell’ultimo decennio
hanno investito intensamente in impian-
stibile “di transizione” si sia ritorta contro il metano come una nemesi: la transizione verso un mix energetico sempre
più rinnovabile, considerata un obiettivo
remoto solo dieci anni fa, si è infatti affacciata sulla scena con molta più decisione,
costringendo il mercato del gas a ripensare il proprio futuro.
Le prospettive del resto non mancano,
anche in Ue. Ad esempio sostituire il diesel con il metano nelle automobili, una
realtà ancora marginale, ne ridurrebbe le
emissioni di Co2 almeno del 20 per cento. E proprio l’uso del gas come carburante, nel trasporto stradale leggero e pesante e in quello navale, potrebbe far recuperare buona parte della domanda bruciata, secondo un recente studio dell’agenzia europea Acer. Una storia comunque
ancora tutta da scrivere.
Gionata Picchio
condirettore di Staffetta Quotidiana
speciale
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di abitazioni, di cui oltre 5 milioni non
occupate. A questi si aggiungono oltre
100 mila edifici nel terziario per 3 milioni e mezzo di unità immobiliari. Il 70 per
cento circa degli immobili è stato costruito prima dell’entrata in vigore delle leggi sui consumi energetici (in particolare
la legge 373/1976). Più in generale circa
un terzo dei consumi energetici finali del
paese sono legati agli usi civili.
Al di là dell’impatto sui consumi globali, che si traduce in un obiettivo di riduzione al 2020 di oltre 7 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep) su
un totale nazionale di circa 135 Mtep,
un edificio inefficiente dal punto di vista
energetico grava sui costi di gestione delle famiglie e delle organizzazioni che lo
occupano (o lo possiedono), aggravando
il bilancio economico di questi soggetti in un momento di crisi. Inoltre contribuisce alle emissioni climalteranti e nocive e in genere presenta un minore comfort ambientale (maggiore il ricorso alla
climatizzazione o alla illuminazione artificiali, maggiore il rischio di fastidi e di
insorgenza di malattie, come dimostrano
gli shock termici a cui ci sottopongono
30
|
|
impianti di climatizzazione mal progettati o mal gestiti).
Per questi motivi intervenire sul patrimonio immobiliare per renderlo più efficiente non risponde solo agli obblighi
introdotti dalle direttive europee, ma
offre un’opportunità ai proprietari e agli
occupanti per ridurre le spese di gestione ed accrescere il valore dell’immobile,
elemento che in alcuni paesi ha consentito di superare anche il problema degli
La maggior parte dei consumi di energia avviene
in città ed è legato ai trasporti, al riscaldamento
e alle caratteristiche strutturali degli edifici
split incentives (proprietà e utilizzatore
dell’edificio disgiunti).
Le soluzioni disponibili
I nuovi edifici possono essere progettati con criteri che riducano al minimo il
fabbisogno di energia (non a caso a partire dal 2020 sarà obbligatorio che siano
“nearly zero energy buildings” in accordo
con la direttiva 2010/31/Ue). Ciò si ottiene
con un insieme di accorgimenti che coinvolgono la forma dell’edificio, le caratteristiche superficiali dell’involucro e le prestazioni delle superfici vetrate, l’utilizzo
di opportuni isolanti e materiali costruttivi, l’orientamento e l’inserimento nel
contesto ambientale circostante, la progettazione dei sistemi di illuminazione e
degli impianti di climatizzazione, associati all’utilizzo delle fonti rinnovabili disponibili in loco. Le due esigenze fondamentali in questo contesto sono la disponibilità di progettisti e società edilizie qualificati e il monitoraggio delle prestazioni
di casi pilota, onde evitare che un clima
variabile come quello italiano possa portare a sgradite sorprese nelle performance abitative, specie mutuando esperien-
|
|
31
speciale
LE OFFERTE PER RIQUALIFICARE
La tabella qui a lato indica i diversi
canali di offerta impiegabili per
contribuire alla riqualificazione del
patrimonio urbano. La tabella è tratta
dallo studio “Energy efficiency in the
building sector: skills, business models
and public private partnerships” realizzato da Fire per la Fondazione Enel,
che tratta una serie di casi studio
collegati a modelli di business che
cercano di superare le barriere citate.
(fonte tabella: FIRE. Le ESCO sono
società specializzate nel progettare
e realizzare interventi di efficienza
energetica).
ze realizzate in paesi nordici. L’efficientamento degli edifici esistenti si fonda in
generale su un miglioramento delle capacità di isolamento dell’involucro e su
un’azione rivolta all’impiantistica (climatizzazione, illuminazione, sistemi di building automation e domotica). La replicabilità delle soluzioni è il principale alleato in questi contesti, mentre la grande
variabilità delle soluzioni disponibili e
delle condizioni di partenza rappresenta
il principale ostacolo, comunque superabile da bravi professionisti e aziende.
L’importanza dell’educazione
In ogni caso vale la pena di ricordare che
un edificio, per quanto intelligente e realizzato secondo criteri di sostenibilità,
presenterà consumi legati al suo utilizzo
e alla sua gestione. Dunque non basta realizzarlo o riqualificarlo bene, ma occorre
anche che chi lo occupa sappia utilizzarlo al meglio e che gli impianti siano ben
gestiti e manutenuti. Un sistema di automazione può aiutare, ma non è sufficiente, come l’esperienza insegna, e andrebbe affiancato da programmi di sensibilizzazione degli occupanti. Sebbene le
potenzialità dell’uso razionale dell’energia negli edifici siano consistenti, non è
così facile conseguire i risultati auspicati. Fra le principali barriere da superare si
possono citare: la scarsa conoscenza delle
opportunità di fare efficienza energetica;
la complessità della tematica, che richiede professionisti e organizzazioni qualificati, non ancora sufficientemente diffusi;
la carenza di dati sui consumi degli edifici, che rende difficile costruire business
32
|
|
Grande
distribuzione
Come canale di business è quello cresciuto di più. Buoni risultati sul fronte dell’illuminazione e dell’etichettatura degli
elettrodomestici. Ancora poco coperto il tema degli stand-by
e delle cucine ad induzione.
Installatori
e micro ditte
distribuite
sul territorio
Sebbene le detrazioni fiscali al 55 e 65 per cento abbiano stimolato la conoscenza delle tecnologie di base e un minimo di
formazione, la scarsa qualificazione di questi operatori in termini di media rimane il principale handicap di questo canale
commerciale, peraltro essenziale per le utenze residenziali.
Società
di ingegneria
Anche in questo ambito gli incentivi hanno stimolato una
crescita, che risulta però ancora insufficiente se si considera
l’esigenza di sapere progettare interventi per nuovi edifici e
per il retrofit di quelli esistenti in modalità integrata, coniugando involucro e impianti. La qualificazione non adeguata
e le regole sui compensi che favoriscono i professionisti
tradizionali rispetto agli innovativi sono i principali freni alla
crescita di questa categoria.
Costruttori
e imprese di
ristrutturazione
La legislazione e i regolamenti edilizi indirizzano sempre più
gli operatori tradizionali del settore edile verso interventi di
efficientamento energetico, anche aiutandosi con gli incentivi
disponibili. Il livello di qualificazione non è però adeguato,
così come la mentalità di molti costruttori, rimasta incollata
a schematismi di qualche decennio fa.
ESCO
Sono chiamate in causa da più parti, ma sono in generale
ancora lontane dalle esigenze del mercato, prevalentemente
per scarsità di capitalizzazione e fondazione troppo recente,
aspetti che limitano il ricorso al finanziamento tramite terzi,
ossia alla caratteristica più attesa in questa situazione di
mercato.
Fornitori
di energia
elettrica e gas
Sono i soggetti che si sono mossi per ultimi, per cui il limite
fondamentale è la mancanza di know how, unito alla difficoltà
di formare in tale senso reti commerciali abituate a vendere
prodotti molto più facili. Puntare su semplici accordi commerciali con partner tecnici non si è invece rivelato vincente.
Stanno partendo i primi progetti strutturati di sviluppo di
questa filiera, che potrebbe essere efficace anche per le SME.
Banche e fondi
Sebbene alcuni soggetti avessero intuito le potenzialità di
questo mercato, gli incentivi eccessivi al fotovoltaico hanno
distratto il necessario sviluppo di know how, che dunque è in
ritardo rispetto alle necessità. La dimensione limitata degli
investimenti in efficienza energetica, la sua complessità e le
caratteristiche degli operatori dell’offerta rendono complicato lo sviluppo di pacchetti finanziari di facile accesso.
plan credibili e solidi e dunque finanziabili da soggetti terzi (con o senza ricorso
al modello delle Eesco, le società di servizi energetici. Infine anche i lunghi tempi di ritorno di alcune soluzioni di efficientamento – in particolare di quelle
per l’involucro edilizio – e di impianti a
rete – come il teleriscaldamento –, che si
scontrano sia con il problema degli split
incentives, sia con la scarsa propensione agli investimenti di molti proprietari
immobiliari. A parte il ruolo fondamentale dell’informazione (a tutti i livelli) e
della formazione di qualità, per rispondere a queste problematiche occorre sviluppare modelli di business dedicati, eventualmente supportati da opportune politiche governative.
La riqualificazione degli edifici esistenti ha beneficiato negli ultimi anni di
diversi strumenti di supporto, che aiutano a mitigare le barriere economiche. I
principali a livello nazionale, che si escludono a vicenda, sono: le detrazioni fiscali, disponibili al momento sia al 65 per
cento per interventi di riqualificazione
un edificio inefficiente dal punto di vista
energetico grava sui costi di gestione delle
famiglie e delle organizzazioni che lo occupano
energetica, sia al 50 per cento per interventi di ristrutturazione ordinaria (in cui
possono essere ricompresi interventi che
non accedono all’aliquota maggiore). C’è
poi il conto energia termico, che copre in
media un 30-40 per cento dei costi di investimento, mirato prevalentemente alla
pubblica amministrazione, che ne può
beneficiare sia per interventi di efficientamento energetico, sia per l’installazione di fonti rinnovabili termiche (gli utenti privati possono avvalersene solo per
queste ultime). Un altro aiuto interessan-
te sono i cosiddetti certificati bianchi, che
in genere coprono dal 10 al 30 per cento
dei costi di investimento, disponibili per
tutte le tipologie di intervento collegate
all’efficienza energetica, ma in presenza
di più immobili serviti.
A questi strumenti si aggiungono i
fondi comunitari messi a disposizione sia
attraverso il programma Horizon 2020
(attività di diffusione, progetti pilota e
ricerca), sia attraverso la Banca europea
degli investimenti (Elena, Jessica e finanziamenti alle imprese) e l’Energy efficien-
cy fund (rivolti prevalentemente agli edifici pubblici e mirati a progetti di grandi
dimensioni, quali la riqualificazione del
parco edifici di una provincia).
L’attuazione della direttiva sull’efficienza energetica, e in particolare del
decreto legislativo 102/2014 che l’ha recepita in Italia, prevede che venga istituito
un fondo di garanzia a tutela degli investimenti di efficientamento energetico.
Si tratta di una misura che potrà aiutare a migliorare soprattutto gli impianti,
mentre per gli involucri potrebbe esse|
|
33
speciale
re utile l’introduzione di mutui agevolati concessi dagli istituti di credito o di
programmi dedicati.
La direttiva 2010/31/Ue sulle prestazioni energetiche degli edifici e la direttiva 2012/27/Ue sull’efficienza energetica
assegnano un ruolo fondamentale alla
pubblica amministrazione, che deve essere d’esempio verso il cittadino e le imprese. Nello svolgere il proprio compito istituzionale, la pubblica amministrazione
si vede assegnato un duplice ruolo: privatistico e pubblicistico. Rispetto al primo ruolo essa è responsabile della gestione immobiliare e di una serie di servizi,
tra i quali gli uffici pubblici (municipio,
scuole inferiori e medie, piscine, strutture sanitarie, etc.), l’illuminazione pubblica e semaforica, le infrastrutture di
servizio (raccolta e trattamento rifiuti,
acquedotti) e i trasporti. Tali servizi possono essere forniti direttamente oppure
tramite un terzo al quale siano affidati.
La conoscenza del patrimonio pubblico
e dei servizi offerti è indispensabile per
predisporre i bilanci energetici, proporre
delle soluzioni e fare delle scelte, misurare i risultati, e, in termini più specifici,
predisporre bandi per la riqualificazione degli edifici attraverso il finanziamento tramite terzi e sfruttare meccanismi
incentivanti tra i quali il conto termico e
i certificati bianchi.
Fra gli strumenti importanti nell’ambito della gestione del patrimonio pubblico è importante segnalare:
•certificazione energetica (primo
passo per la conoscenza dei fabbisogni/
consumi e prima tipologia di indicatore energetico);
•diagnosi energetiche e monitoraggio (la contabilità energetica è determinante sia per la possibilità di accedere al
finanziamento tramite terzi, sia per definire gli indicatori di performance energetica – EnPI – essenziali per gestire al
meglio i consumi);
34
|
|
•energy manager articolo 19 legge
10/91 (la presenza di un responsabile della gestione dell’energia è fondamentale
per attuare delle azioni efficaci);
•Iso 50001, sistema di gestione
dell’energia (Sge è il parallelo del Patto dei sindaci applicato al patrimonio
immobiliare pubblico; adottare un sistema di gestione dell’energia porta a risultati più consistenti nel tempo);
•contratti di rendimento energetico e
finanziamento tramite terzi (consentono
di riqualificare energeticamente gli edifici anche in assenza di dotazioni finanziarie adeguate agli investimenti necessari);
•green procurement e life cycle cost
analysis – Lcca (l’efficienza energetica
si coniuga con gli aspetti ambientali e
promozione delle fonti rinnovabili e
all’uso efficiente dell’energia);
•gestione attiva delle concessioni pubbliche (al momento del rinnovo
periodico dei contratti di concessione
è opportuno riconsiderare le condizioni del contratto stesso al fine di imporre obbligazioni in termini di efficienza
energetica);
•pianificazione territoriale contrattata (nuovi insediamenti o importanti
riqualificazioni consentono di realizzare impianti integrati ed energeticamente efficienti – impianti trigenerativi che
servano i nuovi edifici – a costi ridotti; è
quindi importante prevedere tali soluzioni nella fase di pianificazione);
•finanziamenti e bandi (nell’attua-
non basta CHE UN EDIFICIO SIA RIQUALIFICATO O
COSTRUITO BENE. oCCORRE CHE Chi lo occupa sappia
utilizzarlo al meglio e gli impianti siano ben gestiti
con la corretta valutazione degli investimenti);
•incentivi (conto termico, certificati bianchi e tariffe per fonti rinnovabili aiutano a finanziare la riqualificazione del parco immobiliare e delle utenze tecniche).
Il secondo aspetto, quello pubblicistico, riguarda la possibilità di incidere sui
consumi energetici delle utenze distribuite sul territorio dell’amministrazione.
La maggior parte dei consumi di energia
nei paesi industrializzati avviene infatti in città ed è strettamente correlato ai
trasporti, al riscaldamento e alle caratteristiche strutturali degli edifici. I principali strumenti disponibili in questo caso
sono i seguenti:
•patto dei sindaci (adozione di una
politica di efficientamento di almeno il
20 per cento e di un sistema di gestione
dell’energia territoriale);
•regolamenti edilizi (orientati alla
le contesto di limitate risorse, è fondamentale concentrare i finanziamenti su
diagnosi energetiche nel territorio e nelle imprese, in attività di formazione e
comunicazione, nel controllo e monitoraggio dei programmi attuati, nel favorire l’incontro fra domanda e offerta di
soluzioni per l’efficientamento, nel proporre fondi di garanzia a sostegno del
finanziamento tramite terzi);
•controlli (in assenza di verifiche sul
campo la maggior parte degli obblighi
rischia di venire applicata solo formalmente).
L’utilizzo corretto degli strumenti
segnalati consente alle amministrazioni di conseguire i migliori risultati sia
con riferimento al proprio patrimonio
immobiliare, sia relativamente allo sviluppo del territorio.
Dario Di Santo
direttore Fire, Federazione italiana
per l’uso razionale dell’energia
SPECIALE
lo studio di politecnico e centro studi enel
L’Efficienza energetica
per rimettere in moto
l’economia italiana
L’
e sistemi
per l’efficienza energetica potrebbero generare un impatto sul sistema
economico nazionale pari al 2 per cento del
Pil e un risparmio compreso tra 50 e 72 milioni di tonnellate di Co2 al 2020. A ciò si aggiungerebbe un aumento degli occupati fino al 2 per cento a fronte di una riduzione
dei consumi totali di energia compresi tra
il 12 e il 18 per cento. È quanto emerge dallo studio “Stato e prospettive dell’efficienza
energetica in Italia” realizzato dalla Fondazione Centro Studi Enel e dall’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano.
Le principali difficoltà, rivela lo studio,
nella realizzazione di politiche che aumentino l’efficienza energetica riguardano fattori culturali, economici, regolatorio-normativi e tecnologici. Si va dalla scarsa efficienza
nell’allocazione degli incentivi rispetto alle
reali esigenze del mercato, come gli aiuti destinati a tecnologie diffuse e ormai mature,
alla difficoltà di accesso e alla scarsa aderenza alle reali esigenze degli operatori. A questo si aggiunge la complessità regolatoria,
in particolare nei casi di tecnologie legate
all’utilizzo di energia elettrica, accompagnate dalla
misure in questo senso potrebbero
mancanza di un sistema
paese a supporto dell’effigenerare un impatto pari al 2 per cento
cienza energetica.
del Pil e un risparmio compreso tra 50
Sul fronte dei benefici,
e 72 milioni di tonnellate di Co2 al 2020.
numerosi sono soprattutto quelli legati alla riduA ciò si aggiungerebbe un aumento
zione dei consumi enerdegli occupati fino al 2 per cento
getici, sia in termini di
decarbonizzazione di alcuni settori come quello dei trasporti e del riscaldamento, sia di dell’efficienza energetica. Le aziende elettriche, infatti, possodiminuzione degli inquinanti, specie nelle città. Tuttavia, come no agire come system integrator delle tecnologie su scala nasottolinea lo studio presentato oggi, questi miglioramenti sono zionale in un’ottica di lungo periodo che favorisca lo sviluppo
limitati da una serie di fattori economici e regolatori, tra cui la di una filiera industriale integrata. Infine, unendo scala e capilstruttura della tariffa elettrica fortemente progressiva e le diffi- larità, le utility possono fungere da hub per offrire un servizio
coltà di accesso a forme contrattuali diverse da quelle standard. “chiavi in mano” al cliente con caratteristiche di economicità,
Inoltre, lo studio riconosce alle utility un ruolo importan- competenza tecnica, affidabilità, semplificazione e disponibilite nell’abbattimento delle barriere che ostacolano la diffusione tà finanziaria.
applicazione di strumenti
A CURA DI ETD | 35
SPECIALE
LA SFIDA
BIO DELLA
MOBILITà
bioCARBURANTE E BIOMETANO. SONO QUESTE LE
ALTERNATIVE PIù IMPORTANTI ALL’USO DI GASOLIO
E BENZINA. MA COSA SONO? COME SI OTTENGONO?
E L’ITALIA SI STA IMPEGNANDO IN QUESTA DIREZIONE?
Q
energetici si è subito portati a pensare ai
problemi connessi alla produzione e distribuzione dell’energia elettrica,
e questo vale anche per un’opinione pubblica che quasi sempre associa il concetto
di “fonti rinnovabili” all’immagine di un
impianto fotovoltaico o di un campo eolico. In realtà le cose stanno piuttosto diversamente: i consumi elettrici rappresentano complessivamente poco più di un quarto del totale, che vede il contributo prevalente degli usi termici (calore di processo
nell’industria e riscaldamento nel settore
civile), seguiti dai trasporti.
In Italia, il settore dei trasporti, che
comprende tutte le forme di mobilità privata e collettiva incluso il trasporto delle
merci, è responsabile del 31 per cento circa
dei consumi finali di energia (2013), per la
maggior parte sotto forma di combustibili
fossili (più di 35 milioni di tonnellate nel
2013) e in misura minore energia elettrica (di cui il 28 per cento circa da fonti rinnovabili) e biocarburanti. I biocarburanti –
che nella terminologia ufficiale sono tutti
i “carburanti liquidi o gassosi per i trasporti derivati dalla biomassa” – rappresentano oggi in Italia (1.366.000 tonnellate equivalenti di petrolio contro 186.000 di consumi elettrici nel 2012) e nel mondo l’alternativa di gran lunga più importante ai
prodotti di origine fossile, principalmente gasolio e benzina, ma anche metano, e i
quantitativi utilizzati sono in costante crescita, anche se costituiscono ancora una
piccola percentuale dei consumi totali (4,7
per cento nell’Unione Europea nel 2103).
36
|
uando si parla di consumi
|
Esistono diverse motivazioni a favore di un uso crescente dei biocarburanti,
con un peso relativo di volta in volta diverso a seconda dell’epoca e del paese. La prima è ovviamente quella di sostituire prodotti fossili, per la maggior parte importati da aree geopolitiche soggette a forte
instabilità, come il Medio Oriente, con carburanti rinnovabili di origine nazionale o,
comunque, di diversa provenienza: questa
motivazione, che è stata all’origine dell’interesse per i biocarburanti a partire dagli
anni successivi alla crisi petrolifera dei primi anni Settanta, è ancor oggi quella più
importante per gli Stati Uniti. Per quel che
riguarda invece l’Europa, il ricorso ai biocarburanti viene giustificato soprattutto
per i possibili benefici ambientali, in termini di riduzione dell’inquinamento a
livello locale e – nel quadro più generale
dello sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili – di riduzione delle emissioni di
gas a effetto serra. È considerato importante anche il contributo alla diversificazione delle produzioni agricole, con ricadute
positive sull’intero comparto, anche se in
misura minore rispetto alle forti discussioni e scontri di interessi contrastanti verificatosi intorno alla metà degli anni Ottanta in coincidenza con la crisi di sovrapproduzione di alcune “commodities” agricole,
in primo luogo cereali.
I biocarburanti attualmente utilizzati
in Italia sono sostanzialmente due: biodiesel e bio-ETBE. In entrambi i casi si tratta
di prodotti che non vengono ricavati direttamente dalla biomassa, ma sono ottenuti con semplici trasformazioni chimiche,
IN ITALIA il settore dei
trasporti è responsabile
del 31 per cento dei
consumi finali di energia
(2013), per la maggior
parte sotto forma
di combustibili fossili e in
misura minore di energia
elettrica e biocarburanti
nel primo caso di oli (e grassi) vegetali e/o
animali e nel secondo di etanolo, prodotto a sua volta dalla fermentazione di materie prime amidacee (cereali) o zuccherine
(canna e barbabietola da zucchero).
Il processo industriale di produzione
del biodiesel si basa sulla reazione degli
oli e grassi (trigliceridi) con alcol metilico, che porta a una miscela di esteri metilici e glicerina (10 per cento in peso circa
della materia prima utilizzata), un sotto-
prodotto che trova diverse utilizzazioni
industriali, e potrebbe avere nel prossimo
futuro anche applicazioni energetiche. Lo
stesso termine “biodiesel” è in realtà un
nome di fantasia, che ne richiama direttamente l’uso come sostituto del gasolio,
mentre in tutta la normativa tecnica questo biocarburante è indicato come FAME
(Fatty Acid Methyl Ester). Rispetto agli oli
vegetali puri, che vengono comunque utilizzati in qualche misura – ma non in Ita-
lia – come carburanti per trattori e altre
macchine agricole, il biodiesel presenta
una minore viscosità, maggiore stabilità
e un comportamento migliore alle basse temperature. Dal momento che le sue
caratteristiche e proprietà chimiche sono
molto simili a quelle degli idrocarburi
che costituiscono il gasolio, può essere
miscelato con quest’ultimo praticamente in qualsiasi proporzione, e usato anche
puro in autoveicoli opportunamente
|
|
37
SPECIALE
modificati con la sostituzione di quei
componenti (elastomeri, materiali plastici e vernici) che possono essere danneggiati dal contatto diretto con questo biocarburante e l’adozione di accorgimenti per mantenere una viscosità sufficientemente elevata nei climi freddi. La principale differenza rispetto al gasolio consiste nel fatto che il biodiesel contiene una
certa quantità di ossigeno (11 per cento in
peso), cosa che si traduce in un contenuto
energetico minore (86 per cento circa) di
quello del gasolio: questo elemento, insieme alla citata reattività verso alcuni materiali e alla maggiore viscosità è all’origine del cosiddetto “blending wall” (barriera alla miscelazione) in base al quale, per
essere immesso al consumo in miscela
con il gasolio nella rete pubblica di distribuzione del carburante, il biodiesel deve
rispettare una serie di specifiche molto
stringenti e, in base alla normativa vigente, miscelato nella percentuale massima
del 7 per cento in volume.
In Italia il biodiesel è stato immesso
sul mercato per la prima volta nel 1993
(poco più di 36.000 tonnellate), ma fino
al 2000 era usato quasi esclusivamente come combustibile per riscaldamento
(68.000 tonnellate su un totale di 70.000
immesse al consumo) e in misura molto minore per l’alimentazione di mezzi
di trasporto pubblici. A partire dal 2001
ha iniziato a diffondersi l’uso generalizzato in miscela con il gasolio in percentuali limitate (<5 per cento), che costituisce oggi praticamente l’unica modalità di impiego di questo biocarburante
(1.429.000 tonnellate nel 2012). Parallelamente, è nata e si è sviluppata un’industria del settore – che è stata per diversi
anni fra le prime a livello mondiale – con
numerosi stabilimenti e una capacità produttiva di circa 2.300.000 t/anno, oggi utilizzata solo al 12,5 per cento (solo 287.000
tonnellate di biodiesel prodotte nel 2012)
per problemi legati al costo delle materie
38
|
|
prime e alla presenza sul mercato di prodotto a costi concorrenziali proveniente da paesi extraeuropei con politiche
aggressive di sostegno alle esportazioni.
L’utilizzo dell’etanolo
L’etanolo, impiegato in sostituzione della
benzina per l’alimentazione dei motori a
scoppio, ha un contenuto di ossigeno pari
al 35 per cento in peso, ed è una molecola
con caratteristiche chimiche molto diverse da quelle degli idrocarburi, che lo rendono ad esempio completamente solubile in acqua. Per questi motivi, pur essendo un buon carburante (fu il primo carburante liquido usato in un motore a
scoppio e, per inciso, il carburante che
alimentava il primo razzo moderno, la
famosa V2, in grado di volare oltre l’atmosfera terrestre) in Europa si preferisce non miscelarlo direttamente alla ben-
denti a 138.000 tonnellate di etanolo.
Come si è detto precedentemente, il
consumo di biocarburanti nel nostro paese è andato costantemente aumentando
negli ultimi anni, come richiesto dalla
legislazione vigente in materia, che deriva direttamente dal recepimento della
direttiva CE n. 28/2009 del 23 aprile 2009
sulla promozione delle fonti rinnovabili,
e prevede una quota obbligatoria progressivamente crescente di energia rinnovabile nei trasporti a partire dal 2007.
Un riepilogo dei consumi di biocarburanti e altre fonti rinnovabili nel settore
dei trasporti negli ultimi anni è riportato
nella tabella in alto a destra, dove si può
notare che – oltre al fatto che i biocarburanti sono largamente preponderanti
rispetto all’elettricità da FER – la maggior
parte dei prodotti utilizzati è di importazione e solo una frazione minore, cor-
Il GOVERNO HA STABILITO le quote OBBLIGATORIE
di immissione in consumo di biocarburanti E
biocarburanti AVANZATI per gli anni dal 2015 al 2022
zina, ma solo sotto forma di ETBE (etere etil-ter butilico), ottenuto dalla reazione fra etanolo e isobutene, un sottoprodotto della raffinazione del petrolio. Dal
momento che l’etanolo prodotto a partire dalla biomassa prende il nome di bioetanolo, l’ETBE che ne deriva viene anche
chiamato bio-ETBE ed è considerato rinnovabile per il 47 per cento in peso, corrispondente alla parte della molecola proveniente dall’etanolo.
L’ETBE, essendo un etere, presenta minori problemi di “blending wall”
rispetto all’etanolo. Di conseguenza,
mentre l’etanolo può essere aggiunto
alla benzina nella percentuale massima
del 10 per cento in volume, per l’ETBE si
può arrivare fino al 22 per cento. In Italia
sono state immesse al consumo nel 2012
293.000 tonnellate di ETBE, corrispon-
rispondente al 25 per cento circa, deriva
da materie prime no-food, per la maggior
parte oli alimentari esausti (UCOs, Used
Cooking Oils) da raccolta differenziata.
Quest’ultima categoria di biocarburanti
gode del cosiddetto “double counting”, in
base al quale il loro contenuto energetico
viene contabilizzato con un valore doppio di quello effettivo ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di sostituzione.
Il “double counting” trova una sua
giustificazione nel riconoscimento di una
maggiore sostenibilità dei biocarburanti ricavati da materie prime “no-food”
rispetto a quelli tradizionali prodotti a
partire da mais o altri cereali (bioetanolo) o colture oleaginose come colza, soia
e palma da olio (biodiesel). Infatti, una
delle maggiori critiche che vengono mosse nei riguardi dei biocarburanti tradizio-
CONSUMI BIOCARBURANTE
Fonte: Ministero dello Sviluppo Economico 2013 e 2014
2009
2010
2011
2012
Bioetanolo/bio-ATBE
92
122
114
103
- di cui da biomasse no-food
0
0
7
3
- di cui importati
51
50
50
45
1052
1297
1296
1262
38
38
57
338
- di cui importati
346
592
764
1009
Elettricità da FER
145
153
175
186
0
4
5
5
Totale
1289
1617
1575
1552
Totale con i fattor moltiplicativi
1327
1617
1647
1899
% FER sui consumi finali
3,69
4,58
4,69
5,84
3
3,5
4
4,5
Biodiesel
- di cui da biomasse no-food
- di cui per trasporto su strada
Quota obbligatoria prevista
nali è quella di non presentare vantaggi
significativi rispetto ai carburanti di origine fossile che andrebbero a sostituire,
in termini sia di bilanci energetici che di
emissioni di gas a effetto serra, quando si
considera l’intera filiera produttiva, insieme al rischio sempre presente di entrare
in conflitto con le produzioni alimentari
per l’uso dei terreni agricoli.
Un esempio di successo
Per queste ragioni, si cerca di promuovere
l’uso dei biocarburanti di seconda generazione, o biocarburanti avanzati, prodotti da materiali lignocellulosici, ivi incluse
le colture da biomassa, scarti e rifiuti di
varia natura, colture di microalghe eccetera. In questo senso, un caso di successo del nostro paese nel settore dei biocarburanti di seconda generazione è rappresentato dall’impianto dimostrativo di Crescentino (AL) della Società Chemtex, primo al mondo a produrre su scala industriale (40.000 t/anno) etanolo da materiali lignocellulosici di scarto e da colture dedicate. Più in generale, l’impegno
dell’Italia su questo terreno è dimostrato
anche dal recentissimo decreto del ministero dello Sviluppo Economico (10 ottobre 2014) che stabilisce le quote obbligatorie di immissione in consumo di biocarburanti per gli anni dal 2015 al 2022
e, all’interno di queste, una percentuale obbligatoria di biocarburanti avanzati come è riportato nella tabella qui sotto.
% immissione
biocarburanti
cosiddetti “drop-in biofuels”, rappresenta
l’oggetto di numerose e importanti attività di ricerca condotte in Italia e in tutto
il mondo, anche nella prospettiva di arrivare a produrre biocarburanti compatibili con gli elevatissimi standard di qualità
richiesti dal trasporto aereo.
Infine, un discorso a parte deve essere fatto per il biometano, che costituisce
al momento l’alternativa più promettente per la produzione di quantitativi significativi di biocarburanti a partire da materie prime disponibili sul territorio nazionale. Infatti, il biometano si ottiene tramite il processo cosiddetto di “upgrading” del biogas, che consiste nella rimozione dei contaminanti, in primo luogo H2S e nella separazione del CH4 dalla Co2, arrivando a ottenere un gas costituito da metano praticamente puro (≥9798 per cento), con le stesse caratteristiche
di quello immesso nella rete nazionale di
distribuzione e utilizzato per l’alimentazione degli autoveicoli a metano. Il biometano, prodotto a partire da biomasse residuali disponibili sul territorio circostante
l’impianto di conversione, è un esempio
di biocarburante sostenibile e producibile a livello locale, senza necessità di trasportare grandi quantità di biomasse in
2015
2016
2017
2018
2019
2020
2021
2022
51
5,5
6,5
7,5
9,0
10,0
10,0
10,0
1,2
1,2
1,6
1,6
2,0
% immissione
biocarburanti avanzati
Lo sviluppo di tecnologie e processi
innovativi per ottenere da queste materie prime sia i biocarburanti attualmente in uso che nuove tipologie di prodotti,
costituiti da miscele di idrocarburi praticamente indistinguibili e totalmente
miscelabili con i carburanti tradizionali, i
complessi industriali di grandi dimensioni. Il biometano è attualmente prodotto
in diversi paesi europei ed extraeuropei, e
rappresenta quasi l’1 per cento del totale
dei biocarburanti utilizzati nella Ue. Vito Pignatelli
presidente Itabia
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39
SPECIALE
OLTRE IL 2030
C’è UN MONDO
c’è chi dibatte su come arrivare al domani e chi lavora
già per costruirlo. ecco perché il primo fattore
di sostenibilità ambientale è la capacità di innovare.
la mappa delle opportunità che non soffrono la crisi
«C
osì come l’energia è la base del-
la vita stessa, e le idee la fonte dell’innovazione, così l’innovazione è la scintilla vitale di tutti i cambiamenti, i miglioramenti e il progresso
umano». Il pensiero dell’economista americano Theodore Levitt mette evidentemente sulle spalle di tutti noi una grande
responsabilità nei confronti delle generazioni future e ci ricorda il valore e il potere dell’innovazione. L’analisi etimologica
della parola probabilmente non ci aiuta a
capire fino in fondo quanto innovare significhi molto più che rendere nuovo, e sia
invece più vicino al concetto della frontiera nella mente del pioniere. Vedere oltre,
immaginare, focalizzare lo sguardo su ciò
che può divenire piuttosto che su ciò che è
oggi la realtà.
Anche il settore energetico è impegnato in questo tipo di ricerca e così come
40
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nella frontiera dello spazio di kennediana memoria, si tratta di una «new frontier of unknown opportunities and perils,
the frontier of unfilled hopes and unfilled threats».
La spinta all’innovazione nel settore
energetico prende origine da una serie di
cambiamenti che lo stanno interessando
ormai da anni e che, soprattutto per quanto riguarda il comparto elettrico, comportano un cambio di paradigma sostanziale nel modo in cui l’energia viene prodotta, distribuita e consumata. La domanda
energetica mondiale è prevista in crescita, per effetto prima di tutto dell’aumento
demografico (2 miliardi di persone in più
al 2035), con ovvie e sostanziali differenze
rispetto alla geografia e alla composizione del mix energetico. L’Agenzia internazionale per l’energia (International Energy Agency - Iea) prevede, infatti che, tra il
2010 e il 2035, l’economia globale crescerà
a un tasso medio annuo del 2,8 per cento
comportando un aumento della domanda
energetica del 33 per cento.
Si stima che a crescere maggiormente
in futuro saranno i paesi non-Ocse, in particolare la Cina, con un contributo sempre
maggiore da parte delle energie rinnovabili per quanto riguarda la composizione
della domanda stessa. Al 2035, la domanda
di energia primaria dei paesi non-Ocse farà
registrare una crescita di circa il 65 per
cento rispetto ai livelli del 2010, trainata
soprattutto dalle economie dei paesi in via
di sviluppo dove tra l’altro si fa sempre più
accentuata la migrazione della popolazione dalle zone rurali alle città, con conseguente aumento dei consumi in particolare elettrici. Le previsioni prospettano una
crescita del 30 per cento della domanda
energetica nel settore residenziale e com-
«Così come l’energia è la base della vita
stessa, e le idee la fonte dell’innovazione,
così l’innovazione è la scintilla vitale
di tutti i cambiamenti, i miglioramenti
e il progresso umano» (theodore Levitt)
merciale. Nel settore residenziale, in particolare, i cambiamenti più significativi
riguardano la transizione verso l’utilizzo
di fonti di energia convenzionali in sostituzione di biomasse – legno e rifiuti agricoli.
Anche la domanda di energia legata al
settore trasporti farà registrare una crescita considerevole, oltre il 40 per cento, per
effetto soprattutto del commercio internazionale che prevede l’utilizzo di mezzi
pesanti. Tuttavia, sebbene si preveda nel
breve periodo un raddoppio nel numero di veicoli presenti sulle strade, quelli
ad uso privato stanno migliorando la propria efficienza con riduzioni sensibili nei
consumi di carburante e minori emissioni. Perciò, mentre i progressi della tecnologia automobilistica, quali ad esempio i veicoli ibridi, manterranno la domanda globale di energia nel trasporto privato relativamente stabile, la domanda di energia
nel trasporto commerciale (mezzi pesanti,
aerei, navi e treni) aumenterà sensibilmente nell’immediato futuro.
Nel corso dei prossimi trent’anni, la
domanda energetica del settore industriale è attesa svilupparsi in maniera consistente. Come accennato, dato l’aumento
demografico e la crescente domanda di
beni e servizi, i settori “energy intensive”
(acciaio, cemento, materie plastiche e prodotti chimici) saranno i protagonisti della domanda dei prossimi anni. Sempre nel
medesimo periodo, l’espansione del settore industriale, porterà con sé una crescita
dei consumi di elettricità di quasi l’80 per
cento, spinti anche dall’ampia diffusione di dispositivi elettronici di varia natura e di elettrodomestici. Tra le fonti energetiche, il gas naturale assumerà un ruolo
chiave soprattutto nella generazione elettrica, grazie anche al suo minore impatto ambientale con emissioni di Co2 inferiori fino al 60 per cento rispetto al carbone. Nel 2035 coprirà fino al 30 per cento
della produzione globale di energia elettrica, rispetto a circa il 20 per cento attuale.
Oltre all’utilizzo del gas naturale, un ruolo chiave lo giocheranno l’energia nucleare e le fonti rinnovabili, mentre diminuirà progressivamente l’utilizzo di carbone
e di petrolio.
Per capire meglio come sia possibile
soddisfare in futuro una domanda energetica crescente, è necessario fare i conti
con numerosi fattori che ne influenzano
l’andamento: la disponibilità effettiva delle fonti e delle infrastrutture per renderle fruibili, i costi dell’energia, lo sviluppo
tecnologico e dei mercati, il ruolo dell’efficienza energetica, le politiche ambientali,
gli equilibri geopolitici, ecc. Ad esempio è
evidente il ruolo direttivo delle stringenti
politiche europee di riduzione delle emissioni nella costruzione dell’offerta futura
di energia nei paesi dell’Unione. Infatti gli
auspicati processi di decarbonizzazione ed
elettrificazione richiedono importanti e
imponenti cambiamenti nel settore elet-
trico, in termini di produzione, distribuzione e mercati. Non solo, per raggiungere
l’obiettivo di tagliare dell’80 per cento le
emissioni di Co2 al 2050 saranno necessarie profonde modifiche sia nel settore della generazione elettrica che in quello industriale, agricolo, dei trasporti etc. Di fatto dunque la crescente penetrazione delle rinnovabili, il primario ruolo del vettore elettrico, gli stringenti vincoli ambientali e i limiti intrinseci dell’attuale sistema di generazione rappresentano i principali fattori di cambiamento che rendono
necessaria una accelerazione dei processi
di innovazione.
Il protagonismo delle aziende
Se analizzare un mix così complesso di
fattori appare più che complesso, soprattutto perché non si può immaginare il
futuro semplicemente traslando in avanti gli andamenti attuali, si può concordare sul fatto che uno dei punti di forza per
il raggiungimento dell’obiettivo di fornire energia ad un numero crescente di
persone a condizioni sostenibili economicamente e ambientalmente, è costituito
dall’innovazione tecnologia e dalla ricerca di soluzioni nuove. Così l’innovazione
entra anche nei percorsi di sviluppo delle
aziende energetiche per immaginare quali possono essere i nuovi trend di mercato
e le nuove tecnologie del futuro atte a portare sul piano industriale e applicativo le
migliori soluzioni al vaglio di scienziati e
ricercatori.
In particolare per quanto riguarda il
comparto elettrico numerose sono le attività di ricerca che mirano a trovare soluzioni innovativa nella generazione, nello
stoccaggio e nella distribuzione dell’energia. Nell’ambito del suo principale programma formativo, Safe e i partecipanti alla XV edizione del Master in “Gestione delle Risorse Energetiche” hanno realizzato una ricognizione delle principali
tecnologie energetiche d’avanguardia al
momento in fase di ricerca o di svilup|
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41
SPECIALE
po. Ne è scaturita una vasta e interessante panoramica, caratterizzata da esperienze di ricerca e di applicazione diverse per
le fasi di generazione, accumulo e distribuzione di energia elettrica. Il lavoro ha permesso infine di tracciare una mappa dei
progetti mettendone in evidenza la loro
posizione in una ideale matrice tridimensionale che ha come variabili la maturità
tecnologica, il costo dell’investimento e la
sostenibilità ambientale. Progetti in fase di
sviluppo o di prima commercializzazione
sono presenti ovunque in giro per il mondo. Particolarmente attivi sono gli Stati
Uniti, il Giappone e in Europa, Germania,
ma anche l’Italia con diverse sperimentazioni innovative, soprattutto nella generazione e nello sviluppo delle smart grid.
Proprio nell’ambito dei sistemi di
generazione non convenzionale esistono
percorsi innovativi per molte delle modalità di produzione dell’energia. Si va da processi di fissione nucleare di IV generazione (dai reattori raffreddati ad elio, piombo ai reattori veloci raffreddati a sodio o
sali fusi) ai famigerati processi di fusione. Di particolare interesse anche le realizzazioni nel campo della gassificazione
o della pirolisi. Ad ancor più elevato tasso
innovativo sono le applicazioni nel comparto di generazione rinnovabile. Si passa
dalle più avanzate soluzioni per catturare
l’energia del mare a quelle per migliorare
l’efficienza delle tecnologie fotovoltaiche,
fino alle innovazioni in ambito geotermico
dove, per la prima volta all’inizio del 2014,
si è addirittura riusciti a sfruttare il vapore proveniente direttamente da una sacca di magma. Scatenano fantasia (e spesso
anche significativi investimenti) le applicazioni dell’eolico dove si moltiplicano i progetti per lo sfruttamento del vento ad alta
quota o dell’umidità dell’aria. Varia il captatore, si modificano i suoi profilli alari ma
l’idea di base di catturare il vento più consistente e più potente che si trova ad alta
quota, ha permesso lo sviluppo di soluzio42
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ni nuove da parte di piccole start-up che
sono riuscite ad attirare l’interesse di investitori internazionali. È il caso dell’azienda giapponese Makani Power acquisita da
Google, e del suo progetto Wing7 che consiste in una macchina composta da una
turbina volante a forma ibrida tra un elicottero ed un aereo di circa 8 metri di lunghezza e 56 kg di peso con potenza nominale prossima ai 20 kW posizionata a 500
metri dal suolo.
Di grande attualità anche gli sviluppi
in area accumuli per far fronte, fra l’altro,
al già ben conosciuto problema dell’intermittenza produttiva delle fonti rinnovabili. Le innovazioni in questo ambito sono
te i comportamenti e le azioni degli utenti ad essa collegati in modo da aumentare
l’efficienza del sistema elettrico dal punto di vista economico, ridurre le perdite,
aumentare la sicurezza e garantire la continuità e la qualità di fornitura di energia elettrica. Un elemento della complessa costruzione di una smart grid è costituito in Italia dal progetto “Telegestore” sviluppato da Enel. Il progetto non solo consente agli utenti finali la telelettura dei
consumi e la telegestione del contratto,
ma contribuisce ad un indispensabile processo di consapevolezza del consumatore
rispetto ai propri comportamenti di consumo e di capacitazione, fattore importan-
l’idea di catturare il vento scatena fantasia e attira
investitori. è il caso dell’azienda giapponese Makani
Power, acquisita da Google, e del progetto Wing7
veramente sorprendenti: si va da supercapacitori a nano tubi di carbonio che permettono di aumentare la superficie disponibile per l’accumulo e quindi di migliorarne le prestazioni, a batterie costituite
da molecole organiche, vera fantascienza
per i non addetti ai lavori, ma motivo d’orgoglio per l’Università di Harvard che se ne
sta occupando con un promettente progetto di batterie che utilizzano chinoni, molecole organiche che presentano il duplice
vantaggio del basso costo e della compatibilità ambientale.
“Telegestore”, un primato italiano
Guardando al sistema energetico del futuro non poteva infine mancare un focus
sull’implementazione di sistemi smart.
L’obiettivo è creare una rete controllata in
maniera più intelligente che sappia gestire
in maniera efficiente flussi di energia tramite l’integrazione di diverse tecnologie
quali l’Ict, l’elettronica di potenza e lo stoccaggio. La smart grid è una rete in grado di
integrare e gestire in maniera più efficien-
tissimo dell’auspicato cambio di paradigma del sistema elettrico. Con tale progetto inoltre l’Italia fissa un primato essendo
l’unico paese al mondo ad aver completamente digitalizzato la rete di distribuzione
con l’istallazione di 36 milioni di contatori
digitali all’interno di un sistema completamente digitalizzato.
Ne viene fuori la mappa di un mondo
di opportunità con spazi per applicazioni migliorative talmente vasti da suggerire che vale sempre la pena fare ogni sforzo per raggiungere la frontiera. Spesso in
momenti di crisi economica pesante e perdurante, i primi costi ad essere tagliati
sono quelli che impattano sul lungo periodo, nella miope convinzione che salvare il
presente sia più importante che salvare il
futuro. Non la pensavano e non la pensano
così, per fortuna, i pionieri dell’innovazione in giro per il mondo, la speranza è che
trovino sul loro percorso decisori e finanziatori altrettanto fiduciosi nel futuro.
Laura Cardinali
Centro studi Safe
Non perdere le uscite speciali di Tempi
in occasione delle festività
Il numero di Natale, in uscita
a partire da giovedì 18 dicembre,
resterà nelle edicole per due settimane
Il tradizionale “Te Deum” di fine
anno uscirà in via eccezionale a partire
da mercoledì 31 dicembre
e farà compagnia ai lettori fino
a mercoledì 14 gennaio.
Da giovedì 15 gennaio riprenderanno
regolarmente le uscite settimanali
SPECIALE
DIAMO CREDITO
ALL’IMPRESA GREEN
nel 2013 le popolari hanno erogato 140 milioni
di euro in favore di uno sviluppo sostenibile
delle comunità, la salvaguardia dell’ambiente
e un uso responsabile delle risorse naturali
L
a riscoperta negli ultimi tempi dei
princìpi e dei valori della solidarietà
e della sussidiarietà è un fenomeno
naturale conseguente al perdurare della
crisi economica e finanziaria che attanaglia il nostro paese ormai da circa 6 anni,
e che ha visto alternarsi momenti di stagnazione ad altri di profonda recessione. Questa rinnovata sensibilità da parte degli operatori economici attivi sia dal
lato dell’offerta che della domanda su ideali economici che si fondano sull’inclusione e sulla partecipazione nasce dalle difficoltà sempre più ampie che un numero crescente di persone si trova a dovere
affrontare in un momento di congiuntura economica che appare ancora lontano
da una sua riproposizione e riaffermazione in termini espansivi.
Una presa di coscienza collettiva che
per le imprese appare dettata sempre di
più non solo da argomenti di immagine
e di opportunità, ma anche e soprattutto
da concrete ragioni economiche, in virtù
di una consapevolezza e di un’attenzione crescente da parte dell’opinione pubblica verso tematiche di equità e di rispetto dell’ambiente che tendono, pertanto, a
premiare chi dimostra di avere sviluppato su tale materia una sensibilità maggiore rispetto ad altri operatori economici.
44
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mance economica e a quella patrimoniale, alla gestione sviluppo e formazione
del personale, ai rapporti con i soci e
«Seguiamo le linee
gli investitori istituzionali, alla società e
guida promosse dalla
alle comunità locali e alla responsabiliGlobal Reporting
Initiative», spiega il
tà di prodotto. Il tutto attraverso il ricorsegretario generale
so ad una serie di indicatori standardizdell’Associazione
zati conformi alle indicazioni provenienti
Nazionale fra le
dal Gri. Ambiti, questi, nei quali le Banche
Banche Popolari
Popolari si sono sempre riconosciute fin dalin tre anni abbiamo ridotto del
le loro origini in misu10 per cento il consumo di energia
ra costante e continua e
per dipendente, del 15 per cento il
non seguendo le necessiconsumo delle risorse idriche e del
tà contingenti derivanti
14 per cento la produzione di rifiuti da situazioni economiche congiunturali più o
In questo contesto si inserisce l’intro- meno favorevoli. D’altronde, non poteva
duzione delle nuove linee guida per il essere diversamente se si considera che
Reporting di Sostenibilità emanati dal- da sempre l’attività delle Banche Popolala Global Reporting Initiative (Gri), orga- ri è quella di avvicinare al credito intere
nizzazione internazionale non-profit con comunità e di promuovere lo sviluppo delsede in Olanda attiva nel campo delle le economie locali. Una mission che gli istipolitiche di sostenibilità, al fine di rende- tuti della categoria hanno portato avanre facilmente confrontabili soggetti diver- ti arrivando ad operare in contesti e realsi tra loro e verificare il grado di aderen- tà lontane dai grandi centri abitati e che
za e la conformità delle diverse politiche si è tradotto in opportunità e prospettive
aziendali ai principi che stanno alla base di crescita e benessere, rese possibili dalla costruzione di un rapporto fiduciario e
di uno sviluppo sostenibile.
Attenzione, quindi, viene prestata agli di lungo periodo con la propria clientela.
Nel campo ambientale il Gri ha introaspetti sociali ed ambientali, alla perforGiuseppe De
Lucia Lumeno
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45
speciale
dotto una serie di indicatori (circa 30)
che sono stati recepiti dalle Banche Popolari e presenti nei bilanci sociali che gli
istituti della categoria predispongono con
cadenza annuale. Tali indicatori riguardano l’utilizzo delle materie prime o di quelle riciclabili, il consumo diretto ed indiretto di energia ed il risparmio energetico,
il consumo di acqua, le strategie adottate
per gestire gli eventuali impatti sulla biodiversità, le emissioni totali dirette ed indirette di gas serra, i rifiuti e le emissioni di
sostanze nocive, le spese e gli investimenti
per la protezione dell’ambiente.
Sulla base di tali linee guida le Banche
Popolari perseguono un comportamento
virtuoso e costruttivo in accordo con i criteri stabiliti dal Gri al fine di essere sempre più in sintonia con i parametri di riferimento che possono attestare l’attitudine “green” dell’impresa. Negli ultimi tre
anni, ad esempio, gli istituti della categoria hanno ridotto del 10 per cento il consumo di energia per dipendente, del 15 per
cento il consumo delle risorse idriche e del
14 per cento la quantità di rifiuti prodotti. Un percorso, questo, nel quale le Banche Popolari dimostrano di trovarsi particolarmente a loro agio visto il loro radicamento territoriale e la loro propensione
ad identificarsi con la comunità di appartenenza, grazie alla loro natura cooperativa e ad una compagine sociale che è espressione dell’economia locale in cui la banca opera. Proprio per questo, le tematiche
ambientali sono per le Banche Popolari già
da tempo parte integrante della responsabilità sociale d’impresa, che negli istituti
della categoria assume una valenza implicita, ossia la Csr è parte centrale del modello di business della banca popolare perché essenziale nell’assicurare uno sviluppo durevole e sostenibile del territorio di
riferimento. Ciò spiega come l’attenzione
delle Banche Popolari per il territorio non
sia determinata solo dal rischio reputazione, come invece avviene per tante altre
46
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imprese che rimangono per scelta estranee
dall’area d’insediamento, ma sia derivante da un intreccio di legami e di rapporti con la comunità e con il tessuto produttivo così profondo da rendere correlati gli
interessi della banca stessa con quelli della
collettività e, di conseguenza, dell’ambiente circostante. Una politica che le Banche
Popolari conducono valutando sia i possibili impatti diretti che indiretti. Nel primo
caso, gli istituti della categoria agiscono in
accordo con alcune linee guida che devono tenere conto del miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici della banca, una riduzione del consumo della carta
e dei consumi idrici, e l’introduzione sempre più ampia di fonti energetiche rinnovabili. Nel secondo caso, impatti indiretti,
l’attività creditizia della banca tende a pri-
gli istituti della categoria. In essi, infatti,
sono presenti norme focalizzate al rispetto dell’ambiente e alla propensione a sviluppare rapporti con fornitori qualificati
e sensibili ai temi ambientali.
Rappresentare gli interessi della comunità e del territorio significa anche per la
banca popolare difendere e valorizzare le
specificità dell’area di riferimento, la sua
storia e le sue tradizioni. Un compito, questo, svolto dalle Popolari attraverso l’erogazione di una quota dell’utile netto, che
l’anno passato è stata pari a 140 milioni di
euro, in favore di uno sviluppo sostenibile
delle comunità e che, chiaramente, comprende anche la salvaguardia dell’ambiente e un uso responsabile delle risorse naturali. Tematiche che possono essere pienamente comprese in tutte le sue diverse
l’attività creditizia tende a privilegiare chi agisce
per migliorare i processi produttivi o investe in
beni e progetti con ricadute positive per l’ambiente
vilegiare tutte quelle imprese che agiscono per il miglioramento dei processi produttivi o la cui produzione è rivolta a beni
che riducono l’impatto ambientale o che
vogliono investire in progetti con ricadute
positive per l’ambiente.
Molte Banche Popolari, all’interno
delle linee guida di Csr alle quali si attengono, predispongono poi policy aziendali specificatamente riferite alle tematiche ambientali con l’obiettivo non solo
di verificare le ricadute dirette ed indirette della propria attività commerciale sull’ambiente, ma anche per responsabilizzare maggiormente il personale e
promuoverne il coinvolgimento attraverso programmi di formazione, l’erogazione di contributi a iniziative di tutela e di
recupero del patrimonio ambientale.
L’importanza dell’ambiente e delle sue
risorse per le Banche Popolari è riscontrabile anche nei codici etici di cui si dotano
diramazioni solo da chi è realmente parte ed espressione del territorio e che proprio per esserne così legato non può fare
a meno di considerarlo come parte integrante di se stesso, della sua storia e della sua vitalità. Salvaguardare l’ambiente
significa salvaguardare le comunità in cui
queste vivono, comunità che attraverso le
figure dei soci e dei clienti formano l’essenza, grazie alla governance democratica
assicurata dal modello cooperativo, delle
Banche Popolari. Per questo le banche della categoria sono così impegnate su tale
tema, comprendendo prima di altri l’importanza che tale aspetto riveste non solo
in termini di immagine, ma soprattutto in termini di crescita di quel capitale
sociale che è alla base dello sviluppo degli
stessi istituti cooperativi.
Giuseppe De Lucia Lumeno
segretario generale Associazione
Nazionale fra le Banche Popolari
SPECIALE
LA MISSION DI EUROENERGY
lA SOLUZIONE
ENERGETICA
PERSONALIZZATA
O
ggi non si diventa più ricchi guadagnando, bensì risparmiando. Per
molti anni si è pensato che il rapporto tra capitale ed ecologia fosse negativo e che la componente green rappresentasse un ulteriore vincolo alla produzione di ricchezze di un paese. Tale postulato si è rivelato falso se si considerano le spese che l’Italia
sta affrontando per colmare i diversi lustri
di noncuranza dell’ambiente. Ma per realizzare un sistema competitivo dal punto di
novabili di San Giorgio Canavese,
vista ambientale, bisogna partire dal basinaugurato nel dicembre dell’anso e occorrono soggetti specializzati in gra- TRA GLI obiettivI di
no scorso. La sua realizzazione è
do di assistere le imprese verso le scelte più EUROENERGY C’è QUELLO
stata importante in termini sia di
adeguate.
DI fornire soluzioni
riqualificazione ambientale sia di
Euroenergy fa parte di Eurogroup, una
società nata per sostenere lo sviluppo del- complete nel campo delle costruzione di impianti per la prole imprese. Euroenergy è nata nel 2010 e ha rinnovabili attraverso IL duzione di energia. Gli impianuno fotovoltaico e l’altro a biorealizzato 50 impianti per un valore di proprogettO e l’installazione ti,
massa, forniscono circa 2.130.000
duzione pari a circa 70 milioni di euro con
KW/h all’anno, che corrispondono
30 MW di potenza complessiva. La società ha di impianti fotovoltaici,
l’obiettivo di fornire alle aziende di tutta Ita- biomasse, cogenerazione, al fabbisogno annuo di 800 famiglie italiane, ed evitano l’immislia soluzioni complete nel campo delle energie rinnovabili attraverso la progettazione e mini eolico, idroelettrico sione in atmosfera di 676 tonnellate di Co2.
l’installazione di impianti fotovoltaici, bioLa riqualificazione ambientale è stata condotta su una vasta
masse, cogenerazione, mini eolico e idroelettrico.
In forza delle sinergie che in Eurogroup si possono trovare area a destinazione agricola presso l’azienda Cascina del Sol di
nelle aziende partecipate, il grande valore aggiunto del servi- San Giorgio Canavese in provincia di Torino ed è avvenuta attrazio di Euroenergy è la capacità di integrare competenze diverse, verso la realizzazione di quattro distinti interventi. Prima di tutfinanziarie, progettuali, tecniche e realizzative, al fine di con- to è avvenuta la bonifica di 7.500 metri quadrati di amianto in
seguire la soluzione ottimale per il profilo di investimento del tredici capannoni in disuso, con la contestuale realizzazione sui
cliente. Grazie a interventi ad hoc, inoltre, si garantisce un effi- tetti di un impianto fotovoltaico da 1 MWp per la produzione
ciente equilibrio tra capitale dei soci, debito e garanzie richieste. di energia elettrica. Si è successivamente costruito un impianto
Euroenergy effettua inoltre interventi finalizzati a miglio- a biomassa per la produzione di energia elettrica e termica delrare l’efficienza energetica di una azienda, razionalizzandone i la potenza di 165 kWe; si è sviluppata una rete di teleriscaldaconsumi. L’attenzione all’efficienza, al contenimento dei costi, mento che, attraverso il recupero dell’energia termica prodotal miglioramento delle performance in campo sia civile sia indu- ta dall’impianto di biomassa, riscalda le stalle avicole. Infine è
striale, ha avviato un nuovo ciclo del settore della cosiddetta gre- avvenuto il recupero e la ristrutturazione tecnologica dei capanen economy, quello dell’efficienza energetica. Con questo termi- noni avicoli, ripristinando l’originaria attività.
La somma complessiva degli investimenti realizzati da Eurone si deve intendere quell’insieme di soluzioni tecniche e comportamentali che portano a un risparmio dei propri consumi energy ammonta a 3,6 milioni di euro. Gli interventi sono duradei vettori energetici. Obiettivo primario di Euronergy è quindi ti circa 18 mesi e il sito su cui si è intervenuti risultava abbanottenere un risparmio attraverso il miglioramento dell’efficien- donato e in condizioni di degrado. L’energia elettrica prodotta
za energetica, per conto della propria clientela, rappresentata dagli impianti fotovoltaico e biomassa viene ceduta alla rete e
pagata dal Gestore dei Servizi Energetici (Gse) sia in termini di
da piccole e medie imprese utenti di energia.
Una delle recenti realizzazioni più significative di Euroe- vendita pura sia di incentivo previsto per le fonti energetiche
nergy riguarda il polo tecnologico specializzato in energie rin- rinnovabili. [mg]
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